Sentenze recenti ricongiungimento familiare

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere Dott. LANNA Angelo V. - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/10/2020 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI; lette le conclusioni del PG Dott. CUOMO L., che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza resa in data 9 ottobre 2020, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta presentata nell'interesse di (OMISSIS) di riconoscimento del vincolo della continuazione tra le seguenti sentenze: a) condanna del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, emessa il 27 marzo 2012, irrevocabile il 14 luglio 2015, per i reati di cui alla L. n. 75 del 1958, articolo 3, comma 1, n. 8 commessi fino al (OMISSIS) e fino al (OMISSIS); b) condanna del Tribunale di Torino, emessa il 20 dicembre 2011, irrevocabile il 22 ottobre 2013, per i reati di cui alla L. n. 75 del 1998, articolo 3, comma 1, n. 8 e Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 1 e 3 ter, lettera a) e b), commessi rispettivamente dall'(OMISSIS) fino all'(OMISSIS) e dal (OMISSIS) sino all'(OMISSIS). In motivazione si evidenzia che, nonostante le norme giuridiche violate siano poste a tutela del medesimo bene giuridico, non possa ravvisarsi, in assenza di altri specifici elementi, l'esistenza del medesimo disegno criminoso, quanto piuttosto una generica inclinazione a delinquere. Invero, i fatti commessi sono stati realizzati in comuni diversi e coprono un lasso di tempo di oltre un anno; inoltre, nell'ambito della sentenza sub b) e' stata realizzata una condotta diversa, integrante il reato di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12 e consistita nell'aver simulato i presupposti di legge richiesti per ottenere un visto per motivi di ricongiungimento familiare, al fine di garantire l'ingresso in Italia di una cittadina (OMISSIS) e poi sfruttarne la prostituzione. 2. (OMISSIS), con atto del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 671 c.p.p.. Nel caso di specie, il medesimo disegno criminoso sarebbe comprovato dalla sussistenza di tutti gli indicatori richiesti dalla giurisprudenza di legittimita', quali la brevissima distanza cronologica tra i fatti, le stesse modalita' della condotta (ingresso delle sue connazionali in Italia ove le obbligava a prostituirsi), la sostanziale omogeneita' tra le violazioni, la causale. Inoltre, il provvedimento impugnato e' illegittimo nella parte in cui, con motivazione contraddittoria ed illogica, afferma che si sia in presenza di un programma di vita improntato al crimine, atteso che non v'e' stata alcuna dichiarazione di delinquenza abituale nelle sentenze per le quali si chiede la continuazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va dichiarato inammissibile perche' proposto per motivi non consentiti. 2. Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l'unicita' del disegno criminoso presuppone l'anticipata ed unitaria ideazione di piu' violazioni della legge penale, gia' presenti nella mente del reo nella loro specificita', e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell'esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (v. Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 16/04/2009, Di Maria, Rv. 243632). Il giudice dell'esecuzione, nel valutare l'unicita' del disegno criminoso, non puo' attribuire rilievo ad un programma di attivita' delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale v. (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596). L'esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l'unitarieta' del contesto e della spinta a delinquere, la brevita' del lasso temporale che separa i diversi episodi, l'identica natura dei reati, l'analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (v. Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015 - dep. 18/01/2016, Esposti e altro, Rv. 266413) L'identita' del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguita' spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l'occasionalita' di quelli compiuti successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriori (da ultimo Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012 - dep. 14/11/2012, Natali e altro, Rv. 254793). Anche recentemente, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneita' delle violazioni e del bene protetto, la contiguita' spazio-temporale, le singole causali, le modalita' della condotta, la sistematicita' e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074). 3. Cio' premesso, il Tribunale ha ragionevolmente argomentato sull'impossibilita' di ritenere i reati uniti da un medesimo disegno criminoso sulla scorta del lasso di tempo in cui sono state realizzate le condotte (oltre un anno), della diversita' dei luoghi di commissione dei fatti e, infine, delle modalita' operative che caratterizzano l'ulteriore e diverso reato di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12. Invero, da tali elementi ha desunto, in assenza di ulteriori e diversi dati di fatto, la conclusione opposta di una condotta di vita dedita al crimine e finalizzata ad ottenere illeciti guadagni dallo sfruttamento della prostituzione e dall'ingresso illegale di cittadini stranieri. Su questa premessa ha argomentato in modo logico e compiuto spiegando come non si possa evincere una programmazione ab origine dei delitti, stante la necessita' di tenere su due piani distinti la previa ideazione unitaria con la tendenza a commettere reati della stessa indole sotto la spinta di circostanze piu' o meno occasionali. 3.1 Tanto premesso, la critica si risolve in una richiesta di rivalutazione in fatto, non consentita in sede di legittimita'. Alla dichiarazione di inammissibilita' consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in Euro tremila, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - rel. Consigliere Dott. MAGRO M.Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: sul ricorso di (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza in data 23/01/2023 del Tribunale di Genova; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macri'; letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta per l'indagato la memoria dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con ordinanza in data 23 gennaio 2023 il Tribunale del riesame di Genova, in accoglimento dell'appello del Pubblico ministero, ha disposto il sequestro preventivo dell'autovettura (OMISSIS) con targa marocchina di proprieta' dell' (OMISSIS), indagato per contrabbando doganale proprio del suo veicolo. 2. Ricorre per cassazione la difesa sulla base di tre motivi. Con il primo deduce la violazione di legge per mancato rispetto del termine per la convalida della richiesta di sequestro preventivo da parte del GIP; per omessa notifica dell'ordinanza del GIP all'indagato e al difensore; per omessa motivazione dell'eccezione d'improcedibilita' della domanda di appello. Sostiene che era inammissibile l'appello del PM avverso il decreto del GIP di rigetto del sequestro preventivo, perche' il vincolo reale aveva perso ogni efficacia allorche' il GIP non aveva proceduto alla tempestiva convalida del precedente sequestro probatorio. Con il secondo eccepisce la violazione di legge per difetto di periculum in mora. Con il terzo lamenta la violazione di legge in merito all'applicazione dell'articolo 216 TULD, dell'articolo 132 C.d.S., dell'articolo 70 TU IVA; degli articolo 34 e 36 in combinato disposto con l'articolo 216 TULD; degli articolo 282 e 293 con gli articolo 16 e 25, comma 2, TULD. Richiama la nozione di residenza rilevante ai fini dell'articolo 93-bis C.d.S. ed esclude il contrabbando intra-ispettivo ipotizzato a suo carico. Nella memoria difensiva insiste sulla mancanza della motivazione del periculum e ricorda che il veicolo era ad uso personale e non commerciale, per cui non avrebbe dovuto scontare la tassazione doganale. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' fondato. Gli inquirenti hanno ipotizzato a carico dell'indagato il reato di contrabbando doganale per essere arrivato al porto di Genova con la sua autovettura immatricolata in Marocco e non averla dichiarata. Il sequestro probatorio d'iniziativa della polizia giudiziaria e' stato convalidato tardivamente dal PM e quindi ha perso di efficacia. Tuttavia, sul presupposto della confisca obbligatoria per il reato contestato, il PM ha chiesto il sequestro preventivo che e' stato rigettato dal GIP (il quale ha ravvisato la fattispecie tentata) e disposto dal Tribunale del riesame. Oggetto del ricorso e' quindi la statuizione del Tribunale del riesame che ha accolto l'appello del PM. Il primo motivo attiene a una questione non pertinente, in merito ai rapporti tra sequestro probatorio e preventivo, perche' l'inefficacia del primo non incide sulle vicende giuridiche del secondo, trattandosi di due strumenti cautelari fondati su presupposti diversi (Sez. 2, n. 43222 del 28/09/2022, Yulin, Rv. 284047-01). Ed e' stata finanche ritenuta la loro coesistenza (Sez. 6, n-. 12544 del 12/02/2020, Muscerino, R. 278733-01). Il secondo e il terzo motivo attengono invece all'esistenza rispettivamente del periculum e del fumus. Per il GIP, che ha rigettato la richiesta di sequestro preventivo, manca l'elemento soggettivo del reato ipotizzato poiche' l'indagato viaggiava con passaporto marocchino e permesso di soggiorno spagnolo e stava ritornando in Spagna passando per l'Italia ove abitava il figlio con cui si accompagnava. Il Tribunale del riesame ha invece osservato che il difetto dell'elemento soggettivo non esclude la confisca obbligatoria, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimita' (Sez. 3, n. 18535 del 08/02/2022, Besputin, Rv. 283234-01) che inibisce la misura solo in ipotesi di insussistenza del fatto o di assenza della relazione tra la persona e il fatto, e che nello specifico l'indagato aveva il permesso di soggiorno spagnolo per ricongiungimento familiare per cui doveva ritenersi residente in Spagna. Ritiene il Collegio che l'ordinanza del Tribunale del riesame e' carente in merito alla motivazione del fumus perche' non e' stata compiuta una verifica della "residenza" dell'indagato, in termini di radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalita' della sua presenza sul territorio UE, la fissazione ivi della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Infatti, i Giudici hanno focalizzato l'attenzione solo su una presunta incompatibilita' astratta tra la residenza in Marocco e il permesso di soggiorno in Spagna, senza accertare in concreto la situazione. Inoltre, l'ordinanza impugnata manca del tutto della motivazione in merito al periculum e, a differenza di quanto ritenuto dal Procuratore generale nella sua requisitoria secondo il quale, in caso di confisca obbligatoria, la valutazione del periculum sarebbe ultronea, va ricordato che le Sezioni Unite Ellade (n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848-01) richiedono sempre la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, ipotesi che non ricorre nella specie, la motivazione puo' riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili "ex lege". Pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Genova per nuovo giudizio sia in merito all'accertamento della residenza effettiva dell'indagato, che costituisce l'elemento costitutivo della fattispecie ascritta, sia in merito alle ragioni che rendano necessarie l'anticipazione del vincolo. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Genova competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/05/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FIORDALISI DOMENICO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ROMANO GIULIO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore; Trattazione scritta. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 6 maggio 2022 con la quale, in parziale riforma della sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Salerno il 14 giugno 2021, e' stato condannato alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 44.000,00 di multa, in ordine ai seguenti reati, commessi in (OMISSIS) con condotta perdurante e riuniti tra loro dal vincolo della continuazione: - associazione per delinquere, ai sensi dell'articolo 416 c.p. (capo a), perche' insieme a terzi soggetti (alcuni dei quali rimasti ignoti), per i quali si e' proceduto separatamente, si era associato allo scopo di commettere piu' reati in materia di immigrazione clandestina di numerosi cittadini somali giunti sul territorio dello Stato italiano e destinati a essere trasferiti in altri Paesi dell'Unione Europea (in particolare, in (OMISSIS)) e, nella specie, allo scopo di compiere atti diretti a procurare l'ingresso illegale in Italia degli stessi (utilizzando l'istituto del ricongiungimento familiare), a favorirne la permanenza sul territorio dello Stato e ad agevolarne il trasporto in nord Europa; - favoreggiamento dell'immigrazione clandestina aggravata, ai sensi del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera a), b) d), (capo b), perche', in concorso con terze persone, aveva compiuti atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio dello Stato di numerosi stranieri, di nazionalita' somala, anche falsificando documenti identificativi (o, comunque, procurando documenti falsificati o contraffatti) e fornendo falsi fogli di soggiorno per stranieri e falsi titoli di viaggio, documenti che avevano permesso agli stranieri di lasciare il territorio italiano per raggiungere paesi del nord Europa; - possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, ai sensi dell'articolo 497-bis c.p. (capo d), perche', al fine di commettere i reati di cui ai capi che precedono, con il concorso di terze persone, aveva fabbricato o formato documenti identificativi falsi, ovvero ne aveva commissionato la falsificazione. 2. Il ricorrente articola tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perche' la Corte di appello avrebbe omesso in maniera errata di accertare che l'imputato non aveva fatto parte di alcuna organizzazione criminale, risultando carente il requisito della partecipazione da un punto di vista oggettivo e soggettivo. In particolare, nel ricorso si evidenzia che non vi e' alcun elemento in forza del quale poter affermare che l'imputato conoscesse personalmente piu' di tre soggetti astrattamente riconducibili alla contestata associazione e che fosse consapevole dell'esistenza di un'associazione. La partecipazione al sodalizio dell'imputato, infatti, sarebbe stata dedotta da un numero modesto di intercettazioni telefoniche (compiute nell'arco di tre mesi), dalle quali si evinceva solo che lo stesso si era limitato ad aiutare alcune persone gia' presenti sul territorio nazionale. L'imputato, per di piu', non aveva procurato alcun biglietto di viaggio agli stranieri, ne' titoli di viaggio falsi, ne' aveva offerto alloggi ai presunti clandestini. Con particolare riferimento alla condotta di procacciamento di documenti falsi, nel ricorso si evidenzia che, l'unica intercettazione indiziante (n. 5717 dell'11.08.2015) non poteva essere collegata con l'imputato, posto che questi si era limitato a prestare il telefono a un conoscente, il quale aveva intrattenuto la conversazione captata con tale (OMISSIS). Con riferimento al ricevimento di ingenti importi di denaro, nel ricorso si evidenzia che, dagli atti, si evincerebbe che l'unica movimentazione di denaro accertata e riferita all'imputato era pari all'importo di Euro 50,00 e che lo stile di vita dello stesso non era compatibile con la sua partecipazione a un'attivita' illecita e remunerativa come quella oggetto di imputazione. 2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'articolo 13, comma 3, Testo Unico imm., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perche' la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che la condotta posta in essere dall'imputato, piu' che perfezionare il reato di cui al capo b, era riconducibile alla sua volonta' di prestare assistenza e soccorso (temporaneo e per ragioni di solidarieta') ai connazionali che versassero in uno stato di bisogno e che, comunque, erano gia' presenti sul territorio dello Stato. D'altronde, il ruolo svolto dall'imputato era stato del tutto marginale, privo di alcuna partecipazione diretta, sia all'ingresso nel territorio dello Stato, sia alla falsificazione di documenti o all'agevolazione, sotto diversa forma, dell'immigrazione clandestina. 2.3. Con il terzo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 132 e 133 c.p., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perche' la Corte di appello, una volta riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza alle contestate circostanze aggravanti, avrebbe in maniera errata rideterminato la pena, partendo, per il computo della pena finale in continuazione, da una pena base per il reato sub b molto vicina al massimo edittale, in maniera del tutto ingiustificata e senza fornire sul punto alcuna motivazione. 2.4. Con memoria del 21 febbraio 2023, il ricorrente, dopo essersi riportato al proprio ricorso, evidenzia che la Corte di appello sarebbe incorsa in un errore materiale quando, dopo aver applicato la disciplina della continuazione e aver quantificato la pena finale in anni quattro e mesi sei di reclusione, ha erroneamente calcolato la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato, condannando l'imputato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, senza considerare che, sottratto un terzo dalla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, la pena da irrogare doveva essere pari ad anni tre di reclusione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti che seguono. 