Sentenze recenti restituzione somme

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5319 del 2022, proposto da Ge. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co., Gi. Co. e Al. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); contro Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Ge., Da. Ad. Ma. Za. e El. Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ni. Ge. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 03221/2022, resa tra le parti, per l'annullamento, in parte qua, dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, successivamente notificata e ricevuta da Ge. S.p.A. il 27.06.2017, con la quale sono state irrogate alla ricorrente le sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000 (doc. 1); nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, quali in particolare: l'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed il rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS (doc. 2). con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole alla ricorrente, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., Ni. Ge. e Da. Ad. Ma. Za.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma Sezione Seconda Ter, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto Ge. S.p.A., per l'annullamento in parte qua dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, d'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000. Cumulativamente, oltre ad estendere il gravame all'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed al rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS; la società ricorrente ha chiesto la condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole all'appellante, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. 2. La sanzione consegue all'accertamento di cinque distinte ipotesi di violazione del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (artt. 182 e 183) e di diverse norme regolamentari poste in essere dalla Società appellante con riferimento alla commercializzazione di "BG Stile Libero", prodotto che combina assicurazioni di ramo I con assicurazioni di ramo III di cui all'articolo 2, c. 1, del d.lgs. 209/2005 ("Codice delle Assicurazioni Private"). Gli illeciti ritenuti sussistenti sono i seguenti: - utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentono una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzano il prodotto (illecito a); - illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione (illecito b); - mancata consegna del "Progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" (illecito c); - non piena attendibilità dell'indicatore "Costo Percentuale Medio Annuo" riportato nella scheda sintetica ("CPMA") (illecito e); - carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti (illecito f). 3. Con i primi quattro motivi (da I a IV) del ricorso di primo grado la società appellante lamentava "I vizi del provvedimento sanzionatorio"; nei restanti cinque motivi (da V a IX) denunciava l'"Insussistenza delle violazioni"; con il decimo motivo (X) chiedeva in subordine la rideterminazione della sanzione in caso di mancato accoglimento della domanda di annullamento. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di prime cure ha confermato la violazione rubricata sub a) nel testo dell'ordinanza gravata con la quale Ivass ha contestato l'utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentivano una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzavano il prodotto. Sul punto, il Tar osserva che la broucher del prodotto si presentava inequivocabilmente omissiva sia in ordine alle percentuali con le quali la componente assicurativa e quella finanziaria andavano a comporre il prodotto, sia in ordine alla tipologia di rischio che è sicuramente difforme dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare, e da quello di correttezza richiamato anche dalla disposizione legislativa. Infatti, sebbene la società ha utilizzato dato atto della natura composita del prodotto, nulla s'è chiarito in ordine all'effettiva composizione del prodotto stesso che presentava una spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure. In merito alla violazione rubricata sub b) con la quale Ivass ha ritenuto che la ricorrente abbia illustrato in maniera fuorviante il regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione, il giudice di prime cure osserva che le espressioni utilizzate non erano chiare e comprensibili in punto di informazione fiscale, atteso che le stesse non rendevano agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef. Il Tar conferma anche la violazione rubricata sub c) con la quale Ivass sanzionava la Società appellante per non avere consegnato ai clienti il "progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" come prescritto dalla normativa. Dalle risultanze istruttorie acquisite in sede ispettiva emerge che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione. Analogamente, la violazione rubricata sub e) con la quale Ivass ha ritenuto che Geneterllife non abbia riportato, nella scheda sintetica, l'indicatore Costo Percentuale Medio annuo (CPM) in maniera attendibile, trova conferma, secondo il Tar, nel modo in cui l'indice è stato redato senza che emergano, in maniera chiara, i livelli di onerosità del prodotto "BG Stile Libero". Infine il giudice di prime cure riscontra positivamente anche la violazione rubricata sub f) per aver fornito alla rete distributiva informazioni carenti in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti. Nel respingere i vari motivi di ricorso, il Tar aggiunge che le conclusioni raggiunte dall'Ivass risultano supportate da riscontri documentali acquisiti in sede di visita ispettiva e correttamente inquadrate in fattispecie di illecito sufficientemente specificate. In merito alla quantificazione della sanzione, il Tar richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione del quantum delle sanzioni amministrative pecuniarie, la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito. La quantificazione della sanzione costituisce espressione di discrezionalità amministrativa non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere nelle sue varie forme sintomatiche. 5. Appella la sentenza Ge. S.p.A. 6. Si è costituito in giudizio l'Ivass. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo di appello l'appellante censura l'ordine con cui il Giudice di prime cure ha esaminato i motivi di ricorso, anteponendo l'esame delle censure relative all'insussistenza delle violazioni (motivi da V a IX) rispetto alla disamina delle doglianze sui vizi del provvedimento sanzionatorio (motivi da I a IX). In particolar modo l'appellante censura il fatto che il Tar abbia postergato l'esame e respinto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di legalità, determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili, dei principi di certezza del diritto e degli artt. 1 l. n. 689/1981 e 182 e 183 del c.a.p. Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, nel caso in esame, non si riscontrerebbero fattispecie sanzionatorie astratte, ricostruibili in chiari termini precettivi perfettamente comprensibili da un primario operatore del settore assicurativo. L'appellante, in particolare, in merito alla possibilità di ricostruire gli illeciti sanzionati riconducendoli alle fattispecie sanzionatorie astratte in chiari termini precettivi, osserva che la sentenza (p. 15) ammette che gli artt. 182 e 183 CAP, per la determinazione del loro contenuto, necessitano di una eterointegrazione mediante il rinvio ad una norma diversa da quella "incriminatrice". Nondimeno, alla pagina successiva (p. 16), ad avviso dell'appellante, la pronuncia in maniera criptica e tautologica, afferma che "con riferimento alle cinque figure di illecito ritenute ricorrenti da Ivass, vengono, di volta in volta, in rilievo violazioni di obblighi fondamentali gravanti sull'impresa assicuratrice quali quello di chiarezza, trasparenza e correttezza... la cui violazione - oltre a rilevare su un piano civilistico, ai sensi degli artt. 1337,1366 e 1375 c.c. - integra pure gli illeciti amministrativi delineati dagli artt. 182 e 183 del d,lgs. 209/2005". L'appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare la necessità di eterointegrazione dei precetti normativi; le fonti integrative richiamate non sarebbero dotati di quei caratteri di determinatezza e di tassatività che controparte stessa ritiene indispensabili a suffragare il rispetto della riserva di legge. Sul punto, il Tar avrebbe fatto mal governo dei precedenti giurisprudenziali citati nella sentenza poiché gli addebiti, contrariamente a quanto precisato nelle decisioni, sarebbero formulati facendo sostanzialmente rinvio a clausole generali (diligenza, correttezza, trasparenza) che non sono ancorate ad alcun concreto parametro oggettivo. Pertanto, nemmeno si realizzerebbe un effettivo meccanismo di eterointegrazione della norma sanzionatoria primaria attraverso norme secondarie. In merito all'illecito sub a) (utilizzo di materiale pubblicitario con espressioni fuorvianti), richiamando le norme che l'Ivass assume violate (art. 182 c. 1 CAP; art. 39 c. 1 Reg. 35/2010), l'appellante osserva che le norme impongano il rispetto dei principi generali (correttezza e chiarezza) senza precisarne il contenuto. Il Tar si limiterebbe a rilevare che chiarezza e correttezza impongono che il messaggio pubblicitario sia tale da far comprendere le caratteristiche principali del prodotto, tuttavia non risulterebbe alcun obbligo di precisare nel messaggio pubblicitario le proporzioni tra la componente assicurativa e la componente finanziaria del prodotto. In merito all'illecito sub b) (Illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione) l'appellante osserva, da un lato, come il Tar si sofferma sull'eccesiva tecnicalità delle espressioni utilizzate dall'appellante (che il provvedimento gravato sanziona), dall'altro lato, come le norme che si assumono violate si caratterizzano per l'elevato tecnicismo delle regole. In secondo luogo la norma che si assume violata (All. 3 punto 8 Reg. 35/2010) stabilisce che deve essere "indicato" il trattamento fiscale applicabile al contratto; al contrario l'illecito è rubricato "illustrazione". I due concetti non sarebbero sovrapponibili: "indicare" significherebbe fornire informazioni; "illustrare" significherebbe chiarire nei particolari. In merito all'illecito sub c) (Mancata consegna del progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata), l'appellante lamenta che la tesi del Tar, secondo cui a norma del regolamento sarebbe necessario che il cliente riceva in consegna il documento in quanto la presa visione non sarebbe sufficiente a rispettare il precetto normativo, è formalistica. La messa a disposizione del progetto, comprovata dall'attestazione di presa visione, indicherebbe che il documento è stato sottoposto al cliente prima di concludere il contratto. In merito all'illecito sub e) (Non piena attendibilità dell'indicatore Costo Percentuale Medio Annuo riportato nella scheda sintetica) l'appellante osserva che non verrebbe indicata quale previsione specifica della normativa regolamentare sia stata violata, di conseguenza resterebbe indeterminato il criterio concretamente prescritto dall'all. 2 Reg. 35/2010 e concretamente disatteso. In merito all'illecito f) (Carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti) l'appellante sostiene che il Tar si limita a riportare i profili di criticità rappresentati nel provvedimento sanzionatorio, tanto da essere indefinito il quadro delle regole che avrebbe violato. Il giudice di prime cure non affronterebbe la questione relativa alla mancanza di parametri oggettivi che guidino nell'applicazione della normativa alle polizze multi-ramo. 8.1 Il motivo è infondato. Quanto all'ordine d'esame delle censure, va ribadito che non è prescritto da parte del Giudice un ordine preciso di esame dei vari motivi proposti qualora essi non siano stati graduati dal ricorrente o, come nel caso di specie, non siano eccepiti il vizio di incompetenza o il difetto di legittimazione. Viceversa, nell'economia della decisione, il riscontro analitico delle singole violazioni ha evidenziato in modo puntuale, riferito al caso concreto, la sostanziale determinatezza dei precetti sanzionatori applicati. Sul piano generale, quanto alla denunciata violazione della necessaria determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili si può osservare che la riserva di legge prevista dall'art. 1 l. 689/81 è precettiva solo per quanto attiene alla determinazione della sanzione, esigendo la norma che la stessa sia comminata sulla base di norma primaria, ma consentendo il rinvio (cfr., Corte Cost. 11 luglio 1961, n. 48) "a provvedimenti amministrativi della determinazione di elementi o di presupposti espressione di discrezionalità tecnica". La riserva di legge - sul presupposto che la sanzione sia comminata direttamente dalla legge -consente l'integrazione meramente tecnica del precetto da parte di fonti non legislative. Le norme di settore contenenti i precetti non possono materialmente declinare tutte le fattispecie di violazione dei princì pi stessi perché ne risulterebbero norme pletoriche e comunque non esaustive di tutte le possibilità . Le norme in esame richiamano princì pi generali, individuabili senza incertezze, in cui il fatto viene accertato e sussunto nella fattispecie normativa per effetto dei rilievi in fatto contenuti nel rapporto ispettivo o azione di vigilanza "off site". In definitiva la contestazione d'addebiti e il provvedimento finale, s'integrano vicendevolmente e la portata lesiva dei fatti ed il loro disvalore nell'ordinamento di settore valutati nella motivazione del provvedimento impugnato.. La portata semantica degli elementi normativi evocati dai ridetti princì pi generali deriva dall'attività interpretativa tecnico-discrezionale dell'autorità procedente di cui il provvedimento e, prima ancora, gli atti prodromici - assunti in regì me di piena trasparenza e di contraddittorio - danno conto in motivazione. 9. Con il secondo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata prova dei supposti illeciti. Il Tar ha sostenuto che le conclusioni di Ivass sarebbero supportate da riscontri documentali e inquadrate in fattispecie sufficientemente specificate, pertanto sarebbero soddisfatti gli oneri istruttori e motivazionali. Il giudizio espresso dal Tar sarebbe sostanzialmente apodittico, in quanto non sorretto da una effettiva dimostrazione. Sul secondo punto rinvia a quanto sostenuto nel primo motivo di appello. 9.1 Il motivo è infondato. Gli atti acquisiti in sede ispettiva e gli atti del procedimento, quali l'atto di contestazione e l'ordinanza gravata, circoscrivono i fatti contestati richiamando le disposizioni violate, anche tramite rinvio al rapporto ispettivo. La prova degli illeciti è stata offerta in concreto, consentendo all'ingiunta di percepire le contestazioni e di controdedurre nel corso del procedimento e corrisponde al paradigma probatorio tipico degli illeciti omissivi. Vale a dire che la prova della condotta positiva di adempimento degli obblighi derivanti dalla collocazione del prodotto finanziario-assicurativo, ai fini del rispetto dei princì pi di tutela in argomento, gravava - a fronte della contestata omissione - sull'impresa (cfr., Cass., Sez. Un., 30/9/2009, n. 20930, cit., anche in richiamo di Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). 10. Con il terzo motivo di appello, l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui aveva lamentato la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 326 c. 1, CAP e dell'art. 5, Reg. IVASS 1/2013, nonché dell'art. 11, l. 689/1981. Violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità ...". Il Tar ha ritenuto che le fattispecie violate sarebbero ascrivibili a fattispecie di pericolo e che i richiami giurisprudenziali addotti dall'appellante a sostegno delle sue tesi non siano pertinenti. L'appellante censura la ricostruzione delle violazioni in termini di "fattispecie di pericolo" che si porrebbe in contrasto con la normativa di settore. Muovendo dall'analisi del dato normativo, l'appellante sostiene che le sanzioni sono configurate dalla normativa di riferimento come strumento che, oltre a punire, interviene per rimediare alla lesione, pertanto non potrebbero essere disgiunte dalla concreta lesività della condotta. La sentenza sarebbe erronea per aver trascurato la violazione del principio di proporzionalità ; per non aver tenuto conto che la società ha palesato la propria condotta collaborativa nei confronti della Vigilanza, tanto da essere intervenuta con azioni concrete per allinearsi ai rilievi critici prospettati nel rapporto ispettivo. Gli interventi migliorativi attuati dalla società appellante, e valutati positivamente dal Servizio Ispettorato, sarebbero stati travisati dall'Autorità che vi avrebbe ravvisato una sorta di "confessione" implicita o, almeno, di ammissione di responsabilità da cui far scaturire i presupposti per irrogare la sanzione. 10.1 Il motivo è infondato. In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è (affatto) alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata. 11. Con il quarto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il quarto motivo del ricorso di primo grado. Il Tar si limita a negare che gli elementi prospettati dall'appellante - vale a dire la circostanza che la Società sia stata sanzionata nonostante abbia assunto misure più cautelative per la clientela; ed abbia applicato la normativa in modo più restrittivo di quanto previsto - possano inficiare il provvedimento sanzionatorio. Sicché le presunte violazione in materia di tutela del contribuente non sussisterebbero in ragione della condotta della società sarebbe improntata alla massima protezione della clientela e non risulterebbe in contrasto con le disposizioni di riferimento. 11.1 Il motivo è infondato In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è affatto alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata 12. Con il quinto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il quinto motivo di ricorso relativo alle pretese carenze del materiale pubblicitario e al preteso carattere ingannevole del messaggio pubblicitario (illecito sub a). Il Tar ha ritenuto che: la brochure rappresentava la natura composita della polizza, ma non precisava l'effettiva composizione; il prodotto presentava un cospicuo rischio di perdita di capitale non percepibile dalla brochure; la brochure era omissiva con riguardo alle informazioni sulle percentuali di composizione assicurativa e finanziaria e sulla rischiosità del prodotto; il supposto deficit informativo non poteva essere colmato dai contenuti della brochure con i riferimenti alla natura ibrida e con il richiamo al fascicolo informativo; sarebbero irrilevanti le considerazioni difensive sul target dei destinatari. Sulla destinazione del messaggio alla clientela e non ai venditori, la sentenza traviserebbe la funzione della brochure di "BG Stile Libero" che, all'opposto, avrebbe dovuto essere valutata in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto. La sentenza riconosce che dal materiale pubblicitario risultava la natura anche finanziaria del prodotto, ma censura la presunta omissione in ordine alle percentuali assicurativa e finanziaria e in ordine alla tipologia di rischio. Tali criticità non sarebbero indicate nel provvedimento sanzionatorio e dunque la sentenza sarebbe erronea per aver travalicato i limiti derivanti dal contenuto dei provvedimenti impugnati. 12.1. Il motivo è infondato. Né sussiste il denunciato travisamento della funzione della brochure di "BG Stile Libero", da valutare, secondo la censura, "in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto", visto che era impiegata dai promotori di Banca Generali, quali unici canali di collocamento. La natura ontologicamente e teleologicamente pubblicitaria del documento, congegnato e destinato al pubblico, non muta con riguardo al canale distributivo adottato. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, non è sufficiente che, dal materiale pubblicitario, risultasse la natura finanziaria del prodotto. Posto che il prodotto presenta "spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure". Al di là dell'indicazione delle percentuali della componente assicurativa e di quella finanziaria del prodotto, è stata omessa l'indicazione, perspicua ed inequivoca, della tipologia di rischio, in difformità dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare e da quello di correttezza, richiamato anche dalla norma primaria di riferimento (art. 182 CAP). La presenza sul mercato d'una gamma vastissima di prodotti c.d. "ibridi" che combinano la componente assicurativa ed quella finanziaria, con gradi di esposizione a rischio assai differenti tra loro in ragione di vari fattori, avrebbe dovuto indurre la ricorrente, nel presentare il prodotto, a rendere edotto il potenziale contraente del rischio affrontato, in ossequio ai principi di chiara e corretta l'informazione, di cui artt. 182, c. 1, CAP e 39, c. 1, Reg. ISVAP n. 35/2010. 13. Con il sesto motivo l'appellante censura il capo di sentenza di reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado relativo all'illecito b) concernente l'illustrazione del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione. La sanzione sarebbe stata irrogata per la pretesa non chiarezza di una parte delle informazioni sul regime fiscale riportate nella Nota Informativa. Il Tar avrebbe omesso di considerare che la descrizione del regime fiscale non si sarebbe esaurita nelle due espressioni oggetto dei rilievi dell'Autorità . I rilievi critici dell'Autorità riguardavano queste due formulazioni: "somme corrisposte in caso di morte" e "capitali percepiti in caso di decesso". Dalla lettura della motivazione del provvedimento sanzionatorio emerge che l'addebito è di aver usato locuzioni che genererebbero equivoci in quanto la prima espressione si riferisce all'intera prestazione assicurativa e la seconda alla copertura in caso di morte. Invece, secondo il Tar le espressioni non renderebbero "agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef". 13.1. Il motivo è infondato. In merito al trattamento fiscale come rilevato dal giudice di prime cure la prescrizione relativa al trattamento fiscale (All. 3, sezione C, punto 8 Reg. 35/2010 e All. 8, sezione D, punto 13 Circ. ISVAP 551/2005) "va interpretata, proprio in forza del richiamo all'art. 183, nel senso che l'informazione fornita sia conforme a criteri di diligenza e trasparenza, alla quale sono inequivocabilmente contrari l'utilizzo di espressioni, anche parzialmente, omissive o di eccessivo tecnicismo giuridico":.. non è quindi sufficiente l'indicazione, perché "Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente...la prescrizione secondo cui la nota informativa deve contenere le informazioni necessarie affinché il contraente e l'assicurato possano pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali anche con riferimento al trattamento fiscale". Prosegue la sentenza "Dalla mera lettura delle espressioni, appare evidente come la compiuta ermeneutica delle stesse richiedesse una particolare competenza tecnica in materia di tassazione o di esenzione dalla stessa o, in alternativa, un intervento interpretativo esterno". Le informazioni in parola paiono effettivamente inadeguate e fuorvianti, tali da non consentire al contraente comune di pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi connessi alla stipulazione del contratto, anzi ne alterano la percezione. Il trattamento fiscale "agevolato" costituisce incentivo all'acquisto, da cui il conseguente obbligo d'informazione trasparente, facilmente comprensibile che, nel caso in esame, non è osservato. 14. Con il settimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il settimo motivo del ricorso di primo grado relativo all'attendibilità del CPMA riportato nella scheda tecnica (illecito sub e). Il Tar ha ritenuto che: l'indicatore sintetico CPMA risulterebbe "... dettagliatamente disciplinato, quanto ai criteri di calcolo..."; alla società sarebbe imputato, oltre alla violazione dei criteri di calcolo pure la prospettazione di un costo significativamente inferiore; gli argomenti difensivi sulla indeterminatezza dei criteri e sul valore solo tendenziale del CPMA sarebbero irrilevanti; come ritenuto da Ivass la condotta di Genertellife sarebbe difforme dai canoni di diligenza, correttezza e trasparenza. Secondo la censura in esame, il convincimento del Tar sulla presunta esaustività della normativa sui criteri di calcolo articolata nell'All. 2 Reg. 35/2010 sarebbe eooroneo. Nel provvedimento sanzionatorio l'Autorità, proprio sul presupposto che mancherebbero criteri specifici di determinazione del CPMA per le polizze multi-ramo, ha giustificato l'addebito sostenendo che non investiva le peculiarità del calcolo dell'indicatore ma la struttura dei costi. Tale rappresentazione sarebbe contraddetta dal fatto che nello stesso provvedimento sanzionatorio le contestazioni riguarderebbero - non genericamente la struttura dei costi bensì specificamente - la percentuale di premio investita nella gestione separata e la percentuale di caricamento iniziale sul premio, giudicate "non coerenti con le medie di portafoglio". L'appellante evidenzia che la pronuncia gravata gli imputa di non aver contestato la non corrispondenza dei costi prospettati rispetto a quelli realmente attendibili, come se la Società avesse riconosciuto di aver calcolato il CPMA in modo non attendibile. Per l'appellante il Tar sembrerebbe aver equivocato il dato di partenza, ossia che il CPMA non avrebbe la funzione di fornire un'informativa completa sui costi. La sentenza incorrerebbe, poi, in errore nel sostenere che il calcolo del CPMA effettuato dalla Società abbia avuto "come risultato pratico, la prospettazione al contraente di un costo significativamente (e non tendenzialmente) inferiore a quello effettivamente rispondente alle caratteristiche del prodotto". Per l'appellante l'assunto è vago, perché ometterebbe di indicare la misura della pretesa discrasia concretamente riscontrata tra i costi effettivi e quelli prospettati, e soprattutto non quanto affermato non sarebbe provato. 14.1. Il motivo è infondato. I criteri generali per il calcolo del CPMA sono definiti dalla normativa (art. 183, c. 1, CAP e allegato 2, Reg. ISVAP n. 35/2010, che richiama all'art. 1 come fonte normativa l'art. 183). A fronte dello sviluppo di prodotto multiramo, che presenta variabilità dell'incidenza percentuale di ogni ramo, con una di "struttura di costi", diversificata in base all'investimento effettuato, la società appellante ha assunto solo le ipotesi estreme e più idonee a far apparire il CPMA quanto più basso possibile. Le allegazioni fornite in proposto dalla resistente sono dirimenti: - la massima possibile aliquota di investimento nella gestione separata prevista dal contratto (il 30%), contenendo al 70% la componente d'investimento con rischio del capitale per l'assicurato, anche se i dati di portafoglio - al momento dell'ispezione - mostravano che tale opzione, in media, riguardava solo il 18% della raccolta, percentuale per nulla corrispondente al segmento più significativo; - il caricamento minimo previsto dal contratto (lo 0% quando lo stesso può giungere fino al 3% e, in ogni caso, come affermato dalla società, quando la media di portafoglio - al momento dell'ispezione - risultava assestata su un valore dello 0,18%, dato che la società ritiene ancor oggi - sorprendentemente - indifferente, per quanto abbia un valore sostanziale diverso da quello comunque assunto). In definitiva, la società ha adottato le percentuali estreme, esclusivamente dirette a far apparire il prodotto con un CPMA più basso rispetto a quello mediamente attendibile 15. Con l'ottavo motivo di appello l'appellante censura il capo di reiezione del settimo motivo di ricorso relativo alla mancata consegna del progetto esemplificativo personalizzato (illecito sub c). Il Tar ha ritenuto che: le disposizioni pongono in maniera assolutamente chiara e inequivoca un obbligo di predisposizione e un successivo e distinto obbligo di consegna; le risultanze istruttorie farebbero emergere che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione; sarebbe irrilevante la mancanza di un obbligo di conservazione stante la distinzione tra presa visione e consegna; l'adozione da parte della Compagnia della circolare n. 12/2005 non avrebbe valenza scriminante. La pronuncia gravata, lamenta l'appellante, muove dall'erronea premessa chela normativa configurerebbe un obbligo di consegna del Progetto Esemplificativo Personalizzato; e che, non essendo stata trovata la copia del documento nel campione di fascicoli esaminati in sede ispettiva, non vi sarebbe la prova che la società appellante, oltre alla presa visione, abbia provveduto anche alla consegna del Progetto. Ma, aggiunge l'appellante, le norme richiamate nella motivazione dal Tar non prescrivono l'obbligo di consegna in termini tali da far apparire la condotta della società non satisfattiva di una qualche prescrizione. L'art. 9 c. 2 Reg. 35/2010 stabilisce che il progetto sia "da consegnare" al contraente e indica quale termine per adempiere il momento in cui il cliente "è informato che il contratto è concluso". La norma ammette la consegna in un momento successivo alla stipula contrattuale, pare non rispondente al dato normativo la tesi che pretende di penalizzare l'impresa che ha garantito la presa visione prima della stipula. Né si dovrebbe fare leva sulla distinzione fra "consegna" e "presa visione". Sicché, conclude sul punto la società, non è condivisibile l'affermazione del Tar che priva di efficacia l'aver garantito l'effettiva conoscenza del documento prima della sottoscrizione invece che al momento successivo del perfezionamento del contratto. Del pari non è corretto affermare che non ha valenza scriminante la condotta della società appellante che ha fornito le necessarie istruzioni operative alla rete distributiva. 15.1 Il motivo è infondato. Predisporre il progetto esemplificativo in un momento anteriore rispetto a quanto previsto dall'art. 9 Reg. n. 35/2010, ossia all'atto della firma della polizza in luogo che "al momento in cui il cliente è informato che il contratto è concluso"", non soddisfa il precetto d'effettiva tutela del cliente se, come nel caso in esame, il documento stesso non viene consegnato come prescritto dal regolamento. Sottoporre significa presentare qualcosa al giudizio di altri, mentre consegnare significa dare qualcosa in custodia o in possesso a qualcuno perché possa mantenerne disponibilità . Dunque la consegna presuppone la materiale disponibilità del documento al fine di consentirne anche successive consultazioni e analisi, il tutto nel contesto dell'obbligo di conservazione per almeno 5 anni (pro tempore vigente ex art. 57 Reg. ISVAP n. 5/2006), per tutti i contratti conclusi e per la documentazione relativa. 16. Con il nono motivo d'appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il nono motivo del ricorso di primo grado con cui lamentava l'insussistenza dell'illecito sub) f, relativo alla completezza degli adempimenti funzionali alla valutazione di adeguatezza. Il Tar: ha illustrato la contestazione di Ivass in termini di carenze nella struttura organizzativa in ordine alle procedure volte a garantire l'adeguatezza dei contratti alle esigenze dei contraenti, con la distinzione tra condotte fino a luglio 2015 e condotte successive; ritiene inefficace la scelta di utilizzare il questionario MIFID; rileva che non vi sarebbe una discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale; rappresenta che (i) fino a luglio 2015 l'alta percentuale di rifiuti al rilascio delle informazioni sarebbe sintomatica dell'illecito contestato e (ii) nel periodo successivo rileverebbe la casistica relativa ai prodotti con orizzonti temporali estesi proposti a clienti anziani. Nel respingere la tesi dell'appellante il giudice di prime cure si sarebbe limitato a fare riferimento ai contenuti della contestazione. Quanto alle contestazioni inerenti alle procedure di verifica dell'adeguatezza per il periodo fino al 30 giugno 2015, il Tar non avrebbe tenuto conto della normativa applicabile ratione temporis. L'art. 52 c. 4 Reg. 5/2006 avrebbe consentito di procedere alla stipulazione della polizza anche in caso di rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste, purché lo stesso cliente fosse reso edotto della conseguente impossibilità di valutare compiutamente l'adeguatezza del prodotto. Fin da marzo 2014, Genertellife avrebbe avviato, unitamente al distributore Banca Generali, una serie di azioni finalizzate ad elevare il livello di tutela del cliente e a contenere i casi di rifiuto; dal luglio 2015 sarebbe stata adottata una soluzione "integrata" di valutazione dell'adeguatezza, basata sull'utilizzo del Questionario MIFID e del Questionario IVASS; e si sarebbe introdotto il sistema della c.d. non-adeguatezza bloccante, in virtù del quale la Società appellante si è auto imposta un divieto di collocare il prodotto nel caso di mancata acquisizione o di rifiuto di fornire le informazioni necessarie per l'effettuazione della valutazione di adeguatezza. periodo. 16.1 Il motivo è infondato. A prescindere dal regime normativo che non muta sostanzialmente il contenuto delle prescrizioni contestate, sono dirimenti le risultanze della visita ispettiva effettuate dall'organo di vigilanza che hanno evidenziava, come scorrettamente sottolineato dal Tar, la scelta dell'impresa di utilizzare il questionario MIDIF non si fosse rivelata efficace nel predisporre presidi idonei e prevenire a una congrua valutazione di adeguatezza. Il questionario utilizzato restringeva il novero delle informazioni richieste e utilizzabili in materia di valutazione di adeguatezza, inficiando la correttezza della valutazione. Pertanto, rilievi documentali acquisiti in fase istruttoria smentiscono in fatto la censurata discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale. Né è censurabile il percorso argomentativo seguito dai giudici di prime cure laddove, con riferimento al primo periodo analizzato fino a luglio 2015, stante l'alta percentuale di soggetti che hanno rifiutato di rilasciare le informazioni presenti nel questionario distribuito dai collocatori del prodotto, da inferire "una indiscutibile valenza sintomatica in ordine alla ricorrenza dell'illecito ravvisato, risultando, in conclusione, dimostrato che non era stata, in concreto, posta in essere la necessaria verifica di adeguatezza su un numero molto alto di contratti". E, con riferimento al periodo successivo, la violazione contestata trova riscontro, come rilevato dal Tar, nella casistica riportata nel verbale ispettivo e dalla quale emerge che, in un significativo numero di casi, a clienti particolarmente avanti negli anni venivano proposti, senza che scattassero alert di adeguatezza, prodotti con orizzonti temporali non compatibili con l'età anagrafica del sottoscrittore. Senza che la violazione venga meno per il fatto che il prodotto "BG Stile Libero", disciplinava espressamente il caso morte, indipendentemente dall'orizzonte temporale assunto con riguardo agli investimenti sottostanti. L'obbligo di chiarezza impone comunque l'adozione delle misure adeguate di tutela del tipo del potenziale sottoscrittore. 17. Con il decimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia per aver respinto il decimo motivo del ricorso di primo grado con cui, in subordine, aveva richiesto la rideterminazione della sanzione tenuto conto degli interventi effettuati e della tenuità dei fatti contestati. La pronuncia gravata sosterrebbe erroneamente che dalla motivazione del provvedimento impugnato emergono le ragioni del giudizio di gravità delle condotte, al contrario, denuncia la società, tale gravità non sarebbe dimostrata. Nel dettaglio l'appellante ripropone in merito alla quantificazione dei singoli illeciti le argomentazioni già proposte in primo grado. 17.1 Il motivo è infondato. Costituisce orientamento consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito (cfr., Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 1996, n. 10976; Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877 e Cass. Civile I, 4 novembre 998, n. 11054). La gravità delle condotte emerge dalla motivazione del provvedimento che, nel riflesso giuridico della quantificazione della sanzione, è espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che, in ipotesi - qui non ricorrenti - di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. Come condivisibilmente rilevato dal Tar, in ragione della pluralità dei rilevi, è stato adottato un criterio composito: al minimo edittale, moltiplicato per due perché tale era il numero delle violazioni, s'è aggiunto il criterio di valore medio, in sé non irragionevole e, in concreto, proporzionato alla descrizione dei fatti e degli interessi pubblici alla cui tutela sono finalizzate le norme violate. 18. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 19. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ge. S.p.A. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore di Ivass -Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni liquidate complessivamente in 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. MARI Attilio - Relatore Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: Fi.Pa. nato a N il (Omissis); Ba.Ma. nato a N il (Omissis); avverso la sentenza del 08/01/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di NOVARA; udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI; lette le conclusioni del PG, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione riguardante la confisca e con dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi nel resto. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il GUP presso il Tribunale di Novara ha applicato, ai sensi degli artt. 444 e ss., cod. proc. pen., nei confronti di Fi.Pa. (imputato dei reati previsti: dagli artt. 110 e 628 cod. pen.; dagli artt. 1, 2, 4 e 7 della L. n. 895/1967; dagli artt. 81 e 648 ter, comma 1, cod. pen.; dagli artt. 110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; dagli artt. 81 e 110 cod. pen., 73, comma 1 e 80, comma 2, T.U. stup.) la pena di anni cinque di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa, così determinata previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con diminuzione determinata dalla scelta del rito; ha altresì applicato nei confronti di Ba.Ma. (imputato dei reati previsti: dagli artt. 110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; dagli artt. 110 e 379 cod. pen.) la pena di anni uno di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, così determinata - previo riconoscimento dell'ipotesi di cui all'art.73, comma 5, T.U. stup. - con applicazione delle circostanze attenuanti generiche e con diminuzione determinata dalla scelta del rito; ha altresì disposto la confisca e la devoluzione all'Erario del denaro in sequestro e la confisca e distruzione di tutto quanto altro ancora in sequestro. 2. Avverso la sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione i due imputati, tramite i rispettivi difensori 2.1 II ricorso di Ba.Ma. si fonda su due motivi. Con il primo motivo la difesa ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione dell'art. 240 cod. pen. in relazione all'art. 322 cod. proc. pen. Ha dedotto che l'importo di Euro 1.000,00, già sottoposto a sequestro preventivo, era stato rinvenuto nell'abitazione della compagna dell'imputato, presso la quale quest'ultimo risiedeva; che vi era la prova della sussistenza di una fonte lecita di reddito, prestando l'imputato e la sua compagna regolare attività lavorativa sin dal 2018 con contratto a tempo indeterminato, come da documentazione prodotta nel corso del processo; esponeva altresì che il ruolo del ricorrente era stato del tutto marginale in relazione alle vicende oggetto del processo e che l'imputazione era stata riqualificata sotto la specie di quella prevista dall'art.73, comma 5, T.U. stup.; ha quindi dedotto l'assenza di uno specifico percorso motivazionale alla base della statuizione di confisca. Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - la violazione dell'art. 444 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 129 cod. proc. pen. Ha dedotto che, nel caso di specie, si ravvisavano errori di calcolo nella pena finale e che emergeva comunque la mancanza di una completa ed esaustiva analisi logica in ordine ai passaggi posti alla base del computo finale della sanzione. 2.2 II ricorso proposto dalla difesa di Fi.Pa. si fonda su due motivi. Con il primo motivo, ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) c) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, carenza e illogicità della motivazione in relazione alla confisca della somma di denaro. Ha dedotto che il giudice di merito aveva omesso di motivare sulle allegazioni e le produzioni della difesa utili a dimostrare la provenienza lecita del denaro, richiamando sul punto la documentazione allegata al ricorso. Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - la violazione dell'art. 444 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 129 cod. proc. pen. Ha dedotto che, nel caso di specie, si ravvisavano errori di calcolo nella pena finale e che emergeva comunque la mancanza di una completa ed esaustiva analisi logica in ordine ai passaggi posti alla base del computo finale della sanzione. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni inerenti alla confisca e per la declaratoria, nel resto, di inammissibilità dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono parzialmente fondati in riferimento al rispettivo primo motivo, recante censure tra loro pienamente sovrapponibili e relative alla legittimità del provvedimento di confisca del denaro sequestrato agli imputati. 2. In ordine al relativo profilo di diritto, deve quindi essere premesso che - sulla base dell'arresto espresso da Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348 - la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all'art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., ove la misura sia stata oggetto dell'accordo tra le parti, diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall'art. 606 cod. proc. pen.; conseguendone l'astratta ammissibilità del motivo che, come nel caso di specie e sul presupposto della mancata formazione dell'accordo in ordine alle determinazioni inerenti alla confisca (in relazione al vigente testo dell'art. 444, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 25, comma 1, lett. a), n.2), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n.150), deduca il vizio di motivazione in ordine a tale specifico profilo. Deve quindi osservarsi che - in tema di confisca diretta del profitto del reato adottata in sede di sentenza di patteggiamento, presupponente nel caso di specie la derivazione del denaro dalla contestata attività di cessione di sostanza stupefacente - sussiste comunque un obbligo di congrua motivazione in capo al giudice procedente, pur se parametrato alla particolare natura della sentenza, rispetto alla quale - pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti - lo sviluppo argomentativo della decisione è necessariamente correlato all'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione (Sez. 2, n. 28850 del 05/06/2019, Bushi, Rv. 276574; Sez. 2, n. 13915 del 05/04/2022, Anastasio, Rv. 283081, specificamente resa in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la dizione, contenuta in sentenza, "va disposta la confisca di quanto sequestrato agli odierni imputati" non rispettasse il requisito motivazionale). Applicando i principi suddetti al caso di specie, deve quindi ritenersi che la mera argomentazione contenuta in sentenza, in base alla quale la confisca del denaro si giustificava sulla provenienza illecita del denaro "non essendo stati allegati elementi tali da far ritenere che il denaro in sequestro fosse di derivazione lecita" non rispetti adeguatamente l'onere motivazionale esistente nel caso di specie; ciò anche a fronte delle motivate e documentate istanze di restituzione che - come risulta dagli atti - erano state proposte dalle parti in sede di udienza. 3. I rispettivi secondi motivi di ricorso, pure prospettanti ragioni giuridiche reciprocamente sovrapponibili, sono inammissibili. Sul punto, va premesso che in tema di patteggiamento, anche dopo l'introduzione dell'art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, non sono deducibili con il ricorso per cassazione gli errori commessi nelle operazioni di calcolo funzionali alla determinazione della pena concordata, se il risultato finale non si discosta da quello concordato dalle parti e non si traduce in una pena illegale (Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, Rosettani, Rv. 275915). In ogni caso, i motivi di ricorso risultano intrinsecamente aspecifici, non indicando in quale parte dell'accordo - poi recepito dal giudice - si sarebbero concretamente verificati gli (del tutto genericamente dedotti) errori di calcolo della pena. 4. La sentenza impugnata, fermo restando l'irrevocabilità dell'accertamento della penale responsabilità dei ricorrenti, va quindi annullata con rinvio all'ufficio GIP presso il Tribunale di Novara, diversa persona fisica, affinché provveda a colmare la riscontrata lacuna motivazionale in riferimento alla confisca delle somme di denaro in sequestro; i ricorsi vanno altresì dichiarati inammissibili nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Fi.Pa. e di Ba.Ma. limitatamente alla statuizione concernente la confisca del denaro con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Novara in diversa persona fisica. Dichiara i ricorsi inammissibili nel resto. Così deciso il 16 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/05/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di POTENZA; udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI; lette le conclusioni del Procuratore generale GIULIO ROMANO, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La pronunzia di patteggiamento impugnata e' stata deliberata il 4 maggio 2022 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Potenza, che ha applicato a (OMISSIS) - tratto a giudizio per i reati di cui agli articoli 216 L.F. e 11 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 - la pena su cui le parti si sono accordate. Le vicende riguardano la societa' " (OMISSIS) (OMISSIS)" gia' affermatasi nel campo delle energie rinnovabili e poi dichiarata fallita dal Tribunale di Potenza il 15 luglio 2021. Secondo la sentenza impugnata, (OMISSIS), quale legale rappresentante della societa' predetta, in concorso con la (OMISSIS) ed in concomitanza con l'accrescersi del debito fiscale, aveva indebitamente trasferito, senza corrispettivo o a prezzo vile, parte dei beni immobili della societa' ai figli minori ed altri beni aziendali ad una nuova societa', la (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l., rappresentata dalla (OMISSIS) e destinata alla prosecuzione dell'attivita' della fallita. Con tali operazioni, il ricorrente aveva eluso le ragioni dei creditori, ivi compreso il Fisco. Con la sentenza di patteggiamento impugnata e' stata disposta la confisca dei seguenti beni: (confisca in via diretta quali beni-profitto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva) - beni immobili situati nel Comune di (OMISSIS), che la sentenza erroneamente assume intestati alla moglie di (OMISSIS), la coimputata non patteggiante (OMISSIS) (un opificio, un fabbricato e diversi terreni), mentre, nella realta' e come si evince dal corpo della motivazione del provvedimento impugnato, si tratta di beni di cui la (OMISSIS) ha solo l'usufrutto, mentre la nuda proprieta' appartiene ai due figli minori della coppia; - due fabbricati di proprieta' della (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. situati a (OMISSIS); (confisca per il reato tributario): - quote societarie intestate a (OMISSIS) in alcune societa'; - il 50 % delle somme depositate sui depositi a risparmio e sui conti intestati sia a (OMISSIS) e alla moglie che ai due figli minori della coppia. