Sentenze recenti risarcimento danno biologico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/03/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN IFATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria del 8.3.2022 che, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei confronti di (OMISSIS), in relazione ai reati di tentata sostituzione di persona (cosi' riqualificata l'imputazione originaria, che contestava l'ipotesi di reato consumata) e di atti persecutori commessi ai danni (OMISSIS), nonche' al reato di diffamazione commesso in concorso con (OMISSIS), venendo, invece, confermata la sua condanna agli effetti civili (quantificati in Euro 154.116,71). La vittima era stata posta al centro di una campagna persecutoria dall'imputato, suo collega di lavoro e, per un periodo di tempo, coinquilino, condotta con l'invio di email a contenuto diffamatorio a colleghi degli uffici regionali presso i quali lavorava, provenienti da un account artatamente creato dal ricorrente come riconducibile alla persona offesa: il profilo "fake" intestato a " (OMISSIS)". 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso soltanto (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di censura diversi, con i quali si duole della decisione sia agli effetti penali, puntando ad una sentenza di assoluzione nel merito, sia agli effetti civili. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce vizio di incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Calabria per violazione degli articoli 8-9 e 16 c.p.p., in relazione al ritenuto, piu' grave reato previsto dall'articolo 612-bis c.p., che attrae la competenza anche delle altre due contestazioni minori (sostituzione di persona e diffamazione). La Corte di merito ha applicato il principio di Sez. 5, n. 16977 del 2020, secondo cui la competenza per territorio si determina, nel delitto di atti persecutori, in ragione del luogo in cui il disagio della persona offesa degenera in prostrazione psicologica. Tuttavia, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza richiamata fa riferimento al criterio del "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", solo successivamente enunciando il criterio, concorrente, indicato dalla sentenza impugnata; cio' elimina anche in radice il rischio di casualita' della scelta del giudice competente, altrimenti legato al luogo in cui la vittima accidentalmente si trovi quando quel comportamento assume i caratteri suddetti. Sarebbe stato, pertanto, competente il Tribunale di Catanzaro, luogo in cui si determinava la conclusione della sequenza di atti idonei a completare la consumazione del reato abituale di evento previsto dall'articolo 612-bis c.p., poiche' in tale citta' hanno sede gli uffici regionali presso i quali i due colleghi della ricorrente che hanno ricevuto le missive persecutorie/diffamatorie, secondo l'accusa, hanno aperto e letto le missive. Catanzaro, peraltro, e' anche il centro di riferimento delle difficolta' e dei disagi manifestati dalla persona offesa in conseguenza del delitto di stalking subito. Viceversa, a Reggio Calabria si sono soltanto consumate le conseguenze ultime del reato, con le visite mediche alle quali si e' sottoposta la vittima, una volta trasferitasi in quella citta', proprio in ragione delle condotte ascritte all'imputato. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 494 c.p., nonche' violazione dell'articolo 49 c.p., comma 2, unitamente al vizio di manifesta illogicita' della motivazione quanto alla valutazione delle prove per giungere all'affermazione di responsabilita' del ricorrente. La difesa eccepisce che il profilo "fake" era talmente grossolanamente creato (tra l'altro, con due immagini di profilo di persone diverse e due nomi differenti) da far difetto la necessaria offensivita' della condotta, ancorche' qualificata come tentativo di sostituzione di persona dal primo giudice, piuttosto che come reato consumato, tanto piu' che il delitto di cui all'articolo 494 c.p. non e' costruito come reato di pericolo, ma comporta l'inganno o il tentativo di inganno quale elemento della fattispecie legale. Fuori fuoco sarebbe, quindi, la valutazione dei giudici di merito riferita alla potenzialita' ingannatoria del profilo rispetto a chi non conoscesse bene la vittima del reato. In ogni caso, si denuncia "travisamento del fatto e della prova", in un processo di particolare complessita', poiche' di tipo "indiziario", nonche' mancato esame di una prova decisiva, quanto all'individuazione dell'imputato come autore delle condotte denunciate dalla persona offesa: non sarebbero sufficienti le testimonianze del teste Forgione, le cui dichiarazioni sono state sottoposte a dura critica nel ricorso, e gli altri dati di prova; dalla consulenza di parte dell'ing. (OMISSIS) e dalle indagini risultava che vi fossero stati tentativi di accesso anomalo al profilo da cui sono partite le frasi diffamatorie e persecutorie, sicche' sarebbe stato indispensabile disporre una perizia ex articolo 507 c.p.p. per accertare quali fossero le utenze telefoniche agganciate agli ID di provenienza degli accessi sul profilo fake, oggetto di contestazione. 2.3. Il terzo motivo di ricorso si incentra sulla contestazione delle prove di colpevolezza del ricorrente rispetto al reato di diffamazione, anche queste ritenute insicure, incerte nella attribuibilita' delle condotte di inoltro delle e-mail contenenti giudizi e valutazioni offensive nei confronti della vittima del reato. Si evidenzia l'insufficienza dei dati di prova messi insieme dalle due sentenze di merito, elencandoli e minuziosamente contestandoli, sottolineando, in particolare, come in nessuno dei supporti informatici sequestrati all'imputato siano state trovate le mail incriminate o le pagine word allegate a queste o le foto della vittima inviate a terzi. Si bollano, invece, come mere congetture le affermazioni del giudice di primo grado sulla possibilita' che l'imputato possa aver cancellato le tracce informatiche dei reati, tanto piu' che il consulente della difesa ha provato come non vi siano indizi dell'uso del programma "eraser" da parte del ricorrente, diversamente da quanto asserto dal consulente del pubblico ministero, ing. (OMISSIS). Vi sarebbe prova, peraltro, di una manipolazione della mail diffamatoria da parte di qualcuno prima dell'inoltro all'indirizzo mail di lavoro dei colleghi iella vittima e, infine, il pc del ricorrente poteva essere utilizzato anche da suo fratello, il che escluderebbe l'univoca riferibilita' delle condotte di reato tutte. 2.4. Il quarto motivo di censura denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna dell'imputato, agli effetti civili, per il delitto di atti persecutori, contestando la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: manca qualsiasi tipicita' fenomenica del delitto (pedinamenti, appostamenti, minacce, messaggi e telefonate reiterate). Semplicemente si sono sommate le poche condotte delle due contestazioni di tentata sostituzione di persona e di diffamazione e si e' ritenuto sussistente il delitto. Per questo, mancherebbe anche la prova del dolo del reato di stalking. 2.5. Il quinto argomento di censura denuncia violazione di legge quanto agli effetti civili: la consulenza della parte civile con cui si contestualizza il danno e la patologia psicologica da cui esso e' derivato, conseguenza della condotta delittuosa, non e' condivisibile nelle sue considerazioni tutte, ivi compresi i parametri utilizzati, che la difesa ritiene "oscuri" per giungere a quantificare la soglia del 35% di danno biologico (pari a 82.000 Euro, oltre ad un danno personalizzato di 54.000 Euro). Si ritiene, pertanto, che il giudice di merito avrebbe dovuto disporre perizia d'ufficio ovvero ridurre il danno. Inoltre, si chiede che la documentazione medica allegata alle conclusioni scritte della parte civile - disturbo post-traumatico da stress - in sede di discussione venga dichiarata inutilizzabile poiche' avrebbe dovuto essere acquisita, correttamente, come prova documentale ex articolo 234 c.p.p.. Si contesta, infine, anche la valenza delle dichiarazioni della persona offesa quanto al danno psicologico grave subito dai reati, mancando elementi di riscontro alle sue asserzioni sul disagio, sul mutamento delle abitudini di vita. Secondo la difesa, le condotte attribuite all'imputato giammai avrebbero potuto determinare siffatte, gravi conseguenze traumatiche, ma tale valutazione di idoneita', doverosa, e' stata omessa dai giudici di merito. 2.6. I motivi sesto e settimo sono dedicati a rappresentare meglio le denunce di inutilizzabilita' della documentazione prodotta dalla parte civile ed acquisita nel processo alle udienze del 26.6.2020 e 3.7.2020, in quanto non attinente al thema decidendum e depositata allo scopo di suggestionare negativamente i giudici sulla moralita' perversa del ricorrente, incline ai reati del tipo di quelli commessi (motivo 6); nonche' a denunciare l'omessa ammissione delle prove difensive a discarico, relative a tale produzione documentale (motivo 7). 2.7. Infine, l'ottavo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta con l'atto di appello, avuto riguardo alla richiesta di perizia del pc del testimone (OMISSIS); la Corte d'appello ha rigettato la richiesta con una motivazione apparente di non necessita'. Si lamenta, altresi', la mancata adesione alla richiesta di verificare nuovamente in contraddittorio dibattimentale le conseguenze dannose lamentate dalla vittima del reato, attraverso testimonianze e/o perizia sulla persona offesa; nonche' la riferibilita' al ricorrente delle condotte delittuose (attraverso perizia sul pc del coimputato (OMISSIS), che aveva inoltrato la mail diffamatoria ricevuta dall'imputato, secondo la ricostruzione accusatoria; acquisizione dei tabulati del ricorrente, della vittima del reato e dello stesso (OMISSIS)). 3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scritta, che sia dichiarata l'inammissibilita' del ricorso, il che, quindi, precluderebbe la rilevanza della questione di applicabilita' della nuova disciplina prevista dall'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis. 3.1 Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con conclusioni scritte in data 1.3.2023, con le quali, ribadendo le ragioni di ricorso, chiede l'annullamento della sentenza impugnata. 3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie, conclusioni e nota spese. Nella memoria difensiva, si sottolinea che il ricorrente non ha rinunciato alla prescrizione, sicche' avrebbe dovuto limitarsi, quanto alla sua affermazione di responsabilita' ai fini civilistici, soltanto a rappresentare la sussistenza delle condizioni ex articolo 129 c.p.p.. Invece, il ricorso ed i motivi aggiunti sarebbero inammissibili poiche' con essi si deduce travisamento dei fatti e, in realta', si punta ad ottenere una nuova, diversa e piu' favorevole visione delle prove. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato. 2. I motivi che il ricorrente propone per denunciare l'erroneita' dell'affermazione di responsabilita' agli effetti penali, evocando, sostanzialmente, una soluzione (di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata) che determini la sua assoluzione nel merito (sicche' non viene in esame la nuova disciplina dell'articolo 573 c.p.p., comma 1-bis, sono reiterativi di argomenti gia' proposti al giudice d'appello, cosi' come e' ripetitiva ed aspecifica anche la questione di competenza territoriale, gia' adeguatamente superata dalla sentenza impugnata. 2.1. A dispetto della lunghezza argomentativa del ricorso, che per la gran parte e' ripetitivo dei contenuti dell'atto d'appello, ovvero e' incentrato su richiami giurisprudenziali di ordine generale relativi ai temi controversi, non vi e' confronto effettivo con le ragioni della decisione di secondo grado, che ha evidenziato correttamente, anzitutto, quanto alla questione di competenza territoriale (primo motivo di ricorso, peraltro privo di specifico interesse, considerata la pronuncia di prescrizione dei reati gia' intervenuta), come la stabile giurisprudenza di questa Corte regolatrice individui il criterio per la determinazione della competenza per territorio nel delitto di atti persecutori in relazione al luogo in cui il disagio acculato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p. (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 16977 del 12/2/2020, S., Rv. 279178). Non trova riscontro, invece, la tesi del ricorrente che sostiene l'esistenza di un prioritario criterio di determinazione del locus del commesso delitto di stalking, rapportato al "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", locuzione tratta dalla sentenza Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278149, conforme alla giurisprudenza sopra citata, che ha inteso enunciare un'endiadi equivalente, nella sostanza, richiamando l'espressione citata dal ricorrente come omologa a quella, successiva ed ancor piu' esplicativa, del "luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612- bis c.p.". Del resto, la conclusione cui giunge la richiamata giurisprudenza della Cassazione, in modo univoco, discende dalla natura del delitto di atti persecutori, che configura un reato abituale di danno "per accumulo", che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (cfr. ancora le richiamate pronunce n. 16977 del 2020 e n. 3042 del 2020, nonche' Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 279081). Tale luogo e' stato correttamente individuato nella citta' di Reggio Calabria, in cui la ricorrente viveva stabilmente, al di la' del domicilio lavorativo, ed in cui, quindi, si e' disvelato il suo profondo disagio psichico, tale da determinare serie conseguenze sul suo stato di salute psicofisica, come si dira' piu' avanti. Deve ribadirsi, pertanto, che il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, sicche' la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'articolo 612-bis c.p.. 2.2. I motivi riferiti alla mancata rinnovazione istruttoria (motivo otto), alla qualita' della prova raccolta nel giudizio ed alla valutazione di essa si sostanziano in una inammissibile richiesta di nuovo esame nel merito di elementi indiziari precisi, coerenti tra loro, gravi nel condurre ad individuare l'imputato come colui che, legato alla vittima da un rapporto di amicizia di antica data, tanto da aver potuto condividere con lei l'appartamento nella citta' di Catanzaro, sede dell'ufficio ove entrambi lavoravano, ha improvvisamente ed inspiegabilmente cominciato ad assumere comportamenti distonici nei suoi confronti, costruendo un falso "account facebook", contattando il suo ex-fidanzato, diffamandola presso suoi colleghi, con l'invio di una email, dal contenuto scabroso nei riguardi della vittima, a (OMISSIS), coimputato, istigandolo ad inviarla a sua volta all'indirizzo d'ufficio, con conseguente accessibilita' dei colleghi della persona offesa. Il teste (OMISSIS), la cui attendibilita' e credibilita' sono state ampiamente argomentate dalla sentenza d'appello, ha offerto i necessari elementi per ricondurre al ricorrente il falso account della vittima, segnalando che e' stato lo stesso imputato a svelarsi dietro il profilo "fake" direttamente tradendosi (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata). La prova documentale, costituita dalle conversazioni "facebook" tra il teste chiave e l'imputato, prodotte dalla parte civile in copia, e' stata legittimamente acquisita come tale ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. (cfr. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950; nonche', tra le altre, Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319); e la Corte territoriale ha spiegato, proprio facendo leva sulla completa ed affidabile acquisizione della conversazione incriminante come documento, le ragioni della inutilita' della rinnovazione istruttoria richiesta dal ricorrente, al centro anche del terzo e dell'ottavo motivo di ricorso, per questo manifestamente infondati con riguardo alla richiesta di perizia sul pc di (OMISSIS), alla ricerca di una prova negativa ed incerta, non potendo escludersi procedure di cancellazione della conversazione non rintracciabili. La riconducibilita' all'imputato delle email dal contenuto diffamatorio e lesivo della reputazione della vittima, del profilo facebook da cui sono partiti i contatti persecutori ed in relazione al quale e' configurato il reato di sostituzione di persona e' stata motivata attraverso il riferimento ad una prova si' indiziaria, ma affidabile e convincente, sia dal giudice di primo grado che da quello d'appello, sicche' i motivi di ricorso dedicati a contestare l'individuazione del ricorrente come autore dei reati sono manifestamente infondati, oltre che in fatto e rivalutativi. 2.3. Quanto alla configurabilita' dei reati, deve evidenziarsi come, ancorche' prescritti, le ragioni difensive obbligano il Collegio ad ingaggiare necessariamente un confronto multilivello sui temi proposti, alcuni non soltanto agli effetti civili, ma anche sul piano della inoffensivita' della condotta ex articolo 49 c.p. (cfr. il secondo motivo di censura); e tuttavia, le censure si mostrano ancora una volta reiterative e del tutto fuori fuoco. Ovviamente, alla luce dell'intervenuta prescrizione, il Collegio rammenta che, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., comma 1, dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell'oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). a) Per il delitto di stalking, in relazione al quale si contesta, agli effetti civili, sia la sussistenza degli eventi del reato che la riconducibilita' delle condotte al paradigma normativo tipico, deve essere anzitutto ribadito che integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali si rivelino in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dalla disposizione dell'articolo 612-bis c.p. (cfr., per il principio generale, in una fattispecie parzialmente diversa: Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768), ovviamente se accompagnate, dal punto di vista soggettivo, dal dolo generico costituito dalla consapevolezza dell'idoneita' del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Nel caso di specie, sicuramente tale consapevolezza emerge dalla ricostruzione dell'accaduto, della sua dimensione temporale e delle conseguenze gravi determinate sulla vittima della campagna persecutoria, che oltre ad essere stata costretta a mutare sensibilmente le proprie abitudini di vita, chiudendosi in una sorta di depressione, con allontanamento dal contesto sociale consueto, ha riportato gravi conseguenze psicologiche, accertate da documentazione medica, causate dall'ansia e dal timore derivati dalle azioni dell'imputato. Non vi e' dubbio che tali effetti, poi, integrino gli eventi previsti alternativamente dalla fattispecie di stalking: la Corte d'Appello ha messo in risalto - oltre alla progressiva perdita di capacita' sociale e di frequentazioni; oltre alle ripercussioni serissime sul lavoro, da cui si e' assentata lungamente, rischiando il licenziamento, proprio per la difficolta' a superare l'accaduto e ad incontrare il ricorrente - "tutta la sofferenza ed il paterna della persona offesa" emersi nel corso del processo in modo evidente, poiche' si e' accertato, con adeguata documentazione medica, che la vittima ha subito gravi traumi psichici, mai superati del tutto, tanto che, anzi, essi si sono trasformati da patologia psicologica da stress in conclamata malattia psichiatrica (cfr. pag. 30 della sentenza impugnata). Quanto alla direzione delle condotte persecutorie, non direttamente rivolte alla persona offesa, ma con destinatari terzi soggetti (noti o meno), si e' gia' condivisibilmente affermato che, in tema di atti persecutori, l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro quest'ultima (Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081; vedi anche Sez. 5, n. 25248 del 12/5/2022, R., Rv. 283369), unitariamente inseriti nell'unica condotta persecutoria. Nel caso del ricorrente, egli ha comunicato con numerosissimi utenti "facebook", fingendosi la persona offesa, associando alla immagine di profilo proprio una fotografia di costei in costume da bagno e postando commenti e link di carattere erotico; ha contattato via "facebook" l'ex fidanzato della donna e via email i colleghi di lei, ancora una volta con contenuti di aperta lesivita' della sua reputazione ed a sfondo scabroso ed erotico (facendo apparire che ella si definisse come "troia"). Tali condotte, ancorche' solo indirettamente rivolte alla vittima, fanno di quest'ultima l'unico, reale bersaglio della campagna persecutoria, sicche' non vi e' dubbio che le molestie reiterate, generatrici d'ansia e timori gravi, siano indirizzate a lei, chiamata in causa nelle offese ripetute alla propria reputazione ed intimita'. Ne' puo' dubitarsi della tipicita' oggettiva di dette condotte a configurare il delitto di atti persecutori che, come noto, puo' essere ritenuto integrato anche in presenza di due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018, P., Rv. 273622). b) Per il delitto di tentata sostituzione di persona ex articolo 494 c.p., in relazione al quale la difesa invoca l'inidoneita' della formazione del falso profilo facebook a cagionare l'inganno, vi e' solo da segnalare l'aspecificita' del motivo, dal momento che la sentenza impugnata ha evidenziato, in risposta ad un'obiezione d'appello pressocche' identica, che solo chi conoscesse in modo particolarmente approfondito la personalita' della vittima avrebbe potuto non cadere nell'inganno (come infatti e' avvenuto per il suo ex fidanzato, dal quale e' partito l'allarme su quanto stava accadendo); diversamente gli altri terzi utenti, che non fossero a conoscenza del carattere e delle attitudini di vita della vittima. In via di principio, poi, ai fini della configurabilita' del reato in astratto, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crei ed utilizzi "profili social" e "account internet" servendosi dei dati anagrafici di altra persona, esplicitamente contraria, al fine di far ricadere su quest'ultima l'attribuzione delle connessioni eseguite in rete (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, Rv. 282768-02). c) I motivi di ricorso, infine, proposti con riguardo alla configurabilita' stessa del reato di diffamazione (attraverso l'invio, prima ad una terza persona e poi, tramite questa, ai colleghi di lavoro della vittima, di una email offensiva della reputaz one di lei), sono tutti affrontati come critica rivalutativa delle prove, del tutto apodittica e funzionale a riscriverne il significato secondo un'assertiva quanto inammissibile prospettiva alternativa di merito. 2.4. I motivi di ricorso con cui si denuncia l'illegittima acquisizione di documentazione proveniente dalla parte civile in sede di discussione sono generici, poiche', nonostante le critiche al loro contenuto, non si deduce ne' il loro peso nell'economia della decisione impugnata, ne' quale fosse specificamente il contenuto criticato di essa, sul quale si era chiesta la prova a confutazione rifiutata. 2.5. Infondato e', infine, il motivo di ricorso sulla liquidazione del danno alla parte civile, quantificato nella cifra consistente gia' indicata, alla luce della puntuale, convincente motivazione del giudice di primo grado, cui la sentenza d'appello si e' motivatamente allineata: la depressione irreversibile, patologia gravemente invalidante della vita psicofisica della ricorrente, e' stata ampiamente spiegata e ricostruita dai giudici di merito, sulla base di dati oggettivi, costituiti anzitutto dalla documentazione medica acquisita. La quantificazione del danno morale, autonomo rispetto al danno biologico, cristallizza, poi, il peso di una sofferenza di natura interiore, su cui la motivazione del provvedimento impugnato si e' spesa molto, al di la' dell'innegabile dato medico, di preoccupante gravita', descrivendo il blocco emotivo in cui la vittima e' caduta, per molto in tempo in modo altamente invalidante, con un forte sentimento di disistima ed incapacita' di avere rapporti anche con i suoi familiari piu' stretti, per l'autocolpevolizzazione accertata come patologia" seguita alla consapevolezza di essere stata cosi' amica di una persona capace di farle cosi' male. Le ragioni cosi' dettagliatamente esposte, anzitutto dal punto di vista medico, sostengono la statuizione relativa al risarcimento del danno, nella sua adeguatezza, mentre i motivi di ricorso si velano, ancora una volta, in parte aspecifici e, infine, manifestamente infondati. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si ritiene di liquidare in complessivi Euro 5.530. 3.1. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.530, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovann - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/06/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIOVANNI FRANCOLINI; uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. ODELLO LUCIA, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, e - per il ricorrente - l'avvocato (OMISSIS) che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il giorno 21 luglio 2022 la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Salerno il 9 novembre 2020, appellata dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ha reso sentenza di non doversi procedere in ordine al reato di cui agli articoli 48 e 479 c.p. (falso ideologico in atto pubblico per induzione) a loro ascritto in concorso, perche' estinto per prescrizione, e ha confermato nel resto la prima decisione e, segnatamente, la condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile (OMISSIS). 2. Avverso la decisione di secondo grado il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo (di seguito enunciato nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1), con il quale e' stato impugnato il capo civile della sentenza di secondo grado, prospettando in parte qua l'illogicita' della motivazione. La difesa ha rappresentato che la Corte di merito, pur avendo riconosciuto che le opere di cui al permesso di costruire in imputazione non sono mai state eseguite, ha comunque condannato l' (OMISSIS) - che ha solo redatto il progetto ad esso accluso - a risarcire un danno patrimoniale e non patrimoniale in re ipsa, diverso da quello allegato dalla parte civile, che ha fatto riferimento invece a opere eseguite successivamente dall' (OMISSIS) (come si trae dalla relazione dei consulenti del pubblico ministero), cui l' (OMISSIS) e' rimasto estraneo e che eliderebbero comunque il nesso causale tra il fatto di quest'ultimo e il pregiudizio che la parte civile avrebbe patito. Ancora, la Corte di appello, nell'argomentare in ordine alla sussistenza del danno, nonostante le allegazioni difensive, non avrebbe neppure considerato: che un permesso di costruire non puo' di per se' generare un pregiudizio, poiche' in seguito al suo rilascio occorre comunque un progetto esecutivo per dare corso alle opere e, nella Regione Campania, anche un'autorizzazione sismica; ne' quanto dedotto dal consulente della difesa, secondo cui l'eventuale pregiudizio subito dalla parte civile sarebbe da imputare non al progetto redatto dall' (OMISSIS) bensi' alle modalita' di esecuzione delle opere (cui egli e' rimasto estraneo). CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. L' (OMISSIS) (quale progettista incaricato dal (OMISSIS)) e' stato ritenuto responsabile del danno derivante dal fatto per cui era stata elevata l'imputazione di falso ideologico in atto pubblico per induzione (sub specie degli articoli 48 e 479 c.p. - capo c. della rubrica), in relazione alla quale la Corte di merito ha disposto non doversi procedere per intervenuta prescrizione, avente ad oggetto un permesso di costruire (n. (OMISSIS) del Comune di Vietri sul mare). Piu' in particolare, la Corte territoriale - pur rilevando che la costruzione del box sul fondo di proprieta' dell' (OMISSIS) non ha avuto luogo secondo le prescrizioni del detto permesso, ha affermato la sussistenza del danno patrimoniale e non patrimoniale (per la cui liquidazione gia' il Tribunale aveva rimesso le parti davanti al Giudice civile) derivante non dall'esecuzione delle opere bensi' alla luce delle spese sostenute dalla parte civile per le azioni intraprese per bloccare i lavori e denunciare l'accaduto nonche' del pregiudizio psicologico conseguente al fatto. Si tratta di una motivazione con la quale il ricorso non si e' confrontato, ragion per cui esso difetta di specificita', avendo anche in questa sede fatto riferimento alla mancata esecuzione dell'opera in discorso gia' addotta con il gravame (con il quale si era assunto - per quel che qui rileva, in considerazione della prospettazione contenuta nel ricorso - che nel caso di specie non si fosse verificato alcun danno concreto, perche' il permesso di costruire non era stato "eseguito"), allegazione disattesa dal Giudice distrettuale in maniera congrua nei termini appena sopra richiamati (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01). Inoltre, l'allegazione difensiva secondo cui (OMISSIS) non avrebbe azionato tale pretesa risarcitoria, a non volerla considerare assertiva e percio' priva di specificita', e' comunque del tutto sfornita di fondamento, atteso che l'atto di costituzione di parte civile, nel correlare la domanda risarcitoria anche al detto fatto di cui al capo c., aveva chiesto la rifusione di tutti i danni, morali e materiali causati dai reati ascritti agli imputati (ivi compreso "il danno biologico e alla vita di relazione per il turbamento psicofisico ed emotivo conseguito all'evento"). 2. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilita' dell'impugnazione impone di attribuirgli profili di colpa (cfr. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 - 01). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); (OMISSIS) nato il (OMISSIS); inoltre: (OMISSIS) - (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Assise d'Appello di Milano, con la decisione impugnata, ha confermato la sentenza della Corte d'Assise di Milano del 5.7.2021 che ha condannato, per il delitto di rissa di cui all'articolo 588, comma 2, aggravato ai sensi dell'articolo 61, comma 1, n. 11 quinquies, c.p., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni tre di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), da liquidarsi separatamente, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 30.000 Euro per ciascuna delle parti civili; con la stessa sentenza e' stato assolto (OMISSIS) dal concorso nel reato. Gli imputati erano stati inizialmente tratti a giudizio in relazione al delitto di concorso in omicidio preterintenzionale di (OMISSIS), poi riqualificato, dalla sentenza di primo grado confermata da quella di appello, in rissa aggravata dalle lesioni (di alcune) delle persone coinvolte, ma esclusa la circostanza della derivata morte; la morte, secondo la Corte d'Assise d'Appello e' stata causata autonomamente dalla patologia cardiaca di cui la vittima soffriva, escluso il nesso eziologico con le lesioni; lo sfondo della vicenda e' costituito dalla lite per un debito non pagato da parte di (OMISSIS) a (OMISSIS). 2. Avverso il provvedimento in esame ha proposto ricorso la parte civile (OMISSIS), moglie della vittima, tramite il difensore, deducendo un unico motivo di censura con cui contesta la riqualificazione del reato da omicidio preterintenzionale in rissa aggravata. Il ricorso premette una ricostruzione dei fatti, cosi' come risultano accaduti all'esito dell'istruttoria dibattimentale: l'iniziale aggressione sarebbe avvenuta tra (OMISSIS) e la vittima, che non voleva saldare il proprio debito; sarebbe proseguita la lite, poi, coinvolgendo i fratelli di (OMISSIS) e i parenti (la moglie, il fratello, la figlia) della vittima; infine, quest'ultima sarebbe stata aggredita da sola dal gruppo capitanato da (OMISSIS) e, infine, mentre cercava di raggiungere casa, (OMISSIS) sarebbe morto, colpito da arresto cardiocircolatorio. Secondo il pubblico ministero, gia' appellante, e la parte civile, che oggi ricorre in Cassazione, l'epilogo della vicenda e il suo nucleo essenziale configurano una vera e propria "spedizione punitiva" ai danni della vittima, con il conseguente omicidio preterintenzionale. A giudizio delle sentenze di primo e secondo grado, invece, il conflitto che ha generato il decesso non era stato programmato; aveva coinvolto due gruppi di persone; era stato caratterizzato da qualche atto di violenza reciproca non particolarmente offensiva, senza lesioni gravi come conseguenza, sicche' non era prevedibile, da parte degli autori, la morte della vittima, derivata dalla patologia cardiaca che lo affliggeva e della quale neppure lui era a conoscenza; ne' gli elementi del fatto lasciavano presagire una tale vulnerabilita', come sottolineato dalla sentenza d'appello, che ha ritenuto, altresi', di non dover neppure soffermarsi sulla prevedibilita' dell'evento morte ai fini della possibile configurazione del reato di omicidio preterintenzionale, vista la evidenza della qualificazione della condotta come rissa, anche alla luce del comportamento della vittima desunto dalle testimonianze: questi, piuttosto che essere intimorito e fuggire da un'aggressione, aveva invece ingaggiato lo scontro con la parte avversa, proseguendolo all'arrivo del fratello, della moglie e della figlia. Il ricorso, invece, ritiene che la vittima abbia reagito all'aggressione per difendersi, aiutato, nella difesa, dai parenti, i quali non costituivano, sol per questo, una "fazione" avversa di contendenti. La ricorrente, inoltre, rifacendosi all'orientamento di legittimita' secondo cui il coefficiente psicologico della fattispecie astratta di cui all'articolo 584 c.p. e' costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni (il delitto "sussidiario"), in quanto la disposizione di cui all'articolo 43 c.p. assorbe la prevedibilita' dell'evento piu' grave nell'intenzione di risultato, sostiene che la morte del marito sia l'evento del reato progressivo unico ed il risultato delle percosse e lesioni cagionate alla vittima dai suoi aggressori. Si richiama, come precedente coerente con la tesi di ritenere configurabile, nel caso di specie, il delitto di omicidio preterintenzionale, la sentenza Sez. 5, n. 9789 del 3/12/2020, dep. 2021, che aveva proprio collegato un decesso improvviso alle ripetute aggressioni verbali e fisiche, idonee ad incidere sul precario stato di salute della vittima, valutata la contestualita' della condotta aggressiva con la morte. Ebbene, in relazione all'evento letale occorso ad (OMISSIS), i consulenti medico-legali hanno senz'altro accertato il nesso eziologico esistente tra il decesso e la lite, tenendo conto sia della condizione patologica preesistente (l'aritmia maligna), sia degli altri fattori causali stressogeni complessivamente vissuti durante il corso del litigio della vittima con gli imputati. Il giudizio controfattuale di eliminazione virtuale delle lesioni subite da (OMISSIS), corrispondendo al venire meno dello stress, non poteva che condurre all'affermazione di responsabilita' degli imputati per il delitto di concorso in omicidio preterintenzionale, sicche' la sentenza d'appello, che non giunge a tali conclusioni, nonostante le premesse in fatto incontroverse, e' viziata da motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. A tale conclusione si giunge anche se si vuol ritenere l'exitus fatale quale concretizzazione del pericolo generato dalla condotta degli agenti, la quale ha dato luogo ad "un'area di rischio" tale che "quella morte" costituisce una diretta conseguenza delle condotte degli stessi (il ricorso si richiama alla giurisprudenza di legittimita' in tal senso): la vittima e' morta per lo stress causato dalle aggressioni subite, le ripetute percosse e lesioni, in concorso con la malattia da cui era affetta. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Milano ha depositato memoria ex articolo 121 c.p.p., con cui ritiene condivisibili le argomentazioni contenute nel ricorso per cassazione della parte civile e aggiunge una serie di ulteriori, concorrenti considerazioni per sostenere la fondatezza della qualificazione delle condotte degli imputati sotto l'egida normativa dell'articolo 584 c.p. piuttosto che in termini di rissa aggravata. Soprattutto, si denuncia il travisamento della prova consistita dalle dichiarazioni dibattimentali del consulente tecnico del pubblico ministero, che ha certamente indicato, tra le concause possibili dello stress cui e' seguito l'arresto cardiaco e la morte della vittima, tutto quanto messo in atto dagli imputati ai suoi danni, a partire dalle percosse e dalla lunga fase della colluttazione fino alle lesioni, per quanto lievi. La stessa sentenza impugnata ammette tale ricostruzione probatoria, senza trarne le corrette conseguenze in termini di qualificazione giuridica e dimenticando che il consulente tecnico ha poi evidenziato esplicitamente che, nel caso di specie, si era di fronte ad una morte cardiaca improvvida, per la quale gli eventi descritti in atti, che hanno concretizzato uno stress fisico reale, detengono matrice e natura di fattore concausale. Si e' espressamente precisato che gli eventi fattuali premortali descritti in atti - che corrispondono a quelli emersi in dibattimento - possono essere tecnicamente interpretati come elemento causale nel determinismo del decesso di (OMISSIS). Il ricorrente evidenzia come anche le lesioni, su domanda proprio del Presidente del Collegio, si e' detto che, pur se lievi, potevano determinare la tachicardia, il picco ipertensivo, costringendo il sistema cardiocircolatorio "a lavorare in quella che si chiama reazione di difesa" con innalzamento del ritmo cardiaco, della pressione che costringe in "grande sofferenza" un cuore malato, come era quello della vittima. Richiamandosi, infine, alla giurisprudenza sull'elemento psicologico richiesto per la configurabilita' dell'omicidio preterintenzionale, il PG di Milano conclude per l'annullamento, ai fini civilistici, della sentenza impugnata. 4. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso della parte civile, che non ha indicato lo specifico interesse, in termini di diversa quantificazione del danno, alla differente qualificazione giuridica del reato. 5. Gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memorie con le quali chiedono l'inammissibilita' del ricorso della parte civile, per difetto di allegazione dell'interesse concreto ad ottenere una diversa qualificazione giuridica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Preliminarmente, occorre rilevare come l'interesse concreto della parte civile a ricorrere debba ritenersi esistente e immediatamente evincibile nel caso della ricorrente, ineludibilmente insito nella sua domanda. Questa Corte regolatrice, effettivamente, ha spesso fatto richiamo alla necessita', per la parte civile che proponga ricorso in Cassazione al fine di ottenere una diversa qualificazione giuridica dei fatti, di dimostrare il proprio interesse ad agire, collegandolo costantemente alla circostanza che da tale differente qualificazione possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 5, n. 25597 del 14/5/2019, Lucidi, Rv. 277311; Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N, Rv. 280124; in passato, cfr. Sez. 5, n. 12139 del 14/12/2011, Martinez, Rv. 252164 e Sez. 4, n. 39898 del 3/7/2012, Giacalone, Rv. 254672). In sintesi, l'opinione dominante in giurisprudenza ritiene che la parte civile non possa ricorrere al fine di ottenere una piu' corretta decisione, ma deve essere portatrice di un interesse pratico e occorre, pertanto, che dalla riqualificazione giuridica possa derivare un'utilita' concreta in tema di risarcimento del danno dinanzi al giudice civile. Tale interesse concreto deve essere oggetto di allegazione nel ricorso, che dovrebbe indicare le ragioni per le quali si impugna la decisione: vale a dire, se la diversa gravita' del reato incide sul danno, morale o biologico (iure proprio o iure hereditatis) o anche solo sulla cd. personalizzazione del danno (cfr. Sez. 5, n. 32762 del 7/6/2013, Floramo, Rv. 256952, che individua, ad esempio, un onere della parte civile di indicare le ragioni per cui il riconoscimento di un'attenuante ovvero il disconoscimento di un'aggravante incidano concretamente sulla pretesa risarcitoria). Orbene, nel caso di specie, non puo' condividersi la richiesta di declaratoria di inammissibilita' del ricorso - avanzata dal PG e dagli imputati - per mancanza di indicazione (allegazione) dell'interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, ad opera della parte civile, essendo macroscopicamente ed immediatamente evincibile detto interesse dalla richiesta di riqualificazione proposta, argomentata in modo ampio, ancorche', come si dira', secondo direttrici di censura inammissibili poiche' "in fatto". Il reato di rissa aggravato per cui sono stati condannati gli imputati ha escluso, infatti, sia la configurabilita' dell'omicidio preterintenzionale sia dell'aggravante dettata dal comma 2 dell'articolo 588 c.p. per l'ipotesi di rissa cui segua la morte di uno dei soggetti coinvolti, in tal modo negando del tutto il nesso di congiunzione causale tra il decesso della vittima e la condotta degli imputati, attribuendo loro soltanto le lesioni seguite alla rissa, delle quali si e' negata la natura di fattore eziologico innescante/concorrente dell'exitus. Non puo' esservi dubbio, in un tale contesto, che l'invocata, piu' grave qualificazione giuridica dei fatti come omicidio ex articolo 584 c.p. produrrebbe effetti sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico gia' riconosciuti, cosi' configurandosi l'interesse a ricorrere della parte civile, a prescindere da qualsiasi allegazione formale e specifica della parte civile: nella specie, e' evidente la distanza ontologica tra la dedotta causazione della morte della vittima, quale conseguenza delle condotte dei ricorrenti, e l'avversata soluzione della sentenza impugnata nel senso dell'accertamento di generiche e lievi lesioni riportate da (OMISSIS) come conseguenza del diverso reato di rissa; lesioni tanto lievi da essere "estratte" dal nesso di causalita' con la sua morte, attribuita esclusivamente all'interazione tra la sollecitazione dello stress psicologico, neppure questo derivato dalle lesioni, e la patologia cardiaca estremamente grave di cui questa soffriva. E la valutazione dell'interesse ad impugnare, allorche' il gravame sia in concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l'eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica piu' vantaggiosa di quella realizzata dal provvedimento impugnato, va operata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso e non alla effettiva fondatezza della pretesa del ricorrente (v., specificamente, riguardo alla impugnazione volta ad ottenere la riqualificazione giuridica del fatto, Sez. 3, n. 38544 del 27/05/2015, Serafino, Rv. 264634). La verifica dell'interesse ad impugnare, invero, ha ad oggetto l'esistenza di una ragione economica della parte proponente di ottenere una nuova decisione onde rimuovere il pregiudizio che a quella ragione arreca il provvedimento impugnato. Tale interesse, quindi, risulta escluso solo in quanto, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all'impugnazione, la decisione del giudice di gravame non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, Loffredo, Rv. 252183: l'impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all'eliminazione della lesione di un diritto, non essendo prevista la possibilita' di proporre un'impugnazione che miri unicamente all'esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente, o addirittura ne consegua un danno). E non vi e' dubbio che, in sede civilistica, il risarcimento del danno per fatto illecito dipende anche dalla gravita' del reato e dall'entita' del patema d'animo sofferto dalla vittima, che non puo' non variare a seconda che il fatto illecito venga qualificato come omicidio preterintenzionale ovvero come rissa aggravata dalle sole lesioni della vittima, senza che la sua morte venga collegata alla condotta di reato. In conclusione, deve affermarsi che e' ammissibile il ricorso della parte civile che invochi la piu' grave qualificazione giuridica di omicidio preterintenzionale, in luogo di quella di rissa aggravata dalle lesioni del soggetto coinvolto, poi deceduto senza che la morte sia stata riconosciuta come collegata causalmente alla condotta di reato, poiche' tale richiesta di riqualificazione determina inevitabili effetti sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico gia' riconosciuti, cosi' configurandosi l'interesse a ricorrere della parte civile, a prescindere da qualsiasi allegazione formale e specifica della parte civile riguardo a detta quantificazione. 