Sentenze recenti retribuzione globale di fatto

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  • La retribuzione globale di fatto, quale parametro per la quantificazione del risarcimento del danno da abusiva reiterazione di contratti a termine, comprende tutte le voci retributive fisse e ricorrenti percepite dal lavoratore in conseguenza dello svolgimento della propria attività lavorativa, con esclusione di quelle aventi carattere occasionale o eccezionale. Tale nozione non può essere limitata alla sola retribuzione tabellare, ma deve ricomprendere anche gli emolumenti accessori, quali indennità di reperibilità e straordinari, che costituiscono parte integrante della retribuzione ordinaria del lavoratore. L'amministrazione è pertanto tenuta a conformarsi integralmente al giudicato che abbia condannato al pagamento di una somma calcolata sulla base della retribuzione globale di fatto, senza poter operare autonome riduzioni o esclusioni di voci retributive. In caso di inerzia dell'amministrazione, il giudice può nominare un commissario ad acta affinché provveda all'esecuzione del giudicato.

  • In tema licenziamento per superamento del periodo di comporto, la contrattazione collettiva, per sottrarsi al rischio di trattamenti discriminatori a danno dei lavoratori con handicap, deve prendere in specifica considerazione la posizione di svantaggio del disabile, poiché non è sufficiente ad elidere detto rischio una disciplina negoziale che tiene conto solo del profilo oggettivo dell'astratta gravità o particolarità delle patologie senza valorizzare anche l'aspetto soggettivo della disabilità, in relazione al quale vanno adottati gli accorgimenti ragionevoli prescritti dalla direttiva 2000/78/CE e dall'art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2006. (Principio affermato in relazione al c.c.n.l. Associazione nazionale strutture territoriali 2017-2019, che prevede l'esclusione dal computo del comporto solo dei giorni di ricovero ospedaliero, dei day hospital, dei giorni di assenza per malattia dovuti a sclerosi multipla o connessi alla somministrazione di terapie salvavita, non anche dei giorni di assenza per malattie, anche non gravi, ma cagionate dalla disabilità).

  • La retribuzione globale di fatto da assumere, ai sensi dell'art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 (ora art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015), quale parametro per la liquidazione del danno da cd. illecito eurounitario per reiterazione abusiva di contratti a termine, è quella corrispondente al livello formale di inquadramento cui il lavoratore aveva diritto al momento della maturazione della predetta fattispecie di illecito; tuttavia, in ragione della necessità del compiuto apprezzamento dell'illecito nella sua interezza, devono essere considerati eventuali livelli di inquadramento superiore, maturati nei successivi rapporti a termine coinvolti nella medesima fattispecie, come anche eventuali aumenti della retribuzione propria del livello di inquadramento esistente al momento del perfezionarsi dell'illecito, maturati in epoca successiva ma in pendenza di rapporti a termine coinvolti nella medesima reiterazione abusiva, ferma restando la necessità che il ristoro sia determinato, muovendo da tali basi, in modo da prescegliere, nell'ambito del margine stabilito dalle norme (da 2,5 a 12 mensilità), la misura più coerente rispetto al caso concreto, tenuti presenti tutti i parametri di cui all'art. 8 della l. n. 604 del 1966, richiamati dall'art. 32 citato.

  • Il giudicato formatosi sulla determinazione dell'importo della retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore licenziato illegittimamente, accertato in una precedente sentenza passata in giudicato, non può essere rimesso in discussione in un successivo giudizio, anche se il datore di lavoro contesti la debenza di alcune voci retributive accessorie, in quanto tale importo costituisce un elemento già definitivamente stabilito e non più contestabile. Il giudice di merito, nel valutare l'oggetto e i limiti del giudicato, non deve limitarsi alla sola formula conclusiva della sentenza, ma deve individuarne l'essenza e l'effettiva portata, desumendola dal dispositivo e dalla motivazione, in relazione alle ragioni delle parti prese in considerazione. Pertanto, la sentenza che conferma l'importo della retribuzione globale di fatto già accertato in un precedente giudicato, senza modificarlo, non viola il principio di cui all'art. 2909 c.c., in quanto tale importo costituisce un elemento ormai definitivamente stabilito e non più contestabile.

  • Il licenziamento illegittimo determina la continuità del rapporto di lavoro per fictio iuris dalla data del recesso fino alla effettiva reintegrazione, con conseguente permanenza dell'obbligo del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni a titolo risarcitorio. Tali somme, essendo sinallagmaticamente correlate al rapporto di lavoro, devono essere incluse nella base di computo del trattamento di fine rapporto, in applicazione del principio di onnicomprensività della nozione di retribuzione rilevante ai fini del calcolo del TFR, senza che possa rilevare la natura risarcitoria dell'indennità prevista dall'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970. Pertanto, il lavoratore licenziato illegittimamente ha diritto a vedersi corrisposta, oltre all'indennità sostitutiva della reintegrazione, anche la quota di TFR maturata sulle somme a lui spettanti a titolo di risarcimento del danno patito per la perdita della retribuzione (lucro cessante) che avrebbe potuto percepire dal giorno del licenziamento fino a quello della cessazione del rapporto.

  • Il giudice, nell'esercizio dei propri poteri officiosi ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., può attivare tali poteri al fine di contemperare il principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, ma non può utilizzarli per superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o per supplire a una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di parte. Pertanto, il giudice può legittimamente ritenere inammissibile la produzione di documentazione da parte della parte che ben avrebbe potuto e dovuto produrla ritualmente in giudizio fin dalla fase sommaria, senza che ciò integri una violazione dei principi regolanti l'esercizio dei poteri officiosi. La valutazione della prova e dell'indispensabilità ai fini della decisione della causa di tale documentazione rientra nell'ambito del giudizio di merito, congruamente motivato, e non è sindacabile in sede di legittimità. Inoltre, l'errore di calcolo nella determinazione dell'indennità risarcitoria può essere denunciato per cassazione solo quando sia riconducibile a un error in iudicando nell'individuazione di parametri e criteri di conteggio, e non quando sia censurato come mero errore materiale di calcolo.