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato (OMISSIS) con il ministero del proprio difensore, ricorso che riguarda il punto della sentenza che concerne la confisca. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione. In primo luogo, il ricorrente evidenzia l'errore commesso dal Giudice dell'udienza preliminare quando ha affermato che i beni immobili sequestrati appartenevano a (OMISSIS), che ne sarebbe stata nuda proprietaria, mentre nelle realta' tali beni sono di proprieta' dei figli minori (nudi proprietari), mentre la (OMISSIS) ne e' solo usufruttuaria. Cio' posto, il Giudice dell'udienza preliminare avrebbe errato nel sottoporre a confisca beni appartenenti a persone estranee al reato, in violazione del disposto di cui all'articolo 240, comma 3, c.p.. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione quanto alla confisca sia dei beni di cui al precedente motivo, sia in ordine ai due fabbricati di proprieta' della " (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l." Il ricorrente rappresenta che la (OMISSIS) non e' un soggetto terzo, ma e' coimputata e conclude, dopo aver riportato alcuni passaggi della sentenza impugnata, che i beni immobili di proprieta' di soggetto terzo rispetto al coimputato patteggiante - come in questo caso - non possono essere confiscati. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione quanto alla confisca per equivalente del 50 % delle somme giacenti su due depositi a risparmio intestati ai figli minori del ricorrente e su cui quest'ultimo e la moglie avevano la delega ad operare. Il ricorrente contesta che si sia fatto leva sulla predetta delega per ritenere che i beni fossero nella disponibilita' del ricorrente, ancorche', come sancito da una sentenza di questa Corte, cio' avrebbe imposto un obbligo specifico di motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso - concernente i beni immobili situati nel Comune di (OMISSIS) - e' inammissibile perche' il ricorrente non ha rappresentato quale fosse l'interesse all'annullamento del provvedimento impugnato, dal momento che si tratta di cespiti non gia' nella sua disponibilita' ma, appunto, proprio come sostenuto nello stesso ricorso, di proprieta' dei figli minori con usufrutto della moglie. A questo proposito - sia detto per inciso - va altresi' segnalato che il ricorrente ha proposto l'impugnativa in proprio e non gia' quale esercente la potesta' genitoriale sui figli minorenni e che, anche ove il ricorrente avesse speso tale qualita', il ricorso avrebbe dovuto essere anche accompagnato dalla procura speciale ad impugnare conferita al difensore da (OMISSIS) nella qualita' di esercente la potesta' genitoriale sui figli minori, quali terzi interessati. Nell'escludere l'esistenza di un interesse al ricorso, il Collegio si ispira alla giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale l'imputato non ha un interesse autoevidente alla proposizione del ricorso che riguardi beni di soggetti terzi, la cui fisiologica destinazione, in caso di accoglimento dell'impugnativa, non e' il patrimonio dell'indagato o del proposto, ma, appunto, quello di soggetti diversi da quest'ultimo. Il principio e' stato persuasivamente affermato e ribadito da questa Corte proprio in tema di confisca, sostenendo che e' inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell'imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non ne sia titolare (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco e altri, Rv. 270209; in termini, Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013, dep. 2014, Castellaccio, Rv. 262612; Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278592). Speculare a quella formatasi in relazione al giudizio di cognizione e' (‘esegesi che riguarda il procedimento di esecuzione, in relazione al quale si e' affermato (Sez. 6, n. 29124 del 02/07/2012, Carlon e altri, Rv. 253180) che soltanto il terzo e non il condannato puo' rivendicare la legittima appartenenza del bene sottoposto a confisca. La stessa logica ha guidato le decisioni di questa Corte in tema di interesse a proporre riesame da parte dell'indagato, ancorche' testualmente legittimato ai sensi dell'articolo 322, comma 1, c.p.p.; a questo riguardo, si e' sostenuto che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo e' legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098; Sez. 5, n. 35015 del 09/10/2020, Astolfi, Rv. 280005; Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Angeli, Rv. 277753; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Held, Rv. 267672). In questo filone, per l'affinita' con la concreta regiudicanda, si segnala, in particolare, Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Ruan e altri Rv. 271231, laddove si e' valorizzato che il ricorso era stato presentato dall'indagato in proprio e non anche quale legale rappresentante della societa' in accomandita semplice che avrebbe avuto diritto alla restituzione dei beni. Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, Firriolo, Rv. 274992, poi, oltre a ribadire il principio di cui sopra, ha statuito che l'inammissibilita' della richiesta di riesame era legata altresi' al fatto che l'indagato, oltre che presentare richiesta di riesame solo in proprio (e non quale amministratore della s.r.l. intestataria dei beni) non aveva neanche conferito procura speciale al difensore nell'interesse della societa' terza. Si richiama, infine, per dare conto della validita' del principio anche in un ulteriore ambito, Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli e altro, Rv. 266141 secondo cui, nel procedimento di prevenzione, e' inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi dal soggetto presunto interponente, che assuma l'insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarita' effettiva ed esclusiva dei beni in capo al terzo intestatario, in quanto la legittimazione all'impugnazione spetta solo a quest'ultimo, quale unico soggetto avente, in ipotesi, diritto alla restituzione del bene (in termini, Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015, Vicario e altro, Rv. 265767). 2. Il secondo motivo di ricorso deve avere la stessa sorte, giacche' investe il punto della decisione che riguarda beni di proprieta' della " (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l.", amministrata dalla moglie dell'imputato, sequestrati, in via diretta, quali oggetto delle condotte distrattive. 3. Analoghe considerazioni valgono quanto al terzo motivo di ricorso, che riguarda la confisca del 50 % delle somme giacenti su due depositi a risparmio intestati ai figli minori del ricorrente e su cui quest'ultimo e la moglie avevano la delega ad operare. Si tratta, infatti, di somme che rientrano nel patrimonio dei due minori e che, in quanto tali, in caso di caducazione della confisca, sarebbero restituite non gia' al prevenuto - ancorche' delegato ad operare sul rapporto bancario - ma ai due bambini. Anche in questo caso va ribadita la riflessione secondo la quale (OMISSIS) non ha proposto il ricorso quale esercente la potesta' genitoriale nei confronti dei figli minori, ne' ha conferito, in tale qualita', procura speciale al difensore firmatario del ricorso. 4. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/03/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI; lette le conclusioni del Procuratore generale PAOLA MASTROBEERARDINO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso allegando consulenza tecnica di parte. RITENUTO IN FATTO 1. La pronunzia impugnata e' stata deliberata dalla Corte di appello di L'Aquila il 14 marzo 2022 che, in parziale riforma della sentenza di condanna in abbreviato del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara per tre fatti di bancarotta fraudolenta, ha assolto (OMISSIS) dalle distrazioni sub A) concernenti erogazioni riscontrate da fatture e dalla bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo B), con conseguente riduzione della pena principale e di quelle accessorie di cui all'articolo 216, ultimo comma, L. Fall. A seguito della riforma in appello, (OMISSIS) - quale amministratore ufficiale e poi amministratore di fatto della societa' "(OMISSIS)", dichiarata fallita dal Tribunale di Pescara il (OMISSIS) - e' stato riconosciuto responsabile di: bancarotta fraudolenta distrattiva per plurime erogazioni di denaro sine causa a favore di altrettante societa' (tutte in qualche modo riferibili a (OMISSIS) stesso o alla moglie (OMISSIS)) e a favore di (OMISSIS); bancarotta fraudolenta documentale in relazione alla societa' di cui sopra. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato con il ministero del proprio difensore. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla conferma della condanna per il reato di cui al capo A) (la bancarotta fraudolenta distrattiva). Esordisce il ricorrente precisando che, per le operazioni definite "commerciali", vi era stata assoluzione in appello, sicche' le censure sono dirette solo alle operazioni di finanziamento. Si precisa, altresi', nel ricorso che le societa' coinvolte in queste ultime operazioni facevano parte di un gruppo riconducibile al (OMISSIS), la cui esistenza era stata ritenuta sia dalla Guardia di Finanza che dal curatore nella sua relazione ex articolo 33 L.F. ed e' avvalorata dalla previsione di cui all'articolo 2 lettera h) Decreto Legislativo n. 194 del 2019. Ne consegue che l'affermazione della Corte di appello secondo cui tale gruppo non esisteva e' del tutto priva di fondamento ed e' apodittica. (OMISSIS) aveva, per tutte le societa', un ruolo direttivo e amministrativo, diretto o indiretto, del tutto predominante e la valutazione dei vantaggi compensativi andava fatta tenendo conto della realta' di gruppo. La pretesa insussistenza di vantaggi compensativi non e' accompagnata -prosegue il ricorso - da un ragionamento che abbia tenuto conto delle allegazioni della difesa, sia attraverso la propria consulenza tecnica sia nell'atto di appello, ed e' anch'essa apodittica. Il ricorrente, quindi, affronta la ritenuta insussistenza di "un saldo finale positivo" dell'operazione, che - sostiene - va individuato tenendo conto della logica di gruppo ed attraverso una valutazione prognostica ex ante ed in concreto che si concluda con la concreta e fondata preveclibilita' di vantaggi compensativi per la societa' apparentemente depauperata. Su tale punto vi sarebbe difetto di motivazione. La difesa del ricorrente - si legge altresi' nel ricorso - aveva indicato fin da subito quale fosse il vantaggio compensativo, inquadrando i finanziamenti nella realta' di gruppo, ma la Corte territoriale ha negato questa prospettiva, riguardando le operazioni in maniera atomistica, ed ha concluso per un giudizio di "alta verosimiglianza" della finalita' depauperativa, che non si attaglia ad una condanna. Segue un'indicazione dei singoli vantaggi compensativi: l'autofinanziamento ha garantito, nelle intenzioni dell'imprenditore, la sopravvivenza del gruppo e della fallita in quella determinata realta' storica perche' la "(OMISSIS)" dipendeva dalle altre societa' del gruppo, che ne gestivano i servizi amministrativi, di sviluppo e ricerca di mercato, manutenzione a acquisizione punti vendita e che erogavano servizi finanziari. Tanto e' vero che vi era tale interdipendenza che, una volta fallita la prima societa' del gruppo, sono fallite tutte le altre; in ordine ai quattro finanziamenti a favore di (OMISSIS) s.r.l., la difesa ha dimostrato che essi erano finalizzati all'acquisto della sede della societa' (OMISSIS), presso la quale era collocata anche la sede della fallita; il finanziamento a favore di (OMISSIS) s.r.l. era stato erogato per salvare detta societa' - ed il suo know how e le sue maestranze specializzate - che si occupava dell'allestimento e della manutenzione dei punti vendita; i due finanziamenti a (OMISSIS) s.r.l., come documentato dalla difesa, sono in corso di restituzione; i tre finanziamenti a favore di (OMISSIS) s.r.l. erano giustificati da un'operazione di acquisizione di detta societa' nell'interesse della fallita, realizzata attraverso la societa' finanziaria del gruppo (OMISSIS) s.r.l.; l'affermazione dell'amministratore di (OMISSIS) - di non avere avuto rapporti con la fallita - si riferisce al momento antecedente all'acquisizione della stessa; i due finanziamenti elargiti a (OMISSIS) s.r.l. costituivano un'immissione di liquidita' della societa' capogruppo; quanto ai compensi erogati a favore di (OMISSIS), per due di essi la difesa aveva allegato delibera sociale che li autorizzava nella misura di 150.000 Euro. Complessivamente l'imputato aveva ricevuto 134.000 Euro (anche se nel capo di imputazione e' scritto 137.350). Il ricorrente infine sottolinea che la Corte di appello ha erroneamente valorizzato in malam partem il passaggio di somme dalle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) alla moglie dell'imputato, (OMISSIS), ancorche' dette erogazioni appartenessero a realta' societarie sconosciute e il curatore della prima non avesse rilevato profili di illegittimita'. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla bancarotta fraudollenta documentale di cui al capo C). Sostiene il ricorrente che, benche' la Corte di merito abbia circoscritto il novero dei documenti che egli e' accusato di non aver consegnato, le conclusioni cui e' giunta sono comunque erronee. In primo luogo, i Giudici di appello non hanno considerato che i documenti che si assumono non consegnati sono stati, invece, posti nella disponibilita' della curatela, come si legge nella consulenza tecnica della difesa. Il ricorrente allora - limitando l'attenzione ai libri contabili a cui la Corte territoriale ha circoscritto la responsabilita' - riporta quanto sostenuto nel gravame di merito, vale a dire che: - il libro inventari 2011 era stato acquisito dalla Guardia di Finanza (acquisendolo direttamente dalla tenutaria della scritture contabili SEAM), . il libro inventari 2013 si trovava all'interno degli uffici della fallita, le cui chiavi erano state consegnate al curatore il 12 marzo 2015, il quale, tuttavia, non vi si era mai recato, ma aveva incaricato una societa' di trasporto di consegnargli i documenti. Inoltre il curatore non aveva ne' effettuato l'inventario ne' aveva inviato richieste di riscontro all'imputato. - Il libro inventari del 2015 non poteva essere consegnato in quanto il fallimento e' avvenuto il (OMISSIS), quando non erano maturati i termini di cui all'articolo 2217 c.c. (come era per il libro inventari 2014, per cui era stata contraddittoriamente esclusa la responsabilita' dell'imputato). - Per la corrispondenza commerciale costituita dalle fatture relative agli anni 2011-2013, i contratti commerciali, gli estratti conto e i cedolini paga, il ricorrente trascrive un passaggio della consulenza di parte, in cui si sostiene che il curatore, ancorche' informato dall'amministratore, non si era recato presso lo studio di due professionisti che detenevano la documentazione relativa ai dipendenti e quella fiscale. Ne' aveva verificato che, nell'ufficio della fallita, di cui gli erano state consegnate le chiavi il 12 marzo 2015, vi fossero le fatture e i documenti contabili. La Corte di appello ha ritenuto erroneamente che l'obbligo di consegna di cui all'articolo 86 L.F. debba intendersi come consegna fisica e materiale, mentre in realta' si tratta di "messa a disposizione". Un secondo aspetto su cui il ricorrente si concentra e' quello della mancanza di motivazione quanto al requisito dell'impossibilita' di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari a cui la Corte di appello - come il Giudice di prime cure - non aveva dedicato alcuna argomentazione. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche ancorche', nell'atto di appello, fossero stati indicati diversi parametri positivi, del tutto ignorati dai Giudici di appello, che hanno giustificato il diniego con mere frasi di stile. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' solo parzialmente fondato, sicche' si impone l'annullamento della sentenza impugnata quanto alla bancarotta fraudolenta documentale e l'inammissibilita' dell'impugnativa nel resto. 1. Quanto al primo motivo di ricorso - quello che concerne la bancarotta fraudolenta distrattiva - il ricorso e' inammissibile. 1.1. Poiche' l'impugnativa fonda sul tema dei vantaggi compensativi, il Collegio ricorda che - secondo gli insegnamenti di questa Corte - laddove venga agitato, a discolpa di attivita' depauperative, l'argomento suddetto e', in primo luogo, onere di chi ne sostenga l'esistenza dimostrare che la condotta si inserisce nell'ambito di una realta' di gruppo; cio' non e', tuttavia, sufficiente, giacche', per escludere la natura distrattiva di un'operazione tra societa' appartenenti ad un gruppo, non basta allegare tale natura intrinseca, dovendo invece l'interessato fornire l'ulteriore dimostrazione del vantaggio compensativo ritratto dalla societa' che subisce il depauperamento in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui essa appartiene. In altri termini, deve essere allegata dall'imputato, a fronte della natura oggettivamente distrattiva dell'operazione, l'esistenza di uno specifico vantaggio derivante dall'atto di disposizione patrimoniale, complessivamente riferibile al gruppo ma altresi' produttivo per la fallita di benefici, sia pure indiretti, i quali si rivelino concretamente idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione stessa che derivino anche in favore della fallita (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, Zanoni, Rv. 277545; Sez. 5, n. 31997 del 06/03/2018, Vannini e altri, Rv. 273635; Sez. 5, n. 16206 del 02/03/2017, Magno, Rv. 269702; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 268675; Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015, dep. 2016, Rv. 271149, Moroni e altri; Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, Bellemans, Rv. 257562; Sez. 5, n. 29036 del 09/05/2012, Cecchi Gori, Rv. 253031; Sez. 5, n. 48518 del 06/10/2011, Plebani, Rv. 251536). Sotto il profilo soggettivo, in capo all'autore del fatto deve sussistere la ragionevole previsione che la condotta non avra' la capacita' di incidere sulle ragioni dei creditori della societa' depauperata (Sez. 5 Bellemans, cit.). Muovendo da questa cornice teorica, si osserva, in primo luogo, che il ricorrente, al di la' della pretesa esistenza del gruppo, afferma apoditticamente l'esistenza di vantaggi compensativi, ma poi non chiarisce quale sia, in concreto, il saldo positivo dell'operazione per la "(OMISSIS)". Le indicazioni fornite societa' per societa', infatti, attengono a vantaggi del tutto privi di concretezza economica e legati a mere prospettive di presunte e vaghe utilita' indirette rinvenibili per la fallita. Peraltro, la direttrice critica del ricorrente trascura una premessa essenziale che la Corte di merito ha posto a base del giudizio di fraudolenza delle operazioni, vale a dire che i finanziamenti si collocavano in anni in cui erano evidenti le difficolta' finanziarie della fallita (tanto che, nel 2013 - 2014 la societa' aveva operato a capitale sociale azzerato), il che le colloca in una prospettiva di stridente estraneita' rispetto a qualsiasi logica imprenditoriale. Va, poi, ulteriormente osservato, a riprova dell'irrilevan2:a a discarico delle argomentazioni agitate dal ricorrente, che: - quanto alla (OMISSIS), e' lo stesso ricorrente che nulla osserva in punto di vantaggi compensativi, salvo la circostanza che il finanziamento e' in corso di restituzione, il che non ha alcun rilievo scagionante; - la pretesa neutralita' dei passaggi di somme tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) a favore della moglie dell'imputato non tiene conto che la Corte distrettuale ha ricollegato tali passaggi alle somme che erano precedentemente pervenute dalla fallita alle predette societa', evidenziando un filo rosso che univa le operazioni e che riconduce il flusso di denaro ad un soggetto molto vicino all'imputato e le rende, quindi, fortemente anomale. - ancora, sempre quanto alla (OMISSIS), la sentenza impugnata annota una circostanza che il ricorso non prova neanche a contestare, vale a dire che il finanziamento era tanto piu' anomalo se si tiene conto che la (OMISSIS), al 2012, era gia' in debito con la "(OMISSIS)" per 120.000 Euro. - La pretesa riferibilita' delle dichiarazioni del legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. - che aveva affermato di non avere mai avuto rapporti economici e commerciali con la "(OMISSIS)" -- ad un momento diverso da quello in cui si stava concretando l'acquisizione della societa' da parte della fallita e' un'affermazione in fatto. Quanto ad altre operazioni, il ricorrente o non ne parla affatto oppure mira ad una lettura alternativa e soggettivamente orientata del compendio probatorio. 1.2. Venendo ai presunti compensi come amministratore percepiti da (OMISSIS), il ricorso non si confronta con due affermazioni della Corte territoriale, che rendono bene l'idea della fraudolenza dei relativi prelievi. Da una parte, la circostanza che il prelievo per Euro 43.304 era privo di giustificazione e, quanto alla restante somma di Euro 96.050, che, ancorche' tale compenso fosse stato deliberato, esso era del tutto sproporzionato sia rispetto al periodo di tempo a cui si riferiva (i mesi che vanno da meta' marzo ai primi di settembre 2014), sia rispetto al compenso - 6000 eurc - corrisposto al precedente amministratore unico. La Corte di merito, quindi, ha fatto leva su un parametro, quello della non congruita' della somma corrisposta all'imputato quale compenso come amministratore della societa', a prescindere dalla circostanza che tale compenso fosse stato deliberato, che va ritenuto condizione essenziale onde reputare -r distrattivo il prelievo della somma. A riprova di questa riflessione, va rilevato come la giuris,Drudenza di questa Corte in tema di distinguo tra bancarotta fraudolenta distruttiva e bancarotta preferenziale circa il compenso dell'amministratore (tema, peraltro, non agitato dal ricorrente), ha individuato sempre, come presupposto per ritenere che il credito fosse dovuto e, quindi, per accedere alla fattispecie meno grave, che la somma corrisposta fosse congrua rispetto al lavoro svolto (Sez. 5, n. 32378 del 12/04/2018, Fagiolo, Rv. 273576; Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, Fenili, Rv. 266311; Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964; Sez. 5, n. 48280 del 10/11/2004, Andreotti, Rv. 230513). 2. Il ricorso e', invece, fondato, quando affronta le argomentazioni adoperate dalla Corte di merito per respingere il motivo di ricorso relativo alla bancarotta fraudolenta documentale. La sentenza impugnata, infatti, benche' abbia circoscritta la responsabilita' per l'omessa consegna solo ad alcune delle scritture, si e' aff(OMISSIS)ta, quanto ad alcune delle altre, ad osservazioni lap(OMISSIS)rie, che non soddisfano il dovere argomentativo che grava sul Giudice di appello. Una premessa, tuttavia, si impone, al fine di circoscrivere/K la censura del Collegio rispetto alla motivazione spesa. Non si ritiene censurabile, infatti, quel tratto della motivazione che concerne il dovere dell'imprenditore fallito di "consegnare" le scritture al curatore una volta appreso della sentenza dichiarativa di fallimento. In questo senso, va osservato che l'articolo 86 L.F. prescrive che "Devono essere consegnate al curatore (.1 le scritture contabili e ogni altra documentazione dal medesimo richiesta o acquisita se non ancora depositate in cancelleria". La disposizione utilizza un verbo, "consegnare", che rimanda direttamente ad un'attivita' di materiale aff(OMISSIS)mento delle scritture al curatore, che e' anche nella logica tendenziale del sistema, che prevede un onere di diligenza dell'imprenditore fallito per agevolare le operazioni concorsuali. Al dovere di "consegna", dunque, non puo' sostituirsi la mera indicazione del luogo ove le scritture sono conservate ovvero del nominativo dei professionisti che hanno in carico la documentazione, in quanto deve essere il fallito, in una interlocuzione fattiva con il curatore, ad assicurargli materialmente la disponibilita' della documentazione contabile e di quant'altro sia necessario per lo svolgimento delle attivita' concorsuali. Cio' posto, la censura coglie tuttavia nei segno per alcune scritture, rispetto alle quali il ricorrente ha lamentato l'inesigibilita' dell'obbligo di consegna con specifiche doglianze contenute nell'atto di appello, che sono, tuttavia, rimaste inascoltate. Ci si riferisce all'impossibilita' di deposito del libro inventari 2015 giacche' il fallimento e' stato dichiarato il (OMISSIS) e l'articolo 221.7, comma 3, c.c., prevede che "L'inventario deve essere sottoscritto dall'imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette", termine che l'appellante aveva indicato come non spirato al momento della dichiarazione di fallimento. Un'altra falla motivazionale si coglie rispetto al motivo di appello che aveva segnalato che il libro inventari 2012 era stato acquisito dalla Guardia di Finanza. Si tratta di lacune che hanno un'incidenza sulla tenuta della sentenza impugnata ancorche' riguardino singoli aspetti della conferma della sentenza di prime cure per la bancarotta fraudolenta documentale, nella misura in cui l'eventuale ridimensionamento della responsabilita' per deCo reato potrebbe condurre ad un ridimensionamento del trattamento sanzionatorio. 3. La sentenza impugnata, dunque, assorbito il terzo motivo di ricorso sulle circostanze attenuanti generiche, va annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia affinche' affronti i temi pretermessi" mentre, per il resto, il ricorso va dichiarato inammissibile. P. Q. M. annulla la sentenza impugnata limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M - Consigliere Dott. PERROTTI M. - Consigliere Dott. RECCHIONE S - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/03/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. COCOMELLO ASSUNTA, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; L'Avv. (OMISSIS), in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) chiede il rigetto dei ricorsi deposita conclusioni scritte e nota spese; l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), e l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) chiedono l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1.Ai ricorrenti veniva contestata la "promozione di" (attribuita a (OMISSIS)) e la "partecipazione a" (riconosciuta a (OMISSIS) e (OMISSIS)) una associazione funzionale alla consumazione di un numero indeterminato di truffe verso istituti bancari e persone private, all'esercizio di attivita' di promozione di strumenti finanziari senza autorizzazione, nonche' al rilascio, senza essere iscritti nell'apposito albo, di garanzie finanziarie. Veniva contestato ai ricorrenti di presentarsi quali rappresentanti della societa' di diritto inglese " (OMISSIS)", con succursale operativa a (OMISSIS) e con stabile rappresentanza a (OMISSIS), nonche' con altre sedi operative in localita' italiane ed estere e di avere effettuato, in assenza delle autorizzazioni di legge, attivita' di promozione di servizi finanziari diretti a creare le garanzie per l'accesso al credito bancario di clienti che versavano in gravi situazione economiche, attraverso la predisposizione di un articolato meccanismo, che prevedeva il rilascio di obbligazioni ed il loro impiego in societa' che avrebbero dovuto garantire il credito, ma che, invece, servivano solo ad incamerare fraudolentemente l'anticipo versato dai clienti. La Corte d'appello di Milano: (a) confermava la condanna dei tre ricorrenti per il reato associativo, escludendo l'aggravante della transnazionalita' e rilevando il mancato decorso del termine di prescrizione, (b) dichiarava la prescrizione di tutte le truffe contestate a (OMISSIS) e (OMISSIS), ad eccezione di quelle descritte ai capi 15) e 19), in relazione alle quali confermava la condanna di (OMISSIS), (c) confermava la condanna per le truffe contestate a (OMISSIS), tenuto conto che, a causa del riconoscimento della recidiva, le stesse non risultavano prescritte; (d) assolveva i ricorrenti dalle condotte inizialmente ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7, ritenendo che i fatti contestati non sussistessero; (e) assolveva i ricorrenti dai reati previsti dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 contestati ai capi 4) e 18). 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. violazione di legge: la sentenza sarebbe stata emessa prima della decisione sulla l'istanza di rimessione, che sarebbe stata 6 depositata il 7 marzo 2022, con violazione del diritto di difesa; 2.2. violazione di legge (articolo 266 c.p.p. e ss.) e vizio di motivazione: la procedura di acquisizione delle intercettazioni sarebbe viziata; si deduceva che i supporti prodotti dal pubblico ministero in data 23 gennaio 2018 non proverrebbero da Torino luogo dell'ascolto - e, dunque, non sarebbero autentici, mentre i CD depositati dal consulente sarebbero solo copie; anche in questo caso sarebbe stato leso il diritto di difesa; 2.3. omessa motivazione: la difesa aveva impugnato tutti i provvedimenti relativi alla utilizzabilita' delle intercettazioni, ma la Corte di appello avrebbe omesso di motivare. 2.4. Violazione di legge (articolo 495 c.p.p.) in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento in seguito al mutamento del collegio: la sentenza sarebbe contraddittoria ed illogica, dato che avrebbe legittimato la compressione del diritto della difesa ad ottenere nuove prove in seguito al mutamento del giudice. 2.5. Violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) per mancata rinnovazione del dibattimento in appello: il rigetto della richiesta difensiva sarebbe illegittimo. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma dell'affermazione di responsabilita': si contestava integralmente la capacita' dimostrativa delle prove raccolte e si ribadivano le numerose violazioni del diritto di difesa gia' denunciate nel corso del processo. Si deduceva che la motivazione sarebbe illegittima in quanto avrebbe una struttura per relationem, e non avrebbe tenuto in considerazione le allegazioni difensive; nello specifico si contestava la mancata acquisizione di quattro faldoni di documenti allegati dalla difesa. 2.7. Violazione di legge (521 c.p.p.): sarebbe stato leso il diritto di difesa attraverso un mutamento della qualificazione giuridica della condotta da "abusivismo finanziario" ad "abusiva mediazione creditizia"; le doglianze proposte al riguardo non sarebbero state esaminate dalla Corte di appello; 2.8. Violazione di legge (416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita' per l'associazione a delinquere, in quanto non sarebbero sussistenti, ne' indicati, gli elementi costitutivi programma criminoso, ne' quelli dimostrativi del pactum sceleris e dell'elemento soggettivo; 2.9. violazione di legge (articolo 178 c.p.p. e ss.): si deduceva che il pubblico ministero non avrebbe osteso tempestivamente gli atti e che sarebbe stato impedito alla difesa di opporsi al loro deposito in udienza; 2.10. violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva la carenza di motivazione in ordine ai motivi di appello che deducevano la mancanza di registrazioni-audio delle udienze e le discrasie tra le trascrizioni ed i verbali di udienza; si deduceva altresi' che mancherebbero le trascrizioni integrali e che i verbali di udienza sarebbero omissivi; 2.11. violazione di legge (articolo 133 c.p.) in ordine al trattamento sanzionatorio, che sarebbe stato inflitto riconoscendo illegittimamente l'aggravante del danno ingente e della recidiva. 2.12. Violazione di legge (articolo 538 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili. 2.13. Le ragioni del ricorso venivano ribadite con motivi aggiunti, con i quali si invocava anche la astensione di tutti i componenti del collegio. 3. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 157 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al calcolo del termine di prescrizione: si contestava la decisione della Corte di appello, che aveva considerato conclusa l'attivita' associativa quando era stata eseguita l'ordinanza che applicava le misure cautelari, ovvero il 15 ottobre 2015, laddove il termine della condotta avrebbe dovuto essere individuato nel (OMISSIS), quando veniva captata l'ultima intercettazione rilevante. 3.2. Violazione di legge (articolo 416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita', che non avrebbe tenuto conto del ruolo marginale di (OMISSIS), che avrebbe fornito un contributo occasionale e marginale al progetto criminoso, non essendo mai intervenuto nella fase ideativa delle truffe, ne' in quella della consumazione delle stesse; si rimarcava, infatti, che le vittime avevano riferito di non avere mai trattato direttamente con lo stesso. Si deduceva, inoltre, (a) che il ricorrente non avrebbe mai partecipato alle riunioni durante le quali erano state organizzate le truffe e che avrebbe limitato il proprio apporto all'attivita' esterna di supporto nell'apertura delle societa' di diritto anglosassone; (b) che era emerso che i correi non nutrivano alcuna fiducia nel ricorrente; (c) che lo stesso aveva messo in dubbio la legalita' dell'operazione; (d) che non sarebbe stato effettuato nessuno pagamento a (OMISSIS) da parte delle vittime. Da ultimo si deduceva che mancherebbe ogni valutazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, il cui riconoscimento sarebbe contraddetto dal contenuto della telefonata in cui (OMISSIS) aveva messo in dubbio la legalita' delle operazioni. In conclusione: si deduceva che il ricorrente aveva avuto un ruolo marginale e che le condotte emerse sarebbero inidonee ad integrare, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie associativa. 4. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 4.1. vizio di motivazione: la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione illogica e contraddittoria, in quanto, non essendo stati incriminate le persone che avrebbero svolto la decisiva funzione di "mediatore" nella consumazione delle truffe, il progetto associativo verrebbe meno; a cio' si aggiungeva che, da quanto emerso dalle intercettazioni, il ricorrente avrebbe ritenuto corretta l'operazione. Si deduceva (a) che tutti i clienti erano imprenditori, sicche' gli stessi sarebbero stati consapevoli del rischio che si assumevano; (b) che la liceita' delle operazioni si evincerebbe, tra l'altro, dalla perizia di Pietrangeli e dalla produzione di articoli specializzati che dimostrerebbero che la (OMISSIS) avrebbe accettato i titoli (OMISSIS) emessi nel (OMISSIS), contrariamente a quanto aveva riferito il Cap. (OMISSIS); (c) che il luogo ove era avvenuta la contrattazione non avrebbe potuto essere considerato idoneo ad indurre in errore, considerato che si trattava di un ufficio ordinario e non lussuoso; (d) che l'operazione non sarebbe andata a buon fine perche' i clienti non sarebbero stati nelle condizioni di ottenere finanziamenti dalle banche a causa dei loro pessimi rating e dell'assenza di un valido business -plan; (e) che il fatto che ricorrente fosse stato presente in occasione di alcuni incontri con i clienti non implicherebbe un suo ruolo attivo nell'associazione. 4.2.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al calcolo del termine di prescrizione: la data di cessazione del presunto sodalizio non poteva che essere quella o dell'ultima condotta contestata ((OMISSIS)); inoltre sarebbero state erroneamente calcolate le sospensioni; in particolare si deduceva che i sessantaquattro giorni di sospensione calcolati dalla Corte territoriale in relazione all'emergenza pandemica non avrebbero potuto essere considerati, in ragione del fatto che il termine per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado era scaduto il 5 febbraio 2020 e che il ritardo del deposito, dopo la scadenza del massimo termine di legge, non avrebbe potuto incidere negativamente sugli imputati. 4.3. Omessa motivazione in ordine le doglianze proposte con l'atto d'appello in relazione alle truffe: si ribadiva che (OMISSIS) non avrebbe percepito alcun compenso e che non vi sarebbero gli elementi per riconoscere la sua responsabilita' in ordine alle truffe contestate ai capi 15) e 19), dato che le operazioni non erano state concluse a causa della grave situazione economica in cui versavano i clienti; 4.4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 61 c.p., n. 7: non sarebbe stato provato che le parti civili avessero subito una grave perdita economica; si ribadiva che le vittime non avevano la possibilita' di ottenere finanziamenti e che le stesse, aderendo alla proposta, sarebbero state consapevoli del rischio. Infine, si deduceva che il danno sarebbe stato calcolato senza fare riferimento ad ogni singola posizione ed in modo generico; 4.5. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prescrizione per i capi 15) e 19) in relazione ai quali la prescrizione sarebbe decorsa prima della sentenza di appello; 4.6. violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: non sarebbero stati indicati i parametri alla base della determinazione della pena base, ne' le ragioni poste a sostegno della quantificazione degli aumenti per la continuazione. 4.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili: mancherebbe la motivazione in ordine al danno, che non poteva essere addebitato a chi, come (OMISSIS), non aveva incassato nulla. Per quanto riguardava il danno non patrimoniale, si sosteneva che anche questo non avrebbe potuto essere riconosciuto, non essendo stata fornita la prova del danno presupposto ovvero quello patrimoniale. Si allegava che, in relazione alle singole posizioni delle persone offese, (OMISSIS) avrebbe avuto una condotta marginale, inidonea produrre i danni che gli sarebbero stati addebitati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 1.1.Il primo motivo di ricorso e' inammissibile in quanto generico: si contesta la mancata considerazione di un'istanza di rimessione che non e' stata allegata, ne' precisata nel contenuto. Si ribadisce, sul punto, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591, comma 1, lettera c) codice di rito comporta la inammissibilita' dell'impugnazione in caso di genericita' dei relativi motivi. Per escludere tale patologia e' necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, Rv. 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Falcioni, Rv. 241477; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, Sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822). 1.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto ripropongono, in modo reiterativo, questioni gia' ampiamente trattate dalla sentenza di appello, senza identificare vizi logici manifesti decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della sentenza impugnata, ne' allegare travisamenti decisivi della prova. Si ribadisce che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Bourtatour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 dell'11/03/2009, Arnone Rv. 243838; Sez. 6 n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507). Nel caso in esame la Corte d'appello, valutando le questioni proposte da (OMISSIS) in relazione alle intercettazioni, rilevava (a) che la mancata iniziale acquisizione dei supporti digitali al fascicolo del dibattimento era dovuto ad un errore del perito che si era occupato della trascrizione nel 2016, il quale aveva omesso di depositare i supporti utilizzati per la trascrizione; (b) tale omissione risultava essere stata sanata dal deposito effettuato dal pubblico ministero, su impulso della difesa, il 23 gennaio 2018: la Procura di Milano aveva infatti depositato i supporti informatici trasmessi dal Procuratore della Repubblica di Torino, all'esito di una nuova perizia estrattiva realizzata sui server in cui erano conservate le registrazioni; (c) dei supporti acquisiti veniva effettuata copia autentica dal perito nominato dal Tribunale. Con motivazione ineccepibile, la Corte di appello riteneva che non era possibile dubitare della conformita' agli originali di tale copia, tenuto conto che l'attivita' di estrazione e duplicazione era stata effettuata in fasi distinte da due pubblici ufficiali; a cio' si aggiungeva che la difesa non aveva addotto alcun elemento idoneo a dimostrare la falsita' del materiale raccolto (pagg. 51 e ss. della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione coerente con le emergenze processuali, priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 1.3.Sono manifestamente infondate anche le censure rivolte nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento (motivi quarto e quinto): si censurava sia la mancata rinnovazione chiesta ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., sia la contrazione della rinnovazione delle prove testimoniali all'esito del mutamento del collegio. 1.3.1. In materia di rinnovazione del dibattimento in appello il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" sia da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez, 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame la Corte d'appello, con motivazione esente da ogni censura, rilevava che le richieste di rinnovazione proposte ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. non erano accoglibili in quanto le prove delle quali si chiedeva la assunzione non risultavano assolutamente necessarie per la decisione, ma anzi si connotavano per il loro carattere "esplorativo" (pagg. 57 e 58 della sentenza impugnata). 1.3.2. Con riguardo alle censure relative alla contrazione delle prove ammesse rispetto a quelle richieste all'esito del mutamento del collegio, si riafferma che l'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle gia' assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli articoli 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluita' della rinnovazione stessa (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754 - 02). In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte d'appello riteneva legittima l'ordinanza del Tribunale che, il 20 giugno 2019, autorizzava l'esame di venti testimoni a fronte della richiesta di escussione di cinquanta persone - in ragione del fatto che tre testimoni erano stati esaminati dal collegio in nuova composizione mentre venti erano comuni alle altre difese. La Corte di appello ha rilevato l'ampio spazio assegnato al ricorrente per esercitare i suoi diritti di difesa e la correttezza delle valutazioni in ordine alla superfluita' delle prove escluse: anche in questo caso non si registra alcuna lesione delle prerogative difensive. 1.4. Il sesto motivo di ricorso e' inammissibile in quanto si profila generico (si richiama la giurisprudenza citata al §.1.1.), oltre che reiterativo delle doglianze proposte con la prima impugnazione. Lo stesso si risolve, peraltro, nella richiesta di integrale della rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. 1.4.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). Tenuto conto che parte rilevante del compendio probatorio posto a sostegno della conferma della responsabilita' risulta composto da intercettazione, il collegio ribadisce che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimita' se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioe' che in sede di legittimita' e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione "diversa" da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 - dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 - dep. 2014, Napoleoni e altri, Rv. 259516). La valutazione della credibilita' dei contenuti delle conversazioni captate e', infatti, un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacita' dimostrativa della prova, sicche' la sua critica e' ammessa in sede di legittimita' solo ove emerga una illogicita' manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata. 1.4.2. Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello effettuava una analitica valutazione delle doglianze difensive, offrendo una risposta specifica alle stesse. La Corte di appello confermava le valutazioni del Tribunale in ordine all'articolato meccanismo truffaldino posto in essere da (OMISSIS) e dai suoi sodali, fondandosi sugli elementi introdotti nel processo dalle persone offese, dai testimoni, dagli investigatori e dai periti, elementi che trovavano definitiva ed inconfutabile conferma nel contenuto delle intercettazioni (pagg. 72 e ss. della sentenza impugnata). Con riguardo, nello specifico, alla deduzione relativa alla mancata acquisizione di quattro torni di documenti, il collegio ritiene che la motivazione della sentenza impugnata, con la quale e' stata confermata la legittimita' della decisione del Tribunale - che non aveva ammesso la produzione - non si presta ad alcuna censura; al riguardo, appare decisivo il fatto che non risultava essere stato chiarito quale fosse la rilevanza degli stessi, il che impediva alla Corte di appello di verificarne decisivita' in ordine all'accertamento della responsabilita' (pag. 63 della sentenza impugnata). 