1.1. I primi due motivi di ricorso non possono essere accolti in sede di legittimita'. In tal senso, giova evidenziare che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura di elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482); ne' e' sindacabile in questa sede, salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti tra le dichiarazioni di persone informate dei fatti o coindagati, e la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Pertanto, alla luce dei principi sopra indicati, la Corte ritiene che il ricorso non sia consentito in sede di legittimita', essendo costituito da mere doglianze in punto di fatto. Va evidenziato, infatti, come le doglianze sollevate sono tese a sovrapporre un'interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, piu' che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall'articolo 606 c.p.p.. In particolare, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto provata la responsabilita' penale dell'imputato in forza delle intercettazioni telefoniche inequivoche, dalle quali l'imputato e gli altri correi, ritenendosi sicuri di non essere intercettati, avevano esplicitato in maniera chiara il modus operandi dell'associazione. Nella specie, dall'analisi delle intercettazioni eseguite subito dopo il controllo di polizia del 28 agosto 2015 e' emerso che l'imputato aveva utilizzato espressioni ("per salvare (OMISSIS) mi hai messo nei problemi"; "(...) aveva preso (in carico) tre persone, altre quattro le aveva fatte mangiare e gli aveva fatto i titoli di viaggio") che avevano riscontrato la sussistenza dell'attivita' delinquenziale di tutte le parti coinvolte nell'indagine. La Corte di appello, di conseguenza, ha ritenuto non credibile la versione difensiva dell'imputato secondo la quale lo stesso era stato mosso da una propensione solidaristica e caritatevole, anche considerando che tale ricostruzione era smentita dalla posizione degli altri correi, per come emersa dalle numerose intercettazioni telefoniche agli atti e dalla sentenza di condanna di primo grado a loro carico, elementi dai quali si evinceva che l'associazione aveva organizzato viaggi in pullman verso il nord Europa, aveva utilizzato documenti falsi per superare i controlli di sicurezza e aveva organizzato l'alloggio dei migranti. 1.2. Altrettanto non credibile e' stata ritenuta la tesi sostenuta dall'imputato, secondo la quale lo stesso si era limitato a svolgere l'attivita' di affitta-camere, laddove nessun elemento concreto era stato allegato a sostegno di tale ricostruzione. A differenza di quanto sostenuto dalla difesa, poi, il fatto che gli stranieri interessati dalle condotte accertate si trovassero in condizione di clandestinita' era confermato dal contenuto delle conversazioni captate, dalle quali era emersa la necessita' per il sodalizio di reperire i documenti identificativi e i titoli di viaggio, circostanza sintomatica del fatto che gli stranieri non erano regolari. La Corte di appello, infine, ha evidenziato che il fatto che l'ingente ammontare dei ricavi non fosse riferibile direttamente all'imputato costituiva circostanza non significativa, posto che detto ammontare riguardava l'attivita' dell'associazione nel suo complesso. Il Collegio, pertanto, ritiene che i giudici della cognizione abbiano esplicitato, con motivazione puntuale e adeguata, le ragioni per le quali hanno ritenuto fondata la responsabilita' penale in capo all'imputato. Il ricorrente, invece, si e' limitato a proporre interpretazioni alternative delle prove gia' analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle prove, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicche' non risulta possibile nel giudizio di legittimita' procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori. 1.3. Il motivo di ricorso dedicato alla dosimetria della pena e' infondato, posto che la Corte di appello ha fornito ampia motivazione in ordine ai criteri soggettivi e oggettivi elencati dall'articolo 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena. La Corte di appello, infatti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza alle contestate circostanze aggravanti di cui all'articolo 12, comma 3 Testo Unico imm., fatto che ha determinato una incisiva diminuzione di pena rispetto a quella stabilita dal giudice di primo grado. La Corte territoriale, infatti, ha applicato la pena stabilita dal legislatore per il reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina di cui al comma 1 del citato articolo, di molto inferiore alla pena prevista nel citato comma 3, quantificando una pena base inferiore di anni uno e mesi sei di reclusione rispetto a quella oggetto della sentenza di primo grado. 1.4. Deve trovare accoglimento, invece, la doglianza dedotta dal ricorrente nella sua memoria difensiva. Come correttamente evidenziato dalla difesa, infatti, la Corte di appello ha erroneamente calcolato la riduzione di un terzo di pena per la scelta del rito abbreviato. La pena, pertanto, deve essere rideterminata in anni tre di reclusione ed Euro 41.333,00 di multa, cosi' quantificata: pena base per il reato sub b di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 75.000,00 di multa, aumentata per la continuazione con il reato sub a ad anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa (sul punto, la Corte di appello ha commesso un errore favorevole al reo, avendo stabilito una pena pecuniaria inferiore), aumentata per la continuazione con il reato sub d alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 62.000,00 di multa, diminuita alla citata pena finale per la riduzione di un terzo per la scelta del rito. 2. In forza dei principi giurisprudenziali sopra evidenziati, la Corte deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena, che ridetermina in anni tre di reclusione ed Euro 41.333,00 di multa, rigettando nel resto il ricorso. La possibilita', riconosciuta alla Corte di cassazione dall'articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), nella formulazione modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, di rideterminare direttamente la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo ad un annullamento senza rinvio, e' circoscritta alle ipotesi in cui - come quella in esame - alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza necessita' dell'esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimita' (Sez. 6, n. 44874 del 11/09/2017, Dessi', Rv. 271484). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena, che ridetermina in anni tre di reclusione ed Euro 41.333,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. MAGI Raffaell - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 13/04/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di GENOVA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MAGI RAFFAELLO; lette le conclusioni del PG. Dott. SECCIA D., che ha concluso per il rigetto del ricorso. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con ordinanza resa in data 13 aprile 2022 il Tribunale di Sorveglianza di Genova ha respinto l'appello introdotto da (OMISSIS) e relativo alla misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato (articolo 235 c.p.). 1.1 In motivazione si evidenzia, in sintesi, che la valutazione di attualita' della pericolosita' sociale si fonda: a) sulla gravita' del reato commesso nel 2012 (rapina con uso di arma bianca); b) sulla esistenza di precedenti; c) sulla interruzione della fruizione dei permessi premio durante la espiazione; d) l'assenza di solidi riferimenti sociali e familiari esterni. Il Tribunale, nel valutare i motivi di appello, evidenzia che il rapporto con il figlio ventenne e' indicato solo in maniera strumentale, non avendo (OMISSIS) mai avviato l'iter amministrativo per il riconoscimento del figlio (che porta il cognome della madre) ne' mai avviato le pratiche di regolarizzazione per ricongiungimento familiare. Si conclude, pertanto, per la conferma della decisione emessa dal Magistrato di Sorveglianza. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - (OMISSIS), deducendo vizio di motivazione sul presupposto della pericolosita' sociale. 2.1 In particolare il ricorrente osserva che il Tribunale non avrebbe valutato alcune allegazioni contenute nell'atto di appello, come l'avvenuto reperimento di uno stabile alloggio, e al contempo avrebbe irrazionalmente sopravvalutato la avvenuta sospensione della fruizione dei permessi premio. Durante la lunga esperienza detentiva, peraltro, il ricorrente avrebbe svolto con impegno attivita' lavorativa, aspetto anche questo trascurato. 3. Il ricorso e' infondato, per le ragioni che seguono. 3.1 La valutazione di attualita' della pericolosita' sociale - presupposto applicativo di ogni misura di sicurezza personale - risulta espressa in modo non illogico, posto che e' ancorata non soltanto alla gravita' del reato commesso ma anche ad altri indicatori. Il ricorrente ne contesta la valenza ma, in tal modo, tende a sollecitare una diversa valutazione di aspetti che, nel loro portato oggettivo, non sono inconferenti al tema trattato dal Tribunale. Al rigetto segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. MONACO Marco M - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/04/2022 del GIUDICE DI PACE di VICENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARCO MARIA MONACO; lette le conclusioni del Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Dr. MANUALI VALENTINA, che ha concluso per l'inammissibilita'; lette le conclusioni della difesa, avv. (OMISSIS), per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO Il GIUDICE di PACE di VICENZA, con sentenza del 26/4/2022, ha condannato alla pena di ammenda di 5.000,00 Euro (OMISSIS) in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 10 bis. 1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi. 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 187 e 192 c.p.p. e articolo 51 c.p.. 2. In data 9 gennaio 2023 sono pervenute in cancelleria le quali conclusioni con le quali il Sost. Procuratore Generale, Valentina Manuali, chiede che l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. 3. In data 16 gennaio sono pervenute in cancelleria le conclusioni della difesa nelle quali l'avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Nell'unico articolato motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli articoli 187 e 192 c.p.p. e articolo 51 c.p. rilevando che il Giudice di Pace avrebbe del tutto omesso di considerare e valutare la circostanza, pure emersa nel corso del dibattimento, che l'imputato aveva avuto regolare permesso di soggiorno, che ha presentato richiesta di ricongiungimento familiare e che il procedimento relativo a tale richiesta e' pendente e, soprattutto, che lo stesso si era trattenuto sul territorio nazionale al fine di accudire il proprio figlio minore. Ragioni queste per le quali l'imputato, correttamente applicata la legge, avrebbe dovuto essere assolto. La doglianza e' manifestamente infondata. 1.1. Dalla sentenza impugnata risulta che il ricorrente e' stato sottoposto a controllo nell'anno 2018 e che a tale data era sprovvisto di permesso di soggiorno in quanto quello a lui rilasciato era scaduto nell'anno 2008 e le successive richieste, una delle quali era pendente, non erano stata accolte. La difesa ha evidenziato che l'imputato dalla scadenza del permesso di soggiorno ha continuato a lavorare e che non si e' allontanato dallo Stato italiano per accudire il figlio, nato nel frattempo nell'anno 2017. Sulla base di tale ultima circostanza, la nascita del figlio e la permanenza in Italia al fine di accudirlo, la difesa ha invocato il riconoscimento della scriminate di cui all'articolo 51 c.p. e la conseguente pronuncia in tal senso. 1.2. La motivazione della sentenza impugnata e' adeguata e la conclusione cui il giudice di primo grado e' pervenuto e' coerente)3- quanto emerso e si conforma alla giurisprudenza di legittimita' sul punto. A fronte di quanto evidenziato, anche tenuto conto dei rilievi della difesa, infatti, risulta che l'imputato si e' trattenuto illegalmente sul territorio dello Stato italiano quanto meno della scadenza del permesso di soggiorno (dall'anno 2008) alla nascita del figlio (l'anno 2017), situazione questa che, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, configura il reato contestato in quanto la sopravvenienza di una causa di giustificazione non esclude l'illiceita' della precedente permanenza (cfr. Sez. 1, n. 35707 del 14/06/2019, Aibangbee, Rv. 276810 - 01). 2. Alla inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere Dott. MELE E.Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma in data 28/09/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Piergiorgio Morosini, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 28/09/2022, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto l'istanza di detenzione domiciliare proposta nell'interesse di (OMISSIS), collaboratore di giustizia, attualmente detenuto in espiazione della pena di 17 anni e 11 mesi di reclusione determinata con provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari in data 18/01/2022, in relazione ai delitti di omicidio tentato e consumato, aggravati dal L. n. 203 del 1991, articolo 7, rapina aggravata ed altro, violazione degli obblighi di assistenza familiare, rapina aggravata, con fine pena al (OMISSIS). 2. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione della L. n. 89 del 1991, articolo 16-nonies, nonche' difetto di motivazione sul punto, nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), che nel caso di specie ricorrerebbero i requisiti previsti da tale disposizione per l'applicazione della misura alternativa richiesta, ivi compreso il ravvedimento del detenuto. (OMISSIS), infatti, dopo aver interrotto ogni legame con il contesto criminale di provenienza, tanto da subire per questo pesantissime conseguenze personali, familiari e detentive, e dopo avere dato prove importanti di collaborazione giudiziale, si sarebbe comportato correttamente in carcere, lavorando proficuamente, beneficiando positivamente di permessi premio e seguendo le regole stabilite dall'Amministrazione penitenziaria. 3. In data 30/01/2023 e' pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale e' stato chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Il Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, articolo 16-nonies, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82, contempla la possibilita' di accesso ai benefici penitenziari per il collaboratore di giustizia che abbia dato prova di ravvedimento. A tal fine, il Tribunale di sorveglianza e' chiamato a effettuare una valutazione complessiva della personalita' del condannato, della condotta serbata, della maturazione di una adeguata revisione critica della propria vita anteatta. 3. Tanto premesso, rileva il Collegio che il provvedimento impugnato non appare adeguatamente motivato, non realizzando la richiesta valutazione globale del percorso detentivo del condannato. Infatti, il Tribunale di sorveglianza ha riconosciuto, alla stregua delle positive informazioni fornite dall'Amministrazione penitenziaria e dalla come Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, la regolare condotta del detenuto, la revisione critica maturata nel corso della carcerazione, durante la quale egli ha partecipato adeguatamente alle attivita' trattamentali che gli sono state proposte, nonche' la buona progettualita' futura, incentrata sul lavoro e sul ricongiungimento con la famiglia, con l'ammissione ai permessi premio, sin dal luglio 2021, fruiti sempre nel rispetto delle prescrizioni. Alla stregua di tali premesse, l'ordinanza non si fa carico di spiegare con la necessaria puntualita' le ragioni per le quali il Collegio ritiene che l'ammissione alla detenzione domiciliare sia prematura, non apparendo appagante, in rapporto alle positive emergenze istruttorie piu' sopra sintetizzate, il riferimento a due pendenze giudiziarie a carico dell'istante per violazione della legislazione sulle armi e, dunque, per reati molto meno gravi rispetto a quelli per cui sono intervenute le pronunce di condanna attualmente in espiazione e relative a fatti, comunque, risalenti nel tempo. Cio' che, conclusivamente, rende necessario investire il Collegio capitolino di una rivalutazione della situazione descritta e di una piu' puntuale motivazione della relativa decisione. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicche' l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACIERNO Maria - Presidente Dott. TRICOMI Laura - Consigliere Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere Dott. DONGIACOMO Giuseppe - Consigliere Dott. AMATORE Roberto - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 15035/2021 r.g. proposto da: (OMISSIS), cittadino (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall'Avvocato (OMISSIS), e dall'Avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro MINISTERO DELL'INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro; - intimato - avverso la sentenza n. 576/2020 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 18/11/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/3/2023 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore; lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS Luisa, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Cagliari ha rigettato l'appello proposto da (OMISSIS), cittadino (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell'Interno, avverso l'ordinanza emessa in data 10 settembre 2018 dal Tribunale di Cagliari, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente. La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest'ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per timori legati alla sostituzione del re del proprio villaggio e al contrasto con gli abitanti di un villaggio vicino. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, sub articolo 14, lettera a e b, perche', anche prescindendo dal profilo della credibilita' del racconto, difettavano nel caso di specie i presupposti per il riconoscimento della richiesta tutela; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, ex articolo 14, lettera c, provenendo il richiedente dall'Edo State, presso la citta' di (OMISSIS), "zona che allo stato dei siti consultati non presenta criticita' specifiche"; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non rilevavano motivi di ricongiungimento familiare, motivi di eta', motivi di salute e perche' la vicenda narrata dal richiedente si inscriveva invece nel diverso fenomeno della migrazione prettamente economica. 