Sentenze recenti retribuzione globale di fatto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MARINI Luigi - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nata (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 5) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 02/12/2021 dalla Corte d'Appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; uditi i difensori dei ricorrenti, avv. (OMISSIS) (in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS)), avv. (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), avv. (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), avv. (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), avv. (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che hanno concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 02/12/2021, la Corte d'Appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza emessa con rito abbreviato in data 15/07/2020, dal G.i.p. del Tribunale di Palermo, con la quale - per quanto qui specificamente rileva - (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in tema di stupefacenti, loro ascritto al capo 1 (con attribuzione della qualifica di capi e promotori alla (OMISSIS), al (OMISSIS), ai (OMISSIS) e al (OMISSIS), mentre tale qualifica era stata esclusa dal G.i.p. quanto a (OMISSIS)), nonche' ad una serie di reati-fine di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti loro rispettivamente ascritti come specificato, nel dettaglio, ai capi da 2) a 19) della rubrica. In particolare, la Corte d'Appello ha assolto (OMISSIS) da una parte dei reati a lui contestati al capo 10), e ha riqualificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2 l'imputazione associativa ascritta a (OMISSIS); ha quindi rideterminato il trattamento sanzionatorio applicato ai due predetti imputati, confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Ricorre per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo e al coinvolgimento del (OMISSIS). Si censura la sentenza per non aver valutato il fatto che una parte dei reati-fine erano stati commessi prima del periodo considerato nella contestazione associativa; che ogni presunto sodale aveva posto in essere la condotta illecita in totale autonomia (lo stesso ricorrente aveva abbandonato l'attivita' di spaccio su strada proseguendola in casa, a fini di lucro esclusivamente personali); che gli elementi acquisiti non consentivano di ritenere sussistente un vincolo stabile tra i soggetti ritenuti sodali (ad es. nessun tipo di ausilio era stato prestato alla moglie del ricorrente, quando questi era stato ricoverato in ospedale). 2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 2). Si censura la sentenza per non aver considerato che per tutti gli episodi contestati, tranne quelli di cui alle lettere a) e z), non era stata raggiunta la piena prova, dato che le immagini delle telecamere non avevano trovato adeguato riscontro. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 12). Si censura la sentenza per non aver considerato che le intercettazioni, di contenuto vago, non erano state seguite da sequestri o servizi di osservazione, con la conseguente necessita' di valutare con particolare rigore gli episodi di "droga parlata". 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione, come partecipe, dell'imputazione associativa. Si contesta la possibilita' di attribuire al (OMISSIS) un ruolo verticistico o di organizzatore (sottolineando, a tale ultimo riguardo, che ciascun pusher decideva in assoluta liberta' dove rifornirsi, trattenendo per se' il ricavato). 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione dei reati ascritti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Si lamenta, anche attraverso richiami giurisprudenziali, il riconoscimento dell'ipotesi attenuata di associazione, alla luce del breve arco temporale, delle cessioni al minuto di droga leggera, dei quantitativi di volta in volta detenuti e ceduti dal (OMISSIS). 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e alla misura del trattamento sanzionatorio. Si censura il carattere apodittico e lacunoso della sentenza. 3. Ricorre per cassazione la (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato associativo e al ruolo attribuito alla ricorrente. Si censura la sentenza per non aver considerato l'anteriorita' di molti reati fine rispetto al periodo compreso nell'imputazione associativa, e per aver ritenuto - in forza di intercettazioni aventi in realta' valenza neutra - che la (OMISSIS) contribuisse con funzioni organizzative, laddove invece ella si limitava ad aiutare il marito. 3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 12). Si censura la sentenza per aver affermato la penale responsabilita' anche della ricorrente, per vicende relative alla ricezione di sostanze stupefacenti che avevano coinvolto il solo (OMISSIS), sulla scorta di una pretesa "costante sinergia e comunanza di interessi" con cui si muovevano i coniugi. Si contesta l'idoneita' di tale passaggio argomentativo ad estendere automaticamente alla (OMISSIS) la responsabilita' per fatti del marito. 3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione, quale partecipe, dell'imputazione associativa. Si censura la sentenza svolgendo argomentazioni analoghe a quelle svolte nel corrispondente motivo di ricorso del (OMISSIS). 3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione dei reati ascritti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6 e articolo 73, comma 5. Anche su tali profili, si censura la sentenza svolgendo considerazioni in linea con quelle prospettate dal (OMISSIS). 3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e alla misura del trattamento sanzionatorio. Si censura la sentenza per non aver considerato lo stato di incensuratezza della (OMISSIS) e le modalita' del fatto, risultato di non particolare disvalore. 4. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 1). Si censura la sentenza per aver ritenuto configurabile il reato associativo sia quanto all'elemento oggettivo del reato (nonostante sia emerso che il (OMISSIS) si riforniva anche presso altre fonti; che egli aveva con il ricorrente un rapporto di amicizia oltre che saltuariamente di fornitura; che il collaboratore (OMISSIS) nulla aveva detto sui rapporti tra il cognato (OMISSIS) e il (OMISSIS); che l'attivita' del ricorrente era autonoma e avulsa da programmi criminosi collettivi; che l'insussistenza del ruolo apicale era confermata dal fatto che il (OMISSIS), per rifornirsi da soggetti diversi dal (OMISSIS), aveva dovuto chiedere l'autorizzazione a persone diverse da quest'ultimo). Quanto all'elemento soggettivo, si deduce la mancanza di prove circa la consapevolezza del (OMISSIS) di far parte di un sodalizio, dato che la contabilita' valorizzata in sentenza aveva esclusivamente finalita' interne alla famiglia, e che le singole cessioni avevano connotazioni autonome da qualsiasi pactum sceleris: era stato comunque violato, con riferimento a elementi di mero sospetto, il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Si censura la sentenza per non essersi conformata ai principi giurisprudenziali in materia, con particolare riferimento alla compatibilita' della norma con la mera reiterazione delle condotte e con la professionalita' dimostrata; alla scarsa qualita' e quantita' dello stupefacente smerciato; alla modestia del profilo strutturale, all'inefficienza dei pusher, che vendevano solo modeste quantita' di droga in involucri chiusi con la spillatrice. 4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di penale responsabilita' per il capo 11), lettera j, k, m. Si censura il carattere generico e inconsistente della motivazione addotta a sostegno della condanna, non essendo state prese in considerazione alcuna le possibili interpretazioni alternative delle intercettazioni, che era possibile sostenere con riferimento a ciascuna imputazione. 4.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5 alle imputazioni di cui ai capi 11) e 15). Si censura la sentenza per aver ignorato i principi giurisprudenziali in tema di "spaccio da strada", compatibile con la fattispecie di minore gravita' in presenza di una ridotta circolazione di merce e di danaro, anche in casi di attivita' reiterata e svolta professionalmente. 4.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 e articolo 62-bis c.p., e alla misura del trattamento sanzionatorio. Si censura la sentenza, quanto al primo aspetto, per non aver tenuto conto della modestia degli introiti derivanti dall'attivita' di spaccio e, quanto secondo aspetto, per la mancata valorizzazione degli elementi addotti dalla difesa e per la mancata specificazione della motivazione per i singoli reati-satellite. 5. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 1). La ricorrente svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nel ricorso del marito (OMISSIS), evidenziando l'insussistenza anche dell'elemento soggettivo. In ogni caso, si deduce carenza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive secondo cui la (OMISSIS) si era limitata a coadiuvare il marito in un'attivita' del tutto autonoma da contesti associativi, ed era stata "messa da parte" da (OMISSIS) dopo l'emersione di una gestione scellerata dei guadagni in sua assenza, utilizzati dalla donna per il vizio del gioco da cui era dipendente. Si lamenta ancora l'illogicita' del rilievo conferito al rapporto di conoscenza con altri imputati e alle conversazioni, captate dalla P.G., in cui la ricorrente parlava dello scambio di battute con i fratelli (OMISSIS) circa le preoccupazioni del marito sulla tenuta dei conti. 5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata derubricazione del reato associativo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2. Si censura la sentenza per aver attribuito funzioni apicali o comunque organizzative, in realta' del tutto incompatibili con le risultanze acquisite (si richiamano le osservazioni svolte in ordine al ruolo ausiliario del marito, alle cessioni a prezzo ridotto per pagarsi il vizio del gioco, alla irrilevanza del colloquio con gli (OMISSIS)). 5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6. La ricorrente svolge considerazioni in linea con quanto esposto nel ricorso di (OMISSIS). 5.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di penale responsabilita' per il capo 11), lettera j, k, m, nonche' per il capo 15, lettera i). La ricorrente svolge censure analoghe a quelle dedotte da (OMISSIS) quanto al capo 11, mentre in relazione al capo 15), lamentava l'insufficienza di quanto valorizzato, ben potendo la (OMISSIS) essersi limitata ad aiutare il marito nell'introdurre in casa una busta di plastica. 5.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5. La ricorrente svolge considerazioni in linea con quanto dedotto da (OMISSIS). 5.6. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 62 c.p., n. 4 e alla misura del trattamento sanzionatorio. Si svolgono, quanto al primo aspetto, considerazioni in linea con quelle dedotte dal (OMISSIS); quanto al secondo, si censura l'eccessivita' degli aumenti per la continuazione, peraltro immotivati. 6. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo e alla partecipazione dell'odierna ricorrente. Si censura la sentenza per aver ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 74, nonostante l'assenza di concreti elementi di riscontro all'ipotesi accusatoria (una mera suggestione era quella per cui lo spaccio in localita' (OMISSIS) sarebbe stato legittimato dalla famiglia mafiosa di (OMISSIS)). Quanto alla partecipazione della ricorrente, si evidenzia la modestia anche numerica degli episodi in cui la (OMISSIS) risultava coinvolta, essendosi ella limitata a qualche spostamento della sostanza stupefacente (da interpretare come meri aiuti al padre) e aver ricevuto le lamentele e le preoccupazioni di quest'ultimo, che si era confidato con lei anche sui conteggi). Si richiama poi l'assenza di correlazioni con soggetti terzi, e comunque l'impossibilita' di desumere la partecipazione al sodalizio dalla mera commissione di reati-satellite. Con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6, la ricorrente censura il carattere astratto e indistinto della motivazione adottata, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza (compatibilita' con la reiterazione e con modalita' professionali della condotta), applicabili alla fattispecie in esame. 6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per i reati di cui al capo 13). Si censura la sentenza per non aver considerato che le condotte di mero spostamento della droga, ascritte alla ricorrente, erano prive di "materialita' giuridica" perche' inidonee a ledere il bene giuridico (per tali ragioni, del resto, la (OMISSIS) era stata assolta dall'episodio sub h, in quanto - in assenza di prove circa il concorso nella ricezione dello stupefacente portato in casa dai genitori - il tentativo di occultare la sostanza all'arrivo della P.G., portandola al piano di sopra, era stata ritenuta condotta non riconducibile al "trasporto" di cui all'articolo 73). Per la difesa, tale argomentazione era applicabile a tutte le ipotesi contestate, da ricondurre in subordine nell'alveo del favoreggiamento. Sotto altro profilo, si contesta il mancato assorbimento sia delle condotte sub c), d), e) in quella rubricata sub b), sia della condotta sub g) in quella rubricata sub f). Si trattava infatti, per la difesa ricorrente, di meri spostamenti dello stupefacente in precedenza ricevuto, con conseguente violazione del ne bis in idem. 6.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5. Si censura la motivazione resa indistintamente per tutti gli imputati, senza tener conto della modestia dei guadagni e dello scarso approvvigionamento di alcuni pusher. 6.4. Violazione dell'articolo 62 c.p., n. 4, articoli 114, 133 c.p.. Si censura la motivazione quanto alla prima e alla terza questione, e la mancata applicazione d'ufficio dell'attenuante della minima importanza. 7. Ricorre per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 7.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo. Si censura la sentenza per non aver considerato che erano in realta' emersi gruppi autonomi che operavano nel traffico di stupefacenti, senza alcun collegamento stabile con un sodalizio di riferimento, cosi' come "la superiore regia della mafia" era in realta' una mera suggestione: del resto, anche dopo il preteso ingresso del (OMISSIS), i coniugi (OMISSIS) avevano continuato ad acquistare autonomamente droga da destinare allo spaccio. Si censura inoltre la valorizzazione in senso accusatorio di elementi in realta' privi di tale valenza (dialogo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ecc.). 7.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'identificazione, nel (OMISSIS), del soggetto che secondo l'ipotesi accusatoria sarebbe subentrato, insieme ai fratelli (OMISSIS), ai coniugi (OMISSIS) in posizione apicale nel sodalizio. Si censura la sentenza per l'assoluta genericita', insufficienza (il nome (OMISSIS), l'essere calvo) e imprecisione ("pedofilo" per alludere alla relazione con una diciannovenne) dei riferimenti colti nella conversazione tra (OMISSIS) e i genitori, ritenuti idonei all'identificazione. La difesa denuncia inoltre il salto logico in cui la Corte era incorsa valorizzando le dichiarazioni del collaboratore secondo cui, gia' da anni, il (OMISSIS) era attivo nel narcotraffico nella zona di (OMISSIS), segnalando anche l'anomalia di un soggetto in posizione apicale che continuerebbe a dedicarsi allo spaccio al minuto; si censura altresi' la sentenza per aver interpretato in senso accusatorio conversazioni in realta' inidonee a comprovare la posizione apicale contestata. 7.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla qualifica di organizzatore attribuita al ricorrente. Si censura la sentenza per non aver considerato l'ipotesi alternativa di un soggetto incaricato di compiti meramente esecutivi, eventualmente con funzioni di intermediazione. 7.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6. Il ricorrente svolge censure analoghe a quelle prospettate da altri ricorrenti, evidenziando il carattere rionale dell'attivita' di spaccio e l'assenza di elementi concretamente idonei a comprovare contatti tra il sodalizio e "(OMISSIS)". 7.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 17). Si censura la sentenza per aver omesso di motivare su una pluralita' di cessioni contestate in favore di una pluralita' di soggetti, essendo state sinteticamente richiamate solo le conversazioni con i cessionari (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e difettando qualsiasi elemento di riscontro alle conversazioni medesime. 7.6. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e alla misura del trattamento sanzionatorio. Si censura la sentenza per non aver considerato la particolare brevita' del periodo di coinvolgimento del (OMISSIS), essendo privo di riscontro il rilievo per cui egli avrebbe operato fino alla data dell'arresto, avvenuto nel settembre 2019. 8. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 8.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 1). Il difensore svolge considerazioni critiche analoghe a quelle contenute nei ricorsi dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), contestando altresi' la valenza accusatoria degli elementi addotti a sostegno della tesi per cui il (OMISSIS) sarebbe subentrato ai (OMISSIS) nelle funzioni direttive e organizzative del narcotraffico posto in essere dal sodalizio. In particolare, si evidenzia tra l'altro: il travisamento della conversazione - relativa al capo 10) tra il (OMISSIS) e il ricorrente, in realta' ignaro del contenuto della busta consegnata all'altro; l'impropria valorizzazione dell'altro colloquio in cui il (OMISSIS) chiede al ricorrente se avrebbe dovuto consegnare la droga al fratello (OMISSIS); la genericita' del riferimento alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS); l'apoditticita' dell'identificazione, nel ricorrente, del " (OMISSIS)" di cui (OMISSIS) aveva parlato con i genitori. La difesa svolge ulteriori considerazioni critiche in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato associativo, e comunque alla ritenuta configurabilita' di una posizione di promotore o organizzatore. 8.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6. Anche in questo caso, la difesa svolge considerazioni analoghe a quelle gia' prospettate per altri ricorrenti, soffermandosi sulla necessita' di apprezzare il momento genetico e sulla compatibilita' della fattispecie con la reiterazione delle condotte e con modalita' operative professionali (nella specie, tra l'altro, vi erano stati solo tre approvvigionamenti di scarso rilievo, e un profilo strutturale modesto). 8.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 10). Si censura il travisamento in cui la Corte era caduta interpretando la conversazione - contestuale alla consegna al (OMISSIS) della busta, da parte del ricorrente - nel senso che il (OMISSIS) ignorava il quantitativo esatto della droga contenuta: laddove invece, in realta', il ricorrente aveva detto di ignorare cosa vi fosse nella busta. Ne' in senso contrario poteva valorizzarsi il fatto che, subito dopo, il (OMISSIS) aveva accennato al proprio interlocutore di esser stato pedinato dai Carabinieri. 8.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione, quanto al reato sub 10), dell'articolo 73, comma 5. Vengono svolte anche in questo caso considerazioni critiche comuni ad altri ricorrenti, sottolineando la modestia del quantitativo ceduto nell'occasione al (OMISSIS). 8.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti di cui all'articolo 62 c.p., n. 4, articolo 62-bis c.p., e alla misura del trattamento sanzionatorio. Quanto al primo aspetto, si censura la sentenza sottolineando la compatibilita' della fattispecie concreta con l'attenuante. Quanto al secondo aspetto, si censura il mancato apprezzamento dell'eta' e delle condizioni economiche, nonche' il contesto ambientale. Si lamenta quindi l'eccessivita' della pena irrogata, e l'omessa quantificazione dell'aumento per ciascun reato satellite (sottolineando che, per l'assoluzione dal reato di cui alla seconda parte del capo 10, la Corte d'Appello aveva diminuito la pena di un solo mese). 9. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 9.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo, e comunque di una consapevole partecipazione del ricorrente (al quale l'originaria attribuzione di funzioni apicali era stata derubricata dal G.i.p. ai sensi dell'articolo 74, comma 2). La difesa svolge considerazioni critiche in linea con quanto gia' esposto in ordine ad altre posizioni, evidenziando l'assenza di elementi indicativi di un effettivo inserimento del (OMISSIS) in un contesto associativo, non potendo ritenersi idonei, allo scopo, i tre o quattro episodi di cessione di stupefacenti ne' le vicende debitorie del (OMISSIS) con il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ne' le ulteriori conversazioni aventi in realta' contenuto equivoco. 9.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6 e dell'articolo 73, comma 5. Anche in questo caso, la difesa ricorrente svolge considerazioni critiche in linea con quanto dedotto da altri ricorrenti, sottolineando la modestia dei quantitativi e il carattere astratto della motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale. 9.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 e alla misura del trattamento sanzionatorio. La difesa sottolinea la compatibilita' dell'attenuante con il commercio di stupefacenti, e il carattere esiguo delle somme introitate (tra l'altro ratealmente). Si censura poi la manifesta illogicita' della motivazione quanto all'aumento applicato per la continuazione. 9.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla recidiva. Si censura la sentenza per aver applicato la recidiva qualificata unicamente sulla scorta dei precedenti specifici a carico del ricorrente, senza alcuna indagine sulla effettiva esistenza di una propensione a delinquere desumibile dai precedenti medesimi. 10. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 10.1. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1). Si censura la sentenza per aver ritenuto idonei allo scopo i due episodi di spaccio contestati al (OMISSIS), che nelle intercettazioni non aveva palesato alcun interesse per il sodalizio. 10.2. Vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Si censura la sentenza per avere la Corte d'Appello ignorato gli elementi (condizioni familiari e sociali, "scarsa entita' di dolo", modalita' dell'azione) che avrebbero condotto all'applicazione dell'articolo 62-bis c.p.. 10.3. Violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e alla conseguente mancata riduzione del trattamento sanzionatorio. La difesa lamenta il travisamento in cui era incorsa la Corte territoriale, che aveva ritenuto inapplicabile l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 (peraltro mai richiesta con i motivi di appello) ed aveva invece omesso di pronunciarsi sulla richiesta, ritualmente veicolata con il gravame, di applicazione dell'ipotesi di lieve entita'. 11. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 11.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al sodalizio di cui al capo 1) e alla partecipazione ad esso da parte del ricorrente. Si censura la sentenza per non aver tenuto conto del breve periodo di osservazione, dell'assenza di captazioni idonee a comprovare l'esistenza di un'associazione, dell'assenza di sequestri di somme comprovanti la capacita' del sodalizio di approvvigionarsi, nonche' della mancanza di elementi indicativi di una partecipazione del (OMISSIS), che aveva posto in essere condotte al piu' riconducibili ad uno spaccio di strada. 11.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6. Si censura la sentenza per non aver tenuto conto della brevita' del periodo, del carattere rudimentale dei mezzi impiegati, della qualificazione ai sensi dell'articolo 73, comma 5 degli episodi culminati in arresti in flagranza. 12. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 12.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo. Si censura la sentenza per aver la Corte territoriale ritenuto provati gli elementi costitutivi del reato, laddove invece si era trattato di attivita' di spaccio non funzionale a dinamiche associative (connotata da contrasti, prezzi diversi praticati a soggetti asseritamente partecipi, ecc.). 12.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta partecipazione del (OMISSIS). Si censura la sentenza perche' non si era tenuto conto del brevissimo arco temporale del coinvolgimento del ricorrente (con ampia soluzione di continuita'), della sporadicita' dei suoi rapporti con i coniugi (OMISSIS), nonche' della marginalita' della sua posizione. 12.3. Vizio di motivazione con riferimento al capo 4). Si evidenzia che, a fronte della contestazione di almeno cinquanta episodi di cessione, gli episodi per cui poteva ritenersi adeguatamente raggiunta la prova erano solo tre (tutti certamente riconducibili nell'alveo dell'articolo 73, comma 5), dal momento che, negli altri casi, vi erano solo immagini riprese dalle videocamere, di scarsa intellegibilita'. 12.4. Violazione di legge con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Si censura la valutazione operata dalla Corte, che non aveva tenuto conto della giovane eta' del (OMISSIS) e della sua corretta condotta processuale. 13. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 13.1. Vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 1). Si contesta la ritenuta sussistenza di elementi indicativi di un inserimento del ricorrente nel sodalizio, essendo state valorizzate risultanze prive di valenza indiziante ed essendo stata affermata, in termini apodittici, una sinergia operativa tra il (OMISSIS) e gli altri pusher (in una telefonata, anzi, emerge una sua autonomia decisionale, rispetto al presunto sovraordinato (OMISSIS), del tutto distonica rispetto a contesti associativi). 13.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6. Si lamenta il carattere apodittico della motivazione, priva di riferimenti alle specifiche posizioni. 13.3. Vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 19). Si censura la sentenza per aver teorizzato acquisti del (OMISSIS) presso il (OMISSIS), contrastanti con lo schema associativo. 14. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 14.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il capo 1). Si censura la sentenza per non aver ricondotto la fattispecie nell'alveo del concorso di persone, anche alla luce del sistema di conto-vendita da ritenere incompatibile con lo schema associativo, e del prezzo di favore praticato al (OMISSIS) dai coniugi (OMISSIS), rispetto ad altri acquirenti. Si lamenta poi il mancato apprezzamento della sporadica presenza del ricorrente nella piazza di spaccio (tre mesi rispetto ad un'indagine di oltre due anni), dell'esiguita' numerica degli episodi di presunta cessione (quattro), dell'assenza di rapporti di frequentazione e mutua assistenza con gli altri soggetti susseguitisi nella vendita, della mancanza di connotazioni associative nei dialoghi intercettati. 14.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 74, comma 6. Si lamenta la mancata considerazione di quanto emerso in ordine all'attivita' di piccolo spaccio e alla difficolta' di approvvigionamento. 14.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5 quanto ai reati fine. Si censura la sentenza per aver sovrapposto la valutazione che qui rileva a quella associativa, senza alcun effettivo confronto con le singole imputazioni ascritte al ricorrente. 15. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 15.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 1). Si censura la sentenza per aver ritenuto configurabile la fattispecie associativa nonostante l'attivita' di spaccio del ricorrente fosse assolutamente autonoma: ne' egli era stato visto frequentare l'abitazione dei coniugi (OMISSIS). Si censura altresi' la valorizzazione delle conversazioni in cui si faceva riferimento ai "gemelli" (tra il ricorrente e il fratello corre una differenza di tre anni) e di quelle coinvolgenti " (OMISSIS)" (indicazione priva di riscontri). Si sottolinea altresi' l'assenza di riferimenti al ricorrente da parte dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS). 15.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata quantificazione della pena per il reato satellite di cui al capo 9). Si censura la mancata indicazione dell'aumento irrogato a tale titolo. 16. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo: 16.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 1). Il ricorrente svolge considerazioni critiche in linea con quanto gia' dedotto dal fratello (OMISSIS) quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo, aggiungendo - con riferimento specifico alla propria posizione - che la marginalita' della sua figura (pochi episodi di cessione in quaranta giorni, assenza di continuita' di rapporti con gli altri associati, assenza di dichiarazioni accusatorie dei collaboratori, ecc.) - era stata riconosciuta anche dal Tribunale del riesame, che aveva annullato l'ordinanza applicativa della misura cautelare, quanto al reato associativo, per difetto di gravita' indiziaria. 16.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento, quanto al capo 8), alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5. Si lamenta l'assenza di motivazione sul corrispondente motivo di appello, nonostante sia pacifica la compatibilita' dell'attenuante con una attivita' di spaccio continuativa. 17. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5. Si censura la motivazione della sentenza impugnata, che non aveva tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (assenza di precedenti specifici e di dichiarazioni accusatorie da parte del collaboratore (OMISSIS)) e del mancato sequestro della sostanza asseritamente consegnata dai coniugi (OMISSIS) al ricorrente (estraneo al sodalizio). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Esigenze di chiarezza e linearita' espositiva rendono opportuno, prima di esaminare le posizioni dei singoli ricorrenti, un sintetico richiamo dei principali snodi argomentativi posti a sostegno delle decisioni di primo e di secondo grado che, in termini sostanzialmente concordi e pienamente omogenei nella lettura ed interpretazione delle risultanze acquisite, hanno ritenuto fondata la prospettazione accusatoria (cio' consente, ed anzi impone, di valutare unitariamente il compendio motivazionale desumibile dalle due pronunce, secondo i noti principi in tema di "doppia conforme": cfr. ad es. Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 01). 1.1. Gli odierni ricorsi hanno ad oggetto una "doppia conforme" di condanna (salvo quanto gia' precisato in ordine alle posizioni dei fratelli (OMISSIS)), emessa con rito abbreviato sulla scorta degli esiti di una ampia ed articolata attivita' investigativa, concernente lo spaccio di sostanze stupefacenti (marijuana ed hashish) nella zona di (OMISSIS), che, negli anni 2017/2018, ha visto coinvolti a vario titolo gli odierni ricorrenti. Le indagini hanno invero rivelato le dimensioni imponenti del fenomeno, che, nell'arco temporale preso in considerazione (cfr. pag. 146 segg. della sentenza di primo grado: diverse centinaia di cessioni sono state direttamente riprese dalle telecamere installate dagli investigatori, cosi' come numerosissimi sono stati i sequestri di sostanza stupefacente appena ceduta ai consumatori), e' proseguito incessantemente anche dopo gli arresti di alcuni pusher (cfr. pag. 9 seg. della sentenza impugnata sulle "reazioni" del (OMISSIS) all'arresto del (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS)). 1.2. I giudici di merito sono peraltro pervenuti ad una decisione di condanna non solo in relazione alle cessioni di sostanze stupefacenti (come detto accertate grazie all'attivita' captativa e ai sequestri disposti nell'immediatezza), ma anche al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ascritto agli odierni ricorrenti (ad eccezione di (OMISSIS)) al capo 1) della rubrica: un reato ritenuto sussistente non solo alla luce delle pur numerosissime condotte di spaccio al minuto pacificamente accertate. In particolare, anche attraverso la valorizzazione degli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, dei contributi dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' delle dichiarazioni confessorie delle imputate (OMISSIS) e (OMISSIS), i Giudici palermitani hanno ritenuto adeguatamente provata la sussistenza di una stabile organizzazione posta a supporto e a sostegno della fiorente attivita' di spaccio, evidenziandone alcune specifiche connotazioni. 1.2.1. In primo luogo, e' stata posta in rilievo (pag. 7 segg. della sentenza impugnata) l'attivita' di coordinamento e direzione della rete di pusher (comprendente il (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), oltre al gia' citato (OMISSIS) per il quale si e' proceduto separatamente) svolta dal (OMISSIS) unitamente alla moglie (OMISSIS), la quale, nell'abitazione familiare adibita anche a base logistica per la preparazione della droga, aveva anche compiti di "magazziniera" e di controllo dell'attivita' sotto il profilo contabile (particolare rilievo, a tal proposito, e' stato conferito alle "spiegazioni", fornite dalla (OMISSIS) ai familiari di alcuni spacciatori, circa l'ammontare dei compensi spettanti a questi ultimi, le modalita' di calcolo, ecc. Dalle conversazioni tra i coniugi, e tra questi e il figlio minore (OMISSIS) anch'egli coinvolto nei traffici dei genitori e' anche emerso che gli spacciatori venivano retribuiti "a provvigione", con restituzione dello stupefacente rimasto invenduto). Quanto al (OMISSIS), le funzioni poc'anzi descritte sono state ricavate da numerose intercettazioni indicative sia di un potere direttivo/disciplinare nei confronti dei singoli spacciatori, sia dell'atteggiamento tenuto in situazioni di emergenza o di "allarme" (cfr. l'invito alla moglie a nascondere lo stupefacente, dopo gli arresti del (OMISSIS) e di (OMISSIS)), sia anche della vicinanza mostrata alla madre del (OMISSIS) in occasione del suo arresto: vicinanza peraltro seguita da una immediata convocazione del (OMISSIS), dopo la notizia della sua scarcerazione senza applicazione di misure (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata, in cui si sottolinea anche il rilievo in chiave associativa dell'attivita' di "prevenzione" svolta in un'occasione dal (OMISSIS), che, trovandosi a casa del (OMISSIS) ed essendosi allarmato per un appostamento degli operanti, aveva utilizzato il telefono in uso al (OMISSIS) per dare istruzioni al (OMISSIS) onde porre lo stupefacente al sicuro. Su tali attivita' preventive e di "bonifica" dell'abitazione del (OMISSIS), cfr. amplius pag. 27 segg. della sentenza di primo grado). 1.2.2. In secondo luogo, i giudici di merito hanno attribuito ad altra coppia di coniugi - (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS) - le funzioni di stabili fornitori dello stupefacente poi smerciato dal (OMISSIS) e dai pusher inseriti nella rete da quest'ultimo controllata (funzioni anche in questo caso svolte con il supporto dei figli della coppia: il minorenne (OMISSIS) con funzioni di corriere, e (OMISSIS) coinvolta nelle fasi di occultamento e stoccaggio). Al riguardo, sono state poste in rilievo (cfr. pag. 11 segg. della sentenza impugnata) le risultanze comprovanti sia la ricezione di circa 12 kg di droga nell'arco di poco piu' di un mese, da parte del (OMISSIS) (tratto in arresto in occasione dell'ultimo episodio), sia il rapporto risalente e consolidato, nella fornitura, tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), sia anche la posizione sovraordinata di quest'ultimo (al quale il (OMISSIS) aveva chiesto l'autorizzazione a procacciarsi la droga da fornitori esterni, in un'occasione in cui non vi era disponibilita'). 1.2.3. Proprio l'autorizzazione che il (OMISSIS), due giorni dopo la richiesta al (OMISSIS), aveva ottenuto direttamente da (OMISSIS) (concordemente identificato in (OMISSIS), esponente con i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) di una storica famiglia mafiosa: cfr. pag. 12 della sentenza impugnata), consente di richiamare l'ulteriore rilevante peculiarita' evidenziata dai giudici di merito, costituita dal fatto che i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano ricevuto la legittimazione ad operare dalla cosca mafiosa imperante sul territorio. Al riguardo, sono state valorizzate le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), nonche' le conversazioni in cui, da un lato (pag. 31 segg. sent. primo grado), il (OMISSIS) manifesta alla moglie e al figlio il timore di essere sostituito (con la prima che gli conferma di aver colto, parlando con chi di dovere, il malumore "ai paesi piu' alti...ormai tu al Borgo non hai piu' tregua", ed il secondo che, pochi minuti dopo, informa che il nonno - per evitare che venisse toccato sarebbe andato a parlare con " (OMISSIS)", identificato in (OMISSIS), al vertice della famiglia mafiosa di (OMISSIS): cfr. anche pag. 58 della stessa sentenza). D'altro lato, si e' posto in rilievo il fatto che, dopo l'arresto di (OMISSIS) e il sequestro della droga trovata nella sua disponibilita', la moglie (OMISSIS) riferi' a quest'ultimo (posto agli arresti domiciliari) di essere stata convocata da (OMISSIS) e dal fratello, i quali le chiesero spiegazioni in ordine all'irruzione degli operanti, e di essersi giustificata escludendo che cio' fosse avvenuto per mancanza di precauzioni, dato che il marito era solito cambiare gli orari di consegna e i luoghi di occultamento della droga proprio per il timore di perquisizioni (cfr. pag. 43 sent. primo grado, pag. 14 sent. impugnata). 1.2.4. I giudici di merito hanno poi evocato, ed adeguatamente valorizzato per le ricadute in chiave associativa, le conseguenze dell'arresto di (OMISSIS) e del sequestro della consistente quantita' di droga in suo possesso: si allude al fatto che il (OMISSIS) venne immediatamente sostituito, nelle funzioni di rifornimento dei pusher, dal duo costituito da (OMISSIS) e da (OMISSIS). Al riguardo, sono state richiamate sia le conversazioni che annunciavano tale sostituzione (notizia ricevuta dal figlio (OMISSIS) e da questi riferita al padre, anche quanto alla richiesta "di fare il conto che ora ci siamo noi"), sia quelle relative alla reazione del (OMISSIS) (che confida alla moglie di aver detto al (OMISSIS) di non volerne sapere piu' nulla), sia soprattutto quelle "operative", comprovanti l'intervento diretto di (OMISSIS) circa la nuova destinazione delle somme, il passaggio sotto i nuovi capi della rete dei pusher gia' coordinato dal (OMISSIS), l'attivita' incessantemente svolta dai pusher (OMISSIS) detto "(OMISSIS)", (OMISSIS) ecc. sotto la direzione del nuovo duo (cfr. pag. 45 segg. sent. primo grado, pag. 15 sent. impugnata); anche il (OMISSIS), del resto, aveva preso a rifornirsi dai "nuovi grossisti" (cfr. le telefonate citate a pag. 47 sent. primo grado, pag. 16 sent. impugnata). Alla immediata sostituzione dei coniugi (OMISSIS) con il nuovo duo per l'inefficienza palesata con l'arresto e il sequestro della droga, al conseguente "passaggio di consegne" e all'effettivo spostamento dei pusher verso i fornitori designati in sostituzione, e' stato conferito particolare rilievo dai giudici di merito, per la valenza dimostrativa della stabilita' del sodalizio nonostante la grave criticita' subita, e dell'affectio societatis che accomunava i soggetti coinvolti nell'attivita' di spaccio. 1.3. Le sentenze di primo e secondo grado sono state pienamente concordi anche nell'attribuzione ai fatti una corretta qualificazione giuridica, escludendo la possibilita' di un loro ridimensionamento sia quanto ai reati-fine (per la ritenuta inapplicabilita' dell'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5), sia anche quanto al reato associativo (essendo stata esclusa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6). Quanto al primo aspetto, i giudici di merito (pag. 21 della sentenza impugnata, pag. 55 di quella di primo grado) - sulla scorta di quanto emerso in ordine all'inserimento delle singole cessioni ai consumatori nell'ambito di un'attivita' stabile e organizzata - hanno concordemente fatto applicazione dell'insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui "in tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, la valutazione dell'offensivita' della condotta non puo' essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacita' di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entita' della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalita' adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine. Ne consegue che non puo' ritenersi di lieve entita' il fatto compiuto nel quadro della gestione di una "piazza di spaccio", che e' connotata da un'articolata organizzazione di supporto e difesa ed assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente" (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529 - 01). Quanto alla seconda questione, la possibilita' di applicare l'articolo 74, comma 6 e' stata esclusa sia avuto riguardo alla capacita', dimostrata dal sodalizio, di diffusione dello stupefacente ad un numero elevatissimo di soggetti, riuscendo a sopperire, proprio grazie alla solidita' dell'organizzazione, a momentanee carenze nel reperimento della droga (pag. 22 della sentenza impugnata); sia anche all'accertata presenza di punti di contatto con l'articolazione mafiosa dominante sul territorio, in grado tra l'altro di garantire il continuo approvvigionamento delle sostanze (cfr. pag. 55 segg. della sentenza di primo grado). 2. Nel rinviare ai paragrafi seguenti per la disamina delle singole posizioni, si ritiene opportuno porre sin d'ora in evidenza che, ad avviso di questo Collegio, il percorso argomentativo concordemente tracciato dalle sentenze del G.i.p. e della Corte d'Appello, sulla scorta delle convergenti risultanze cui si e' accennato, appare del tutto in linea con gli insegnamenti di questa Suprema Corte in tema di associazione finalizzata al narcotraffico. E cio' sia quanto alle forme di manifestazione del reato (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, Chiorazzi, Rv. 283691 - 02, secondo la quale "ai fini della configurabilita' del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma puo' essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attivita' proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all'attuazione dello scopo comune"), sia quanto ai tratti distintivi rispetto all'ipotesi di concorso di persone (sul punto, cfr. per tutte Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure El Hadij, Rv. 275550 - 01, secondo cui "l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso"), sia anche quanto alla configurabilita' del reato nonostante la presenza di interessi contrapposti (cfr. Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 276068 - 02, secondo cui "in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l'esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio non e' ostativa al riconoscimento dell'associazione, in quanto nell'ambito della struttura organizzata non assumono rilievo gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascun partecipe, atteso che cio' che distingue la fattispecie associativa e' il mezzo con cui le diverse finalita' personali vengono perseguite"). 2.1. Anche le valutazioni espresse in ordine alla insussistenza dei presupposti per ridimensionare la qualificazione giuridica dei fatti addebitati risultano immuni da censure qui deducibili. 2.1.1. In particolare, le valutazioni in ordine all'impossibilita' di fare applicazione dell'articolo 74, comma 6 appaiono del tutto in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. per tutte Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, B., Rv. 270803 - 01: "in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, pur se l'associazione sia finalizzata alla commissione di episodi di cessione che, considerati singolarmente, presentano le caratteristiche dei fatti descritti dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, deve essere esclusa l'ipotesi di cui all'articolo 74, comma 6, del medesimo decreto quando, per la complessiva attivita' in concreto esercitata, per la molteplicita' degli episodi di spaccio, reiterati in un lungo arco di tempo, e per la predisposizione di un'idonea organizzazione che preveda uno stabile e continuativo approvvigionamento di quantitativi rilevanti di sostanze stupefacenti, quell'attivita' sia incompatibile con il carattere della lieve entita'"). Del resto, l'immediato ripristino della piena operativita' dello spaccio su larga scala, nonostante il grave problema correlato all'arresto del fornitore all'ingrosso e al contestuale sequestro di un importante quantitativo di droga (problema risolto con una altrettanto immediata sostituzione dei soggetti investiti di tali funzioni, operata "d'autorita'" e seguita dallo spostamento della rete dei pusher verso i nuovi referenti), costituisce un riscontro piu' che significativo della fondatezza dell'ipotesi accusatoria, anche quanto alla tendenziale struttura verticistica dell'organismo e alla significativa ingerenza di esponenti della criminalita' mafiosa locale: cio' che rende immune da censure la valutazione della Corte territoriale in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica ipotizzata. A tale approdo non e' certo di ostacolo il fatto che il primo giudice, a differenza della Corte territoriale, avesse inizialmente evocato (pag. 17) il concetto di "confederazione" di organismi facenti capo ai (OMISSIS) e ai (OMISSIS). La questione non sembra infatti avere alcun concreto rilievo, dal momento che lo stesso G.i.p. - proprio trattando la questione dell'incidenza della cosca mafiosa - ha fatto riferimento ad un "secondo segmento...inscindibilmente legato al primo" (cfr. pag. 31). Allo stesso modo, la lettura in chiave associativa dell'intera vicenda non appare sminuita, risultandone anzi rafforzata, dal fatto che, nel periodo considerato dall'imputazione, sono stati registrati mutamenti anche di assoluto rilievo, nella composizione (i coniugi (OMISSIS) sostituiti dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), soggetto peraltro gia' inserito nel contesto avendo egli materialmente effettuato una delle consegne al (OMISSIS)) ovvero nel ruolo concretamente svolto dai soggetti coinvolti (nella seconda fase, il (OMISSIS) - non piu' onerato delle funzioni direttivo-organizzative della rete dei pusher, svolte congiuntamente all'attivita' di spaccio monitorata dalle telecamere - si era dedicato alla cessione in ambito domiciliare, peraltro rifornendosi presso il "nuovo" duo (OMISSIS)- (OMISSIS)). 2.1.2. Considerazioni di segno analogo devono essere svolte con riferimento all'esclusione della possibilita', quanto ai reati satellite, di ritenere configurabile l'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5. Deve anzitutto evidenziarsi, al riguardo, che l'indirizzo interpretativo richiamato dai giudici di merito per motivare il diniego dell'ipotesi di lieve entita', facendo leva sul piu' che allarmante contesto in cui si era sistematicamente dato luogo alle singole cessioni rispettivamente contestate agli imputati (cfr. supra, p. 1.3), trova significativi agganci anche nelle decisioni piu' recenti (da ultimo, cfr. Sez. 4, n. 16126 del 22/03/2023, Papini). Inoltre, ed e' quel che piu' conta, va posto in rilievo il fatto che l'esclusione dell'ipotesi lieve e' stata motivata - anche in questo caso in termini del tutto omogenei dai giudici di primo e di secondo grado - attraverso una valutazione complessiva degli elementi disponibili, all'esito della quale il dato quantitativo poco rilevante dello stupefacente oggetto della singola cessione al consumatore finale e' stato ritenuto recessivo rispetto all'acclarato inserimento di ogni singolo episodio in un contesto in grado di assicurare stabilmente una diffusione della droga ad un numero elevatissimo di clienti, e di sopperire anche a momentanee difficolta' operative (cfr. pag. 22-23 della sentenza impugnata, pag. 60 della sentenza di primo grado, in cui si insiste tra l'altro sull'"assetto organizzativo che consentiva rapidi approvvigionamenti, attivita' di cessione continua, anche nelle ore notturne, e prevedeva modalita' particolarmente accurate e insidiose di nascondimento e trasporto della sostanza e quindi strategie volte ad assicurare condizioni di massima sicurezza"). In buona sostanza, l'esclusione dei presupposti per ricondurre le singole cessioni ad ipotesi di lieve entita' costituisce l'approdo di una valutazione complessiva delle risultanze acquisite, dalle quali i giudici di merito hanno desunto il sistematico inserimento delle condotte di spaccio al minuto accertate, anche se di scarso rilievo ponderale, nel contesto gia' piu' volte descritto (sulla necessita' di una valutazione complessiva degli elementi indicativi del fatto di lieve entita', la giurisprudenza di questa Suprema Corte e' ormai concorde dopo l'intervento di Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 - 01, la quale ha peraltro anche evidenziato, in motivazione, che all'esito della predetta valutazione globale degli indici "e' poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioe' che la sua intrinseca espressivita' sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu' degli altri": cfr. il p. 7 della motivazione). 2.2. Come si vedra' nei successivi paragrafi, l'iter motivazionale fin qui descritto resiste alle censure difensive, per lo piu' volte a riproporre, in questa sede, questioni gia' affrontate e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, ovvero a prospettare una diversa e piu' favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento, in questa sede, e' evidentemente precluso. 3. Il ricorso del (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Le censure veicolate con il primo motivo risultano reiterative delle censure gia' dedotte in appello, ed appaiono comunque manifestamente infondate. Per cio' che riguarda la configurabilita' dell'associazione di cui al capo 1), non puo' che farsi integrale rinvio alle considerazioni in precedenza svolte in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, sulla scorta della concorde ricostruzione dei giudici di merito (cfr. supra, p. 1.2 e 2). In relazione poi al coinvolgimento del (OMISSIS) nel sodalizio, nessun dubbio puo' porsi in ordine alla centralita' del ruolo svolto dal ricorrente, comprovato dal controllo dei pusher svolto anche tramite il figlio (OMISSIS) (cfr. pag. 24 della sentenza impugnata in ordine a quanto riferito da quest'ultimo in ordine all'attivita' cessioni, riconsegna della droga invenduta, danaro trattenuto svolta dal (OMISSIS) e da (OMISSIS)), dall'esercizio di "poteri disciplinari" nei confronti dei pusher inadempienti (sospensione del (OMISSIS), allontanamento del minorenne soprannominato (OMISSIS): cfr. pag. 24 segg. della sentenza di primo grado), nonche' dal gia' ricordato atteggiamento tenuto al momento dell'arresto di (OMISSIS) (dopo aver contattato la madre di quest'ultimo, ed averle spiegato le modalita' del giudizio di convalida e l'impossibilita' per lui e la moglie di recarsi a chiedere personalmente notizie, essendo "conosciuti", il (OMISSIS) - dopo la scarcerazione senza misure del (OMISSIS) - convoco' immediatamente quest'ultimo a casa propria: cfr. pag. 10 della sentenza impugnata). Sotto altro profilo, deve osservarsi che appare tutt'altro che illogica la valorizzazione, in chiave associativa, sia della "richiesta di autorizzazione" rivolta dal (OMISSIS) al (OMISSIS) a rifornirsi altrove, in un momento di scarsa disponibilita', sia la forte preoccupazione manifestata dal ricorrente, e riscontrata dalla moglie (OMISSIS) nei colloqui con "i paesi piu' alti", di essere destituito dall'attivita' svolta ("quello mi vuole levare": cfr. supra, p. 1.2.3). Ampiamente motivato risulta, poi, il carattere risalente del rapporto di fornitura intercorso con i (OMISSIS), essendo stato proprio il (OMISSIS), nell'ambito di un lungo colloquio tra le due coppie di coniugi, a ricordare di lavorare con lui da sette anni (cfr. pag. 24 della sentenza impugnata e pag. 66 seg. della sentenza di primo grado, in cui si sottolinea tra l'altro che, dalla successiva attivita' di indagine, era emerso che i contatti avvenivano solo in presenza, all'interno dell'abitazione del (OMISSIS)). In tale univoco contesto, risultano prive dell'auspicata valenza demolitoria le osservazioni difensive in ordine all'esistenza di forniture presso soggetti estranei (peraltro in periodo anteriore a quello considerato dal capo di imputazione: cfr. pag. 24 della sentenza d'appello), o al fatto che alcuni reati-fine fossero stati commessi in un momento precedente a detto periodo (trattandosi evidentemente di una scelta della Pubblica Accusa non sindacabile, ne' rilevante ai fini che qui interessano). Quanto poi alla dedizione del (OMISSIS) all'attivita' di spaccio nella propria abitazione, valorizzata dalla difesa per sostenere l'inconciliabilita' di tale seconda fase con l'ottica associativa, deve ritenersi immune da censure la motivazione della Corte d'Appello (pag. 24), imperniata sul fatto che, da un lato, il ricorrente aveva preso a rifornirsi stabilmente proprio dal duo (OMISSIS) (OMISSIS), dai quali riceveva la merce "a domicilio", talora lamentandosi della qualita' di quanto ricevuto (cfr. pag. 47 sent. primo grado): circostanze ritenute indicative del mantenimento di un ruolo di rilievo nell'ambito del sodalizio. D'altro lato, e' stato adeguatamente evidenziato il fatto che il (OMISSIS) aveva versato per sua stessa ammissione, in tale seconda fase, la somma di mille Euro ogni tre giorni a (OMISSIS) (cfr. la conversazione riportata a pag. 57 sent. della sentenza di primo grado, con una chiara correlazione tra tale pagamento periodico e "l'erba"). 3.2. Anche le doglianze veicolate con il quarto motivo, con le quali viene contestata la qualifica di organizzatore, risultano reiterative e, comunque, manifestamente infondate. Al di la' del dato, non certo marginale, costituito dall'attribuzione al ricorrente di "un ruolo apicale" nelle dichiarazioni del collaboratore-cognato (OMISSIS) (il quale aveva riferito che tutti i giovani da lui riconosciuti "lavoravano" per conto del ricorrente: cfr. pag. 66 della sentenza di primo grado), appare indubbia l'applicabilita', nel caso di specie - alla luce di quanto gia' esposto sia in ordine al rapporto instaurato con la rete di pusher, comprendente i coimputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed altri soggetti minorenni, sia in ordine ai rapporti con il (OMISSIS) e gli esponenti della cosca mafiosa - del principio affermato da questa Suprema Corte, secondo cui "in tema di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il ruolo di organizzatore, spettante a colui che coordina il contributo degli associati, a differenza di quello di promotore e di capo, assume una connotazione esecutiva e non richiede che chi lo rivesta si trovi sullo stesso piano dei capi e dei promotori, essendo compatibile, ove l'organizzazione del sodalizio abbia una struttura verticale, con un'attivita' svolta in posizione di subalternita' rispetto al vertice associativo" (Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, Careddu, Rv. 281736 02). 3.3. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa del (OMISSIS) reitera censure relative all'affermazione di responsabilita' per il capo 2), che peraltro risultano gia' motivatamente disattese dalla Corte territoriale. Quest'ultima ha infatti sottolineato (pag. 27 seg. della sentenza impugnata) sia il fatto che le trecento cessioni contestate erano state riprese dalle telecamere in strada (grazie alle quali era stato possibile documentare anche le collaudate modalita' operative e al continuo approvvigionamento assicurato dal (OMISSIS), che portava con se' da casa la droga, occultata nel vano porta-oggetti del suo ciclomotore), sia la pregnanza del riscontro assicurato dagli esiti, sempre positivi, dei ventisei servizi di controllo effettuati "a campione" sulla scorta delle immagini. Si tratta di un compendio argomentativo ampiamente idoneo, ai fini che qui rilevano. 3.4. Le censure formulate con riferimento al capo 12) sono manifestamente infondate. Risulta invero privo di consistenza il richiamo ai principi in tema di cautela nella valutazione della c.d. "droga parlata", anzitutto perche' i giudici di merito hanno adeguatamente illustrato le circostanze emerse a proposito sia degli scambi con il (OMISSIS) (cfr. pag. 26 della sentenza impugnata), sia delle transazioni intercorse con i coniugi (OMISSIS) (cfr. pag. 28, in cui si valorizzano congiuntamente le immagini riprese dalle telecamere e le conversazioni intercorse tra i vari protagonisti: cfr. anche pag. 163 segg. della sentenza di primo grado). Inoltre, ed anzi soprattutto, la Corte d'Appello ha tutt'altro che illogicamente ritenuto privo di rilievo il mancato sequestro dello stupefacente smerciato in quelle occasioni, sottolineando che i dati probatori dovevano essere "calati nel contesto di intensa collaborazione professionale che caratterizzava in quel periodo il rapporto tra le due coppie" (pag. 28, cit.). In buona sostanza, la riconduzione dei vari episodi in contestazione all'intenso traffico di stupefacente monitorato dagli operanti appare pienamente giustificata, ove si consideri il contesto complessivo in cui vanno ad inserirsi i dialoghi e i comportamenti del (OMISSIS) e degli altri soggetti coinvolti: devono quindi ritenersi ampiamente rispettati i canoni di prudenza elaborati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte nelle ipotesi in cui gli elementi probatori del narcotraffico siano costituiti da risultanze captative non seguite dal sequestro (cfr. ad es. Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 - 01). 