1.5. Non supera la soglia di ammissibilita' il settimo motivo, con il quale si deduce una lesione del diritto di difesa correlata al mutamento della qualificazione giuridica della condotta ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 e riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, si tratta di una riqualificazione ininfluente in relazione alle condanne per il reato associativo e le truffe, dato che concerne reati per i quali vi e' stata assoluzione perche' "il fatto non sussiste"; tale riqualificazione, invero, non ha alcuna incidenza sui reati in relazione ai quali vi e' stata la conferma dell'accertamento di responsabilita', tenuto conto che vi e' stato un accurato vaglio sia in ordine alla sussistenza della condotta associativa, che di quella fraudolenta agita in danno degli imprenditori in difficolta' finanziarie; tale vaglio resiste alle doglianze difensive, e prescinde alla riqualificazione delle condotte per le quali vi e' stata assoluzione. 1.6. L'ottavo motivo, che contesta radicalmente la conferma della responsabilita' in ordine al reato associativo, non e' consentito. Anche in questo caso la doglianza si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove e non individua vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della decisione di conferma (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). Secondo la Corte d'appello le concordi dichiarazioni testimoniali e le intercettazioni avevano dimostrato con certezza la serialita' della condotta incriminata: le vittime erano imprenditori in gravi difficolta' economiche, ai quali - a causa delle difficolta' finanziarie in cui versavano - era precluso l'accesso al credito; questi venivano contattati da un mediatore o da un consulente e, una volta presentati a (OMISSIS) e (OMISSIS), ricevevano la prima spiegazione del meccanismo attraverso il quale avrebbero potuto accedere ai finanziamenti bancari. Le persone offese, quindi, sottoscrivevano a (OMISSIS) - e talvolta in (OMISSIS) - un contratto di mandato irrevocabile dal contenuto "fumoso", al quale era legato un cronoprogramma articolato e versavano un primo acconto, funzionale all'avvio della pratica; successivamente le vittime venivano invitate in (OMISSIS) per formalizzare la costituzione della Ltd inglese o per aprire il conto corrente della societa' estera; seguivano talora ulteriori operazioni, nella maggior parte dei casi non comprese dagli imprenditori-vittime, che avevano solo l'obiettivo di ottenere l'accesso ai finanziamenti bancari, fine ultimo dell'operazione. Invero, nonostante il versamento dell'acconto la procedura si concludeva, di solito, con il recesso della (OMISSIS), causato, secondo la versione di comodo offerta alle vittime, dall'inadempimento delle stesse o dal mutamento di normative non meglio precisate. A cio' si aggiungeva che al recesso non faceva mai seguito la restituzione agli offesi delle somme versate (la condotta emergeva con chiarezza dalla telefonata intercettata al progr. n. 9619 del 24 Febbraio 2014). Emergeva, altresi', la precisa ripartizione dei ruoli all'interno dell'associazione: (OMISSIS) era il promotore del sodalizio, ovvero l'uomo a cui si rivolgevano i mediatori, le vittime, e gli associati (OMISSIS) e (OMISSIS); egli era anche il direttore delle sedi di (OMISSIS), nonche' il punto di riferimento delle strutture operative in Italia e all'estero all'interno delle quali, pero', non rivestiva alcuna carica formale. (OMISSIS) informava i clienti dell'esito delle pratiche operava sui conti correnti situati in (OMISSIS) sui quali pervenivano gli accrediti delle somme di denaro erogate dai clienti a titolo di acconto per le prestazioni concordate: le intercettazioni delle numerosissime conversazioni intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) accreditavano inconfutabilmente il suo ruolo gestore nelle trattative con i clienti. Il compendio probatorio tratteggiato indicava univocamente la responsabilita' del ricorrente, sia per la sussistenza del consorzio, che per la identificazione del ruolo di promotore di (OMISSIS) (pagg. 69 e ss. della sentenza impugnata). 1.7. Sono manifestamente infondati il nono ed il decimo motivo, con i quali il ricorrente ripropone le eccezioni processuali, risolte con ordinanze endoprocessuali, la cui legittimita' era stata confermata da entrambe le sentenze di merito. Nel dettaglio: (a) la Corte d'appello rilevava che il sistema "ordinario" di documentazione dell'attivita' d'udienza e' quello della verbalizzazione stenotipica, derogabile solo in presenza di emergenze eccezionali, che non erano state ritenute sussistenti nel caso di specie, sicche' la richiesta di audio-registrazione integrale delle udienze appariva del tutto ingiustificata; (b) la Corte di appello rilevava inoltre che non sussistevano riscontri oggettivi - non indicati neanche con il ricorso per Cassazione - all'asserito difetto di coincidenza tra le trascrizioni ed i verbali di udienza. Infine, non supera la soglia di ammissibilita' la deduzione circa la "mancata ostensione" degli atti da parte dell'accusa, tenuto conto che la stessa non risulta circostanziata e non rivela la decisivita' del presunto vizio. 1.8. L'undicesimo motivo che contesta il trattamento sanzionatorio non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di un nuovo esercizio della discrezionalita' in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio. 1.8.1.La Corte rilevava - con motivazione che si sottrae ad ogni censura - che non erano emersi elementi di positiva valutazione idonea a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche e che (a) la gravita' degli addebiti a carico di (OMISSIS), (b) la peculiare pericolosita' e professionalita' nell'agire criminoso dimostrate dallo stesso nell'organizzare e promuovere il sodalizio, (c) i plurimi e specifici precedenti vantati, (d) il comportamento processuale privo di segnali di resipiscenza ostavano all'invocato ridimensionamento della pena (pag. 109 della sentenza impugnata). 1.8.2. Veniva ampiamente giustificato anche il riconoscimento dell'aggravante del danno ingente: la Corte di appello riteneva che, per ritenere sussistente l'aggravante, non rilevava solo il materiale esborso delle somme versate dalle vittime, ma altresi' la grave perdita economica subita in conseguenza del fallimento dell'operazione, che si configurava come una sorta di "salvavita" per le imprese decotte, nella quale erano state investite le ultime risorse disponibili. Si tratta di una motivazione coerente con l'ampia discrezionalita' riconosciuta al giudice di merito nella valutazione della gravito' del danno, che deve essere valutato in relazione a tutti i pregiudizi subiti in concreto dalle vittime. 1.8.3. Si rileva, a margine, che il mutamento del regime di procedibilita' del reato di truffa (sempre procedibile a querela con l'entrata in vigore della c.d. "riforma Cartabia") non rileva tenuto conto dell'inammissibilita' del ricorso (Sez. U, Sentenza n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 - 01). 1.9. Le contestazioni in ordine alle statuizioni civili (undicesimo motivo) non superano la soglia di ammissibilita'. Il collegio riafferma che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e' impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 261536; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990 - dep.1191, Capelli, Rv. 186722-01). A cio' si aggiunge che, nel caso in esame, la Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva che non si rilevavano i presupposti per una revoca, ovvero mitigazione, delle provvisionali, a fronte di un fumus pacificamente accertato del danno patito dalle parti civili e della modesta entita' della provvisionale riconosciuta (pag. 108 della sentenza impugnata). La motivazione contestata non si presta ad alcuna censura in questa sede. 1.10. L'inammissibilita' del ricorso principale si estende ai motivi aggiunti. Si ribadisce, infatti, che rinammissibilita' del motivo originario si estende ai motivi nuovi dato che in materia di impugnazioni, l'indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell'articolo 581 c.p.p., lettera c), costituisce di per se' motivo di inammissibilita' del proposto gravame, anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli gia' dedotti, vengano depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., comma 4, (tra le altre: Sez. 6, n. 471414 del 30/10/2008, Arruzzoli, Rv. 242129). 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.il primo motivo che invoca la retrodatazione della data di consumazione del reato associativo non supera la soglia di ammissibilita' perche' richiede una valutazione della capacita' dimostrativa delle prove esclusa dalla competenza del giudice di legittimita' (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1). In relazione ad analoga doglianza avanzata con la prima impugnazione la Corte ha offerto una motivazione ineccepibile, rilevando che la data dell'esecuzione della custodia cautelare indicava il termine dell'attivita' associativa, considerato che non vi erano prove indicative della ulteriore prosecuzione della stessa. L'invocata retrodatazione, alla data dell'ultima intercettazione, non poteva essere presa in considerazione, dato che il termine delle attivita' investigative non indicava il termine dell'attivita' criminosa. Il termine dell'attivita' associativa veniva invece fatto risalire all'arresto di tutti i sodali, evento sicuramente idoneo ad interrompere l'azione del consorzio. 2.2. Anche il secondo motivo - che contesta la conferma della responsabilita' di (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione - non e' consentito, in quanto ripropone le doglianze gia' avanzate con l'atto d'appello, superate dalla sentenza impugnata con motivazione priva di fratture logiche ed aderente alle emergenze processuali. La Corte di appello, ribadendo il percorso logico argomentativo segnato dal Tribunale, rilevava come (OMISSIS) fosse il trait d'union del gruppo con l'estero, tenuto conto che lo stesso ricopriva la carica di amministratore unico delle agenzie (OMISSIS), (OMISSIS) s.r.l., facenti parte del "Corporate Group" di (OMISSIS) e costituiva oltre cinquanta societa' aventi il medesimo dominio di posta elettronica. Da numerose conversazioni intercettate era emerso che (OMISSIS), oltre ad essere uno dei collaboratori piu' stretti di (OMISSIS), era anche un dipendente della New Limited - come risultava chiaramente dal contenuto della conversazione registrata al progr. n. 2261 del 22 marzo 2014 - ed era il referente dell'associazione per l'apertura delle filiali estere. Dal compendio probatorio raccolto era emerso con chiarezza che (OMISSIS) eseguiva le direttive di (OMISSIS), si occupava della costituzione delle societa' inglesi e curava che le stesse avessero una veste formale credibile, idonea a trarre in inganno i clienti. Tale condotta era supportata - nella valutazione ineccepibile della Corte territoriale dalla piena consapevolezza dell'agire criminoso: che (OMISSIS) fosse consapevole del suo ruolo nell'organizzazione emergeva, infatti, con chiarezza dal contenuto delle intercettazioni registrate ai progr. n 10865 del 6 marzo 2014 e n. 2661 del 22 marzo 2014. Segnatamente, dalla conversazione del 22 marzo 2014 emergeva chiaramente la tensione progettuale ed organizzativa dei sodali, che intendevano approntare nuove tecnologie idonee a comunicare in tempo reale lo stato delle pratiche ed aprire altre filiali all'estero. Si tratta di prove che, nella persuasiva valutazione effettuata dai giudici di merito, confermavano l'indeterminatezza del programma criminoso e la vitalita' dell'associazione (pag. 86 della sentenza impugnata). Nonostante tale corposo compendio probatorio, la difesa insisteva nel proporre una lettura sminuente del ruolo di (OMISSIS), che tuttavia non trovava alcuna conferma nelle emergenze processuali. Contrariamente a quanto dedotto, con motivazione priva di vizi logici e coerente con le prove raccolte, la Corte di merito ribadiva che il ricorrente aveva avuto un ruolo decisivo nell'ambito dell'associazione, considerato che si occupava delle societa' di diritto inglese, anche se non aveva alcun contatto diretto con i clienti (il che giustificava il fatto che le vittime non avessero fatto riferimento a (OMISSIS)). La motivazione, sul punto, non si presta dunque ad alcuna censura in questa sede. 3.Infine: e' inammissibile anche il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente contestava radicalmente la legittimita' della conferma di responsabilita' sia per il reato associativo, che per le due truffe non prescritte (descritte ai capi 15) e 19) non raggiungono la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove e ripropongono doglianze gia' avanzate con la prima impugnazione e disattese dalla Corte territoriale, con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). La Corte di appello, con motivazione puntuale e priva di fratture logiche, rilevava che le testimonianze delle persone offese avevano attestato la costante presenza di (OMISSIS) agli incontri con (OMISSIS), sia in Italia, che Svizzera; segnatamente: (OMISSIS) si coordinava con (OMISSIS) per la costituzione delle societa' inglesi e svolgeva l'attivita' di referente e procuratore di BHC Investment per la fornitura di titoli storici; le testimonianze raccolte (significative quella di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) trovavano conferma nelle intercettazioni, che manifestavano in modo assolutamente inequivoco l'impegno di (OMISSIS) per l'attuazione delle truffe gestite dal sodalizio (pagg. 84 e 85 della sentenza impugnata). La Corte d'appello confermava, inoltre, la responsabilita' per le truffe, rilevando come le testimonianze delle persone offese risultassero - anche in questo caso - confermate da documenti ed intercettazioni: tale completo compendio probatorio consentiva di ricostruire analiticamente lo schema delle azioni fraudolente in danno di imprenditori in crisi di liquidita' e di svelare il "ferrato connubio (OMISSIS)- (OMISSIS)", che forniva all'esterno una parvenza di affidabilita' e garanzia di buon esito delle operazioni proposte. Contrariamente a quanto dedotto, sia con l'atto di appello, che con il reiterativo ricorso per cassazione, risultava impossibile ricondurre le condotte emerse ad una lecita pratica contrattuale (pag. 89 della sentenza impugnata). Si tratta di motivazione persuasiva, coerente con le prove raccolte e priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 3.2.Il secondo motivo di ricorso, che invoca la retrodatazione del termine di consumazione del reato associativo, cui conseguirebbe l'estinzione del reato per il decorso del termine di prescrizione, e' sovrapponibile a quello proposto da (OMISSIS); si rinvia, sul punto, a quanto gia' esposto sub § 3.1.. 3.3. Il quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Il ricorrente contesta la valutazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante correlata alla causazione di un danno ingente, ribadendo che le parti civili avevano interesse ad ottenere i finanziamenti, tenuto conto che le stesse versavano in una situazione che gli impediva l'accesso al credito, sicche' le stesse erano ben consapevoli del rischio che correvano e lo avevano accettato. Si tratta di una doglianza che e' gia' stata valutata dalla Corte territoriale con motivazione ineccepibile, che non si presta ad alcuna censura in questa sede. Gia' con l'atto d'appello (OMISSIS) si era doluto della mancata specificazione delle situazioni economiche di ciascuna persona offesa ed aveva invocato la disapplicazione dell'aggravante. La Corte di merito aveva invece rilevato che il danno patrimoniale correlato alla truffa contrattuale non puo' ritenersi integrato solo dalla perdita economica subita dal contraente-vittima, ma anche dalla mancata acquisizione di un utile; nel caso in esame, doveva pertanto essere considerato non solo il valore economico del contratto, ma anche alla grave perdita economica subita dagli offesi in conseguenza del fallimento dell'operazione che aveva deviato le ultime risorse a disposizione delle vittime verso la proposta truffaldina: gli offesi avevano cosi' perduto la possibilita' di tentare altre strade per procurarsi la liquidita' necessaria per garantire la sopravvivenza delle loro attivita' (sul punto le testimonianze delle vittime risultavano confermate dalla documentazione prodotta dalle parti civili e dal pubblico ministero pag. 91 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione che, come gia' rilevato in occasione dell'esame del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), esprime in modo puntuale le ragioni della sussistenza dell'aggravante in coerenza con l'ampia discrezionalita' esercitabile per effettuare tale valutazione e della rilevanza di tutti i pregiudizi patiti dalle vittime. 3.4.Con l'ultimo motivo di ricorso si invocava la prescrizione per i capi 15) e 16) ritenendo deducendo che il termine sarebbe decorso prima della sentenza di appello. Si tratta di doglianza manifestamente infondata in quanto dall'analisi degli atti risultano centosessanta giorni di sospensione della prescrizione (come rilevato a pag. 89 della sentenza impugnata), sicche', alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado, i termini di prescrizione non risultavano decorsi. Il collegio ritiene che, contrariamente a quanto dedotto, sia legittimo anche il calcolo dei sessantaquattro giorni di sospensione dovuti all'emergenza pandemica. Invero, a fronte del fatto che il dispositivo della sentenza di primo grado e' stato letto il 7 novembre 2019, poiche' la sentenza e' stata depositata il 7 aprile 2020, dunque oltre il novantesimo giorno dalla decisione, il 9 marzo 2020 - giorno in cui entrava in vigore la disciplina speciale - era pendente il termine per l'impugnazione che, nel caso di specie, decorreva dalla notifica alle parti del deposito della sentenza. Lo slittamento del dies a quo del termine per impugnare, nel caso di deposito fuori termine e' previsto dall'articolo 582 c.p.p., comma 2 lettera c): si tratta di uno slittamento che non e' arbitrario, ma stabilito ex lege. Pertanto tale termine, come tutti quelli che decorrevano nel periodo "8 marzo- 11 maggio 2020", deve considerarsi legittimamente prolungato, con correlata sospensione dei termini di prescrizione, nel pieno rispetto delle disposizioni eccezionali introdotte in relazione all'emergenza pandemica. 4.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sia (OMISSIS), che (OMISSIS) (non si condanna (OMISSIS), dato che tale imputato con il ricorso non ha impugnato le statuizioni civili); tali spese, tenuto conto dei parametri vigenti si liquidano in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida per ciascuno in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. NICASTRO Giusep - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/03/2021 della Corte d'appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. COSTANTINI FRANCESCA, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale, dopo dibattimento, ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, in subordine, rigettati, e ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale, dopo dibattimento, si e' riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale, dopo dibattimento, ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 08/03/2021, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 30/03/2018 del Tribunale di Roma, condannava (OMISSIS) (che era stato assolto in primo grado) e (OMISSIS) (che era stato, invece, condannato gia' in primo grado) alla pena ritenuta di giustizia per i seguenti reati: a) (OMISSIS), per il delitto di cui agli articoli 81, comma 2, e 644 c.p. (B dell'imputazione), perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si faceva reiteratamente promettere e dare da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quale corrispettivo di prestazioni di denaro, interessi superiori al tasso soglia previsto dalla legge e, pertanto, usurari; in particolare, a fronte di un prestito di Euro 50.000,00, pretendeva la restituzione di complessivi Euro 234.377,00, a titolo di interessi sul capitale, con un tasso di interesse applicato del 116,43% su base annuale (in (OMISSIS)); b) (OMISSIS), per il delitto di cui agli articoli 81, comma 2, e 644 c.p. (capo A dell'imputazione), perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si faceva reiteratamente promettere e dare da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quale corrispettivo di prestazioni di denaro, interessi superiori al tasso soglia previsto dalla legge e, pertanto, usurari; in particolare, a fronte di un prestito di Euro 90.000,00, pretendeva la restituzione di complessivi Euro 220.898,00, a titolo di interessi sul capitale, con un tasso di interesse applicato del 62,45% su base annuale (in (OMISSIS)). 2. Avverso detta sentenza della Corte d'appello di Roma, (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite dei propri difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. 2.1. Il ricorso di (OMISSIS). (OMISSIS) affida il proprio ricorso a tre motivi. 2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) la mancata e/o erronea applicazione dell'articolo 603, comma 3-bis cit. codice, con conseguente inosservanza degli articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 180 c.p.p., e, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) la contraddittorieta' e l'illogicita' della motivazione, risultante dal testo della sentenza impugnata. Sotto un primo profilo, il ricorrente lamenta che, a fronte dell'appello del pubblico ministero contro la sentenza di assoluzione del Tribunale di Roma, la Corte d'appello avrebbe dovuto, a norma dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis rinnovare l'esame del proprio consulente tecnico Dott. (OMISSIS), atteso che questi aveva reso dichiarazioni che erano risultate decisive ai fini del predetto giudizio assolutorio in primo grado. Sotto un secondo profilo, il ricorrente lamenta la contraddittorieta' e l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata riguardo al rigetto della propria istanza, ex articolo 585 c.p.p., comma 4, di rinnovare l'esame del suddetto consulente tecnico, qualora fosse stata accolta la richiesta del pubblico ministero appellante di rinnovare l'esame del testimone M.llo (OMISSIS) (rinnovazione poi effettivamente disposta, insieme con quella, disposta d'ufficio, dell'esame delle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS)). La contraddittorieta' consisterebbe nel fatto che la Corte d'appello rigettava l'istanza di rinnovare l'esame del consulente tecnico Dott. (OMISSIS) per la ragione che "le dichiarazioni rilasciate dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano apportato nuovi elementi rispetto a quelli gia' acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, svolta in primo" (pag. 8 della sentenza impugnata), mentre, in un passaggio successivo, in contraddizione con tale affermazione, la stessa Corte d'appello asseriva che il compendio probatorio acquisito in primo grado era stato "corroborato dalle ulteriori informazioni ottenute nel presente giudizio". L'illogicita' discenderebbe dal fatto che "non si comprende come la decisione circa la (mancata) rinnovazione di una prova dichiarativa decisiva possa essere giustificata dal fatto che dalle altre dichiarazioni - in alcun modo connesse - i giudici di secondo grado non abbiano ricavato nuovi e ulteriori elementi". 2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza e illogicita' della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, con riguardo alla propria eccezione di inammissibilita', avanzata con la memoria del 25 ottobre 2018, degli appelli del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma e delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) per inosservanza, rispettivamente, dell'articolo 593-bis c.p.p., comma 2 (per avere il procuratore generale proposto l'impugnazione senza che il procuratore della Repubblica avesse prestato espressamente acquiescenza), e dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) (per la mancata enunciazione "delle richieste, anche istruttorie"). Il ricorrente lamenta, da un lato, il carattere apparente della motivazione della Corte d'appello riguardo alle suddette eccezioni e, dall'altro lato, con specifico riferimento alla motivazione relativa alla prima di esse, la sua illogicita', dovendosi ritenere, appunto, illogico, in quanto privo di "un riscontro concreto sul piano processuale", asserire, come fatto dalla Corte d'appello, che sarebbe stato onere della difesa provare se l'assenza dell'appello del procuratore della Repubblica fosse "casuale o frutto di intesa o altra forma di coordinamento, promossa dal Procuratore Generale con i procuratori della Repubblica del Distretto, ai sensi dell'articolo 166 bis delle norme di attuazione c.p.p.". 2.1.3. Con il terzo motivo, il (OMISSIS) deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, con riguardo alla configurabilita' dell'elemento materiale del delitto di usura. Il ricorrente lamenta che la motivazione della sentenza impugnata dovrebbe ritenersi: in primo luogo, mancante "e/o non sufficientemente in grado di superare lo sforzo imposto dal principio della c.d. motivazione rafforzata", in quanto, con riguardo all'elemento materiale dell'usura, si e' limitata a richiamare il contenuto della conversazione intercettata tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), che il giudice di primo grado aveva ritenuto inidonea a fornire "definitivi elementi di certezza"; in secondo luogo, contraddittoria e illogica la' dove ancora la ricostruzione dei fatti al dubbio, da essa stessa espresso a pag. 18, per cui "(n)on e' stato chiarito pero' se i titoli in questione fossero stati consegnati, tutti, in pagamento delle nuove rate, scaturenti dalle ricognizioni di debito e dai relativi piani di rateizzazione oppure se, alcuni dei detti assegni, sottoscritti da (OMISSIS) e consegnati al (OMISSIS), riguardassero precedenti prestiti, mai quantificati in questa sede, diversi da quello di Euro 50.000,00". 2.2. Il ricorso di (OMISSIS). (OMISSIS) affida il proprio ricorso a sei motivi. 2.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli articoli 81 e 644 c.p., nonche' agli articoli 192 (quanto ai criteri di valutazione della prova indiziaria), 533, comma 1 (quanto al principio del "al di la' di ogni ragionevole dubbio"), e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Il (OMISSIS) lamenta, in particolare, che la Corte d'appello di Roma: a) non ha "adeguatamente e logicamente argomentato in ordine alla sussistenza di incongruenze e lacune nel narrato delle persone offese"; b) non ha fornito "una plausibile spiegazione (...) alla incongruenza tra il narrato delle parti offese e le risultanze dell'attivita' di captazione con riferimento all'importo dei prestiti erogati", atteso che "il narrato delle parti offese relativo al prestito di Euro 90.000,00 contrasterebbe con le risultanze dell'attivita' di captazione ambientale del 18/12/2012 e del 7/2/2013 nelle quali si fa esplicito riferimento alla dazione di un importo pari ad Euro 135.000,00 a titolo di investimento immobiliare"; c) "non ha preso in considerazione neppure le risultanze della consulenza tecnica di parte disattendendo la richiesta di rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale", per l'esame del proprio consulente tecnico, e cio' in modo illogico, atteso che "la stessa Corte riconosceva la mancanza di chiarezza riguardo ai titoli consegnati alle parti offese"; d) "non ha indicato l'iter seguito per superare il contrasto inerente la restituzione del capitale pari ad Euro 170.000,00, anziche' pari ad Euro 90.000,00 come riferito dalle parti offese", capitale di Euro 170.000,00 che risultava dal contenuto della conversazione tra il (OMISSIS) e (OMISSIS) del 18 dicembre 2012; e) "ha fornito una motivazione illogica e carente con riferimento alla ricognizione di debito che la parte offesa (OMISSIS) sarebbe stato costretto a sottoscrivere con atto gia' compilato", atteso che "la conversazione ambientale richiamata dalla stessa Corte lasciava emergere una situazione completamente diversa"; f) non ha fornito "(n)essuna argomentazione (...) in merito alla doglianza relativa alla erronea ricostruzione degli importi totali operata dalla Guardia di Finanza", dovendosi "(rammenta(re) che gli operanti avevano ricostruito l'importo totale delle somme restituite calcolando anche gli assegni smarriti, protestati o annullati (...) e non tenendo conto della modifica del capo di imputazione con ampliamento della data di commissione del reato da (OMISSIS)", con la conseguenza che, "(e)liminando tale importo, erroneamente conteggiato, il valore del tasso di interesse sarebbe stato (...) inferiore a quello del 16,65% stabilito dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per la rilevazione dei tassi globali medi ai fini dell'applicazione della Legge sull'usura". 2.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli articoli 603 e 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Il (OMISSIS) lamenta l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata con riguardo al diniego della richiesta riassunzione dell'esame del proprio consulente tecnico Dott. (OMISSIS), atteso che "e' la stessa Corte, facendo riferimento da un lato alla ricognizione di debito sottoscritta dal ricorrente e dall'altro alla conversazione captata in data 18/12/2012 tra quest'ultimo e la parte offesa (OMISSIS), a confermare la sussistenza di incongruenze nella ricostruzione degli importi totali erogati sia a titolo di prestito che a titolo di restituzione e/o interessi" e che "una ulteriore incongruenza attiene alla erronea ricostruzione degli importi totali operata dalla Guardia di Finanza", come gia' evidenziato nel primo motivo. 2.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli articoli 62-bis c.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Lamenta il carattere apparente della motivazione della sentenza impugnata con riguardo al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e che la Corte d'appello ha omesso "di fornire sul punto qualsivoglia argomentazione in ordine al comportamento processuale tenuto dall'imputato nonche' allo stato di incensuratezza dello stesso". 2.2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli articoli 81, 132 e 133 c.p. e all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Lamenta che la Corte d'appello di Roma ha omesso di motivare con riguardo alla quantificazione della pena irrogata sia per il reato piu' grave sia per i reati satellite. 2.2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all'articolo 644 c.p., comma 6, e all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), con riguardo alla disposta confisca per equivalente. Il (OMISSIS) lamenta che la motivazione della sentenza impugnata "appare assolutamente carente sia in ordine all'iter seguito per giungere alla quantificazione degli interessi e dei guadagni percepiti dal ricorrente sia in ordine alla effettiva disponibilita' dei beni oggetto di confisca da parte dello stesso". 2.2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli articoli 538 "e ss." e all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), con riguardo alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili, per non avere la Corte d'appello "fornito alcuna argomentazione in ordine ai criteri stabiliti per la liquidazione delle spese del grado sostenute dalle (stesse) parti civili". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS). 1.1. In ordine logico, deve essere anzitutto esaminato il secondo motivo. Esso non e' fondato sia nella parte che riguarda la motivazione della sentenza impugnata sull'eccezione di inammissibilita' dell'appello proposto dal procuratore generale sia nella parte che riguarda la motivazione della sentenza impugnata sull'eccezione di inammissibilita' dell'appello proposto dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS). 1.1.1. Quanto alla prima delle suddette eccezioni, il Collegio ritiene di dare continuita', condividendolo, al principio, affermato da Sez. 2, n. 6534 del 15/12/2021, De Dominicis, Rv. 282814-02, secondo cui, in tema di appello della parte pubblica, ai fini della legittimazione del procuratore generale presso la corte d'appello a proporre impugnazione avverso una sentenza del tribunale, non e' necessario che a questa il procuratore della Repubblica abbia espressamente prestato acquiescenza, ragion per cui e' rituale l'appello proposto dal procuratore generale prima dello spirare dei termini previsti per il procuratore della Repubblica, spettando al giudice desumere l'intervenuta acquiescenza dalla mancata impugnazione. In motivazione, la Corte ha precisato che e' ben possibile che, per effetto di intese o di altre forme di coordinamento promosse ai sensi dell'articolo 166- bis disp. att. c.p.p., il procuratore della Repubblica abbia comunicato la propria acquiescenza alla pronuncia. Si ritiene quindi di non seguire, come gia' fatto dalla citata Sez. 2, n. 6534 del 15/12/2021, l'opposto orientamento, fatto proprio da Sez. 5, n. 34831 del 26/09/2021, non massimata, secondo cui l'acquiescenza non puo' essere tacita ma deve essere espressa e il procuratore generale e' legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza del tribunale soltanto quando siano gia' spirati inutilmente i termini per impugnare nei confronti del procuratore della Repubblica. Secondo questo orientamento, poiche' la legittimazione deve sussistere nel momento in cui e' proposta l'impugnazione, l'acquiescenza ricorre soltanto quando il potere di impugnazione non sia stato esercitato e il procuratore generale potra' proporre appello soltanto quando siano gia' spirati nei confronti del procuratore della Repubblica i termini per impugnare e questi non abbia esercitato il suo potere. Tale orientamento non e' condivisibile. La ratio dell'articolo 593-bis c.p.p. consiste nell'evitare una duplicazione di impugnazione da parte di diverse autorita' giudiziarie. Tuttavia, la predetta interpretazione dell'acquiescenza come presupposto di fatto della legittimazione a impugnare che deve sussistere nel momento in cui viene presentata l'impugnazione comporta effetti irragionevoli, poiche' contrae la legittimazione a impugnare del procuratore generale a quel breve arco di tempo determinato dalla diversa decorrenza di fatto dei termini di impugnazione delle due autorita' giudiziarie, mentre l'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. dispone che, proprio al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione della sentenza di primo grado, il procuratore generale promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto. Ma e' di tutta evidenza che tali intese non possono trovare ingresso nel processo. Ne consegue che e' ben possibile che il procuratore della Repubblica abbia comunicato la propria acquiescenza a una pronunzia e il procuratore generale abbia voluto esercitare il proprio potere sussidiario prima dello spirare dei termini per il procuratore della Repubblica, senza dover attendere che venga meno la legittimazione a impugnare del procuratore della Repubblica. Sara' il giudice dell'impugnazione a verificare se il procuratore Generale ha fatto legittimo utilizzo del suo potere, desumendo l'acquiescenza dalla mancata impugnazione del procuratore della Repubblica. Ed e' questo che la Corte d'appello di Roma ha correttamente fatto, rilevando come l'appello del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma fosse "l'unico atto di impugnazione, della parte pubblica, presente in atti". 1.2.2. Quanto alla motivazione della sentenza impugnata sull'eccezione di inammissibilita' dell'appello proposto dalle parti civili, si deve rilevare che, come risulta dalla memoria del 25 ottobre 2018 presentata, ai sensi dell'articolo 595 c.p.p., comma 3, dal (OMISSIS), questi eccepi' l'inammissibilita' dell'appello delle parti civili perche' privo dell'enunciazione specifica - prevista, a pena di inammissibilita', dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c - delle "richieste". La Corte d'appello di Roma ha rigettato l'eccezione con la motivazione che "risulta pienamente soddisfatto il requisito richiesto dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera a), avendo l'appellante specificamente enunciato di dolersi dei capi della sentenza di primo grado aventi a oggetto l'assoluzione di (OMISSIS) e di (OMISSIS)". Tuttavia, come si e' detto, l'eccezione sollevata dal (OMISSIS) riguardava la mancanza, nell'atto di appello delle parti civili, dell'enunciazione specifica non del requisito previsto dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera a (cioe' "dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione") ma del requisito previsto dallo stesso articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera d (cioe' "delle richieste"). Cio' nonostante, si deve ritenere che l'eccezione di inammissibilita' dell'appello delle parti civili proposta dal (OMISSIS) non fosse fondata. A tale proposito, trova infatti applicazione il principio, affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni e' ammissibile anche quando non contenga l'espressa indicazione che l'atto e' proposto ai soli effetti civili (Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, Rv. 254130-01). E' quindi sufficiente rilevare che l'atto di appello delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) presentava la chiara indicazione di essere volto a tutelare gli interessi civili dei predetti appellanti, lamentando che il Tribunale di Roma avesse ritenuto l'insussistenza del reato di cui al capo A) dell'imputazione, contestato ad (OMISSIS), e del reato di cui al capo C) dell'imputazione, contestato a (OMISSIS) - reati dai quali discendeva il proprio sostenuto ma negato (dal Tribunale di Roma) diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno - e indicando anche gli interessi usurari asseritamente dati o promessi ai predetti due imputati, con cio' chiarendo, senza ombra di dubbio, quali fossero gli interessi civili che i predetti appellanti si proponevano di conseguire mediante la proposizione dell'appello. 1.2. Il primo e il terzo motivo - i quali, attenendo entrambi all'affermazione di responsabilita' del ricorrente, con ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, sotto i connessi profili della rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa (primo motivo) e della cosiddetta motivazione rafforzata (terzo motivo), devono essere esaminati congiuntamente - sono fondati, nei termini che seguono. 1.2.1. Con riguardo al significato e alla portata dei due menzionati profili, si ritiene di riportare qui di seguito, per la sua chiarezza, la motivazione di Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056-01: "2. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che la riforma in appello della pronuncia assolutoria di primo grado, nel postulare un giudizio di colpevolezza conforme al parametro dell'oltre ogni ragionevole dubbio, suscettibile di scardinare il pronunciamento liberatorio, impone al giudice del gravame il rispetto di due regulae iuris: da un lato, quella del ricorso ad una motivazione c.d. rafforzata; dall'altro, qualora la decisione scaturisca da una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, quella della necessaria rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, in ossequio ai principi di rango convenzionale (articolo 6, comma 3, lettera d CEDU) e costituzionale (articoli 24 e 111 Cost.) di immediatezza della prova, del rispetto del contraddittorio e, piu' in generale, del giusto processo. Non diversamente, si e' evidenziato, l'obbligo della motivazione rinforzata si impone per il giudice di appello tutte le volte in cui ritenga di ribaltare la decisione del giudice di primo grado, sia assolutoria che di condanna. N Tale principio e' ormai consolidato ed e' parte integrante dell'ordinamento giuridico vivente; tale obbligo non opera invece nel caso di conferma della sentenza di primo grado, perche', in questa ipotesi, la motivazione della decisione di appello si salda con quella precedente fino a formare un unico complesso argomentativo. Quanto all'obbligo di motivazione rafforzata e, dunque, a prescindere dalla previsione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis quando il giudice deve dare una spiegazione razionalmente diversa rispetto alla ratio decidendi di una sentenza di primo grado e arrivare a spiegare altrettanto razionalmente perche' ritiene di ribaltarla, deve indicare le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado. Si applica inoltre in tutti i casi la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, atteso che l'articolo 533 c.p.p. e' ormai diventato la regola fondamentale di giudizio. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272480). Il tema su cui riflettere e' allora cosa debba intendersi per motivazione rinforzata. Si nota correttamente in dottrina che una motivazione rafforzata e' quella che abbia una "forza persuasiva superiore", in grado cioe' di conferire al decisum la maggior solidita' possibile. La motivazione rinforzata presuppone ed impone, innanzitutto, una cautela decisionale, cioe' un'attenzione valutativa e una prudenza deliberativa per cosi' dire maggiorate nella disamina di quel dato istituto di diritto sostanziale o processuale, ovvero per quel determinato aspetto della vicenda giuridica. Fare riferimento ad una "motivazione rafforzata" significa attendersi un apparato giustificativo nel quale siano esposte quelle tappe non eludibili del percorso che il giudice e' tenuto a compiere nell'attivita' di giudizio: tappe che - di nuovo - possono essere tanto di diritto sostanziale quanto di diritto processuale, segnate direttamente dalla legge oppure ricavabili da indicazioni giurisprudenziali espresse e consolidate (cfr. articolo 618 c.p.p., comma 1 bis). Insomma, si osserva acutamente in dottrina, una motivazione sempre piu' vincolata nelle sue cadenze. Sotto altro profilo, il tema attiene alla corretta applicazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis che impone la rinnovazione della istruzione dibattimentale nel caso di impugnazione del pubblico ministero di una sentenza assolutoria. Cio' che deve essere verificato e' se nel caso di specie siano stati violati i limiti e la portata dell'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva nel caso di riforma in appello di una sentenza di assoluzione. La questione, in particolare, attiene all'ambito applicativo dei principi affermati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza "Dasgupta" (Sez. U., n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267486-267492). E' noto come le Sezioni Unite, dirimendo i dubbi di compatibilita' tra l'articolo 6 CEDU cosi' come interpretato nella sua portata dalla giurisprudenza delle Corti Europee - e le regole di formazione e valutazione della prova dichiarativa in appello, nel caso di riforma di una precedente sentenza di assoluzione, abbiano ricostruito il tema sulla base dei rapporti tra la normativa interna e quella convenzionale, facendo applicazione dei principi affermati dalle cd. sentenze gemelle della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, nonche' dall'affermazione secondo cui i principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali costituiscono un vincolo per il giudice nazionale, se riferiti ad un orientamento convenzionale "consolidato" ovvero ad una decisione "pilota" (sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015). La Corte di cassazione ha chiarito come la previsione contenuta nell'articolo 6, par. 3, lettera d), CEDU implichi che il giudice di appello, in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado (anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato), a seguito dell'impugnazione del pubblico ministero cha adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non puo' riformare in chiave di condanna la sentenza impugnata, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l'istruzione dibattimentale ed a risentire quindi i soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (cfr. Rv. 267487). Costituisce, infatti, secondo le stesse Sezioni Unite, orientamento consolidato della giurisprudenza Europea quello secondo cui, nel giudizio d'appello, e' consentita l'affermazione di responsabilita' dell'imputato prosciolto in primo grado sulla base di prove dichiarative solo se vengano nuovamente, direttamente, assunti i testimoni, in caso contrario incorrendosi nella violazione dell'articolo 6 CEDU e, in particolare del par. 3, lettera d), che assicura il diritto dell'imputato di "esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico" (Corte EDU Dan c. Moldavia del 05/11/2011; Manolachi c. Romania del 05/03/2013 e Flueras c. Romania del 09/04/2013; Lorefice c. Italia del 29/06/2017). Il presupposto per l'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa e' costituito dalla diversa valutazione di una prova dichiarativa decisiva. Si tratta di un aspetto centrale del tema: quanto piu' e' ampio il concetto di prova decisiva, tanto piu' si conforma l'obbligo di rinnovazione della prova nel giudizio di appello. Quello di prova decisiva e' un concetto che le Sezioni unite hanno dovuto definire, consapevoli che, diversamente da quanto accade in tema di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, nella specie il concetto di decisivita' non poteva riguardare una prova non assunta in primo grado e che, se assunta, avrebbe avuto la portata di disarticolare il ragionamento probatorio posto alla base del convincimento del giudice, quanto, piuttosto, di una prova gia' assunta e che aveva avuto un determinato ruolo nella formazione del convincimento del giudice e nell'affermazione del giudizio di responsabilita'. Secondo le Sezioni unite costituiscono prove decisive quelle che hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione di primo grado e che, pur in presenza di altre fonti di prova di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonche' quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna. Se questa e' la definizione "positiva" di prova decisiva, la Suprema Corte ha fornito anche indicazioni in negativo: non si ritiene decisivo quell'apporto dichiarativo il cui valore probatorio, in se' non idoneo a formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell'affermazione della responsabilita'. I principi affermati dalla sentenza Dasgupta sono stati confermati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte "Patalano" (Sez. U, n. 18620 del 19/1/2107, Patalano, Rv. 269785-269787)". 