Sentenze recenti risarcimento danno biologico

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Giudice Dott. SILVESTRI Pietro - Giudice Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Relatore Dott. DI GIOVINE Ombretta - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. Mi.En., nato a R. (...); 2. Di.Pl., nato a P. (...); avverso la sentenza del 14 aprile 2023 emessa dalla Corte di appello di Roma; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità di entrambi i ricorsi; udite le richieste dell'avvocato Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore della parte civile Sc.Ma., dell'avvocato Fr.Ca., difensore delle parti civili Pr.Fe. e Pa.Ma., che hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi e la condanna degli imputati alla refusione delle spese del grado; udite le richieste dell'avvocato Pi.Ri., difensore di Mi.En., e dell'avvocato Ca.Bo., che hanno insistito per l'accoglimenti dei propri ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Rieti ha disposto il rinvio a giudizio di Mi.En. e Di.Pl. per il delitto di cui all'art. 110, 373 cod. pen., commesso in concorso in R. il 15 maggio 2015, (capo a), e di Mi.En. per il delitto di cui agli artt. 48, 56, 110 e 640 cod. pen., commesso in R. il 16 luglio 2015 (capo 2). Secondo l'ipotesi di accusa, il Mi.En., in qualità di consulente tecnico di ufficio nominato nella causa civile n. 564/10 pendente innanzi al Tribunale di Rieti, sottoscrivendo la relazione di consulenza tecnica depositata, avrebbe affermato fatti non conformi al vero e, segnatamente, di averla personalmente redatta, in quanto l'autore materiale sarebbe stato il Di.Pl., convenuto nel predetto processo (capo 1); il Pubblico Ministero ha, inoltre, contestato al Mi.En. il delitto di tentata truffa (capo 2), in quanto, depositando la richiesta di liquidazione dell'onorario di consulente tecnico di ufficio, avrebbe posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice civile a liquidare il rimborso di spese e fatture per operazioni inesistenti, asseritamente sostenute per l'espletamento del proprio incarico. 2. Il Tribunale di Rieti, con sentenza emessa in data 9 aprile 2021, ha dichiarato gli imputati responsabili dei reati a loro rispettivamente ascritti e ha condannato Mi.En., ritenuta sussistente la continuazione tra i reati contestati, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, Di.Pl. alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e gli imputati in solido al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili. 3. Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dagli imputati: - ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Mi.En. e Di.Pl. per il reato di cui al capo 1) perché estinto per intervenuta prescrizione, eliminando la relativa pena; - ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo 2) in un anno di reclusione e 400 euro di multa, pena sospesa; ha revocato la pena accessoria inflitta; - ha confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando gli imputati alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado. 4. L'avvocato Pi.Ri., difensore del Mi.En., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo due motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa contestato. L'allegazione di documentazione non genuina alla richiesta di liquidazione dei compensi non potrebbe, infatti, integrare il tentativo di truffa, in quanto la richiesta di pagamento sarebbe stata presentata al giudice, che è soggetto "estraneo al reato". Deduce, inoltre, il ricorrente che il giudice non ha liquidato i compensi al consulente tecnico e che, comunque, le parti civili non erano stati i destinatari del provvedimento di liquidazione; il giudice, peraltro, avrebbe potuto porre il pagamento degli onorari anche a carico della controparte Mi.En.. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato sarebbe si sarebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di secondo grado. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha dichiarato prescritto il più grave reato di cui al capo 1), in quanto estinto in data 14 gennaio 2023; se il reato di falsa perizia era, tuttavia, stato contestato come commesso in data 15 maggio 2015, quello di tentata truffa sarebbe stato commesso in data 16 luglio 2015. Il ricorrente, dunque, eccepisce che il termine di prescrizione del reato di cui al capo 2) dovrebbe essere più lungo di quello della falsa perizia di due mesi e un giorno. All'atto della pronuncia della sentenza di appello (in data 14 aprile 2023), dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare anche la prescrizione del reato di tentata truffa (maturata in data 16 marzo 2023). La sospensione del corso della prescrizione per effetto della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, peraltro, non potrebbe essere applicata nel caso di specie, in quanto si sarebbe regolarmente tenuta l'udienza di febbraio 2020 e il giudizio dibattimentale di primo grado sarebbe stato rinviato direttamente a giugno del 2020. 5. L'avvocato Ca.Bo., nell'interesse del Di.Pl., propone cinque motivi di ricorso e, segnatamente: 1) la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore. Rileva il difensore che all'udienza del 14 aprile 2023 ha eccepito l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del codifensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa all'udienza; la Corte di appello, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, dunque, il difensore già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto avrebbe determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. Rileva, tuttavia, il difensore che all'udienza del 17 febbraio 2023 non si era validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato, in quanto era stata disposta la rinnovazione della notifica nei confronti dello stesso; l'eccezione, dunque, era stata proposta nella prima udienza nella quale la Corte di appello aveva ritenuto validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato. L'omessa notifica al codifensore della vocatio in ius configura, del resto, una nullità dì ordine generale a regime intermedio e, dunque, deve essere eccepita con la prima difesa successiva all'atto viziato dalla parte che ne aveva interesse (cita in proposito Sez. 3, n. 16564 del 2022 (dep. 2023). L'eccezione sarebbe, peraltro, stata proposta tempestivamente, in quanto è stata formulata nel primo momento in cui la parte che ne aveva interesse, ovvero l'imputato, era stato regolarmente citata. 2) l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia; Il ricorrente premette che la Corte di appello ha ritenuto sussistente il delitto di falsa perizia, in quanto tra le "affermazioni di fatti non conformi al vero previste dall'art. 373 cod. pen., rientra anche la falsa attestazione sulla provenienza dell'atto. La dichiarazione del consulente tecnico di ufficio di aver redatto in prima persona la perizia, espressa mediante la sottoscrizione del documento, dunque, era stata ritenuta un'affermazione di un fatto storico non conforme al vero, in quanto l'elaborato peritale sarebbe stato redatto non già dal consulente tecnico di ufficio, ma da un terzo. La disposizione di cui all'art. 373 del codice penale, punisce il perito o il consulente che affermi "fatti non conformi al vero", ma, ad avviso del difensore, i "fatti", cui la disposizione si riferisce, non possono che essere quelli oggetto dell'attività peritale. Il fatto penalmente rilevante è, peraltro, quello che, attraverso una immutatio veri, lede il bene giuridico tutelato (ossia la corretta amministrazione della giustizia) ed è in grado di incidere negativamente sulla decisione del giudice. Il Di.Pl., peraltro, non potrebbe aver concorso nel delitto di falsa perizia del consulente tecnico di ufficio, in quanto si era limitato a ritenutene l'elaborato conforme al proprio convincimento. L'istruttoria dibattimentale, peraltro, non avrebbe confermato la presunta falsità dei fatti contenuti nell'elaborato peritale. Lo stesso giudice civile, pur avendo constatato numerose anomalie (la dilazione dei tempi di deposito, l'acquisizione dalle parti e dai consulenti tecnici di parte di note non autorizzate dal giudice, l'invio telematico di un file astrattamente proveniente da una delle parti), aveva ritenuto che le stesse non fossero di gravità tale da giustificare la rinnovazione delle operazioni peritali. La perizia sarebbe, peraltro, risultata irrilevante ai fini della definizione del giudizio civile, che era stato deciso sulla base dei rilievi dell'accertamento tecnico preventivo; la condotta dell'imputato, dunque, sarebbe penalmente rilevante. 3) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso del Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso dal Mi.En.; Il ricorrente deduce che la Corte di appello ha ritenuto dimostrata l'esistenza di un accordo criminoso tra il Di.Pl. ed il Mi.En. solo sulla base della asserita riconducibilità dei files alla paternità del Di.Pl., ma tale circostanza nulla potrebbe rivelare circa l'esistenza di un accordo criminoso, nonché in ordine al contributo fornito dall'extraneus Di.Pl. alla commissione del reato. Mancherebbe del tutto la prova della conoscenza da parte del Di.Pl. della circostanza che il Mi.En. avrebbe recepito acriticamente la bozza redatta, senza apportare alcuna modifica alla stessa e, soprattutto, rivendicando come proprio l'elaborato. La mera predisposizione di una bozza, dunque, non costituirebbe prova dell'illecito, in assenza della dimostrazione di un accordo. L'istruttoria, peraltro, avrebbe dimostrato solo l'esistenza di una certa confidenza tra i due, ma non certo di un accordo illecito. 4) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.; Premette il ricorrente che la Corte di appello ha motivato l'attribuzione della paternità della consulenza tecnica al Di.Pl., in quanto il file "madre" sarebbe stato elaborato dal computer in uso esclusivo al medesimo. Deduce, tuttavia, il ricorrente che questa motivazione non si sarebbe confrontata con le censure mosse nell'atto di appello, nel quale si era eccepito che il consulente tecnico di ufficio si era fatto inviare sistematicamente files dai consulenti di parte nello svolgimento delle operazioni peritali e, quindi, ha lavorato su files creati da altri. L'autore originario di un file, peraltro, rimane sempre quello che ha dato la prima impronta. La Corte di appello, peraltro, avrebbe travisato l'esito delle testimonianze di Co.Gh. e di Ma.Br. relativamente al fatto che il computer nella stanza del Di.Pl., nello studio professionale, fosse nella sua esclusiva disponibilità; questa stanza, infatti, poteva essere usata da tutti i collaboratori e tutti gli ingegneri che lavoravano nello studio Ma.Br., compreso il Di.Pl., usavano un server comune, accessibile a tutti. 5) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha statuito che "non può dubitarsi che le condotte poste in essere da Mi.En. e Di.Pl. di cui sopra si è detto, abbiano causato un danno alle costituite parti civili per avere alterato il regolare svolgimento dell'attività processuale, essendo stato di fatto l'accertamento tecnico svolto da una delle parti processuali". Il difensore deduce, tuttavia, che la Corte di appello avrebbe obliterato la censura relativa all'impossibilità di ritenere la parte processuale parte lesa o danneggiata del delitto di falsa perizia, in quanto l'unica persona offesa nei delitti contro l'amministrazione della giustizia è lo Stato. Nel caso di specie, peraltro, la presunta falsa perizia non avrebbe arrecato alcun danno alla controparte, in quanto il danno conseguirebbe esclusivamente alla soccombenza nel processo civile, determinata dall'adozione di un provvedimento giudiziale viziato, nella specie insussistente. Le parti civili, peraltro, sarebbero risultate soccombenti nel processo civile sulla base dell'accertamento tecnico preventivo svolto dall'architetto Gi. e non della consulenza dell'ingegnere Mi.En.; in sede penale, dunque, tali soggetti prospetterebbero non già di essere state pregiudicate da un accertamento giurisdizionale falso o ingiusto, ma solo da un giudizio che era risultato contrario alle loro aspettative. 6. Con memoria depositata un data 6 febbraio 2024 gli avvocati Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore di Sc.Ma., hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati. 2. Con il primo motivo dedotto, l'avvocato Pi.Ri. nell'interesse di Mi.En., ha dedotto l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa. 3. Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha congruamente ritenuto comprovato che l'imputato, quale consulente di ufficio, nel presentare la domanda di liquidazione per lo svolgimento del proprio incarico di consulente tecnico di ufficio, ha richiesto il rimborso di spese da lui non effettivamente sostenute; tale condotta integra il reato di tentata truffa, in quanto "le fatture presentate dallo stesso a corredo della domanda di liquidazione costituiscono atti idonei ad indurre in errore il giudice istruttore del processo civile in ordine alle spese documentate, al fine di trarne un ingiusto profitto" (pag. 11 della sentenza impugnata). La qualificazione operata dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado è, inoltre, conforme alla legge penale. Non integra, infatti, il reato di truffa la condotta della parte processuale, che, mediante l'induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole (c.d. truffa processuale), in quanto manca l'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell'art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici (Sez. 2, n. 48541 del 21/10/2022, Castiglione, Rv. 284172 - 01). Secondo la giurisprudenza di legittimità, invece, integra il reato di truffa, e non quello di peculato mediante induzione in errore ex artt. 48 e 314 cod. pen., la condotta dell'extraneus che mediante artifizi e raggiri, induca in errore il giudice a disporre la liquidazione di somme non spettanti, così procurandosi un ingiusto profitto (Sez. 6, n. 34517 del 05/07/2023, Dell'Oca, Rv. 285176 - 01, nella fattispecie l'agente, mediante la dichiarazione di attualità dei crediti oggetto di pregressa domanda di insinuazione al passivo, benché nelle more soddisfatti in via transattiva, e il deposito dei relativi titoli in originale, conseguiva la liquidazione di poste a carico della massa solo simulate; conf. Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023 (dep. 2024), con riferimento alla truffa posta in essere da un amministratore giudiziario che ha chiesto (e ottenuto) la liquidazione di onorari e spese non spettanti). In tal caso, infatti, a differenza della c.d. truffa processuale, il giudice non decide una controversia civile, ma pone in essere un atto dispositivo a contenuto patrimoniale sulla base della legge. Nel presente processo i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto gli artifizi e i raggiri posti in essere dal ricorrente sono stati diretti ad ottenere dal giudice non già un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma la liquidazione dell'onorario per l'espletamento dell'incarico di consulente tecnico di ufficio. Parimenti il deposito in cancelleria da parte del consulente tecnico di ufficio dell'istanza di liquidazione dei compensi, corredata da giustificativi di spese mendaci, costituisce atto idoneo e diretto in modo non equivoco a trarre in inganno il giudice, qualora l'istanza non sia stata liquidata. 4. Con il secondo motivo l'avvocato Ri. ha censurato la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato di truffa accertato si sarebbe prescritto prima della pronuncia di secondo grado, intervenuta in data 14 aprile 2023. 5. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto nel corso del giudizio di primo grado sono intervenuti due periodi di sospensione del corso della prescrizione, per complessivi ottantotto giorni. La prima sospensione, di ventiquattro giorni, è, infatti, intervenuta all'udienza del 14 febbraio 2020, quando il processo è stato rinviato all'udienza del 13 marzo 2020 per impedimento, dovuto alle condizioni di salute dell'avvocato Ca.Bo., difensore di Di.Pl.. La seconda sospensione, di sessantaquattro giorni, dal 9 marzo all'11 maggio 2020, è stata disposta dall'art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in quanto l'udienza originariamente fissata per il 13 marzo 2020 non si è tenuta in ragione della sospensione delle attività processuali determinata dalla necessità di evitare il propagarsi della pandemia. Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, hanno statuito che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020 (dep. 10/02/2021), Sanna, Rv. 280432 - 02, in motivazione, la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all'art. 83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia). Pertanto, posto che il delitto di tentata truffa contestato al capo 2) si è consumato in data 16 luglio 2015, all'atto del deposito nella cancelleria dell'istanza di liquidazione dei compensi da parte del consulente tecnico di ufficio Mi.En., il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, aumentato di ottantotto giorni, sarebbe maturato allo scadere del 14 aprile 2023. La Corte di appello, dunque, ha legittimamente emesso la sentenza impugnata in data 14 aprile 2023, prima del perfezionarsi della causa estintiva del reato. Secondo il criterio di computo enunciato dall'art. 14 cod. pen., infatti, il termine finale della prescrizione coincide con l'ultimo momento del giorno (o del mese) calcolato secondo il calendario comune (Sez. 3, n. 312 del 05/01/1974 (dep. 1975), Rotunno, Rv. 129007-01). 6. L'avvocato Bo., nell'interesse del Di.Pl., con il primo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore, avvocato Gi.Qu. 7. Il motivo è manifestamente infondato. Il difensore ha eccepito all'udienza del 14 aprile 2023 l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del difensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa alla precedente udienza tenutasi innanzi alla Corte di appello. La Corte, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, infatti, l'avvocato Bo. già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto ha determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. La decisione è corretta. Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la nullità a regime intermedio, derivante dall'omesso avviso dell'udienza a uno dei difensori dell'imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell'altro difensore comparso, pur quando l'imputato non sia presente (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187-01, in motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d'ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l'altro difensore di giudice e il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice). In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato, si configura, infatti, una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicché la mancata proposizione dell'eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l'imputato, regolarmente citato, sia presente o meno (Sez. 5, n. 55800 del 3/10/2018, Intoppa, Rv. 274620-01). 8. Con il secondo motivo l'avvocato Bo. ha censurato l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia e il vizio di motivazione sul punto. 9. Il motivo è inammissibile, sia sotto il profilo dell'inosservanza della legge penale, che sotto quello del vizio di motivazione. 9.1. Il motivo è inammissibile, in relazione alla violazione di legge dedotta, in quanto l'imputato, in seguito alla dichiarazione di estinzione del reato per effetto della prescrizione, non ha interesse a ottenere l'esclusione della qualificazione della condotta accertata ai sensi dell'art. 373 cod. pen. ai fini della pronuncia sulla responsabilità civile da reato. L'imputato ha, infatti, un interesse concreto a contestare, ai fini civili, la diversa qualificazione giuridica del fatto attribuita dalla sentenza di prescrizione solo quando quest'ultima si riverberi sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico. Nel caso di specie, tuttavia, l'imputato non ha indicato specifici profili che possano dimostrare l'interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, che possano riverberarsi nel successivo processo civile per la determinazione dell'entità del danno da reato. L'interesse a ricorrere, del resto, risulta escluso quando, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all'impugnazione, la decisione del giudice dell'impugnazione non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, Loffredo, Rv. 252183). L'impugnazione, per essere ammissibile, deve, infatti, tendere all'eliminazione della lesione di un diritto, in quanto non è prevista la possibilità di proporre un'impugnazione che miri unicamente all'esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente (ex plurimis: Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Morrone, Rv. 270957 - 01). Del resto, quand'anche si accedesse alla richiesta dell'imputato di escludere la qualificazione del fatto come falsa perizia, non ne conseguirebbe l'irrilevanza penale dello stesso, ma la sua qualificazione ai sensi dell'art. 479 cod. pen. quale falso ideologico del perito, in ragione del rapporto di specialità che intercorre tra le due fattispecie di reato (cfr, Sez. 6, n. 20314 del 26/02/2015, Morena, Rv. 263410 - 01). Il rilievo sotto il profilo risarcitorio del turbamento del regolare svolgimento del processo civile, determinato dalla produzione in giudizio di una falsa consulenza tecnica di ufficio, dunque, permane, indipendentemente dalla qualificazione in sede penale di tale condotta falsa perizia o falso ideologico del perito. 9.2. Il motivo è parimenti inammissibile in relazione al vizio di motivazione dedotto. Il difensore ha, infatti, argomentato l'insussistenza della falsità della consulenza tecnica di ufficio, in quanto ritenuta da Di.Pl. conforme al proprio convincimento; parimenti la falsità sarebbe stata esclusa dal giudice civile, pur a fronte del rilievo di numerose anomalie e, comunque, non avrebbe inciso sulla decisione del processo civile, fondata sull'accertamento tecnico preventivo eseguito in fase cautelare. Tali rilievi, essendo volti a contestare in fatto la sussistenza del delitto contestato, si confrontano con la prova e non con la motivazione della sentenza impugnata. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944). 10. Con il terzo motivo l'avvocato Bo. ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso di Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso da Mi.En.. 11. Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello di Roma, del resto, ha non incongruamente ritenuto dimostrato l'accordo sulla base delle risultanze dei tabulati telefonici, che dimostrano contatti tra i soggetti intensificatisi a ridosso del deposito della consulenza tecnica di ufficio, e del rinvenimento nell'agenda personale del Di.Pl. della relazione, ma priva di sottoscrizione. 12. Con il quarto motivo il difensore ha censurato la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.. 13. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a sollecitare la Corte di legittimità a un rinnovato esame degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, mediante un confronto diretto con gli stessi. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). La Corte di appello, peraltro, quanto alla paternità del file, richiamando la sentenza di primo grado, ha congruamente rilevato che sul computer del Mi.En. non è stato rinvenuto alcun file corrispondente a quello depositato, ad eccezione del file rinvenuto nella casella di posta elettronica, utilizzato per il deposito della perizia. Nel computer del Di.Pl., per converso, è stato rinvenuto un file pdf integralmente corrispondente al file depositato da Mi.En. quale consulenza tecnica di ufficio. 14. Con il quinto motivo il difensore ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. 15. Il motivo è inammissibile, in quanto il Tribunale ha legittimamente ammesso la costituzione di parte civile dei condomini e dei condomini indicati in epigrafe quali soggetti danneggiati dal reato. La Corte di appello ha, inoltre, non irragionevolmente indicato la ragione di danno nel pregiudizio cagionato alle parti processuali, costituitesi parti civili, dalla turbativa del regolare ordine delle attività processuali determinato dall'introduzione nel materiale probatorio di una consulenza tecnica di ufficio redatta in violazione dei doveri di terzietà e imparzialità del perito. 16. Alla stregua di tali rilievi, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Gli imputati devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4971,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge. Così deciso il 22 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCODITTI Enrico - Presidente - Rel. Dott. RUBINO Lina - Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere Dott. TASSONE Stefania - Consigliere Dott. ROSSI Raffaele - Consigliere Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 7905/2023 R.G. proposto da: AGENZIA (...), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FA.SI. (Omissis) - ricorrente - contro (...), elettivamente domiciliato in ROMA (...), presso lo studio dell'avvocato MA.FI. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato RO.MA. (Omissis) - contro ricorrente - nonché contro (...) Spa, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato PA.VI. (Omissis) - contro ricorrente - nonchè contro Ce.Lu., Mi.Co., To.Va. - intimati - avverso la SENTENZA di CORTE D'APPELLO MILANO n. 165/2023 depositata il 19/01/2023. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 maggio 2024 dal Presidente relatore ENRICO SCODITTI Uditi il Pubblico Ministero Fr.Ma. ed i Difensori DO.CO., VI.PA. e AN.BO. FATTI DI CAUSA 1. To.Va. e Mi.Co., a seguito di accertamento tecnico preventivo, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Ce.Lu., nella qualità di medico di base, chiedendo il risarcimento del danno derivato dalla ritardata diagnosi della grave insufficienza renale di cui il To.Va. era affetto. Il convenuto chiamò in garanzia l'Agenzia (...) e (...) Spa A sua volta, l'(...) chiamò in garanzia (...). Venne disposta CTU. Intervenne quindi in giudizio, con atto autonomo di intervento, (...) Spa, in qualità di successore a titolo particolare degli attori e del convenuto, allegando la transazione in forza della quale (...) aveva corrisposto agli attori la somma di Euro 400.000,00, in relazione al danno denunciato ed alle spese anche per consulenze, e gli attori avevano ceduto al convenuto e (...) i diritti nei confronti dell'(...) e dei coobbligati in solido, e chiedendo la condanna dell'(...) a rifonderle la somma di Euro 200.000,00. 2. Il Tribunale adito dichiarò la cessazione della materia del contendere nei rapporti tra gli attori, il convenuto ed (...) Spa, quale terza chiamata dal convenuto, e condannò l'(...) della Città Metropolitana di M al pagamento, a titolo di regresso ex art. 1916, primo comma, c.c., in favore di (...) Spa, nella sua qualità di interveniente volontaria, della somma di Euro 200.000,00, condannando altresì (...) a tenere indenne l'(...) di quanto corrisposto. 3. Avverso detta sentenza proposero distinti appelli l'(...) e (...). 4. Disposta la riunione delle impugnazioni, con sentenza di data 19 gennaio 2023 la Corte d'appello di Milano rigettò l'appello proposto dall'(...) ed accolse quello proposto dalla società assicuratrice, rigettando la domanda di manleva proposta dall'(...). Osservò la corte territoriale che, sulla base di Cass. n. 6243 del 2015 (con orientamento successivamente recepito dalla legge n. 24 del 2017, non applicabile al caso di specie), l'(...), per l'adempimento della propria obbligazione ex lege, si era avvalsa dei medici di medicina generale ad essa legati da un rapporto di parasubordinazione, rispondendo ai sensi dell'art. 1228 c.c. anche dei fatti colposi e dolosi dell'ausiliario di cui si era avvalsa per eseguire la prestazione che era obbligata ad erogare. Premesso che gli attori avevano ceduto al convenuto Ce.Lu. e (...) ogni loro diritto nei confronti del coobbligato in solido (...) e che il Ce.Lu. aveva a sua volta ceduto ogni suo diritto confronti dell'(...), aggiunse che correttamente era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere limitatamente agli attori ed al convenuto e (...) e che la surrogazione ai sensi dell'art. 1916 c.c. era applicabile in caso di responsabilità per atto illecito (Cass. Sez. Un. n. 8620 del 2015). Osservò ancora che le doglianze in ordine alla determinazione del danno erano generiche in quanto non supportate da una analitica ricostruzione dei danni patiti dagli attori, avendo il Tribunale considerato l'entità considerevole del danno biologico differenziale del 40% patito dal To.Va. per il periodo dall'agosto 2013 - quando se tempestivamente curato avrebbe avuto un'insufficienza renale con compromissione della propria integrità psicofisica del 40% a fronte dell'80% in assenza di tempestive cure - fino al novembre 2016, quando, per effetto del trapianto di rene, la compromissione dell'integrità psicofisica era tornata al 40%. Osservò ulteriormente che il Tribunale aveva tenuto conto della perdita della capacità lavorativa specifica, correttamente individuata a far data dall'agosto 2013, quando la lesione dell'integrità psicofisica aveva raggiunto la percentuale dell'80 % - a fronte del 40% che vi sarebbe stato in caso di cure tempestive -, precludendo lo svolgimento del lavoro di muratore/cartongessista, nonché qualsiasi altra attività di lavoro fisico, e che sussisteva anche il danno da lesione del rapporto parentale con il coniuge stante la significativa anticipata maggiore entità della compromissione psicofisica patita dall'attore tale da necessitare un coinvolgimento diretto della moglie nella sua assistenza, per cui, in definitiva, per un verso la sussistenza delle voci di danno, fondate sulla CTU, facevano ritenere il danno complessivo non inferiore all'importo di Euro 400.000,00, per l'altro, in assenza di una censura più specifica contenuta nel motivo di appello, non vi erano ragioni per discostarsi dalla valutazione operata dal Tribunale. Aggiunse che il rapporto interno fra i due coobbligati in solido era regolato dall'art. 1298 c.c. con ripartizione paritaria delle quote secondo il rapporto fra medico dipendente e struttura ospedaliera (Cass. n. 29001 del 2021; n. 28987 del 2019; Cass. n. 26118 del 2021; la transazione tra medico e danneggiato non impediva l'esercizio dell'azione per l'accertamento della responsabilità della struttura ospedaliera, sulla base di un accertamento incidentale dell'eventuale condotta colposa del sanitario). Passando al rapporto assicurativo, premise la corte territoriale che l'art. 2 del contratto di assicurazione stipulato dall'(...) con (...) prevedeva quanto segue: "la Società si obbliga a tenere indenne l'Assicurato, di quanto questi sia tenuto a pagare, a titolo di risarcimento (Capitale, Interessi e Spese), quale civilmente responsabile ai sensi di legge, per i danni involontariamente cagionati a Terzi, per morte, per lesioni personali e per danni a cose, in conseguenza di un fatto verificatosi in relazione all'attività svolta. L'assicurazione vale anche per la responsabilità civile che possa derivare alla Contraente e/o Assicurato da fatto colposo e/o doloso di Persone delle quali o con le quali debba rispondere"; e che l'art. 10 prevedeva quanto segue: "la garanzia comprende la responsabilità civile personale di tutti i Dipendenti dell'Assicurato, ancorché non più alle dipendenze dello stesso al momento in cui emerga il sinistro, nonché quella dei Medici o altro Personale non a rapporto di dipendenza, ma per questi ultimi solo qualora sussista per legge l'obbligo di copertura con oneri a carico della Contraente, per danni arrecati a Terzi ed a Prestatori di lavoro nello svolgimento delle mansioni o degli incarichi esplicati per conto ed ordine dell'assicurato anche all'esterno o presso altre strutture in virtù di apposite convenzioni stipulate dal Contraente stesso. - omissis - La garanzia deve altresì ritenersi operante per i Medici o per altro Personale non a rapporto di dipendenza che, in funzione di specifici accordi, prestino la propria attività in nome e per conto della contraente, tra cui, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, assegnatari di borse di studio". Precisò che i medici di medicina generale rientravano nella categoria dei "medici non a rapporto di dipendenza", esplicanti le loro mansioni anche all'esterno in virtù di apposite convenzioni con il contraente (...) e che, posto che la clausola limitava per tali medici la copertura assicurativa al solo caso in cui sussistesse per legge l'obbligo di copertura con oneri a carico della contraente, al momento del verificarsi dell'inadempimento dell'obbligazione - terminato nell'agosto 2013 - e al momento della stipula del contratto - "effetto dal 31.12.2013 con effetto retroattivo" - tale obbligo non sussisteva. Precisò ancora che neanche dall'art. 27 comma 1 bis del D.L. n. 90 del 24.6.2014, convertito con L. n. 114 del 2014, discendeva l'obbligo per le ASL di assicurare anche i medici di medicina generale, dovendosi attendere la legge Gelli del 2017, la quale tuttavia necessitava dell'emanazione di decreti attuativi. 5. Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia (...) sulla base di sei motivi. Resistono con distinti controricorsi (...) Spa e (...). Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento dell'ultimo motivo di ricorso. È stata depositata memoria di parte. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 1228 cod. civ. e dell'ACN del 23 marzo 2005 integrato con quello del 29 luglio 2009, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. Civ. . Osserva la parte ricorrente, alla luce di Cass. Pen. n. 34460 del 2003 e n. 36502 del 2008, in coerenza con l'Accordo Collettivo Nazionale, che, in forza dell'insindacabile autonomia del medico sul piano clinico e diagnostico, non può gravare sull'(...) il rischio della responsabilità per la scelta del medico convenzionato, il quale opera a tutti gli effetti come un libero professionista e non può pertanto essere considerato un ausiliario dell'ASL, né può essere ravvisato un contatto sociale qualificato fra ASL e paziente, ovvero una fattispecie di contratto di spedalità. Aggiunge che il controllo dell'(...) non si esercita sui contenuti tecnico/professionali, ma su aspetti di natura organizzativo/gestionale specifici e limitati, quali ad esempio la congruità dell'apertura degli ambulatori (art. 36 ACN) e/o i motivi di cessazione del rapporto convenzionale (art. 19 ACN), e che il medico di medicina generale è un libero professionista che esercita la propria attività professionale in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (e non con l'(...)), senza rientrare in alcuna organizzazione facente capo esclusivamente all'(...) al pari di un ospedaliero. Osserva ancora che la stessa giurisprudenza (ad esempio Cass. 41982 del 2012; Cass. Pen. n. 36502 del 2008, Cass. Pen. n. 34460 del 2003) ha escluso la responsabilità civile delle Aziende Sanitarie Locali a seguito di errore professionale del medico di medicina generale e che, diversamente, si dovrebbe ritenere la responsabilità dell'(...) anche per l'attività delle farmacie e delle strutture sanitarie accreditate (ospedali privati e pubblici). Aggiunge che in base all'art. 4 l. r. Lombardia n. 33 del 2009 "fermo restando il principio della libera scelta da parte del cittadino, le ASL erogano direttamente le prestazioni necessarie per soddisfare i livelli essenziali di assistenza non affidate ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, non acquisite dai soggetti erogatori pubblici o privati accreditati e non altrimenti assicurate da terzi" e che erano le Aziende ospedaliere invece le aziende deputate ad erogare attività sanitarie ospedaliere e specialistiche ai sensi dell'art. 5 Co 6 L. R. 33/2008 (nella versione vigente all'epoca dei fatti). 1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 C.P.C. . Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l'esame del motivo non offre elementi per mutare l'orientamento di legittimità. Deve subito essere sgombrato il campo dalla questione del difetto di titolarità passiva del soggetto obbligato, che risulta adombrata al termine del motivo con il riferimento alle Aziende ospedaliere, perché, in violazione dell'onere di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 C.P.C., non risulta specificatamente indicato se un motivo di appello abbia avuto ad oggetto la detta questione. Il rilievo di assenza di elementi per mutare la giurisprudenza di questa Corte discende dalla circostanza che la censura è essenzialmente basata su una giurisprudenza precedente a quella cui si fa riferimento nella sentenza impugnata, e cioè Cass. n. 6243 del 2015, alla cui motivazione si fa espresso rinvio nella presente sede. Va comunque qui richiamata una parte significativa della motivazione di quest'ultima pronuncia, il cui perno è la norma fondamentale di cui all'art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978 ("l'assistenza medicogenerica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino"). "Il diritto soggettivo dell'utente del S.S.N. all'assistenza medicogenerica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente (dapprima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA), nasce, dunque, direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di "personale" medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo "parasubordinato"). Il medico convenzionato, scelto dall'utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell'accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l'assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento (e non già in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto giuridico diretto con l'utente), il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell'utente). Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi (e, poi, dei LEA) da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta". In linea con la risalente e costante giurisprudenza di questa Corte, Cass. n. 6243 del 2015 qualifica il rapporto di convenzionamento in termini di parasubordinazione (fra le tante, da ultimo, Cass. n. 27782 del 2021). Va così confermata la qualificazione della fattispecie di responsabilità in termini di responsabilità per fatto degli ausiliari di cui all'art. 1228 c.c., secondo quanto prospettato nella pronuncia del 2015. Il soggetto pubblico, per l'adempimento dell'obbligazione di fornire l'assistenza medico-generica cui per legge è obbligato, si vale dell'opera del terzo, cioè di un esercente la professione sanitaria il quale non è dipendente del soggetto obbligato, ma costituisce personale "convenzionato" (in alternativa a quello "dipendente", secondo l'indicazione fornita dall'art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978). Trattasi di una fattispecie di responsabilità, identificata in sede interpretativa dalla giurisprudenza, che è stata poi recepita dal legislatore con l'art. 7 legge n. 24 del 2017 ("1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina"), secondo una linea di continuità fra l'interpretazione giurisprudenziale dell'ordinamento ed il successivo intervento legislativo, quale argomento ex post a sostegno della detta interpretazione (il primo comma del citato articolo 7 stabilisce chiaramente la correlazione fra la collocazione lavorativa dell'esercente ed il titolo di responsabilità: per il dipendente vale l'art. 1218, per il non dipendente l'art. 1228). Non è elemento idoneo al mutamento della giurisprudenza l'ulteriore argomento secondo cui, riconoscendo la responsabilità dell'(...) per l'attività del medico generico convenzionato, dovrebbe riconoscersi la responsabilità anche per l'attività delle farmacie e delle strutture sanitarie accreditate. Trattasi di argumentum ab inconvenienti che mira a confutare l'interpretazione della fattispecie in esame per le conseguenze che potrebbe eventualmente avere in relazione a fattispecie diverse da essa, e comunque estranee all'oggetto dell'odierno ricorso. L'estraneità delle fattispecie richiamate al principio di diritto qui recepito rende l'argomento non pertinente sul piano logico e perciò inidoneo al mutamento della giurisprudenza. In ogni caso, a distinguere la fattispecie in esame da quelle richiamate nel motivo, vi è il costante riferimento nella giurisprudenza di questa Corte alla parasubordinazione, che connota il rapporto di lavoro con il personale medico convenzionato. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 1965 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. Civ. . Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha omesso di considerare che gli attori hanno dichiarato di "accettare una somma omnicomprensiva a tacitazione totale e definitiva di ogni diritto e pretesa riferibile ai fatti per cui è causa e con l'effettivo incasso di quanto convenuto dichiarano di non aver più nulla a pretendere per qualsiasi titolo, ragione e/o causa", per cui, non vantando più alcun diritto i danti causa, il medico e (...) non possono agire in alcun modo nei confronti dell'(...), con inevitabile cessazione della materia del contendere per tutte le parti del giudizio, e che la rinuncia agli atti del giudizio doveva intendersi nei confronti di tutte le parti processuali. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 1916, comma 1, c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. Civ. . Osserva la parte ricorrente, richiamato l'erroneo riferimento a Cass. n. 8620 del 2015 relativa al sinistro da circolazione stradale, che il diritto di surroga non può considerarsi operante non avendo mai gli attori esteso la domanda nei confronti dell'(...) e che, mentre l'indennizzo è la somma corrisposta dall'assicuratore, a titolo di reintegrazione patrimoniale, al verificarsi di un evento previsto dal contratto (infortunio, malattia, incendio), nel caso di specie (...) ha corrisposto un vero e proprio risarcimento del danno, in forza del secondo comma dell'art. 1917. 3.1. Il secondo ed il terzo motivo, da valutare congiuntamente, sono infondati. Il fatto costitutivo del rapporto dedotto in giudizio da (...) con l'atto di intervento è il diritto che, nell'ambito della transazione per la quale l'interventore quale assicuratore del convenuto ha pagato agli attori un determinato importo, è stato attribuito ad (...) sia dagli attori, nei confronti dell'(...), che dall'assicurato, nei confronti sempre dell'(...) nella qualità di coobligato destinatario dell'azione di regresso. L'attribuzione del diritto, così avvenuta, va diversamente qualificata, a seconda del dante causa. Gli attori hanno ricevuto il pagamento da un terzo, non ricorrendo un rapporto obbligatorio fra costoro e l'assicuratore del convenuto. Trattandosi di pagamento ricevuto da un terzo, essi, nella qualità di creditori, hanno surrogato il pagatore nei diritti nei confronti dell'(...), ai sensi dell'art. 1201 c.c. . La circostanza della mancata estensione della domanda da parte degli attori nei confronti dell'(...), secondo quanto si afferma nel terzo motivo, non ha rilevanza, posto che in questione è la vicenda di diritto sostanziale che (...) ha dedotto in giudizio (per la prima volta) con l'atto di intervento. Quanto, invece, all'assicurato, costui ha ceduto all'assicuratore il diritto relativo all'azione di regresso esercitata nei confronti dell'(...). In quest'ultimo caso, la cessione ha avuto effetto nei confronti dell'(...) con l'intervento in giudizio (come è noto, la notificazione della cessione di cui all'art. 1264 può verificarsi anche con l'evocazione in giudizio del debitore ceduto). Alla luce di tale qualificazione giuridica, in funzione anche correttiva della motivazione della decisione impugnata ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 384 C.P.C., risulta evidente che non ha rilievo la circostanza della soddisfazione del credito degli attori con l'avvenuta transazione, trattandosi del presupposto della surrogazione per volontà del creditore, e che la rinuncia agli atti non poteva comportare l'estinzione del processo. Si dà inoltre così continuità al principio di diritto secondo cui, anche quando la domanda risarcitoria si fonda sull'erroneo operato del medico e non sui profili strutturali e organizzativi della struttura sanitaria, la transazione tra medico e danneggiato non impedisce l'esercizio dell'azione per l'accertamento della responsabilità della struttura ospedaliera - che non ha natura di responsabilità per fatto altrui, bensì per fatto proprio e, pertanto, non viene meno in conseguenza della liberazione del medico dalla propria obbligazione risarcitoria -, ma comporta unicamente che, nel compiere detto accertamento, il giudice debba indagare "incidenter tantum" sulla esistenza di una eventuale condotta colposa del sanitario (Cass. n. 26118 del 2021). 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 115 C.P.C., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. Civ. . Osserva la parte ricorrente che, ad essere generico, è l'atto transattivo e che non possono essere imputate all'(...) le spese per l'accertamento tecnico preventivo. Aggiunge che non vi sono stati danni da invalidità permanente, ma solo danni differenziali di carattere temporaneo e che contraddittoriamente per un verso si riconosce la perdita anticipata della capacità lavorativa specifica, per l'altro si evidenzia che, anche nel caso di un corretto iter diagnostico- terapeutico nell'agosto del 2013, vi sarebbe stata una compromissione dell'integrità psico-fisica pari al 40%. Precisa che la corte territoriale non ha considerato che nel novembre 2016, a seguito del trapianto renale, la percentuale di perdita era stata ridotta al 40%, che non vi era impedimento per lo svolgimento di altre tipologie di lavoro e che la riduzione della potenziale attitudine all'attività lavorativa è ricompresa nel risarcimento del danno biologico. Aggiunge che quest'ultima deve essere accertata in concreto attraverso la puntuale e precisa dimostrazione della mancanza della persistenza, dopo l'evento, di una capacità generica di attendere ad altri lavori (di qualunque genere) e che il coinvolgimento diretto della moglie nell'assistenza dell'attore è una mera asserzione priva di allegazioni e prove. 