3.5. Manifestamente infondata e' anche la censura relativa alla mancata riqualificazione del reato associativo ai sensi dell'articolo 74, comma 6. Sul punto, deve qui integralmente richiamarsi quanto osservato in precedenza (cfr. supra, p. 2), alla luce della realta' associativa concretamente emersa ed illustrata nelle sentenze di merito, e della elaborazione giurisprudenziale in materia (nello stesso senso, da ultimo, cfr. Sez. 6, n. 2192 del 04/11/2022, dep. 2023, Fustolo). Altrettanto e' a dirsi con riferimento alla mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5: anche per tale censura, puo' farsi integrale rinvio a quanto gia' esposto in sede introduttiva in ordine alla incensurabilita' delle valutazioni svolte dalla Corte territoriale, alla luce degli insegnamenti di questa Suprema Corte, ove si collochi la singola cessione nel piu' che allarmante contesto complessivamente emerso (cfr. supra, p. 2). 3.6. Inammissibili, perche' generiche, appaiono le residue censure, a fronte di una motivazione compiuta ed esaustiva sia con riferimento al diniego delle attenuanti generiche (con la valorizzazione della continuita' e pervicacia dell'attivita' illecita del (OMISSIS) per tutto l'arco temporale considerato, e dell'indifferenza per i plurimi interventi delle Forze dell'Ordine susseguitisi nel predetto intervallo temporale), sia in relazione alla misura del trattamento sanzionatorio (con esplicita valutazione della congruita' degli aumenti applicati per i reati-satellite sulla pena base fissata nel minimo edittale: cfr. pag. 30 della sentenza impugnata). 4. Il ricorso della (OMISSIS) e' inammissibile. 4.1. Prendendo le mosse dal primo e dal terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, deve osservarsi che le censure relative alla configurabilita' del reato associativo sono state gia' efficacemente disattese dalla Corte territoriale, come gia' chiarito nella prima parte della presente esposizione (cfr. supra, p. 1.2. e 2), ed appaiono pertanto meramente reiterative. Quanto poi al ruolo specificamente attribuito alla (OMISSIS), e da quest'ultima contestato sostenendo che le conversazioni avessero una valenza neutra, va evidenziato che l'adesione al sodalizio risulterebbe gia' adeguatamente comprovata alla luce delle condotte di "bonifica" dell'appartamento familiare (adibito anche a base logistica) poste in essere in caso di rischio di perquisizioni o comunque di interventi della P.G. (cfr. pag. 31 della sentenza impugnata, e pag. 71 della sentenza di primo grado in cui si da' conto delle istruzioni date al figlio minore (OMISSIS): "sono andata a buttare l'immondizia...e ho notato una Punto con tre maschi, non m'e' piaciuta...metti tutte cose la' dentro"), oltre che dal concreto apporto nell'approvvigionamento dello stupefacente presso i coniugi (OMISSIS) (cfr. pag. 31, cit., in cui si fa riferimento sia agli accordi tramite SMS tra la ricorrente e la (OMISSIS), sia agli accessi talora personalmente effettuati dalla (OMISSIS) presso i fornitori). Quel che peraltro e' stato adeguatamente posto in rilievo dai giudici di merito, e che rende del tutto immune da censure l'attribuzione alla (OMISSIS) di funzioni organizzative, e' l'accertato svolgimento di funzioni contabili nell'ambito del sodalizio, sia quanto al monitoraggio della droga quotidianamente detenuta nell'abitazione (cfr. pag. 68 segg. sent. primo grado), sia quanto all'attivita' correlata alla retribuzione dei singoli pusher. Oltre a quanto espressamente esposto dalla ricorrente in una delle conversazioni intercettate con i coniugi (OMISSIS), assumono particolare rilievo i colloqui tra i familiari del (OMISSIS) e la (OMISSIS), in cui quest'ultima spiega pazientemente alla madre e alla moglie del predetto pusher il concreto funzionamento del rapporto, con la precisazione delle somme effettivamente ricavabili dallo spacciatore (cfr. pag. 73 segg. della sentenza di primo grado per le dettagliate spiegazioni, culminate - pag. 77 - in un benevolo rimprovero della (OMISSIS) alla moglie del (OMISSIS) di non interessarsi all'attivita' di quest'ultimo, perche' se invece fosse interessata e fosse "presente nei conti che si fanno, lui tutti sti soldi non se li mangerebbe"). Deve solo aggiungersi, conclusivamente, che l'attribuzione ai responsabili della contabilita', nell'ambito di un'associazione finalizzata al narcotraffico, di un ruolo riconducibile all'articolo 74, comma 1, trova un significativo riscontro in una recentissima pronuncia di questa Suprema Corte (cfr. Sez. 3, n. 44655 del 12/05/2022, Amato, p. 14.2 della motivazione). 4.3. Il secondo motivo e' inammissibile, perche' generico. La ricorrente ha censurato l'affermazione di responsabilita' per i reati-fine di cui al capo 12), asseritamente motivata con una sorta di automatica estensione degli elementi riguardanti il (OMISSIS), attraverso il generico riferimento al fatto "che i coniugi operavano in costante sinergia e comunanza di interessi". Al riguardo, deve osservarsi che, se e' vero che tale locuzione e' effettivamente presente nella parte della sentenza d'appello dedicata alla ricorrente (pag. 33), e' anche vero che il compendio motivazionale riguardante la (OMISSIS) e' ben lungi dall'esaurirsi in tale generico richiamo. In particolare, la Corte d'Appello ha distinto i casi in cui proprio la (OMISSIS) si era presentata a casa (OMISSIS) per il ritiro dei panetti (pag. 32 seg.), dalle altre fattispecie in cui comunque sono stati valorizzati sia il costante presidio della ricorrente nell'abitazione in cui la droga doveva essere consegnata, sia soprattutto gli accordi telefonici con la (OMISSIS) con cui si predisponevano di volta in volta le modalita' della cessione (cfr. pag. 33, in cui si richiama esplicitamente l'episodio in cui la (OMISSIS) riferiva ad alta voce ai propri congiunti i messaggi scambiati in tempo reale con la (OMISSIS), al fine di decidere se la consegna di quel giorno dovesse avvenire inviando il figlio (OMISSIS), ovvero con il ritiro da parte della ricorrente. V. anche, nella medesima prospettiva, pag. 164 segg. della sentenza di primo grado). Tali linee argomentative sono rimaste prive di effettivo confronto critico, da parte della ricorrente, con conseguente inammissibilita' della doglianza. 4.4. Per cio' che riguarda le censure concernenti la mancata applicazione delle piu' miti disposizioni di cui all'articolo 73, comma 5 e all'articolo 74, comma 6, puo' farsi integrale rinvio a quanto gia' esposto nella parte introduttiva e nella disamina dei motivi proposti dal (OMISSIS) (cfr. p. 2 e 3.5). 4.5. Anche le residue censure appaiono reiterative, e comunque manifestamente infondate, in presenza - quanto al diniego delle attenuanti generiche - di una compiuta esposizione delle ragioni che privano di effettivo rilievo l'incensuratezza della ricorrente (continuita' e frequenza delle condotte, utilizzo del figlio minore, assenza di resipiscenza) e - quanto alla misura del trattamento sanzionatorio - di una valutazione di piena congruita' della pena applicata in primo grado, anche quanto agli aumenti per i reati satellite. 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Per cio' che riguarda il primo motivo, volto a contestare l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo, non puo' che farsi rinvio a quanto gia' ampiamente esposto in precedenza (cfr. supra, p. 1.2 e 2), anche quanto all'effettiva natura delle relazioni con il (OMISSIS) e al carattere risalente dei rapporti di fornitura intrattenuti con quest'ultimo (si e' gia' accennato al fatto che, proprio in una lunga conversazione con il (OMISSIS) e la (OMISSIS), il (OMISSIS) si era vantato di aver avuto, in sette anni, solo un problema per 100 Euro: cfr. pag. 35 della sentenza impugnata). Inoltre, ed anzi soprattutto, deve qui richiamarsi l'intrinseca valenza dimostrativa che e' stata attribuita dai giudici di merito, del tutto legittimamente, al fatto che proprio il (OMISSIS), immediatamente dopo il suo arresto, era stato sostituito dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nelle funzioni di "grossista" della droga da smerciare al minuto (cfr. supra, p. 2): circostanza, quest'ultima, comprovata da inequivoche conversazioni aventi ad oggetto sia il passaggio dei conti, sia la volonta' del (OMISSIS) di volersi ormai disimpegnare completamente (cfr. supra, p. 1.2.4). Gli ulteriori profili di censura proposti dal (OMISSIS) appaiono in realta' volti a prospettare una diversa e piu' favorevole valutazione delle risultanze acquisite, rispetto a quella motivatamente espressa dai giudici di merito alla luce non solo dell'accertata, triplice fornitura di droga al (OMISSIS) per complessivi 12 chili in poco piu' di un mese (con la consegna curata in un caso da uno dei fratelli (OMISSIS), in un altro dal (OMISSIS)), ma anche dei concreti, stabili rapporti di cessione verso il duo (OMISSIS) (OMISSIS), in parte documentati grazie all'attivita' captativa. In particolare, quanto all'autorizzazione richiesta dal (OMISSIS) a rifornirsi altrove per la temporanea indisponibilita' di stupefacente da parte del (OMISSIS), la difesa ricorrente ha ritenuto di poter valorizzare, in senso liberatorio, il fatto che il (OMISSIS) era stato alla fine autorizzato direttamente da (OMISSIS): tale osservazione, peraltro, non tiene conto del fatto che, "in prima battuta", il (OMISSIS) si era rivolto proprio al (OMISSIS), che si era espresso negativamente ricordando che in passato egli stesso aveva avuto problemi, a seguito di analoghe iniziative assunte da suo figlio (OMISSIS) (cfr. pagg. 39-40 sent. primo grado). Il fatto che poi il (OMISSIS) abbia avuto l'autorizzazione direttamente dagli (OMISSIS), nulla toglie - ad avviso del Collegio - al fatto che la preliminare interlocuzione con il (OMISSIS) sia stata non illogicamente interpretata, dai giudici di merito, come una riprova della posizione sovraordinata del ricorrente rispetto al (OMISSIS), e della funzione di raccordo svolta tra i "piani alti" del sodalizio e gli anelli finali della catena distributiva della droga (cfr. pag. 36 della sentenza impugnata, anche quanto al condivisibile richiamo della giurisprudenza che attribuisce la qualifica di organizzatore al titolare di poteri gestori, quand'anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo: cfr. ad es. Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi, Rv. 271256 - 01). Quanto poi al fatto che il (OMISSIS) non avrebbe avuto contezza di far parte di un sodalizio (anche per l'asserito carattere "endofamiliare" della contabilita' rinvenuta e riguardante rapporti diretti con alcuni spacciatori), trattasi all'evidenza di una censura di merito che, tra l'altro, evita di confrontarsi con le risultanze processuali, di segno inequivocabilmente contrario, relative alla gia' richiamata fase della sostituzione del (OMISSIS) conseguente al suo arresto (richiesta di spiegazioni sull'accaduto, formulata dagli (OMISSIS) alla moglie del ricorrente; richiesta del (OMISSIS) e del (OMISSIS) di "fare il conto", fatta arrivare al (OMISSIS) per il tramite del figlio; comunicazione dello stesso (OMISSIS) al (OMISSIS), riferita in un colloquio con la moglie (OMISSIS), della propria volonta' di uscire fuori definitivamente - cfr. le espressioni dialettali riportate a pag. 93 sent. primo grado). 5.3. Per cio' che riguarda i motivi concernenti la mancata derubricazione dell'imputazione associativa e di quelle relative ai reati-fine, ritiene il Collegio di poter integralmente richiamare le considerazioni gia' in precedenza svolte in ordine alla correttezza delle valutazioni espresse dai giudici di merito, alla luce del quadro complessivamente emerso e degli insegnamenti di questa Suprema Corte (cfr. supra, p. 1.3, 2, 3.5). 5.4. Palesemente inammissibili, perche' volte dichiaratamente a sollecitare un'interpretazione alternativa delle risultanze acquisite, sono le censure relative alla condanna per il capo 11), a fronte di una motivazione della Corte territoriale che ha preso in considerazione i rilievi svolti in appello, disattendendoli con un percorso argomentativo fondato su una lettura coordinata, e priva di illogicita' qui deducibili, delle immagini e delle conversazioni registrate (cfr. pag. 37 seg. della sentenza impugnata). 5.5. Anche le residue censure hanno connotazioni reiterative, e appaiono comunque manifestamente infondate. Per cio' che riguarda l'attenuante di cui al n. 4 dell'articolo 62 c.p., la Corte territoriale (pag. 38 seg.) ha correttamente disatteso la tesi difensiva, qui riproposta, valorizzando l'entita' numerica delle cessioni frutto della stabile collaborazione con i pusher, e il conseguente continuativo introito. La decisione si pone nel solco della piu' recente elaborazione giurisprudenziale che, muovendo dalla necessita' di tener conto non solo del lucro effettivamente conseguito, ma anche di quello perseguito (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo Kabiru, Rv.279499), ha interpretato l'insegnamento del Supremo Consesso nel senso della rilevanza non solo del lucro ricavabile dalla singola cessione, ma anche di quello ricavabile dalla reiterazione della condotta da parte dell'agente, al punto di farlo assurgere a punto di riferimento per i consumatori (in questo senso, tra le altre, cfr. ad es. Sez. 6, n. 31 del 22/11/2022, dep. 2023, Bombaci. Da ultimo, v. anche Sez. 3, n. 13035 del 10/02/2023, Najhi). Tra l'altro, la Corte d'Appello ha ritenuto di precisare che il lucro effettivamente conseguito dal (OMISSIS) aveva risentito delle difficolta' conseguenti alla cattiva gestione della (OMISSIS) durante un ricovero ospedaliero del ricorrente. Immune da censure risulta la motivazione in punto di attenuanti generiche, avendo la Corte non illogicamente valorizzato la stabilita' della dedizione alla condotta illecita, nonche' l'assenza di remore nel coinvolgere i figli (anche la piu' piccola) e nell'adibire l'appartamento familiare a base per il narcotraffico (cfr. pag. 39 della sentenza impugnata). Anche i rilievi in punto di trattamento sanzionatorio devono essere disattesi, avendo la Corte territoriale espresso - alla luce della prosecuzione dell'attivita' anche in regime di arresti domiciliari, del ruolo e della personalita' negativa - un giudizio di congruita' della pena applicata in primo grado (cfr. pag. 39, cit.): tali considerazioni vanno apprezzate congiuntamente a quelle del primo giudice, che aveva motivato distintamente per la pena base e i reati satellite, irrogando in particolare un aumento di sei mesi "per le 4 condotte di acquisto di sostanziosi quantitativi di hashish all'ingrosso" (pag. 189 della sentenza di primo grado). 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. Per cio' che riguarda i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, ritiene il Collegio che le censure difensive presentino connotazioni reiterative, e siano comunque volte a sollecitare una diversa interpretazione delle risultanze. In particolare, si ritiene di poter integralmente richiamare le considerazioni in precedenza svolte in sede introduttiva e trattando la posizione del (OMISSIS), quanto alla incensurabilita' delle valutazioni dei giudici di merito in ordine alla sussistenza del sodalizio contestato al capo 1). In relazione al ruolo concretamente svolto dalla (OMISSIS), deve osservarsi che la minimizzante interpretazione delle risultanze acquisite, propugnata dalla difesa, e' stata disattesa dalla Corte territoriale con motivazioni qui non censurabili, che hanno posto in evidenza il rilievo dell'attivita' svolta in prima persona dalla (OMISSIS), con riferimento sia all'utilizzo del figlio (OMISSIS) per consegnare la droga e o ritirare il corrispettivo (con le opportune istruzioni impartite a quest'ultimo per evitare rischi, ecc.), sia ai contatti tenuti con la (OMISSIS) per la preparazione delle consegne della droga destinata al (OMISSIS) (cfr. pag. 40 seg. della sentenza impugnata). Il fatto poi che la ricorrente abbia pacificamente sostituito il (OMISSIS), durante la degenza ospedaliera di quest'ultimo, consente di equiparare la sua posizione a quella del marito anche quanto alla qualificazione giuridica: a nulla rilevando, evidentemente, che la gestione della ricorrente gravata da debiti di gioco e pertanto accusata dagli stessi familiari di aver impropriamente distratto i ricavi del narcotraffico sia risultata negativa. Tutt'altro che illogica e' stata poi la valorizzazione del colloquio tra la ricorrente e i fratelli (OMISSIS), i quali - come gia' accennato - convocarono la (OMISSIS) chiedendole conto e ragione dell'irruzione della Polizia (con conseguente arresto del (OMISSIS)) e del sequestro di un importante quantitativo di droga: ben difficilmente, infatti, gli (OMISSIS) avrebbero potuto chiedere informazioni a una persona estranea o comunque posta in posizione defilata. D'altra parte, lo stesso tenore della risposta della (OMISSIS) - che ha escluso che il marito fosse stato incauto nelle fasi di ricezione e smercio della droga, invitando anzi i propri interlocutori a "controllarsi le tasche", ovvero a verificare la fedelta' dei propri uomini - appare indicativo di una sua posizione tutt'altro che marginale, nell'ambito del sodalizio. Da ultimo, ma non certo per importanza, deve farsi riferimento alle dichiarazioni "ampiamente confessorie" rese in dibattimento dalla (OMISSIS) (cfr. pag. 88 della sentenza impugnata). 6.2. Per cio' che riguarda le residue censure concernenti la mancata applicazione dell'articolo 62 c.p., n. 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, ritiene il Collegio di poter integralmente richiamare le considerazioni svolte con riferimento alla posizione (OMISSIS), avuto riguardo alla sostanziale sovrapponibilita' delle questioni prospettate. Altrettanto e' a dirsi quanto alle doglianze formulate con riferimento alla conferma della condanna della (OMISSIS) per i reati-satellite di cui al capo 11). 6.3. In relazione alle censure relative al capo 15), appare evidente il loro carattere reiterativo, e comunque attinente al merito della valutazione della Corte d'Appello, che ha fondato la conferma della statuizione di condanna sul fatto che, nella busta introdotta in casa dalla (OMISSIS), erano contenuti i panetti di hashish che la ricorrente, insieme al (OMISSIS) e alla figlia (OMISSIS), aveva iniziato a sistemare e a contare fino all'arrivo degli operanti (pag. 41 della sentenza impugnata). Trattasi di percorso argomentativo lineare e del tutto immune da criticita' deducibili in questa sede. 6.4. Infine, quanto alle doglianze in punto di trattamento sanzionatorio, deve osservarsi che il giudizio di congruita' espresso dalla Corte d'Appello appare immune da censure, essendo stato motivato sulla scorta della gravita' e continuita' delle condotte illecite, nonche' del coinvolgimento dei figli (cfr. pag. 42 della sentenza impugnata). Un giudizio da apprezzare congiuntamente a quanto osservato dal primo giudice in ordine alla pena base e agli aumenti per i reati-satellite (con la precisazione, quanto al capo 15, di un trattamento superiore a quello del (OMISSIS), per il quale era stata emessa sentenza di non doversi procedere per la condotta sub i: cfr. sul punto pag. 189 della sentenza di primo grado). 7. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 7.1. Per le censure relative alla configurabilita' del sodalizio di cui al capo 1), puo' farsi rinvio alle considerazioni gia' espresse in sede introduttiva e con la disamina delle altre posizioni: dovendo solo aggiungersi che i plurimi, convergenti elementi indicativi della contiguita' della famiglia mafiosa imperante sul territorio, fin qui richiamati (autorizzazione del (OMISSIS) all'acquisto da canali diversi dal (OMISSIS); richiesta di spiegazioni alla (OMISSIS) per le vicende che avevano portato all'arresto del (OMISSIS); cospicue somme versate dal (OMISSIS) ogni tre giorni a " (OMISSIS)"; malumori dei "paesi piu' alti" per la gestione del (OMISSIS), ecc.) consentono di ritenere tutt'altro che congetturali le concordi valutazioni espresse dai giudici di merito. Quanto poi al ruolo concretamente svolto dalla ricorrente, figlia dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), la difesa ricorrente ha censurato la sentenza sostenendo che la donna si era limitata ad aiutare il padre in qualche spostamento della droga e a raccoglierne le preoccupazioni, senza avere rapporti con terzi. Si tratta di una diversa e piu' favorevole interpretazione delle risultanze che non puo' essere qui presa in considerazione, in presenza di una "doppia conforme" che da un lato ha inteso valorizzare il costante apporto assicurato dalla (OMISSIS) pur essendo coniugata con un figlio in tenera eta', abitando altrove e svolgendo un lavoro lecito - all'attivita' delittuosa dei genitori, concretatosi soprattutto nella collocazione dello stupefacente ricevuto in appositi nascondigli, e nel prelevamento della droga al momento della cessione agli spacciatori. In particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che, nello svolgimento di tali delicate e rischiose incombenze, la ricorrente non aveva esitato ad avvalersi, insieme alla (OMISSIS), non solo del fratello (OMISSIS) (di circa (OMISSIS) anni all'epoca dei fatti) ma anche - in un caso - della sorellina (OMISSIS) di soli (OMISSIS) anni, addirittura facendole inserire un panetto di droga nella propria borsetta, in modo da rientrare in casa senza destare attenzione (cfr. pag. 42 della sentenza impugnata; v. anche pag. 44, in cui la Corte valorizza l'uso, in altra occasione, del borsone porta-accessori del figlio neonato della ricorrente). D'altro lato, la Corte d'Appello ha posto in evidenza il ruolo di supporto al padre svolto dalla ricorrente, che - nella conversazione integralmente trascritta a pag. 83 segg. della sentenza di primo grado - non si era limitata a raccogliere uno sfogo del padre, preoccupato delle conseguenze della mala gestio della moglie durante il suo ricovero in ospedale (in particolare, dell'impossibilita' di ripianare i debiti per la droga ricevuta, e dei conseguenti rischi anche mortali). La (OMISSIS) si e' infatti mostrata perfettamente a conoscenza della gestione "dissoluta" della madre (che utilizzava i ricavi della droga per pagare i propri debiti di gioco, innescando un meccanismo non recuperabile: cfr. in particolare pagg. 84 seg.) assumendo con il padre un atteggiamento concretamente operativo, volto a superare la crisi: per un verso consigliandogli di "non fare toccare piu' niente" alla (OMISSIS) e, per altro verso, annunciandogli la possibilita' di "lavorare e recuperare qualche cosa" con i "due", tale (OMISSIS) stava recuperando, e di avere a disposizione la somma che lei stava per ottenere in prestito. Appare evidente, ad avviso del Collegio, che una valutazione congiunta dei profili emersi (sistematica disponibilita' allo stoccaggio, occultamento ecc. della droga, nelle plurime occasioni oggetto del capo 13; perfetta conoscenza dei fattori che avevano scatenato la crisi; proposta di concrete soluzioni operative) rende immune da censure deducibili in questa sede la valutazione dei giudici di merito, che hanno concordemente ritenuto integrata l'ipotesi accusatoria (sia pure nella forma della partecipazione al sodalizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2), a nulla rilevando il fatto che la (OMISSIS) non si sia resa direttamente responsabile di condotte illecite interagendo con terzi estranei. 7.2. Inammissibili, per le ragioni che si va subito ad esporre, appaiono le doglianze formulate in relazione al capo 13). Deve invero osservarsi che la Corte territoriale ha espressamente ed inequivocabilmente dichiarato inammissibili i corrispondenti motivi di appello, per difetto dei requisiti di cui alla lettera d) dell'articolo 581 c.p.p., osservando che - a fronte di una motivazione del giudice di primo grado imperniata sulle chiare risultanze delle registrazioni audio-video e sulle dichiarazioni della (OMISSIS) - la difesa si era limitata a generiche argomentazioni sulla insufficienza degli elementi probatori e sulla mancanza di una effettiva lesione del bene giuridico (cfr. pag. 43). Tale statuizione non ha formato oggetto di alcuna censura nell'odierno ricorso: cio' impone di ritenere inammissibili, perche' non ritualmente dedotte in appello, le doglianze volte a contestare l'affermazione di responsabilita' della (OMISSIS) per le condotte illecite di cui al capo 13) della rubrica. 7.3. Con riferimento alle censure relative alla mancata derubricazione del reato associativo e dei reati-fine, ai sensi dell'articolo 74, comma 6 e dell'articolo 73, comma 5, nonche' a quella concernente il diniego dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4, si ritiene di poter integralmente rinviare a quanto esposto in sede introduttiva e nella disamina delle altre posizioni. Quanto alle residue doglianze, va rilevata la genericita' di quella concernente il trattamento sanzionatorio (a fronte di una motivazione sintetica ma compiuta anche quanto alla congruita' dell'aumento per il reato satellite: cfr. pag. 44 della sentenza impugnata), mentre risulta inammissibile, perche' non dedotta in appello, la censura relativa alla mancata applicazione ex officio dell'attenuante di cui all'articolo 114 c.p. (sul punto, cfr. ad es. Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063 - 02, secondo la quale "il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d'ufficio una o piu' circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non puo' costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l'imputato, nell'atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione"). 8. Il ricorso del (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Per cio' che riguarda il primo motivo, volto a contestare la configurabilita' del reato associativo, si ritiene di poter integralmente richiamare le considerazioni gia' precedentemente svolte, anche quanto alla sostanziale irrilevanza del riferimento ad una "confederazione" contenuto nella sentenza di primo grado (ma non in quella d'appello), avendo poi lo stesso G.i.p. sottolineato l'inscindibilita' dell'organismo trattando dell'incidenza della cosca mafiosa imperante sul territorio (cfr. supra, p. 2): incidenza che, come gia' piu' volte accennato trattando delle posizioni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e' stata motivata in termini qui non censurabili, perche' fondati su una serie di intercettazioni univoche, certo non liquidabili come suggestioni come prospettato dal ricorrente. Si e' poi ripetutamente accennato al fatto che proprio l'entrata in scena del (OMISSIS) unitamente al (OMISSIS), per sostituire nel ruolo di fornitori dei pusher, il (OMISSIS) dopo l'arresto di quest'ultimo, costituisce forse il piu' significativo elemento a sostegno dell'ipotesi accusatoria, perche' dimostrativo della capacita' del sodalizio di rimediare in tempi brevissimi ad una grave criticita'. Ne' tali conclusioni - fondate su plurime conversazioni comprovanti non solo il passaggio di consegne, ma anche e soprattutto i rapporti "in strada" con i pusher che prima rispondevano al (OMISSIS) - possono ritenersi vulnerate dai rilievi difensivi imperniati sul fatto che, successivamente, sono state registrate ulteriori condotte delittuose ad opera del (OMISSIS) (il quale, del resto, si era trovato gravato dai debiti causati della moglie: cfr. supra, p. 7). 8.2. Con il secondo motivo, volto a contestare l'identificazione nel (OMISSIS) del soggetto subentrante a (OMISSIS), per la genericita' dei riferimenti valorizzati nella conversazione tra (OMISSIS) e i genitori, la difesa ricorrente formula censure in parte reiterative, in parte non corredate dalla necessaria specificita'. Da un lato, infatti, deve osservarsi che la Corte d'Appello (pag. 46) ha dettagliatamente esaminato la conversazione predetta, sottolineando sia la logicita' della scelta di veicolare il messaggio di "preparare il conto" attraverso il figlio minorenne di (OMISSIS), per l'ovvia cautela determinata dalla misura degli arresti domiciliari applicata a quest'ultimo, sia la corrispondenza al (OMISSIS) del nome di battesimo e dell'appellativo dialettale "tignuso" (calvo), sia la plausibilita' dell'ipotesi che la parola "pedofilo" (usata dalla (OMISSIS) sentendo le parole del figlio) intendesse riferirsi alla relazione intrattenuta dall'ultraquarantenne (OMISSIS) con una ragazza di (OMISSIS) anni. D'altro lato, ed e' quel che piu' rileva, la difesa non sembra adeguatamente confrontarsi con il dato decisivo, costituito dalle numerose conversazioni, intercettate sull'utenza intestata al (OMISSIS), dimostrative del fatto che il " (OMISSIS)" in questione aveva assunto le redini della rete dei pusher gia' alle dipendenze del (OMISSIS), ai quali aveva tra l'altro dirottato i clienti del proprio "portafoglio" (cfr. pag. 47 seg. sulle istruzioni al (OMISSIS) di cedere la droga a una cliente pur se questa non era in grado di pagarla interamente; sui rimproveri rivolti a (OMISSIS) per il cellulare spento e al (OMISSIS) per la risposta a precedenti chiamate; sulle punizioni annunciate per il (OMISSIS). V. anche pag. 100 della sentenza di primo grado, in cui si valorizzano le gia' citate conversazioni comprovanti il fatto che il (OMISSIS) aveva preso a rifornirsi proprio presso il "duo" che aveva sostituito il (OMISSIS)). Si tratta di risultanze di intrinseco assoluto rilievo, ai fini che qui specificamente interessano, che sono peraltro rimaste prive di adeguata confutazione da parte dell'odierno ricorrente. 8.3. Quanto appena esposto consente di ritenere manifestamente infondate le censure volte a contestare la qualifica di organizzatore attribuita al (OMISSIS): possono al riguardo richiamarsi le considerazioni gia' svolte a proposito del (OMISSIS) e del (OMISSIS). Del tutto immuni da censure deducibili in questa sede appaiono poi alla luce delle conversazioni comprovanti un potere direttivo e anche "disciplinare" del (OMISSIS) sui pusher - le concordi valutazioni dei giudici di merito in ordine alla compatibilita' di tale nuova funzione, assunta dal (OMISSIS) con la prosecuzione "in proprio" dell'attivita' di spaccio al minuto (cfr. sul punto pag. 103 della sentenza di primo grado, in cui si sottolinea che tale circostanza costituisce sintomo di appartenenza, e non di estraneita' al sodalizio). 8.4. Per cio' che riguarda i rilievi concernenti la mancata riqualificazione del reato associativo ai sensi dell'articolo 74, comma 6, puo' farsi integrale rinvio a quanto gia' esposto in precedenza, anche quanto agli elementi probatori che rendono non congetturale la contiguita' del sodalizio alla cosca mafiosa: risultando, sotto altro profilo, del tutto irrilevante la dimensione essenzialmente "rionale" dell'attivita' di spaccio. 8.5. In relazione ai rilievi svolti con riferimento alla conferma della condanna per il capo 17), ritiene il Collegio che la sentenza impugnata - pur improntata ad estrema sintesi - resista alle censure difensive, tenuto anche conto del supporto argomentativo fornito dalla sentenza di primo grado. Deve invero osservarsi: che i riferimenti al (OMISSIS), al (OMISSIS), al (OMISSIS) e al (OMISSIS), contenuti nell'imputazione, devono essere evidentemente correlati ai rapporti di fornitura consolidatisi tra i predetti e l'odierno ricorrente, comprovati da numerose conversazioni connotate da linguaggio convenzionale (cfr. pag. 50 della sentenza impugnata); che la Corte territoriale ha dettagliatamente esposto le conversazioni - anche qui improntate a linguaggio convenzionale (vendita di macchine ma con richiesta di aggiungere "quella di mezzo chilo": cfr. pag. 49) dimostrative delle cessioni in favore del (OMISSIS) (in questo caso cocaina, "quando la tiri su con il naso va bene"), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) (cfr. pag. 50, cit.); che gli altri soggetti menzionati nel capo 17) dell'imputazione sono indicati dalla Corte d'Appello come i clienti abituali del (OMISSIS), da questi indirizzati ai pusher dei quali aveva assunto la direzione e il coordinamento (cfr. pag. 47); che in particolare la persona indicata come "(OMISSIS)" era identificabile in (OMISSIS), che il (OMISSIS) aveva indirizzato al (OMISSIS) intimando a quest'ultimo di cedere la sostanza pur se la donna non poteva pagare integralmente (cfr. pag. 47); che ulteriori analoghi riferimenti a cessioni poste in essere dal (OMISSIS) avvalendosi dei pusher si desumono dalla sentenza di primo grado (cfr. pag. 131 seg. quanto alla cessione a (OMISSIS), al quale il (OMISSIS) riferisce di aver lascato a "(OMISSIS)", che si vedra' essere il soprannome del (OMISSIS); nonche' pag. 102-103, in cui il (OMISSIS), contattato da "Karim", lo indirizza da (OMISSIS), autorizzando quest'ultimo a cedere la droga a credito, come espressamente richiesto dall'acquirente). 8.6. Quanto, infine, alle residue censure, deve per un verso osservarsi che il diniego delle attenuanti generiche e' stato motivato con valutazione qui incensurabile, fondata sull'intensita' del commercio illecito (la cui durata, non minimale, e' stata tenuta espressamente presente dalla Corte territoriale: cfr. pag. 51 della sentenza impugnata) e sui precedenti a carico. Per altro verso, la motivazione concernente il trattamento sanzionatorio appare anch'essa immune da censure, avendo sottolineato il modesto discostamento dal minimo edittale e la congruita' dell'aumento di un anno per i reati-satellite, che - nel caso del (OMISSIS) - avevano interessato anche il commercio di cocaina (cfr. pag. 51, cit.). 9. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 9.1. Il primo ordine di censure, volto a contestare la configurabilita' del reato associativo e comunque il coinvolgimento del (OMISSIS), appare reiterativo ed in parte non connotato dalla necessaria specificita'. Per cio' che riguarda i rilievi concernenti gli elementi costitutivi del reato sub 1), puo' farsi utilmente rinvio alle considerazioni svolte nei precedenti paragrafi, non senza porre nel dovuto rilievo il fatto - gia' evidenziato trattando la posizione del (OMISSIS) che proprio l'ingresso di quest'ultimo e del (OMISSIS), in sostituzione di (OMISSIS) che era stato tratto in arresto ed aveva subito il sequestro di un considerevole quantitativo di stupefacente, costituiva un elemento di solido riscontro all'ipotesi accusatoria, denotando la capacita' del sodalizio di riorganizzarsi quasi "in tempo reale", nonostante la gravita' del pregiudizio subito con il venir meno del fornitore degli spacciatori operanti sulla piazza. 9.1. La difesa ricorrente ha contestato l'effettivita' di tale subentro, la consapevolezza in capo al (OMISSIS) del contenuto del pacco consegnato a (OMISSIS) (oggetto del capo 10) e la stessa identificazione, nel ricorrente, del " (OMISSIS)" richiamato nella conversazione con cui (OMISSIS) aveva annunciato ai genitori la richiesta, formulata da " (OMISSIS) (OMISSIS)20Maurizio (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI(OMISSIS)3MICELI Antonio (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)8TRAPANI Giovanni (OMISSIS) (OMISSIS)1MADONIA (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)21Alessio(OMISSIS)26Marco (OMISSIS)28GRECO Giovanni (OMISSIS)19INGARAO (OMISSIS)26Marco (OMISSIS)37TRAPANI Vincenzo (OMISSIS) (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)4TANTILLO (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)8TRAPANI Giovanni (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)8Giovanni (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS) (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)12GUARDABASSO (OMISSIS)8Giovanni (OMISSIS)1MADONIA (OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)1MADONIA (OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)26Marco (OMISSIS)12GUARDABASSO (OMISSIS)1MADONIA (OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)7TRAPANI Marco (OMISSIS) (OMISSIS)6FECAROTTA(OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)25CHIARELLO (OMISSIS) (OMISSIS)1MADONIA (OMISSIS)17MICELI(OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)18TRAPANI(OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)17MICELI(OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)38CICCHELLI Fabio (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS) (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS) (OMISSIS)8TRAPANI Giovanni (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)7TRAPANI Marco(OMISSIS)6FECAROTTA (OMISSIS)26Marco(OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)8Giovanni (OMISSIS)17MICELI (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)12GUARDABASSO(OMISSIS)28GRECO (OMISSIS)8TRAPANI Giovanni(OMISSIS)12GUARDABASSO (OMISSIS)27MELIGNANO (OMISSIS)18TRAPANI (OMISSIS)8TRAPANI Giovanni (OMISSIS)12GUARDABASSO (OMISSIS) (OMISSIS) ai genitori, avrebbero a breve preso il posto di questi ultimi). 10.2. Per cio' che riguarda i rilievi concernenti la mancata applicazione dell'articolo 62 c.p., n. 4 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, puo' farsi integrale rinvio a quanto precedentemente esposto. 10.3. Le censure formulate in ordine all'applicazione della recidiva sono manifestamente infondate. Diversamente da quanto dedotto in ricorso, la Corte territoriale ha fatto riferimento non solo ai due precedenti (l'ultimo dei quali passato in giudicato solo nel 2017), ma anche alla valenza dimostrativa di tali condanne circa la stabilita' della dedizione del (OMISSIS) al narcotraffico, comprovata anche - nell'odierno procedimento - dalla possibilita' di soddisfare una clientela "fidelizzata" e dall'accertata disponibilita' di droga in plurime occasioni. V. anche pag. 192 della sentenza di primo grado, dove si valorizza - a dimostrazione della maggiore pericolosita' del ricorrente, desumibile dai fatti per cui e' causa - la prosecuzione dell'attivita' illecita anche dopo l'applicazione degli arresti domiciliari. 10.4. A conclusioni analoghe deve pervenirsi quanto ai rilievi in punto di trattamento sanzionatorio. La consistente entita' dell'aumento per le condotte rubricate al capo 16), rispetto alla pena base rideterminata nel minimo edittale di anni dieci di reclusione in conseguenza della derubricazione ex articolo 74, comma 2, e' in realta' appena superiore alla misura imposta dall'articolo 81 c.p., comma 4, (essendo stata fondatamente contestata al (OMISSIS) la recidiva qualificata di cui all'articolo 99 c.p., comma 4), e risulta adeguatamente motivata con il riferimento alla molteplicita' delle condotte, alla collaborazione di altri pusher e alla natura anche "pesante" della droga smerciata (cfr. pag. 59 della sentenza impugnata). 11. Il ricorso di (OMISSIS) e' nel suo complesso infondato e deve essere percio' rigettato. 11.1. Il primo motivo di ricorso, volto a contestare l'affermazione di responsabilita', risulta reiterativo ed in parte non connotato dalla necessaria specificita'. Deve invero osservarsi, a tale ultimo proposito, che la difesa evita totalmente di confrontarsi con alcune risultanze che sono state diffusamente e tutt'altro che illogicamente valorizzate dalla Corte territoriale (pag. 60 seg. della sentenza impugnata). Si allude in particolare, da un lato, alle dichiarazioni dell'acquirente (OMISSIS) in ordine allo stabile rapporto di fornitura tenuto con "Lulu'", che si aggirava nella piazzetta di (OMISSIS); d'altro lato, al rapporto di "dipendenza" con il (OMISSIS), comprovato sia dalla condotta tenuta al momento dell'arresto del (OMISSIS) e del ricorrente per il reato di cui al capo 7 (il (OMISSIS), presente sul posto, aveva subito avvisato la moglie (OMISSIS), invitandola a "levare tutte cose"), sia dal "nervosismo" confidato dal (OMISSIS) al figlio, pur dopo il rilascio dei due, dovuto al fatto che le somme in possesso di questi ultimi erano state sequestrate. La difesa ha poi inteso contestare la valorizzazione di altre risultanze riproponendo una diversa e piu' favorevole lettura delle conversazioni intercettate, pur in presenza di una motivazione di segno contrario immune da censure deducibili in questa sede. Si fa riferimento, anzitutto, alla valorizzazione in chiave associativa del dialogo tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in cui il primo, dopo essersi informato su "quanto ce n'e' la'" ed essersi sentito rispondere che "(OMISSIS) mi ha lasciato quello tuo", aggiunge "Quello di (OMISSIS) te l'ho gia' tagliato...io siccome mi stavo tagliando la panetta sana" (pag. 61 della sentenza impugnata, pag. 110 della sentenza di primo grado). Appare evidente che l'interpretazione della Corte (secondo cui la conversazione era dimostrativa di una distribuzione della droga tra i vari pusher che si avvicendavano nei turni di spaccio) appare del tutto logica, alla luce di quanto complessivamente emerso anche in ordine svolto nella prima fase dal (OMISSIS) (cfr. supra, p. 3): risultando del tutto irrilevante il fatto che il ricorrente non avesse partecipasse al dialogo in questione. Analogamente, il fatto che il (OMISSIS) avesse reagito negativamente (minacciando di ritirarsi e "buttare tutte cose") alla volonta' manifestata dal (OMISSIS) di voler punire il (OMISSIS) per la mancata partecipazione di quest'ultimo al taglio delle dosi, e' stato non illogicamente interpretato dalla Corte d'Appello come "un mero sfogo verbale, in alcun modo attuato, nell'ambito di fisiologici momenti di fibrillazione del gruppo, e non certamente elemento sintomatico di autonomia" (pag. 61 cit.): disattendendo cosi' la diversa lettura offerta dalla difesa e riproposta in questa sede. Quanto poi all'attivita' di "monitoraggio e controllo" dell'abitazione dei (OMISSIS), culminata nel recupero dello stupefacente che la (OMISSIS) aveva lanciato dalla finestra, nel corso della perquisizione domiciliare del 30/09/2017, si era disfatta lanciandolo dalla finestra, la Corte territoriale ha affermato il coinvolgimento del (OMISSIS) valorizzando il contenuto della conversazione in cui il ricorrente, nella tarda serata dello stesso 30/09/2017, aveva rassicurato il (OMISSIS) circa il fatto di avere "tutte cose a casa" e dichiarandosi disponibile a portargliele subito (il (OMISSIS), tranquillizzato, risponde "ah va be' a posto, mi interessava solo questo"). Appare anche in questo caso evidente la congruita' del percorso argomentativo della Corte territoriale, risultando evidentemente irrilevante l'assenza di relazioni di servizio comprovanti il prelievo della droga da parte del (OMISSIS) (prelievo evidentemente sfuggito agli operanti): ne' la difesa ha inteso confrontarsi con la valenza dimostrativa della predetta intercettazione, definita "arbitraria" (cfr. la terza pagina del ricorso). 11.2. Inammissibile e' anche il motivo concernente il diniego delle attenuanti generiche. La motivazione addotta dalla Corte territoriale, imperniata sulla prosecuzione dell'attivita' illecita anche dopo l'arresto del giugno 2017 e sull'insussistenza di elementi positivamente valutabili (tenuto conto anche dell'uscita del ricorrente dal nucleo familiare, circostanza che avrebbe potuto agevolare la recisione dei contatti con l'ambiente del narcotraffico), non e' stata confutata con argomentazioni di apprezzabile concretezza (non potendo in tale novero ascriversi i generici riferimenti alle condizioni di vita, alla "scarsa entita' di dolo" e alle modalita' dell'azione). 11.3. Con riferimento alla residua censura, deve osservarsi che, in effetti, la Corte territoriale e' caduta in un travisamento, avendo affrontato il tema - non devoluto con l'appello - della inapplicabilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4: laddove invece, con i motivi di gravame, era stata sollecitata l'applicazione dell'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5. Deve peraltro osservarsi che, anche con riferimento alle cessioni ascritte al (OMISSIS), appaiono certamente applicabili i principi giurisprudenziali gia' in precedenza richiamati, dovendo evidentemente essere anche tali cessioni inquadrate nel complessivo contesto, di estremo allarme, piu' volte evocato (cfr. supra, p. 1.3. e 2). Conseguentemente, puo' essere fatta applicazione, nella fattispecie in esame, del consolidato principio secondo cui "in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato" (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, Tannoia, Rv. 256314. In senso conforme, cfr. ad es. Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263980). 12. Il ricorso del (OMISSIS) e' inammissibile. 12.1. Con il primo motivo, il ricorrente contesta la configurabilita' del reato associativo e comunque la sussistenza di adeguati elementi per sostenere la sua partecipazione. In ordine al primo aspetto, puo' farsi integrale rinvio alle considerazioni svolte nelle pagine precedenti. Con riferimento alla seconda questione, assume rilievo assorbente la mancanza di un effettivo confronto con la motivazione della sentenza impugnata, che ha valorizzato il fatto che l'intensissima attivita' del (OMISSIS) (centinaia di cessioni riprese dalle telecamere) era stata posta in essere alle dipendenze del (OMISSIS), presso la cui abitazione egli era tenuto a presentarsi quotidianamente per le attivita' di taglio e preparazione (la sua assenza in una occasione aveva determinato la volonta' del (OMISSIS) di punire il ricorrente, come gia' ricordato trattando la posizione di (OMISSIS): cfr. supra, p. 11.1). Altrettanto prive di confutazione sono rimaste anche le ulteriori considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine alle modalita' di retribuzione del (OMISSIS) (diffusamente illustrate dalla (OMISSIS) alla madre e alla moglie di quest'ultimo: cfr. supra, p. 4.2), all'attivita' di "controllo preventivo" finalizzato a neutralizzare controlli e perquisizioni delle Forze dell'Ordine (cfr. pag. 64 della sentenza impugnata, in ordine alle istruzioni telefonicamente impartite al (OMISSIS) dal (OMISSIS) - che si trovava in casa (OMISSIS) ed aveva utilizzato l'utenza di quest'ultimo - per il recupero dello stupefacente che aveva gettato dalla finestra, preoccupato da un appostamento degli operanti), nonche' alla prosecuzione dell'attivita' illecita anche dopo l'arresto del giugno 2017. 12.2. Per cio' che riguarda le censure concernenti la mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, puo' farsi rinvio a quanto precedentemente esposto, dovendo solo ulteriormente richiamarsi il consolidato principio secondo cui "in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato" (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440 - 02). Un principio certamente applicabile nella fattispecie in esame, alla luce del contesto rilevato, dell'intensissima attivita' svolta e del pieno inserimento del (OMISSIS) nell'attivita' anche "retrostante" allo spaccio su strada. 13. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 13.1. Con i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, il (OMISSIS) censura la ritenuta sussistenza dell'associazione e la ritenuta partecipazione ad essa da parte del ricorrente. Quanto al primo profilo, si fa rinvio alle considerazioni gia' svolte nella parte introduttiva e con riferimento agli altri imputati. Quanto alla partecipazione del (OMISSIS), deve osservarsi che la difesa propone una lettura minimizzante delle risultanze acquisite e valorizzate dalla Corte d'Appello, che peraltro non appaiono adeguatamente confutate. Nel premettere che nel novembre 2016 il (OMISSIS) (soprannominato "(OMISSIS)") era gia' stato arrestato per lo spaccio nella medesima piazza insieme a (OMISSIS), la Corte d'Appello ha richiamato le numerose intercettazioni indicative, anzitutto, del suo pieno inserimento nella reste dei pusher coordinata dal (OMISSIS): la percentuale spettante a quest'ultimo era emersa in un dialogo tra il (OMISSIS) ed il figlio, mentre altre conversazioni avevano evidenziato l'apporto assicurato dal (OMISSIS) nel presidio della piazza, nella copertura dei turni con il passaggio della droga allo spacciatore subentrante, nel recupero della droga buttata via al momento degli accessi della P.G., nella consegna del danaro ai coniugi (OMISSIS) o al loro figlio (cfr. pag. 66 della sentenza impugnata e pag. 111 segg. della sentenza di primo grado). Particolarmente significativo appare il richiamo, da parte del primo giudice, della conversazione in cui il (OMISSIS) invita il (OMISSIS) a raggiungerlo in piazza perche' "c'e' uno che vuole 10 Euro di marijuana" e "gli secca stare da solo". Inoltre, con riferimento alla seconda fase della vita del sodalizio, la Corte territoriale ha valorizzato l'inserimento del (OMISSIS) nella contabilita' tenuta dai coniugi (OMISSIS), e le conversazioni comprovanti il rapporto di fornitura intrattenuto con questi ultimi (cfr. pag. 67 della sentenza impugnata, pag. 113 della sentenza di primo grado). La valenza accusatoria di tali convergenti risultanze non ha bisogno di essere sottolineata, ed e' rimasta priva di adeguato confronto critico da parte della difesa ricorrente, anche quanto alla durata del coinvolgimento del ricorrente nell'attivita' illecita. 13.2. Le doglianze relative ai reati-satellite, e alla mancata applicazione ad essi dell'articolo 73, comma 5, appaiono reiterative. La difesa muove dall'assunto per cui solo per tre episodi sarebbe stato possibile ritenere raggiunta la prova della responsabilita', non potendo per le altre ritenersi sufficiente la ripresa delle telecamere. L'assunto e' stato gia' motivatamente disatteso dalla Corte territoriale, che ha posto in evidenza il fatto che - avuto riguardo all'esito positivo del controllo effettuato per le tre cessioni monitorate "in tempo reale" dagli operanti, ed al tenore inequivocabile dei colloqui intercettati, comprovanti lo stabile inserimento nel narcotraffico - anche gli ulteriori scambi desumibili dalle immagini, peraltro di "adeguata nitidezza", effettuati dal ricorrenti con soggetti sopraggiunti secondo uno specifico modus operandi, non potevano trovare spiegazione alternativa da quella accusatoria. Si tratta di una valutazione di merito sorretta da un percorso argomentativo logico, che utilizza del tutto legittimamente l'esito positivo dei tre controlli come riscontro per le ulteriori cessioni documentate dalle immagini, e che non e' stato adeguatamente contrastato dalla difesa se non con la riproposizione della tesi della insufficienza delle immagini acquisite. Deve conseguentemente ritenersi manifestamente infondata la prospettazione concernente l'applicabilita' dell'articolo 73, comma 5, alla quale ostano comunque le considerazioni svolte su un piano generale e gia' ripetutamente richiamate. 13.3. Quanto alla residua doglianza, relativa al diniego delle attenuanti generiche, deve ritenersi incensurabile la valutazione della Corre territoriale, che ha attribuito rilevanza decisiva al carattere continuativo dell'attivita' illecita al punto di farla divenire una "stabile scelta occupazionale", nella consapevolezza di far parte di un piu' vasto sistema illecito: non potendo assumere rilievo, in senso contrario, i generici richiami alla giovane eta' del (OMISSIS) (in se' irrilevante: cfr. Sez. 2, n. 11985 del 04/02/2020, Gismondo, Rv. 278633 - 01) e al mantenimento di una corretta condotta processuale, mentre palesemente distonico - alla luce di quanto fin qui esposto - deve ritenersi il riferimento all'"effettivo modesto disvalore penale della condotta" (cfr. pag. 12 del ricorso). 14. Il ricorso (OMISSIS) e' inammissibile. 14.1. Il primo ordine di censure, volto a contestare la partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1), presenta connotazioni reiterative di doglianze esaminate e motivatamente disattese dalla Corte d'Appello, e comunque sollecita una (inammissibile) rivisitazione del merito delle valutazioni concordemente operate dai giudici di merito. Le due sentenze hanno concordemente sottolineato il rilievo in chiave associativa della figura del (OMISSIS), che dalle risultanze acquisite era risultato un pusher attivo sia nella fase coordinata dal (OMISSIS), aveva poi avuto un diretto rapporto di fornitura presso i coniugi (OMISSIS), ed infine aveva avuto frequentissimi contatti telefonici nella fase in cui era soprattutto il (OMISSIS) ad interfacciarsi, anche per conto del (OMISSIS). A sostegno di tale assunto, i giudici di merito hanno valorizzato: i ripetuti sequestri subiti in strada dal ricorrente mentre era insieme al (OMISSIS) e al (OMISSIS) (pag. 124 sent. primo grado); la presenza del (OMISSIS) nelle vicinanze dell'abitazione dei (OMISSIS) durante le operazioni di Polizia del 24/07/2017 (sottolineando che anche (OMISSIS) e il (OMISSIS), come il ricorrente, avevano girato intorno con la bicicletta fino al momento in cui il (OMISSIS) si era occupato, su indicazione del (OMISSIS), del recupero della droga lanciata dalla finestra: circostanze che escludevano la plausibilita' di un casuale giro in bicicletta del (OMISSIS): cfr. pag. 68); la presenza del ricorrente nella contabilita' dei (OMISSIS) (cfr. pag. 69, in cui si evidenziano le circostanze per cui il " (OMISSIS)" menzionato dai coniugi doveva identificarsi nell'odierno ricorrente); i numerosissimi colloqui intercettati tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ritenuti dimostrativi non solo di un'intensissima dedizione al narcotraffico del ricorrente, ma anche del pieno inserimento della sua condotta nel piu' ampio contesto associativo (cfr. pag. 70, in cui si valorizza, a tale ultimo proposito, la conversazione in cui il (OMISSIS) prospetta punizioni anche per "(OMISSIS)", soprannome del ricorrente, e quella in cui il (OMISSIS) comunica al (OMISSIS) - in procinto di iniziare il proprio "turno di lavoro" - che avrebbe lasciato le cose per lui al (OMISSIS), il quale gliele avrebbe poi consegnate). Anche in questo caso, come per altri ricorrenti, il percorso argomentativo tracciato dalla sentenza impugnata, in linea con quella di primo grado, risulta privo di contraddittorieta' o illogicita' manifesta qui deducibili: le censure difensive, come gia' accennato, si risolvono in una reiterata prospettazione di una lettura minimizzante delle varie risultanze, non deducibile in questa sede. 14.2. Del tutto generiche appaiono le censure concernenti la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, non essendo state in alcun modo illustrate le ragioni per le quali i principi giurisprudenziali richiamati nei paragrafi precedenti - ai quali comunque si fa integrale rinvio - non dovrebbero ritenersi applicabili alla posizione del (OMISSIS). 14.3. Anche la residua censura, volta a sostenere l'incompatibilita' con l'ottica associativa dei rapporti di compravendita tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), presenta connotazioni reiterative; in presenza di una motivazione non illogica della Corte territoriale. Nella sentenza impugnata si e' per un verso sottolineato il fatto che, a differenza della stagione associativa in cui i pusher erano coordinati dal (OMISSIS), non era emerso che nell'ultima fase essi ricevessero la droga gratuitamente rimettendo il ricavato ai fornitori, in cambio di una provvigione (cfr. pag. 70); per altro verso, la Corte territoriale ha chiarito che il rapporto di compravendita tra fornitore e spacciatore non era incompatibile come chiarito da plurimi arresti della giurisprudenza di legittimita' con l'ottica associativa, in presenza di una consapevole adesione ad un accordo finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati (cfr. pag. 71). Con l'odierno ricorso, la difesa ha riproposto la tesi dell'incompatibilita', senza peraltro adeguatamente confrontarsi con l'ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale (oltre alle pronunce richiamate dalla Corte d'Appello, cfr. ad es. anche Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 276068 - 02, secondo la quale "in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l'esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio non e' ostativa al riconoscimento dell'associazione, in quanto nell'ambito della struttura organizzata non assumono rilievo gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascun partecipe, atteso che cio' che distingue la fattispecie associativa e' il mezzo con cui le diverse finalita' personali vengono perseguite"). 15. Il ricorso (OMISSIS) e' inammissibile. 15.1. Anche in questo caso, le censure concernenti il reato associativo e l'adesione del ricorrente presentano connotazioni reiterative e tendono a sollecitare una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda. Con riferimento al primo aspetto, puo' farsi integrale rinvio a quanto gia' in precedenza esposto: dovendosi ulteriormente precisare che - come si e' appena chiarito trattando la posizione (OMISSIS) (cfr. supra, p. 14.3) - l'esistenza di interessi contrapposti o di veri e propri rapporti di credito-debito non e' di ostacolo alla configurazione del reato associativo, ove ricorra l'affectio societatis tra i soggetti coinvolti. Risulta quindi destituita di fondamento la tesi difensiva secondo cui il sistema del conto-vendita tenuto dai coniugi (OMISSIS), nei cui conteggi figura anche il (OMISSIS), sarebbe incompatibile con lo schema associativo: cio' deve a fortiori affermarsi con riferimento all'irrilevanza di possibili differenze di trattamento, da parte del fornitore, tra un pusher e un altro (differenze che evidentemente possono dipendere da variabili interne ai rapporti tra i due soggetti, prive di rilevanza sul costrutto associativo). Quanto al secondo aspetto, le censure difensive riguardano all'evidenza il merito delle valutazioni operate dalla Corte territoriale, che ha adeguatamente motivato l'attribuzione della qualifica di partecipe al (OMISSIS), valorizzando sia i riferimenti dei coniugi (OMISSIS) al ricorrente, al momento dei conteggi (cfr. pag. 72, in cui si precisa che la cifra "240" si riferiva al saldo debitorio gravante sul (OMISSIS), e non ad una singola e isolata fornitura), sia le numerose intercettazioni relative al periodo in cui i pusher erano coordinati dal (OMISSIS), dimostrative di un'attivita' di spaccio posta in essere in sinergia con gli altri spacciatori (soprattutto (OMISSIS) e (OMISSIS)), oltre che con lo stesso (OMISSIS) (cfr. pag. 72 cit., nonche' pag. 142 seg. della sentenza di primo grado: v. in particolare i colloqui tra il (OMISSIS) e la gia' citata (OMISSIS), e quelli tra lo stesso (OMISSIS) e il ricorrente, invitato ad andare a ritirare dalla donna la somma di danaro dovuta). Ne' a diverse conclusioni puo' pervenirsi, come auspicato dalla difesa ricorrente, argomentando dalla modesta durata del periodo di coinvolgimento del ricorrente: questa Suprema Corte ha invero chiarito che "in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato" (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440 02). 15.2. Per cio' che riguarda le residue censure, concernenti la mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, possono essere richiamate le considerazioni svolte in precedenza sulla base della recente elaborazione giurisprudenziale: ne' la difesa ha evidenziato, con la necessaria specificita', le ragioni per cui quei rilievi e quei principi non dovrebbero trovare applicazione con riguardo all'odierno ricorrente. 16. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 16.1. Il ricorrente contesta, con il primo motivo, la condanna per la partecipazione al sodalizio sub 1), contestando la configurabilita' del reato e comunque il suo coinvolgimento nella compagine associativa. Quanto al primo aspetto, puo' farsi integrale rinvio alle considerazioni gia' svolte in sede introduttiva e con riferimento agli altri ricorrenti. In ordine alla seconda questione, deve osservarsi che la difesa reitera censure gia' disattese dalla sentenza impugnata, la quale ha tra l'altro richiamato le intercettazioni comprovanti il pieno inserimento dell'attivita' di spaccio del ricorrente (attivita' monitorata dalle telecamere in oltre cento occasioni, mentre due interventi di P.G. avevano consentito di accertare che l'acquirente aveva ancora in mano la droga ceduta dal (OMISSIS)) nell'ottica associativa descritta in precedenza: essendo da tali conversazioni emersa la presenza in piazza del (OMISSIS), l'avvicendamento con gli altri, la remunerazione a provvigione ecc. (cfr. pag. 74 della sentenza impugnata, con espresso rinvio alla piu' ampia trattazione contenuta alle pag. 115 segg. della sentenza di primo grado: basti qui richiamare la conversazione in cui il (OMISSIS) chiede al figlio (OMISSIS) se " (OMISSIS) e' a posto"). Deve solo aggiungersi che - diversamente da quanto dedotto in ricorso - la Corte d'Appello ha ritenuto raggiunta la prova prescindendo da una conversazione, ritenuta non univoca, in cui si faceva riferimento ai "gemelli" (cfr. pag. 74, cit.). Quanto poi all'assunto per cui non vi sarebbe prova dell'inserimento del ricorrente nella rete dei (OMISSIS), ne' della frequentazione della casa di quest'ultimo, deve osservarsi che la difesa non si confronta con un elemento di centrale rilievo, costituito dal fatto che il ricorrente ebbe a presentarsi, proprio presso quell'abitazione, subito dopo essere stato sottoposto a controllo in strada e deferito per spaccio di droga (cfr. pag. 75 della sentenza impugnata, in cui vengono riportati i colloqui in cui il (OMISSIS) chiede alla moglie se (OMISSIS) si era presentato, ed alla fine la (OMISSIS) ne comunica l'arrivo invitando il marito a raggiungerli con circospezione "vieni, non fare capire niente, c'e' (OMISSIS) a casa, vieni"). Del tutto immune da censure, a tale ultimo proposito, risulta la precisazione della Corte territoriale in ordine alla piena valenza dimostrativa delle predette intercettazioni, pur non coinvolgenti in prima persona il (OMISSIS), quanto all'appartenenza di quest'ultimo alla rete coordinata dai coniugi (OMISSIS): non potendo evidentemente pervenirsi, alla luce di risultanze direttamente indicative dell'inserimento nella compagine associativa, a conclusioni opposte per il solo fatto che i collaboratori di giustizia non abbiano fatto riferimento all'odierno ricorrente. 16.2. Manifestamente infondata appare la residua censura, tenuto conto dell'applicazione nel minimo della pena base e dell'aumento di tre mesi per i reati satellite, motivati dal primo giudice con i numerosi episodi contestati: episodi comprendenti non solo le condotte di detenzione e cessione accertate con i controlli in strada, ma anche le ben centodieci cessioni monitorate dalle telecamere (cfr. il capo 9). 17. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 17.1. Con il primo motivo, il ricorrente muove anzitutto censure alla ritenuta configurabilita' dell'ipotesi associativa, che appaiono sovrapponibili a quelle formulate dal fratello (OMISSIS), ed in relazione alle quali e' possibile fare integrale rinvio a quanto gia' in precedenza esposto. Quanto all'ulteriore ordine di doglianze, relativo alla partecipazione del ricorrente al sodalizio, la difesa reitera argomenti (esiguita' delle cessioni, brevita' del periodo interessato, assenza di contatti con altri associati) che sono state esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte territoriale, in piena sintonia con il primo giudice. In particolare, la Corte evidenzia la necessita' di prendere in considerazione non solo le cessioni specificamente contestate al capo 8), ma anche le numerose altre che avevano visto il ricorrente operare in sinergia con il (OMISSIS), con il (OMISSIS) e con il fratello (OMISSIS): ed e' superfluo evidenziare che, se e' vero che la responsabilita' per le violazioni dell'articolo 73 non puo' che far riferimento alla specifica contestazione contenuta nel capo 8), e' anche vero che appare perfettamente lecito, e di intuitiva rilevanza, l'apprezzamento in chiave associativa di tali ulteriori circostanze valorizzate dai giudici di merito. La Corte d'Appello ha altresi' valorizzato ulteriori convergenti risultanze, costituite per un verso dalla conversazione in cui il (OMISSIS), avuta conferma della presenza in piazza del figlio, lo chiama e si fa passare " (OMISSIS)" per impartirgli istruzioni dare qualcosa a "quello con il motore rosso", ottenendo la disponibilita' del (OMISSIS), che anzi chiude bruscamente la conversazione per il tenore troppo esplicito (cfr. pag. 77 della sentenza impugnata). Per altro verso, la Corte territoriale ha condiviso la valorizzazione, gia' operata dal primo giudice, delle conversazioni comprovanti l'allarme creato dall'arresto del (OMISSIS) in data 24/08/2017 (da un lato, la richiesta urgente della (OMISSIS) alla moglie del (OMISSIS) di far arrivare rapidamente il marito, essendo successe "cose un po' bruttine"; dall'altro, la richiesta di informazioni sul giudizio direttissimo a carico del (OMISSIS), formulata dal (OMISSIS) al (OMISSIS)). Si tratta, anche in questo caso, di un percorso argomentativo tutt'altro che illogico, che la difesa ha censurato proponendo inammissibilmente una diversa minimizzante lettura delle risultanze acquisite (non potendo conferirsi rilievo decisivo, in senso contrario, al fatto che i collaboratori di giustizia richiamati in sentenza non abbiano fatto riferimento all'odierno ricorrente). 17.2. Manifestamente infondata e' la residua censura. La Corte d'Appello ha motivato la mancata applicazione dell'ipotesi lieve di cui all'articolo 73, comma 5 con un rinvio alle considerazioni svolte in sede introduttiva (del tutto condivisibili, per le ragioni esposte nella prima parte di questa trattazione): la difesa ha svolto censure generiche, che non hanno evidenziato le ragioni per cui i principi giurisprudenziali gia' piu' volte evocati dovrebbero ritenersi inapplicabili all'attivita' di spaccio riconducibile al ricorrente, nonostante il pieno inserimento anche di tale attivita' nel contesto precedentemente descritto. 18. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 18.1. Si tratta dell'unico ricorrente per il quale non vi e' stata condanna per il reato associativo, ma solo per aver ceduto alla sorella (OMISSIS), al cognato (OMISSIS) e al nipote (OMISSIS) un quantitativo non inferiore a cinque panetti di hashish (cfr. il capo 14). L'unica questione prospettata concerne la mancata applicazione dell'articolo 73, comma 5. Il rilievo e' manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale conferito rilievo assorbente al quantitativo di droga ceduta alla famiglia (OMISSIS), quantificato in circa 500 gr. lordi, ritenuto ostativo alla configurabilita' dell'ipotesi lieve di cui al predetto comma 5. La motivazione deve peraltro essere valutata congiuntamente con quella di primo grado, che ha fatto leva non solo sul dato quantitativo, ma anche sulla piena consapevolezza, in capo al ricorrente, di aver agito a vantaggio di un gruppo associato dedito al narcotraffico su larga scala (cfr. pag. 170 seg. della sentenza di primo grado, in cui si evidenzia che il (OMISSIS) si era attivato, per il reperimento della sostanza, in un momento di difficolta' del sodalizio conseguente al ricovero ospedaliero di (OMISSIS)). 19. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilita' di tutti i ricorsi, ad eccezione di quello proposto da (OMISSIS) (rigettato), e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tutti i ricorrenti, ad eccezione di (OMISSIS), devono essere inoltre condannati al pagamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i restanti ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - rel. Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/12/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TIZIANO MASINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SABRINA PASSAFIUME che ha concluso chiedendo; Il Proc. Gen., riportandosi alla requisitoria scritta gia' depositata, conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale ed eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio; inammissibilita' nel resto. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso e insiste per; l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si associa al codifensore e si riporta ai motivi di ricorso insistendo per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO Con ricorso depositato il 15 aprile 2022 (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d'appello di Lecce del 6 dicembre 2021, che ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Brindisi del 26 luglio 2017, che lo aveva ritenuto responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale; la Corte d'appello gli ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, ha rideterminato la pena principale in due anni di reclusione e ha ridotto a pari durata le sanzioni accessorie L. Fall., ex articolo 216 u.c., con la concessione della sospensione condizionale della pena e l'eliminazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. La sentenza della Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita' dell'imputato, rilevando come il primo giudice avesse accertato ingiustificati prelievi di risorse di conto corrente di Euro 95.580 nel 2007 e di Euro 35.500 nel 2008 e la tenuta della documentazione contabile in guisa da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio. 1.Con un primo motivo, a riguardo della bancarotta patrimoniale per distrazione, il ricorrente deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) e lett.b), per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione e mancato rispetto del canone di giudizio di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1. I prelievi di denaro sarebbero stati finalizzati - pag. 4 del ricorso - al pagamento per contanti delle retribuzioni dei dipendenti "in nero"; l'istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato la fondatezza della tesi difensiva attraverso l'audizione "a campione" di alcuni ex dipendenti, il raffronto delle testimonianze con il libro matricola e il riscontro dell'esigua entita' delle insinuazioni degli ex lavoratori dipendenti al passivo del fallimento, in uno con le conferme provenute dal curatore del fallimento e dalla sua coadiutrice. La sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare sulla segnalazione, effettuata dai testimoni di competenza "tecnica", dell-ingente numero dei dipendenti della societa'", rilevabile anche dal libro matricola messo a disposizione dall'imputato; il curatore fallimentare e il suo coadiutore avrebbero avallato la verosimiglianza della destinazione delle risorse al pagamento "in nero" ed in contanti delle maestranze, confermando la compatibilita' delle uscite di conto corrente con la corresponsione delle retribuzioni; la Corte ha illegittimamente respinto l'istanza di disporre una perizia contabile, che avrebbe invece potuto far chiarezza sulla congruita' dei prelievi rispetto all'addotta elargizione delle somme di denaro al pagamento dei lavoratori "irregolari"; e cio' tanto piu' che la stessa Corte ha dapprima affermato che il libro matricola non sarebbe stato accuratamente esaminato dalla curatela e, poi, ha chiosato, contraddicendosi, che in ogni caso il curatore avrebbe escluso di poter determinare il numero preciso dei dipendenti che hanno lavorato per l'azienda; sarebbe errata la motivazione della sentenza nella parte in cui obietta che il pagamento "irregolare" degli operai avrebbe dovuto, per logica, essere quantomeno accompagnato dal rilascio di una quietanza e il ricorso richiama una pronuncia della Corte di Cassazione che si e' gia' espressa in senso contrario; insomma, l'imputato ha offerto una ricostruzione "alternativa e plausibile dei fatti", che avrebbe meritato diverso approfondimento, e a tutto concedere - qualora si volesse ritenere che lo scopo perseguito fosse solo quello di soddisfare la pretesa dei dipendenti, suoi creditori - avrebbe potuto ravvisarsi la ricorrenza del delitto di bancarotta preferenziale. 2.11 secondo motivo deduce mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione ed erronea applicazione della legge penale - articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e) e b), - con riferimento alla affermazione di responsabilita' per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. Il curatore fallimentare e il suo coadiutore avrebbero dichiarato, nel corso del processo di primo grado, come la contabilita' consegnata avesse reso possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari - con eccezione del 2009, anno di interruzione dell'attivita' caratteristica - e come le mancate appostazioni sul libro giornale avessero riguardato modestissime movimentazioni di risorse dei conti correnti, peraltro segnalate alla curatela dallo stesso imputato. Quest'ultimo - a riguardo delle due fatture contestate nell'imputazione - ha riconosciuto l'inesistenza delle operazioni commerciali da esse documentate. Tali essendo gli addebiti mossi al ricorrente, non sarebbe consentito estendere le censure ad altri profili della cura contabile, come invece ha fatto la Corte di merito, stigmatizzando l'assenza delle fatture relative ai contratti d'appalto e la presenza di due dipendenti non registrati nel libro matricola, ma insinuatisi al passivo del fallimento, circostanza, quest'ultima, in linea con la tesi difensiva proposta; mentre - a riguardo della emissione delle due fatture fittizie - la Corte d'appello non avrebbe approfondito il profilo della prova del dolo, sussistente solo se il fallito abbia agito per recare nocumento ai creditori e non avrebbe vagliato la possibilita' di una riqualificazione della condotta in bancarotta documentale semplice, punibile a titolo di colpa. In definitiva, le deposizioni "dei periti d'ufficio" sarebbero state oggetto di un travisamento probatorio. 3.11 terzo motivo si concentra sui medesimi vizi - articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) - ovvero carenza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale - negato il riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita' Regio Decreto n. 267 del 1942 ex articolo 219 u.c.. Tale attenuante avrebbe dovuto essere ritenuta sussistente, in relazione alla "diminuzione, non percentuale, ma globale" delle garanzie patrimoniali a favore dei creditori. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 4.Deve essere in premessa ricordato il costante, quanto risalente indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo il quale "l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. "(per tutte, Cass. sez. Unite n. 24 del 24/11/99, Spina; Cass. sez. Unite, n. 6402 del 30/4/97, Dessimone e altri). 5.Si e' inoltre in presenza di una c.d. doppia conforme sulla responsabilita', di tal che vale il principio, altrettanto consolidato, secondo il quale "nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado" (Cass. sez. 3, n. 45537 del 28/9/22, M.; Cass. sez.2, n. 7986 del 18/11/16, La Gumina e altro; Cass. sez.4,14/9/17 n. 1219, Colomberotto). 6.Ancora, "il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636). Nel caso di specie, il ricorrente non ha in alcun modo evidenziato che la sentenza impugnata abbia citato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma, anzi, il giudice di secondo grado - come piu' volte riconosciuto nei motivi di ricorso - si e' sostanzialmente richiamato alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, nella loro integralita'. 7.Si puo' ancora aggiungere come i motivi del ricorso per cassazione si presentino complessivamente iterativi di quelli posti a fondamento del giudizio di appello, ai quali la Corte di merito ha puntualmente ed efficacemente risposto. Il motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilita', e' del resto indeducibile, perche' poggiato su ragioni che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle gia' dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendosi, le medesime, considerare soltanto apparenti e non specifiche, in quanto omettono di assolvere la tipica e doverosa funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso; ed invero, ai fini della configurabilita' dell'ipotesi di inammissibilita' dell'impugnazione per genericita' dei motivi, in quest'ultima rientra non solo la aspecificita' dei motivi stessi, ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (cfr. per tutte, Sez. 1, Ordinanza n. 4521 del 20/01/2005 Cc. (dep. 08/02/2005) Rv. 230751 - 01, Orru'). 8.Pertanto, i primi due motivi di ricorso si palesano generici ed inconcludenti e risultano comunque manifestamente infondati, avendo la Corte di merito illustrato, con giudizio esauriente, coerente nei contenuti ed insuscettibile di censure di contraddittorieta' e di intrinseca illogicita', che: per l'anno 2008, alcuna prova e' stata fornita dalla difesa per dimostrare la legittima destinazione delle risorse fuoriuscite dal conto corrente societario del Banco di Roma ed anzi il drenaggio del denaro si e' concentrato nell'ultimo quadrimestre, circostanza inconciliabile con la tesi della sua destinazione all'ordinario pagamento delle retribuzioni; per quanto riguarda i prelievi di contanti del 2007, la deposizione dei tre dipendenti non si e' rivelata dirimente, vuoi perche' generica sulle modalita' operative della rispettiva esperienza lavorativa, vuoi perche' imprecisa nell'indicazione del datore di lavoro; quanto diffusamente lamentato a riguardo del numero degli operai assunti - irregolarmente dalla societa' fallita, si e' rivelato inconsistente, per diversi ordini di ragioni, prime fra tutte l'impossibilita' di determinare quanti e quali fossero tali lavoratori e per quale periodo e in quali attivita' fossero stati impiegati, anche in considerazione del fatto che 11 ex-dipendenti si sono insinuati al passivo per le spettanze arretrate e tanto e' almeno prova logica della non rispondenza al vero dell'avvenuta, integrale destinazione delle disponibilita' societarie al soddisfacimento di tale categoria di creditori privilegiati. Quanto - poi - al mancato accoglimento dell'istanza di perizia contabile, se e' condivisibile sotto un primo profilo - quanto osservato dalla Corte territoriale in ordine ai suoi potenziali connotati investigativi e non scientifici, va aggiunto - sotto un secondo profilo - che il motivo di ricorso che riguarda la mancata assunzione di una prova decisiva, oltre a trovare collocazione nella lettera d) dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, nemmeno invocato dal ricorrente, sarebbe comunque, in se', inammissibile perche' "la mancata effettuazione di un accertamento peritale non puo' costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), in quanto la perizia non puo' farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilita' delle parti e rimesso alla discrezionalita' del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'a rt. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisivita'" (Sez. U, 23/3/17 n. 39746, A.). 9.Ad ulteriore sostegno della manifesta infondatezza delle censure relative alla ritenuta distrazione delle somme che - secondo il ricorrente - sarebbero state destinate alla corresponsione di emolumenti "in nero" ai dipendenti, si osserva che tale giustificazione, oltre ad essere stata giudicata - con argomenti fondati sulla realta' del compendio processuale - del tutto priva di elementi di prova, sarebbe comunque inidonea ad escludere la responsabilita' dell'imputato. Infatti, "la costituzione di rapporti di lavoro al di fuori della contabilita' ordinaria costituisce un fatto illecito che, oltre a ledere le norme previste a tutela dei lavoratori, viola la regolarita' dell'intera attivita' contabile della societa', rendendo impossibile qualsiasi controllo, e sovrapponendo la gestione personale dei singoli amministratori a quella degli organi sociali. Il lavoro "nero", costituisce quindi "oggettivamente", una modalita' di gestione alternativa delle risorse sociali, attraverso la quale, in contrasto con la legge e con le norme statutarie, viene impiegata forza lavoro, non assunta dalla societa', ed integrante una vera e propria forma di "distrazione" perche' la retribuzione viene effettuata con capitali sociali non regolarmente registrati" (cfr. in motivazione Cass. sez. 5, 47561 del 11/10/16, Morosi e altro, che richiama Cass. n. 26636 del 28/4/2004, non massimata). Se "la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della societa' dichiarata fallita puo' essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni" (ex multis, Cass. sez. 5, n. 8260 del 22/9/15, Aucello; sez. 5, n. 11095 del 13/2/14, Ghirardelli;sez.5, n. 22894 del 17/4/13, Zanettin) appare chiaro che la tesi difensiva dell'avvenuto impiego della somma contestata per il "pagamento dei dipendenti" avrebbe dovuto in ogni caso dettagliare e comprovare, in modo analitico, la sua destinazione alla copertura delle singole retribuzioni - e senza pretermettere alcuno dei creditori dotati di privilegio poziore - evenienza improponibile per il solo fatto che il ricorrente espressamente escluda di essere in condizioni di darne contezza (pagg.11 e 12 del ricorso). 10.Per quanto riguarda, invece, l'affermazione di responsabilita' per il delitto di bancarotta documentale fraudolenta, la sentenza impugnata - pag. 3 e seg. - ha dato conto della testimonianza della curatrice fallimentare, che - contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso - ha riferito di "non essere riuscita a ricostruire la situazione patrimoniale ed il movimento degli affari". Il ricorrente sostiene che la sentenza gravata avrebbe impropriamente esteso le censure di inattendibilita' a comportamenti non contestati, attinenti alle scritture nel loro complesso - e non solo alle carenze di registrazione dei movimenti bancari e alla fittizieta' "ideologica" delle fatture nn. 4 e 5 - ma anche tale obiezione non coglie nel segno, per un verso perche' in caso di difetto di correlazione tra la contestazione e la sentenza il vizio deducibile sarebbe quello di cui alla lettera c) dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita' (articolo 522 c.p.p.) e non quelli esaltati dal ricorso, per altro verso in quanto il capo d'imputazione contesta in modo chiaro la tenuta della contabilita' in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e la specificazione, in sentenza, di ulteriori profili di inaffidabilita' dell'impianto contabile rispetto a quelli - comunque ritenuti sussistenti - enunciati in modo espresso nell'imputazione non integra la radicale trasformazione degli addebiti che costituisce il presupposto della incoerenza tra la contestazione e il contenuto della sentenza di affermazione della responsabilita'. L'emissione delle false fatture in relazione a fittizi contratti di appalto, tra l'altro per importi consistenti, con la registrazione di non veritiero incasso per contanti - la cui prova, anche in punto di dolo, e' conclamata e non confutata dalla difesa del ricorrente - integra di per se' gli elementi costitutivi della bancarotta documentale fraudolenta nella forma c.d. generica, puntualmente contestata nell'imputazione, come piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte. "In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la norma incriminatrice ingloba M se' ogni ipotesi di falsita', anche ideologica, in quanto e' preordinata a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela e a proscrivere ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari, considerato che a questo risultato si frappone non solo la falsita' materiale dei documenti, ma anche e soprattutto quella ideologica che fornisce un'infedele rappresentazione del dato contabile"(Cass. sez. 5, n. 3115 del 17/12/10, Clementoni); "in tema di bancarotta documentale, la condotta di falsificazione delle scritture contabili prevista dalla prima parte della L. Fall., articolo 216, comma 1 n. 2, puo' avere natura tanto materiale che ideologica, consistendo comunque nella manipolazione di una realta' contabile gia' definitivamente formata; diversamente, la bancarotta documentale "generica" prevista dalla seconda parte della norma si realizza sempre con una falsita' ideologica contestuale alla tenuta della contabilita', e cioe' mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice. (In applicazione del principio, la Corte ha qualificato come bancarotta documentale "generica" una condotta consistita nell'annotazione in contabilita' di importi inferiori rispetto a quelli fatturati ed incassati, con conseguente occultamento dell'effettivo volume di affari)"(Cass. sez.5, n. 5081 del 13/1/20, Montanari). Ed e' logico affermare che la pluralita' delle incongruenze e delle omissioni annotative, ben esplicitata in sentenza - pagg. 4 e 5 - valga a consolidare la prova della consapevolezza che quella contabilita' - tra l'altro in presenza dell'ingiustificato dirottamento delle disponibilita' liquide - non consentira' o potra' non consentire la corretta ed esaustiva ricostruzione del patrimonio e dell'andamento delle operazioni. 11.II terzo motivo di ricorso si palesa generico e manifestamente infondato, proprio a fare applicazione del principio giurisprudenziale riportato nei motivi di impugnazione. Non sono espresse le ragioni che renderebbero di particolare lievita' il pregiudizio economico patito dai creditori, a tener conto, soprattutto, dell'affermata sussistenza, nelle sentenze di merito, della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravita' (L.F. articolo 219, comma 1), sulla quale il gravame non ha speso argomenti di sorta; e ancora, l'entita' complessiva della distrazione delle risorse potenzialmente aggredibili dalla massa dei creditori - Euro 131.350 - esclude, oggettivamente, l'invocata tenuita' del danno. Deve essere aggiunto che la sentenza di primo grado - pag. 10 - ha quantificato l'entita' del passivo insinuato nella procedura concorsuale in un ammontare di Euro 402.461,35 per i crediti privilegiati e di Euro 150.346 quanto ai crediti chirografari. 12.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., stanti le cause dell'inammissibilita' che non consentono di escluderne la colpa, il ricorrente deve essere condannato - oltre al pagamento delle spese processuali - altresi' al versamento della somma di Euro 3000 a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente Dott. CAPOZZI Angel - Consigliere Dott. ROSATI Marti - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere Dott. RICCIO - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Messina il 06/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Riccio Stefania; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Riccardi Giuseppe, che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina ha confermato quella emessa dal Tribunale di Patti in data 25 febbraio 2021 che, in esito a rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni due, mesi otto di reclusione per il reato di peculato ex articolo 314 c.p., con applicazione della confisca per equivalente dei beni immobili e mobili anche registrati ai sensi dell'articolo 322-ter c.p., per un valore pari a Euro 20.692,00, la interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena principale ex articolo 37 e 317-bis c.p. e la condanna, dichiarata provvisoriamente esecutiva, al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, Consorzio Autostrade Sicilia, liquidati in misura di Euro 20.692,00, oltre interessi legali e rivalutazione. L'imputato e' stato ritenuto responsabile di essersi appropriato, nella qualita' di agente tecnico esattore addetto ai caselli autostradali, di parte del danaro incassato a fine turno nella propria postazione di lavoro per un importo pari a complessivi Euro 25.153,80, nel periodo gennaio - novembre 2013, cosi' come evidenziato dalla comparazione tra i dati indicati come riscossi dall'agente e i tabulati del sistema informatico di rilevazione dei transiti veicolari. 2. Avverso il provvedimento in premessa indicato propone ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1 Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 314 c.p. e mancata applicazione dell'articolo 646 c.p.. La difesa deduce che l'operatore addetto al casello che riceve i pedaggi autostradali versati dagli utenti non agisca in veste di incaricato di pubblico servizio, essendo privo, nell'espletamenti dei suoi compiti, di discrezionalita' ed autonomia decisionale, ed essendo le sue mansioni quasi del tutto meccanizzate e fungibili rispetto a quelle di una macchina erogatrice dei biglietti; ne consegue che, non sussistendo la qualifica soggettiva pubblicistica postulata dalla norma incriminatrice del peculato, la fattispecie andrebbe piuttosto riqualificata nel reato di appropriazione indebita. Vengono richiamati, al riguardo, plurimi arresti di questa Corte tra cui Sez. 6, n. 45465 del 11/07/2018, che ha affermato analogo principio con riferimento al dipendente di Trenitalia addetto allo sportello della biglietteria, il quale si appropri dei soldi ricevuti per l'acquisto dei titoli di viaggio, ma anche le difformi Sez. 6, n. 10759 del 09/03/2018 e Sez. 5, n. 39852 del 16/09/2015, a proposito del dipendente di Poste italiane che svolga attivita' di bancoposta. Il contrasto giurisprudenziale tra le evidenziate decisioni andrebbe risolto si sostiene - dalle Sezioni Unite. 2.2. Inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 521 e ss. c.p.p., con conseguente, mancata applicazione dell'articolo 157 c.p.. La riqualificazione del fatto nel reato di appropriazione indebita impone di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, maturata in data 29 luglio 2021, ossia prima della pronuncia della sentenza di appello, con conseguente revoca della disposta condanna al risarcimento del danno e della provvisionale. 2.3 Vizi di motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie. Diversamente da quanto si legge in sentenza, il teste (OMISSIS) ha riferito che l'esattore non valuta il titolo di accesso al servizio autostradale, ne' determina l'importo del pedaggio, ma si limita ad inserire il biglietto ricevuto dall'utente nell'apparecchio che visualizza l'importo dovuto in rapporto alla tipologia di veicolo. La Corte di appello non avrebbe tenuto conto dei ripetuti malfunzionamenti del sistema di rilevazioni dei passaggi e dei flussi telematici, tali da compromettere l'attendibilita' dei dati forniti, quanto alla effettiva sussistenza degli ammanchi ed alla loro riferibilita' all'imputato; peraltro, chiunque avrebbe potuto manomettere le buste termosaldate in cui erano inserite le distinte di versamento. 2.4. Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 314 c.p. e mancata applicazione dell'articolo 646 c.p., con riguardo all'elemento soggettivo del reato di peculato. Il dolo e' stato dedotto dalla circostanza che l'imputato riversasse ricorrentemente (nel periodo considerato) all'interno della busta termica solo una parte dell'effettivo incasso derivante dall'esazione dei pedaggi autostradali, senza tener conto che le discrasie con le risultanze del sistema informatico sono imputabili, come detto, ai frequenti malfunzionamenti del detto sistema. 2.5. Inosservanza ed erronea applicazione delle norme in tema di provvisionale, di spese del procedimento e di risarcimento dei danni. Viene formulata istanza di sospensione del pagamento della provvisionale stabilita in sentenza, tenuto conto che l'imputato e' stato sospeso dal servizio per la durata della pena inflitta, con totale privazione della retribuzione e che l'adempimento dell'obbligazione comporterebbe l'impossibilita' per lo stesso di provvedere ai propri bisogni primari, con conseguentemente necessita' di revoca della condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese. 3. Il procedimento e' stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio secondo la disciplina introdotta dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati, da ultimo dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, e dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, che propone diverse censure inammissibili, e' complessivamente infondato per le ragioni di seguito indicate. 2. E' infondato il primo motivo, che attiene alla qualificazione giuridica della condotta. 2.1. La censura fonda sulla contestazione della qualifica di incaricato di pubblico servizio, presupposto dell'addebito al ricorrente del reato di peculato. Nel solco di una risalente pronuncia (Sez. 6, n. 11417 del 21/02/2003, Sannia, Rv. 224050), la giurisprudenza di legittimita' ha accolto una nozione funzionale delle qualifiche pubblicistiche, per cui cio' che rileva affinche' l'attivita' svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi di cui agli articoli 357 e 358 c.p., e' che l'attivita' effettivamente svolta sia disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, non rilevando invece la forma giuridica dell'ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico, ne' lo svolgimento dell'attivita' in regime di monopolio, ne' tantomeno il rapporto di lavoro subordinato del singolo con l'organismo datore di lavoro. Nell'ambito dei soggetti che svolgono pubbliche funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale e' riservata a coloro che formano o concorrano a formare la volonta' della pubblica amministrazione o che svolgono tale attivita' per mezzo di poteri autoritativi o certificativi, mentre quella di incaricato di pubblico servizio e' assegnata dalla legge in via residuale. L'articolo 358 c.p. esplicita tale ultima nozione, stabilendo che per pubblico servizio deve intendersi un'attivita' omologa a quella della pubblica funzione, disciplinata nelle stesse forme, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri (deliberativi, autoritativi, certificativi) che tipicamente ineriscono ad essa. L'ambito applicativo della disposizione e' poi delimitato "verso il basso", nel senso che espressamente esulano dall'espletamento di un pubblico servizio le mansioni di ordine e la prestazione di opera meramente materiale, atteso che, come chiarito da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, il pubblico servizio e' comunque attivita' di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione con la quale solo si pone in rapporto di accessorieta' o complementarieta' (Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, Rv. 191172). Mansioni di ordine sono, dunque, quelle caratterizzate dalla mancanza di poteri decisionali ovvero dall'assenza di qualsivoglia margine di discrezionalita', e che percio' si esauriscono nello svolgimento di compiti semplici, solamente materiali o di pura esecuzione (Sez. 6, n. 1957 del 11/01/2023, D'Addetta, Rv. 284109, che richiama Sez. Lav., n. 3106 del 12/04/1990, Rv. 466637). Deve difatti osservarsi come il "tenore testuale dell'articolo 358 c.p. connoti le mansioni d'ordine e la prestazione di opera materiale rispettivamente con i termini "semplici" e "meramente" attraverso i quali la norma circoscrive la nozione in disamina, espungendone qualunque connotato di tecnicita' e di elevata responsabilita'. E cio' appare pienamente rispondente all'esigenza di evitare un'ingiustificata dilatazione della latitudine semantica della nozione in disamina, con riferimento, in particolare, al concetto di espletamento di funzioni "d'ordine" che, senza queste puntualizzazioni, diverrebbe potenzialmente idoneo ad estendersi ad amplissimi settori dell'area del lavoro subordinato" (Sez. 6, n. 6749 del 19/11/2013, dep. 2014, Gariti, Rv. 258995). Ebbene, la prevalente giurisprudenza di legittimita' ritiene che il maneggio di danaro di pertinenza dell'ente titolare del servizio, con i correlati obblighi di tenuta della relativa documentazione contabile, inerente ai flussi di cassa, nonche' di rendicontazione, e l'assoggettamento ai conseguenti controlli, esuli dall'espletamento di "semplici" mansioni d'ordine e di opera di carattere "meramente" materiale. Le sentenze di merito hanno fatto, dunque, corretta applicazione di principi consolidati, che il Collegio condivide ed intende ribadire. A questo orientamento si ascrivono, oltre alla piu' risalente sentenza Gariti, cit. (che ha ritenuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al cassiere di un'azienda municipalizzata per i trasporti addetto alla vendita di biglietti, sul presupposto che l'attivita' del medesimo richiede un bagaglio di nozioni tecniche, normative e di esperienza che esulano dall'esercizio di mansioni esclusivamente materiali o di ordine), piu' recenti arresti (Sez. 6, n. 21314 del 05/04/2018, Prospero, Rv.272949, per cui riveste la qualita' di incaricato di pubblico servizio il dipendente di (OMISSIS) S.p.A., addetto alla riscossione dei pagamenti su bollettino postale, il quale svolge una attivita' di riscossione, completata dalla apposizione del timbro di ricevuta poi restituito all'utente, e Sez. 6, n. 21739 del 01/03/2018, Waldner, Rv. 272929, con riferimento all'addetto ai servizi di biglietteria ferroviaria). Del resto, la pronuncia di diverso tenore richiamata dalla difesa a supporto della propria tesi (Sez. 6, n. 45465 del 11/07/2018, con riguardo alla condotta appropriativa di un dipendente di Trenitalia addetto allo sportello di biglietteria), non si pone neppure in effettivo contrasto con i precedenti sin qui enumerati, perche' attiene a mansioni non del tutto sovrapponibili a quelle in disamina e focalizza le sole connotazioni dei contratti di trasporto conclusi dall'addetto allo sportello, del tutto standardizzati quanto all'incasso dei corrispettivi, anch'essi predefiniti nel loro ammontare, onde la assoluta serialita' e l'assenza di qualsiasi discrezionalita' o impegno ideativo nelle mansioni, surrogabili dalle funzionalita' degli apparecchi automatici di vendita. 2.2. In base a tali coordinate ermeneutiche, le conformi sentenze di merito - che tra loro si saldano a formare una unitaria trama argomentativa - hanno evidenziato come il ricorrente svolgesse la propria attivita' di lavoro alle dipendenze di un ente pubblico non economico, il Consorzio per Autostrade Siciliane, esercente il servizio di gestione delle tratte autostradali e potenziamento delle relative infrastrutture in forza di concessione assegnata dal Ministero dei Lavori Pubblici e sotto il controllo dell'ente Regione; servizio pubblico avente un ruolo essenziale nel comparto mobilita' e soggetto a regolamentazione pubblicistica. In tale contesto il ricorrente era addetto, nella qualita' di agente tecnico esattore, alla riscossione del pedaggio presso i varchi autostradali. Pur essendo il servizio in parte automatizzato, l'operatore non si limitava ad inserire il titolo di viaggio nel dispositivo correlato alla c.d. bilancia, che quantifica il pedaggio per gli autotreni, differenziato per numero di assi, ma era in ogni caso tenuto a valutare il possesso e la legittimita' del titolo di accesso di qualsiasi utente. Quel che poi appare rilevante - ai fini che qui interessano - e' che l'operazione di riscossione si completava con la compilazione a fine turno di una distinta di versamento (la c.d. matrice), che lo stesso casellante era tenuto ad inserire in busta termo saldata, unitamente ai danari da depositare in cassa continua, dalla quale erano periodicamente prelevati a cura della societa' portavalori, mentre altra copia egli doveva depositare presso l'ufficio verifiche. I relativi dati erano soggetti a comparazione con i transiti attraverso i varchi rilevati dal sistema informatico gestito dal CED del Consorzio. Si tratta di compiti esecutivi, ma contraddistinti da un coefficiente di autonomia e discrezionalita' tipiche delle mansioni contabili, implicanti poteri di verifica e di natura certificativa - sia pure con valenza interna - quanto alla attestazione dell'importo complessivo riscosso e inserito nella busta destinata al tesoriere e in quella indirizzata alle verifiche, quali adempimenti necessari al fine di assicurare i danari oggetto di esazione al loro impiego. Compiti che, accanto a prestazioni di carattere materiale, implicano conoscenza e applicazione di normative, anche se a livello esecutivo, e che involgono profili, sia pure complementari e integrativi, di collaborazione nell'espletamento del pubblico servizio, con le correlate responsabilita'. 4. Disattesa la richiesta di riqualificazione ed avuto riguardo al limite edittale previsto per il delitto di peculato, non e' maturata la causa estintiva della prescrizione - come del resto presupposto dalla stessa difesa, che ha subordinato la richiesta di declaratoria della prescrizione alla riqualificazione del fatto nel reato di appropriazione indebita. Sono egualmente assorbite le questioni dirette alla revoca delle statuizioni civili, richiesta dalla difesa, sul presupposto, infondato in fatto - e comunque anche in diritto, alla luce del disposto dell'articolo 578 c.p.p. - che il termine prescrizionale fosse spirato prima della sentenza di appello. 5. Il terzo motivo, con cui si denuncia vizio di motivazione per travisamento della prova, e' inammissibile. La difesa si limita a dedurre che la deposizione del teste (OMISSIS) non sia stata correttamente interpretata, estrapolando, a supporto delle proprie deduzioni, solo una parte del contenuto delle sue dichiarazioni, e senza fornire la prova della verita' del diverso dato probatorio invocato (sulla nozione di travisamento della prova e sui suoi limiti, in caso di c.d. "doppia conforme" v. Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; nonche' Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777, per cui, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado). Nella specie, la sentenza impugnata non travisa alcunche' laddove espone che il predetto teste - le cui dichiarazioni sono state apprezzate negli stessi termini dalla sentenza di primo grado - ha escluso, nella propria veste di responsabile dell'Ufficio elaborazione dati del Consorzio Autostrade, che il sistema informatico della c.d. bilancia potesse avere registrato erroneamente il passaggio di autoarticolati, tenuti al pagamento di pedaggi piu' elevati, invece che di autovetture, cosi' come assunto dal difensore a giustificazione del minore importo riversato da Savarino rispetto a quello registrato dal detto sistema. Egli ha precisato che le anomalie rilevate nel periodo di interesse erano piuttosto dovute a difetti radicali di funzionamento (nel senso che la pista si bloccava ed il transito era impedito) e non invece a malfunzionamenti del dispositivo di "pesatura". I Giudici di merito hanno poi dedotto l'implausibilita' della tesi difensiva, posto che, per percentuali cosi' alte di errore, un simile malfunzionamento del dispositivo avrebbe dato luogo a contestazioni anzitutto da parte degli utenti, costretti ad esborsi significativamente maggiorati. Reiterando deduzioni gia' congruamente disattese dai Giudici di merito, la difesa sollecita una non consentita rivalutazione degli elementi fattuali cosi' apprezzati, sulla base di un'alternativa lettura della prova testimoniale. Di contro, pare persino superfluo ribadire il granitico indirizzo giurisprudenziale per il quale l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un perimetro limitato al riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle effettive acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri di questa Corte quello di "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U 13/12/1995 Clarke, Rv. 203428). Attiene a profili di stretto merito, ed e' come tale inammissibile, la censura relativa alla mancata prova dell'assenza di interventi manipolatori sulle buste sigillate. E comunque, val la pena evidenziare che, nella motivazione, il giudice del gravame non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012 Ud., Muia', Rv. 254107). 6. Aspecifiche e proposte per ragioni non consentite sono le deduzioni in punto di dolo. Con ragionamento inferenziale immune da illogicita' e contraddizioni, i Giudici di merito hanno desunto la volonta' appropriativa del ricorrente dalla reiterazione delle condotte, dalla entita' elevata degli ammanchi e dalla considerazione che eventuali anomalie dei meccanismi informatici di registrazione avrebbero dovuto far registrare analoghe discrasie (tra riscosso e passaggi rilevati) anche con riferimento ai casellanti che con il ricorrente si alternavano nei turni, il che non e' avvenuto. Ancora una volta, senza confrontarsi criticamente con la pronuncia impugnata, la difesa sconfessa tali valutazioni, riservate in esclusiva al giudice di merito, per rilanciare in termini assertivi la tesi, gia' confutata, della imputabilita' delle discordanze al malfunzionamento del sistema elettronico. 7. E' manifestamente infondato il quinto motivo. La invocata sospensione da parte di questa Corte di legittimita', a norma dell'articolo 612 c.p.p., dell'esecuzione della condanna civile, provvisoriamente esecutiva, e' provvedimento interinale, da adottarsi con ordinanza in camera di consiglio, e postula una richiesta di carattere interlocutorio, da introdurre in pendenza della decisione del ricorso. Ne consegue che non risulta correttamente impostata la richiesta di sospensione, avanzata nella forma di conclusione terminativa, da esaminarsi in sede di decisione del ricorso (in tal senso, Sez. 5, n. 1471 del 31/10/1991, dep. 1992, Benevento, Rv. 189083). Peraltro, nella specie il ricorrente non ha neppure assolto all'onere - che allo stesso incombeva - di dare prova del grave e irreparabile danno che potrebbe scaturire dalla esecuzione delle statuizioni civili, essendosi limitato ad allegare, in termini del tutto generici, l'esorbitanza dell'importo che e' stato condannato a versare a titolo risarcitorio, e delle correlate spese, rispetto alle proprie condizioni reddituali, anche in ragione della sospensione dal servizio irrogata dal Consorzio. Come puntualizzato da consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di sospensione dell'esecuzione della condanna civile al pagamento di una provvisionale - e lo stesso e' a dirsi nel caso in cui la condanna civile sia stata dichiarata, come nel caso che occupa, provvisoriamente esecutiva - e' necessario che ricorra un pregiudizio eccessivo per il debitore, che puo' consistere nella distruzione di un bene non reintegrabile ovvero, se si tratta di somme di denaro, nel nocumento derivante dal palese stato di insolvibilita' del destinatario della provvisionale, tale da rendere impossibile o altamente difficoltoso il recupero di quanto pagato, nel caso di modifica della condanna (Sez. 4, n. 927 del 28/09/2022, dep. 13/01/2023, Mastrominico, Rv. 283931; Sez. 5, n. 19351 del 18/12/2017, dep. 04/05/2018, Zambrelli, Rv. 273202). 8. Al rigetto segue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D - rel. Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/07/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ETTORE PEDICINI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; letta la memoria difensiva dei difensori del ricorrente, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 luglio 2021, la Corte di appello di Perugia confermava la sentenza di primo grado con la quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di truffa; (OMISSIS) era imputato, unitamente a (OMISSIS) (nei confronti del quale si era dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione) del reato di cui all'articolo 640 c.p. perche', quale dipendente del Comune di (OMISSIS), con artifici e raggiri consistiti (OMISSIS) nel timbrare il badge al posto del collega (OMISSIS), attestava la presenza in ufficio di (OMISSIS) durante il pomeriggio del (OMISSIS), procurandosi cosi' un ingiusto profitto, consistito nella retribuzione e nei suoi accessori in favore di (OMISSIS), con correlativo danno della pubblica amministrazione. 1.1. Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore di (OMISSIS), lamentando che la valutazione delle prove a carico di (OMISSIS) aveva inciso sulla posizione di (OMISSIS), mancando una lettura individualizzante del ruolo di (OMISSIS) nella vicenda; l'elemento volitivo del dolo era stato ritenuto sussistente sotto forma del dolo eventuale, desunto dalle incongruenze dichiarative, dal fatto che nulla poteva sapere (OMISSIS) della presenza al lavoro di (OMISSIS) e dalla considerazione che, se fosse stato vero che lo stesso aveva dimenticato il portafogli, non avrebbe avuto alcun senso la condotta di (OMISSIS) laddove aveva riposto il cartellino dietro la bacheca: tali argomentazioni erano errate, visto che gli elementi probatori dovevano orientare il giudice a sussumete l'elemento psicologico, semmai, nell'ambito della colpa, come emergeva dagli elementi emersi dall'istruttoria. 1.2 Il difensore rileva che la motivazione della sentenza appariva del tutto illogica nella parte in cui riteneva sussistente il requisito del dolo dalla circostanza che (OMISSIS) aveva lasciato il badge di (OMISSIS) sulla bacheca limitrofa all'apparecchio di timbratura. 1.3 Il difensore lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto. 1.4 I difensori del ricorrente presentavano memoria nella quale rilevano che tra il Comune di (OMISSIS) e il ricorrente era stato stipulato verbale di conciliazione, per effetto del quale, a fronte della rinuncia di (OMISSIS) alla prosecuzione del giudizio di impugnazione del licenziamento, il Comune di (OMISSIS) gli aveva erogato una somma di Euro 27.757,35 lordi, rinunciando "ad ogni pretesa azione e domanda, anche a titolo risarcitorio, dedotta o deducibile, nei confronti del sig. (OMISSIS) riconnessa al rapporto lavorativo intercorso ed alla sua cessazione, avendo il presente verbale la funzione di prevenire e definire ogni contenzioso fra le parti inerente i comportamenti e le prestazioni lavorative svolti dal sig. (OMISSIS) in favore del Comune di (OMISSIS)"; pertanto, le statuizioni civilistiche di cui alla sentenza penale di primo grado e a quella di appello erano state superate e travolte dal predetto globale accordo conciliativo; insistevano per l'accoglimento del terzo motivo di ricorso, osservando che il danno economico era stato quindi (sia ai sensi dell'articolo 131-bis c.p. previgente, sia di quello vigente dal 30.12.2022) eccezionalmente esiguo e l'offesa di particolarissima tenuita', e che, ai fini della corretta applicazione dell'articolo 131 bis c.p. occorreva valutare la ricorrenza dei due indici - criterio rappresentati dalla particolare tenuita' dell'offesa e dalla non abitualita' del comportamento, che nella specie rifluivano tutti a favore di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' fondato quanto alla eccezione relativa alla applicabilita' dell'articolo 131-bis c.p.. 1.1 Per quanto riguarda i primi due motivi di ricorso, infatti, sono precluse alla Corte di legittimita' sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata che l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una maggiore capacita' esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito (Sez. Un., sent. n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260). Nel caso in esame, le eccezioni sulla mancanza di dolo in capo a (OMISSIS) propongono una valutazione dei fatti diversa da quella operata dalla Corte di appello, ritenendo maggiormente logica la versione dei fatti fornita dall'imputato, operazione non consentita in sede di legittimita'. 1.2 Quanto alla applicazione dell'articolo 131-bis c.p., si deve ribadire che i presupposti che condizionano l'applicazione della causa di non punibilita' di cui al citato articolo sono normativamente individuati nella tenuita' dell'offesa e nella non abitualita' della condotta illecita, aspetti che devono imprescindibilmente coesistere; il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133, comma 1, c.p., delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo. Cio' premesso, nel caso in esame la Corte di appello ha rigettato la relativa richiesta rilevando il discredito che l'amministrazione di appartenenza avrebbe avuto a seguito della condotta dell'imputato: tale motivazione, pero', comporterebbe che, in tutte le ipotesi di truffa commesse ai danni della pubblica amministrazione, la causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto non potrebbe mai essere applicata, e non ha considerato tutti i criteri di cui all'articolo 133 c.p., tra cui devono essere evidenziati le modalita' della condotta (e quindi la non abitualita' del comportamento) e la modesta entita' del danno economico. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sulla sussistenza della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis cp.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere Dott. D�ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/12/2020 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI SALVO EMANUELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa PICARDI ANTONIETTA; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto per entrambi i ricorsi; udito il difensore: E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di: (OMISSIS) anche per l'avv. (OMISSIS) per il medesimo imputato il quale chiede l'accoglimento del ricorso; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di FIRENZE in difesa di: (OMISSIS) il quale chiede l'annullamento della sentenza. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale e' stata confermata, in punto di responsabilita', la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73 in relazione alla detenzione e ad una pluralita' di cessioni di cocaina, riqualificati i fatti Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 1, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero. 2. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiche' erroneamente sono stati qualificati i fatti ex articolo 73, comma 1, L. stup. senza una motivazione rafforzata. La Corte avrebbe invece dovuto confutare le valutazioni compiute dal primo giudice, dando conto delle difformi conclusioni assunte, con solido ancoraggio alle emergenze processuali e con considerazioni dotate di una forza persuasiva superiore a quelle formulate nella motivazione della sentenza di primo grado, poiche' l'obbligo di motivazione rafforzata e' un principio generale dell'ordinamento, applicabile ad ogni ipotesi in cui il giudice d'appello pervenga ad una soluzione contraria a quella del giudice di primo grado, anche in punto di qualificazione giuridica del fatto. Il giudice di primo grado, nel caso in esame, aveva valorizzato il fatto che la gestione dell'attivita' di spaccio avvenisse personalmente, sia per quanto atteneva al rifornimento di stupefacente sia per la vendita a terzi, che avveniva mediante consegna a domicilio della sostanza. Solo per brevi periodi allorche' egli partiva per l'Albania, chiamava un altro soggetto in sua sostituzione, remunerandolo con uno stipendio fisso. Cio' non costituisce indice di una redditivita' elevata dell'attivita' di spaccio, poiche' la retribuzione ammontava ad Euro 1500 mensili e cio' induce a ritenere che il guadagno fosse di poco superiore. Le vendite aumentavano di frequenza solo a ridosso del Natale e del Capodanno ma per tutto il rimanente periodo avevano una cadenza di gran lunga inferiore e di fatto erano limitate a un solo acquirente e cioe' il (OMISSIS). L'attivita' illecita era poco diffusa, gestibile con consegne a domicilio e limitata a 14 singoli acquirenti, con guadagni esigui e quantitativi di stupefacente modesti, e dunque meno offensiva dello spaccio da strada, accessibile a chiunque. Il dato quantitativo e qualitativo dello stupefacente oggetto di cessione denota un'attivita' assai modesta, connotata da rudimentalita' delle modalita' attuative, anche in riferimento all'occultamento dello stupefacente e al metodo con cui avvenivano le cessioni, sostanzialmente tramite semplici appuntamenti concordati telefonicamente e con linguaggio criptico. La Corte d'appello non ha confutato tali dati e non ha spiegato perche' la motivazione di primo grado sarebbe viziata. Le cessioni avevano ad oggetto circa 3 grammi per volta di cocaina, onde non si comprende perche' i capi a) e b) siano stati qualificati ex articolo 73, comma 1 mentre i capi c) e d) siano stati qualificati ai sensi del comma 5, nonostante avessero ad oggetto la medesima qualita' e quantita' di stupefacente. Si trattava di droga non di elevata ma soltanto di media qualita' e la quantita' detenuta era contenuta, considerato che il sequestro ha avuto ad oggetto poco piu' di 36 grammi netti. 2.1. La motivazione risulta viziata anche in ordine all'aumento di pena irrogato ex articolo 81 cpv. c.p., avendo il giudice d'appello individuato, a seguito della riqualificazione, una diversa pena - base per il nuovo reato ritenuto piu' grave, senza adempiere al relativo obbligo di motivazione. 3. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto egli non e' mai stato fatto oggetto di attivita' di o.c.p., di perquisizione personale, veicolare o locale, volta a reperire sostanza stupefacente oppure la Sim dell'utenza intestata alla cittadina cinese (OMISSIS), di cui al ricorrente si e' apoditticamente attribuita l'utilizzazione; ne' e' mai stato fotografato o filmato durante l'acquisto o la vendita di stupefacente o e' stato oggetto di individuazione personale in fase di indagini preliminari. Nemmeno e' stato sottoposto a specifiche attivita' di intercettazione telefonica. L'attribuzione al ricorrente dei dialoghi intercettati in ambientale sul veicolo in uso a (OMISSIS) riposa esclusivamente sulla convinzione che il (OMISSIS) fosse l'utilizzatore dell'utenza intestata alla cittadina cinese e conseguentemente che egli fosse l'acquirente prima e il venditore poi dello stupefacente. Ma l'analisi dei tabulati telefonici smentisce l'ipotesi, formulata dalla Corte d'appello, secondo cui il ricorrente, in preda a un ipotetico stato di ansia, avrebbe utilizzato l'utenza telefonica a se' intestata per riuscire a parlare con (OMISSIS), perche' anzi il tentativo di chiamata avvenuto sull'utenza intestata al (OMISSIS) e' avvenuto ben 10 minuti prima che l'utilizzatore dell'utenza intestata alla cittadina cinese iniziasse la sequela di 45 tentativi di chiamata all'utenza del (OMISSIS). Del resto, non vi era stato nessun problema di rete che obbligasse il ricorrente a utilizzare l'utenza a se' intestata. E' poi illogico ritenere che due telefoni agganciati a distinte celle siano vicini solamente perche' le celle d'aggancio sono vicine, non risultando l'ampiezza dell'area coperta dalle celle. Nemmeno e' dato comprendere da dove la Corte d'appello abbia tratto il convincimento che la convivente dell'epoca del (OMISSIS) avesse contatti con (OMISSIS) o che quest'ultimo frequentasse con regolarita' il (OMISSIS), non essendovi alcuna traccia di questi contatti. La prova del collegamento tra il ricorrente e gli spacciatori (OMISSIS) e (OMISSIS) viene inutilmente cercata nei tre tentativi di chiamata da parte dell'utenza intestata al ricorrente all'utenza formalmente intestata a (OMISSIS) e in uso al (OMISSIS), proprio per l'impossibilita' di dimostrare che l'utilizzatore dell'utenza intestata alla cittadina cinese fosse il ricorrente. La chiamata proveniente dal numero intestato al ricorrente all'utenza in uso al (OMISSIS), di cui si parla nell'annotazione del 13 dicembre 2018, non esiste ne' nei brogliacci ne' nei tabulati telefonici. Le intercettazioni operate sull'utenza intestata alla cittadina cinese hanno riguardato esclusivamente SMS e non traffico voce, ragion per cui l'operante di polizia giudiziaria non puo' aver avuto a disposizione alcun elemento significativo per procedere a un confronto delle voci ed eseguire un riconoscimento. Che il luogo di spaccio fosse in prossimita' del domicilio del ricorrente e' un elemento indiziario del tutto insufficiente per fondare la sua responsabilita'. E' poi illogico che il ricorrente abbia proposto ad (OMISSIS) di salire a casa a prendere lo stupefacente, poiche' il (OMISSIS), secondo l'assunto accusatorio, acquistava lo stupefacente da (OMISSIS) e non lo vendeva a quest'ultimo. Del resto, durante la captazione delle intercettazioni ambientali n. 42, 155 e 884, coinvolgenti (OMISSIS) e il possessore dell'utenza intestata alla cittadina cinese, il ricorrente risultava sempre impegnato in separate conversazioni telefoniche con l'utilizzo del proprio telefono cellulare. Ed e' meramente congetturale che l'utenza intestata a (OMISSIS) fosse utilizzata da un'altra persona, ad esempio dalla convivente. Illogicamente la Corte d'appello si limita ad evidenziare il dato topografico della vicinanza del luogo di intercettazione ambientale all'abitazione del ricorrente, elemento probatoriamente assolutamente insufficiente. E' apodittica l'affermazione secondo cui l'interlocutore di (OMISSIS) fosse (OMISSIS). 3.1. La motivazione e' carente anche in punto di trattamento sanzionatorio, poiche' e' stata irrogata una pena base in misura piu' che doppia rispetto al minimo edittale, senza alcuna motivazione specifica. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo del ricorso del (OMISSIS) e' infondato. Anche nell'attuale assetto normativo rimane infatti valido il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l'ipotesi della lieve entita' puo' essere ravvisata solo laddove l'offensivita' penale della condotta sia minima, secondo quanto si desume sia dal dato qualitativo e quantitativo che dai mezzi, dalle modalita' e dalle circostanze dell'azione (Sez. U, n. 35737 del 24/6/2010). L'accertamento della lieve entita' del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione, anche se all'esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entita', e' ben possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioe' che la sua intrinseca espressivita' sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu' degli altri, dovendosi conseguentemente escludere in tal caso il ricorrere di tale fattispecie (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076 - 02). Trattasi di valutazione di merito, insindacabile, in sede di legittimita', ove supportata da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso in esame, la Corte d'appello ha adeguatamente confutato le argomentazioni del primo giudice, evidenziando il dato quantitativo non irrisorio, stimabile per il solo (OMISSIS) in 300 grammi nell'arco temporale di sei mesi e, in generale, concernente importi medi di 300 - 400 Euro per cessione e comunque non inferiori ad Euro 150; il dato qualitativo degno di considerazione, poiche' la cocaina sequestrata aveva un principio attivo compreso tra il 43,73% ed il 49,03%; le modalita' e circostanze dell'azione, in quanto e' emerso che (OMISSIS) poteva disporre di un approvvigionamento continuo della sostanza, che veniva stoccata ed occultata in attesa della vendita, e poteva altresi' contare su una ampia clientela fidelizzata, con forniture a domicilio della sostanza. Forniture che non potevano essere interrotte, tanto che (OMISSIS) nel periodo di assenza dall'Italia dovette munirsi di un sostituto, nella persona di (OMISSIS), con la prospettiva di farsi nuovamente sostituire nei mesi estivi. Di fatto (OMISSIS) lavorava alle dipendenze di (OMISSIS), cio' che denota non solo il livello organizzativo raggiunto ma anche e soprattutto la redditivita' dell'attivita' intrapresa, che consentiva a (OMISSIS) di remunerare il suo complice con 1500 Euro al mese. Di qui l'esclusione dell'ipotesi di cui all'articolo 73, comma 5 L. stup. Trattasi di motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. 2. Il secondo motivo di ricorso esaurisce la propria rilevanza sul terreno del merito. La Corte d'appello ha infatti sottolineato la continuita' dell'attivita' di spaccio, il numero e la fidelizzazione dei clienti, con consegne a domicilio, si' da garantirsi proventi continui, la professionalita' dell'attivita': motivazione senz'altro congrua ed esente da vizi logico-giuridici, in quanto ancorata a precisi dati di fatto, analizzati con cura dal giudice di merito. 3. Il primo motivo del ricorso del (OMISSIS) e' privo di fondamento. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimita' sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilita' razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 37006 del 27/9/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6/6/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimita', nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti ne' deve condividerne la giustificazione ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento, atteso che l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimita', che e' giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non puo' divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo e' riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicita' della motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 8570 del 14/1/2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3/9/2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5/7/2004, Scarcella; Sez. 5, n. 22771 del 15/4/2004, Antonelli). 3.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato la rilevanza probatoria dei ripetuti tentativi di contattare il numero in uso a (OMISSIS), anche con l'utilizzo, da parte del (OMISSIS), dell'utenza a se' intestata. D'altronde - argomenta il giudice a quo - il difetto di coincidenza delle cellule agganciate dalle due utenze si spiega agevolmente, trattandosi di utenze relative a differenti operatori telefonici, con conseguente utilizzo di reti diverse, ma si tratta di celle comunque ubicate nel medesimo territorio e poco distanti l'una dall'altra, come attestato dalle indagini svolte dalla polizia giudiziaria. La Corte d'appello ha anche evidenziato l'incongruita' logica della prospettazione secondo la quale la convivente di (OMISSIS) dovrebbe aver avuto contatti per motivi di droga con (OMISSIS) all'insaputa di (OMISSIS), che contemporaneamente si frequentava con regolarita' con (OMISSIS). Il giudice a quo ha anche sottolineato lo spessore probatorio degli elementi che permettono di collegare il (OMISSIS) all'utenza di riferimento, con particolare riguardo al tracciamento GPS di (OMISSIS) ed (OMISSIS) che si recavano sotto l'abitazione di (OMISSIS) preannunciandosi con SMS provenienti appunto da tale utenza. Per quanto attiene al riconoscimento della voce di (OMISSIS), la Corte territoriale ha sottolineato l'attendibilita' di tale riconoscimento, effettuato dall'operatore di polizia giudiziaria che, dopo aver ascoltato la voce nelle intercettazioni telefoniche, l'aveva riconosciuta nell'intercettazione ambientale. Il giudice a quo ha poi sottolineato come svariate conversazioni in cui si discute dei corrispettivi si siano svolte sotto l'abitazione del (OMISSIS), previo appuntamento via SMS tra l'utenza di (OMISSIS) e quella di (OMISSIS). Cosi' come la Corte territoriale ha evidenziato la rilevanza degli importi, fino ad almeno 4000 Euro. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum e' dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio' a superare lo scrutinio di legittimita', avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita', e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in questa sede. 4. Nemmeno l'ultimo motivo del ricorso del (OMISSIS) puo' essere accolto. Le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono, infatti, insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata e' senz'altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale posto in rilievo che si tratta di attivita' di spaccio di droga pesante, commessa con continuita' da un soggetto con un precedente specifico. 5. I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A. - Consigliere Dott. ARIOLLI Giovanni - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); Da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BARI; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/06/2021 della CORTE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ARIOLLI GIOVANNI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CUOMO LUIGI; Il Proc. Gen. conclude per l'accoglimento del ricorso del PG per i capi D ed E e per l'annullamento con rinvio della sentenza Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento senza rinvio sul capo relativo alla confisca per il ricorso di (OMISSIS) e per l'inammissibilita' nel resto; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS); Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento senza rinvio sul capo relativo alla confisca del ricorso di (OMISSIS) e per l'inammissibilita' nel resto; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS); uditi i Difensori: L'avvocato VANNETIELLO DARIO in difesa di (OMISSIS) preliminarmente fa presente che rinuncia a tutto il motivo n. 4 del ricorso e insiste per l'accoglimento del ricorso nel resto. L'avvocato METTA FRANCESCO in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), conclude per l'inammissibilita' del ricorso del Proc. Gen.; L'avvocato VIANELLO ACCORRETTI VALERIO in difesa di (OMISSIS) insiste per l'accoglimento del ricorso; L'avvocato CAIRA CLAUDIO in difesa di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 22/06/2021 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia, ha rideterminato la pena loro inflitta in ordine alle imputazioni rispettivamente ascritte. Anche il P.G. presso la Corte di appello di Bari ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe, nella parte in cui ha assolto, perche' il fatto non sussiste, (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati di estorsione aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p., loro rispettivamente ascritti ai capi D) ed E) della rubrica. Con distinti ricorsi, gli imputati deducono diversi motivi che, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Il difensore di (OMISSIS), nel corso della discussione, ha rinunziato al quarto motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Ricorso di (OMISSIS) (capo B) della rubrica, articoli 110, 81 cpv. c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 in relaz. articolo 628 c.p., comma 2, n. 3 e L. n. 203 del 1991, articolo 7; unificato il reato, con continuazione interna ed esterna con capo A, articolo 416-bis c.p., commi 2, 3 e 4, per cui ha riportato condanna dalla Corte di appello di Bari, con sentenza del 13/04/2018). 1. inosservanza dell'articolo 179 c.p.p., Decreto Legislativo n. 116 del 2017, articolo 12, Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 43-bis e L. n. 57 del 2016, articolo 2, n. 5, lettera b). 1.1. Si reitera l'eccezione di nullita' della sentenza di primo grado per avere partecipato al giudizio e concorso a deliberare la sentenza un giudice onorario di pace (all'istruttoria dibattimentale avevano parzialmente partecipato anche altri due g.o.t.), in violazione del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 116 del 2017, articolo 12 e articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a), n. 2) e n. 3). 1.2. Si solleva, in subordine, eccezione di legittimita' costituzionale del Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 43-bis, in riferimento agli articoli 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede il divieto di partecipazione del giudice onorario quale componente del collegio giudicante, ai procedimenti per delitti di criminalita' organizzata. 1.1. L'eccezione di nullita' e' infondata. La disposizione del Decreto Legislativo n. 117 del 2017, articolo 12 - che ha introdotto il divieto di utilizzare, nei collegi dibattimentali, i giudici onorari di pace (ex got) allorche' si proceda per delitti di cui all'articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a) n. 2) e 3) - e' entrata in vigore il 15 agosto 2017, mentre il decreto che dispone il giudizio, per quanto e' dato ricavarsi dalla lettura della sentenza di primo grado, e' del 07/02/2017 (e, dunque, l'esercizio dell'azione penate, da ricondursi alla richiesta di rinvio a giudizio e' pure antecedente) e la prima udienza dibattimentale si e' tenuta il 03/07/2017 nel corso della quale e' stato escusso un teste ed acquisiti, con il consenso delle parti, diversi atti. Pertanto, il processo risulta essersi incardinato prima della vigenza del divieto e, conseguentemente - con riguardo alla trattazione di tale giudizio - erano ben applicabili le disposizioni tabellari che consentivano al presidente del tribunale di integrare, per tutta la durata di quel giudizio, i collegi ricorrendo, stante la necessita', ai giudici onorari. In tal senso depongono le stesse disposizioni del decreto legislativo: l'articolo 30, comma 2, dispone che resta ferma l'assegnazione dei procedimenti civili e penali ai giudici onorari di pace in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto come giudici onorari di tribunale effettuata, in conformita' alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, prima della predetta data, nonche' la destinazione degli stessi giudici a comporre i collegi gia' disposta antecedentemente alla medesima data; l'articolo 30, comma 6, stabilisce che, per i procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a), iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l'azione penale. Inoltre, si precisa che la destinazione e' mantenuta sino alla definizione dei relativi procedimenti. 1.2. L'eccezione di illegittimita' costituzionalita' della disposizione di ordinamento giudiziario relativa all'esercizio delle funzioni dei giudici onorari e' manifestamente infondata. E', infatti, la stessa Costituzione che prevede il concorso all'esercizio della giurisdizione dei magistrati onorari, con riguardo all'esercizio della giurisdizione di ogni ordine e grado (si pensi al Tribunale per i minorenni, ai Tribunali militari, sino alla Corte di assise ove vi e' una maggioranza di giudici popolari). La legge, poi, detta specifiche disposizioni sia in tema di reclutamento che di periodica conferma volte ad assicurarne la professionalita'. Sono stabilite molteplici ipotesi di incompatibilita' al fine di garantirne l'imparzialita' e l'indipendenza. E', poi, stabilita la limitazione all'utilizzo xc di un solo giudice onorario, cosi' assicurandosi, in ragione della stabile presenza dei giudici di carriera il necessario supporto di tipo specializzante. Si tratta, pertanto, di materia riservata alla discrezionalita' del legislatore, ove viene in rilievo anche l'interesse costituzionale all'amministrazione della giustizia, non sindacabile in questa sede. 2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo alla misura dell'aumento di pena a titolo di continuazione (sui fatti di cui alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Bari il 13/06/2016) stabilito in ordine al reato per cui e' processo, determinato, in assenza di motivazione e di proporzione anche specifica, in anni sei di reclusione a fronte della pena inflitta per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, di pari gravita', stabilita in anni uno di reclusione. 2. Il motivo e' fondato. In tema di applicazione della disciplina del reato continuato, il giudice che ritenga di applicare un aumento di pena particolarmente significativo per il reato-satellite, e' tenuto a fornire specifica motivazione sulle ragioni dell'entita' di detto aumento, atteso che il riconoscimento del medesimo disegno criminoso implica, di per se', una minore offensivita' della condotta illecita aggiuntiva, che e' stata ricondotta ad uno dei delitti fine riconducibili al delitto associativo di stampo mafioso per cui il ricorrente ha riportato condanna irrevocabile in altro giudizio e in relazione al quale e' stata stabilita dall'altra autorita' giudiziaria la pena base di anni nove di reclusione. Nel caso in esame, l'aumento a titolo di continuazione non solo risulta particolarmente elevato rispetto alla forbice consentita ex articolo 81 cpv. c.p. al giudice che deve stabilire la misura dell'aumento, ma anche rispetto alla stessa pena base stabilita per il reato piu' grave e, financo, rispetto ad altro reato posto in continuazione dall'altro giudice, in materia di violazione della legge stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1), per il quale e' stabilita dalla legge una significativa pena massima al pari del delitto estorsivo. Per come affermato dalle S.U. di questa Corte, il giudice, allorche' si discosti dal minimo edittale, e' tenuto a dare motivatamente conto anche in ordine all'entita' dei singoli aumenti per i reati-satellite ex articolo 81 c.p., comma 2, in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all'uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena-base (Sez. u, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). Il mero e generico riferimento, addotto dalla sentenza impugnata a ragione dell'aumento, ad indici di gravita' del reato in ragione del suo perdurare nel tempo non risulta soddisfattivo dell'obbligo di motivazione richiesto in ragione dei principi sopra affermati. 3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilita' con riguardo all'estorsione di cui al capo b) della rubrica. La censura attiene tanto all'assenza di idonei elementi di prova, anche di tipo indiziario, a fondare la condanna, a fronte di molteplici criticita' attinenti all'affidamento del contenuto delle captazioni ed alla ricostruzione della vicenda estorsiva. 3. Il motivo risulta riproduttivo di profili di censura, eminentemente di merito, sollevati con l'atto di appello e adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale. Quest'ultima, dopo avere ricostruito la sussistenza dell'estorsione sulla scorta del significativo contenuto dei dialoghi captati dei soggetti direttamente coinvolti, ne ha asseverato il coinvolgimento del ricorrente, in aderenza all'imputazione di carattere concorsuale al medesmo elevata, in quanto soggetto stabilmente destinatario delle somme estorte all'imprenditore, per come ricavato dal contenuto delle conversazioni intrattenute dalla persona offesa, nonche' dai legami con chi fece da tramite e, soprattutto, dall'esistenza di un preciso nesso di interdipendenza logico-temporale che lega le dazioni a precisi luoghi direttamente riferibili alla sfera giuridica dell'imputato. Una volta asseverato, dunque, che il ricorrente, mediante i suoi tramiti, abbia ricevuto parte del prezzo estorsivo, la circostanza che lo stesso, per quanto prospettato dalla difesa, non sia stato diretto autore della minaccia o non si siano registrati diretti incontri con la persona offesa, non assume alcuna valenza distonica ai fini della sua estraneita' al delitto contestato; invero, al di la' del fatto che le sentenze di merito precisano come la persona offesa ascrivesse a vere e proprie imposizioni le richieste dell'imputato e allo stesso facesse espresso riferimento nell'ambito della vicenda estorsiva, il ricorrente e' indicato di avere rafforzato il proposito criminoso espresso dal fratello: trattandosi di concorso di persone nel reato, la condotta tipica puo' essere realizzata da taluni degli altri concorrenti, essendo sufficiente, per i coimputati avere apportato un contributo causale, anche di tipo istigatrice o rafforzativo della pretesa espressa da altri, anche previa intesa. E che si tratti di estorsione e' stato correttamente ricavato non solo dal contesto mafioso-territoriale in cui vengono inseriti i fatti e gravitano i soggetti coinvolti, tra cui spicca lo stesso ricorrente in considerazione della sua appartenenza alla criminalita' organizzata locale, ma anche dall'assenza di una causale al versamento periodico del tandundem da parte dell'imprenditore estorto. Del resto, il ricorrere dell'ipotesi del cd. imprenditore colluso, a cui la difesa fa riferimento, si fonda su un'alternativa lettura delle fonti di prova, motivatamente disattesa dal giudice del merito essendosi precisato - attraverso una interpretazione priva di manifeste illogicita' - come nessun diretto corrispettivo in termini di vantaggio derivante all'imprenditore dai rapporti con i mafiosi ne derivasse nell'attivita' della sua azienda, bensi' che altri malavitosi non dovevano importunarlo, secondo il notorio cliche' che caratterizza il pagamento sistemico del pizzo ad opera delle attivita' commerciali ed imprenditoriali. Si e', dunque, al cospetto della cd. estorsione ambientale, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che e' immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volonta' della vittima (sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Bonasorta, Rv. 261632 - 01). In conclusione, in ordine all'affermazione di responsabilita', la sentenza impugnata si sottrae ai vizi di legittimita' denunziati, anche in forza del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimita', secondo cui la sentenza di merito non e' tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Sez. 4, sent. n. 26600 del 13/05/2011, Rv. 250900). Il richiamo di tale principio consente di escludere il paventato vizio di omessa motivazione nella parte in cui si denuncia una inconciliabilita' tra quanto affermato dalla Corte di merito e quanto sarebbe stato asseverato nella sentenza irrevocabile di condanna emessa nel corso del giudizio abbreviato nei confronti dei coimputati (OMISSIS) ed (OMISSIS). Del resto, sul punto, va anche precisato che la doglianza, con riguardo all'unica ipotesi estorsiva per cui e' stata affermata, al pari dei coimputati, la condanna (ossia quella di cui al capo B della rubrica, essendo l'imputato stato assolto da quella sub C), risulta essere diretta ad una rilettura delle fonti di prova acquisite nel corso del giudizio, preclusa a questa Corte. Inoltre, nessuna preclusione puo' derivare al giudice del merito dalla rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite in un processo svoltosi con forme di acquisizione differenti. 4. Omessa motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: 4.1. all'esclusione della continuazione interna (mesi tre di reclusione), stante l'unitarieta' della condotta (unicita' del fine, contestualita', immediato succedersi dei singoli atti); 4.2. all'applicazione della recidiva reiterata, essendosi fatto riferimento alle argomentazioni svolte per giustificare l'aggravante speciale del metodo e della finalita' mafiosa, cosi' duplicando la sanzione, la quale trova risposta sanzionatoria nell'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 e articolo 416-bis.1 c.p.. 4.3. sull'aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 (mancanza anche grafica della motivazione). 4. I motivi in ordine al trattamento sanzionatorio sono inammissibili sia perche' manifestamente infondati, sia perche' rinunziati nel corso della discussione orale dal difensore. In particolare: 4.1. la censura e' generica, a fronte di una descrizione del fatto in cui i diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonome condotte di reato, causalmente efficienti a perseverare e conservare la tangente estorsiva, unificabili con il vincolo della continuazione, in quanto singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalita' di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualita'. 4.2. il motivo e' manifestamente infondato, in quanto l'applicazione della recidiva rinviene congrua motivazione, all'interno di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto. A tale riguardo, il giudice del merito, lungi dall'operare un'automatica duplicazione del giudizio di disvalore espresso ai fini circostanziali, ha al contrario valutato tali profili di maggiore gravita' del reato alla stregua dei pregressi precedenti penali annoverati dal ricorrente, che risultano essere stati analiticamente apprezzati (v. pag. 107 sentenza di primo grado), sulla scorta di un giudizio complessivo che necessariamente involge il fatto nella sua intera portata di disvalore, in quanto, ai fini della recidiva, cio' che rileva e' il "nuovo reato", da intendersi comprensivo di tutte le sue tipiche connotazioni, anche di tipo aggravante che ben possono assumere valenza dimostrativa di maggiore pericolosita'. 4.3. la censura e' generica, in quanto non si specificano le doglianze mosse al riguardo con l'atto di appello, ossia le ragioni per cui la circostanza non militerebbe per il ricorrente. Peraltro, la circostanza rinviene puntuale motivazione nelle sentenze di merito, ove si e' fatto riferimento "alla qualita' soggettiva del ricorrente, esponente di rilievo del gruppo criminale ex articolo 416-bis c.p., qualita' acclarata da sentenze passate in giudicato" (cfr. pag. 104 sentenza di primo grado). 5. In conclusione, va annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'aumento disposto a titolo di continuazione per il reato di cui al capo B) della rubrica, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto. Va, invece, rigettato nel resto il ricorso e dichiarata irrevocabile l'affermazione di responsabilita' dell'imputato. Ricorso di (OMISSIS) (capo G) della rubrica, articolo 110 c.p., Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinques e L. n. 203 del 1991, articolo 7 con attenuanti generiche e pena sospesa; conferma della sentenza del Tribunale di Foggia). 1. Inosservanza degli articoli 270 e 191 c.p.p., per avere acquisito e valutato il risultato di intercettazioni telefoniche da ritenersi inutilizzabili - in quanto acquisite da altro procedimento in difetto dei presupposti normativi essendosi meramente fatto riferimento all'esistenza di un generico collegamento probatorio - sul rilievo che la questione non era stata tempestivamente sollevata nei motivi principali di appello (in quanto proposta soltanto con successiva memoria difensiva). Al riguardo, adduce il ricorrente che la sanzione processuale dell'inutilizzabilita' non rientra tra le questioni collocate nella disponibilita' delle parti e si e' in presenza di un vizio sempre rilevabile d'ufficio. 1. Il motivo non e' fondato. Il ricorrente, infatti, non distingue il piano della rilevabilita' del vizio con quello del suo accertamento. L'inutilizzabilita' e' un vizio e in cio' puo' concordarsi con la prospettazione difensiva - che vive di un perimetro di definizione indefinito: non esiste infatti, un meccanismo di preclusione processuale che derivi dalla mancata devoluzione del vizio, trattandosi di una illegalita' che l'ordinamento ritiene di dover trattare in modo peculiare e porvi rimedio attraverso la relativa rimozione nel momento stesso in cui il giudice ne accerti la sussistenza. Cio' non toglie, tuttavia, che il concetto di accertamento del vizio rappresenti una realta' processuale non piu' eludibile, al pari di qualsiasi altro accertamento giudiziale. Sicche', in presenza di una devoluzione del vizio o di una sua rilevazione ex officio da parte del giudice, quel vizio vive e si identifica nei limiti e nei termini in cui esso ha formato oggetto dell'accertamento di cui si e' detto. In quest'ultimo caso, dunque, l'eventuale "riviviscenza" del vizio passa necessariamente attraverso la catena impugnatoria del relativo accertamento al pari di qualunque altro termine che assuma i connotati di una regiudicata. Altrimenti si giungerebbe all'irragionevole conseguenza che, una volta dedotto, esaminato e svolto un accertamento giudiziale sul vizio, l'ordinamento processuale dovrebbe assumere una sorta di posizione di indifferenza rispetto alla mancata successiva deduzione della questione nella conseguente fase impugnatoria, ammettendo una "riviviscenza" di carattere recuperatorio di una preclusione che si e' formata in conseguenza della mancata deduzione ad opera della parte che, quel vizio, aveva invece prima introdotto. Al riguardo, proprio con riferimento al caso in esame, puo' richiamarsi l'orientamento di legittimita', che il Collegio condivide, secondo cui deve ritenersi inammissibile un motivo nuovo di ricorso, presentato ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, avente ad oggetto un punto della decisione non investito dall'atto di ricorso originario, operando la preclusione prevista dall'articolo 167 disp. att. e trans. anche se la deduzione riguarda l'inutilizzabilita' prevista dall'articolo 191 c.p.p., comma 2, occorrendo pur sempre che l'eccezione venga proposta con l'atto di ricorso principale (fattispecie relativa alla inutilizzabilita' del risultato delle intercettazioni dedotta solo come motivo nuovo). (Sez. 1, n. 33662 del 09/05/2005, Rv. 232406 - 01; conformi: Sez. 6, n. 30130 del 2021; Sez. 4, n. 12157 del 2021; Sez. 2, n. 11839 del 2018). E tanto a prescindere dall'annessa illustrazione in ricorso dell'incidenza della eventuale eliminazione dell'elemento di prova viziato ai fini della "prova di resistenza". Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilita' di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita' per aspecificita', l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (ex multis v. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218 - 01). 2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'elemento materiale e psicologico del delitto di cui all'articolo 512-bis c.p., nonche' vizio di travisamento dei documenti acquisiti. La censura attiene alla natura elusiva dell'operazione; si lamenta che i giudici di merito si siano arrestati alla mera constatazione dell'avvenuta interposizione in difetto degli altri elementi prescritti dalla legge. Mancavano elementi che consentissero di ritenere l'acquisto del bene addebitabile al (OMISSIS) (soggetto interposto) e che la somma versata fosse sproporzionata alle sue capacita' reddituali come a quelle dello stesso ricorrente. Peraltro, il ricorrente, allorche' aveva effettuato la vendita del terreno (il 05/02/2016 in favore di (OMISSIS)), non aveva ancora conoscenza delle indagini o della pendenza del processo e cio' escludeva un intento strumentale dell'atto negoziale compiuto. 2. La censura e' generica. Il ricorrente, infatti, riproduce le medesime doglianze mosse con l'atto di appello ed omette di confrontarsi con la precisa ricostruzione della vicenda che ha portato il giudice del merito ad affermarne il coinvolgimento come concorrente necessario nel reato contestato, in ragione della convergenza delle molteplici fonti di prova indicate dalla sentenza impugnata e da quella del Tribunale richiamata sul punto (esiti delle intercettazioni dei dialoghi intervenuti tra terzi e tra il ricorrente ed il (OMISSIS), s.i. di persone a conoscenza dei fatti, servizi di rilevamento operati dalla polizia giudiziaria). Emerge, infatti, come il (OMISSIS) avesse da tempo la disponibilita' effettiva del terreno de quo, che lo stesso fosse stato intestato fittiziamente al ricorrente nell'ambito di una stretta conoscenza esistente tra i due da epoca risalente e di gran lunga antecedente al momento in cui poi l'imputato vendette il terreno a terzi nel 2016. Peraltro, lungi dal fondare l'affermazione di responsabilita' esclusivamente sul dato oggettivo dell'interposizione - peraltro ricavata anche da quanto appreso al riguardo dalla stessa ex moglie del (OMISSIS) - i giudici di merito hanno indicato una serie di significative intercettazioni da cui risulta come il ricorrente avesse ben presente la caratura criminale del (OMISSIS) e come fosse in realta' un suo prestanome stante il rapporto di subordinazione esistente tra i due. L'epoca delle conversazioni e degli accertamenti eseguiti dalla p.g., il contenuto delle informazioni acquisite e l'esito del procedimento penale che ha portato poi il (OMISSIS) ad essere condannato per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., danno piena contezza, sul piano logico-fattuale, di come tale intestazione fosse coerente con il disegno del (OMISSIS) - riferito anche dalla ex moglie - di sottrarre il bene alla possibile applicazione della misura di prevenzione della confisca, stante anche l'assenza di valide alternative giustificative lecite fornite al riguardo dal ricorrente (e solo genericamente riferite nel presente ricorso) e l'esito degli accertamenti svolti sulla sua incapiente capacita' patrimoniale di far fronte all'acquisto del bene (vedi pag. 60 della sentenza impugnata e pagg. 131-132 sentenza di primo grado). Quanto al dolo, poi, le sentenze di merito risultano avere fatto corretta applicazione del principio affermato dalla Corte di legittimita' secondo cui risponde di concorso ex articolo 110 c.p. in un reato a dolo specifico anche il soggetto che apporti un contributo che non sia soggettivamente animato dalla particolare finalita' richiesta dalla norma incriminatrice, a condizione che almeno uno degli altri concorrenti - non necessariamente l'esecutore materiale - agisca con tale intenzione e che della stessa il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954 - 03; Sez. 5, n. 36198 del 24/05/2022, La Penna, pag. 5; Sez. 5, n. 3555 del 07/07/2021, Coen, pag. 24). 3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante "mafiosa" nella sua declinazione soggettiva dell'agevolazione. La motivazione resa al riguardo dal giudice del merito era apodittica essendosi fatto un laconico riferimento al fatto che l'interposizione fittizia avrebbe consentito di mantenere inalterato il patrimonio del sodalizio, cosi' confondendosi il patrimonio del singolo con quello dell'associazione, essendo stata l'operazione semmai compiuta per vicende strettamente personali e familiari del (OMISSIS) volte al reperimento di un'abitazione. 3. La censura e' inammissibile poiche' muove da un presupposto di fatto, ossia che l'intestazione fittizia fosse avvenuta per soddisfare esclusive esigenze di carattere personale del (OMISSIS), che non solo risulta essere stato asseverato dalle sentenze di merito che hanno, invece, ricondotto una tale operazione alla finalita' di consentire all'associazione mafiosa di mantenere intatta la ricchezza accumulata, ma neppure specificamente dedotto, con le dovute allegazioni, nel giudizio di appello. 4. In conclusione, il ricorso va rigettato, condannandosi il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ricorso di (OMISSIS) (capo A), articoli 110, 81 cpv. c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 in relazione all'articolo 628 c.p., comma 2, n. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, articolo 7). 1. Violazione ed erronea applicazione degli articoli 110-629 c.p., in relazione all'articolo 192 c.p.p.. Nel ripercorrere i motivi di appello, si evidenzia come la difesa avesse prospettato una lettura diversa della vicenda ed aderente ad una completa disamina delle fonti di prova (le dichiarazioni di (OMISSIS) e soprattutto quelle relative al compendio intercettivo), che vedeva la presunta persona offesa assumere la veste dell'imprenditore colluso (questa era stata destinataria anche di un provvedimento di prevenzione patrimoniale), ascrivendosi i rapporti tra le parti - originati in circostanze occasionali - a contesti privi di connotazione estorsiva (si fondavano su una consolidata amicizia e su reciproci interessi), di talche' anche l'ipotizzata fittizia intestazione del rapporto di lavoro doveva collocarsi in diverso ambito, risultando la ricorrente parte legittima di una piu' ampia comunanza di interessi tra le parti. In sostanza, esclusa qualunque iniziativa della ricorrente in ordine all'instaurarsi del rapporto di lavoro, esistevano tra le parti (l'imprenditore da un lato ed il fratello ed il marito della ricorrente dall'altro), interessi economici reciproci che tale fittizio rapporto di lavoro avrebbe originato: l'imprenditore verosimilmente godeva di agevolazioni nell'aggiudicazione degli appalti sul territorio, i secondi ricevevano una forma di "ricompensa" in denaro. Contraddittoria era dunque la conclusione a cui era pervenuto il Tribunale, che pur aveva ammesso l'esistenza di un rapporto di amicizia tra le parti e la consapevolezza in capo all'imprenditore delle dinamiche criminali del territorio. Frutto di travisamento era l'affermazione che il (OMISSIS) controllasse le assunzioni della ditta. Tanto premesso la censura si incentra: - sull'osservanza dei criteri regolanti, ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., la prova indiziaria e sulla logicita' delle motivazioni al riguardo rese; - sulla tecnica motivazione, in quanto il mero riferimento al dictum del Tribunale si traduceva in un non liquet sulle specifiche doglianze sollevate con l'atto di appello, in violazione dell'articolo 27 Cost., comma 2, e della regola di cui all'articolo 533 c.p.p.; - sull'assenza di motivazione in punto di inutilizzabilita' a favore dell'imputata delle dichiarazioni della (OMISSIS), pur assunte in violazione delle regole processuali (senza la presenza del difensore nel corso del dibattimento di primo grado) e su cui la difesa aveva fondato la tesi a discarico: - all'aver valorizzato ai fini della valenza estorsiva della vicenda i dialoghi relativi alla questione del Consorzio, temporalmente successiva ai fatti oggetto di contestazione e comunque estranea alle dinamiche connesse al rapporto di lavoro della ricorrente e ai rapporti con l'imputata, il marito ed il fratello (era, infatti, soltanto in tale contesto che la p.o. afferma che non poteva dirsi di no a certi soggetti); - all'aver valorizzato altra conversazione ai fini della consapevolezza della natura estorsiva della vicenda in capo alla ricorrente, in realta' relativa all'intrusione nei confronti di altro soggetto. Con riguardo, poi, alla qualificazione giuridica del fatto, richiamate le considerazioni svolte sulla presenza di un vantaggio derivante all'imprenditore dall'operazione de quo, si sottolinea come si fosse ricavata l'estorsione dalla natura fittizia del rapporto, omettendo di specificare l'esistenza della violenza e minaccia (da escludersi a detta della difesa in ragione dell'assenza della causale di tipo coercitivo), essendosi fatto generico riferimento all'esercizio di un silente indimostrato potere intimidatorio (cd. suggestione territoriale. Si evidenzia, infine, l'assenza dimostrativa di un legame tra la ricorrente e gli altri imputati, il cui onere chiarificatore non poteva farsi gravare sull'imputata. 1. Il motivo non e' fondato. La Corte di appello risulta avere dato sufficiente risposta ad alcuni profili aventi rilievo decisivo, come l'assenza della qualita' di "imprenditore vittima del (OMISSIS)", che piuttosto era da qualificarsi come un "imprenditore colluso". In sostanza, attraverso tali argomentazioni, la difesa mira a sostenere che la persona offesa non sia stata oggetto di minacce o destinatario di una effettiva coercizione in grado di condizionarne la volonta', sussistendo piuttosto "rapporti di amicizia". Le censure non colgono nel segno avendo i giudici di merito, con inappuntabili argomentazioni in fatto non censurabili in questa sede, motivato in ordine a tali profili, specificando ampiamente: - la natura fittizia del rapporto di lavoro protrattosi per un periodo non breve; - l'assenza di un rapporto sinallagmatico tra prestazione di lavoro e corresponsione dello stipendio; - la ricorrente, pur formalmente assunta, non si recava sul posto di lavoro e, quindi, nessun datore di lavoro avrebbe accettato simili condizioni; - non e' logicamente sostenibile che l'andamento dei fatti sia riconducibile ad un "atto di liberalita'"; - la forzosa assunzione - corrispondente ad un salario che dissimulava l'adempimento di una pretesa estorsiva - era inteso dalla persona offesa come un costo aziendale; - la riconducibilita' della dazione ad un'ipotesi di estorsione cd. ambientale ne caratterizza tanto la genesi che il successivo svolgimento, caratterizzato dalle continue dazioni quali adempimenti dell'originario pactum assunto, cosi' rendendo non decisive le vicende successive che pur interessano la persona dell'imprenditore, i suoi rapporti con i (OMISSIS) e i mutamenti di equilibri ed asseti tra costoro e la mafia locale. Tali elementi, plurimi e convergenti, escludono che il (OMISSIS) sia un imprenditore colluso, tanto che si evidenzia che " (OMISSIS) dice alla (OMISSIS) che non si poteva dire di no". Le intercettazioni sono state correttamente interpretate e, riguardando questioni di merito, non possono essere rivalutate, avendo sia il Tribunale che la Corte territoriale attribuito ad esse un significato congruo e strettamente aderente ai fatti, tanto che in motivazione si evidenzia "il quadro di una diuturna ed asfissiante ricerca da parte del (OMISSIS) di evitare conseguenze negative ponendosi contro gli esponenti del sodalizio criminale". La ricorrente, pertanto, e' parte del disegno estorsivo in quanto risulta avere materialmente agevolato la consumazione del reato, essendosi fatta assumere fittiziamente e riscuotendo le somme destinate al marito e correo (OMISSIS) (sul punto vedi anche oltre a proposito del ricorso di tale coimputato). Ne' il quadro probatorio a carico risulta decisamente inficiato dalla prospettata utilizzabilita' a favore delle dichiarazioni della (OMISSIS), aventi per lo piu' carattere generico in quanto non direttamente coinvolta nella specifica vicenda e comunque non tali da disarticolare l'interno costrutto motivazionale della sentenza impugnata. Infine, la motivazione della Corte di merito, anche mediante il richiamo di quella del Tribunale, risulta avere spiegato, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, risultano logicamente incompatibili con la decisione adottata. 2. Violazione ed erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, articolo 7 e vizio della motivazione. Si lamenta l'assenza da parte degli imputati dell'utilizzo di metodologie mafiose in danno della persona offesa e, in particolare, in capo alla ricorrente, la quale non aveva mai tenuto comportamenti sussumibili nell'alveo dell'articolo 416-bis.1 c.p.; lo stesso imprenditore non aveva mai mostrato di trovarsi nei confronti dell'imputata in uno stato di assoggettamento e di omerta'; la posizione della ricorrente non poteva essere assimilata a quella degli altri. Ai fini dell'integrazione del metodo si era fatto apoditticamente riferimento all'intimidazione silente finendo per rendere l'aggravante una mera sanzione di tipo ambientale. Nessuno scrutinio si era operato in punto di dolo da parte della ricorrente. Difettavano, altresi', elementi confermativi della finalita' agevolatrice (batteria di (OMISSIS)- (OMISSIS)), essendo semmai l'interesse che muoveva (OMISSIS) e (OMISSIS) personale, la stessa p.o. aveva escluso che questi imputati facessero parte della criminalita' organizzata, tanto che il (OMISSIS) aveva manifestato contrarieta' una volta saputo che il fratello (OMISSIS) voleva intromettersi nel suo rapporto con il (OMISSIS). 2. La censura e' infondata. Nessuna apoditticita' e' ravvisabile nella sentenza impugnata per avere ricavato la minaccia estorsiva dall'intimidazione di carattere silente propria dei consessi di stampo mafioso. Lungi dal fare riferimento ad un generico ed indimostrato contesto ambientale, il giudice del merito ha tratto la circostanza, dapprima, mediante una ricostruzione di fatto che, sulla scorta di precedenti giudiziari ed elementi ricavati dal complesso investigativo ed intercettivo, ha dato conto dell'esistenza - nel territorio ove risulta avvenuta l'estorsione - di una vasta associazione mafiosa denominata (OMISSIS) di cui la batteria (OMISSIS)- (OMISSIS) costituisce una delle articolazioni operative e di cui i due coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono indicati essere autorevoli esponenti; poi, sulla scorta di puntuali evenienze ricavate dalle intercettazioni dei soggetti protagonisti dell'odierna vicenda, tra cui emblematiche risultano le captazioni della stessa parte lesa - che da' puntualmente conto dell'inquinamento del tessuto economico sociale conseguente alla presenza di tali articolazioni (vedi pagg. 12-15) e dell'inserimento, in tale contesto, dei correi della ricorrente - la sentenza impugnata ha dato atto di come il pagamento degli "emolumenti" fosse chiara conseguenza del timore dell'imprenditore di evitare le ripercussioni negative che sarebbero derivate alla sua sicurezza personale ed aziendale garantita dalla protezione mafiosa laddove non si fosse provveduto ad assecondare quanto veniva preteso. Del resto, le captazioni della parte lesa ed il chiaro comportamento reticente tenuto al processo danno ragionevolmente conto di come questa avesse ben chiara la portata prevaricatrice della pretesa, ascrivibile ad un consesso mafioso, piuttosto che all'agire di singoli. Sul tema, del resto, la Corte di legittimita' ha affermato che in tema di estorsione cd. "ambientale", integra la circostanza aggravante del metodo mafioso, la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, rilevando soltanto le modalita' in se' della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben puo' manifestare un'energica carica intimidatoria - come tale percepita dalla vittima stessa - alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta e' formulata all'influsso di notorie consorterie mafiose (ex multis Sez. 2, n. 19742 20/05/2010, Pistolesi, Rv. 247117 - 01). Quanto poi al rilievo costituito dall'assenza in capo alla ricorrente di atti di violenza e minaccia, l'obiezione non tiene conto che nell'ambito del concorso di persone nel reato la condotta tipica puo' essere realizzata indifferentemente da taluno dei concorrenti; l'assenza di contropartite lecite alla fittizia assunzione e la provenienza qualificata dei due correi che muovono le fila dell'ordito illecito, da' ragionevolmente conto dell'esistenza di una situazione di ingiustizia "ambientale" che non poteva non essere oggetto di chiara rappresentazione ad opera dell'imputata. E tanto basta ad affermare la necessaria soggettivita' concorsuale dell'aggravante. Quanto all'agevolazione, la censura si fonda su un'alternativa di merito che risulta essere stata motivatamente esclusa dalle sentenze di merito che, invece, hanno ricondotto la costrizione subita dall'imprenditore anche all'esigenza di rafforzare la relativa cosca aumentando le sue finanze e comprovando il controllo sul territorio. Del resto, al riguardo la Corte di legittimita' ha affermato che "il dolo specifico di agevolare l'organizzazione criminale di riferimento, non presuppone necessariamente l'intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l'agevolazione di qualsiasi attivita' esterna dell'associazione, anche se non coinvolgente la conservazione ed il perseguimento delle finalita' ultime tipizzate dall'articolo 416-bis c.p. (Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, Rv. 274615 - 01). 3. Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 81 cpv. c.p. in relazione all'articolo 629 c.p., dovendosi ritenere la condotta estorsiva frutto di un'unica azione e non di plurime condotte avvinte dal medesimo disegno criminoso, difettando la reiterazione delle necessarie plurime condotte di violenza e minaccia commesse per ottenere l'ingiusto profitto, nell'ambito, peraltro, di un'intimidazione definita silente, ascrivibile ad un'unica ed originaria minaccia. 3. Il motivo e' fondato. Affinche' possano essere integrate piu' fattispecie di estorsione e' necessaria la reiterazione delle minacce o degli episodi di violenza a cui facciano seguito le dazioni. Occorre, pertanto, pur nell'unicita' del fine, che le modalita' di realizzazione della condotta appaiano dotate, anche sul piano del disvalore, di una propria completa individualita' (Sez. 2, n. 37297 del 28/06/2019, C, Rv. n. 277513 - 01). Nel caso in esame, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, la pretesa estorsiva genera da un'intimidazione di carattere ambientale - qualificata come si/ente - proveniente dagli imputati, quali soggetti appartenenti e/o gravitanti nella locale consorteria criminale, che in ragione di tale diffusa condizione, costringono l'imprenditore ad assumere fittiziamente la loro moglie e sorella. L'assunzione risulta, infatti, diretta conseguenza del timore della vittima delle ripercussioni negative alla propria incolumita' e alla sicurezza della sua azienda garantita dalla protezione mafiosa. Oggetto della pretesa estorsiva e', dunque, la sottoscrizione del rapporto di lavoro che reca fisiologicamente in se' le plurime dazioni di denaro che si rappresentano da subito, sia agli agenti che alla persona offesa, quale conseguenza "forzata" e naturale della concludenza dell'unica condotta estorsiva. A nulla vale, pertanto, richiamare - come ha fatto la Corte territoriale a pag. 38 l'individualita' delle mensilita' stipendiali percepite dalla (OMISSIS), in ragione anche dei possibili conguagli fiscali ecc. Al di la' della natura fittizia del rapporto e dell'assenza di causali lecite sottostanti alle erogazioni periodiche, a seguire il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata potrebbe tutt'al piu' configurarsi un'ipotesi di estorsione a consumazione prolungata, mutuandosi i principi dettati da questa Corte in tema di frode in danno di enti previdenziali per ricezione indebita di emolumenti periodici, laddove e' configurabile il reato di truffa c.d. a consumazione prolungata quando le erogazioni pubbliche, a versamento rateizzato, siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento, mentre si configurano plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attivita' fraudolente; ne consegue che, ai fini della prescrizione, nella prima ipotesi il relativo termine decorre dalla percezione dell'ultima rata di finanziamento, in quanto il reato va considerato, anche quoad poenam, unico, mentre nella seconda dalla consumazione dei singoli fatti illeciti (Sez. 2, n. 53667 del 02/12/2016, Bellucci, Rv. 269381 - 01). 4. Violazione ed erronea applicazione degli articoli 62-bis, 81 e 133 c.p. e vizio di motivazione. 4.1. La censura attiene al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena in senso piu' favorevole per la ricorrente, stante la diversita' della sua posizione rispetto a quella degli altri coimputati, gravati da elementi di reita' superiori, nonche' da recidiva (in favore dei quali si era operato il giudizio di equivalenza). 4.2. Peraltro, a fondamento del trattamento sanzionatorio - in peius rispetto a quello inflitto dal Tribunale stante l'accoglimento sul punto dell'appello del P.M. - si era evocata la negazione dei fatti ad opera dell'imputata, in contrasto con il principio nemo se detegere potest. 4.3. Privo di motivazione era stato, poi, l'aumento della pena (altri mesi sei) a titolo di continuazione, facendosi generico richiamo agli indici di cui agli articoli 133 e 133-bis c.p. senza indicarne nemmeno uno. 4. Le doglianze in tema di trattamento sanzionatorio risultano manifestamente infondate. 4.1. In tema di concorso di circostanze, va ribadito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimita' soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell'equivalenza (Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 2014, Sulo, 258874 - 01). 4.2. Quanto alla preclusione per il giudice del merito di ricavare elementi ostativi ai fini circostanziali dal comportamento processuale dell'imputato, la Corte di legittimita' ha affermato che la condotta processuale dell'imputato che mantenga un atteggiamento "non collaborativo" puo' giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (In motivazione, la S.C. ha osservato che se l'esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazioni false rese a propria difesa dall'imputato, cio' non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all'articolo 133 c.p.).(Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Rv. 270339 - 01). 4.3. Il motivo e' inammissibile per carenza di interesse stante la fondatezza di quello dedotto sub 3 sull'unicita' del delitto estorsivo. 5. In conclusione, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'aumento di pena di anni uno di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa complessivamente disposto per la continuazione interna (nella misura di mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa dal Tribunale (v. pag. 83) e nell'ulteriore misura di mesi sei di reclusione ed Euro 700,00 di multa dalla Corte d'appello in conseguenza dell'impugnazione del P.M., sull'originaria pena base di anni cinque di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa)) che deve essere eliminato. Va, invece, rigettato il ricorso nel resto. Ricorso di (OMISSIS) (capo A), articoli 110, 81 cpv. c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 in relazione all'articolo 628 c.p., comma 2, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, articolo 7). 1. Inosservanza dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a), articoli 179 c.p.p., articolo 33 c.p.p., Decreto Legislativo n. 116 del 2017, articoli 11 e 12 e articolo 3 Cost.. Si reitera l'eccezione di nullita' della sentenza di primo grado per avere partecipato al giudizio e concorso a deliberare la sentenza un giudice onorario di pace (all'istruttoria dibattimentale aveva parzialmente partecipato anche altri due g.o.t.), in violazione del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 117 del 2017, articolo 12 e articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a), n. 2) e n. 3). 1. Il motivo e' infondato per le ragioni gia' esposte a proposito dell'analoga censura fatta valere dalla difesa di (OMISSIS). 2. Violazione di legge ex articoli 521, 522 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 3, articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2; articolo 111 Cost., articoli 110-629 c.p. e L. n. 203 del 1991, articolo 7; articolo 175 c.p.p., articolo 606 c.p.p., lettera e) per omessa motivazione. Si denuncia la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto al ricorrente viene contestata una condotta di tipo materiale, di minaccia profferita nel 2008; posto che successive minacce estorsive dal medesimo non possono essere state materialmente profferite a cagione dello stato di detenzione in cui si trovava, si era dunque asseverato un concorso morale, diverso da quello contestato. Peraltro, la minaccia descritta nel capo di imputazione era databile nel 2014 e non poteva essere ascritta all'imputato. Ne' allo stesso poteva ricondursi la minaccia ambientale in difetto di contatti in quel periodo con la vittima del reato. 2. La censura e' manifestamente infondata. La Corte di legittimita' ha precisato che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato, cui sia stato contestato di essere l'autore materiale del fatto, sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, giacche' tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, ne' puo' provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneita' rispetto alla originaria contestazione (Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Rv. 263017 - 01). Tanto piu' nel caso in esame, ove la contestazione abbraccia un arco temporale in cui l'imputato non era ancora detenuto (da giugno 2008 ad almeno maggio 2014). La circostanza, poi, che l'istruttoria, a detta del ricorrente, abbia collocato nel 2014 la materiale minaccia alla parte lesa, di talche' egli, essendo detenuto, ne sarebbe chiamato a rispondere a titolo di concorso morale, costituisce, semmai, questione di merito che non involge la ritualita' della contestazione, di carattere piu' ampio ed omnicomprensivo per come e' dato ricavarsi dalla lettura del relativo capo. 3. Violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine alla prova della minaccia estorsiva, anche nella forma ambientale. La censura attiene alla insussistenza della minaccia integrativa del delitto estorsivo, in difetto di qualsiasi prospettazione di un male ingiusto ad opera del ricorrente. Il reato era stato illogicamente ricavato dalla mera affermazione della sussistenza di un rapporto di lavoro fittizio attivato in favore del coniuge, facendone poi discendere il coinvolgimento del ricorrente su una presunta consapevolezza della illiceita' della dazione in ragione della sua caratura criminale. Dalle evenienze istruttorie si ricava poi che la (OMISSIS) lavorava presso l'azienda del (OMISSIS) ancor prima che fosse ipotizzabile qualunque minaccia, in un tempo precedente a quello indicato in imputazione (sin da aprile 2008 a tempo indeterminato) e del presunto incontro che vi sarebbe stato tra il ricorrente e la parte lesa. Peraltro, a conferma dell'assenza della minaccia si evidenzia come fosse stato proprio l'imprenditore a proporsi, costituendo l'assunzione un espediente per un tornaconto personale. 