1.2.2. La Corte d'appello di Roma non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Il Tribunale di Roma aveva assolto il (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo B) in quanto: a) sulla base dell'espletata istruttoria dichiarativa, come era stato evidenziato anche dal consulente tecnico della difesa, il commercialista (OMISSIS), "non si e' avuta alcuna certezza degli esatti importi del prestito erogato, ne' dell'eventuale previsione di interessi e dell'avvenuta restituzione, cosi' da poter ricostruire i fatti nei termini ipotizzati dall'accusa"; b) dal contenuto dell'intercettata conversazione tra l'imputato e (OMISSIS) del 18 dicembre 2012, "non e' possibile ricavare definitivi elementi di certezza" in quanto il (OMISSIS), parlando con (OMISSIS), aveva rappresentato piu' volte di avere versato a vario titolo, nelle mani di (OMISSIS), ben piu' della somma di Euro 50.000,00 indicata nel capo B) dell'imputazione - richiamando anche una precedente iniziativa imprenditoriale che aveva intrapreso con (OMISSIS) - e non aveva mai fatto riferimento, neppure in forma allusiva, al pagamento di interessi. Dunque, secondo il Tribunale di Roma, sarebbe mancata la prova dell'elemento oggettivo del reato. Rispetto a tale quadro di riferimento, la Corte d'appello di Roma ha riformato la sentenza di assoluzione del predetto Tribunale, sulla base, anzitutto, delle stesse dichiarazioni che erano state rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) in primo grado, nonche' delle dichiarazioni rese davanti alla stessa Corte da (OMISSIS), la cui escussione era stata rinnovata, il quale aveva "ribadito quanto affermato in primo grado". La Corte d'appello di Roma non ha tuttavia adeguatamente spiegato perche' tali dichiarazioni - sulla base delle quali, come si e' detto, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che non si fosse "avuta alcuna certezza degli esatti importi del credito erogato, ne' dell'eventuale previsione di interessi e dell'avvenuta restituzione" - consentissero invece di ritenere provata l'erogazione, da parte del (OMISSIS), del prestito di Euro 50.000,00 con la dazione o la promessa, da parte delle persone offese, degli interessi usurari indicati nel capo B) dell'imputazione. La Corte d'appello di Roma ha riformato la sentenza di assoluzione anche sulla base del contenuto dell'intercettata conversazione tra presenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 18 dicembre 2012, rappresentando come, nonostante anche dalla stessa conversazione fosse pacificamente emerso che " (OMISSIS) aveva delle pregresse pendenze con (OMISSIS) per precedenti operazioni commerciali", " (OMISSIS), nella sua conversazione col (OMISSIS), "tiene sempre distinte le due situazioni" e, quando (OMISSIS) contestava allo stesso (OMISSIS) di avergli corrisposto consistenti interessi a fronte del prestito di Euro 50.000,00, il (OMISSIS) "dirott(ava) continuamente il discorso sugli esborsi da lui sostenuti, per finanziare (OMISSIS) ( (OMISSIS)) senza mai rispondere a tono alle osservazioni che gli vengono mosse". La Corte d'appello di Roma non ha tuttavia adeguatamente spiegato, anche riportando o, quanto meno, riassumendo, il contenuto di tale conversazione - dal quale, come si e' detto, il Tribunale di Roma aveva ritenuto non fosse "possibile ricavare definitivi elementi di certezza" proprio in ragione del fatto che, da esso, era emerso che il (OMISSIS) aveva versato, a vario titolo, importi ben superiori alla somma di Euro 50.000,00 indicata nel capo B) dell'imputazione - da quali particolari passaggi della stessa conversazione avesse tratto il convincimento che il (OMISSIS), a fronte dello specifico menzionato prestito di Euro 50.000,00, avesse preteso degli interessi usurari. Infine, la sentenza impugnata merita censura anche per avere rigettato la richiesta della difesa dell'imputato di rinnovazione dell'audizione del consulente tecnico della stessa difesa Dott. (OMISSIS), nonostante la deposizione dello stesso consulente avesse contribuito, come si e' detto, a determinare l'assoluzione del (OMISSIS) da parte del Tribunale di Roma. Pertanto, con riferimento ad (OMISSIS), si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma. Il giudice del rinvio dovra' anche verificare la possibilita' della rinnovazione dell'audizione dell'altra persona offesa (OMISSIS), la cui rinnovazione, precedentemente disposta, era stata revocata dalla Corte d'appello di Roma in ragione dell'impedimento dello stesso (OMISSIS) per ragioni di salute di non semplice ne' rapida risoluzione. 2. Il ricorso di (OMISSIS). 2.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Le conformi sentenze dei giudici di merito hanno ritenuto la responsabilita' del (OMISSIS) per il reato di usura a lui attribuito di cui al capo A) dell'imputazione sulla base dei seguenti elementi probatori: a) le dichiarazioni rese dalle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), motivatamente ritenute attendibili; b) il contenuto dell'intercettata conversazione tra presenti del 18 dicembre 2012 tra (OMISSIS) e il (OMISSIS), durante la quale quest'ultimo, oltre ad ammettere il prestito, ammetteva altresi' di avere chiesto e ottenuto, a fronte dello stesso, un interesse del 5%/7% mensile e, per alcuni mesi, anche dell'8% mensile, chiaramente usurario (un ampio passaggio della conversazione e' riportato alle pagg. 7 e 8 della sentenza di primo grado); c) le dichiarazioni rese dal testimone della polizia giudiziaria M.llo (OMISSIS), il quale aveva riferito che, sulla scorta della somma degli importi degli assegni che erano stati emessi dalle persone offese, era risultata la corresponsione, da parte delle stesse al (OMISSIS), di un interesse annuo del 62,45%; d) il contenuto della ricognizione di debito per Euro 170.000,00 rilasciata dalle persone offese in favore del (OMISSIS), in forza della quale questi aveva ottenuto la promessa, da parte delle predette persone offese, della corresponsione di un interesse del 7% mensile, chiaramente usurario. Si tratta di una motivazione che, in modo del tutto esente da contraddizioni e illogicita', appare pienamente coerente con le menzionate inequivocabili emergenze istruttorie sulle quali la essa si basa e a fronte della quale le doglianze del ricorrente, alcune delle quali fondamentalmente generiche, lungi dall'evidenziare contraddizioni o illogicita' su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, si sostanziano, in effetti, in un "attacco" alla persuasivita' della motivazione e nella sollecitazione di una differente valutazione del significato probatorio da attribuire a singoli elementi probatori (in particolare: alle dichiarazioni delle persone offese, al contenuto della menzionata intercettata conversazione tra presenti, alle dichiarazioni del testimone M.llo (OMISSIS) e al contenuto della ricordata ricognizione di debito), per giungere a conclusioni differenti in ordine alla valenza degli stessi elementi, cio' che non e' ammissibile in questa sede di legittimita' (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747-01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01). 2.2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale svolta in primo grado e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria. Tale accertamento e' rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620-01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353-01; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, dep. 2004, Ligresti, Rv. 229666-01). L'impossibilita' di decidere allo stato degli atti sussiste unicamente quando i dati probatori gia' acquisiti siano incerti, nonche' quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per se' oggettivamente idoneo a inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228-01; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01). Nel caso in esame, la Corte d'appello di Roma ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto insussistente il presupposto di legge della necessita' della sollecitata rinnovazione dell'audizione del consulente tecnico della difesa del (OMISSIS) Dott. (OMISSIS), correttamente motivando al riguardo. La Corte d'appello di Roma ha infatti sostanzialmente evidenziato la completezza dell'indagine dibattimentale svolta in primo grado - rispetto alla quale le ulteriori dichiarazioni dei testimoni (OMISSIS) e M.llo (OMISSIS) "non avevano apportato nuovi elementi" - con la conseguente evidente possibilita' di decidere allo stato degli atti, attesa la mancanza di incertezza dei dati probatori gia' acquisiti, e inidoneita' di una nuova audizione del Dott. (OMISSIS) a inficiarli. 2.3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01). Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato e alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01). Nel caso di specie, la Corte d'appello di Roma ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi, attinenti alla gravita' del reato, della durata dell'azione criminosa, dell'entita' delle somme pretese a titolo di interesse usurario e del ricorso a minacce per ottenerne la corresponsione, cosi' legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali anche quelli, dedotti dall'imputato, relativi al suo buon comportamento processuale e al suo stato di incensurato. Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimita' sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimita'. 2.4. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. La giurisprudenza della Corte di cassazione e' costante nell'affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e' insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu', se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita' e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01). Anche successivamente, e' stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Nel caso di specie, la pena irrogata di quattro anni di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa e' di gran lunga al di sotto della media edittale della pena per il delitto di cui all'articolo 644 c.p. (pari a sei anni di reclusione ed Euro 17.500,00 di multa) e, in ogni caso, i giudici di merito (in particolare, alla pag. 9 della sentenza di primo grado) hanno indicato le ragioni dell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale, facendo riferimento all'entita' e alla durata del reato. Da cio' la manifesta infondatezza della doglianza relativa al trattamento sanzionatorio. 2.5. Il quinto motivo e' inammissibile in quanto generico. Il ricorrente ha infatti del tutto omesso di indicare sia valore degli interessi usurari al quale egli ritiene avrebbe dovuto essere commisurato l'importo della disposta confisca per equivalente sia di quali dei beni di cui la Corte d'appello di Roma ha ordinato la stessa confisca egli non avrebbe l'effettiva disponibilita'. 2.6. Il sesto motivo e' inammissibile per genericita'. Il ricorrente ha infatti del tutto omesso di indicare, anche in modo sommario, le ragioni della ritenuta illegittimita' della liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili e l'eventuale violazione dei limiti tariffari relativi alle attivita' difensive (Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, C., Rv. 268443-01. In senso analogo: Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Fede, Rv. 256358-01 e, con riguardo alla sentenza di patteggiamento, Sez. 5, n. 9744 del 12/12/2014, dep. 2015, Rv. 263099-01). 3. In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata con riferimento a (OMISSIS), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma; b) il ricorso di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Lo stesso (OMISSIS) deve essere altresi' condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in complessivi Euro 2.570,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con riferimento a (OMISSIS), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, il (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 2.570,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. PACILLI G.A.R. - rel. Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza n. 450/2021 emessa dalla Corte d'appello di Potenza il 24 settembre 2021; Visti gli atti, la sentenza e i ricorsi; udita nell'udienza del 7 febbraio 2023 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Raffaele Gargiulo, che ha chiesto di rigettare il ricorso di (OMISSIS) e di annullare senza rinvio limitatamente alla confisca e di rigettare nel resto il ricorso di (OMISSIS); uditi l'avv. Luigi Angelucci, difensore di (OMISSIS), e gli avv.ti (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), i quali hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 settembre 2021 la Corte di appello di Potenza, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa citta' il 12 marzo 2018, per cio' che rileva in questa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di truffa pluriaggravato, perche' estinto per prescrizione, e ha confermato le statuizioni civili di primo grado. Ha confermato, inoltre, la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di usura pluriaggravato. 2. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori di (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto i seguenti motivi. 3.1 erronea applicazione dell'articolo 644 c.p. in relazione all'articolo 379 c.p. L'affermazione di responsabilita' dell'imputato sarebbe stata basata sulle dichiarazioni della persona offesa, poco credibile, sui pizzini, oggetto di consulenza tecnica di ufficio, e sulle dichiarazioni di (OMISSIS), che avrebbe sostenuto che, in un periodo in cui doveva andare al mare, aveva chiesto all'imputato di ricevere circa 60.000,00 Euro, che gli avrebbe consegnato la persona offesa. Seppure fosse vera la circostanza della consegna di denaro da parte della persona offesa all'imputato su ordine di (OMISSIS), in assenza di ulteriori riscontri, i fatti sarebbero qualificabili ai sensi dell'articolo 379 c.p. e non come usura; 3.2 vizi di motivazione su un risultato di una prova incontestabilmente diverso da quello reale. La sentenza impugnata avrebbe operato un mero rinvio alla sentenza di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame con particolare riferimento a quelli relativi alla vendita dell'autovettura Porsche 911, il cui valore sarebbe servito per pagare i debiti contratti con (OMISSIS). Dalla trascrizione delle conversazioni intercettate emergerebbe, inoltre, che la persona offesa e i suoi interlocutori non avrebbero mai fatto riferimento all'imputato e i pizzini, oggetto di perizia, sarebbero tutti generici e senza una data certa, oltre che falsi, in quanto gli stessi risultavano vergati nel 2008, cosi' come riportato a pagina 73 e 8 dell'allegato 16 della C.T.U.; 3.3 violazione di legge, per non essere stata dichiarata la prescrizione del reato. Non vi sarebbe certezza sul periodo dell'ultimo pagamento, effettuato nei confronti dell'imputato da parte della persona offesa, sicche' bisognerebbe applicare lo stesso dato temporale preso in considerazione per i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e, per l'effetto, ritenere abbondantemente decorso il termine di prescrizione. 4. Il difensore di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) ha dedotto i seguenti motivi: 4.1 mancanza di motivazione sull'atto d'appello, depositato dall'avv. (OMISSIS). La Corte d'appello avrebbe preso in considerazione solo i motivi di appello contenuti nell'atto depositato dal codifensore avv. (OMISSIS). La fondatezza di tale rilievo si evincerebbe anche dal fatto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle prove valorizzate nell'atto di appello, tra cui la sentenza emessa nel procedimento a carico di (OMISSIS), i pizzini, trasfusi graficamente nell'atto di appello medesimo, le dichiarazioni dei testi d'accusa favorevoli e, nel contempo, decisive per l'imputato; 4.2 vizi della motivazione. La Corte di appello ha confermato le prescrizioni civili, condividendo la valutazione delle risultanze istruttorie, operata dal Tribunale, e richiamando le propalazioni della parte civile (OMISSIS) e della teste (OMISSIS), ex segretaria di (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver consegnato personalmente a (OMISSIS) una somma pari a Euro 150.000,00. La Corte di appello avrebbe trascurato tutti i rilievi, riportati nel secondo motivo del presente ricorso, e avrebbe travisato la prova complessivamente acquisita, da cui non emergerebbe che la procura a vendere l'immobile in Bari fosse stata rilasciata da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), che, invece, sarebbe stato ignaro dell'esistenza di tale procura e che, del resto, non sarebbe mai stato coinvolto nell'operazione contrattuale in questione, come emerso dalle dichiarazioni della teste (OMISSIS); 4.3 violazione di legge in relazione agli articoli 578 e 578 bis c.p.. Premesso che il giudice di secondo grado, pur prendendo atto della sopravvenuta causa estintiva del reato, per la presenza della parte civile e ai fini delle statuizioni civili, ha l'obbligo di motivare, il ricorrente ha dedotto che la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare sulla ritenuta responsabilita' dell'imputato. 5. Il difensore di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) ha dedotto i seguenti motivi: 5.1 violazione di legge per non avere la Corte di appello dato risposta a tutti i motivi di appello e per non aver considerato l'atto di appello dell'avv. (OMISSIS) ne' nell'enunciazione dei motivi, proposti nell'interesse di (OMISSIS), ne' nella motivazione; 5.2 violazione e falsa applicazione degli articoli 2643, 2657 e 1724 c.c. Con l'atto di appello era stata censurata l'erronea valutazione dei mezzi di prova e, quindi, l'omesso apprezzamento dell'ininfluenza della procura irrevocabile a vendere del 20 febbraio 2004, autenticata dal notaio (OMISSIS). La Corte d'appello avrebbe ritenuto rilevante la procura a vendere, avendo trascurando pero' che: al momento della redazione di essa l'imputato non sarebbe stato presente; in nessun atto risulterebbe che egli avesse ricevuto la procura e avesse avuto conoscenza dell'esistenza del documento; la procura non sarebbe stata rinvenuta presso l'imputato ma presso la persona offesa. Per di piu', la procura non sarebbe efficace, poiche' se avente natura di atto unilaterale, sarebbe mancata l'accettazione dell'imputato; se avente natura di atto bilaterale, sarebbe difettata la sottoscrizione del procuratore. Peraltro, (OMISSIS) aveva gia' in precedenza conferito incarico di intermediazione immobiliare a una societa' e tale incarico non risulterebbe ne' revocato ne' sospeso, sicche' la procura irrevocabile a vendere in questione era affetta da nullita' per sopravvenuta mancanza/inesistenza dell'oggetto; 5.3 violazione dell'articolo 192 c.p.p. e vizi della motivazione, per non essere la persona offesa stata sentita come imputato di procedimento connesso, con conseguente valutazione delle sue dichiarazioni unitamente agli altri elementi di prova. Secondo il ricorrente, le sue dichiarazioni, come quelle dell'altra testimone, sarebbero state sconfessate dal fatto che la procura a vendere non sarebbe stata rinvenuta nella disponibilita' dell'imputato; la procura a vendere non sarebbe mai stata eseguita da (OMISSIS), avendo trovato attuazione il mandato di intermediazione immobiliare rilasciata al soggetto che poi ha curato l'affare; l'immobile non sarebbe stato venduto da (OMISSIS) ma direttamente dal proprietario; non sarebbe vero che l'importo, ricavato dalla vendita, sarebbe stato versato a (OMISSIS) tramite (OMISSIS), essendo invece stato trattenuto da (OMISSIS), che ne avrebbe liberamente disposto; 5.4 violazione dell'articolo 153 c.p., avendo la Corte territoriale errato nel calcolare la prescrizione del reato, che si sarebbe verificata il 13 giugno 2012, ossia dinanzi al giudice di primo grado, dovendosi applicare la legge antecedente al 2005 ed essendo i prestiti usurari stati effettuati nell'anno 2004; 5.5 violazione dell'articolo 578 bis c.p.p. e articoli 240 bis e 322 bis c.p., articolo 644 c.p., u.c.. Dopo aver ricordato che e' stata sottoposta a confisca la casa di famiglia, a lui pervenuta per successione paterna nell'agosto del 1978, il ricorrente ha dedotto che l'immobile non potrebbe essere frutto o provento del reato in contestazione. Peraltro, l'immobile sarebbe del valore di Euro 1.512.350,00 e, quindi, la confisca non sarebbe stata disposta nei limiti degli interessi usurari. 6. Si da' atto che sono pervenute conclusioni scritte e nota spese nell'interesse della parte civile (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca disposta nei confronti di (OMISSIS) mentre i ricorsi, proposti da quest'ultimo, sono inammissibili nel resto; il ricorso presentato da (OMISSIS) e' inammissibile. 2. Prendendo le mosse dai ricorsi di (OMISSIS), deve rilevarsi che il primo motivo di essi, con cui si e' dedotto che la Corte territoriale non avrebbe esaminato l'atto di appello a firma dell'avv. (OMISSIS), e' manifestamente infondato. Dalla lettura della pronuncia impugnata, infatti, emerge che la Corte d'appello, pur non dando atto specificamente dei due atti di impugnazione proposti nell'interesse di (OMISSIS), ha riassunto i rilievi censori in essi formulati, che si sostanziavano - come indicato a pagina 6 della sentenza in scrutinio - nella nullita' della sentenza di primo grado, per omessa valutazione delle memorie ex articolo 121 c.p.p., depositate all'udienza del 12 marzo 2018, e nell'erronea valutazione delle risultanze istruttorie: espressione, quest'ultima, sintetica ma riassuntiva anche delle deduzioni espresse nell'atto di appello a firma dell'avv. (OMISSIS). A tali rilievi la Corte territoriale ha dato risposta, dovendosi comunque considerare che il giudice d'appello non e' tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacche' le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilita' con la ricostruzione effettuata (per tutte, Sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, Rv. 223061). 3. Il secondo motivo di entrambi i ricorsi, proposti da (OMISSIS), e il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), sono in parte non consentiti e, in parte, privi di specificita'. 3.1 Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte del merito non si e' limitata ad aderire alle conclusioni, a cui era pervenuto il Giudice di primo grado, ma ha dato adeguata risposta ai motivi di gravame, tenuto conto comunque che, come gia' ricordato nel precedente paragrafo, devono ritenersi implicitamente disattesi i rilievi censori incompatibili con l'iter logico motivazionale della pronuncia adottata. 3.2 Cio' posto, deve rilevarsi che la Corte territoriale, al pari del Tribunale, ha ritenuto accertato che (OMISSIS), coinvolto in un'attivita' usuraria, duratura e reiterata, ai danni dell'imprenditore (OMISSIS), riceveva il denaro, impiegato nei prestiti usurari, da "professionisti finanziatori" che erano a conoscenza dell'impiego delle somme da essi erogate. Tra tali finanziatori vi era anche il ricorrente, come comprovato, in particolare, dalle dichiarazioni della persona offesa, relative a taluni pagamenti del debito usurario da lei effettuati proprio a mani del ricorrente, nonche' dalle intercettazioni richiamate nella sentenza, dagli appunti contabili sequestrati, dalle deposizioni testimoniali e dal coinvolgimento del ricorrente in un'operazione di vendita immobiliare, posta in essere dalla persona offesa per soddisfare i suoi "finanziatori". La persona offesa, infatti, aveva rilasciato in favore dell'imputato, una procura speciale a vendere, relativa a un immobile sito in (OMISSIS), di proprieta' di suo figlio; atto formato con funzione di garanzia, su esplicito ordine scritto del (OMISSIS). A fronte di siffatte argomentazioni le deduzioni, formulate nel ricorso, per un verso, sono prive di specificita', non confrontandosi con la compiuta e lineare motivazione della sentenza impugnata e, dunque, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia, oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 dell'11/3/2009, Rv. 243838); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Rv. 226074). Giova precisare - con specifico riguardo al secondo e al terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), che le deduzioni relative alla violazione dell'articolo 192 c.p.p., per non essere la persona offesa stata sentita come imputato di procedimento connesso, e sulla nullita' e inefficacia della procura a vendere, rilasciata in favore del ricorrente dalla persona offesa, non sono state oggetto di appello e implicano anche accertamenti in fatto, preclusi a questa Corte. Ad ogni modo, per un verso, deve evidenziarsi che cio' che ha assunto rilievo e' stato il rilascio della procura di per se' considerato, a prescindere dall'essere tale atto valido ed efficace, trattandosi di circostanza apprezzata non gia' al fine di valutarne gli effetti della procura sul piano civilistico ma al fine di confortare il narrato della persona offesa sul coinvolgimento anche del ricorrente nella vicenda usuraria; per altro verso, deve osservarsi che le dichiarazioni della persona offesa sono state comunque valutate congiuntamente ad altri elementi del compendio probatorio, posto a base dell'affermazione della responsabilita' del ricorrente. 4. Il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il reato non si e' estinto a giugno 2012, ossia in data antecedente alla pronuncia della sentenza di primo grado, applicando sia la nuova che la vecchia disciplina sulla prescrizione. Deve rilevarsi, infatti, che all'epoca dei fatti (2004, come accertato in sentenza e non posto in discussione dal ricorrente) il reato di usura era punito con la pena della reclusione da 1 a 6 anni e, applicando la vecchia disciplina sulla prescrizione, il relativo termine e' pari a 15 anni (10 anni piu' la meta' di 10). Il termine di 15 anni ha subito sospensioni per 1 anno, 9 mesi e 10 giorni, come indicato a pagina 12 della sentenza impugnata. Con la nuova disciplina sulla prescrizione il termine e' pari a 25 anni. Deve ricordarsi che questa Corte (Sez. 5, n. 43343 del 5/10/2010, Rv. 248783 - 01) ha gia' avuto modo di affermare che, in tema di prescrizione, non e' consentita l'applicazione simultanea di disposizioni introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore convenienza per l'imputato, occorrendo applicare integralmente l'una o l'altra disciplina. Calcolando la prescrizione con la nuova disciplina, quindi, deve considerarsi che il reato di usura e' punito con la pena della reclusione da 2 a 10 anni e, nel caso in esame, trattasi di usura con piu' aggravanti ad effetto speciale, che incidono sul calcolo, per cui, per effetto di esse, i 10 anni di pena edittale vanno aumentati della meta' ai sensi dell'articolo 644 c.p., comma 5, a cui va aggiunto 1/3 ai sensi dell'articolo 63 c.p., comma 4, (v. Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Rv. 275986 - 01, secondo cui, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all'aumento di pena massimo previsto dall'articolo 63 c.p., comma 4, per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l'aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza piu' grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo), oltre a 1/4 per l'atto interruttivo. Inoltre, anche in tal caso occorre considerare che il termine ha subito sospensioni per 1 anno, 9 mesi e 10 giorni, come indicato a pagina 12 della sentenza impugnata. 5. A conclusioni diverse deve pervenirsi con riguardo al terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e al quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), concernenti la confisca. 5.1 I motivi devono essere accolti per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente, che ha fatto leva su rilievi implicanti accertamenti in fatto o smentiti dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha disposto la confisca nei limiti degli interessi usurari conseguiti. Deve, invece, rilevarsi che la confisca e' stata disposta al di fuori dei casi previsti dalla legge e questa Corte (Sez. 6, n. 12531 del 16/01/2019, Rv. 275884 - 01) ha gia' avuto modo di affermare, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265106), che l'illegalita' della pena e, quindi, anche della misura di sicurezza, dipendente da una statuizione ab origine contraria all'assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, e' rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione anche se il ricorso sia inammissibile, salva l'ipotesi in cui l'inammissibilita' derivi dalla tardivita' del ricorso. 5.2 Nel caso in esame, il reato e' stato dichiarato estinto per prescrizione e, ai sensi dell'articolo 578 bis c.p.p., e' stata disposta la confisca per equivalente di un immobile del ricorrente. Come ricordato da Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022 (Rv. 284209 - 01), consistendo in una "forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti", la confisca per equivalente assume un carattere preminentemente sanzionatorio, aggredendo beni che, pur nella disponibilita', anche per interposta persona, dell'autore del reato, sono individuati, senza alcun nesso di pertinenzialita' con il fatto criminoso, in base alla loro corrispondenza con i benefici che il responsabile ha ottenuto o, in determinati casi, fatto indebitamente ottenere ad altri dalla commissione dell'illecito. In altri termini, come evidenziato dal Massimo Consesso, quando l'ordinamento, nell'impossibilita' di apprendere coattivamente, in via diretta, il provento dell'illecito, consente di confiscare, peraltro obbligatoriamente, beni, sia pure del tutto leciti, di valore corrispondente al vantaggio illecito conseguito, ma del tutto scollegati dal reato, la confisca del provento del reato assume una funzione pienamente sanzionatoria. Accanto al carattere sanzionatorio, la confisca presenta una finalita' di recupero, atteso che essa trova applicazione nelle ipotesi in cui e' impossibile confiscare in modo diretto, ai sensi dell'articolo 240 c.p., il profitto, il prodotto o il prezzo del reato. Siccome gli istituti che rientrano nella nozione di sanzione penale devono essere governati necessariamente dagli statuti di garanzia, per quanto qui interessa, predisposti dall'ordinamento interno (articolo 25 Cost., comma 2) e da quello convenzionale (articolo 7 CEDU), e' la funzione sanzionatoria della confisca per equivalente che assorbe quella ripristinatoria e/o le eventuali altre concorrenti funzioni non penali, cui la confisca di valore si atteggi, e non viceversa. 5.3 Le menzionate Sezioni Unite hanno affermato che l'articolo 578 bis c.p.p. - che consente al giudice dell'impugnazione di decidere, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato - non e' una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell'ordinamento, sebbene non codificato, ma e' una norma che ha natura costitutiva in parte qua, perche' attributiva del potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena (la confisca per equivalente) che, anteriormente all'introduzione dell'articolo 578 bis c.p.p., non poteva, secondo il diritto vivente, in alcun modo essere applicata nel caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Dunque, la natura pienamente costitutiva della disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p. esclude che la confisca di valore possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi quando, nel caso di estinzione del reato, tale misura non era in alcun modo adottabile nei confronti dell'autore del reato, quand'anche ne fosse stata accertata la responsabilita' penale. Siffatto principio valeva per la confisca in forma diretta, ma non anche per la confisca di valore, la quale, per essere applicata, nei giudizi di merito, esige che sia stata emessa una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (come per la confisca nei reati tributari Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 12-bis) e che, per essere mantenuta nei giudizi di impugnazione, richiede che una espressa disposizione di legge (l'articolo 578 bis c.p.p. appunto) ne consenta il mantenimento e che rimanga inalterato il giudizio di responsabilita' penale. Nel caso in esame, tuttavia, il giudice del merito ha disposto la confisca per equivalente in relazione a fatti posti in essere anteriormente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, che ha introdotto l'articolo 578 bis c.p.p.. La confisca, quindi, e' stata illegalmente disposta e, quindi, sebbene per ragioni in iure diverse da quelle enunciate nell'atto di impugnazione, in accoglimento dei motivi di ricorso con cui e' stata eccepita l'illegittimita' della disposta confisca per equivalente, la relativa statuizione deve essere eliminata. 6. Passando al ricorso proposto da (OMISSIS), deve rilevarsi che i primi due motivi, afferenti entrambi all'affermazione della responsabilita', non sono consentiti, oltre che manifestamente infondati. 6.1 Al riguardo deve premettersi che questa Corte e' ferma nel ritenere, per un verso, che "e' inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimita' della sentenza d'appello solo perche' motivata "per relationem" alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata" (Sez. 3, n. 37352 del 12/3/2019, Rv. 277161 - 01); per altro verso, che "e' legittima la motivazione "per relationem" della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata e si limita a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio, oggetto di contestazione da parte della difesa, omettendo di esaminare quelle doglianze dell'atto di appello, che avevano gia' trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice" (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259929 01). Ferma restando, quindi, l'astratta legittimita' della motivazione per relationem, nel caso in esame deve rilevarsi che il ricorrente si e' limitato, in sede di ricorso per cassazione, a prospettare un vizio della motivazione, solo perche' la stessa e' avvenuta in relazione alla motivazione di primo grado, senza pero' specificare su quali aspetti dell'atto di appello la sentenza impugnata non aveva compiuto un'adeguata analisi. Ad ogni modo, giova evidenziare che dalla lettura della pronuncia in scrutinio emerge, invece, chiaramente che la Corte di merito ha puntualmente vagliato i motivi di gravame, rilevandone con esauriente e coerente percorso valutativo l'infondatezza. 6.2 Deve poi rilevarsi che la Corte d'appello ha rimarcato che la persona offesa aveva riferito che la prima richiesta di prestito di denaro, rivolta a (OMISSIS) risaliva al 1998 e il rapporto usurario si era protratto per circa 10 anni fino al 2008; ella aveva l'obbligo di restituire il denaro ricevuto, corrispondendo un tasso di interesse pari al 10% mensile e per i prestiti di (OMISSIS) era stato concordato il pagamento di interessi pari all'11/0 mensile. La persona offesa aveva precisato che in due occasioni, verificatisi nel 2005 e nel 2008, si era rivolta personalmente all'imputato (OMISSIS): in un caso, per chiedere la sospensione del pagamento degli interessi e, in un'altra circostanza, per fornirgli rassicurazioni in ordine alla restituzione di alcune somme. Sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, confortate da quelle del teste assistito (OMISSIS), da appunti contabili e dagli esiti della perizia grafologica, la Corte territoriale ha ritenuto provato il coinvolgimento di (OMISSIS) nel rapporto usurario instaurato e gestito tramite (OMISSIS), cosi', dunque, correttamente escludendo la qualificazione dei fatti ai sensi dell'articolo 379 c.p.. A fronte delle argomentazioni della pronuncia impugnata deve ribadirsi che con il ricorso per cassazione non sono deducibili quei rilievi che, sia pure sotto la formale "insegna" della contraddittorieta' o della manifesta illogicita' della motivazione, siano in effetti tesi a sollecitare una rivalutazione delle emergenze processuali e, dunque, una ricostruzione della vicenda sub iudice diversa e stimata piu' plausibile di quella recepita nel provvedimento impugnato, sospingendo questa Corte a un sindacato eccentrico rispetto al giudizio di legittimita', limitato alla verifica della completezza e dell'insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Nel caso in esame, sia pure formalmente evocando travisamenti delle prove, il ricorrente ha sollecitato una interpretazione degli elementi probatori diversa da quella effettuata dalla Corte territoriale, la cui valutazione circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione (cfr. in tal senso: Sez. 5, n. 51604 del 19/9/2017, Rv. 271623 - 01). Motivazione che, nel caso in esame, sfugge ad ogni rilievo censorio. 7. L'ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) e' privo di specificita'. Questa Corte (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330 - 01) ha gia' avuto modo di affermare che il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e' antecedente rispetto a quella contestata, ha l'onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e' stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne' smentibili da altri elementi di prova, acquisiti al processo. Diversamente, l'accertamento in fatto, richiesto al giudice di legittimita', si scontrerebbe inevitabilmente con i limiti del sindacato di legittimita', che non puo' estendersi ad accertamenti fattuali. Nel caso in esame, tale onere non e' stato soddisfatto dal ricorrente, che nemmeno dinanzi al giudice d'appello aveva contestato le date dei pagamenti usurari in questione. 8. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e', quindi, inammissibile e cio' comporta, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' - valutati i profili di colpa nella proposizione del ricorso inammissibile - della somma di Euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria. L'esito dei ricorsi comporta, inoltre, la condanna di entrambi i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dell'aumento dovuto per l'attivita' prestata dal difensore della parte civile nei confronti di piu' imputati. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla disposta confisca, che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.792/00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni - Consigliere Dott. ANDRONIO A. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS), quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l.; avverso l'ordinanza del 31/10/2022 del Tribunale di Monza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Alessandro Maria Andronio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo che l'ordinanza impugnata sia annullata con rinvio; udito l'avv. (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 31 ottobre 2022, il Tribunale di Monza, in sede di appello ex articolo 322-bis c.p.p., ha accolto parzialmente il ricorso e annullato il provvedimento di rigetto dell'istanza di dissequestro emesso dal Gip presso il medesimo Tribunale l'8 ottobre 2022 nella parte in cui non aveva disposto la restituzione della somma di Euro 53.634,69, importo relativo alle fatture emesse nell'anno di imposta 2013, e, per l'effetto, ne ha ordinato la riconsegna all'avente diritto. Il provvedimento si innesta nell'ambito di un piu' ampio procedimento ove (OMISSIS) e' indagato anche per il reato di cui all'articolo 81 c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale rappresentante legale e firmatario delle dichiarazioni annuali dei redditi per gli anni 2013, 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 della societa' (OMISSIS) S.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi, avvalendosi di fatture e documenti di trasporto relativi ad operazioni inesistenti, in particolare di fatture emesse dalla ditta individuale (OMISSIS) e da (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l. ed (OMISSIS) S.r.l. nei confronti della stessa, indicava nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte dirette elementi passivi fittizi. 2. Avverso l'ordinanza la (OMISSIS) S.r.l., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione avente R.G.N. 44883/2022, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce l'inosservanza del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis in relazione all'articolo 240 c.p. e articolo 321 c.p.p., essendo la somma sequestrata maggiore del profitto accertato. Piu' nel dettaglio, in sede di appello ex articolo 322-bis c.p.p. la difesa aveva chiesto il dissequestro dell'importo di Euro 414.968,25 quale profitto del delitto ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 per l'annodi imposta 2013, in considerazione dell'intervenuta prescrizione del reato, essendo trascorsi 8 anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, in assenza di qualsivoglia atto interruttivo. Tuttavia, il Tribunale di Monza, pur avendo riconosciuto lo spirare di detto termine, ha disposto la restituzione a favore dell'istante solo di una parte minoritaria, asserendo che gli altri importi sequestrati in via diretta dovessero essere considerati afferenti alle annualita' dal 2014 al 2017. Al di la' della possibilita' per l'organo giudicante di imputare in via autonoma le somme sequestrate per un'annualita' ad un'altra, esso avrebbe obliterato il fatto che l'intero importo iniziale di Euro 629.040,71 sarebbe risultato gia' appreso dall'autorita' procedente: come risulterebbe dal verbale redatto dalla Guardia di Finanza, gli importi oggetto di sequestro preventivo per una quota, pari ad Euro 267.707,15, sarebbero stati sequestrati in via diretta sui conti correnti della societa', mentre il residuo sui beni immobili dell'indagato. Dunque, allorquando il Tribunale ha riconosciuto l'intervenuta prescrizione per l'annualita' 2013, avrebbe dovuto restituire la somma di Euro 414.968,25, sicche' nel momento in cui ha ritenuto corretto trattenere le somme giacenti sui conti correnti per le ulteriori annualita' oggetto di indagine, la differenza tra quanto riconsegnato in denaro e quanto effettivamente da restituirsi andrebbe attribuita mediante riduzione sul vincolo immobiliare, per un ammontare pari ad Euro 361.333,56. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso, ci si duole della violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 in relazione all'articolo 240 c.p., stante l'impossibilita' di destinare le somme sottoposte a sequestro a titoli diversi di reato. Piu' specificatamente il Tribunale ha ritenuto che, essendo contestate al ricorrente, quale legale rappresentante della societa' (OMISSIS) S.r.l., piu' condotte di evasione fiscale per diverse annualita', le somme acquisite in via diretta per l'anno 2013, in considerazione dell'intervenuta prescrizione, potessero essere traslate sulle annualita' successive. Tale assunto pero', a parere della difesa, contrasterebbe sia con la natura giuridica del delitto di evasione fiscale, avente uno specifico momento consumativo nella presentazione della dichiarazione, che con la fungibilita' dei titoli cautelari. Piu' precisamente, posto che il reato in questione, ove abbracci piu' annualita', non e' da ritenersi quale unico reato, bensi' espressione di piu' fatti criminosi, eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione, anche la confisca e/o il sequestro ai fini di confisca sarebbero da qualificarsi anno per anno e le somme apprese per una singola annualita' non potrebbero, in difetto di specifica richiesta da parte del Pubblico Ministero, essere trasferite ad un'altra annualita' fiscale sulla semplice base della fungibilita' del denaro, peraltro tralasciando il dato che, nel caso di specie, sin da principio sarebbe stato sequestrato l'intero importo qualificato come profitto dei vari delitti addebitati al ricorrente. 3. Come tempestivamente segnalato dalla difesa con comunicazione del 12 gennaio 2023, risulta agli atti un ulteriore e diverso fascicolo avente R.G.N. 44338/2022 ove sono stati inseriti il medesimo ricorso di cui sopra proposto avverso la stessa ordinanza del Tribunale di Monza del 31 ottobre 2022. Preso atto della peculiare situazione, il Presidente titolare della Sezione ha rimesso al collegio la determinazione sulla riunione dei due fascicoli de quibus. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Deve preliminarmente rilevarsi che all'udienza del 10 febbraio 2023 il collegio, sentite le parti, ha ritenuto opportuno procedere alla riunione dei due fascicoli aventi rispettivamente R.G.N. 44883/2022 e R.G.N. 44338/2022 contenenti entrambi lo stesso ricorso proposto avverso il medesimo provvedimento. 5. Il ricorso e' inammissibile. Esso e' stato proposto da (OMISSIS) non in proprio nella sua qualita' di indagato, ma quale legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., soggetto terzo interessato, senza che dagli atti risulti il conferimento di procura speciale al difensore. Va rilevato che e' inammissibile il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in matria cautelare reale proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale (ex multis, Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, dep. 09/01/2018, Rv. 271722), non potendo trovare applicazione, in tal caso, la disposizione di cui all'articolo 182 c.p.c., comma 2, per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (ex multis, Sez. 3, n. 29858 del 01/12/2017, dep. 03/07/2018, Rv. 273505). 6. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI; che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza della Corte d'Appello di Brescia impugnata, in parziale riforma della decisione di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato condizionato all'esame del consulente contabile della fallita e del curatore fallimentare, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dell'ipotesi di bancarotta semplice contestata nei confronti di (OMISSIS), al punto 5 dell'unica imputazione, cosi' riqualificata dal giudice di primo grado, rideterminando la pena inflittagli in anni due e mesi due di reclusione per le residue condotte di bancarotta distrattiva indicate ai punti 6 e 7 (quelle ai punti da 1 a 4 erano state gia' oggetto di assoluzione in primo grado), in continuazione fallimentare con il reato di bancarotta fraudolenta documentale (contestato nell'ultima parte dell'imputazione unica); i giudici d'appello hanno ridotto, quindi, ad anni due la durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., revocando la sospensione condizionale gia' concessagli. L'imputato e' stato condannato in qualita' di titolare dell'omonima ditta individuale, operante nel settore immobiliare, dichiarata fallita dal Tribunale di Brescia il (OMISSIS). 2. Ha proposto ricorso avverso la citata sentenza (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro differenti motivi di censura. 