4.1. Il motivo è inammissibile. Sotto il profilo della denuncia del vizio motivazionale, la censura si scontra con il divieto di cui all'art. 348 ter C.P.C. in presenza di c.d. doppia conforme, e senza che la ricorrente abbia dimostrato una divergenza delle ragioni di fatto alla base delle due decisioni di merito. Sul resto delle censure, proposte in rubrica per violazione dell'art. 115 C.P.C., deve in primo luogo osservarsi che non risulta impugnata in modo idoneo la ratio decidendi in termini di difetto di specificità dei motivi di appello. La ricorrente si è limitata a negare il carattere di genericità dell'impugnazione, ma in violazione dell'onere di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 C.P.C. ha omesso di indicare in modo specifico il contenuto del motivo di appello in ordine da dimostrarne la conformità al paradigma dell'art. 342 C.P.C. Il giudizio di inammissibilità dell'appello resta così fermo all'esito del proposto motivo di ricorso. In ogni caso le censure attingono il giudizio di fatto ed implicano pertanto una valutazione di merito preclusa nella presente sede di legittimità. L'art. 115 è stato così richiamato proprio al livello della valutazione della prova, riservata al giudice del merito, e non per profili rilevanti nella presente sede di legittimità. 5. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 1228, 1298 e 2055 c. c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. Civ. . Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha statuito per la manleva la misura del 50% su base meramente presuntiva per un fatto imputabile al solo medico di base e che, mancando il contratto di spedalità, non vi è concorso nella produzione del fatto dannoso, per cui non può farsi luogo alla ripartizione dell'onere risarcitorio. 5.1. Il motivo è infondato. Una volta che si assuma quale titolo di responsabilità l'art. 1228 c.c., correttamente la corte territoriale ha fatto applicazione del principio enunciato da questa Corte in relazione al rapporto interno fra struttura sanitaria e medico nel regime precedente l'intervento della legge n. 24 del 2017, ricorrendone il medesimo fondamento rappresentato dall'adempimento dell'obbligazione dell'assistenza medico-generica, sia pure non mediante personale dipendente, ma mediante personale convenzionato. In particolare, si è affermato che nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017 la responsabilità per i danni fra il medico e la struttura sanitaria deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale (Cass. n. 28987 del 2019; n. 29001 del 2021; n. 34516 del 2023). Alla luce di quanto osservato a proposito del primo motivo, irrilevante è l'assenza di un contratto di spedalità. 6. Con il sesto motivo si denuncia violazione dell'art. 1228 c. c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. . Osserva la parte ricorrente che, se si ammette la responsabilità dell'(...) ai sensi dell'art. 1228, tale responsabilità è per fatto proprio, non per fatto altrui (Cass. n. 29001 del 2021), per cui in presenza di una responsabilità diretta per fatto proprio, per l'inadempimento all'obbligazione di prestare assistenza medico-generica, deve ritenersi sussistente la copertura assicurativa ai sensi dell'art. 2 della polizza e che l'art. 10 determina un'estensione di garanzia all'obbligazione principale derivante dalla responsabilità diretta dell'Ente. Aggiunge che l'obbligo assicurativo discende dalla responsabilità derivante dall'art. 1228. Il motivo è inammissibile. Non è in discussione che la responsabilità della struttura sanitaria integri, ai sensi dell'art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, ma la questione che il motivo pone attiene esclusivamente all'interpretazione della volontà delle parti contrattuali. Il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice del merito è nel senso dell'insussistenza della copertura assicurativa per il fatto, di cui l'(...) risponde direttamente, commesso da medico non a rapporto di dipendenza, nel caso di mancanza dell'obbligo per legge di copertura assicurativa. Accertando l'insussistenza di tale obbligo, la corte territoriale ha concluso nel senso della mancanza della copertura assicurativa. Tale giudizio interpretativo non è stato impugnato sotto il profilo della violazione delle regole ermeneutiche previste dal codice civile, ma quale violazione dell'art. 1228, nonché quale vizio motivazionale. Sotto entrambi i profili si è fatto discendere l'esistenza dell'obbligo assicurativo dalla responsabilità ai sensi dell'art. 1228, ma trattasi di giudizio di fatto, in ordine al contenuto del contratto di assicurazione, che meramente si contrappone a quello del giudice del merito. Tale contrasto interpretativo sfugge al sindacato di legittimità. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di (...) Spa, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di (...), delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma il giorno 20 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CATANIA QUINTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Catania, Quinta Sezione Civile, nella persona del giudice (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2015 R.G. promossa da: (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (nel giudizio n. (...)/16 R.G.) (...) nato a (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) contro (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), difeso avanti al giudice di pace, prima della riassunzione dall'avv. (...) non costituito dopo la riassunzione CONVENUTO (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) - contumace dopo riassunzione (...) - (...) s.p.a. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, nella qualità di impresa designata per il (...) di (...) della (...) con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) (...) nata ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA E (...) s.p.a. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), (...) - contumace (...) p.l.c. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONCLUSIONI All'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni, trattata con deposito di note ex art.127 ter c.p.c., con ordinanza dell'08.09.2023 la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini ex art.190 c.p.c.. concisa esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) chiedendo accertarsi la esclusiva responsabilità della predetta (...) nel sinistro occorso in data (...) con conseguente condanna della convenuta al risarcimento dei danni fisici ed al veicolo nonché al rimborso delle spese di assistenza legale stragiudiziale. La difesa di parte attrice rappresentava che in data (...), alle ore 12,00 circa, il DI (...) a bordo del proprio autocarro (...) targato (...) percorreva la S.S. 114 (...) - (...) in direzione (...) allorquando, giunto al km 81,60, veniva coinvolto in un tamponamento a catena nel quale risultavano interessati, dal primo all'ultimo: - il veicolo (...) (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) - il veicolo (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) Antonino; - il veicolo (...) targato (...) di proprietà di (...) e condotto da (...) - il veicolo targato (...) condotto dal (...) la ricostruzione di parte attrice, la prima delle auto coinvolte (la (...) (...) di (...) aveva arrestato bruscamente la marcia al centro della carreggiata creando improvviso turbamento alla circolazione, determinando così il primo tamponamento ad opera della (...) , cui seguiva quello della (...) e, infine, quello del (...) che, pur rispettando la distanza di sicurezza, non aveva potuto avvedersi dell'ostacolo. Indi, veniva rappresentato che il (...) aveva finito per cappottarsi riportando danni alla carrozzeria pari ad euro 6.000,00 mentre il (...) riportava lesioni personali (in particolare, una IP pari al 22%, una ITA al 100% per 30 giorni, una ITP al 75% per 30 giorni ed una ulteriore ITP al 50% per altri 30 giorni. Sulla base di quanto sopra esposto, la difesa di parte attrice concludeva chiedendo il risarcimento dei danni nei termini sopra sinteticamente richiamati. (...) costituitasi in giudizio (a seguito di autorizzata notifica in rinnovazione), contestava le domande svolte dal (...) e, a sua volta, formulava domanda risarcitoria nei confronti del terzo (...) e della (...) (che assicurava il mezzo del (...). La difesa di (...) come detto, contestava la ricostruzione offerta dal (...) e sosteneva che, in occasione del sinistro, mentre percorreva la S.S.114, poco prima dell'incrocio verso via santa (...) aveva rallentato l'andatura dovendo immettersi nella predetta via (...) - (...) allorquando veniva tamponata da tergo dalla autovettura (...) targata (...) di proprietà e condotto da (...) che, senza rispettare la distanza di sicurezza e sopraggiungendo a velocità sostenuta, urtava la propria autovettura, finendo poi per essere tamponata dalla auto (...) che seguiva e, infine, dal (...) Pertanto, la difesa della convenuta sosteneva come non fosse sussistente alcuna responsabilità a carico della (...) e che il (...) doveva considerarsi responsabile dei danni da essa subìti, con conseguente infondatezza delle domande del (...) In via subordinata, veniva contestata la quantificazione dei danni operata dal (...) con l'atto di citazione. A sua volta, come detto, la (...) rappresentava di avere subìto danni patrimoniali e non patrimoniali, segnatamente lesioni fisiche e conseguente invalidità permanente e temporanea nei termini specificati in comparsa, danno alla vita di relazione e danno morale, nonché diritto al rimborso delle spese mediche e danno al proprio veicolo. (...) s.p.a., costituitasi in giudizio, eccepiva in via preliminare la nullità della citazione in quanto la copia notifica non conteneva la sottoscrizione del difensore e, quindi, contestava le domande svolte dal (...) e, in particolare, contestava la ricostruzione dei fatti sostenendo come non poteva ritenersi alcuna responsabilità in capo alla (...) conducente del primo dei veicoli coinvolti, mentre i danni subiti dall'attore erano ascrivibili unicamente a propria colpa per non avere mantenuto la distanza di sicurezza e per non avere mantenuto una velocità adeguata; veniva anche sostenuto che il (...) privo di copertura assicurativa, non avrebbe potuto essere posto in circolazione. In via subordinata, la difesa della (...) contestava la quantificazione dei danni operata dal (...) (...)udienza del 27.05.2015 veniva autorizzata la chiamata in causa di (...) e di (...) - (...) successiva udienza del 27.04.2016 la difesa di (...) documentava la avvenuta notifica nei confronti dei terzi chiamati in causa mentre la difesa del (...) rappresentava di avere rinnovato la notifica della citazione. Si costituiva in giudizio solo (...) plc mentre (...) nonostante la ritualità della notifica, riteneva di non doverlo fare. La difesa della (...) contestava le allegazioni operate dalla difesa della (...) ed evidenziava la assenza di elementi probatori a supporto, sostenendo che 'in assenza di prove che consentano la ricostruzione certa e rigorosa della dinamica del sinistro' le domande nei confronti del (...) e della (...) dovevano essere rigettate. (...) stessa udienza comparivano i difensori di (...) e (...) nonché di (...) s.p.a., parti della causa n.(...)/2016 R.G., che era stata riunita al presente giudizio, e venivano assegnati i termini ex art.183 comma 6 c.p.c.. (...) alla causa iscritta al n.(...)/2016 R.G., (...) e (...) avevano citato in riassunzione la (...) s.p.a. ed (...) (dopo averli citati in precedenza avanti al giudice di pace) chiedendo accertarsi che, in occasione del sinistro occorso in data (...), la autovettura targata (...) condotta dal (...) e di proprietà del (...) era stata tamponata dall'automezzo targato (...) condotto da (...) e di proprietà di (...) ed aveva a sua volta tamponato l'autovettura tarata (...) (che a sua volta aveva tamponato la autovettura targata (...) per esclusiva colpa del conducente del predetto mezzo targato (...) vale a dire (...), privo di copertura assicurativa. Indi, la difesa dei signori (...) chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni (danno al mezzo e cd. fermo tecnico nonché lesioni subite da (...) (...) - (...) s.p.a., costituitasi nel giudizio n.(...)/2016 R.G., contestava le domande svolte dai signori (...) sostenendo che, in occasione del sinistro, la autovettura condotta da (...) la prima coinvolta nel cd. tamponamento a catena, aveva arrestato bruscamente la marcia così determinando i tamponamenti delle auto che seguivano; inoltre, veniva sostenuto che la autovettura che precedeva l'autocarro di proprietà di (...) aveva a sua volta frenato bruscamente e non aveva le luci di 'stop' funzionanti e per tale ragione, occupando la carreggiata, non aveva potuto essere evitata dal conducente dell'autocarro. Dal fascicolo relativo al giudizio avviato avanti al giudice di pace, come detto poi riassunto da (...) e (...) avanti al (...) iscritto al n.(...)/16 R.G. e riunito, infine al presente, atti acquisiti - come si dirà - con note del 31.08.2021 della difesa dei signori (...) risulta la costituzione di (...) il quale aveva in via preliminare chiesto la riunione, per l'appunto, con il già pendente giudizio avviato dal (...) (vale a dire il presente giudizio n.(...)/15 R.G.). Nel merito, (...) ribadiva le difese svolte dal (...) con la citazione sopra esaminata, rappresentando che la causa del sinistro era da ascrivere alla (...) che aveva improvvisamente arrestato la marcia così determinando i tamponamenti a seguire. Indi sosteneva che la autovettura di (...) che precedeva quella di sua proprietà condotta dal (...) aveva i segnalatori 'stop' non funzionanti, così non consentendo al predetto DI (...) di percepirne l'arresto istantaneamente, e pertanto, sebbene a distanza di sicurezza (il (...), aveva finito per tamponarlo. Contestati i danni lamentati di signori (...) veniva riprodotta la citazione spiegata dal DI (...) avanti al (...) Infine, la difesa di (...) concludeva chiedendo: 1) dichiararsi la connessione con il giudizio n.(...)/15 R.G. pendente avanti al (...) con adozione dei provvedimenti conseguenti; (...) - (...) 2) rigettare le domande dei signori (...) non sussistendo responsabilità del DI (...) ma dovendosi imputare il sinistro alla conducente del primo veicolo coinvolto, signora (...) o allo stesso (...) (...) la riassunzione della causa originariamente incoata avanti al giudice di pace dai signori (...) iscritta al n.(...)/16 R.G., (...) riteneva di non doversi costituire in giudizio. (...) i relativi termini, la difesa dei signori (...) depositava memorie ex art.183 comma 6 n.1 c.p.c.. Seguivano memorie ex art.183 comma 6 n.2 c.p.c. nell'interesse di (...) DI (...) ed (...) Indi venivano depositate memorie ex art.183 comma 6 n.3 c.p.c. nell'interesse di (...) e DI (...) Con ordinanza del 18/21.11.2016 veniva disposto procedersi ad accertamenti tecnici di tipo dinamico. Acquisita la relazione tecnica, depositata in data (...), con ordinanza del 14/15.04.2017 veniva ammessa la richiesta di prova testi. All'udienza del 25.10.2017 si procedeva alla escussione dei testimoni. Con ordinanza del 30.11.2017 (dep. l'11.12.2017) veniva disposto procedersi ad accertamenti medico-legali sulla persona di (...) e (...) mentre veniva rigettata la richiesta di C.T.U. medico-legale sulla persona di (...) Le relazioni medico-legali venivano depositate in data (...). (...) una prima volta in decisione, la causa veniva rimessa sul ruolo in quanto non risultavano acquisiti, neanche in copia, gli atti relativi al giudizio avanti al giudice di pace. La difesa dei signori (...) con note del 30.08.2021, depositava in copia gli atti del fascicolo del giudice di pace. (...) - (...)udienza del 10.11.2021 le altre parti davano atto della completezza della produzione e veniva così operata la ricostruzione. Con ordinanza del 07.06.2023 la causa veniva rimessa sul ruolo in quanto non risultava documentata la notifica della riassunzione nei confronti di (...) che, come anticipato, aveva ritenuto di non doversi costituire nel presente giudizio riassunto. Con note del 09.06.2023 la difesa dei signori (...) produceva documentazione comprovante la ritualità della notifica nei confronti di (...) (eseguita nei confronti del difensore costituito nel suo interesse avanti al giudice di pace). All'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni, trattata con deposito di note ex art.127 ter c.p.c., con ordinanza dell'08.09.2023 la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini ex art.190 c.p.c.. Il presente giudizio ha ad oggetto domande risarcitorie legate a sinistro occorso in data (...). Va sinteticamente rappresentato, quanto alla struttura delle domande e premesso, come più approfonditamente si dirà, che la vicenda è relativa a cd. tamponamento a catena con auto condotte rispettivamente dalla prima all'ultima della colonna da (...) e (...) che: - il presente giudizio, iscritto al n.(...)/15 R.G., aveva preso avvio con la citazione di (...) nei confronti di (...) e di (...) s.p.a. sostenendosi da parte del conducente dell'ultimo veicolo ((...) responsabilità esclusiva del conducente del primo veicolo ((...); - (...) oltre a contestare le domande del (...) ha svolto a sua volta domanda nei confronti di (...) (conducente del secondo veicolo) e (...) (cui ha notificato atto di citazione per chiamata in causa); (...) - (...) - (...) non si è costituito; si è costituita (...) ed ha contrastato le domande della (...) - parallelamente (...) e (...) (proprietario e conducente del terzo veicolo) hanno convenuta avanti al giudice di pace (...) (proprietario del quarto veicolo) ed (...) s.p.a. quale impresa designata per il F.G.V.S.; nessuna domanda è stata svolta nei confronti del conducente del veicolo, (...) - (...) si era costituito nel giudizio avanti al giudice di pace ed aveva solo chiesto dichiararsi connessione con il giudizio pendente avanti al (...) e rigettarsi le domande dei signori (...) - (...) si era costituita nel giudizio avanti al giudice di pace contrastando le domande dei signori (...) - disposta la riunione del giudizio originariamente avviato avanti al giudice di pace e riassunto avanti al (...) non si è costituito, rimanendo contumace. Operato schematicamente riepilogo delle posizioni oggetto del presente giudizio, deve procedersi con l'esame delle questioni preliminari. La eccezione di nullità svolta dalla difesa di (...) s.p.a. con riguardo alla notifica della citazione, peraltro non più riproposta, deve ritenersi superata dalle produzioni operate dalla difesa di (...) in ogni caso sanata dalla costituzione della (...) e dallo svolgimento di specifiche ed articolate difese. (...) la eccezione di prescrizione formalizzata da (...) plc deve rigettarsi in via preliminare in quanto tardiva; ed invero, la (...) risulta ritualmente citata con notifica di atto di chiamata in causa per comparire all'udienza del 27.04.2016 e la comparsa di (...) - (...) costituzione in giudizio risulta depositata in data (...), oltre il termine di venti giorni prima della detta udienza. Per completezza, va ricordato che la difesa di (...) aveva contestato anche nel merito la eccezione. (...) adesso procedersi alla ricostruzione della dinamica del fatto. Dal rilevamento tecnico descritto del sinistro stradale prodotto dalle difese di (...) e (...) risulta che, effettivamente, in data (...), alle ore 12,00 circa, sulla S.S. 114 al km 81, (...)si era verificato sinistro ed era intervenuto, a seguito di chiamate alle successive ore 12,10, personale del (...) di (...) del Comune di (...) giunto sui lughi 5 minuti dopo. Il personale di (...) ha, in primo luogo, dato atto del coinvolgimento dei veicoli - auto (...) (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) (veicolo A); - auto (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) (veicolo B); - auto (...) targato (...) di proprietà di (...) e condotto da (...) (veicolo C); - autocarro (...) targato (...) condotto dal (...) e di proprietà di (...) (veicolo D). I quattro veicoli, indicati come A, B, C e D nell'ordine di incolonnamento, corrispondono a quelli indicati nelle difese delle parti costituite. Il personale di (...) raccoglieva anche le dichiarazioni rese da (...) e (...) come da verbali ai fogli 27-29 dell'atto di rilevamento e procedeva a rilievi fotografici, allegati al documento in esame. La posizione di quiete assunta dai singoli veicoli non era stata rilevata, ad esclusione del quarto veicolo, in quanto gli stessi 'erano stati spostati prima del nostro intervento' (cfr. foglio 30). (...) - (...) stata rilevata, invece, la posizione del quarto veicolo che si trovava 'ribaltato' e con 'parte anteriore totalmente distrutta' (cfr. foglio 18). Da ciò discende che la ricostruzione della dinamica è stata operata dal personale di (...) essenzialmente sulle dichiarazioni rese dai conducenti dei veicoli; la dinamica risulta offerta nei seguenti termini (cfr. foglio 30): La conducente del veicolo A (...) giunta nei pressi del km 81,(...) sembra arresti la marcia del proprio mezzo repentinamente e senza alcun apparente motivo (così come dichiarato dai coinvolti nel sinistro); in conseguenza a tale arresto viene tamponata dalla macchina che la segue atv (...) veicolo B che a sua volta viene tamponata dal veicolo C atv (...) che viene a sua volta tamponata dall'atc (...) veicolo D. Il personale di (...) dava atto che: sul piano viabile interessante il campo del sinistro non si sono evidenziate tracce di frenata che avessero attinenza col sinistro in questione e ancora che il tratto di strada in oggetto (km 81,(...)) risulta essere privo di intersezioni accessi o passi carrabili, e diviso in due semi carreggiate separate da un cordolo centrale di gomma (...) il personale di (...) rassegnava che: sul posto interveniva personale dei VV.F che provvedeva ad estrarre gli occupanti la cabina dell'atc (...) veicolo D in quanto rimasti incastrati tra le lamiere; subito dopo interveniva personale del 118 che provvedeva a soccorrere i feriti e a trasportarli presso il locale pronto soccorso. In corso di causa è stata svolta ulteriore attività istruttoria volta a ricostruire la dinamica, sia con attività tecnica che con assunzione di dichiarazioni in sede di interrogatorio formale e prova testi. (...) - (...) (...) alla attività tecnica, il consulente nominato dal (...) dopo attento ed approfondito esame della documentazione in atti ed in particolare dei rilievi fotografici e eh sto attenta approfondire, aveva offerto una ricostruzione dello stato e condizione dei luoghi teatro del sinistro e, dopo avere valutato la entità dei danni dei mezzi coinvolti (nei termini di cui si dirà) aveva rassegnato che: La carente documentazione