2. La sentenza, pubblicata il 20.10.2020, e' stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. L'amministrazione intimata non ha svolto difese. Con ordinanza interlocutoria del 30 agosto 2022, la Prima Sezione - sesta civile ha rimesso la causa alla discussione in pubblica udienza, sul rilievo che il motivo di doglianza implicasse la disamina del profilo della "specificita' del ricorso per cassazione". RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del diritto di difesa e del giusto processo "per non avere specificato a quali COI" avesse "la Corte" fatto "riferimento nella propria valutazione", disattendendo cosi' il dovere di cooperazione istruttoria, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. 1.1 Il motivo, cosi' formulato, e' inammissibile per evidente difetto di specificita' nell'articolazione delle relative doglianze. Dal tenore della censura cosi' prospettata da parte del ricorrente non e' dato neanche comprendere se la questione oggetto di denuncia della mancata indicazione delle fonti informative consultate riguardasse il diniego della richiesta protezione sussidiaria Decreto Legislativo n. 251 del 2007, ex articolo 14, lettera a e b, come tale collegata alla vicenda privata sopra descritta (timori legati alla sostituzione del re del proprio villaggio e al contrasto con gli abitanti di un villaggio vicino), ovvero alla diversa ipotesi disciplinata dal Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14, lettera c, in relazione ad un possibile conflitto armato con diffusione di violenza generalizzata in riferimento allo stato di provenienza del richiedente. In ordine a quest'ultimo profilo, occorre evidenziare che il ricorrente si duole, nel motivo di ricorso in esame, del mancato corretto esercizio dei poteri istruttori officiosi Decreto Legislativo n. 25 del 2008, ex articolo 8, in relazione alle "effettive situazioni di criticita' del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati", situazione che non rientra, con tutta evidenza, nel paradigma applicativo di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14, lettera c, che invece individua nel conflitto armato generalizzato il presupposto applicativo dell'invocata tutela protettiva sussidiaria. Sul punto e' infatti utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14, lettera c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o piu' gruppi armati antagonisti, o nella quale due o piu' gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purche' detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza - tenuto conto dell'impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento - correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (Cass. ord. nn. 5675 e 5676, pubblicate il 2 marzo 2021). La mancata allegazione da parte del ricorrente di una situazione di danno grave, collegato ad un conflitto armato con le caratteristiche individuate dalla giurisprudenza sopra richiamata (e qui ripetuta), neanche consente di esaminare il denunciato profilo del mancato (e corretto) esercizio del potere istruttorio officioso nel senso gia' sopra chiarito (cfr. da ultimo anche Cass. sent. n. 25500 del 30.8.2022). Ne consegue la declaratoria di inammissibilita' del motivo di ricorso. Nessuna statuizione e' dovuta per le spese del giudizio di legittimita', stante la mancata difesa dell'amministrazione intimata. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 07/06/2022 del TRIB. LIBERTA' di ANCONA; udita la relazione svolta dal Consigliere TERESA LIUNI; letta la requisitoria del Procuratore generale, ASSUNTA COCOMELLO, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7/6/2022, il Tribunale cautelare di Ancona, adito ai sensi dell'articolo 310 c.p.p., ha confermato l'ordinanza della Corte di appello in sede del 10/5/2022 che imponeva a (OMISSIS), l'obbligo di dimora nel comune di Fermo, con prescrizioni accessorie di permanenza notturna nell'abitazione e di presentazione alla Polizia Giudiziaria. Ha rilevato l'impugnata ordinanza che permangono le esigenze cautelari connesse alla gravita' dei precedenti penali del (OMISSIS), nonostante la sua giovane eta', confermate dalla duplice violazione del divieto di ingresso nel territorio dello Stato, ivi dedicandosi a commettere reati in materia di stupefacenti; l'imputato e' stato giudicato con sentenza di secondo grado, con motivazione da depositarsi, e quando la pronuncia diventera' irrevocabile, sara' eseguita la misura dell'espulsione, gia' applicata: fino a quel momento, persiste l'esigenza di circoscrivere la liberta' di movimento dell'appellante. Si e' altresi' rilevato che ne' la condizione di coniuge di cittadina italiana - gia' esistente all'atto dell'arresto - ne' quella di adottato da parte di cittadino italiano valgono a scalfire il quadro cautelare cosi' apprezzato, anzi il cognome della moglie e' stato utilizzato dal (OMISSIS), per aggirare i controlli e le segnalazioni di polizia, riferite ai molteplici alias dei quali egli si e' avvalso nel tempo. 2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS), deducendo violazione di legge e difetto assoluto di motivazione con riferimento ai presupposti della misura cautelare e con specifico riguardo all'articolo 292, lettera c), c.p.p.. 2.1. Censura il ricorrente che sia l'ordinanza della Corte di appello che quella qui impugnata sono carenti di motivazione, sia sul punto dell'infondatezza di uno dei capi di imputazione, che quanto ai rilevanti elementi di novita' prodotti ed allegati dalla difesa. Infatti, sarebbe insussistente per carenza dell'elemento soggettivo la dedotta violazione del divieto di reingresso nel territorio dello Stato, in quanto il (OMISSIS), era convinto della legittimita' del suo rientro giustificato dal ricongiungimento familiare con la moglie e l'adottante, come comprova la ricevuta della presentazione della richiesta del permesso di soggiorno; inoltre, e' illegittimo un divieto di reingresso procrastinato oltre il quinto anno dalla sua emissione, se non ricorre il requisito della grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. 2.2. Sotto un profilo sostanziale, il Tribunale cautelare non ha adeguatamente valorizzato l'affievolimento delle esigenze cautelari derivante dalla condotta dell'imputato, pienamente osservante delle gravose prescrizioni, ed ha minimizzato il sopravvenuto mutamento delle condizioni familiari e sociali del (OMISSIS), pur documentate dalla difesa. In definitiva, si contesta che permanga il presupposto dell'attualita' del pericolo cautelare, o almeno che questo sia della medesima consistenza iniziale, invocandosi una misura attenuata, quale quella del divieto di dimora nel comune di Pesaro, luogo in cui il (OMISSIS) si era determinato a delinquere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per manifesta infondatezza. 1.1. Il difensore propugna una rivisitazione del quadro indiziario, ormai intangibile per essere intervenute le pronunce di merito di primo e secondo grado. Invero, nella specie l'appello cautelare si colloca dopo la sentenza di secondo grado, di cui devono soltanto essere depositate le motivazioni, sicche' non vi e' piu' spazio per le questioni riguardanti la piattaforma indiziaria, ormai assorbita dalle sentenze di merito che hanno deciso la condanna. In tali termini e' (âEuroËœesegesi di legittimita': "In tema di provvedimenti de libertate, la decisione cautelare non puo' porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalita' esistente tra il procedimento incidentale e quello principale; pertanto la sopravvenienza di una sentenza di condanna fa venir meno l'interesse dell'indagato alla procedura di riesame - anche in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione - con riferimento al profilo concernente la verifica dell'originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell'adozione della misura cautelare" (Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, Gagliardi, Rv. 272398). Gli elementi di novita', che si assumono indebitamente pretermessi, in primo luogo non sono tali, in quanto il matrimonio era precedente all'arresto e la procedura di adozione era iniziata prima della commissione del reato, come afferma lo stesso ricorrente (pag. 3), ammettendo che (OMISSIS), era rientrato in Italia proprio per acconsentire all'adozione dinanzi al Tribunale di Fermo. In ogni caso, si tratta di vicende che hanno avuto trattazione e spiegazione nelle sentenze di merito, cosi' da non poter essere rimesse in discussione in sede di appello cautelare. 1.2. Quanto alle esigenze cautelari ed al loro affievolimento, l'apprezzamento discrezionale del Tribunale cautelare e' stato congruamente giustificato, con il richiamo di specifiche circostanze di fatto idonee a denotare la perdurante attualita' del pericolo di reiterazione criminosa nonostante il tempo trascorso, facendo riferimento alla personalita' dell'imputato gravato da plurimi precedenti, anche gravi e specifici, nonche' alla tendenza del (OMISSIS), all'utilizzo di alias. Inoltre, gli elementi addotti dalla difesa circa l'affievolimento delle esigenze cautelari sono stati puntualmente analizzati dal Tribunale della Liberta', che ha sottolineato l'irrilevanza del rilascio successivo del permesso di soggiorno e la mancanza di novita' della circostanza del matrimonio con cittadina italiana, gia' risultante al momento dell'arresto. 2. In conclusione, il ricorso risulta inammissibile, da cio' conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della congrua somma indicata in dispositivo alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., non risultando l'assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata il (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/11/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EGLE PILLA; Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore presso la Corte di Cassazione, Dr. DI LEO GIOVANNI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza resa in data 22 marzo 2018 all'esito di rito abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Palermo condannava l'odierna ricorrente unitamente ad altri 14 imputati alle pene di giustizia per i reati a ciascuno rispettivamente ascritti. La vicenda oggetto d'indagine era incentrata sull'attivita' di un'organizzazione criminale costituita per favorire l'immigrazione clandestina verso il Nord Europa di cittadini africani (per lo piu' provenienti da Eritrea ed Etiopia): le condotte favoreggiatrici si sostanziavano, in particolare, nell'aiuto logistico fornito ai migranti all'atto del loro sbarco in Italia e per i successivi trasferimenti, nella gestione dei loro pagamenti anche tramite il metodo cd. "hawala" e nella organizzazione di falsi ricongiungimenti familiari e/o matrimoni al fine di ottenere fraudolenti nulla osta e/o visti di ingresso per l'Italia. Tali condotte delittuose avevano dato luogo alla contestazione, al capo 1), del reato di associazione per delinquere aggravato dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4 (ora articolo 61 bis c.p.), e a numerosi reati-fine di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di falso materiale commesso da privato, di esercizio abusivo di attivita' di intermediazione finanziaria e di traffico di stupefacenti. L'affermazione di responsabilita' degli imputati era fondate sulle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Wehabrebi Nuredin Atta, considerato uno dei capi e promotori del sodalizio criminale investigato, siccome riscontrate dagli esiti di attivita' di intercettazione di conversazioni e dalle risultanze dei servizi di osservazione, nonche' dai documenti acquisiti al processo. Il primo Giudice escludeva per tutti i capi d'imputazione l'aggravante di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4 riconoscendo al solo ATTA le circostanze attenuanti generiche e quella di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3-quinquies. 2. Con sentenza del 14 gennaio 2020, la Corte di Assise di Appello di Palermo, in parziale riforma della prima decisione, impugnata da tutti gli imputati, e con riguardo all'odierna ricorrente concedeva a (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche con prevalenza sulle contestate aggravanti e, per l'effetto: riduceva la pena inflitta a tre anni e due mesi di reclusione e 12.000,00 Euro di multa. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la ricorrente ed altri sette imputati sviluppando una serie di motivi tra i quali (il secondo) la violazione dei canoni ermeneutici fissati dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, e dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-ter, lettera b), quanto all'attendibilita' del collaborante Atta e alla sussistenza di riscontri in relazione alla sussistenza dell'aggravante del fine di profitto. 3.La prima sezione di questa Corte, con sentenza del 21 aprile 2021 annullava la pronunzia impugnata limitatamente alla circostanza aggravante del fine di profitto contestata in relazione al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (del cittadino eritreo (OMISSIS)) di cui al capo 34). Nella sentenza di annullamento si evidenziava come la Corte distrettuale avesse ritenuto che la doppia pratica di ricongiungimento familiare fittizia costituiva elemento di riscontro esterno individualizzante delle dichiarazioni accusatorie del collaborante (OMISSIS) (sulla ricezione di Euro 40.000,00) non solo rispetto al reato di falso (capo 35), ma anche della circostanza della percezione del denaro da parte dell'imputata. Tuttavia, con tale affermazione, la Corte medesima aveva compiuto un'operazione logicamente incongrua, poiche' attribuiva a un dato dimostrativo di una porzione dell'elemento materiale del reato (la falsita' del certificato) attitudine probatoria decisiva "traslata" rispetto a un fatto del tutto diverso (ricezione del denaro). La rilevata incongruenza motivazionale imponeva l'annullamento della impugnata sentenza, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo. 4.A seguito dell'annullamento con rinvio la Corte di assise di appello di Palermo con sentenza del 29 novembre 2021 escludeva la contestata aggravante ritenendo non riscontrata la chiamata di correo e rideterminava la pena in anni due, mesi quattro e giorni 20 di reclusione ed Euro 7334 di multa. 5. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) attraverso il difensore di fiducia articolando il seguente motivo. 5.1. Con l'unico motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in tema di trattamento sanzionatorio avuto riguardo alla sentenza della Corte costituzionale n. 63/2022. Sostiene la difesa che a seguito della sentenza della Corte costituzionale dell'8 febbraio 2022 (dep. in data 10 marzo 2022) e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d) limitatamente alle parole "utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti." Si tratta di una aggravante contestata alla ricorrente e che comporta l'aumento pari a un quintuplo del limite edittale indicato nel comma 1 del medesimo articolo. Per effetto di tale ablazione i fatti di aiuto alla immigrazione clandestina commessi utilizzando documenti contraffatti o alterati ricadranno entro la previsione normativa di cui al comma 1 soggiacendo alla cornice sanzionatoria prevista, salvo che non siano applicabili altre aggravanti previste sempre dall'articolo 12 e fermo restando il concorso con altri reati di falso. Nel caso di specie l'aggravante di cui alla sentenza della Consulta e' quella che ha determinato ai fini del trattamento sanzionatorio l'aumento di un quintuplo del minimo edittale di anni uno e quindi di cinque anni di reclusione. Esiste dunque un interesse della ricorrente ad una nuova valutazione della propria posizione quanto alla dosimetria della pena potendosi ritenere questa una ipotesi di pena illegale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1.L'unico motivo dedotto risulta manifestamente infondato in ragione di due diverse circostanze. 1.1. In primo luogo, va rilevato che quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata, sotto il profilo della sopravvenuta sentenza dichiarativa di illegittimita' costituzionale, il giudicato si era formato con la sentenza della Prima sezione della Corte di Cassazione n. 28593/21 dalla quale e' scaturito il nuovo giudizio in virtu' del principio della formazione progressiva del giudicato (Sez.1, n. 36331 del 30/06/2015, Rv. 264528), non essendo la circostanza aggravante (nella parte relativa alla dichiarazione di incostituzionalita') stata oggetto del giudizio di rinvio. Conseguentemente le eventuali doglianze legate alla sopravvenuta incostituzionalita' di parte della norma sono proponibili dinanzi al giudice dell'esecuzione. 1.2. Il motivo risulta altresi' manifestamente infondato dal momento che il Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12 comma 3, lettera D) prevedeva, nella formulazione anteriore alla pronunzia di incostituzionalita' richiamata, tre distinte circostanze fattuali integranti alternativamente l'aggravante. Precisamente la lettera d) richiamava alternativamente: -il fatto commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro; - utilizzando servizi internazionali di trasporto; - utilizzando documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente detenuti. Solo la seconda e la terza delle tre distinte circostanze fattuali e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima, laddove nel caso di specie e' contestata anche la richiamata aggravante in relazione al fatto commesso in concorso da tre o piu' persone. La sussistenza di siffatta ulteriore circostanza fattuale giustifica l'aumento del quintuplo della pena base senza che la intervenuta dichiarazione di incostituzionalita' abba inciso sul trattamento sanzionatorio nella parte specificamente censurata dalla ricorrente. Appare, dunque, da escludersi la sussistenza di una pena illegale. 