2.1. Il primo argomento difensivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata avuto riguardo al punto 6 della contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con cui si e' ritenuto distrattivo il conferimento di 177.000 Euro nella societa' (OMISSIS) s.r.l., ignorando la logica di gruppo ("familiare") in cui e' stato effettuato - poiche' la beneficiaria era l'impresa immobiliare di riferimento della ditta fallita, di cui il ricorrente era socio di maggioranza (con il 70% delle quote) e che procurava commesse e lavoro alla fallita -, sicche' detto conferimento aveva natura di investimento e non era altro che una trasformazione del patrimonio personale da liquidita' a maggior valore della quota all'interno della societa' immobiliare. La logica di gruppo in cui si inscrivevano le diverse societa' facenti capo al ricorrente ed ai suoi figli non sarebbe smentita dall'autonomia giuridica di ciascuno degli enti rispetto all'altro, essendo unica la politica d'impresa. La logica di gruppo familiare si desume anche dalla stessa sentenza impugnata, che richiama la relazione del curatore. La Corte d'Appello, secondo la tesi difensiva, non avrebbe letto correttamente la disposizione dell'articolo 2740 c.c., rilevante perche' prevede la regola della confusione tra il patrimonio della ditta individuale e quello dell'imprenditore individuale, con conseguente garanzia dei debiti della ditta costituita da tutto il patrimonio presente e futuro del ricorrente. Inoltre, la motivazione della sentenza d'appello sarebbe contraddittoria, laddove reputa "prossimo" al fallimento il conferimento all'(OMISSIS) s.r.l., avvenuto circa due anni prima della sentenza con cui e' stato dichiarato lo stato di decozione, e, viceversa, "lontani" da esso alcuni pagamenti effettuati in compensazione, dei quali l'ultimo era datato (OMISSIS) e, dunque, di gran lunga piu' recente del conferimento "incriminato" risalente al (OMISSIS). Si denuncia, infine, la mancata riqualificazione dell'ipotesi di bancarotta fraudolenta in esame nella meno grave fattispecie prevista dalla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 2. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al punto 7 della contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, relativo alla distrazione di 346,17 Euro di saldo di cassa per essere la condotta in esame qualificabile come inoffensiva ai sensi dell'articolo 49 c.p., data âEuroËœesiguita' della somma non rinvenuta nel patrimonio della fallita, nonche' in considerazione dei versamenti effettuati personalmente dal ricorrente nel corso degli anni, nel complesso superiori alle somme tutte originariamente contestate come distratte (e poi decise con l'assoluzione gia' in primo grado). Il principio di offensivita' giocherebbe un ruolo essenziale in un reato di pericolo concreto quale e', secondo il ricorrente, quello di bancarotta fraudolenta distrattiva, con necessita' di verificare se sia stato effettivamente leso l'interesse patrimoniale dei creditori, oggetto di tutela della disposizione incriminatrice. Anche a prescindere dall'offensivita' della condotta, la difesa rileva come, in ogni caso, non sarebbe stata raggiunta la prova del dolo del reato, ancorche' generico e configurato dalla necessaria rappresentazione della pericolosita' della condotta distrattiva, da intendersi come rappresentazione del rischio, della probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa e' idonea a determinare: muovono a concludere in senso negativo, ancora una volta, l'esiguita' della somma-saldo di cassa "distratta" rispetto ai versamenti in eccesso effettuati a titolo personale dal ricorrente in favore della fallita, pari ad oltre 27.000 Euro. 2.3. La terza censura formulata denuncia vizio di motivazione apparente ovvero omessa, con riguardo all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per essere mancata la prova del necessario dolo specifico che dovrebbe sorreggere la condotta di tenuta delle scritture contabili in guisa da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, vale a dire il fine di recare pregiudizio ai creditori. Cio' perche', e' stato accertato nel giudizio di merito che l'imputato aveva incaricato un apposito professionista di tenere le scritture contabili della ditta individuale a lui facente capo. In ogni caso, al piu' potrebbe ipotizzarsi la sussistenza della diversa condotta di bancarotta semplice documentale, poiche' la provata delega a tenuta delle scritture contabili rende molto difficoltosa la prova di tale dolo. 2.4. Infine, un ultimo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, sotto due profili distinti. Quanto al giudizio di bilanciamento in equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante della continuazione fallimentare, confermato dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale avrebbe erroneamente valorizzato, in chiave negativa della richiesta di bilanciamento prevalente, un'ipotesi di bancarotta semplice, nonostante essa fosse stata dichiarata estinta per esito favorevole della messa alla prova di cui all'articolo 464-septies c.p. e nonostante, come noto, detta sentenza non sia idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell'accusa e sulla responsabilita' dell'imputato. Si contesta, sotto altro aspetto, che si sia proceduto a revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena: al momento della pronuncia impugnata, invero, non era ancora passata in giudicato la "sentenza successiva per fatti anteriormente commessi", da cui e' dipesa la revoca del beneficio, sicche' questa non poteva essere disposta. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Maria Emanuela Guerra ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. 3.1. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con note conclusive in vista dell'udienza, ribattendo alle argomentazioni del PG e chiedendo l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, avuto riguardo alla illegittimita' della revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre deve essere complessivamente rigettato nel resto. 2. Nei motivi dal primo al terzo, in verita', il ricorrente ripropone quasi fedelmente - ed ai limiti dell'inammissibilita', per la aspecificita' delle doglianze rispetto alle argomentazioni della sentenza impugnata - le censure di merito relative alla sussistenza dei presupposti per l'affermazione della sua responsabilita' in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale ascrittigli, all'esito dei giudizi di merito che avevano gia' portato a parziali assoluzioni da una quota delle condotte distrattive delle quali l'imputato era accusato. 2.1. Analizzando sinteticamente ciascuno dei motivi, viene in rilievo, anzitutto, quanto al primo, complessivamente infondato argomento eccepito dalla difesa - fondato sulla natura "neutra" e non distrattiva dell'operazione di versamento di 177.000 Euro dalla fallita alla societa' Voltino s.r.l., di cui l'imputato era socio al 70% (punto 6 del capo 1), in ragione della "confusione" tra il patrimonio della ditta individuale omonima fallita e quello suo personale - l'argomento logico-fattuale utilizzato dalla Corte d'Appello per superare l'analoga censura proposta con l'atto di appello. La sentenza impugnata ha evidenziato, quali "indicatori" della natura distrattiva dell'operazione: - che il conferimento di denaro dalla fallita al patrimonio della societa' (OMISSIS) s.r.l. e' avvenuto a meno di due anni dalla dichiarazione di fallimento, in un momento in cui la ditta individuale gia' si trovava in una situazione di dissesto economico irreversibile; - che il conferimento era privo di giustificazione economica e non ha determinato alcun vantaggio diretto per la fallita (ne' era stata pattuita la restituzione del denaro conferito). A fronte di tali indici di fraudolenza (cfr., per la loro rilevanza, Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763), la Corte d'Appello correttamente, nella sostanza, osserva come l'incremento del patrimonio dell'imputato, che corrisponderebbe - secondo la difesa - al conferimento della somma nella societa' (OMISSIS), a lui riferibile per il 70%, non sarebbe mai equivalente al valore sottratto alla fallita, poiche', anche a voler ritenere che vi sia la sostituzione della garanzia del patrimonio di questa con la garanzia del patrimonio personale dell'imprenditore individuale, l'incremento di quest'ultimo e' avvenuto in proporzione, per le quote di sua proprieta': il conferimento ha determinato, infatti, l'incremento di valore in percentuale delle quote non soltanto dell'imputato, ma anche delle ulteriori quote non di sua proprieta'. L'aumento del suo patrimonio personale, quindi, e' solo parziale, pro quota, inferiore al valore della corrispondente somma di danaro distratta dalle casse della fallita senza giustificazione e versata nella societa' a lui riferibile, ancorche' come azionista di maggioranza. La conclusione cui perviene la Corte d'Appello, secondo cui e' la stessa prospettazione difensiva a non consentire di escludere il carattere distrattivo del conferimento, e' quindi corretta sul piano logico. Senza contare, ad ulteriore smentita della tesi difensiva e del primo motivo di ricorso, che il ricorrente, a distanza di un anno dal conferimento nella (OMISSIS) s.r.l. della somma sottratta dalle casse della fallita, ha venduto le proprie quote di tale societa' al prezzo complessivo di Euro 7.000, macroscopicamente inferiore alla somma di 177.000 Euro proveniente dalla fallita, rendendo cosi' evidente la complessiva valenza depauperativa per quest'ultima dell'intera operazione economica compiuta, oltre che l'inutilita' e incoerenza, rispetto alla fattispecie concreta, del richiamo normativo alla regola di cui all'articolo 2740 c.c.. Peraltro, le risorse economiche della ditta individuale, una volta trasferite alla societa', perdono la loro destinazione a garanzia della fallita, concorrendo ad incrementare la garanze delle pretese (anche) di eventuali creditori dell'ente beneficiario, non rilevando, sotto questo profilo, la confusione tra patrimonio personale dell'imprenditore e quello della ditta fallita. Pertanto, puo' affermarsi che in tema di reati fallimentari, integra distrazione rilevante il conferimento di somme di danaro dalla ditta individuale fallita alla societa' di cui l'imprenditore individuale detenga una parte delle quote, poiche' tale conferimento determina l'incremento di valore in percentuale delle quote non soltanto dell'imputato, ma anche delle ulteriori quote non di sua proprieta', sicche', l'aumento del suo patrimonio personale e' solo parziale e comunque inferiore al valore della corrispondente somma di danaro sottratta dalle casse della fallita senza giustificazione, in un momento di dissesto gia' conclamato. 2.2. Sotto l'ulteriore profilo evocato dal primo motivo di ricorso, vale a dire la logica di gruppo in cui dovevano inscriversi le diverse societa' facenti capo al ricorrente ed ai suoi figli, si' da rendere il travaso di risorse giustificato nell'ottica dell'unitarieta' della politica d'impresa "di gruppo", non smentita dall'autonomia giuridica di ciascuno degli enti rispetto all'altro, il Collegio osserva come tale prospettazione confligga con i risultati dell'istruttoria dibattimentale, con i quali il ricorso non si confronta se non apparentemente, poiche' e' emerso che le diverse societa' dell'imputato e dei sAynct avevano alcun legame economico con la ditta individuale fallita, ne' compartecipazioni reciproche, ne' coordinamento o direzione di una societa' rispetto alle altre. L'unico elemento comune e' rappresentato dall'appartenenza al medesimo nucleo familiare dei soggetti che le gestivano, ma cio', evidentemente, non basta a ritenere sussistente un "gruppo societario", neppure come simulacro in nuce, ne' una logica "di gruppo". Peraltro, anche nelle dinamiche di gruppo d'impresa, integra distrazione rilevante il trasferimento di fondi alla capogruppo, ancorche' invocando l'attuazione di un sistema di tesoreria accentrata ("cash pooling"), atteso che nessun âEuro˜âEuroËœsistema", comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una societa' ad un'altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della societa' deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell'ente in sofferenza (Sez. 5, n. 22860 del 21/3/2019, Chiaro, Rv. 276634; vedi anche Sez.. 5, n. 39043 del 29/5/2019, Corradini, Rv. 276960, ancora con riguardo alla valenza sintomatica dell'assenza di contropartite al depauperamento della fallita, sebbene infragruppo). Piu' in generale, poi, si richiama il consolidato orientamento secondo cui, per escludere la natura distrattiva di un'operazione di trasferimento di somme da una societa' ad un'altra, non e' comunque sufficiente allegare la partecipazione della societa' depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo "gruppo", dovendo, invece, l'interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilita' di vantaggi compensativi, ex articolo 2634 c.c., per la societa' apparentemente danneggiata (ex multis, da ultimo, si veda Sez. 5, n. 47216 del 10/6/2019, Zanoni, Rv. 277545; v. anche Sez. 5, n. 37062 del 24/5/2022, Lavina, Rv. 283661). 2.3. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, invoca invece l'inoffensivita' del fatto ex articolo 49 c.p., data l'esiguita' della somma contestata come distratta al punto 7 dell'unico capo d'imputazione, dimenticando che" proprio per la dichiarata natura di reato di pericolo della bancarotta distrattiva, non risulta che apoditticamente affermato, nel ricorso, il mancato dispiegarsi del rischio del depauperamento del patrimonio sociale, sicuramente infranto, dal punto di vista della materialita' della concotta, dalla sottrazione di una somma non certo da potersi considerare irrisoria, pari a 346,17 Euro, tanto piu' alla luce della natura di ditta individuale della fallita e del contenuto di cassa che risulta, quanto a liquidita', dagli accertamenti di fatto del processo. Per tali ragioni, la prognosi postuma di concreta messa in pericolo del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, non e' esclusa dall'entita' della somma sottratta, che pure avrebbe potuto, in astratto, essere idonea a sostenere una parte dei debiti della fallita con i terzi. Al piu' si sarebbe potuta prospettare una dimensione di particolare tenuita' della condotta, che pero' e' preclusa dall'editto sanzionatorio previsto per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche dopo l'entrata in vigore della piu' favorevole disciplina dell'articolo 131-bis c.p. (ad opera del Decreto Legislativo n. 150 del 2022), calibrata su un limite minimo di pena (e non piu', come in precedenza, sul massimo) non superiore ai due anni, limite da cui il delitto di cui alla L. Fall., articolo 216, esorbita. Sulla base di analoghe considerazioni, relative all'assertivita' del presupposto logico-fattuale proposto dalla difesa, deve essere valutata l'infondatezza della deduzione di automatico rapporto tra l'asserita esiguita' della somma contestata come distratta e la mancanza di dolo del reato; dolo che, invece, proprio per la concreta pericolosita' della condotta, ancorche' di non particolare entita', e' configurabile nella sua forma generica data dalla consapevole, mera volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, Passarelli, Rv. 266805), senza necessita' di consapevolezza dello stato d'insolvenza e dello scopo di recare pregiudizio ai creditori, come invece sembra prospettare il ricorrente, sia pur ragionando in termini di rappresentazione del rischio, della probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la condotta distrattiva e' idonea a determinare. Quanto alla valenza dei conferimenti a titolo personale in favore della fallita, al di la' della questione relativa al tempo in cui sono stati versati i complessivi 27.000 Euro (e quindi della denunciata contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata), i giudici di secondo grado hanno chiarito come sia provata l'assenza di correlazione tra tali versamenti e la cassa sociale (le somme sono state depositate direttamente sui conti correnti della ditta individuale, quindi erano comunque nella sua diretta disponibilita'),sicche' e' esclusa la possibilita' di ipotizzare qualsiasi compensazione tra le somme versate e quelle distratte, che, in ogni caso, per stessa ammissione del consulente contabile della fallita, corrispondevano ai prelievi contestati ai punti da 1 a 3 dell'imputazione, e non gia' al saldo di cassa mancante, la cui distrazione e' contestata al punto 7. Da tali ragioni deriva l'infondatezza anche del secondo argomento difensivo contenuto nel ricorso. 2.4. Manifestamente infondato e', invece, il terzo motivo di censura, attinente al dolo della bancarotta fraudolenta documentale contestata, ricostruita dalla Corte d'Appello, seguendo correttamente il paradigma normativo dettato dalla seconda parte della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, che prevede una forma di dolo generico e non specifico per la bancarotta fraudolenta documentale da fraudolenta tenuta delle scritture contabili, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente. In tema di bancarotta fraudolenta documentale, infatti, si distinguono due fattispecie autonome: l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza e' necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilita' degli organi fallimentari,, anche sotto forma della loro omessa tenuta, e la fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838). Nel caso di specie, nei confronti del ricorrente e' stata accertata l'attribuibilita' di una serie di omissioni falsificatorie dei dati contabili; ed in particolare del libro degli inventari della fallita, in cui non era nemmeno indicata la partecipazione dell'imputato nella societa' (OMISSIS) s.r.l., cosi' determinando una tenuta artificiosa della scrittura, che, addirittura, la Corte d'Appello ritiene anche rivelatrice della volonta' specifica di pregiudicare i creditori (e quindi di un dolo specifico), rendendo piu' difficile la ricostruzione del dimensionamento del patrimonio da aggredire, in cui non veniva inserita proprio l'esistenza delle quote sociali della s.r.1, nel cui patrimonio erano confluite le risorse economiche della fallita oggetto della contestazione di cui al punto 6 dell'imputazione. Le ulteriori omissioni contabili riscontrate nel libro inventari, poi, indicate a pag. 9 della sentenza impugnata, hanno indotto ad una valutazione complessiva della condotta di reato di tale portata e pregnanza da escludere in radice la possibilita' di ritenere l'ipotesi non fraudolenta di cui alla L. Fall., articolo 217. Ne' vale il richiamo difensivo all'aver affidato il ricorrente la contabilita' ad un consulente esterno, circostanza che, oltre a non assumere valenza scriminante di per se', poiche' rimane fermo l'obbligo dell'amministratore di sovrintendere alla co-retta loro redazione, nel caso di specie risulta superato dalla circostanza di fatto - citata dalla Corte territoriale - secondo cui la contabilita' era stata redatta dai consulente giammai autonomamente ma sempre sulla base di una rielaborazione dei documenti fornitigli dall'imputato (si fa particolare riferimento ad una prima, importante nota, per la determinazione dei contenuti delle scritture aziendali, consegnata al consulente da un dipendente che l'aveva redatta sulla base delle indicazioni provenienti dal ricorrente). 3. L'ultimo motivo e' parzialmente fondato. 3.1. Sono manifestamente infondate ed aspecifiche le ragioni di ricorso relative al bilanciamento delle circostanze di segno opposto. Il ricorrente non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata se non parzialmente, dimenticando che, oltre al precedente penale per il reato di bancarotta semplice estinto per esito positivo della messa alla prova, la Corte territoriale, per confermare l'equivalenza tra aggravanti e attenuanti, ha valorizzato anche l'esistenza di una pregressa condanna per fatti attinenti all'esercizio dell'impresa: ed infatti risulta dal certificato del casellario giudiziale che l'imputato sia stato condannato anche per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali con sentenza del 13.10.2017, irrevocabile il 2.1.2018, precedente che la decisione d'appello ha ritenuto concorresse a determinare una valutazione di personalita' spregiudicata, tipica di chi agisce in violazione delle regole poste a presidio dell'attivita' economica. Inoltre, la sentenza impugnata ha anche ragionato di come il comportamento processuale del ricorrente e la considerazione di un solo precedente penale - con esclusione, dunque, della condanna che ha visto poi esito di positiva messa alla prova - non potessero portare ad un bilanciamento complessivamente piu' favorevole, pur avendo certamente concorso a determinare i giudici alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. Deve, pertanto, ribadirsi che e' inammissibile, per difetto di specificil:a', il motivo di appello con il quale si richieda la rivalutazione del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti, allorche' questo non si confronti con tutte le argomentazioni esposte dal giudice di primo grado a sostegno della propria conclusione (Sez. 2, n. 5253 del 15/1/2019, dep. 2020, C., Rv. 275522). 3.2. Il differente profilo dedotto con il punto 4.3. del ricorso e', invece, fondato. Il ricorrente ha riportato una condanna a tre mesi di reclusione e 300 Euro di multa, in relazione a reato di omesse ritenute previdenziali ed assistenziali, con sentenza divenuta irrevocabile il 2.1.2018 per fatti commessi dal 16.5.2010 al dicembre 2011 (secondo il certificato penale) e previsione di pena sospesa, revocata dalla Corte d'Appello con la decisione impugnata, sulla base dell'articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, (risulta anche un'altra iscrizione nel casellario giudiziale per il reato di bancarotta semplice, estinta per esito positivo della messa alla prova). La norma citata prevede che, salva la disposizione dell'articolo 164 c.p., u.c. "la sospensione condizionale della pena e' revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato....2) riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedente sospesa, supera i limiti stabiliti dall'articolo 163 c.p. " La statuizione, cosi' come laconicamente motivata, attraverso il mero richiamo alla disposizione sopra detta, e' stata erroneamente disposta. Invero, la revoca di diritto della sospensione condizionale della pena implica che la condanna, per il delitto anteriormente commesso, sia divenuta irrevocabile dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha concesso il beneficio e prima della scadenza dei termini di durata dello stesso (Sez. 1, n. 47050 del 29/11/2017, dep. 2018, Szal, Rv. 274333). Il presupposto dell'anteriorita' del reato successivamente giudicato, in tema di revoca della sospensione condizionale della pena, va determinato con riferimento alla data in cui diviene irrevocabile la sentenza che concede il beneficio e non a quella di commissione del reato al quale essa si riferisce (ex multis, Sez. 1, n. 607 del 10/12/2015, dep. 2016, Loiero, Rv. 265724; Sez. 1, n. 35563 del 10/11/2020, Salamina, Rv. 280056). Per l'applicabilita' della norma dell'articolo 168, comma 1, n. 2, e', dunque, essenziale accertare le date di irrevocabilita' di entrambe le sentenze di condanna, giacche' la causa di revoca prevista dalla norma in esame e' rappresentata da una condanna ulteriore, ma per un reato commesso anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che concesse il beneficio, che intervenga nei termini stabiliti dall'articolo 163 c.p. per il compimento della prova sottesa alla sospensione condizionale, e cioe' da una condanna che deve divenire irrevocabile entro il termine del periodo di esperimento a partire dalla data di passaggio in giudicato della prima sentenza (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 608 del 8/3/1976, Rv. 133401 e la citata Sez. 1, n. 47050 del 2018). E' stato affermato, altresi', che il presupposto di legittimita' della revoca "automatica" della sospensione condizionale per "altra condanna" in relazione a un delitto anteriormente commesso e' che la pronuncia pregiudicante sia divenuta definitiva, dal momento che si tratta di rimuovere una situazione giuridica gia' stabilita con pronuncia irrevocabile (Sez. 2, n. 42367 del 21/10/2005, Rv. 232669). Nel caso del ricorrente, la revoca del beneficio, poiche' e' stata disposta prima che la sentenza di condanna per il delitto anteriormente commesso fosse divenuta definitiva (e si sottolinea che in passato si e' sostenuto, risolutivamente, che la revoca del beneficio della sospensione condizionale, concessa con un provvedimento divenuto irrevocabile, non puo' essere disposta mediante una sentenza che non possiede ancora tale carattere di irrevocabilita': Sez. 1, n. 45716 del 11/11/2008, Peruzzini, Rv. 242036), deve essere eliminata, poiche' i giudici di merito avrebbero potuto valutare solo la non meritevolezza della concessione ulteriore del beneficio, ma non procedere alla rimozione del beneficio gia' concesso perche' essa e' collegata ad una attivita' meramente ricognitiva della verifica dell'esistenza di un presupposto che "ope legis" comporta la revoca. Tale presupposto, nella specie, e' insussistente poiche' la irrevocabilita' della pronuncia pregiudicante interviene solo all'esito della decisione odierna del Collegio, e cioe' quando il termine di cinque anni di cui al combinato disposto dell'articolo 1613, comma 1, n. 2 e articolo 163 c.p. (relativamente alla condanna per delitto) e' gia' decorso (il 2.1.2023). 3.1. La Corte puo' procedere direttamente alla eliminazione della statuizione errata, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I, mentre I ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena, revoca che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI Anna L. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/12/2022 del TRIB. RIESAME di BOLZANO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG Dr. LUCA TAMPIERI che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Bolzano in funzione di giudice del riesame, ha rigettato il ricorso promosso nell'interesse di (OMISSIS) avverso il decreto del P.M. di convalida del sequestro della somma di Euro 25.995,00, disposto dalla polizia giudiziaria in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73. 1.1.La vicenda processuale trae origine da una perquisizione di iniziativa effettuata dalla polizia giudiziaria presso l'abitazione di (OMISSIS), dopo che era stato fermato un uomo ( (OMISSIS)), appena uscito da detta abitazione, e trovato in possesso di un involucro contenente sostanza stupefacente del tipo cocaina. All'interno dell'appartamento, ove si trovavano (OMISSIS) e la moglie, erano stati rinvenuti: - dentro ad un mobile, cinque involucri trasparenti, identici a quello poco prima sequestrato, contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina per un peso lordo di 25,6 grammi e un bilancino di precisione - dentro ad una cassaforte in camera da letto 25.000 Euro in contanti suddivisivi in banconote di vario taglio e sempre nella medesima camera l'ulteriore somma sempre in contanti di 995,00 Euro. La polizia giudiziaria, in esito alla perquisizione, aveva proceduto al sequestro di quanto rinvenuto e il sequestro era stato convalidato dal Pubblico Ministero con proprio decreto in data 24 gennaio 2017, nel quale era indicato che "quanto oggetto di sequestro e' corpo del reato o cosa pertinente al reato". 1.2. Il Tribunale ha rigettato il ricorso, rilevando che il decreto di convalida del Pubblico Ministero rimandava per relationem al verbale di perquisizione e sequestro redatto dalla polizia giudiziaria, allegato al decreto "per costituirne parte integrale e sostanziale" e contenente l'indicazione del titolo di reato, nonche' una esaustiva descrizione degli elementi di fatto da cui si desumeva la natura di corpo del reato del denaro e la sua derivazione dal delitto in contestazione. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, a mezzo di proprio difensore, denunciando violazione di legge e/o apparenza di motivazione per omessa indicazione delle ragioni per le quali il denaro doveva considerarsi corpo del reato e della concreta finalita' probatoria perseguita. Il ricorrente richiama il principio per cui il decreto di sequestro al pari di quello di convalida deve contenere specifica motivazione sulla finalita' probatoria perseguita anche ove abbia ad oggetto il corpo del reato, nonche' il consolidato orientamento per cui il denaro puo' essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia stata data idonea motivazione non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza della somma sequestrata e il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazioni alle quali e' necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto. Il Tribunale del Riesame, nel rigettare l'impugnazione, aveva incentrato la motivazione sul fatto che il rinvenimento della droga, del bilancino e del denaro inducevano a ritenere che presso l'abitazione si svolgessero condotte di spaccio. In tal modo, tuttavia, i giudici non avevano spiegato quali fossero le finalita' probatorie che il vincolo doveva salvaguardare e, soprattutto, non avevano tenuto conto che (OMISSIS) aveva subito un gravissimo infortunio sul lavoro (a seguito del quale era stato risarcito dall'Inail e riscuoteva una pensione mensile) e aveva venduto un appartamento dell'importo di 155.000 Euro, onde doveva ritenersi provata la provenienza lecita del denaro custodito in cassaforte. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Luca Tampieri, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente, in data 21 aprile 2023, ha depositato una memoria con cui ha rappresentato che, nelle more della pendenza del ricorso per Cassazione, a (OMISSIS) era stato notificato l'avviso di chiusura delle indagini preliminari con cui gli era stato contestato il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; il difensore ha anche rappresentato che dopo la pronuncia del Tribunale del Riesame, il Pubblico Ministero aveva richiesto al Giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo della somma di Euro 25.995,00, gia' sottoposta a sequestro probatorio, e il Giudice aveva accolto la richiesta solo con riferimento alla somma di Euro 500,00, provento del reato di cessione della sostanza stupefacente a (OMISSIS), confermando cosi' (sulla base del fascicolo che compendiava tutte le risultanze delle indagini ormai concluse) la valutazione espressa nel ricorso, per cui in relazione alla ulteriore somma di denaro reperita all'interno dell'appartamento non esisteva alcun possibile collegamento con il reato per cui si procedeva. Fra l'altro il Pubblico Ministero non aveva effettuato alcuna delle indagini tecniche indicate dal Tribunale del Riesame, ad integrazione della motivazione del decreto di convalida del sequestro, come idonee a supportare la finalita' probatoria, a dimostrazione ulteriore della pretestuosita' di tale motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Si deve premettere che avverso il provvedimento impugnato, il ricorso per cassazione e' esperibile nei ristretti limiti indicati dall'articolo 325 c.p.p., a tenore del quale "Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322 bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge". In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicita' della motivazione, separatamente previste dall'articolo 606, lettera e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lettera b) o dalla inosservanza di norme processuali (lettera c) (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto puo' essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'articolo 325 c.p.p., comma 1 citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicita' manifesta, che puo' denunciarsi in sede di legittimita' soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (ex multis: Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916). 2. Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato che le circostanze del fatto (detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina in quantitativo venti volte superiore alla soglia corrispodnente al quantitavo massimo detenibile in mg per uso personale indicato nelle tabelle del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990; la disponibilita' del bilancino atto alla pesatura; la pregressa cessione di 5 gr. facenti parte della medesima partita a soggetto bloccato dalla polizia giudiziaria immediatatamente prima della perquisizione; rinvenimento di una consistente somma di denaro in contanti) deponevano per la messa in atto da parte dell'indagato di condotte di spaccio all'interno dell'alloggio, in un contesto verosimilmente di criminalita' organizzata, e ha specificato che il sequestro del denaro era finalizzato alle indagini tecniche sulle banconote quali la verifica dei numeri di serie, l'accertamento della originalita', la presenza di annotazioni manoscritte. I giudici hanno anche ritenuto che l'assunto per cui la somma rinvenuta sarebbe stato il provento della cessione di un immobile, era smentito dalle modalita' di suddivisione e occultamento della somma in contanti, incompatibili con la provenienza lecita del denaro, anche a fronte dell'assenza di una traccia bancaria volta a documentare il prelievo di un importo cosi' elevato. 3. Il provvedimento impugnato deve essere censurato. A fronte della impugnazione del decreto di convalida del sequestro del tutto mancante della motivazione richiesta dall'articolo 355 c.p.p., i giudici non avrebbero potuto sopperire a tale difetto di motivazione attraverso l'autonoma individuazione di specifiche finalita' attinenti alle indagini, ovvero attraverso l'esercizio di un potere tipico dell'organo inquirente. Si deve muovere dalla premessa, affermata reiteratamente da questa Corte di legittimita' a Sezioni Unite, secondo cui, in ragione dei limiti dettati all'intervento penale sul terreno delle liberta' fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell'individuo, il decreto di sequestro probatorio - cosi' come il decreto di convalida - anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalita' perseguita per l'accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226711; in conformita', tra le altre, Sez. 6, n. 11817 del 26/01/2017,Berardinelli, Rv. 269664; Sez. 2, n. 44416 del 16/09/2016, Di Vito, Rv. 268724; Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, dep. 2017, Bernardi, Rv. 268736; Sez. 3, n. 45034 del 24/09/2015, Zarrillo, Rv. 265391). Quanto all'onere motivazionale da parte del pubblico ministero, si e' chiarito che il decreto di sequestro probatorio anche del corpo del reato (e nella specie di denaro) deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione, sia in ordine al nesso di pertinenzialita' tra il denaro stesso ed il reato siccome contestato, sia in ordine all'esigenza probatoria giustificativa dell'apposizione del vincolo cautelare (sez. 2 n. 33943 del 15/03/2017, Carone, Rv. 270520). Al mancato assolvimento dell'onere di motivazione non puo', peraltro, sopperire il Tribunale del Riesame, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull'esercizio dell'azione penale. Qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell'accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l'applicazione della misura e abbia persistito nell'inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest'ultimo non e' legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalita' del sequestro, cosi' integrando il titolo cautelare mediante un'arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell'organo dell'accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse (Sez. 2, n. 39187 del 17/09/2021, Cristofori, Rv. 282200; Sez. 2, n. 49536 del 22/11/2019, Vallese, Rv. 277989; Sez. 4, n. 54827 del 19/09/2017, Giganti, Rv. 271579; sez. 3 n. 30993 del 05/04/2016, Casalborri, Rv. 267329 nella quale si afferma la possibilita' di integrazione da parte del giudice del riesame n sede di conferma del provvedimento con la specificazione delle esigenze probatorie che ne stanno a fondamento, sempre che le stesse siano state indicate, seppure in maniera generica, nel provvedimento impugnato). 5.Come visto nel caso di specie, il decreto di sequestro della polizia giudiziaria, con cui era stato appreso il denaro nella disponibilita' del ricorrente, non recava alcuna indicazione in ordine alla finalita' probatoria: detto decreto richiamava per relationem il contenuto del verbale di perquisizione e sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria nel quale era indicato il titolo del reato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73) e la descrizone di quanto rinvenuto nell'appartameneto del ricorrente. Il Tribunale del Riesame, in replica alla censura per cui non erano state indicate le ragioni idonee a giustificare in concreto l'applicazione della misura, ha provveduto ad integrare la motivazione, individuando autonomamente alcuni possibili accertamenti da effettuare che avrebbero giustificato il permanere del vincolo. In tal modo, tuttavia, come evidenziato supra, i giudici hanno esercitato una inammissibile funzione di supplenza rispetto all'esercizio di un potere, quale quello di individuare percorsi di indagine, che spetta esclusivamnte all'organo dell'accusa. La fondatezza di tale assunto e' resa ancora piu' evidente, nella vicenda in esame, dallo sviluppo dell'iter processuale di cui il ricorrente ha dato conto con la memoria in atti. Invero il Pubblico Ministero, nell'avviso di chiusura delle indagini notificato all'imputato, ha contestato il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 in relazione alla illecita detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nell'abitazione e alla cessione di una dose e non anche a pregresse cessioni di cui la somma di denaro, secondo la iniziale impostazione, avrebbe rappresentato il provento e, peraltro, non ha neppure effettuato quelle indagini che, secondo il Tribunale, avrebbero giustificato l'apposizione del vincolo. 6.Ne consegue l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza del Tribunale del Riesame e del decreto di convalida di sequestro del Pubblico Ministero limitatatamente alle somme di denaro cadute in sequestro, con conseguente restituzione di dette somme all'avente diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di convalida del sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano il 9.12.2022, limitatamente alle somme di denaro cadute in sequestro, disponendone la restituzione all'avente diritto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 3/10/2022 dalla Corte di appello di L'Aquila; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Silvia Salvadori, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; letta la memoria depositata dall'avvocato (OMISSIS), difensore dell'imputato, il quale conclude per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di L'Aquila dichiarava l'intervenuta prescrizione del reato di indebita percezione di contributi ex articolo 316-ter c.p. per il quale l'imputato era stato condannato in primo grado, confermando la confisca del profitto del reato ai sensi dell'articolo 578-bis c.p.p., ritenendo tale norma applicabile anche ai fatti commessi antecedentemente alla modifica, introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, con la quale ne e' stato esteso l'ambito operativo anche alle ipotesi di confisca disciplinate dall'articolo 322-ter c.p.. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha proposto un unico motivo di ricorso con il quale deduce violazione di legge in ordine alla irretroattivita' della confisca disposta ex articolo 578-bis c.p.p., ritenendo che tale norma abbia un contenuto anche sostanziale, nella misura in cui consente la confisca per equivalente, sicche' non potrebbe trovare applicazione retroattiva. Il ricorrente rappresentava i seguenti elementi rilevanti ai fini della valutazione del motivo: i reati per i quali era stata disposta la confisca erano stati commessi nel 2014; in fase di indagini veniva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, della complessiva somma di Euro37164,73; nel 2018 il ricorrente provvedeva a versare gran parte della somma oggetto di sequestro su un libretto postale vincolato al Comune, soggetto danneggiato dal reato; rimaneva sottoposta a sequestro preventivo l'immobile sito in L'(OMISSIS), per una quota corrispondente all'importo di Euro2.981,30; la sentenza di primo grado, successivamente confermata in appello, disponeva la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato. Il ricorrente ha richiamato la recente pronuncia delle Sezioni unite secondo cui l'articolo 578-bis c.p.p., avendo natura anche sostanziale, sottosta' al divieto di retroattivita'. 3. La Procura generale, nel formulare le proprie conclusioni, evidenziava come il principio affermato dalle Sezioni unite non possa trovare applicazione nel caso di specie, nel quale la confisca ha avuto ad oggetto una somma di denaro che, secondo consolidata giurisprudenza, deve sempre qualificarsi quale confisca diretta e, quindi, priva del carattere sanzionatorio riconosciuto alla sola confisca per equivalente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. La questione concernente la retroattivita' dell'articolo 578-bis c.p.p., nella parte in cui contempla la confisca per equivalente nel caso di intervenuta prescrizione del reato, e' stata recentemente oggetto di esame da parte delle Sezioni unite. Il massimo organo nomofilattico e' stato chiamato a stabilire "se la statuizione di confisca per equivalente possa essere lasciata ferma o debba essere eliminata nel caso in cui il giudice dell'impugnazione pronunci sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato presupposto previo accertamento della responsabilita' dell'imputato e il fatto sia anteriore all'entrata in vigore dalla L. n. 3 del 2019, articolo 1, lettera f), che ha inserito nell'articolo 578 bis c.p.p. le parole "o la confisca prevista dall'articolo 322 ter c.p.". Le Sezioni unite hanno risolto la questione affermando che la disposizione dell'articolo 578-bis c.p.p. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle altre forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed e', pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4che ha introdotto la suddetta disposizione (Sez.U, n. 4145 del 29/9/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209). L'irretroattivita' della cosiddetta confisca senza condanna, pertanto, e' stata espressamente limitata alle sole ipotesi di confisca per equivalente, valorizzando il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui in tal caso la confisca assume una valenza sanzionatoria, il che giustifica l'estensione a tale istituto del principio sancito dall' articolo 25 Cost. e articolo 2 c.p.. 2.1. Cio' posto, si ritiene che nel caso di specie il principio affermato dalle Sezioni unite debba trovare applicazione, atteso che la residua confisca applicata nei confronti del ricorrente ha ad oggetto la quota di un immobile, il cui valore e' parametrato a (la somma pari a Euro2.981,30. L'importo indicato costituisce, pertanto, semplice misura del valore oggetto di apprensione, salvo restando che la confisca ricade su una quota di un bene immobile e, quindi, si verte sicuramente in tenia di confisca per equivalente. Una volta escluso che, nel caso di specie, la misura cautelare reale e la conseguente confisca ricadano su somme di denaro, bensi' hanno ad oggetto beni di valore equivalente, ne deriva l'inapplicabilita' del principio affermato in altra pronuncia delle Sezioni unite, secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non e' ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez.U, n. 42415 del 27/5/2021, Rv.282037). Quanto detto consente di affermare l'irretroattivita' dell'articolo 578-bis c.p.p. rispetto al caso di specie, nel quale il profitto era costituito da un contributo in denaro, ma la confisca ha avuto ad oggetto la quota di un immobile, sicche' deve ritenersi eseguita per equivalente, con conseguente impossibilita' di applicare la richiamata norma a condotte realizzate anteriormente rispetto alla sua introduzione. Ne consegue l'accoglimento del ricorso e la restituzione di quanto in sequestro. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla confisca per equivalente dell'immobile in sequestro, di cui ordina il dissequestro e la restituzione all'avente diritto. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per l'immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessand - rel. Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); Avverso la sentenza emessa il 16/12/2021 dalla Corte di assise di appello di Lecce; Sentita la relazione del Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro; Sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha chiesto il rigetto del ricorso per tutti gli imputati; Sentite nell'interesse delle parti civili le seguenti conclusioni: l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse da (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso come da comparsa conclusionale e note spese; l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso come da comparsa conclusionale e note spese; Sentite, nell'interesse degli imputati le seguenti conclusioni: l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; l'avvocato (OMISSIS) e l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 26 novembre 2020 la Corte di assise di Lecce giudicava gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati rispettivamente ascrittigli ai capi A (articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, articolo 74, commi 1, 2, 4, Testo Unico stup.) e C (articoli 110, 575 c.p., articolo 577 c.p., comma 1, nn. 3, 4, articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, L. 2 ottobre 1967, n. 895, articoli 2, 4). Conseguiva a tali statuizioni la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenuti colpevoli dei reati ascrittigli ai capi A e C, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di diciotto mesi. Conseguiva, inoltre, a tali statuizioni la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, riconosciuto al primo il ruolo di promotore e al secondo il ruolo di partecipe della consorteria oggetto di contestazione, per effetto della quale venivano irrogate a (OMISSIS) la pena di ventiquattro anni di reclusione e a (OMISSIS) Oh pena di quattordici anni di reclusione. Conseguiva, ulteriormente, a tali statuizioni la condanna degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. L'imputato (OMISSIS), infine, veniva assolto dal reato di cui al capo B (articolo 81 c.p., comma 2, articoli 110, 56, 575 c.p., articolo 577 c.p., comma 1, nn. 3, 4, articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4), per il quale era l'unico soggetto imputato di tale delitto. 