fotografica proposta e soprattutto l'assenza di rilevamento delle posizioni di quiete post-urto dei mezzi coinvolti nel sinistro (tranne per il furgone), di fondamentale importanza ai fini della comprensione della progressione degli urti, non consentono valorizzare appieno le energie dissipate nei vari urti prodotti o subiti dai mezzi stessi nella sequenza dei contatti. Pertanto, il C.T.U., nella oggettiva impossibilità di procedere a ricostruzione sulla base di elementi esclusivamente oggettivi, offriva una ricostruzione fondata anch'essa, fra l'altro, sulle dichiarazioni dei conducenti raccolte in occasione del sinistro: la (...) (...) targata (...) condotta dalla (...)ra (...) percorrente la SS 114 all'altezza progressiva km 81,(...) in sua velocità nei pressi della progressiva km 81,(...) in direzione (...) riduce la sua velocità nei pressi della svolta a d(...) su via (...) in questa fase viene tamponata dalla (...) targata (...) condotta dal (...) inosservante distanza di sicurezza; da tergo l'autovettura (...) targata (...) condotta dal (...) percependo l'antistante pericolo, cerca di arrestare la marcia deviando verso s(...) ma viene violentemente tamponato dal furgone (...) targato (...) condotto dal sig. (...) e sospinto tangenzialmente sulla antistante (...) che non urta ulteriormente la (...) (...) precedentemente tamponata precedentemente tamponata. (...) - (...) C.T.U. offriva anche, oggettivamente specifica indicazione sulla velocità del (...) desunta dai danni riportati e dal ribaltamento, che definiva 'sostenuta'. (...) udienza del 25.10.2017 (...) rendeva interrogatorio formale e negava di avere arrestato improvvisamente la marcia, sostenendo di avere rallentato in quanto intendeva effettuare una svolta a destra, avendo anche segnalato tale intenzione con l'indicatore di direzione. (...) stessa udienza del 25.10.2017 sono stati sentiti i due testimoni indicati dalla difesa di (...) persone che, a loro dire, si trovavano a transitare sui luoghi percorrendo la opposta direzione di marcia ed avrebbero assistito al sinistro. (...) aveva riferito di trovarsi a bordo dell'auto condotta dal (...) (altro teste) e di avere notato che 'la (...) (...) all'improvviso si è fermata di colpo senza alcun motivo visto che non c'erano svolte da fare'. Lo (...) dichiarava di non essere in grado di 'dire nulla' sui conducenti della seconda e terza autovettura coinvolte (che indicava una per colore e l'altra per marca e modello). (...) al quarto veicolo, riferiva che 'era condotto da un ragazzo'. Lo (...) ha riferito che insieme al (...) erano rimasti in auto fermi lateralmente e che erano spaventati. Il teste ha riferito dell'arrivo di (...) e dei (...) ribadendo che 'noi eravamo sempre in macchina'. Indi, lo (...) ha riferito che dopo l'arrivo dei (...) era arrivato un 'signore che gesticolava e si è avvicinato alla nostra macchina chiedendo se avessimo visto l'incidente. Non so chi fosse questo signore'; a questa persona, che aveva 'una trentina d'anni' lo (...) riferiva di avere 'dato a lui i nostri recapiti telefonici'. (...) riferiva di non avere parlato con i (...) in quanto, ribadiva, era rimasto in auto. (...) - (...) alla posizione in cui si trovavano, lo (...) riferiva che 'noi avevamo appena passato il punto in cui si trova l'(...) (...). Il teste (...) ha riferito che, effettivamente, si trovava a bordo della propria auto sulla S.S. 114 in direzione (...) unitamente allo (...) in quanto 'stavamo andando a lavoro', salvo poi rettificare nel senso che 'io solo stavo andando a lavorare mentre (...) mi accompagnava solo per farmi compagnia'. (...) alla loro posizione al momento del sinistro, il (...) riferiva che 'noi non avevamo ancora superato l'(...)# posto alla nostra destra' mentre i mezzi si trovavano ad una distanza di 60 metri dall'(...) 'che ancora non avevano raggiunto'. (...) il (...) ha riferito di avere 'visto una (...) (...) bianca fermarsi all'improvviso, non aveva alcun freccia' ed era 'condotta da una signora di mezza età che ho visto dentro l'abitacolo'; indi il teste ha riferito che 'poi c'è stato un tamponamento a catena'. (...) non è stato in grado di riferire alcunché sugli altri veicoli coinvolti salvo che per l'ultimo, un '(...) al cui interno 'c'erano due ragazzi'. (...) ha riferito che lui e lo (...) ('entrambi') 'siamo scesi dall'autovettura e ci siamo avvicinati al furgoncino che si era ribaltato', riferendo anche di non avere prestato alcun soccorso né di avere richiesto l'intervento di (...) o ambulanza. (...) ha ancora detto che erano intervenuti sui luoghi i (...) urbani ma 'non sono intervenuti i (...). (...) il (...) ha riferito dell'arrivo di una persona, di cui ha detto essere giunta in auto e di avere detto essere lo zio del (...) prima di andare via 'abbiamo detto a questo signore se aveva bisogno e abbiamo dato i nostri numeri di telefono'. A specifica domanda, il (...) ha riferito di non ricordare nulla sulla evoluzione e sulla posizione di quiete dell'autocarro ('non ricordo dove fosse finito il furgoncino dopo il ribaltamento; non ricordo se il furgoncino avesse sbattuto contro il muro'). (...) - (...) questo giudice di dovere procedere, prima di proseguire nella analisi, a valutare l'esito fin qui esposto dei risultati della attività istruttoria svolta all'udienza del 25.10.2017.. (...) all'interrogatorio formale, va ricordato che lo stesso è strumento processuale finzionale a provocare la confessione della controparte; solo in detti termini esso può assumere valenza probatoria. Pertanto, deve solo prendersi atto che (...) ha negato di essersi arrestata improvvisamente mentre le sue ulteriori dichiarazioni sul contegno di marcia non possono assumere valore di prova nei confronti delle altre parti. (...) alle dichiarazioni testimoniali, le stesse sono palesemente inattendibili. Ed invero, le dichiarazioni rese da (...) e (...) presentano molteplici profili di contrasto sia in comparazione fra esse sia con elementi esterni che avrebbero dovuto fungere da 'riscontro'. Già dall'esame delle dichiarazioni come sopra riportate i profili di contrasto sono eclatanti ed evidenti; tuttavia giova esporli partitamente: - essi hanno offerto una diversa ragione del fatto che si trovavano a transitare dai luoghi: o (...) 'l'intenzione era di fare un giro nei paraggi' o (...) 'stavamo andando a lavoro', salvo poi rettificare nel senso che 'io solo stavo andando a lavorare mentre (...) mi accompagnava solo per farmi compagnia'; - essi hanno indicato in maniera difforme il loro punto di osservazione del sinistro: o (...) 'noi avevamo appena passato il punto in cui si trova l'(...)#' o (...) 'noi non avevamo ancora superato l'(...)# posto alla nostra destra' (...) - (...) - essi hanno offerto una diversa e contrastante posizione dopo il sinistro e per tutta la durata della permanenza sui luoghi o (...) 'sono rimasto all'interno della macchina perché ero spaventato anche il (...) è rimasto all'interno della macchina'; 'poi sono arrivati i (...) urbani e i (...) ma noi siamo rimasti sempre in macchina'; la permanenza in auto per tutto il tempo si desume ulteriormente con certezza da quanto riferito sul 'signore' giunto alla fine, che, per l'appunto, 'si è avvicinato alla nostra macchina chiedendo...' o (...) 'entrambi siamo scesi dall'autovettura e ci siamo avvicinati al furgoncino che si era ribaltato'; - essi hanno indicato interventi di (...) in modo diverso: o (...) 'poi sono arrivati i (...) e i (...) o (...) 'sono arrivati i (...) con cui non abbiamo parlato, non sono intervenuti i (...) - essi hanno offerto divergenti indicazioni sul contatto con il 'signore' giunto dopo, al quale avevano lasciato i recapiti: o (...) lo ha indicato come persona che si era avvicinata alla loro auto in sosta davanti all'(...) e di avere chiesto tale soggetto essi se avessero visto qualcosa; o (...) ha indicato tale persona, specificando anche di sapere essere lo zio di (...) come soggetto che si era avvicianato a loro mentre erano anche vicino al furgone ribaltato e di avere loro stessi di essere disponibili a testimoniare ('abbiamo detto a questo signore se aveva bisogno e abbiamo dato i nostri numeri di telefono'). Ancora, sono state rese dichiarazioni in contrasto con elementi positivamente accertati: (...) - (...) - (...) ha riferito che non erano intervenuti i (...) del (...) che, al contrario, sono intervenuti ed hanno anche posto in essere una rilevante ed evidente azione, estraendo i due a bordo dell'autocarro, proprio quelli a cui egli dice di essersi avvicinato Le dichiarazioni rese, oltre ad essere in contrasto nei termini, evidenti, sopra riportati, risultano incongrue ed inverosimili in quanto, quanto alle dichiarazioni del (...) - non appare ragionevole che il (...) si stesse recando a lavoro e lo (...) lo accompagnava per fare compagnia, posto anche che era il (...) a condurre l'auto; non appare comprensibile la ragione di ciò; - non appare logico e coerente avvicinarsi ad un mezzo dove, sulla base degli atti della (...) risulta che all'interno vi erano, incastrati, due soggetti e non avere chiesto intervento delle (...) e dei soccorsi senza peraltro riferire di avere appreso che altri lo avevano fatto; ovviamente in questo caso avrebbero dovuto riferire chi aveva chiamato i soccorsi, ma, come si dirà, né (...) né (...) chiesto di riferire circostanze che potessero avere riscontro esterno (al di fuori della traccia: 'colpa della (...) che ha arrestato improvvisamente la marcia), hanno riferito di non sapere o non ricordare; - risulta inverosimile che il (...) mentre era alla guida del proprio veicolo in direzione di marcia opposta a quella della (...) (...) condotta dalla (...) abbia potuto notare che la stessa non aveva azionato freccia di direzione (va evidenziato che eravamo in pieno giorno e che le frecce in questione erano quella anteriori); - non appare logico quanto riferito dal (...) che, allo zio del (...) avrebbe offerto spontaneamente disponibilità per futura testimonianza mentre non aveva sentito analogo dovere presentandosi al personale di (...) intervenuto. (...) - (...) già detto, ulteriore elemento di inattendibilità è costituito da tutte le risposte fuori 'tema centrale' con le quali hanno riferito di non sapere o non ricordare: - entrambi non hanno offerto alcuna indicazione sui componenti delle vetture seconda e terza nemmeno se di genere maschile o femminile; - (...) ha riferito di non sapere indicare a che andatura marciasse la (...) (...); - (...) non è stato in grado di offrire un riscontro di tipo cronologico sullo svolgimento della vicenda ('non so quantificare il tempo in cui siamo rimasti fermi in macchina') da ciò potendosi verificare corrispondenza o meno con i tempi effettivi di arrivo dei (...) dei (...) ed altro; - (...) ha riferito di non sapere riferire sulla distanza fra un veicolo e l'altro, neanche in termini indicativi; - (...) ha riferito di non sapere dire a che velocità andasse il (...) (e ciò nonostante l'evidenza del ribaltamento). Ebbene, ritiene questo giudice che gli elementi di contrasto, oltre che numerosi ed eclatanti, vertano anche su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti e per la valutazione della attendibilità; fra tutte, può evidenziarsi quella relativa alla permanenza in auto offerta dallo (...) e dalla uscita dal veicolo e l'avvicinamento al furgone ribaltato riferita dal (...) Trattandosi di due eventi che ognuno dei protagonisti non potrebbe avere difficoltà a riferire nei termini in cui si sono svolti i fatti; o, ancora, non riferire dei due a bordo dell'autocarro incastrati e della seguente opera, tutt'altro che ordinaria, dei (...) che li hanno estratti. In conclusione, le dichiarazioni sono entrambe inattendibili e nessuna di esse può essere utilizzata ai fini della decisione. (...) - (...) base di tutti gli elementi acquisiti e, in concreto, quanto oggetto dei rilevamenti della (...) e delle note tecniche del C.T.U. (ma non, per le ragioni anzidette, di quanto acquisito in sede di istruttoria all'udienza del 25.10.2017), deve affermarsi come non sia possibile ricostruire la dinamica del sinistro e, in particolare, non sia possibile individuare responsabilità esclusive a carico di uno dei conducenti dei quattro mezzi coinvolti. Può senz'altro affermarsi che il tamponamento è avvenuto fra auto in movimento (e non fra auto ferme tamponate da tergo da una o più auto sopraggiunte) e, ancora, che il quarto veicolo, il mezzo condotto dal (...) procedeva a velocità non consona. Tuttavia, neanche per la posizione di (...) può dirsi che egli abbia responsabilità esclusiva e, in particolare, che egli avesse provocato non solo il tamponamento del vicolo (...) (terzo della colonna) ma anche gli altri due tamponamenti 'a catena' dei due restanti veicoli che lo precedevano. Le difese di (...) e (...) hanno sostenuto che dovesse individuarsi responsabilità esclusiva della (...) che avrebbe arrestato improvvisamente la marcia compiendo una manovra imprevista. Le argomentazioni svolte hanno posto a fondamento quanto risulta dai rilevamenti della (...) (dichiarazioni rese nell'immediatezza dai conducenti sentiti e ricostruzione dinamica) e dalle dichiarazioni rese dai testimoni. Della inutilizzabilità ai fini probatori delle dichiarazioni dei testi si è già detto. (...) a quanto risulta dai rilevamenti della P.M. va chiarito che le dichiarazioni rese nell'immediatezza dai conducenti sono, per l'appunto, dichiarazioni provenienti da persone personalmente e direttamente coinvolte quali parti del presente giudizio e le stesse, pertanto, possono valere a carico degli altri solo alla stregua di allegazione da provare. Da ciò discende che non possa ritenersi provato che la (...) (...) si sia arrestata improvvisamente né sulla base delle dichiarazioni del (...) né sulla ricostruzione dei (...) - (...) fondata su tali dichiarazioni, e peraltro offerta in termini dubitativi ('La conducente della (...) (...) ... sembra arresti la marcia...'). (...) poi, sostenuto dalla difesa di (...) con le difese conclusive circa la valenza di atto pubblico dei rilevamenti in questione, va solo precisato che, pur corretta la impostazione tecnica, la valenza di atto che fa fede fino a querela di falso è limitata a quanto i pubblici ufficiali attestano avere fatto o rilevato o alle dichiarazioni che assumono di avere ricevute; le valutazioni, tanto più quelle fondate sulle dichiarazioni dei protagonisti, non hanno fede privilegiata. (...) quanto sostenuto da (...) circa il mancato funzionamento dei segnalatori di 'stop' dell'auto del (...) nonché ad una brusca frenata dello stesso quale causa esclusiva di responsabilità non hanno trovato alcun supporto probatorio. In conclusione, non va ribadito che vi sono elementi oggettivi per ricostruire la dinamica ed individuare specifiche colpe esclusive di uno o più dei soggetti coinvolti. In punto di diritto, va richiamato il risalente ed ormai consolidato orientamento interpretativo della Suprema Corte secondo cui: In tema di circolazione stradale, nell'ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l'art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione "iuris tantum" di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull'inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013 n.4021; in senso conforme, ex - (...) multis, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2015 n. 8487; Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2021 n. 4304; Cass. civ. sez. VI, 1 giugno 2022 n. 17896). (...) base dei superiori principi, pienamente condivisi da questo giudice, deve in conclusione affermarsi pari responsabilità dei protagonisti del sinistro in esame con conseguenti responsabilità, tenendo conto delle domande svolte nel presente giudizio (in cui (...) e rimasto contumace): - di (...) nonché di (...) per i danni subiti da (...) nella misura del 50%; - di (...) e di (...) nonché di (...) per i danni subiti da (...) e (...) nella misura del 50%. Le domande svolte da (...) nei confronti di (...) fondate sul presupposto, rimasto indimostrato, di colpa esclusiva della predetta, devono considerarsi infondate. (...) quindi procedersi con la quantificazione dei danni. (...) a (...) proprietaria del veicolo (...) (...) targato (...) dalla C.T.U. del geom. (...) risultano danni pari ad euro 942,52 IVA compresa, a fronte di un valore del veicolo stimato in euro 1.000,00, oltre ad un danno per fermo tecnico (per tre giorni) di euro 120,00 (euro 40,00 pro die) (cfr. pagg-7-8 della relazione tecnica). Con riguardo ai danni fisici, il C.T.U. dott. (...), effettuata visita medica ed esaminata la documentazione in atti, aveva in primo luogo rilevato che, all'epoca dei fatti, presso l'(...) di (...) era stata refertata 'cervicalgia post traumatica. Trauma gamba d(...)'. (...) - (...) lesioni sono state valutate 'in rapporto causale, secondo i criteri medico legali di giudizio, con l'incidente per cui è causa. (...) lesioni hanno avuto una evoluzione in guarigione con postumi e sono state sottoposte a trattamento farmacologico e fisioterapico'. Il C.T.U. ha, quindi, riscontrato un peggioramento temporaneo delle condizioni della (...) che ha quantificato in: - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%; - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%; - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 25%; senza riscontrare postumi permanenti. Il C.T.U. ha anche ritenuto la congruità delle spese mediche documentate, apri ad euro 543,76. (...) a (...) proprietario del veicolo (...) targata (...) dalla C.T.U. del geom. (...) risultano danni pari ad euro 3.877,07 IVA compresa, a fronte di un valore del veicolo stimato in euro 4.000,00, oltre ad un danno per fermo tecnico (per sei giorni) di euro 300,00 (euro 50,00 pro die) (cfr. pag.10 della relazione tecnica). (...) a (...) il C.T.U. dott. (...), effettuata visita medica ed esaminata la documentazione in atti, aveva in primo luogo rilevato che, all'epoca dei fatti, presso l'(...) di (...) era stata refertata 'cervicalgia post traumatica'. (...) lesioni sono state valutate 'in rapporto causale, secondo i criteri medico legali di giudizio, con l'incidente per cui è causa. (...) lesioni hanno avuto una evoluzione in guarigione con postumi e sono state sottoposte a trattamento farmacologico e fisioterapico'. Il C.T.U. ha, quindi, riscontrato un peggioramento temporaneo delle condizioni della (...) che ha quantificato in: (...) - (...) - 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%; - 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%; senza riscontrare postumi permanenti. Il C.T.U. ha anche ritenuto la congruità delle spese mediche documentate, apri ad euro 263,95. (...) questo giudice che le conclusioni offerte dal C.T.U. geom. (...) siano pienamente condivisibili, fondate su specifica analisi della documentazione in atti con quantificazione dei danni operata applicando criteri tecnici ben esplicitati. Parimenti, anche le conclusioni del C.T.U. dott. (...) vanno integralmente condivise, fondate su visita medica ed analisi della documentazione sanitaria, con conclusioni fondate sui principi che regolano la materia. Va evidenziato che le parti non hanno svolto censure tecniche alle relazioni nelle parti in esame (salvo la difesa di (...) che le ha definite, con gli scritti conclusivi, 'parsimoniose'. I danni, applicando le (...) del (...) di Milano 2021, possono liquidarsi nei seguenti temini: A) quanto a (...) - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 75% euro 822,00 - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 50% euro 548,00 - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 25% euro 274,00 pari a complessivi euro 1.644,00 (...) - (...) B) quanto a (...) - per 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 75% euro 411,00 - per 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 50% euro 274,00 pari a complessivi euro 685,00 Le somme in questione vanno devalutate fino alla data del sinistro 07.09.2013 e, quindi, rivalutate fino a quella di pubblicazione della presente decisione, applicando gli indici della rivalutazione monetaria ricavati dalle pubblicazioni ufficiali dell'(...) di (...) oltre interessi al tasso legale sulla somma devalutata dal 07.09.2013 fino al momento della liquidazione, calcolati sulla somma via via rivalutata con periodicità annuale. (...) al fermo tecnico, premesso che, secondo il più recente orientamento interpretativo della Suprema Corte: Il danno da fermo tecnico di un veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato, non essendo sufficiente la prova della mera indisponibilità del veicolo; il danneggiato deve infatti dimostrare la spesa sostenuta per procurarsi un altro veicolo sostitutivo o la perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall'uso dell'auto (nella specie, la Corte ha ritenuto errata l'affermazione del giudice di merito che aveva richiesto anche la dimostrazione della necessità della spesa, pur essendo stata fornita la prova dell'esborso effettuato) (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2023 n.7358; in senso conforme, ex multis, Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2017 n.13718; (...) Civ., sez. VI, 28 febbraio 2020 n.5447; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2022 n.27389) (...) - (...) darsi atto che (...) non aveva svolto alcuna domanda in tal senso mentre (...) ne aveva chiesto la liquidazione (peraltro solo in sede di richieste conclusive in citazione) solo sulla base di ragionamento di tipo deduttivo. Pertanto, in accoglimento della specifica contestazione formalizzata dalla difesa di (...) la 'posta' in questione non può essere liquidata. Al contrario, non assume rilevanza la circostanza, sostenuta dalla difesa di (...) che l'esborso per le spese di riparazione non sia stato documentato trattandosi, nel caso in questione, di risarcimento danni e non di rimborso spese. (...) al danno biologico patito da (...) con gli scritti conclusivi la difesa di (...) s.p.a. ha eccepito il mancato uso dele cinture di sicurezza. La questione relativa al mancato uso delle cinture risulta introdotta tardivamente posto che, con la comparsa di costituzione, tale eccezione limitativa della responsabilità non risulta formulata. In conclusione, le domande possono trovare accoglimento nei seguenti termini (operando la decurtazione nella misura del 50% per effetto della applicazione dell'art.2054 comma 2 c.c.): - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 471,26 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo (somma pari alla metà del danno di euro 942,52); o in euro 822,00, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali (somma pari alla metà del danno di euro 1.644,00); o in euro 271,88 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (somma pari alla metà delle spese per euro 543,76); (...) - (...) - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 1.938,54 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo (somma pari alla metà del danno di euro 3.877,07); - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, altresì al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 342,50, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali (somma pari alla metà del danno di euro 685,00); o in euro 131,98 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (somma pari alla metà delle spese per euro 263,95) Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in relazione alle domande svolte ed al loro esito; pertanto: 1) (...) va condannato al pagamento delle spese in favore di (...) e (...) s.p.a. tenendo conto del valore della domanda svolta nei loro confronti; 2) (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese in favore di (...) tenendo conto della domanda nei termini in cui è stata accolta; 3) (...) e (...) s.p.a. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese in favore di (...) e (...) e per essi, in favore dell'avv. (...) difensore antistatario, sia per le attività avanti al giudice di pace che per quelle avanti al (...) tenendo conto delle domande svolte dai predetti signori (...) nei termini in cui sono state accolte (...) - (...) spese vengono, pertanto, liquidate secondo i criteri sopra esposti nei seguenti termini: - (...) va condannato al pagamento delle spese che si liquidano o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) s.p.a. - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) - (...) e (...) s.p.a. nella qualità, in solido, vanno condannati al pagamento delle spese processuali relative alla fase avanti al giudice di pace che si liquidano: o in euro 740,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); o in euro 3.445,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); Le spese di C.T.U. liquidate in corso di causa vanno poste definitivamente a carico delle parti soccombenti nei seguenti termini: (...) - (...) - C.T.U. geom. (...), definitivamente a carico di (...)(...) p.l.c. e (...) s.p.a., in solido; - C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) s.p.a., in solido; - C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) p.l.c., in solido. P.Q.M. il Tribunale di Catania in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n.(...)/2015 R.G. (cui è riunita la causa (...)/2016 R.G., così statuisce: CONDANNA - (...) e (...) p.l.c., in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 471,26 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo o in euro 822,00, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali o in euro 271,88 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida (...) - (...) o in euro 1.938,54 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, in solido, altresì al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 342,50, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali o in euro 131,98 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (...) - ogni altra domanda; CONDANNA - (...) al pagamento delle spese processuali che si liquidano o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) s.p.a. - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) - (...) e (...) s.p.a. nella qualità, in solido, vanno condannati al pagamento delle spese processuali relative alla fase avanti al giudice di pace che si liquidano: (...) - (...) o in euro 740,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese per il giudizio avanti al (...) processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); PONE - le spese di C.T.U. liquidate in corso di causa definitivamente a carico delle parti soccombenti nei seguenti termini: o spese per C.T.U. geom. (...), definitivamente a carico di (...)(...) p.l.c. e (...) s.p.a., in solido; o spese per C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) s.p.a., in solido; o spese per C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) p.l.c., in solido. DISPONE (...) - (...) - che somme eventualmente corrisposte ai C.T.U. da parti diverse da quelle sopra indicate o in quote diverse dal riparto paritario sino rimborsate in favore di chi ha effettuato il pagamento anticipato.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. (...) udienza del 27/05/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...)/2020 R.G. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv.(...) giusta procura in atti RICORRENTE contro: (...) rappresentato e difeso dall'avv (...) giusta procura in atti RESISTENTE Oggetto: risarcimento danni per demansionamento MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato il (...), il ricorrente di cui in epigrafe - premesso di essere dipendente delle (...) srl quale dirigente - esponeva di aver svolto le mansioni di dirigente del servizio manutenzione infrastrutture dal 2007 e, dal 2012, anche quelle di direttore di esercizio. Lamentava il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto il (...) prima e la nuova governance della società poi, lo avevano privato dell'incarico di direttore di esercizio facendogli svolgere dei ruoli (Dirigente del "(...)" e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture" e poi quale direttore dei lavori sotto la gestione commissariale; con l'avvento della attuale società: responsabile del (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) salvo poi dopo la soppressione di tale progetto essere destinato a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) con compiti non equivalenti a quanto faceva in qualità di direttore di esercizio. Sosteneva il ricorrente che tale demansionamento unitamente a una pressante condotta societaria tesa a provocarne le dimissioni, realizzavano un comportamento mobbizzante nei propri confronti. Chiedeva, pertanto, la condanna al risarcimento del danno da demansionamento e mobbing per una somma pari a Euro260.00,00 (poi contenuta in Euro100.000,00 nelle note conclusive). Si costituiva tardivamente in giudizio la (...) srl che contestava in fatto e diritto gli avversi assunti e concludeva per il rigetto del ricorso. Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. Sostiene il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto le mansioni svolte prima dell'avvento del commissario (commissariamento, disposto dal Ministero delle (...) e dei (...) nel gennaio 2016 in seguito a crisi economica della società) erano certamente inferiori al ruolo di direttore di esercizio assegnato ad altro dipendente. (...) documentazione in atti e dalla istruttoria svolta emerge che effettivamente il ricorrente ha subito il lamentato demansionamento. E difatti (...) con delibera n.39/16 il sub commissario stabiliva di affidare "1. Direzione Attività Ferroviaria a. Direzione Trasporto Ferroviario: incarico affidata all'ing. (...) b. (...) incarico affidato all'ing. (...)" La medesima delibera prosegue affermando: "la figura del (...) dell'(...) (ex art. 89-94 D.P.R. 753/80) è attribuita, su indicazione del (...) al (...) della (...) di cui al punto a. ovvero di cui al punto b., in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa" (cfr. doc.n.8 fasc ric.). Giova subito evidenziare che il ricorrente era l'unico a possedere i requisiti formali per poter svolgere l'incarico ("prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993") tanto che nella delibera n. 67/16 si stabiliva di conferire l'incarico di Dirigente del "(...) e (...) degli Investimenti "all'ing. (...) con invarianza di retribuzione e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture". 5. di designare, quale nuovo (...) di (...) e (...) l'ing. (...) attuale direttore del (...) Ferroviario...." E poi di al punto 6 si prevedeva di "provvedere, acquisita l'accettazione dell'ing. (...) ad inoltrare richiesta agli (...) competenti per il rilascio del prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993" (cfr. doc. n. 9 fasc. ric). (...) documentazione comprova che il ricorrente ha poi ricevuto la nomina per incarichi (cfr. ad esempio doc. n.15 relativo alla nomina quale direttore del controllo tecnico e progettazione investimenti, ovvero la nomina quale direttore dei lavori ex doc. nn.21,22 e 23) certamente meno qualificanti rispetto al ruolo di direttore di esercizio ricoperto fino alla revoca di cui alla delibera n.67/16 sopra citata. Anche con l'avvento della nuova compagine societaria cessato il commissariamento, il ricorrente è stato destinatario di incarichi non equivalenti (prima l'assegnazione a un (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di FSE e poi, dopo la soppressione di tale progetto, la destinazione per operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) a quanto svolto in precedenza. Ritiene lo scrivente che dalla documentazione risulta pacificamente il demansionamento del ricorrente atteso che la funzione di direttore di esercizio è un ruolo apicale e operativo che richiede anche determinati requisiti di legge mentre i ruoli assegnati al (...) specie in seguito alla revoca dell'incarico, sono ruoli certamente meno rilevanti, in alcuni casi (direzione dei lavori) svolti solitamente da funzionari e non dirigenti, in altri dal contenuto fumoso e che la resistente, anche a causa della tardiva costituzione in giudizio, non ha dimostrato avere lo stesso valore professionale contenuto nella figura di direttore di esercizio. Il teste (...), direttore del personale all'epoca dei fatti, ha poi confermato che il (...) prima della revoca continuava a firmare gli atti quale direttore di esercizio, ma le mansioni di fatto erano svolte dal soggetto nominato. Ne deriva, a parere dello scrivente, la conferma del demansionamento del ricorrente il quale, in un primo momento, ha continuato a essere il firmatario degli atti in quanto l'unico a possedere i requisiti di legge per rivestire il ruolo di direttore di esercizio anche se di fatto non svolgeva più tali compiti. Ne deriva che senza dubbio vi è stato uno svilimento delle mansioni svolte in quanto il ricorrente da un ruolo apicale si è trovato a svolgere ruoli svolti anche da funzionari e comunque privi di un reale contenuto come nel caso dell'assegnazione al progetto censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) che in seguito è stato soppresso, ovvero con la destinazione a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) senza che risulti in cosa si sia concretizzata tale attività. Ne deriva che il ricorrente ha senza dubbio svolto mansioni inferiori a quelle ricoperte sin dal 2007. Infondata è invece la domanda relativa al mobbing. Va preliminarmente ricordato che le condizioni ordinariamente usuranti dal punto di vista psichico (cfr.Cass. 3028/13; n.10361/97), per effetto della ricorrenza di contatti umani in un contesto organizzativo e gerarchico, per quanto possano eventualmente costituire fondamento per la tutela assicurativa pubblica (d.P.R. n. 1124/1965 e D.Lgs. n. 38/2000, nelle forme della c.d. "costrittività organizzativa"), non sono in sé ragione di responsabilità datoriale, se appunto non si ravvisino gli estremi della colpa comunque insiti nel disposto dell'art. 2087 cod. civ.. Come recentemente ricordato dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. n. 29101/23), in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 cod. civ. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento, ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica. La reiterazione, l'intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza (cfr. anche Cass.n.4664/24). Ciò detto ritiene lo scrivente che nel caso di specie non si ravvisano, nemmeno dal punto di vista indiziario-presuntivo, elementi per potere ritenere le condotte della resistente colpose e/o dolose nell'accezione indicata in quanto si è trattato di atti rientranti in una riorganizzazione/rotazione dei dirigenti che se da un lato ha portato al demansionamento del (...) dall'altro non era attività sorretta da intento persecutorio. Quanto alle lamentate indebite pressioni finalizzate a far dimettere il (...) non è emersa la prova che ciò sia realmente accaduto. E difatti dalla documentazione svolta e dalle dichiarazioni dei testi è emerso che vi è stata una trattativa finalizzata a un'uscita del ricorrente dalla società; non vi sono peraltro elementi per potere ritenere che vi siano state indebite pressioni e non già una normale dinamica tesa a incentivare l'esodo di un dirigente nell'ambito di un progetto di riorganizzazione aziendale. Va poi evidenziato che anche tenuto conto della recente giurisprudenza sopra citata non vi è spazio per l'applicazione del 2087 c.c. in quanto il ricorrente non ha subito il danno biologico lamentato. La ctu effettuata ha infatti escluso che il (...) abbia subito un disturbo psichico organizzato: il ricorrente ha avuto solo una condizione di malessere psico fisica di natura transitoria (una nel periodo maggio - settembre 2016 e l'altra per quasi tutto il 2020). La ctu ha evidenziato che si è trattato di manifestazioni episodiche avvenute in concomitanza con gli eventi che lo hanno visto destinatario dei provvedimenti datoriali, ma ha escluso che vi siano elementi oggettivi per potere affermare che tali reazioni si siano successivamente organizzate in un disturbo psichico nosologicamente riconosciuto e cronicizzato, come ad esempio, un disturbo post traumatico da stress o disturbo dell'adattamento che rappresentano le tipiche patologie psichiatriche che possono essere correlate a stress lavorativi. Ritiene il (...) di dover aderire alle conclusioni cui è pervenuto il Ctu attraverso un accurato esame clinico in assenza di puntuali contestazioni mosse da parte ricorrente e peraltro confutate in modo condivisibile in sede di replica alle osservazioni mosse dai ctp. Ne deriva che alcun danno ha subito il ricorrente e dunque anche ai sensi dell'art. 2087 c.c. non può riconoscersi alcun risarcimento per danno biologico. Parte ricorrente ha anche allegato che il demansionamento ha determinato una lesione della sua dignità ed immagine professionale con un depauperamento del proprio bagaglio professionale; ha poi lamentato anche un danno biologico. Ciò posto, la Corte di cassazione ha più volte affermato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ricordato che costituisce ius receptum (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. Lav. n. 12253/15) che "In caso di demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno, costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione." Reputa il giudicante che le allegazioni formulate in ricorso e la loro dimostrazione in giudizio siano idonee a fondare una pronuncia di condanna per il subito danno professionale. Va dunque ribadito che, provato il danno, secondo l'insegnamento della S. Corte se ne ammette la valutazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. (come pacificamente ammesso dalla giurisprudenza: cfr. Cass. n.3299/92; n.10157/04; n.15955/04; n.9073/13). Nell'enunciazione dei criteri presi in considerazione ai fini della liquidazione del danno da demansionamento si è fatto riferimento in giurisprudenza, in particolare, alla retribuzione mensile percepita dal lavoratore ed alla durata della dequalificazione, prendendo inoltre quali ulteriori parametri, laddove sussistenti: i motivi del provvedimento di demansionamento e la notorietà e risonanza nell'ambiente specifico, l'elemento intenzionale del datore di lavoro, la gravità del demansionamento - desumibile dal divario tra le mansioni svolte prima e quelle svolte dopo il demansionamento-, il fatto che il dipendente si sia rifiutato di svolgere le mansioni del proprio livello, le numerose assenze fatte dal lavoratore durante il periodo successivo alla dequalificazione, canoni di valutazione richiamati nella decisione delle (...) 22.2.2010 n. 4063. Tanto premesso, è opinione del GdL che, in considerazione dell'anzianità lavorativa dell'istante, della durata del demansionamento, può ritenersi in via equitativa che il ristoro possa essere commisurato al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Come detto il ricorrente ha poi lamentato anche di aver subito un danno biologico. Va in via preliminare evidenziato tale voce di danno è ulteriore a quella del danno alla professionalità. E' infatti pacifico che le due voci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo una relativo al fisico del lavoratore, mentre la seconda alla sua professionalità e cioè all'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa (cfr. Cass. n.172/14). Va, poi, sottolineato che condotte del datore di lavoro inadempienti al disposto degli artt. 2013 e 2087 c.c. possono comunque essere fonte di danni non patrimoniali risarcibili anche qualora non diano luogo ad una lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore, ma ledano altri diritti tutelati da tali disposizioni o comunque aventi rilievo costituzionale, come ad es. la dignità personale, l'immagine professionale, l'onore e la reputazione. Ne deriva che ove ricorra anche una lesione all'integrità psicofisica del lavoratore, i due tipi di danni possono coesistere. La liquidazione dei differenti tipi di danno deve, poi, avvenire anche in via equitativa, secondo parametri che consentano una valutazione che sia adeguata e proporzionata e il completo ristoro del pregiudizio effettivamente subito, ma evitando duplicazione risarcitorie, attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (cfr. Cass. n.4379/16; n.7766/16; n.7513/18). La Suprema Corte ha, invero, evidenziato che "è ammissibile la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità, risolvendosi in una ragionevole mediazione tra l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni all'integrità psico-fisica della persona con tratti unitari suscettibili di essere globalmente considerati, e quella di valutare l'incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari che attengono alla personalità del "cittadino-lavoratore", protetti non solo dalle fonti costituzionali interne, ma anche da quelle internazionali e comunitarie, incombendo tuttavia sul lavoratore la prova che un particolare e specifico aspetto della sua personalità ed integrità morale, anche dal punto di vista professionale, non sia stato già risarcito a titolo di danno morale (cfr. Cass. n.583/16). Accedendo alla tesi maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza, la responsabilità datoriale va prospettata come di natura contrattuale perché la lesione della salute si configura come conseguenza di un comportamento già ritenuto illecito sul piano contrattuale e deriva dalla violazione dell'obbligo di cui all'art.2087 c.c.. Giacchè l'illecito deriva dalla violazione di un obbligo contrattuale, il datore di lavoro versa in una situazione di inadempimento contrattuale regolato dall'art 1218 c.c. con conseguente esonero da parte del lavoratore, dell'onere della prova sulla sua imputabilità che va regolata in connessione con l'art 1223 c.c.. Ciò che il lavoratore deve provare è il fatto materiale, il danno patito e il nesso di causalità tra il danno e fatto verificatosi nel corso del rapporto di lavoro, spettando invece al datore di lavoro di provare di aver adottato tutti gli accorgimenti possibili per evitare il danno. I danni non patrimoniali, come detto, sono a loro volta qualificabili sub specie di danni biologici (con accertamento medico legale) e c.d. esistenziali (lesione dell'identità professionale, dell'immagine, della vita di relazione). (...) lesione dell'art 2087 cc, infatti, possono derivare sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, sia come danno biologico (che non può prescindere dall'accertamento medico legale) che come, morale ed esistenziale come lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità sul luogo di lavoro e nella vita di relazione (verificato mediante prova testimoniale, documentale o presuntiva). Nel caso di specie, come ricordato sopra, la ctu ha escluso la ricorrenza di un danno biologico e dunque anche sotto il profilo del demansionamento tale voce di danno non può essere riconosciuta. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo; le spese di ctu, liquidate con separato decreto, sono definitivamente poste a carico della resistente. P.Q.M. In composizione monocratica, in persona del dott.(...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da(...) nei confronti (...), così provvede: 1) Accoglie il ricorso e condanna la resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma pari al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. 2)Pone le spese di ctu definitivamente a carico della resistente 3) (...) la convenuta al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRIA Lucia - Presidente Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere Dott. TRICOMI Irene - Consigliere Dott. BELLÈ Roberto - Consigliere Dott. CASCIARO Salvatore - Rel. - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 30758-2018 proposto da: Mo.Do., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (...), presso lo studio dell'avvocato TO.PR., rappresentato e difeso dall'avvocato FA.SE.; - ricorrente principale - contro Azienda Sanitaria Locale di S, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso i rispettivi indirizzi PEC degli avvocati EM.TO., GE.SA., che la rappresentano e difendono; - controricorrente - ricorrente incidentale - nonché contro Mo.Do.; - ricorrente principale - controricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 196/2018 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 18/04/2018 R.G.N. 72/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2024 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, rigetto dell'incidentale. FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza n. 196/18 la Corte d'appello di Salerno ha accolto parzialmente il gravame proposto dall'ASL S e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato l'appellante al pagamento in favore di Mo.Do., medico specialista ambulatoriale, della somma complessiva in Euro 392,17, a titolo di (ulteriore) danno per l'infortunio in itinere occorsogli, in data 27.1.2012, allorché, quale trasportato su auto aziendale, era di ritorno da una visita domiciliare. 2. La Corte salernitana riteneva non fosse in discussione che l'accordo nazionale collettivo prevedesse un obbligo dell'ASL di stipulare una polizza assicurativa a tutela dell'integrità psico-fisica dei medici in attività esterna e che l'ASL fosse stata inadempiente nello stipularla, sicché restava direttamente obbligata a risarcire il complessivo danno patito dal Mo.Do. a seguito dell'incidente stradale. 3. Osservava che i medici specialisti ambulatoriali non avevano alcuna copertura INAIL e, quindi, il Mo.Do. aveva percepito dall'assicurazione dell'auto aziendale solo l'importo di Euro 2.400,00 (indennizzo questo che andava, comunque, detratto da quello complessivo a lui dovuto). 4. La Corte di merito riteneva, nondimeno, fondate le censure sollevate dall'ASL in relazione ai criteri di determinazione del danno adottati in primo grado, posto che, ai fini della liquidazione del danno biologico, bisognava tener conto di criteri obiettivi e a carattere generale, come quelli - obbligatori - previsti nelle Tabelle del Tribunale di Milano. 