2.Alla inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresi', a norma dell'articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' dei ricorsi, nella misura di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. LUINA Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/11/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA FRANCESCA LOY, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'art-. 13, comma 13, Testo Unico imm. per essere rientrato nel territorio dello Stato senza essere autorizzato. Nell'esaminare i motivi di appello, la Corte territoriale, dopo avere premesso che il giudice penale e' tenuto a valutare la legittimita' del decreto di espulsione e del provvedimento di accompagnamento alla frontiera ai fini della loro eventuale disapplicazione poiche' entrambi costituiscono presupposto della condotta delittuosa, osserva che non vi e' prova che l'imputato, al momento dell'emissione dell'espulsione, era effettivamente convivente con la cittadina italiana (OMISSIS) sicche' non puo' trovare applicazione il divieto di cui al D.L.gs n. 286 del 1998, articolo 19. Le dichiarazioni rese dalla diretta interessata sul punto sono state smentite dagli accertamenti anagrafici e non vi e' certezza che la figlia partorita dalla (OMISSIS) sia stato concepita con l'imputato. Il provvedimento di accompagnamento alla frontiera non presenta i denunziati vizi formali perche' erano stati richiamati tutti gli elementi fattuali che giustificavano la sua emissione. Quanto all'applicazione dell'articolo 131 bis c.p., il fatto non puo' essere considerato di particolare tenuita' considerato che (OMISSIS) ha agito con il preciso scopo di contrarre matrimonio e, quindi, di precostituirsi lo status di straniero coniugato con donna italiana, condizione necessaria per evitare l'espulsione. 2. Avverso la sentenza ricorre (OMISSIS) deducendo tre motivi. 2.1. Con il primo denuncia violazione di legge in relazione alla L. 20 marzo 1865 n. 2248, articolo 5 all. E. Lamenta che la Corte di appello non abbia disapplicato il decreto di espulsione pur ricorrendone i presupposti ed abbia, invece, attribuito rilevanza decisiva al difetto di prova del rapporto di coniugio tra l'imputato e la donna in attesa di suo figlio senza considerare che, in disparte delle dichiarazioni rese dalla teste Cortdi, era lo stesso provvedimento amministrativo ad attestare che (OMISSIS), all'epoca in cui e' stata statuita la sua espulsione, fosse gia' convivente con una cittadina italiana in stato di gravidanza di un figlio, che l'imputato, come attestato dalla documentazione in atti, dopo la nascita, aveva provveduto a riconoscere. 2. Con il secondo motivo denuncia omessa valutazione delle argomentazioni difensive esposte nella memoria acquisita all'udienza del 23 novembre 2020. Con tale atto si erano evidenziate le numerose sentenze della Corte di cassazione civile che, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19, comma 2 lettera c), avevano riconosciuto il diritto del cittadino extracomunitario, irregolare ma prossimo ad avere un figlio da cittadina italiana convivente, ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. 2.3. Con il terzo motivo denuncia erronea applicazione dell'articolo 131-bis c.p. Lamenta che la Corte distrettuale non abbia attribuito rilievo ai motivi di particolare valore morale e sociale per i quali aveva agito: assistere alla nascita della figlia ed adempiere ai doveri paterni. La lesione al bene giuridico protetto e' stata minima ove si consideri che (OMISSIS) poco dopo la condotta delittuosa ha acquisito il diritto di soggiorno quale padre di cittadina italiana. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi due motivi che possono essere esaminati congiuntamente per la connessione logica delle questioni poste1sono manifestamente infondati. La difesa ricorrente non considera che, a prescindere dalla sussistenza della causa ostativa all'espulsione - in effetti operante, a seguito della riformulazione del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19 a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legge 21 ottobre 2020, n. 130 anche in favore dello straniero che conviva "more uxorio" al momento in cui deve porsi in esecuzione il provvedimento con un cittadino italiano (cfr. Sez. 1, n. 10296 del 13/01/2022, Kezie Samsonrv, Rv. 282789 - 01 che, nella materia affine dell'espulsione dello quale misura alternativa alla detenzione, ha precisato che il giudice e' tenuto a valutare anche i legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizzate di cui al suddetto articolo 19, comma 2, lettera c) - nell'ipotesi di contestazione del reato di reingresso non autorizzato dello straniero espulso nel territorio dello Stato, "il giudice non puo' disapplicare il decreto di espulsione illegittimo, che non costituisce presupposto del reato, avendo esaurito i suoi effetti con l'esecuzione dell'ordine di allontanamento" (Sez. 1, n. 45969 del 23/09/2022, Florjan Rv. 283752 01). Ove si accedesse alla tesi contraria, d'altra parte, dovrebbe ammettersi la possibilita' di sindacare un provvedimento che non solo l'imputato non ha impugnato, ma cui ha dato spontanea esecuzione allontanandosi dal territorio nazionale, salvo poi ritornarvi senza nemmeno chiedere l'autorizzazione al reingresso per fini matrimoniali. A quest'ultimo proposito, va ricordato che questa Corte ha precisato che la condotta di reingresso non autorizzato nel territorio dello Stato non e' scriminata dall'avere lo straniero, destinatario di un precedente provvedimento di espulsione, contratto matrimonio con una cittadina comunitaria (nella specie, di nazionalita' italiana), domiciliata nel territorio nazionale, poiche', al fine di poter legittimamente attuare il proprio diritto al ricongiungimento con il coniuge, il soggetto espulso deve preventivamente richiedere l'autorizzazione alle Autorita' italiane. (Sez. 1, n. 27918 del 30/09/2020, Balloumi Hasse, Rv. 279640 - 01).2. Risulta, invece fondato, il terzo motivo di ricorso, relativo all'articolo 131-bis c.p. La Corte di appello, nel disattendere i rilievi difensi dedotti nell'atto di appello 15,-a sostegno della particolare tenuita' del fatto, ha fatto ricorso ad una motivazione, manifestamente illogica, sganciata dalle evidenze probatorie e, al contrario, frutto di congetture. Ha, infatti, escluso la relazione affettiva e di convivenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' la paternita' dell'imputato della figlia partorita da quest'ultima ed ha considerato il matrimonio come strumentale ad impedire l'espulsione nonostante le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) sul punto, genericamente tacciate di inattendibilita', risultino riscontrate non solo dal contenuto del decreto di espulsione, in cui si da' piu' volte per pacifico lo stato di gravidanza della compagna dell'imputato, ma anche dal successivo riconoscimento della figlia attestato dall'ufficiale dello stato civile nonche' dalle modalita' dell'arresto in flagranza, operato nella sala adibita alla celebrazione dei matrimoni civili interrompendo la funzione in corso, preceduta da rituali pubblicazioni. Si tratta di elementi fattuali che, come evidenziato dalla difesa del ricorrente, se valutati nella loro componente oggettiva e tenendo conto delle modalita' della condotta, danno conto di un episodio non particolarmente grave, ma, appunto, tale da provocare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma violata "in misura minima, quasi insignificante" (Sez. 5, n. 29831 del 13/3/2015, La Greca, Rv. 265143; Sez. 5, n. 34227 del 7/5/2009, Scalzo, Rv. 244910; Sez. 4, n. 24387 del 28/4/2006 Ciampa, Rev. 234577) alla luce dell'esiguita' dell'offesa, dell'occasionalita' della violazione e del ridotto grado di colpevolezza (cosi', tra le altre, Sez. 1, n. 13412 del 8/3/2011, Prisecari, Rv. 249855). L'imputato ha, infatti, avare agito per ragioni di salvaguardia dell'unita' familiare, quindi con un ridotto grado di colpevolezza, e per di piu', ha acquisito, a seguito del riconoscimento della figlia, la legittimazione ad ottenere il permesso di soggiorno umanitario sicche' il suo soggiorno, per quanto preceduto da un reingresso non autorizzato, si connota per una offensivita' limitata in quanto suscettibile di immediata regolarizzazionel (ndr). 3. Il riconoscimento della causa di non punibilita' della lieve entita' del fatto senza necessita' di ulteriori accertamenti di fatto, impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in applicazione del principio in forza del quale la Corte di cassazione deve dichiarare d'ufficio, ex articolo 129 c.p.p., in l'applicazione dell'articolo 620, comma 1, lettera I), c.p.p., la causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto di cui all'articolo 131-bis c.p., se riconosciuta sussistente perche' immediatamente rilevabile dagli atti (cfr. Sez. U. 25.2.2016, n. 13681, Tushaj, Rv. 266594 secondo cui). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere l'imputato non punibile per particolare tenuita' del fatto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. GALTIERO Donatella - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. CORBO Anton - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/09/2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Raffaele Gargiulo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla misura di sicurezza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, per nuovo giudizio sul punto; lette le conclusioni presentate dal difensore del ricorrente, avvocato Tommaso Bendinelli, che insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 29 settembre 2022, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Firenze ha applicato, a norma dell'articolo 444 ss. cod. proc. pen., ad (OMISSIS) la pena di due anni e otto mesi di reclusione ed Euro 11.555,00 di multa per il reato di cui agli articoli 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, 73, previo giudizio di equivalenza tra la circostanza aggravante di cui all'articolo 80, comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica cit. e le circostanze attenuanti generiche, nonche' ordinato disporsi la misura di sicurezza dell'espulsione dell'imputato dal territorio dello Stato italiano a pena espiata, a norma dell'articolo 86 Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Secondo quanto ricostruito dal giudice di merito, (OMISSIS), in concorso con piu' persone, il (OMISSIS), avrebbe acquistato un quantitativo pari a 100 chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo "marijuana" e, in particolare avrebbe contribuito alla commissione del fatto prendendo i contatti con il corriere, organizzando il trasporto della sostanza nonche' seguendo il corriere fino alla destinazione finale. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall'avvocato Tommaso Bendinelli, articolando un unico motivo. Con l'unico motivo di ricorso, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, avuto riguardo all'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dell'imputato dal territorio dello Stato italiano a pena espiata. Si deduce che illegittimamente nella sentenza impugnata e' stata disposta la misura di sicurezza dell'espulsione dell'imputato dal territorio dello Stato italiano, atteso che la stessa non ha formato oggetto di accordo tra le parti ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., e che il Giudice di prima cura non ha accertato la sussistenza in concreto della pericolosita' sociale del ricorrente a norma degli articoli 133 e 203 c.p., la cui verifica e' obbligatoria a seguito della sentenza n. 58 del 20 febbraio 1995 della Corte costituzionale. Si osserva che il G.i.p. ha omesso di compiere tale valutazione con riferimento al giudizio di pericolosita' sociale del ricorrente, mentre l'ha invece effettuata in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p., avendo evidenziato che il ricorrente: -) e' incensurato e non ha procedimenti penali attualmente pendenti; -) e' coniugato ed e' padre di tre figli; -) presta attivita' lavorativa presso l'azienda agricola di famiglia gestita da suo padre. Si segnala, poi, che, come affermato anche dalle Sezioni Unite, e' ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto di accordo tra le parti (si cita Sez. U., n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348-01). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Va innanzitutto premesso che, nella specie, la misura di sicurezza, della cui legittima imposizione si discute, non ha costituito oggetto dell'accordo stipulato tra le parti ai fini dell'applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. ss. per la definizione del procedimento, ma e' stata disposta di ufficio dal giudice. Di conseguenza, in relazione a questa statuizione, come enunciato dalle Sezioni Unite, puo' essere proposto ricorso per cassazione per tutti i motivi di cui all'articolo 606 c.p.p., e, quindi, anche per denunciare vizio di motivazione (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348-01). 3. Nel ricorso, si contesta vizio di motivazione della sentenza impugnata, in particolare sottolineandosi che il giudizio di pericolosita' sociale nei confronti del ricorrente, legittimante l'applicazione della misura, non ha tenuto conto, in particolare, delle circostanze concernenti l'essere coniugato con una donna di nazionalita' albanese, padre di tre figli, e dipendente nell'azienda di famiglia diretta dal padre. In questo modo, si pone la questione se, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, sia necessario un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare, anche quando gli altri componenti del nucleo familiare non abbiano cittadinanza italiana. 4. In proposito, piu' decisioni della giurisprudenza di legittimita' hanno affermato che, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato per uno dei reati indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, e' necessario che il giudice della cognizione effettui non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita' sociale del condannato, ma anche, in conformita' all'articolo 8 CEDU in relazione alla Cost., articolo 117, l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra l'interesse generale alla sicurezza sociale e quello del singolo alla vita familiare, anche quando i familiari abbiano anch'essi nazionalita' diversa da quella italiana (cfr., specificamente: Sez. 3, n. 30493 del 24/06/2015, Taulla, Rv. 264804-01; Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378-01; Sez. 1, n. 2194 del 12/05/1993, Medrano, Rv. 195661-01). 4.1. In particolare, una decisione osserva: "l'espulsione - pur essendo espressione del potere di sovranita' dello Stato - non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e famigliare perche' la particolare forza di resistenza, rispetto alla normativa ordinaria successiva, della regola di cui all'articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che tende a premunire l'individuo contro ingerenze arbitrarie da parte dei pubblici poteri, comporta che la disposizione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 86, relativa all'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dallo Stato, deve essere interpretata nel senso che l'applicazione pratica di questa ultima non puo' risolversi immotivatamente nella violazione del principio sancito nella norma convenzionale. Pertanto, poiche', quando uno straniero possiede una famiglia in un Paese determinato, l'esecuzione della misura di espulsione costituisce una ingerenza dell'autorita' pubblica nell'esercizio del diritto al rispetto della vita familiare quale garantito al paragrafo 1 dell'articolo 8 della predetta Convenzione, per ritenere giustificata la violazione di tale diritto, la misura di espulsione deve risultare necessaria in una societa' democratica" (cosi' Sez. 3, n. 30493 del 2015, cit.). Altra decisione aggiunge come ulteriori argomenti l'evoluzione della normativa nazionale ed Euro-unitaria in materia di diritto del cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia di ricongiungersi con il familiare extracomunitario precedentemente espulso e quindi iscritto al SIS (Sistema Informativo Schengen), salvo che sia accertato che egli rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, nonche' la sentenza della Corte costituzionale n. 202 del 2013, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 5, per violazione sia della Cost., articoli 2, 3, 29, 30 e 31, sia dell'articolo 8 CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo, integrante il parametro di cui alla Cost., articolo 117, comma 1, nella parte in cui, nello stabilire le condizioni per il rilascio, il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno, prevede che la valutazione discrezionale della pericolosita' sociale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che "ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare" o al "familiare ricongiunto", e non anche allo straniero "che abbia legami familiari nel territorio dello Stato" (cfr., in particolare, Sez. 4, n. 50379 del 2014, cit.). 4.2. Sembra utile aggiungere che il principio secondo cui, una volta accertata la pericolosita' sociale, e' necessario "un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, se ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra l'interesse generale alla sicurezza e l'interesse del singolo alla vita familiare", e' ribadito anche nella giurisprudenza delle Sezioni Unite (cosi' Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, in motivazione, § 15, la quale cita, tra le altre, proprio Sez. 4, n. 50379 del 2014, Xhaferri, relativa alla vicenda di imputato legato a familiare anch'esso di nazionalita' straniera). 