3. Verificata positivamente la questione sull'esistenza di un interesse a ricorrere della parte civile, deve essere affrontato il cuore della richiesta avanzata con l'impugnazione, vale a dire la domanda di riqualificazione giuridica della condotta delittuosa ascritta agli imputati. Il ricorso, sotto tale profilo, e' inammissibile. La difesa punta a rimodulare le conclusioni dei giudici di merito quanto al giudizio controfattuale di eliminazione virtuale delle lesioni subite da (OMISSIS), che, corrispondendo al venire meno dello stress, non poteva che condurre all'affermazione di responsabilita' degli imputati per il delitto di concorso in omicidio preterintenzionale: la sentenza d'appello, che non giunge a tali conclusioni, nonostante le premesse in fatto incontroverse, sarebbe viziata da motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Invero, nella prospettazione difensiva, pur prendendosi in considerazione le diverse opzioni giurisprudenziali emerse nella giurisprudenza di legittimita' in tema di configurabilita' del delitto omicidio preterintenzionale, cio' che si chiede al Collegio, in realta', e' una rivalutazione nel merito delle prove acquisite in atti e che hanno fatto si', da un lato, che i giudici d'appello riconducessero (cosi' come i primi giudici) la fattispecie concreta nella cornice normativa dell'articolo 588 c.p.; dall'altro, che fosse escluso, sulla base degli accertamenti medico-peritali, che dalle lesioni minime seguite alla rissa fosse derivato uno stress psicofisico, tale da costituire esse una concausa della morte della vittima, avvenuta invece per un'aritmia maligna letale, dovuta ad una malattia congenita, ignota alla stessa persona deceduta. Tale aritmia maligna letale, si e' stabilito con le ampie argomentazioni del provvedimento d'appello, scevre da errori logico-giuridici, non ha potuto essere collegata, al di la' di ogni ragionevole dubbio, neppure alle lesioni - di poco momento e indeterminate - causate alla vittima dalla partecipazione alla rissa, poiche' dette lesioni non si e' accertato con adeguata sicurezza probatoria che abbiano influito sul generarsi di quello stato di agitazione che determino' l'exitus (cfr. pag. 26 e 27 della sentenza impugnata, in particolare). Il nucleo centrale della doglianza difensiva e' rappresentato dalla qualificazione giuridica del reato di rissa, osteggiata nel ricorso della parte civile. E tuttavia, proprio tale configurazione risulta essere la porzione piu' convincente della sentenza impugnata, che e' coerente sul punto con quella di primo grado, da cui si discosta solo per evidenziare come neppure possa ritenersi integrata l'ipotesi del comma 2, primo periodo, prima parte dell'articolo 588 c.p., estrapolando la morte dalla sua derivazione dal reato di rissa, che ritiene, pertanto, aggravato dalle sole lesioni prodotte alla vittima, prima del decesso. I passaggi ricostruttivi della sentenza dedicati alla qualificazione dell'accaduto come rissa, e non gia' aggressione unilaterale ai danni della vittima, sono ampiamente argomentati, basati sulle testimonianze plurime che indicano la dinamica dei fatti come reciprocamente offensiva tra due fazioni di persone, diversamente composte, e su alcuni riscontri' ulteriori che la confermano (vedi pagine da 21 a 25, in particolare). La mancanza dell'uso di armi e l'accertamento di spintoni, schiaffi e pugni reciproci tra i componenti dei due gruppi contrapposti, senza che la vittima ricercasse la fuga, ma, anzi, con la prova che accettasse lo scontro e insistesse nel misurarsi con gli altri contendenti, hanno condotto a ritenere, da un lato, la certa configurabilita' del reato come rissa, ancorche' aggravata dalle lesioni che non solo (OMISSIS), ma anche alcuni altri partecipi, avevano riportato; dall'altro, ad escludere una gravita' della contesa tale da considerare l'ordinario stress derivatone capace di innescare la reazione mortale poi verificatasi. A tale conclusione, la Corte d'Assise d'Appello e' stata indotta, invero, dalle risultanze medico-legali: la causa di morte della vittima risulta individuata dai consulenti in un iperacuto scompenso aritmico maligno dovuto ad una precorrente cardiocoronaropatia cronica, scompenso derivato dallo stress emotivo e fisico personale per il litigio, prima ancora che sfociasse in rissa, e non direttamente dalle lesioni causate dalle percosse ricevute nel corso dell'escalation violenta. Piu' specificamente, indagando sul se tale stress possa essere derivato dalle lesioni, la sentenza impugnata evidenzia, sulla base delle risposte dei consulenti in dibattimento, come non sia possibile indicare da quale dei momenti di tensione emotiva, anche precedenti alla rissa e collegati al mero insorgere del litigio verbale, si sia potuta generare l'aritmia cardiaca letale. La Corte d'Assise d'Appello sottolinea come i consulenti abbiano riferito della difficolta' di individuare che cosa serva o sia sufficiente per il verificarsi di un esito letale in un paziente con un cuore comunque compromesso cosi' gravemente come quello della vittima, sicche' neppure con il criterio della probabilita' logica o della credibilita' razionale sarebbe possibile affermare - secondo la sentenza - che le lesioni abbiano concorso all'incremento dello stress, certamente provato dall' (OMISSIS) gia' nei prodromi del litigio, durante i quali, forse, era gia' in scompenso cardiaco (come evidenziano i giudici). Di qui, l'esclusione anche dell'aggravante della morte di uno dei corrissanti, rispetto al ritenuto reato di cui all'articolo 588 c.p.. 3.1. Dinanzi a tale tessuto di prova ed a tali approdi, le richieste della parte civile di addivenire ad una soluzione diversa in punto di qualificazione giuridica si rivelano inammissibili, poiche' volte a proporre una diversa lettura delle complesse risultanze di fatto accertate, anche e soprattutto dal punto di vista medico-legale. Nulla aggiunge la memoria ex articolo 121 c.p.p. depositata dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, che si limita, in piu', a denunciare il travisamento della prova relativa alle testimonianze dei consulenti medici, in realta' proponendo soltanto una lettura differente dei medesimi dati, incontroversi, che, a suo giudizio, non lascerebbero dubbi sulla possibilita' di ritenere derivata causalmente la morte della vittima dallo stress psicofisico causato dalla contesa violenta. Come noto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Quanto alla configurabilita' del reato di rissa, la decisione appare consapevole della giurisprudenza di legittimita' in tema e corrisponde ad essa. Invero, non integra il delitto di rissa la condotta di colui che, aggredito da altre persone, reagisca difendendosi (Sez. 5, n. 22587 del 2/2/2022, Paladino, Rv. 283398), mentre configura il reato la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volonta' di attentare all'altrui incolumita' (presupposto che non e' integrato, ancora una volta, qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall'azione violenta posta in essere ai loro danni: tra le molte, cfr. specificamente Sez. 6, n. 12200 del 4/12/2019, Pagano, Rv. 278728; in motivazione, la Corte ha precisato che il reato di cui all'articolo 588 c.p. richiede la partecipazione di almeno tre persone, in quanto rileva anche la contrapposizione tra due soggetti contro una sola persona). Anche il fattore "iniziativa" non ha valore, per l'esclusione del reato: ai fini della configurabilita' del delitto di rissa, una volta accertata l'esistenza di gruppi contrapposti con vicendevole intenzione offensiva dell'altrui incolumita' personale, e' irrilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto (Sez. 1, n. 18788 del 19/1/2015, Garau, Rv. 263567; Sez. 5, n. 4878 del 28/3/1984, Quaglio, Rv. 164470). La decisione impugnata e' coerente con i presupposti giurisprudenziali che ritengono configurabile il reato; la fattispecie, cosi' come esposta nella sentenza - insulti reciproci; situazione dinamica in cui entrambe le fazioni (quella della vittima e dei suoi congiunti e quella dei tre fratelli (OMISSIS) e del loro cugino) si sono scambiate spintoni ed alcuni schiaffi e pugni; nessun tentativo di fuga da parte del deceduto, ma anzi accettazione da parte sua dello scontro e, finanche, una prima possibile aggressione fisica da lui proveniente, quando gli fu richiesta la restituzione del debito contratto (vedi pag. 23) - integra pienamente i caratteri di tipicita' del delitto ex articolo 588 c.p., siccome declinati dal diritto vivente. 3.2. Non occorre richiamare gli orientamenti di questa Corte, invece, in tema di configurabilita' del reato di omicidio preterintenzionale, poiche', appunto, il ricorso non centra la modalita' di proposizione delle doglianze, ritenendo manifestamente illogiche le conclusioni dei giudici di merito quanto alla configurazione del reato di rissa, che, pur opinabili, nella complessita' della ricostruzione della vicenda concreta - complessita' non nascosta dalla sentenza - sono invece plausibilmente esposte. La Corte d'Assise d'Appello giunge a ritenere che nessuna aggressione unilaterale vi sia stata ai danni della vittima, ma ci si sia trovati dinanzi ad una fattispecie di reciproca e contestuale, improvvisa esplosione di ira tra i soggetti coinvolti, nessuno dei quali si e' sottratto alla lite. Non vi sono iati logici rispetto a tale ricostruzione, a dispetto delle assertive proposizioni della ricorrente e della memoria del Procuratore Generale d'appello, che ritengono dagli elementi di prova emerga una diversa dinamica, con la vittima inerme aggredita. 3.3. La successiva derivazione causale della morte dal reato, infine, avrebbe potuto essere contestata con riguardo al delitto previsto dall'articolo 588 c.p., al fine di ritenere sussistente l'ipotesi aggravata del comma 2, primo periodo, prima parte della citata norma, piuttosto che esclusa, come stabilito nella sentenza impugnata, rimodulando la decisione del primo giudice, ma tale obiezione non e' stata sollevata esplicitamente dalla ricorrente, ne' puo' desumersi dalla piu' grave, invocata qualificazione giuridica ex articolo 584 c.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 21/04/2022 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO; udita la relazione svolta dal Presidente EMANUELE DI SALVO; lette/sentite le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe indicata, con la quale e' stata accolta la domanda di riparazione di errore giudiziario, da lui formulata a seguito di proscioglimento in sede di revisione dal reato di cui all'articolo 609 bis cod pen.. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della somma riconosciuta, in quanto, per effetto della detenzione, egli ha sviluppato una serie di patologie (depressione e insonnia, disturbi di ansia; gravi deficienze dell'apparato locomotore con il peggioramento sia della poliartrosi che della discopatia; gravi disturbi della sfera urologica, con frequenti infezioni alle vie urinarie e ritenzione urinaria; disordini alimentari, con peggioramento della diverticolosi e disturbi epatici; insufficienza respiratoria notturna; ipertensione arteriosa; ipertrofia prostatica; spondiloartrosi con discopatie multiple rachide cervicale e lombare; diabete mellito; coxartrosi bilaterale al bacino; osteogonartrosi al ginocchio destro; patologie cardiache e un serio aggravamento della diverticolite). Inoltre l'attivita' lavorativa di responsabile della manutenzione che il (OMISSIS) svolgeva presso un albergo si e' interrotta proprio in coincidenza con la data in cui egli e' stato arrestato, in esecuzione della sentenza penale di condanna. Il ricorrente ha inviato il curriculum a diverse aziende ma, poiche' non ha mai nascosto la detenzione patita, circostanza peraltro nota per l'eco che la vicenda aveva avuto sulla stampa e sui media locali, egli non e' mai stato assunto da nessuna impresa. Del resto, trattandosi di condanna per il reato di violenza sessuale, anche l'assegnazione al lavoro all'esterno da detenuto avrebbe potuto essere riconosciuta al ricorrente solo dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena. Senonche' egli ritenne opportuno formulare istanza per la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, onde non poteva nutrire alcun interesse per l'ammissione al lavoro all'esterno da detenuto. 2.1. Per di piu', per poter far fronte al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in favore della persona offesa in Euro 40.000, il ricorrente dovette vendere l'immobile di famiglia, cosi' cagionando anche un rilevante danno al proprio figlio, che lo avrebbe ereditato. Oltre a cio', tale vendita, per ragioni di urgenza e necessita', correlate al fatto che la persona offesa aveva pure iscritto ipoteca giudiziale sull'immobile, venne conclusa ad un prezzo di molto inferiore al reale valore dell'immobile. Anche questa voce di danno avrebbe dovuto rientrare nelle spettro cognitivo e valutativo del giudice della riparazione, dovendo essere annoverata tra i pregiudizi derivanti dalla sentenza viziata dall'errore giudiziario. 2.2. Infondatamente il giudice a quo attribuisce una colpa al ricorrente, il quale si era asseritamente attivato solo nel 2016, e quindi tardivamente, funzionalmente all'accesso al reperto biologico prelevato sulla persona offesa (i tamponi vaginali) e alla conseguente verifica delle risultanze del DNA, per mezzo di un proprio consulente tecnico. Nel corso del giudizio penale, infatti, il ricorrente aveva infruttuosamente chiesto al giudice penale di procedere all'accertamento tecnico sul reperto biologico e pertanto egli ha potuto chiedere di essere autorizzato a procedere in tal senso, mediante lo strumento dell'investigazione difensiva, solo quando il procedimento penale e' stato definito. Cio' e' comunque accaduto subito dopo la pronuncia di irrevocabilita' e quindi ben prima del 2016, anno in cui invece il (OMISSIS) ha proposto istanza di revisione del procedimento. Infatti gia' in data 27 dicembre 2011 la difesa del ricorrente si accerto' dell'eventuale esistenza e conservazione dei tamponi vaginali. Il 19 luglio 2012 il Tribunale di Chieti autorizzo' la difesa del ricorrente a procedere agli accertamenti ma la Procura di Chieti, dopo lunga e ingiustificata inerzia, chiese la revoca del predetto provvedimento, sostenendo che la competenza a decidere fosse della Corte d'appello di L'Aquila. Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 22 gennaio 2013, revoco' il provvedimento autorizzativo al compimento degli accertamenti tecnici sui campioni genetici in sequestro, respingendo anche l'ulteriore istanza avanzata in tal senso dalla difesa. Ne e' derivato che il ricorrente e' riuscito ad accedere all'analisi del materiale biologico soltanto allorquando, nel 2016, si incardino' il procedimento di revisione. 2.3. Le doglianze sono state ribadite e ulteriormente argomentate con motivi nuovi in data 23 dicembre 2022, a cui e' stata allegata certificazione della Commissione medica per l'accertamento di'handicap. 3. Con requisitoria scritta ex articolo 611 c.p.p., il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Le doglianze formulate con il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione, sono fondate. E' stato opportunamente chiarito, in giurisprudenza, che, ai fini della quantificazione della riparazione dell'errore giudiziario, non puo' applicarsi il parametro risultante dal rapporto tra tempo di detenzione e quantum dell'indennizzo che inerisce alla riparazione per l'ingiusta detenzione, in quanto la norma di cui all'articolo 315, comma 2, c.p.p. ha carattere eccezionale (Sez. 4, n 2050 del 25/11/2003, dep. 2004, Rv. 227671) e la fissazione di un tetto massimo trova giustificazione solo con riferimento all'istituto di cui agli articoli 314 ss c.p.p., nell'ottica del quale l'unico dato valutabile e' la privazione della liberta' personale, profilo caratterizzato dall'invariabilita' mentre la pluralita' e complessita' dei dati da valutare nella prospettiva della riparazione dell'errore giudiziario, che deve tener conto di tutte le conseguenze familiari e personali, non e' compatibile con un'analoga fissazione di un massimo liquidabile (Sez. 4, n. 532 del 21/4/1994, Rv. 198308). Occorrera' dunque fare riferimento ai parametri relativi alla durata dell'eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, espressamente indicati dall'articolo 643, comma 1, c.p.p., includendo nell'area della risarcibilita' in primo luogo il danno patrimoniale, nel quale e' da ricomprendersi il danno da perdita di chance, consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo in termini economici (Sez. 4, n. 24359 del 23/2/2006, Rv. 234611), come l'avvio di un'attivita' lavorativa. Occorre poi risarcire il danno non patrimoniale e, nell'ambito di quest'ultimo, il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, trattandosi di differenti e autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale (Sez. 4, n. 2050 del 25/11/2003, cit.). Dunque rientrano certamente nell'area della risarcibilita' il danno biologico e il danno alla salute, che non devono necessariamente essere liquidati mediante applicazione dei criteri tabellari adottati dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi, purche' essi non risultino illogici e conducano ad un risultato che non si discosti in modo irragionevole e immotivato dai menzionati parametri tabellari (Sez. 4, n. 22444 del 19/3/2015; Sez. 4, n. 7787 del 4/11/2015, dep. 2016, che ha anche precisato che e' configurabile il risarcimento di un danno biologico diverso e ulteriore rispetto a quello, parimenti oggetto di liquidazione, riconducibile all'ingiusta detenzione). Anche laddove si faccia ricorso al criterio equitativo, e' comunque necessario un apparato giustificativo ancorato ad oggettivi parametri di riferimento, dovendosi considerare illogica una motivazione che, a fronte di una dettagliata richiesta da parte del richiedente, con puntuali riferimenti a ben precisi pregiudizi patrimoniali, sotto il profilo sia del lucro cessante che del danno emergente, si fondi su criteri sostanzialmente apodittici e autoreferenziali, avulsi da una concreta e approfondita analisi dei dati addotti e documentati dal richiedente (Sez. 4, n. 7787 del 4/11/2015, dep. 2016, cit.). 2. Nel caso in esame non puo' ritenersi che il giudice a quo abbia fatto buon governo di tali consolidati principi, avendo la Corte d'appello apoditticamente ritenuto che non vi fosse prova che il rapporto lavorativo fosse stato concluso esclusivamente a causa della condanna per il reato di violenza sessuale e della carcerazione, senza confrontarsi con quanto addotto dal ricorrente circa l'interruzione del rapporto di lavoro a partire dalla data in cui egli venne arrestato. Cosi' come in relazione alla tematica relativa al mancato reperimento di una nuova attivita' lavorativa una volta terminata la carcerazione, manca ogni riferimento alla problematica relativa alla risonanza mediatica della vicenda, anche in considerazione della natura del reato per il quale il ricorrente era stato condannato. Cosi' come la possibilita' di far valere nei confronti della parte civile pretese restitutorie non elide la valutabilita' in sede di riparazione dell'errore giudiziario delle conseguenze patrimoniali della vendita dell'immobile, per di piu' ad un prezzo non adeguato al valore commerciale di quest'ultimo, addotte dal ricorrente. Manca poi totalmente la tematizzazione del profilo inerente al danno alla salute, dovendosi valutare quanto dedotto al riguardo dal ricorrente, onde e' da ravvisarsi anche il vizio di mancanza di motivazione, che e' configurabile non solo allorquando quest'ultima venga completamente omessa ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio (Sez. 6, n. 27151 del 27-6-2011; Sez. 6, n. 35918 del 17-6-2009, Rv. 244763). 3. E' fondato anche l'ultimo motivo di ricorso. Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che in sede di giudizio di revisione e' stata acclarata l'assenza di DNA dell'istante nei reperti relativi ai prelievi vaginali della persona offesa effettuati in ambito ospedaliero il giorno della denunziata violenza sessuale e rimasti ivi conservati. L'accertamento di ufficio al riguardo era stato infruttuosamente sollecitato dall'imputato alla Corte d'appello di L'Aquila, adita con il gravame da lui proposto. La questione era stata prospettata altresi' dall'imputato in sede di ricorso per cassazione. Contraddittoriamente pertanto il giudice a quo ha addebitato al (OMISSIS) un profilo di colpa consistente in una tardiva attivazione degli strumenti di analisi del reperto, con conseguente verifica delle risultanze del DNA, pur evidenziando che l'imputato gia' nell'originario giudizio di cognizione aveva prospettato la problematica e ritualmente formulato istanza volta all'effettuazione di accertamenti al riguardo, censurando anche la risposta negativa della Corte d'appello in sede di ricorso per cassazione. 4. L'ordinanza impugnata va dunque annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Campobasso. In ragione del titolo di reato sottostante, si impone l'oscuramento dei dati personali. PQM Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Campobasso. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del'articolo 52 d. Ig. 196703, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/2/2022 della Corte d'appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giordano Luigi, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; udito per la parte civile (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque rigettare l'impugnazione dell'imputato, confermare le statuizioni civili a favore della parte civile costituita e condannare l'imputato a versare a favore dello Stato le spese di rappresentanza e assistenza a favore della parte civile costituita, ammessa al patrocinio a spese dello Stato; udito per il ricorrente l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 febbraio 2022 la Corte d'appello di Bologna ha respinto l'impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 10 febbraio 2021. del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Piacenza con la quale lo stesso, a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile (alla quale era stata assegnata una provvisionale immediatamente esecutiva dell'ammontare di Euro 30.000,00), in relazione ai reati di cui all'articolo 572 c.p. (commesso nei confronti della consorte fino al (OMISSIS)), articolo 609 bis c.p. (commesso nei confronti della medesima persona il (OMISSIS)), articoli 582 e 585 c.p. (commesso in danno della medesima vittima il (OMISSIS)). 2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi. 2.1. In primo luogo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione in riferimento alla affermazione della configurabilita' del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui al capo a), essendo erroneamente stati interpretati i dissapori tra il ricorrente e la consorte, non essendo stato considerato che in occasione del suo accesso presso il pronto soccorso dell'Ospedale di Cremona il (OMISSIS) la coniuge del ricorrente aveva escluso precedenti episodi di violenza fisica nei propri confronti da parte del marito, con dichiarazione che si poneva in contrasto con il ritenuto quadro di vessazioni e soprusi posti in essere dal ricorrente nei suoi confronti e successivamente denunciato; anche le altre dichiarazioni considerate dai giudici di merito, della madre della persona offesa e di tale (OMISSIS), non consentivano di ravvisare condotte vessatorie o prevaricatrici del ricorrente, ma, semmai, un rapporto conflittuale con la famiglia di origine della moglie. Gli altri aspetti considerati dalla Corte d'appello di Bologna per ritenere dimostrate le condotte maltrattanti contestate al ricorrente, tra cui gli asseriti maltrattamenti nei confronti della precedente compagna dell'imputato e le minacce rivolte a una assistente sociale, erano estranei al rapporto con la persona offesa e, comunque, dette vicende si erano concluse con pronunce assolutorie, cosicche' non potevano costituire riscontro delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. I toni utilizzati con il (OMISSIS) e i messaggi rivolti alla moglie dovevano poi essere valutati alla luce della scoperta della relazione adulterina della moglie, dunque come comportamenti occasionali e non abituali, inidonei a consentire di ritenere configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia, necessariamente caratterizzato dalla abitualita', che nella specie non era stata accertata, con la conseguente insussistenza degli elementi costitutivi di tale delitto. 2.2. Analoghi rilievi, di violazione di legge penale e vizio di motivazione, a causa della errata valutazione delle prove, ha sollevato con il secondo motivo, con riferimento alla affermazione di responsabilita' in relazione al delitto di violenza sessuale di cui al capo b), che era stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, senza raffrontarla con gli elementi di prova a discarico, tra cui il referto del pronto soccorso dell'Ospedale di Cremona, presso il quale la vittima si era recata il (OMISSIS), che non era compatibile con il suo racconto, non essendo plausibile che il rapporto sessuale intercorso tra l'imputato e la vittima non avesse lasciato alcuna traccia, non essendo neppure stati rinvenuti riscontri di tipo biologico alla riferita penetrazione vaginale subita dalla donna. Ha, inoltre, prospettato l'errata considerazione dei messaggi intercorsi tra lo stesso ricorrente, la moglie e il (OMISSIS), che avrebbero, piu' correttamente, dovuto essere letti alla luce della scoperta della relazione adulterina intrattenuta dalla consorte del ricorrente. 2.3. Con il terzo motivo ha lamentato un vizio della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 3, in relazione al delitto di violenza sessuale di cui al capo b), non essendo stata considerata, nel disattendere la relativa richiesta formulata con l'atto d'appello, la dinamica della condotta, non caratterizzata da percosse o coercizione fisica, ma solo dall'assenza di collaborazione da parte della vittima, con la mancata considerazione dei mezzi e delle modalita' dell'azione, come invece richiesto dalla costante giurisprudenza di legittimita' sul punto. 2.4. Con il quarto motivo ha lamentato ulteriori violazioni di disposizioni di legge penale e altri vizi della motivazione, con riferimento alla conferma della affermazione di responsabilita' anche in relazione al delitto di lesioni di cui al capo c), che era stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa e sul citato referto del pronto soccorso, senza l'illustrazione delle ragioni della riconducibilita' delle lesioni al ricorrente. 2.5. Con il quinto motivo ha lamentato un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla esclusione della configurabilita' della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 2, per l'indebita esclusione, fondata solamente sul fatto che all'epoca della consumazione della violenza sessuale i due coniugi vivevano separati, della commissione del reato di lesioni personali in conseguenza dello stato d'ira determinato dalla scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dalla moglie, tenendo conto che il fatto ingiusto altrui determinante lo stato d'ira idoneo a consentire di ritenere configurabile detta circostanza attenuante non deve essere valutato solamente in relazione a condotte antigiuridiche, ma anche a condotte contrarie a norme sociali e di costume, tra cui rientra l'adulterio, che viola l'articolo 143 c.c., e che e' comunque idoneo a provocare un profondo turbamento emotivo e psicologico. 2.6. Con il sesto motivo ha lamentato la violazione di legge penale e l'illogicita' della motivazione, nella parte relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio, non essendo stata applicata la riduzione per le circostanze attenuanti generiche nella misura massima e non essendo stata considerata, nella determinazione degli aumenti di pena per la continuazione, la subitaneita' della condotta dell'imputato. 2.7. Infine, con il settimo motivo, ha denunciato la carenza e l'illogicita' della motivazione anche nella parte relativa alle statuizioni civili, non essendo state specificate la tipologia di danno subito dalla parte civile ne' le prove a sostegno del relativo risarcimento, ne' indicati i parametri sulla base dei quali era stata determinata la provvisionale immediatamente esecutiva assegnata alla parte civile. 3. Con memoria del 7 marzo 2023 la parte civile ha sollecitato la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso, sottolineando il carattere non consentito e la manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dell'atto d'appello, e' manifestamente infondato. 2. Il primo motivo, mediante il quale sono state lamentate l'errata applicazione di disposizioni di legge penale e vizi della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilita' dell'imputato in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia e' inammissibile, sia perche' e' volto, peraltro in modo generico, in quanto privo di autentico confronto critico con il complesso della struttura argomentativa della sentenza impugnativa (oltre che di quella conforme di primo grado, cui quella impugnata ha fatto rinvio), a conseguire una non consentita rivalutazione sul piano della loro lettura delle risultanze istruttorie; sia perche' e' manifestamente infondato, in quanto la Corte d'appello ha adeguatamente illustrato la sistematicita' delle condotte maltrattanti poste in essere dal ricorrente nei confronti della consorte, in modo da giustificare sufficientemente la conferma della configurabilita' del delitto di maltrattamenti di cui al capo a). In particolare, la Corte d'appello di Bologna, dopo aver dato atto della attendibilita' della persona offesa, sottolineando l'assenza di intenti rivendicativi o calunniosi e la linearita' e la coerenza delle sue dichiarazioni, riscontrate da quelle della madre e dal referto del pronto soccorso del 17/10/2017, oltre che dai messaggi telefonici inviati dallo stesso imputato nella medesima giornata, subito dopo l'aggressione sessuale e la fuga della vittima, ha evidenziato, concordemente con il primo giudice, come la relazione coniugale tra l'imputato e la persona offesa fosse stata caratterizzata sin dal suo inizio da comportamenti vessatori e da soprusi da parte dell'imputato nei confronti della consorte, divenuti progressivamente pressoche' quotidiani, caratterizzati anche dal progressivo forzato isolamento della persona offesa dai suoi amici e dai genitori, comportamenti proseguiti anche dopo l'allontanamento della vittima dalla abitazione familiare, in tal modo dando conto in modo adeguato della realizzazione da parte dell'imputato, attraverso comportamenti aggressivi, possessivi e minacciosi, di un clima di sopraffazione allo scopo di sottoporre la consorte al suo controllo, idonei a consentire di ritenere configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia contestato sub a). Tali rilievi, fondati su una approfondita ricostruzione delle condotte dell'imputato e dei suoi rapporti con la coniuge, sono stati censurati in modo generico e, soprattutto, sul piano della lettura degli elementi di prova, allo scopo di escludere, attraverso una loro lettura alternativa, la realizzazione delle condotte maltrattanti, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimita', nella quale e' esclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, c.c. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716). 3. Il secondo motivo, relativo al delitto di violenza sessuale, pure commesso in danno della consorte, e' inammissibile, essendo volto, anch'esso, a conseguire una indebita rivalutazione delle prove acquisite, che sono state valutate in modo logico e concorde da entrambi i giudici di merito. Va, anzitutto, osservato che si e' in presenza di una "doppia conforme" statuizione di responsabilita', il che limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimita', nel senso che, ai limiti conseguenti all'impossibilita' per la Corte di cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perche' e' estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l'ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del "travisamento della prova", a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non e' questo pero' il caso: il ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, laddove censura l'attendibilita' della persona offesa, che, invece, come si dira', e' stata oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede. Va, poi, ulteriormente precisato che, ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Va poi ricordato che il controllo del giudice di legittimita' sui vizi della motivazione circoscritto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, in forza del quale l'illogicita' della motivazione, censurabile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e' soltanto quella evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; cio' in quanto l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta' del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074). Il controllo di legittimita' sulla motivazione non attiene percio' ne' alla ricostruzione dei fatti, ne' all'apprezzamento del giudice di merito, ma e' limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorieta' della motivazione o di illogicita' evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv, 251760). Occorre ricordare, sempre in premessa, l'orientamento, ormai consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimita', concernente i criteri di valutazione della testimonianza della persona offesa nella materia dei reati sessuali. In argomento, questa Corte ha ripetutamente affermato che la deposizione della persona offesa si configura, nel vigente ordinamento processuale, come "prova piena", come tale non necessitante di alcun elemento di riscontro. Tuttavia, proprio in ragione del particolare regime che caratterizza lo statuto dichiarativo della vittima di reati sessuali, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ribadito la necessita' di riservare una spiccata attenzione, da parte del giudice, ai racconti della persona offesa, vagliandone scrupolosamente la credibilita' soggettiva e l'attendibilita' del narrato, in specie quando vi sia stata la costituzione di parte civile e, dunque, l'astratta possibilita' di uno specifico interesse al riconoscimento della responsabilita' dell'imputato (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 8/07/2014, dep. 2015, Pirajno e altro, Rv. 261730; Sez. Un., n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214, cit.). Per comprendere il perimetro del sindacato riservato a questa Corte, va, infine, ribadito che l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' una questione di fatto, la quale ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non puo' essere rivalutata in sede di legittimita', salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Consegue a tali premesse la manifesta infondatezza delle censure mosse al ragionamento probatorio svolto dalla sentenza impugnata, che e' esente da manifeste contraddizioni che ne inficino la tenuta logica. Invero, il ricorrente non si confronta con l'ampia e approfondita motivazione del giudice di primo grado, confermata dalla sentenza impugnata, laddove si e' ritenuta l'attendibilita' della persona offesa, per la coerenza e la linearita' del suo racconto, l'assenza di intenti ritorsivi o calunniatori, sottolineando i plurimi riscontri alle sue dichiarazioni, derivanti da quanto riferito dalla madre e da quanto emergente dal referto del pronto soccorso presso il quale la persona offesa si era recata dopo aver subito la violenza e le lesioni, oltre che le sostanziali ammissioni rinvenibili nel contenuto dei messaggi telefonici inviati dall'imputato alla vittima dopo la violenza. Tali rilievi, logici e idonei a giustificare la conferma della affermazione di responsabilita' anche per il delitto di violenza sessuale di cui al capo b), non sono stati considerati, tantomeno in modo critico, dal ricorrente, che, anche a questo proposito, ha proposto una mera, non consentita, rilettura delle risultanze, onde giungere a una loro valutazione alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimita'. 4. Il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell'ipotesi del fatto di minore gravita' di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 3 e' anch'esso inammissibile, essendo volto a censurare esclusivamente sul piano delle valutazioni di merito il giudizio della Corte d'appello, che ha adeguatamente giustificato, dando conto della grave invasione della sfera di liberta' sessuale della vittima, l'impossibilita' di qualificare la condotta dell'imputato come di minore gravita'. Compiendo la prescritta valutazione complessiva della condotta e della sua incidenza nella sfera di liberta' psicofisica della vittima la Corte d'appello ha evidenziato come la violenza sessuale sia stata preceduta da percosse e minacce, accompagnata da frasi di scherno e dispregiative, caratterizzata dall'approfittamento delle condizioni di ottundimento in cui la vittima si trovava a causa delle precedenti molteplici percosse e vessazioni, per il trauma cranico subito e per la somministrazione di farmaci, oltre che dall'approfittamento della fiducia riposta dalla vittima nei propositi di riconciliazione manifestati dall'imputato, in tal modo correttamente escludendo la lieve offensivita' della condotta o la modesta invasione della sfera di liberta' sessuale della vittima. Anche tali considerazioni, idonee a giustificare l'esclusione della riconoscibilita' di detta circostanza attenuante, sono state censurate in modo generico e assertivo e, soprattutto, esclusivamente sul piano delle valutazioni di merito, dunque, anche a questo proposito, in modo non consentito in sede di legittimita'. 5. Il quarto motivo, relativo alla affermazione di responsabilita' per il delitto di lesioni di cui al capo c), e' inammissibile, sia a causa della sua genericita', sia perche' e' volto anch'esso a sindacare sul piano del merito il giudizio di attendibilita' della persona offesa (che, come esposto ai punti 2 e 3, e' stato adeguatamente e logicamente illustrato in entrambe le sentenze di merito), sia perche' prospetta una indebita lettura alternativa degli elementi di prova, che, pero', sono stati valutati in modo logico dai giudici di merito, che anche quanto a tale delitto hanno sottolineato la piena attendibilita' della vittima, oltre che gli inequivoci riscontri rinvenibili nel certificato del pronto soccorso presso il quale la vittima si reco' la mattina successiva alla realizzazione della violenza sessuale e delle lesioni. 6. Il quinto motivo, relativo alla esclusione della configurabilita' della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 2, e' manifestamente infondato. Al fine della sussistenza dell'attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, e' comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravita' del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un'evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, M. C., Rv. 271799), cosicche' tale circostanza attenuante, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalita', non e' configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d'ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira (Sez. 5, n. 8945 del 19/01/2022, Mangano, Rv. 282823). Nel caso in esame la Corte d'appello ha escluso la configurabilita' di tale circostanza attenuante evidenziando come l'impulso aggressivo dell'agente non sia sorto improvvisamente ma nel corso di una intera nottata, nel corso della quale questi aveva alternato vari stati d'animo e anche momenti di apparente calma, e anche l'assoluta sproporzione tra il fatto ingiusto prospettato dal ricorrente (costituito dalla relazione tra la vittima e un'altra persona, peraltro riferita dalla stessa persona offesa) e la reazione violenta e aggressiva da questi posta in essere. Si tratta, anche a questo proposito, di argomenti idonei, e logici e corretti in diritto, che il ricorrente non ha considerato, ma solamente criticato in modo assertivo, limitandosi a ribadire la prospettazione posta a fondamento della propria richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio attraverso il riconoscimento di tale circostanza, dunque, ancora una volta, in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, cioe' in modo non consentito nel giudizio di legittimita'. 7. Il sesto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, e' inammissibile, a causa della sua genericita' e del suo contenuto esclusivamente valutativo, essendo volto a censurare sul piano del merito le valutazioni concordi del primo e del secondo giudice in ordine alla misura della pena, sia per il piu' grave reato di violenza sessuale di cui al capo b), sia per la continuazione con i reati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni di cui ai capi a) e c). Va ricordato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, del 27/04/2017, Mastro e a., Rv. 271243). Quando - come accaduto nella specie - venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e' neppure necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale e' implicita la considerazione degli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). Analoghi criteri valgono con riguardo all'obbligo di motivazione concernente gli aumenti di pena stabiliti a titolo di continuazione. Come hanno di recente statuito le Sezioni unite di questa Corte, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, ma il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). Se ne e' conseguentemente fatto derivare il condivisibile principio secondo cui il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non e' tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entita', essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'articolo 132 c.p. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005). Ora, nel caso in esame, la Corte d'appello ha confermato il trattamento sanzionatorio ritenendolo congruo e adeguato alla gravita' delle condotte, sottolineando, quando alla pena base per il piu' grave reato di violenza sessuale, pari a 4 anni e 6 mesi di reclusione in considerazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la violenza esercitata prima della aggressione e le ripetute minacce di morte profferite nel corso della nottata trascorsa con la vittima, determinanti un notevole grado di coercizione nei confronti della stessa; quanto agli aumenti di pena per il reato di maltrattamenti, pari a un anno di reclusione, e lesioni, pari a sei mesi di reclusione, sono state evidenziate la durata delle condotte maltrattanti, protrattesi per circa due anni, e l'entita' delle lesioni. Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea e priva di illogicita' manifeste, che il ricorrente ha nuovamente censurato in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, con la conseguente inammissibilita' anche di tali censure. 8. Il settimo motivo, relativo alle statuizioni civili, oltre che, anch'esso, generico e valutativo, e' inammissibile, in quanto non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (cosi', da ultimo Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; nel medesimo senso gia', precedentemente, Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536). 9. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a causa della genericita', del contenuto non consentito e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00, oltre che alla rifusione alla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, delle spese processuali da essa sostenute, nella misura che sara' liquidata dalla Corte d'appello di Bologna. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. APRILE Ercole - Presidente Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/05/2022 della Corte d'appello di Cagliari visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Ombretta Di Giovine; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Andrea Venegoni, il quale conclude chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza, in accoglimento del quarto motivo del ricorso dell'imputata; udito l'avvocato (OMISSIS) in difesa della parte civile (OMISSIS), il quale conclude chiedendo la conferma della condanna; udito l'avvocato (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), il quale conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.1. Il Tribunale di Orestano, all'esito di giudizio abbreviato, condannava (OMISSIS) a due anni di reclusione e a 1.200,00 Euro di multa, per il delitto di tentata estorsione (articoli 56; 629 c.p.), per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco, dapprima a costringere (OMISSIS) a proporre una causa civile per la morte del marito, chiedendo un risarcimento danni per responsabilita' medica, al fine di ottenere un profitto trattenendo una percentuale del risarcimento ottenuto dalle assicurazioni, invece che procedere soltanto per via penale, come da volonta' della cliente e, successivamente, una volta revocatole il mandato, per aver tentato di costringere (OMISSIS) a pagare somme di denaro non dovute e sproporzionate per l'attivita' svolta (capo di imputazione a). Condannava l'imputata altresi' per il delitto di esercizio abusivo della professione (articolo 348 c.p.) poiche' abusivamente esercitava la professione di avvocato, in specie proponendosi per l'assistenza legale e curando pratiche legali per la cliente (OMISSIS), spendendo il titolo di avvocato sia con la cliente sia nei rapporti con consulenti medici e periti, esponendo in fattura l'aggiunta percentuale dovuta per contributi previdenziali c.p.A. Cassa forense, generando cosi' apparenza di attivita' svolta da soggetto regolarmente legittimato (capo b). 1.2. La Corte di appello di Cagliari riformava la sentenza qualificando il fatto di cui al capo a) (estorsione) in tentata truffa aggravata (articolo 56; 640, comma 2, n. 2, c.p.) e rideterminava pertanto la pena in anni uno di reclusione e 8.200,00 Euro di multa. Confermava nel resto la pronuncia impugnata. 2. Avverso tale sentenza (OMISSIS) ha presentato due distinti ricorsi, per il tramite dell'avvocato (OMISSIS) e per il tramite dell'avvocato (OMISSIS). 3. Nel ricorso redatto dall'avvocato (OMISSIS) sono dedotti due motivi. 3.