2. Con sentenza emessa il 16 dicembre 2021 la Corte di assise appello di Lecce, pronunciandosi sulle impugnazioni proposte dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in riforma della decisione appellata, riqualificava il reato contestato a (OMISSIS) al capo A, ai sensi dell'articolo 74, comma 2, Testo Unico stup., rideterminando, conseguentemente, il trattamento sanzionatorio irrogato nei suoi confronti in quattordici anni di reclusione. La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata, con la condanna degli appellanti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle ulteriori spese processuali. 3. Occorre premettere che i fatti di reati)contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) riguardano la sfera di operativita' della consorteria di cui al capo A, alla luce della quale deve essere esaminato il reato contestato al capo C, che costituisce una vicenda criminosa collegata, maturata a margine delle attivita' illecite poste in essere nel mercato degli stupefacenti di (OMISSIS), nel quale operavano gli imputati. Tanto premesso, innanzitutto, occorre soffermarsi sulle condotte illecite riconducibili alla sfera di operativita' dell'organizzazione criminale, egemonizzata dalla famiglia (OMISSIS), dedita sul territorio di (OMISSIS) al traffico di sostanze stupefacenti, con particolare riferimento alla cocaina e alla marijuana con le modalita' descritte al capo A, ai sensi dell'articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup. Questa consorteria, come detto, era attiva nell'area salentina di (OMISSIS) ed era egemonizzata dalla famiglia (OMISSIS), della quale, tra gli altri, facevano parte gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). In tale ambito, veniva riconosciuto un ruolo di spicco a (OMISSIS), pur ridimensionato nel giudizio di appello, evidenziandosi che il ricorrente, unitamente ai suoi familiari, si occupava della gestione degli spacciatori riconducibili alla consorteria di cui al capo A, avvalendosi del supporto operativo di diversi affiliati, tra cui gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si avvalevano del contributo di altri consociati, per i quali si procedeva in separata sede. Si consideri, in proposito, che, nel corso delle indagini preliminari, l'attenzione degli investigatori si concentrava sulle attivita' illecite poste in essere dal sodalizio di cui al capo A, consentendo di ricostruire le ramificazioni delle attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti gestite dall'organizzazione melissanese, che, come si e' detto, era egemonizzata dalla famiglia (OMISSIS) e dai suoi componenti, tra cui (OMISSIS) e (OMISSIS). Occorre precisare, ulteriormente, che al fine di eseguire un monitoraggio costante delle attivita' del sodalizio in esame, si attivava un servizio di intercettazione, coordinato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, svolto per diversi mesi, da cui emergeva un elevato numero di transazioni illecite, aventi per oggetto l'acquisto e la cessione di cocaina e marijuana, dalle quali derivava un consistente volume di affari, gestiti sotto il controllo della famiglia (OMISSIS). Le attivita' monitorate si svolgevano con modalita' peculiari, attraverso la collaborazione di alcuni spacciatori, collegati al sodalizio di cui al capo A, il cui ruolo, fin da subito, appariva agli investigatori indispensabile per la vendita della cocaina e della marijuana, evidenziando una gestione coordinata del mercato degli stupefacenti melissanese. Le operazioni di monitoraggio condotte dalla Compagnia dei Carabinieri di Casarano, al contempo, consentivano di riscontrare il contenuto delle intercettazioni registrate nel corso delle indagini preliminari, che era corroborato dalle verifiche investigative effettuate a seguito delle attivita' di ascolto delle captazioni. Secondo i Giudici di merito leccesi, il sodalizio criminale di cui al capo A era egemonizzato dalla famiglia (OMISSIS), che si avvaleva per il controllo del mercato degli stupefacenti locale di una rete ramificata di soggetti, che comprendeva, tra gli altri, gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Deve, anche, precisarsi che, in origine, le attivita' d'indagine coinvolgevano un numero piu' elevato di soggetti, tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per i quali si procedeva separatamente, con le forme del giudizio abbreviato, che si concludeva con l'assoluzione degli imputati dai reati ascrittigli per l'insussistenza del fatto, pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce con sentenza del 20 ottobre 2020. La famiglia (OMISSIS), quindi, gestiva il mercato degli stupefacenti melissanese, dopo averlo suddiviso in diverse zone di spaccio; di queste, alcune erano riservate alla gestione diretta dei suoi associati, altre erano affidate a soggetti collegati ma non affiliati al gruppo, che corrispondevano un compenso ai vertici della consorteria. Questi soggetti, sotto il controllo diretto della famiglia (OMISSIS), si occupavano di individuare i luoghi del territorio melissanese dove effettuare la cessione delle singole partite di cocaina e di marijuana, selezionando, d'intesa con i vertici della consorteria di cui al capo A della rubrica, le modalita' con cui svolgere le attivita' di spaccio. 3.1. In questo, articolato, contesto, maturava la decisione di eseguire l'omicidio di (OMISSIS), contestato al capo C ai soli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Si contestava, in particolare, a (OMISSIS) e ad (OMISSIS), al capo C, ai sensi degli articoli 110, 575 c.p., articolo 577 c.p., comma 1, nn. 3 e 4, articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4, di avere provocato la morte di (OMISSIS) nella tarda serata del (OMISSIS), dopo le ore 23, contro il quale veniva esploso un colpo di pistola calibro 9, che, attingendo alla testa la persona offesa, ne provocava la morte. Secondo l'originaria ipotesi accusatoria, tale episodio criminoso costituiva la dimostrazione del controllo del mercato degli stupefacenti melissanese da parte dal sodalizio di cui al capo A, che non esitava a ricorrere alle forme piu' efferate di intimidazione nei casi di comportamenti disomogenei rispetto alle direttive impartite dai vertici consortili; il che costituiva un'ulteriore conferma della complessita' e della ramificazione delle attivita' delinquenziali poste in essere dal gruppo criminale in esame, sotto la guida della famiglia (OMISSIS). Si riteneva, infatti, che nell'ipotesi contestata a (OMISSIS) e (OMISSIS) al capo C, la decisione di attentare alla vita di (OMISSIS) discendeva dalla scelta della persona offesa di svolgere un'attivita' di spaccio parallela a quella gestita dalla consorteria di cui al capo A, in violazione delle indicazioni fornite dalla famiglia (OMISSIS) e nonostante gli avvertimenti che le erano stati inviati. L'omicidio di (OMISSIS), secondo la ricostruzione medico-legale eseguita dal dottor (OMISSIS), veniva eseguito la sera del (OMISSIS), tra le ore 23 e le ore 23.45. Questo dato tanatologico era corroborato dal fatto che l'ultima conversazione telefonica della vittima veniva registrata alle ore 23.01 del (OMISSIS), quando la stessa rispondeva alla chiamata ricevuta da (OMISSIS), che, esaminata dalla Corte di assise di Lecce, confermava di avere contattato telefonicamente la persona offesa. In questa cornice, il nucleo essenziale del giudizio di responsabilita' formulato nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui al capo C era costituito dalle intercettazioni registrate nel corso delle indagini preliminari, nelle fasi che precedevano e seguivano all'esecuzione dell'agguato, la cui interpretazione, nella direzione recepita nelle sentenze di merito, si riteneva corroborata dall'allontanamento degli imputati da (OMISSIS) per tutta la notte successiva all'assassinio; allontanamento che si concludeva quando, la mattina del 25 ottobre 2018, gli imputati erano fermati dai Carabinieri della Compagnia di Casarano, mentre, a bordo di un'autovettura Renault Modus, noleggiata il giorno prima dell'omicidio di (OMISSIS), si dirigevano verso l'abitazione di (OMISSIS). Tali elementi processuali, a loro volta, si ritenevano corroborati dalle ulteriori acquisizioni probatorie, tra cui si attribuiva rilievo pregnante agli esiti delle prove stub eseguite la mattina del 25 ottobre 2018, dopo il fermo degli imputati. L'espletamento delle prove stub, in particolare, consentiva di repertare alcuni residui da sparo sulle mani di (OMISSIS); sul sedile anteriore dell'autovettura Renault Modus dove era posizionato (OMISSIS) al momento del fermo da parte dei Carabinieri; all'interno dell'autovettura Fiat Bravo nella disponibilita' di (OMISSIS), che era stata parcheggiata presso l'abitazione della cognata, (OMISSIS), nella tarda serata dell'omicidio. 3.2. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano condannati alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei rispettivi difensori, proponevano separati ricorsi per cassazione, dei quali occorre dare partitamente conto. 4.1. L'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando tre motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 74 Testo Unico stup., articoli 187, 192, 238-bis c.p.p., conseguenti al fatto che la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A era intervenuta in contrasto con la decisione pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce il 27 ottobre 2020 nell'ambito del procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., con cui, all'esito di giudizio abbreviato, gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo di cui all'articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup., del quale erano ritenuti correi dell'imputato, per l'insussistenza del delitto associativo. Con tale pronuncia, in particolare, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce aveva assolto gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato ascrittogli al capo A - che nella fase delle indagini preliminari era contestato, quali coindagati, anche a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - per l'insussistenza del fatto, sulla base di un compendio probatorio parzialmente sovrapponibile. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Si deduceva, in proposito, che la lettura delle intercettazioni, relative alla posizione di (OMISSIS), derivava da un'errata applicazione dei parametri previsti dall'articolo 192 c.p.p. in materia di valutazione delle fonti di prova, risultando il giudizio formulato nei confronti del ricorrente contraddetto dalle emergenze processuali, anche in considerazione del fatto che l'imputato risultava registrato in un'unica captazione, dalla quale non emergeva il suo coinvolgimento in transazioni illecite relative al mercato degli stupefacenti melissanese. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 133 c.p. e articolo 74, comma 4, Testo Unico stup., per non avere la Corte territoriale escluso l'aggravante dello stesso articolo 74, comma 4 - la cui sussistenza era smentita dalle emergenze processuali - e mitigato il trattamento sanzionatorio irrogato al ricorrente nel giudizio di primo grado, quantificato in quattordici anni di reclusione. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse di (OMISSIS). 4.2. L'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Con il primo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 187, 192 c.p.p., articolo 74, comma 2, Testo Unico stup., per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano l'espletamento di una perizia fonica, ex articolo 603 c.p.p., che avrebbe consentito di accertare l'erronea identificazione di (OMISSIS) quale soggetto coinvolto nelle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che costituivano il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei suoi confronti. Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per essere la decisione in esame priva di un percorso argomentativo esplicativo delle ragioni che non consentivano la riqualificazione del reato di cui al capo A ex articolo 74, comma 6, Testo Unico stup., che, viceversa, si imponeva alla luce del ruolo modesto ricoperto dal ricorrente nell'ambiente della tossicodipendenza melissanese. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli articoli 62-bis, 81, 133 c.p., articolo 74, comma 4, Testo Unico stup., per non avere la decisione censurata dato opportuno conto delle ragioni che imponevano di ritenere connotato da proporzionalita' il trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) - quantificato in quattordici anni di reclusione - e non consentivano il riconoscimento delle attenuanti generiche, che si imponeva alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui erano maturati gli accadimenti criminosi e della modesta caratura criminale del ricorrente. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse di (OMISSIS). 4.3. L'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 180, 181 c.p.p., articolo 24 Cost., articolo 6 CEDU, conseguenti al mancato deposito della copia integrale delle registrazioni digitali delle intercettazioni svolte nel corso delle indagini preliminari, contestualmente all'avviso ex articolo 415-bis c.p.p., che aveva determinato un pregiudizio irreparabile alle prerogative difensive di (OMISSIS) e la nullita' assoluta di tali elementi probatori, che costituivano il nucleo essenziale della pronuncia censurata. Con il secondo motivo, prospettato in termini assimilabili al primo motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 74 Testo Unico stup., articoli 187, 192, 238-bis c.p.p., conseguenti al fatto che la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A era intervenuta in contrasto con la decisione pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce il 27 ottobre 2020 nel procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., con cui, all'esito di giudizio abbreviato, gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo di cui all'articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup., del quale erano ritenuti correi dell'imputato, per l'insussistenza del delitto associativo. Con il terzo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Con il quarto motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 575, 577 c.p., articolo 192 c.p.p., comma 2, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto degli elementi probatori sulla base dei quali era stato formulato il giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo C, che non poteva essere espresso alla luce delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che apparivano sprovviste di univocita' probatoria nei confronti del ricorrente. Ne' il contenuto di tali captazioni poteva ritenersi corroborato dagli esiti, asseritamente positivi, dei rilievi stub eseguiti nei confronti del ricorrente, atteso che la loro attendibilita' scientifica postulava il loro espletamento entro il termine massimo di sei ore dall'utilizzo dell'arma usata per commettere l'omicidio di (OMISSIS); mentre, nel caso di specie, i rilievi erano stati effettuati dai Carabinieri della Compagnia di Casarano a distanza di oltre tre ore da tale termine, rendendo l'esito delle verifiche inattendibile e irrilevante ai fini del giudizio di colpevolezza censurato. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse di (OMISSIS). 4.4. L'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS) e dell'avvocato (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando due motivi. Con il primo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto degli elementi probatori sulla base dei quali era stato formulato il giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo C, che non poteva essere espresso sulla base delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, sprovviste di univocita' probatoria. Si denunciava, al contempo, che la Corte territoriale non aveva dato opportuno conto delle ragioni che non consentivano di ritenere necessaria ai fini della decisione, relativamente al reato di cui al capo C, l'escussione ex articolo 603 c.p.p. del teste (OMISSIS), che avrebbe consentito di escludere il coinvolgimento di (OMISSIS) nell'esecuzione dell'omicidio in esame. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere esaminati separatamente. 2. Deve ritenersi fondato il ricorso dell'imputato (OMISSIS), proposto a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), articolato in tre motivi. 2.1. Deve ritenersi fondato il primo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 74 Testo Unico stup., articoli 187, 192, 238-bis c.p.p., conseguenti al fatto che la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A era intervenuta in contrasto con la decisione pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce il 27 ottobre 2020 nell'ambito del procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., con cui, all'esito di giudizio abbreviato, gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo di cui all'articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup., del quale erano ritenuti correi dell'imputato, per l'insussistenza del delitto associativo. Secondo la difesa del ricorrente, nel procedimento parallelo, celebrato con le forme del rito abbreviato, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), originariamente coindagati di (OMISSIS) nel reato di cui al capo A, gli imputati erano stati assolti per l'insussistenza del fatto, sconfessando l'impostazione accusatoria e imponendo una complessiva rivalutazione del compendio probatorio. L'invocata rivalutazione si imponeva alla luce del fatto che l'assoluzione era intervenuta sulla base delle stesse intercettazioni utilizzate per formulare il giudizio di colpevolezza nei confronti del ricorrente (OMISSIS). Osserva il Collegio che, con la pronuncia richiamata, erano stati assolti gli originari coindagati di (OMISSIS) per l'insussistenza dei fatti di reato di cui al capo A, sulla base di un compendio probatorio parzialmente sovrapponibile a quello in esame, non comprendendo lo stesso le fonti di prova acquisite nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per l'ipotesi delittuosa ascritta al capo C. Occorre, in proposito, evidenziare che la condotta associativa giudicata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce e' astrattamente sovrapponibile a quella oggetto di vaglio, risultando i comportamenti in esame riconducibili a un medesimo ambito criminale, relativo al mercato degli stupefacenti melissanese egemonizzato dalla famiglia (OMISSIS), nel quale sia gli imputati del presente procedimento sia gli imputati del procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P. gravitavano. Queste conclusioni, dunque, discendono dal fatto che con la sentenza del 20 ottobre 2020, sopra citata, venivano assolti gli imputati del reato di cui al capo A, che, in origine, erano coindagati di (OMISSIS). Gli elementi di astratta sovrapponibilita' dei due procedimenti, invero, sembrano emergere sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo, atteso che i soggetti imputati nei due ambiti processuali, che nella fase delle indagini preliminari erano coindagati, gravitavano nello stesso contesto consortile ed erano coinvolti nel medesimo settore criminale, egemonizzato dalla famiglia (OMISSIS), relativo alle attivita' di spaccio di cocaina e marijuana svolte sul territorio di (OMISSIS). L'astratta sovrapponibilita' delle condotte associative, quindi, non e' controversa e assume un rilievo ancora piu' significativo alla luce dell'esito processuale contrapposto dei due procedimenti; sovrapponibilita', che, naturalmente, non esclude la possibilita' che i soggetti giudicati nei due procedimenti partecipassero al medesimo consesso con ruoli e sfere di influenza criminale differenti e che, proprio in ragione di tale differenziazione, venivano giudicati con esiti antitetici. A fronte di tali, irrisolte, discrasie processuali, la Corte territoriale, senza dare analiticamente conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano concretizzati i contributi associativi degli imputati dei due procedimenti, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 54 della sentenza impugnata, si limitava ad affermare che gli appellanti - nel caso di specie rappresentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) - nulla opponevano "con riferimento all'esistenza dell'associazione, limitandosi a negare la loro partecipazione alla stessa (...) e ad evidenziare, che i coimputati giudicati con rito abbreviato sono stati tutti assolti perche' il fatto non sussiste, dato, questo, irrilevante, stante l'autonomia dei due giudizi". La Corte di assise di appello di Lecce, pertanto, presupposta l'unicita' del sodalizio criminale melissanese di cui al capo A, peraltro attestata dall'origine comune dei due procedimenti nella fase delle indagini preliminari, non poteva limitarsi a richiamare, sic et simpliciter, l'autonomia dei due giudizi, ma avrebbe dovuto chiarire se, nel caso di specie, ci si trovava di fronte a una sovrapponibilita' delle fonti di prova acquisite nei due ambiti processuali e se tale, eventuale, condizione esplicava i suoi effetti nei confronti di (OMISSIS) e degli altri imputati di questo processo. Ne' si poteva trascurare che, secondo quanto accertato nel giudizio abbreviato celebrato nei confronti degli originari coindagati di (OMISSIS), l'assoluzione veniva pronunciata Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce per l'insussistenza del delitto associativo ascritto al capo A, ex articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup., atteso che la stessa fattispecie e' contestata agli imputati del presente procedimento. Basti, in proposito, considerare che, secondo il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce, l'assoluzione degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si giustificava per l'assenza di elementi sintomatici dell'esistenza della consorteria contestata al capo A, non essendo emerse spartizioni di aree dove esercitare lo spaccio; non essendo stati accertati viaggi per procurarsi la sostanza stupefacente da immettere sul mercato della tossicodipendenza di (OMISSIS); non essendo stato dimostrato che i componenti del sodalizio utilizzassero mezzi comuni per realizzare gli spostamenti necessari allo svolgimento dell'attivita' consortile; non essendo state sequestrate somme di denaro frutto delle transazioni illecite svolte dai sodali del gruppo egemonizzato dalla famiglia (OMISSIS). Queste considerazioni impongono un nuovo intervento chiarificatore della Corte di assise appello di Lecce, finalizzato a verificare se l'apporto consortile fornito da (OMISSIS) e dagli imputati giudicati nel presente procedimento, tenuto conto degli elementi di astratta sovrapponibilita' richiamati, possa essere ricondotto a un unico accordo criminoso, come ritenuto nella sentenza impugnata, ovvero debba essere ricondotto a differenti ruoli, svolti in ambiti omogenei territorialmente ed eterogenei operativamente; il che consentirebbe di giustificare gli esiti antitetici ai quali si perveniva nei due giudizi, su cui, allo stato, la motivazione del provvedimento censurato non e' adeguata, non chiarendo le ragioni delle contrapposte conclusioni, a fronte di un compendio probatorio originariamente unitario e, almeno astrattamente, omogeneo. Nel compiere gli accertamenti demandati da questo Collegio, la Corte di rinvio dovra' tenere conto delle risultanze processuali richiamate, che dovranno essere valutate nel rispetto della giurisprudenza di legittimita' consolidata, secondo cui nelle ipotesi di applicazione del principio del ne bis in idem a reati associativi, per "escludere la medesimezza del fatto, non rilevano ne', dal punto di vista del soggetto, eventuali mutamenti nelle modalita' di partecipazione (attivita' e ruoli), ne', dal punto di vista dell'organizzazione, eventuali mutamenti in ordine ai suoi equilibri interni in relazione al numero dei componenti, ma e' necessario accertare che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero che si sia verificata una successione nelle attivita' criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio" (Sez. 1, n. 2260 dell'08/11/2013, dep. 2014, Imperio, Rv. 258750-01). Si consideri, ulteriormente, che, nei casi di applicazione del principio del ne bis in idem a delitti associativi, per "escludere la medesimezza del fatto, non rilevano i mutamenti delle modalita' di partecipazione associativa, la modifica dell'oggetto del programma criminoso o del numero degli affiliati, ma cio' che risulta dai suoi elementi costitutivi, rappresentati dalla condotta, dall'evento e dal nesso di causalita'" (Sez. 1, n. 4984 dell'01/12/2021, dep. 2022, Barattolo, Rv. 287721-01). Ne' potrebbe essere diversamente, atteso che, per valutare l'identita' processuale di un delitto associativo, rilevante ex articolo 649 c.p.p., per medesimo fatto deve intendersi quello risultante dai suoi elementi costitutivi, rappresentati dalla condotta, dall'evento e dal nesso di causalita', rispetto ai quali non assumono un rilievo decisivo ne' i mutamenti delle modalita' della partecipazione consortile ne' l'ampliamento dell'oggetto del programma criminoso o del numero degli affiliati (Sez. 2, n. 1144 del 06/12/2018, Delle Vergini, Rv. 275068-01; Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bosica, Rv. 274448-01; Sez. 6, n. 48691 del 05/10/2016, Ricciarelli, Rv. 268226-01; Sez. 2, n. 8697 del 18/01/2005, Romito, Rv. 230791-01). Ci si trova, del resto, di fronte a un'ipotesi di identita' processuale tra due fatti di reato, rilevante ai sensi dell'articolo 649 c.p.p., solo in presenza di una medesima condotta illecita, risultante dai suoi elementi costitutivi, rappresentati dalla condotta, dall'evento e dal nesso di causalita', rispetto ai quali assumono un rilievo decisivo il contesto nel quale l'azione criminosa si sviluppa e i soggetti che risultano coinvolti nei due ambiti processuali. Sul punto, non si puo' che richiamare l'arresto chiarificatore delle Sezioni Unite, tuttora insuperato, secondo cui: "Ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona" (Sez. U, n. 34655 del 28/96/2005, Donati, Rv. 231799-01). 2.1.1. Le conclusioni esposte nel paragrafo precedente postulano la risoluzione di un'ulteriore questione, relativa all'estensione degli effetti della pronuncia di annullamento formulata in accoglimento del primo motivo del ricorso di (OMISSIS) ai coimputati del ricorrente - (OMISSIS) e (OMISSIS) - ai quali e' contestato il capo A della rubrica e che, a differenza di (OMISSIS), non hanno proposto analoga doglianza. A tale quesito occorre fornire risposta positiva. Osserva, in proposito, il Collegio che il principio stabilito dall'articolo 587 c.p.p., comma 1, - a tenore del quale: "Nel caso di concorso di piu' persone in uno stesso reato, l'impugnazione proposta da uno degli imputati, purche' non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati" - riguarda l'estensione all'imputato non impugnante degli effetti derivanti dall'accoglimento di una doglianza di natura oggettiva, analoga a quella formulata da (OMISSIS) e (OMISSIS), con le modalita' che si sono richiamate, che non comporta, in quanto tale, alcun automatismo nell'estensione dei motivi dell'impugnazione da un imputato all'altro. Allo scopo di inquadrare il principio previsto dall'articolo 587 c.p.p., comma 1, appare indispensabile richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "Il principio previsto dall'articolo 587 c.p.p. riguarda l'estensione, all'imputato non impugnante sul punto, degli effetti favorevoli derivanti dall'accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato, ma non implica l'estensione da un coimputato all'altro dei motivi di impugnazione, con conseguente dovere da parte del giudice di esaminarli" (Sez. 6, n. 21739 del 29/01/2016, Tarantini, Rv. 266917-01; si vedano in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 55001 del 18/07/2018, Cante, Rv. 274213-01; Sez. 6, n. 20511 del 16/01/2018, Talotta, Rv. 261697-01; Sez. 1, n. 44319 del 30/09/2014, Gargiulo, Rv. 261697-01). Ne discende che, laddove l'impugnazione riguarda un motivo non esclusivamente personale ed e' estensibile all'imputato non impugnante - come nel caso di (OMISSIS) e (OMISSIS) -l'estensione opera sul piano degli effetti processuali. Si integra, in questo modo, una sorta di restituzione nel termine e si riapre autonomamente il giudizio sul punto della decisione al quale si riferisce il motivo comune altrui, rappresentato, nel nostro caso, dalla sovrapponibilita' degli ambiti decisori del presente procedimento e del procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., all'esito del quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce, con sentenza del 20 ottobre 2020, assolveva gli imputati dal reato loro ascritto al capo A per l'insussistenza del fatto. La finalita' dell'istituto di cui all'articolo 587 c.p.p., dunque, e' di natura tendenzialmente sostanziale, riguardando la necessita' di evitare giudicati penali contrastanti e di privilegiare esigenze di giustizia, estendendo al soggetto che non impugni la sentenza ovvero che la impugni per motivi diversi la possibilita' di svolgere difese sul punto nella fase di gravame, come affermato da questa Corte, secondo cui l'effetto "estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale, giova anche nei confronti del coimputato che ha proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti, con conseguente applicabilita' della disciplina prevista dall'articolo 627 c.p.p., comma 5" (Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013, Serio, Rv. 258155-01). Pertanto, l'estensione degli effetti del motivo proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), che non avevano proposto analoga doglianza, discende dalla natura oggettiva e non esclusivamente personale della censura difensiva sollevata, che comporta l'annullamento della sentenza impugnata per tutti gli imputati ai quali e' contestato il capo A. 2.1.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del primo motivo di ricorso, con il conseguente rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio, sul punto, nei termini di cui in dispositivo. 2.2. Resta assorbito nella doglianza oggetto di accoglimento il secondo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Il vaglio di questa doglianza, invero, postula la risoluzione della questione della sovrapponibilita' del compendio probatorio acquisito in questo procedimento e di quello posto a fondamento della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce il 20 ottobre 2020 nel procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., che, a sua volta, e' collegata al problema dell'autonomia dei due giudizi, affermata assertivamente nella decisione impugnata e censurato con il primo motivo del ricorso in esame. 2.3. Resta, parimenti, assorbito nella doglianza oggetto di accoglimento il terzo motivo con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale escluso l'aggravante dell'articolo 74, comma 4, Testo Unico stup. - la cui sussistenza era smentita dalle emergenze processuali - e mitigato il trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato nel giudizio di primo grado, quantificato in quattordici anni di reclusione. L'assorbimento di tale doglianza nel primo motivo si fonda sulle stesse ragioni esaminate con riferimento al secondo motivo del ricorso oggetto di vaglio, esposte nel paragrafo 2.2, cui si deve rinviare, per la compiuta ricognizione degli argomenti che impongono di ritenere assorbita la censura difensiva in esame. 2.4. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), relativamente al reato di cui al capo A, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio, su tale capo, nei termini di cui in dispositivo. 3. Deve ritenersi fondato il ricorso dell'imputato (OMISSIS), proposto a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), articolato in quattro motivi. Occorre premettere che il ricorso in esame e' fondato, in conseguenza dell'estensione degli effetti del motivo proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) - riguardante la sovrapponibilita' del compendio probatorio acquisito nel presente procedimento e di quello relativo al procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P. - nei confronti di (OMISSIS), che non aveva proposto analoga doglianza, ex articolo 587 c.p.p.. Su questi profili ermeneutici, in termini generali, ci si e' gia' soffermati nel paragrafo 2.1.1, al quale si deve rinviare. 3.1. Tanto premesso, deve ritenersi assorbito nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso, il primo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo dell'impugnazione di (OMISSIS), con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Non puo', in proposito, non rilevarsi, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.2, nell'esaminare il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), cui si deve rinviare, che il vaglio di questa doglianza postula la risoluzione della questione della sovrapponibilita' del compendio probatorio di questo procedimento e di quello acquisito nel procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., che, a sua volta, e' collegata al problema dell'autonomia dei due giudizi, affermata in termini incongrui nella sentenza impugnata. Ne discende l'assorbimento di questa doglianza nelle ragioni che impongono l'accoglimento del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), i cui effetti si estendono ad (OMISSIS) ex articolo 587 c.p.p., per le considerazioni esposte nel paragrafo 2.2, al quale occorre rinviare ulteriormente, per la compiuta ricognizione degli argomenti che impongono di ritenere assorbita la censura difensiva in esame. 3.2. Resta, parimenti, assorbito nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso, ai sensi dell'articolo 587 c.p.p., il secondo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano l'espletamento di una perizia fonica, ex articolo 603 c.p.p., che avrebbe consentito di accertare l'erronea identificazione di (OMISSIS) quale soggetto coinvolto nelle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che costituivano il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dell'imputato. L'assorbimento di questa doglianza nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso discende dall'estensione degli effetti del ricorso proposto da (OMISSIS) ad (OMISSIS), che impone una rivalutazione complessiva del compendio probatorio su cui si fondava il giudizio di colpevolezza formulato dalla Corte di merito, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.1.1, cui si rinvia ulteriormente. 3.3. Resta, ulteriormente, assorbito nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso, ex articolo 587 c.p.p., il terzo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per essere la decisione in esame priva di un percorso argomentativo esplicativo delle ragioni che non consentivano la riqualificazione del reato di cui al capo A della rubrica ex articolo 74, comma 6, Testo Unico stup., che, viceversa, si imponeva alla luce del ruolo modesto ricoperto dal ricorrente nell'ambiente criminale melissanese. Anche in questo caso, l'assorbimento della doglianza in esame nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso discende dall'estensione degli effetti dell'impugnazione proposta da (OMISSIS) ad (OMISSIS), che impongono una rivalutazione complessiva del compendio probatorio su cui si fondava il giudizio di colpevolezza formulato dalla Corte di merito - incidente sulla riqualificazione del reato di cui al capo A, invocata ex articolo 74, comma 6, Testo Unico -, in linea con quanto affermato nel paragrafo 2.1.1, al quale si deve rinviare ulteriormente. 3.4. Resta, infine, assorbito nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso, ai sensi dell'articolo 587 c.p.p., il quarto motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione censurata dato opportuno conto delle ragioni che imponevano di ritenere connotato da proporzionalita' il trattamento sanzionatorio irrogato e non consentivano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la cui concessione si imponeva alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui erano maturati gli accadimenti criminosi e della modesta caratura criminale di (OMISSIS). Non si puo', in proposito, non ribadire che l'assorbimento di questa doglianza nelle ragioni che impongono l'accoglimento del ricorso deriva dall'estensione degli effetti dell'impugnazione proposta da (OMISSIS) ad (OMISSIS), che impone una rivalutazione complessiva del compendio probatorio su cui si fondava il giudizio di colpevolezza formulato dalla Corte territoriale - che e' incidente sulla proporzionalita' del trattamento sanzionatorio irrogato all'imputato, quantificato in quattordici anni di reclusione -, in linea con quanto si e' affermato nel paragrafo 2.1.1, in termini generali, al quale si deve rinviare ulteriormente. 3.5. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), relativamente al reato di cui al capo A, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio su tale capo, nei termini di cui in dispositivo. 4. Deve ritenersi parzialmente fondato il ricorso di (OMISSIS), proposto a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), articolato in quattro motivi. 4.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 180, 181 c.p.p., articolo 24 Cost., articolo 6 CEDU, conseguenti al mancato deposito della copia integrale delle registrazioni digitali delle intercettazioni svolte nel corso delle indagini preliminari, contestualmente all'avviso ex articolo 415-bis c.p.p., che aveva determinato un pregiudizio irreparabile alle prerogative difensive di (OMISSIS) e la nullita' assoluta degli elementi probatori di natura captativa, che costituivano il nucleo essenziale della pronuncia censurata. Osserva il Collegio che la soluzione proposta dalla Corte di assise di appello di Lecce, in linea con la decisione adottata dalla Corte di assise di Lecce, trae il suo fondamento dalla giurisprudenza di legittimita' consolidata, secondo cui l'articolo 268 c.p.p. regola il diritto al rilascio di copia delle registrazioni digitali delle captazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari nella consapevolezza del "pericolo connesso alla diffusione delle tracce foniche o video, sotto forma di copia digitale o informatica" (Sez. 6, n. 16583 del 28/03/2019, A., Rv. 27572501). L'articolo 268 c.p.p., quindi, pospone l'esercizio di tale, pur irrinunciabile, diritto alla fase successiva all'individuazione delle intercettazioni rilevanti e all'esclusione di quelle lesive dei terzi coinvolti, atteso che, solo a partire da tale momento processuale, vi e' un margine di garanzia che l'eventuale diffusione di tracce foniche, sotto forma di copia informatica, non possa pregiudicare l'eventuale sviluppo delle indagini, che impongono la sottoposizione di tale prerogativa difensiva a precisi limiti, sui quali si impone un rigoroso controllo giurisdizionale. Si consideri, ulteriormente, che il mancato rilascio delle copie informatiche delle registrazioni delle intercettazioni, in assenza di disposizioni che prevedano una specifica sanzione di nullita', non determina un'invalidita' incidente sulla regolarita' del mezzo di prova esperito, riguardando un fatto successivo alla sua formazione. Ne consegue che, in questi casi, l'assenza di specifiche sanzioni processuali non consente di ricondurre la mancata estrazione delle copie informatiche dell'intero compendio probatorio costituito dalle intercettazioni alle ipotesi di nullita', assoluta e insanabile, invocate dalla difesa del ricorrente ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c). A queste considerazioni deve aggiungersi che la difesa di (OMISSIS) non poteva limitarsi a censurare, sic et simpliciter, l'omesso deposito di tutte le copie informatiche delle intercettazioni, ma avrebbe dovuto indicare analiticamente le conseguenze concrete che la mancata disponibilita' processuale delle registrazioni digitali aveva prodotto sull'esercizio delle sue prerogative difensive e sull'esito del processo penale che riguardava l'imputato. Sul punto, non si puo' che richiamare la giurisprudenza di questa Corte, che si ribadisce, secondo cui: "Il diritto del difensore di ascoltare le registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e di estrarre copia dei file audio, dopo il deposito effettuato ai sensi dell'articolo 268 c.p.p., comma 4, non e' suscettibile di limitazione ne' e' subordinato ad autorizzazione, per cui ogni compressione di tale diritto da' luogo alla nullita' di ordine generale a regime intermedio prevista dall'articolo 178, lettera c), c.p.p. " (Sez. 6, n. 41362 del 11/07/2013, Drago, Rv. 25780401; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 57195 del 15/11/2017, Zekti, Rv. 271701-01). L'infondatezza della doglianza, dunque, discende dal fatto che la difesa di (OMISSIS) tende a ottenere il rilascio delle copie informatiche di tutte le intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, senza indicare alcuna specifica finalita' difensiva, con la conseguenza che da una tale, generica e indistinta, richiesta non puo' farsi discendere alcuna conseguenza sanzionatoria, che, peraltro, non trova copertura nella previsione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), impropriamente richiamata nell'interesse del ricorrente a sostegno delle sue argomentazioni. Non puo', pertanto, non ribadirsi, in linea con le conclusioni alle quali giungeva la Corte di assise di appello di Lecce, che nei giudizi di merito veniva data piena disponibilita', oltre che per l'ascolto di singole conversazioni, per il rilascio di copie mirate delle intercettazioni, con la conseguenza che nessun pregiudizio alle prerogative difensive del ricorrente puo' rilevarsi nel comportamento processuale assunto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, nei cui uffici erano depositate le registrazioni digitali controverse. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza della doglianza esaminata. 4.2. Deve, invece, ritenersi fondato il secondo motivo, prospettato in termini assimilabili al primo motivo del ricorso di (OMISSIS), con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 74 Testo Unico stup., articoli 187, 192, 238-bis c.p.p., conseguenti al fatto che la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A era intervenuta in contrasto con la decisione pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce il 20 ottobre 2020 nel procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., con cui, all'esito di giudizio abbreviato, gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo di cui all'articolo 74, commi 2, 4, Testo Unico stup., del quale erano ritenuti correi dell'imputato, per l'insussistenza del delitto associativo. Si tratta, come si e' detto, di una doglianza che veniva prospettata in termini assimilabili al primo motivo del ricorso di (OMISSIS), sul quale ci si e' gia' diffusamente soffermati nel paragrafo 2.1, al quale occorre rinviare per la compiuta disamina delle censure che vi sono sottese - riguardanti la sovrapponibilita' del compendio probatorio acquisito nel presente procedimento e di quello relativo al procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P. -, di cui si deve ribadire la fondatezza. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del secondo motivo di ricorso, con il conseguente rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio, sul punto, nei termini di cui in dispositivo. 4.3. Resta assorbito nella doglianza oggetto di accoglimento il terzo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A della rubrica, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Si tratta di una doglianza che, come detto, veniva prospettata in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), la cui fondatezza discende dalle considerazioni espresse nel paragrafo 2.2, al quale occorre rinviare, senza soffermarsi ulteriormente sulle ragioni che impongono di ritenere fondata la censura difensiva in esame. 