3. Il motivo e' manifestamente infondato in quanto volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. In particolare, quanto alla condizione di detenuto che escluderebbe il rilievo della sua compartecipazione al delitto estorsivo, in realta' l'imputato e' stato condannato quale concorrente nel reato e, pertanto, non rileva se abbia direttamente compiuto uno o piu' atti integrativi dell'azione criminosa, essendo sufficiente che l'agente abbia concordato con i correi il compimento dell'azione illecita. La previa intesa alla commissione del reato - la cui origine e' comunque temporalmente collocata dal giudice del merito ben prima del sopravvenuto stato di detenzione del ricorrente - emerge dalla sua condizione di marito della dipendente falsamente assunta e di cognato dei (OMISSIS), nonche' di soggetto beneficiario del tandundem estorsivo e di appartenente all'omonima consorteria alla quale si deve l'estorsione, volta anche a finanziare la cosca di appartenenza, al fine di riaffermare il controllo sul territorio e sul tessuto economico imprenditoriale ivi insistente. Ne' e' ipotizzabile, quanto al coinvolgimento del ricorrente nei fatti e all'elemento psicologico, che quanto accaduto fosse avvenuto a sua insaputa o che egli non se ne avvantaggiasse, atteso che le sentenze di merito hanno al riguardo sottolineato: - e' del tutto inimmaginabile che entrate cosi' cospicue a beneficio della moglie - pari a quelle dello svolgimento di un lavoro - potessero essere ignorate dal ricorrente; - in orario lavorativo incompatibile con la prestazione da eseguire la moglie si trovava spesso in carcere in visita ove era ristretto; - la minaccia era desumibile dalla provenienza da un ambiente ben determinato e a favore di soggetti di elevata caratura criminale ed appartenenti a contesti di criminalita' organizzata; - sono applicabili i principi generali in tema di "estorsione ambientale" per la protezione in aree connotate da fenomeni criminali organizzati, diffusi e capillari; dalle intercettazioni si desume chiaramente la causale dei pagamenti relativi alla fittizia assunzione della moglie per conservare "buoni rapporti di amicizia"; - i pagamenti erano diretti al ricorrente - detenuto in carcere - senza passare per intermediari anche per il rispetto dovuto ai (OMISSIS); - il pagamento era funzionale alla protezione mafiosa di (OMISSIS) da atti di intimidazione mafiosa o da minacce provenienti da batterie mafiose; - il pagamento dello stipendio alla moglie del ricorrente per il fittizio rapporto di lavoro e' equiparato agli altri pagamenti a favore dei (OMISSIS); - la natura apparente del rapporto di lavoro e' desumibile anche dai dialoghi nei quali si cerca una copertura in caso di controlli e si escogita la "giustificazione dello svolgimento di servizi esterni". A cio' si aggiunge quanto specificamente evidenziato dalle sentenze di merito riguardo la posizione della moglie (OMISSIS), dovendo escludersi "atti di liberalita'" o "rapporti di natura paritaria" tra le parti, posto che la prestazione lavorativa si e' protratta per un periodo non breve. La natura "non paritaria" del rapporto si evince dai dialoghi captati in cui l'imprenditore (OMISSIS), dovendo licenziare (OMISSIS), teme il momento in cui avrebbe dovuto affrontare la questione con i parenti della donna ed avrebbe dovuto comunicare tale determinazione, che contraddice logicamente l'esistenza di un rapporto paritario e l'esistenza di un atto di liberalita'. 4. Violazione degli articoli 110-629 c.p. in relazione alla coartazione della vittima. Difettava la coartazione della vittima, se non al termine della vicenda allorche' il ricorrente si trovava detenuto, per come asseverato dalla sentenza di primo grado (p. 68). Di conseguenza, anche laddove il ricorrente fosse stato il beneficiario delle somme - in realta' destinate alla moglie - non potrebbe assumere la veste di concorrente in assenza della condotta tipica, reciuts della conoscenza, anche unilaterale, della condotta altrui da parte di ciascun correo. Del resto (nel successivo motivo) a conferma dell'esclusione del coinvolgimento del ricorrente al momento in cui il (OMISSIS) avrebbe preso cognizione di essere coartato (nel 2014) non militava soltanto la sua detenzione, ma anche la circostanza che, allorquando emerge la possibilita' per l'imprenditore di entrare nel consorzio Nuova Italia per pagare i gruppi criminali contrapposti, (OMISSIS) si pone il problema della reazione del (OMISSIS) e non di (OMISSIS) (a quest'ultimo va spiegato il licenziamento della moglie, ma si tratta di un fatto privato non dovuto alle logiche estorsive (ma derivato dal fatto che il pagamento della tangente al Consorzio deve essere scontato da qualcuno con riduzione dei costi). Cio' testimonia che l'assunzione della (OMISSIS) e' estranea a logiche estorsive, bensi' dovuta ad un fatto privato stante l'amicizia tra il (OMISSIS) ed il ricorrente. 4. La censura e' infondata per quanto osservato al precedente motivo in ordine al coinvolgimento concorsuale del ricorrente e all'assenza di rilievo del suo sopravvenuto stato detentivo, nonche' in ragione della natura ambientale dell'estorsione commessa. Peraltro, l'assenza di una causale iniziale lecita ascrivibile al rapporto di amicizia e' ben confutata dalle sentenze di merito le quali, richiamando sul punto il compendio intercettivo e, in particolare quello relativo ai dialoghi captati dell'imprenditore ne hanno invece tratto - con interpretazione non affatto illogica e in relazione alla quale nel ricorso si finisce per propugnare una lettura alternativa non consentita in questa sede - che tale rapporto fosse invece inquinato proprio dal rapporto di supremazia svolto dal ricorrente ed i (OMISSIS) quali appartenenti alla consorteria locale, per come comprovato anche dalla reiterata reticenza della parte lesa non solo a denunciare i fatti, ma a fornire una versione della vicenda che collimasse con quanto dallo stesso riferito nel corso dei dialoghi intercettati. 5. Violazione di legge e vizio di motivazione e travisamento della prova rispetto ad atti del processo relativi alla prova della coartazione della vittima. Si richiamano gli elementi - soprattutto ricavati dal contenuto del compendio intercettivo - da cui si evince, secondo la prospettazione difensiva, l'assenza di coartazione della p.o. nella liberta' di autodeterminazione, ne' a seguito della minaccia dell'imputato, ne' della cappa di condizionamento che si pretende derivi dalla mafia foggiana. In particolare, si evidenzia come il (OMISSIS), lungi dall'essere sussunto nell'alveo della figura dell'imprenditore estorto, in realta' si ascrivibile a quella dell'imprenditore colluso o meglio spregiudicato. Si tratta, quindi, anche in ragione del rapporto di amicizia che lega il (OMISSIS) a (OMISSIS), di un do ut des, assunzioni a fronte di favori. 5. A corredo dell'infondatezza della doglianza puo' richiamarsi quanto osservato nei precedenti motivi. A cio' puo' aggiungersi che manca nel processo una prova che dia conto dei "favori" che l'imprenditore riceveva dal duo (OMISSIS)- (OMISSIS) che, a detta della difesa, ne caratterizzerebbero la figura di "colluso" e non di estorto. Pertanto, la conclusione del giudice del merito che si tratti della usuale protezione da danni non e' manifestamente illogica e risulta aderente comunque alle fonti di prova declinate dal Tribunale e dalla Corte di appello, essendosi anche fatto riferimento, sulla scorta di giudicati, precedenti ed esiti giudiziari aventi anche carattere individualizzante, al contesto territoriale e di fatto in cui si svolge la vicenda, quale substrato logico e fattuale di necessario riferimento. Quanto, poi, alla doglianza con cui la difesa censura, sotto il profilo del travisamento, le risultanze interpretative del contenuto delle intercettazioni, si tratta, in realta', di un aspetto che attiene alla valutazione della prova che la Corte di merito risulta avere correttamente svolto in ossequio anche ai canoni probatori a mente dei quali gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l'imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessita' di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714 - 01). In motivazione, i giudici di merito (vedi anche sentenza del Tribunale) hanno precisato che il contenuto delle conversazioni e' chiaro, avendone anche trascritto i brani significativi; che non vi e' dubbio che gli interlocutori si riferiscano anche all'imputato; che non vi sia alcun motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; che non vi sia alcuna ragione per ritenere che l'imprenditore riferisca il falso. 6. Violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova rispetto ad altri atti del processo relativi alla prova della non fittizieta' del rapporto di lavoro. Si censura la portata dimostrativa degli elementi di prova - criticamente passati in rassegna dal ricorrente (compendio intercettivo, esito dei servizi di osservazione) - da cui il giudice del merito ha tratto la fittizieta' del rapporto di impiego della (OMISSIS). 6. Il motivo e' manifestamente infondato, in quanto anche sotto tale profilo il dedotto travisamento attiene al contenuto delle intercettazioni dalle quali - anche expressis verbis - e' stata dedotta l'inesistenza del rapporto e non all'uso di un'informazione inesistente. E tanto a prescindere anche dal contenuto degli accertamenti di polizia giudiziaria svolti e richiamati dal giudice del merito a corredo della fittizieta' del rapporto di lavoro instaurato tra l'imprenditore (OMISSIS) con la moglie del ricorrente. 7. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di un'estorsione continuata, ravvisabile in ciascuna delle dazioni di denaro, anziche' di un'unica fattispecie. 7. Il motivo e' fondato per le ragioni esposte a proposito del motivo comune svolto nel ricorso della coimputata (OMISSIS) (vedi sub 3). 8. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'aggravante della recidiva. La censura attiene alla portata di disvalore anche in punto di attualita' dei precedenti annoverati dal ricorrente ed alla motivazione resa in ordine alla maggiore pericolosita' derivante dalla commissione del reato de quo. 8. Il motivo e' manifestamente infondato rinvenendo la mancata esclusione della recidiva adeguata motivazione, essendosi dato conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato: nel caso in esame, infatti, si e' sottolineato come il reato commesso sia espressione, per modalita' e contesto ed i precedenti penali specifici annoverati, di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto. Tanto basta a ritenere assolto l'onere di motivazione e ad escludere qualsiasi paventata violazione di legge. 9. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'aggravante delle piu' persone riunite. 9. Il motivo e' fondato. Ai fini dell'integrazione della circostanza e' necessaria la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento in cui si realizza la violenza o minaccia, non essendo sufficiente che il soggetto passivo percepisca che la violenza o la minaccia provengano da piu' persone (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518 - 01). Il fatto che si tratti di estorsione ambientale e che la vittima abbia chiaramente percepito la provenienza da consessi mafiosi della minaccia rileva certamente ai fini dell'integrazione dell'aggravante speciale del metodo, ma non basta ai fini di quella in contestazione, in cui l'aumento di pena si lega proprio al disvalore legato alla compresenza dei correi al momento della condotta. Ne' a tal fine puo' valorizzarsi l'incontro tenutosi presso l'abitazione del (OMISSIS), a cui era presente il ricorrente e la vittima, in quanto, al di la' dell'assenza di specifici riferimenti alla condotta minacciosa, si tratta di circostanza riferita dalla (OMISSIS) ritenuta inutilizzabile dalla stessa Corte d'appello. Ne', parimenti, puo' farsi riferimento al fatto che le somme venivano pagate direttamente alla (OMISSIS), moglie dell'imputato e sorella del concorrente (OMISSIS), con la conseguenza che "sarebbe pertanto facile comprendere che, allorche' l'imputato si trovava in carcere, la notizia di una sospensione dei pagamenti, a cui propendeva la persona offesa, sarebbe pervenuta ai concorrenti". La dazione di somme di denaro alla (OMISSIS) costituisce, per l'unicita' di fine e la genesi della minaccia, l'evento del reato, che va collegato alla prima ricezione del fittizio stipendio, mentre per le successive si e' al cospetto di un post factum non punibile. 10. violazione di legge in relazione all'articolo 628 c.p., comma 2, n. 3 e vizio di motivazione in ordine alla realizzazione del fatto con persone che fanno parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p.. 10. La censura e' manifestamente infondata. Il giudice del merito ha asseverato che l'elargizione patrimoniale effettuata al ricorrente non puo' disgiungersi dai pagamenti effettuati a (OMISSIS) e (OMISSIS), quali esponenti di rilievo del clan (OMISSIS)- (OMISSIS), nell'ambito di un condizionamento estorsivo di tipo ambientale. Pertanto, nel caso in esame, vale il principio di diritto affermato dalla Corte di legittimita' secondo cui, in tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all'associazione di tipo mafioso non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualita', in quanto a seguito della sostituzione del testo dell'articolo 118 c.p. ad opera della L. 7 febbraio 1990, n. 19, articolo 3, al concorrente non si comunicano piu' le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensita' del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilita' ed alla recidiva, ma sono ancora valutato riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'articolo 70 c.p., comma 1, n. 2, cioe' quelle attinenti alle qualita' personali del colpevole (Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, dep. 2006, Rv. 233839 - 01; Sez. 6, n. 41514 del 25/09/2012, Rv. 253807 - 01). 11. Violazione di legge in relazione alla sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso. Per un verso la condotta estorsiva era priva dei connotati caratterizzanti la circostanza, per altro in assenza di ricorso, ad opera del ricorrente, di un atteggiamento di siffatta gravita' (nell'unico incontro avuto unitamente al (OMISSIS) con la persona offesa nessuno aveva ostentato l'appartenenza a consessi mafiosi o rivolto minacce, successivamente il ricorrente era detenuto). 12. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della finalita' di agevolazione mafiosa. Si lamenta l'insussistenza dei presupposti per l'ipotizzabilita' e comunicabilita' della circostanza a carico del ricorrente, posto che l'assunzione della (OMISSIS) non aveva portato denari alla cosca, ma vantaggi esclusivamente rispetto al singolo presunto sodale, con la conseguenza che il fine di profitto era personale. 11-12. I motivi sono manifestamente infondati in quanto si risolvono in un'alternativa di merito secondo cui il rapporto di lavoro, seppur fittizio, originerebbe dai rapporti di amicizia intrattenuti tra il ricorrente e la persona offesa, motivatamente esclusi dalla Corte territoriale. Nel caso di specie, a fronte della fittizia assunzione e del versamento di una retribuzione non dovuta, ma necessaria per ottenere la protezione in un contesto territoriale ad alta densita' mafiosa, sono stati applicati correttamente i principi giurisprudenziali secondo cui: - in tema di estorsione cd. "ambientale", integra la circostanza aggravante del metodo mafioso (articolo 416-bis.1 c.p.), la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l'estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato (Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115). - ricorre la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. dell'agevolazione mafiosa "la continuativa erogazione di danaro a una consorteria di tal tipo da parte di un imprenditore sia finalizzata a ottenere "protezione" e sostegno nell'acquisizione di commesse economiche" (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, Rv. 281589). 13. Violazione degli articoli 3 e 27 Cost., in relazione all'articolo 81 c.p., comma 4, nella parte in cui prevede l'aumento di pena fissa ed obbligatoria in caso di recidiva reiterata. 13.1. Violazione degli articoli 3, 25 Cost., articolo 27 Cost., commi 1 e 3, in relazione all'articolo 69 c.p., u.c., nella parte in cui preclude il giudizio di prevalenza delle attenuanti rispetto alla recidiva di cui all'articolo 99 c.p., comma 4. 13. Il motivo e' inammissibile per carenza interesse. Dal calcolo della pena operato dal Tribunale di Foggia (v. pagg. 81-82) risulta che non sia stato apportato alcun aumento per la recidiva, ma tale circostanza e' stata "neutralizzata", al pari delle aggravanti della rapina, con le attenuanti generiche, a cui e' correttamente conseguito l'aumento (uno solo peraltro) per le aggravanti speciali Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7, neutralizzate di nuovo con le attenuanti generiche e fissandosi una pena base di anni 7 di reclusione a cui e' stato applicato l'aumento v articolo 81 cpv. c.p. di mesi sei per la continuazione interna del delitto estorsivo. La Corte d'appello non ha toccato la pena base di anni 7 di reclusione (che, come evidenziato, non contiene alcun aumento per la recidiva) ma ha valutato l'aggravante - in aderenza all'appello del PG - ai fini del nuovo aumento per la continuazione ex articolo 81 c.p., comma 4. Essendo, pero' venuto meno, a seguito dell'unicita' del delitto estorsivo, l'aumento per la continuazione (che a seguito dell'annullamento pronunciato da questa Corte va eliminato), viene meno l'interesse del ricorrente a far valere la doglianza. 13.1. L'eccezione e' manifestamente infondata. In tema di recidiva, la Corte di legittimita' ha ripetutamente affermato: - che e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 99 c.p., comma 4, nella parte in cui stabilisce aumenti di pena in misura fissa per la recidiva reiterata, in riferimento all'articolo 3 Cost., in quanto si tratta di opzione sanzionatoria rientrante nella discrezionalita' del legislatore e non manifestamente irragionevole, siccome insuscettibile di produrre "ex se" sperequazioni prive di "ratio" giustificativa nel trattamento di situazioni omogenee, e in riferimento agli articoli 25 e 27 Cost., per incompatibilita' con i principi di gradualita' e finalismo rieducativo, poiche' la tendenziale contrarieta' delle pene fisse al "volto costituzionale" dell'illecito penale va riferita alle pene fisse nel loro complesso e non anche ai trattamenti sanzionatori che coniughino articolazioni rigide ed articolazioni elastiche, in maniera tale da lasciare comunque adeguati spazi alla discrezionalita' del giudice, ai fini dell'adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete (Sez. 6, n. 8291 del 10/02/2022, Castrofilippo, Rv. 282910 - 01); - che e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3, 25 e 27 Cost., dell'articolo 69 c.p., comma 4, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva reiterata ex articolo 99 c.p., comma 4, in quanto tale deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento si riferisce ad una circostanza attenuante comune e la sua applicazione, quindi, non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio, ma si limita a valorizzare, in misura contenuta, la componente soggettiva del reato, qualificata dalla plurima ricaduta del reo in condotte trasgressive di precetti penalmente sanzionati (Sez. 6, n. 16487, del 23/03/2017, Giordano, Rv. 269522 - 01). 14. Violazione di legge in relazione all'articolo 240-bis c.p. e vizio di motivazione in ordine alla giustificazione dell'acquisto del bene in confisca. Si lamenta l'assenza dei presupposti della confisca di "sproporzione" sia in ragione della mancanza di nesso temporale con il periodo in cui si e' manifestata la pericolosita' (conclusasi nel 2014 a fronte di un acquisto del 05/02/2016) sia in ragione dell'esistenza di risorse lecite destinate a far fronte all'acquisto del bene (vendita di una precedente auto e finanziamento) sia, infine, sulla scorta della capacita' reddituale del nucleo familiare (OMISSIS)- (OMISSIS). 14. Il motivo e' fondato. Per quanto precisato dalla stessa sentenza impugnata l'acquisto del veicolo e' avvenuto al di fuori del "periodo spia" (di due anni). Di conseguenza, se e' certamente corretto avere escluso dal compendio patrimoniale e finanziario giustificativo dell'acquisto le somme di cui il nucleo familiare (OMISSIS) e (OMISSIS) ha illegittimamente beneficiato in virtu' del fittizio rapporto di lavoro instaurato a vantaggio della seconda, occorreva, proprio in ragione della dilatazione temporale tra condotta criminosa e momento successivo dell'acquisto, soffermarsi compiutamente sulla valenza delle fonti di prova addotte dalla difesa a giustificare l'acquisto - avvenuto nel periodo di pericolosita' - dell'auto la cui successiva permuta ha consentito di far fronte, in tutto o in parte, all'acquisto del veicolo poi sequestrato. Invero, la difesa, con l'atto di appello, risulta avere indicato la percezione in capo al nucleo familiare di somme derivanti da risarcimenti assicurativi, da reddito di inserimento e da altre fonti lecite sulla cui possibile rilevanza giustificativa la motivazione della sentenza impugnata non risulta essersi compiutamente soffermata. 15. In conclusione: - va annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aumento di pena (pari ad anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa) per la continuazione interna che va eliminato, nonche' in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante delle piu' persone riunite (oggetto di bilanciamento); - va annullata, altresi', la sentenza impugnata limitatamente alla misura di sicurezza della confisca con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto e per la rideterminazione della pena in conseguenza dell'annullamento del trattamento sanzionatorio sopra evidenziato; - va rigettato nel resto il ricorso e dichiarata irrevocabile l'affermazione di responsabilita' dell'imputato. Ricorso del P.G. presso la Corte di appello di Bari (nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) assolti dai reati di estorsione aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p., loro rispettivamente ascritti ai capi D) ed E) della rubrica). Al riguardo, deduce il vizio di motivazione, essendo la Corte di merito pervenuta ad un ribaltamento della condanna inflitta dal Tribunale mediante una lettura parcellizzata del materiale probatorio valorizzato dal primo giudice, omettendo di confrontarsi con tutte le argomentazioni poste a fondamento di quella decisione. 1. Il ricorso non e' fondato. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di merito, pur ricorrendo ad una motivazione sintetica, e' comunque pervenuta ad un ribaltamento dell'affermazione di colpevolezza degli imputati sulla scorta di una ricognizione delle fonti di prova in forza delle quali se ne era affermato il coinvolgimento rispettivamente nelle estorsioni rubricate ai capi D) ed E) dell'imputazione. In particolare, l'assoluzione dei due ricorrenti, conseguente alla differente lettura operata dalla Corte territoriale, non si pone in termini distonici rispetto alla ricostruzione del fenomeno estorsivo delineato con riguardo ai capi A) ed E), in quanto il ribaltamento si fonda su un giudizio attinente alla mancanza di univocita' degli elementi di prova relativi alla fittizieta' del rapporto di lavoro sottostante, quale necessario presupposto dimostrativo dell'ipotesi estorsiva di cui al capo D) e all'avvenuta consegna della somma pretesa in favore dell'imputato, con riguardo all'ipotesi estorsiva di cui al capo E). Del resto, l'esistenza del condizionamento ambientale e di una posizione subalterna dell'imprenditore rispetto alla cosca locale, non puo' ritenersi, in assenza di prova certa della fittizieta' del rapporto di lavoro o dell'erogazione che si sostiene imposta, sufficiente ad asseverare l'ipotesi estorsiva, proprio perche' l'erogazione sine causa costituisce l'ingiusto profitto dei reati, con conseguente danno patrimoniale per l'imprenditore. Ne' questa Corte puo' procedere ad una rilettura degli elementi di prova e, in particolare del compendio intercettivo, trattandosi di profili di esclusiva competenza del giudice del merito e non ravvisandosi manifeste illogicita' nella interpretazione dei dialoghi effettuate dalla Corte territoriale. Del resto, nel giudizio di appello, la Corte di legittimita' ha affermato che, in caso di diversa valutazione del materiale probatorio in primo grado ritenuto idoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, per la riforma della sentenza non occorre che la motivazione esprima una forza persuasiva superiore, ma e' sufficiente che la diversa valutazione sia dotata di pari o addirittura minore plausibilita' di quella operata dal primo giudice, perche' l'assoluzione a differenza della condanna non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza (Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, Sisti, Rv. 281016 02; Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066; Sez. 5, n. 35261 del 6/04/2017, Lento, Rv. 270721; Sez. 5, n. 2499 del 15/11/2016, dep. 2017, Vizza, Rv. 269073; Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, M., Rv. 271110; Sez. 5, n. 46061 dell'08/09/2022, non mass.). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'aumento di pena per la continuazione interna che elimina. Rigetta il ricorso nel resto. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'aumento di pena per la continuazione interna ed alla sussistenza dell'aggravante delle piu' persone riunite che elimina. Annulla, altresi', la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla confisca con rinvio ad altra sezione della Corte di appello Bari per nuovo giudizio sul punto e per la rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all'aumento disposto a titolo di continuazione per il reato di cui al capo B) della rubrica, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/10/2020 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CALASELICE BARBARA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. FLAMINI L.M., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore, avv. MICALIZZI PIERGIORGIO del foro di ROMA, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14 ottobre 2020 la Corte Militare di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale militare in sede, del 26 settembre 2019, che aveva condannato (OMISSIS), 1 Maresciallo E.I, in servizio all'epoca dei fatti presso (OMISSIS) con incarico di cassiere, alla pena di anni uno di reclusione militare e alla rimozione del grado, per il reato di peculato militare aggravato (articolo 47 c.p., n. 2 e articolo 215 c.p.m.p.), per essersi appropriato di somme, disponendo un bonifico in proprio favore, di cui solo GBP 793,28 gli erano dovute a titolo di rimborso Iva, con l'aggravante di aver commesso il fatto essendo militare rivestito di un grado. L'imputato e' stato condannato alla pena indicata, con le circostanze attenuanti generiche e con il riconoscimento dei benefici di legge. Nell'impugnata sentenza, e' stato integralmente confermato il percorso logico-argomentativo della sentenza di primo grado, ritenendo che, all'epoca, il militare era cassiere ed era l'unico abilitato ad operare con digital banking sul conto bancario intestato all'(OMISSIS) (ente militare italiano) presso la (OMISSIS). Si tratta di somma che, secondo la Corte di appello, era senz'altro appartenente all'Amministrazione militare, essendo necessario, a tal fine, che si accerti la mera pertinenza della res alla pubblica amministrazione e che quella sottratta era compresa in una maggior somma che era stata accreditata all'(OMISSIS) (ente militare italiano) presso la (OMISSIS), sul conto corrente acceso presso la medesima banca, per poi essere ripartita tra i militari italiani in forze presso l'Allied Rapid Reaction Corpe. Si tratta di importo senz'altro da riconoscere come nella disponibilita' dell'indicato ente militare, tanto che questo ne aveva assunto la responsabilita' anche nei confronti dell'Ufficio tributi britannico, oltre che verso i militari destinatari dei rimborsi Iva. Cio', come riconosciuto dallo stesso imputato che, una volta operata la restituzione della maggior somma contestata (GBP 4.057,19) aveva effettuato il rimborso in favore dell'(OMISSIS). Manca poi, per la pronuncia di appello ogni prova circa l'esistenza di un diritto a rimborsi da parte dell'Autorita' inglese in favore dello (OMISSIS), come ricavato dall'escussione dei testi indicati a pag. 17 della pronuncia. Inoltre, si sottolinea che, secondo il teste (OMISSIS), il conto corrente sul quale il militare aveva operato il prelievo era destinato ai rimborsi Iva per i militari italiani, circostanze conosciute dall'imputato, indicato come pienamente consapevole di commettere il reato di cui all'articolo 215 cit.. Infine, si evidenzia che la sparizione dell'estratto del bonifico (cd. foglio verde) solo per l'ultimo trimestre 2015, viene ascritta all'imputato, in quanto portatore di interesse a non far emergere l'ammontare della somma, proveniente dall'Ufficio tributario britannico, effettivamente accreditata sul proprio conto corrente. Circa il terzo motivo di appello si sottolinea che non sussiste la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 tenuto conto del valore non lievissimo del danno, considerando non solo l'entita' in se' della res sottratta, ma anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati al soggetto passivo quindi i danni ulteriori subiti in conseguenza alla sottrazione. Zagaria movimentava ingenti somme e ha sottratto l'importo sopra indicato, in se' non irrisorio, recando grave pregiudizio al rapporto fiduciario di servizio. 2. Avverso detta sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avv. Micalizzi P., deducendo tre motivi di impugnazione di seguito riassunti nei limiti necessari, ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 215 c.p.m.p. circa la nozione di appartenenza militare e vizio di motivazione. Il Pubblico ministero, durante il processo di primo grado, aveva chiesto al Tribunale militare di Roma l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste, per difetto del requisito dell'appartenenza della res all'Amministrazione. La destinazione delle somme per essere appartenenti all'Amministrazione militare deve essere quella di soddisfare obiettivi dell'Amministrazione medesima. Invece nella specie si tratterebbe di somme destinate ai militari della Nato in forze a Innsworth (GB) che beneficiavano di esenzione Iva per gli acquisti inerenti lo svolgimento delle proprie funzioni. I rimborsi avvenivano tramite un ufficio di coordinamento britannico (ILO) che si occupava di raccogliere le domande e trasmetterle all'Agenzia delle Entrate inglese. Solo per velocizzare le procedure, a parere del ricorrente, era stato acceso il conto corrente, intestato al Nucleo di Supporto Nazionale, su cui (OMISSIS) in veste di cassiere, era abilitato ad operare al solo scopo di effettuare i bonifici dei rimborsi. Non si trattava, secondo la difesa, di un conto corrente della Nato ma provvisorio e cumulativo, che serviva a smistare il danaro che spettava a titolo di rimborso ai singoli militari e che doveva avere sempre giacenza fissa pari a zero. Infatti, il Nucleo Militare aveva un conto ufficiale, diverso da quello sul quale confluivano i rimborsi, destinato alle attivita' istituzionali italiane del Nucleo, come emerge dalle testimonianze raccolte nel processo (riportate per stralcio). Infine, si sottolinea che mai l'Amministrazione militare italiana avrebbe potuto avere danno perche' si trattava di mero conto di appoggio di rimborsi Iva di militari in servizio, provenienti dall'Ente britannico, di cui il Nucleo Militare non aveva alcuna disponibilita'. Deriverebbe, per la difesa, da quanto sin qui esposto, il difetto dell'elemento oggettivo del reato perche' mancherebbe il requisito dell'appartenenza della res all'amministrazione militare. Si indica che i due precedenti riportati dai giudici di merito non sarebbero relativi a fatti analoghi al caso in esame e che non si tratta di somme riscosse per la pubblica amministrazione che non ne aveva alcuna titolarita', ma confluite su un conto corrente perche' destinate ai singoli militari, soggetti terzi, con provvista proveniente dall'Ente tributario straniero. 2.2.Con il secondo motivo si contesta erronea applicazione di legge penale con riferimento all'articolo 47 c.p. e illogicita' della motivazione. Si assume che non sarebbero state esattamente esplicitate le ragioni per non ritenere operativa la causa di esclusione della punibilita' di cui all'articolo 47 c.p.. Sarebbero state trascurate le dichiarazioni del teste della difesa (OMISSIS), al corrente delle maggiori somme che, a titolo di rimborso, spettavano al maresciallo (OMISSIS). Illogica, poi, sarebbe la motivazione nella parte in cui esclude che il capo nucleo operativo, maggiore (OMISSIS), con il quale i bonifici venivano eseguiti, fosse stato al corrente del maggiore accredito con il bonifico che si contesta a (OMISSIS). Infine, travisata sarebbe la prova nella parte in cui si assume che l'accredito, sul proprio conto, della maggior somma era un fatto non sintomatico di assenza di dolo, ma addirittura espressione di un machiavellico piano per aggirare i sospetti, evitando di dare luogo a piu' accrediti in proprio favore. Si aggiunge, da ultimo, che (OMISSIS) era cassiere che per anni aveva movimentato ingenti somme, che percepiva retribuzione mensile di circa 7mila Euro, con moglie lavoratrice quindi soggetto che non si sarebbe mai macchiato della condotta in addebito, peraltro relativa a somma esigua, anche restituita. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione alla circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. Si esclude che l'Amministrazione militare abbia subito danno, tenuto conto che si trattava di somme provenienti dall'Ente tributario inglese e che nessun militare aveva reclamato, non pertinenti alle casse dell'Amministrazione militare italiana. Si tratta, peraltro, di reato contro la pubblica amministrazione, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimita' si richiama, quanto alla ricorrenza della circostanza attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p. al solo danno patrimoniale, riportando precedenti in termini (cfr. pag. 10 del ricorso). 3.La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione orale, con p.e.c. del 14 luglio 2022, nonche', in data 17 febbraio 2022, per la precedente udienza fissata e in data 19 settembre 2022, documentazione e memorie difensive con le quali, ulteriormente argomentando i motivi di ricorso, ha concluso insistendo nel senso dell'annullamento della sentenza. 3.1. In particolare, il difensore ha depositato provvedimento di archiviazione, emesso dalla Procura presso la Corte dei conti e si e' ribadito, riprendendo il contenuto del provvedimento allegato, che non e' stato riscontrato alcun danno per l'Erario, trattandosi di somme provenienti dall'Ufficio tributario inglese e destinate a militari italiani, comunque restituite integralmente dal ricorrente dopo che, solo occasionalmente nel 2018, a causa di un controllo, se ne era acclarata la sottrazione. 3.2. All'esito della discussione orale, tempestivamente richiesta, le parti hanno concluso nel senso riportato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo e' infondato. 1.1. Deve preliminarmente rimarcarsi che il ricorrente, nel periodo in cui si colloca la condotta in contestazione, esercitava le funzioni di maresciallo dell'Esercito italiano, in servizio presso gli (OMISSIS) con l'incarico di cassiere dell'(OMISSIS). In tale qualita' questi aveva l'autorizzazione ad operare (in via esclusiva, con digital banking) su un conto corrente, intestato alla indicata (OMISSIS), presso la (OMISSIS), con disponibilita', quindi, delle somme che transitavano sul descritto conto corrente. Risulta, poi, che su tale conto transitavano soltanto somme destinate ai rimborsi Iva di competenza dei militari Nato e non somme di diversa natura. E' emerso, poi, che il ricorrente aveva effettuato, in data 21 aprile 2016, bonifico sul proprio conto personale, dell'importo di 4.850,48 GBP, superiore a quello che era risultato spettante allo stesso a titolo di rimborso Iva (pari a 793,29 GBP), cosi' corrispondendo in suo favore, la maggior somma non giustificata di 4.057,19 GBP. Risulta, inoltre, dai convergenti provvedimenti di merito, che mancava, dalla documentazione contabile esaminata, il cd. foglio verde, cioe' la distinta di liquidazione dei rimborsi, per il trimestre 1 ottobre 2015 - 31 dicembre 2015, mentre la documentazione risultava completa, per tutti i periodi precedenti e successivi a detto trimestre. Dal complesso dell'esame della documentazione contabile, in definitiva, secondo i giudici di merito era emerso un errore, da parte della HM Costums, nel senso che era stato destinato un bonifico di importo superiore a quello autorizzato per i rimborsi Iva da corrispondere ai militari. A fronte di tale contestazione, reputata confermata dalle prove assunte in dibattimento, l'impugnazione di merito si limitava a contestare l'esistenza di un importo, a titolo di restituzione di crediti fiscali di varia natura, asseritamente vantati da (OMISSIS) e posti in compensazione, esistenza ritenuta smentita dalla prova dichiarativa assunta al dibattimento (testimonianza del Maggiore (OMISSIS) e di miss (OMISSIS), funzionaria dell'International Liaison Office) e dalla prova documentale (cfr. dichiarazione scritta del 27 luglio 2019). Inoltre, la difesa deduceva, con i motivi di appello, che non vi fosse alcuna prova dell'appartenenza delle somme bonificate in favore dello (OMISSIS) all'Amministrazione militare, arrivando a rilevare che, trattandosi di importi bonificati in eccedenza per mero errore, questi dovessero essere considerati di pertinenza esclusiva dell'Ente britannico (Agenzia delle Entrate inglese). Con il ricorso per cassazione, quindi, la difesa riprende il tema della destinazione delle somme. Queste, per il ricorrente, per essere considerate appartenenti all'Amministrazione militare, devono essere dirette a soddisfare obiettivi dell'Amministrazione medesima. Invece, nella specie si tratterebbe di importi destinati ai militari della Nato, attraverso il descritto conto corrente da considerarsi di appoggio, in quanto provvisorio e cumulativo, destinato a smistare il danaro che spettava, a titolo di rimborso, ai singoli militari e che doveva avere sempre giacenza pari a zero. Cio' posto, osserva il Collegio in relazione all'elemento oggettivo del reato, che il ricorrente si e' appropriato di somma da considerarsi appartenente all'Amministrazione militare, tenuto conto che l'importo complessivo accreditato dall'Ufficio tributario britannico, su conto corrente istituto ad hoc, era pervenuto, appunto, su un conto intestato ad un Ente militare italiano ((OMISSIS)) il quale, per tale via, si era assunto la responsabilita' della gestione di tali importi, sia nei confronti dei militari italiani, che nei confronti dell'Ente tributario britannico. Infatti, competeva all'Amministrazione militare italiana, stante la individuata responsabilita' della gestione di dette somme, il relativo obbligo di rendiconto. Tanto che, peraltro, lo stesso ricorrente, una volta ricevuta la contestazione dell'addebito, come correttamente osservato nei provvedimenti di merito, con ragionamento avversato da considerazioni non dirimenti di cui alla memoria difensiva depositata, aveva operato la restituzione non in favore dell'Agenzia delle Entrate britannica, ma proprio all'Ente militare italiano per il quale gestiva il conto corrente indicato quale cassiere ((OMISSIS)). 1.2. Il secondo motivo e' inammissibile in quanto mera reiterazione del corrispondente motivo di gravame cui la Corte territoriale ha risposto con ragionamento non manifestamente illogico e, comunque, immune da censure di ogni tipo. In ogni caso la prospettata censura e' manifestamente infondata. Invero, osserva il Collegio che il peculato militare e' reato istantaneo, rispetto al quale, dunque, non rileva l'accertata avvenuta restituzione delle somme. Infatti, unico elemento costitutivo del reato contestato e' l'appropriazione di beni mobili dell'Amministrazione militare e ad esso e' estraneo il vantaggio conseguito all'agente da tale attivita' (Sez. 6, n. 20422 del 17/04/2013; Sez. 6, n. 20940 del 22/02/2011, Gentile, Rv. 250055 in tema di peculato). Infatti, tenuto conto delle accertate circostanze di fatto di cui danno conto i convergenti provvedimenti di merito, risulta che l'interessato ha trattenuto il saldo di cassa relativo all'importo contestato, cosi' integrando la condotta di interversione del possesso che realizza l'elemento costitutivo del reato di peculato militare, anche nell'ipotesi, peraltro non dimostrata nel caso concreto, di astratta possibilita' di compensazione di propri crediti e che non puo' intervenire in assenza di espressa destinazione delle somme all'estinzione del preteso debito da parte dell'ente. Le restanti censure relative alla mancata valutazione di prova dichiarativa (del teste (OMISSIS)) o di asserito travisamento della prova, in sostanza, finiscono per sollecitare il riesame di fonti di prova dichiarativa, non consentito al giudice di legittimita' e, comunque, non tengono conto della natura di cd. doppia conforme affermazione di responsabilita' della sentenza impugnata, rispetto alla quale sussistono limiti di deduzione del vizio di travisamento della prova (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035 del 3710/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438 nel caso di cd. doppia conforme, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado). 1.3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato. La richiesta di riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 e' reiterativa di identico motivo di gravame, cui la Corte territoriale ha dato risposta coerente e corretta dal punto di vista della carenza dei presupposti per il suo riconoscimento. Peraltro, il ricorso si rivela manifestamente infondato, posto che prospetta enunciati ermeneutici in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte per la quale l'entita' del danno deve essere valutata con riferimento al complessivo pregiudizio economico subito dalla persona offesa, e non gia', al mero valore intrinseco dell'oggetto sottratto, ma considerando la condotta dell'imputato nella sua globalita' (Sez. 2, n. 50660 del 5/10/2017, Calvio, Rv. 271695; Sez. 6, n. 30177 del 04/06/2013, Chielli, Rv. 256643; Sez. 4, n. 8530 del 13/02/2015, Chiefari, Rv. 262450). Del resto, questa Corte ha affermato il condivisibile principio cui il Collegio intende dare continuita', secondo il quale, ai fini della concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4, il momento in cui deve prendersi in considerazione l'entita' del danno e' quello della consumazione del reato, in quanto il danno non puo' divenire di speciale tenuita' in conseguenza di eventi successivi (Sez. 2, n. 39703 del 13/09/2019, Amirante, Rv. 277709; Sez. 5, n. 856 del 26/11/2020, dep. 2021, Baroni, Rv. 280156 in tema di bancarotta fallimentare e con riferimento alla circostanza attenuante speciale di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 3). Va rilevato, peraltro, che nel caso di specie, la richiesta difensiva riguardava l'applicazione della circostanza attenuante comune di cui all'articolo 62 c.p., n. 4 e che, comunque, in tema di circostanza attenuante speciale, di cui all'articolo 323-bis c.p., questa Corte ha affermato (tra le altre, Sez. 6, n. 8295 del 9/11/2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091) che nei reati contro la pubblica amministrazione, l'attenuante speciale prevista dall'articolo 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuita', diversamente da quella comune di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, ricorre quando il reato, valutato nella sua globalita', presenti una gravita' contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entita' del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato. Valutazione globale che, comunque, la Corte territoriale ha compiuto (cfr. pag. 18 e ss) con ragionamento immune da censure di ogni tipo, valorizzando non solo l'entita' della somma, in se', reputata di valore non irrisorio, ma anche la circostanza che il comportamento del preposto aveva recato grave pregiudizio al rapporto fiduciario di servizio. 1.4. Infine, e' appena il caso di osservare che la documentazione da ultimo prodotta, attestante l'avvenuta restituzione della somma contestata all'Ente militare italiano, nonche' l'intervenuta archiviazione, con provvedimento emesso dalla Procura presso la Corte dei conti in data 8 febbraio 2022, attiene a vicende successive al perfezionamento della condotta in addebito che, come si e' detto, ha natura di reato istantaneo che si perfezione con l'avvenuta interversione del possesso della res. Del resto, alcun vincolo puo' derivare, in questa sede, quanto alla natura dei beni ritenuta nel citato provvedimento di archiviazione, in quanto questi (rimborsi Iva destinati ai militari) sono indicati come beni di tipologia che non costituisce depauperamento economico in danno dell'erario. Si rileva, poi, che in quella sede e' stata rilevata la mancanza di conseguenze economicamente valutabili, rispetto alla responsabilita' amministrativo-contabile, derivanti dalla condanna riportata da (OMISSIS) in sede penale, nonche' l'avvenuta restituzione dell'intero importo, in data 3 aprile 2019, senza che altra specifica valutazione sia compiuta rispetto all'appartenenza, delle somme in questione, all'Amministrazione militare come acclarata e ritenuta, in sede penale, con la pronuncia oggetto di impugnazione. 3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente est. dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere dott.ssa Giulia Dossi - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n. 200/2022 del Tribunale di Monza, (dott.ssa Em.An.), promosso da: (...) con l'avv. DA.VA. elettivamente domiciliata in 20900 Monza, Via (...), presso lo studio del difensore appellante contro (...), con l'avv. AN.AV. e l'avv. GA.BA., elettivamente domiciliata presso lo "Studio legale Av. e Associati" in Milano, Viale (...). appellata MOTIVI DELLA DECISIONE In fatto e in diritto Il Tribunale di Monza, in funzione di Giudice del Lavoro, con sentenza n. 200/2022, pubblicata il 31/03/2022, ha parzialmente accolto il ricorso introduttivo proposto da (...) nei confronti di (...). Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria, proposta in via subordinata, e di parità di trattamento retributivo e previdenziale. Per l'effetto: 1. ha dichiarato l'illegittimità dei termini apposti alle lettere di assegnazione per singole missioni (contratti di somministrazione) dall'1/4/2014 in poi e relative proroghe; 2. ha condannato la resistente al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 32 comma 5 della L. n. 183 del 2010 nella misura di 7 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (Euro 1.530,20), pari alla somma complessiva di Euro 10.711,40 (1.530,20 X 7), oltre accessori di legge dalla sentenza al saldo; 3. ha dichiarato il diritto della parte ricorrente al medesimo trattamento retributivo e previdenziale riservato ai lavoratori a tempo indeterminato da (...) a parità di mansioni. Per il resto, il primo Giudice ha respinto la domanda del ricorrente di c.d. stabilizzazione con costituzione del rapporto subordinato a tempo indeterminato sin dal primo contratto di somministrazione. Seguiva la compensazione delle spese di lite per 1/3 e la condanna della convenuta alla rifusione dei restanti 2/3 per Euro 2.000,00 oltre accessori di legge, da distrarsi al difensore antistatario. La ricorrente ha dedotto di aver iniziato a svolgere prestazioni lavorative quale operatore sociosanitario in favore della convenuta (...) dal 22/12/2008, dapprima tramite la (...) Coop. Sociale delle Province Lariane, poi tramite la (...) (...) e dappoi tramite agenzia di somministrazione Tempor. Ha evidenziato: - di aver ricevuto una prima lettera di assegnazione per singola missione presso l'utilizzatore - azienda ospedaliera S. Gerardo- con termine finale 31.3.2017, giustificata in quanto stipulata "c/o PPAA ed enti o istituzioni assimilate, somministrazione di carattere organizzativo ai sensi dell'art. 20, comma 4, D.Lgs. n. 276 del 2003"; -che tale assegnazione in missione veniva prorogata per ben 6 volte sino al 30/9/19. -che in data 01/10/19 aveva ricevuto una nuova lettera di assegnazione per singola missione con termine finale 31/1/20, prorogata fino al 30/9/20. -di avere svolto e di svolgere tuttora in favore dell'azienda sanitaria convenuta, nel reparto malattie infettive dell'ospedale San Gerardo di Monza, attività di operatore sanitario, con referente il caposala/capo reparto o il coordinatore infermieristico del reparto di assegnazione, tutti dipendenti della (...), dai quali riceveva e riceve tutte le indicazioni circa le attività da svolgere e i relativi turni di servizio. In diritto la ricorrente ha osservato che lo strumento della somministrazione è stato ed è utilizzato in modo illegittimo ed abusivo. Ha evidenziato in particolare: - che nelle lettere di assegnazione in missione è totalmente assente o carente la specifica indicazione delle cause poste a fondamento delle stesse. - che, in particolare, con la lettera di assegnazione relativa al periodo dal gennaio 2016 al marzo 2017 veniva illegittimamente modificata a posteriori la motivazione della lettera di assegnazione precedente, con la paventata necessità di aggiornare la ragione sociale dell'utilizzatore, ma in realtà per annullare parzialmente la precedente lettera a seguito dell'intervenuta nuova disciplina dei contratti di lavoro a termine di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015. -che, a seguito della mutata denominazione del datore, sarebbe stato sufficiente darne comunicazione alla ricorrente senza far sottoscrivere una nuova lettera di assegnazione in missione con una variazione delle asserite ragioni giustificatrici. -che nelle comunicazioni di proroga non veniva riportata alcuna valida giustificazione. -che con le lettere di assegnazione in missione e le relative proroghe sono state violate le previsioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, al D.Lgs. n. 276 del 2003 e al D.Lgs. n. 81 del 2015, in quanto riportanti ragioni giustificatrici inconsistenti e aventi una durata complessiva superiore a 36 mesi. -che l'utilizzatrice ha violato ripetutamente l'art.59 CCNL Sanità Pubblica persistendo nel negare qualsivoglia stabilità contrattuale. Il Giudice di prime cure ha disatteso le eccezioni di inammissibilità del ricorso ex art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 276 del 2003 e di decadenza dall'impugnativa ex art. 32 della L. n. 183 del 2010. Richiamato il quadro normativo di cui all'art. 36, co.1, del D.Lgs. n. 165 del 2001, poi modificato dall'art. 9 del D.Lgs. n. 75 del 2017, ha ritenuto applicabile al pubblico impiego l'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 276 del 2003, con la sola esclusione del rimedio della conversione e con la necessità che le ragioni della somministrazione siano temporanee ed eccezionali. Ha rigettato pertanto la domanda di stabilizzazione anche alla luce dell'art. 97 Cost. e accertato la responsabilità risarcitoria della PA per il danno derivante da prestazioni rese violando norme imperative, sub specie di abusivo ricorso alla somministrazione di lavoro. Ha ritenuto irrilevante, ai fini di escludere l'abuso, che la (...) abbia rispettato le soglie percentuali massime fissate per il personale somministrato e non abbia potuto procedere all'internalizzazione e stabilizzazione dei relativi rapporti lavorativi, essendo tenuta nel reclutamento del personale all'espletamento delle procedure concorsuali e al rispetto dei contingenti dettati dai vincoli di budget e di turnover. Ad avviso del Tribunale, la condotta tenuta dalla (...) integra una diretta violazione, oltre che del diritto interno, anche del diritto dell'UE (direttiva europea 2008/104/CE), sanzionabile con il risarcimento del danno, la cui liquidazione può assumere, quali parametri, i criteri di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010 (parametri ora recepiti, quanto alla fattispecie della somministrazione, dall'art. 39, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015). Ha, infine, osservato che l'eccezione di decadenza sollevata dalla resistente non risulta impeditiva né dell'accertamento dell'abuso, né del risarcimento del danno conseguente, in quanto permane l'operatività del potere di disapplicazione degli eventuali atti amministrativi illegittimi a prescindere dalla loro tempestiva impugnazione innanzi all'(...) ex art. 63, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001. Circa la quantificazione del danno di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010 ed all'art. 39, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015, il Giudice di primo grado ha ritenuto equa la liquidazione di una mensilità per ogni anno d'impiego lavorativo in regime di somministrazione, con conseguente riconoscimento di un indennizzo risarcitorio di complessivi Euro 10.711,40 (tallone mensile Euro 1.530,20 X 7), previo arrotondamento dei sei anni e sei mesi a sette anni, oltre accessori dalla sentenza al saldo. Ha giudicato fondata anche la domanda di accertamento del diritto al medesimo trattamento economico (retributivo e contributivo) riservato ai lavoratori a tempo indeterminato da (...) a parità di mansioni in costanza delle singole missioni ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n. 81 del 2015. Con atto del 27/09/2022 (...) ha proposto appello parziale avverso la sentenza di primo grado. Con un primo motivo di gravame, l'Esponente ha eccepito l'errata interpretazione delle norme di diritto ed errata applicazione dei principi comunitari e costituzionali in ordine alla omessa reintegrazione nel posto di lavoro dell'odierno appellante. Secondo la prospettazione di parte, si impone un'interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata della disposizione di cui all'art. 36 TUPI per evitare che possa divenire uno strumento per eludere preordinatamente le norme contro il precariato anche alla luce dell'art. 5, comma 5, della Direttiva 2008/104/CE. La corretta interpretazione dell'art. 36, co. 5, cit., sostiene l'appellante, deve condurre a ritenere che, in presenza di un ricorso sistematicamente abusivo al lavoro somministrato, il lavoratore danneggiato dalla pubblica amministrazione abbia il diritto ad accedere alle tutele previste per i dipendenti privati, ivi compresa la costituzione del rapporto di lavoro direttamente con l'utilizzatore pubblico. Pertanto, in riforma dell'impugnata sentenza, la lavoratrice insiste per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con (...) o eventualmente per la rimessione della questione alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Con un secondo ordine di censure, l'appellante contesta l'errata interpretazione delle norme di diritto, nonché difetto ed erroneità della motivazione in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno ex art. 32, co. 5, D.Lgs. n. 183 del 2010 e art. 39, co. 2, D.Lgs. n. 81 del 2015. Ad avviso dell'appellante, il Giudice di primo grado ha erroneamente applicato i criteri individuati dall'art. 32, co 5, L. n. 183 del 2010 e poi dall'art. 39, co. 