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla tentata truffa. Premesso come non sia certamente rimproverabile il legale che consiglia al cliente, nel miglior interesse di quest'ultimo, la strategia giudiziaria da seguire, si precisa che, essendo (OMISSIS) rimasta, dopo la morte del marito, priva di fonti di sostentamento per se' e per i figli, correttamente (OMISSIS) aveva suggerito la via del risarcimento in sede civile, anche alla luce della totale ignoranza di (OMISSIS) in materia giuridica. (OMISSIS) e' titolare di un grosso studio di infortunistica e l'accordo (verbale) tra lei e (OMISSIS) era - del tutto conformemente alle tariffe in questo settore - che la prima percepisse a titolo di compenso per la prestazione professionale il 10% dell'importo del risarcimento, una volta erogato dall'assicurazione. Di conseguenza, prevedendosi un risarcimento per un importo certamente superiore a 1.500.000/2.000.000 Euro, il compenso di (OMISSIS) per l'attivita' si sarebbe aggirato attorno ad almeno 120/150.000 Euro. Cio' posto, nel ricorso si rileva come della fattispecie di truffa difettino gli elementi costitutivi. Mancherebbero, in particolare, sia gli "artifizi o raggiri", poiche' nella locuzione non puo' ricondursi l'accordo intercorso tra le parti, sia l'evento di profitto, avendo i giudici con esso confuso il lecito compenso atteso per la prestazione professionale. Si conclude chiosando come (OMISSIS) - la quale, avendo ricevuto nota di pagamento dopo la revoca del mandato, aveva ritenuto il compenso (80.000 Euro piu' oneri) troppo elevato piu' congruamente avrebbe dovuto scegliere la via dell'azione giudiziale, piuttosto che sporgere querela (in cio' mal consigliata dall'avvocato cui nel frattempo si era rivolta). 4.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all'esercizio abusivo della professione. Insussistente sarebbe anche la tipicita' di tale delitto, posto che (OMISSIS) e' patrocinatore stragiudiziale ed ha svolto, nel caso concreto, l'attivita' tipica di tale figura professionale, riconosciuta dall'ordinamento. I giudici obiettano che l'imputata avrebbe speso il titolo di avvocato con il cliente, i suoi fratelli ed anche con i medici legali e periti, nonche' nella documentazione scritta, tra cui una fattura che riportava l'aggiunta percentuale per i contributi previdenziali CPA, intesa come Cassa Forense. Tuttavia, in tal modo non avrebbero tenuto in conto il livello culturale delle persone che hanno cio' riferito e che non potevano cogliere la differenza tra attivita' legale e paralegale; non avrebbero considerato come l'uso del termine "avvocato" nella documentazione potesse essere dipeso da errore o da esigenze di semplificazione espositiva (il nome di (OMISSIS) seguiva infatti quello di altro professionista con titolo di avvocato); avrebbero ignorato che "CPA" - in quella che peraltro non e' una fattura ma una semplice nota pro-forma (con indicazione meramente orientativa dei costi) - e' l'acronimo di Cassa Previdenza Autonomi (non soltanto di Cassa Previdenza Avvocati), come anche indiziato dal fatto che nella nota non fosse indicata la voce del 15)-o che compete agli avvocati come rimborso spese forfettizzate. 5. L'avvocato (OMISSIS) articola sette motivi di ricorso. 5.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge penale processuale in relazione alla mancata corrispondenza tra accusa e sentenza. I giudici sarebbero incorsi in una chiara violazione del diritto di difesa. Nella ri-rubricazione del reato da estorsione tentata a tentata truffa aggravata, l'imputata, la quale aveva optato per il rito abbreviato, ha subito una nuova contestazione e si e' venuta, dunque, a trovare in una posizione diversa e deteriore rispetto a chi, della medesima imputazione fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio, essendo stata privata della possibilita' di operare scelte differenti. Cio', vieppiu' considerato che, essendo rimasto il capo di imputazione immutato quanto alla descrizione delle condotte attribuite, all'imputata sarebbe stata sottratta la possibilita' di conoscere gli specifici addebiti. Ne' le disposizioni in tema di abbreviato prevedono tale possibilita' (ove l'avessero prevista, avrebbero dovuto disporre, come negli articoli 516 c.p.p., una serie di rimedi per controbilanciare la privazione dei diritti di difesa). 5.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al capo a) di imputazione. Sono proposte considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle riportate a proposito del ricorso dell'avvocato (OMISSIS) quanto alla ragionevolezza della scelta di optare per la strada del risarcimento in sede civile, peraltro condivisa da (OMISSIS), e al carattere non sproporzionato del compenso concordato in relazione all'attivita' professionale da svolgere, nonche' di quello richiesto dopo la risoluzione del rapporto per revoca del mandato. Si precisa altresi' che: il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' durato ben nove mesi (dal giorno della morte del marito di (OMISSIS), il (OMISSIS), quando (OMISSIS) contatto' la donna, proponendosi per la gestione legale del sinistro, sino al 4 novembre dello stesso anno, data in cui (OMISSIS) revoco' il mandato); durante tale lasso di tempo sono state svolte attivita' e si e' fatto ricorso a consulenti, di cui uno ( (OMISSIS), il medico legale e delle assicurazioni) "convenzionato" con lo studio (OMISSIS) e un altro ( (OMISSIS), il chirurgo) dal primo indicato ma estraneo alla rete di rapporti professionali dello studio, che reclamava il compenso prima della chiusura della pratica e il cui pagamento (OMISSIS) volle, dunque, fosse posto da subito a carico della cliente. Di conseguenza - si aggiunge - alla luce dell'attivita' svolta e del risarcimento atteso (secondo le tabelle di Milano, utilizzate su tutto il territorio nazionale come punto di riferimento in materia), la richiesta di pagamento di (OMISSIS) (80.000 Euro) - intervenuta soltanto il 28 marzo 2017 - non era sproporzionata e comunque non e' stata accompagnata da alcuna minaccia. Inoltre, e' del tutto normale che (OMISSIS), di fronte alla revoca del mandato, abbia inviato una nota per chiedere il rimborso delle spese anticipate ai professionisti interni. 5.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al capo b) di imputazione. Alle considerazioni gia' riportate a proposito del ricorso presentato dall'avvocato (OMISSIS), si aggiunge che, premesso come all'imputata non sia stata contestata la spendita della qualifica professionale ai sensi dell'articolo 495 c.p., la nota in cui il nome di (OMISSIS) era preceduto nel testo dal titolo "Avv." veniva tuttavia firmata dalla stessa come "dottoressa". Inoltre, che (OMISSIS) sapesse che (OMISSIS) non era avvocato risulta altresi' dal testo della denuncia-querela, dove la prima riferisce di aver saputo dalla seconda che questa era titolare di uno studio di infortunistica al cui interno operavano varie figure professionali che sarebbero state tutte impegnate nell'assisterla nella tutela legale, aggiungendo di aver conferito l'incarico civilistico a due avvocati. Neppure e' conferente l'osservazione della Corte di appello dove si desume che (OMISSIS) si fosse qualificata come avvocato perche' solo in quella veste avrebbe potuto chiedere una consulenza sulla capacita' di intendere e di volere di (OMISSIS): piuttosto, si era chiesto alla psichiatra di valutare la salute mentale della vedova, pratica perfettamente lecita e tipica nella gestione stragiudiziale dei sinistri, in quanto volta a consentire la prova e la quantificazione del danno biologico, tanto piu' in una vicenda che aveva avuto esito mortale. 5.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge penale, per aver i giudici applicato una pena illegittima, in quanto determinata sulla base dei limiti edittali previsti in relazione alla fattispecie attualmente in vigore, mentre il fatto risale a un tempo antecedente alla L. 11 gennaio 2018, n. 3. Nel capo di imputazione si legge, infatti, come il delitto di esercizio abusivo della professione sia stato commesso dal (OMISSIS) al 16 gennaio 2018. Tuttavia il mandato e' stato revocato da (OMISSIS) il 4 novembre 2015 e, pertanto, a partire da quella data, (OMISSIS) non puo' aver posto in essere ulteriori condotte degne di rilievo, sicche' il reato deve ritenersi consumato, al massimo, in tale data. Il 16 gennaio 2018 - data finale della consumazione del reato secondo la contestazione e' il giorno in cui (OMISSIS) ha ricevuto raccomanda a.r. di Avv. (OMISSIS) con cui era invitata alla negoziazione assistita e, comunque, anche a quella data, non era ancora in vigore la L. 11 gennaio 2018, n. 3, in virtu' della vacatio legis. Non soltanto, dunque, la pena applicata in concreto dal secondo giudice e' illegittima perche' supera la pena massima prevista dalla norma vigente al momento della commissione del reato. Tale erronea valutazione ha anche comportato l'ulteriore errore di considerare piu' grave la violazione di cui al capo b) rispetto a quella del capo a). 5.5. Con il quinto motivo di ricorso si censura violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione perche' i giudici si sono discostati dal minimo edittale previsto dalla fattispecie di esercizio abusivo di una professione - irrogando una pena pari al doppio del minimo - senza spiegarne le ragioni. 5.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui l'imputata non e' stata considerata meritevole delle circostanze attenuanti generiche. Premesso, infatti, che non rappresenta una giustificazione adeguata la ritenuta mancanza di qualunque segno di ravvedimento da parte di (OMISSIS), i giudici si sarebbe sottratti al dovere di individualizzare, attraverso l'articolo 62-bis c.p., il trattamento sanzionatorio laddove esso non risulti proporzionato alla gravita' del fatto storico e rispettoso delle caratteristiche di personalita' del suo autore. 5.7. Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale sostanziale e omessa motivazione della sentenza nella parte in cui i giudici hanno ritenuto di non concedere all'imputata il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, nonostante specifica richiesta difensiva in tal senso e sebbene le concrete modalita' esecutive dell'episodio, certamente non sintomatiche di abilita' e professionalita' criminale e l'incensuratezza dell'imputata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che il contenuto del ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS) coincide sostanzialmente con quello di due motivi (secondo e terzo) del ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS) e che dunque i ricorsi saranno congiuntamente trattati, essi, seppur per parte versati in fatto, risultano fondati nei limiti e per le ragioni di seguito indicate. 2. Fondate appaiono, in particolare, le censure relative alla non configurabilita' del delitto di tentata truffa aggravata (articolo 56; articolo 640, comma 2, n. 2). 2.1. Sulla base della dettagliata descrizione della vicenda fattuale ad opera del giudice di secondo grado non puo' escludersi che la ricorrente fosse animata da un intento decettivo, come indicato da plurimi elementi. Tra essi e' possibile annoverare: l'atteggiamento elusivo della ricorrente di fronte alle richieste di chiarimento avanzate da (OMISSIS); la richiesta intermedia - di 8.000 Euro a (OMISSIS) con il pretesto di pagare il compenso del chirurgo consulente che, invece, e' successivamente risultato di gran lunga inferiore (2.440 Euro, e che fu poi comunque liquidato dalla stessa (OMISSIS), come peraltro da iniziali accordi); la telefonata alla psichiatra cui (OMISSIS) aveva indirizzato (OMISSIS) e che, sempre secondo la ricostruzione dei giudici di merito, mirava a condizionarne la diagnosi nel senso dell'affermazione di una incapacita' di intendere e di volere; la richiesta di un compenso finale che (a prescindere dalle prassi del settore e al di la' dei rilievi che saranno successivamente svolti a proposito dell'altro capo di imputazione) risulta oggettivamente sproporzionato - chiosano i giudici di merito, poco meno di 9.000 Euro al mese - oltre che con ogni probabilita' non dovuto (considerato che, secondo l'accordo verbale di cui parlano i ricorrenti, (OMISSIS) avrebbe dovuto pagare alla ricorrente il 10% del risarcimento ricevuto dall'assicurazione grazie alla sua opera ma che tale risarcimento non venne erogato). A prescindere, tuttavia, da ogni considerazione sulla sufficienza (o meno) di tali elementi ad integrare il delitto di truffa, anche solo tentata, il capo di imputazione, che condiziona lo svolgimento del processo ed orienta l'esercizio dei diritti di difesa, si incentrava su accuse specifiche e diverse. Gli addebiti consistevano, cioe', nell'aver tentato di costringere (OMISSIS), dopo la morte del marito a seguito di una operazione chirurgica, a proporre una causa civile - piuttosto che adire la via penale, come questa desiderava - e, dopo che le fu revocato il mandato, nell'aver tentato di costringere la cliente a pagare somme di denaro non dovute e appunto sproporzionate per eccesso rispetto all'attivita' svolta. Ebbene, la vicenda storica per come fotografata in tale contestazione e per come in parte ricostruita dai giudici di merito, e' segnata da forme di piu' o meno esplicite e sicuramente ripetute di pressione psichica nei confronti della parte civile, che concretano un comportamento discutibile sul piano deontologico ed etico - vieppiu' considerato che (OMISSIS) stava attraversando un momento molto delicato della sua vita -, forse anche suscettibili di trovare risposta sul piano civilistico. Esse appaiono, tuttavia, penalmente irrilevanti. Nel fatto difettano gli elementi costitutivi dell'estorsione (per cui (OMISSIS) era stata condannata in primo grado), non essendo ravvisabile la necessaria "costrizione mediante violenza o minaccia". Mancano pero' anche i requisiti della truffa, quantomeno sotto il profilo degli "artifizi o raggiri" che, gia' sulla base dell'insegnamento tradizionale, devono consistere, rispettivamente, nella trasfigurazione della realta' esterna e in quello che la risalente dottrina definiva "subdolo ravvolgimento dell'altrui psiche": laddove le condotte contestate manifestano un'esplicita finalizzazione induttiva, piuttosto che ingannatoria (cosi' come, a fortiori, non sono ravvisabili gli estremi della circostanza aggravante, la quale richiede l'aver ingenerato il timore di un pericolo "immaginario" e che si riferisce tradizionalmente a ben diverse manifestazioni criminologiche). 2.2. Per tale ragione, deve concludersi che il reato di tentata truffa aggravata non sussista, con la conseguenza che la sentenza impugnata va annullata in relazione al capo a) di imputazione. L'annullamento, non residuando spazio di deliberazione, va disposto senza rinvio. L'accoglimento dei ricorsi sul punto del difetto di responsabilita' per la tentata truffa aggravata comporta l'assorbimento dell'esame del primo motivo di ricorso dell'avvocato (OMISSIS), relativo all'asserita compressione dei diritti difensivi conseguente alla ri-qualificazione del fatto a seguito del giudizio abbreviato (invero, comunque insussistente, dal momento che il fatto storico e' rimasto lo stesso), come anche dei rilievi contenuti nel quarto motivo del medesimo ricorso a proposito del calcolo della pena per la continuazione. 3.1. Venendo alle deduzioni difensive concernenti la condanna dell'imputata per esercizio abusivo di una professione (articolo 348 c.p.), al di la' dell'apprezzamento degli elementi fattuali allegati nei ricorsi, invero equivoci e comunque sottratti alla cognizione del giudice di legittimita', si conviene con i rilievi della ricorrente la' dove si evidenzia che la mera spendita del titolo di avvocato da parte di chi non lo possieda, come nel caso di (OMISSIS), non concreta la fattispecie in oggetto. Questo collegio ritiene, infatti, che a tal fine - nel rispetto del principio di extrema ratio penalistica - debba piuttosto richiedersi la realizzazione di un'attivita' svolta in forma professionale, in modo continuativo, sistematico ed organizzato (in tal senso, Sez. 6, n. 32952 del 25/05/2017, Favata, Rv. 270853, in una fattispecie concreta di occasionale redazione di denuncia, ancorche' scritta su carta intestata). Nel caso di specie, tuttavia, (OMISSIS) non si e' limitata ad usare la qualifica di avvocato, posto che dalla sentenza, come pure dai medesimi ricorsi presentati si evince che la stessa ha svolto continuativamente, per nove mesi, una consulenza a favore di (OMISSIS) che mirava a conseguire il risarcimento in sede giudiziaria civile. Se e' cosi', non erra la difesa di (OMISSIS) quando evidenzia come non tutte le attivita' stragiudiziali siano dalla legge riservate agli avvocati, assistendosi peraltro - potrebbe aggiungersi - ad una sorta di flessibilizzazione degli originari comparti delle professioni, nella specie legali, e alla nascita di figure un tempo inesistenti. Sbaglia pero' quando dimentica che le attivita' destinate a sfociare in un contenzioso giudiziario sono riservate ai soli avvocati. E' vero, infatti, che l'a L. 14/01 del 2014, n. 4, articolo 1, nel disciplinare la "professione non organizzata in ordini o collegi", precisa (comma 2) che per tale "si intende l'attivita' economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo". Lo stesso comma prevede, tuttavia - immediatamente di seguito e per quanto qui rileva - l'espressa "esclusione delle attivita' riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile". Ora, premesso che nella riserva dell'articolo 2229 c.c. rientra l'attivita' forense, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 2, comma 6, nel disciplinarne l'esercizio, sancisce che "fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attivita' professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attivita' giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, e' di competenza degli avvocati". Ebbene, dalla lettura della sentenza impugnata risulta appunto come (OMISSIS) avesse ad esempio incardinato presso la Camera di Commercio una procedura specificamente definita di "mediazione", per legge obbligatoriamente prodromica e dunque "connessa" all'attivita' giurisdizionale. Ne' tale dato e' stato smentito, tramite contrarie e specifiche allegazioni, dalla difesa. Risultando dunque l'attivita' stragiudiziale esercitata dalla ricorrente, in difetto dell'apposito titolo abilitativo, connessa a quella giudiziaria civile ed essendosi tale esercizio prolungato per un periodo apprezzabile di tempo, deve concludersi che la Corte di appello di Cagliari ha ritenuto in maniera corretta e con motivazione non illogica che la condotta di (OMISSIS) integrasse il delitto di cui all'articolo 348 c.p.. 3.2. Nel caso di specie e con le precisazioni svolte, va, dunque, confermato l'insegnamento di questa Corte di legittimita', per cui integra il reato di esercizio abusivo di una professione (articolo 348 c.p.) il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorche' lo stesso compimento venga realizzato con modalita' tali, per continuativita', onerosita' e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attivita' professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, dep. 2012, Cani, Rv. 251819). Tale insegnamento e' stato d'altronde richiamato, in tempi piu' recenti e con riferimento ad una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, in Sez. 2, n. 46865 del 26/09/2019, Merenda, non mass., sentenza che, nel ribadire la ratio decidendi delle Sezioni Unite, evidenzia come le connotazioni di abitualita' nello svolgimento di attivita' pur di per se' non esclusivamente riservate ad una professione, siano comunque suscettibili di ingenerare affidamento nei terzi, mediante l'accreditamento di un apparente legittimo patrocinio, conforme ai fini di tutela degli interessi del fruitore, presidiati dai presupposti di onorabilita', competenza ed etica professionale propri dello specifico ordinamento. 3.3. Per le ragioni esposte, i motivi dei ricorsi tesi ad escludere la configurabilita', in capo all'imputata, del delitto ex articolo 348 c.p. devono essere rigettati. 4. Ferma dunque la responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di esercizio abusivo della professione, e' invece fondato il quarto motivo del ricorso presentato dall'avvocato (OMISSIS), relativo alla quantificazione della pena. Sul punto, va ricordato che la L. 11 gennaio 2018, n. 3 ha sostituito, nella fattispecie in oggetto, la pena della "reclusione fino a sei mesi o con la multa da Euro 103 a Euro 516" con la "reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da Euro 10.000 a Euro 50.000". Tale legge non era pero' ancora vigente al momento del fatto commesso, e cio' - per le ragioni indicate nel ricorso - a prescindere dal momento in cui debba ritenersi perfezionata la consumazione del reato - e cioe' alla data della revoca del mandato da parte di (OMISSIS), nel 2015, oppure al momento dell'inoltro della richiesta di pagamento tramite avvocato da parte di (OMISSIS), due anni e mezzo dopo, quando era comunque ancora pendente la vacatio legis. Di conseguenza, la modifica legislativa non avrebbe potuto essere applicata, se non incorrendo in un'inammissibile violazione del principio di irretroattivita' della legge penale. 5. Dovendo annullarsi sul punto la sentenza, con rinvio ai giudici di merito limitatamente alla nuova determinazione della pena - e conseguente passaggio in giudicato dell'affermazione di responsabilita' dell'imputata per il delitto di esercizio abusivo della professione -, risultano assorbiti altresi' il quinto e il sesto motivo del ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS), in cui sono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in rapporto alla scelta operata dai giudici di secondo grado, rispettivamente, di discostarsi dal minimo edittale nella commisurazione della pena e di non concedere le circostanze attenuanti generiche. 6. E' infine fondato e va, dunque, accolto il settimo motivo di ricorso dell'avvocato (OMISSIS), la' dove deduce l'omessa motivazione del provvedimento impugnato quanto alla richiesta dedotta in appello - di concedere all'imputata il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Su di esso il giudice del rinvio, dopo aver rideterminato la pena, sara' dunque chiamato a pronunciarsi. 7. Alla condanna per il delitto di esercizio abusivo segue la liquidazione delle stesse, nella misura richiesta dalla parte civile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo a) perche' il fatto non sussiste. Annulla la medesima sentenza in relazione al capo b) limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla non menzione della condanna e rinvia, per nuovo giudizio su tali punti, ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari. Visto l'articolo 624 c.p.p., dichiara la irrevocabilita' della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputata per il capo b). Rigetta il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 2.174,65, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS); (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/10/2021 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO; udito il PG Dott. CERONI FRANCESCA, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'avv. (OMISSIS), difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) in proprio e in qualita' di esercenti la responsabilita' genitoriale sul figlio (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Caltanissetta, in riforma della sentenza assolutoria del Giudice di Pace di Caltanissetta del 19 novembre 2020, ha condannato (OMISSIS) al risarcimento in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), per se' e per il figlio minore (OMISSIS), del danno patrimoniale e non patrimoniale, liquidato in via equitativa e definitiva nella somma di Euro 4.000 nonche' al rimborso delle spese processuali, in relazione al reato di cui agli articoli 40 e 590 c.p. (lesioni colpose per colpa consistente nel non aver controllato il proprio cane, cagionando ferite diffuse al cuoio capelluto, alle braccia e alle gambe di (OMISSIS)). Il Tribunale ha calcolato il danno nella misura di Euro 4.000 in via equitativa, in quanto le parti civili non avevano documentato in modo puntuale l'esatto ammontare della richiesta. Il Giudice a quo ha tenuto conto della mancanza di una valutazione analitica, della formazione unilaterale della documentazione sanitaria in atti (priva di indicazioni sui percorsi scientifici seguiti per quantificare un danno biologico pari al 10%) e dell'eta' della vittima (tale da ritenere il trauma agevolmente superabile con l'avanzare dell'eta'). 2. Le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), per se' e per il figlio minore (OMISSIS), a mezzo del comune difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale, proponendo due motivi di impugnazione. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 538 e 539 c.p.p.. Si deduce che, pur mancando la prova certa in ordine all'ammontare del risarcimento del danno, il Tribunale erroneamente non ha rimesso al giudice civile la determinazione del quantum. Nel caso in esame, la liquidazione in via equitativa non era consentita, in quanto il danno biologico era facilmente quantificabile secondo la comune scienza medica. L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa presuppone l'impossibilita' o la particolare difficolta' di provare il preciso ammontare del danno (articoli 1226 e 2056 c.c.). Non si trattava di un danno morale difficile da quantificare, bensi' di un danno biologico, che richiede ex lege il riferimento a parametri medico-legali e al sistema tabellare, occorrendo il riferimento all'uniformita' dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione (eta' del danneggiato ed entita' percentuale di danno riscontrato in sede medico-legale). Pertanto, si sarebbe dovuta emettere una pronuncia di condanna generica con remissione delle parti al giudice civile o sarebbe stato necessario quantificare una provvisionale nei limiti del danno per il quale si era raggiunta la prova. Il danno era notevolmente superiore alla cifra liquidata, in quanto il minore aveva subito ottanta punti di sutura nonche' un danno estetico ed un danno esistenziale. 2.2. Contraddittorieta' di motivazione. Si osserva che da un lato nella sentenza impugnata si e' ritenuto il danno non determinabile e non documentato dalle parti civili e dall'altra si e' disposta la liquidazione in via equitativa. 3. Con memoria dell'11 novembre 2022, la difesa di (OMISSIS) chiede dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso per nullita' del giudizio di secondo grado per mancanza di procura ad impugnare il presente giudizio. Si deduce che il presente procedimento discende da un giudizio di appello promosso dal difensore delle medesime parti civili avverso la sentenza del Giudice di Pace in mancanza di apposita procura ad impugnare (vedi copia dell'atto di appello, in cui si richiama la "giusta nomina con procura speciale agli atti", nonche' il relativo mandato in uno alla costituzione di parte civile al fascicolo dall'udienza del 6 maggio 2019). Tale procura speciale non comprende, ne' puo' ovviamente ex se riguardare, il conferimento ad impugnare i gradi conclusivi del giudizio ai sensi dell'articolo 576 c.p.p.. Pertanto, in assenza di un'esplicita previsione normativa di contenuto analogo a quella prevista per il difensore dell'imputato ai sensi dell'articolo 571 c.p.p., comma 3, va esclusa la legittimazione ad impugnare del patrocinatore di parte civile privo di procura speciale a lui rilasciata a tal fine. Occorreva dichiarare d'ufficio ex articolo 591 c.p.p., comma 2, e articolo 609 c.p.p., comma 2, la nullita' del giudizio di secondo grado per inammissibilita' del relativo atto di impugnazione con conseguente caducazione del giudizio di appello. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. In via preliminare va esaminata l'eccezione prospettata dalla difesa dell'imputato di nullita' del giudizio di secondo grado per mancanza di procura ad impugnare il presente giudizio. Al riguardo, va ricordato che e' legittimato a proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti), anche se non contenente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura "per un solo grado del processo", stabilita dall'articolo 100 c.p.p., comma 3, puo' essere vinta dalla manifestazione di volonta' della parte - desumibile dalla interpretazione del mandato - di attribuire anche un siffatto potere (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, Mazzarella, Rv. 229179; Sez. 6, n. 31362 del 08/05/2018, M., Rv. 273436; Sez. 3, n. 37220 del 16/05/2013, Abiati Rv. 256972). Nel caso in esame, nel conferire la procura speciale al proprio difensore, le parti civili adoperavano la formula "conferendo ogni ampio potere e facolta'", espressione con la quale l'attribuzione del potere al difensore di ottenere la pretesa risarcitoria vantata era esplicitamente correlata. Esse manifestavano chiaramente la volonta' di conferire al professionista la procura speciale non soltanto per il primo grado del processo; per tale ragione, pertanto, il medesimo difensore era legittimato a proporre appello, affinche' fossero emesse le statuizioni civili non rese dal Giudice di Pace, che aveva assolto (OMISSIS). Conseguentemente, l'eccezione prospettata dalla difesa dell'imputato e' infondata. 2. I motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto entrambi attinenti alla ritenuta erroneita' del calcolo del danno subito dalle parti civili, sono fondati. In linea generale va premesso che, in tema di condanna al risarcimento del danno, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, se ritiene le prove acquisite idonee a consentire di addebitare all'imputato, oltre alla responsabilita' penale, anche quella civile per il pregiudizio arrecato alla parte civile costituita, il giudice puo' liquidare direttamente la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno; qualora le prove non siano sufficienti a consentire la liquidazione del danno risarcibile, deve limitarsi a pronunciare condanna generica al risarcimento del danno e rimettere le parti davanti al giudice civile per la concreta quantificazione dello stesso (articolo 539 c.p.p., comma 1). Il principio della ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost.) impegna il giudice a trattare e a decidere le questioni che gli sono sottoposte nel piu' breve tempo possibile, senza evitabili e dilatorie deleghe. Pertanto, nel caso dell'inserimento dell'azione civile nel processo penale, il giudice, una volta accertato il fatto penalmente rilevante e inflitta la conseguente sanzione, e' chiamato a valutare la domanda di risarcimento dei danni e a procedere alla relativa liquidazione, quando ritenga di aver raggiunto la completa cognizione dell'an debeatur (Sez. 4, n. 13195 del 30/11/2004, dep. 2005, Dorgnak, non massimata sul punto). Peraltro, in base alla consolidata giurisprudenza civile - valida anche in relazione all'ipotesi di azione civile nell'ambito del processo penale - il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del piu' generale potere di cui all'articolo 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, senza necessita' della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equita' giudiziale correttiva od integrativa, con l'unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilita' del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l'impossibilita' di provare l'ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficolta' solo di un certo rilievo (Sez. Civ. 3, Ord. n. 13515 del 29/04/2022, Rv. 664639). Occorre che la parte abbia dimostrato l'esistenza di un danno risarcibile, conseguenza di un fatto illecito, o nell'ipotesi in cui il nocumento possa essere considerato in re ipsa all'evento in quanto discendente in via diretta e immediata dallo stesso. La parte, pertanto, e' onerata a provare tutti i fatti necessari affinche' il giudice possa colmare, con il criterio equitativo, le lacune nella quantificazione del nocumento stesso. In ogni caso vi deve essere una obiettiva impossibilita' o particolare difficolta' a fornire la prova del quantum debeatur. La liquidazione in via equitativa, pertanto, non puo' essere qualificata come un giudizio di equita' del tutto svincolato dalle norme di diritto (Sez. Civ. 3, n. 6218 del 31/03/2016, non massimata). L'esercizio di tale potere discrezionale presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare; esso riveste la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso. (Sez. Civ. 3, n. 127 del 08/01/2016, Rv. 638248). La facolta' di liquidare in via equitativa il danno presuppone: 1) il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un danno risarcibile; 2) la dipendenza dell'impossibilita' (o dell'estrema difficolta') di una stima esatta del danno da fattori oggettivi e non gia' dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entita' del danno. L'esercizio concreto, in senso positivo o negativo, del detto potere e l'accertamento dell'esistenza del presupposto costituito dall'impossibilita' o rilevante difficolta' della prova - se la decisione sia sorretta da motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto - non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimita'; il sindacato sussiste qualora la pronunzia difetta totalmente di giustificazione o si discosta macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280495 - 02; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170). In linea con tali principi, la giurisprudenza penale ha affermato che la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non puo' che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli e' stato determinato l'ammontare del risarcimento (Sez. 5, n. 23337 del 23/03/2022, Aloisio, non massimata; Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 263450). In conclusione, il giudice penale, a fronte della richiesta avanzata dalla parte civile di condanna generica, puo' provvedere, senza incorrere nel vizio di ultra-petizione, alla liquidazione immediata in via equitativa, dovendo tuttavia dare conto dei criteri utilizzati e valutare in concreto l'apporto causale del debitore in ordine al fatto generante il danno. 2.1. La giurisprudenza, quindi, ha chiarito i presupposti di ammissibilita' delle modalita' di determinazione e liquidazione del danno in via equitativa, che presuppongono un rigoroso rispetto dell'onere motivazionale. La sentenza impugnata non si e' conformata a tali principi, in quanto il Tribunale, contraddittoriamente, dopo l'affermazione della carenza probatoria in ordine all'esatto ammontare della somma richiesta dalle parti civili a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti, ha liquidato il danno patrimoniale e non patrimoniale in via equitativa. Come sopra analizzato, pero', tale operazione non e' consentita se non in presenza di una specifica indicazione del percorso argomentativo e cio', a maggior ragione, laddove - come nel caso di specie - il Giudice di secondo grado abbia calcolato, in via forfettaria, anche l'entita' dei danni patrimoniale e biologico cagionati alle parti civili e non solo quella del danno morale. Si tratta, peraltro, di danni conseguenti a lesioni cagionate da un cane, consistenti in ferite diffuse al cuoio capelluto, alle braccia e alle gambe, giudicate guaribili in quindici giorni, tutti suscettibili di essere determinati con una certa precisione mediante l'analisi della documentazione sanitaria e l'eventuale espletamento di un'apposita consulenza medica. La carenza probatoria in ordine all'entita' del danno (indipendentemente dalla sua natura patrimoniale o non patrimoniale) non consente la liquidazione in via equitativa, bensi' impone la liquidazione in via generica con rinvio al giudice civile per la determinazione del quantum. 3. Per tali ragioni la sentenza impugnata agli effetti civili va annullata limitatamente alla liquidazione del danno, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va altresi' demandata la regolamentazione delle spese di giudizio tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimita'. Poiche' la contestazione concerne un reato commesso ai danni di minorenne, va ordinata l'esecuzione degli adempimenti di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili limitatamente alla liquidazione del danno e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresi' la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimita'. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) RESPONSABILE CIVILE; avverso la sentenza del 16/09/2021 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. D'ANDREA ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ANTONIETTA PICARDI. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 settembre 2021 la Corte di appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari ha confermato la pronuncia del Tribunale di Sassari del 20 marzo 2020, conseguentemente condannando (OMISSIS) e il responsabile civile (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio e di quelle sostenute dalle costituite parti civili, liquidate in Euro 1.800,00 in favore di (OMISSIS) Vittoria ed in Euro 2.500,00 in favore delle altre parti civili. 1.1. In primo grado (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione in relazione al delitto di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2, contestatogli al capo A, con contestuale declaratoria di non doversi procedere in ordine ai reati di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 186, comma 2, lettera c) e comma 2-bis, (capo B) e articolo 187, commi 1 e 1-bis, (capo C) in quanto estinti per decorso del termine di prescrizione. Nei confronti del (OMISSIS) era stata, altresi', disposta la sospensione della patente di guida per anni tre, la condanna al pagamento delle spese processuali, oltra alla condanna, in solido con i responsabili civili (OMISSIS) e (OMISSIS), al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio civile, previo riconoscimento di provvisionali in loro favore. 1.2. E' stata, in particolare, ritenuta l'integrazione della condotta ascritta al capo A all'imputato per avere, alla guida di un autoveicolo Fiat Punto in cui era trasportato sul sedile anteriore (OMISSIS), per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, cagionato la morte del (OMISSIS). Il (OMISSIS), in particolare, aveva condotto l'autovettura a forte velocita', non commisurata alle condizioni della strada - considerato che si stava accingendo alla rampa di uno svincolo -, in stato di ebbrezza alcolica (valore pari a 2.29 g/l) e dopo avere assunto sostanze stupefacenti, cosi' da far sbandare l'automezzo perdendone il controllo ed andando a collidere violentemente con il guard-rail del lato destro della carreggiata. In conseguenza dell'impatto il (OMISSIS) aveva riportato delle fratture scomposte all'omero dx ed al 1 metacarpo, delle ferite multiple al viso, alla fronte, al cuoio capelluto, che ne avevano cagionato, qualche giorno dopo, il decesso a causa di un'insufficienza multi organo (MOF) favorita da un'insufficienza epatica di cui era sofferente, innescatasi a seguito del politrauma conseguito dal sinistro stradale. 2. Avverso l'indicata decisione ha, in primo luogo, proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, proponendo due motivi di doglianza. Con il primo e' stata dedotta violazione di legge con riferimento all'articolo 179 c.p.p., lettera c) e articolo 180 c.p.p. in relazione all'articolo 354 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., per il mancato avviso all'indagato della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, dalla cui violazione sarebbe derivata la nullita' degli accertamenti svolti con il prelievo ematico, oltre alla loro inutilizzabilita' per violazione dell'articolo 191 c.p.p., in relazione agli articoli 13, 24 e 32 Cost.. Il ricorrente lamenta, inoltre, omessa motivazione in ordine all'indicata eccezione, di decisivo rilievo ai fini della configurazione dell'aggravante di cui all'articolo 589 c.p., comma 3, - all'epoca dei fatti vigente -, nonche' in relazione alla tenuta logica della sentenza impugnata, con riguardo alla sussistenza del requisito della colpa. Il (OMISSIS) evidenzia come gia' il Tribunale, nel giudizio di primo grado, avesse ritenuto la correttezza in fatto dell'eccezione di nullita' da lui proposta, risultando giudizialmente accertato che non era stato effettuato alcun avviso all'indagato della facolta' di farsi assistere da un difensore al momento del prelievo ematico, tuttavia escludendone la fondatezza sotto il profilo giuridico, sul presupposto che, nella specie, non era dovuta l'effettuazione di tale avviso stante lo stato di incoscienza in cui versava l'indagato. A fronte di specifica doglianza eccepita in appello da parte del (OMISSIS), la Corte di merito aveva, del pari, rigettato l'indicata eccezione, tuttavia utilizzando una diversa argomentazione con cui, omettendo di affrontare i contenuti dello specifico motivo di impugnazione eccepito dall'appellante, aveva conferito rilievo alla circostanza che, nel caso in esame, l'accertamento del tasso alcolemico del (OMISSIS) si era svolto in maniera assolutamente regolare per essere stato effettuato nell'ambito di un protocollo terapeutico determinato da finalita' curative, conseguenti alla compromissione dello stato di salute dell'indagato a seguito dell'intervenuto incidente stradale, cosi' rendendo di irrilevante rilievo la sollecitazione a tal fine effettuata dagli operatori di P.G.. Il (OMISSIS) deduce, in seno al proprio ricorso, che tale argomentazione utilizzata dalla Corte di appello sarebbe stata superata dalla piu' recente interpretazione giurisprudenziale che, modificando il suo precedente indirizzo ermeneutico, ha affermato il principio per cui la polizia giudiziaria e' tenuta a dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia non soltanto ove richieda l'effettuazione di un prelievo ematico presso una struttura sanitaria ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, ma anche quando richieda che tale ulteriore accertamento venga svolto sul prelievo ematico gia' operato autonomamente da tale struttura a fini di diagnosi e cura, sicche', in definitiva, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria si limiti ad acquisire la documentazione dell'analisi - come non avvenuto nella fattispecie in esame, avendo la P.G.. richiesto l'effettuazione del prelievo ematico mediante fax inviato all'Ospedale di (OMISSIS). Pertanto, anche ove si fosse ritenuto che, nel caso di specie, il prelievo al (OMISSIS) fosse stato effettuato pure per ragioni di cura, e nonostante costui versasse al momento del prelievo in uno stato di incapacita', l'avviso ex articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p. si sarebbe dovuto comunque effettuare in un momento successivo, una volta che questi fosse ritornato capace, almeno al fine di valutare l'uso che si sarebbe dovuto fare dei gia' operati accertamenti ematici, riferendosi la ratio di tale avviso alla funzione svolta dall'atto e alla sua esclusiva vocazione probatoria. L'indagato, cioe', doveva essere posto nella condizione di scegliere liberamente se rifiutare l'uso dell'effettuato accertamento sul materiale ematico ovvero se decidere di acconsentirvi, cosi' facendo acquisire legalmente la prova. Con la seconda censura il (OMISSIS) ha eccepito violazione di legge con riferimento al disposto diniego delle circostanze attenuanti generiche, altresi' lamentando carenza di motivazione in ordine alle specifiche doglianze sul punto dedotte in seno al proprio atto di appello. Il riconoscimento del beneficio ex articolo 62-bis c.p. sarebbe, in particolare, giustificato dal fatto che il decesso del (OMISSIS) sarebbe stato determinato dalla verificazione di una serie di concause, parte delle quali estranee alla condotta imputabile al prevenuto, non apparendo in proposito sufficienti le elusive considerazioni rese in sentenza dalla Corte di merito, atteso che: risulterebbe irrilevante che l'intervenuto concorso di cause non era tale da escludere il riferimento eziologico del tragico evento alla condotta perpetrata dal (OMISSIS); non sarebbe stato specificamente valutato se il concorso di cause preesistenti e successive potesse integrare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; avrebbe errato la Corte territoriale nell'escludere l'applicabilita' nel caso di specie dell'attenuante di cui all'articolo 589-bis c.p., comma 7, - peraltro, entrata in vigore successivamente al fatto -, trattandosi di circostanza mai invocata da parte del (OMISSIS). 2.1. La sentenza della Corte di appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari e' stata, altresi', impugnata dal responsabile civile (OMISSIS), che, con unico motivo, ha lamentato, in seno al proprio ricorso, violazione di legge in relazione all'articolo 179 c.p.p., lettera c) e articolo 180 c.p.p. per mancato avviso all'indagato della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, dalla cui violazione sarebbe derivata la nullita' degli accertamenti svolti con il prelievo ematico, oltre alla loro inutilizzabilita' per violazione dell'articolo 191 c.p.p., con riferimento agli articoli 13, 24 e 32 Cost.. La ricorrente lamenta, altresi', omessa motivazione in ordine all'indicata eccezione. Le argomentazioni dedotte dalla (OMISSIS) sono in tutto coincidenti con quelle dedotte dal (OMISSIS) nel suo primo motivo di ricorso - al cui contenuto viene, pertanto, fatto integrale rinvio -. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. 4. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato nota scritta di replica alle conclusioni del Procuratore generale, insistendo, con argomentazioni varie, per l'accoglimento del ricorso. 5. Il difensore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato note scritte e conclusioni, con cui ha richiesto il rigetto dei ricorsi dell'imputato e del responsabile civile, con conferma delle statuizioni civili e condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla corresponsione delle spese processuali. 6. La parte civile (OMISSIS) ha depositato successive conclusioni, con cui ha chiesto di rigettare i ricorsi dell'imputato e del responsabile civile, con conseguente conferma della sentenza impugnata, condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita', altresi' chiedendo il riconoscimento della provvisoria esecutivita' della gia' disposta condanna al risarcimento del danno. 