  • La retribuzione globale di fatto, quale parametro per la quantificazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, comprende tutte le somme dovute in dipendenza del rapporto di lavoro e in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, costituendo il trattamento economico normale che sarebbe stato effettivamente goduto in assenza dell'estromissione dall'azienda. Il calcolo del risarcimento deve pertanto essere effettuato avendo riguardo a tale nozione retributiva, e non limitatamente alle voci dell'ultima busta paga. Gli interessi sul credito risarcitorio decorrono dalla data del licenziamento illegittimo e non dalla successiva pronuncia giudiziale che ne accerta l'illegittimità. Nell'ambito della liquidazione del credito spettante al lavoratore, il commissario liquidatore può legittimamente procedere allo scomputo di somme versate a favore di creditori del medesimo lavoratore, purché tale decurtazione trovi adeguata giustificazione e corrispondenza negli importi effettivamente corrisposti ai creditori.

  • Il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, convertito nella L. n. 27 del 2020, si applica anche ai dirigenti, a prescindere dalla loro esclusione dalla disciplina generale dei licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966. Tale interpretazione è coerente con la ratio della norma, volta a tutelare l'occupazione durante la fase emergenziale della pandemia da Covid-19, a prescindere dalla qualifica del lavoratore. L'esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti, pur in assenza di accesso agli ammortizzatori sociali, determinerebbe una disparità di trattamento irragionevole e potenzialmente in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Pertanto, il licenziamento intimato in violazione di tale divieto è nullo e comporta la reintegrazione del dirigente nel posto di lavoro e il risarcimento del danno, commisurato all'ultima retribuzione globale di fatto maturata, esclusi gli elementi retributivi non strettamente connessi alla prestazione lavorativa.

  • In tema di conseguenze patrimoniali da licenziamento illegittimo ex art. 18 st.lav. (nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012), la retribuzione globale di fatto deve essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato - dovendosi ricomprendere nel suo complesso anche ogni compenso avente carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento -, ad eccezione dei compensi eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso dalla base di calcolo dell'indennità risarcitoria sia i premi ed incentivi che gli incrementi retributivi previsti da accordi sindacali posteriori all'impugnazione del licenziamento ma anteriori alla reintegra).

  • La retribuzione globale di fatto, comprensiva di tutti i compensi erogati in via continuativa con esclusione di quelli a carattere accidentale, costituisce il parametro di riferimento per il calcolo dei compensi dovuti per ferie, tredicesima mensilità, festività e permessi retribuiti, in applicazione della normativa collettiva e di legge. Tale principio trova applicazione anche nel caso di prestazioni di lavoro straordinario svolte in modo continuativo, seppur non in misura identica ogni mese, in quanto tali compensi rientrano nella nozione di retribuzione globale di fatto rilevante ai fini del computo delle suddette voci retributive accessorie.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così sintetizzato: La retribuzione globale di fatto, rilevante ai fini del calcolo di tredicesima, ferie e permessi retribuiti, comprende tutti i compensi erogati in via continuativa al lavoratore, con esclusione di quelli a carattere meramente occasionale o accidentale. Pertanto, il lavoro straordinario prestato in modo continuativo dal lavoratore nel periodo considerato deve essere incluso nella base di calcolo di tali istituti retributivi accessori, in applicazione della normativa collettiva e di legge che prevede una nozione ampia e onnicomprensiva della retribuzione globale di fatto. Tale principio si fonda sull'esigenza di garantire al lavoratore la giusta remunerazione di tutti gli elementi retributivi erogati in modo stabile e continuativo, a prescindere dalla loro qualificazione formale, al fine di assicurare la corretta determinazione degli istituti retributivi accessori previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. La continuità della prestazione lavorativa straordinaria, pur se non in misura identica ogni mese, è sufficiente a ricomprendere tali compensi nella retribuzione globale di fatto, in applicazione di un criterio di ragionevolezza e di tutela effettiva del lavoratore.

  • Il rapporto di lavoro a tempo determinato, stipulato in violazione delle norme di legge, si converte in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato qualora il lavoratore abbia prestato la propria attività lavorativa per un periodo complessivo superiore ai limiti temporali previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, salvo che tale superamento non sia riconducibile a esigenze di carattere stagionale espressamente individuate dalla contrattazione collettiva nazionale. In tal caso, il lavoratore ha diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle medesime condizioni contrattuali precedenti, con il riconoscimento dell'anzianità maturata, anche nei confronti del cessionario dell'azienda, salvo che quest'ultimo non abbia raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali per limitare il trasferimento di alcuni rapporti di lavoro, purché tale limitazione non contrasti con le garanzie minime previste dalla normativa comunitaria in materia di trasferimento d'azienda. Il lavoratore ha altresì diritto a percepire un'indennità risarcitoria onnicomprensiva, di importo compreso tra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, a carico solidale del cedente e del cessionario.

  • Il licenziamento motivato dalla sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle mansioni - se intimato in violazione dell'obbligo di adottare "accomodamenti ragionevoli" (sancito, in attuazione di obblighi comunitari, dall'art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2003) e, quindi, in violazione di doveri imposti per rimuovere gli ostacoli che impediscono ad una persona con disabilità di lavorare in condizioni di parità con gli altri lavoratori - realizza una discriminazione diretta ed è pertanto nullo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena di cui all'art. 18, commi 1 e 2, st.lav.

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