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, riconoscendo senza alcuna motivazione una mensilità per ogni anno di durata dell'impiego in somministrazione presso (...). Il Tribunale avrebbe dovuto basarsi sui criteri di cui all'art. 8 della L. n. 604 del 1966, considerando che (...) ha una dotazione organica di 4082 lavoratori e che l'appellante ha un'elevata anzianità di servizio (dal 14.5.2012 al 30.9.2020). Da ultimo, deduce che occorre tenere conto del comportamento e delle condizioni delle parti. L'abusivo e sistematico utilizzo della somministrazione da parte di (...) svela la volontaria preordinazione del datore di lavoro sostanziale ad aggirare le norme a tutela dei lavoratori. Il comportamento di (...) coinvolge un numero molto ampio di lavoratori (almeno altri 18 colleghi, cfr. cap. 18 del Ricorso). AZIENDA (...) - (...) si è costituita in giudizio con memoria difensiva del 13/01/2023, insistendo per il rigetto del gravame avversario. Contestualmente l'Azienda ha proposto appello incidentale. L'Esponente ribadisce che il principio sancito dall'art. 97 Cost. ammette le deroghe previste dalla legge, ma nella fattispecie una tale deroga non si rinviene: ed anzi, l'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 espressamente esclude - senza eccezioni - che la violazione delle norme in materia di assunzione dei lavoratori possa comportare ("in deroga" all'art. 97 Cost.) l'instaurazione di un rapporto lavorativo alle dipendenze della P.A. (Corte costituzionale sent. n. 250/2021; App. Milano sent. n. 698/2022). Ad avviso della parte datoriale, utilizzando il termine "equo" il Giudice di prime cure non intendeva richiamare l'equità prevista dall'art. 1226 cod. civ., bensì la discrezionalità che l'ordinamento gli attribuisce nella quantificazione dell'indennità controversa all'interno della forbice da 2,5 a 12 mensilità. In via di appello incidentale, l'Azienda impugna le statuizioni del Tribunale concernenti: l'accertamento dell'illegittimità in merito al reiterato ricorso al lavoro somministrato ed alla conseguente condanna al risarcimento del danno, anche con riferimento al quantum (capi 1 e 2); l'accertamento del diritto della ricorrente "al medesimo trattamento retributivo e previdenziale riservato ai lavoratori a tempo indeterminato da (...) a parità di mansioni" (capo 3). In via subordinata, l'Esponente chiede di ridurre l'indennizzo riconosciuto alla lavoratrice, dovendosi attestare lo stesso sul minimo previsto dalla legge. Quanto al capo 3 della sentenza impugnata, l'Azienda rileva che controparte non ha depositato in giudizio il pertinente CCNL; non ha chiarito quale fosse la fonte delle voci retributive rivendicate; non ha dimostrato che gli emolumenti in questione fossero effettivamente erogati ai dipendenti a tempo indeterminato dell'(...) con pari mansioni. In definitiva, l'allegazione avversaria risulta generica ed indeterminata ex art. 414 c.p.c. Invero, una siffatta statuizione non giova alla lavoratrice, non essendo stata accertata anche la sussistenza di una qualsivoglia differenza tra le retribuzioni percepite dall'interessata e quelle percepite dai "colleghi" con pari mansioni dipendenti dell'(...), con conseguente difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. All'udienza del 26 gennaio 2023, all'esito della discussione dei difensori, il Collegio ha deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce. Tanto l'appello proposto da (...) in via principale, quanto il gravame incidentale svolto da (...) sono infondati e, come tali, non possono trovare accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. Si rileva che, su tutte le questioni sottoposte al giudizio di questo Collegio, la Corte d'Appello di Milano si è già espressa, in fattispecie del tutto analoga concernente somministrazioni di lavoro in favore della medesima (...), con numerose sentenze tra le quali si richiamano le decisioni nn. 698/2022 (Pres. est. Mantovani), 1010/22 (est. (...)) e con la recente sentenza n. 167/2023, intervenuta dopo il deposito del dispositivo che ha definito il presente giudizio. Il Collegio ne condivide le motivazioni, che devono ritenersi qui integralmente riportate ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.. L'appello principale svolto dalla lavoratrice non può essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono. Il primo motivo, con cui l'appellante censura il rigetto della domanda di stabilizzazione del rapporto di lavoro, è infondato. La Suprema Corte con consolidata giurisprudenza ha affermato che "nell'impiego pubblico contrattualizzato la conversione del rapporto è impedita, senza eccezione alcuna, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha previsto che "in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione" (così Cass. n. 7674/22); e conformemente: "Questa Corte ha da tempo chiarito (sentenza n. 89 del 2003) che tale diversificazione, tra il settore pubblico e il settore privato, della disciplina dei rimedi dell'inosservanza delle regole imperative sul contratto di lavoro a termine non si traduce in una illegittima e discriminatoria riduzione della tutela attribuita al pubblico dipendente, ma integra la necessaria implicazione dell'esigenza di rispettare il canone espresso dall'ultimo comma dell'art. 97 Cost., secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge; canone che, a sua volta, costituisce proiezione del principio di eguaglianza, il quale esige che tutti, secondo capacità e merito, valutati per il tramite di una procedura di concorso, possano accedere all'impiego pubblico e che all'opposto non consente l'accesso in ruolo stabile per altra via, tanto più se segnata da illegalità. La ragione della differenza del regime di tutela del lavoratore contro l'illegittimo ricorso al contratto a temine nel contesto del lavoro pubblico rispetto a quello vigente nel contesto del lavoro privato, risiede proprio nell'esigenza di rispetto di questo principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, previste dallo stesso art. 97 Cost., che rende evidente la disomogeneità tra le due situazioni e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio" (così Cass. n. 250/21). Il primo giudice ha dato corretta applicazione ai riportati principi rigettando la domanda di costituzione del rapporto di lavoro con A.. Infondati sono altresì il secondo motivo di appello principale e il secondo motivo di appelloincidentale, con i quali viene impugnata la sentenza nella parte in cui il primo giudice ha determinato il risarcimento del danno nella misura di una mensilità per ogni anno di lavoro. Va premesso: -che il giudice di prime cure non ha fatto ricorso alla equità prevista dall'art. 1226 c.c., ma alla discrezionalità. che l'ordinamento gli attribuisce per quantificare la indennità risarcitoria in base ai criteri autonomi e predefiniti indicati dal legislatore nell'ambito del range stabilito (da un minimo di 2.5 ad un massimo di 12 mensilità); -che pare al Collegio infondata la pretesa di includere nel periodo da conteggiare ai fini del risarcimento anche il periodo anteriore all'inizio della somministrazione, in cui la lavoratrice era dipendente di cooperative che operavano in forza, presumibilmente di altri contratti di appalto, non essendo stata dimostrata - e in realtà neppure chiaramente dedotta - la natura illecita di tali appalti. Questa Corte ha sul punto altresì evidenziato ""E' infatti vero che l'agenzia interinale che ha assunto a tempo indeterminato la attuale appellante principale è subentrata alla citata cooperativa nell'appalto di servizi presso l'O.S.G.D.M., ma in difetto di una norma specifica che includa nella anzianità di servizio pure il periodo prestato in forza al precedente appaltatore (come prevede per es. l'art. 7 del D.Lgs. n. 23 del 2015 là dove stabilisce che la indennità risarcitoria si quantifica "tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata") il lasso temporale antecedente non può assumere rilevanza. (CDA Milano sent 1610/22) -che l'appellante incidentale non indica un criterio alternativo rispetto a quello applicato, rivendicando il pagamento dell'indennità nella misura massima di 12 mensilità. Considerato quindi che il periodo nel quale è stata accertata l'illegittima somministrazione va dal 1.4.2014 al 30.09.2020 ed è quindi di sei anni e sei mesi, il Collegio condivide la quantificazione fatta dal primo giudice, applicando un parametro di natura oggettiva che questa Corte ha ritenuto congruo nelle altre decisioni sopra richiamate. Ne consegue l'infondatezza sul punto anche della speculare impugnazione ad opera di (...), essendo congrua, alla luce dei parametri dettati dal legislatore, la quantificazione del danno effettuata dal giudice a quo. La (...) con appello incidentale ha anche censurato la sentenza per avere il primo giudice accolto la domanda della ricorrente di accertamento del diritto al medesimo trattamento economico riservato dalla PA ai dipendenti assunti con rapporto a tempo indeterminato a parità di mansioni. In appello (...) ha eccepito che controparte non ha depositato in giudizio il pertinente CCNL; non ha chiarito quale fosse la fonte delle voci retributive rivendicate; non ha dimostrato che gli emolumenti in questione fossero effettivamente erogati ai dipendenti a tempo indeterminato dell'(...) con pari mansioni. Deve tuttavia rilevarsi che dette contestazioni non erano contenute nella memoria di costituzione in primo grado nella quale (...) nulla aveva replicato, in fatto e in diritto, sulla prospettazione della ricorrente, la quale aveva invece precisato al punto 29 dell'atto introduttivo: "29. la ricorrente, contrariamente a quanto riportato nei distinti contratti, non ha lo stesso trattamento economico dei dipendenti dell'utilizzatore che svolgono le medesime mansioni, bensì un trattamento economico inferiore. Ed infatti, alla ricorrente, non sono riconosciuti gli istituti contrattuali invece ad appannaggio del personale di (...), quali a titolo esemplificativo :RAR; indennità di vestizione; tempo di consegna a fine turno; festività Santo Patrono Monza il 24 Giugno etc. ...;" Correttamente quindi, in mancanza di contestazioni di sorta, il primo giudice ha ritenuto fondata la domanda. Entrambi gli appelli per le ragioni sopra esposte devono conseguentemente essere rigettati, con integrale conferma della sentenza impugnata. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del grado. Sia l'attuale appellante principale che l'attuale appellante incidentale sono tenuti a versare l'ulteriore contributo unificato, atteso il disposto dell'art. 13, 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2012, come modificato dall'art. 1, commi 17 e 18 della L. n. 288 del 2012. P.Q.M. Respinge l'appello principale e l'appello incidentale. Compensa tra le parti le spese del grado. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di entrambe le appellanti principale e incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Milano il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati: DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel. SELMI dott. Vincenzo - Consigliere CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere all'esito dell'udienza del 16.2.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3147 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2022 vertente TRA (...) SPA elett.te dom.to in Roma, viale (...), presso lo studio degli avv.ti Lu.Fi. e Ra.Ri. che lo rappresentano e difendono giusta procura depositata in telematico RECLAMANTE E (...) elett.te dom.to in Roma, Viale (...), presso lo studio dell'avv.to Ma.Ta. che lo rappresenta e difende giusta procura depositata in telematico RECLAMATO Oggetto: reclamo avverso la sentenza n. 1151/2022 del Tribunale di Latina depositata il 6/11/2022 RAGIONI DELLA DECISIONE 1. (...), premesso di essere stato assunto dalla (...) S.p.A. il 1.2.1988 come addetto all'(...), di essere stato nominato responsabile dei (...) con la funzione di coordinamento e controllo delle attività gestite dalle società appaltatrici dal 27.9.2011, di aver impugnato la cessione del ramo d'azienda tra la (...) spa e la (...), alla quale era stato ceduto il rapporto di lavoro dall'1.12.2015, di aver ottenuto la ricostituzione del rapporto di lavoro presso la (...) spa con sentenza del Tribunale di Latina n. 716/2019, che aveva dichiarato nulla la cessione e di aver ricevuto l'1.8.2019 comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha agito in giudizio contro la (...) spa rassegnando le seguenti conclusioni: In via principale - Accertare e dichiarare la nullità del licenziamento del 1.8.2019 in quanto determinato dal motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 cod. civ. nonché ritorsivo e/o discriminatorio e, conseguentemente, ordinare alla società (...) S.P.A. - ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, L. n. 300 del 1970 - di reintegrare il Lavoratore nel posto di lavoro precedentemente ricoperto ovvero in mansioni equivalenti, condannando altresì il datore di lavoro a risarcire il cagionato danno mediante la corresponsione a favore del Lavoratore di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione in servizio, oltre all'integrale versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo; In subordine - Accertare e dichiarare la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, annullando il licenziamento del 1.8.2019 e, conseguentemente, ordinare alla società (...) S.P.A. - ai sensi dell'art. 18, commi 7-4, della L. n. 300 del 1970 - di reintegrare il Lavoratore nel posto di lavoro precedentemente ricoperto, condannando altresì il datore di lavoro a risarcire il cagionato danno mediante la corresponsione a favore del Lavoratore di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione in servizio, oltre all'integrale versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo; In via di ulteriore subordine - Accertare e dichiarare che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo dedotto da parte datoriale a fondamento del licenziamento irrogato del 1.8.2019 e, conseguentemente, condannare la società (...) S.P.A.- ai sensi dell'art. 18, commi 7-5, della L. n. 300 del 1970 - a corrispondere a favore del Lavoratore un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti; con vittoria delle competenze di causa da distrarsi a favore del sottoscritto difensore che si dichiara antistatario" 1.1. Nella resistenza della società convenuta il Tribunale di Latina, all'esito della fase sommaria, ha così disposto: - Annulla il licenziamento intimato dalla società convenuta nei confronti del ricorrente e, per l'effetto; - Condanna la convenuta alla reintegra del lavoratore oltre al pagamento di un'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione globale di fatto come individuata in motivazione dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e non superiore a dodici mensilità, oltre accessori come per legge, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettivo ripristino, maggiorati degli interessi nella misura legale, detratto l'aliunde perceptum in virtù della nuova occupazione reperita dal ricorrente a far data dal 20.11.2019 fino alla reintegra; - Condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite nei confronti del ricorrente che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre iva, cpa e rimborso spese generali come per legge, da distrarsi. 1.2. Avverso tale decisione hanno proposto opposizione sia l'I. spa che (...) e all'esito della stessa, riunite i due giudizi, il Tribunale di Latina ha così disposto: - in accoglimento del ricorso presentato da (...) dichiara la nullità del licenziamento comminato dalla società convenuta in data 1.8.2019 e condanna la società alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro ed alla corresponsione di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, detratto l'aliunde perceptum in virtù della nuova occupazione reperita dal lavoratore a far data dal 20.11.2019, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; - rigetta il ricorso presentato da (...) Spa - condanna la società al pagamento delle spese di lite in favore del lavoratore, comprensive delle precedente fase sommaria, che liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre IVA, CAP e rimborso delle spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore del difensore antistatario. 1.3. Il Tribunale, illustrata la natura della fase di opposizione, ricostruiti i fatti che avevano preceduto l'irrogazione del licenziamento, riprodotte le ragioni poste a fondamento dello stesso di cui alla comunicazione dell'8.7.2018 formulata ex art. 7 L. n. 604 del 1966 e alla successiva lettera dell'1.8.2019 e richiamati i princìpi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo sia al licenziamento ritorsivo che al licenziamento per giustificato motivo oggettivo: i) ha affermato che La società (...) a fronte dell'ordine di ripristino del rapporto era tenuta a riammettere non solo formalmente ma anche di fatto in servizio il lavoratore, garantendo la ripresa della attività lavorativa. È evidente che, atteso il tempo trascorso, è plausibile che medio tempore vi siano state delle riorganizzazioni interne e che la precedente posizione lavorativa sia stata soppressa o assegnata ad altri. Ma tale circostanza non può certo fungere di per sé sola da giustificativo del recesso. In altri termini, la ragione organizzativa posta alla base del recesso datoriale non può risiedere nell'ordine di reintegra e nella impossibilità della sua esecuzione per soppressione della posizione lavorativa precedentemente assunta; è la stessa società a giustificare il licenziamento in questi termini laddove, a seguito della formale riammissione in servizio, comunica al lavoratore l'esonero dalla prestazione lavorativa e la necessità di "verificare una eventuale collocazione in altra posizione". Non è configurabile, pertanto, una ragione inerente l'organizzazione del lavoro in nesso causale con l'esubero di personale ma la società ha giustificato il licenziamento per "non ricollocabilità del lavoratore" e, quindi, per impossibilità di esecuzione dell'ordine giudiziale. A seguito dell'ordine di riammissione in servizio del lavoratore, ove sia stata soppressa la posizione lavorativa ovvero assegnata ad altri lavoratori, può astrattamente configurarsi una situazione di esubero di personale ma la valutazione dell'esubero non può involgere unicamente la persona del lavoratore riammesso in servizio. Il dipendente riammesso in servizio deve essere valutato come soggetto già facente parte dell'organico aziendale e trattato alla stregua degli altri lavoratori. Ne consegue che pur non essendo prescritta una stretta comparazione tra i vari lavoratori come per le procedure di licenziamento collettivo, in ogni caso, la valutazione datoriale deve essere effettuata nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza contrattuale nella scelta tra più lavoratori licenziabili. Nel caso di specie dall'esame dei LUL depositati a seguito dell'ordinanza del 1.12.2021 è documentalmente emerso, non solo, che al momento del licenziamento vi erano numerosissimi lavoratori in forza all'azienda inquadrati nel medesimo livello (o livello inferiore) con anzianità di servizio di gran lunga inferiore al (...) (alle dipendenze della società sin dal 1988), ma, soprattutto, che successivamente alla sentenza di riammissione in servizio (del 23.5.2019) e del licenziamento del (...) (intervenuto in data 1.8.2019) la società ha proceduto nei mesi di giugno, luglio e settembre, alla assunzione ovvero alla stabilizzazione (con trasformazione del contratto a termine in indeterminato) di numerosi lavoratori con livello di inquadramento inferiore al (...) e pertanto in posizioni che il lavoratore, astrattamente, avrebbe potuto ricoprire (anche alla luce della nuova formulazione dell'art. 2103 c.c.); ii) ha confermato la statuizione resa nella precedente fase sommaria di insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento per violazione da parte della società dell'obbligo di repechage, aggiungendo che a fronte della (invero manifesta) violazione dell'obbligo di repechage e della illegittimità della ragione giustificativa posta a fondamento del recesso datoriale, emerge con evidenza il dedotto motivo illecito del licenziamento. In particolare, come già anticipato e come evincibile dalla lettura della lettera di licenziamento, la ragione giustificativa del recesso non si rinviene in un mutamento dell'assetto organizzativo aziendale, bensì, nella dichiarata "non ricollocabilità del lavoratore" e quindi nella impossibilità - a detta della società - di esecuzione dell'ordine giudiziario di riammissione in servizio. Orbene è evidente, a fronte della assenza di alcuna valutazione da parte della (...) della posizione di altri lavoratori (nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza contrattuale) e, pertanto, della palese violazione dell'obbligo di repechage, che la ragione sottesa al recesso datoriale fosse in realtà quella di sottrarsi alla disposta riammissione in servizio del lavoratore disinnescando, attraverso l'irrogazione del licenziamento, le conseguenze della statuizione giudiziaria. In assenza infatti di una valutazione della situazione di esubero che involga la posizione di tutti i lavoratori in forza all'azienda, è evidente che l'individuazione del ricorrente tra i lavoratori da licenziare risulta determinata in via esclusiva da un intento ritorsivo nei confronti dello stesso e dalla volontà di sottrarsi all'ordine di riammissione in servizio. Il recesso datoriale, pertanto, motivato da un motivo illecito determinante, deve essere considerato nullo; iii) ha quindi applicato le tutele previste dall'art. 18 commi 1 e 2 L. n. 300 del 1970, per come modificato dalla L. n. 92 del 2012, condannando la società alla reintegra e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal recesso, retratta la somma mensile di Euro 1442,04, inferiore a quella goduta presso (...), percepita dal (...) a titolo di retribuzione per la nuova occupazione dal 20.11.2019. 3. Contro detta decisione ha proposto tempestivo reclamo la (...) spa lamentando, in sintesi: I) l'erroneità della decisione laddove non ha ritenuto il provvedimento espulsivo giustificato dalla soppressione del posto di lavoro, cioè della posizione di responsabile dei servizi generali, fattispecie effettivamente sussistente e perfettamente rientrante nella previsione normativa; II) l'erroneità della sentenza laddove ha ritenuto sussistente un'ipotesi di riduzione del personale con violazione dei criteri di scelta e del diritto del lavoratore al repechage, insistendo nell'affermare l'assenza di altre posizioni lavorative da assegnare al (...). 3.1. Si è costituito in giudizio (...) resistendo al gravame e chiedendone il rigetto. 3.2. La causa è stata discussa e posta in decisione nelle forme di cui all'art. 1, comma 60, L. n. 92 del 2012. 4. Il reclamo è infondato e deve essere respinto. 5. Prima di passare all'esame delle censure mosse dalla reclamante, è utile richiamare le vicende che hanno preceduto il licenziamento del reclamato per come già accertate dal Tribunale, senza che sul punto sia stata mossa alcuna specifica censura, vicende che comunque trovano ampio riscontro documentale. 5.1. (...) è stato assunto dalla (...) S.p.A. (oggi (...) S.p.A.) a far data dal 1.2.1988 con inquadramento dapprima nel livello D del CCNL addetti all'(...) e dal 1993 nel livello B; a decorrere dal 27.9.2011 è stato nominato responsabile dei (...), con la funzione di coordinamento e controllo delle attività gestite dalle società appaltatrici (servizi mensa, vigilanza/portineria, manutenzione verde, pulizie, facchinaggio); in sostanza, in qualità di responsabile dei (...) assegnatigli, il (...) aveva il controllo della corretta esecuzione degli stessi e controllava che le fatture emesse dalle società appaltatrici corrispondessero alle effettive attività svolte da queste ultime ai fini del pagamento dei corrispettivi; 5.2 A seguito della sottoscrizione di un contratto di servizi di facility management stipulato in data 23.12.2014 tra la (...) ed il Consorzio (...), quest'ultima, subentrata alle precedenti imprese appaltatrici, ha iniziato a gestire (sempre in regime di appalto), in favore della (...), le attività di portierato, pulizie, ritiro rifiuti, facchinaggio, pest control, bevande, magazzino e manutenzione. 5.3. Nel corso del 2015 il (...) ha continuato a svolgere la sua attività di supervisore e controllo delle ditte appaltatrici, per i settori di sua competenza, cioè: portierato ((...)), pulizie ((...)), mensa (...), giardinaggio (...) e facchinaggio ((...)); gli altri servizi gestiti in appalto da (...) erano invece sotto il controllo e la supervisione di altri dipendenti della (...), (...) e (...). 5.4. A far data dall'1.12.2015 la (...) SPA e la (...) hanno stipulato un contratto di cessione del ramo d'azienda in ragione del quale i "(...)", comprensivi del fattorinaggio, centralino telefonico e servizio di portineria (senza guardiania), sono transitati dalla prima alla seconda e con essi il personale stabilmente occupato, costituito dal (...) e da altri due dipendenti, (...) e (...); 5.5. A seguito della suddetta operazione il rapporto di lavoro del (...) è quindi proseguito ex art. 2112 c.c. - con decorrenza 1.12.2015 - alle dipendenze del Consorzio (...) con la qualifica di impiegato responsabile, VI livello, CCNL Pulizia, Industria - Multiservizi e lo stesso è stato destinato a mansioni non più inerenti il ruolo di Responsabile dei (...) costituenti il ramo di azienda ceduto. 5.4. Il (...) ha quindi impugnato la cessione del proprio rapporto di lavoro con ricorso ex art. 414 c.p.c. e con sentenza del Tribunale di Latina n. 716/2019, integralmente confermata da questa Corte di Appello di Roma con sentenza n. 1591/2022, è stata dichiarata la nullità del trasferimento di azienda intercorso tra l'I. spa e il Consorzio (...), con condanna della prima a ripristinare il rapporto di lavoro con il (...). 5.5. In esecuzione della pronuncia emessa dal Tribunale, con nota del 30.5.2019, la (...) ha comunicato al (...) il ripristino formale del rapporto di lavoro con decorrenza dal 3.9.2019; tuttavia, nel comunicare che "la posizione di responsabile dei (...) è stata soppressa" lo ha esonerato dalla prestazione lavorativa "per il tempo necessario a verificare una Sua eventuale collocazione in altra posizione lavorativa". 5.6. Con nota dell'8.7.2019 la (...) ha avviato la procedura conciliativa ex art. 7 L. n. 604 del 1966 comunicando al (...) l'intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, licenziamento successivamente intimato con nota dell'1.8.2019 essendosi concluso negativamente il tentativo di conciliazione previsto dalla citata norma. 6. Appare utile richiamare anche le ragioni esposte dalla società nella comunicazione di avvio della procedura ex art. 7 L. n. 604 del 1966 in cui si legge: " La (...) il 1.12.2014 ha effettuato un trasferimento di ramo di azienda avente ad oggetto i (...); il (...) fino al 30.11.2014 ricopriva in azienda il ruolo di Responsabile dei (...). A far data dal 1.12.2014 è stato trasferito insieme ad altri colleghi senza soluzione di continuità alla società (...); il (...) ha impugnato la suddetta cessione; in data 23 maggio 2019 con sent. 716/2019 il Tribunale ha condannato la scrivente azienda a ripristinare il rapporto di lavoro. L'azienda in ossequio alla suddetta sentenza ha assunto in data 1.6.2019 il (...) al quale ha contestualmente comunicato che la posizione di Responsabile (...) nel frattempo era stata soppressa. Contestualmente lo ha esonerato dalla prestazione lavorativa per il tempo necessario a verificare una eventuale collocazione in altra posizione. Dopo aver effettuato una attenta analisi della organizzazione aziendale, (...) ha verificato di non avere la possibilità di poter utilizzare proficuamente il sig. (...) in altra posizione in considerazione del suo inquadramento e della sua professionalità. A ciò si aggiunga che l'intera struttura organizzativa aziendale è attualmente interessata da una ampia riorganizzazione che, pur non prevedendo il ricorso ad alcuna sospensione dei rapporti di lavoro, sta comportando una particolare attenzione al contenimento ed alla razionalizzazione dei costi al fine di rendere la struttura medesima adeguata al volume di affari ed alla reddittività dell'attività economica. Per i motivi suddetti non sussistono ulteriori misure di assistenza alla ricollocazione interna del sig. (...) con conseguente necessità di procedere al licenziamento". 6.1. Con la successiva nota dell'1.8.2019, con cui è stato comunicato il licenziamento, la (...) ha ribadito l'intervenuta soppressione della posizione in precedenza occupata dal (...) di responsabile dei (...) nonché che "dopo aver effettuato una attenta analisi della organizzazione aziendale, la Società ha constatato, in considerazione del suo inquadramento e della sua professionalità, di non poterla ricollocare in posizioni lavorative equivalenti o anche inferiori". 7. Fatte tali necessarie premesse, con il primo motivo la società censura la gravata sentenza per non avere ritenuto integrato il giustificato motivo oggettivo dall'intervenuta soppressione del posto di lavoro di responsabile dei servizi generali in precedenza occupato dal (...). 7.1. Nell'argomentare sul punto la società ripercorre le vicende della cessione di azienda come se la stessa fosse pienamente valida e opponibile al reclamato, ignorando le pronunce giudiziarie intervenute tra le parti che quella cessione hanno dichiarato nulla. In sostanza la società, anche in questa sede, insiste nel volere giustificare il licenziamento del (...) opponendogli la soppressione del posto di lavoro da questi in precedenza occupato, soppressione determinata a suo dire dalla cessione del ramo di azienda denominato "(...)" al Consorzio (...). 7.2. La prospettazione, già disattesa nella gravata sentenza, è destituita di giuridico fondamento. 7.3. Innanzitutto si pretende di giustificare un recesso intimato nell'agosto 2019 con l'asserita soppressione di un posto di lavoro intervenuta quattro anni prima, nel 2015. E' di tutta evidenza che l'ampio lasso di tempo trascorso esclude già sul piano della ragionevolezza un collegamento causale con il recesso né è stato dimostrato diversamente. 7.4. E' rimasta priva di positivo riscontro, al punto che il reclamo neppure vi fa cenno, l'asserita "ampia riorganizzazione" "dell'intera struttura aziendale", con "particolare attenzione al contenimento ed alla razionalizzazione dei costi al fine di rendere la struttura medesima adeguata al volume d'affari ed alla redditività dell'attività economica", cui pure faceva riferimento la comunicazione di avvio della procedura ex art. 7 L. n. 604 del 1966. 7.5. Non possono opporsi al reclamato le vicende della cessione di azienda che i giudici hanno ritenuto nulla proprio con riguardo alla posizione del lavoratore che si pretende di licenziare sulla scorta di detta cessione. Sostenere diversamente significa non rispettare la forza vincolante delle pronunce giudiziarie. 7.6. In particolare, vale la pena ricordarlo atteso il silenzio del reclamo sul punto, è stato accertato che i cd "(...)" oggetto di cessione non formassero un autonomo ramo di azienda?. vale a dire un'entità economica organizzata in modo stabile con una propria autonomia funzionale dotata di risorse proprie; ciò si desume vieppiù dalla circostanza che il trasferimento ha riguardato solo una parte dei servizi dei quali il (...) era responsabile. A ciò aggiungasi l'ulteriore circostanza, non specificamente contestata, che successivamente alla cessione l'attività di supervisione e controllo della corretta esecuzione dei servizi appaltati sia rimasta in capo ad altri dipendenti (...) ma non più in capo al (...), destinato allo svolgimento di mansioni non più inerenti al ruolo di Responsabile dei (...) costituenti il ramo di azienda ceduto ( docc. 18-28 della prosecuzione di parte ricorrente). Si deve poi rimarcare la circostanza che dei cd "(...)" così come individuati dalla società cedente facevano parte una serie di attività già appaltate, mentre quelle individuate come autonomo ramo di azienda riguardavano solo quelle attività già in parte accentrate in capo a (...) comprendenti il servizio di fattorinaggio, del centralino e della portineria ad esclusione di altri rilevanti servizi, già esternalizzati (cfr. comunicazione preventiva del 27 ottobre 2015 ). Tali elementi concorrono indubbiamente a ritenere non adeguatamente provate l'identità e la composizione del nominato ramo d'azienda, l'autonomia dello stesso, e la sua preesistenza come entità autonoma organizzata di mezzi e persone. Inoltre, sotto tale ultimo profilo, vale rimarcare l'ulteriore circostanza, non smentita dalla società appellante, che la cessione del ramo di azienda difetti del necessario requisito dell'inerenza all'attività ceduta del rapporto di lavoro del (...) le cui mansioni di Responsabile dei servizi generali sono rimaste assegnate ad altro personale della società cedente sottoposto gerarchicamente al responsabile della funzione Risorse umane dottoressa (...) (C.d.A. Roma n. 1591/2022) 7.7. Quindi è stato accertato tra le parti non solo che i c.d. (...) non costituivano un autonomo ramo di azienda, ma anche che i compiti di Responsabile di detti servizi sono rimasti assegnati ad altro personale della società cedente, accertamento che smentisce la tesi della soppressione del posto di lavoro né risulta dimostrata altra successiva e decisiva riorganizzazione (il reclamo incentra le proprie allegazioni e deduzioni su fatti relativi alla cessione). 7.8. Le considerazioni sopra esposte sono già di per sé sufficienti a ritenere la palese insussistenza del dedotto giustificato motivo oggettivo. 7.9. Con lo stesso motivo di reclamo, e in assenza invero di un argomentato collegamento con le precedenti ragioni, il reclamante censura la gravata sentenza laddove ha affermato che A seguito dell'ordine di riammissione inservizio del lavoratore, ove sia stata soppressa la posizione lavorativa ovvero assegnata ad altri lavoratori, può astrattamente configurarsi una situazione di esubero di personale ma la valutazione dell'esubero non può involgere unicamente la persona del lavoratore riammesso in servizio. Il dipendente riammesso in servizio deve essere valutato come soggetto già facente parte dell'organico aziendale e trattato alla stregua degli altri lavoratori. 7.9. Innanzitutto il passaggio motivazionale è censurato senza tenere conto del contesto in cui le affermazioni richiamate si inseriscono (cfr 1 punto 1.2.), che ne chiariscono l'effettivo significato, affatto "fallace". 7.10 Il Tribunale ha operato una ricostruzione necessariamente "astratta", visti gli esiti del precedente giudizio intercorso tra le parti e l'obiettiva mancata dimostrazione di un'effettiva riorganizzazione con soppressione del posto di lavoro in discussione ovvero con assegnazione ad altri, affermando, condivisibilmente, che anche ad ammettere una tale evenienza questa non poteva ritersi da sola sufficiente, finendo per giustificare il recesso con l'impossibilità di dare esecuzione all'ordine giudiziale, condizione che di per sé non poteva integrare, ai sensi della disciplina vigente, il giustificato motivo oggettivo. Da qui la ritenuta necessità di una comparazione con la posizione degli altri lavoratori, comparazione affatto effettuata. 7.11 La società, come evidenziato dal Tribunale, aveva l'obbligo giuridico, perché sancito dalle richiamate pronunce giudiziarie, di riammettere in servizio il (...), obbligo che solo in apparenza ha adempiuto, limitandosi a una riammissione "formale", sulla carta, senza ricostituire in concreto il rapporto di lavoro e lasciando il reclamato inattivo per un mese per poi licenziarlo, così di fatto sottraendosi all'ordine giudiziale. 7.12 Giova ricordare che il datore di lavoro non può sottrarsi all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro ovvero di riassunzione e ripristino del rapporto di lavoro con l'invocare il venire meno di posizioni di lavoro identiche alle mansioni precedentemente svolte, ove non sia configurabile un'oggettiva impossibilità, assoluta e radicale, non imputabile a fatto del datore di lavoro, ne' da esso prevedibile. Più semplicemente occorre la sopravvenuta materiale impossibilità totale e definitiva di adempiere l'obbligazione, non imputabile a norma dell'art. 1256 cod. civ., condizione che certo non ricorre nel caso di specie, atteso che la società vorrebbe giustificare il recesso con le vicende di una cessione di ramo di azienda dichiarata nulla proprio nei confronti del lavoratore licenziato. 8. Con il secondo motivo la società censura la gravata sentenza per avere ritenuto violato l'obbligo di repechage, ma anche questo motivo è infondato. 8.1. Originale la pretesa della reclamante di ritenere dimostrato l'adempimento all'obbligo in questione attraverso la produzione di alcune email (doc. da 14 a 19) con le quali i dirigenti della società hanno dichiarato di non avere disponibilità di posizioni di lavoro. 8.2. Innanzitutto si tratta di risposte a una domanda, alquanto suggestiva, del Direttore delle risorse umane del seguente tenore: "ti chiedo se nella tua organizzazione è disponibile una posizione di lavoro da offrire al sig. (...) che dovrebbe rientrare in azienda in quanto il tribunale di Latina ci ha condannato al ripristino del rapporto". 8.3. A.G. non andava semplicemente "offerta" una posizione di lavoro, ma la società aveva l'obbligo di riassumere il predetto, che aveva diritto a una tale posizione, e quindi l'obbligo di ricercare seriamente una collocazione all'interno dell'organizzazione aziendale. 8.4. Le risposte dei dirigenti, a prescindere da ogni altra considerazione, sono vaghe e assolutamente insufficienti a ritenere adempiuto l'obbligo di repechage, che avrebbe imposto una puntuale e specifica allegazione e dimostrazione degli effettivi organici dei singoli reparti del tutto omesse, tenendo conto anche della possibilità di assegnazione a mansioni inferiori ai sensi dell'innovato art. 2103 c,c., evenienza non adeguatamente affrontata dal reclamo nonostante quanto evidenziato dal Tribunale. 8.5. La società, infatti, si limita a confutare quanto accertato dalla gravata sentenza in ordine all'assunzione di numerosi lavoratori di livello inferiore successiva alla sentenza di riammissione e anche al licenziamento, sostenendo che si tratterebbe di "posizioni non ricopribili" dal reclamato. 8.6. Anche sul punto la censura non può essere condivisa, non risultando certo sufficiente l'elencazione operata a pg 7 e 8 dei nominativi dei singoli lavoratori neoassunti e l'affermazione per cui si tratterebbe di "ruoli specialistici, propri del core business aziendale, attribuibili esclusivamente a figure professionali in possesso di una pluriennale esperienza nel campo, della conoscenza fluente della lingua inglese, di lauree specialistiche", senza neppure preoccuparsi di chiarire perché debba ritenersi tale la posizione di un "operatore polivalente controllo qualità" ( C. e I.) ovvero chiarire la necessità della fluente conoscenza della lingua inglese dell' "addetto esperto affari regolatori" (Parente). 8.7. Va osservato che nella specie non si è difronte a un licenziamento "ordinario" per giustificato motivo oggettivo dettato da sopraggiunte e obiettive esigenze organizzative, bensì a un licenziamento che la società ha inteso irrogare assumendo, in sostanza, l'impossibilità di adempiere all'ordine giudiziale di ripristino del rapporto, come già evidenziato dal Tribunale, sicché le ragioni del recesso non possono essere individuate nelle vicende che hanno portato all'ordine di ripristino e il licenziamento andava giustificato con l'impossibilità assoluta e incolpevole di ricollocare il lavoratore, affatto dimostrata. 9. Confermata la totale infondatezza di un giustificato motivo oggettivo, anche nella componente dell'obbligo di repechage, resta quanto già evidenziato dal Tribunale in ordine al carattere ritorsivo del recesso e alla volontà della società di sottrarsi all'ordine giudiziale di riammissione in servizio del (...), passaggio non espressamente censurato. 9.1. Una tale volontà emerge in modo palese dalla dinamica e successione dei fatti come sopra ricostruiti, che attestano come la reclamante non si è in alcun modo seriamente attivata per adempiere all'ordine del giudice, procedendo al licenziamento del reclamato senza alcuna fondata ragione, sicché l'unico motivo rimane quello ritorsivo. 10. In ordine alle conseguenze della dichiarata nullità del recesso nessuna censura è stata mossa, restando così ferma la corretta statuizione del Tribunale, così come nessuna impugnazione è stata proposta avverso l'accertato aliunde perceptum. 11. Le spese del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo tenuto conto dei criteri tutti previsti dall'art. 4 comma 1 D.M. n. 147 del 2022. 11.1. In considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo al reclamante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il reclamo; condanna la reclamante a rifondere al reclamato le spese di lite del grado, liquidate in Euro 8684,00 oltre rimborso al 15%, iva e cpa; in considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo al reclamante richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. Così deciso in Roma il 16 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente est. dott.ssa Giulia Dossi - Consigliere. dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n. 568/2022 del Tribunale di Milano (est. dr. Lombardi) promossa da: (...) SPA con gli avv.ti Ca.Ni., En.Bo., Fe.D'A. e An.La., elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Corso (...) PARTE APPELLANTE contro (...), con gli avv.ti Ma.Fo. e Cl.Fr., elettivamente domiciliato presso il loro studio in Milano, viale (...) PARTE APPELLATA MOTIVI DELLA DECISIONE In fatto e in diritto Il Tribunale di Milano, in funzione di Giudice del Lavoro con sentenza. n. 568/2022, pubblicata il 02/03/2022, senza esperire attività istruttoria, ha accolto il ricorso introduttivo proposto da (...) nei confronti di (...) S.P.A., e ha dichiarato l'illegittimità della trattenuta eseguita nella busta paga di aprile 2020 a titolo di permessi non retribuiti; per l'effetto, ha ordinato alla Società di restituire al ricorrente la somma lorda di Euro 685,35 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo. Seguiva la condanna della convenuta alla rifusione delle spese di lite per Euro 1.172,00 oltre accessori di legge, da distrarsi al difensore antistatario. Il ricorrente aveva convenuto in giudizio la società (...) S.p.A., premettendo di aver lavorato alle dipendenze della medesima a decorrere dal 01/03/2019, in forza di un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, qualifica di operaio inquadrato al livello 5 del CCNL Trasporto Aereo - Sezione Handlers, e mansioni di "operatore unico aeroportuale". Premesso che a decorrere dal marzo 2020 le attività produttive ed erogatrici di servizi italiane erano state sottoposte a chiusure, nell'ambito del c.d. "lockdown" nazionale dovuto all'emergenza sanitaria da Covid-19, ha riferito che a far data dalla metà di marzo 2020 era stato impossibilitato a rendere la propria prestazione lavorativa in ragione dei provvedimenti emergenziali emanati nelle more della crisi epidemiologica (chiusura dello scalo di Linate avvenuta il 16/03/2020). A seguito di riscontro del cedolino paga di aprile 2020 era emersa l'indebita trattenuta di Euro 658,35 lordi a titolo di "permessi non retr.", per un totale di 67,500 ore, relativamente al periodo dal 16/03/2020 al 22/03/2020. Ritenuto che si trattasse di un'ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa e non di fattispecie assimilabile a quella dei permessi non retribuiti (...) aveva adito il Tribunale chiedendo la restituzione di quanto indebitamente trattenuto. La Società si era difesa sostenendo che il lavoratore non disponeva di ferie, permessi retribuiti o congedi ordinari e, quindi, la datrice si era trovata costretta a collocare il proprio dipendente in permesso non retribuito. Con la sentenza impugnata il primo Giudice ha qualificato la fattispecie in esame in termini di sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa per factum principis, ovvero in ragione delle determinazioni governative assunte per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, tra cui la chiusura degli scali aeroportuali, luogo di espletamento della prestazione del (...), con conseguente esonero delle parti dalle reciproche obbligazioni. Ad avviso del Giudice di prime cure, tuttavia, ciò non poteva consentire al datore di lavoro di utilizzare indebitamente strumenti previsti dal CCNL in favore dei lavoratori aventi diversa struttura, funzione e regolamentazione, quali i permessi non retribuiti. Gli stessi, difatti, vengono concessi su richiesta del lavoratore in corrispondenza di specifiche esigenze dello stesso, come per esempio i permessi sindacali, i permessi per esigenze di studio o quelli riconosciuti ai lavoratori subordinati che ricoprano il ruolo di Consiglieri di Parità. Con atto del 02/09/2022 (...) S.p.A. ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado. Con un unico articolato motivo di gravame, (...) ripropone la tesi sostenuta nella memoria di costituzione di primo grado, sostenendo la legittimità della sospensione del rapporto di lavoro del (...) dal 16 al 22 marzo 2020 e l'assoluta irrilevanza dell'indicazione in busta paga di dette giornate come permessi non retribuiti. Secondo la prospettazione di parte appellante, il lavoratore non aveva diritto alla retribuzione, vertendosi in ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per forza maggiore sub specie di factum principis (chiusura dello scalo di Linate) e considerando il fatto che (...) non disponeva di ferie, permessi retribuiti e congedi ordinari. La Società ricorda che i D.P.C.M. del 8 marzo 2020 e dell'11.03.2020 si sono limitati a raccomandare (non imporre) ai datori di lavoro, ove possibile, di promuovere, durante il periodo di efficacia di detti provvedimenti emergenziali, la fruizione, da parte dei lavoratori dipendenti, dei periodi di congedo ordinario e di ferie, nonché di incentivare le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti ed altresì gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, ivi compresi i permessi non retribuiti. In sostanza, ad avviso dell'appellante, la normativa emergenziale autorizzava il datore di lavoro anche al ricorso agli istituti che non prevedono la retribuzione per il lavoratore. Inoltre, l'appellante rileva l'infondatezza delle avverse doglianze -peraltro non accolte dal primo Giudice - in ordine alla presunta tardività nell'attivazione, da parte dell'azienda, delle misure di integrazione salariale. A. sostiene che per via dell'opposizione delle O.O.S.S. alla richiesta aziendale di attivare la C.I.G. prevista dall'art. 22 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, si era trovata costretta ad instaurare la procedura di (...) che, invece, ha avuto esito positivo con il riconoscimento dell'integrazione salariale straordinaria con decorrenza dal 23.03.2020. La predetta mancata intesa con le OO.SS. aveva costretto la datrice di lavoro a gestire il periodo intermedio decorrente dal 16.03.2020 (data di chiusura dell'aeroporto di Linate) al 22.03.2020 (ultimo giorno prima del riconoscimento della (...)) con l'istituto dei "permessi non retribuiti". (...) si è costituito in giudizio con memoria difensiva del 09/01/2023, insistendo per il rigetto del gravame avversario. L'appellato rileva che la fattispecie de qua costituisce un'ipotesi di impossibilità alla prestazione per factum principis, con la conseguenza che non si possono a lui imputare le assenze. Il lavoratore non ha poi richiesto la fruizione di permessi non retribuiti. Ad avviso del lavoratore, il datore di lavoro ha inopinatamente utilizzato uno strumento che gli ha creato un danno retributivo. Per temperare gli effetti della chiusura pressoché totale delle attività produttive e commerciali, il legislatore aveva già ampiamente previsto gli strumenti da utilizzare per tali tipi di assenze (permessi retribuiti, ferie e congedi ordinari, strumenti di integrazione salariale). Diversamente, il permesso non retribuito è uno strumento concesso al lavoratore per giustificare un'assenza dal lavoro per necessità sue proprie (permessi sindacali, esigenze di studio o quando si ricopre il ruolo di Consigliere di Parità). Pertanto, la fruizione dei permessi non retribuiti non poteva essere imposta dal datore di lavoro. Espletato, con esito negativo, il tentativo di conciliazione, all'udienza del 19 gennaio 2023, all'esito della discussione dei difensori, il Collegio ha deciso la causa come da dispositivo in calce. L'appello è infondato e non può essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono. Le circostanze di fatto sono documentali: la trattenuta operata da (...) per complessivi Euro 685,35 a titolo di permessi non retribuiti è relativa al periodo dal 16.03.2020 al 22.03.2020, giornate in cui (...) era stato nella impossibilità di lavorare e la società impossibilitata a ricevere la prestazione stante la concomitante chiusura dello scalo di Linate a cui era addetto il lavoratore, avvenuta, per l'appunto, il 16.03.2020. E'altresì pacifico, in quanto allegato da (...) e non contestato, che il lavoratore non disponeva di ferie, permessi retribuiti e congedi ordinari. Con l'unico motivo di appello, (...) sostiene di essersi tempestivamente attivata a richiedere le misure di integrazione salariale e di avere immediatamente attivato la procedura necessaria per ottenere la C.I.G. prevista dall'art. 22 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, avviando le necessarie consultazioni sindacali addirittura il giorno prima dell'entrata in vigore del decreto-legge poc'anzi richiamato. Riferisce che le OOSS, preso atto che in ipotesi di cassa "Covid" non era contemplata l'integrazione salariale ad opera del "Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale" - che consente ai lavoratori di percepire sino all'80% della retribuzione globale complessiva, comprensiva anche di istituti variabili, senza alcun tetto massimo, hanno ritenuto di non dover avallare la richiesta aziendale, che avrebbe consentito ad (...) di non pagare il contributo addizionale. A seguito del mancato accordo con le OOSS, (...) riferisce di aver successivamente attivato la procedura di (...), che ha avuto poi esito positivo con decorrenza dal 23.3.2020. Attesa quindi la scopertura del periodo 16-23 marzo 2020, nella impossibilità di utilizzare ferie e permessi retribuiti, non residuati a (...), l'appellante sostiene di essersi trovata costretta a gestire tale periodo intermedio ricorrendo ai permessi non retribuiti. In diritto, va ricordato che con la legislazione emergenziale è stata prevista da un lato la chiusura di gran parte delle attività produttive per evitare la diffusione del contagio e dall'altro sono state date indicazioni ai datori di lavoro al fine di tutelare la posizione dei lavoratori trovatisi nella impossibilità di svolgere la prestazione lavorativa. In questo panorama normativo si collocano i D.P.C.M. del febbraio e marzo 2020 con i quali, nell'ottica di assicurare ai lavoratori la conservazione del posto di lavoro e il mantenimento della retribuzione, è stato raccomandato ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia dei decreti, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, nonché di incentivare le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti "nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva". In particolare, si legge, all'art. 2, comma 1, lett. s) del D.P.C.M. del 8 marzo 2020 che "qualora sia possibile, si raccomanda ai datori di lavoro di favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie". Il successivo D.P.C.M. del 11 marzo 2020 all'art. 1, n. 7, prevedeva che "In ordine alle attività produttive e alle attività professionali si raccomanda che: (?) b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva". Con riferimento poi agli strumenti di integrazione salariale, con il decreto n 18 dell'11 marzo 2020 (c.d. Cura Italia) è stata previsto Articolo 19 - Norme speciali in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario La causale generica "emergenza COVID-19" può essere invocata per interventi di tutela salariale ordinaria che possono decorrere dal 23/02/2019, e durare al massimo 9 settimane, fino ad agosto 2020. Non è più obbligatorio il rispetto dei termini procedimentali, fatta salva informazione, consultazione e esame congiunto, da svolgersi entro tre giorni dalla comunicazione preventiva. La domanda può essere presentata entro il quarto mese dall'inizio dell'evento. Il (...) è esteso anche alle aziende con più di 5 dipendenti. L'INPS può provvede a pagamento diretto. Articolo 22 - Nuove disposizione per la Cassa integrazione in deroga Le Regioni possono attivare (...) per datori di lavoro non destinatari di tutele "ordinarie". Contrariamente al (...), per la (...) non sono previste deroghe alla procedura. L'intervento ha una durata massima di 9 settimane. E' necessario l'accordo solo per le aziende con più di cinque dipendenti. Anche in questo caso la sospensione può decorrere dal 23/2/2020. E' prevista solamente la modalità di pagamento diretto. Alla luce della riportata normativa ritiene il Collegio che illegittimamente (...) abbia operato la trattenuta per Permessi non retribuiti per i giorni di mancata prestazione lavorativa compresa tra il 16 e il 23 marzo 2023, in concomitanza con la chiusura dello scalo Linate. Come evidenziato dalla società appellante per verificare la legittimità della trattenuta è irrilevante la imputazione della stessa a "permessi non retrib", come si legge nella busta paga, dovendosi invece verificare se negli indicati giorni di mancata prestazione il lavoratore avesse o meno diritto alla retribuzione. In ogni caso, il Collegio condivide l'osservazione del primo giudice che sul punto ha rilevato che certamente nella fattispecie non ricorrono i presupposti per l'applicazione dei permessi non retribuiti, il lavoratore non ne ha fatto richiesta e tali permessi non possono essere unilateralmente applicati dal datore di lavoro. Va invece rilevato che (...) ha fatto malgoverno degli strumenti previsti dal legislatore dell'emergenza, volti a tutelare la conservazione del posto di lavoro e della retribuzione dei lavoratori anche nei periodi di impossibilità di svolgere la prestazione. Il legislatore ha raccomandato ai datori di lavoro di utilizzare istituti quali ferie e congedi retribuiti o altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva e particolari ammortizzatori sociali al fine di conservare ai lavoratori un trattamento salariale. Come osservato dalla migliore dottrina i descritti ammortizzatori sociali sono stati adottati dal governo per controbilanciare l'atto di responsabilità sociale in termini di mantenimento dei livelli occupazionali, richiesto a tutte le imprese nel particolare momento di emergenza pandemia e conseguente chiusura di attività. In quest'ottica l'odierna appellante, riscontrata la impossibilità di ricorrere all' applicazione di ferie e permessi retribuiti, al fine di consentire al lavoratore di conservare un trattamento salariale, anziché effettuare la trattenuta dei giorni di assenza in busta paga avrebbe dovuto accedere alla cassa integrazione di cui all'art.19 sopra riportato. A. ha invece richiesto all'OOSS un incontro peer l'esame congiunto sulla attivazione di procedura di Cassa in deroga ex art. 22 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 cit., che ha avuto esito negativo. Non avendo utilizzato l'ammortizzatore sociale a disposizione, non può (...) porre a carico del lavoratore le conseguenze derivante dall'esito negativo dell'esame congiunto e dal mancato accordo con le OOSS. Alla luce delle argomentazioni esposte, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, l'appello avverso la sentenza n. 568/22 del Tribunale di Milano deve essere respinto, con conferma della sentenza stessa. Le spese del grado seguono la soccombenza. L'appellante deve pertanto essere condannata a rimborsare al sig. (...), le spese di lite liquidate come da dispositivo in considerazione del valore della controversia, dell'assenza di attività istruttoria in appello e dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022 Sussistono nella specie i presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato a carico dell'appellante (...) spa. P.Q.M. Respinge il ricorso; Condanna l'appellante a rimborsare le spese di lite del grado che liquida in complessivi Euro 500,00 oltre oneri di legge e spese generali forfettarie al 15%, da distrarsi in favore dei difensori antistatari avv.ti Ma.Fo. e Cl.Fr.; ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Milano il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione seconda nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Carlo Maddaloni - Presidente dr. Maria Elena Catalano - Consigliere rel. dr. Elena Mara Grazioli - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1907/2022 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. FO.MA. e dell'Avv. FO.MA. ((...)) VIA (...) 22100 COMO; elettivamente domiciliato in VIA (...) 22100 COMO presso il difensore Avv. FO.MA. APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. PI.VA., elettivamente domiciliato in VIA (...) 20135 MILANO presso il difensore Avv. PI.VA. Q.B.E. SA / NV (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. RO.FR., elettivamente domiciliato in VIALE (...) 20135 MILANO presso il difensore Avv. ROLLE FRANCESCO APPELLATI avente ad oggetto: Responsabilità professionale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) citava in giudizio avanti al Tribunale l'Avv. (...) al fine di accertare l'inadempimento o l'inesatto adempimento colpevole negligente e/o doloso dell'Avv. (...) nei confronti dell'attrice/cliente e per l'effetto dichiarare definitivamente risolto il contratto di mandato professionale o comunque dichiarare non dovuto ex art. 1460 c.c. il compenso richiesto e/o richiedibile e, per l'effetto, condannare l'Avv. (...) al risarcimento di tutti i danni subiti dalla sig.ra (...), patrimoniali e non patrimoniali, presenti e futuri, conseguenti al dedotto inadempimento. In particolare, la signora (...) chiedeva al Tribunale: dichiarato che l'attrice percepiva una retribuzione globale di fatto lorda pari a Euro 2.634,00 (euro duemilaseicentotrentaquattro virgola zero zero) lordi mentre era alle dipendenze della (...); dichiarato che l'attrice è stata in mobilità per mesi 24 percependo un'indennità pari a circa Euro 1.000,00 lordi, quantificare il risarcimento del danno: A) per mancata reintegrazione in almeno 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale lorda di fatto; B) per i mesi di mobilità in almeno 24 mensilità date dalle differenza tra la retribuzione globale di fatto lorda e l'indennità di mobilità; C) per il mancato rispetto della procedura di licenziamento in almeno 6 mensilità dell'ultima mensilità globale lorda di fatto; inoltre, chiedeva D) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa per il mancato risarcimento del danno da mobbing tenendo presente la quantificazione delle richieste effettuate dal Tribunale del Lavoro di Milano; E) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa dal Tribunale per il danno patrimoniale derivante dalla violazione del diritto assoluto di difesa; F) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa dal Tribunale per il danno non patrimoniale sempre derivante dalla violazione del diritto assoluto di difesa. In via subordinata, nella denegata ipotesi che non fossero accolte le voci "ut supra", chiedeva risarcire il danno da perdita di chance secondo il prudente apprezzamento del giudice adito. Con vittoria di spese di giudizio, rimborso forfettario, IVA e CPA, distratti. Si costituiva ritualmente l'Avv. (...) che chiedeva autorizzare la chiamata di terzo, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., della (...) LTD, rappresentanza generale per l'Italia, assicuratore dello Studio Legale (...), e quindi dell'avvocato collaboratore (...), in forza di polizza n, (...), in via pregiudiziale e/o preliminare: -Dichiarare l'inammissibilità e/o l'inesistenza e/o la nullità della notifica via pec dell'atto di citazione del 17.12.2018 per i motivi di cui in narrativa con conseguente dichiarazione di inesistenza e/o di estinzione del presente giudizio; - Dichiarare l'inesistenza, la nullità e l'invalidità dell'atto di citazione avversario datato 17.12.2018 per i motivi di cui in narrativa con conseguente dichiarazione di inesistenza e/o di estinzione del presente giudizio; - Dichiarare l'inammissibilità e/o la nullità della costituzione in giudizio di parte attrice, per i motivi di cui in narrativa, con conseguente estinzione di diritto del presente giudizio che si chiede venga dichiarata dal Giudice Istruttore con ordinanza ai sensi dell'art. 307 c.p.c.. In subordine e in ogni caso in via principale: rigettare tutte le domande ex adverso proposte. In ulteriore subordine: dichiarare tenuta a condannare (...) LTD, rappresentanza generale per l'Italia con sede in Via (...) G. n. 8, 20124 (...), c.f./p.iva (...), in persona del rappresentante generale per l'Italia, a tenere indenne e manlevare l'Avv. (...) da quanto sarà condannata a pagare per capitale, accessori, interessi e spese processuali; condannare (...) LTD, rappresentanza generale per l'Italia con sede in Via (...) G. n. 8, 20124 (...), c.f./p.iva (...), in persona del rappresentante generale per l'Italia, a rifondere all'Avv. (...) le spese sostenute per la propria difesa in giudizio; In via riconvenzionale: condannare l'attrice sig.ra (...) a pagare all'Avv. (...), a titolo di compensi professionali, la somma complessiva di Euro 4.600,00 oltre 15% rimb. forf. ed accessori come per legge, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo o la diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia all'esito del presente giudizio. Con vittoria di compensi e spese di lite oltre 15% rimborso forfettario ed accessori di legge. Si costituiva quindi la Compagnia assicurativa che contestava l'operatività della polizza domandando: IN PRINCIPALITA' assolvere (...) SA/NV da ogni domanda da chiunque formulata nei suoi confronti nel presente giudizio, in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque sprovvista di prova. IN VIA SUBORDINATA, ove venisse ritenuta anche solo in parte operativa la garanzia prestata dall'assicurazione con la polizza n. (...), limitare la condanna di (...) SA/NV a manlevare e tenere indenne l'Avv. (...) nella sola misura del danno subito e provato da controparte come conseguenza immediata e diretta delle condotte colpose tenute dalla convenuta chiamante nell'esercizio dell'attività professionale di avvocato per conto dello Studio Legale (...), in ogni caso nel rispetto di tutti i termini e condizioni contrattuali specificati in atti, ivi compresa la franchigia fissa pari ad Euro 2.000,00 (duemila/00) che dovrà restare a carico dell'assicurato. IN OGNI CASO Con vittoria di spese, diritti, onorari rimborso forfettario, sentenza e successive occorrende, oltre IVA e CPA sulla parte imponibile. Con sentenza emessa il 13 maggio 2022 depositata in cancelleria in pari data, il Tribunale di Milano così statuiva: "PQM Il Tribunale, definitivamente pronunciando ex art. 281 sexies c.p.c., così Dispone: 1) Rigetta le domande proposte da (...) nei confronti dell'Avv. (...) 