7. La parte civile (OMISSIS), in proprio e nella qualita' di madre esercente la potesta' genitoriale sulle minori (OMISSIS) e (OMISSIS), ha depositato memoria scritta e successive conclusioni, con cui ha chiesto di dichiarare inammissibili o rigettare i ricorsi dell'imputato e del responsabile civile, con conferma delle statuizioni civili e condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita' in favore dell'avvocato antistatario. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili. 2. Del tutto privo di pregio, in primo luogo, e' il comune motivo dedotto dall'imputato e dal responsabile civile avente ad oggetto la lamentata violazione di legge derivante dal mancato avviso al (OMISSIS) della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia in occasione dell'effettuazione del prelievo ematico. 2.1. La dedotta doglianza, infatti, risulta manifestamente infondata ove si osservi come, nel caso di specie, si verta in un'ipotesi di "doppia conforme" pronuncia di responsabilita', in cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si saldano per formare un unico apparato logico-argomentativo a cui il giudice di legittimita' deve riferirsi per valutare la congruita' e la completezza della motivazione che sorregge la decisione assunta. Ed allora, a fronte di una motivazione che in primo grado aveva chiarito, in termini giuridicamente corretti, le ragioni di insussistenza dell'eccepita nullita' ed inutilizzabilita' degli accertamenti svolti con il prelievo ematico, deve essere osservato come la successiva argomentazione resa dalla Corte di appello non si ponga in termini antiteci, adottando ragioni difformi - come invece ritenuto dai ricorrenti nelle loro impugnazioni -, ma si ponga quale mero completamento ed arricchimento della motivazione resa da parte del Tribunale. La Corte di merito, infatti, sul punto "condividendo la esaustiva e condivisibile motivazione del primo giudice a riguardo", ha espressamente affermato che "nel caso di specie lo stato d'incoscienza in cui si trovava il (OMISSIS), in seguito alle lesioni riportate per l'incidente, aveva reso oggettivamente impossibile agli operanti dare nei suoi confronti l'avviso della facolta' di nominare un difensore di fiducia prima del prelievo ematico e chiedere il consenso all'atto medico". 2.2. Nella specie, allora, assumono valenza troncante le considerazioni, gia' piu' volte affermate da questa Sezione, da applicarsi al caso di specie, per cui i giudici di merito hanno correttamente respinto l'eccezione di inutilizzabilita' dello svolto prelievo ematico, per asserita violazione delle norme dell'articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., avendo insindacabilmente riscontrato in fatto che l'imputato, a seguito del sinistro stradale, era in uno stato di incoscienza - confermato dai sanitari intervenuti e dal contenuto della cartella clinica - gia' dal momento in cui era giunto presso la struttura sanitaria, motivo per cui non era stato possibile dargli l'avviso, per cui il prelievo e l'esame tossicologico fu condotto in modo autonomo dai sanitari per acquisire tutti gli elementi necessari per apprestare le cure del caso, a prescindere dalla richiesta effettuata via fax dalla polizia giudiziaria. Appare, inoltre, evidente che gli avvisi difensivi non possono essere dati a soggetto in stato psicofisico di totale incoscienza, anche alla luce del disposto normativo dell'articolo 114 disp. att. c.p.p., che presuppone, ai fini della sua applicazione, la "presenza" - evidentemente consapevole - del soggetto sottoposto ad indagini. Per altro verso, affermare che lo stato di incoscienza dell'indagato impedisca di espletare un valido accertamento, per la nullita' derivante dall'omesso avviso, equivarrebbe ad introdurre una sorta di causa di non punibilita' in nessun modo prevista dalla legge, del tutto eccentrica rispetto alle finalita' preventive della normativa in materia di guida in stato di ebbrezza, la cui ratio e' quella di impedire il verificarsi di eventi idonei a compromettere l'incolumita' tanto del guidatore che degli altri utenti della strada, sicche' sarebbe paradossale attribuire una sorta di "immunita'" a soggetti il cui stato di incoscienza sia conseguenza della loro stessa condotta illecita. 2.3. Come osservato, a fronte dell'indicato rilievo, da ritenersi di troncante decisivita', e alle ulteriori argomentazioni rese a supporto dalla Corte di appello, i ricorrenti hanno sostenuto che la giurisprudenza considerata dalla Corte di merito sarebbe stata superata dalla piu' recente evoluzione interpretativa, che con la sentenza Sez. 4, n. 8862 del 19/02/2020, Zanni, Rv. 278676-02, ha affermato il principio per cui in tema di guida in stato di ebbrezza, la polizia giudiziaria deve dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell'articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., non soltanto ove richieda l'effettuazione di un prelievo ematico presso una struttura sanitaria ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, ma anche quando richieda che tale ulteriore accertamento venga svolto sul prelievo ematico gia' operato autonomamente da tale struttura a fini di diagnosi e cura, sicche', in definitiva, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria si limiti ad acquisire la documentazione dell'analisi. Orbene, l'indicato principio attiene ad un aspetto totalmente diverso da quello prospettato dai ricorrenti nei propri atti difensivi. Per come chiarito nella suddetta sentenza, infatti, con l'indicata accezione interpretativa si e' solo voluto precisare che la ratio sottesa all'obbligo di dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell'articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., non e' ricollegata alla tipologia dell'accertamento esperito, ma alla funzione dell'atto e alla sua esclusiva vocazione probatoria, per cui esso e' sussistente non solo nel caso in cui la polizia giudiziaria richieda l'effettuazione di un prelievo ematico presso una struttura sanitaria ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, ma anche nell'ipotesi in cui, invece, la polizia giudiziaria si limiti a richiedere l'esecuzione di un'ulteriore analisi su un campione biologico gia' prelevato per fini di diagnosi e cura. Conseguentemente, per come chiarito nella suddetta sentenza, unica situazione di insussistenza della necessita' di dare l'avviso e' quella "in cui gli stessi sanitari abbiano ritenuto di procedere per l'accertamento del tasso alcolemico e la p.g. rivolga una richiesta sostanzialmente inutile o si limiti ad acquisire la documentazione dell'analisi". Se tale, dunque, e' l'effettivo contenuto della pronuncia indicata, risulta evidente come esso in nessun modo corrisponda a quanto, invece, ritenuto da parte dei ricorrenti, per i quali da tale decisione emergerebbe che, in caso di incapacita' dell'interessato al momento dell'effettuazione del prelievo, l'avviso ex articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p. si dovrebbe effettuare in un momento successivo, una volta che costui sia ritornato capace, rimettendo a tale ultimo la valutazione in ordine all'uso, o meno, dell'effettuato accertamento sul materiale ematico. In realta', l'applicazione dell'indicato principio al caso di specie puo' solo condurre a ritenere che, nella fattispecie, si sarebbe dovuto dare al (OMISSIS) l'avviso della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia. Si tratta di valutazione fattualmente corretta, come pure ritenuto dai giudici di merito, anche se da ritenersi giuridicamente non fondata, sul presupposto che, per le ragioni in precedenza evidenziate, nel caso specifico non era dovuta l'effettuazione di tale avviso, stante lo stato di incoscienza in cui versava l'indagato. 3. Del pari manifestamente infondata e', poi, la doglianza con cui il (OMISSIS) ha lamentato la mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, ritenendosi adeguata e logica la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto che non vi fossero elementi idonei a consentire il riconoscimento del beneficio ex articolo 62-bis c.p., in particolar modo considerata la gravissima imprudenza posta in essere dall'imputato nel mettersi alla guida nonostante il consapevole abuso di sostanze alcoliche, peraltro procedendo ad una velocita' eccessivamente elevata in prossimita' di uno svincolo, cosi' ponendo in essere una condotta collegata da un indubbio nesso eziologico con la verificazione del decesso del (OMISSIS). Trattasi, pertanto, di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01). D'altro canto - in particolare dopo la modifica dell'articolo 62-bis c.p. disposta dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 - e' assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex articolo 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (cosi', tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241-01). 4. In ragione delle espresse considerazioni, allora, deve essere dichiarata l'inammissibilita' dei ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000). (OMISSIS) deve, altresi', essere condannato, in solido con il responsabile civile (OMISSIS), alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili nel presente giudizio di legittimita', da liquidarsi: a (OMISSIS) in Euro 3.000,00, a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 4.800,00, a (OMISSIS) in proprio e quale esercente la potesta' genitoriale sulle minori (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 4.800,00, da distrarsi, oltre per tutti accessori come per legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione in solido delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida quanto a (OMISSIS) in Euro 3.000,00, quanto a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 4.800,00, quanto a (OMISSIS) in proprio e quale esercente la potesta' genitoriale sulle minori (OMISSIS) e (OMISSIS) in complessivi Euro 4.800,00, da distrarsi, oltre per tutti accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza emessa in data 16/3/2022, ha confermato la pronuncia di condanna a carico di (OMISSIS) per i reati di cui all'articolo 590 c.p. e articolo 189 C.d.S., commi 1 e 6. 2. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, l'imputato, per colpa generica e specifica, consistita quest'ultima nella violazione dell'articolo 141 C.d.S., cagionava lesioni. personali lievi a (OMISSIS), giudicate guaribili in giorni otto, omettendo successivamente di ottemperare all'obbligo di fermarsi. Il ricorrente, alla guida della vettura Audi, affiancava in maniera pericolosa la Fiat 600 della (OMISSIS), che procedeva sulla corsia di destra, suonando ripetutamente il clacson, cosi' determinando la perdita di controllo della vettura da parte della donna, la quale, intimorita dalla condotta di guida dell'imputato, sterzava verso destra, scavalcando il marciapiedi e collidendo contro un palo dell'illuminazione. Dopo l'impatto l'imputato proseguiva la marcia senza fermarsi. I giudici di merito hanno desunto la prova della colpevolezza del (OMISSIS) dalle deposizioni della persona offesa e dei numerosi testimoni che assistettero al fatto ( (OMISSIS), conducente di un autobus che seguiva la (OMISSIS), (OMISSIS), conducente di una Nissan Micra, (OMISSIS), compagna del (OMISSIS) e passeggera della Nissan, (OMISSIS), pedone che stava transitando sul marciapiedi opposto a quello scavalcato dalla (OMISSIS)). Si legge nelle sentenze di merito che tutti i testimoni hanno confermato la dinamica dei fatti descritta dalla vittima. 3. L'imputato ha proposto ricorso per Cassazione a mezzo di difensore, formulando i seguenti motivi di impugnazione, riassumibili come segue, giusta il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1) Con il primo motivo la difesa deduce erronea applicazione della legge penale e di altre norme di cui si deve tenere conto ai fini della decisione. Si duole dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato in relazione ad entrambi i fatti contestati. Quanto al capo A) della rubrica lamenta: la ricostruzione offerta dai giudici di merito non corrisponderebbe a quanto emerso all'esito della istruttoria dibattimentale. Fu la persona offesa a perdere il controllo del veicolo e a serbare una condotta di guida pericolosa, imperita e negligente, immettendosi sulla strada principale senza dare la dovuta precedenza al conducente dell'Audi, in violazione delle norme del codice della strada. La valutazione del contenuto delle numerose testimonianze raccolte poste a fondamento del decisum si presta ad essere censurata sotto molteplici profili. Si tratta, invero, di dichiarazioni non lineari e non convergenti e che si contraddicono tra loro (dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS)). Nonostante che i testi abbiano reso contrastanti versioni circa la dinamica del fatto, la Corte di merito ha ritenuto degne di fede le dichiarazioni raccolte dalla persona offesa, la quale, essendo costituita parte civile, e' interessata all'esito del giudizio. Quanto al capo B) della rubrica, la Corte di merito non avrebbe fatto corretta applicazione della norma contestata. Dal contenuto delle testimonianze rese da (OMISSIS) e (OMISSIS) si evince come il ricorrente non si fosse accorto dell'accaduto. In presenza di versioni parzialmente contrastanti provenienti dai testimoni, emergendo dubbi sulla responsabilita' del (OMISSIS), i giudici avrebbero dovuto propendere per la sua assoluzione, quanto meno con formula dubitativa. In via gradata, i giudici avrebbero dovuto riconoscere la responsabilita' concorsuale della parte offesa e avrebbero dovuto concedere le circostanze attenuanti generiche, negate sulla base di una ingiustificata deduzione circa la pericolosita' e la gravita' della condotta ascritta al ricorrente. 2) Con il secondo motivo la difesa lamenta nullita' della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e vizio della motivazione. Le dichiarazioni rese in dibattimento dai testi e dalla parte civile sarebbero state male interpretate dai giudici di merito. La Corte di merito, dopo avere riportato in modo sintetico e non particolarmente fedele le dichiarazioni della parte offesa, quelle del teste (OMISSIS) (conducente dell'autobus) e quelle del teste (OMISSIS) (il quale aveva osservato tutta la dinamica dallo specchietto retrovisore), in modo apodittico ritiene attendibile la versione lacunosa e contraddittoria del teste (OMISSIS), senza cogliere le differenze e le contraddizioni che emergono al suo interno e rispetto alla narrazione degli altri testi. Avanza quindi due ipotesi: l'una secondo la quale il (OMISSIS), infastidito dalla manovra di immissione della (OMISSIS) intese richiamare la sua attenzione e intimorirla con l'inopinata manovra di affiancamento; l'altra che, dovendo svoltare a destra, trovando sulla corsia l'ostacolo rappresentato dalla vettura della (OMISSIS), immessasi sulla strada principale senza concedere precedenza, l'avesse volutamente sospinta, puntandola e suonando il clacson. Non considera un terzo e piu' norale scenario: completato il superamento dell'autobus - effettuato in piena regola, secondo il disposto di cui all'articolo 148 C.d.S., comma 3, - il (OMISSIS), nel riportarsi sulla corsia ordinaria si trovo' la traiettoria occupata dal veicolo della persona offesa, che si immetteva repentinamente, senza concedere la dovuta precedenza. Cosi' egli aziono' il clacson per richiamare l'attenzione della guidatrice (la qual cosa e' peraltro anche incerta, avendo la (OMISSIS) dichiarato di avere sentito suonare il clacson da molto lontano e di avere visto l'Audi superare l'autobus sempre continuando a suonare, diversamente dal teste (OMISSIS) che nulla ha riferito in proposito e dal teste (OMISSIS) che ha riferito di ritenere che fosse il conducente dell'Audi a suonare, senza esserne certo). La persona offesa, nelle circostanze dell'occorso, invece di rallentare o accostare per lasciare transitare l'auto del ricorrente, che godeva del diritto di precedenza, imprudentemente ed imperitamente si giro', guardando alla sua sinistra, distogliendo lo sguardo dalla strada e addirittura sterzando violentemente verso destra, cosi' da salire sul marciapiede ed impattare a forte velocita' contro il palo. Il (OMISSIS) non perse il controllo della sua auto: stava svolgendo una corretta manovra (lo conferma la deposizione del teste (OMISSIS), il quale riferisce che l'Audi procedeva lentamente e che si spostava leggermente verso destra, contrariamente a quanto dichiarato dal teste (OMISSIS)). Su tale contraddizione la Corte di merito non ha fornito alcuna motivazione, mancando di offrire spiegazioni sul fatto di avere privilegiato una tesi anziche' l'altra. Nulla ha motivato sulla volontarieta' o sulla esistenza dell'elemento soggettivo con riferimento alla prevedibilita' delle conseguenze dell'accaduto. Pur nella evidenza dell'assoluta probabilita' che il (OMISSIS) non si fosse accorto dell'accaduto, immotivatamente la Corte di merito opta per la consapevolezza da parte dell'imputato, violando il precetto relativo all'obbligo della motivazione e, in mancanza di prova certa, di pronunciare l'assoluzione seppure in forma dubitativa. E' sul punto pacifica la giurisprudenza circa la necessita' che l'allontanamento debba avvenire nella consapevolezza di aver cagionato l'evento dannoso e lesivo. 3) Con il terzo motivo la difesa lamenta errata applicazione della legge penale (articolo 81 c.p., comma 2); mancanza ed illogicita' della motivazione con riferimento all'articolo 590 c.p.. La difesa si duole della riconosciuta continuazione tra i due reati; ribadisce che il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto dalle fattispecie contestate, tra le quali non si individua il legame dell'unitarieta' del disegno criminoso, dovendo la causa del sinistro essere addebitata alla imperizia della giovane patentata che si e' spaventata al suono del clacson. Si duole del trattamento sanzionatorio adottato dai giudici di merito. 4) Con il quarto motivo di ricorso lamenta mancanza ed illogicita' della motivazione espressa dai giudici di merito in ordine alla quantificazione del danno patito dalla vittima, liquidato in complessivi Euro 5.500,00. Il Tribunale di Roma, lamenta la difesa, sulla sola scorta della certificazione medica prodotta dalla parte civile (referto di pronto soccorso con diagnosi di contusione ginocchio e al volto con prognosi di 8 giorni) e della relazione peritale di parte (che ha riconosciuto un'invalidita' temporanea assoluta di gg. 8; e relativa di gg. 10, nonche' inabilita' permanente del 4%), al di fuori di ogni parametro medico-legale, ha inteso liquidare la somma complessiva di Euro 5.500,00, comprensiva del danno morale per il patimento, lo spavento e la sofferenza subiti durante la malattia. La liquidazione risulterebbe assolutamente avulsa dai parametri in vigore per la determinazione dei danni da microlesioni, regolati dal Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articolo 139, che indica i criteri di quantificazione del danno non patrimoniale per lesioni di lieve entita'. Tale norma stabilisce il valore del punto base in Euro 814,27 e l'indennita' giornaliera in Euro 47,49 ed inoltre consente (comma 3) di aumentare fino al 20% l'importo del danno biologico. Le sentenze di primo e secondo grado non si sono attenute a tali criteri, pur richiedendo la giurisprudenza consolidata che la voce del danno non patrimoniale, in aggiunta al danno biologico, debba essere riconosciuta soltanto laddove il danneggiato alleghi tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e la prova degli stessi, anche mediante lo strumento delle presunzioni. Nella fattispecie in esame non vi sarebbe alcuna richiesta motivata e documentata in tal senso. Il riconoscimento del danno biologico e del danno morale nella misura liquidata si sarebbe sostanziato in mero arbitrio. 4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilta' del ricorso. La parte civile costituita ha depositato memoria conclusiva nella quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, allegando nota spese. La difesa dell'imputato ha depositato memoria conclusiva nella quale, insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con vittoria delle spese. 5. Il ricorso e' inammissibile. I motivi dedotti sono palesemente versati in fatto e riproduttivi di doglianze adeguatamente valutate e disattese nei gradi di merito sulla base di argomentazioni corrette in diritto e congrue sul piano logico. 6. Le censure contenute nei primi tre motivi di ricorso propongono questioni che riguardano la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale e la interpretazione delle prove assunte, aspetti la cui valutazione non compete alla Corte di legittimita'. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai Giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428 - 01). Esula dai poteri della Corte di Cassazione la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944 - 01; cfr. altresi' Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 - 01). Per altro verso, in virtu' di consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', gli aspetti riguardanti la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale, che attengono necessariamente al fatto, sono rimessi all'apprezzamento del Giudice della cognizione e risultano insindacabili ove non si individuino, come nel caso in esame, evidenti vizi di carattere logico nella motivazione (si veda in argomento, ex multis, Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Rv. 271679, cosi' massimata: "La ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia e' rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita' se sorretti da adeguata motivazione"). Tutto cio' premesso, non puo' non rilevarsi come il ricorrente solo apparentemente svolga una critica alle argomentazioni fornite dai giudici di merito, offrendo in realta' un'alternativa interpretazione delle testimonianze assunte e prospettando una diversa versione dei fatti, che non puo' essere delibata in sede di legittimita' a fronte di una motivazione che contiene una puntuale analisi della regiudicanda e perviene a conclusioni logicamente coerenti rispetto alle premesse. 7. Per quanto concerne la doglianza afferente alla prospettata erronea applicazione dell'articolo 81 c.p., comma 2, e' d'uopo rilevare come la ratio dell'istituto sia ispirata evidentemente al principio del favor rei, in quanto, con la disposizione di cui all'articolo 81 c.p. il legislatore ha inteso correggere gli eccessivi effetti sanzionatori derivanti dall'applicazione del criterio del cumulo materiale in presenza di un concorso, formale o materiale, di reati. Pertanto, il riconoscimento del vincolo della continuazione operato dai giudici di merito tra le fattispecie di reato per le quali e' intervenuta condanna e' frutto di una decisione a favore del ricorrente. Anche in relazione al c.d. reato di fuga (articolo 189 C.d.S., comma 6) il ricorrente ripropone una lettura della vicenda processuale in termini puramente oppositivi rispetto a quanto argomentato dai giudici in motivazione. Si ribadisce nel ricorso che l'imputato non si sia avveduto in alcun modo di quanto accaduto e che la responsabilita' dell'occorso debba essere attribuita esclusivamente alla persona offesa. Manca un reale confronto con la motivazione della sentenza, contenente una dettagliata disamina dei fatti, da cui sono tratte a supporto della decisione considerazioni del tutto adeguate in termini di coerenza logica. 8. I rilievi sul trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati: la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche riposa su argomentazioni idonee, rispettose dei principi stabiliti in questa sede (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549: "Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente"). Quanto alla dosimetria della pena, la giurisprudenza di legittimita' e' concorde nel ritenere che, ove la pena sia determinata nel minimo edittale o in misura prossima al minimo edittale, come nel presente caso, non e' richiesto che il giudice esprima una specifica motivazione, la quale e' invece necessaria allorquando la pena si attesti su valori superiori alla media edittale (cfr. Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Rv. 256464: "Nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l'obbligo di motivazione del giudice si attenua, talche' e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p."). 9. Del pari inammissibile e' l'ulteriore deduzione difensiva inerente alla liquidazione del danno riconosciuto alla parte civile. Deve ritenersi del tutto legittima la statuizione del Collegio, che ha offerto sul punto una motivazione adeguata, non censurabile in questa sede in termini di manifesta illogicita' o incoerenza. La decisione, si legge in motivazione, e' stata assunta sulla base delle prove acquisite in atti, rappresentate dalla certificazione medica del pronto soccorso e dagli esiti della perizia di parte. La giurisprudenza di questa Corte e' concorde nel ritenere che "La liquidazione del danno morale e' affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento" (Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Rv. 263450 - 01). La difesa critica genericamente l'entita' della liquidazione riconosciuta, che lamenta essere avulsa dai parametri in vigore per la determinazione del danno non patrimoniale per le lesioni di lieve entita', senza tuttavia precisare come tali criteri siano stati violati e di quanto la somma riconosciuta a titolo di risarcimento - comprensiva dei danni materiali e morali - si sia discostata dai parametri di riferimento. Ne deriva l'aspecificita' della doglianza formulata sul punto. 10. Consegue alla declaratoria d'inammissibilita' del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge. Sentenza a motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/11/2020 della Corte di appello di Messina; anche nei confronti di: (OMISSIS) (parte civile); visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SECCIA Domenico, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito, per la parte civile, l'avv. FEDERICO Fabio, in sostituzione dell'avv. RIZZO Valeria, che ha depositato conclusioni scritte in nota spese; uditi, per l'imputato, gli avv.ti CAIAZZA Gian Domenico e RAFARACI Tommaso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 novembre 2020, la Corte di appello di Messina ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 17 aprile 2019, con la quale l'imputato era stato condannato - anche al risarcimento del danno nei confronti della parte civile - per: A) il reato di cui all'articolo 609-bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 5), perche', con violenza, costringeva una donna a subire atti sessuali; dopo averla seguita mentre faceva rientro verso l'abitazione, le afferrava il braccio, la scaraventava per terra, la minacciava tenendole la bocca tappata e poneva in essere palpeggiamenti su tutto il corpo e sulle parti intime, con l'aggravante dell'aver agito approfittando di circostanze tali da ostacolare la privata difesa, ovvero di notte e in luogo semideserto; B) del reato di cui agli articoli 582, 585 c.p., con riferimento all'articolo 576 c.p., n. 5), perche', in occasione del fatto del precedente capo, cagionava alla persona offesa lesioni personali consistite in vari traumi e lievi ferite, oltre a uno stato ansioso reattivo. La Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla ritenuta responsabilita' penale, ma ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata e rideterminato la pena in anni cinque e mesi tre di reclusione. 2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite i difensori, un primo ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Si denunciano, in primo luogo, vizi di motivazione in relazione alla valutazione della prova della ritenuta responsabilita' penale, con particolare riferimento al riconoscimento dell'imputato da parte della persona offesa, che sarebbe avvenuto in incidente probatorio. Si lamenta che la Corte d'appello non si e' soffermata sulle ragioni per le quali deve ritenersi attendibile tale riconoscimento, ma esclusivamente sulle ragioni per le quali la vittima deve essere ritenuta credibile quanto alla descrizione della dinamica del fatto. In particolare, la Corte territoriale avrebbe valorizzato due fasi del tutto diverse, quella del riconoscimento di incidente probatorio e quella del successivo riconoscimento dell'imputato in aula nel corso dell'esame dibattimentale, accomunandole illogicamente. 2.2. Con un secondo motivo di doglianza, ci si duole di vizi della motivazione in relazione alla valutazione del preteso riconoscimento in incidente probatorio, sul rilievo che la sentenza avrebbe affermato: a) che la persona offesa ha dichiarato di avere visto bene in faccia l'aggressore, mentre nel verbale di prova sarebbe scritto: "l'ho visto di faccia perche' era sopra di me"; b) che la persona offesa aveva dichiarato di non aver visto dopo l'aggressione fotografie che ritraevano l'imputato, mentre dal verbale di prova risultava che questa aveva affermato di averlo visto riprodotto in fotografia dopo il fatto e prima del riconoscimento formale; c) che la persona offesa aveva visto il profilo Facebook dell'imputato - al quale aveva avuto accesso dopo averne il nome da un giornale - in cui il volto non era ben visibile, mentre la stessa aveva dichiarato di aver visto la foto del profilo Facebook che ritraeva l'indagato, ma non che il volto non fosse visibile; d) che la persona offesa non aveva avuto modo di vedere bene il volto dell'imputato nei video che lo ritraevano lungo la strada, nei quali, tuttavia, lo aveva riconosciuto dalla "camminata", mentre dal verbale di prova emerge che la stessa non ha detto di non aver potuto vedere bene in faccia l'imputato ma semplicemente di averne riconosciuto la "camminata". La difesa sostiene, inoltre, che la vittima, richiesta di descrivere preliminarmente i particolari del ricordo relativo alla persona dell'aggressore o a suoi segni identificativi o caratteristici, non ha fornito elementi idonei a rappresentare la peculiarita' della "camminata" alla quale si e' riferita. In conclusione, vi sarebbe un travisamento del dato probatorio rilevante, in relazione alla fase preliminare dell'operazione ricognitiva, di cui all'articolo 213 c.p.p., comma 1. 2.3. In terzo luogo, si deducono vizi della motivazione e la violazione dell'articolo 213 c.p.p., comma 1, prima parte, ancora in relazione al riconoscimento. Si sottolinea l'incongruenza della ricostruzione secondo cui la persona offesa avrebbe visto in volto l'aggressore e ne avrebbe conservato un ricordo affidabile rispetto alla circostanza che, il 6 agosto 2016, davanti alla polizia giudiziaria, questa aveva guardato gli stralci di ripresa delle videocamere poste sulle strade oltre alla foto che raffigurava il volto del potenziale aggressore, la quale non consentiva una nitida visione dello stesso; cosicche' l'identificazione era avvenuta solo grazie al riconoscimento della sua "camminata". Ulteriore elemento idoneo ad inficiare la successiva ricognizione sarebbe costituito dal fatto che la vittima, dopo aver letto sui giornali nome cognome e provenienza dell'imputato e averne visto la foto sul profilo Facebook, avrebbe poi proceduto alla ricognizione. Non si sarebbe considerato, inoltre, che pur avendo affermato di avere visto in faccia l'aggressore, la persona offesa non era stata in grado di fornire elementi rilevanti dei suoi tratti somatici. Sarebbe, inoltre, illogica la spiegazione secondo cui l'abnorme dilatazione della durata dell'aggressione indicata dalla vittima (10 minuti, anziche' molto meno tempo) e' dovuta ad una parziale perdita di lucidita', la quale non avrebbe pero' inficiato la capacita' di ricordare il volto dell'aggressore. Ne' la vittima ha saputo escludere con certezza il fatto che l'imputato portasse un cappello, come sembra dalla foto scattata da (OMISSIS). Secondo la prospettazione difensiva, dalle videoriprese il volto dell'imputato si vedeva nettamente, come confermato dal teste (OMISSIS) mentre la persona offesa ha inspiegabilmente ritenuto il contrario. 2.4. Una quarta censura si riferisce a vizi della motivazione con riguardo alla prova ricognitiva, in relazione all'articolo 213 c.p.p., comma 1, seconda parte. Si sostiene che vi sarebbe un travisamento del dato probatorio nell'escludere la visibilita' del volto dell'imputato negli stralci di videoriprese e nella fotografia di seguito estrapolata e visionata dalla persona offesa. Vi sarebbe, altresi', una scorretta valutazione del dato intermedio rappresentato dalla conoscenza del nome dell'imputato e dalla visione del suo profilo Facebook. Si richiamano, poi, studi psicologici dai quali emergerebbe che non vi e' una correlazione significativa fra la sicurezza con cui si esprime il ricognitore e l'affidabilita' del riconoscimento. 2.5. Con un quinto motivo di ricorso, si deducono vizi della motivazione nonche' la violazione dell'articolo 214 c.p.p., comma 1, in relazione allo svolgimento e alla valutazione della prova ricognitiva. Si sostiene che una delle altre persone che avrebbero dovuto essere il piu' possibile somiglianti all'imputato era in realta' un soggetto molto piu' anziano di lui. Si lamenta, altresi', il fatto che la discussione su tale elemento, avvenuta su sollecitazione della difesa, si sia svolta alla presenza della persona offesa che stava effettuando la ricognizione, e che ne sarebbe stata cosi' influenzata. La difesa precisa che non si tratta di una questione di formale nullita' del riconoscimento, ma di un elemento che incide sull'attendibilita' dello stesso, trattandosi di una prova che ha una "struttura poco sondabile", psicologicamente irripetibile e per la quale, dunque, il codice prescrive una sequenza procedimentale non sostanzialmente rispettata nel caso di specie. 2.6. Si deducono, poi, vizi della motivazione in relazione alla valutazione di ricostruzioni alternative dei fatti, in particolare in relazione alla fotografia che (OMISSIS) scatto' circa 17 minuti dopo l'aggressione ad uno sconosciuto in cui ritenne di riconoscere l'aggressore, gia' visto scappare subito dopo la violenza. Non si sarebbe considerato in particolare che: a) (OMISSIS), teste del tutto estraneo e disinteressato, aveva affermato di avere visto in modo nitido con un binocolo la persona che aveva fotografato sulle scale 17 minuti dopo il fatto; b) questa persona aveva gli stessi tratti e lo stesso abbigliamento dell'aggressore; c) vi e' corrispondenza tra la descrizione delle due figure fornita da (OMISSIS); d) egli ha sempre confermato che la persona vista sulle scale aveva un fare titubante e sospetto; e) la descrizione dell'aggressore fornita dalla persona offesa era coincidente con quella che (OMISSIS) aveva fornito; f) la persona offesa ha sempre confermato che il soggetto raffigurato nella foto scattata da (OMISSIS) poteva essere l'aggressore; g) nell'incidente probatorio per la ricognizione effettuato da (OMISSIS) questo aveva confermato l'identita' fra due soggetti visti; i) nell'incidente probatorio (OMISSIS) non aveva riconosciuto l'imputato quale aggressore, ne' di fronte ne' di spalle. 2.7. In settimo luogo, si censurano vizi della motivazione in relazione alla ricostruzione alternativa dei fatti, con riferimento alla lieve lesione rilevata dalla polizia giudiziaria sulla mano destra dell'imputato. Sarebbe stata disattesa la consulenza tecnica di parte secondo cui la lesione in questione e' riconducibile ad una punta acuminata e non e' âEuroËœcompatibile con lo strisciamento della cute sulla superficie arcuata di un'eventuale unghia. La difesa sostiene, sul punto, che le unghie non possono essere acuminate, ma al piu' taglienti, anche se molto lunghe. Si rileva, altresi', che la vittima non avrebbe descritto compiutamente il tipo di lesione inferta all'aggressore, ma solo il modo in cui aveva cercato di ribellarsi all'aggressione. 2.8. L'ottavo di motivo di doglianza e' riferito, ancora, a vizi della motivazione in relazione alla ricostruzione alternativa dei fatti. Si critica la sentenza nella parte in cui segnala come dati di rispondenza dell'aggressore con l'imputato il fatto che fosse siciliano e che avesse l'abbigliamento indicato sia dalla persona offesa che dal teste (OMISSIS). Si sostiene che si tratterebbe di dati non individualizzati, trattandosi di abbigliamento molto diffuso e di un fatto svoltosi in Sicilia. 2.9. Con un nono motivo di doglianza, si denunciano vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle riprese video delle telecamere comunali. Si contesta, in particolare, la ricostruzione del fatto nel senso che la persona offesa era stata seguita dall'imputato e dai suoi amici, nonche' la ritenuta compatibilita' del percorso effettuato dall'imputato con la versione accusatoria. La difesa ritiene rilevante la tempistica, secondo cui alle ore 4:55 l'aggressione era terminata e l'imputato era stato visto all'imbocco delle scale della funivia alle 4:50. Vi era stata una consulenza tecnica di parte la quale aveva affermato che l'imputato sarebbe potuto arrivare sul luogo del fatto solo alle ore 4:52 e 56 secondi, ovvero quando la violenza era gia' ampiamente in atto. La difesa afferma che il diverso calcolo delle tempistiche effettuato dalla Corte d'appello sarebbe ipotetico e congetturale, perche' si baserebbe sul fatto che il percorso era rappresentato da gradini in discesa e che, quindi, avrebbe potuto essere coperto in un tempo molto inferiore rispetto a quello indicato dal consulente di parte. Si lamenta, piu' in generale, che il giudice avrebbe opposto sue considerazioni agli esiti della consulenza di parte, senza disporre perizia o esperimento giudiziale. In ogni caso, anche a voler seguire le tempistiche fatte proprie dalla Corte territoriale, l'imputato sarebbe arrivato sul luogo del fatto alle ore 4:51 e 30 secondi, ovvero meno di quattro minuti prima della fine della violenza, collocata dalla Corte d'appello alle ore 4:55-4:56. 2.10. Una decima doglianza e' riferita alla ritenuta irrilevanza dell'assenza di tracce di DNA sui vestiti della vittima. La difesa sostiene di avere dimostrato, attraverso una consulenza tecnica di parte, che l'imputato e' affetto da una patologia per quale la sudorazione delle mani avrebbe certamente lasciato cellule epiteliali sui vestiti della vittima. La stessa difesa critica la sentenza nella parte in cui si basa sulla circostanza che l'imputato non ha fornito il proprio campione biologico per consentire un esame del DNA; sostiene, in contrario, che nel corso dell'esame l'imputato aveva risposto di essere stato disponibile a fornire il DNA gia' nel primo interrogatorio di polizia giudiziaria. 2.11. Con un undicesimo motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione in relazione alla mancata valutazione delle deposizioni dei testimoni a discarico, le cui versioni dei fatti sono coerenti con quelle dell'imputato. Si lamenta che la Corte d'appello avrebbe ritenuto inattendibile la loro versione, senza fornire un'effettiva motivazione, ma limitandosi ad affermare che si trattava di sodali dello stesso, che avrebbero con lui concordato un alibi. 3. Con secondo ricorso, a firma dell'avv. Rafaraci, si lamenta, con unico motivo di doglianza, l'omessa pronuncia sulla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale diretta all'adozione di due sovraintendenti di polizia, alla quale il pubblico ministero aveva rinunciato senza il consenso alla difesa. Si tratterebbe di coloro che avevano attivamente partecipato all'attivita' di indagine, visionando le immagini delle telecamere comunali e sottoscrivendo un'annotazione di servizio nella quale si attestava la frequentazione dell'imputato nel locale che aveva frequentato anche la vittima proprio nei giorni successivi al fatto in contestazione. Era stata richiesta in subordine l'acquisizione dell'annotazione di servizio, ma lamenta la difesa - la Corte distrettuale aveva omesso di rispondere anche su questa richiesta. 4. Il procedimento, inizialmente assegnato alla settima sezione e' stato poi trasmesso alla terza sezione di questa corte. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 1.1. I primi cinque motivi di doglianza - che possono essere trattati congiuntamente, in quanto attengono alla ricognizione della persona dell'imputato - sono infondati. Va premesso, in punto di diritto, che, in tema di criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dal testimone oculare, rientra tra i compiti del giudice considerare, sulla base dei dati di fatto, anche l'incidenza, sull'accuratezza e la credibilita' della testimonianza, nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, delle possibili interferenze, sulla percezione visiva dei fatti, della posizione del teste rispetto ad essi e delle condizioni di illuminazione dei luoghi, della operata surrogazione, da parte dello stesso teste, delle lacune visive, con la sua pregressa esperienza e conoscenza, e della sicurezza manifestata nel riferire di quanto osservato (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647 - 05). Deve ulteriormente permettersi che, in tema di riconoscimento, l'articolo 213 c.p.p. non pone come pregiudiziale la circostanza che il soggetto che procede al riconoscimento non abbia visto, di persona o in fotografia o su altro supporto rappresentativo la persona oggetto del riconoscimento tra il momento del fatto in relazione al quale il riconoscimento assume rilevanza e il momento del riconoscimento stesso. Anzi, la disposizione contiene una serie di indicazioni circa gli elementi che devono essere conosciuti e scrutinati dal giudice al fine di valutare al genuinita' del riconoscimento. Cio' e' quanto avvenuto nel caso di specie, in cui: a) la persona offesa non ha riconosciuto del tutto l'imputato ne' nelle videoriprese ne' nella foto, trattandosi di rappresentazioni non chiare del suo volto, anche se ha riconosciuto nelle videoriprese dati meno equivoci e piu' evidenti, quali il modo di camminare e l'abbigliamento; b) successivamente, la stessa persona offesa ha appreso da un giornale il nominativo dell'indagato e ha cercato su Facebook sue immagini, trovandone solo una, nella quale il volto era rappresentato in modo poco chiaro; c) in sede di riconoscimento in incidente probatorio, svoltosi nel rispetto dell'articolo 213 c.p.p., la vittima ha con certezza riconosciuto l'imputato, come lo ha nuovamente riconosciuto all'udienza dibattimentale. Ne' puo' affermarsi che il fatto che la persona offesa avesse appreso il nominativo dell'indagato e ne avesse trovato un'immagine di Facebook infici la genuinita' del riconoscimento, perche' vi erano ulteriori elementi univoci, quali abbigliamento e camminata, gia' menzionati davanti alla polizia giudiziaria. I giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, hanno considerato tale complesso di elementi al fine di apprezzare la genuinita' e l'oggettiva attendibilita' della versione accusatoria della persona offesa, sufficientemente accurata e priva di suggestioni o condizionamenti. Del resto, la prospettazione difensiva si limita sul punto a richiamare studi scientifici relativi alla capacita' di ricordare, la cui applicabilita' al caso concreto risulta meramente congetturale. Va dunque considerato che la persona offesa ha dichiarato di aver visto bene in faccia l'aggressore, in quanto questo si trovava sopra di lei, mentre contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - la circostanza che questa avesse visionato fotografie che ritraggono l'imputato dopo l'aggressione sul suo profilo Facebook risulta pacifica ed emerge, anzi, dalla stessa persona offesa; con una sincerita' su un dato per lei controproducente, che ne conferma l'attendibilita'. E risultano legate a dati fattuali - gia' valutati in sede di merito e non rivalutabili in questa sede - sia la circostanza della piu' o meno chiara visibilita' della rappresentazione dell'imputato nella fotografia sul suo profilo Facebook, sia le modalita' di riconoscimento della camminata e la mancata dettagliata descrizione dei tratti somatici dell'imputato stesso, sia la riconoscibilita' delle fattezze dell'imputato nelle videoriprese, sia il fatto se portasse un cappello durante il tragitto, sia le circostanze della durata dell'aggressione. Si tratta, in ogni caso, di elementi che, anche a prescindere dal carattere ipotetico e valutativo della prospettazione difensiva che li richiama, devono essere ritenuti logicamente secondari nell'economia motivazione del provvedimento impugnato in punto di riconoscimento. Infondati appaiono anche gli altri rilievi difensivi, in particolare relativi alle modalita' di riconoscimento, che sono state invece rispettose del dettato legislativo, e alla pretesa insorgenza di una discussione alla presenza della vittima; insorgenza che e' imputabile alla difesa dell'imputato e che, dunque non puo' giovare alla stessa come elemento diretto ad inficiare l'attendibilita' del riconoscimento. Ne' la circostanza che uno dei soggetti presentati per il riconoscimento non fosse somigliante con l'imputato - anch'essa meramente dedotta e comunque insindacabile nel giudizio di cassazione - e' tale da mettere in discussione la legittimita' della ricognizione, perche' l'articolo 214 c.p.p., comma 1, fa riferimento alla presenza di almeno due persone il piu' possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione; e tale possibilita' deve essere valutata alla luce delle disponibilita' concrete della polizia giudiziaria al momento in cui riconoscimento avviene. Va infatti ricordato che, in tema di ricognizione personale, l'inosservanza delle formalita' previste dagli articoli 213 e 214 c.p.p., relative alla partecipazione di persone il piu' possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione, al fine di garantire la genuinita' e l'attendibilita' della prova, non costituisce causa di nullita' o inutilizzabilita' dell'atto (ex multis, Sez. 2, n. 35425 del 13/07/2022, Rv. 283537; Sez. 2, n. 40081 del 04/07/2013, Rv. 257069). Come gia' evidenziato, dunque, la sequenza procedimentale fissata dagli articoli 213 e 214 c.p.p. e' stata complessivamente rispettata. Infine, non deve trascurarsi che - come sottolineato dai giudici di merito ulteriori elementi a sostegno degli esiti del riconoscimento sono rappresentati dalla circostanza, del tutto pacifica, che l'imputato si trovasse sul posto (nel locale (OMISSIS)) e che il suo gruppetto e, in particolare, un altro componente dello stesso, avesse iniziato a seguire la persona offesa; vi era, in altri termini, un forte legame oggettivo fra l'imputato e i fatti per cui si procede. 