5. Tenuto conto di un danno permanente del 2%, per come documentato in atti e dell'età del danneggiato al momento dell'incidente, con le Tabelle di Milano dell'anno 2014 si perveniva a quantificare l'intero risarcimento in Euro 2.250,00, cui andava aggiunto l'importo di Euro 542,29 per i sette giorni di invalidità totale accertata e ridotta al 50%, per un totale complessivo di Euro 2.792,17, ben inferiore a quello (Euro. 21.200,56) liquidato dal primo giudice la cui sentenza andava, dunque, riformata. 6. Avverso la detta sentenza Mo.Do., con atto notificato l'08/10/18, ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo assistito da memoria, cui si è opposta la ASL con controricorso contenente altresì ricorso incidentale condizionato basato su un solo motivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo il ricorrente principale denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell'art. 41 dell'accordo collettivo nazionale (ACN del 9.3.2000) per i medici specialisti ambulatoriali, stipulato ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e del comma 8 dell'art. 8 del D.Lgs. n. 502/1992, così come modificato dal D.Lgs. n. 617/93 e dal D.Lgs. n. 229/99, nonché del D.P.R. n. 271/2000 (art. 29). Si sostiene che erroneamente la sentenza, non qualificando la domanda risarcitoria come da inadempimento di obbligo contrattuale, aveva liquidato il danno al 2% di IP sulla base delle tabelle del danno biologico del Tribunale di Milano anziché dei massimali di polizza dell'art. 41 ACN, non avvedendosi in tal guisa che il massimale stabilito dall'ACN per l'invalidità permanente totale costituiva, altresì, la base per liquidare il danno per invalidità permanente parziale derivante da infortunio, (beninteso) in misura proporzionale alla percentuale dell'invalidità. 2. Il motivo è fondato. 2.1 Gli accordi nazionali per la disciplina dei rapporti con i medici convenzionati (ai sensi 48 della legge 23 dicembre 1973, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale) non costituiscono fonte negoziale diretta di disciplina dei rapporti convenzionali considerati, in quanto di per sé inidonei ad inserirsi nell'ordinamento con propria forza cogente, ma rappresentano - secondo la giurisprudenza (ora) consolidata di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze n. 12595/1993, n. 159/1998 delle Sezioni Unite; Cass. n. 10980/2002, nn. 8066, 1918/1998, n. 5952/1997, n. 6371/1996, n. 2066/1996, nn. 8742, 6824, 4746, 3628/1995, n. 6800/1994) - soltanto la fase consensuale di un complesso procedimento di produzione normativa, che si conclude con l'intervento pubblico, nella forma del decreto presidenziale, che ha contenuto ed efficacia giuridica di fonte di normazione secondaria. Coerentemente, ne può essere denunciata, in sede di legittimità, la violazione e falsa applicazione (ai sensi dall'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) - secondo la stessa giurisprudenza - e questa Corte può sottoporle ad interpretazione diretta (in base ai criteri previsti dall'art. 12 delle preleggi). 2.2 Tanto premesso sulla deducibilità del vizio ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., giova sottolineare che l'assicurazione contro gli infortuni non mortali rientra nel genus dell'assicurazione contro i danni e, più precisamente, costituisce una polizza stimata, ai sensi dell'art. 1908, comma 2, cod. civ., per la copertura dei danni non patrimoniali alla persona. L'importo del "massimale" previsto da siffatta polizza costituisce dunque, più propriamente, il "valore della cosa assicurata", liberamente concordato tra le parti ai sensi dell'art. 1908, comma 2, cod. civ. (cfr. in tal senso: Cass., Sez. U, Sentenza n. 5119 del 10/04/2002, Rv. 553633-01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 13233 del 11/06/2014, Rv. 631753-01). La determinazione dell'indennizzo dovuto dall'assicuratore in caso di infortunio non mortale, di conseguenza, richiede solo l'individuazione della percentuale dell'invalidità, ma non una stima economica del danno, in quanto tale ultima stima è già operata contrattualmente nella polizza. 2.3 Il criterio di determinazione dell'indennizzo fissato dalle parti impone a tal fine di fare riferimento, adeguandoli in proporzione, agli importi previsti per il caso di invalidità permanente e temporanea totali. Esistendo uno specifico criterio negoziale di liquidazione dell'indennizzo, non può ritenersi pertanto consentita l'applicazione, a tal fine, del criterio di liquidazione equitativo del danno non patrimoniale di cui all'art. 1226 cod. civ. 2.4 È quindi fondata la pretesa del ricorrente, secondo il quale il quantum risarcitorio collegato all'inadempimento da parte della ASL dell'obbligo di stipula della polizza deve essere pari all'indennizzo per l'invalidità permanente e temporanea, il quale a sua volta deve essere in concreto calcolato sulla base degli importi dei massimali di polizza, e non mediante l'applicazione delle cd. Tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale, considerate invece dal giudice d'appello. 2.5 Va in questo modo data continuità al principio già affermato da questa Corte secondo cui "Gli importi dei massimali delle polizze per la copertura assicurativa dei medici specialisti ambulatoriali stipulate dalle aziende sanitarie locali in adempimento degli obblighi previsti nei decreti presidenziali che recepiscono gli accordi collettivi nazionali - copertura comprensiva anche del rischio da infortunio "in itinere" per i servizi prestati in un comune diverso da quello di residenza - costituiscono anche la base per liquidare il danno da invalidità, permanente e temporanea, parziale e totale, liquidazione che deve avvenire sulla base di detti massimali in misura proporzionale alla percentuale dell'invalidità, e non in applicazione degli ordinari criteri di liquidazione del danno non patrimoniale" (Cass., Sez. 3, n. 9961 del 20/04/2017; si tratta, peraltro, di orientamento consolidato a partire da Cass., Sez. L, sentenza n. 11736 del 24/11/1997 secondo cui "a seguito dell'omessa stipulazione della copertura assicurativa e della verificazione di un infortunio ricadente nella prevista copertura assicurativa, la U.S.L. non è obbligata a tenere indenne il medico infortunato da ogni pregiudizio subito, ma la sua responsabilità ha ad oggetto il danno subito dal medico a causa dell'inadempimento al suddetto obbligo. La liquidazione di tale danno rientra nei poteri del giudice di merito e una sua quantificazione rapportata ai massimali (nella specie, di duecento milioni per l'ipotesi in invalidità totale e in proporzione in caso di invalidità permanente parziale) previsti nella polizza successivamente stipulata d'intesa col sindacato deve ritenersi, data la sua ragionevolezza, immune da vizi logici denunciabili in sede di legittimità"). 2.6 Ne consegue che il risarcimento del danno spettante al medico ambulatoriale per l'inadempimento della USL all'obbligazione di stipulare la polizza assicurativa deve essere commisurato ai criteri sopra esposti, ossia all'indennizzo che al medico sarebbe spettato nel caso di adempimento della USL all'obbligo di assicurarlo (Cass., n. 9961/2017, cit.; Cass., Sez. L, Sentenza n. 9034 del 12/05/2004, Rv. 572819-01; Cass., Sez. L, n. 11736 del 24/11/1997, Rv. 510306-01, nonché, nel medesimo senso, anche se con riguardo a questioni in parte differenti: Sez. L, n. 8066 del 17/08/1998, Rv. 518084-01; Sez. L, n. 14898 del 23/11/2001, Rv. 550574-01). 3. Nell'unico motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per "l'omessa pronuncia sui motivi di appello": l'ASL aveva contestato la statuizione di primo grado laddove aveva ritenuto che sulla percentuale di IP al 2% non vi fosse contestazione, quest'ultima invece essendo stata formulata dall'Azienda alla quale, ai sensi dell'art. 1304 cod. civ., non potevano estendersi gli effetti della transazione intervenuta tra il terzo trasportato e la compagnia assicuratrice del veicolo; la Corte d'appello aveva erroneamente "omesso di pronunciarsi sulla mancata prova dell'appellato del suo preteso diritto ad un ulteriore risarcimento rispetto a quello percepito dall'assicurazione r.c. auto". 4. Il motivo, non esente da profili di inammissibilità, è infondato. Invero, la doglianza non si confronta col decisum, da cui si desume che il giudice d'appello ha ritenuto risultasse comprovata in atti l'esistenza di postumi permanenti al 2%. La Corte d'appello, lungi dal fare richiamo al principio di non contestazione, ritiene, infatti, che "un residuo danno permanente al 2% (...) è documentato in atti", sicché si pronuncia, implicitamente, sulla prova da parte dell'appellato del suo preteso diritto, ritenendo che la misura dell'IP al 2% emerga "documentalmente"; trattasi di argomentazione che, per quanto concisa, rispetta il minimum costituzionale, e non viene peraltro specificamente censurata dall'ASL ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. 5. Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni esposte, si deve accogliere il ricorso principale, mentre va rigettato quello incidentale condizionato; la sentenza impugnata dev'essere, pertanto, cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Salerno che provvederà, in diversa composizione, anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Salerno, in diversa composizione. Dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, l'8 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE SESTA CIVILE composta dai magistrati: dott. (...) Presidente dott. (...) (...) relatore dott. (...) (...) all'udienza del 15 maggio 2024 ha pronunciato ai sensi dell'art. 281sexies c.p.c. la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile in grado di appello iscritta al n. (...) del registro generale degli affari contenziosi dell'anno 2018, vertente tra (...) (c.f. (...)), nata a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), tutti in proprio e quali eredi di (...) elettivamente domiciliati in (...) Via (...) n. (...), presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende unitamente all'avv. (...) giusta procura in atti appellanti principali ed appellati incidentali e (...) s.p.a. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata principale ed appellante incidentale e (...) appellati contumaci e (...) s.r.l. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata e MINISTERO DELL'INTERNO DIPARTIMENTO DEI VIGILI DEL FUOCO, DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE (c.f.: (...)), rappresentato e difeso e(...) lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in (...) Via dei (...) n. 12 è domiciliato appellato Motivi di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data (...), (...) e (...) in proprio ed in qualità di eredi di (...) hanno proposto appello avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), resa nel giudizio di primo grado promosso dall'odierna parte appellante nei confronti di (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. Nel corso del giudizio di primo grado è stata autorizzata la chiamata in causa del Ministero dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) Par. 1.1 I fatti di causa sono esposti nella sentenza impugnata come di seguito riportato. " Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) in proprio e nella qualità di eredi della vittima, chiedevano dichiararsi l'esclusiva responsabilità di (...) (quale conducente della vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l.) nella causazione del sinistro che aveva cagionato la morte di (...) nonché la condanna, in solido tra loro, dello stesso (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. quest'ultima anche con responsabilità ultramassimale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti, con vittoria di spese. Gli attori esponevano a sostegno della domanda che il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50, (...) era stato investito dalla vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., condotta dal (...) mentre la vittima era alla guida del suo motociclo, rimanendo poi incastrata tra le ruote dell'auto e decedendo per insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. La responsabilità esclusiva del (...) nel decesso del (...) emergeva dalla sentenza di applicazione della pena resa dal Tribunale penale di (...) divenuta irrevocabile, con la quale al (...) era stata applicata la pena di mesi dodici di reclusione per il reato di omicidio colposo, nonché dalla consulenza tecnica sulla dinamica del sinistro e da quella medico legale sulle cause del decesso effettuate su incarico del (...) oltre che dalle sommarie informazioni assunte nel corso delle indagini preliminari. Veniva chiesto il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sia iure hereditario (danno da perdita della vita), sia iure proprio, assumendosi che la sig.ra (...) soffriva, a seguito della morte del figlio, di un grave stato depressivo con attacchi di panico e che aveva perso gli apporti economici che la vittima le avrebbe assicurato "durevolmente e spontaneamente". Si costituiva in giudizio l'(...) s.p.a. non contestando la responsabilità del (...) nel tamponamento del motociclo del (...) ma deducendo che erano intervenuti fattori interruttivi del nesso causale tra la condotta del conducente della vettura e il decesso della vittima (ritardo con cui erano giunti i soccorsi, vigili del fuoco intervenuti con le bombole di gas scariche e quindi impossibilitati a sollevare il veicolo investitore, allontanamento degli intervenuti che stavano azionando il cric per sollevare il veicolo da parte delle forze di polizia). Contestava inoltre il quantum debeatur e l'esistenza di un danno patrimoniale, deduceva di aver corrisposto alcune somme in favore degli attori e precisava che la polizza prevedeva un massimale di euro 2.500.000,00. Concludeva chiedendo dichiararsi la nullità della citazione per incertezza del petitum, accertarsi che la compagnia aveva già corrisposto euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima e rigettarsi la domanda con vittoria di spese. Si costituivano altresì il (...) e la (...) dei (...) s.r.l. non contestando la dinamica del sinistro ma negando la responsabilità del (...) nella causazione del decesso del (...) in quanto l'investimento non ne aveva provocato la morte, cagionata piuttosto da una serie di fatti (quelli stessi indicati dalla compagnia assicurativa) atipici, anomali ed eccezionali (la circostanza che le bombole di gas necessarie per il sollevamento del veicolo fossero scariche), che avevano determinato l'interruzione del nesso causale. Chiedevano pertanto la chiamata in causa del (...) dell'(...) del (...) e del (...) dei (...) del (...) di (...) e la condanna degli stessi, in via solidale, al risarcimento dei danni in favore degli attori, con rigetto della domanda attorea nei confronti di essi convenuti. In subordine chiedevano accertarsi la concorrente responsabilità del (...) e del (...) nella determinazione del decesso della vittima e la loro condanna al risarcimento per quanto di loro responsabilità, con vittoria di spese. A seguito della chiamata di terzo si costituiva il (...) dell'(...) Dipartimento dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) eccependo preliminarmente l'inammissibilità sia della domanda principale che di quella subordinata proposta dal convenuto (...) e dall'(...) dei (...) in quanto domanda risarcitoria riservata all'iniziativa esclusiva di parte attrice. Eccepiva altresì la nullità della citazione introduttiva per assoluta incertezza del petitum in difetto di specificazione del quantum debeatur richiesto e la prescrizione del diritto risarcitorio essendo decorso il biennio tra l'epoca del sinistro e la notifica dell'atto di citazione avversario. Nel merito assumeva la responsabilità esclusiva del (...) nella causazione del decesso del (...) e negava qualunque profilo di colpa nella condotta dei vigili del fuoco intervenuti, attesa la tempestività dell'intervento ancora precedente all'arrivo dell'ambulanza e stante l'avvenuto utilizzo, per il sollevamento della vettura, della pinza divaricatrice. Contestava inoltre il profilo dell'entità del danno, rilevando come non fosse risarcibile né il danno da perdita della vita, né quello biologico temporaneo, difettando la prova dello stato cosciente della vittima nel periodo antecedente il decesso, né quello patrimoniale, non godendo il (...) di reddito stabile e versando in condizioni di difficoltà economica. Concludeva quindi per il rigetto della domanda con vittoria di spese di lite. All'udienza del 18.12.2014 il procuratore degli attori, alla luce delle difese dei convenuti, dichiarava di voler estendere la domanda nei confronti del (...) chiedendone la condanna in solido con i convenuti al risarcimento del danno subìto. Con ordinanze in data (...) e 29.4.2016 venivano respinte le richieste di provvisionale avanzate dagli attori. La causa, istruita mediante produzioni documentali, assunzione di prova per testi e consulenza tecnica medico legale, perveniva alla fase decisoria con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche". Par. 1.2 (...) Tribunale, con detta sentenza, ha così deciso: "rigetta le eccezioni preliminari sollevate dal (...) dell'(...) dichiara che il sinistro stradale verificatosi in (...) il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50 sulla rampa di uscita per via (...) GRA tra la vettura (...) 307 SW condotta da (...) e di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., ed il ciclomotore (...) condotto da (...) è ascrivibile in via esclusiva alla responsabilità di (...) per l'effetto condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, già detratti gli acconti in precedenza corrisposti, al pagamento in favore di (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) delle seguenti somme; euro 91.862,29 in favore di (...) ed euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi e rivalutazione come da parte motiva, nonché interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza all'effettivo soddisfo; rigetta la domanda risarcitoria proposta dagli attori, nonché dal (...) e dalla (...) dei (...) s.r.l. nei confronti del (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, a rifondere agli attori le spese del presente grado di giudizio che liquida, in applicazione del D.M. n. 55/2014, in euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre euro 450,00 per spese di contributo unificato, euro 600,00 di consulenza di parte, spese generali (15%), IVA e (...) le spese di CTU vengono poste definitivamente a carico di (...) dei (...) s.r.l. ed (...) s.p.a., in solido tra loro". Par. 1.3 La sentenza è motivata come di seguito riportato. "1. le eccezioni preliminari. Va respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione sollevata dal (...) sull'assunto della assoluta genericità del petitum per non essere stata quantificata la somma richiesta a titolo risarcitorio. (...) l'orientamento della S.C., dal quale non vi è motivo di discostarsi, la nullità della citazione per omessa od incerta determinazione del petitum, inteso sotto il profilo formale come il provvedimento giurisdizionale richiesto dall'attore, e sotto quello sostanziale come il bene della vita del quale si chiede il riconoscimento, non sussiste qualora nell'atto introduttivo del giudizio non sia stata esattamente quantificata monetariamente la pretesa, se l'attore abbia indicato i titoli dai quali la stessa trae fondamento, permettendo in tal modo al convenuto di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7074 del 05/04/2005; (...) 3, Sentenza n. 12567 del 28/05/2009). Nel caso di specie gli attori, pur non quantificando l'importo richiesto a titolo risarcitorio, hanno esattamente indicato i danni di cui chiedono il ristoro (danno da perdita della vita del congiunto, danno da perdita del rapporto parentale, danno biologico iure proprio, danno patrimoniale ecc.), sicché i convenuti sono stati posti in grado di esercitare le loro difese sia in punto di an che di quantum (tanto che sia il (...) che l'(...) nonché il (...) hanno dedotto sul punto). Va poi disattesa anche l'eccezione, sempre sollevata dal (...) di inammissibilità della chiamata di terzo del (...) Ha affermato infatti il (...) che quest'ultimo non avrebbe potuto avanzare nei suoi confronti una domanda risarcitoria riservata esclusivamente agli attori (né quella formulata in via principale, né quella subordinata di condanna del (...) al risarcimento del danno per la sua quota di responsabilità). Ebbene, la giurisprudenza della S.C. è orientata nel senso che qualora il convenuto effettui una chiamata di terzo indicando quest'ultimo come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, purché il titolo in base al quale il convenuto ritiene la responsabilità del terzo non sia diverso da quello della domanda attorea. Si è infatti affermato che il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. Il suddetto principio, invece, non opera, allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come "causa petendi" ed in particolare, ove l'azione dell'attore sia di natura risarcitoria, qualora venga dedotto un titolo di responsabilità del terzo verso l'attore diverso da quello da lui invocato, al fine non già dell'affermazione della responsabilità diretta ed esclusiva del terzo verso l'attore sulla base del rapporto dedotto dal medesimo, bensì allo scopo di ottenere, sulla base del diverso rapporto di responsabilità dedotto, il rilievo dalla responsabilità invocata dall'attore con la domanda introduttiva della lite; e in questo secondo caso resta ferma l'autonomia sostanziale dei due rapporti confluiti nello stesso processo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005). Nel caso di specie, la domanda fatta valere dal convenuto (...) nei riguardi del (...) non si richiama ad un titolo diverso ma alla stessa causa petendi fatta valere da parte attrice, ovvero la responsabilità aquiliana per il decesso del (...) nel sinistro di cui trattasi, sebbene in conseguenza di due diverse condotte poste in essere in contiguità temporale (l'investimento della vittima da parte del (...) e l'omesso tempestivo intervento di soccorso da parte dei vigili del fuoco). Giova ancora sottolineare che "in ipotesi di intervento di terzo su istanza di parte, posto che in virtù della chiamata in causa la domanda attorea si estende automaticamente nei confronti del terzo indicato quale unico responsabile, per escludere la volontà dell'attore di estendere la domanda nei confronti del terzo chiamato non bisogna aver riguardo al momento della proposizione della domanda nei confronti del convenuto, bensì a quello, successivo, della chiamata in causa, che può indurre l'attore medesimo a modificare la strategia processuale in un primo tempo scelta" (Cass. sez. 2, Sentenza n. 3643 del 24/02/2004). Ora, all'udienza del 18.12.2014, a seguito delle difese del convenuto (...) gli attori hanno inteso estendere la domanda anche al (...) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in solido col conducente, col proprietario della vettura e la compagnia assicuratrice, per cui non vi è dubbio che la domanda risarcitoria sia stata estesa al (...) Peraltro, si è anche ritenuto che qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo, indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza incorrere nel vizio di e(...)trapetizione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13165 del 05/06/2007). Va ancora respinta l'eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla difesa del (...) E' noto che se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, essa si applica anche all'azione civile (art. 2947). Se è intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, il diritto al risarcimento si prescrive nel termine biennale con decorrenza dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Nel caso di specie è intervenuta sentenza di patteggiamento passata in giudicato il (...), data dalla quale decorre il termine di prescrizione biennale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 07/11/2013, secondo cui in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che il risarcimento del danno si prescrive in due anni quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile nel procedimento penale, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. c.d. patteggiamento perché essa non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile, e(...) art. 2953 cod. civ., il termine di prescrizione di dieci anni). Nel caso di specie l'atto di citazione è stato notificato al (...) il (...), quindi prima che maturasse la prescrizione biennale, sicché l'eccezione è priva di pregio. 2. ricostruzione della dinamica del sinistro. La relazione conclusiva redatta dalla polizia municipale ricostruisce la dinamica del sinistro nei termini seguenti. Il sinistro si era verificato in (...) intorno alle ore 19:55 del 19.7.2011, sulla rampa di uscita per via (...) (...) in presenza di luce solare (atteso il periodo estivo), in condizioni di tempo sereno e con strada in discesa a senso unico di marcia e con curva destrorsa, in tratto con limite di velocità di 40 km/h. (...), giunto intorno alle ore 20:52 (circa 57 minuti dopo il verificarsi del sinistro) quando già era stato constatato il decesso del (...) dava atto della posizione statica assunta dai veicoli coinvolti nell'incidente. In particolare, la vettura (...) 307 SW condotta dal (...) si trovava quasi al centro della rampa, parallela all'asse della carreggiata, con la parte anteriore rivolta verso via (...) mentre il ciclomotore (...) era riverso a terra sul lato destro alcuni metri prima della (...) con la ruota anteriore a ridosso del guardrail. (...) poteva essere ricostruito come segue: entrambi i veicoli (il ciclomotore marciando davanti alla (...), provenienti da via del (...) percorrevano la circonvallazione (...) in direzione S. (...) e imboccavano la rampa di uscita per via (...) in direzione (...) nell'affrontare la curva destrorsa la (...) tamponava con la parte anteriore destra la parte posteriore del ciclomotore (come risulta dall'abrasione e dall'impronta di forma circolare presente sul paraurti anteriore lato destro della vettura); il ciclomotore cadeva sul fianco destro per effetto dell'urto scivolando sull'asfalto (dove lasciava tracce di abrasione) per poi fermarsi sul margine sinistro della carreggiata; la vettura proseguiva la marcia nonostante la collisione passando verosimilmente con la ruota anteriore sinistra sul corpo del motociclista e trascinandolo con il casco ancora indossato per circa 24 metri. Sempre dalla relazione della polizia municipale risulta che delle persone presenti in loco, nessuna era stata in grado di fornire chiarimenti sulla dinamica del sinistro, ma solo sui successivi soccorsi. (...) riferiva oralmente agli operanti della municipale di essere stato sorpassato sulla sinistra dal ciclomotore, che dopo essersi spostato sulla destra della carreggiata avrebbe poi rallentato improvvisamente la marcia, mentre il coniuge del (...) ((...) riferiva di non aver assistito alla dinamica del sinistro in quanto intento a guardare il display del cellulare. In definitiva la polizia municipale riteneva inattendibile la versione del (...) reputando di contro che esso avesse tenuto una condotta di guida distratta in quanto, nonostante la velocità moderata, non era stato in grado di arrestare immediatamente la marcia dopo l'urto e non si era avveduto della caduta del motociclista e del trascinamento del corpo sotto la propria autovettura. A conclusioni conformi giunge anche la consulenza cinematica eseguita su disposizione del PM. Rilevava infatti il consulente come dall'esame della posizione dei veicoli emergesse che al momento dell'urto essi si trovavano a marciare su linee perfettamente parallele, dovendosi quindi escludere che nell'immediatezza fosse stata effettuata una manovra di sorpasso da parte del ciclomotore. Dall'esame delle tracce rilevate sulla pavimentazione stradale appariva altamente probabile che il ciclomotore marciasse al centro dello svincolo e che la vettura lo seguisse spostata verso sinistra. La velocità della (...) al momento dell'urto era stata stimata 1520 km/h superiore a quella del ciclomotore, sicché appariva possibile che il motociclista avesse sensibilmente ridotto la velocità nell'ingresso in curva e fosse stato raggiunto dalla vettura in velocità libera. Appariva infine indubbio che la vettura avesse tamponato con la sua parte anteriore il parafango posteriore del ciclomotore in posizione eretta e su traiettorie parallele. Dall'autopsia effettuata nella fase delle indagini preliminare emerge che la morte del (...) è stata constatata in sede clinica alle ore 20:40 del 18.7.2011, che il decesso è riconducibile al sinistro stradale per cui è causa e che esso appare compatibile con una insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. E' importante sottolineare, anche tenuto conto delle eccezioni sollevate dalle parti e che verranno trattate infra, la circostanza che il (...) in conseguenza dell'urto, non ebbe a riportare una lesività fisica rilevante ai fini del determinismo della morte, in quanto l'esame necroscopico ha evidenziato l'assenza di alterazioni rilevanti a carico di pressoché tutti gli organi ed apparati del corpo. Dunque, il consulente del PM ha ritenuto che il decesso sia riconducibile al fatto che il corpo della vittima è rimasto compresso sotto il veicolo, così da impedire la normale dinamica respiratoria attraverso una pressione esercitata a livello toracico. Va a questo punto rilevato che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015; n. 4652 del 2011; n. 5440 del 2010; n. 11555 del 2013; (...) n. 9040 del 2008). (...) canto, nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. Sentenza n. 1593 del 20/01/2017). Ancora, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. "patteggiamento") non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna (cfr. art. 445 co. 2 c.p.p.), sicché il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, pur non essendogli precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10847 del 11/05/2007; n. 6863 del 2003), la quale costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9358 del 05/05/2005). Ciò premesso, deve anzitutto rilevarsi che il (...) ha patteggiato la pena per il reato di omicidio colposo e che, pur non contestando in questa sede la propria responsabilità nell'investimento del motociclista, si è difeso sostenendo che il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso del (...) sarebbe stato interrotto da un elemento assolutamente atipico ed eccezionale costituito dal mancato tempestivo sollevamento del veicolo da parte dei vigili del fuoco intervenuti. Ora, riservando al prosieguo l'analisi più approfondita di questo aspetto della vicenda, deve rilevarsi che tale strategia difensiva si pone in palese conflitto con la richiesta di applicazione della pena da parte del (...) atteso che ove quest'ultimo avesse ritenuto effettivamente interrotto il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso della vittima, non avrebbe dovuto chiedere di patteggiare la pena (ponendosi la questione relativa all'interruzione del nesso causale in termini omologhi sia nel processo penale che in quello civile). Né d'altro canto egli ha fornito una spiegazione plausibile del motivo per il quale si sarebbe appunto deciso a patteggiare la pena pur nella convinzione di non aver cagionato la morte del (...) In ogni caso, le risultanze della relazione della polizia municipale intervenuta sul luogo del sinistro e della CT modale del P.M. appaiono assolutamente persuasive e condivisibili. Può quindi ritenersi che la (...) abbia tamponato il ciclomotore guidato dal (...) (come emerge dalle tracce di urto tra la zona anteriore della vettura e quella posteriore del ciclomotore) per poi trascinarlo sotto l'auto per diversi metri prima di fermarsi. Che vi sia stata una condotta gravemente negligente del (...) nella guida del veicolo emerge poi in maniera eclatante sia dal fatto che l'urto si è verificato da tergo (ciò che denota il mancato rispetto della distanza di sicurezza tra i veicoli), sia dal trascinamento del corpo della vittima incastrata sotto la scocca dell'auto investitrice per ben 24 metri senza che il (...) se ne rendesse conto. 3. il nesso causale tra la condotta di guida imprudente del (...) e il decesso del (...) la questione dell'eccepita interruzione del nesso causale. Giova a questo punto soffermarsi sulla questione dell'eccepita interruzione del nesso causale, la quale impone anzitutto di far luce su quanto accaduto dopo l'investimento e sui soccorsi intervenuti. Dall'annotazione di servizio del (...) del 20.7.2011 risulta che all'arrivo della polizia (tra le ore 20:00 e le 20.10) alcune persone avevano già posto un cric sul lato destro della (...) allo scopo di tentare di sollevare il mezzo (si rammenta che il sinistro si è verificato intorno alle ore 19:55). Sempre secondo detta annotazione, alle ore 20:10 giungeva la (...) dei (...) del (...) che mediante un martinetto idraulico sollevava l'auto ed estraeva il corpo della vittima, mentre alle 20:26 il personale del 118 constatava il decesso del (...) Occorre poi esaminare le sommarie informazioni testimoniali rese alla polizia municipale da (...) e (...) giunto sul posto subito dopo il sinistro (e quindi verosimilmente intorno alle ore 20:00 o poco prima), dichiarava di aver verificato che la persona investita era ancora in vita, poiché a circa 10 minuti dal suo arrivo aveva notato che il (...) da lui sollecitato in tal senso aveva mosso leggermente un piede. Un motociclista intervenuto prima di lui aveva sollevato la parte anteriore destra della vettura mediante un cric, ma in tale frangente era intervenuta una pattuglia della (...) che aveva fatto allontanare gli astanti. Verso le 20:15 era giunto sul posto il primo mezzo dei (...) del (...) che aveva approntato le operazioni per il sollevamento del mezzo. Tuttavia, il teste aveva udito uno dei (...) affermare che le bombole erano scariche e che occorreva trovare una soluzione alternativa. Immediatamente dopo però i (...) del (...) avevano interrotto ogni operazione a seguito della constatazione del decesso della vittima, sulla quale era stato steso un telo bianco. Era poi sopraggiunto un secondo mezzo dei (...) del (...) che aveva rimosso la vettura liberando il corpo del ragazzo. (...) ha riferito di essere giunto anch'egli poco dopo il sinistro e di aver notato che la vittima muoveva lentamente il braccio destro e respirava ancora muovendo in maniera accelerata il torace. Reperito un cric, lo aveva azionato, ma appena sollevata la vettura era stato fatto allontanare dai (...) del (...) nel frattempo sopraggiunti. Tuttavia, costoro non erano riusciti a sollevare l'auto in quanto, pur avendo posizionato l'attrezzatura gonfiabile, si erano resi conto che le bombole in dotazione erano scariche. La fase del tentativo di sollevamento della vettura con il cric è stata meglio chiarita nel corso dell'escussione dei due testi in fase istruttoria. (...) ha specificato che il (...) aveva sì sollevato la parte anteriore della vettura con un cric, ma che l'azione non era stata sufficiente a liberare il giovane. Ha inoltre precisato che qualcuno dei presenti voleva sollevare l'auto di forza, mentre altri temevano che ciò potesse peggiorare la situazione, sicché alla fine non se ne era fatto nulla in attesa dell'arrivo della polizia. (...) dal canto suo, ha dichiarato di essere riuscito a sollevare il veicolo con il cric solo di qualche centimetro. Entrambi i testi hanno poi confermato la circostanza che le bombole erano scariche e quindi l'esito negativo del primo tentativo di sollevamento del mezzo da parte dei (...) del (...) Occorre ora prendere in considerazione il materiale prodotto dal (...) Dal rapporto di intervento dei (...) del (...) in data (...) risulta che il primo mezzo è giunto in loco alle ore 20.11 e che l'intervento medesimo è consistito nel sollevare la vettura tramite martinetto idraulico manuale con l'ausilio del carro sollevamenti al fine di liberare il corpo del (...) La relazione redatta il (...) dal responsabile del reparto che operò l'intervento ((...) dà atto che all'arrivo sul posto la vittima si trovava incastrata sotto la vettura e si presentava in stato di incoscienza, dato che ad un controllo ravvicinato "non si scorgeva alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". La squadra aveva quindi proceduto all'allestimento della manovra di sollevamento del veicolo tramite impiego di cuscini pneumatici di sollevamento che però "al momento della messa in pressione risultavano inefficaci per un mal funzionamento della centralina di comando", per cui si era proceduto immediatamente all'uso della pinza divaricatrice oleodinamica in dotazione. La durata complessiva delle manovre di allestimento delle attrezzature aveva richiesto circa due minuti. Poiché tuttavia la pinza divaricatrice a parità di capacità di sollevamento presentava minore stabilità e sicurezza per il personale operante, era stato richiesto l'intervento di un (...) sollevamenti dei (...) che con l'impiego di un martinetto idraulico manuale aveva messo definitivamente in sicurezza la vettura. Giova a questo punto precisare che in tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di equivalenza di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano ad una valutazione "e(...) ante" del tutto inverosimili (Cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008). In particolare, il principio dell'equivalenza delle cause (se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale) trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente desumibile dall'art. 41 c.p., comma 2, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268). Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale (e(...) multis: Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass.27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.2000 n. 5962). Per quanto attiene più da vicino la fattispecie in esame, si è osservato che il concetto di causalità sopravvenuta da sola sufficiente ad escludere il rapporto causale a norma dell'art. 41, comma secondo, cod. pen. (norma pacificamente applicabile anche in sede (...)postula necessariamente la completa autonomia del fattore causale prossimo rispetto a quello più remoto, esige comunque che il primo non sia strettamente dipendente dall'altro e che si ponga al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo dello stesso, di talché la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente) ad opera di terzi non rappresenta una distinta causa che si innesti nella prima, ma solo una ovvia condizione negativa perché quella continui ad essere efficiente e operante. (Fattispecie in tema di colpevole omissione della corretta diagnosi che, se tempestivamente formulata, avrebbe consentito di salvare la vita del malato) (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 11024 del 10/06/1998). Nello stesso senso, in ambito propriamente civilistico, la S.C. ha affermato che si ha interruzione del nesso di causalità per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato) quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione (sempreché rispetto ad essa coerenti ed adeguate). (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18094 del 12/09/2005; n. 11087 del 1993, n. 11386 del 1997, n. 6640 del 1998). Ora, alla luce dei principi sopra riportati e che questo giudice condivide, non è chi non veda come non sia ravvisabile nel caso che occupa alcuna interruzione del nesso causale. In primo luogo, non sussiste prova sufficiente del fatto asseritamente interruttivo allegato dal (...) e dalla compagnia assicuratrice secondo cui la condotta omissiva dei (...) intervenuti rectius il ritardo nell'intervento di sollevamento del veicolo investitore abbia cagionato (o meglio non evitato) il decesso del (...) poiché non è possibile stabilire con sicurezza che il giovane, al momento del sopraggiungere dei (...) fosse ancora vivo. Indubbiamente può affermarsi che egli desse ancora deboli segni di vita al momento in cui si sono avvicinati i primi soccorritori (cfr. deposizioni (...) e (...), ma non si può invece ritenere con certezza che lo stesso non fosse deceduto all'arrivo del primo mezzo dei (...) del (...) (secondo la relazione del capo squadra, come si è visto, il (...) non respirava e non aveva polso). Inoltre, dal rapporto del capo squadra dei (...) emerge che una volta constatato che i cuscinetti di sollevamento non potevano funzionare (per un addotto malfunzionamento della centralina), fu tempestivamente azionata una pinza idraulica che sollevò il veicolo investitore, così raggiungendosi il medesimo risultato ottenibile mediante i cuscini pneumatici, mentre l'intervento del secondo mezzo ((...) sollevamento) fu richiesto solo per maggior sicurezza degli operanti. In secondo luogo, anche a voler ipotizzare che i (...) del (...) avrebbero potuto eseguire un intervento più tempestivo, così impedendo il decesso del (...) per soffocamento, ciò comporterebbe, per il principio dell'equivalenza causale, un concorso di cause efficienti nella determinazione del decesso della vittima e non già una interruzione del nesso causale tra la condotta di guida del (...) e la morte del giovane. Invero, un eventuale (ma come si è detto non provato) ritardo nelle operazioni di soccorso in caso di sinistro stradale non costituisce affatto una serie causale atipica ed eccezionale, ben potendosi prevedere, in base alla migliore scienza ed esperienza, che in caso di incidente molteplici e talora imponderabili siano i fattori che condizionano un tempestivo intervento di soccorso (condizioni del traffico, distanza e raggiungibilità del luogo del sinistro da parte dei mezzi di soccorso, disponibilità di tali mezzi ove non altrimenti impegnati in altre operazioni ecc.). Di tale ovvia constatazione è espressione il principio più volte affermato dalla giurisprudenza e sopra riportato secondo cui quando il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente sia ancora in atto ed in fase di sviluppo e nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, neutralizzare le conseguenze di quell'illecito, lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive purché congrue e adeguate a quella situazione. Nella fattispecie non occorre spendere ulteriori parole per rilevare che il sinistro e le conseguenze del medesimo, che hanno condotto il (...) al decesso, sono pienamente riconducibili alla distratta e negligente condotta di guida del (...) che non solo ha investito il motociclista, ma nemmeno si è reso conto di averlo trascinato per diversi metri sotto la propria autovettura prima di fermarsi. Dunque, non solo non sussiste la dedotta interruzione del nesso causale, ma nemmeno è ravvisabile un concorso di cause efficienti (condotta del conducente del veicolo, ritardo nel sollevamento del veicolo da parte dei (...) per i motivi che sopra sono stati illustrati. Per completezza deve anche sottolinearsi come il pur meritorio e lodevole intervento posto in essere dai primi soccorritori non si sia rivelato decisivo per liberare il corpo del (...) atteso che come precisato dai testi escussi in fase istruttoria il cric aveva sollevato il veicolo di soli pochi centimetri (insufficienti per liberare il giovane) e che la successiva proposta di sollevamento manuale non aveva trovato sufficienti adesioni tra i presenti, avendo alcuni temuto che lo stesso potesse cagionare un ulteriore danno alla vittima. 