2) In accoglimento della domanda riconvenzionale, condanna l'attrice al pagamento, in favore della convenuta, dei compensi professionali, pari a Euro 2.000,00,oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia al saldo effettivo 3) Condanna l'attrice alla rifusione delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 3.338,00, di cui Euro 600,00 per pese ed Euro 2.738,00 per compenso, oltre a CPA, spese generali ed IVA se dovuta in favore della convenuta e in complessivi Euro 3.238,00 di cui Euro 500,00 per spese ed Euro 2.738,00 per compenso, oltre a CPA, spese generali ed IVA se dovuta in favore della terza chiamata". Appella (...) argomentando -in estrema sintesi- i seguenti motivi: A) SULLA COLPA GRAVE/DOLO DELL'AVV. (...): OMESSO ESAME DI FATTI DECISIVI OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI B) SULLA OMESSA AMMISSIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI (travisamento del materiale probatorio) CON RIFERIMENTO ALLA OMESSA IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO C) SUL VIZIO DI MOTIVAZIONE CON RIFERIMENTO ALLA VALUTAZIONE PROGNOSTICA D) SULLA OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI CON RIFERIMENTO ALLA EVENTUALE CAUSA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO E) SUL DANNO F) SULLE SPESE PROCESSUALI LIQUIDATE ALLA TERZA CHIAMATA E OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI G) SULLA PREGIUDIZIALE DI CUI ALLA COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA DELL'AVV. (...) H) SULLA DOMANDA RICONVENZIONALE L) SULLA RICHIESTA DI VERIFICAZIONE Si costituiva con comparsa di costituzione e risposta in appello l'Avv. (...), ribadita la palese infondatezza dell'azione avversaria sulla base dell'errata individuazione della normativa sul licenziamento individuale, rispetto al caso di specie in cui era stato operato un licenziamento collettivo, chiedeva: in via pregiudiziale/preliminare in rito, dichiarare inammissibile l'appello; rigettare l'appello avversario e, comunque, rigettare integralmente tutte le domande ed eccezioni formulate ex adverso da tutte le parti avversarie in causa; confermare integralmente la sentenza n. 4196/2022, pubblicata il 13.5.2022, del Tribunale di Milano, Sez. I Civ., Dott. (...), nel giudizio di primo grado R.G. n. 1643/2019; in subordine e in ogni caso in via principale: dichiarare l'operatività e retroattività della polizza stipulata dallo Studio Legale (...) con la terza chiamata (...)L. ora (...) SA/NV, Rappresentanza Generale per l'Italia, in forza di polizza n. (...), a favore della convenuta Avv. (...) quale collaboratore dello studio assicurato; condannare la compagnia assicurativa a tenere indenne e manlevare l'Avv. (...) da quanto sarà condannata a pagare per capitale, accessori, interessi e spese processuali; condannare (...) LTD ora (...) SA/NV, Rappresentanza Generale per l'Italia con sede in Via (...) G. n. 8, 20124 (...), c.f./p.iva (...), in persona del Rappresentante Generale per l'Italia, a rifondere all'Avv. (...) le spese sostenute per la propria difesa in giudizio; in subordine e in via riconvenzionale: condannare l'attrice Sig.ra (...) a pagare all'Avv. (...), a titolo di compensi professionali, la somma complessiva di Euro 4.600,00 oltre 15% rimb. forf ed accessori come per legge, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo o la diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia all'esito del presente giudizio. Con comparsa di costituzione e risposta in data 18.10.2022 la (...) SA/NV chiedeva in via principale: assolvere (...) SA/NV da ogni domanda da chiunque formulata nei suoi confronti in quanto infondate in fatto e in diritto e comunque sfornite di prova; in via subordinata: limitare comunque la condanna di (...) SA/NV in manleva rispetto al danno effettivamente provato come conseguenza immediata e diretta delle condotte colpose dell'Avv. (...) e, in ogni caso nel rispetto di tutti i termini contrattuali e della franchigia fissa di Euro 2.000,00 di cui dalla polizza di R.C. professionale de quo. All'udienza di trattazione del 15.11.2022 le parti si riportavano alle proprie difese e parte appellante dichiarava di non insistere nell'istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza. La Corte d'Appello invitava le parti a precisare le conclusioni alla stessa udienza del 15.11.2022 e tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusive ed il successivo termine di 20 giorni per le eventuali repliche. La causa veniva decisa nella camera di consiglio dell'8.2.2023. MOTIVI DELLA DECISIONE In data 10/03/2014 la sig.ra (...) riceveva dal proprio datore di lavoro (...) spa, con sede in C. B., Via (...) 13 (azienda con più di 15 dipendenti) lettera di licenziamento collettiva motivata da riduzione del personale (giustificato motivo oggettivo). Con atto di citazione in primo grado (...) allegava che: - non sussistevano le ragioni giuridiche e di tipo organizzativo o economico che giustificavano il grave provvedimento espulsivo; - non era stata rispettata da parte del datore di lavoro la procedura prevista dalla norma in vigore L. n. 92 del 2012 rito Fornero; - non era stata enunciata la cd. impossibilità di repechange, nonostante ci fossero più sedi e più mansioni. Secondo tesi, all'esito di un chiarimento sulla questione, la sig.ra (...) conferiva mandato al legale in relazione all'impugnativa da proporre avverso detto licenziamento; l'attrice spiegava quanto accaduto, produceva i documenti e concordava, su consiglio dell'avvocato, di introdurre: a) la procedura di impugnativa di licenziamento per carenza dei presupposti oggettivi in fatto e diritto con richiesta di reintegra nella mansione qualifica e sede; b) contemporaneamente o con giudizio separato, si sarebbe introdotto un procedimento per chiedere il risarcimento del danno per cd. mobbing. Pertanto il legale impostava la lettera di impugnativa del licenziamento, datata 8 maggio 2014 (un giorno prima della scadenza dei 60 giorni); contattava nel medesimo giorno la cliente alla quale chiedeva di recarsi immediatamente in posta per spedire la racc. ar perché i termini per l'impugnativa erano in scadenza. L'Avv. (...) spiegava (per iscritto) all'attrice che l'impugnativa doveva avvenire entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, cui doveva seguire il ricorso giudiziario nei 180 giorni successivi. La sig.ra (...) allegava che, spedita la raccomandata, forniva i documenti e i nominativi di eventuali testimoni sui fatti come richiesto dall'avvocato; inoltre, si sottoponeva a diverse visite medico legali con la psicologa (...) per la determinazione, in base al danno psichico, dell'importo risarcitorio conseguente la supposta condotta integrante il mobbing. Precisava altresì, di aver scoperto al momento della revoca del mandato, che il professionista non aveva proceduto a impugnare il licenziamento, nonostante fosse stata notiziata per iscritto dal proprio legale di fiducia che: a) la causa di impugnativa era stata depositata al Tribunale di Monza e doveva essere integrata documentalmente; b) la causa risarcitoria derivante da mobbing era pendente e si dovevano indicare i testi; c) nel frattempo continuava la trattativa con la (...). Da tale omissione conseguivano gravi danni, patrimoniali e non patrimoniali, in capo all'appellante. Il Tribunale non accoglieva la domanda risarcitoria della odierna appellante. La Corte osserva. PRELIMINARMENTE SULLE ISTANZE ISTRUTTORIE DELLA PARTE APPELLANTE Le richieste istruttorie, così come svolte dalla difesa della Sig.ra (...) in primo grado hanno come riferimento la legge relativa ai licenziamenti individuali e non quella relativa ai licenziamenti collettivi, pacificamente applicabile alla fattispecie. Quindi il Giudice di primae curae ha correttamente ritenuto la causa matura per la decisione in base alle prove documentali offerte, rigettando le istanze istruttorie avanzate, inconferenti rispetto alla normativa specifica da applicarsi alla fattispecie. Gli ulteriori capitoli non possono essere ammessi perché generici e comunque irrilevanti. Infine, l'ordine di consegna del fascicolo di studio relativo alla posizione della signora (...), non appare necessario alla decisione avendo la parte appellata allegato di non aver predisposto -perché non di interesse per la cliente- alcun ricorso al Tribunale per l'impugnativa del licenziamento. Occorre poi premettere alcuni cenni relativi alla responsabilità professionale dell'avvocato. In via generale, si osserva che nelle prestazioni rese nell'esercizio di attività professionali al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2) vale a dire è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta. La valutazione dell'esattezza delle prestazioni da parte del professionista, naturalmente, varia secondo il tipo di professione. Per gli avvocati, la Corte di Cassazione (Cass. 24544/2009) ha precisato che: "la responsabilità professionale deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole". In particolare, inoltre, la Suprema Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio. Sul piano dell'onere della prova il cliente che sostiene di aver subito un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: a) l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; b) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; c) l'esistenza del danno; d) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno. Tutto ciò premesso, l'appellante impugna la sentenza lamentando i seguenti errori da parte del primo giudice. A) SULLA COLPA GRAVE/DOLO DELL'AVV. (...): OMESSO ESAME DI FATTI DECISIVI OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI B) SULLA OMESSA AMMISSIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI (travisamento del materiale probatorio) CON RIFERIMENTO ALLA OMESSA IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO I PRIMI DUE MOTIVI DI APPELLO CONCERNONO LA QUESTIONE DEL CONFERIMENTO DEL MANDATO AL PROFESSIONISTA per proporre il ricorso ex art. 414 c.p.c. avanti al giudice del lavoro al fine di impugnare il licenziamento collettivo. Secondo l'appellante, in estrema sintesi, il Tribunale non avrebbe tenuto conto di una serie di mail prodotte e delle prove testimoniali argomentate, al fine di ritenere effettivamente conferito al professionista il mandato per proporre ricorso per l'impugnazione del licenziamento. La Corte osserva che, proprio dalla documentazione prodotta dall'appellante, è ragionevole ritenere che nessun mandato per proporre l'impugnazione del licenziamento davanti al Tribunale fu espressamente conferito. Nel mese di gennaio 2014 la società (...) S.p.A. avviava procedura di licenziamento collettivo tramite Confindustria Monza Brianza con preventiva comunicazione sindacale ai sensi dell'art. 4, 1 e 2 comma della L. n. 223 del 1991 (cfr. docc. 7 e 8 fasc. I grado convenuta). Successivamente, con lettera del 7.3.2014, la (...) S.p.A. comunicava il licenziamento alla Sig.ra (...) nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo promossa (cfr. doc. 9 fasc. I grado convenuta). L' Avv. (...) rispondeva all'appellante appena vista la lettera con e.mail del 11/3/2014 - "visto, impugneremo il licenziamento e poi si vedrà ... Oggi sono un po' di corsa, ci si sente domani? Ciao (...) (ndr. Avv. (...))"; successivamente con e.mail del 02/04/2014 - "Ciao S.. Pensavo di inviare la lettera di impugnazione del licenziamento poco dopo la metà di aprile (abbiamo 60 giorni dalla data di licenziamento), in modo da avere fino a poco dopo la metà di ottobre per depositare un eventuale ricorso (abbiamo 180 giorni dall'impugnazione del licenziamento). Direi che ci sentiamo o subito prima o subito dopo Pasqua. (...)" (ndr. Avv. (...)); infine, con e.mail del 08/05/2014 -" (...), il tempo passa velocissimo, i 60 giorni per l'impugnazione del licenziamento sono quasi giunti al termine. Se non sbaglio, mi dicevi che hai ricevuto la raccomandata in data 14 (metti tu la data corretta dove ci sono i puntini), quindi qualche giorno c'è ancora, però, per tranquillità, stampa ed invia la lettera di impugnazione appena puoi, così ci togliamo il pensiero. Poi rifletteremo sul da farsi. Ciao a presto. (...) "(ndr Avv. (...)). Da tali mail risulta documentalmente provato che le parti disquisirono sulle iniziative da percorrere per il licenziamento, ma non è revocabile in dubbio che ancora in data 8.5.2014 le parti dovevano concordare una precisa linea difensiva o, recte, dovevano decidere ancora se impugnare o meno davanti al Tribunale il licenziamento (i termini usati sono: "riflettere sul da farsi"). Risulta altresì provato che con la mail 2.4.2014, il professionista avesse comunicato con chiarezza alla cliente che la stessa avrebbe avuto "sino a poco dopo la metà di ottobre per depositare un eventuale ricorso", cioè 180 giorni dal licenziamento. Dopo il licenziamento del 7 marzo 2014 dell'attrice, l'Avv. (...) provvedeva alla redazione della lettera d'impugnazione che faceva inviare direttamente dalla Sig.ra (...) al datore di lavoro, con raccomandata a.r. in data 8 maggio 2014, ricevuta in data 9 maggio 2014 (cfr. docc. 10, 11, 12 e 13 fasc. I grado). Come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure nessun sollecito o richiesta intervenne da parte della appellante per procedere giudizialmente entro i sei mesi dal licenziamento, come scritto alla cliente. Si evidenzia, altresì, che nessuna procura alle liti scritta fu rilasciata dall'appellante per agire in giudizio avanti al Tribunale. Procura la cui necessità era certamente ben nota all'odierna appellante, stanti le vicende giudiziarie che avevano coinvolto il proprio coniuge. L'unica traccia genericamente riconducibile ad una qualche iniziativa giudiziaria, non meglio identificata, è quella del 24 ottobre 2014 (doc. 8 att.), ove il legale riferiva alla cliente "... sì, ho ricevuto il tuo sms conosco il Giudice. Per ora non serve alcun bonifico. Ti faccio avere un preventivo entro la prossima settimana..." Il contenuto di tale mail non può essere univocamente riferito all'impugnazione del licenziamento avanti al Tribunale, non solo sotto il profilo testuale ma anche per le considerazioni che seguono. Dalla tipologia deformalizzata di rapporto professionale instaurato tra le parti (come si evince dal tenore delle mail e dei messaggi inviati), nonché tenuto conto di quanto accadde per il ricorso risarcitorio per mobbing, non è ragionevole ritenere: a) che (...) non abbia sollecitato il professionista (entro i termini da quest'ultimo indicati) affinchè procedesse (dopo l'invio della lettera) a inviarle una bozza del "ricorso" e neppure formalizzato una procura a agire (sempre prima che scadessero i termini per il deposito del "ricorso"); b) che il professionista non avesse inviato alcuna bozza alla cliente come -invece- fatto (più volte) in occasione della predisposizione della causa risarcitoria da mobbing; c) che il preventivo, che avrebbe inviato la professionista nel novembre 2014 (a termini ormai scaduti), fosse riferibile alla causa per impugnazione giudiziale del licenziamento (e non alla causa per mobbing). Successivamente, dal 19 giugno 2015 in poi (ma già dal 8 giugno 2015, doc. 9 att.), la corrispondenza tra le parti si concentra esclusivamente sulla preparazione del ricorso per mobbing, come da ultimo confermato dalla email del 9 giugno 2016 inviata da (...) alla psicologa dott.ssa (...), incaricata dell'espletamento di una perizia di parte sui danni subiti dall'attrice per la condotta discriminatoria (doc. 24 conv.); -in questa mail, si legge: "... abbiamo quasi concluso la causa civile/penale, mentre è da aprire a breve quella lavorativa per mobbing, non so se ricordi ...". Pare evidente a questa Corte che la signora (...) il 9.6.2016 fosse bene consapevole che non pendesse alcun ricorso di impugnazione del suo licenziamento avanti al Tribunale. La signora (...) ha sostenuto che venne a conoscere dell'omissione colpevole dell'Avv. (...) solo in occasione della revoca del mandato, essendo convinta che il professionista avesse proceduto a depositare il ricorso avanti al Tribunale del lavoro, come la stessa Avv. (...) le aveva fatto credere. La Corte osserva che tale affermazione risulta contraria a quanto emerge dalla documentazione prodotta. Infatti, nel corso del rapporto emerge che, nell'aprile 2016, l'Avv. (...) redigeva lettera per riprendere un dialogo con la società (...) al fine di trovare una soluzione conciliativa. Tale lettera veniva modificata numerose volte a seguito di nuove osservazioni della Sig.ra (...) (cfr. doc. 22 fasc. I grado). Una volta avuta l'approvazione finale dalla Sig.ra (...), l'Avv. (...) provvedeva all'invio della lettera definitiva (datata 18.4.2016) a (...) (cfr. doc. 23 fasc. I grado). Il contenuto della lettera concerneva solo e soltanto il comportamento del datore di lavoro in corso di rapporto, allegato come discriminatorio, nei confronti dell'appellante: nella lettera non vi era alcun riferimento all' "illegittimità" del licenziamento. Si sottolinea che nella frase finale della missiva era scritto: "Ad ogni buon conto, prima di percorrere la strada giudiziaria, la mia assistita mi ha chiesto di provare ...", a riprova che l'Avv. (...) non aveva depositato alcun ricorso e che la Sig.ra (...) ne era ben consapevole, avendo letto e corretto la lettera più volte. Nel gennaio del 2017 l'Avv. (...) svolgeva l'ulteriore stesura del ricorso per l'azione risarcitoria da mobbing, cui seguivano le numerose correzioni della Sig.ra (...) (cfr. docc. 25, 26, 27 e 28 fasc. I grado). Tutti questi documenti, consentono alla Corte ragionevolmente, di ritenere che la sig. (...) ben sapesse che (diversamente dalla causa civile/penale che aveva coinvolto il marito) nessun ricorso era stato proposto per impugnare il licenziamento, avanti al Tribunale del lavoro. Per completezza di esame, si osserva che la prova testimoniale articolata sul punto, non appare concludente. Il capitolato risulta infatti generico sul tempo in cui fu conferito il mandato, sulla sua specificità e persino sul luogo in cui fu conferito. Tenuto conto, altresì, della mancanza di una procura alle liti che necessariamente doveva essere rilasciata prima della scadenza dei (brevi) termini per l'impugnazione del licenziamento avanti al Tribunale. In conclusione, la documentazione prodotta risulta concludente per ritenere: 1) che il professionista diede alla cliente precise indicazioni sui termini per proporre ricorso avanti al Tribunale del lavoro per impugnare giudizialmente il licenziamento 2) la consapevolezza dell'appellante di non aver proceduto -nei termini indicati- alla proposizione del ricorso; 3) la mancanza di una procura alle liti, necessaria per depositare il ricorso. SECONDA QUESTIONE: LA VALUTAZIONE PROGNOSTICA NESSO DI CAUSALITÀ' E DANNO Tale questione risulta assorbita dal rigetto dei primi due motivi di appello. Per completezza di esame, questa Corte procede alla valutazione anche di tale questione, risultando anch'essa infondata. La materia della prova del nesso di causalità e del danno in ipotesi di responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale è stata ampiamente affrontata in sede di legittimità. Giusto principio di diritto consolidato, "la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita (Cass. 9 giugno 2004 n. 10966; conf. Cass. 19 novembre 2004 n. 21894; cfr. anche, per la valutazione del nesso di causalità giuridica tra omissione ed evento. Cass. 18 aprile 2005 n. 7997)" (Cass. 9917/2010; conforme Cass. 13873/2020). Sempre a conferma di tale orientamento si è poi espressa con riferimento alla fattispecie dell'omessa proposizione dell'impugnazione la Cass. 2638/2013. In tale occasione la S.C. ha statuito che "la responsabilità ... non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (Cass. 2638/2013). Più recentemente, la Corte di Cassazione è nuovamente ritornata sul tema ribadendo che "in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa" (Cass. 25112/2017). Nello stesso senso anche Cass. 8516/2020. La nozione di "causa", che si ricava dall'esame della giurisprudenza di legittimità citata, consente di qualificare in tal senso quell'antecedente senza il quale l'evento dannoso non si sarebbe verificato; per contro, non sarebbe "causa" di un evento quel comportamento umano in mancanza del quale il pregiudizio si sarebbe egualmente verificato. Da tale definizione deriva lo stesso significato del giudizio probabilistico o controfattuale, ovvero di quella particolare operazione intellettuale mediante la quale, ipotizzando assente una determinata condizione (l'inadempimento del professionista), la Corte è tenuta a chiedersi se la medesima conseguenza (il pregiudizio sofferto dal danneggiato) si sarebbe comunque verificata. In caso di esito positivo, la condotta del professionista non potrebbe considerarsi quale causa dell'evento e venendo a mancare il nesso di causalità la richiesta risarcitoria non potrà che esser rigettata in punto an. In caso di esito negativo, per contro, si avrà la presenza di tutti i requisiti necessari per il sorgere del diritto al risarcimento del pregiudizio patito. Alla luce della giurisprudenza sopra menzionata il Giudice di primo grado ha correttamente ritenuto indimostrato il nesso eziologico tra la condotta professionale (per mera ipotesi) negligente dell'Avv. (...), così come lamentata da (...), e la mancata reintegrazione di quest'ultima nelle sue mansioni nonché il danno patito, sulla base di un giudizio probabilistico controfattuale. In particolare, nell'atto di citazione proposto in primo grado, la Sig.ra (...) si era limitata a dedurre l'omissione del deposito del ricorso di impugnazione del licenziamento "individuale" da parte dell'Avv. (...) chiedendo il risarcimento del danno conseguenti alla mancata reintegrazione nel posto di lavoro e/o in subordine per perdita di "chance", genericamente affermando la responsabilità professionale dell'Avv. (...) senza un' articolata formulazione degli elementi di fatto e di diritto a sostegno di una prognosi positiva dell'esito della causa di impugnazioni di licenziamento e con mera allegazione della colpa omissiva dell'Avv. (...). Solo con la memoria n.1 ex art.183, sesto comma, c.p.c., depositata a seguito della nuova concessione dei termini istruttori, la difesa dell'attrice ha allegato: a) che la società datoriale non aveva instaurato la procedura di conciliazione obbligatoria avanti la Commissione provinciale presso la Direzione territoriale del lavoro b) che altri due dipendenti licenziati (N.R. e (...)) avevano impugnato il loro licenziamento, raggiungendo nelle more un accordo con la società datoriale: possibilità che era stata radicalmente preclusa a causa della lamentata inerzia processuale del proprio difensore c) trattandosi di un licenziamento collettivo (in ordine al quale grava, comunque, sul datore di lavoro, la prova della scelta sulla persona da licenziare) avrebbe potuto dimostrare in sede giudiziale, mediante la richiesta di ordine di esibizione che i due menzionati lavoratori avrebbero dovuto essere licenziati in sua vece d) che per la società datoriale vi era possibilità di effettuare un repechage della lavoratrice nel (...), al quale appartiene la (...) s.p.a. Avanti a questa Corte l'appellante svolge deduzioni a sostegno dell'illegittimità del licenziamento della Sig.ra (...) nell'ambito del "licenziamento collettivo" operato dalla (...) S.p.A. non presenti nell'atto di citazione di primo grado e tardivamente introdotti, per la prima volta, nella seconda memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c. di parte attrice. In primo luogo, va confermata la sentenza del Tribunale laddove ha ritenuto erroneo il richiamo alla L. n. 604 del 15 luglio 1966, contenuto in atto di citazione, concernente la disciplina del licenziamento individuale, mentre la disciplina pertinente alla presente fattispecie è quella della L. n. 223 del 1991, trattandosi di licenziamento collettivo. Con riferimento al mancato rispetto della procedura di licenziamento da parte della società datrice di lavoro, dalla documentazione prodotta (doc. 50 att.), non si evince alcun elemento incompatibile con l'inosservanza, da parte della società datoriale, delle modalità procedurali per il licenziamento collettivo, avendo la stessa regolarmente provveduto all'instaurazione della fase sindacale all'esito della quale le parti non avevano raggiunto un accordo (cfr. verbale di mancato accordo del 18 febbraio 2014 e lettera Z. del 13 marzo 2014). Infine, nel merito, la difesa attorea non ha poi specificatamente allegato - e provato - quali criteri, tra quelli concernenti l'individuazione dei lavoratori da licenziare, non sarebbero stati correttamente applicati dalla società datrice di lavoro. Ai fini della valutazione prognostica dell'esito positivo della causa di lavoro, la ponderata e puntuale valutazione delle illegittime modalità di applicazione dei criteri inerenti ai carichi di famiglia, all'anzianità aziendale, nonché alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative aziendali passa attraverso una valutazione comparata della posizione dell'attrice e di quella degli altri dipendenti, valutazione che -nella specie-l'attrice in primo grado non ha allegato. Non appare condivisibile per la Corte la tesi dell'appellante che, rilevando la sussistenza di un onere a carico del datore di lavoro (in un ipotetico contenzioso con il lavoratore) di fornire la prova della legittimità del licenziamento, ritiene esaurito -in questa sede- il proprio onere di prova e di allegazione. Infatti, questa Corte -nel presente giudizio prognostico- deve poter valutare se la lavoratrice (come sostenuto) è stata oggetto di un licenziamento non legittimo. Non vi è dubbio che -secondo criterio del "più probabile che non"- sussistessero effettivi motivi oggettivi per procedere al licenziamento collettivo. Infatti, nel mese di gennaio 2014 la società (...) S.p.A. avviava procedura di licenziamento collettivo tramite Confindustria Monza Brianza con preventiva comunicazione sindacale ai sensi dell'art. 4, 1 e 2 comma della L. n. 223 del 1991 (cfr. docc. 7 e 8 fasc. I grado). Dalla documentazione prodotta (doc. 8 e 9 fasc. di primo grado) emerge che il datore seguì la corretta procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991 e perciò deve ritenersi ragionevole che vi fossero tutte le condizioni oggettive -vagliate in concreto dai sindacati- per procedere ai licenziamenti collettivi. Sotto il profilo del mancato risarcimento del danno da mobbing, si evidenzia che la signora (...) aveva dieci anni (termine di prescrizione) per poter ottenere il risarcimento danni per mobbing da parte del datore di lavoro. Nessuna preclusione, quindi, per la mancanza di proposizione del ricorso da parte dell'Avv. (...). In conclusione, qualora il professionista avesse depositato il ricorso non avrebbe potuto invocare la tutela reale del licenziamento per mancanza di giustificato motivo oggettivo che consentiva il licenziamento collettivo, perché verosimilmente sarebbe stata rigettata mentre -in ogni caso- avrebbe potuto instaurare la causa per mobbing. Con riferimento alle ulteriori criticità del licenziamento sollevate solo nella prima memoria istruttoria, si deve concludere per l'assenza di allegazione e/o di prova da parte dell'attrice in primo grado che consenta una valutazione prognostica positiva sull'esito di un eventuale ricorso ove fosse stata allegata l'erronea scelta della sua persona - anziché di altri lavoratori- per il licenziamento. In altri termini, la carenza attorea in ordine agli oneri di allegazione e prova sopra illustrati impedisce di configurare soprattutto il nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'Avv. (...) (mancata impugnazione del licenziamento) e il danno lamentato dalla cliente. QUESTIONE TRE: SULLA OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVETESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI CONRIFERIMENTO ALLA EVENTUALE CAUSA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO Tale motivo di appello è assorbito da quanto già sopra statuito. In ogni caso, per completezza di esame, si osserva come le richieste istruttorie che l'appellante lamenta non ammesse, riguardino fatti storici non tempestivamente allegati in citazione. Inoltre, con riferimento alle circostanze concernenti altri due lavoratori che avevano impugnato il licenziamento ed ebbero la possibilità di giungere ad un positivo riconoscimento dei loro diritti in sede transattiva (di cui ai cap. da 56 a 61 della memoria ex art. 183 nr. 2 c.p.c. dell'appellante), la stesse appaiono inconcludenti. Infatti, nulla è dato conoscere né sui motivi dell'impugnazione dei sig. (...) e (...), né sulle loro posizioni individuali. In altri termini, la circostanza per cui altri lavoratori abbiano raggiunto accordi con il datore di lavoro non assume alcuna rilevanza, senza conoscere la posizione degli stessi (ad esempio non è noto se fossero assunti part-time come l'appellante), né di cosa si dolessero nel loro ricorso. Anche con riferimento alla doglianza di non aver potuto dimostrare che il (...) era titolare di altri 8 siti produttivi e che vi era personale che ebbe un trattamento più favorevole rispetto alla attrice (capitoli di prova da 64 a 72) non pare motivo meritevole di accoglimento. Infatti, in materia di licenziamento collettivo non vi è alcun obbligo di repechage da parte del datore di lavoro. La legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l'esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall'altro, la impossibilità di diversa collocazione del lavoratore licenziato (repechage), consideratane la professionalità raggiunta, in altra posizione lavorativa analoga a quella soppressa (Cass. 1508/2021; Cass. 181/2019). Conseguentemente, anche la prova della sussistenza di altri siti e/o di possibilità lavorative di altri dipendenti non appaiono -di per sé- concludenti. QUESTIONE QUATTRO: SUL DANNO L'appellante lamenta da una parte di non aver potuto procedere all'azione risarcitoria per mobbing. Sulla questione si è detto sopra. Dall'altra parte (...) lamenta che le rassicurazioni del professionista appellato abbiano provocato all'appellante un grave danno non patrimoniale avendo scoperto che nessuna impugnativa era stata proposta, con conseguente mobilità per due anni (prima di trovare altro impiego), anziché la reintegrazione nel proprio posto di lavoro. Come detto, in assenza di un conferimento di procura ad agire, nella consapevolezza del "breve" termine per impugnare avanti al Tribunale il licenziamento (comunicato dall'avvocato), non può trovare tutela il lamentato grave danno dell' appellante per aver (asseritamente) scoperto nel 2016-2017 che nessun ricorso era stato depositato per impugnare il licenziamento. QUESTIONE CINQUE: SULLE SPESE PROCESSUALI LIQUIDATE ALLA TERZA CHIAMATA Le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia devono essere poste a carico di chi, rimasto soccombente, ne ha provocato e giustificato l'intervento in causa. In forza del principio di causazione - che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Cass. ordinanza n. 23123/2019; Cass. 31889/2019; Cass. 18710/2021). La chiamata in causa dell'Assicurazione da parte del professionista non risulta essere palesemente arbitraria, né manifestamente infondata, tenuto conto della polizza prodotta. QUESTIONE SEI: SULLA DOMANDA RICONVENZIONALE L'odierna appellata ha ottenuto dal Tribunale la condanna della Sig.ra (...) al pagamento dei compensi per il lavoro svolto a seguito del mandato ricevuto, nella misura di Euro 2.000,00, in accoglimento della domanda riconvenzionale svolta nel giudizio di primo grado. La domanda riconvenzionale del professionista è stata correttamente ritenuta dal Tribunale fondata. Infatti, l'Avv. (...) aveva predisposto e inviato (entro il termine di prescrizione) alla cliente una bozza del ricorso per il risarcimento danno da mobbing, aveva individuato i testimoni da indicare in detto atto, aveva incaricato un perito per l'elaborazione della consulenza di parte per l'accertamento del danno psicologico subito da (...) (doc. 16 ss. conv. Primo grado). Si tratta perciò di un'attività interrotta, dopo diversi scambi tra le parti di scritti sulle varie "bozze" di ricorso per mobbing, solo a seguito della revoca del mandato all'Avv. (...) in data 13 novembre 2017; attività di cui il Tribunale ha correttamente riconosciuto l'obbligo di remunerazione da parte della appellante in favore del professionista. LE SPESE Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore indeterminato di bassa complessità della lite, nei valori medi (esclusa la fase istruttoria). Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550). P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone: 1. rigetta l'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. 4196/2022 emessa dal Tribunale di Milano il 13 maggio 2022, che per l'effetto conferma; 2. Condanna (...) al pagamento in favore di parte appellata delle spese del presente grado liquidate in Euro 6946,00, oltre IVA, CPA e 15% spese generali. Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta. Così deciso in Milano l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA V SEZIONE LAVORO composta da: Giovanna Ciardi - Presidente rel. Carlo Chiriaco - Cons. Sabrina Mostarda - Cons. nella causa civile in grado di appello n. 2778/2020 all'udienza del 10.2.2023, ha emesso la seguente SENTENZA TRA (...) Avv. Ve.Pe. appellante E (...) SPA Avv.ti Vi.Mo. e Fr.La. appellata (...) SPA Avv. St.Gr. chiamata in causa OGGETTO: appello contro la sentenza n. 4029/2020 del Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso iscritto il 27.09.2019 (...) ha convenuto in giudizio (...) spa al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: "a) per le ragioni e causali tutte esposte in narrativa, accertare che il licenziamento impugnato è stato comminato in violazione dei criteri previsti dalla legge e, di conseguenza, dichiarare il licenziamento intimato al ricorrente con comunicazione del 28 maggio 2019, nullo per motivo illecito ex art. 1345 c.c. in quanto ritorsivo; o in subordine illegittimo ai sensi dell'art. 7 L. n. 300 del 1970, perché comminato in violazione delle garanzie procedurali, nonché ai sensi dell'art. 18 comma 4 L. n. 300 del 1970, perché il fatto è inesistente ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa; b) per l'effetto, condannare la (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, e comunque, non inferiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a far data dal giorno del licenziamento; d) il tutto con vittoria di spese di giudizio, spese I.V.A. e C.P.A. con ordinanza provvisoriamente esecutiva come per legge.". (...) spa si è costituita eccependo l'inapplicabilità alla fattispecie della legge italiana, essendo applicabile la sola legge inglese e chiedendo, in ogni caso, di rigettare il ricorso. Con la sentenza in oggetto il Tribunale ha respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite. Avverso detta decisione propone appello (...), lamentando l'omessa lettura in udienza del dispositivo della sentenza impugnata e censurando la decisione perché il Tribunale "ha omesso di considerare le istanze probatorie avanzate ex art. 420 co. 5 c.p.c., nonché quelle ritualmente indicate, opponendo così un diniego dell'attività istruttoria richiesta ed inoltre perché ha errato nella esclusione del carattere ritorsivo del licenziamento comminato, della qualifica pseudo-dirigenziale del ricorrente". Si costituisce in giudizio la società (...), resistendo al gravame e chiedendone il rigetto. Successivamente la Corte, su richiesta dell'appellante, ha autorizzato l'integrazione del contraddittorio nei confronti della (...) S.p.A. in quanto divenuta - successivamente alla proposizione dell'appello - cessionaria del ramo di azienda della (...) spa; la società chiamata in causa si è costituita chiedendo il rigetto dell'appello. All'odierna udienza la causa è stata decisa come da separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato. Preliminarmente, con riferimento alla censura relativa alla asserita omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione davanti al Tribunale di Roma, si richiama la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui "Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina la nullità della sentenza, da farsi valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile, in base al principio generale sancito dall'art. 161, comma primo, cod. proc. civ., senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullità, ove dedotta con l'appello, possa né rimettere la causa al primogiudice - non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. - né limitare la pronunzia alla mera declaratoria di nullità, dovendo decidere la causa nel merito; pertanto, qualora il giudice d'appello proceda all'esame delle altre censure dedotte con l'impugnazione, difetta l'interesse a far valere come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d'appello, perché l'eventuale rinvio ad altro giudice d'appello porterebbe allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi di impugnazione" (v. Cass. n. 5659/2010). Passando quindi ad esaminare le altre censure formulate nel ricorso in appello, appare opportuno richiamare, in sintesi, le motivazioni sulla base delle quali il Tribunale ha respinto le domande del ricorrente. Il primo giudice ha innanzitutto ritenuto inammissibili le nuove circostanze e i nuovi documenti allegati nella memoria di costituzione del nuovo difensore, avvenuta nel corso del giudizio; ha altresì ritenuto che l'originario ricorso e la documentazione ad esso allegata erano inidonei a dimostrare il carattere ritorsivo/discriminatorio del licenziamento intimato al ricorrente. Il Tribunale ha inoltre ritenuto che gli stessi documenti allegati al ricorso introduttivo provavano l'effettività della qualifica dirigenziale rivestita dal (...), dovendosi pertanto escludere che egli fosse uno "pseudo dirigente". Conseguentemente, affermata la qualifica dirigenziale del ricorrente ed escluso il carattere ritorsivo del licenziamento, rilevato che il ricorrente aveva chiesto esclusivamente la tutela reintegratoria e nessuno degli emolumenti previsti per l'ingiustificato licenziamento del dirigente, riteneva irrilevante accertare l'eventuale violazione della procedura di contestazione disciplinare e l'ingiustificatezza del licenziamento atteso che "in nessun modo potrebbero essere accolte le conclusioni del ricorso volte esclusivamente a conseguire la tutela reintegratoria". Il ricorrente censura tale decisione, affermando che erroneamente il Tribunale: - non ha valutato le prove da lui fornite in contestazione alle prime difese di controparte e non ha espletato la fase istruttoria; - ha escluso il carattere ritorsivo del licenziamento per la mancata collaborazione del ricorrente a fornire accuse contro il collega (...); - ha escluso la violazione della procedura disciplinare ex art. 7 St.lav.; - ha escluso la qualifica di pseudo dirigente rivestita dal ricorrente; - ha interpretato le conclusioni del ricorso introduttivo volte alla sola reintegrazione, ignorando la richiesta dell'indennità risarcitoria. Tali motivi di gravame vanno esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi. In primo luogo, deve ritenersi che correttamente il Tribunale ha ritenuto inammissibili le nuove circostanze e i nuovi documenti contenuti nella memoria di costituzione, depositata il 16.2.2020 dall'avvocato P. quale nuovo difensore del ricorrente. Non è dato infatti comprendere, anche per la generica formulazione del motivo di gravame, perché tali novità si sarebbero rese necessarie in risposta alle difese della società convenuta (l'appellante non indica quali sono le allegazioni o i documenti che hanno richiesto la formulazione di nuove circostanze e la produzione di nuova documentazione). In particolare, il ricorrente non specifica la ragione per la quale, soltanto nella memoria di costituzione del nuovo difensore, ha dedotto di essere stato licenziato per motivi ritorsivi in quanto "figura scomoda tanto perché ricollegantesi a quella dell'ex CO (...), anch'egli licenziato", mentre nel ricorso introduttivo si era limitato a dedurre genericamente che lo scopo del suo licenziamento era "quello di procedere all'espulsione dal tessuto aziendale di lavoratore evidentemente scomodo o peggio sgradito". Né spiega il ricorrente perché, mentre nel ricorso introduttivo si era limitato a chiedere prova contraria, anche testimoniale, a quella eventualmente chiesta da controparte, ove ammessa, soltanto nella memoria di costituzione del nuovo difensore articola, fra le altre, prova testimoniale avente ad oggetto circostanze volte a dimostrare la rilevanza della figura del (...) nei motivi del suo licenziamento. Risulta pertanto evidente la tardività e l'inammissibilità di tale nuova circostanza e delle relative richieste istruttorie, atteso che il ricorrente ben poteva svolgere tale difesa nel ricorso introduttivo. Tanto premesso, deve condividersi quanto già ritenuto dal Tribunale in ordine all'insussistenza del licenziamento ritorsivo, stante l'assoluta genericità delle relative allegazioni e la mancanza di prova (il cui onere ricade sul lavoratore). Dagli atti processuali non emerge alcun riscontro probatorio circa la volontà datoriale di licenziare un lavoratore "scomodo o peggio sgradito", tenuto altresì conto che dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che, fino al momento del licenziamento, il (...) aveva avuto un'apprezzabile progressione di carriera. Con riferimento all'erronea esclusione della qualifica di pseudo dirigente, il relativo motivo di gravame sostanzialmente riproduce quanto già contenuto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado: il ricorrente, anche se inquadrato come dirigente, non aveva le prerogative tipiche del ruolo dirigenziale poiché egli era autorizzato ad esercitare i poteri contrattuali conferitigli in rappresentanza della società solo nei confronti di venditori previamente autorizzati da E. ed inseriti nella c.d. vendor list, ed in caso di qualsiasi attività commerciale che avesse avuto ad oggetto un nuovo prodotto/strumento/porzione di mercato non ancora vagliata, l'eventuale accordo sarebbe dovuto passare per il filtro NPA - New Product Approval. Al riguardo, si rileva che il (...), formalmente inquadrato come dirigente, era "Senior Vice President" della società (...) e riportava direttamente all'amministratore delegato della società (v. doc. allegato sub (...) alla memoria di costituzione di primo grado); inoltre egli aveva ampia rappresentanza legale della società anche davanti a pubbliche amministrazioni, enti pubblici, organismi e istituzioni nazionali e sovranazionali sia in Italia che all'estero, nonché capacità di impegnare la società in diverse tipologie di rapporti contrattuali per importi di decine di milioni di Euro (cfr. procure allegate sub (...) e (...) al ricorso introduttivo). A fronte di tali risultanze documentali, il ricorrente non ha provato - come è suo onere - che il rapporto di lavoro si sia svolto, dal punto di vista del concreto espletamento delle mansioni affidategli, con modalità diverse da quelle formalmente convenute; sono quindi rimaste indimostrate le generiche allegazioni, contenute nel ricorso introduttivo, circa la sua mancanza di autonomia, potere decisionale e concorso alla gestione dell'impresa. Né, in tal senso, può rilevare l'esistenza delle policies aziendali che prevedono procedure particolari, articolate con interlocuzioni e pareri di più funzioni, nei casi in cui la controparte commerciale non sia già inclusa nell'elenco dei clienti e partner aziendali ovvero oggetto del contratto sia un prodotto nuovo rispetto a quelli ordinariamente commercializzati dalla società. Si tratta evidentemente di ipotesi particolari, che lungi dall'eliminare gli ampi poteri di rappresentanza legale e di capacità negoziale collegati al ruolo dirigenziale del (...), appaiono dettati dalla chiara necessità di garantire, nell'esercizio dell'attività sociale, il rispetto delle regole amministrative e legali in un settore, quale quello dell'energia, particolarmente esposto a rischi di sanzioni internazionali, riciclaggio, embargo e simili. Il rigetto del motivo di appello relativo alla qualifica di pseudo dirigente in capo al ricorrente comporta poi l'irrilevanza della asserita violazione della procedura disciplinare prevista dall'art. 7 St. lav. Si richiamano, al riguardo, i principi affermati dalla Suprema Corte, secondo cui "Le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, secondo e terzo comma, L. n. 300 del 1970, devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, ed anche nel caso in cui il dirigente sia stato dequalificato - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso, dovendosi far riferimento, in mancanza di una specifica disciplina, ai criteri di cui all'art. 2099, secondo comma, cod. civ." (così Cass. n. 897/2011). Deve essere infine confermata anche la valutazione, effettuata dal Tribunale, delle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo e, pertanto, va disatteso anche l'ultimo motivo di gravame. Infatti il ricorrente, sostenendo la nullità del licenziamento ritorsivo ovvero l'illegittimità dello stesso per violazione dell'art. 7 St. lav., nonché eccependo di essere uno pseudo dirigente, ha chiesto l'applicazione delle tutele previste dall'art. 18 St. lav. per i dipendenti non dirigenti: reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della reintegra. Per le ragioni finora espresse tale tutela non può essergli riconosciuta. Appare pertanto superfluo, atteso che la domanda non ha ad oggetto il pagamento delle spettanze previste dalla contrattazione collettiva per il licenziamento ingiustificato del dirigente (né può essere interpretata in tal senso, mancando qualsivoglia allegazione e richiesta al riguardo), procedere all'esame della giustificatezza o meno dei motivi del recesso datoriale. Sulla base di quanto sopra esposto, l'appello va dunque respinto. La condanna dell'appellante al pagamento, in favore di ciascuna delle società convenute, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza. In considerazione del tipo di pronuncia (rigetto), si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte respinge l'appello; condanna l'appellante a rifondere, a ciascuna delle parti appellate, le spese del grado, liquidate, in Euro 4.000,00, oltre 15% per spese forfettarie. Si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art.13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma il 10 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA - Sezione Lavoro Composta dai Magistrati: Dr. Gianluca ALESSIO - Presidente Dr. Piero LEANZA - Consigliere Dr. Lorenzo PUCCETTI - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa in appello con ricorso depositato in data 23 marzo 2018, da AZIENDA (...) 4 (...)- già Azienda U. n. 10(...) (c.f.: (...)), in persona del suo Direttore Generale pro tempore, con l'Avv. Ni.Ch. del foro di Treviso, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Calmaggiore n. 44, come da delibera di autorizzazione a stare in giudizio n. 201 del 16 Marzo 2018 e da procura alle liti in atti (pec: (...)), appellante contro (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Sa.Sa. giusta procura in atti (pec: (...) e avv. Ma.No. pec: (...)), appellato Oggetto: appello avverso la sentenza n. 538/2017 del giudice del lavoro del Tribunale di Venezia d.d. 25.09.2017, non notificata In punto: contratto a termine dirigente sanitario.- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con l'impugnata sentenza il Tribunale del lavoro di Venezia - adito dall'odierno appellato, (...), al fine di veder accertata la nullità del termine apposto al contratto individuale a tempo determinato di lavoro di dirigenza medica e veterinaria stipulato 21 aprile 2011 con ULSS 10 (...) (in virtù dell'ammissione in graduatoria a seguito di sua partecipazione ad una procedura selettiva, per titoli, per l'affidamento dell'incarico a tempo determinato di dirigente medico otorinolaringoiatra di primo livello) con richiesta di conversione in contratto a tempo indeterminato, reintegra e conseguente risarcimento del danno - accertava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro per cui è causa e condannava l'azienda sanitaria al risarcimento del danno ex art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, liquidato in 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (oltre accessori) nonché al pagamento del 50% delle spese di lite (per tale quota liquidate in Euro 3.512,50). Il giudice, preliminarmente, disponeva il mutamento del rito (applicando per analogia art. 427 c.p.c.) del giudizio introdotto con il procedimento ex art. 1 L. n. 92 del 2012 e la riunione al giudizio introdotto ex art. 414 c.p.c. (sostanzialmente per litispendenza). Nel merito riteneva che: a) il caso non rientra nel perimetro di applicabilità dell'art. 18 del CCNL Sanità - Comparto dirigenza medica e sanitaria "in quanto ...il ricorrente non è stato assunto quale sostituto del Direttore di UOC di otorinolaringoiatria ma per coprire temporaneamente il posto lasciato vacante dal dott. (...) il quale era stato incaricato, questo sì, ai sensi dell'art. 18 c.c.n.l, di sostituire il Direttore predetto"; b) l'azienda sanitaria ha ab origine stipulato il contratto di lavoro per cui è causa nel pieno rispetto delle esigenze previste dalla normativa ratione temporis applicabile in tema contratti a tempo determinato con la pubblica amministrazione; c) il requisito dell'indicazione del termine di durata del rapporto risultava essere stato pienamente soddisfatto posto che detto termine poteva certamente essere indicato per relationem con riferimento alla presa in servizio del nuovo direttore della U.O.C. di otorinolaringoiatria; d) deve, tuttavia, convenirsi con il ricorrente che l'apposizione del termine si rivela illegittima in quanto il rapporto ha avuto durata ben superiore a 36 mesi, in violazione del disposto dell'art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368 del 2001; e) deve disattendersi la tesi dell'A. secondo cui dovrebbe trovar applicazione l'art. 10, comma 4, del D.Lgs. n. 368 del 2001 allora vigente - "in deroga a quanto previsto dall'articolo 5, comma 4-bis, è consentita la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, purché di durata non superiore a cinque anni, con i dirigenti, i quali possono comunque recedere da essi trascorso un triennio e osservata la disposizione dell'articolo 2118 del codice civile. Tali rapporti sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto legislativo, salvo per quanto concerne le previsioni di cui agli articoli 6 e 8" - atteso che la nozione di "dirigente medico" non coincide con quella di "dirigente nell'impiego privato"; f) l'indennità ex art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 da quantificare ex art. 32 comma 5 del D.Lgs. n. 183 del 2010 deve essere calcolata "soprattutto considerata la durata del contratto e della condizione del ricorrente, che si è trovato disoccupato, ed in assenza di altre indicazioni, in 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto". 2. Appella la pronuncia l' AZIENDA (...) 4 (...) - già Azienda U. n. 10 (...) formulando quattro (4) motivi di gravame. 2.1. Con il primo motivo, denuncia l'errata applicazione analogica dell'art. 427 c.p.c. e dell'art. 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011 con conseguente inammissibilità della domanda introdotta con (...). Ritiene l'Azienda Ospedaliera che avendo il ricorrente introdotto il giudizio di primo grado erroneamente con rito c.d. Fornero (causa r.g. n. 1236/16 ricorso depositato il 13.06.2016) il giudice di prime cure ne avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità in ragione delle disposizioni normative poste dagli art. 1 comma 48 e ss. L. n. 92 del 2012, che introducono un procedimento speciale di cognizione la cui errata attivazione non può essere sanata con la sola modifica della formula processuale da utilizzarsi per addivenire alla decisione richiesta, ovvero errore non sanabile con la conversione del rito. 2.2. Con il secondo motivo censura l'omessa applicazione dell'art. 10 comma 4 ter del D.Lgs. n. 368 del 2001 (norma ora confluita nell'art. 29 del D.Lgs. n. 81 del 2015). L'appellante evidenzia come il giudice di prime cure avrebbe errato nel dichiarare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro per cui è causa, tenuto conto che in ragione della sopra invocata normativa risulta per tabulas che al personale sanitario (compresa la dirigenza medica) non si applica la normativa sui contratti a termine (e dunque i limiti previsti per la durata temporale dei contratti a tempo determinato). Argomentazione nel caso di specie rafforzata dal fatto che l'art. 16, comma 1, lett. a) del CCNL Sanità - Comparto Dirigenza Medica e Veterinaria, prevede la possibilità per le Aziende Sanitarie di stipulare contratti per l'assunzione di Dirigenti a tempo determinato "in sostituzione di Dirigenti assenti, quando l'assenza superi i 45 giorni consecutivi, per tutta la durata del restante periodo di conservazione del posto dell'assente". E il dott. (...) veniva assunto in sostituzione del dott. S., dunque per assicurare il mantenimento dei livelli di assistenza e la continuità ed efficienza nell'erogazione dei servizi relativi alla Unità Operativa Complessa di otorinolaringoiatria. 2.3. Con il terzo motivo, svolto in via subordinata, si duole della sentenza per arbitraria interpretazione della norma art. 10 comma 4 del D.Lgs. n. 368 del 2001 tenuto conto che il giudice di prime cure non avendo arbitrariamente fatto rientrare nel termine "dirigente" richiamato da siffatta normativa il profilo del "dirigente medico" in quanto essa riguarderebbe unicamente i dirigenti privati, ha erroneamente escluso l'applicabilità dell'art. 5 comma 4 bis del D.Lgs. n. 368 del 2001 nella versione ratio temporis applicabile (possibilità di contratti a tempo determinato purché di durata non superiora ai 5 anni, con i dirigenti). 2.4. Con il quarto motivo, in via ulteriormente subordinata, censura la sentenza per motivazione insufficiente in punto quantificazione dell'indennità omnicomprensiva riconosciuta al lavoratore. In riferimento al quantum di indennità omnicomprensiva riconosciuta al lavoratore la stessa è da ritenersi eccessiva siccome per la sua determinazione non avrebbe considerato i criteri di cui all'art. 8 L. n. 604 del 1966, limitandosi a prevederla apoditticamente in 6 mensilità a fronte di una "forbice" (riconoscimento da 2,5 a 12 mensilità) determinata dalla normativa di cui all'art. 32 comma 5 della L. n. 183 del 2010 ratione temporis applicabile che richiede la considerazione di siffatti criteri. 3. Radicatosi il contradditorio, (...) eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c., atteso che la sentenza impugnata è parzialmente favorevole all'appellante e quest'ultimo non ha indicato le parti della sentenza che intende impugnare nonché ex art. 348 bis c.p.c., e concludendo nel merito per il rigetto del gravame stante la correttezza dell'impugnata sentenza. 