5. L'orientamento ermeneutico appena riportato, poi, va inserito in un piu' ampio contesto giurisprudenziale, attento all'esigenza di effettuare, ai fini dell'applicazione della misura dell'espulsione da parte del giudice penale, una valutazione della pericolosita' concreta ed attuale dello straniero in rapporto alla sua complessiva situazione familiare, alla luce della natura e dell'effettivita' dei vincoli familiari, della durata del soggiorno in Italia e dell'esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il paese di origine. In particolare, gia' da tempo si era formato un indirizzo secondo il quale, ai fini dell'applicazione dell'espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza non puo' limitarsi alla verifica della sussistenza di una delle condizioni impeditive di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19, ma deve operare, acquisendo, ove occorra, le necessarie informazioni, un giudizio di contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni familiari, con particolare riguardo alle necessita' di cura di figli minori conviventi, ancorche' di nazionalita' non italiana (cosi' Sez. 1, n. 48950 del 07/11/2019, Merawarage, Rv. 277824-01, e Sez. 1, n. 45973 del 30/10/2019, Ramirez Chavez, Rv. 277454-01). L'indirizzo in questione sembra aver trovato definitiva conferma in conseguenza delle modifiche recate al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19, dal Decreto Legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173. Si e' infatti affermato che, ai fini della applicazione dell'espulsione dello straniero quale misura alternativa alla detenzione, a seguito della riformulazione del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19 ad opera del Decreto Legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, il quale ha introdotto la causa ostativa della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del condannato conseguente al suo allontanamento dal territorio nazionale, il giudice e' tenuto a valutare anche i legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizzate di cui al suddetto articolo 19, comma 2, lettera c), e cioe' di convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalita' italiana (Sez. 1, n. 10296 del 13/01/2022, Kezie Samson, Rv. 282789-01). 6. Il richiamo alla riformulazione del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19, ad opera del Decreto Legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, assume un rilievo primario anche ai fini della questione in esame. La nuova previsione normativa, infatti, fornisce una ulteriore, rilevantissima, conferma alla soluzione della necessita', per il giudice della cognizione, di procedere, prima dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato per uno dei reati indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, all'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra l'interesse generale alla sicurezza sociale e quello del singolo alla vita familiare, indipendentemente dalla nazionalita' italiana degli altri componenti del nucleo, ove radicato in Italia. Precisamente, l'articolo 19, al comma 1.1, terzo e quarto periodo, nel testo vigente in forza di quanto previsto dal Decreto Legge n. 130 del 2020, come convertito in legge, dispone: "Non sono altresi' ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonche' di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla L. 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonche' dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine". Invero, questa disposizione, di carattere generale, detta un principio che rende in ogni caso necessaria una valutazione comparativa dei legami familiari esistenti in Italia, indipendentemente dalla nazionalita' dei componenti del nucleo, prima di disporre l'espulsione di uno straniero dal territorio dello Stato. E la conferma della indifferenza della nazionalita' dei componenti del nucleo familiare della persona da sottoporre ad espulsione ai fini dell'applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19, comma 1.1, nel testo vigente e' offerta anche dalla elaborazione della giurisprudenza civile di legittimita'. Si e' infatti precisato che la seconda parte dell'articolo 19, comma 1.1, del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, come modificato dal Decreto Legge n. 130 del 2020, convertito con L. n. 173 4 del 2020, attribuisce diretto rilievo all'integrazione sociale e familiare del richiedente protezione in Italia, da valutare tenendo conto della natura e dell'effettivita' dei suoi vincoli familiari, del suo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno e dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine (cosi' Sez. 1 civ., n. 36789 del 15/12/2022, Rv. 666259-01, la quale ha cassato la decisione della corte territoriale che, nel rigettare la domanda volta ad ottenere la protezione speciale, si era limitata a prendere in esame il solo titolo di studio prodotto, senza valutare la sussistenza dei legami familiari del ricorrente, con particolare riferimento alla condizione della moglie, anch'essa cittadina straniera, che lo aveva seguito in Italia). 7. Ad avviso del Collegio, quindi, deve ribadirsi il principio in forza del quale, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione, prevista dal d.P.R. n. 309 del 1990, articolo 86, e' sempre necessario un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare, anche quando gli altri componenti del nucleo familiare non abbiano cittadinanza italiana. A fondamento di questa conclusione si pongono principi costituzionali, in particolare quelli di cui alla Cost., articoli 2, 3, 29, 30 e 31, principi sovranazionali, in particolare l'articolo 8 CEDU, e puntuali previsioni di legge ordinaria, in particolare, il Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19, comma 1.1, come modificato dal Decreto Legge n. 130 del 2020, convertito dalla L. n. 173 del 2020. 8. In applicazione del principio appena indicato, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla disposta espulsione. La stessa, in proposito, afferma: "Va applicata la misura di sicurezza dell'espulsione dell'imputato dal territorio dello Stato italiano a pena espiata, a norma âEuroËœdel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, trattandosi di soggetto che - avuto riguardo ai criteri di cui al combinato disposto degli articoli 133 e 203 c.p. e in particolare al quantitativo di droga leggera illecitamente acquistato e alla spregiudicatezza dimostrata nel commettere il delitto - e' in concreto socialmente pericoloso". Risulta evidente, quindi, l'assenza di qualunque valutazione in ordine alla condizione familiare dell'imputato, pur apprezzata ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del richiamo "alle sue condizioni di vita individuale, familiari e sociali, il tutto come emerge dagli atti e come argomentato nella memoria defensionale del 21 settembre 2022". L'annullamento deve essere pronunciato con rinvio, affinche' il giudice di merito, prima di decidere se applicare la misura di sicurezza dell'espulsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, proceda ad un esame comparativo della condizione familiare dell'imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall'articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare, pur se gli altri componenti del nucleo familiare non abbiano cittadinanza italiana, e ne dia conto con espressa e congrua motivazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta espulsione e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. MESSINI D'AGO. P. - Consigliere Dott. SGADARI G - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 10/05/2022 del Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Palmi, con ordinanza del 19 novembre 2020, rigetto' la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere avanzata dal Pubblico ministero in relazione ai reati di evasione e resistenza a pubblico ufficiale. Su appello del Pubblico ministero, il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 20 aprile 2021, aveva applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere. Su ricorso dell'indagato, la Corte di cassazione, con sentenza del 6 dicembre 2021, annullava l'ordinanza del Tribunale di Palmi con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di rinvio della Corte di cassazione, disponeva l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo: 1) violazione di legge in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3 per non avere il Tribunale operato la nuova valutazione della vicenda che gli era stata demandata dalla sentenza di annullamento con rinvio. In particolare, il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato la revoca dei provvedimenti coercitivi disposti nei confronti del ricorrente nel procedimento in corso per maltrattamenti in famiglia e l'avvenuto ricongiungimento del nucleo familiare; elementi caratterizzanti in quanto i reati contestati erano stati commessi a causa della sottoposizione del ricorrente a misura cautelare nell'ambito del procedimento per maltrattamenti in famiglia pendente davanti al Tribunale di Catania. Inoltre, nel presente procedimento era stata emessa sentenza di primo grado di condanna ad un anno di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena; 2) violazione di legge in relazione all'articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, avendo il Tribunale applicato la massima misura cautelare pur in presenza di sentenza di primo grado di condanna a pena condizionalmente sospesa. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato. Risulta dagli atti, conformemente a quanto indicato in ricorso, che il procedimento in esame si e' concluso in primo grado con sentenza di condanna dell'imputato, che ha avuto concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ne consegue che l'ordinanza impugnata, la cui esecuzione e' rimasta sospesa in esito alla impugnazione da parte del ricorrente con il ricorso in esame non potrebbe essere portata ad esecuzione, stante l'impossibilita' di ritenere sussistente alcuna esigenza cautelare all'esito del giudizio di primo grado, ex articolo 275 c.p.p., comma 2-bis. Nella concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in primo grado vi e' il superamento di ogni questione in ordine alla permanenza di esigenze cautelari. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per intervenuta concessione della sospensione condizionale della pena.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/09/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa TOSCANI EVA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ZACCO FRANCA, che ha concluso chiedendo la declaratoria d'inammissibilita' di tutti i motivi, fatta eccezione di quello relativo al riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 1, con rifermento al quale ha prospettato l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 febbraio 2016 la Corte di appello di Ancona ha confermato quella in data 18 aprile 2013 con la quale il Tribunale della stessa citta' aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina, condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa. Secondo le conformi valutazioni dei giudici del merito, l'imputato aveva favorito l'ingresso nel territorio nazionale di una cittadina di nazionalita' turca, priva del permesso di soggiorno, consentendole di viaggiare unitamente al proprio gruppo familiare sul suo veicolo, imbarcatosi in Grecia a bordo di una motonave attraccata in Italia. Quanto alla dosimetria della pena, la Corte d'appello, rilevata la mancata contestazione dell'aggravante del fine di profitto e l'irrilevanza della censura difensiva in punto di elemento soggettivo del reato, respingeva la richiesta di riconoscimento dell'attenuante speciale di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-quinquies (Testo Unico imm.) osservando che la confessione del ricorrente non potesse ritenersi ne' utile, ne' decisiva, dal momento che il quadro probatorio s'era gia' formato, al momento delle sue dichiarazioni, sulla base del risultato dei documenti sequestrati e delle indagini espletate. 2. Ricorre l'imputato, a mezzo del difensore, avvocato (OMISSIS), e deduce tre motivi. 2.1. Con il primo motivo denunzia violazione dell'articolo 12, comma 3, Testo Unico imm. e difetto di motivazione in punto di responsabilita'. La Corte di appello avrebbe dovuto assolvere l'imputato per insussistenza dell'elemento psicologico del reato, evincendosi dalle risultanze di prova che l'unico motivo che ispiro' la sua condotta era quello di consentire il ricongiungimento della giovane trasportata, promessa sposa del figlio, in adempimento di un obbligo morale e religioso contratto con la famiglia della donna. 2.1. Con il secondo motivo denunzia violazione dell'articolo 12, comma 3-quinquies, Testo Unico imm.. Osserva che - come documentato sin dal giudizio di primo grado attraverso l'acquisizione ex articolo 493 c.p.p., comma 3, di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero - la considerazione che il contributo del ricorrente, pur utile per fare chiarezza su taluni aspetti della vicenda e per la conferma degli elementi raccolti, non poteva ritenersi decisivo, era inappagante e carente, in considerazione della "immediata confessione circa la insussistenza del rapporto genitoriale con la ragazza (cio' che ha consentito di accertare la responsabilita' del (OMISSIS) senza la necessita' di procedere a esami genetici), dell'esatta indicazione delle generalita' della persona offesa e la produzione all'Autorita' di ogni elemento utile a comprovare della identita', della ricostruzione complessiva del fatto commesso". Segnala che la norma evocata andava interpretata alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale secondo cui, se non e' sufficiente ravvisare un qualsiasi atteggiamento di resipiscenza dell'imputato, la sua confessione di responsabilita' o la descrizione di circostanze di secondaria importanza, tuttavia neanche e' necessario che egli fornisca da solo il contributo decisivo all'accertamento dei fatti. Sicche' nel caso di specie, il ricorrente, definendosi responsabile e rendendo ultronea ogni indagine aggiuntiva, ha prestato una collaborazione decisiva, nel senso appena indicato. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione dell'articolo 62 c.p., n. 1 e carenza di motivazione. La sentenza impugnata ha del tutto omesso di valutare il motivo della condotta, ovverosia il ricongiungimento della giovane trasportata e il figlio dell'imputato. 2.4. La difesa ha depositato, in data 3 settembre 2022, conclusioni scritte con le quali ha ribadito le argomentazioni a sostegno di ciascun motivo di ricorso, segnalando altresi' l'opportunita' di una rideterminazione ex officio della pena alla luce della declaratoria di incostituzionalita' dell'articolo 12, comma 3, let. d), Testo Unico imm. in riferimento all'aggravante dei utilizzo di servizi di trasporto internazionali, contestata al ricorrente. 3. Il Sostituto Procuratore generale ha prospettato la declaratoria d'inammissibilita' di tutti i motivi, fatta eccezione di quello concernente l'aggravante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1 n. 1, con riferimento al quale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' solo parzialmente fondato e va accolto nei limiti e con le conseguenze indicate in seguito. 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato, siccome articolato in termini affatto generici. La Corte di appello, invero, con motivazione adeguata e coerente, della quale si e' riportato lo sviluppo argomentativo nella narrativa che precede, ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che (OMISSIS) fosse perfettamente consapevole dello status di clandestinita' della giovane e che, cio' nonostante, si fosse adoperato per procurarne l'ingresso in Italia. A fronte di tanto, la difesa si e' limitata a invocarne l'assoluzione, reiterando la doglianza in tema di difetto di prova dell'elemento psicologico, senza confrontarsi con tali ineccepibili argomentazioni. 2. Del pari infondato e' il secondo motivo. Non e' superfluo richiamare la giurisprudenza di legittimita' che - rimarcato come la speciale disposizione in tema d'immigrazione clandestina, di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-quinquies, sia strutturata sui medesimi elementi nodali che costituiscono l'architrave su cui si fonda la legislazione premiale introdotta in altri campi del diritto penale - ha affermato che ai fini del suo riconoscimento "non e' sufficiente ravvisare un qualsiasi atteggiamento di resipiscenza dell'imputato, la sua confessione di responsabilita' o la descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma neanche e' necessario che egli fornisca da solo il contributo decisivo all'accertamento dei fatti, essendo necessario che offra una collaborazione reale e utile alle indagini per la ricostruzione dei fatti e per la punizione degli autori dei delitti, da valutare in funzione delle cognizioni che appartengono al singolo imputato" (Sez. 1, n. 2203 del 14/11/2017 dep. 2018, Balde, Rv. 272058). Ne discende che, in presenza di una effettiva volonta' di collaborazione e di un comportamento in tal senso univoco, l'applicazione dell'attenuante puo' essere esclusa solo quando il contributo alle indagini, intervenuto in presenza di un quadro probatorio che gia' aveva consentito di individuare con certezza i responsabili del reato, non e' risultato determinante ai fini della decisione (Sez. 1, n. 6296 del 01/12/2009, dep. 2010, Lin, Rv. 246104). La Corte territoriale, nel caso che ci occupa, si e' posta nel solco di tali principi ed ha osservato che l'imputato - che nell'immediatezza del controllo aveva affermato che la donna era sua figlia - solo dopo qualche giorno fece pervenire una nota con la quale ammetteva di essersi prestato a trasportare la giovane, promessa sposa del figlio. Sicche' non e' manifestamente illogica l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui tale contributo giungeva quando le investigazioni avevano gia' acquisito la certezza della responsabilita' del ricorrente e che lo stesso non aggiungeva alcun elemento decisivo per la ricostruzione del fatto. 3. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto alla sollecitazione contenuta nelle conclusioni scritte della difesa, inerenti all'aggravante dell'articolo 12, comma 3, lettera d), Testo Unico imm., contestata e ritenuta sussistente, per avere il ricorrente utilizzato servizi internazionali di trasporto. Deve, infatti, aversi riguardo a quanto recentemente stabilito dalla Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 63 dell'8 febbraio 2022, ha dichiarato l'illegittimita' dell'articolo 12, comma 3, lettera d), nella parte in cui prevede un sensibile aggravamento di pena rispetto al reato base nel caso in cui le condotte siano commesse, avvalendosi di servizi internazionali di trasporto e di documenti contraffatti. La Corte costituzionale, ha ritenuto di poter ravvisare la ratio dell'inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto dal comma 3) nella natura plurioffensiva delle condotte che compromettono l'interesse statale pubblico alla regolamentazione dei flussi migratori ed al contempo anche altro bene giuridico, quale la vita e l'incolumita' degli immigrati o l'ordine pubblico. Ha quindi escluso sia ravvisabile ragionevolmente un "surplus di disvalore del fatto commesso mediante l'utilizzazione di servizi internazionali di trasporto rispetto alla generalita' dei fatti riconducibili alla fattispecie base descritta nel comma 1: una tale modalita' di commissione non offende alcun bene giuridico ulteriore rispetto a quello tutelato dal comma 1 (l'ordinata gestione dei flussi migratori), ne' rappresenta una modalita' di condotta particolarmente insidiosa o tale da creare speciali difficolta' di accertamento alla polizia di frontiera". Per quanto la fattispecie aggravata in esame configuri un reato complesso, la previsione di una pena minima di cinque anni e di una massima di quindici anni di reclusione per un fatto ordinariamente punibile con la reclusione da uno a cinque anni, solo in ragione dell'utilizzazione di servizio internazionali di trasporto ovvero di documenti contraffatti, alterati o anche soltanto illecitamente ottenuti "presenta, dunque, tratti di assoluta anomalia "intrasistematica" rispetto alle scelte sanzionatorie tanto del codice penale, quanto della legislazione di settore. Una simile anomalia non puo' che tradursi in una valutazione di manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio previsto per l'ipotesi aggravata all'esame". Sulla base del rilievo della manifesta irragionevolezza della parificazione ai fini sanzionatori delle due condotte dell'utilizzo di servizi internazionali di trasporto e di documenti contraffatti, alterati o illecitamente ottenuti ad altre condotte coerenti con la tipologia criminosa del traffico internazionale di migranti, evidenziato che l'inasprimento della cornice edittale ricollegato a tali ipotesi - pari al quintuplo della pena detentiva minima e al triplo di quella massima previste per la fattispecie base di cui all'articolo 12, comma 1, T.u. imm. e' contrario al principio di proporzionalita' della pena, ricavabile dal combinato disposto dell'articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 3 - ha altresi' chiarito che "il vulnus cosi' accertato puo' essere rimosso mediante la semplice ablazione dall'articolo 12, comma 3, lettera d), T.u. immigrazione del frammento di disposizione che e' oggetto delle censure del rimettente. Per effetto di tale ablazione, i fatti di aiuto all'immigrazione clandestina commessi utilizzando servizi internazionali di trasporto, ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti, ricadranno naturalmente entro la previsione normativa di cui al comma 1, soggiacendo alla cornice sanzionatoria ivi prevista, salvo che non siano applicabili altre aggravanti previste dall'articolo 12. E cio' fermo restando, ovviamente, il possibile concorso con gli eventuali reati di falsita' documentale che dovessero eventualmente ravvisarsi nei singoli casi". 5. Imponendosi, sulla scorta della predetta pronuncia, l'esclusione dell'aggravante in parola, a prescindere dall'ulteriore, restante motivo, tanto e' sufficiente per pervenire - a mente dell'articolo 129 c.p.p. e articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera a) - alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato contestato, commesso il (OMISSIS). Per esso, infatti, il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi, in assenza di sospensioni nel primo e nel secondo grado del giudizio, e' venuto a scadenza il 23 febbraio 2019 e la prescrizione non risulta essere stata oggetto di rinuncia. 6. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio perche', esclusa la circostanza aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), il reato e' estinto per prescrizione. In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno conseguentemente, omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' esclusa la circostanza aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera D), il reato e' estinto per prescrizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/11/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GALATI VINCENZO; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale CENICCOLA ELISABETTA che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti con rinvio alla Corte di assise di appello di Bologna per la rideterminazione della pena con riferimento all'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), alla luce della sentenza C. Cost. n. 63/2022 e dichiarare i ricorsi inammissibili nel resto; lette le conclusioni scritte dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) che ha chiesto, in via preliminare, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), nella parte residua che prevede un aggravamento di pena se il fatto e' commesso da tre o piu' persone in concorso per contrasto con l'articolo 3 Cost., comma 1 e articolo 27 Cost., comma 3 e trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; in via principale, annullare l'impugnata sentenza; in subordine, annullare la sentenza con rinvio alla Corte di assise di appello di Bologna per la rideterminazione della pena in relazione alla circostanza aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998¸ articolo 12, comma 3, lettera d), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2022. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 10 novembre 2021 la Corte di assise di appello di Bologna ha confermato quella del 23 novembre 2020 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna che ha ritenuto (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati loro ascritti, condannandoli, rispettivamente, alla pena di tre anni di reclusione e 33.334 Euro di multa e sei anni e quattro mesi di reclusione. Il procedimento ha avuto ad oggetto i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e terrorismo internazionale. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile di entrambi, (OMISSIS) solo del primo. 2. In fatto le due sentenze hanno reso una ricostruzione concorde. 2.1. La Corte di assise di appello ha integralmente richiamato la sentenza di primo grado evidenziando come il processo abbia tratto origine dall'arresto, in Somalia, di (OMISSIS) ritenuto una sorta di facilitatore dell'organizzazione terroristica Islamic State. Dalle conseguenti indagini e' emerso che in Italia era attivo il terrorista (OMISSIS) ed altri soggetti che inviavano denaro a organizzazioni terroristiche operanti nel Corno d'Africa. Tra queste il gruppo (OMISSIS) operante in Somalia. Parallelamente gli stessi soggetti (fra i quali i ricorrenti) svolgevano anche l'attivita' consistente nel favorire l'ingresso illegale in Italia di immigrati. I giudici di merito hanno ricostruito le modalita' con le quali (OMISSIS) ha favorito l'ingresso nel territorio nazionale della clandestina (OMISSIS), il cui visto per ricongiungimento familiare era risultato contraffatto, e ha fornito documentazione falsa ad (OMISSIS) in vista del suo ingresso in Italia. Ha individuato nella fornitura di documenti non veritieri e nella predisposizione di fittizi ricongiungimenti la prassi con la quale (OMISSIS), d'intesa con altri soggetti, contribuiva a favorire l'immigrazione clandestina. In tal senso gli esiti del sequestro del telefono di un coimputato. Da tale attivita' e' emerso il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda relativa a tale (OMISSIS), illegalmente proveniente dalla Malesia. Il ruolo dell'imputato (OMISSIS), nella vicenda legata all'immigrazione clandestina, e' emerso, invece, da intercettazioni dalle quali sono risultate le attivita' finalizzate a sistemare gli immigrati, a incassare i compensi, oltre all'interessamento a trovare soluzioni abitative per gli stranieri. In relazione al coinvolgimento dello stesso imputato nel finanziamento di gruppi operanti con finalita' di terrorismo contigui ad (OMISSIS), i giudici di merito hanno ricostruito l'ingresso e la regolarizzazione del cittadino straniero in Italia. Nel corso di intercettazioni sono emersi contatti tra l'imputato e i coimputati, a loro volta collegati con un "facilitatore" dell'Isis, (OMISSIS). In particolare, sono stati ricostruiti i contatti con (OMISSIS) riconosciuto, a sua volta, colpevole di partecipazione ad un'associazione con finalita' di terrorismo internazionale operante in Somalia e Italia. E' stata ricostruita l'attivita' di finanziamento, da parte di (OMISSIS), mediante l'invio di denaro in Somalia per l'acquisto di armi; tale invio avveniva mediante societa' internazionali di trasferimento dei soldi. E' stato, altresi', accertato l'invio di 2.777,76 Euro e che la destinazione del denaro era una citta' posta a circa 600 km dal luogo di residenza dell'imputato; la circostanza ha escluso, secondo i giudici di merito, che potesse parlarsi di "aiuti familiari". Nella stessa citta' si concentravano altri finanziamenti provenienti da Europa e Stati Uniti da utilizzare per la lotta armata. Sono state analizzate anche le chat rinvenute sul telefono sequestrato all'imputato e dalle stesse sono stati ricostruiti i rapporti tra lo stesso e gli altri coimputati (separatamente giudicati) e la circostanza che gli stessi vertevano su questioni inerenti, l'acquisto di armi e munizioni o altro materiale con il medesimo scopo. E' stato altresi' accertato che l'oggetto di alcune conversazioni era costituito dalla programmazione di azioni violente ai danni della polizia. In sostanza, e' stato individuato in (OMISSIS) un soggetto inserito in un gruppo di persone avente la finalita' di procurare (anche mediante la promozione di raccolte di fondi) finanziamenti a soggetti vicini al radicalismo islamico avendo, personalmente, provveduto all'invio di oltre 2.700 Euro. E' stata accertata la sua appartenenza ad un gruppo indipendentista contrapposto alla polizia e pronto all'uso delle armi per perseguire i propri scopi. La finalita' terroristica dell'organizzazione finanziata e' stata affermata in ragione del fatto che, nel caso di specie, i gruppi finanziati si collocavano fuori dal contesto bellico e, in ogni caso, anche se rivolte verso i militari, le progettate azioni militari erano tali da determinare conseguenze certe, inevitabili e gravi in danno della vita e dell'incolumita' della popolazione civile. 2.2. In relazione ai motivi di appello proposti da (OMISSIS), la Corte bolognese ha, preliminarmente, dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata con riferimento al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d) nella parte in cui prevede un aumento di pena quando il fatto e' commesso da tre o piu' persone. Ha invece ritenuto irrilevante quella prevista nella stessa norma riferita all'ipotesi di utilizzo dei servizi internazionali di trasporto. In relazione al primo motivo di appello, basato sul fatto che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano profughi entrati lecitamente in Italia, la Corte ha evidenziato la presenza di prove certe circa l'ingresso illegale dei due in Italia. Mai, infatti, costoro hanno chiesto il riconoscimento della condizione di profugo. Sul punto, la Corte si e' soffermata ampiamente escludendo qualsiasi ipotesi di ingresso legale. Con riferimento a (OMISSIS) ha richiamato anche il contenuto di intercettazioni dalle quali e' emerso come la donna fosse consapevole dell'illegalita' del proprio ingresso in Italia. Per l'altro straniero sono state valorizzate la circostanza della falsita' del documento utilizzato per entrare in Italia e l'esistenza di un accordo a titolo oneroso tra l'imputato e lo straniero in ordine al buon esito del suo arrivo. Altre indagini hanno riguardato i documenti utilizzati per l'ingresso e le modalita' con le quali lo straniero e' entrato in Italia. Diffusa la motivazione adottata anche in relazione alla terza persona il cui ingresso sarebbe stato favorito da (OMISSIS). Respinte alcune eccezioni di natura processuale, la Corte di assise di appello ha ritenuto inammissibile il motivo di appello per difetto di specificita' nella parte riferita all'ingresso di tale terza persona. La censura e' stata anche respinta nel merito sulla scorta dell'analisi dettagliata delle intercettazioni dalle quali e' stato ritenuto dimostrato l'ingresso illegale in Italia e la partecipazione alla relativa organizzazione proprio da parte dell'imputato. Con riguardo al motivo di appello riferito all'aggravante della finalita' di trarre profitto, la Corte bolognese ha segnalato come in tutti e tre gli episodi sia emersa la circostanza che sono state pagate somme di denaro per l'ingresso illegale. E' stato escluso che il contrario possa evincersi dalla conversazione n. 9875 citata nell'atto di appello e come gli stranieri abbiano aspettato alcuni giorni in albergo prima di raggiungere le localita' di destinazione proprio nell'attesa del perfezionamento del pagamento. La quantificazione della pena e' stata condivisa in ragione del comportamento reticente di (OMISSIS) e tenuto conto della gravita' del fatto, dell'intensita' del dolo e dei motivi di profitto che hanno caratterizzato l'azione. In relazione al primo motivo di appello proposto da (OMISSIS) riferito al reato di cui all'articolo 270 quinquies c.p., la Corte ha richiamato le prove riguardo ai rapporti tra l'imputato e soggetti gia' condannati per associazione terroristica o dei quali era gia' emerso il coinvolgimento nella raccolta e nell'invio di finanziamenti in Somalia per l'acquisto di armi. Fra i destinatari la milizia (OMISSIS), implicata in azioni di terrorismo internazionale. Sono stati richiamati i copiosi contatti tra (OMISSIS) e tali persone, oltre alla partecipazione in chat internazionali nelle quali si faceva riferimento all'organizzazione delle operazioni di finanziamento e della destinazione dello stesso all'acquisto di armi. L'imputato ha effettuato personalmente il trasferimento del denaro che non poteva certamente essere ritenuto destinato ad aiuti familiari. Su tale aspetto la Corte si e' soffermata ampiamente indicata precisi elementi fattuali che l'hanno determinata ad escludere la possibilita' di ritenere le rimesse di denaro destinate alla famiglia dell'imputato. Cio' ha fatto anche alla luce della interpretazione delle chat e delle conversazioni telefoniche acquisite agli atti. In tal senso e' stato richiamato anche un messaggio dello stesso imputato del 25 ottobre 2018 ove si faceva riferimento al fatto che i finanziamenti erano diretti alle tribu'. In ordine al fatto che il denaro fosse destinato a finanziare operazioni terroristiche, la sentenza di appello ha richiamato la ricostruzione della sentenza di primo grado riguardo alla organizzazione sociale e politica sulla base di tribu' nella regione ove si trova la localita' nella quale veniva spedito il denaro e dove e' attivo da diverso tempo il "Fronte per la liberazione dell'Ogaden", organizzazione combattente antigovernativa (ritenuta terroristica dal governo etiope in quanto gia' protagonista di azioni del genere) composta da clan di varia provenienza. In tale contesto (OMISSIS) aveva esortato i componenti della propria tribu' a compiere azioni violente, compresa l'uccisione di militari. A tale proposito, sono stati riportati diversi messaggi dal contenuto giudicato inequivoco dalla Corte bolognese, anche in relazione alla loro finalizzazione a perseguire un vero e proprio programma politico - militare. Sul loro contenuto la Corte si e' soffermata ampiamente argomentando in merito alla loro interpretazione nel senso di promozione e incitamento ad azioni armate. In ordine al motivo di appello relativo al delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina la Corte di assise di appello ha motivato con riferimento al contenuto delle captazioni agli atti dalle quali ha desunto la configurabilita' del reato, con particolare riferimento alla consapevolezza che si trattasse di favorire l'ingresso di soggetti privi dei requisiti per entrare nel territorio italiano. E' stato, altresi', escluso che costoro versassero in condizioni di bisogno. Infine, in ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte felsinea ha segnalato come la concessione delle attenuanti generiche non sia un diritto dell'imputato e che, nel caso di specie, non sono emersi positivamente valutabili in tal senso. In particolare, e' stato messo in evidenza il finanziamento intenzionale dell'acquisto di armi per finalita' terroristiche, l'avere favorito l'illegale ingresso in Italia di un numero consistente di immigrati, oltre all'intensita' del dolo e alla mancanza di qualsiasi concreta forma di resipiscenza. 3. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore Avv. (OMISSIS), articolando tre motivi. 3.1. Con il primo ha eccepito la nullita' della sentenza ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), relativamente al reato di cui all'articolo 270-quinquies, c.p. per vizio della motivazione. Nessuna motivazione sarebbe stata fornita in punto di qualificazione come "terrorista" del gruppo asseritamente destinatario di finanziamenti da parte dell'imputato. Il giudizio circa quella natura del gruppo poteva essere frutto solo di una valutazione politica e non giurisdizionale. Peraltro, la nozione di "attivita' terroristica" e', per sua natura, fluida e storicamente variabile con conseguente contrasto anche con il principio di tassativita' implicando un giudizio di carattere discrezionale influenzato dalle contingenze storiche e culturali. 