4.4. Deve, infine, ritenersi infondato il quarto motivo, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 575, 577 c.p., articolo 192 c.p.p., comma 2, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto degli elementi probatori sulla base dei quali era stato formulato il giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) per il reato di al capo C, che non poteva essere espresso alla luce delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che apparivano sprovviste di univocita' probatoria nei confronti del ricorrente. Si deduceva, al contempo, che il contenuto delle intercettazioni non poteva ritenersi corroborato dagli esiti, asseritamente positivi, dei rilievi stub effettuati nei confronti del ricorrente, atteso che l'attendibilita' scientifica di tale mezzo di prova postulava il suo espletamento entro il termine di sei ore dall'utilizzo dell'arma usata per commettere l'omicidio di (OMISSIS); condizione cronologica, questa, non riscontrabile nel caso in esame. I rilievi stub, infatti, erano stati eseguiti nei confronti dell'imputato dopo oltre tre ore da tale termine, rendendo l'esito della verifica inattendibile scientificamente e irrilevante ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza censurato. Osserva, in proposito, il Collegio che il nucleo probatorio essenziale su cui la Corte di assise di appello di Lecce fondava la conferma del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS), relativamente all'ipotesi delittuosa di cui al capo C, e' costituito dagli esiti delle attivita' di intercettazione svolte nel corso delle indagini preliminari, passati analiticamente in rassegna nella decisione impugnata, che venivano correlati ai risultati delle verifiche investigative eseguite nell'immediatezza dei fatti. Tra queste captazioni, innanzitutto, occorre richiamare quelle citate dalla Corte di merito con riferimento alla posizione di (OMISSIS), tra le quali, seguendo l'ordine di esposizione della sentenza impugnata, occorre richiamare l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 21.26, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 21.39, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 23.07, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 23.07, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il 24 ottobre 2018, alle ore 23.10, tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il fratello della compagna, (OMISSIS); l'intercettazione registrata il 24 ottobre 2018, alle ore 23.13, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 23.15, tra (OMISSIS) e la compagna, (OMISSIS). Occorre, inoltre, occorre richiamare le captazioni citate dalla Corte territoriale con riferimento alla posizione dell'imputato (OMISSIS), tra le quali, seguendo l'ordine di esposizione della decisione censurata, occorre richiamare l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 21.26, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 21.39, tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 22.25, tra (OMISSIS) e la figlia, Sofia (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 22.36, tra (OMISSIS) e la figlia, (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 23.09, tra (OMISSIS) e la moglie, (OMISSIS); l'intercettazione registrata il (OMISSIS), alle ore 23.22, tra (OMISSIS) e la cognata, (OMISSIS). Di queste risultanze captative la Corte di merito forniva un'interpretazione ineccepibile, inserendole in un compendio probatorio che consentiva di ritenere dimostrato il coinvolgimento di (OMISSIS) e (OMISSIS) nell'esecuzione dell'omicidio di (OMISSIS), che costituiva il frutto della conoscenza personale degli accadimenti criminosi acquisita dagli imputati, per avere partecipato alle operazioni che si concludevano con l'uccisione della vittima e alle attivita' svolte dopo l'omicidio, finalizzate all'occultamento delle possibili tracce del loro coinvolgimento nell'agguato mortale, allontanandosi da (OMISSIS) a bordo di un'autovettura noleggiata. Questa certezza processuale derivava dal tenore dei colloqui richiamati, il cui contenuto risultava univocamente orientato in senso sfavorevole al ricorrente e a (OMISSIS), consentendo di corroborare l'ipotesi del loro coinvolgimento personale nell'esecuzione dell'omicidio in esame, reso evidente dalle febbrili conversazioni nelle quali gli imputati si trovavano coinvolti, nell'immediatezza dei fatti, nell'arco temporale compreso tra le ore 23.07 e le ore 23.22 del (OMISSIS), nel quale si registravano tredici comunicazioni. La collocazione oraria di queste conversazioni, peraltro, assume un rilievo probatorio pregnante, anche alla luce del fatto che l'omicidio di (OMISSIS), secondo la ricostruzione medico-legale eseguita dal dottor (OMISSIS), veniva eseguito la sera del (OMISSIS), tra le ore 23 e le ore 23.45. Appare, in proposito, opportuno richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 131 del provvedimento impugnato, in cui la Corte di assise di appello di Lecce evidenziava conclusivamente che "sono gli imputati che avvisano altri dell'accaduto e non il contrario"; informazioni che, all'evidenza, i ricorrenti erano in grado di fornire ai loro interlocutori per avere preso parte personalmente all'omicidio di (OMISSIS). Gli esiti di tali captazioni, dunque, corroboravano l'ipotesi accusatoria, secondo cui l'omicidio di (OMISSIS) era stata eseguito da (OMISSIS) e (OMISSIS) poco dopo le ore 23 del (OMISSIS) e traeva origine dalle tensioni sviluppatesi nel mercato degli stupefacenti melissanese, nel quale gli imputati e la vittima gravitavano. Ne' e' possibile dubitare del coinvolgimento personale di (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle attivita' frenetiche che precedevano e seguivano l'omicidio di (OMISSIS), emergendo tale dato probatorio dalla sequenza cronologica delle captazioni che si sono richiamate, compresa tra l'intercettazione registrata il 23 luglio 2018, alle ore 21.26 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) - che precedeva l'esecuzione dell'agguato - e l'intercettazione registrata il 24 luglio 2018, alle ore 23.22, tra (OMISSIS) e la cognata, (OMISSIS), nella quale l'imputato forniva all'interlocutrice indicazioni sul parcheggio dell'autovettura Fiat Bravo, che era nella sua disponibilita'. Tali, convergenti, elementi probatori assumevano un rilievo sintomatico ancora piu' stringente, alla luce del fatto che le utenze telefoniche di (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle ore successive all'esecuzione dell'omicidio di (OMISSIS), dopo l'intercettazione delle ore 23.22, sopra citata, apparivano muoversi contestualmente, venendo registrate lungo lo stesso itinerario coperto dalle relative celle telematiche. Venivano, infatti, registrati gli spostamenti congiunti delle due utenze telefoniche, a (OMISSIS), in cui nelle prime ore del mattino successivo all'attentato mortale, i due imputati venivano controllati a bordo di un'autovettura Renault Modus - che era stata noleggiata il 23 luglio 2018, il giorno prima dell'omicidio di (OMISSIS) -, con la quale erano appena giunti sotto l'abitazione di (OMISSIS), dove i Carabinieri della Compagnia di Casarano, che conducevano le indagini, erano appostati in attesa del loro arrivo, li sottoponevano a fermo. La circostanza che gli imputati erano stati assieme nelle ore successive all'omicidio, del resto, e' avvalorata dal ritrovamento all'interno dell'autovettura Renault Modus, al momento del fermo di polizia, di due scontrini fiscali; uno rilasciato alle 0.18 del 25 luglio 2018 presso il (OMISSIS) e l'altro rilasciato alle ore 1.38 dello stesso giorno presso l'(OMISSIS)" di (OMISSIS). Questi spostamenti, al contempo, costituivano la dimostrazione dell'atteggiamento di (OMISSIS) e (OMISSIS) finalizzato a precostituirsi un alibi, recandosi, tra l'altro, a (OMISSIS) e a Lecce, allo scopo di rappresentare la loro assenza dal territorio di (OMISSIS), nel periodo immediatamente successivo all'omicidio di (OMISSIS). Il compendio probatorio, inoltre, veniva corroborato dagli esiti dei rilievi stub eseguiti nella prima fase delle indagini preliminari, al momento del fermo degli imputati da parte dei Carabinieri della Compagnia di Casarano, avvenuto la mattina del 25 luglio 2008, con le modalita' di cui si e' detto. In particolare, i rilievi stub, eseguiti a distanza di circa nove ore dal momento dell'assassinio di (OMISSIS), consentivano di rinvenire residui da sparo sulle mani di (OMISSIS); sul sedile anteriore dell'autovettura Renault Modus dove era seduto (OMISSIS) al momento del fermo; all'interno dell'autovettura Fiat Bravo, che, nella tarda serata dell'omicidio, (OMISSIS) aveva parcheggiato davanti all'abitazione della cognata (OMISSIS). A ben vedere, la circostanza che gli imputati venivano sottoposti a controllo la mattina del 25 luglio 2018, mentre si trovavano a bordo dell'autovettura Renault Modus noleggiata il 23 luglio 2018, assume un elevato rilievo corroborativo dell'ipotesi accusatoria, proprio alla luce del ritrovamento di residui da sparo all'interno del veicolo; dato, quest'ultimo, che assume una valenza certamente maggiore rispetto al ritrovamento di analoghi residui all'interno della Fiat Bravo parcheggiata davanti all'abitazione di (OMISSIS), nella tarda serata del (OMISSIS), atteso che nei giudizi di merito non si faceva piena chiarezza sull'utilizzo di questa vettura nel giorno dell'omicidio di (OMISSIS). Deve, per altro verso, evidenziarsi che il rinvenimento di particelle da sparo all'esito delle prove stub eseguite nell'immediatezza dei fatti, seppure non poteva ritenersi astrattamente esente da contaminazioni, atteso che i prelievi venivano eseguiti a distanza di tre ore dal limite massimo stabilito dalla comunita' scientifica per garantire l'attendibilita' dei rilievi espletati, assumeva un elevato valore sintomatico, se esaminato in correlazione con gli altri elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari; tutti orientati in senso sfavorevole a (OMISSIS) e (OMISSIS). D'altra parte, l'ipotesi di una contaminazione dei reperti, prospettata dal consulente tecnico di parte, il generale (OMISSIS), sembra collocarsi su un piano meramente congetturale, atteso che, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, i militari che avevano eseguito i rilievi stub dopo il fermo degli imputati non avevano preso parte, per un lungo arco temporale precedente, ad alcuna esercitazione di tiro e non avevano utilizzato, per qualsivoglia ragione, le armi in dotazione. Si tratta, dunque, di una prospettazione rilevante su un piano tendenzialmente accademico, come correttamente evidenziato dalla Corte di merito, che ne escludeva la plausibilita', sul piano concreto, alla luce delle emergenze probatorie, che si orientavano univocamente contro (OMISSIS) e (OMISSIS), attese le modalita' con cui i residui da sparo venivano repertati all'esito delle prove stub eseguite la mattina del 25 luglio 2018, che imponevano di ritenere altamente improbabile l'ipotesi di una contaminazione dei reperti acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Casarano. Appaiono, pertanto, pienamente condivisibili le conclusioni alle quali giungeva la Corte di assise di appello di Lecce, che, nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 150 e 151, osservava che "l'esito positivo dello stub sulle mani di (OMISSIS); l'esito positivo dello stub all'interno dell'autovettura Fiat Bravo, pacificamente in uso al (OMISSIS), e dell'autovettura Renault Modus, a bordo della quale venivano bloccati entrambi gli imputati la mattina successiva all'omicidio; le febbrili chiamate effettuate da entrambi gli imputati sin dalle 23.07 (...) con cui annunciavano la morte del (OMISSIS) e impartivano direttive a familiari e sodali, in assenza di comunicazioni di altri nei loro confronti; l'alibi falso del (OMISSIS); l'allontanamento, rimasto privo di spiegazione, per tutta la notte di entrambi gli imputati (...) costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti a loro carico, dovendosene necessariamente desumere, in assenza di ipotesi alternative lecite, che (OMISSIS) e (OMISSIS) siano gli autori dell'omicidio contestato". 4.4.1. Occorre, a questo punto, soffermarsi sulla questione, strettamente correlata alle doglianze esaminate nel paragrafo precedente, che veniva prospettata in termini analoghi nel ricorso di (OMISSIS), dell'assenza di premeditazione dell'agguato nel quale veniva ucciso (OMISSIS), che si riteneva corroborata dalle emergenze probatorie. Non occorre, invero, soffermarsi ulteriormente sugli scenari che inducevano la Corte di merito a ricondurre l'assassinio di (OMISSIS) nell'ambito delle tensioni maturate in seno al mercato degli stupefacenti melissanese nel quale maturava la decisione di uccidere la persona offesa, passati in rassegna nel paragrafo 4.4, cui si deve rinviare, alla luce dei quali deve ribadirsi che l'azione di (OMISSIS) e (OMISSIS) si inseriva in un progetto criminoso sedimentato, relativamente al quale non e' possibile distinguere, se non artificiosamente, le varie fasi in cui si sviluppava l'azione omicida concretizzatasi nella sera del (OMISSIS). Rispetto a tale pianificazione, non assume un rilievo decisivo la mancata individuazione delle ragioni che avevano indotto i sicari a intervenire proprio in quella parte della giornata del (OMISSIS), inserendosi la loro decisione in una programmazione criminosa accurata, sviluppatasi nel contesto di fibrillazione maturato in seno al mercato degli stupefacenti melissanese, egemonizzato dalla famiglia (OMISSIS). Non e', dunque, possibile ipotizzare, a sostegno dell'assenza di premeditazione nel comportamento criminoso di (OMISSIS) - e di (OMISSIS), che, ai presenti fini, e' sovrapponibile a quella del ricorrente - la natura, non preventivamente concertata del suo apporto concorsuale, dovendosi evidenziare che, per ipotizzare un siffatto contributo, occorreva che la condotta dei sicari si fosse presentata come assolutamente occasionale rispetto alla programmazione dell'uccisione di (OMISSIS); connotazione, questa, che non e' certamente ravvisabile nel ruolo esecutivo del ricorrente, inserito in un progetto criminoso sedimentato in un ampio arco temporale, rispetto al quale l'uccisione della vittima costituiva l'epilogo, quasi inevitabile, delle tensioni maturate tra la persona offesa e la famiglia (OMISSIS), che prescinde dalla mancata individuazione delle ragioni che inducevano ad agire nella tarda serata del (OMISSIS). Si muove, del resto, in questa direzione, l'utilizzo dell'autovettura Renault Modus, che era stata noleggiata il 23 luglio 2018 e che sarebbe stata restituita, secondo quanto concordato contrattualmente il 26 luglio 2018, a distanza di due giorni dall'esecuzione dell'omicidio di (OMISSIS), che trova la sua giustificazione unicamente nella programmazione criminosa, accuratamente predisposta dai sicari. L'impiego dell'autovettura noleggiata, peraltro, assume un rilievo probatorio ancora piu' pregnante, nella cornice probatoria prefigurata dalla Corte di assise di appello di Lecce, alla luce del fatto che il veicolo in questione veniva utilizzato dai sicari per allontanarsi da (OMISSIS) nella tarda serata del (OMISSIS) e farvi ritorno la mattina dopo, quando gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano fermati, a bordo dello stesso mezzo, dai Carabinieri della Compagnia di Casarano. Occorre, pertanto, ribadire che le evidenze processuali e il contesto criminale, collegato al mercato degli stupefacenti melissanese, nel quale maturava la decisione di uccidere (OMISSIS), smentiscono l'estemporaneita' dell'azione omicida, che appare priva delle connotazioni di occasionalita' invocate dalla difesa del ricorrente, imponendo, al contrario, il riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3, che deve essere ricostruita in termini oggettivi, tenendo conto della sedimentazione nel tempo del progetto criminoso, di cui i sicari avevano piena consapevolezza, rispetto al quale la scelta di intervenire nella tarda serata del (OMISSIS) non assume un valore decisivo ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza censurato. Il riconoscimento circostanziale, dunque, appare pienamente rispettoso del compendio probatorio acquisito nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunita' del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuita' nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica)" (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241575-01). Si tratta, del resto, di un orientamento ermeneutico che si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, tuttora insuperato, che si attaglia perfettamente all'ipotesi omicidiaria che si sta considerando, che e' possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: "In tema di omicidio, dalla preordinazione del crimine, concernente le modalita' di esecuzione di esso, che non e' da sola sufficiente a denotarne la premeditazione, possono essere tratti elementi sintomatici idonei ad una corretta individuazione e qualificazione del dolo del soggetto agente, con la conseguenza che la causale del fatto, la preordinazione accurata dei mezzi per porlo in essere, la ricerca della occasione piu' favorevole per realizzarlo e le modalita' di esecuzione del delitto sono fatti oggettivi dai quali il giudice di merito puo', con adeguata motivazione, desumere la sussistenza o meno della circostanza aggravante prevista dall'articolo 577 c.p., comma 1 n. 3" (Sez. 1, n. 4956 del 15/03/1993, Ardito, Rv. 194557-01). In questa cornice, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni alle perveniva la Corte di merito, che nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 127, osservava: "Ricorrono dunque. (...) le diverse componenti della premeditazione: quella cronologica, avendo gli imputati avuto a disposizione un apprezzabile periodo di tempo tra risoluzione criminosa ed azione, sufficiente a farli riflettere sulla decisione presa; basti pensare alle precedenti circostanze in cui avevano piu' volte intimato agli antagonisti di "andare via" e di non ostacolare la loro egemonia nell'attivita' di spaccio di stupefacenti in quella zona (...); sussistendo inoltre la componente psicologica consistente nel perdurare nella risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile, chiusa ad ogni resipiscenza". 4.4.2. A queste, pur dirimenti, considerazioni, deve aggiungersi che, nella valutazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche o ambientali, gli indizi raccolti in tale ambito possono costituire fonte probatoria diretta e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano gravi, precisi e concordanti, fermo restando che l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle captazioni che si sono richiamate nel paragrafo precedente, che fanno espressamente riferimento a (OMISSIS), costituisce una questione meramente fattuale, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimita', se motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza, alla verifica dei quali il Collegio si deve attenere (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164-01; Sez. 6, n. 15396 dell'11/12/2007, dep. 2008, Sitzia, Rv. 239636-01). Ne discende che non e' possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto di tali conversazioni in sede di legittimita', sulla scorta di quanto prospettato dalla difesa di (OMISSIS), pur pregevolmente, essendo una siffatta operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: "In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650-01; Sez. 1, n. 3643 del 26/05/1997, Scotto, v. 208254-01). In questo contesto, occorre ribadire il consolidato principio di diritto secondo cui, a seguito della riformulazione normativa dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), mentre e' consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, non e' consentito dedurre il vizio di travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimita' di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella che e' stata compiuta nei giudizi di merito. Se cosi' non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un'operazione estranea al giudizio di legittimita', come quella della reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623-01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215-01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167-01). Discorso, questo, che vale anche con riferimento alla lettura del contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni captate durante le indagini preliminari, rispetto alle quali e' stato tratteggiato, sia nel ricorso di (OMISSIS) sia nel ricorso di (OMISSIS), in termini sostanzialmente assimilabili, un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle intercettazioni, che costituisce una questione esclusivamente fattuale, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se e nella misura in cui le valutazioni effettuate in concreto risultino logiche e coerenti in rapporto alle massime di esperienza utilizzate per l'interpretazione delle captazioni. Sul punto, allo scopo di circoscrivere con maggiore puntualita' gli ambiti di intervento del giudice di legittimita' in relazione all'operazione di ermeneutica processuale compiuta dai Giudici di merito leccesi sui risultati delle intercettazioni oggetto di vaglio, si ritiene utile richiamare il seguente principio di diritto: "In tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilita' dei significati e assenza di ambiguita', di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione" (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611-01; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414-01; Sez. 6, n. 17619 dell'08/01/2008, Gionta, Rv. 239724-01). Questa posizione ermeneutica, da ultimo, e' stata ribadita dalle Sezioni Unite, secondo cui: "In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita'" (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01). 4.4.3. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 4.5. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la parziale fondatezza dell'impugnazione di (OMISSIS), in accoglimento del secondo motivo di ricorso, cui consegue l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, nei termini di cui in dispositivo. L'atto di impugnazione proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), nel resto, deve essere rigettato. 5. Deve, infine, ritenersi parzialmente fondato il ricorso di (OMISSIS), proposto a mezzo dell'avvocato (OMISSIS) e dall'avvocato (OMISSIS), articolato in due motivi. 5.1. Deve ritenersi fondato il primo motivo, prospettato in termini sovrapponibili al secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all'articolo 192 c.p.p. e articolo 74 Testo Unico stup., per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo A, che si poneva in contrasto con gli esiti delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di escludere il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' consortili contestate. Occorre, in proposito, ribadire, in linea con quanto si e' evidenziato nel paragrafo 2.2, nell'esaminare il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), cui si deve rinviare, che il vaglio di questa doglianza postula la risoluzione della questione della sovrapponibilita' del compendio probatorio di questo procedimento e di quello acquisito nel procedimento n. 5831/2019 R.G. G.I.P., che e' collegata al problema dell'autonomia dei due giudizi, affermata in termini assertivi nella decisione censurata. Ne discende l'assorbimento di questa doglianza nelle ragioni che impongono l'accoglimento del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), i cui effetti si estendono ad (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 587 c.p.p., per le considerazioni esposte nel paragrafo 2.2, al quale occorre rinviare ulteriormente, per la compiuta ricognizione degli argomenti che impongono di ritenere assorbita la censura difensiva in esame. 5.2. Deve, invece, ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di assise di appello di Lecce dato esaustivo conto degli elementi probatori sulla base dei quali era stato formulato il giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) per il reato di al capo C, che non poteva essere espresso sulla base delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, sprovviste di univocita' probatoria. Si deduceva, al contempo, che la Corte territoriale non aveva dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano di ritenere necessaria ai fini della decisione, relativamente al reato di cui al capo C, l'audizione ex articolo 603 c.p.p. del teste (OMISSIS), la cui escussione avrebbe consentito di escludere il coinvolgimento di (OMISSIS) nell'esecuzione dell'omicidio di (OMISSIS). 5.2.1. Osserva, innanzitutto, il collegio che la conferma del giudizio di colpevolezza formulata dalla Corte di merito nei confronti di (OMISSIS) discende dall'univocita' del compendio probatorio acquisito nei suoi confronti, su cui ci si e' analiticamente soffermati nel valutare la posizione del coimputato (OMISSIS), nei paragrafi 4.4, 4.4.1 e 4.4.2, ai quali occorre rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenere infondata la doglianza in esame. Non puo', in proposito, non ribadirsi che la posizione di (OMISSIS) e' sovrapponibile a quella di (OMISSIS), essendo i due imputati personalmente coinvolti nelle intercettazioni registrate nei segmenti temporali che precedeva e seguivano l'omicidio di (OMISSIS), captate tra le ore 21.26 e le ore 23.22 del (OMISSIS), sulle quali ci si e' soffermati nel paragrafo 4.4, al quale si deve rinviare ulteriormente. Tali conclusioni, peraltro, erano corroborate dal dato, processualmente incontroverso, secondo cui le utenze telefoniche di (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle ore successive all'esecuzione dell'omicidio di (OMISSIS), si muovevano contestualmente, venendo registrate lungo lo stesso itinerario e coperto dalle relative celle telematiche, rendendo pressoche' certo che i due ricorrenti, dopo la realizzazione dell'agguato mortale erano stati assieme, fino a quando non venivano fermati la mattina successiva all'assassinio, il 25 luglio 2018, dai Carabinieri della Compagnia di Casarano. Si tenga, infine, presente, in linea con quanto si e' gia' affermato nel paragrafo 4.4, cui si rinvia ulteriormente, che le attivita' d'indagine venivano corroborate dagli esiti dei rilievi stub eseguiti il giorno dopo l'omicidio, che consentivano di accertare la presenza di residui da sparo sulle mani di (OMISSIS) e sul sedile anteriore del veicolo dove era seduto (OMISSIS) al momento del fermo dei due imputati da parte dei militari casaranesi; prova, questa, che, seppure non del tutto attendibile sul piano scientifico, attesi i tempi di espletamento dei rilievi, laddove valutata in correlazione con tutti gli altri elementi probatori, convergeva nei confronti di (OMISSIS) - e del coimputato (OMISSIS) -, imponendo di confermare il giudizio di responsabilita' formulato dalla Corte di merito. A queste, pur dirimenti, considerazioni, deve aggiungersi che l'ipotesi alternativa, prospettata in termini meramente ipotetici dalla difesa di (OMISSIS), finalizzata a escludere il suo coinvolgimento nell'omicidio di (OMISSIS) - che sarebbe stato commesso da terzi non identificati -, oltre che illogico e processualmente incongruo, si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se puo' escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti" (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, Rv. 252066-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995-01; Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014, Schembri, Rv. 260813-01; Sez. 2, n. 44048 del 13/10/2009, Cassarino, Rv. 245627-01). Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che e' possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: "Nella valutazione probatoria giudiziaria - cosi' come, secondo la piu' moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) - e' corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, e' necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile. Ove cosi' non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti" (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220-01; Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, Abbate, Rv. 228401-01; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, Grilli, Rv. 186149-01). 5.2.2. Parimenti infondata deve ritenersi la correlata censura difensiva, relativa alla mancata audizione del teste (OMISSIS) ex articolo 603 c.p.p., finalizzata a dimostrare l'erroneita' dell'individuazione di (OMISSIS) quale esecutore materiale dell'omicidio di (OMISSIS). Secondo la difesa del ricorrente, la rinnovazione parziale del dibattimento, finalizzata a escutere il teste (OMISSIS), era funzionale a conoscere le ragioni per le quali, in un orario concomitante con l'omicidio, lo stesso si sarebbe dovuto incontrare con (OMISSIS), avendogli inviato due messaggi, trasmessigli alle ore 21.17 e alle ore 21.21 del (OMISSIS), dal contenuto dei quali emergeva che i due soggetti avevano concordato un appuntamento per la tarda serata dell'omicidio, sul tenore del quale nei giudizi di merito non si era fatta chiarezza. Osserva, in proposito, il Collegio che il compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito non consentiva di ritenere necessario l'esame del teste (OMISSIS), che peraltro non era stato nemmeno identificato nei giudizi di merito, invocato ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., che postulava una rivalutazione complessiva degli accadimenti criminosi incompatibile con il compendio probatorio su cui ci si e' diffusamente nei paragrafi 4.4, 4.4.1 e 4.4.2, cui si rinvia ulteriormente. Rispetto a questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'espletamento di ulteriori verifiche dibattimentali, nel caso di specie incentrate sull'escussione del teste (OMISSIS), tenuto conto dell'univocita' del compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito nei confronti dell'imputato (OMISSIS), non era idoneo a disarticolare il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Lecce. Sul punto, non si puo' che richiamare il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, esplicitato a pagina 128, in cui si evidenziava, con argomenti assolutamente pertinenti, anche alla luce delle considerazioni esposte nel paragrafo 5.2.1 (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, cit.), cui si rinvia, che la ragione che non consentiva l'accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. era "costituita dalla certezza, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che gli autori dell'omicidio siano gli odierni imputati, dovendosi immediatamente evidenziare che la Corte condivide integralmente il percorso motivazionale del primo giudice, che ha gia' fondatamente disatteso gran parte delle doglianze difensive". Pertanto, le richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate nel giudizio di secondo grado nell'interesse di (OMISSIS) non erano meritevoli di accoglimento, dovendosi ribadire, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si puo' ricorrere "solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilita' unicamente quando i dati probatori gia' acquisiti siano incerti, nonche' quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per se' oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza" (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228-01). Non e', del resto, dubitabile che alla rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello, disposta ex articolo 603 c.p.p., si puo' ricorrere solo quando il giudice ritenga che i dati probatori acquisiti nel giudizio di merito siano insufficienti e, per converso, che l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso di eliminare le eventuali incertezze ovvero di inficiare ogni altra, contraria, risultanza, riguardante, nel caso di specie, gli autori dell'omicidio di (OMISSIS). La disposizione dell'articolo 603 c.p.p., dunque, consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione di (OMISSIS), su cui convergeva il compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito, gia' richiamato, di ammettere l'integrazione probatoria richiesta, sull'assunto che l'incombente istruttorio possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione alternativa degli accadimenti criminosi, come costantemente affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv. 227494-01). 5.2.3. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 5.3. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del ricorso proposto da (OMISSIS) in accoglimento del primo motivo di ricorso, cui consegue l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, nei termini di cui in dispositivo. L'atto di impugnazione proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), nel resto, deve essere rigettato. 6. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di assise di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto. Devono essere rigettati, nel resto, i ricorsi proposti dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Consegue a tali statuizioni processuali la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentate dall'avv. Rocco Luigi Corvaglia, che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre accessori di leggi, nonche' dalla parte civile (OMISSIS), rappresentata dall'avv. (OMISSIS), che si liquidano in complessivi Euro 4.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) con rinvio per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di assise di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentate dall'avv. (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre accessori di leggi, nonche' dalla parte civile (OMISSIS), rappresentato dall'avv. (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.500,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. GIORGI Maria - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA M. Sabina - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza 29/09/2022 del Tribunale di Catanzaro, sezione per il riesame. Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Silvia Giorgi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Piccirillo Raffaele, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato in relazione al reato associativo e il rigetto nel resto del ricorso; udito il difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro - sezione per il riesame - ha rigettato la richiesta di riesame dell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, che aveva applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS) per il delitto associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, contestato al capo 173 della rubrica, e per i reati-fine di cui all'articolo 73, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica cit. descritti ai capi 224, 272, 288. I reati contestati si inseriscono in una serie di episodi delittuosi - oggetto del medesimo provvedimento genetico - posti in essere da vari indagati. In particolare, vengono contestati 298 capi di imputazione. Al capo 1 e' contestato il delitto di cui. all'articolo 416-bis coda pen. nei confronti di 119 indagati, con attribuzione del ruolo dagli stessi rivestito all'interno di una articolazione della âEuroËœndrangheta. Dal capo 2 al capo 172 sono contestati i reati-fine, aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. e riferiti alla consorteria mafiosa. Al capo 173 e' contestata l'associazione criminale ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, collegata all'associazione di cui al capo 1 e, infine, dal capo 174 al 298 sono contestati i reati-fine relativi all'associazione di cui al capo 173. Il Tribunale narrava innanzitutto, anche mediante il richiamo al provvedimento genetico, le vicende concernenti l'esistenza e l'operativita' della consorteria di âEuroËœndrangheta operante nel territorio cosentino (capo 1), caratterizzata dall'essere un'unione fra sette gruppi confinanti e alleati, al fine di preservare, mantenere e rinforzare il dominio sul territorio, nonche' dediti a commettere i diversi delitti sottesi a tale finalita' (estorsioni, gioco d'azzardo, narcotraffico, usure ed esercizio abusivo dell'attivita' finanziaria). Con riguardo al capo 173, gli esiti investigativi risultanti da captazioni telefoniche, ambientali e telematiche, l'analisi delle immagini estrapolate dagli impianti di videosorveglianza, i servizi di geolocalizzazione, osservazione e controllo, le attivita' di perquisizione e sequestro e l'analisi delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) - soggetti, tutti, impegnati in quel contesto criminale e percio' a conoscenza dei relativi assetti di potere compendiati nelle ricche ed esaurienti informative di polizia giudiziaria, consentivano inoltre, secondo il Tribunale, di ritenere accertata l'esistenza di una connessa organizzazione criminale dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti operante nel territorio di Cosenza e zone limitrofe. Ne venivano evidenziati: la struttura gerarchica e la stabile suddivisione dei compiti all'interno del sodalizio; il perseguimento di uno scopo comune, cioe' quello di creare, operare e mantenere nascosta una solida filiera di approvvigionamento e distribuzione di sostanze stupefacenti con esigenze lucrative; l'interdipendenza delle condotte nonche' la capacita' di fronteggiare tempestivamente ed efficacemente situazioni emergenziali o frizioni interne. Si indicavano poi ulteriori specificita' quali la contribuzione di tutti i gruppi ad una cassa comune "bacinella" -, l'unicita' di canali di rifornimento "ufficiali", punizioni significative nei confronti dei contravventori che si approvvigionavano "sottobanco", una regia unitaria che si avvale di articolazioni autonome identificate dal nome del personaggio di maggior rilievo, il controllo di tutte le piazze di spaccio e la spartizione delle attivita' in ragione della sostanza trattata, la precisa conoscenza da parte dei vertici del gruppo dell'identita' di ciascun soggetto incaricato dello spaccio, la riconducibilita' di ogni spacciatore ad uno dei gruppi, la mutua assistenza fra gli stessi. I gruppi venivano cosi' indicati: (OMISSIS) detti "(OMISSIS)"; (OMISSIS); (OMISSIS) o (OMISSIS)- (OMISSIS); (OMISSIS) (capeggiato da (OMISSIS) e retto da (OMISSIS) fino al suo arresto nel dicembre 2019); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); fratelli (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); fratelli (OMISSIS), detti "(OMISSIS)". Ulteriore conferma della stabilita' del sodalizio e' il corposo numero di reati satellite contestati, la cui serialita' e ripetitivita' venivano ritenuti dal Tribunale indici della continuativita' dell'adesione all'associazione di narcotraffico. Il Tribunale esaminava quindi la consistenza probatoria delle specifiche accuse che riguardavano l'indagato e ribadiva il giudizio di gravita' del quadro indiziario circa lo stabile contributo fornito dal ricorrente alla diffusione dello stupefacente, basato sui contenuti delle conversazioni intercettate con (OMISSIS), definito il "motore organizzativo dell'associazione", da cui emergeva l'attivita' di spaccio svolta da (OMISSIS), ma anche il fatto che egli spesso non ottemperava nei tempi previsti alla restituzione delle somme frutto dello spaccio, tanto che (OMISSIS) decideva di intervenire per richiamarlo, anche rivolgendosi al di lui fratello. Il Tribunale rappresentava altresi' che (OMISSIS), "reo" di avere acquistato stupefacente da altro fornitore, aveva subito una "sanzione" da parte di (OMISSIS), essendo stato costretto a versargli comunque il ricavato della vendita della sostanza. Ulteriore prova del suo stabile inserimento e' offerta dai reati-fine, posti in essere con alcuni sodali e in un lasso di tempo considerevole, a nulla rilevando il suo stato di consumatore. Si tratta in particolare dei reati di cui ai capi 224, 272 e 288, in ordine ai quali il compendio indiziario e' fornito dalle operazioni di captazione (analiticamente riportate alle pag. 20-23 del provvedimento impugnato). Ne emergeva la serialita' delle operazioni di detenzione e spaccio e il ripetersi del medesimo modus operandi, ossia l'acquisto di stupefacente per rivenderlo sulla piazza di spaccio, con credito concesso da parte dei vertici del gruppo (in particolare di (OMISSIS)) per poi riscuotere il denaro una volta operata la cessione finale. Il dato ponderale era incompatibile con l'uso esclusivamente personale. Sotto diverso profilo, il quantitativo commercializzato e la ripetitivita' delle operazioni escludevano l'inquadramento della fattispecie nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Quanto alle esigenze cautelari il Tribunale richiamava la presunzione relativa di pericolosita' e la "spiccata propensione al crimine di settore quale si ricava dalla non occasionalita' del fatto e dall'inserimento del prevenuto in ambiti criminali nei quali ha dimostrato di avere estrema dimestichezza nel rapportarsi sia con il fronte dell'approvvigionamento dello stupefacente che con quello della sua commercializzazione sul territorio". 2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione il difensore dell'indagato per i seguenti motivi, cosi' di seguito sintetizzati: 2.1. violazione di legge in relazione alla mancanza da parte del Tribunale di una autonoma valutazione della legittimita' e rilevanza degli elementi disponibili, limitandosi a richiamare apoditticamente l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari e omettendo l'indicazione dell'iter logico seguito nella ricostruzione dell'appartenenza all'associazione, della struttura della stessa, del ruolo rivestito; 2.2. la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto al profilo della gravita' indiziaria per i delitti contestati. Le conversazioni intercettate avrebbero un significato generico ed equivoco in relazione alla prova di una effettiva partecipazione al sodalizio criminale, che sarebbe desunta indirettamente solo dalle prove a sostegno della responsabilita' concorsuale per i reati-fine, peraltro neppure concludenti, in assenza di perquisizioni, sequestri di sostanza stupefacente e rinvenimento di denaro. Con riguardo al reato associativo, in particolare, le conversazioni non provano l'adesione del ricorrente all'associazione criminosa, meramente congetturata dai contatti intercorsi con il solo (OMISSIS). Non vi e' alcuna prova che (OMISSIS) fosse consapevole di far parte del sodalizio, ne conoscesse l'organizzazione o quantomeno il programma e si avvalesse continuativamente delle risorse del medesimo. Mancano, in definitiva, gli elementi dimostrativi del vincolo di appartenenza e del rapporto di stabile collaborazione al fine del perseguimento degli scopi illeciti della consorteria e dell'apporto al suo mantenimento o rafforzamento. Con riferimento ai reati-fine il ricorrente sottolinea che non vi sono elementi per desumere l'immissione della sostanza stupefacente nel circuito cittadino da parte di (OMISSIS), che era viceversa solito acquistare la sostanza per destinarla al personale consumo; 2.3. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata considerazione del fattore temporale nella definizione delle concrete e attuali esigenze cautelari, tenuto conto della data in cui si sarebbero consumati i reati-fine (2018-2019). Peraltro, la carenza indiziaria in ordine al reato associativo comporta il venire meno della presunzione relativa. A cio' si deve aggiungere la mancata considerazione dello stato di tossicodipendenza dell'indagato e l'assenza dei requisiti di attualita' e concretezza del pericolo di recidivanza; 2.4. la violazione di legge in relazione alla qualificazione dei reati-fine in delitti ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, anziche' nell'ipotesi lieve di cui al comma 5 della citata norma, in ragione della scarsa offensivita' dei fatti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' solo parzialmente fondato. 2. Quanto alla sostenuta mancanza di autonoma valutazione del compendio indiziario, ritiene la Corte che il percorso argomentativo espresso nel provvedimento dei giudici del riesame sia immune da censure, dal momento che il Tribunale si e' confrontato con le doglianze sollevate dalla Difesa operando una congrua e logica valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. Con riferimento - come nel caso di specie - al (parziale) rinvio per relationem o mediante incorporazione della richiesta cautelare e alla possibilita' che tale metodo non incida negativamente sulla complessiva legittimita' dell'apparato argomentativo del giudice della cautela, si evidenzia che l'autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza e' osservata anche quando il giudice ripercorra gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purche' dal contenuto complessivo del provvedimento emerga la conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, la rielaborazione critica degli elementi sottoposti al vaglio del riesame, giacche' la valutazione autonoma non necessariamente comporta la valutazione difforme (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 275339; Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzi', Rv. 273658). Il motivo peraltro e' generico, poiche' il ricorrente affida la dedotta nullita' all'enunciazione di principi generali, mancando, pero', di indicare quali contenuti dell'ordinanza registrino il denunciato acritico recepimento o si traducano in una mera esposizione dei dati indiziari raccolti, non mediati dalla necessaria valutazione che dell'attivita' di giudizio costituisce il proprium. 2. Il motivo di ricorso concernente il quadro indiziario in ordine alla commissione dei tre reati-fine ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, posti in essere fra giugno 2018 e luglio 2019 e' manifestamente infondato, oltre che formulato in termini generici, atteso che le doglianze sono sostanzialmente dirette a una rilettura degli elementi indiziari e a una diversa e alternativa ricostruzione della vicenda criminosa, che esula dallo scrutinio di legittimita'. I giudici di merito, dopo avere preso in esame e disatteso ogni argomento richiamato dalla difesa a sostegno delle prospettate ipotesi alternative, hanno quindi tratto il concorde convincimento della responsabilita' del ricorrente. Nello stesso tempo, hanno ritenuto prive di pregio le tesi in subordine avanzate e gia' respinte dal primo giudice circa l'asserita destinazione della sostanza stupefacente all'uso personale e in ordine alla pretesa qualificazione dei fatti come di lieve entita' ex articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. A fronte di una censura astratta, riferita unicamente alla necessita', in caso di "droga parlata", di motivare circa gli elementi che depongono in maniera certa sulla detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il Tribunale del riesame ha adeguatamente evidenziato innanzitutto il tenore chiaro e inequivoco delle conversazioni intercettate (in particolare, quelle del 23 settembre 2018, 28 gennaio 2019 e 22 luglio 2019) e analiticamente trascritte nell'impugnata ordinanza. E cio' alla luce dei dati inconfutabili relativi alle modalita' dell'attivita' di spaccio emergente dalle conversazioni, al dato ponderale della sostanza commercializzata, al fatto che in un'occasione in cui (OMISSIS) aveva acquistato lo stupefacente da altro fornitore era stato costretto da (OMISSIS) a versargli comunque il quantum ricavato dalla vendita della droga. Orbene, attesa la consistenza e la solidita' del descritto compendio indiziario, non e' consentito alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione alle puntuali e logiche argomentazioni svolte dal giudice del merito cautelare in ordine alla qualificata probabilita' di colpevolezza dell'indagato per i delitti contestati, che, siccome correttamente motivate in punto di gravita' dell'acquisito quadro indiziario, non sono sindacabili in sede di controllo di legittimita'. 