1.2. Il sesto motivo di doglianza - riferito alla motivazione della sentenza circa la fotografia scattata da (OMISSIS) e al riconoscimento dell'aggressore da parte di questo - e' inammissibile. La ricostruzione difensiva sul punto deve, infatti, ritenersi meramente congetturale, ovvero diretta a prospettare una lettura alternativa del quadro istruttorio, non consentita nel giudizio di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p.. Devono richiamarsi le corrette valutazioni dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui i rilievi difensivi relativi all'attivita' di ricognizione svolta da (OMISSIS), sia nell'immediatezza del fatto sia in sede giurisdizionale, appaiono irrilevanti, perche' (OMISSIS) non esclude che l'aggressore possa essere l'imputato, mentre la circostanza che il soggetto visto scendere dalle scale fosse una persona diversa dall'imputato e dall'aggressore appare logicamente plausibile, non essendo invece plausibile che l'aggressore fosse rimasto nei pressi del luogo del delitto a lungo. Ne' tali conclusioni possono essere messe in discussione dal fatto che il testimone - pacificamente soggetto in buona fede, perche' del tutto estraneo ai fatti e sconosciuto alle parti - abbia affermato che la persona vista sulle scale aveva un fare titubante e sospetto o che potesse avere gli stessi tratti e lo stesso abbigliamento dell'aggressore, trattandosi di dati evidentemente non univoci. Ne consegue che il mancato riconoscimento dell'imputato da parte di (OMISSIS) in sede di ricognizione assume una valenza neutra sul piano probatorio. 1.3. Inammissibile, per analoghe ragioni, e' anche il settimo motivo di doglianza, relativo alla lieve lesione rilevata dalla polizia giudiziaria sulla mano destra dell'imputato. Emerge dagli atti che i graffi riscontrati sulla mano destra e le piccole abrasioni all'altezza del polso della mano sinistra dell'imputato sono compatibili con quelli che la stessa persona offesa ha dichiarato di avere procurato all'aggressore nel tentativo di difendersi. La Corte d'appello ha compiutamente valutato la relazione di consulenza tecnica di parte, che tenta di ridimensionare la valenza probatoria di tali lesioni: l'esito della consulenza, con riferimento ai graffi, e' stato correttamente disatteso, perche' basato sulla massima di esperienza manifestamente insussistente - secondo cui le unghie non possono avere una superficie acuminata ma solo una superficie arcuata e non possono, dunque, provocare una lesione del tipo di quella riscontrata. Inoltre la stessa Corte d'appello - con valutazione di merito insindacabile in questa sede - procedendo all'esame diretto del materiale istruttorio, evidenzia che le fotografie in atti rappresentano un tipico graffio riportato da chi e' stato afferrato con unghia, e giunge alla logica conclusione dell'esistenza di un valido riscontro alla versione accusatoria. 1.4. L'ottava censura difensiva e' anche essa inammissibile. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, il fatto che l'aggressore fosse siciliano e avesse l'abbigliamento indicato sia dalla persona offesa che dal teste (OMISSIS) e' stato ritenuto, del tutto correttamente, un elemento di riscontro non decisivo, anche se compatibile con la ricostruzione accusatoria. 1.5. Il nono motivo di doglianza - con cui si denunciano vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle riprese video delle telecamere comunali e alla tempistica dei fatti - e' infondato. La ricostruzione operata dai giudici di merito appare esente da vizi logici, perche' sostanzialmente compatibile anche con le tempistiche richiamate dalla difesa, la quale afferma che alle ore 4:55 l'aggressione era terminata mentre l'imputato era stato visto all'imbocco delle scale della funivia alle 4:50. Anche a volere considerare la consulenza tecnica, che aveva affermato che l'imputato sarebbe potuto arrivare sul luogo del fatto solo alle ore 4:52 e 56 secondi, tale riferimento temporale non esclude la possibilita' dell'aggressione, durata comunque circa due minuti. Deve in ogni caso ritenersi del tutto logico e coerente il diverso calcolo delle tempistiche effettuato dalla Corte d'appello, perche' basato sul fatto che il percorso era in parte rappresentato da gradini in discesa e che, quindi, avrebbe potuto essere coperto in un tempo molto inferiore rispetto a quello indicato dal consulente di parte, il quale - inspiegabilmente - presume una velocita' costante per ogni tipo di terreno e di pendenza, contraria alla comune esperienza. Secondo le tempistiche fatte proprie dalla Corte territoriale, l'imputato sarebbe arrivato sul luogo del fatto alle ore 4:51 e 30 secondi, ovvero meno di quattro minuti prima della fine della violenza, collocata dalla stessa Corte d'appello alle ore 4:55-4:56, ben potendo porla in essere. 1.6. Il decimo motivo di doglianza - riferito alla ritenuta irrilevanza dell'assenza di tracce di DNA sui vestiti della vittima - e' inammissibile. La prospettazione difensiva e' suffragata da una consulenza tecnica di parte, secondo la quale l'imputato e' affetto da una patologia per cui la sudorazione delle mani avrebbe certamente lasciato cellule epiteliali sui vestiti della vittima. A prescindere dall'ipoteticita' di tale conclusione - scientificamente affidabile al piu' con riferimento alla descrizione della patologia ma non certo all'incidenza della stessa sulla concreta dinamica dei fatti - risulta assorbente il rilievo che l'imputato non ha fornito il proprio campione biologico per consentire un esame del DNA. Si tratta, in sostanza, di una prova mai effettivamente richiesta della difesa, tanto che la stessa non e' in grado di richiamare uno specifico atto processuale in tal senso, se non la semplice dichiarazione dibattimentale dell'imputato circa la sua generica disponibilita' a cooperare in sede di indagini. In mancanza del profilo genetico dell'imputato, la semplice assenza di tracce di DNA sui vestiti della vittima e', dunque, irrilevante. 1.7. L'undicesimo motivo di doglianza - relativo alla mancata valutazione delle deposizioni dei testimoni a discarico - e' infondato. Seppure in modo sintetico, la Corte d'appello ha compiutamente argomentato - in logica continuita' con le piu' ampie considerazioni della sentenza di primo grado - circa la ritenuta inattendibilita' della versione fornita dai sodali dell'imputato, a fronte dell'assoluta univocita' del restante quadro probatorio. A tali affermazioni il ricorrente non contrappone un richiamo puntuale al contenuto delle deposizioni di alibi, oltretutto tralasciando un dato evidentemente contrario alla posizione difensiva, rappresentato dal fatto che uno dei ragazzi che accompagnavano l'imputato ( (OMISSIS)) aveva seguito la vittima saltellando (pag. 13 della sentenza impugnata). 1.8. Il motivo del ricorso a firma dell'avv. Rafaraci - riferito alla mancata audizione di testimoni e alla mancata acquisizione di documentazione su un dato ritenuto decisivo - deve essere ritenuto inammissibile. Con esso ci si riferisce, infatti, ad un elemento manifestamente irrilevante, quale l'accertamento della frequentazione, da parte dell'imputato, del locale che aveva anche frequentato la vittima nel giorno dei fatti; frequentazione che si sarebbe protratta anche nei giorni successivi. E' sufficiente qui rilevare che, quanto al giorno in cui sono stati commessi i reati, il dato della frequentazione del locale da parte di entrambi risulta pacifico in atti; quanto al periodo successivo, trattasi di una circostanza che, anche se confermata, non incide sulla tenuta logica del quadro accusatorio, perche' il fatto che l'imputato sia poi tornato nel locale non esclude che abbia prima commesso i reati in questione. 2. Per questi motivi, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L'imputato deve essere anche condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, da liquidarsi in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/04/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; il Procuratore generale, in persona del sostituto Marilia di NARDO, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita', in subordine, per il rigetto; l'avv. Viviana Del Prete, del foro di Roma per delega orale dell'avv. Cristina Migliazza del foro di Torino, difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita' di esercenti la responsabilita' genitoriale su (OMISSIS), si e' riportata alle conclusioni depositate in udienza, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Torino, giudicando in sede di rinvio a seguito dell'annullamento della sentenza, con la quale era stata parzialmente riformata, solo in punto rideterminazione della pena pecuniaria con conferma nel resto, quella del GUP del Tribunale cittadino di condanna dell'imputato (OMISSIS) per i reati di cui agli articoli 81 cpv. e 609 ter c.p., comma 1, (capo a), ai danni della minore (OMISSIS) (in (OMISSIS)); agli articoli 81 cpv. e 600 ter c.p., comma 1, (capo b) ai danni della stessa minore (in (OMISSIS)); all'articolo 600 quater, c.p., ai danni di minori di anni 18 (in (OMISSIS)), ha rigettato la richiesta di riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, confermando la sentenza di primo grado. La Corte rimettente aveva accolto il ricorso limitatamente alla valutazione del motivo inerente al riconoscimento dell'attenuante in questione, rilevando che, nel corso del giudizio di primo grado, era stato consegnato al difensore della persona offesa un assegno di trentamila Euro e il giudice aveva omesso di pronunciarsi sulla relativa richiesta difensiva; che quello d'appello, investito del punto con il gravame, aveva affermato che le ragioni che avevano giustificato il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 609 bis c.p., comma 3, (ossia, la particolare invasivita' e frequenza degli atti e il tradimento della fiducia) valevano anche per il diniego del riconoscimento di quella di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, incorrendo nella violazione del principio secondo il quale, a tal fine, la sufficienza della somma spontaneamente versata non puo' essere esclusa con valutazione sommaria, basata sulla esiguita', dovendo il giudice accertare la gravita' del nocumento arrecato e le ripercussioni del fatto lesivo nell'ambito della vita familiare e sociale della vittima. Nel caso di specie, quella valutazione era stata sommaria e la Corte d'appello non aveva spiegato perche' l'importo non trascurabile non fosse sufficiente a ristorare integralmente il danno morale patito dalle parti civili, danno neppure quantificato. 2. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio motivazionale e omessa valutazione degli elementi evidenziati nel gravame. Un primo errore sarebbe, nella prospettiva difensiva, quello di aver basato, in gran parte, le valutazioni sul narrato dichiarativo dell'atto di costituzione di parte civile, privo pero' di valenza probatoria e dal contenuto assertivo, solo parzialmente confortato dalle risultanze in atti. La gravita' del fatto e' stata aprioristicamente giustificata sulla scorta di una serie di esternazioni toccanti che, tuttavia, dovevano essere controbilanciate con le argomentazioni difensive idonee a ridimensionare il fatto, da collocarsi ai gradini inferiori della scala di gravita'. Il deducente rileva la mancata considerazione della accertata accondiscendenza della minore, pur irrilevante ai fini della penale responsabilita', ma anche della circostanza che il reato e' stato consumato senza violenza fisica ai danni della o congiunzione con la minore, e contesta l'assegnata rilevanza alla frequenza degli atti abusanti, essendosi trattato di un periodo di dieci mesi, rilevando la natura congetturale della conclusione per la quale tali atti sarebbero stati frequenti. Rileva, sotto altro aspetto, che la partecipazione attiva della minore non puo' giocare un ruolo nella valutazione del danno, cosi' come la circostanza che l'agente fosse un conoscente, fatto neutro che non incide sulla gravita' del danno. La motivazione censurata offrirebbe, poi, una suggestiva visione degli eventi, assegnando una pessimistica prospettiva di vita alla persona offesa, lo stesso perito avendo invece riscontrato che le buone capacita' di resilienza della minore e il suo contesto familiare avevano permesso un ridimensionamento della sua sofferenza. Inoltre, la Corte del rinvio avrebbe considerato anche il danno sofferto da terzi (i genitori della minore), laddove in rilievo, ai fini del riconoscimento dell'attenuante in questione, verrebbe solo quello patito dalla persona offesa, rilevando nondimeno che la valutazione di quel danno non sarebbe provata in maniera sufficiente. In ogni caso, vi sarebbe una contraddizione nel ragionamento dei giudici territoriali, i quali rinviando la quantificazione dei danni alla sede civile, avrebbero in tal modo ammesso di non avere elementi sufficienti per concludere in questo giudizio. 4. La difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso e/o il suo rigetto con conferma della sentenza della Corte d'appello di Torino. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. La Corte territoriale ha ancorato il giudizio di disvalore della condotta, ostativo al riconoscimento dell'invocata attenuante, muovendo da alcune premesse: il contenuto del mandato del giudice rimettente, in base al quale, doveva accertarsi la gravita' del nocumento e le ripercussioni del fatto lesivo nell'ambito della vita familiare e sociale della vittima; la necessita', al fine del rinnovato esame demandato, di richiamare i fatti accertati e le conseguenze cagionate alle persone offese costituite parti civili che, come ulteriormente precisato dal giudice del rinvio, sono tre (la minore e i suoi genitori), tenuto conto del petitum contenuto nell'atto di costituzione di parte civile (conseguenze psichiche della minore, analiticamente descritte alla pag. 5 della sentenza censurata; la necessita' di terapie; il danno patrimoniale e morale dei genitori, parimenti specificato nella stessa pagina). Tanto premesso, quel giudice ha esaminato i fatti (ripercorsi sulla base dell'accertamento definitivo delle sentenze di merito), da essi ricavando il convincimento che la condotta era stata di durata apprezzabile e che gli agiti abusanti erano stati frequenti (l'imputato approfittando di ogni occasione nella quale riaccompagnava a casa la minore, al termine dei pomeriggi trascorsi a casa sua a giocare con gli amichetti); le violenze erano avvenute anche quando era gia' buio; l'imputato aveva ottenuto la "collaborazione" della minore; questa aveva sviluppato un processo di colpevolizzazione, maturando il dubbio di aver creato quella situazione; l'agente aveva approfittato di una condizione di fiducia derivante dai rapporti amicali tra le due famiglie; la minore era in una fase particolare del suo sviluppo, nel pieno cioe' della puberta', connotato gia' da grandi cambiamenti morfologici, funzionali e psichici che traghettano l'individuo dall'infanzia all'eta' adulta e il sesso comincia ad affiorare nella coscienza dell'individuo. Il giudice del rinvio ha poi richiamato la perizia (OMISSIS), per ricavarne la sintomatologia riscontrata (descritta a pag. 8 della sentenza censurata) e le conclusioni cui l'ausiliario era giunto, in base alle quali era stata accertata una fatica descrittiva della vita della minore e uno stato emotivo di allerta e sofferenza, espresso con i cc.dd. "sintomi grilletto" (ansia libera fluttuante con aspetti depressivi). Quanto ai genitori, poi, la Corte territoriale ha ritenuto che le violenze subite dalla figlia dodicenne-tredicenne avessero esplicato effetti anche nell'ambito della relazione familiare e non solo a livello patrimoniale (spese sostenute per garantire alla figlia le migliori cure), per come illustrato nell'atto di costituzione di parte civile. Inoltre, l'imputato ne aveva carpito la fiducia, approfittando del rapporto di amicizia che li univa, usato addirittura quale arma di ricatto contro la minore. Inoltre, l'imputato aveva filmato alcuni atti sessuali e cosi' esposto la minore anche al rischio di essere vista da terzi mentre subiva/compiva gli atti sessuali. Poiche' le parti civili non avevano quantificato l'ammontare di tali danni, essendosi rimesse alla valutazione del giudice, il Tribunale aveva pronunciato condanna generica, rinviando su(quantum al giudice civile, ritenuta la insufficienza degli elementi ai fini della liquidazione in sede penale. Tuttavia, assumendo come punto di riferimento le tabelle milanesi, il giudice del rinvio ha ritenuto, alla stregua del quadro di grave e duratura violenza, dell'abuso della fiducia dei genitori della minore e dell'appofittamento dei rapporti di amicizia che avevano reso difficile alla minore di confidarsi in casa, la somma offerta insufficiente a coprire i danni materiali, morali e patrimoniali subiti dai tre soggetti, lo specifico ammontare dei quali avrebbe potuto essere oggetto di apposita consulenza tecnica in sede civile, sin d'ora apprezzando, tuttavia, molteplici e sicuri elementi dell'esistenza di un danno biologico importante, di un elevato livello di compromissione della vita di relazione e sessuale della minore e dell'indiscutibile incidenza lesiva dei fatti sul processo di formazione della sua personalita' e dell'identita' sessuale, ricollegando le maggiori sofferenze alla pluralita' degli agiti abusivi, rispetto a quelle risultanti da un unico episodio lesivo, tenuto anche conto della circostanza che la minore aveva tenuto tutto per se' per mesi proprio a causa dei rapporti esistenti tra le famiglie, cio' che ne aveva determinato il prolungamento delle sofferenze. 3. Il motivo e' manifestamente infondato. Il giudice rimettente ha rilevato un vizio motivazionale, poiche' la prima Corte d'appello, a fronte del silenzio del primo giudice, aveva motivato solo sommariamente il rigetto della richiesta difensiva di riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, senza accertare la gravita' del nocumento arrecato e le ripercussioni del fatto lesivo nella vita della vittima, ne' spiegare perche' la somma offerta fosse insufficiente in termini di integrale ristoro. Tale essendo il mandato del giudice rimettente, deve intanto ribadirsi quanto ai limiti derivanti al giudice del rinvio dalla pronuncia di annullamento - che, nella specie, il vizio rilevato dal giudice rimettente e' quello motivazionale, cosicche' il primo e' chiamato a compiere un nuovo e completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza e' stata annullata, fermo restando che non puo' ripetere il percorso logico censurato dal giudice rescindente e deve fornire adeguata motivazione sui punti della decisione sottoposti al suo esame (sez. 5 n. 42814 del 19/6/2014, Cataldo, Rv. 261760, in fattispecie in cui, nell'affermare il principio, la Corte ha aggiunto che, invece, nel caso di annullamento con rinvio per violazione o erronea applicazione della legge resta ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento annullato). In tal senso, dunque, va inteso l'orientamento secondo il quale la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull'adempimento del dovere di motivazione: il giudice di rinvio, in sostanza, pur conservando la liberta' di decisione mediante un'autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, e' tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (in motivazione, sez. 3 n. 43550 del 8/7/2016, Balkoci, che richiama anche sez. 5, n. 7567 del 24/9/2012, dep. 2013, Scavetto, Rv. 254830). Il principio, peraltro, va letto in relazione a quello ulteriore, secondo il quale il giudice di merito non e' vincolato ne' condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (in motivazione, sez. 3, n. 20559 del 24/3/2022, Ba/estri; ma anche sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629-02; sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861-01). Pertanto, non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilita' sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello gia' censurato in sede di legittimita' (sez. 4, n. 20044 del 17/3/2015, 5., Rv. 263864, in cui la Corte ha precisato che eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine dell'individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la decisione a lui demandata, di talche' si devono ritenere inammissibili le censure sollevate in merito). Inoltre, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione mediante l'indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorieta', il potere del giudice di rinvio non e' limitato all'esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, essendo il giudice stesso tenuto a compiere anche eventuali atti istruttori necessari per la decisione, avendo l'onere di fornire in sentenza adeguata motivazione in ordine all'iter logico-giuridico seguito per giungere alla propria decisione, rispetto ai singoli punti specificati con la sentenza di rinvio (sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Cesarano, Rv. 273628). Trattasi di principi aventi valenza generale e, pertanto, valevoli anche ai fini del presente esame, dal quale esula ogni profilo inerente alla penale responsabilita'. 4. La Corte del rinvio ha con ogni evidenza emendato il vizio motivazionale riscontrato dal giudice di legittimita', fornendo esaustiva risposta alle doglianze difensive, attraverso un articolato ragionamento che si sottrae alle reiterate censure. Le prospettazioni difensive peraltro, si fondano su assunti, in parte sbagliati, in parte smentiti dal testo della sentenza censurata. Quanto ai primi, si rileva che la responsabilita' civile derivante da reato ha ad oggetto ogni danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato e tale rapporto di causalita' sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia prodotto uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato (sez. 6, n. 11295 del 2/12/2014, dep. 2015, Vignati, Rv. 263170). Il soggetto legittimato all'azione civile, infatti, non e' solo il soggetto passivo del reato (cioe' il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato (sez. 2, n. 4380 del 13/1/2015, Lauro, Rv. 262371; n. 31295 del 31/5/2018, Rv. 273698; sez. 5, n. 12879 del 29/11/2019, dep. 2020, P., Rv. 279038, in cui, in tema di atti persecutori, e' stata riconosciuta, per esempio, la legittimazione all'esercizio dell'azione civile nel processo penale anche al coniuge del soggetto passivo del reato, in qualita' di danneggiato dal reato). Quanto al secondo assunto, invece, non puo' essere avallata la prospettazione difensiva per la quale vi sarebbe contraddizione tra la condanna generica e il giudizio di insufficienza della somma offerta a ristoro dei danni. Questa incompatibilita' e' stata gia' esclusa espressamente da questa stessa Sezione, allorquando ha affermato che, il giudice penale, investito sia della domanda sull'an e sul quantum debeatur dalla parte civile, sia dell'istanza di applicazione della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 ,puo' senza incorrere in una pronuncia contraddittoria e purche' vi sia specifica motivazione, pronunciare condanna generica al risarcimento dei danni, rimettendo al giudice civile l'esatta loro quantificazione, e contestualmente negare la riduzione della pena perche' la somma versata non risulta integralmente risarcitoria del danno, in ragione dei diversi fini ai quali le due statuizioni sono rivolte (sez. 4, n. 38982 del 8/7/2014, R., Rv. 261061, in cui, in motivazione, il giudice di legittimita', nel dipanare le questioni giuridiche inerenti al tema dell'nterferenza tra giudizio di determinazione della pena ed accertamento del danno risarcibile proprio in un caso analogo, ha precisato che la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, si inquadra nell'ambito di quegli istituti che impongono un rapporto dinamico tra diritto penale e diritto civile, efficacemente indicato in dottrina in termini di "interrelazione sanzionatoria"). La riscontrata compatibilita' delle pronunce sui separati punti che la difesa ha posto erroneamente in termini di contraddittorieta', dipende, in particolare, dall'incondizionata possibilita' per il giudice penale di affermare che le prove acquisite non consentono di pervenire alla liquidazione del danno, in un caso in cui la domanda formulata dalle parti civili non indicava il quantum debeatur, essendosi le stesse rimesse alla valutazione equitativa giudiziale. Cio', all'evidenza, riverbera effetti anche sull'onere di allegazione e di prova spettante alla parte civile, che puo' scegliere, senza incorrere in alcuna nullita', a differenza di quanto avviene nel processo civile, di allegare genericamente di aver subito un danno. A tale facolta' corrisponde, dunque, il potere del giudice di formulare una valutazione discrezionale, alla stregua della quale puo' ritenersi accertata la potenzialita' dannosa del fatto addebitato, pur senza la prova dell'entita' del danno risarcibile, ritenendo conseguenzialmente, come nel caso all'esame, che nel processo civile vi siano margini di sviluppo di tale allegazione e della prova del danno e giudicando correlativamente incongrua, sulla base di tali presupposti, la somma offerta dall'imputato. In tale ipotesi, potendo il giudice limitarsi a pronunciare la condanna generica al risarcimento del danno, l'obbligo di motivazione deve ritenersi correttamente adempiuto se nella sentenza siano stati semplicemente indicati gli elementi istruttori acquisiti nel processo penale dai quali siano desumibili detti margini di sviluppo, non dovendosi trascurare che si tratta di motivazione concernente il solo an debeatur, tenuto conto peraltro dei limiti del ricorso avverso la sentenza emessa dal giudice del rinvio, legati al giudicato intervenuto nel caso concreto sulle statuizioni civili, confermate dalla sentenza di annullamento (in motivazione, sez. 4, n. 38982/2014, cit.). Considerata inoltre la natura di alcuni danni, insuscettibili di una precisa monetizzazione, perche' sia soddisfatto l'obbligo di motivazione, non e' necessario che il giudice indichi analiticamente in base a quali calcoli abbia determinato il quantum del risarcimento (ovvero ritenuto l'incapienza della somma offerta), ma e' sufficiente che siano indicati i fatti materiali tenuti in considerazione per pervenire a quella decisione. Sotto altro profilo, poi, va escluso che l'esatta quantificazione fosse stata indicata dal giudice rimettente, essendosi la Corte di legittimita' invero limitata a stigmatizzare l'inadeguatezza della motivazione del rigetto della doglianza difensiva, in un caso in cui neppure era stato quantificato il danno. Da tale generica affermazione, infatti, non puo' ricavrsi una regola di giudizio che imponesse, per esempio, al giudice del rinvio di procedere ad accertamento peritale del danno, tenuto anche conto della circostanza che, dalla somma offerta, doveva comunque sottrarsi il ristoro delle voci patrimoniali correlate alle terapie alle quali la vittima era stata sottoposta. Di qui la rilevanza del condivisibile principio di diritto sopra richiamato e la coerenza della motivazione censurata, sia con esso, che, soprattutto, con il vincolante mandato ricavabile dalla sentenza di annullamento. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). Deve disporsi l'oscuramento dei dati personali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro' tremila in favore della Cassa delle ammende. Oscuramento dati.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/09/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CALASELICE BARBARA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DI LEO G. che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio, limitatamente al ricorso di (OMISSIS), per mancato espletamento di prova decisiva, in accoglimento del quinto motivo di ricorso e l'inammissibilita' di quello di (OMISSIS). udito il difensore delle parti civili, avv. (OMISSIS), del foro di Fermo, in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata e ha depositato conclusioni e nota spese; udito il difensore, avv. (OMISSIS), del foro di MACERATA in difesa di (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; uditi i difensori, avv. (OMISSIS), del foro di FERMO e avv. (OMISSIS), del foro di ROMA, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'assise d'appello di Ancona ha riformato la pronuncia, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Fermo, in data 23 gennaio 2020, con la quale ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), all'esito di rito abbreviato, il primo alla pena di anni trenta di reclusione, la seconda a quella di anni quattro di reclusione, per i reati loro rispettivamente ascritti di cui all'articolo 110 c.p., articolo 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1, 3-bis e 3-quinquies, ascritto ad entrambi, nonche' per il reato di cui agli articoli 110, 575, 576 c.p. con riferimento all'articolo 61 c.p., n. 1, ascritto al solo (OMISSIS) (in concorso con (OMISSIS) non ricorrente), oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili. La Corte territoriale ha confermato la pronuncia di primo grado riformando soltanto il quantum dell'entita' del risarcimento dovuto dalla (OMISSIS) nella somma di Euro tremila. 1.1. I provvedimenti di merito sono relativi alla rapina che descrivono come avvenuta, in data (OMISSIS), nell'appartamento di (OMISSIS), ove quest'ultima veniva ritrovata dal figlio (OMISSIS), alle ore 22 e 50, bocconi su un letto, con la faccia in giu', i polsi e caviglie legate da nastro adesivo telato, con una federa posta di fronte, della quale si constatava il decesso - indicato come avvenuto per soffocamento - morte intervenuta tra le ore 21 e le ore 22 del medesimo (OMISSIS). Gli inquirenti, secondo i provvedimenti di merito, immediatamente potevano ipotizzare che gli autori del fatto erano entrati dalla finestra della stanza vicina a quella della vittima che presentava i vetri rotti. Le sentenze danno atto delle condizioni in cui era stato trovato l'appartamento dal figlio della vittima, del rinvenimento di tracce di calzature sul pavimento, nonche' della sparizione di danaro contante, monili e quattro libretti postali, con relative carte (secondo la denuncia sporta dal figlio della vittima) dai quali era risultato il prelievo della somma di Euro seicento, alle ore 6.04 del giorno successivo, (OMISSIS), presso l'Ufficio postale di (OMISSIS). 1.2. Le indagini conducevano a (OMISSIS), che aveva avuto in comodato gratuito l'immobile sito al piano superiore a quello della vittima, con il quale vi erano stati screzi e, poi, all'individuazione di tale (OMISSIS), persona che si era occupata del trasloco dell'immobile occupato da (OMISSIS) e che aveva eseguito anche piccole riparazioni domestiche in casa della (OMISSIS), per giungere, in data 17 luglio 2018, al fermo di (OMISSIS), odierno ricorrente. Tanto, sulla base delle immagini tratte dalle telecamere poste nelle vicinanze dell'abitazione della vittima che individuavano piu' volte l'auto Y10 di colore scuro, in uso al predetto, in prossimita' della data del delitto, degli accertamenti sulle utenze in uso al (OMISSIS) ed alla sua convivente (OMISSIS), nonche' dell'esito degli esami svolti da personale del Reparto investigazioni scientifiche dell'Arma dei Carabinieri, in relazione al materiale biologico rinvenuto sotto le unghie della vittima e sul nastro adesivo utilizzato per legarla, ritenuto riconducibile al (OMISSIS). Si riscontrava, infatti, sui campioni prelevati, una compatibilita' di alleli tale da potersi concludere che (OMISSIS) avesse contribuito, con il proprio materiale biologico, alla genesi delle tracce biologiche repertate. Il Giudice di primo grado valuta le dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dei concorrenti nel reato, (OMISSIS) e (OMISSIS), tra loro non convergenti e tese, secondo la pronuncia, ad aggravare reciprocamente la posizione dell'altro concorrente a proprio favore, optando, ritenendola veridica, per quella di (OMISSIS). Cio', confutando la versione difensiva dell'odierno ricorrente, quanto alla ritenuta illogicita' delle affermazioni da questi rese nel corso dell'interrogatorio, anche alla luce delle altre risultanze riguardanti la circostanza che proprio (OMISSIS), due giorni prima del fatto, si era recato presso la casa della vittima ed aveva chiesto al figlio l'acquisto di pellame che, poi, non aveva piu' coltivato, mentre (OMISSIS) era stato riconosciuto dal titolare del negozio di ferramenta, come persona che si era recata a duplicare la chiave, secondo la sua versione dei fatti fornitagli dal (OMISSIS) per entrare nell'abitazione per il furto. In definitiva, il primo giudice indica (OMISSIS) come soggetto che, nell'azione predatoria, aveva avuto un ruolo preminente, collimante, peraltro, con i suoi precedenti per reati contro il patrimonio mentre (OMISSIS) era stato ritenuto credibile nella parte in cui aveva negato alcune circostanze delle quali (OMISSIS) lo accusava e, cioe', di aver legato la donna al letto, tanto che sul nastro adesivo non erano state trovate tracce del DNA a lui riferibili, ma soltanto quelle di (OMISSIS). 1.3. La Corte territoriale precisa che (OMISSIS), nel corso dell'udienza di convalida del fermo, si era avvalso della facolta' di non rispondere e che aveva reso interrogatorio, in data 29 novembre 2018, dopo l'applicazione di misura cautelare personale a suo carico, nel corso del quale, dichiaratosi pentito dell'accaduto, aveva segnalato che la rapina era stata eseguita sulla base di un piano, organizzato da (OMISSIS), nella consapevolezza di compiere il furto nell'abitazione in assenza dei proprietari, di aver proposto a suo nipote, (OMISSIS), di concorrere al furto in quanto questi aveva bisogno di danaro perche' doveva aprire una palestra di arti marziali di cui era istruttore. (OMISSIS) aveva dichiarato che era stato (OMISSIS) a fornire una chiave da duplicare, per entrare nell'appartamento, pur consigliando di rompere un vetro di una finestra per depistare le indagini e che il primo sopralluogo sul posto era stato svolto con la sua vettura, a bordo della quale vi era anche la sua ex convivente, la odierna ricorrente (OMISSIS) all'oscuro, pero', delle finalita' dell'azione. Nella sera prestabilita era presente, secondo la versione di (OMISSIS) riportata dettagliatamente nella sentenza, anche la (OMISSIS) a bordo della vettura Y10, ma con la precisazione che la donna sapeva soltanto che si sarebbe dovuto eseguire un trasloco. Inoltre, sarebbe stato (OMISSIS), entrato assieme al dichiarante nell'appartamento, a immobilizzare la donna, a legarla con il nastro adesivo e a metterle in testa una federa. Anzi, nella versione resa dal (OMISSIS), questi si attribuisce il tentativo di slegare la persona offesa, che aveva compreso essere in quel momento ancora viva, tentativo vanificato da (OMISSIS) al quale viene anche ascritta l'attuazione materiale della condotta di sottrazione della refurtiva. Infine, (OMISSIS) spiega che, nel giorno successivo al fatto, erano stati effettuati i prelievi di contanti con le carte bancomat sottratte e che tutti i complici, quella sera, si erano allontanati con la sua Y10, a bordo della quale giungeva, da lui stesso contattata, la (OMISSIS) che era rimasta nei paraggi in attesa. La sentenza di appello rende conto degli esiti dell'intercettazione svolta nel carcere ove era ristretto (OMISSIS), in data 28 novembre 2018, tra il ricorrente e la (OMISSIS) in cui i due conversano della rapina culminata nel decesso dell'anziana donna e delle dichiarazioni di questa rese, in data 18 dicembre 2018, nonche' della versione dei fatti derivante dall'interrogatorio di (OMISSIS), raggiunto da ordinanza cautelare il 18 dicembre 2018 e sottoposto ad interrogatorio il successivo 20 dicembre 2018 (cfr. pag. 21). In particolare, si evidenzia che (OMISSIS) delinea un diverso, piu' consistente, ruolo tenuto da (OMISSIS) nel corso della rapina sfociata nella morte della vittima. Tanto, con particolare riferimento allo stratagemma con il quale (OMISSIS) si era impossessato della chiave di ingresso in casa dell'anziana donna, prima della rapina, ottenendo un duplicato, chiarendo che era stato (OMISSIS) ad assicurargli che in casa non vi era nessuno, circa la condotta tenuta all'interno dell'appartamento la sera della rapina, ove erano entrati usando la chiave, indossando guanti e passamontagna. (OMISSIS) precisava, secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado, che era stato suo zio ad immobilizzare la donna a faccia in giu' e a coprire la testa della vittima con una federa, mentre il dichiarante si sarebbe limitato ad aiutarlo, tenendo la vittima immobilizzata salendole a cavalcioni sulla schiena quando (OMISSIS), privatosi dei guanti che indossava, le bloccava alle caviglie e ai polsi con il nastro adesivo che aveva con se'. Infine, (OMISSIS) attribuisce allo zio l'azione di prelevare la refurtiva, la messa a disposizione della vettura con la quale erano giunti e si erano allontanati dal posto e ha precisato che, insieme al (OMISSIS), il giorno dopo, avevano svolto dei prelievi presso uno sportello bancomat, ricevendo da quest'ultimo la somma di Euro 220,00. Infine, a pag. 25 e ss., la pronuncia spiega le ragioni per le quali la versione del (OMISSIS) e' stata ritenuta attendibile anche a fronte delle diverse affermazioni di (OMISSIS), reputando secondarie alcune imperfezioni della chiamata in correita'. 1.4. Per la posizione della ricorrente, i giudici di secondo grado confermano il concorso doloso nel reato di rapina ritenuto dal primo giudice, sulla base della chiamata in correita' del (OMISSIS) e delle parziali ammissioni della stessa imputata circa la sua presenza sul posto la sera dei fatti. Si tratta di elementi da cui la Corte territoriale trae il convincimento della partecipazione della donna al piano ideato da (OMISSIS), a partire dall'autunno del 2017, con l'obiettivo di entrare nell'appartamento, ove si pensava fossero custoditi oggetti d'oro e danaro, impresa che doveva avvenire con la partecipazione di (OMISSIS) e con il compito, per la ricorrente, di supporto esterno. Si spiegano a pag. 31 e ss. le ragioni per le quali non era stata ritenuta convincente la tesi dell'imputata circa la sua mancanza di conoscenza del tipo di azione criminosa che i complici si preparavano a compiere, assumendo di aver accompagnato i due sul posto, pensando che dovessero eseguire, assieme al (OMISSIS), un trasloco. Si sottolineano le riunioni preliminari cui la donna aveva preso parte, la preparazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) prima della rapina e dopo essere scesi dall'auto condotta sul posto dall'imputata, il percorso seguito dalla vettura, la telefonata ricevuta da (OMISSIS), dopo la rapina, con l'immediato arrivo dell'auto a bordo delle quale si trovava la donna ed all'interno della quale i due toglievano il passamontagna che indossavano, il racconto ricevuto da (OMISSIS) dell'accaduto, immediatamente dopo i fatti. In definitiva, si attribuisce all'imputata la partecipazione alle fasi ideative della rapina, il ruolo di autista ed anche di palo, a titolo di concorso ai sensi dell'articolo 110 c.p., con dolo eventuale tenuto conto, peraltro, delle circostanze di tempo (ore notturne) e di luogo (appartamento abitato) in cui si era svolta l'azione predatoria (cfr. pag. 33 e ss). 2. Avverso il descritto provvedimento hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati, con distinti atti di impugnazione, per il tramite dei rispettivi difensori, denunciando i vizi che di seguito si riassumono, nei limiti necessari per la motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. (OMISSIS) denuncia, per il tramite del difensore, avv. (OMISSIS), sei vizi. 2.1.1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell'articolo 43 c.p., manifesta illogicita' della motivazione e contraddittorieta' quanto all'elemento soggettivo del reato e all'insussistenza della premeditazione (pag. 37 e ss. della motivazione). Si contesta la ritenuta prevedibilita' della presenza della vittima in casa, nonche' la questione della federa trovata dagli investigatori, tra volto della vittima e lenzuolo (cfr. pag. 7 e ss. del ricorso). Si segnalano tutti i punti della motivazione ove la Corte territoriale affronta il dato della previsione concreta della presenza in casa della persona offesa, pur auspicando che l'abitazione fosse momentaneamente libera, cosi' allontanandosi in modo contraddittorio da quanto affermato dal primo giudice circa la convinzione, in capo agli imputati, solo di una mera remota possibilita' della presenza della vittima nell'appartamento (n.d.r.: (OMISSIS), secondo la difesa, avrebbe indicato che la vittima, la domenica aveva abitudine di cenare dal figlio (OMISSIS)). Si evidenzia che tale convincimento espresso dalla Corte territoriale sarebbe stato contraddittorio rispetto alla dinamica dell'azione emersa, in cui e' solo (OMISSIS) (e non il nipote, esperto in arti marziali) che entra in casa per primo, lasciando il complice a fare da guardia all'ingresso ed e' (OMISSIS) che scopre la presenza in casa dell'anziana donna, tanto da chiamare il nipote in aiuto. Si sottolinea che (OMISSIS), secondo entrambe le sentenze, non avrebbe compiuto altro ruolo, acclarato con certezza, se non quello di legare le caviglie alla donna, compiendo una condotta finalizzata soltanto all'immobilizzazione dell'anziana vittima, mentre la Corte territoriale ne ipotizza un ruolo attivo, anche mediante istigazione dell'azione violenta attuata da (OMISSIS) che, invece, non avrebbe trovato riscontro. Si evidenzia, inoltre, che nessuna delle due sentenze si esprime in termini quantitativi circa la durata della violenza fisica senz'altro espletata da (OMISSIS) sulla vittima, anche se la sentenza di secondo grado, nel riportare il dato riferito dal Giudice di primo grado, ha indicato che durante le manovre di compressione, (OMISSIS) aveva legato le mani all'anziana signora quindi il tempo doveva essere stato apprezzabile. Altro dato contrastante con la ricostruzione del primo giudice viene indicato nella questione della federa che, secondo la sentenza di primo grado, era stata trovata posta di fronte alla vittima. Gli imputati, senza indicare chi dei due, poi, l'avesse tolta, si accusano vicendevolmente, di averla calata sul capo dell'anziana signora. Ma lo stesso (OMISSIS) assume che (OMISSIS) l'avrebbe fatta indossare quando lui stesso, a cavalcioni sulla vittima, l'aveva gia' immobilizzata, quindi rendendo il dato, pur se materialmente ascrivibile a (OMISSIS), del tutto neutro rispetto al corso degli eventi. Inoltre, si evidenzia che la Corte territoriale assume che, quanto meno la sola legatura delle caviglie della vittima era stata curata materialmente da (OMISSIS), diversamente da quanto indicato dall'imputato odierno ricorrente, secondo il quale era stato proprio (OMISSIS) a legare polsi e caviglie. Tanto premesso, il motivo di ricorso censura il ritenuto dolo eventuale del delitto di omicidio, fondato soltanto sulla valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), il quale peraltro nega nettamente di essersi rappresentato l'evento morte come causa della sua condotta, tanto da riferire di aver percepito, durante l'azione, che la donna si era arresa, aveva reso man mano piu' flebile la sua resistenza ma non che questa fosse morta. In definitiva, (OMISSIS), anche alla stregua della versione di (OMISSIS), si sarebbe limitato ad istigare il nipote ad immobilizzare la vittima, ne' questi ha trasmodato rispetto all'incarico ricevuto, ne' (OMISSIS) ha usato mezzi oggettivamente idonei a provocare la morte dell'anziana donna. Sicche' entrambi gli imputati potrebbero rispondere del delitto soltanto a titolo di preterintenzione. 2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'articolo 116 c.p. sotto il profilo dell'inosservanza ed erronea applicazione e vizio di motivazione. Il dolo omicidiario, ove ritenuto sussistente per (OMISSIS), non potrebbe essere trasferito al concorrente nel reato (OMISSIS). La morte sarebbe stata determinata, in via esclusiva, dall'azione violenta di (OMISSIS), mentre (OMISSIS) si sarebbe limitato a legare le caviglie della donna, ponendo in essere un'azione di mero contenimento della vittima, proprio mentre (OMISSIS) attuava la condotta violenta che aveva cagionato la morte. (OMISSIS), peraltro, avrebbe agito confidando nelle capacita' di (OMISSIS), esperto in arti marziali e, dunque, reputato in grado di dosare la forza onde raggiungere l'unico scopo commissionato, cioe' quello del contenimento della vittima. Si evidenzia (pag. 17 e ss del ricorso) che la circostanza che entrambi avessero del nastro telato non era indicativa dell'elemento soggettivo potendo lo strumento essere usato per immobilizzare, non per uccidere. La circostanza che entrambi avessero partecipato all'aggressione, sottolineata dalla Corte territoriale, sarebbe in contraddizione con le emergenze perche' la morte era stata cagionata solo dall'azione violenta di (OMISSIS) cui (OMISSIS) aveva dato soltanto l'incarico di immobilizzare la vittima, ne' la morte della donna era prevedibile. Il precedente citato dalla Corte d'assise di appello in merito riguarda, secondo la difesa, un caso in cui i correi avevano ostruito, deliberatamente, le vie respiratorie della persona offesa usando nastro adesivo. Del resto, si osserva che dal momento in cui (OMISSIS) era salito a cavalcioni sulla donna, (OMISSIS) aveva perso completamente il controllo dell'azione potendo peraltro l'immobilizzazione essere assicurata senza la pressione che, invece, era stata smodata, ne' sarebbe corretta l'indicazione della compressione del capo da tergo, come azione deliberata ed autonoma. Comunque si osserva che tale ultimo argomento speso dalla Corte territoriale, favorirebbe la tesi difensiva, perche' l'esito letale scaturirebbe da un'azione gratuita e solitaria posta in essere da (OMISSIS) in autonomia. 