3.2. Con il secondo motivo e' stata eccepita la violazione dell'articolo 192 c.p.p. in relazione all'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), per vizio di motivazione in ordine alla prova della colpevolezza del ricorrente in relazione ai due reati di cui all'imputazione. Ha lamentato la mancata valutazione dei motivi di appello da parte della Corte bolognese che si sarebbe semplicemente adeguata alla sentenza di primo grado. Ha indicato la presenza di salti logici per l'omessa considerazione di "elementi di prova sia soggettiva che oggettiva". 3.3. Con il terzo motivo ha lamentato la mancata considerazione del contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 in relazione al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), che comporta la rideterminazione della pena essendo intervenuta sulla fattispecie di reato individuata come piu' grave fra quelle contestate. 4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione anche (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore di fiducia Avv. (OMISSIS), articolando due motivi. 4.1. Con il primo, in via preliminare, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d), per contrasto con i principi di uguaglianza - ragionevolezza e di proporzionalita' della sanzione ex articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 3. La questione riguarda l'aggravante prevista dalla norma citata per il caso in cui il fatto sia commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro, essendo stata l'altra aggravante (prevista dalla medesima disposizione), dell'avere agito utilizzando servizi internazionali di trasporto, gia' oggetto di declaratoria di illegittimita' costituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022. La Corte di assise di appello ha ritenuto la questione manifestamente infondata non violando la previsione censurata alcuna disposizione costituzionale ed essendo stabilito il correlato aumento di pena sul presupposto della "evidente maggiore gravita', pericolosita' e disvalore sociale della condotta posta in essere". In punto di rilevanza della questione nel presente giudizio, il ricorrente ha segnalato come l'aggravante in questione abbia concretamente inciso sulla determinazione del trattamento sanzionatorio nonostante l'avvenuta concessione delle circostanze attenuanti generiche. Da qui l'affermazione secondo cui la declaratoria di illegittimita' costituzionale richiesta potrebbe incidere sulla quantificazione della pena finale. E' stata illustrata, altresi', la non manifesta infondatezza della questione. La previsione di una pena che, nel caso di fatto commesso da tre o piu' persone, determina una pena di cinque volte superiore rispetto al minimo edittale e di tre volte superiore rispetto al massimo e' stata ritenuta irragionevole e sproporzionata. Da un lato, e' stato messo in evidenza come la stessa disposizione preveda un incremento di pena identico per chi ha agito esponendo il soggetto trasportato a rischio per la propria vita o incolumita' fisica o sottoponendolo a trattamenti inumani e degradanti ovvero, ancora, se il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale del territorio dello Stato di cinque o piu' persone o se gli autori hanno la disponibilita' di materie esplodenti. Si tratta di ipotesi in cui l'aumento di pena e' giustificato dalla natura plurioffensiva delle condotte e dalle modalita' particolarmente cruente dell'azione, mentre nel caso in cui la condotta sia posta in essere da tre o piu' persone la condotta non lede ulteriori beni giuridici e costituisce una modalita' tipica di consumazione del reato. A tale proposito, ha richiamato le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 63 del 2022 in punto di aggravante dell'utilizzo di servizi internazionali di trasporto o documenti falsi, alterati o illegalmente ottenuti. Peraltro, anche quando nel codice penale e' stato previsto un aumento di pena nel caso di reati commessi da tre o piu' persone in concorso, mai e' stato previsto un incremento di pena in misura corrispondente a quello di cui alla norma in questione. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso e' stata eccepita la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con particolare riferimento alla sua mancanza, in ordine alla circostanza aggravante dell'avere agito l'imputato a fine di profitto. Dagli atti non sarebbe emersa la prova che l'imputato abbia tratto una qualche utilita' dalla condotta delittuosa. Sul punto i motivi di appello non sarebbero stati adeguatamente esaminati e smentiti dai giudici di appello. In particolare, gli accertamenti finanziari hanno escluso l'esistenza di movimentazione economica, mentre non e' stata presa in considerazione una conversazione del 5 dicembre 2018 (progr. n. 9875) tra l'imputato e uno dei coimputati nel corso della quale il secondo aveva dichiarato espressamente di non avere guadagnato nulla facendo riferimento anche ad importi davvero esigui. Analogo vizio e' stato segnalato con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio rispetto al quale nell'atto di appello era stata sollecitata la rivisitazione in termini maggiormente proporzionati al concreto disvalore del fatto. 5. Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta con la quale ha chiesto l'annullamento della sentenza con rinvio per la rideterminazione della pena con riferimento all'aggravante di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d) e declaratoria di inammissibilita', nel resto, dei ricorsi. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato conclusioni scritte. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' fondato il terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) che, riguardando la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice relativa al reato di immigrazione clandestina, estende i propri effetti anche alla posizione dell'altro coimputato ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30 e articolo 2 c.p.. 2. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 2.1. La questione relativa alla legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), relativamente all'aggravante prevista per il caso in cui il reato e' stato commesso da "tre o piu' persone in concorso tra loro" e' manifestamente infondata. Incidentalmente, ma con argomentazioni qui pienamente condivise, sul punto si e' soffermata la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della stessa norma censurata nella parte in cui prevede l'aggravamento della pena per chi abbia utilizzato servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. In particolare, la Corte ha rilevato come le ipotesi aggravate di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-tee, "si ricollegano chiaramente, nella prospettiva del legislatore, alla dimensione plurioffensiva delle ipotesi ivi contemplate, il cui orizzonte di tutela trascende di gran lunga quello dell'ordinata gestione dei flussi migratori" e che ha ad oggetto anche le stesse persone trasportate che versano in stato di bisogno. In particolare, in tal senso vanno lette le previsioni del comma 3, lettera b) e c) dell'articolo 12 cit. e le aggravanti, ivi previste, dall'essere stata la persona trasportata esposta rispettivamente a un pericolo per la propria vita o incolumita', e a trattamenti inumani o degradanti. Il medesimo riferimento e' stato compiuto all'aggravante di cui al comma 3-bis, lettera a) avente ad oggetto il fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione ovvero allo sfruttamento sessuale o lavorativo. La Corte ha altresi' evidenziato come "una dimensione plurioffensiva, seppure in diversa direzione, e' caratteristica anche di altre ipotesi aggravate previste dall'articolo 12 t.u. immigrazione. Le fattispecie aggravate di cui al comma 3, lettera a) (fatto riguardante l'ingresso o la permanenza illegale di cinque o piu' persone), lettera e) (disponibilita' di armi o materie esplodenti da parte degli autori del fatto), nonche' lettera d) all'inciso iniziale (fatto commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro) appaiono tutte evocare, secondo le verosimili intenzioni del legislatore, scenari di coinvolgimento di organizzazioni criminali attive nel traffico internazionale di migranti: ipotesi rispetto alle quali la decisione quadro 2002/946/GAI richiede, ancora, allo Stato membro di adottare pene privative della liberta' non inferiori, nel massimo, a otto anni (supra, punto 3.7.2.)". Si tratta del passaggio argomentativo che precede la soluzione della questione di legittimita' dell'aggravante prevista per avere usato servizi internazionali di trasporto o documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. Con riferimento alla prima delle aggravanti e' stata esclusa qualsiasi ratio giustificatrice, mentre con riferimento alla seconda e' stata negata l'esistenza di una ratio riferita all'entita' particolarmente elevata dell'aumento di pena. In particolare, e' stata esclusa la possibilita' di individuare la giustificazione dell'incremento della sanzione nei collegamenti con organizzazioni internazionali (che, invece, giustificano il maggior rigore sanzionatorio sulla base delle fonti normative sovranazionali). E' stato segnalato come "il Protocollo di Palermo ha unicamente di mira il fenomeno del traffico internazionale di migranti, gestito per lo piu' da grandi organizzazioni criminali che ricavano ingenti profitti da tale attivita'; mentre il "Facilitators Package" dell'Unione Europea mira si' a colpire entrambi i fenomeni (rispetto all'obiettivo del controllo dei flussi migratori all'interno, in particolare, dell'area Schengen), ma calibra i propri obblighi di incriminazione e di punizione in maniera distinta per le due tipologie di condotte, riservando l'obbligo di adottare severe sanzioni privative della liberta' soltanto a quelle riconducibili al traffico internazionale di migranti". A fondamento della decisione, quindi, e' stata posta l'impossibilita' di collocare le aggravanti per le quali e' stata resa la pronuncia di dichiarazione di incostituzionalita' nel contesto del traffico internazionale di migranti. Deve, quindi, al contrario, affermarsi la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della previsione della circostanza aggravante che, al contrario, trova la propria ragione nel coinvolgimento di organizzazioni criminali, quale, appunto, quella dell'essere stato commesso il fatto da tre o piu' persone. 2.2. Non esistono i lamentati vizi di violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all'aggravante del fine di trarre profitto. La motivazione si rinviene alle pagg. 21 e 22 della sentenza di appello ed e' completa. I giudici di merito hanno fatto riferimento a conversazioni nelle quali si definisce il prezzo pattuito un buon affare senza il quale l'operazione non sarebbe stata portata a buon fine. Inoltre, hanno espressamente preso in considerazione la conversazione n. 9875 del 5 dicembre 2018 citata nell'atto di appello (e nel ricorso per cassazione per lamentarne la mancata considerazione) affermando che dalla stessa non emergono elementi tali da escludere il profitto. E' stata effettuata una ricostruzione fattuale sull'attesa di diversi giorni in camere di albergo da parte di due immigrate che sono state trasferite solo dopo l'arrivo dei soldi. Analogamente, la finalita' di profitto e' stata desunta anche dalla circostanza che la gestione dell'immigrazione clandestina e' stata effettuata "in comune" unitamente ad altri soggetti e, quindi, con la chiara finalita' di ottenere un personale profitto economico. Non sussistono, quindi, i vizi lamentati. In ordine alla quantificazione della pena, si osserva che la stessa e' stata ampiamente illustrata con riferimento ai seguenti profili: contributo non particolarmente significativo quanto alla ricostruzione del fatto; assenza di concreta resipiscenza; gravita' del fatto, intensita' del dolo e motivi a delinquere. Si tratta di elementi certamente rilevanti e tali da rendere infondato il motivo sul trattamento sanzionatorio, stante la mancanza di qualsiasi profilo che renda "evidente" il dedotto vizio di carenza motivazionale. Peraltro, la censura riferita al profilo in esame appare, per certi versi, anche generica e aspecifica laddove la critica si risolve nella denunciata mancata considerazione di "elementi oggettivi e soggettivi ricorrenti nella fattispecie in esame che avrebbero meritato attenzione" senza la specificazione di quali siano tali elementi. 3. I primi due motivi di ricorso proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono inammissibili. 3.1. Il primo motivo contenente la censura di vizio di motivazione riferito alla natura terroristica dell'organizzazione favorita dai finanziamenti dell'imputato e' totalmente decentrato rispetto alle argomentazioni poste a fondamento della decisione. Manifestamente infondato il rilievo per cui la nozione di "terrorismo" dovrebbe essere frutto solo di una valutazione politica e non giurisdizionale. Sul punto la sentenza si e' soffermata ampiamente con argomentazioni prive di fratture logiche e pienamente coerenti. Prestando adesione all'orientamento consolidato secondo cui "per ritenere integrata la finalita' di terrorismo di cui all'articolo 270 sexies c.p., non e' sufficiente la direzione dell'atteggiamento psicologico dell'agente, ma e' necessario che la condotta posta in essere del medesimo sia concretamente idonea a realizzare uno degli scopi indicati nel predetto articolo (intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali ecc. di un Paese o di un'organizzazione internazionale), determinando un evento di pericolo di portata tale da incidere sugli interessi dell'intero Paese" (Sez. 1, n. 28009 del 15/05/2014, Alberto, Rv. 260076), la Corte di assise di appello ha indicato puntualmente gli elementi per cui, nel caso di specie, e' stata ritenuta la finalita' terroristica dell'organizzazione finanziata. Essi derivano dall'accertata disponibilita' dell'organizzazione terroristica favorita di armi e mezzi militari e della loro utilizzazione, nel contesto di una lotta indipendentista, contro le forze di polizia e quelle militari con l'utilizzazione di una forza e una violenza indiscriminatamente rivolte anche nei confronti dei civili. Tanto risulta non solo da quanto gia' accertato dalle autorita' etiopi, ma anche dalle copiose informazioni desunte dalla chat e dai messaggi rinvenuti sui telefoni dell'indagato e dei coimputati (anche separatamente giudicati). Proprio l'individuazione dell'O.N.L.F. (Ogaden National Liberation Front, ossia l'organizzazione finanziata) quale gruppo terroristico operante in assenza di un contesto bellico legittimante azioni violente contro i militari e' stata posta al centro dell'argomentazione sviluppata da pag. 29 a pag. 31 della sentenza a fronte della quale le censure del ricorrente si pongono in termini di estrema genericita'. 3.2. Totalmente aspecifico il secondo motivo di ricorso che censura la motivazione della sentenza di appello per essersi "supinamente adeguata" a quella di primo grado e per avere operato dei "salti illogici" omettendo l'esame di "elementi di prova sia soggettiva che oggettiva". Si tratta di considerazioni di evidente genericita' in quanto non contenenti un confronto specifico con le parti di motivazione censurate, oltre che con la complessiva motivazione della sentenza: manca una indicazione del pregiudizio concreto derivante dal (descritto) conformarsi della Corte di assise di appello alla motivazione del giudice di primo grado, non essendo stato spiegato quali siano stati i rilievi difensivi proposti con l'atto di appello (con il quale la sentenza impugnata, invece, costantemente si confronta) asseritamente omessi. Ancora, non sono stati indicati gli elementi di prova offerti ai giudici di merito che sarebbero stati trascurati e la loro specifica incidenza sulla ricostruzione del fatto operata in sentenza. Tali evidenti carenze ricostruttive rendono il motivo in esame palesemente inammissibile. 4. La sentenza deve essere annullata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 che ha (come ampiamente ricordato al par. 2.1. al quale si rinvia) dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera d), limitatamente alle parole "o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti". L'aggravante dell'utilizzazione dei servizi internazionali di trasporto e' stata ritenuta sussistente dai giudici di merito e la relativa eliminazione determina una incidenza sulla determinazione del trattamento sanzionatorio che, non potendo essere operata in questa sede, deve essere demandata al giudice del rinvio. 5. In accoglimento del terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) e in applicazione della L. n. 87 del 1953 cit., articolo 30, deve essere annullata, nei confronti di entrambi gli imputati, la sentenza limitatamente alla predetta aggravante con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Bologna per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Nel resto, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e rigettato quello di (OMISSIS). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di entrambi i ricorrenti, limitatamente alla circostanza aggravante dell'utilizzazione dei servizi internazionali di trasporto di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera d), con rinvio per nuovo giudizio sulla rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte di assise appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di (OMISSIS). Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sand - rel. Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS) nata a (OMISSIS); (OMISSIS) nata a (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L. in personale del legale rappresentante (OMISSIS); avverso il decreto emesso il 29/10/2021 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria; Esaminati gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere AGOSTINACCHIO Luigi; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale SENATORE VINCENZO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto del 29/10/2021 la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato i ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS), in qualita' di proposto, e dei terzi interessati (OMISSIS), (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.r.l., confermando il decreto emesso dal Tribunale di Reggio Calabria il 22/01/2020 con il quale erano state applicate le misure di prevenzione della sorveglianza speciale e della confisca, avente ad oggetto beni immobili, rapporti finanziari e compendio aziendale come specificatamente indicati. In sintesi, la Corte di appello ha confermato il giudizio di pericolosita' di (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 4, lettera a) e b) del codice antimafia, sulla base degli indizi acquisiti sull'appartenenza di costui alla âEuroËœndrangheta ed alla cosca (OMISSIS), accertando al contempo l'evidente sperequazione del patrimonio immobiliare, riconducibile, oltre che al proposto, ai suoi familiari (il coniuge (OMISSIS), la figlia (OMISSIS)) ed alla societa' (OMISSIS). 2. Avverso il decreto di secondo grado, ricorrono i difensori del proposto e dei terzi interessati. 2.1. Nell'interesse di (OMISSIS) e' stato articolato un unico motivo, con il quale si e' eccepita la violazione di legge (L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3) sotto il profilo dell'inosservanza della norma processuale che impone, a pena di nullita', l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. La misura di prevenzione personale (sorveglianza speciale per la durata di quattro anni, con obbligo di soggiorno) e patrimoniale (confisca di un appartamento sulla statale jonica 106) era stata confermata con mero richiamo alle argomentazioni del tribunale, senza tener conto dei rilievi difensivi. In particolare, la ricostruzione del giudice della prevenzione si era rivelata incompatibile con l'assoluzione dal reato associativo, con pronuncia definitiva, resa nel processo cd. ADA, per cui, nonostante l'autonomia dei procedimenti, era stato violato il principio di derivazione unionale di "non contraddizione" (le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stato valutate diversamente in punto di attendibilita', senza motivazione alcuna; non si erano considerati gli elementi cardine della sentenza assolutoria; si era fatto riferimento ad un processo, cd. Provvidenza, per sostenere la partecipazione alla cosca (OMISSIS), pur in assenza di imputazioni in tal senso). Inoltre, il richiamo, contenuto nel decreto impugnato, al "procedimento bolognese in cui il (OMISSIS) risulta gravemente indiziato di plurimi delitti aggravati dall'attuale articolo 416 bis 1 c.p. e per plurimi delitti di intestazione fittizia, fatti per cui sussiste il giudicato cautelare", si basava su dichiarazioni di collaboratori inattendibili; le elargizioni di denaro ai detenuti erano state determinate da puro spirito di liberalita', a seguito della solidarieta' instauratasi con alcuni di loro durante il periodo di carcerazione; il riciclaggio di danaro costituiva una mera supposizione, in mancanza di contestazione da parte dell'autorita' inquirente; i documenti depositati dalla difesa in appello - non presi in considerazione - attestavano il trasferimento in Svizzera, in pianta stabile, dal 2016, e lo svolgimento di attivita' lavorativa, con conseguente incongruenza del giudizio di pericolosita' nell'ambito del territorio italiano; la confisca dell'appartamento non teneva conto che la proprieta' dell'immobile derivava da donazione del coniuge, all'esito di divorzio consensuale, che lo aveva a sua volta acquistato con redditi derivanti da attivita' imprenditoriale, come da documentazioni in atti; infine, la valutazione di sperequazione si basava su dati erronei della Guardia di Finanza, come rilevato dalla stessa Corte di appello che aveva confusamente ritenuto le incongruenze irrilevanti, senza soffermarsi sulle effettive ricadute nella valutazione finale. 2.2 Anche nell'interesse di (OMISSIS) e' stato articolato un unico motivo di ricorso, eccependosi la violazione di legge (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, articolo 25) per l'inosservanza dell'obbligo di motivazione. Si afferma che i beni confiscati, a seguito di sequestro per equivalente, erano stati ritenuti nella disponibilita' del proposto, in quanto acquistati con mezzi finanziari a lui riconducibili, senza considerare tuttavia che: il fabbricato di Montebello era un bene personale, acquistato prima del matrimonio; che i terreni erano stati acquistati nel 1992 e 1993 dal padre della (OMISSIS) ed il completamento dell'edificio risaliva al 1995; che i genitori avevano contributi a fornire anche la provvista per i lavori edili; che il giudizio di pericolosita' sociale del (OMISSIS) era stato circoscritto al periodo 2002 - 2019, mentre l'acquisto del bene risaliva al 1992; che gia' prima del 2002 era cessata la convivenza di costui con la moglie e la figlia, a seguito del trasferimento in Svizzera; che i dati riportati nella nota della Guardia di Finanza di Reggio Calabria del 07/03/2018 erano erronei nella individuazione dell'anno di matrimonio e dei conseguenti conteggi dei redditi del nucleo familiare; che i coniugi si erano separati nel 2009 e che non vi era stato ricongiungimento nel 2010; che le entrate dei genitori della (OMISSIS) e della stessa terza interessata erano sufficienti a giustificare l'acquisto del fabbricato, come da documentazione allegata all'appello. Su tali aspetti, ad avviso della difesa, la motivazione del giudice di appello della prevenzione doveva ritenersi priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita' rispetto ai parametri normativi, cosi' come elaborati dalla giurisprudenza di legittimita', anche nella sentenza a sezioni unite Spinelli, nel 2015. 2.3. (OMISSIS) - figlia del proposto, nata nel (OMISSIS) e non nel (OMISSIS), come erroneamente indicato nel decreto della Corte di appello - con l'unico motivo di ricorso, ha del pari eccepito la violazione di legge per carenza di motivazione rispetto al provvedimento di confisca del compendio aziendale denominato "(OMISSIS)", ubicato in Bologna; del diritto di proprieta' superficiaria di un immobile in Bologna presso il Centro Commerciale "(OMISSIS)"; di un immobile in localita' Predosa Zola (BO). Ha richiamato a riguardo il contenuto del ricorso in appello e dei documenti allegati per provare la legittimita' degli acquisti del patrimonio confiscato nonche' i principi giurisprudenziali in tema di prova del carattere fittizio delle intestazioni, funzionale alla conservazione dei beni in capo al proposto, sostenendo che nel caso di specie gli acquisti erano stati effettuati con somme ricevute in prestito, come ampiamente dimostrato. La difesa, inoltre, ha ritenuto insussistente il reato ex articolo 512 c.p., contestato nel "processo bolognese", in relazione alla tabaccheria ed al diritto di superficie, alla stregua delle emergenze istruttorie acquisite in quella sede; infine, ha eccepito la carenza di motivazione in ordine alle ragioni per cui l'appartamento di Predosa Zola fosse da ricondursi al proposto, separato dal 2009 dalla (OMISSIS) e dal 2002 non convivente con il nucleo familiare. 2.4 Per la (OMISSIS) s.r.l. il ricorso si fonda, ugualmente, sull'eccepito vizio di motivazione relativamente alla confisca dell'intero compendio aziendale della (OMISSIS) s.r.l. unipersonale, di sua proprieta'. L'acritico rinvio al provvedimento di primo grado non aveva colmato le lacune istruttorie evidenziate nell'atto di appello; gli indici indicati dal Tribunale erano stati tutti contestati, con motivi rimasti senza riscontro; la buona fede della societa' era stata ampiamente dimostrata. In definitiva, la motivazione doveva considerarsi apodittica, senza effettivo esame delle puntuali doglianze dell'appellante. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili perche' basati su motivi non consentiti in sede di legittimita'. 2. Deve ribadirsi, infatti, che in tema di misure di prevenzione, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della corte d'appello che, in sede di impugnazione, decide sulle misure di prevenzione, e' ammissibile solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili i limiti di deducibilita' di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3 e articolo 27 (cfr. Sez. 5, n. 34856 del 06/11/2020, Biessemme srl, Rv. 279982 - 01). 2.1. Con riguardo alla formulazione di tutti i motivi di ricorso, va altresi' considerato quanto di recente affermato dalle Seziono Unite, secondo cui non e' consentito il motivo che deduca la violazione di legge, per censurare l'omessa od erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti od acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita'; d'altro canto, la riconduzione dei vizi di motivazione alla categoria di cui alla lettera c) stravolgerebbe l'assetto normativo delle modalita' di deduzione dei predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti "dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" (lettera e)), laddove, ove fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimita' sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti (in termini, in motivazione, Sez. u. n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, par. 16.1). L'applicazione di tali principi ai motivi di ricorso implica, quindi, che sono inammissibili non solo le censure attinenti strettamente alla motivazione ma anche le denunciate violazioni di norme processuali, richiamate per ricondurre i vizi di motivazione alla violazione di legge. 2.2. Per altro verso va precisato che nella nozione di violazione di legge va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mule', Rv. 279284 - 01, in materia di prevenzione); va altresi' ricompreso il travisamento, qualora abbia investito plurime circostanze decisive, totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435 - 01). 3. Cosi' delineato l'ambito di valutazione del giudizio di legittimita' in materia di prevenzione, la motivazione del decreto impugnato non puo' dirsi all'evidenza apparente o inesistente - d'altra parte, gli stessi ricorrenti ne censurano gli snodi argomentativi, ritenendoli non corrispondenti ad una diversa (e, a loro avviso, piu' corretta) valutazione delle acquisizioni in atti. 4. Con argomentazioni immuni dalle anomalie indicate in precedenza e coerenti con la disciplina dell'istituto in argomento, la Corte di appello ha indicato le ragioni a base del giudizio di pericolosita' del proposto. 4.1 E' opportuno per chiarezza espositiva accennare al quadro normativo di riferimento. Ai sensi dell'articolo 4 del codice antimafia le misure di prevenzione personali si applicano da parte dell'autorita' giudiziaria: a) agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis c.p.; b) ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51 c.p.p., comma 3 - bis, ovvero del delitto di cui al Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all'articolo 418 c.p.; c) ai soggetti di cui all'articolo i ossia a coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose. Per quanto riguarda le misure di prevenzione patrimoniale, l'articolo 16 cod. antimafia rinvia, in particolare (lettera a), ai soggetti di cui all'articolo 4. In tema di misure di prevenzione, l'attribuzione al proposto della condizione di "pericolosita'" richiede altresi' il preliminare e attuale inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate negli articolo 1 e 4 del cod. antimafia, che descrivono sia la pericolosita' generica, che quella specifica o qualificata (connessa alla criminalita' organizzata di stampo mafioso). 4.2 I giudici della prevenzione hanno ritenuto (OMISSIS) socialmente pericoloso ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4 lettera a) e b). La ben nota autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale ha inoltre consentito l'utilizzo degli indizi di appartenenza all'associazione mafiosa anche a fronte di un esito assolutorio, essendo diversi i registri probatori della responsabilita' penale (fondata sul canone della certezza oltre ogni dubbio ragionevole) rispetto alla misura di prevenzione, per la quale e' sufficiente l'espressione di un giudizio di pericolosita' fondato su fatti meramente sintomatici dell'appartenenza (vicinanza, contiguita', etc.) e non della piena partecipazione al sodalizio criminale (l'unica penalmente rilevante). 5. La motivazione si confronta con gli elementi decisivi del procedimento e risulta tutt'altro che apparente o inesistente, ancorata alle emergenze istruttorie. Sono state infatti indicate le manifestazioni indicative dell'appartenenza del ricorrente alla âEuroËœndrangheta (l'estrinsecazione della pericolosita' sociale per quasi un ventennio, in un rapporto di contiguita' funzionale con le cosche (OMISSIS) e (OMISSIS)), prendendo in esame le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), pure considerate in sede penale ma con diversa rilevanza nel giudizio di prevenzione, a seguito dei nuovi apporti probatori; dichiarazioni ritenute attendibili e riscontrate da quelle di altro collaboratore, il (OMISSIS), anch'egli reputato credibile. Si sono valorizzati, in particolare, i gravi indizi di colpevolezza indicati nell'ordinanza cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Bologna per plurimi delitti aggravati ex articolo 416-bis.1 c.p. e per vari reati di intestazione fittizia; la formazione del giudicato cautelare ha consolidato il quadro indiziario si' che le perplessita' difensive, espresse nel ricorso (pagine 6 e 7), non incidono sulla tenuta della motivazione. Si e', ancora, evidenziato il supporto economico ad esponenti delle cosche in stato di detenzione e, soprattutto, il contributo fornito mediante l'attivita' di riciclaggio di denaro, come emerso dagli accertamenti di natura patrimoniale, confutati dalla difesa in termini generici e comunque estranei alla denunciata violazione di legge. Le censure del ricorrente risultano incentrate essenzialmente sulla pronuncia assolutoria, svalutando per il resto - senza effettiva confutazione dei pilastri della motivazione - gli ulteriori elementi valutati dalla Corte di appello, che ha ritenuto irrilevante anche il trasferimento del proposto in Svizzera, a fronte della individuazione del periodo di manifestazione di pericolosita' sociale, fino ad epoca recente. 6. Per quanto riguarda le misure patrimoniali, le censure del proposto e dei terzi interessati riguardano l'asserita mancanza di motivazione rispetto ai motivi di appello ovvero l'apparente riscontro degli stessi; confutano in realta' la ricostruzione delle capacita' reddituali, i criteri di accertamento della sperequazione, il carattere fittizio delle intestazioni e, il (OMISSIS), la collocazione temporale della pericolosita' rispetto agli acquisti, per profili riconducibili alle non consentite eccezioni ex articolo 606 c.p.c., comma 1, lettera e). 6.1 La valutazione di inammissibilita' del ricorso della (OMISSIS) s.r.l. e' collegata in primis alla genericita' del vizio dedotto, posto che si assume che "la Corte di Appello di Reggio Calabria ha sostanzialmente omesso di motivare la propria decisione di rigetto dell'impugnazione", affermando, al contempo, che "la difesa non intende dilungarsi in un opportuno, in sede di legittimita', riepilogo dei motivi di appello alla cui integrale lettura si rinvia ai soli fini che qui interessano" (pag. 3 del ricorso). In tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera invece il ricorrente della necessita' di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisivita' del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita', dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (ex multis sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, Filippi, Rv. 275853-02). 6.2 Per il resto, sulle misure patrimoniali, i giudici della prevenzione accertata la pericolosita' sociale cd. qualificata del proposto - hanno ancorato la sperequazione ai dati reddituali di costui e del nucleo familiare, cosi' come accertati in atti a seguito di specifiche indagini patrimoniali, esaminati in termini critici a seguito dei rilievi della difesa. La diversa ricostruzione dei ricorrenti e', ancora una volta, irrilevante in questa sede per la linearita' della motivazione sul punto (pag. 74 per quanto attiene all'immobile confiscato al proposto); anche con riferimento alla figlia di quest'ultimo, (OMISSIS), si e' argomentato in ordine alla intestazione formale della ditta individuale, del diritto di proprieta' superficiaria e dei rapporti finanziari, sulla base di dati ricavati dal procedimento penale instaurato a Bologna e dalla rilevante sproporzione reddituale del nucleo familiare all'epoca dell'acquisto, nel 2009, con precisa confutazione delle tesi difensive (pagine da 75 a 77 della sentenza impugnata). Quanto alle doglianze della ricorrente (OMISSIS) in relazione alla confisca del fabbricato in Montebello Ionico e dei terreni in Zona Predosa, sono state reiterate in sede di legittimita' rilievi circa la legittimita' dell'acquisto, in termini peraltro generici, con riferimento al sostegno economico del padre, a redditi da lavoro, a prestiti. I giudici della prevenzione hanno sul punto argomentato circa il sequestro per equivalente su tali beni e sulla disponibilita' degli stessi da parte del proposto per interposta persona, in quanto acquistati con mezzi finanziari a lui riconducibili, analizzando i dati reddituali della (OMISSIS), l'epoca degli acquisti e l'ambito di incidenza della pericolosita' sociale (pagine da 77 a 80 dell'ordinanza impugnata). 7. Alla dichiarazione d'inammissibilita' dei ricorsi segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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