3. E' viceversa fondato il motivo relativo alla dimostrazione della condotta di partecipazione di (OMISSIS) all'associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo 173. Premesso che nel ricorso non si fanno questioni circa la sussistenza della consorteria, ma unicamente con riguardo alla intraneita' dell'indagato, occorre rilevare come la motivazione contenuta nel provvedimento impugnato appare laconica e insufficiente nell'esaminare la posizione dell'odierno ricorrente con riferimento alla contestata partecipazione. Infatti, il Tribunale si limita a richiamare in proposito i contatti intrattenuti da (OMISSIS) con (OMISSIS), vertice dell'organizzazione, dimostrati dal contenuto di varie conversazioni intercettate, concernenti singoli episodi di cessione di droga. Ma non chiarisce quali siano i dati inferenziali cui connettere la dimostrazione indiziaria di una stabile adesione di (OMISSIS) al sodalizio criminale, con la consapevolezza e la volonta' di partecipare a una organizzazione strutturata e finalizzata secondo lo schema legale. In tal senso non si possono ritenere adeguatamente rappresentativi i contatti con (OMISSIS), pur se soggetto apicale, che, siccome attinenti a singoli episodi di spaccio, di per se' non appaiono affatto dimostrativi di una condotta di partecipazione apprezzabile come stabile e concreto contributo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione, ne' tantomeno quelli con il fratello (OMISSIS), anch'egli pusher - coindagato nel capo 288 e ora deceduto -. La giurisprudenza di legittimita' ha infatti chiarito che in tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la condotta di partecipazione non e' integrata dalla mera disponibilita' manifestata nei confronti di un singolo associato, anche se di livello apicale, ne' dalla mera condivisione di intenti, essendo indispensabile la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attivita' funzionali, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione (Sez. 6, n. 34563 del 17/07/2019, Di Punzio, Rv. 276692; Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, Casoria, Rv. 258645; Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232). Anche con riferimento all'episodio occorso il 23 settembre 2018, dalle conversazioni captate si evince che (OMISSIS) si era recato con il fratello (OMISSIS) presso l'abitazione di (OMISSIS) per incassare il credito derivante da precedenti acquisti di sostanza stupefacente, ma il secondo era rimasto in auto, mancando cosi' la dimostrazione di contatti diretti con l'indagato. 4. Con riguardo alla valutazione di reale concretezza e attualita' della pericolosita' sociale e di adeguatezza della misura coercitiva, il motivo di ricorso resta assorbito dalla necessita' di procedere al giudizio di rinvio in ordine al capo relativo alla contestata imputazione di partecipazione associativa. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono l'ordinanza va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio con riferimento ai punti evidenziati in motivazione. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato associativo di cui al capo 173) e alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. Att. c.p.p., comma 1-ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPOZZI Angelo - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 27/09/2022; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Gallucci Enrico; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Piccirillo Raffaele, che ha chiesto che il ricorso venga accolto in riferimento alla contestata aggravante della mafiosita', con conseguente annullamento con rinvio e deposita memoria scritta; sentiti i difensori dell'indagata, Avvocate (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro con ordinanza del 28 settembre 2022 (motivazione depositata il successivo 7 novembre) ha confermato l'ordinanza genetica emessa dal locale Gip con la quale a (OMISSIS) sono stati applicati gli arresti domiciliari in relazione alla contestazione di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 (indebita erogazione di prestiti e finanziamenti), aggravato dall'articolo 416 bis.1 c.p., in quanto posto in essere avvalendosi del metodo mafioso e allo scopo di agevolare una cosca di âEuroËœndrangheta. 2. Avverso l'ordinanza del riesame l'indagata ha presentato, per il tramite dei propri difensori, due ricorsi - di analogo contenuto - nei quali si deduce in primo luogo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravita' indiziaria riferita alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 135 del 1993, articolo 132. Cio' in quanto tutti gli elementi posti a fondamento della conferma dell'ordinanza genetica sono generici e non dimostrativi della partecipazione della (OMISSIS) alla supposta attivita' finanziaria abusiva. 2.1. Al riguardo si evidenzia: a) la circostanza che somme di denaro individuate come rimborsi dei prestiti effettuati dal marito dell'indagata siano confluite su due Poste pay intestate alla predetta non e' indicativa di una sua attiva condotta concorsuale e, comunque, al piu' dimostrerebbero un intervento nella fase restitutoria e non anche in quella di erogazione dei prestiti; b) i dati riscontrati nell'agenda sequestrata nell'abitazione dell'indagata ove e' presente l'indicazione "(OMISSIS)", con una serie di date, nominativi e numeri, non rappresentano anche a voler ritenere che tale agenda sia in effetti della (OMISSIS) - elementi idonei a dimostrare la partecipazione all'illecita attivita' in quanto anche tali dati possono, al piu', concernere la fase della restituzione (successiva al momento consumativo del reato); c) neppure le due conversazioni intercettate (una tra il (OMISSIS), marito dell'indagata, e tale (OMISSIS); l'altra tra (OMISSIS) e la moglie) risultano indicative di una condotta concorsuale, in quanto, in ogni caso, non dimostrano in alcun modo la consapevolezza da parte dell'indagata in ordine all'illecita attivita' svolta dal marito. Sotto altro profilo, manca comunque l'aspetto della generalita' dell'offerta al pubblico delle erogazioni finanziarie indebite, presupposto per la configurabilita' del reato addebitato. 2.2. Con il secondo motivo i ricorsi censurano l'ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza di gravita' indiziaria relativamente alla circostanza aggravante della "mafiosita'". In disparte alla dubbia configurabilita' oggettiva di tale aggravante, non vi e' alcun concreto elemento dal quale poter dedurre che la (OMISSIS) fosse a conoscenza ne' dell'utilizzo del "metodo mafioso" nelle erogazioni dei prestiti ne' della circostanza che tale illecita attivita' fosse finalizzata a favorire la cosca âEuroËœndranghetista. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato. 2. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Gli stessi elementi indiziari indicati - e svalutati - nei ricorsi appaiono del tutto idonei a sorreggere l'addebito cautelare. L'ordinanza impugnata motiva in modo non illogico in ordine alle condotte poste in essere dalla (OMISSIS) che collabora attivamente con il marito nell'attivita' creditizia abusiva (i rimborsi confluiscono sulle sue carte Poste pay; in una occasione getta dalla finestra al (OMISSIS) una somma di denaro oggetto di un prestito), tiene la "contabilita'" dei prestiti illeciti; viene indicata da un debitore come la persona che puo' "intercedere" in suo favore con il marito. 2.1. Rilevanti - in merito alla sussistenza indiziaria a carico dell'indagata appaiono altresi' le due comunicazioni intercettate alle quali fa riferimento il Tribunale del riesame. Nella prima un debitore auspica un intervento della (OMISSIS) sul marito affinche' venga ritenuto giustificato il ritardo nel pagamento delle rate di restituzione del prestito ("Ho detto che caso mai mi attutisce il colpo, ho detto speriamo che viene pure la signora (OMISSIS) che almeno..."). Nella seconda occasione (OMISSIS) dice alla moglie "Vedi dentro al giubbino... prendimi duecento.. mettili ad una molletta e buttameli... E poi ricordami questa sera che li devo segnare a (OMISSIS)", al che la (OMISSIS) risponde "va bene". Conversazioni ritenute, in modo non illogico, dal Tribunale tali da rafforzare gli elementi indiziari dimostrativi della piena entraneita' dell'indagata nell'illecita attivita' di erogazione dei crediti condotta dal marito. 3. Per quanto riguarda le questioni giuridiche sollevate nei ricorsi in ordine alla configurabilita' della fattispecie provvisoriamente addebitata alla (OMISSIS), rileva il Collegio che "commette il reato di esercizio abusivo di attivita' finanziaria, a norma del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132, chi pone in essere le condotte previste dall'articolo 106 Decreto Legislativo cit. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purche' l'attivita', anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di persone" (Sez. 5, n. 25815 del 27/01/2020, Infusini, Rv. 279464), circostanza nella specie sussistente a livello indiziario. Inoltre, la condotta concorsuale della (OMISSIS), lungi da costituire - come dedotto nei ricorsi - un post factum si colloca pienamente nella fase costitutiva del reato di esercizio abusivo di attivita' finanziaria di cui al Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132, che "ha natura eventualmente abituale, potendosi risolvere tanto in un'unica condotta idonea a configurarlo, quanto nella reiterazione di piu' condotte omogenee che danno vita ad uno stesso reato, sicche', in quest'ultimo caso, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualita', il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico" (cosi', Sez. 2, n. 4651 del 12/11/2020 - dep. 2021, Calabretto, Rv. 280561). A tale riguardo sia il rinvenimento dell'agenda, ricondotta - in modo certamente non implausibile - alla (OMISSIS), sia il contenuto delle conversazioni intercettate sono stati, non illogicamente, ritenuti indicativi del coinvolgimento dell'indagata anche nella fase dell'erogazione dei crediti. 4. Fondato e', invece, il motivo con il quale la ricorrente censura l'ordinanza impugnata in riferimento all'addebito della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. Invero, all'indagata non e' contestata la partecipazione alla cosca di âEuroËœndrangheta. Dall'ordinanza non emerge con certezza che l'indebita erogazione dei prestiti avvenisse con "metodo mafioso". A pag. 14 si fa generico riferimento alla "carica intimidatoria proveniente dal (OMISSIS) tale da porre in essere una coartazione psicologica avente i caratteri propri dell'organizzazione criminale, vieppiu' considerando il ruolo verticistico assunto dal (OMISSIS) in seno all'omonima articolazione di âEuroËœndrangheta". Si tratta di argomentazione, peraltro non specificamente riferita all'addebito a carico della (OMISSIS), che concerne l'indebita erogazione di prestiti, e non anche fattispecie di reato evidentemente espressive di intimidazione mafiosa, come, ad esempio, usura ed estorsione. 4.1. Quanto al profilo dell'agevolazione (che secondo l'ordinanza impugnata - sempre a pag. 14 - consisterebbe nel versamento di parte degli introiti di detta attivita' nella "bacinella comune" finalizzata far fronte alle necessita' economiche del sodalizio), le Sezioni unite hanno precisato che "la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe" (sent. n. 8545 del 19/12/2019 - dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734). Anche sotto tale aspetto, la motivazione del Tribunale del riesame non risulta idonea a dimostrare la sussistenza in capo all'indagata di tale consapevolezza. 5. Pertanto, l'ordinanza impugnata va annullata in riferimento alla contestazione della circostanza aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p. con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale del riesame di Catanzaro. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/11/2021 della Corte d'appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso chiedendo: l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), con restituzione degli atti al Tribunale di Messina; che il ricorso di (OMISSIS) sia dichiarato inammissibile; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale, dopo dibattimento, ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso e l'annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale e, in subordine, l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello; udito lo stesso Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale si e' riportato ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 15/11/2021, la Corte d'appello di Messina confermava la sentenza del 23/06/2021 del G.i.p. del Tribunalle di Messina - emessa in esito a giudizio abbreviato, richiesto a seguito della notificazione del decreto che disponeva il giudizio immediato - di condanna di: a) (OMISSIS), per il reato di furto continuato, per essersi impossessata di numerose suppellettili in argento sottraendole a (OMISSIS), con le aggravanti di avere commesso il fatto con abuso di prestazione d'opera (svolgendo l'imputata l'attivita' di badante presso l'abitazione della persona offesa), di essersi avvalsa di un mezzo fraudolento (stante la fiducia in lei riposta dalla persona offesa e il fatto che la (OMISSIS) sostituiva gli oggetti asportati con altre suppellettili, cosi' da mascherare la sottrazione), di avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravita' e di avere approfittato di circostanze di persona (in riferimento all'eta' della persona offesa, nata nel 1932); b) (OMISSIS), per il reato di ricettazione continuata, perche', al fine di procurarsi un profitto, riceveva e occultava cose provenienti dal delitto contestato alla (OMISSIS), rivendendole al negozio (OMISSIS) s.r.l., con l'aggravante di avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravita'. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Catania, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite dei propri rispettivi difensori. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' affidato a sette motivi. 3.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce: a) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), l'inosservanza e l'erronea applicazione del combinato disposto dell'articolo 168-bis c.p. e dell'articolo 456, comma 2 (come risultante a seguito di Corte Cost., sent. n. 19 del 2020) e articolo 550 c.p.p., comma 2, insieme al combinato disposto dell'articolo 438 c.p.p. "e ss.", articolo 458 c.p.p., comma 1 e articolo 464-bis c.p.p.; b) in relazione alla all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' di cui all'articolo 178 c.p.p., lettera c), e articolo 179 c.p.p. o delle norme processuali stabilite a pena di decadenza di cui all'articolo 173 c.p.p., articolo 456 c.p.p., comma 2 e articolo 458 c.p.p., "con conseguente necessaria declaratoria di nullita' del decreto che dispone il giudizio immediato"; c) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata sul punto della nullita' derivante dal mancato avviso, nel decreto di giudizio immediato, della possibilita' di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Dopo avere premesso che il contestato reato di furto aggravato rientra tra quelli per i quali l'imputato, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, seconda parte, c.p., e dell'articolo 550 c.p.p., comma 2, o, comunque, dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, prima parte, puo' chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, che la mancanza, nel decreto che dispone il giudizio immediato, dell'avviso della facolta' dell'imputato di chiedere tale procedimento speciale integra una lesione del diritto di difesa e una nullita' ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), anche perche', per l'esercizio di tale facolta', e' previsto il termine di decadenza di quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato e, infine, di avere eccepito tale nullita' sin dalla prima udienza davanti al G.i.p. del Tribunale di Messina del 14 aprile 2D21 (come risulta dal relativo verbale, allegato al ricorso), la ricorrente deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata la' dove questa afferma che la stessa nullita' sarebbe stata sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato, atteso che: poiche' "(e') proprio (...) la causa della scelta del rito abbreviato che si contesta, come generata ed occasionata dall'errore della citazione", "e' illogico pretendere di coprire l'errore medesimo del PM attraverso la valorizzazione, negativa e asseritamente sanante ex post, di una scelta che fu non pienamente consapevole proprio a cagione del medesimo errore"; la scelta di essere giudicati "allo stato degli atti" "si riferisce al materiale probatorio disponibile e risultante dalle indagini" ma "(m)en che mai potrebbe sostenersi che la scelta comporti una rinuncia implicita a vedere applicata la legge"; il vizio denunciato, integrando una nullita' assoluta, non era suscettibile di alcuna sanatoria. In via subordinata, la ricorrente rappresenta che, anche se si volesse ritenere che il reato di furto, solo perche' aggravato, non rientri tra quelli per i quali l'imputato puo' chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, l'interpretazione costituzionalmente orientata, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., e articolo 111 Cost., commi 2 e 4, dovrebbe portare a non escludere dall'obbligo dell'avviso della facolta' di chiedere detta sospensione del processo con messa alla prova - obbligo che Corte Cost., sent. n. 19 del 2020, ha introdotto senza "alcun distinguo" - "i reati per cui astrattamente non e' consentita la messa alla prova" (con l'inserimento dell'"eventuale postilla "ove possibile" o "ove concedibile"). La ricorrente, "(i)n alternativa" a tale lettura costituzionalmente orientata, solleva questione di legittimita' costituzionale, con riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, "nella parte in cui esclude dalla possibilita' di accedere al rito, i reati di cui all'articolo 550 c.p.p., comma 2, ed in particolare il reato di cui all'articolo 625 c.p. ove pluriaggravati dalla compresenza di piu' circostanze ivi previste e circostanze aggravanti comuni". 3.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) il difetto di motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla propria richiesta - reiterata nell'atto di appello - di valutare, in punto di graduazione della pena, la valenza, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 2, n. 4), dei gravissimi e ripetuti maltrattamenti da lei subiti da parte del marito e dei figli maschi, atteso che tale richiesta "non viene fatta oggetto di alcuna decisione da parte della Corte territoriale". 3.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il carattere apparente, illogico, anapodittico e contraddittorio della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla propria richiesta di valutazione del diniego, da parte del G.i.p. del Tribunale di Messina, della concessione delle circostanze attenuanti generiche, a fronte delle ampie argomentazioni che essa aveva addotto nell'atto di appello in ordine a tale diniego e dei diversi elementi, pure addotti nello stesso atto, che avrebbero deposto nel senso della concessione delle predette circostanze attenuanti generiche. 3.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il carattere anapodittico e illogico della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla propria richiesta di applicazione della circostanza attenuante, di cui all'articolo 62 c.p., n. 6), u.p. di essersi adoperata spontaneamente per attenuare le conseguenze del reato, lamentando, in particolare: a) il carattere anapodittico dell'affermazione della Corte d'appello di Messina secondo cui detta attenuante non poteva essere riconosciuta "visto lo stato e lo sviluppo delle indagini al momento delle dichiarazioni rilasciate dagli imputati in ordine alla destinazione dei beni sottratti", atteso che la stessa Corte non ha specificato quale fosse tale "stato e (...) sviluppo delle indagini", cosi' sottraendosi alla valutazione di quanto dedotto dalla propria difesa circa il fatto che era stata la (OMISSIS) a instradare gli investigatori al negozio (OMISSIS) s.r.l. dove gli oggetti rubati non ancora fusi furono reperiti, beni della cui destinazione le perquisizioni nei luoghi in uso ai due imputati non avevano fornito alcun indizio; b) l'illogicita' della valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Messina, del fatto che "buona parte degli stessi (beni) erano stati destinati alla fusione", atteso che "era la stessa richiesta della difesa a dichiarare la necessita' di valutare proprio i residui beni "non ancora fusi""; c) il carattere anapodittico dell'affermazione della Corte d'appello di Messina circa "la assoluta irrilevanza di tale aspetto, riguardo un bilanciamento ex articolo 69 c.p.". 3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e): a) la mancanza o il carattere anapodittico della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla lamentata "(e)ccessiva quantificazione della pena anche alla luce della riconosciuta derubricazione del reato (da furto in abitazione a furto), della riconosciuta attenuante speciale (di cui all'articolo 625-bis c.p.) e della riconosciuta esclusione dell'aumento per la recidiva", nonche' con riguardo alla lamentata "(e)rronea quantificazione, seppur non espressa, della continuazione dei reati"; b) la mancanza di motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla "quantificazione della pena base solo genericamente indicata e sulla valutazione di subvalenza della citata attenuante". La ricorrente lamenta in proposito che la Corte d'appello di Messina: a) avrebbe fornito una motivazione apparente, atteso che essa non affronterebbe gli argomenti addotti dalla difesa nell'atto di appello e non integrerebbe "la inesistente valutazione da parte del GIP degli elementi che compongono la pena"; b) non avrebbe rispettato il principio, affermato da Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269-01, in tema di continuazione, secondo cui il giudice ha l'obbligo di motivare il calcolo della pena e di distinguere tra il reato piu' grave e i reati satellite; c) nel confermare il giudizio di subvalenza dell'attenuante di cui all'articolo 625-bis c.p. rispetto alle ritenute aggravanti, avrebbe motivato in modo apparente, non avendo ne' spiegato le ragioni dell'assei-ita prevalenza di tali aggravanti ne' valutato "il peso anche dell'attenuante". 3.6. Con il sesto motivo, la ricorrente deduce: a) in relazione alla all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' di cui all'articolo 178, lettera c), e articolo 179, con riguardo alla "violazione dei diritti della difesa a conoscere tutti gli atti esistenti in ogni momento (se e in quanto non coperti da segreto istruttorio)"; b) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il carattere apparente o illogico della motivazione della sentenza impugnata con riguardo all'"asserita giustificazione dell'assenza di atti di indagine gia' compiuti da tempo, non coperti da segreto istruttorio e non forniti alla difesa". La ricorrente rappresenta di avere richiesto, presso l'Ufficio TIAP del G.i.p. del Tribunale di Messina, il 24 novembre 2020, copia degli atti del procedimento e che, ancorche' a tale data fosse gia' stato depositato, il 10 novembre 2020, l'esito delle indagini dattiloscopiche (sul frammento di impronta rilevato su di una tazza rinvenuta nell'abitazione della persona offesa), la copia di tale atto d'indagine, evidentemente non tempestivamente immesso nel TIAP, non le era stata fornita. Cio' rappresentato, la ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Messina abbia ritenuto che tale circostanza configurasse un'inutilizzabilita' relativa e che la stessa era stata sanata in quanto non era stata dedotta prima dell'ammissione del giudizio abbreviato, richiamando un arresto della Corte di cassazione (Sez. VI, n. 48099 del 08/10/2019, Buonerba, Rv. 277625-01) che si riferiva agli atti d'indagine assunti dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, laddove, nel caso di specie, le indagini dattiloscopiche erano "atti che invero erano gia' stati assunti dal PM sin dall'inizio delle indagini - come gia' risultante il 24.11.2020 data in cui era presente l'attivita' dg rilievo delle impronte - ed il cui esito non era stato incluso nel fascicolo TIAP (restando precluso l'accesso al fascicolo cartaceo", con la conseguenza che doveva ritenersi sussistere una nullita' assoluta, atteso che "l'imputata (ha) affrontato la parte iniziale del processo senza avere a disposizione l'intero fascicolo processuale". 3.7. Con il settimo motivo, la ricorrente deduce: a) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilita' di cui all'articolo 78 e 81 e articolo 122, comma 1, con la conseguente inammissibilita' della costituzione di parte civile e delle decisioni sulle questioni civili; b) in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) il carattere apparente e per relationem della motivazione della sentenza impugnata con riguardo all'"asserita giustificazione dell'assenza di elementi essenziali dell'atto di costituzione di parte civile con riferimento alla procura speciale". La ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Messina, nel ribadire l'esistenza di una valida procura speciale per la costituzione di parte civile di (OMISSIS) gia' ritenuta dal G.i.p. del Tribunale di Messina, avrebbe fatto cio' "sol perche' (detta procura era stata) apposta in calce allo stesso atto di costituzione e con richiamo espresso al medesimo, nella quale sono indicate motivazioni, supporti e termini della costituzione stessa", laddove, nella stessa procura, "era solo fatto riferimento al procedimento "sopra emarginato"", con la conseguente mancanza della "determinazione dell'oggetto per cui (la procura) e' conferita e dei fatti ai quali si riferisce", come e' prescritto, a pena di inammissibilita', dall'articolo 122 c.p.p.. 4. Il ricorso di (OMISSIS) e' affidato a quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce "(v)iolazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera B ed E in relazione agli articoli 648 e 379 c.p.". Il ricorrente rappresenta come non vi sarebbe alcuna prova che egli avesse "agito per perseguire, successivamente (alla commissione del furto da parte della (OMISSIS)), un proprio interesse" - come sarebbe confermato anche dal fatto che "nella disponibilita' del ricorrente non sono state ritrovate somme imputabili (alla) presunta ricettazione" e non rilevando, in senso contrario, il fatto che egli "si (fosse) recato al compro-oro" - con la conseguenza che, poiche', quindi, "non puo' che ritenersi che il (OMISSIS) abbia agito al solo fine di aiutare la (OMISSIS)", "l'unica condotta penalmente rilevante poteva rinvenirsi nel reato di favoreggiamento reale ex articolo 379 c.p.", peraltro non "contestabile al (OMISSIS), mancando in capo al (OMISSIS) il dolo specifico previsto per tale fattispecie". 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce "(v)iolazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera B ed E in relazione all'articolo 81 c.p. e articolo 61 c.p., n. 7". Sotto un primo profilo, il ricorrente lamenta che l'aggravante dell'avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravita' gli sarebbe stata attribuita sulla base delle mere dichiarazioni della parte civile (OMISSIS) (che aveva stimato detto danno in Euro 100.000,00), laddove, in assenza di prove fornite al riguardo dalla stessa parte civile, l'unico dato certo utilizzabile per quantificare il predetto danno sarebbe stato la quantificazione del valore dei beni ricettati fatta dal compro oro (OMISSIS) s.r.l., che aveva acquistato la refurtiva "corrispo(ndendo) al (OMISSIS) un importo di Euro 6.600,00 e comunque, complessivamente con la (OMISSIS), in piu' occasioni, circa Euro 13.000,00", importi che "in alcun modo avrebbe potuto consentire la contestazione dell'aggravante del danno di rilevante gravita'". Sotto un secondo profilo, il ricorrente deduce che, essendogli stata contestata la continuazione, la valutazione della sussistenza o no dell'aggravante del danno di rilevante gravita' avrebbe dovuto essere operata con riferimento non al danno complessivo causato dalla somma delle violazioni ma al danno cagionato da ogni singola violazione. 4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce "(v)iolazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera B ed E in relazione all'articolo 62 c.p., n. 6". Il ricorrente rappresenta che l'avere egli collaborato con le autorita' inquirenti "per concludere gli accertamenti del caso" - apporto senza il quale "non vi e' certezza che la polizia avrebbe individuato il compro oro in tempo utile per recuperare i beni della persona offesa" - cosi' adoperandosi efficacemente per attenuare le conseguenze dannose del reato, "lo rendevano certamente meritevole dell'attenuante di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 6, seconda parte ingiustamente esclusa". 4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce "(v)iolazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera B ed E in relazione all'articolo 185 c.p.". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Messina abbia confermato la condanna al pagamento della provvisionale di Euro 30.000,00, gia' determinata dal G.i.p. del Tribunale di Messina tenendo conto sia delle somme ottenute dagli imputati da (OMISSIS) s.r.l. sia del danno morale subito dalla persona offesa, evidenziando: da un lato, l'incongruenza di tale decisione, in quanto il giudice di merito "in punto di applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7 ha ritenuto di non dover dar peso a quanto riconosciuto, in termini di valore della refurtiva, dal compro-oro, salvo poi usarlo come unico e dirimente elemento probatorio per la quantificazione della provvisione"; dall'altro lato, che "non vi e' agli atti alcun elemento concreto che possa aver consentito al Tribunale di quantificare la provvisionale in virtu' di un presunto danno morale". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS). 2. Il primo motivo di tale ricorso e' fondato. 2.1. Anzitutto, si deve rilevare che il reato di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625 c.p. (comma 1, n. 2) (oltre che dell'articolo 61 c.p., n. 5, n. 7 e n. 11), enunciato nel decreto che dispone il giudizio immediato del 29/01/2021 del G.i.p. del Tribunale di Messina, rientra nel novero dei reati per i quali e' ammessa l'operativita' dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, seconda parte, e dell'articolo 550 c.p.p., comma 2, lettera f). L'articolo 168-bis c.p., comma 1 (inserito dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, articolo 3, comma 1,), ha individuato il campo dei reati ai quali e' applicabile il nuovo istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova tramite il duplice criterio, quantitativo, della pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni (prima parte), e nominativo, con riguardo ai delitti specificamente indicati dall'articolo 550 c.p.p., comma 2 (seconda parte) (Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, Rv. 267238-01; Sez. 5, n. 43958 del 12/05/2017, Verdicchio, Rv. 271610-01). Nel caso in esame, viene in rilievo quest'ultimo criterio nominativo, atteso che l'articolo 550 c.p.p., comma 2 indica" alla lettera f), il "furto aggravato a norma dell'articolo 625 c.p.". Pertanto, il reato di furto aggravato a norma dell'articolo 625 c.p. (oltre che ai sensi dell'articolo 61 c.p., n. 5, n. 7 e n. 11) - enunciato nel menzionato decreto che dispone il giudizio immediato - rientrava nel novero dei reati per i quali il combinato disposto dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, seconda parte, e dell'articolo 550 c.p.p., comma 2, lettera f), ammette l'operativita' della sospensione del processo per messa alla prova. 2.2. Peraltro, il fatto contestato all'imputata (OMISSIS) fu riqualificato dal pubblico ministero come furto in abitazione pluriaggravato nel corso dell'udienza del 14/04/2021 davanti al G.i.p. del Tribunale di Messina, il quale, tuttavia, nella propria sentenza del 23/06/2021, qualifico' nuovamente lo stesso fatto come furto (ex articolo 624 c.p.) e non come furto in abitazione (ex articolo 624-bis c.p.). A tale proposito, e' utile rammentare come la Corte di cassazione abbia chiarito che anche la fattispecie di furto in abitazione si deve ritenere rientrare nel novero dei reati per i quali e' ammessa l'operativita' dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova, in quanto applicabile ai reati per i quali si procede con citazione diretta, e, quindi, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 168-bis c.p., comma 1, seconda parte, e dell'articolo 550 c.p.p., comma 2, (Sez. 5, n. 43958 del 12/05/2017, Verdicchio, Rv. 271610-01). 2.2. Acclarato che il reato di furto aggravato enunciato nel decreto che dispone il giudizio immediato notificato all'imputata rientrava nel novero di quelli per i quali e' ammessa l'operativita' dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, si deve rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza additiva n. 19 del 2020, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'articolo 24 Cost., dell'articolo 456 c.p.p., comma 2, "nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l'avviso della facolta' dell'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova". La Corte costituzionale, dopo avere rammentato che tale istituto ha natura sia sostanziale, la' dove da' luogo all'estinzione del reato, sia processuale, consistendo in un nuovo procedimento speciale alternativo al giudizio, e che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la richiesta di riti alternativi costituisce una modalita', tra le piu' qualificanti,, di esercizio del diritto di difesa, sulla base di tali premesse ha statuito che, analogamente a quanto aveva gia' affermato con riguardo al procedimento per decreto (sent. n. 201 del 2016), quando il termine per chiedere il rito alternativo e' anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicche' la mancanza o l'insufficienza del relativo avvertimento puo' determinare la perdita irrimediabile della facolta' di accedervi, la violazione della regola processuale che impone di dare all'imputato esatto avviso di tale facolta' comporta la violazione del diritto di difesa e integra una nullita' di ordine generale ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera c). In ordine alla natura di tale nullita', si deve ritenere che l'omissione dell'avviso di cui si tratta, cosi' come piu' volte affermato dalla Corte di cassazione con riguardo all'analoga problematica relativa all'omissione dello stesso avviso nel decreto di condanna, determina una nullita' di ordine generale, ai sensi della lettera c) dell'articolo 178 c.p.p., ma non assoluta - contrariamente a quanto sostenuto nel motivo di ricorso - la quale, pertanto, risulta sanata, a norma dell'articolo 180 c.p.p. e articolo 182 c.p.p., comma 2, qualora la parte che vi assiste non l'abbia eccepita immediatamente dopo il suo compimento (Sez. 4, n. 17659 del 14/02/2019, Giorgeschi, Rv. 276085-01; Sez. 3, n. 8694 del 30/10/2018, dep. 2019, Romagnoli, Rv. 275867-01; Sez. 4, n. 21897 del 21/02/2017, Bessone, Rv. 269943-01, tutte e tre relative all'analoga problematica relativa all'omissione dello stesso avviso nel decreto di condanna). Nel caso di specie, tuttavia, la nullita' di ordine generale che si era verificata con l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato privo dell'avviso della facolta' dell'imputata (OMISSIS) di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova (omissione risultante da tale decreto, allegato al ricorso come allegato 2) e' stata ritualmente e tempestivamente eccepita dal difensore della (OMISSIS), che aveva sollevato la relativa eccezione nel corso della prima udienza davanti al G.i.p. del Tribunale di Messina del 14 aprile 2021 (come risulta dal relativo verbale, allegato al ricorso come allegato 1). 2.3. Chiariti tali due aspetti, si deve convenire con la ricorrente che le predetta tempestivamente eccepita nullita', contrariamente a quanto reputato dalla Corte d'appello di Messina, non puo' ritenersi sanata a seguito della scelta della stessa ricorrente di chiedere il giudizio abbreviato. 2.3.1. Il piu' recente e maggioritario orientamento della Corte di cassazione secondo cui la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non preclude all'imputato la possibilita' di dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del rigetto, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova (Sez. 5, n. 4259 del 06/12/2021, dep. 2022, Carminati, Rv. 282739-01; Sez. 6, n. 30774 del 13/10/2020, Campisi, Rv. 279849-01; Sez. 6, n. 47109 del 31/10/2019, Cipriano, Rv. 277681-01; Sez. 4, n. 30983 del 20/02/2019, Cano Martinez, Rv. 276793-01. C'ontra: Sez. 4, n. 42469 del 03/07/2018, F., Rv. 273930-01; Sez. 6, n. 22545 del 28/03/2017, Fawzi, Rv. 269770) appare avere trovato una conferma in Corte Cost., sent. n. 131 del 2019, dalla quale emerge come non si possa ritenere che l'imputato, al quale sia stata rigettata l'istanza ex articolo 168-bis c.p., rinunci implicitamente a impugnare tale decisione qualora richieda che si proceda nelle forme del rito abbreviato. Questo, infatti, l'argomentare della Corte costituzionale: "Recenti pronunce della Corte di cassazione hanno, inoltre, ritenuto che la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non precluda all'imputato la possibilita' di dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 18 settembre-8 ottobre 2018, n. 44888; sezione terza penale, sentenza 15 febbraio-2 luglio 2018, n. 29622). Tale recente orientamento non e', invero, incontrastato,, altre pronunce avendo invece ritenuto la sussistenza di una tale preclusione, essenzialmente sulla base dell'argomento dell'alternativita' tra il beneficio in parola e II rito abbreviato; di talche', una volta che l'imputato abbia formulato, dopo il rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, una domanda di giudizio abbreviato, egli non potrebbe piu' riproporre la prima richiesta, secondo il principio "electa una via, non datur recursum ad alteram" (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 3 luglio-27 settembre 2018, n. 42469; sezione sesta penale, sentenza 28 marzo-9 maggio 2017, n. 22545; sezione terza penale, sentenza 19 ottobre 2016-30 gennaio 2017, n. 4184). A tale argomento e' stato, tuttavia, plausibilmente replicato che la domanda di giudizio abbreviato conseguente al rigetto della richiesta, formulata in via principale, di ammissione alla sospensione del processo con messa alla prova previa riqualificazione del fatto contestato deve necessariamente intendersi come presentata con riserva; e piu' in particolare con riserva di gravame, in sede di appello, contro il provvedimento di diniego del beneficio gia' richiesto in via principale, che non puo' pertanto intendersi come implicitamente rinunciato all'atto della richiesta del rito abbreviato (in questo senso, le sopra citate Cass., n. 44888 e n. 29622 del 2018)". E...) La conclusione appena raggiunta non solo non trova alcun ostacolo nel tenore letterale delle disposizioni censurate, ma appare altresi' l'unica in grado di assicurare un risultato ermeneutico compatibile con i parametri costituzionali invocati dal rimettente". 2.3.2. Cio' detto, tornando allo specifico caso della nullita' conseguente al mancato avviso all'imputato della facolta' di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, si deve rammentare che l'articolo 456 c.p.p., comma 2, come integrato da Corte Cost. sent. n. 19 del 2020, prevede che, con il decreto di giudizio immediato, l'imputato sia avvisato della possibilita' di scegliere, in via alternativa, tra tre procedimenti speciali: a) il giudizio abbreviato; b) l'applicazione della pena su richiesta; c) la sospensione del procedimento con messa alla prova. Nel caso in esame, poiche' nel decreto di giudizio immediato notificato all'imputata mancava l'avviso della facolta' di scegliere quest'ultimo procedimento speciale - mancanza suscettibile di determinare la decadenza dell'imputata dalla stessa facolta' per il decorso del relativo termine di esercizio di quindici giorni dalla notificazione del predetto decreto (combinato disposto degli articolo 464-bis c.p.p., comma 2, secondo periodo e articolo 458 c.p.p., comma 1) - ne discende che la (OMISSIS) ha in effetti potuto esercitare una scelta consapevole solo tra due delle tre alternative previste dalla legge (giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta), con l'ulteriore conseguenza che la sua scelta del giudizio abbreviato e' stata illegittimamente condizionata dal mancato avviso della possibilita' di avvalersi dell'altra alternativa della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. E' percio' evidentemente illogico reputare che - come ha fatto la Corte d'appello di Messina - la richiesta di giudlizio abbreviato illegittimamente condizionata dalla nullita' del decreto di giudizio immediato in quanto non contenente l'avviso della possibilita' di avvalersi della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa operare un effetto sanante di questa stessa nullita'. 3. Pertanto, assorbito l'esame delle ulteriori censure, la sentenza impugnata e quella di primo grado nei confronti di (OMISSIS) devono essere annullate senza rinvio, in ragione dell'evidenziata nullita' del decreto che dispone il giudizio immediato, e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Messina per l'ulteriore corso. 4. Il ricorso di (OMISSIS). 5. Il primo motivo e' manifestamente infondato. 5.1. La Corte di cassazione ha in piu' occasioni chiarito che "la distinzione tra il delitto di ricettazione e quello di favoreggiamento (si) fonda sul diverso atteggiamento psicologico dell'agente, il quale: - nel favoreggiamento opera nell'interesse esclusivo dell'autore del reato, al solo fine di prestargli aiuto per contribuire ad assicurargliene il prodotto od il profitto, senza trarre per se' o per terzi alcuna utilita'; - nella ricettazione opera successivamente alla commissione del reato presupposto con dolo specifico, caratterizzato dal fine di trarre profitto, per se' o per terzi, dalla condotta ausiliatrice. Resta, inoltre, salvo il caso che l'agente abbia prestato, cd anche soltanto offerto, l'aiuto de quo, per una finalita' di profitto propria del medesimo agente e comune all'autore del reato o di terzi, ma prima o durante la commissione del reato "principale": in tal caso l'agente rispondera' di concorso in quest'ultimo reato" (Sez. 2, n. 10980 del 22/01/2018, Quattrocchi, Rv. 272370-01; Sez. 2, n. 30744 del 10/04/2014, Grieco, Rv. 260025-01; nello stesso senso: Sez. 2, n. 47171 del 06/12/2005, Properzi, Rv. 232931-01; Sez. 6, n. 3407 del 21/02/1994, Corrias, Rv. 198264-01). 5.2. La Corte d'appello di Messina ha ritenuto la sussistenza del reato di ricettazione mettendo in evidenza come il (OMISSIS), successivamente alla commissione dei furti da parte della (OMISSIS), si fosse recato presso il compro oro (OMISSIS) s.r.l. per vendere la refurtiva ricevuta dalla stessa (OMISSIS), avesse venduto tale refurtiva, firmando, sui registri di (OMISSIS) s.r.l., le relative ricevute, e avesse quindi percepito, in proprio nome e per proprio conto, i corrispettivi delle predette vendite. Tale motivazione della sussistenza del reato di ricettazione e, in particolare, del fatto che l'imputato avesse operato non al solo fine di prestare aiuto alla (OMISSIS), per contribuire ad assicurarle il prodotto o il profitto del reato da lei commesso, senza trarne per se' alcuna utilita', ma al fine di trarne profitto per se', appare, oltre che rispettosa dei principi affermati dalla Corte di cassazione rammentati al punto 5.1., del tutto priva di contraddizioni o illogicita', tanto meno manifeste, sicche' si sottrae a censure in questa sede di legittimita'. 6. Il secondo motivo e' manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui e' articolato, i quali possono essere esaminati congiuntamente. In proposito, si deve rilevare che la Corte d'appello di Messina ha valutato il danno patrimoniale cagionato alla persona offesa come di rilevante gravita' non, come sembra ritenere il ricorrente, sulla base delle mere dichiarazioni della stessa persona offesa - la quale aveva stimato in Euro 100.000,00 il valore degli oggetti preziosi che le erano stati sottratti - ma, da un lato, dell'assai elevato numero di tali oggetti e, dall'altro lato, dell'accertata corresponsione agli imputati, da parte del compro oro (OMISSIS) s.r.l., di un importo, gia' di per se' assai significativo, ben superiore a diecimila Euro, e che, tenuto conto del fatto che i compro oro sono soliti pagare gli oggetti in metalli preziosi a un valore inferiore al loro prezzo di mercato e parametrato al mero peso degli stessi oggetti, senza tenere conto del pregio artistico degli stessi, nella specie sussistente, dimostrava il rilevante valore dei medesimi e, di conseguenza, la rilevante gravita' del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa (OMISSIS). Tale motivazione appare del tutto priva di incoerenze o di illogicita', tanto meno manifeste, sicche' si sottrae a censure in questa sede di legittimita'. 7. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. La Corte d'appello di Messina ha valutato che le dichiarazioni rese dall'imputato in ordine alla destinazione dei beni sottratti alla (OMISSIS) fosse intervenuta in una fase di sviluppo delle indagini tale da escludere che le stesse dichiarazioni potessero avere avuto un'effettiva utilita' al fine di consentire il recupero della refurtiva, anche perche', nel momento in cui furono rese, buona parte dei beni sottratti alla persona offesa erano gia' stati destinati da (OMISSIS) s.r.l. alla fusione. A fronte di tale non contraddittorio ne' manifestamente illogico apprezzamento discrezionale del giudice di merito in ordine alla mancanza di una concreta efficacia dell'apporto dato dal (OMISSIS) al recupero della refurtiva, le doglianze del ricorrente, secondo cui egli avrebbe collaborato con gli inquirenti "per concludere gli accertamenti del caso" e, senza il proprio apporto, "non vi e' certezza che la polizia avrebbe individuato il compro oro in tempo utile per recuperare i beni della persona offesa", appaiono meramente generiche e congetturali. 8. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. Anzitutto, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non vi e' alcuna contraddizione tra il ritenere che, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7), l'intero danno patrimoniale cagionato alla persona offesa non fosse consistito nel solo prezzo dei beni rubati corrisposto dal compro oro (OMISSIS) s.r.l. e l'assumere tale prezzo come parametro non per la liquidazione dell'intero danno subito dalla stessa persona offesa ma solo ai fini della condanna al pagamento di una provvisionale. Quanto al danno morale, la valutazione dei giudici di merito si e' basata su un apprezzamento, evidentemente, di tipo equitativo, che non ha potuto che fondarsi, come risulta anche da un precedente passaggio della sentenza di primo grado (pag. 9), sul valore anche "affettivo, per una anziana donna quale la p.o. (che di certo l(i) possedeva da tempo), anche piuttosto pronunciato" dei beni a lei sottratti. 9. Il ricorso di (OMISSIS) deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro tremila. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado nei confronti di (OMISSIS), e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Messina per l'ulteriore corso. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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