2.1.3. Con il terzo motivo si denuncia travisamento della prova in relazione alla circostanza, indicata dalla Corte territoriale, secondo la quale (OMISSIS) era gia' oggetto di indagini prima della chiamata in correita' di (OMISSIS). Secondo la difesa, le indagini, prima dell'interrogatorio di (OMISSIS), avevano preso altra direzione, anche se tra i soggetti che avevano intrattenuto contatti telefonici con l'utenza di (OMISSIS) era emerso anche (OMISSIS), nel mese di luglio 2018, ma il Pubblico ministero aveva concentrato l'attenzione e aveva sottoposto ad intercettazione tre soggetti, diversi da (OMISSIS). Dunque, a seguito dell'interrogatorio di (OMISSIS), richiesto in data 27 novembre 2018 e svolto in data 29 novembre 2018, in cui questi aveva fatto il nome dei complici della rapina, si era risaliti a (OMISSIS), cosi' potendosi attribuire al predetto la qualita' di indagato soltanto in data 11 gennaio 2019 con l'iscrizione al registro mod. 21. 2.1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. e vizio di motivazione. Si contesta il diniego delle circostanze attenuanti generiche che, secondo la difesa, sarebbe fondato solo sull'assenza di un determinante contributo fornito da (OMISSIS) allo sviluppo delle indagini e sulla svalutazione della confessione degli addebiti da questi resa. Si era valorizzato, con i motivi di appello, il comportamento dell'imputato, e soprattutto il ruolo preponderante di (OMISSIS) nella causazione della morte dell'anziana vittima, mentre la Corte di assise di appello ha confermato la pronuncia che ha negato le circostanze attenuanti generiche operando una svalutazione della confessione e travisando il dato secondo il quale (OMISSIS) era gia' oggetto di indagine prima delle dichiarazioni di (OMISSIS). (OMISSIS) effettua per primo la chiamata in correita', converge con il (OMISSIS) nel descrivere che l'azione violenta era stata posta in essere ai danni della vittima dal solo (OMISSIS), ha determinato l'immediata individuazione del concorrente nel reato. Si contesta anche l'entita' della pena, che viene determinata senza tenere conto della condotta susseguente al reato, dell'utilita' della chiamata a fini investigativi e senza considerare le dichiarazioni spontanee di (OMISSIS), rese anche nel corso del giudizio di appello, espressione di autentico ripensamento. 2.1.5. Con il quinto motivo si denuncia mancata assunzione di prova orale indicata come decisiva quanto alla richiesta di escussione del teste (OMISSIS), nonche' omessa deliberazione e motivazione sul punto. Era stata chiesta, in data 7 luglio 2021, alla Corte territoriale l'escussione del teste, gia' indicato nei motivi di appello, come detenuto che aveva diviso la cella con (OMISSIS) per un certo periodo, durante la comune detenzione. Si tratterebbe di teste che era stato sentito con dichiarazioni rese a titolo di indagini difensive e che era stato indicato, nei motivi di appello, come soggetto al corrente di condotte aggressive poste in essere da (OMISSIS), all'interno del carcere. Ne era stata, pero', richiesta l'audizione, a titolo di integrazione istruttoria, perche' persona che aveva ricevuto da (OMISSIS) confidenze circa la reale dinamica degli accadimenti relativa ai fatti per cui e' processo. Si tratta di richiesta sulla quale la Corte d'assise d'appello non ha provveduto e sarebbe relativa, per il ricorrente, a prova decisiva. La difesa sottolinea che, comunque, e' del tutto omessa la ragione dell'implicito rigetto della richiesta medesima. Si tratta, secondo il ricorrente, di prova scoperta dopo la sentenza di primo grado, con diverso regime di acquisizione nel processo di appello, ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 2, dovendo il giudice soltanto attenersi ai parametri di cui all'articolo 190 c.p.p., che impongono, peraltro, una motivazione ad hoc, quanto all'eventuale rigetto della domanda. 2.1.6. Con il sesto motivo si denuncia manifesta illogicita' e travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la motivazione, quanto al riconoscimento della continuazione tra i reati di rapina e omicidio da parte del primo giudice. Si sostiene che la sentenza di primo grado non e' stata impugnata in punto riconoscimento della continuazione che secondo la difesa e' stata senz'altro riconosciuta dal Giudice per le indagini preliminari e quindi, il p. 6.3. della sentenza di secondo grado sarebbe affetto da inesistenza giuridica o nullita' assoluta. 2.2. (OMISSIS) denuncia, per il tramite dell'avv. (OMISSIS), sei vizi. 2.2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza dell'articolo 110 c.p. risultando inidonea la condotta ad integrare il concorso doloso nel delitto di rapina. A parere della difesa, la condotta della (OMISSIS) non avrebbe, in alcun modo, inciso sulla realizzazione del delitto di rapina eseguito da (OMISSIS) e (OMISSIS). Il concorso nel reato infatti, secondo la ricorrente, non e' integrato non avendo avuto la donna alcuna consapevolezza di svolgere il ruolo di palo che la sentenza le attribuisce. La (OMISSIS) si sarebbe limitata ad accompagnare e prelevare, dal luogo del delitto, gli esecutori materiali, avendo la predetta tenuto una posizione, a bordo della vettura, nell'attesa di prelevare i due nei pressi dell'abitazione della vittima, ad una distanza tale da non essere in grado di avvisare i complici ove fosse accaduto qualsiasi inconveniente, nonche' in un luogo illuminato e posto in un centro abitato. Inoltre, si nota che la strada era l'unica a servizio dell'abitazione della vittima e nessuno dei concorrenti nel reato erano al corrente di dove fossero le persone che abitavano l'appartamento e, quindi, da quale parte queste potessero provenire nel ritirarsi a casa. Ancora, si evidenzia che mancherebbe l'incidenza causale della condotta rispetto al fatto tipico posto in essere dai concorrenti nel reato, per essersi limitata la (OMISSIS) a fare da autista e non essendo provato il ruolo di palo attribuitole, ne' il dolo della consapevolezza del ruolo medesimo. Si sottolinea, poi, che la donna non ha partecipato alla distribuzione dei proventi della rapina e che sarebbe carente l'elemento soggettivo dimostrato sulla base di una chiamata in correita' considerata del tutto inattendibile. 2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 110 c.p. quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del concorso nel reato di rapina, nonche' violazione di legge, in relazione all'articolo 192 c.p.p., commi 2 e 3, e all'articolo 350 c.p.p., quanto alle dichiarazioni rilasciate dalla ricorrente alla polizia giudiziaria. Le uniche dichiarazioni sulle quali fonda l'elemento soggettivo nel reato, sarebbero le dichiarazioni eteroaccusatorie rese da (OMISSIS) dopo l'emissione, a suo carico, di ordinanza cautelare, proprio a seguito delle accuse mosse nei suoi confronti dalla (OMISSIS). Si tratta di dichiarazioni la cui attendibilita' e' stata ritenuta dai giudici di appello in base ad una valutazione frazionata, sulla base di un iter che, a parere della ricorrente, non soddisferebbe i parametri fissati dalla giurisprudenza di legittimita' quando alla necessita' di compiere una valutazione della credibilita' soggettiva del chiamante, dell'attendibilita' oggettiva del narrato, secondo un vaglio globale di tutti gli elementi emersi nel processo anche a titolo di riscontro. Il giudice di secondo grado, secondo la ricorrente, sminuisce le imprecisioni e dimenticanze del narrato di (OMISSIS), che invece, inciderebbero su aspetti determinanti per la posizione della ricorrente, liquidando questo aspetto come una mera difficolta' di memorizzare i dettagli. Inoltre, si assume che non vi sarebbero riscontri esterni rispetto alla chiamata in correita'. a) Quanto alla partecipazione alla fase ideativa, si sottolinea che l'interrogatorio di (OMISSIS) sarebbe vago nella indicazione dei partecipanti ai pur numerosi incontri preliminari, del numero di questi, dell'epoca in cui si sono svolti, nonche' nell'indicazione dei sopralluoghi espletati in costanza di tali incontri. b) In relazione al narrato del (OMISSIS) circa i momenti immediatamente successivi alla rapina, si deduce che questo sarebbe contraddittorio perche', da un lato, (OMISSIS) assume che la donna era al corrente dell'obiettivo dell'azione predatoria, dall'altro evidenzia che, tornati in auto, i due non avevano reso partecipe l'imputata dell'epilogo del furto. Si evidenzia, inoltre, che il dato riportato dalla Corte territoriale dell'allontanamento dal posto con andatura di marcia sostenuta non sarebbe provato. c) Secondo, poi, le dichiarazioni rese dai coimputati, (OMISSIS) e (OMISSIS), la donna non avrebbe partecipato alla ripartizione della refurtiva e non le sarebbe stata comunicata alcuna notizia sul profitto ricavato dal reato, tanto a dimostrazione del ruolo di mero "traghettatore inconsapevole" dalla stessa rivestito. d) Si indica, inoltre, come inattendibile il narrato di (OMISSIS) ove descrive il suo timore nei confronti della donna, non giustificato dalla stazza fisica del coimputato e, comunque, dalla sua personalita' per essere gravato da carichi pendenti. Inoltre, questa inferiorita' descritta sarebbe smentita dalle dichiarazioni di un teste ( (OMISSIS), escussa all'udienza del 19 settembre 2019) e dalla chiamata intercorsa con la (OMISSIS) il 25 settembre 2018, elemento acquisito a seguito di indagini difensive. e) Si contesta la contraddittorieta' delle dichiarazioni della madre del (OMISSIS) quanto alla visita ricevuta dalla (OMISSIS) dopo la rapina e ai rapporti con questa intercorsi. f) Si evidenzia, sul vestiario dei due complici, che le investigazioni svolte avevano portato ad escludere che i due uomini, in auto, indossassero il passamontagna (descrivendo le immagini registrate che ritraevano gli uomini a bordo del veicolo). g) Si contesta la circostanza relativa alla sosta, dopo la rapina, presso l'abitazione di (OMISSIS) dove sarebbe stata mostrata la refurtiva, senza che alla donna fosse proposta alcuna ripartizione del ricavato. Si deduce, poi, la violazione dell'articolo 110 c.p. ritenendo che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in error in iudicando, nell'iter motivazionale per reputare sussistente il concorso nel reato. Si segnalano una serie di elementi positivi, in base ai quali ritenere provata l'assoluta estraneita' della ricorrente rispetto alla rapina (cfr. pag. 14 e ss. del ricorso). Si critica il contenuto della fonte confidenziale dalla quale sarebbero partite le investigazioni, si evidenzia che sarebbe illogico, da parte della donna, saputo il contenuto dell'azione predatoria che i due complici si accingevano a compiere, aver tenuto con se' il telefono cellulare mentre era parcheggiata, peraltro in una postazione poi ripresa dalle telecamere, in zona illuminata e trafficata, a motore dell'auto spento. Inoltre, si sottolinea che, all'atto dell'arresto il (OMISSIS), si trovava presso l'abitazione della donna dove erano stati rinvenuti anche alcuni oggetti provenienti dall'abitazione della vittima, oggetti dei quali se la (OMISSIS) fosse stata consapevole dell'azione predatoria commessa, si sarebbe potuta disfare. Secondo la Corte territoriale, poi, la donna avrebbe inventato il dettaglio del trasloco dopo aver parlato con (OMISSIS), nel corso dell'incontro avvenuto in carcere; invece si evidenzia che la ricorrente, nel verbale di interrogatorio del 18 dicembre 2018, dunque prima del suo arresto, gia' aveva indicato che si era recata, la sera dei fatti, con (OMISSIS) e suo nipote a fare un trasloco assieme a (OMISSIS). Inoltre, quanto alla convinzione della donna di partecipare ad un trasloco, si sottolinea che, gia' nel mese di dicembre 2017, quando la ricorrente conviveva con (OMISSIS), l'ex inquilino (OMISSIS) aveva provveduto al trasloco con l'aiuto di (OMISSIS), come dichiarato dall'altro figlio della vittima (OMISSIS). Peraltro, la scelta dell'orario (dopo le ore diciannove) era dovuta alla circostanza che fino alle 19 e 30 (OMISSIS) lavorava altrove. Si sottolinea, infine, che unica contraddizione, rispetto alla tesi difensiva della (OMISSIS), circa la sua convinzione che i due che accompagnava dovessero svolgere un trasloco, si rinviene nelle dichiarazioni spontanee, rese alla polizia giudiziaria, in data 18 luglio 2018, in assenza di difensore, in violazione dell'articolo 350 c.p.p. e, dunque, da ritenere inutilizzabili, come tempestivamente dedotto nel corso del giudizio di primo grado. 2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia la inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 624-bis c.p.. Ove si ritenesse che la imputata fosse al corrente dell'azione predatoria per aver partecipato agli incontri preliminari, secondo la ricorrente, e' pacifico che la condotta pianificata prevedesse l'assenza da casa degli occupanti l'abitazione, come affermato dallo stesso (OMISSIS) e come sarebbe dimostrato dalla circostanza che nessuno dei due esecutori materiali avesse con se' oggetti atti ad offendere. Di qui l'error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel qualificare il concorso in rapina invece che nel reato di cui all'articolo 624-bis c.p.. Si richiama la pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte in ordine alla teoria del cd. bilanciamento (n. 38343 del 18 settembre 2014) in ordine all'atteggiamento psicologico dell'agente escludendo che detto iter sia stato correttamente percorso dalla Corte territoriale nel motivare circa la sussistenza del concorso nel delitto di rapina, posto che non viene precisato da quale elemento si ricava che la ricorrente, si sarebbe trattenuta nella condotta illecita anche se avesse avuto contezza della presenza in loco della vittima. 2.2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'articolo 116 c.p., comma 2. Si ravvisa error in iudicando da parte della Corte territoriale quando esclude il concorso, ai sensi dell'articolo 116 c.p., tenuto conto che l'evento diretto, cioe' la rapina, non e' stato voluto dalla ricorrente nemmeno a titolo di dolo eventuale. Si richiamano precedenti di legittimita' in ordine alla configurabilita' del concorso anomalo e si sostiene che il giudice di appello non avrebbe dato conto dell'esistenza del nesso causale e psicologico che deve sussistere, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, tra la condotta del concorrente e il reato di rapina effettivamente realizzato. Nessuno degli oggetti nella disponibilita' dei correi sarebbe stato idoneo a vincere la resistenza di eventuali vittime e, comunque, non era a conoscenza della ricorrente il possesso di questi (nessuno dei due uomini aveva passamontagna, come rilevato, secondo la ricostruzione difensiva, dalla registrazione delle telecamere e come si desumerebbe logicamente dal fatto che sarebbe stato poco prudente scendere dalla vettura con indosso gia' i passamontagna). Inoltre, non sussistono, per la difesa, i presupposti della circostanza aggravante delle piu' persone riunite, presenza che deve essere percepita dalla vittima e deve sussistere al momento in cui si esplica la violenza o minaccia, essendo l'aggravante in questione riferita al momento della fase esecutiva del delitto. 2.2.5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell'articolo 62-bis e 133 c.p.. La motivazione sarebbe contraddittoria in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Pur riconoscendo il ruolo marginale della donna, la mancata distribuzione a suo favore dei proventi del delitto, se ne esclude la concedibilita', mentre al (OMISSIS) vengono concesse soltanto per la presunta collaborazione offerta all'attivita' investigativa. In sostanza si assume che la donna, alla prima occasione utile, rendendo dichiarazioni con l'assistenza del difensore, ha reso dichiarazioni con dettagli che avevano condotto alla cattura di (OMISSIS) e, comunque, fin dal primo interrogatorio reso senza l'assistenza difensiva, aveva espresso il suo timore per lo spessore criminale dei concorrenti nel reato. Si tratta di incensurata, priva di carichi pendenti, con ruolo marginale, in stato di soggezione psichica nei confronti di (OMISSIS). 2.2.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione in punto di statuizioni civili, con riferimento ai parametri in base ai quali si e' determinato il quantum liquidato a titolo di spese della difesa delle parti civili e vizio di motivazione. Si evidenzia che non e' stata fornita adeguata motivazione circa i parametri utilizzati per la liquidazione, quanto al numero e all'importanza delle questioni, alla tipologia ed entita' della prestazione, senza valutare l'impegno professionale profuso. Infine, si determina il quantum del risarcimento indicato in Euro tremila in assenza di motivazione. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, Dott. Di Leo G., ha fatto pervenire richieste scritte con le quali ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso proposto dalla (OMISSIS) e l'annullamento con rinvio per (OMISSIS). 3.1. Le difese hanno fatto pervenire tempestive richieste di trattazione orale all'esito della quale, all'odierna udienza, le parti presenti hanno concluso nel senso specificato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato, mentre quello proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' manifestamente infondato o, comunque, devolve censure non consentite in sede di legittimita'. 1. Il primo e secondo motivo di ricorso proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono infondati. 1.1. La sentenza di appello evidenzia, con ragionamento lineare e immune da illogicita' manifesta, che la morte dell'anziana vittima, quanto alle cause del decesso e ai mezzi usati per procurarla, e' derivata da insufficienza respiratoria acuta, mediante meccanismo asfittico (cfr. pag. 23 e ss.). Secondo i consulenti del Pubblico ministero, la morte e' stata cagionata esclusivamente dal soffocamento diretto, realizzato attraverso un mezzo morbido, applicato sulle vie aeree ovvero con la compressione del capo esercitata da tergo. Vengono, poi, descritte ulteriori lesioni interne e fratture costali, riscontrate sul cadavere, determinate dal posizionamento di un consistente peso sul corpo dell'anziana donna. Si sottolinea l'eta' avanzata della vittima, il peso (oltre cento chili) della persona che la immobilizzava, tenendola a cavalcioni sulla schiena con la faccia spinta verso le lenzuola poste sul materasso, posizione che non rendeva agevole la respirazione. Si sottolinea, infine, che la morte era intervenuta in un arco temporale (tra le ore 21 e le ore 22), compatibile con la presenza di entrambi gli uomini, (OMISSIS) e (OMISSIS), all'interno dell'abitazione. Questa si era verificata per l'impossibilita' della vittima di ruotare il capo di lato, per riaprire vie di respirazione, con la donna descritta come incapace, via via, di resistere e di porre in atto manovre difensive (di cui non vengono riscontrati segni, alla stregua degli accertamenti medico legali di cui rende conto la Corte territoriale). 1.1.1. La motivazione complessiva resa dal giudice di secondo grado, poi, ricostruisce l'intera condotta del ricorrente (cfr. pag. 35) attribuendogli ruolo determinante e preminente in tutto lo sviluppo dell'azione, a partire dalla preparazione e ideazione della rapina, dall'apprestare i mezzi per la commissione del fatto, dalla spartizione della refurtiva il giorno dopo, valorizzando il dato dell'acclarata presenza del (OMISSIS), appena due giorni prima dei fatti, nell'appartamento della vittima dove aveva avuto accesso anche in passato. La completa motivazione, immune da illogicita' manifesta, sottolinea, poi, che l'accesso e' organizzato di sera, attuato da (OMISSIS) portando con se' scotch telato, con l'evidente finalita' di immobilizzare persone, ove presenti nell'abitazione. Nella dinamica della morte della vittima, anche tenendo presenti entrambe le versioni, parzialmente divergenti, dei dichiaranti e alla luce dei contrasti segnalati, puntualmente, con il ricorso, alla stregua della ricostruzione lineare e logica della Corte territoriale viene valorizzato, in definitiva, il dato certo secondo il quale l'anziana donna non poteva che essere compromessa nella funzione respiratoria, visto che si trovava a faccia in giu', con le caviglie legate e, inoltre, immobilizzata anche dal peso consistente di (OMISSIS), di oltre cento chili, posto su di lei a cavalcioni. 1.1.2. Correttamente, dunque, con ragionamento immune da censure di ogni tipo, sviluppato a pag. 41, la Corte territoriale esclude la preterintenzione e, a pag. 45, il concorso anomalo di (OMISSIS) nel reato di omicidio attribuito anche al (OMISSIS). Sul punto, si osserva che e' configurabile il reato di omicidio preterintenzionale quando vi sia attivita' diretta a percuotere o ledere la vittima, con calci, pugni od oggetti contundenti, senza la volonta' di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalita' tra detta attivita' e l'evento mortale, rispetto ad eventuali concause sopravvenute o precedenti all'evento che non siano da sole sufficienti a determinarlo, ma lo abbiano causato, in sinergia con la condotta dell'imputato, per cui, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato (Sez. 5, n. 35015 del 03/05/2016, Rv. 267549; Sez. 5, n. 6918 del 08/01/2016, Avram, Rv. 266614; Sez. 5, n. 12413 del 30/10/2013, dep. 2014, G., Rv. 262539; Sez. 5, n. 41017 del 12/07/2012, S., Rv. 253744). Cio' rende anche ragione dell'ulteriore regula iuris, che e' agevole trarre da altro precedente giurisprudenziale (Sez. 5, n. 3946/03 del 03/12/2003, Belquacem, Rv. 224903), secondo cui deve ritenersi realizzato il nesso causale quando la morte sia conseguenza di una specifica situazione di pericolo cagionata dalla condotta volta a percuotere o ledere il soggetto passivo. Dal punto di vista del concorso nel reato, poi, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui agli articoli 110 e 584 c.p., e' configurabile il concorso di persone nell'omicidio preterintenzionale quando vi sia la partecipazione materiale e/o morale di piu' soggetti nell'attivita' diretta a percuotere o ledere una persona con calci, pugni od oggetti contundenti, senza la volonta' di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalita' tra tale attivita' e l'evento mortale (Sez. 5, n. 4715 del 15/10/2019, dep. 2020, Corsi, Rv. 278202; Sez. 5. n. 12413 del 30/10/2013, dep. 2014, G., Rv. 262539 Sez. 5, n. 1751 del 14/10/2004, Rv 230836) evento letale non voluto da alcuno dei concorrenti partecipi della condotta materiale. Orbene, nel caso al vaglio, il ragionamento lineare e logico della pronuncia impugnata, valorizza, ai fini della corretta qualificazione della condotta, i numerosi atti di aggressione e violenza commessi ai danni di un'anziana - con particolare riferimento all'avvenuta immobilizzazione - attuati mediante legatura delle caviglie con nastro adesivo, come ammette di aver fatto lo stesso (OMISSIS) (e come attestato dal rinvenimento di impronte, appartenenti proprio al (OMISSIS), sul nastro apposto alle caviglie e sotto le unghie della donna), nonche' per il peso, di oltre cento chili (quello del (OMISSIS)), incidente sulla schiena della vittima, tenuta con la faccia in giu' affondata tra le lenzuola per tempo apprezzabile, tanto da riuscire a vincere ogni resistenza. 1.1.3. Gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), dunque, rispondono del reato di omicidio aggravato, secondo la corretta qualificazione della Corte territoriale, a titolo di concorso ai sensi dell'articolo 110 c.p. stante il dolo omicidiario (quanto meno eventuale) ravvisato anche dal primo giudice come appartenente ad entrambi. Sul punto si richiama, in tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilita' del dolo eventuale, la pronuncia di questa Corte nella sua piu' autorevole composizione, secondo la quale occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e' verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105). A tal fine l'indagine svolta dalla Corte territoriale, di cui rende conto con motivazione non manifestamente illogica, fonda su tutti gli indicatori delineati dalla pronuncia citata come necessari ai fini della qualificazione del fatto. Quanto alla lontananza della condotta tenuta da quella doverosa, si sottolinea l'assenza di ogni allarme successivo all'allontanamento dall'abitazione della vittime, si segnala la ripetizione, nell'ambito dell'azione, di condotte aggressive e violente, l'elevata probabilita' di verificazione dell'evento, per l'eta' della vittima, la qualita' delle condotte aggressive, con particolare riferimento all'immobilizzazione, indicata come attuata materialmente anche da (OMISSIS), lo stato della vittima al momento in cui i due (presenti entrambi sul posto in tutto lo sviluppo dell'azione violenta) avevano lasciato assieme l'appartamento. Peraltro, si reputa, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie debitamente vagliate, con ragionamento di cui i giudici di merito rendono conto, con ragionamento lineare e non manifestamente illogico, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cd. prima formula di Frank). Entrambi, infatti, secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado, partecipano all'aggressione una volta entrati in casa, ove si erano recati, dopo lungo "studio" da parte del (OMISSIS), dei movimenti e abitudini degli abitanti, muniti di mezzi appositi e travisati (scoth usato, poi, per immobilizzare la donna) per il caso di reperimento di persone nell'abitazione, nonche' all'immobilizzazione della vittima, con condotta che denota, quanto meno, di accettare il rischio di provocarne il decesso tramite soffocamento, avendo tenuto la donna, su esortazione dello stesso (OMISSIS), nella descritta posizione prona, con la faccia rivolta verso le lenzuola, per un tempo apprezzabile e, comunque, fino a quando la resistenza era stata vinta, trovandosi l'anziana nell'impossibilita' di voltare il capo, anche soltanto per riprendere fiato. I giudici di secondo grado, poi, non mancano di sottolineare che nessuno dei due imputati aveva allertato i soccorsi, una volta allontanatisi dall'appartamento, pur essendo loro evidente che la donna era apparsa sopraffatta, cosi' accettando il rischio della morte per essere lampante lo stato in cui si trovava la vittima, quando entrambi avevano lasciato l'abitazione. 1.2. Il terzo motivo e quarto motivo sono generici. Il terzo motivo, invero, non indica la ragione del travisamento dedotto, la decisivita' dell'elemento che si assume travisato rispetto all'acclarata responsabilita' del ricorrente e la circostanza che il dato probatorio che si assume oggetto di travisamento (pendenza delle indagini a carico di (OMISSIS) gia' alla data dell'interrogatorio di (OMISSIS) richiesto in data 27 novembre 2018, svolto il 29 novembre 2018) sia stato inserito, per la prima volta, nella motivazione del giudice di secondo grado (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774 nel senso che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, specificamente indicati dal ricorrente, e' ravvisabile solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l'intangibilita' della valutazione nel merito del risultato probatorio). Si riprende l'argomento con il quarto motivo e si specifica il rilievo per il diniego delle circostanze attenuanti generiche che pero' la Corte territoriale nega, anche in base ad altri elementi considerati negativi che, invero, non risultano attinti da specifica critica (cfr. pag. 52 e ss.). Ai fini del pronunciato rigetto del beneficio, si valorizza la condotta successiva al reato, l'accaparramento del profitto del reato, l'interazione tra i ricorrenti per meglio organizzare la linea difensiva. Si richiama anche la giurisprudenza di legittimita' che valorizza, anche al fine del diniego, l'assenza di elementi positivi. Si sottolinea che la motivazione del primo giudice aveva valorizzato l'assenza di resipiscenza quale elemento di valutazione negativo. 1.3. Il quarto motivo e', del pari, inammissibile. Esso attinge, oltre al diniego delle circostanze, anche l'entita' della pena, ma entrambe le statuizioni sono giustificate, secondo parametri conformi alla costante giurisprudenza di legittimita' (pag. 53 e ss). A fronte dell'indicata chiamata in correita', invero, con ragionamento immune da censure di ogni tipo, la Corte territoriale valorizza elementi di segno contrario, quali la condotta successiva al reato, quella posta in essere in uno alla concorrente nel reato di rapina, odierna ricorrente. Del resto, e' noto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice di secondo grado non e' tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato in sede di gravame. E', invece, necessario che questi spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli, con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze ritenute di preponderante rilievo e, ancora, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610). Anche il ragionamento svolto in ordine all'entita' della pena (cfr. pag. 51 e ss.) poi, non risulta sfornito della necessaria, congrua, giustificazione e, comunque, non appare raggiunto da specifiche argomentazioni di critica. 1.4. Il quinto motivo e' inammissibile. 1.4.1. Va precisato, sul punto, che l'esame degli atti, doveroso in relazione alla qualita' dell'eccezione formulata, ha consentito di acclarare che nel verbale di udienza (cfr. verbale manuale relativo all'udienza del 7 luglio 2021) si da' atto che era stata chiesta e ottenuta l'acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese al difensore dal teste (OMISSIS), ex articolo 391-bis c.p.p. e che, in quella sede, era stato richiesta l'ammissione dell'esame del medesimo teste e lo svolgimento di perizia, sulle caratteristiche del (OMISSIS) quale istruttore di judo. Non risulta, dalla lettura del verbale indicato, la specificazione di circostanze sulle quali avrebbe dovuto essere svolto l'esame orale del teste, eventualmente diverse da quanto da questi dichiarato al difensore, in sede di indagini difensive. Orbene, a fronte di detta richiesta, sulla quale la motivazione della Corte territoriale, invero, non si sofferma, il ricorso e' genericamente formulato, posto che non illustra la decisivita' della prova testimoniale da assumere, rispetto alla quale non specifica il contenuto delle dichiarazioni che (OMISSIS) avrebbe rivolto al compagno di cella (OMISSIS) e l'incidenza, di dette dichiarazioni, ai fini di una diversa, piu' favorevole conclusione per l'imputato. Peraltro, risulta che la Corte territoriale ha acquisito il verbale delle dichiarazioni rese al difensore, sicche' la prova dichiarativa nuova, chiesta con i motivi di appello, si introduce tramite acquisizione del relativo verbale di dichiarazioni rese al difensore, anche se la Corte d'assise di appello non svolge l'esame testimoniale del dichiarante nel contraddittorio delle parti. 1.4.2. In ogni caso, con argomenti di carattere dirimente, rileva il Collegio che, trattandosi di rito abbreviato la prova ex articolo 603 c.p.p., 507, deve essere introdotta ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, anche se si tratta di prova sopravvenuta, sicche' la necessita', ai fini del decidere, del suo espletamento non viene illustrata con i motivi di ricorso, ne' invero, con l'atto di appello o in sede di richiesta istruttoria da ultimo formulata all'udienza indicata. Sul punto rileva il Collegio che la regola di giudizio, quanto ai presupposti per l'ammissione della detta prova, avrebbe dovuta essere non quella di cui all'articolo 603 c.p.p., comma 2, richiamata dai difensori, ma quella dell'assoluta necessita' ex articolo 441 c.p.p., comma 5. Non va, infatti, trascurato che, nella specie, si tratta di procedimento definito nella forma del rito abbreviato, dunque, la rinnovazione istruttoria, pur consentita in astratto, deve riguardare, specificamente, una prova decisiva ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, cit.. Questa Corte di legittimita' (Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318; Sez. 1, n. 8316 del 14/01/2016, Rv. 266145) infatti, ha affermato il principio secondo il quale, nel giudizio di appello avverso una sentenza emessa all'esito di rito abbreviato, e' ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perche' potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. La Corte di legittimita', poi, ha operato un distinguo nel caso in cui si sia in presenza di prova sopravvenuta o emersa dopo la decisione di primo grado, rilevando che, solo in tale caso, la valutazione giudiziale del parametro della assoluta necessita' deve confrontarsi con tale novita' del dato probatorio, per sua natura adatto a realizzare un effettivo ampliamento delle capacita' cognitive nella chiave prospettica sopra indicata. In definitiva, si e' ribadito (Sez. 6, n. 37901 del 21/05/2019, Arbolino, Rv. 276913; Sez. 1, n. 35846 del 23/05/2012, Andali, Rv. 253729) che le parti non possono far valere il diritto alla rinnovazione dell'istruzione per l'assunzione di prove nuove, sopravvenute o scoperte successivamente, soltanto in base ai limiti di cui all'articolo 495 c.p.p., comma 1, spettando, in ogni caso, al giudice la valutazione in ordine alla assoluta necessita' della loro acquisizione, quando il giudizio di primo grado sia stato definito nelle forme del rito abbreviato. Rispetto a tali principi, cui il Collegio intende dare continuita', dunque, il motivo di ricorso e, ancor prima quello di appello, svolto sul punto sono inammissibili posto che non illustrano le ragioni per ritenere l'assoluta necessita' della prova; ne' viene spiegato, con il ricorso per cassazione, onde valutare la indispensabilita' della prova nuova, quali siano state le affermazioni del dichiarante rispetto alle confidenze ricevute durante la comune detenzione da (OMISSIS), risultando cosi' inibito ogni esame, ai fini dell'asserito carente apprezzamento della dedotta assoluta necessita' ai fini del decidere. 1.5. Il sesto motivo e' inammissibile. La motivazione della sentenza di primo grado sebbene di non agevole lettura e poco chiara, non esplicita, per (OMISSIS), di aver riconosciuto il vincolo della continuazione tra il delitto di rapina e quello di omicidio. In relazione al trattamento sanzionatorio irrogato al ricorrente, poi, il Giudice di primo grado non indica, con riferimento al delitto di rapina, specificamente, la pena in concreto determinata, ma si limita a valutare l'effetto che quella pena, indicata, comunque, come non superiore ad anni cinque di reclusione, produce rispetto a quella dell'ergastolo irrogata per il concorrente reato di omicidio. Si sottolinea, infatti, che questa, ai sensi dell'articolo 72 c.p., comma 2, produce l'effetto di giungere alla pena dell'ergastolo senza l'isolamento diurno e, quindi, a quella finale in concreto irrogata, di anni trenta di reclusione, cosi' ridotta per la scelta del rito. Il motivo di ricorso prospettato, dunque, a fronte della mancata proposizione di motivo di gravame sul punto relativo alla continuazione, e' inammissibile perche' inedito e, in ogni caso, manifestamente infondato, posto che la parte della motivazione della Corte territoriale, quanto alle indicate ragioni per le quali anche il giudice di secondo grado nega il riconoscimento del vincolo della continuazione, riguarda espressamente la posizione di (OMISSIS) (cfr. pag. 55 e ss.) che, sul punto, aveva proposto impugnazione. 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo corrisponde a censura sovrapponibile a quella devoluta con l'atto di appello, cui la Corte territoriale risponde, a pag. 33 e ss., con ragionamento immune da illogicita' manifesta e da censure di ogni tipo, in ordine alla configurabilita' del concorso materiale, ai sensi dell'articolo 110 c.p., della ricorrente nel delitto di rapina aggravata. Inoltre, la questione dell'inattendibilita' di (OMISSIS) viene trattata nel ricorso, genericamente, senza approfondire e specificamente indicare elementi dai quali trarre l'intrinseca inattendibilita' e la carenza di credibilita' della versione resa, anche in relazione all'elemento soggettivo del reato. Trascura, peraltro, la ricorrente che la sentenza di secondo grado sottolinea elementi probatori conducenti (cfr. pag. 33), atti a concludere in modo certo nel senso della sussistenza del concorso nel reato, atteso che l'imputata ha assicurato un apporto incidente, causalmente, rispetto al fatto tipico. Ella, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, quella sera, si era posta in attesa, dopo aver accompagnato con la vettura i due complici, nei pressi di casa (OMISSIS), lasciandoli, peraltro, prudentemente, poco distante da questa e si era trattenuta nei paraggi, in attesa di intervenire, ad azione compiuta, per poi recuperare uomini e refurtiva. Si tratta di condotta, in se', gia' sintomatica del contestato concorso nel reato di rapina aggravata, posto che i due complici, secondo la ricostruzione non manifestamente illogica resa dalla Corte territoriale, dunque non rivisitabile in questa sede, avevano indossato guanti prima di scendere dalla vettura e, immediatamente fuori dall'auto dei passamontagna, tolti soltanto dopo esservi risaliti, al termine dell'azione, con condotta evidentemente del tutto incompatibile con l'esecuzione di un preteso trasloco, anche in considerazione dell'orario serale in cui vanno collocati i fatti (cfr. pag. 31 e ss). Ma la Corte territoriale, al fine di giustificare la sussistenza del concorso materiale della ricorrente, sottolinea anche l'attivita' assicurata da questa nella fase ideativa della condotta (attraverso la partecipazione a riunioni e sopralluoghi sul posto prima dell'attuazione del piano), la delicatezza del ruolo assegnatole (di autista della vettura che avrebbe accompagnato e prelevato i complici dopo il delitto e di vedetta rispetto al sopraggiungere del figlio della vittima), la partecipazione alle fasi successive (quando veniva chiamata telefonicamente da (OMISSIS) per essere immediatamente prelevati, nonche' quando si era incontrata con la madre di (OMISSIS) dopo l'arresto di (OMISSIS)). Tutte condotte materiali a fronte delle quali viene, con ragionamento logico e congruo, reputata del tutto recessiva la circostanza dedotta, circa la mancata partecipazione alla ripartizione della refurtiva e del danaro prelevato il giorno dopo. Si tratta di ragionamento in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte di legittimita' secondo il quale, ai fini del concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p., questo e' integrato ove sussista la rappresentazione in concreto dell'evento come possibile conseguenza dell'azione concordata, delle modalita' effettive di esecuzione e di tutte le altre circostanze di fatto rilevanti. 2.2. Il secondo motivo e' inammissibile in quanto integralmente versato in fatto e perche' devolve la rilettura del giudizio di attendibilita' del (OMISSIS) che svolgono i giudici di appello, con ragionamento logico e coerente, immune da censure di ogni tipo. Inoltre, si invita la Corte di legittimita' al riesame di circostanze di fatto e prove, non consentito. Peraltro, tali prove, in alcuni casi, sono solo indicate e non se ne precisa il contenuto, onde apprezzarne la rilevanza e decisivita' scardinante, rispetto alla ricostruzione recepita dai giudici di secondo grado. Le dichiarazioni rilasciate dalla ricorrente alla polizia giudiziaria di cui si eccepisce l'inutilizzabilita' sono state rese nel corso di giudizio abbreviato e, dunque, sono utilizzabili, ai sensi dell'articolo 350 c.p.p.. La giurisprudenza prevalente di legittimita' ha, invero, aderito all'opzione ermeneutica che interpreta il disposto di cui all'articolo 350 c.p.p., comma 7, nel senso che le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria sono utilizzabili nella fase procedimentale, e, dunque, nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, purche' emerga con chiarezza che l'indagato ha scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (tra le altre, Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 2020, Fornaro, Rv. 279125; Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019, S., Rv. 275752; Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Carlucci, Rv. 273642; Sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017, Pernicola, Rv. 269598). Nella fattispecie, il ricorso non contesta, specificamente, il dato della spontaneita' delle dichiarazioni, costituente, come si e' detto, l'unico limite alla piena utilizzabilita' delle dichiarazioni, anche se rese in assenza di difensore e senza gli avvisi ex articoli 63 e 64 c.p.p., ma la critica e' genericamente prospettata. Si tratta, invero, di accertamento di fatto, quello sulla spontaneita' delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 350 c.p.p., comma 7, rimesso al giudice di merito, che, comunque, non e' attinto, nel caso di specie, dall'indicazione di specifiche ragioni in base alle quali concludere, senz'altro, nel senso dell'assenza di spontaneita'. La critica, poi, si appalesa generica anche sotto il profilo della cd. prova di resistenza. E' noto, invero, che in presenza di un articolato compendio probatorio il ricorrente deve illustrare l'incidenza dell'eventuale eliminazione dell'elemento di cui si deduce l'inutilizzabilita', ai fini della cosiddetta prova di resistenza, in quanto, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita', condiviso dal Collegio, gli elementi di prova eventualmente acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (tra le altre, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, Rv. 262011). 2.3. Il terzo motivo con il quale si insiste nella riqualificazione della condotta ai sensi dell'articolo 624-bis c.p. e' manifestamente infondato. La giurisprudenza di questa Corte e', in proposito, assolutamente ferma nel ritenere che sussiste il necessario rapporto di causa ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina, commesso successivamente, poiche' e' del tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque guadagnare l'impunita', sicche' solo ove le circostanze del caso di specie siano indicative della focalizzazione esclusiva dell'azione criminosa verso la semplice sottrazione di un bene altrui, puo' ritenersi sussistere l'ipotesi del concorso anomalo. Ove, invece, le circostanze del fatto programmato e poi portato a termine inducano a ritenere che, per le particolari caratteristiche del luogo di consumazione e' logicamente prevedibile la trasformazione dell'azione criminosa dall'inizialmente programmato furto nel piu' grave delitto di rapina, il titolo di reato e' sicuramente quello del concorso, ex articolo 110 c.p. a titolo di dolo indeterminato, alternativo od eventuale. Cosi' che se l'introduzione ai fini dell'impossessamento avviene all'interno di un'abitazione e, cioe', all'interno di un luogo ordinariamente destinato al domicilio delle persone, l'accettazione del rischio della trasformazione del furto nel piu' grave delitto di rapina deve ritenersi insita nella programmazione criminosa originale (tra le altre, Sez. 2, n. 29641 del 30/05/2019, Rv. 276734, in motivazione). 2.4. Il quarto motivo e' inammissibile. Non ricorre nel caso al vaglio, l'ipotesi di cui all'articolo 116 c.p.. Il motivo proposto si appalesa generico e reiterativo di identico motivo di appello e, comunque, corretta e' la motivazione della Corte territoriale ove valorizza che l'azione e' notturna, che i complici sono visti dalla donna con guanti e passamontagna e che la partecipazione della ricorrente, la sera dei fatti, si e' sostanziata anche nel compito di avvisare in caso di eventuale sopraggiungere di terzi, cosi' facendo emergere la evidente sussistenza del dolo, quanto meno nella forma di quello eventuale. La motivazione, dunque, appare in linea con il condivisibile indirizzo di legittimita' secondo il quale, in tema di concorso di persone nel reato, sussiste la responsabilita' a titolo di concorso anomalo solo qualora l'evento ulteriore, benche' prevedibile in quanto collegato da un nesso di pura eventualita' rispetto al delitto base programmato, non sia stato dall'agente voluto neppure nella forma del dolo indiretto (indeterminato, alternativo o eventuale); ricorre, invece, l'ipotesi del concorso ex articolo 110 c.p., ove l'agente abbia effettivamente previsto l'evento o comunque accettato il rischio del suo verificarsi (tra le altre, Sez. 1, n. 11595 del 15/12/2015, dep. 2016, Cinquepalmi, Rv. 266647). Manifestamente infondato e' poi la dedotta insussistenza della circostanza aggravante delle piu' persone riunite, per non avere la vittima della rapina, percepito la presenza della ricorrente, rimasta, anche secondo la ricostruzione dei giudici di merito, all'esterno dell'abitazione al momento della violenza commessa ai danni della persona offesa. Sul punto il Collegio aderisce all'indirizzo di questa Corte secondo il quale, in tema di rapina, la circostanza aggravante speciale delle piu' persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza di piu' soggetti. Cio' in quanto la ratio dell'aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, quanto piuttosto dalla maggiore potenzialita' criminosa correlata all'oggettiva compresenza di piu' persone nell'esecuzione dello stesso, atteso che la predisposizione di un'organizzazione plurisoggettiva genera, nei concorrenti, l'affidamento reciproco sull'immediato ausilio disponibile e si risolve in una garanzia di successo dell'attivita' illecita risultante dall'impegno contestuale di piu' persone (tra le altre, Sez. 2, n. 46148 del 10/10/2019, Cappello, Rv. 277776). 