4. La causa dopo alcuni rinvii per riequilibrio ruolo è stata discussa e decisa all'udienza del 12.01.2023 come da separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE 5. Prima di esaminare il merito dell'appello la Corte deve farsi carico delle eccezioni di inammissibilità del gravame svolte dall'appellato che risultano destituite di fondamento in quanto, da una parte, risulta in modo esauriente il "quantum appellatum" e ciò da una semplice lettura dell'atto di appello che riporta espressamente gli stralci della sentenza impugnata e riporta in modo non equivoco le doglianze proposte (cfr. pag. 12 omessa applicazione norma, pag. 23 arbitraria interpretazione norma pag. 26 erronea quantificazione indennità), tenuto peraltro conto che nel giudicare sull'ammissibilità di una impugnazione "il giudicante deve badare non al rispetto di formule di stile, ma alla sostanza ed al contenuto effettivo dell'atto" (cfr. Cass. S.U. n. 27199/2017) risultante chiaro a semplice lettura del medesimo, con conseguente rigetto dell'eccezione di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., dall'altra che l'appello per quanto di seguito motivato risulta fondato, non trovando accoglimento conseguentemente neppure l'eccezione formulata ex art. 342bis c.p.c. 6. Il Collegio ritiene, altresì, infondato il primo motivo di gravame con la quale viene chiesta declaratoria di inammissibilità della domanda introdotta in primo grado dal (...), avendo errato nella scelta del rito in riferimento alla procedura r.g. 1236/2016, optando per l'introduzione della causa con il c.d. (...), ciò condividendo le valutazioni effettuate dal giudice di primo grado sul punto, ovvero ritenendo ammissibile la domanda svolta di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, attraverso l'avvenuta conversione del rito alla luce della giurisprudenza di legittimità in ragione della quale "l'adozione di un rito diverso da quello previsto non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla, e la relativa doglianza che può essere dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata adozione del diverso rito sia concretamente derivato posto che l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano processuale" (Cass. n. 19942/08) e del fatto che l'eventuale accoglimento di una siffatta eccezione di inammissibilità in riferimento all'originaria domanda nel caso di specie non porterebbe ad alcuna utile conseguenza, rimanendo comunque devoluta la domanda di nullità del termine introdotta tempestivamente dalla medesima parte con ricorso ex art. 414 c.p.c. (r.g. n 1237/2016 riunito in primo grado al procedimento r.g. n.1236/2016). 7. Passando al merito della vicenda l'appello proposto trova accoglimento alla luce delle seguenti motivazioni. 7.1. Rileva la Corte che il secondo e terzo motivo d'appello - dal cui accoglimento consegue l'assorbimento del quarto - sono fondati. Con tali motivi d'appello l'Azienda censura la gravata sentenza ritenendo che il giudice di prime cure abbia erroneamente interpretato l'art. 10 comma 4 del D.Lgs. n. 368 del 2001 escludendone l'applicabilità ai dirigenti medici siccome ritenuta norma rivolta solo ai dirigenti privati e finendo per dichiarare la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato con l'odierno appellato per superamento dei 36 mesi di cui all'art. 5 comma 4 bis D.Lgs. n. 368 del 2001. Osserva la Corte che nel caso in esame si tratta di un contratto a termine formalmente stipulato ai sensi dell'art. 13 del CCNL 8 giugno 2000 per la copertura temporanea di un posto di dirigente medico (otorinolaringoiatra) sulla base di una graduatoria per soli titoli formulata, a seguito di avviso pubblico, nelle more dell'indizione del concorso per la copertura del posto con contratto a tempo indeterminato e con la previsione della risoluzione automatica al momento di tale copertura. Il D.Lgs. n. 368 del 2001, all'art. 10, comma 4, applicabile ratione temporis (contratto concluso tra le parti in data 21.04.2011), prevede la possibilità di stipulazione di contratto di lavoro a tempo determinato purché di durata non superiore a 5 anni, costituendo questa una espressa deroga alla disciplina prevedente il c.d. "tetto massimo" di 36 mesi di durata del contratto a termine (art. 5 comma 4 bis del D.Lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 1 comma 40 lettera b. della L. n. 247 del 2007). A sua volta il D.Lgs. n. 165 del 2001 all'art. 36 stabilisce che le amministrazioni pubbliche per far fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali, possono ricorrere alle forme contrattuali flessibili di assunzione di impiego di personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato di impresa. Che nel termine "dirigente" sia da ricomprendersi anche il "dirigente pubblico" emerge dalla disposizione normativa di cui all'art. 15 comma 2 del D.Lgs. n. 502 del 1992,, che in termini di "dirigenza sanitaria" configura tale categoria professionale quale disciplina speciale come peraltro confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 11008/2020 e n. 4177/2021, "il rapporto di lavoro fra il dirigente e l'azienda del SSN è un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti e non un rapporto di lavoro regolato ex-art. 2222 art. 10 D.Lgs. n. 368 del 2001 Ha errato pertanto il giudice di prime cure nel ritenere applicabile la disciplina del contratto a tempo determinato nella sua disciplina generale con limite di durata di 36 mesi. Né ravvisa questa Corte elementi per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale in ragione del quale i rapporti di lavoro dirigenziale pubblico sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina generale dei contratti di lavoro a tempo determinato, trattandosi di un rapporto connotato da specialità rispetto alla disciplina dettata in via generale; di tale specialità hanno tenuto conto anche le parti collettive che, nel prevedere i casi nei quali le Aziende posso farvi ricorso, hanno distinti la particolare disciplina contrattuale da quella dell'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, sicché si conferma la regola che consente la stipula di contratti con opposizione di termine con i dirigenti, i quali possono generalmente unilateralmente recedere con preavviso (cfr. Corte Appello di Roma n. 2688/2020). Una recente sentenza di legittimità della Suprema Corte (n. 13066/2022) con specifico riferimento proprio al settore sanitario, conferma la sussistenza di una disciplina speciale rispetto a quella generale per il rapporto a termine, prevedente una forma particolare di reclutamento di dirigenti a tempo determinato senza che ciò incida sul carattere di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti del rapporto che viene ad istaurarsi tra lavoratore ed Azienda del SSN. Da ciò solo discende la legittimità del contratto a termine stipulato dall'Azienda con il dott. (...) tenuto conto, da un lato, che il capo della sentenza relativo alla validità sostanziale nella fase genetica del contratto di lavoro stipulato non è stato posto in discussione da parte appellata e, dall'altro, del dato di fatto pacifico relativo alla durata del rapporto lavorativo dal 2 maggio 2011 alla data dell'8 dicembre 2015 (ovvero 4 anni e poco più di 7 mesi), di guisa tale che nella fase funzionale del negozio risulta rispettato il termine previsto di 5 anni di durata complessiva del rapporto a tempo determinato. 8. La presente sentenza costituirà titolo per la restituzione degli importi eventualmente già pagati a favore della parte appellata e non dovuti all'esito del giudizio di appello, non potendosi pronunciare condanna alla restituzione come richiesta dall'appellante in ragione della mancanza di prova dei pagamenti. 9. Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate, come in dispositivo, avuto riguardo ai valori prossimi ai minimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 ed alle tariffe professionali vigenti in ragione della semplicità della questione, considerato il valore indeterminato (prima fascia) della procedura. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, rigettata e/o comunque assorbita ogni diversa domanda, istanza ed eccezione, in accoglimento dell'appello ed in riforma dell'impugnata sentenza così decide: 1) rigetta la domanda proposta da (...) accolta in primo grado; 2) dà atto che la sentenza costituisce titolo per la restituzione delle somme corrisposta dall'appellante ULLS 10 a (...) in esecuzione della sentenza di primo grado; 3) condanna l'appellato al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio a favore dell'appellante, liquidate, quanto al primo in Euro 3.689,00 e, quanto al presente grado in Euro 3.743,00, per compensi oltre rimborso forfetario spese generali ex lege, IVA e CPA. Così deciso in Venezia il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/06/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE GREGORIO EDUARDO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ODELLO LUCIA; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto; udito il difensore: L'avv. (OMISSIS) insiste nell'accoglimento del ricorso. L'avv. (OMISSIS) si riporta sia ai motivi gia' depositati in cancelleria in data 05.09.2022 sia al ricorso di cui chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Torino ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado di condanna alla pena di giustizia nei confronti dell'imputato (OMISSIS), Luogotenente Comandante la stazione dei Carabinieri di (OMISSIS), per i delitti di falso ideologico in atto pubblico, (capo a) in relazione al verbale di sequestro preventivo per violazioni edilizie, elevato nei confronti di un chiosco per somministrazione di bevande, e per piu' episodi di truffa aggravata ai danni dello Stato, per aver attestato falsamente sul relativo memoriale la sua presenza in servizio, mentre era accertato che nelle stesse occasioni era in localita' incompatibili con quanto dichiarato (capo f). Epoca dei fatti: (OMISSIS) per il capo a) e dal (OMISSIS) per il capo f). La Corte ha dichiarato prescritto il delitto di falso ideologico di cui al capo e) ed assolto l'imputato da 14 degli episodi di truffa, rideterminando la pena. Ha presentato ricorso l'imputato tramite difensore di fiducia, articolando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. Col primo ha lamentato vizi di motivazione illogica relativamente all'ordinanza del 11.6.2011 ed alla sentenza, nella parte in cui la Corte d'appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., relativamente all'audizione di (OMISSIS) ed all'acquisizione di documenti comprovanti attivita' di controllo svolto dall'imputato nei confronti di altri e diversi chioschi. 1.1. Per altro verso la Corte aveva respinto la richiesta di acquisizione della relazione tecnica di parte sul tema dell'aggancio dell'utenza telefonica in uso a (OMISSIS) alle celle telefoniche indicate in imputazione. I Giudici del merito, infatti, erano giunti all'affermazione e conferma di responsabilita' nei confronti del ricorrente in base ad un ragionamento fondato su elementi empirici e lacunosi, senza tener conto del dato relativo all'ampiezza della mappa di copertura del segnale della singola cella, dato che la stessa operatrice di PG, che aveva condotto gli accertamenti, aveva ignorato, riconoscendolo nella sua testimonianza. L'acquisizione della relazione tecnica e l'eventuale audizione del consulente estensore, avrebbero consentito di superare i limiti del ragionamento decisorio derivanti dall'omessa ponderazione del predetto elemento. La difesa puntualizza che solo in subordine si era chiesta l'acquisizione della relazione come memoria mentre la Corte torinese aveva reso motivazione solo su tale ultimo profilo. 2.Nel secondo motivo si deducono vizi di illogicita' manifesta e di violazione di legge in relazione alla norma incriminatrice ex articolo 479 c.p., per la ritenuta sussistenza del delitto di falso ideologico di cui al capo a), con riguardo agli elementi oggettivo e soggettivo del reato. Per il primo aspetto si osserva che la Corte aveva convalidato l'impostazione accusatoria, secondo la quale il verbale di sequestro preventivo era da considerare falso in relazione al requisito dell'urgenza, in realta' insussistente. La difesa censura la motivazione nella parte in cui ha premesso che la stazione comandata dal giudicabile non era solita svolgere attivita' di repressione degli abusi edilizi. La giustificazione sarebbe carente, per non aver preso in esame le testimonianze di piu' Carabinieri e la documentazione sul punto prodotta nel giudizio di appello, prove che dimostrerebbero come iniziative analoghe erano state realizzate e come il sequestro di cui all'imputazione era parte di un piu' ampio programma di controllo del territorio concordato con i superiori del Luogotenente. 2.1. Per altro verso si prospetta l'illogicita' della motivazione, ponendo specificamente in luce che nel verbale di sequestro si era dato atto che l'abuso edilizio era in essere da anni e che l'imputato, quindi, non avrebbe celato alcuna delle circostanze di fatto utili per il Gip allo scopo di condurre le sue valutazioni, non allegando alcuna circostanza falsa, neppure in relazione al requisito dell'urgenza. La difesa sottolinea la mancanza di elementi di fatto nel verbale di sequestro certamente falsi e pone il tema del possibile errore riguardo al requisito del carattere urgente del provvedimento, trattandosi di una sfumatura valutativa, che non integra il delitto. Del resto anche il PM ed il Gip avrebbero errato nel procedere alla convalida del sequestro in assenza del requisito dell'urgenza. Il ricorrente puntualizza, ancora, che l'urgenza non puo' essere considerata alla stregua di un fatto e che l'atto pubblico e' destinato a provare la verita' dei fatti storici, come nella fattispecie concreta le caratteristiche del manufatto, la superficie occupata, la presenza di provvedimenti autorizzativi mentre il parametro dell'urgenza rientra nelle valutazioni soggettive e discrezionali del pubblico ufficiale. 2.2. Le precedenti considerazioni si riflettono logicamente sul secondo profilo di censura, riguardante il tema del dolo, sul quale la difesa rappresenta, altresi', che se l'imputato avesse avuto la volonta' di dissimulare la realta' per giustificare con l'urgenza di provvedere il suo operato, non avrebbe esplicitato nel verbale a sua firma la permanenza dell'abuso edilizio da anni. 3. Col terzo motivo ci si duole di manifesta illogicita' quanto alla conferma di responsabilita' per i delitti di truffa di cui al capo f). Le articolate censure mosse dal ricorrente - estese dalla pagina 25 alla pagina 70 dell'atto di ricorso - iniziano criticando quello che la difesa definisce il riscontro probatorio di fondo alle contestate assenze dal lavoro, costituito dalle dichiarazioni di sette carabinieri, che avevano testimoniato nel senso della rarefatta presenza del Comandante nella caserma. La difesa si lamenta in particolare della considerazione data dai Giudici di merito a quelle che anche alcuni testi avevano definito chiacchiere davanti alla macchinetta del caffe' e della contraddittorieta' della motivazione in relazione alle prove testimoniali dei superiori gerarchici di (OMISSIS); costoro per piu' anni avevano vigilato sul suo operato ed avevano affermato che mai era emersa alcuna nota negativa sulla sua dedizione al servizio, riscontrandosi anzi, nel corso di piu' ispezioni, il massimo impegno nell'adempimento delle incombenze derivanti dal suo ruolo, tanto da meritargli il costante giudizio di eccellenza. 3.1. Il secondo snodo argomentativo oggetto delle censure riguarda il mancato aggiornamento del memoriale di servizio, comportamento ritenuto doloso dai Giudici di merito e non dovuto a negligenza, come dedotto nei motivi di appello. Il dato della condotta trascurata emerge da piu' testimonianze dei militari - richiamate nel corpo del motivo - dalle quali si desume, altresi', l'abitudine del comandante di non segnare tutte le ore di straordinario effettuato e cio' contrariamente alla prassi generalizzata invalsa. La difesa rimarca che questo comportamento, emerso nel corso del giudizio, appare incompatibile con la ricostruzione accusatoria, secondo la quale l'imputato si sarebbe attribuito ore di lavoro in realta' non svolte, soprattutto sotto il profilo dell'elemento psicologico del delitto di truffa. 3.2. Si lamenta ancora l'equivoco in cui sarebbe incorsa la Corte torinese, quanto alle diciture indicate nel memoriale, interpretate nel senso che si tratterebbe di attivita' implicanti necessariamente la presenza fisica del Comandante nella caserma. In tal senso i giudici avevano valorizzato le testimonianze di alcuni militari, trascurando di esaminare e valutare la circolare del Comando Generale dell'Arma, che forniva specifiche indicazioni in proposito e che stabiliva che due delle tre attivita' oggetto di annotazione potevano essere sviluppate anche all'esterno della caserma. 3.3. Il quarto passaggio argomentativo oggetto di critica riguarda la ritenuta dimostrazione dell'assenza dell'imputato dalla caserma, desunta da pagamenti col bancomat - in numero di 20 - effettuati in giorni ed ore in cui nel memoriale, invece, era attestata la presenza in caserma, oltre che il mancato apprezzamento della tesi difensiva, per la quale il bancomat era in uso anche alla figlia del comandante. La difesa lamenta la mancata valutazione del messaggio WhatsApp del 25 Marzo 2016, dal quale si ricaverebbe che la giovane adoperava il bancomat del genitore per le spese familiari ed aggiunge - a sostegno della censura - che la Corte, rigettando la richiesta di rinnovazione istruttoria, aveva respinto anche l'istanza di audizione della figlia dell'imputato. 3.4. La principale doglianza svolta nell'impugnazione riguarda la dedotta illogicita' quanto alla ritenuta dimostrazione della localizzazione del Luogotenente (OMISSIS) sulla base del solo dato dell'ubicazione delle celle telefoniche; giustificazione oggetto anche delle ampie osservazioni critiche contenute nei motivi nuovi depositati telematicamente. La difesa, premesso che gia' il Tribunale aveva giudicato possibile un margine di imprecisione nel rilevamento della posizione tramite le celle, ha illustrato il metodo seguito dagli investigatori per individuare le assenze dal servizio ritenute comprovate, partendo dalle celle agganciate dall'utenza dell'imputato in orario notturno, nel quale egli - fornito di alloggio di servizio - era di certo in caserma. Ad opinione del ricorrente si tratta di un metodo privo di certezze in quanto del tutto empirico, come emerge, tra l'altro, dal dato per il quale le celle agganciate di notte sono poste anche a distanza significativa dalla caserma, metodo seguito senza neppure esaminare le mappe di copertura. Per altro verso si sottolinea come la cella telefonica abbia un'ampiezza geografica tale da far ritenere inidonea la prova della localizzazione ricavandola dal solo aggancio alla stessa cella. Secondo la difesa il dato derivante dall'aggancio delle celle telefoniche avrebbe dovuto essere combinato con altri dati contenuti nelle mappe di copertura relative alle celle prese in esame per ogni singolo episodio, potendosi in tal modo circoscrivere la presenza dell'imputato in una zona predeterminata; mappe telefoniche che erano allegate ai motivi aggiunti presentati in appello ma che la Corte di appello avrebbe ignorato. Per porre rimedio alle carenze dell'esperimento condotto dagli inquirenti ed ai risultati incerti derivanti da esso, la difesa aveva fatto eseguire una consulenza tecnica finalizzata ad accertare i limiti e le criticita' degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria; tale documento aveva formato oggetto di richiesta di acquisizione tramite rinnovazione istruttoria, che era stata rigettata. Nella ponderazione dei dati derivanti dagli agganci telefonici la Corte, adottando un criterio parzialmente diverso rispetto a quello seguito dal primo Giudice, ma rivelatosi ugualmente inadeguato, aveva giudicato dimostrata l'assenza dal luogo di lavoro da parte dell'imputato, in base alle celle agganciate dal suo telefono ed ai punti di prelievo bancomat pure rilevati, essendosi precisato in sentenza che erano considerati significativi di assenza soltanto gli agganci ai ponti ripetitori collocati fuori del Comune di Torino, cioe' a distanza di una decina di chilometri, reputata incompatibile con la presenza in caserma, sita nel centro Citta'. 3.5. Il ricorrente censura di illogicita' anche questo passaggio motivazionale, ribadendo l'impossibilita', nonostante il criterio di delimitazione territoriale adottato dalla Corte di Appello, di stabilire con certezza la posizione di (OMISSIS) in un luogo diverso da quelli da lui normalmente frequentati per lavoro, come ad esempio la Questura, gli Uffici giudiziari, il Comando Compagnia, siti raggiunti da (OMISSIS) per ragioni di servizio e presenti sull'intero territorio cittadino. A sostegno della tesi dell'erroneita' del metodo investigativo, invece accolto dai Giudici di merito, nell'atto di impugnazione si riportano nel dettaglio piu' esempi di celle telefoniche ricoprenti non solo il Comune di Torino ma anche comuni limitrofi; si evidenziano in modo circostanziato quattro episodi in cui, seguendo l'errato ragionamento della Corte, l'imputato avrebbe dovuto percorrere in pochi minuti diversi chilometri; si cita, altresi', una pronunzia di questa Corte nella quale e' affermato che l'elemento di prova costituito dalla presenza di un telefono in una determinata cella dimostra esclusivamente che l'usuario si trova in una determinata zona piuttosto grande, perche' le celle telefoniche non individuano un luogo preciso ma una zona di copertura della rete telefonica di grandezza variabile. Alla luce delle precedenti osservazioni la difesa conclude, ribadendo che l'acquisizione della relazione tecnica richiesta e rigettata avrebbe emendato la fallacia del ragionamento del tutto empirico condotto dai Giudici di appello. 3.6. Da ultimo si critica la motivazione quanto al ritenuto elemento soggettivo del reato di truffa, ripetendo l'argomento della mancata annotazione delle ore di straordinario svolte, evidenziando la costante disponibilita' di (OMISSIS) ad occuparsi dei suoi compiti di comandante anche durante periodi di licenza, malattia o missione all'estero, elementi di conoscenza forniti nel corso del giudizio tramite prove documentali e testimoniali. Si rappresenta, inoltre, il dato per il quale il servizio amministrativo del Comando Legione aveva quantificato le ore retribuite e non prestate in 219 in un anno e cinque mesi, mentre quelle effettivamente prestate e non indicate nel memoriale a fini retributivi sarebbero 240 in nove mesi. Sulla base cli tali premesse la difesa aveva sollevato la questione circa la soggettiva convinzione da parte di (OMISSIS) di poter compensare i crediti derivanti da tutte le attivita' descritte e non pagate, con eventuali debiti originati dalle ore retribuite durante la ritenuta assenza dal servizio; la Corte torinese l'aveva risolta in senso negativo, ponendo in luce l'esperienza dell'imputato e la sua certa conoscenza dell'impossibilita' di effettuare un simile tipo di compensazione. 4. Tramite il quarto motivo si lamenta la manifesta illogicita' di motivazione in relazione alla pena inflitta ed al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna ex articolo 175 c.p.. Sotto il primo profilo si evidenzia che la sentenza non avrebbe correttamente applicato il criterio della condotta antecedente al reato quanto ai prestiti richiesti ai sottoposti, dimenticando, in relazione al medesimo parametro, l'ineccepibile carriera, connotata sempre da giudizi di eccellenza. Trascurato pure il criterio della condotta successiva al reato quanto al comportamento processuale, sempre collaborativo, mantenuto dall'imputato fin dalla fase delle indagini e nel corso del processo. Illogica la sentenza anche riguardo al mancato riconoscimento del beneficio ex articolo 175 c.p., giustificato per la gravita' dei comportamenti ritenuti provati, che - a parere della difesa - sarebbe invece esigua; per altro verso si prospetta la contraddittorieta' motivazionale nel punto in cui si e' riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale e negato quello della non menzione. 5. Con articolati motivi nuovi, depositati telematicamente, la difesa ha dedotto manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla affermazione di penale responsabilita' di (OMISSIS) per i delitti di truffa di cui al capo f), ampliando in special modo il tema dell'inidoneita' dei dati estrapolati dai tabulati telefonici a provare la responsabilita' dell'imputato, alla luce della regola valutativa introdotta con il Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, comma 1 bis, comma aggiunto dalla Legge di Conversione 23 novembre 2021, n. 178, entrata in vigore dopo la presentazione dell'atto di impugnazione. 5.1. Il ricorrente precisa che il motivo nuovo di ricorso non e' finalizzato a rilevare l'inutilizzabilita' dei tabulati telefonici in se', quanto a censurare la capacita' dimostrativa dei dati da esso estrapolati, con riguardo specifico alla localizzazione dell'utenza radiomobile in uso in quel momento all'imputato. In tal senso si evidenzia, a titolo esemplificativo, che la cella relativa all'antenna collocata a Grugliasco, alla luce della mappa di copertura che ne rivela l'estensione, copre un'area che comprende la stessa stazione dei Carabinieri (OMISSIS) comandata dall'imputato. La cella, inoltre, fornisce copertura a luoghi distanti fino a 9,5 chilometri comprendendo la zona di competenza della stazione dei c.c. di riferimento oltre alle Caserme dei Carabinieri in (OMISSIS), da sempre frequentate sistematicamente da (OMISSIS) per ragioni di ufficio. La difesa ribadisce l'osservazione per la quale il dato relativo alla collocazione della antenna radiomobile all'interno di una cella che irradia un'area di dieci chilometri e che viene agganciata dall'utente e' un mero elemento indiziario neppure dotato di particolare gravita' e precisione. Per altro verso l'aver agganciato l'antenna all'interno di una cella vasta chilometri prova solo che all'interno di quell'area, anche molto ampia, si trovava il (OMISSIS), ma non prova affatto che non stesse svolgendo attivita' lavorativa. 5.2. In diritto si richiama la sentenza di questa Sezione n. 8968 del 2022 sulla natura degli "altri elementi di prova" secondo il criterio ex articolo 192 c.p.p., comma 3, e si censura la motivazione quanto al valore di conferma riconosciuto all'uso del bancomat in 22 dei 45 episodi contestati, ribadendo le argomentazioni critiche gia' espresse nel terzo motivo del ricorso originario, che non sarebbero state prese in esame dai Giudici di appello. Infine, si confuta la motivazione quanto ai 12 episodi che riguardano l'aggancio della cella di (OMISSIS), per i quali la sentenza ha ritenuto provata la penale responsabilita' dell'imputato, in considerazione del fatto che vi si trovava la casa del padre del ricorrente e che il percorso compiuto per arrivarvi era sempre lo stesso. A seguito di istanza di trattazione orale avanzata dai difensori e' stata fissata Udienza pubblica odierna nel corso della quale il Pg, Dr.ssa Tassone, ha concluso per il rigetto ed i difensori presenti, avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il Collegio ritiene il ricorso, per piu' aspetti inammissibile, complessivamente infondato. 1. Nel primo motivo la difesa lamenta la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avanzata, ex articolo 603 c.p.p., dedotta come vizio di motivazione illogica, in relazione all'audizione della persona titolare dell'esercizio commerciale posto di fronte al chiosco, all'acquisizione di una relazione tecnica di parte e di una annotazione comprovante l'azione di controllo esercitata dal ricorrente presso altri chioschi siti nel parco del (OMISSIS). 1.1. In proposito non e' inutile allora ricordare che, pur tenendo conto della peculiarita' dell'ipotesi di rinnovazione dell'istruttoria riguardo alla diversa valutazione di prove dichiarative nei due gradi di giudizio - ora codificate nell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis - la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale, al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 Ud. (dep. 25/03/2016) Rv. 266820. In senso conforme: Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274230, secondo la quale nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, precisandosi che tale accertamento e' rimesso alla valutazione del Giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata. 1.2. L'ordinanza impugnata (allegato 1 all'atto di ricorso), insieme alla sentenza corrisponde alla regole ermeneutiche ora ribadite. La Corte territoriale ha valutato inutile e non decisiva la relazione tecnica di parte in quanto fondata su dati rilevati dal consulente e non presenti nell'incarto processuale, imperniati sulla indicazione, quanto alla possibile presenza alternativa dell'imputato in luoghi diversi dalla caserma, che erano stati indicati dallo stesso imputato, a posteriori, al suo esperto mentre non erano stati rappresentati nel corso del giudizio di primo grado; la testimonianza (OMISSIS) e' stata giudicata irrilevante a seguito della ricostruzione della vicenda operata dalla Corte territoriale, che, sul corretto presupposto per il quale il falso e' un reato a dolo generico, essendo dunque irrilevante l'accertamento di un possibile motivo interno all'autore, ha escluso che il sequestro del chiosco fosse finalizzato a favorire indirettamente il titolare dell'esercizio commerciale posto di fronte al chiosco sequestrato - (OMISSIS) appunto - allo scopo di penalizzare un concorrente nella attivita' di quest'ultimo. Quanto alla restante documentazione, la difesa neppure si duole specificamente della mancata acquisizione del curriculum professionale, razionalmente valutato come non decisivo, poiche' il Giudice di appello, nel confermare la pronunzia di condanna, non ha esaminato l'aspetto della professionalita' del ricorrente, ne' sono state formulate deduzioni precise quanto ai documenti inerenti altre attivita' di controllo sviluppate dal giudicabile, che del resto sembrano consistere in una sola annotazione di servizio, come si legge alla pagina 9 dell'atto di ricorso, della quale neppure si rappresenta la decisivita'. 2. Non sussistono la violazione di legge ed il vizio di manifesta illogicita' dedotti con il secondo motivo, inerenti la valutazione della falsita' del requisito di urgenza del sequestro. Sullo specifico tema e' utile sintetizzare quanto scritto nella sentenza impugnata circa le ragioni che hanno indotto ad escludere la rappresentazione di urgenza in base alla quale era stato operato il sequestro di iniziativa ad opera della Polizia Giudiziaria ai sensi dell'articolo 321 c.p.p., comma 3 bis, urgenza di caratteristiche tali da non consentire neppure l'intervento del PM. In motivazione si sono valorizzate le prove testimoniali del vicecomandante (OMISSIS) e di un altro militare, che sapevano da tempo della possibilita' di procedere al sequestro, visto che da mesi il Luogotenente seguiva con attenzione il chiosco, per di piu' posto nelle vicinanze della Stazione da lui comandata; del dipendente comunale (OMISSIS) addetto del competente Ufficio tecnico, al quale (OMISSIS) aveva segnalato il possibile abuso edilizio e che, a seguito di un controllo, aveva escluso la presenza di irregolarita' significative, rilevando solo che la piattaforma sul quale insisteva occupava un suolo pubblico maggiore rispetto a quanto consentito; il tecnico, inoltre, aveva negato di procedere al sequestro richiestogli da (OMISSIS), non essendovi le condizioni ne' ravvisando un abuso edilizio; la titolare del chiosco, nel corso delle operazioni, aveva affermato che la struttura, ritenuta in occasione del sequestro abusiva, risaliva ad un periodo di poco antecedente le Olimpiadi invernali del 2006. 2.1. La Corte torinese ha valutato razionalmente i suddetti elementi e con motivazione in nulla illogica - tantomeno manifestamente illogica - ha, altresi', valorizzato la singolare modalita' del sopralluogo, eseguito con un tecnico amico dell'imputato e nel giorno di domenica e l'oggetto del sequestro, effettuato non solo sulle pedane ma anche sul chiosco con gli arredi, riguardo ai quali era intervenuto l'immediato provvedimento di dissequestro e restituzione ad opera del Gip. Tirando le fila del ragionamento la Corte di appello ha osservato, in coerenza con le premesse fattuali indicate, che l'imputato sapeva della presenza dell'abuso edilizio da anni, tanto che lo aveva riportato nel verbale di sequestro; che da mesi ne seguiva con attenzione le vicende; che anche la possibile occupazione di suolo pubblico era lieve, essendo anche di questo aspetto informato (OMISSIS), attraverso il confronto col tecnico comunale; che correttamente (OMISSIS) avrebbe dovuto redigere un'informativa di reato ed inviarla alla Procura della Repubblica con richiesta di sequestro preventivo, sulla quale il PM, se del caso, avrebbe potuto provvedere con un decreto di urgenza. Se ne e' ricavata l'assenza del carattere di urgenza e la dolosita' della condotta attribuita all'attuale ricorrente, essendo il verbale di sequestro preventivo fondato su un requisito di urgenza insussistente, al solo scopo di giustificare il sequestro di iniziativa. A completamento del percorso logico-argomentativo la Corte di appello ha confutato esattamente l'argomento difensivo per il quale il gip aveva convalidato il provvedimento - qui ripresentata - avendo ritenuto che molto probabilmente l'attenzione del Giudice era concentrata su aspetti di maggior sostanza, essendosi trovato a valutare un sequestro che appariva in larga misura esorbitante. Sul punto non puo' farsi a meno di annotare che la difesa omette di prendere in considerazione la circostanza - pure presente nella giustificazione in esame - per la quale il Gip, pur convalidando il sequestro a seguito della richiesta del PM, aveva dissequestrato il chiosco e gli arredi, risultandone sconfessato il complessivo operato dell'imputato, promotore dell'iniziativa. 2.2. La difesa propone ora il tema dell'esercizio di discrezionalita' da parte del pubblico ufficiale e dell'eventuale errore nella valutazione dell'urgenza, puntualizzando, per altro verso, che di falso puo' discorrersi in caso di premesse fattuali oggettivamente false ma non in ipotesi di enunciato valutativo falso. 2.3. Questa ultima proposizione appare frutto di un equivoco, poiche' nella fattispecie non appare ravvisabile la dedotta questione del falso in valutazioni. Invero, questa Corte regolatrice ha gia' piu' volte chiarito - peraltro con pronunzie che hanno risolto positivamente il problema della configurabilita' del falso valutativo in atto pubblico - che esso si puo' raffigurare in un contesto implicante l'accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi, qualora il giudizio contraddica tali parametri ovvero si fondi su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, Sentenza n. 18521 del 13/01/2020 Ud. (dep. 18/06/2020) Rv. 279046, in un caso in cui si e' discusso di falso ideologico in atto pubblico. Massime precedenti Conformi: N. 45373 del 2013 Rv. 257895 - 01, N. 15773 del 2007 Rv. 236550. Quest'ultima pronunzia, nell'affermare il principio, ha osservato che anche giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri nell'ambito di contesti che implichino l'accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, e le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come errate, ma possono rientrare, altresi', nella categoria della falsita' ideologica, allorche' il giudizio faccia riferimento a criteri predeterminati in modo da rappresentare la realta' al pari di una descrizione o di una constatazione. Risulta, dunque, evidente che la fattispecie in esame sia estranea al perimetro di possibile ravvisabilita' del falso valutativo, come ora vorrebbe la difesa. 2.4. Quanto alla valutazione discrezionale sul criterio dell'urgenza riguardo alla quale con la presente impugnazione si rappresenta per la prima volta la possibilita' di un errore da parte dell'imputato, va osservato quanto segue. In primis il profilo attualmente dedotto si connota di novita', non essendo stato proposto in grado di appello, giudizio nel quale la difesa ha sostenuto la tesi della piena legittimita' dell'operato di (OMISSIS) nell'esercizio della sua discrezionalita' di pubblico ufficiale. Per questa ragione la doglianza risulta inammissibile, implicando l'eventuale verifica lo svolgimento di accertamenti in fatto ad opera del Collegio - come noto inibiti in questa sede - con particolare riguardo all'elemento psicologico del delitto. Per altro verso va pure annotato che la Corte di appello ha escluso, con motivazione adeguata e priva delle denunziate illogicita', il requisito dell'urgenza per le ragioni gia' ora esposte e piu' ampiamente descritte alla pagina 70 della sentenza, dalle quali e' agevole desumere come sia stata scartata anche la possibilita' di un errore in buona fede da parte dell'imputato. Sul punto e' utile aggiungere che, ad illuminare la dolosita' del comportamento del ricorrente, si e' dato risalto razionalmente anche al ritardo col quale egli aveva eseguito il decreto di dissequestro, esecuzione avvenuta solo tre giorni dopo che il provvedimento era stato trasmesso alla caserma ed a seguito delle sollecitazione del Comandante la Compagnia. Per completezza e' utile segnalare che la Corte di appello ha, in conclusione, opinato che la condotta dell'imputato - definita scomposta - fosse riconducibile alla volonta' di affermare la sua autorita' in un luogo posto all'interno della circoscrizione e fosse inquadrabile in un banale esercizio arbitrario di potere. 3. Il Collegio ritiene che il terzo motivo di ricorso, pur inammissibile per alcuni profili, avendo proposto in sostanza, censure in gran parte riguardanti il merito del discorso argomentativo sviluppato con la motivazione ed una versione alternativa e favorevole alla tesi difensiva delle prove raccolte, sia complessivamente infondato, anche in considerazione delle ragioni esposte nei motivi aggiunti. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di legittimita' quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). 3.1. Anche per questa parte di motivazione e' utile riassumere le prove principali che la Corte territoriale ha posto a fondamento della sua decisione e la valutazione offertane, ponendo da subito in rilievo che, rispetto alla pronunzia del Tribunale, i Giudici di appello hanno adottato un criterio piu' restrittivo di ponderazione del dato informativo derivante dagli agganci del telefono in uso al ricorrente ai ponti ripetitori. Esso e' stato ritenuto significativo di assenza dalla caserma solo nei casi in cui il cellulare in parola e' risultato agganciare una stazione radio posta al di fuori del Comune di Torino, ad una distanza di almeno 9-10 Km, essendo la Caserma sita nel centro della Citta'. L'adozione di questo metodo di maggior rigore interpretativo ha portato all'assoluzione dell'imputato per 14 degli episodi oggetto dell'imputazione di truffa aggravata. Le prove il cui scrutinio, alla luce dei motivi di appello, sono state in sostanza giudicate fondanti la responsabilita' dell'imputato sono: a) le testimonianze dei sette carabinieri che avevano dichiarato che la frequenza del Comandante in caserma era scarsa e che i loro riferimenti erano i due vicecomandanti; b) i controlli dei pagamenti elettronici tramite bancomat - in numero di 20 secondo l'atto di ricorso - effettuati in giorni ed ore in cui sul memoriale era indicata la presenza di (OMISSIS) in caserma; c) l'aggancio di celle telefoniche situate al di fuori del territorio del Comune di Torino, reputando la Corte torinese impossibile che se l'imputato si fosse trovato nella caserma, sita al centro, il suo cellulare si sarebbe appoggiato ad una stazione radio posta al di fuori del Comune, cioe' almeno 9-10 Km di distanza. Il giudizio correttamente complessivo e globale dei risultati di prova suindicati ha indotto la Corte di appello a ritenere che nelle occasioni in riferimento l'imputato, pur avendo segnato la sua presenza in caserma nel memoriale di servizio, fosse, invece, assente per motivi estranei ad attivita' di istituto, e pertanto, avesse indebitamente ricevuto la relativa retribuzione per ore di lavoro non effettuate. 3.2. In motivazione la Corte di appello - alle pagine da 74 a 77 - ha preso in esame i singoli episodi oggetto di imputazione ed ha razionalmente combinato i dati informativi derivanti dai punti di prelievo bancomat e dall'aggancio delle celle telefoniche con quanto riportato sul memoriale di servizio circa la presenza del Comandante nella Caserma di (OMISSIS) e giudicando coerentemente integrato il delitto di truffa. I giudici del merito hanno applicato correttamente i principi espressi da questa Corte in tema di valutazione della prova indiziaria, secondo i quali ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, gli indizi devono essere gravi, ossia consistenti, resistenti alle obiezioni ed aventi capacita' dimostrativa in relazione al "thema probandum", precisi, ossia specifici, univoci e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o piu' verosimile, nonche' concordanti, ossia convergenti e non contrastanti tra loro e con gli altri dati e elementi certi. (Sez. 5, Sentenza n. 1987 del 11/12/2020 Ud. (dep. 18/01/2021 ) Rv. 280414. Nello stesso senso: Sez. 1, Sentenza n. 8863 del 18/11/2020 Ud. (dep. 04/03/2021) Rv. 280605. 3.3. A fronte di tale esatta e congrua giustificazione la difesa articola doglianze che - richiamate le considerazioni gia' innanzi espresse in linea generale circa la loro inidoneita' critica - appaiono carenti ed inidonee ad intaccare il costrutto argomentativo in esame anche per le ulteriori seguenti osservazioni, che il Collegio ritiene di formulare. Il ricorrente si duole della mancata ponderazione delle testimonianze dei superiori gerarchici di (OMISSIS), che mai avrebbero formulato rilievi negativi sul suo comportamento esprimendo, anzi, sempre valutazioni di eccellenza. In proposito occorre ricordare che secondo il costante indirizzo ermeneutico di questa Corte nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicche' debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Sez. 6, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021 Ud. (dep. 16/09/2021) Rv. 281935. Massime precedenti conformi: N. 38824 del 2008 Rv. 241062 - 01, N. 49970 del 2012 Rv. 254107. In senso coerente e' stato chiarito che non e' censurabile, in sede di legittimita', la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. (Sez. 5, Sentenza n. 6746 del 13/12/2018 Ud. (dep. 12/02/2019) Rv. 275500. Massime precedenti conformi: N. 27825 del 2013 RV.256340. Al lume di tali principi la doglianza risulta generica anche perche' neppure rappresenta la decisivita' delle prove dichiarative non esaminate, che appaiono riferite genericamente alla lunga carriera del giudicabile e prive di specifica valenza di segno contrario rispetto alle puntuali acquisizioni probatorie inerenti una pluralita' di circoscritti episodi illeciti, ritenuti concordemente dimostrati dai Giudici del merito. Altrettanto puo' dirsi con riguardo al tema della ipotizzata negligenza da parte dell'imputato nel redigere il memoriale di servizio, anche sotto il dedotto profilo della mancata annotazione di ore di straordinario in realta' svolto, comportamento che colliderebbe con il dolo necessario ad integrare gli illeciti truffaldini. Sul tema del dolo il ricorrente e' tornato anche con gli argomenti sintetizzati sub 3.6 del ritenuto in fatto, evidenziando la grande e costante disponibilita' di (OMISSIS) ad occuparsi dei suoi compiti di Comandante, ipotizzando la possibilita' di una soggettiva convinzione di poter compensare ore di lavoro, anche a titolo di straordinario, non pagate con eventuali debiti per le ore retribuite durante la ritenuta assenza dal lavoro. La prima argomentazione, in se' non implausibile, non intacca la tenuta logico-dimostrativa della spiegazione resa dalla Corte di appello, con riguardo ai singoli fatti di reato accertati con il corretto metodo gia' descritto, con cui il ricorrente evita di confrontarsi, mentre la tesi della compensazione e' destituita di fondamento, per le valide ragioni espresse dalla Corte di appello, incentrate sulla natura pubblica del rapporto di lavoro, sull'arbitrarieta' di una eventuale simile prassi, in assenza di ogni formalizzazione della stessa, nonche' sulla significativa esperienza di servizio del giudicabile, certamente in grado di comprendere l'illegalita' di un tale comportamento. Ad analoghe conclusioni di genericita' della censura si perviene quanto al presunto equivoco circa le diciture indicate nel memoriale, delle quali la difesa propone una lettura, a suo dire, corretta ma senza specificamente indicare le ragioni della loro incidenza rispetto alle singole truffe contestate e soprattutto senza neppure rappresentare che, nelle date individuate, il memoriale recasse l'indicazione di attivita' da esplicare fuori sede, come correttamente si sarebbe dovuto annotare (sul punto pagg. 50, 51 dell'atto di impugnazione). Riguardo all'argomento dell'uso del bancomat ad opera della figlia dell'imputato, sul quale si lamenta la mancata considerazione di una sola comunicazione telematica con il genitore e la mancata audizione della giovane a seguito della mancata rinnovazione istruttoria, si rileva quanto segue. I Giudici di appello hanno chiarito che la testimonianza non era stata richiesta con la presentazione della lista testi, restando l'assunto difensivo indimostrato, mentre, quanto alla mancata rinnovazione istruttoria richiesta, non puo' farsi a meno di sottolineare che sulla prova testimoniale della ragazza la difesa non ha insistito al momento delle richieste istruttorie, come si legge nel verbale di udienza del 11.6.2021 (allegato 2 all'atto di ricorso), rinunziando in tal modo, sullo specifico punto, alla facolta' di difendersi provando. 4. Resta da esaminare quella che deve considerarsi la principale doglianza sviluppata nell'atto di impugnazione. che il ricorrente ha coltivato sia con i motivi originari, sia - e con argomentazioni in parte di maggior spessore - con i motivi nuovi. Si tratta della ritenuta - ed illogica a parere della difesa - dimostrazione della localizzazione dell'imputato in base al solo dato dell'ubicazione delle celle telefoniche agganciate all'utenza in suo uso, nonche' del metodo di valutazione adottato dai Giudici del merito, che sarebbe irrispettoso del criterio di giudizio introdotto dalla norma transitoria di cui al Decreto Legge 30 settembre 2021, n. 132, articolo 1, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178, entrata in vigore dopo la presentazione del ricorso. 4.1. Per quanto attiene i motivi originari deve osservarsi che nelle ampie ed articolate censure sintetizzate sub 3.4 e 3.5 del ritenuto in fatto si solleva una critica incentrata sulla fallacia del metodo seguito dagli investigatori per individuare le assenze ingiustificate dal servizio l'aggancio delle celle telefoniche ad opera dell'utenza in uso a (OMISSIS) - che sarebbe privo di certezze in quanto meramente empirico e si deduce la carenza di motivazione, poiche' la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le mappe telefoniche allegate ai motivi aggiunti di appello, valutazione che avrebbe offerto maggiori garanzie per la difesa, consentendo di circoscrivere con precisione la presenza nella zona di riferimento dell'imputato. Sul punto deve, in primis, osservarsi che la difesa si lamenta della mancata valutazione delle mappe telefoniche, dando cosi' per scontato che esse siano state acquisite dal Giudice di appello ma da quanto riportato sul punto nell'atto di impugnazione - alle pagine 56 e 62 - non sembra ricavarsi in proposito alcuna certezza. Evidente il riflesso negativo che deriverebbe alle ragioni del ricorrente quanto alla deduzione di mancato esame di una prova documentale non acquisita al fascicolo del Giudice di merito. In ogni caso deve osservarsi che il ricorrente, nel proporre l'argomento legato all'ipotizzata efficacia delimitativa delle mappe telefoniche utili ad individuare l'ampiezza della copertura della cella agganciata dall'utenza, agita una questione tipicamente attinente al merito del percorso argomentativo, "vestendola" di vizio di carenza di motivazione, con puntualizzazioni in fatto, fin nel dettaglio, ed inammissibili visioni alternative della interpretazione delle prove fornite dai Giudici di appello, come si ricava dall'esame delle pagine da 54 a 67 dell'atto di ricorso, tra le quali risulta inserita anche una delle mappe telefoniche in parola. Implicita ma evidente la richiesta al Collegio di un inammissibile apprezzamento diretto degli elementi di prova acquisiti nel giudizio di merito. Per altro verso le argomentazioni impiegate risultano esplicitamente finalizzate a sostenere la necessita' di acquisire, tramite rinnovazione istruttoria, la consulenza di parte e ad ascoltare come teste l'esperto che l'aveva redatta, con deduzione che non tiene conto della corretta giustificazione confezionata dalla Corte territoriale per denegare la rinnovazione istruttoria, di cui si e' gia' dato conto sub 1.2 delle presenti considerazioni. 4.2. Nei motivi aggiunti si sono proposte doglianze di natura diversa, riguardo alle quali e' necessario rimarcare che il ricorrente non ha inteso dedurre l'inutilizzabilita' dei tabulati telefonici ma la violazione della regola di giudizio dettata dalla norma transitoria gia' innanzi citata e la conseguente incapacita' dimostrativa degli elementi esaminati dal Giudice di secondo grado, sotto il profilo del vizio di motivazione illogica. La scelta della difesa e' corretta alla luce dell'inserimento del comma 1-bis all'interno del Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, che stabilisce - per quanto ora di stretto interesse - che i dati relativi al traffico telefonico, se acquisiti in base a decreto motivato(del pubblico ministero, nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del Decreto Legge n. 132 del 2021 "possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prove. In sostanza - come si annota nella sentenza n. 8968 del 24/02/2022 di questa Sezione, citata anche dal ricorrente in deroga al principio del tempus regit actum, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche acquisiti prima del 30 settembre 2021, in base a decreto motivato del pubblico ministero - modalita' considerata legittima secondo la legge in precedenza vigente - possono essere utilizzati come elemento di prova a carico dell'imputato solo "unitamente ad altri elementi di prova" e solo per l'accertamento dei reati che rientrano nella categoria gia' delineata "per il futuro" dal Decreto Legge n. 132 del 2021. Per il passato, ferme le categorie di reato che pongono un limite invalicabile, il legislatore ha delineato una regola legale di valutazione della prova mutuata dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, in tema di chiamata di correo. Nel caso in esame la stessa difesa da' atto, nel corpo dei motivi aggiunti, che i tabulati di cui si discute sono stati acquisiti con decreto motivato del PM e concentra le sue critiche sulla inconcludenza degli elementi di prova adoperati come riscontri dalla Corte di appello. Deve, quindi, porsi in luce che la Corte territoriale - come si e' gia' avuto modo di commentare di fatto ha applicato nella valutazione del valore probante da attribuire ai tabulati telefonici il valore di prova da confermare in combinazione con altri elementi, quanto alle individuazione dei dati di interesse relativi all'imputato, tra i quali di massimo rilievo sono la data l'ora ed il luogo. Corretta appare la motivazione offerta dalla Corte torinese, rispettosa dei criteri della legge e dell'interpretazione data da questa Corte di legittimita'. Infatti, con la pronunzia, cui si e' accennato, che il ricorrente mostra di conoscere ma di cui non tiene del tutto conto, questa stessa Sezione, (Sez. 5, Sentenza n. 8968 del 24/02/2022 Ud. (dep. 16/03/2022Rv. 282989) ha affermato il principio per il quale in tema di dati relativi al traffico telefonico, gli "altri elementi di prova" che, ai sensi della norma transitoria di cui al Decreto Legge 30 settembre 2021, n. 132, articolo 1, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178, devono confortare i cd. dati "esteriori" delle conversazioni ai fini del giudizio di colpevolezza possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualita', sicche' possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialita' logica, a corroborare il mezzo di prova ritenuto "ex lege" bisognoso di conferma. Si tratta, del resto, di un principio da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla chiamata in reita' e/o correita' e ribadito, altresi', dal massimo consesso nomofilattico. (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145). 4.3. Per altro verso e' necessario ricordare alcuni principi elaborati da questa Corte in relazione alla valutazione della chiamata di correo ed alla natura degli elementi di riscontro che, in considerazione della medesima regola di giudizio ora in gioco - articolo 192 c.p.p., comma 3 - appaiono applicabili anche al caso in esame, sebbene i dati da riscontrare siano quelli ricavabili dai tabulati telefonici. In primis si e' affermato, quanto al sindacato di legittimita' sulla valutazione delle chiamate di correo, che esso non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perche' un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se' stessi e nel loro reciproco collegamento. (Sez. 1, Sentenza n. 36087 del 13/11/2020 Cc. (dep. 16/12/2020) Rv. 280058. Sotto un diverso profilo si e' ribadito che in tema di chiamata di correo i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correita', purche' la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioe' riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilita' dello stesso all'imputato, mentre non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita'. (Sez. 2, Sentenza n. 35923 del 11/07/2019 Ud. (dep. 09/08/2019) Rv. 276744. Massime precedenti conformi:: N. 45733 del 2018 Rv. 274151 - 01 Rv. 274151 - 01, N. 5821 del 2005 Rv. 231301 - 01 Rv. 231301 - 01, N. 1263 del 2007 Rv. 235800 - 01, N. 44882 del 2014 Rv. 260607. Quanto al valore individualizzante del riscontro - sempre in tema di chiamata di correo - e' consolidato l'interpretazione secondo la quale il riscontro alla chiamata in correita' puo' dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato. (Sez. 6, Sentenza n. 45733 del 11/07/2018 Ud. (dep. 10/10/2018) Rv. 274151 - 01.Massime precedenti Conformi: N. 3255 del 2010 Rv. 245867 - 01, N. 5821 del 2005 Rv. 231301 - 01, N. 13473 del 2008 Rv. 239744 - 01, N. 1263 del 2007 Rv. 235800 - 01" N. 44882 del 2014 Rv. 260607. Il Collegio intende verificare la consistenza delle argomentazioni proposte dalla difesa alla luce del suindicato sistema di principi, che non appaiono correttamente ponderati, anche con riguardo alla natura ed al tipo degli elementi di riscontro pretesi dall'articolo 192 c.p.p., comma 3. 4.4. Infatti, da un lato si muovono censure ispirate ad una visione parcellizzata della motivazione, avendo ad oggetto gli elementi di conferma ciascuno di per se solo ed isolatamente considerato - prove testimoniali, punti di prelievo bancomat - dimenticando che essi sono stati correttamente ponderati insieme ai dati provenienti dai tabulati telefonici, come nel caso delle dichiarazioni dei sette Carabinieri, di cui si e' piu' volte detto, delle quali la difesa lamenta la genericita' ma non la relazione logica con gli altri risultati di prova messa in risalto dalla Corte torinese; per altro verso si vuole erroneamente attribuire agli elementi di conferma la natura di prova "autosufficiente", fondando la censura su tale inesatto rilievo, come nel caso dei prelievi dagli sportelli bancomat, conseguendone l'inammissibilita' della doglianza. Soprattutto la difesa dimentica che i riscontri possono avere carattere di conferma logica dei fatti e delle responsabilita', potendo anche derivare dall'esame di prove indirette, essendo l'apprezzamento logico delle prove la corretta chiave interpretativa adottata dai Giudici del merito. Ne deriva che non appare criticato efficacemente il complessivo percorso logico-argomentativo, che risulta esatto, proprio per aver operato una valutazione globale degli elementi di prova, considerandoli in collegamento reciproco tra loro, evidenziandone i nessi significativi ai fini del decidere e tirandone coerenti conclusioni, con riguardo alla attribuibilita' dei singoli episodi di truffa alla persona dell'imputato. Infine, ed al netto delle precedenti osservazioni, nei motivi aggiunti la difesa si e' limitata a riproporre le doglianze gia' presentate con il ricorso originario, sulle cui inidoneita' critica il Collegio si e' gia' espresso. 5. Non colgono nel segno le censure di cui al quarto motivo inerenti il trattamento sanzionatorio ed il mancato riconoscimento del beneficio ex articolo 175 c.p.. Sotto il primo profilo va ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142). Nel caso di specie i Giudici di appello hanno correttamente fatto riferimento al disvalore sociale dei fatti, al danno grave arrecato alla persona sulla quale erano ricadute le conseguenze del reato, anche in relazione alla perdita di opportunita' di lavoro derivante dal sequestro della sua attivita' ed ha fissato la pena base in misura di gran lunga inferiore alla media edittale, riconoscendo, peraltro le circostanze ex articolo 62 bis c.p.. 5.1. Quanto alla dedotta incoerenza logica tra il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e la negatoria di quello della non menzione, occorre ribadire il solido indirizzo esegetico seguito da questa Corte, per il quale il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale persegue finalita' diverse rispetto a quello della sospensione condizionale della pena; infatti, mentre quest'ultima ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilita' di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilita' di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicita' quale particolare conseguenza negativa del reato, sicche' non e' contraddittoria la decisione che neghi uno dei due benefici e conceda l'altro. (Sez. 3, Sentenza n. 5:1580 del 18/09/2018 Ud. (dep. 15/11/2018) Rv. 274106.Massime precedenti conformi: N. 34489 del 2012, N. 34489 del 2012, N. 45756 del 2007, N. 45756 del 2007. Peraltro nel caso in esame la Corte territoriale ha dato chiara spiegazione della diversita' di determinazione, annotando che il presumibile effetto deterrente del giudizio penale e la condanna, insieme all'incensuratezza ed al ruolo ricoperto, inducevano a ritenere che per il futuro l'imputato si sarebbe astenuto dal compiere altri reati mentre e' stata negata la non menzione a causa della gravita' delle condotte giudicate realizzate. Giustificazione coerente anche con il principio di recente affermato, per il quale la sentenza con cui venga concesso uno solo tra i benefici della sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna deve indicare le ragioni per le quali gli elementi valutati in senso favorevole per la concessione dell'uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell'altro oppure indicare altri elementi di segno contrario alla concessione del beneficio negato. (Sez. 4, Sentenza n. 32963 del 04/06/2021 Ud. (dep. 07/09/2021) Rv. 281787. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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