2.5. Il quinto motivo e' inammissibile in quanto investe la statuizione di diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, correttamente motivata dalla Corte territoriale (pag. 52 e ss.). La Corte d'assise di appello, con apprezzamento di fatto immune da illogicita' manifesta e, dunque, incensurabile in sede di legittimita', ha motivato il diniego delle generiche in ragione dell'assenza di elementi da giudicare positivamente, diversi dalla sua incensuratezza. Il ragionamento e' in linea con l'indirizzo di questa Corte secondo il quale, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego, il giudice non e' tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli, con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo e, ancora, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze da poter considerare di segno positivo (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. cit.; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. cit.; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. cit.). 2.6. Il sesto motivo e' inammissibile. E' inibito alla Corte di cassazione intervenire sulla liquidazione del danno svolta dal giudice di merito, peraltro in questo caso assistita da (succinta) motivazione (cfr. pag. 56). Rispetto all'entita' del danno provocato e all'ammontare della provvisionale, invero, si deve pacificamente ritenere che la determinazione della somma assegnata e' riservata insindacabilmente al giudice di merito che, peraltro, non ha l'obbligo di espressa motivazione quando, per la sua non particolare rilevanza, l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile (Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017, Mazzella, Rv. 269882 in relazione alla liquidazione della provvisionale). L'entita' delle spese liquidate in favore delle parti civili, effettivamente non e' motivata ma, anche sotto questo profilo, il motivo e' generico. Esso si limita a denunciare vizio di motivazione, senza specificare, in quale misura queste si sarebbero dovute liquidare e le ragioni in base alle quali l'impegno profuso dal professionista avrebbe dovuto condurre alla liquidazione di un importo minore. 3. Segue a quanto sin qui esposto, la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso della (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', stante la mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare nella misura indicata in dispositivo, considerati i motivi devoluti. 3.1. Al rigetto del ricorso di (OMISSIS) segue, poi, la condanna dell'imputato alle spese processuali. 3.2. Segue, altresi', per entrambi i ricorrenti la condanna alle spese sostenute dalle parti civili, nel presente giudizio dalle parti, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, entrambi i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), spese che liquida in complessivi Euro 4.300,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. GENTILI Andrea - rel. Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza n. 13/22 della Corte di appello di Trento del 21 gennaio 2022; letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENTILI Andrea; letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa COSTANTINI Francesca, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO In solo parziale riforma della sentenza emessa in data 21 ottobre 2020 dal Gup del Tribunale di Trento in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato - e con la quale (OMISSIS) era stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti, aventi ad oggetto plurime condotte di violenza sessuale da lui poste in essere in danno di due nipoti ex filio, ambedue minorenni all'epoca dei fatti e con la quale lo aveva, pertanto, condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione fra le vare condotte criminose, alla pena di anni 4 di reclusione, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato, in aggiunta a quanto dal prevenuto gia' versato in precedenza, in 65.000,00 Euro, oltre alla rifusione delle spese di costituzione e difesa - la Corte territoriale competente ha confermato, quanto agli aspetti di immediata rilevanza penale, la sentenza emessa dal giudice di primo grado, mentre la ha riformata con riferimento ai profili civilistici, in quanto, essendo stata versata dal ricorrente la ulteriore somma di Euro 1.000,00 a titolo risarcitorio, ha ridotto l'ammontare della condanna giudiziale al risarcimento del danno in pari misura. Avverso la sentenza del giudice del gravame ha interposto ricorso per cassazione, tramite la propria difesa fiduciaria, il prevenuto, articolando al fine di cui sopra quattro motivi di ricorso, i cui contenuti sono qui di seguito compendiati. Il primo motivo riguarda la ritenuta mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena irrogata a carico del condannato; il secondo motivo ha ad oggetto il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante del risarcimento del danno. Il terzo concerne la affermata violazione di legge, si' tratterebbe dell'articolo 2043 c.c., in punto di quantificazione del danno. Infine, il quarto motivo di ricorso attiene alla ritenuta violazione dell'articolo 163 c.p.c. per avere a Corte di appello riconosciuto anche il danno biologico in favore delle parti civili, sebbene questa voce di danno non fosse stata ne' richiesta ne' quantificata in sede di precisazione delle conclusioni. CONSIDERATO IN DIRITTO Come e' evidente, con i motivi di impugnazione da lui proposti l'imputato non ha inteso mettere piu' in discussione la propria responsabilita' penale in ordine ai fatti a lui contestati, posto che le doglianze da lui rappresentate hanno avuto esclusivamente ad oggetto gli aspetti conseguenziali alla oramai pacifica attribuibilita', per quanto di rilevanza penale, a lui dei fatti di cui ai capi di imputazione elevati nei suoi confronti. Fatta questa premessa, si rileva che, quanto al primo motivo di impugnazione, direttamente riferito alla dosimetria sanzionatoria, punto sul quale la sentenza della Corte tridentina e' di contenuto assolutamente confermativo di quella emessa dal Gup del locale Tribunale in esito a giudizio abbreviato, le censure mosse al ricorrente alla motivazione della sentenza impugnata, sono del tutto inammissibili. Il ricorrente ha, infatti, censurato la motivazione in questione sostenendo che, essendo stata quantificata la pena finale inflitta al (OMISSIS) in anni 4 di reclusione - in misura, pertanto, che, tenuto conto dell'abbattimento per la scelta del rito risulta essere, quanto alla pena base, superiore al minimo edittale - stante la ritenuta "intensita' del dolo", sia il giudice di primo grado che quello del gravame avrebbero dovuto fornire una giustificazione in relazione alla affermazione riguardante il grado di intensita' del dolo che, essendo in ipotesi marcato, aveva giustificato lo scostamento dosimetrico rispetto al minimo edittale. Si tratta di motivo inammissibile; infatti, anche a volere non considerare che lo stesso, per come adesso formulato in sede di ricorso per cassazione presenta dei profili di innegabile novita' rispetto alla formulazione della doglianza sulla pena contenuta nell'atto di appello (ora, infatti, ci si duole del fatto che non sia stata data ragione della ritenuta particolare intensita' del dolo, mentre in sede di gravame ci si era lamentati del fatto che, ai fini della determinazione della pena base, non si fosse tenuto conto del fatto che l'imputato avesse riconosciuto le proprie responsabilita' e si fosse, pertanto, allontanato dall'ambiente ove i fatti erano avvenuti), che lo renderebbero di per se' inammissibile (Corte di cassazione, Sezione II penale, 4 giugno 2017, n. 29707), in ogni caso la Corte di merito, nel rilevare che le condotte poste in essere dal prevenuto hanno interessato un arco di tempo, anzi due distinti archi di tempo nel corso dei quali sono stati compiuti rispettivamente per circa tre anni abusi in danno di una delle nipoti e per altri due anni abusi in danno della seconda, decisamente considerevole ha, in sostanza messo in evidenza le ragioni per le quali l'atteggiamento antidoveroso dell'imputato, cosi' radicato nel tempo e indirizzato nei confronti di soggetti legati a lui da uno stretto vincolo familiare, sia espressivo di un dolo particolarmente intenso, posto che la evidenza di esso deve essere ragionevolmente parametrata alla durata nel tempo della persistenza proposito criminoso ed alla spiccata contrarieta' di esso al comune sentire. Appare, pertanto, del tutto giustificate. e adeguatamente motivata la quantificazione, espressione d'altra parte della discrezionalita' che compete a riguardo al giudice del merito, della pena-base in misura superiore al minimo edittale. Anche in ordine al preteso vizio di motivazione in punto di riconoscibilita' della circostanza attenuante del risarcimento dei danno la impugnazione dei ricorrente non coglie nel segno. Va, infatti, ribadito che il riconoscimento di tale attenuante e' subordinato al fatto che l'imputato abbia provveduto, prima del giudizio, in maniera, integrale alle restituzioni o al risarcimento del danno (per tutte: Corte di cassazione, Sezione II penale, 21 dicembre 2021, n. 46758); nella presente fattispecie e' risultato che il (OMISSIS), che pure si e' adoperato per lenire sotto il profilo patrimoniale il danno patito dalle persone offese, non ha, tuttavia corrisposto ad esse una somma tale costituire un integrale ristoro in favore di costoro; tale fattore e' stato coerentemente valutato in sede di merito, escludendo il riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno, stante la solo parziale elisione del danno civile patito dalle persone offese, ma riconoscendo in favore del ricorrente le circostanze attenuanti generiche (si veda, infatti, sul punto: Corte di cassazione, Sezione II penale, 31 maggio 2021, n. 21511). In relazione alla doglianza avente ad oggetto la quantificazione dei danno, si rileva che e' errata la tesi prospettata dal ricorrente, secondo il quale il danno morale, laddove liquidato) assorbirebbe anche il danno biologico, atteso che, diversamente, la giurisprudenza di questa stessa Corte e' sandamente attestata nel senso che il danno morale consiste in uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto prescindente dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (che pure puo' influenzare) ed e' insuscettibile di accertamento medico-legale, sicche', ove dedotto e provato, deve formare oggetto di separata valutazione ed autnnomo liquidazione rispetto al danno biologico (Corte di cassazione, Sezione III civile, 21 marzo 2022, n. 9006, ord.). Quanto infine al ritenuto vizio di ultrapetizione che affetterebbe le sentenza di merito, per essere stato liquidato a carico del (OMISSIS) anche il danno biologico che lo stesso avrebbe cagionato alle persone offese, sebbene lo stesso non fosse stato oggetto di richiesta giudiziale, si tratta di censura priva di pregio, posto che in sede di indicazione delle loro conclusioni le persone offese hanno sollecitato ai giudici del merito l'integrale risarcimento del danno da loro subito, dovendosi intendere formulata, in tale sintetica pretesa, la richiesta di soddisfazione monetaria di ogni tipologia di pregiudizio risarcibile patita. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mar - rel. Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/03/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente CIAMPI FRANCESCO MARIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI NARDO MARILIA che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Gli odierni ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) detto " (OMISSIS)" venivano chiamati a rispondere, oltre che per vari furti pluriaggravati, consumati e tentati, compiuti per lo piu' attraverso la procurata deflagrazione con esplosivo di apparecchi bancomat e della conseguente detenzione di esplosivo, del reato associative di cui all'articolo 416 c.p., commi 1 e 3, perche', in concorso tra loro, con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che con altre persone, tra le quali (OMISSIS) e (OMISSIS) per i quali si procede separatamente oltre a quanti ancora, separatamente, in corso di identificazione, si associavano allo scopo di realizzare una serie indeterminata di reati in materia di esplosivi e di reati contro il patrimonio nella forma di furti aggravati ai danni di agenzie di istituti di credito munite di sportelli ATM - bancomat che venivano fatti deflagrare con l'uso di sostanze esplosive. Associazione promossa da (OMISSIS) e (OMISSIS) che si concretizzava nella realizzazione da parte di tutti i concorrenti nel reato delle seguenti attivita' propedeutiche alla realizzazione dei reati fine: - si procuravano la disponibilita', non dichiarata, di un numero indefinito di garage ove venivano occultate le autovetture utilizzate per gli assalti agli sportelli bancomat realizzati per lo pii) in province non ricomprese nel territorio dell'Emilia-Romagna; - munivano i garage nella disponibilita' dell'associazione di sistemi antiintrusione (mettevano dei filamenti di colla negli stipiti della basculante dei garages e delle autovetture), cosi' da avere la costante sicurezza che non venissero perquisiti da forze di polizia; - si procuravano strumentazione tecnica (radio ricetrasmittenti veicolari e di uso individuale e cellulari "a circuito chiuso" con sim card intestate a persone fittizie) che consentiva, durante le fasi di consumazione dei reati fine, le comunicazioni tra gli equipaggi delle autovetture impegnate nei raid, senza l'utilizzo di apparati telefonici suscettibili di intercettazione; - si procuravano strumentazione tecnologica con cui effettuavano sistematiche attivita' di "bonifica" degli ambienti e dei veicoli nella disponibilita' dell'associazione per verificare la eventuale presenza di apparati utili alla captazione di conversazioni ovvero di localizzazione mediante GPS da parte di forze di polizia; - si procuravano la disponibilita' di autovetture di grossa cilindrata (in prevalenza Audi e BMW) di provenienza estera e comunque a loro non riferibili, che-munivano. di targhe contraffatte sostituite con cadenza inframensile; - si procuravano la disponibilita' di sostanze esplosive gia' predisposte in congegni detti "marmotte" di foggia tale da poter essere facilmente inseriti, previa effrazione, nelle feritoie degli sportelli bancomat degli istituti di credito e quindi collegati con sistemi di innesco per provocarne la deflagrazione; - si procuravano gli arnesi per lo scasso e l'abbigliamento per il completo travisamento utilizzato durante la realizzazione dei furti aggravati con accorgimenti tali da evitare anche il rilascio di materiale biologico da cui fosse possibile enucleare profili di DNA; - effettuavano sopralluoghi in Torino e localita' limitrofe (condotte in particolare poste in essere da (OMISSIS) unitamente a (OMISSIS)); - al fine di eludere eventuali indagini si premuravano di custodire a Bologna il cellulare riconducibile a (OMISSIS) negli orari dei furti facendogli fare tutto il tragitto fino alla sua abitazione e tenendolo acceso tutta la notte nonche' nel corso delle conversazioni durante la sua assenza riferendo agli interlocutori che (OMISSIS) era in casa (condotte sistematicamente poste in essere da (OMISSIS)). In (OMISSIS) e fino alla data di esecuzione del fermo in data (OMISSIS). 2. Il GUP di Bologna, con sentenza del 19/2/2020 all'esito di giudizio abbreviato dichiarava gli odierni ricorrenti responsabili di tutti i reati loro rispettivamente ascrittili e condannava: - (OMISSIS), alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione e Euro 14.600 di multa per i reati di associazione per delinquere in qualita' promotore/organizzatore dell'associazione (capo 1), concorso in plurime condotte di detenzione e porto di sostanze esplosive (capo 2), concorso in plurimi furti e tentati furti pluriaggravati (capi da 4 a 12), ritenuta la recidiva reiterata specifica infraquinquennale e la continuazione fra i reati; - (OMISSIS) alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 9800 di multa per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere, concorso in plurime condotte di detenzione e porto di sostanze esplosive, concorso in plurimi furti e tentati furti pluriaggravati di cui ai capi 9, 10,12, ritenuta la continuazione fra i reati; - (OMISSIS) alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 11.400 di multa per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere, concorso in plurime condotte di detenzione e porto di sostanze esplosive, concorso in plurimi furti e tentati furti pluriaggravati di cui ai capi 7, 9,10, 11,12, ritenuta la recidiva specifica infraquinquennale e la continuazione fra i reati; - (OMISSIS) alla pena di anni sei, mesi sei di reclusione ed Euro 12.200 di multa per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere, concorso in detenzione e porto di sostanze esplosive, concorso in plurimi furti e tentati furti pluriaggravati di cui ai capi 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 ritenuta la continuazione fra i reati. 3. Sull'appello proposto dagli imputati, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 2/3/2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, esclusa l'aggravante dell'articolo 625 c.p., n. 7, esclusa la qualifica di promotore in capo a (OMISSIS), riconosciute le attenuanti generiche equivalenti a (OMISSIS), rideterminava la pena nei confronti di: 1. (OMISSIS) in anni 6 mesi 8 e giorni 20 di reclusione ed Euro 14.000 di multa; 2. (OMISSIS) in anni 4 mesi 2 di reclusione ed Euro 9600 di multa; 3. (OMISSIS) in anni 4 e giorni 20 di reclusione ed Euro 8200 di multa; 4. (OMISSIS) in anni 5 mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed Euro 11.600 di multa. Confermava nel resto la sentenza impugnata. 4. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 4.1. e 4.2. (OMISSIS) e (OMISSIS) (con unico atto a mezzo del comune difensore Avv. (OMISSIS)). Con un primo motivo di ricorso il difensore ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale relativamente all'imputazione ex articolo 416 c.p. di cui al capo 1 dell'imputazione. Ci si duole che la sentenza impugnata sia priva di un'autonoma valutazione del giudicante sugli elementi distintivi dell'associazionismo a delinquere, nonostante nei motivi d'appello fossero state indicate specifiche doglianze. La Corte bolognese si limiterebbe, in sostanza, ad indicare i requisiti che, secondo la giurisprudenza, caratterizzano il delitto in oggetto omettendo di motivare sulla sussistenza del vincolo associativo e sulla consapevolezza degli imputati di far parte di un sodalizio illecito ed affermando, recependo l'argomentazione perplessa e scheletrica del GUP: " peraltro, proprio la circostanza, evidenziata da alcuni appellanti, che i correi non si sentivano se non nell'imminenza del colpo, e' sintomatica dell'esistenza di un meccanismo rodato, noto a tutti i partecipi, ben consapevoli del ruolo che di volta in volta ciascuno di loro avrebbe svolto per la riuscita del piano, senza necessita' di accordi specifici". Per il difensore dei ricorrenti, che riporta alcuni passaggi di pag. 21 della sentenza di primo grado, la sentenza impugnata non argomenta, in modo puntuale, la consapevolezza degli imputati di essere parte integrante di una struttura organizzata e, soprattutto, non argomenta sulla sussistenza del vincolo associativo oltre la realizzazione dei reati. Invero, nessuna argomentazione viene spesa sulla sussistenza del vincolo interpersonale, non occasionale, tendenzialmente permanente o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati. Il ricorrente attacca la motivazione della sentenza impugnata laddove, con motivazione che ritiene acritica e semplicemente recettiva di quella contraddittoria del GUP, sostiene che la circostanza che i correi avessero contatti solo nell'imminenza dei colpi sarebbe sintomatica dell'affectio societatis. In ogni caso, con riguardo al delitto di associazione a delinquere, nessun argomento verrebbe esplicitato in ordine all'aspetto, espressamente devoluto, della prova della partecipazione dei ricorrenti al sodalizio criminoso. Il ruolo di partecipe, come apoditticamente attribuito ai ricorrenti, senza che il giudice di merito si preoccupi di riconoscerne, ravvisarne, descriverne le caratteristiche strutturali, distintive ed esteriori, non corrisponderebbe al tipo di comportamento normativamente delineato dalla fattispecie e dall'interpretazione giurisprudenziale del partecipe di un'associazione a delinquere. Con un secondo motivo si censura la sentenza impugnata, sempre sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, quanto all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo 2) dell'imputazione. Si lamenta che la sentenza sarebbe mancante di una reale ed autonoma motivazione del giudice di secondo grado, che si sarebbe limitato a riproporre una summa di diverse sentenze di legittimita' in tema di distinzione tra le fattispecie punite e previste dalla L. n. 895 del 1967 e quelle punite dall'articolo 678 c.p., per confermare la sentenza di primo grado. L'onere di motivazione del giudice di appello -ci si duole- non puo' ritenersi assolto dalla pura e semplice affermazione di condivisione delle valutazioni espresse del giudice di primo grado nel provvedimento impugnato, senza nessun reale vaglio critico dei motivi di censura ne' risposta puntuale in merito ad essi, in quanto cio' si traduce - nella sostanza - in una motivazione solo apparente. La Corte bolognese, invece, si sarebbe limitata a dichiarare assertivamente di aderire alla decisione confermata in ordine alla sussistenza dei reati di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 4, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione mossi a censura delle soluzioni adottate dal giudice di primo grado e - soprattutto - senza argomentare sull'inconsistenza o sulla non pertinenza dei motivi stessi, che d'altra parte, visto il tenore e la specificita' dell'atto di appello, non potevano ritenersi meramente ripropositivi di questioni gia' esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ne' generici, ne' apodittici, ne' aspecifici o palesemente inconsistenti. La sentenza impugnata risulterebbe palesemente ed irrimediabilmente contraddittoria ed insufficiente in ordine all'affermazione di responsabilita' per il delitto di porto e detenzione di esplosivi, laddove il giudice del gravame del merito rileva come "la capacita' di scardinare sia tale contenitore blindato che di cagionare danni alle strutture della banca, l'esplosione, oltre a distruggere lo sportello bancomat, cagiono' danni ingenti agli arredi interni, al controsoffitto, alla bussola di ingresso, al sistema d'allarme e sveglio' alcuni vicini (...) sono caratteristiche che qualificano il congegno come esplosivo e non semplicemente esplodente". Si lamenta che sulla base di queste premesse, la Corte territoriale, con un vero e proprio atto di fede, ritiene che comunque i manufatti usati per assaltare gli sportelli bancomat fossero esplosivi, con carattere "micidiale ", basandosi solamente su delle massime della Corte di Cassazione, nonostante la mancanza di un accertamento tecnico che dimostrasse la sussistenza o meno della "micidialita'". Il difensore ricorrente denuncia l'arbitrarieta' del ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale, da cui emergerebbe con assoluta chiarezza un radicale ed assoluto difetto di motivazione, avendo omesso totalmente di analizzare e motivare le specifiche doglianze sottoposte al suo esame in relazione al capo 2). Si evidenza che la Corte emiliana, ritenendo ininfluente il mancato accertamento della micidialita' e integrata la fattispecie p. e p. dalla L. n. 895 del 1967 esclusivamente dal fascicolo fotografico dei rilevi tecnici, opererebbe una lampante inosservanza delle legge penale, posto che, non potendo affermare con ragionevole certezza che i manufatti usati per assaltare gli sportelli bancomat fossero esplosivi, la naturale conseguenza doveva essere l'assoluzione e, in ogni caso, occorreva imprescindibilmente riqualificare le condotte nella fattispecie contravvenzionale ex articoli 678 c.p.. Cio' perche', se il criterio distintivo tra esplosivo e materiale esplodente viene ravvisato nelle micidialita' degli effetti derivanti dall'impiego ovverosia nell'attitudine del materiale a provocare effetti lesivi o distruttivi di beni o persone, l'adozione di siffatto criterio, attesa la mancata verificazione di eventi lesivi, rilevanti, ad opera degli imputati, imponeva, in consonanza al principio del "favor rei", di ricondurre la condotta del capo 2) e, di ogni altra, in materia di cosiddetti "esplosivi" alla mera violazione dell'articolo 678 c.p., non trattandosi di fattispecie di pericolo presunto. Il difensore dei ricorrenti lamenta, dunque, che la motivazione del provvedimento impugnato non specifichi - nemmeno per sommi capi - per quale ragione il solo ritrovamento dei manufatti, usati per assaltare gli sportelli bancomat, possa costituire la prova certa del delitto p. e p. dalla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 4. Con un terzo motivo il difensore dei ricorrenti lamenta violazione dell'articolo 56 c.p., comma 3 e vizio motivazionale con riferimento all'affermazione di responsabilita' per i reati di cui ai capi 9) e 10), furti tentati occorsi in (OMISSIS). La Corte territoriale incorrerebbe in illogicita' motivazionale e in quello di erronea applicazione di legge sostanziale, laddove si limita ad affermare, a pag. 9: "...come noto la desistenza, cioe' la decisione di interrompere l'azione criminosa, deve essere volontaria, vale a dire non riconducibile a una causa indipendente dalla volonta' del soggetto agente o da fattori esterni, non necessitata ma operata di liberta' interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa, Nei tre episodi in esame e' evidente che la scelta di interrompere l'azione criminosa derivo' da circostanze esterne (l'impossibilita' di inserire nello sportello la marmotta, in un caso l'impossibilita' di vedere alcunche' per la presenza della nebbia) che nulla hanno a che vedere con una scelta libera". Che le dichiarazioni scritte degli imputati, depositate in udienza di primo grado, equivalgano a ritenere che la scelta di interrompere l'azione criminosa derivo' da circostanze esterne, per il difensore dei ricorrenti e' affermazione indubitabilmente povera e concettualmente fragile nella conclusione apodittica, per la quale " hanno dichiarato di aver abbandonato l'impresa in quanto non erano riusciti a forzare il bancomat per inserirvi la marmotta". Sostenere che non sussista alcuna ipotesi di desistenza, ritenendo causa esterna l'impossibilita' a forzare lo sportello bancomat, sarebbe un'affermazione approssimativa resa in violazione di legge sostanziale, per erronea applicazione della stessa. La Corte territoriale -ci si duole- pur prendendo atto dell'insussistenza di una causa esterna, ha ritenuto comunque integrata l'ipotesi tentata; dimenticando pero' che la mancata apertura del bancomat non equivale ad una circostanza esterna ovvero causa indipendente dalla volonta' dell'agente, e pertanto avrebbe dovuto imprescindibilmente valutare la difficolta' nel compimento dell'azione delittuosa che porto' gli imputati a desistere volontariamente per motivi pratici. Il tema da affrontare -si sostiene- era la volontarieta' dal desistere dal compimento dell'azione delittuosa determinata da motivi pratici. Invero, paragonare l'impossibilita' di inserire la "marmotta" nello sportello bancomat ad una circostanza esterna che impedi' la realizzazione dell'azione delittuosa sarebbe un'affermazione illogica, che investe l'intero apparato motivazionale della sentenza impugnata. Con un quarto motivo il difensore ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale laddove la Corte bolognese non ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche ai propri assistiti citando principi giurisprudenziali, senza mai agganciare gli stessi al caso concreto. Invero, come si potra' osservare dalla mera lettura delle pag. 12 e 13 della sentenza ricorsa, in parte motiva non rinviene la benche' minima motivazione sul perche' gli imputati non risultino meritevoli della attenuanti ex articolo 62 bis c.p.. Si lamenta che la Corte territoriale non solo avrebbe negato le attenuanti sulla base di una motivazione a dir poco censurabile in fatto e in diritto, ma non avrebbe analizzato nemmeno, in maniera corretta, gli elementi positivi portati all'attenzione nei motivi d'appello ai fini della concessione della attenuanti generiche (in particolare il contenuto delle dichiarazioni spontanee e lo stato di disagio economico). 4.3. (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)); Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'articolo 125, comma 3, articolo 192, commi 1 e 2, articolo 546, comma 1, lettera e) nonche' manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in punto di ritenuta sussistenza della compagine associativa ex articolo 416 c.p., di cui al capo 1) e, comunque, di sua partecipazione alla stessa. Per il ricorrente la Corte territoriale bolognese avrebbe disatteso i rilievi condensati nei motivi di appello, in maniera generica e superficiale, rendendo una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, ed in palese violazione di legge, laddove si era sostenuto con il gravame nel merito che gli elementi probatori raccolti apparivano inidonei a fondare la pronuncia di condanna, in assenza di ulteriori riscontri gravi ed obiettivi circa l'effettiva partecipazione del (OMISSIS) all'associazione per delinquere contestata al capo d'imputazione sub 1). In sentenza - si legge in ricorso- si registra un primo dato apodittico e sfornito di alcun aggancio probatorio, secondo il quale il fatto che gli imputati abbiano agito sempre secondo il medesimo modus operandi, negli stessi giorni della settimana, ha fatto assumere al reato il carattere di un vero e proprio "impegno fisso" (il richiamo e' a pag. 6 della sentenza impugnata). Ricorda il ricorrente che, secondo costante e monolitica giurisprudenza, il reato di associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p., si caratterizza per la sussistenza di tre elementi fondamentali, costituiti: a) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente; o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; b) dall'indeterminatezza del programma criminoso; c) dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (il richiamo e' a Sez. 6 n. 11413/95; Sez. 6 n. 3886/2012; Sez. 6, n. 9096/2013). Ebbene con riferimento al caso di specie, il ricorrente ritiene che la Corte territoriale abbia sostanzialmente omesso di motivare rispetto alla sussistenza di ciascuno di tali elementi, limitandosi, anzi, a sostituire l'elemento probatorio con una terminologia "socialmente significativa", quale quella di "associazione per delinquere". Ma -si obietta- l'associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p., richiede una dimostrazione autentica, senza scorciatoie presuntive, cosi' come si sostiene di avere in luce nell'atto di appello. Manifestamente illogica e contraddittoria si paleserebbe la motivazione della sentenza impugnata, posto che, se da un lato la Corte territoriale ritiene provato il delitto associativo sulla base dell'anzidetto modus operandi, ovvero sulla base della circostanza che i colpi risultano essere stati messi a segno sempre negli stessi giorni della settimana, dall'altro esclude che si sia trattato di delitti gia' tutti "ab origine individuati, vale a dire gia' preventivamente concepiti". Per il ricorrente la Corte territoriale si sarebbe limitata a formulare un'accusa di massa, contestando indistintamente a tutti gli imputati le medesime condotte, senza mai precisare quale sarebbe stato il contributo di ciascuno di loro. Si tratterebbe, pertanto, di un'impostazione diacronica, senza tempo, che non distinguerebbe le singole condotte, che pure si svolgono in tempi diversi, ed in situazioni di fatto diverse. Anche quando la Corte tenta di delineare le singole condotte, lo farebbe poi in maniera talmente generica ed aprioristica da risultare svincolata da riscontri puntuali e concreti. Si assisterebbe, pertanto, ad un meccanismo tale per cui la contestazione del reato associativo verrebbe desunta, unicamente, dal dato normativo, ma tale dato normativo non troverebbe alcuna corrispondenza nella fattispecie concreta. Cio' che emergerebbe, al contrario, guardando alla fattispecie concreta, sarebbe l'assoluta mancanza di indizi gravi, precisi e concordanti tesi a dimostrare l'esistenza di un pactum sceleris destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati. Secondo il ricorrente, guardando gli atti del processo, altro non sarebbe possibile scorgere se non una fitta rete di rapporti interpersonali, ma che nulla avreb-beroo a che vedere con l'associazione a delinquere di cui all'articolo 416 c.p.. Il secondo, macroscopico, errore, della sentenza impugnata risiederebbe, in ogni caso, nell'avere contestato personalmente al (OMISSIS) di aver "partecipato" alla suddetta associazione, in mancanza di qualunque indizio teso a dimostrare la sua intraneita' al gruppo criminale di cui si discorre. La sentenza impugnata -ci si duole- valorizzerebbe degli elementi non solo meramente congetturali ed astratti, ma addirittura inconferenti con quel medesimo compendio. Ed invero, delimitato il perimetro della contestazione della condotta di partecipazione del (OMISSIS) all'associazione criminosa di cui al capo 1), d'imputazione, un dato emergerebbe, all'evidenza, di emblematica rilevanza: non si riscontrerebbero nel caso di specie comportamenti specifici suscettibili di dimostrare la permanente disponibilita', o ancora meno la manifestazione impegnativa e solenne del (OMISSIS) rispetto all'asserito programma criminoso. Sul punto, basterebbe considerare che la condotta del (OMISSIS) e' assolutamente limitata e circoscritta a soli 5 episodi criminosi, sui 12 contestati, collocabili in un arco temporale di soli 20 giorni. Non ci sarebbe, insomma, una condotta che, per le sue connotazioni, sia in grado di attestare un ruolo specifico della persona, funzionale all'associazione e alle sue dinamiche operative, e che sia al contempo posta in essere dall'autore con coscienza e volonta' di far parte dell'organizzazione. Tuttavia, anche rispetto a tale specifico rilievo difensivo la Corte d'Appello di Bologna avrebbe fornito una motivazione assolutamente insufficiente ed illogica, limitandosi a sostenere che "risulta del tutto irrilevante che (OMISSIS) abbia partecipato a soli 5 assalti nell'arco di meno di un mese" (il richiamo e' a pag. 8 della sentenza impugnata), pur senza descrivere il ruolo specifico che il (OMISSIS) avrebbe rivestito all'interno ditale compagine criminosa. Il tema che viene riproposto e' che la condotta del (OMISSIS) non e' mai stata descritta in maniera specifica, cio' che impediva ed impedisce di attestare quale fosse il presunto ruolo dallo stesso rivestito all'interno dell'associazione. Nella sentenza impugnata -ci si duole- sono stati affrontati solo alcuni profili portati nel gravame, mentre i rilevantissimi elementi capaci di fondare un dubbio piu' che ragionevole relativamente alla condotta partecipativa del (OMISSIS) sono stati pretermessi dalla decisione. Anche quando la Corte fa cenno ad una presunta "suddivisione" dei ruoli, motiverebbe tale assunto in maniera talmente vaga, lacunosa ed aspecifica da risultare, tale argomentazione, del tutto insufficiente a corroborare l'ipotesi accusatoria in punto di "partecipazione" all'associazione da parte del ricorrente, per di piu', in mancanza di qualunque ulteriore riscontro obiettivo ed individualizzante. Invero, nessun elemento sarebbe tale da far ritenere che il (OMISSIS) fosse integrato nell'associazione con un ruolo organico, poiche' gli unici elementi che lo collegano al gruppo sono quelli descritti, che limitano il suo contributo ai cinque episodi delittuosi che gli vengono contestati ai capi n. 7, 9, 10, 11 e 12. Prima o dopo di essi - si sostiene in ricorso- non vi e' alcun collegamento con gli altri membri dell'associazione ne' soggettivo, ne' oggettivo. Neppure una telefonata o un contatto con valore indiziario, come si evince dai tabulati telefonici acquisiti. E anche l'eventuale possesso del cellulare la cui utenza e' denominata dagli inquirenti "circuito 08" non indicherebbe in maniera inequivoca la sua stabile partecipazione al gruppo organizzato, ben potendo ritenersi che tale cellulare non sia necessariamente legato in modo personale al (OMISSIS). Si tratterebbe di un "apparecchio radiofonico che puo' essere considerato, per cosi' dire, un attrezzo di lavoro del gruppo, utilizzato da persone fisiche diverse di volta in volta, a seconda dei partecipanti alle scorribande notturne finalizzate ai furti, assegnato al soggetto impiegato in una specifica operazione delittuosa" come affermato dal Tribunale del Riesame di Bologna con ordinanza emessa in data 20/06/2019, con la quale ha disposto la liberazione formale del coimputato (OMISSIS) per il capo d'imputazione sub 1), attesa l'insussistenza della sua partecipazione a tale reato sulla base dei medesimi sottolineati elementi. Alla luce di tutto quanto sopra esposto ed evidenziato, sarebbe evidente l'assenza, nel caso concreto, di indizi gravi, precisi e concordanti ex articolo 192 c.p.p. tesi a dimostrare l'esistenza di un pactum sceleris destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati. Tutto, lo si ribadisce, e' stato fatto derivare dai reati-fine. Eppure, sul punto la Corte territoriale tace in motivazione. La commissione solo di alcuni reati scopo da parte del (OMISSIS) non sarebbe idonea, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', a provare anche la sua partecipazione al reato di associazione per delinquere, essendo palese la mancanza dell'a ffectio societatis. Ed invero, come affermato dallo stesso imputato nelle dichiarazioni spontanee rilasciate in data 30/08/2019, egli, trovatosi in un momento di forte crisi personale ed economica, si era determinato a commettere dei furti, nell'erronea convinzione che "due o tre volte" gli sarebbero bastate per recuperare il denaro sufficiente per uscire dalla situazione di bisogno in cui si trovava. E sarebbe proprio questa predeterminazione del (OMISSIS) a voler commettere solo "due o tre furti, per racimolare quello che gli serviva ", che avrebbe dovuto condurre i giudici a valutare la sua condotta in termini di mero concorso di persona nel reato. Tali dichiarazioni renderebbero, invero, evidente che la collaborazione del (OMISSIS) non fosse "finalizzata al raggiungimento degli scopi dell'associazione. ma solamente alle proprie finalita'" (il richiamo e' ai dicta di Sez. 6 n. 967/1997 e Sez. 2, n. 5075/2006). Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del gravame del merito, l'analisi dei comportamenti che hanno visto protagonista il (OMISSIS) ha messo in luce come essi non si siano risolti in una "stabile" adesione dello stesso rispetto al preteso programma criminoso, nel senso di "messa a disposizione" permanente, di "impiego" a prestare la propria opera a favore dell'organizzazione, ove e quando necessario. Con un secondo motivo si lamenta violazione degli articoli 56, 110 e 624 c.p., articolo 625 c.p., nn. 2, 5 e 7, nonche' manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione laddove i giudici del merito hanno ritenuto integrati gli estremi del reato di tentato furto aggravato in relazione ai capi d'imputazione n. 7, 9 e 10. Il ricorrente ricorda che nell'atto di gravame nel merito era stato specificato che l'interruzione della condotta criminosa nelle tre ipotesi oggetto di trattazione era avvenuta prima che l'intervento delle forze dell'ordine rendesse impossibile l'azione criminosa e in assenza di elementi esterni che possano aver influito sulla scelta dei soggetti attivi di non asportare il denaro dagli istituti di credito interessati, il che doveva far propendere la Corte per la sussistenza di un' ipotesi di desistenza volontaria, per effetto delle quale tutte le iniziative criminose di cui ai capi d'imputazione n. 7, 9 e 10 dovevano essere considerate non punibili ex articolo 56 c.p., comma 3. Invece, ci si duole che nella sentenza impugnata la Corte territoriale abbia fornito una motivazione assolutamente illogica e contraddittoria, con la quale ha affermato che "in relazione a tutti e tre gli episodi, gli stessi imputati, nelle brevi dichiarazioni scritte depositate in udienza, hanno dichiarato di aver abbandonato l'impresa in guanto non erano riusciti a forzare gli sportelli per inserirvi la marmotta" (cfr. pag. 9 sent. impugnata). La manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione fornita sul punto dalla Corte d'Appello bolognese emergerebbe con tutta evidenza dal fatto che l'imputato (OMISSIS) non ha mai depositato alcuna dichiarazione scritta in udienza. Tale elemento sarebbe stato pertanto totalmente pretermesso dalla Corte d'Appello, manifestandosi all'uopo un evidente vizio della motivazione. L'elemento discriminante, non valutato nel corpo della motivazione della sentenza gravata, strumentale al riconoscimento ed alla conseguente applicazione dell'esimente della desistenza volontaria di cui all'articolo 56 c.p., comma 3, risiede nella volontarieta' da parte degli agenti di non portare a compimento l'azione delittuosa, operata in una situazione di liberta' interiore. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d'Appello di Bologna nei tre episodi in esame sarebbe evidente che la scelta di interrompere l'azione criminosa non derivo' da circostanze esterne, men che mai dall'assenta impossibilita' di inserire nello sportello la marmotta, circostanza questa mai descritta da alcuno degli imputati. Si sostiene che la decisione di interrompere l'azione criminosa da parte dell'imputato e' stata sicuramente volontaria, vale a dire non necessitata, ma operata in una situazione di liberta' interiore, indipendente da circostanze esterne che hanno reso irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa. Con un terzo motivo si lamenta manifesta illogicita' della motivazione e travisamento delle emergenze processuali nella parte vub cui la sentenza impugnata ha affermato la penale responsabilita' del (OMISSIS) in ordine ai reati che gli vengono contestati ai capi d' imputazione n. 7), 9) e 10) cosi' dando luogo ad un vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di giudizio "al di la' di ogni ragionevole dubbio" di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1, (cosi' qualificato il vizio da SS.UU., n. 27620/2016). La descrizione delle condotte illecite attribuite all'odierno ricorrente risulterebbe estremamente vaga, imprecisa ed aspecifica, nonche' caratterizzata e condizionata da mere supposizioni del giudice a quo. Nella sentenza impugnata, in particolare, il coinvolgimento di (OMISSIS) viene fondato expressis verbis sulla circostanza che lo stesso sia stato visto in luoghi ed orari concomitanti a quelli dei perpetrati furti. Tale avvistamento costituirebbe il pilastro ineludibile del ragionamento da cui scaturisce la affermazione di responsabilita' dell'odierno ricorrente. Ebbene, per il ricorrente il dato della presenza del (OMISSIS) in circostanze di spazio e di tempo astrattamente coincidenti con quelle in cui risultano essere stati posti in essere i furti sarebbe assolutamente equivoco, e per cio' stesso inidoneo ad assurgere a valore di prova, omettendo al contempo la valutazione di altri elementi presenti nel compendio, con cio' dando corpo ad un ordito motivazionale censurabile ex articolo 606 c.p.p., lettera e) per i plurimi travisamenti della prova. I dati probatori travisati ed omessi avrebbero carattere di decisivita' nell'ambito dell'apparato motivazionale qui sottoposto a critica, giacche' tanto l'impiego a fini probatori di dati ambivalenti e dubbi, quanto l'omessa valutazione di quelli, invece, significativi e certi inficerebbero e comprometterebbero, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' alli interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. La ricostruzione svolta nella sentenza impugnata e' incompatibile, anzitutto, come gia' accennato, con il comportamento serbato dal (OMISSIS) in occasione del tentato furto del (OMISSIS), laddove ha valorizzato un dato probatorio che dallo stesso si trarrebbe, ma che, in realta', altro non sarebbe se non il frutto del ragionamento meramente congetturale ed ipotetico del Collegio giudicante. L'impianto accusatorio -ci si duole- si fonda quasi esclusivamente sull'osservazione degli spostamenti delle autovetture Audi A6 e BMW Serie 1 e dei soggetti che avrebbero presumibilmente partecipato a tale episodio criminoso. Tuttavia, l'assunto secondo il quale gli imputati sarebbero stati tenuti sotto osservazione dagli operatori di P.G., ove raffrontato con il compendio probatorio raccolto in atti, non potrebbe essere ritenuto condivisibile e non potrebbe, pertanto, assurgere a valore di prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p.. Ed invero, nessuno degli imputati e' stato seguito e/o monitorato al momento del tentato furto. Ad essere monitorati sono stati soltanto i passaggi autostradali delle autovetture Audi A6 e BMW Serie 1 ed il rientro dei ridetti in Bologna. Ci si duole, dunque, che non ci sia mai stato, dunque, un controllo continuativo dei soggetti attivi, ne', tantomeno, un controllo diretto delle condotte che si ritiene poste in essere dagli imputati. Con riferimento precipuo alla posizione del (OMISSIS) il difensore evidenzia come, agli atti, non vi sarebbe alcun indizio teso a dimostrare la sua personale partecipazione all'episodio delittuoso in parola, avvenuto alle 3 circa. Ed invero, l'unico elemento a suo carico sarebbe costituto dalle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza che lo ritraggono presso la stazione ferroviaria di Torino Porta Nuova (TO) alle ore 5:30 e poco dopo in quella di Bologna. Null'altro. sarebbe, pertanto, evidente che la vigilanza posta in essere dagli operatori di P.G. si sia collocata in un momento solo successivo rispetto a quello di perpetrazione delle condotte contestate. In particolar modo, il (OMISSIS) e' stato individuato solo nel momento in cui faceva rientro in Bologna, a partire dalle 5.30. Quanto meno -si sostiene- cio' avrebbe dovuto portare ad una pronuncia assolutoria ex articolo 533 c.p.p., comma 2. Anche in relazione al tentato furto del (OMISSIS) contestato al capo di imputazione sub 9 si ravviserebbe un ulteriore travisamento della prova per l'omessa valutazione di ulteriori dati probatori di notevole spessore e pregnanza. Gli unici indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS) in ordine al suddetto reato -si sottolinea in ricorso- sono costituiti e, pertanto, si condensano, in un'unica fotografia che lo ritrae in (OMISSIS) unitamente agli altri 6 coimputati alle ore 00.02. Da quel momento in avanti, del (OMISSIS) non vi e' piu' alcuna traccia. Nell'informativa di servizio viene dato conto delle risultanze dell'attivita' investigativa compiuta. Tuttavia, proprio la ricostruzione contenuta nella stessa metterebbe in luce svariate discrepanze, di non poco conto, che il ricorrente ripercorre analiticamente in ricorso. Analizzando, specificamente, il passaggio riportato in sentenza (pagg. 9-10 sentenza impugnata) inerente la prova della partecipazione del (OMISSIS) agli episodi delittuosi in parola ci si duole chela Corte territoriale abbia inteso ritenere infondati i rilievi difensivi, con una motivazione apodittica e manifestamente illogica, secondo cui "non vi sono spiegazioni alternative circa la presenza del (OMISSIS) a Torino, di notte, in compagnia di soggetti coi quali nei giorni immediatamente successivi perpetro' due furti con analoghe modalita' operative ai danni di altrettanti istituti di credito" (pag. 10 sentenza impugnata). Sarebbe solo dal dato (travisato) dell'inesistenza di ragioni alternative che la sentenza impugnata trae la conclusione che il (OMISSIS) abbia materialmente partecipato ai furti in questione. Al contrario, tutti gli argomenti difensivi sono stati pretermessi, avendo cosi' dato luogo ad un vizio di omessa motivazione sul punto. Con un quarto motivo di ricorso si lamenta violazione degli articoli 133, 62 bis e 69 c.p., articoli 125 e 546 c.p.p. nonche' manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in punto di dosimetria della pena e il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti e sulla recidiva, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Con riferimento precipuo al profilo soggettivo dell'imputato, la difesa evidenziati come quest'ultimo abbia dato grande prova della totale presa di distanza dal proprio agire criminoso, circostanza quest' ultima che avrebbe dunque dovuto dar-luogo all'invocata disapplicazione della recidiva. Ed invero, si segnala che il prevenuto ha dimostrato un pieno e totale affrancamento da qualsiasi contesto criminoso, rescindendo ogni contatto con soggetti pregiudicati, trovando da subito un lavoro ed osservando pedissequamente tutte le prescrizioni impostegli di volta in volta dal giudice nel corso dell'esecuzione della misura cautelare, per oltre due anni, sino alla data attuale. Si evidenzia che il (OMISSIS) ha, difatti, mostrato sin dalle prime battute dell'odierna vicenda processuale un comportamento collaborativo, innanzitutto, consegnando spontaneamente, in sede di perquisizione domiciliare e personale, tutto il materiale in suo possesso (il richiamo e' al verbale di perquisizione in atti), ed in secondo luogo, prestando il proprio consenso alle operazioni volte al prelievo di campione salivare (il richiamo e' al verbale di accertamenti tecnici tesi al prelievo di campione salivare nei confronti del (OMISSIS) del 31/05/2019), con cio' agevolando le indagini in corso. E anche successivamente alla chiusura delle indagini, non ha mai inteso chiedere il dissequestro del materiale, ne', tantomeno, del denaro rinvenuto presso la propria abitazione. Sempre in fase di indagini, ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee, in data 29/8/2019, che vengono trascritte in ricorso, attraverso le quali ha manifestato, sin dagli albori del presente procedimento, un'ottima capacita' autocritica e di giudizio. Sotto tale ultimo profilo, se gia' la confessione, quale condotta susseguente al reato, era da ritenersi utile indicatore di una sua resipiscenza e di un'attenuata capacita' a delinquere, alla data attuale cio' e' reso ancor piu' lampante dal fatto che, a seguito dell'accaduto, il (OMISSIS) ha manifestato la volonta' di risarcire tutte le parti offese. Tale volonta' - si evidenzia- si e' manifestata in una lettera di scuse inviata a ciascun Direttore degli Istituti di Credito torinesi, unitamente ad un vaglia postale contenente una somma di denaro a titolo di risarcimento, sia pure simbolico, del danno subito. E in data 24/2/2020 ha effettuato una donazione di ben 2.000,00 Euro a favore dell'"Associazione rete Dafne Onlus" di Torino, che si pone quale obiettivo quello di sostenere le vittime di reato, accompagnata da una lettera nella quale spiega le ragioni che lo hanno spinto a compiere tale gesto. In tali lettere di scuse, (OMISSIS) ha espresso chiaramente il proprio sincero rammarico rispetto a quanto accaduto. In effetti, al di la' dell'accettazione o meno delle parti offese, che pure e' significativa, in questa sede cio' che rileva e' che il (OMISSIS) si sia concretamente ravveduto dell'accaduto e abbia offerto loro un risarcimento. Pertanto, si ritiene che la Corte territoriale anche per quanto concerne il presente profilo, abbia reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, omettendo, al contempo, di valorizzare i molteplici indici positivi segnalati dalla difesa. L'illogicita' e la contraddittorieta' che inficia la motivazione della sentenza oggi impugnata emerge con patente evidenza nel momento in cui la Corte territoriale ha negato al ricorrente la disapplicazione della recidiva. Sul punto, la difesa del (OMISSIS) ha evidenziato a chiare lettere come, con riferimento al caso di specie, fosse evidente il carattere occasionale della ricaduta dell'imputato nel delitto doloso: occasionalita' determinata, a sua volta, da situazioni contingenti e di eccezionale gravita' e rilevanza, quali, in primis, la scoperta della malattia del padre, in uno allo stato di indigenza della famiglia. Oltretutto, con memoria defensionale depositata prima dell'udienza d'appello la difesa evidenziava che (OMISSIS) all'epoca dei fatti per i quali e' a processo faceva uso di sostanze stupefacenti, del tipo cocaina, della quale aveva iniziato ad abusare a seguito di un grave trauma familiare, ma dalla quale ha inteso disintossicarsi a seguito dei fatti per i quali e' a processo. Il (OMISSIS) ha infatti manifestato la volonta' di sottoporsi ad un programma di cura e di recupero presso il SERT territorialmente competente di San Lazzaro di Savena (BO), cosi' come dalla certificazione che viene allegata al ricorso. Eppure, nella sentenza impugnata non si registra sul punto alcuna considerazione da parte della Corte territoriale. Tale argomento -si lamenta- e' stato totalmente pretermesso, manifestandosi all'uopo un evidente vizio della motivazione. 4.4. (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)); Con un primo motivo il ricorrente lamenta mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 4, nella fattispecie ex articolo 678 c.p.. La Corte di Appello di Bologna - ci si duole- ha ritenuto di confermare la penale responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al reato di cui sopra, sulla base di risultanze investigative parziali, non esaustive ed in assenza di qualsivoglia consulenza tecnica idonea a supportarne legittimamente il convincimento. In modo particolare, la portata micidiale e distruttiva del materiale esplosivo repertato e' stata desunta ed equiparata all'impiego di armi da guerra sulla base di un ragionamento presuntivo, partendo dalla natura dei danni arrecati e non gia' dagli esiti di elaborati scientifici - peraltro mai disposti -con riferimento alla natura e alla quantita' delle sostanze esplodenti. Per il ricorrente, se e' vero che gli esplosivi si dividono in due grandi macro gruppi, comuni e da guerra e che i primi detonano, provocando un'onda d'urto fino alla velocita' di propagazione x, mentre quelli da guerra hanno la caratteristica di deflagrare solo per il tramite dell'innesco di un detonatore, producendo un'onda d'urto ad una velocita' di propagazione x per tre, ci si chiede come sia possibile che non sia mai stato trovato il detonatore, proprio alla luce delle apodittiche considerazioni esposte nella impugnata sentenza. Si richiama sul punto la giurisprudenza di questa Corte di legittimita' in tema di prova indiziaria. Con un secondo motivo si lamentano mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine al ritenuto reato associativo in luogo dell'ipotesi con-corsuale. Argomenta la motivazione del provvedimento impugnato che l'associazione consiste nella previsione generica della commissione delle varie condotte, senza che esse siano individuate specificamente, ma con il supporto della predisposizione di mezzi e risorse, materiali ed umane, atte alla realizzazione dello scopo associativo. E attribuisce a tale programma la caratteristica della indeterminatezza. Invece, per il ricorrente, il programma appare viceversa opposto, ovvero determinato e preordinato, come tale integrante le caratteristiche del concorso e non quelle della associazione. Con un terzo motivo il ricorrente lamenta mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione nonche' inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 62 bis c.p. laddove la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare -e non lo ha fatto- il diniego delle dell'estensione invocate circostanze attenuanti generiche anche in relazione agli elementi di segno positivo prodotti dalla difesa e non solo in relazione agli aspetti di segno opposto. Viene qui proposta doglianza con riferimento alla mancata completa valutazione delle deduzioni difensive sulla base delle quali giungere ad un giudizio di applicazione in mitior. Ricordata la piu' recente giurisprudenza di questa Corte di legittimita' in tema di circostanze attenuanti generiche il ricorrente evidenzia che il (OMISSIS) puo' vantare a suo favore un ormai lungo percorso terapeutico presso il SerDP; percorso egregiamente condotto se e' vero che esso ha portato alla predisposizione di tirocinio formativo presso " (OMISSIS)", tirocinio svolto con diligenza e scrupolo, al punto da vedere trasformato il periodo formativo in contratto di lavoro. Tutti i ricorrenti chiedono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Tutti i motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Si tratta di doglianze per lo piu' ripropositive, senza un reale confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, di quelle gia' proposte al giudice di appello e che quello aveva confutato argomentatamente con una motivazione logica che si palesa immune dalle censure che vengono denunciate. I motivi sono in gran parte comuni ai quattro ricorrenti e censurano la motivazione del provvedimento impugnato sotto quattro aspetti: 1. L'aver dato conto dell'esistenza di un'associazione per delinquere e il non aver ritenuto, piuttosto, come sostengono anche in questa sede i difensori, che ci si trovasse di fronte ad un mero concorso di persone nei vari reati loro imputati; 2. In ogni caso, ammesso che ci si trovasse di fronte ad un sodalizio criminoso, il non aver motivato sui ruoli di ciascuno all'interno dello stesso e, quanto al (OMISSIS), sul suo ruolo di capo: 3. Quanto al capo 2. dell'imputazione l'aver ritenuto che ci si trovasse di fronte a degli esplosivi e non a del materiale esplodente, e quindi l'aver ritenuto integrata la fattispecie piu' grave di cui all'articolo in luogo di quella di cui all'articolo 678 c.p.. 4. In relazione ai reati di cui ai capi 9 e 10 dell'imputazione il non aver ritenuto la desistenza, ma, piuttosto, la sussistenza dei tentati furti ai bancomat. Tutti si dolgono poi del trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 3. In premessa, va anche evidenziato, quanto al secondo motivo di impugnazione proposto dal (OMISSIS), con cui si denuncia la violazione dell'articolo 192 c.p.p., che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimita', cui il Collegio aderisce, poiche' la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza, come espressamente disposto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), non e' ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., la cui inosservanza non e' in tal modo sanzionata" (cosi' questa Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; in conformita' v., gia' in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; piu' recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196). Quanto al terzo motivo di impugnazione del (OMISSIS), con cui si denuncia il travisamento della prova, non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilita'), il vizio di travisamento della prova puo' essere rilevato in sede di legittimita' solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, e' ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo' essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217). Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia' sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, e' giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita' dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia' incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati. 4. Sempre in premessa, va anche rilevato che i ricorrenti, in piu' passaggi dei loro atti d'impugnazione, si dolgono di una mancanza di valutazione autonoma dei giudici di appello che non sussiste, come si avra' modo di evidenziare, ma, soprattutto, non sembrano tenere nel debito conto che siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilita' e che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilita', deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata - e non e' il caso che ci occupa- non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia' esaminati e disattesi dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/3/2013, Rv. 257056) Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e' chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia gia' soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu', come accaduto nel caso in esame, ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimita' di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. il 2012, Valerio, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250). Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e' tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia' ed altri, Rv.254107; conf. Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis Rv. 281935). La motivazione della sentenza di appello e' del tutto congrua, in altri termini, se, come accaduto nel caso in esame in particolar modo per quanto concerne la struttura associativa, la desistenza e la natura di esplosivi, il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (cosi' si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. il 2003, Delvai, Rv. 223061). E' stato anche sottolineato da questa Corte -e va qui ricordato- che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisivita', non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma e' solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita' degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell'8/2/2013, Reggio, Rv. 254988). Nel giudizio di appello, e' consentita la motivazione "per relationem' alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano elementi di novita'. 5. La vicenda processuale -come ricordano le sentenze di merito - riguarda una serie di furti e tentati furti a sportelli bancomat di istituti di credito dislocati in diverse regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte) mediante l'utilizzo delle cosiddette "marmotte", congegni esplosivi inseriti nelle feritoie degli sportelli e fatti esplodere. Gli inquirenti prima e i giudici poi hanno tratto la prova dalle indagini svolte per la ricostruzione dei diversi episodi di furto (ivi comprese le immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza presenti presso i diversi istituti di credito, dai servizi di osservazione e controllo e dal sequestro effettuato all'atto del fermo degli odierni ricorrenti nonche' dalle confessioni, totali o parziali, degli stessi. Dunque, come si diceva in precedenza, tutti gli imputati contestano che si fosse di fronte ad un sodalizio organizzato e, dunque, sotto i diversi profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, contestano la motivazione con cui i giudici bolognesi hanno dato conto di avere ritenuto i fatti di cui al processo riconducibili alla previsione di cui all'articolo 416 c.p.. Gia' il GUP aveva correttamente evidenziato come il reato associativo si caratterizzi per tre fondamentali elementi, costituiti (a) da un vincolo tendenzialmente stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concreta- mente programmati, (b) dall'indeterminatezza del programma criminoso, che vale a distinguere il reato associativo dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e (e) dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata da realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (vengono richiamati in primo grado i precedenti di questa Corte di legittimita' costituiti dalla sentenze 16339/2013 e 1964/2019). Altrettanto corretta e' l'affermazione del GUP secondo cui, sotto il profilo probatorio, non e' richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalita' esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e da l'esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuita' temporale del vincolo criminale. Non senza osservare che l'appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale puo' essere ritenuta anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine, qualora il ruolo svolto e le modalita' dell'azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e cio' puo' verificarsi quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l'autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilita' di utilizzarli autonomamente e cioe' come membro e non gia' come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (cosi' le richiamate sentenze 6446/2015 e 6308/2010). Corretto anche il rilievo che opera, dal suo canto, la Corte d'Appello allorquando afferma che nell'associazione per delinquere il programma criminoso prevede la commissione di un numero indeterminato di delitti (programma âEuroËœaperto'), un accordo criminoso stabile per la commissione dei delitti programmati, la predisposizione di un'organizzazione, seppure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione del programma, la consapevolezza degli associati di far parte di un sodalizio e di essere disponibili a operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso. E che in presenza di un programma criminoso aperto, l'associazione puo' operare anche per un tempo determinato, se in esso e' stata progettata una serie indeterminata di reati; ne' e' necessario che la partecipazione del singolo abbia una durata prolungata, purche' gli elementi acquisiti indichino l'esistenza di un sistema collaudato cui il soggetto agente ha fatto consapevole riferimento. Ne' e' di ostacolo alla sussistenza del delitto associativo la circostanza che i singoli associati perseguano scopi personali o utili diversi, che possono semmai rilevare come motivi a delinquere. Non e' infine necessaria la preventiva attribuzione di ruoli, l'esistenza di rapporto di subordinazione fra partecipi, l'esistenza di un capo. L'elemento distintivo fra l'associazione e il concorso di persone nel reato continuato e' condivisibilmente individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'associazione e' stabile e diretto all'attuazione di una serie indeterminata di delitti, mentre nel concorso di persone nel delitto continuato i soggetti si uniscono esclusivamente per commettere delitti che sono gia' tutti, ab origine, individuati, vale a dire gia' preventivamente concepiti. A fronte dei motivi di appello che sostanzialmente riproponevano le difese svolte in primo grado, la Corte bolognese ha ribadito e ampliato quanto gia' affermato dal giudice di primo grado, evidenziando, in primis, come nell'arco di circa quattro mesi gli imputati hanno perpetrato ben dieci assalti a sportelli bancomat, tutti secondo il medesimo modus operandi (inserimento dell'esplosivo, confezionato nella c.d. marmotta, nella feritoia dello sportello per farlo esplodere, utilizzo di due veloci autovetture camuffate con l'apposizione di targhe false per raggiungere e per allontanarsi rapidamente dal luogo del delitto, utilizzo di cellulari di primissima generazione, privi di collegamento internet e collegati fra loro per tenersi in contatto, mentre gli smartphone personali, piu' facilmente tracciabili, erano lasciati a casa accesi onde dare ad intendere che il detentore fosse a casa) e, per quanto riguarda i colpi messi a segno nella provincia torinese, anche negli stessi giorni della settimana (la notte fra il martedi' e il mercoledi' e quella fra il venerdi' e il sabato) circostanza per la quale il reato assumeva il carattere di un vero e proprio "impegno fisso". La indeterminatezza del programma e la stabilita' dell'organizzazione si deducono poi da diversi elementi: la circostanza che il gruppo prese in locazione due garage a Torino' e due a Bologna, nei quali erano ricoverate le due auto (la locazione di immobili e' incompatibile con un'occasionalita' di intenti), la circostanza che dopo che una delle vetture utilizzate era rimasta incidentata dopo un "colpo" il gruppo ne reperi' immediatamente un'altra, la circostanza che in previsione dell'estate e del trasferimento in ferie in una localita' della riviera romagnola (OMISSIS) cerco' in affitto un garage dove collocare una delle due auto, evidentemente in previsione di nuovi possibili "colpi", la circostanza che all'atto delle perquisizioni vennero rinvenute targhe, italiane e tedesche, in bianco (il che dimostra la previsione di ulteriori possibili utilizzi di veicoli con nuove targhe), il rinvenimento nella disponibilita' del (OMISSIS) di una minuziosa contabilita' riportante le voci di spesa (per taxi, manutenzione veicoli, carburante, pedaggi autostradali, affitto garage, spese per il mangiare ecc.) e gli incassi, proprio come in un'attivita' d'impresa, il rinvenimento nell'abitazione di (OMISSIS) di due apparati ricetrasmittenti per veicoli (c.d. baracchini) che, in quanto smontati, erano utilizzabili indifferentemente su qualunque veicolo a disposizione, la esecuzione dei colpi in tre regioni diverse e in citta' differenti, a dimostrazione che gli istituti di credito erano scelti in base alle diverse occasioni che di volta in volta si presentavano (e verosimilmente secondo informazioni appositamente reperite in loco da basisti o acquisite direttamente tramite preventivi sopralluoghi). I reati inoltre - si legge ancora in sentenza- erano accuratamente organizzati (si pensi ai sopralluoghi, al reperimento delle auto e dei garage, al reperimento e alla custodia del materiale necessario per la fabbricazione dei congegni esplosivi, alla memorizzazione dei numeri di radiotaxi di Torino da contattare per fare rientro in stazione, al reperimento di targhe italiane e straniere in bianco). Si tratta di elementi che, per i giudici di appello valutati sinotticamente, attribuiscono all'attivita' criminale quei caratteri di stabilita' dell'organizzazione e indeterminatezza del programma che caratterizzano il delitto di associazione per delinquere e lo distinguono dal semplice concorso di persone nel reato continuato. La Corte territoriale ribadisce quanto gia' affermato dal GUP e ritiene che proprio la circostanza, evidenziata da alcuni difensori, che i correi non si contattassero se non nell'imminenza del colpo, e' sintomatica dell'esistenza di un meccanismo rodato, noto a tutti i partecipi, ben consapevoli del ruolo che di volta in volta ciascuno di loro avrebbe svolto per la riuscita del piano, senza necessita' di accordi specifici. E' il punto della motivazione su cui anche in questa sede si appuntano le maggiori critiche e le censure di contraddittorieta' della motivazione. Ma si tratta di censure infondate. Il dictum dei giudici del merito e' chiaro e perfettamente logico: gli imputati non avevano bisogno di organizzarsi molto tempo prima per i vari "colpi" perche' potevano contare su un meccanismo perfettamente rodato, pronto ad essere utilizzato al fine di compiere gli stessi. Insomma, "in se'" del reato associativo. Infine, richiamando i principi giurisprudenziali precedentemente esposti, i giudici del gravame del merito hanno correttamente valutato essere del tutto irrilevante che ad un certo punto vi siano stati dissidi all'interno del gruppo che indussero qualcuno a non partecipare piu' e a ritirarsi o che (OMISSIS) abbia partecipato a "soli" soli 5 assalti nell'arco di meno di un mese e (OMISSIS) a "soli" 6 nello stesso lasso di tempo. I difensori ricorrenti insistono sulla mancanza di una specifica motivazione sul ruolo svolto dai loro assistiti in seno all'organizzazione criminale di cui sono ritenuti tutti partecipi. Ma il ruolo e' chiaramente individuabile nelle riferite modalita' di commissione dei numerosi reati fine di cui si sono resi colpevoli. Una specifica motivazione era richiesta per (OMISSIS), perche' ne viene escluso il ruolo di promotore (pag. 11). Evidenzia la Corte territoriale che il primo giudice gli ha riconosciuto tale ruolo (rectius, gli ha riconosciuto il ruolo di promotore/organizzatore) in quanto egli era apparso maggiormente attivo nell'organizzazione dell'attivita' del sodalizio, perche' i sodali si' incontravano spesso a casa sua nell'imminenza delle trasferte, perche' gestiva le vetture, perche' teneva la contabilita', perche' faceva i sopralluoghi e perche' in una conversazione del 25 maggio 2019, di fronte al ritardo di uno di loro al momento della partenza da Bologna, alle perplessita' di (OMISSIS) che chiedeva "saliamo lo stesso-" rispondeva "Per forza, cosa faccio-". In realta' tali elementi non sono univoci ne' sufficienti per delineare la figura di promotore dell'associazione (che e' il ruolo specificamente contestato al (OMISSIS)) ma nemmeno quello di organizzatore (che gli e' stato di fatto attribuito dal primo giudice), perche' non sempre i sodali si sono incontrati a casa sua nell'imminenza dei colpi, perche' una sola delle autovetture era nella sua disponibilita', perche' vi e' prova di un solo preventivo sopralluogo da parte sua (v. trasferta di un giorno con noleggio dell'auto) e infine perche' la risposta da lui fornita alla domanda di Mon-teleone riguardo il ritardo del complice appare tutt'altro che quella, perentoria, di un promotore in grado di spingere gli altri all'azione (per forza, cosa faccio-). Rimane un unico dato significativo, la tenuta della contabilita', che peraltro puo' essere spiegata sia effettivamente con l'attribuzione al (OMISSIS) di un ruolo preminente, sia con doti di precisione e affidabilita' che i complici gli riconoscevano. 6. Quanto natura di esplosivo delle cosiddette "marmotte" utilizzate per far esplodere gli sportelli bancomat. e alla corretta qualificazione dei fatti di cui al capo 2) si tratta di un altro tema che era stato oggetto di gravame nel merito, argomentatamente confutato, e che viene riproposto tout court in questa sede. La Corte territoriale spiega nel provvedimento impugnato che la "marmotta" e' un congegno che ha il formato di un piccolo parallelepipedo con manico, che forma sostanzialmente una T, al cui interno si trova in genere un composto di nitrato d'ammonio e ossido di alluminio, che viene inserito a forza, tramite, appunto, il manico, nella feritoia dello sportello e che una volta acceso con una miccia - costituita normalmente da un filo elettrico collegato ad un generatore di corrente-fa deflagrare la cassetta di metallo rinforzato dello sportello ATM. La capacita' di scardinare sia tale contenitore blindato che di cagionare danni alle strutture della banca (si rammenta che nel furto al bancomat (OMISSIS) l'esplosione, oltre a distruggere lo sportello bancomat, cagiono' danni ingenti agli arredi interni, al controsoffitto, alla bussola di ingresso, al sistema d'allarme e sveglio' alcune persone che abitavano negli edifici vicini4; ingenti danni all'istituto di credito- documentati dalla fotografie in atti- vennero cagionati anche alla (OMISSIS) colpita la notte del (OMISSIS) e alla (OMISSIS)) sono caratteristiche che qualificano il congegno come esplosivo e non semplicemente esplodente, alla luce dell'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimita' secondo il quale integra la fattispecie criminosa di illegale detenzione di esplosivi, e non il reato contravvenzionale di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta che abbia ad oggetto materiali pirotecnici, magari non micidiali se singolarmente considerati, i quali tuttavia in determinate condizioni, quali possono essere l'ingente quantita', il precario confezionamento e la forte instabilita', la concentrazione in un ambiente angusto, la prossimita' a luoghi frequentati da persone, costituiscono pericolo per persone o cose si' da assumere, nel loro insieme, la caratteristica della micidialita' (cfr. Cass. Sez. I n. 24735/2016; id. n. 16677/2011). Argomenti che sono richiamati anche in un recentissima sentenza di legittimita' (che e' stata citata dalle stesse difese, anche se per altre ragioni: Sez. 1 n. 17051/2021, imp. Semilia Andrea) nella quale si sottolinea che cio' che caratterizza il delitto in oggetto e' la attitudine alla micidialita', cioe' all'elevata potenzialita' lesiva delle miscele utilizzate, attitudine che nel caso di specie e' dimostrata dalle modalita' di utilizzo e dagli effetti cagionati, oltre che corroborata dall'entita' del quantitativo di miscela esplosiva rinvenuto nella disponibilita' degli imputati all'atto del sequestro (oltre mezzo chilo). La fattispecie quindi e' stata correttamente inquadrata nella L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 4, e succ. mod. e anche tale motivo di gravame va rigettato. Quanto al delitto di cui al capo 7) risulta che non appena i correi entrarono nell'istituto forzando una finestra si attivo' il sistema antifurto nebbiogeno: dunque e' evidente che i malfattori non portarono a compimento l'azione perche' disturbati da tale inaspettato ostacolo. Inoltre, in relazione a tutti e tre gli episodi, gli stessi imputati, nelle brevi dichiarazioni scritte depositate in udienza, hanno dichiarato di aver abbandonato l'impresa in quanto non erano riusciti a forzare gli sportelli per inserirvi la "marmotta". Come noto la desistenza, cioe' la decisione di interrompere l'azione criminosa, deve essere volontaria, vale a dire non riconducibile a una causa indipendente dalla volonta' del soggetto agente o da fattori esterni, non necessitata ma operata in una situazione di liberta' interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa. Nei tre episodi in esame e' evidente che la scelta di interrompere l'azione criminosa derivo' da circostanze esterne (l'impossibilita' di inserire nello sportello la marmotta, in un caso l'impossibilita' di vedere alcunche' per la presenza della nebbia) che nulla hanno a che vedere con una scelta libera. Dunque, correttamente il primo giudice ha ritenuto integrati i tentativi di furto e non e' ravvisabile alcuna ipotesi di desistenza. In relazione ai tre delitti tentati, la difesa di (OMISSIS) contesta anche che vi sia la prova della sua partecipazione a tali imprese. Per quanto riguarda l'episodio contestato al capo 7) (tentato furto della notte fra il (OMISSIS)), non e' in altro modo spiegabile se non con la partecipazione al colpo (ne' (OMISSIS) ha fornito una qualunque spiegazione), la circostanza che il prevenuto sia stato ritratto alla stazione ferroviaria di (OMISSIS) alle ore 5: 30 del mattino, dove nelle medesime circostanze di tempo vennero ripresi anche (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e poi, nuovamente ripreso insieme a (OMISSIS) alla stazione di Milano Centrale appena giunto da Torino a bordo di un treno Eurostar alle ore 6:50 e, infine, alla stazione di Bologna, sempre in compagnia del (OMISSIS), la mattina del (OMISSIS). Quanto all'episodio sub 9) (tentato furto la notte fra il (OMISSIS) alla filiale (OMISSIS)), analogamente si osserva che (OMISSIS) fu identificato insieme ai coimputati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) soggetto nei cui confronti si e' proceduto separatamente) alle ore 23:50 in (OMISSIS) mentre attendevano due taxi, sui quali salivano tutti. Di nessun rilievo appare quindi la circostanza che poi egli non sia stato piu' visivamente individuato dalla PG operante nel gruppo dei 7 che alle ore 04:59, a bordo delle due autovetture monitorate (BMW Serie i e Audi A6), furono osservati rientrare nella zona in cui si trovavano i due garage presi in locazione: la PG operante infatti vide che dalle due auto scesero complessivamente 7 persone, 3 individui dalla BMW e poi 1+3 dalla Audi (da essa infatti prima scendeva un solo uomo, l'auto proseguiva andando verso l'immobile nel quale si trovava il garage, da quella direzione poco dopo sopraggiungevano tre persone a piedi che si riunivano al primo). La conferma che il gruppo dei 7 era rimasto sempre assieme si trae anche dal fatto che poco dopo (OMISSIS) chiamava la societa' (OMISSIS) chiedendo un taxi per sei persone con destinazione la stazione ferroviaria di Porta Nuova e circa un quarto d'ora dopo era (OMISSIS) che chiamava il radiotaxi per un altro taxi che lo portasse alla stazione di Porta Susa. E' dunque evidente che il (OMISSIS) rimase in compagnia dei complici dall'inizio alla fine della nottata, nel lasso temporale durante il quale fu tentato il furto in oggetto. Infine, quanto al reato sub 10) (tentato furto ai danni della filiale di (OMISSIS), la notte fra il (OMISSIS)), si osserva che anche in tale occasione (OMISSIS) era insieme ai complici e specificamente fu visto dagli inquirenti, che anche in tale occasione avevano apprestato servizi di OCP, alle 23:32 recarsi in compagnia di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nell'immobile di via (OMISSIS) e uscirne poco dopo a bordo della AUDI A6, autovettura che alle ore 4:45 veniva ripresa dalla telecamere di videosorveglianza mentre arrivava nei pressi della filiale della (OMISSIS) (telecamera che poco dopo registrava anche il passaggio, a forte velocita', della BMW); infine alle 5:02 le due auto erano nuovamente avvistate a Torino, in corso (OMISSIS), provenienti dalla tangenziale per poi dirigersi verso i rispettivi garage. Poco dopo (OMISSIS) e (OMISSIS) chiamavano il radiotaxi e si accertava che venivano inviate in loco due auto, sulle quali salivano complessivamente 7 persone (due persone erano condotte alla Stazione di Porta Nuova, le altre 5 a un ospedale). Anche con riferimento a tale episodio non vi sono spiegazioni alternative circa la presenza del (OMISSIS) a Torino, di notte, in compagnia di soggetti coi quali nei giorni immediatamente successivi perpetro' due furti con analoghe modalita' operative ai danni di altrettanti istituti di credito. Dunque, anche tale specifico motivo riproposto in questa sede della difesa di (OMISSIS) era stato argomentatamente confutato. Per la Corte territoriale sono ugualmente da rigettare le richieste, avanzate nell'interesse di (OMISSIS) di disapplicare la recidiva. Come noto, l'applicazione della recidiva deriva dalla valutazione che la reiterazione dell'illecito e' sintomo (OMISSIS)re colpevolezza e piu' accentuata pericolosita', tenuto conto della natura del reato, della qualita' del comportamento, della distanza temporale dalle precedenti condotte. Orbene, per quanto riguarda (OMISSIS) non puo' non rilevarsi come le precedenti condanne a suo carico riguardavano reati di relativamente modesta gravita' (ricettazione e appropriazione indebita), mentre nel caso di specie egli si e' associato a pregiudicati di notevole caratura ( (OMISSIS) ha riportato plurime condanne per rapina cosi' come (OMISSIS), (OMISSIS) ha riportato condanne sia per rapina che per furto), partecipando alla commissione di reati accuratamente preparati e organizzati, che hanno provocato comprensibile allarme (si e' trattato di 10 assalti a sportelli bancomat commessi nell'arco di pochi mesi) e cagionato danni rilevanti per le persone offese. Si tratta di circostanze che denunciano un'allarmante caduta dei freni inibitori da parte di soggetto che, fino a quel momento, aveva assunto condotte relativamente pericolose e che pertanto giustificano l'applicazione della recidiva. Valutazioni analoghe riguardano l'imputato (OMISSIS), in relazione al quale va altresi' osservato che la condanna da lui da ultimo riportata (per tentata rapina, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e violazione delle norme sul controllo delle armi) divenne irrevocabile solo pochissimi mesi prima (luglio 2018) della commissione dei reati per cui si procede e per essa il prevenuto aveva fruito della sospensione dell'esecuzione: l'essersi associato con altri pregiudicati per commettere i gravi reati per cui si procede dimostra la completa impermeabilita' del prevenuto a qualunque effetto dissuasivo derivante dalle precedenti condanne e dal rischio concreto di essere colpito da ordine di carcerazione ed e quindi espressione di una piu' accentuata pericolosita' sociale del (OMISSIS), che non viene affatto attenuata, ma al contrario e' accentuata, dalla persistente ed evidentemente irrisolta condizione di tossicodipendenza del (OMISSIS). Appare altresi' infondata la richiesta formulata dalla difesa di (OMISSIS) di riconoscere allo stesso le attenuanti generiche. Gli elementi positivi valorizzabili a tal fine riguardano la condotta post factum dell'imputato, come documentata dalla difesa: il (OMISSIS) ha fatto avere ai direttori degli istituto di credito da lui assaltati altrettante lettere di scuse e un vaglia postale (di importi oscillanti fra i 500 e i 1500 Euro); inoltre ha fatto una donazione di 2000 Euro ad un'associazione che si occupa di assistenza e protezione alle vittime di reati; infine, ha preso contatti col SERD di competenza e iniziato un programma di disintossicazione dalle sostanze di cui era dipendente. Si tratta di comportamenti che non lasciano intravedere l'inizio di un concreto percorso di ravvedimento, che consenta di ritenere applicabili le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza. Ne' sono accoglibili le richieste di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avanzate dalle difese degli altri appellanti, in assenza di qualunque elemento da poter valorizzare ai fini di una mitigazione del trattamento sanzionatorio. Come noto, le attenuanti generiche non sono un diritto, nemmeno dell'incensurato, ma possono essere concesse in presenza di elementi positivi, non riconducibili ad alcuna delle altre categorie previste dall'articolo 62 c.p. o da altre disposizioni di legge, che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piu' incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena. Nessun elemento di tal fatta e' ravvisabile in relazione agli altri imputati. Le laconiche ammissioni di responsabilita', sintetizzate in brevi dichiarazioni scritte depositate in udienza, appaiono esclusivamente strumentali all'ottenimento di un trattamento benevolo e non hanno aggiunto nulla al granitico compendio probatorio. Gli appellanti, compresi gli incensurati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), non hanno mostrato alcun segno di ravvedimento, non hanno tentato nemmeno in minima parte di riparare il danno, non hanno fornito alcun contributo al processo; le addotte contingenti difficolta' economiche mal si conciliano con la regolare attivita' lavorativa svolta da (OMISSIS) e (OMISSIS) fino al 2019 (peraltro (OMISSIS) ha subito trovato un'altra occupazione anche dopo l'arresto). Dunque, non vi sono elementi che consentano di applicare ne' ad essi ne' tantomeno ai pluripregiudicati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le invocate attenuanti. 9. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2021 del TRIBUNALE di PADOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DOVERE SALVATORE; lette le conclusioni rese per iscritto dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa GIORGIO LIDIA, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso e la condanna alle spese in favore della parte civile; lette le conclusioni del difensore della ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Padova ha confermato la pronuncia emessa dal Giudice di pace di Padova nei confronti di (OMISSIS), condannata per il reato di cui all'articolo 590 c.p. alla pena ritenuta equa nonche' al risarcimento del danno in favore della parte civile (OMISSIS), che liquidava in 900 Euro. 2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado l'imputata a mezzo del difensore, avv. (OMISSIS). Con un primo motivo deduce la violazione dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) e articolo 181 c.p.p. in relazione alla omessa motivazione in merito al motivo con il quale si lamentava la violazione degli articoli 132 e 133 c.p. da parte del Giudice di pace. Questi aveva inflitto una pena che in misura rilevante si discosta dal minimo edittale senza indicare i criteri che, tra quelli indicati dall'articolo 133 c.p., ha ritenuto rilevanti. La censura proposta al riguardo non e' stata considerata dal Tribunale, avendo questo motivato unicamente in ordine al diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche. Con un secondo motivo si lamenta la violazione dell'articolo 74 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera c), articolo 180 c.p.p., articolo 523 c.p.p., comma 2 e articolo 538 c.p.p. nonche' dell'articolo 125 c.p.p. ed altresi' dell'articolo 185 c.p., articoli 2056 e 1223 c.c. perche' il Tribunale ha confermato l'ammontare del danno da risarcire considerando anche il danno derivante dalla perdita del cane della parte civile, con cio' incorrendo: nella violazione del principio della domanda perche' era stato richiesto solo il danno da lesioni personali; nel vizio di omessa motivazione sulle censure avanzate dall'imputata nei confronti della sentenza di primo grado concernenti l'attendibilita' di una consulenza medico legale prodotta dalla parte civile; nella violazione degli articoli 2056 e 1223 c.c., avendo assunto quale danno conseguenza di una condotta di lesioni personali colpose il pregiudizio derivato dalla morte del cane della parte civile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 1.1. Quanto alla motivazione in ordine alla pena base, la giurisprudenza di questa Corte e' ferma nell'insegnamento secondo il quale non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288). Inoltre, la determinazione della pena e' adeguatamente motivata gia' con il richiamo agli indici previsti dall'articolo 133 c.p., salvo che, come gia' rilevato, la pena si avvicini o superi la misura mediana. Nel caso che occupa la pena e' stata individuata in 900 Euro di multa, che rispetto ai termini edittali (individuabili nel combinato disposto dall'articolo 590 c.p., comma 1, e dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 52, comma 2, lettera a), primo periodo) del minimo di 258 Euro al massimo di 2.582 Euro, si situa ben al di sotto del medio edittale. Peraltro, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente nella memoria difensiva, nello spiegare perche' non si e' ritenuto di riconoscere le attenuanti generiche, il giudice di appello ha esplicitato anche i criteri utilizzati per confermare la pena. Quei criteri sono rappresentati dal disvalore del fatto, apprezzato in ragione delle lesioni cagionate a (OMISSIS), e dalla procurata morte di un altro animale. Indicazione che non va intesa come accrescitiva della lesione del bene giuridico tutelato dall'articolo 590 c.p., evidentemente altro, ma come evocatrice delle modalita' dell'azione, pertinenti ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, n. 1). In conclusione, la motivazione risulta del tutto conforme alle prescrizioni dettate dalla giurisprudenza di legittimita'. 1.2. Il secondo motivo e' aspecifico. Con il ricorso si prospetta che il danno sia stato quantificato anche in ragione della perdita patita dalla persona offesa del proprio cane, ad opera del cane che inferse a quella le lesioni per cui e' processo. Occorre dare atto alla ricorrente che l'espressione utilizzata dal Tribunale si presta a fraintendimenti, affermandosi che va mantenuto fermo "il "quantum" liquidato a titolo di risarcimento siccome corrispondente al danno complessivamente causato alla parte civile e costituito, oltre che dalla perdita del bassotto, anche dal pregiudizio di natura biologica...". Tuttavia, posto che il danno biologico e' stato quantificato sulla base della consulenza medico legale prodotta dalla difesa di parte civile, la ricorrente avrebbe dovuto dare dimostrazione del fatto che la somma di 900 Euro eccede il danno biologico. In altri termini, che il danno da perdita del bassotto, certamente non riconducibile alle conseguenze dirette ed immediate del reato attribuito alla (OMISSIS), abbia trovato effettiva espressione quantitativa nella somma liquidata alla (OMISSIS). Non avendo soddisfatto tale onere il motivo risulta appunto aspecifico. 2. Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimita' dalla parte civile (OMISSIS), che vanno liquidate in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio di legittimita' dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

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