4. risarcimento del danno. Si esaminano qui di seguito le varie voci di danno richieste dagli attori. a) Danno tanatologico o da perdita della vita b) (...) catastrofale Va respinta la domanda di risarcimento del danno biologico derivante dalla perdita della vita della vittima richiesto dagli attori iure hereditatis. Invero la lesione dell'integrità fisica con esito letale (cd. danno tanatologico), intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere (Cass. Sentenza n. 6404 del 1998; n. 8970 del 1998; n. 12083 del 1998; n. 491 del 20/01/1999; n. 3760 del 19/02/2007). Invece, nel caso in cui tra le lesioni e il decesso intercorra un apprezzabile lasso di tempo, è configurabile un danno nel quale sono ricompresi da un lato il danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale, e dall'altro una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale) costituita dalla lucida percezione dell'approssimarsi della propria morte, che va liquidato in relazione all'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica subita sino al decesso (e quindi con riferimento al periodo di tempo compreso tra il verificarsi dell'illecito e la morte), con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18163/2007; n. 22228/2014; n. 23183/2014). Tale diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante "jure hereditatis" (Cass. n. 13066/2004; n. 24/2002; n. 3728/2002; n. 1131/1999). Da ultimo le (...) componendo un precedente contrasto emerso con la sentenza n. 1361 del 23/01/2014 (che aveva riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita della vita anche in caso di morte istantanea o dopo un breve lasso di tempo, a prescindere dalla consapevolezza che la vittima avesse avuto dell'approssimarsi imminente del proprio decesso), hanno ribadito l'indirizzo tradizionale secondo cui in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione nel primo caso dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo ((...) U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015). In altri termini, sotto il profilo della quantificazione del risarcimento, posto che trattasi di un danno alla salute che, seppur temporaneo, riveste massima intensità (tanto da aver condotto la vittima al decesso in un limitato arco di tempo), non appare ragionevole applicare sic et simpliciter i medesimi criteri tabellari che sono predisposti per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso, essendo invece necessario, in un'ottica di personalizzazione e tenuto conto della maggiore intensità della sofferenza, adottare un criterio equitativo puro. Nel caso di specie si è visto trattando della dinamica del sinistro e delle successive operazioni di soccorso che il (...) nei minuti immediatamente successivi all'urto, ebbe a dare seppur deboli segnali di vita, come riferito dai testimoni (...) e (...) (tra i primi ad intervenire). Si può anche ritenere che nel breve arco temporale tra l'urto con la vettura e il decesso, quantificabile tra i 15 e i 45 minuti (la morte è stata accertata clinicamente alle 20:40 ma secondo i (...) del (...) il (...) non dava segni di vita già al momento del loro intervento, avvenuto intorno alle ore 20:10), vi sia stato qualche minuto in cui il giovane è rimasto cosciente della sua condizione e dell'approssimarsi del decesso, come dimostra il fatto che egli abbia mosso leggermente il piede su sollecitazione del (...) Si può quindi riconoscere agli attori, in qualità di eredi, il risarcimento del danno catastrofale, liquidabile in via equitativa tenuto conto della brevità del periodo intercorrente tra sinistro e decesso, ma anche dell'elevatissima intensità della sofferenza fisica e morale della vittima in euro 50.000,00. Tale somma va ripartita tra gli eredi secondo le norme della successione legittima, non essendo stata dedotta l'esistenza di un titolo testamentario, e quindi in base all'art. 571 c.c. (concorso di genitori con fratelli o sorelle) in euro 25.000,00 in favore di (...) ed euro 12.500,00 per ciascun fratello. c) danno da perdita del rapporto parentale. E' ormai consolidato il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti di persona che in conseguenza di un fatto illecito abbia subìto gravi lesioni o sia deceduto, costituendo dato di comune esperienza che eventi di siffatta portata incidano sul diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e sulla reciproca solidarietà familiare. Quanto ai soggetti legittimati, devono considerarsi senz'altro aventi diritto al risarcimento i componenti della cd. famiglia nucleare (coniuge, figli, genitori, fratelli) mentre avuto riguardo ai parenti meno stretti (nonni, nipoti, zii, cugini, suocero e nuora, cognati), occorre fornire la prova della qualità e intensità del rapporto affettivo e quindi della perdita che la lesione o il decesso hanno comportato in termini di sostegno morale. Trattasi di danno che trova collocazione nella previsione dell'art. 2059 c.c. e che, sfuggendo ad una valutazione economica vera e propria, deve essere liquidato in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., facendo ricorso ai criteri enucleati nelle tabelle del Tribunale di (...) predisposte per evitare disparità di pronunce all'interno dell'ufficio giudiziario. Non ignora questo giudicante che con sentenza n. 12408/2011 la Suprema Corte ha riconosciuto alle tabelle milanesi la valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni contenute negli artt. 1226 e 2056 c.c., salva la sussistenza in concreto di circostanze idonee a giustificare il ricorso ad un diverso criterio, nell'ottica di assicurare una uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. Tuttavia, si ritiene che l'esigenza di garantire la parità di trattamento di casi analoghi possa essere del pari soddisfatta attraverso l'utilizzo dei parametri contenuti nella tabella uniformemente utilizzata dal Tribunale di (...) elaborata in relazione alla media dei risarcimenti liquidati in loco, secondo un sistema di risarcimento non standardizzato (come quello milanese, che offre limitati spazi di personalizzazione). (...) parte, non sussiste il diritto del danneggiato a pretendere la liquidazione del danno mediante l'applicazione di una tabella in uso a un determinato ufficio giudiziario piuttosto che in un altro (Cass. n. 1524/2010) e qualora il giudice si discosti dall'applicazione delle tabelle in uso nel proprio ufficio è tenuto a dare ragione della diversa scelta (Cass. n. 13130/2006). Le tabelle romane, nel caso di danno da perdita del rapporto parentale, prevedono un sistema di attribuzione di un punteggio numerico che varia in ragione della presumibile entità del danno, sulla base di cinque parametri di riferimento, ovvero la relazione di parentela con il de cuius (dovendo presumersi che il danno sarà tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto), l'età della vittima e l'età del congiunto (il danno sarà tanto maggiore quanto minore è l'età di vittima e congiunto, siccome il pregiudizio è destinato a protrarsi per un tempo maggiore), l'eventuale convivenza e la composizione del nucleo familiare. Si è dunque ritenuto di fare ricorso ad un sistema di calcolo non fondato su un'entità risarcitoria di base da variare in più o in meno, ma sul modello "a punto", vale a dire attribuendo un certo numero di punti per ciascuno dei parametri di riferimento sopra considerati e moltiplicando il punteggio finale per una somma di denaro (valore del punto) che costituisce il valore ideale di ogni punto di danno non patrimoniale. Per adeguare ulteriormente l'entità risarcitoria alla fattispecie concreta si è inoltre prevista la possibilità di applicare una riduzione (dal 2011 fino alla metà del punteggio complessivo) in caso di assenza di convivenza con la vittima, anche allo scopo di diversificare la posizione dei non conviventi. Il valore a punto (da moltiplicarsi, come si è detto, per un'entità numerica variabile a seconda dei cinque parametri sopra menzionati), è convenzionalmente stabilita in via equitativa, sulla base della media di un campione di decisioni adottate dal Tribunale di (...) nell'importo di euro 9.443,50. Orbene, nel procedere all'esame della fattispecie concreta sottoposta all'esame del Tribunale occorre considerare l'età della vittima (anni 28 al momento del decesso) e di quella dei congiunti ((...) anni 69; (...) anni 44; (...) anni 46), al momento dell'evento. Devesi altresì tener conto della circostanza che, come risulta dalle deposizioni testimoniali di (...) e (...) coniugi dei fratelli della vittima, quest'ultima abitava da solo pur mantenendo stretti rapporti sia con la madre che con i germani. Pertanto, alla luce dei criteri sopra menzionati appare equo liquidare: in favore di (...) la somma complessiva di euro 245.531,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 26, ovvero punti 20 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 2 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite). Occorre altresì precisare che in detto importo, così liquidato, è già ricompreso il danno esistenziale, atteso che le tabelle romane per la liquidazione del danno da morte tengono in considerazione le conseguenze pregiudizievoli di natura esistenziale che discendono dalla perdita del congiunto, sicché il riconoscimento di ulteriori importi darebbe luogo ad una indebita duplicazione risarcitoria. Non sono state dimostrate particolari peculiarità del caso concreto suscettive di richiedere una ulteriore personalizzazione nel risarcimento del danno. d) danno patrimoniale da perdita di futuro contributo economico. (...) chiede inoltre il danno conseguente agli aiuti economici "che sicuramente il figlio le avrebbe assicurato durevolmente e spontaneamente", compreso quello inerente alla promessa di regalarle una casa. In realtà dall'istruttoria di causa non emergono elementi, nemmeno indiziari, che possano far ritenere che il figlio in futuro avrebbe destinato parte dei propri risparmi alla madre. In primo luogo, per la precarietà dei vari lavori che egli saltuariamente svolgeva (molti dei quali allegati ma non provati) e che fanno emergere una situazione economica del medesimo ancora tutta da definirsi, anche in considerazione della giovane età e del campo lavorativo prescelto (spettacolo, doppiaggio). In secondo luogo, perché non è stato provato che già in precedenza il de cuius avesse elargito del denaro o altre prestazioni in favore della madre (la quale presta attività lavorativa e convive con altro uomo, come indicato nell'atto introduttivo del giudizio). La domanda sotto tale profilo deve quindi essere disattesa. e) danno psichico iure proprio di (...) la relazione peritale svolta in fase istruttoria, adeguatamente motivata e priva di errori o vizi logici e che quindi si condivide pienamente, la sig.ra (...) ha sviluppato una sindrome depressiva con sicure caratteristiche di consistenza e di persistenza a causa dell'esperienza di lutto sofferta a seguito della prematura scomparsa del figlio (...) presentando dunque una sindrome depressiva cronica che per caratteristiche ed entità costituisce stabile menomazione della integrità psicofisica riconducibile ad un danno biologico parziale permanente del 15% (quindici per cento). Sempre applicando le tabelle romane predisposte per la liquidazione del danno biologico, tenuto conto dell'età della (...) all'epoca in cui presumibilmente la patologia ha avuto origine e quindi con riferimento all'epoca del decesso del figlio (anni 69), nonché considerando il grado di invalidità permanente (15%), si giunge alla liquidazione dell'importo, ai valori attuali, di euro 24.347,29. f) riepilogo degli importi dovuti. Riassuntivamente avremo quindi i seguenti importi risarcitori: (...) la somma complessiva di euro 295.062,29 (245.531,00 + 24.531,29 + 25.000,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00). Gli importi così liquidati non superano il massimale di polizza, sicché non si pone un problema di riduzione del risarcimento e ripartizione del massimale tra gli aventi diritto. g) detrazione degli acconti ricevuti e liquidazione finale. Costituisce dato pacifico che la compagnia ha già corrisposto in data 30 ottobre 2012 euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima, somme da costoro trattenute a titolo di acconto sul maggior avere. La Suprema Corte (Cass. n. 1163 del 5.2.1998) ha stabilito che in materia di risarcimento del danno da illecito civile, qualora il responsabile (od il suo assicuratore), nelle more tra l'illecito e la definizione del giudizio di risarcimento, corrisponda al danneggiato un acconto sul risarcimento dovuto, il giudice deve: a) o sottrarre l'acconto dall'ammontare del risarcimento calcolato con riferimento al momento del sinistro, e quindi rivalutare la differenza; b) oppure rivalutare l'acconto già pagato e sottrarlo dall'ammontare del risarcimento liquidato in moneta attuale (Cass. n. 1163/98). Più di recente, confermandosi tale orientamento, si è precisato che "qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un'operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell'illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l'acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva" (Cass. n. 6347 del 19/03/2014). Ciò posto, rivalutando l'acconto di Euro 200.000,00 corrisposto alla (...) all'attualità si ottiene l'importo di Euro 203.200,00 mentre rivalutando quello corrisposto a ciascuno dei fratelli del de cuius si ottiene l'importo di euro 64.008,00. Tali importi vanno dunque detratti alle somme sopra indicate a titolo di liquidazione del danno, pervenendosi infine all'importo da liquidarsi, sempre ai valori attuali, in Euro 91.862,29 per la (...) e di euro 80.701,00 per ciascun germano. Per quanto concerne gli interessi dovuti per il ritardo nel pagamento (ovvero per il lucro cessante conseguente al mancato godimento della somma dalla data del fatto illecito alla liquidazione del danno), escludendosi la possibilità di porre a base del calcolo la somma già rivalutata all'attualità, occorre procedere come segue: a) gli interessi vanno computati sulla sorte capitale come sopra liquidata e svalutata all'epoca del fatto illecito, quindi rivalutata anno per anno secondo gli indici (...) b) il tasso di interesse da applicare (non sussistendo elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo delle somme in questione) è pari al rendimento medio degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma; c) gli interessi vanno calcolati sull'intero capitale per il periodo intercorrente tra la data del fatto al pagamento dell'acconto e quindi solo sulla somma residua dopo detratto l'acconto per il periodo successivo fino alla liquidazione definitiva. Poiché l'entità risarcitoria, una volta liquidata, assume natura di debito di valuta, dalla data della pubblicazione della presente sentenza a quella dell'effettivo pagamento decorrono gli interessi legali sulla somma complessiva come sopra liquidata. Le spese di giudizio sostenute dagli attori vanno poste a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e della (...) in ossequio al principio di soccombenza, mentre appare opportuno disporne l'integrale compensazione tra le parti quanto ai rapporti con il (...) stante l'oggettiva complessità delle questioni affrontate. Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e (...)". Par. 2.1 Con l'atto di appello (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno formulato le seguenti conclusioni: " Piaccia all'(...)ma Corte di Appello di (...) ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, confermate le parti della sentenza impugnata non censurate, accogliere per tutti i motivi dedotti in narrativa l'appello proposto e, per l'effetto, in parziale riforma nei punti indicati nella parte motiva della sentenza n. (...)/2017, emessa dal Tribunale di (...) all'esito del giudizio r.g. n. 20990/2014, pubblicata il (...) e non notificata, accogliere le conclusioni avanzate in prime cure all'udienza di precisazione delle conclusioni del 20.7.2017, che si riportano: in via istruttoria, per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015; nel merito, chiedendo l'applicazione delle (...) di liquidazione del danno del Tribunale di Milano: ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, accertata e dichiarata la esclusiva responsabilità del sig. (...) conducente l'autovettura di proprietà dell'(...) dei (...) S.r.l., nel verificarsi del sinistro che ha provocato in data 19 luglio 2011 la morte di (...) condannare i convenuti in solido, e con riferimento all'(...) S.p.a. Div. RAS anche ultra massimale, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; per l'ipotesi che venga accertato che il sinistro non è causa unica o esclusiva della morte di (...) e che la stessa sia attribuibile in tutto o in parte alla responsabilità del (...) chiamato in causa, condannare lo stesso (...) in solido con i convenuti, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; in ogni caso, oltre a tutti i danni da quantificarsi utilizzando il valore dei beni perduti al momento del fatto illecito espresso poi in termini monetari tenendo conto della svalutazione intervenuta al momento dell'emissione della sentenza definitiva , condannare in solido i convenuti e il terzo chiamato in causa al pagamento degli interessi compensativi del mancato godimento della somma liquidata, interessi da calcolarsi, secondo i principi della richiamata sentenza n.21396/2014 Cass., nella misura scelta in via equitativa dal Giudice e da applicarsi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e il credito espresso in moneta dell'epoca dell'illecito, ovvero da calcolarsi nella diversa somma ritenuta di giustizia, a decorrere dalla data in cui si sono verificati i danni a quella di liquidazione, oltre interessi legali sull'intera somma così liquidata dalla data di liquidazione al saldo. In ogni caso, con vittoria dei compensi e delle spese di causa, ivi comprese quelle di CTU e di (...) Con vittoria dei compensi e delle spese anche del presente grado di giudizio". Par. 2.2 (...) s.p.a., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello. Ha inoltre proposto appello incidentale formulando le seguenti conclusioni: "1) disattesa ogni contraria istanza: 2) in via principale e nel merito: rigettare l'appello come proposto siccome infondato in fatto ed in diritto oltre che non provato; 3) in accoglimento dell'appello incidentale qui svolto da (...) accertare e dichiarare il concorrente contributo causale nella determinazione dell'e(...)itus da parte degli agenti del (...) dell'(...) ((...) e (...) del (...), con determinazione della rispettiva quota di responsabilità e, conseguentemente, condannare il (...) in persona del ministro pro tempore: al risarcimento del danno per quanto di responsabilità dei suoi dipendenti (in ciò tenendo conto del grado di colpa che sarà affermato); a manlevare i convenuti per il loro, residuo grado responsabilità; al conseguente versamento in favore di (...) pro quota, delle somme che saranno ritenute dovute in considerazione dell'accertato concorso di colpa, tenendo conto che la deducente ha già provveduto al pagamento, in favore degli appellanti, della complessiva somma di euro 631.833,00 (di cui euro 326.000,00 ante causam, ed euro 305.833,07 post sentenza di prime cure); ovvero, in via alternativa, con condanna degli appellanti alla restituzione delle somme percepite in eccesso rispetto a quanto risulterà provato e dovuto in considerazione del richiamato concorso di colpa; 4) con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre accessori di legge". Par. 2.3 (...) dei (...) s.r.l., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha formulato le seguenti conclusioni: "in rito in via principale, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo dei requisiti di forma previsti e richiesti a pena di inammissibilità dell'art. 342 c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; in rito in via subordinata, ove non fosse accolta la eccezione che precede, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo di una ragionevole probabilità di essere accolto e(...) art. 348 bis c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; nel merito, accertare e dichiarare la infondatezza dei motivi di appello proposti dagli odierni appellanti, (...) ed (...) ed (...) e per l'effetto respingere in toto l'avverso atto di appello e di gravame; con vittoria di spese e compenso professionale. (...) l'obbligo di manleva della compagnia (...) s.p.a. nei riguardi della odierna comparente e con riguardo a qualsiasi somma che a qualsiasi titolo quest'ultima fosse condannata ad esborsare in relazione al giudizio de quo". Par. 2.4 (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) costituitosi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello formulando le seguenti conclusioni: " Voglia Codesta Corte di Appello: dichiarare l'inammissibilità dell'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e (...) e dell'appello incidentale proposto dalla (...) in subordine, rigettare, perché infondati, l'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e l'appello incidentale proposto dalla (...) Con vittoria delle spese di lite". Par. 2.5 All'udienza del 25/09/2018 è stata dichiarata l'interruzione del processo per l'intervenuto decesso di (...) Par. 2.6 Con ricorso e(...) art. 303 c.p.c. (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno riassunto il giudizio, notificando detto ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza anche impersonalmente agli eredi del (...) che non si sono costituiti in giudizio. Par. 2.7 All'odierna udienza i difensori delle parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi ai rispettivi scritti, e hanno discusso oralmente la causa. Par. 3.1 Con il primo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "omessa pronuncia sui danni da perdita di chance per (...) e per (...)". In particolare, quanto alla vittima, si deduce che si sarebbe trovato in un momento particolarmente propizio della sua carriera, caratterizzato da importante crescita professionale; per lui, dunque, si sarebbero avverati i presupposti per ottenere i risultati professionali da tempo attesi, impediti dalla condotta illecita che lo ha portato alla morte. Così come quest'ultima condotta avrebbe comportato la perdita delle chance di sopravvivenza, atteso il mancato approntamento di strumenti immediati ed idonei per salvarlo. Quanto alla madre della vittima ci si duole della perdita, a seguito del decesso del figlio, di concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire nel prossimo futuro consistenti apporti economici da costui. La censura è infondata. La risarcibilità del danno da perdita di chance richiede, come noto, i consueti presupposti di serietà, apprezzabilità, concretezza e certa riferibilità eziologica della suddetta perdita alla condotta in rilievo. Orbene, il consulente tecnico del P.M. ha precisato che il decesso di (...) non è stato causalmente riconducibile all'urto patito, che non ebbe a determinare lesività fisiche ai fini del determinismo della morte; bensì da insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace causata dalla autovettura guidata dal (...) che, investitolo, lo aveva bloccato sotto di sé; ciò posto deducono gli appellanti principali che la vittima avrebbe certamente potuto salvarsi se i soccorsi non fossero arrivati in ritardo e se, una volta giunti, non si fossero presentati con le bombole del gas per azionare i gonfiabili scariche, sicché il sollevamento della autovettura investitrice, con conseguente liberazione del corpo della vittima, sarebbe avvenuto troppo tardi, con l'arrivo del secondo mezzo dei vigili del fuoco, quando il (...) bloccato ormai da tempo in stato di respirazione fortemente dispnoica, era infine ormai deceduto. Invero, alcun ritardo o negligenza appare addebitabile ai soccorsi, atteso che, come risulta dal rapporto di intervento n. 26292/1 del 19 luglio 2011, i vigili del fuoco, chiamati alle 20,05 e partiti alle 20,06, giunsero sul luogo del sinistro, distante 7 Km, alle ore 20,11 e procedettero immediatamente a sollevare l'autovettura mediante l'uso di un martinetto idraulico manuale. Premesso che tale rapporto già di per sé integra gli estremi dell'atto pubblico, condividendone pertanto l'efficacia probatoria privilegiata (cfr. Cass. sez. III, n. 13223 del 27 giugno 2016; Cass. civ., sez. III, n. 8999 del 6 maggio 2015), la tempestività dell'intervento e la sua efficacia è comunque confermata dalla relazione conclusiva delle indagini di polizia giudiziaria eseguite dalla (...) prot. n. 3249 del 18 gennaio 2012. In essa, infatti, si precisa, nel paragrafo rubricato "(...) esperiti in sede di sopralluogo", che la prima squadra dei vigili del fuoco arrivò, per l'appunto, "verso le ore 20,10" e che fu essa "a sollevare l'autovettura con apposita attrezzatura". Quanto alla lamentata perdita di chance di carriera, in tal caso, piuttosto che il difetto di riferibilità eziologica, appare rilevante l'assenza dei presupposti di serietà, apprezzabilità e concretezza. Infatti, la carriera di doppiatore di (...) era appena cominciata da due anni, sicché nonostante i lusinghieri commenti rilasciati dai colleghi con dichiarazioni scritte versate in atti (doc. 16 24 fascicolo attoreo), essa appariva ancora del tutto in nuce, come comprovato dalle dichiarazioni dei redditi, le quali se pur migliori rispetto agli anni passati, erano comunque contenute, evidenziando introiti di poco superiori ai 20.000,00 euro annui (doc. 12 fascicolo attoreo). Del resto nelle suddette dichiarazioni scritte dei colleghi, al di là di generiche affermazioni al riguardo, non si specificano quali sarebbero state le attività di doppiatore effettivamente in corso in quel momento o che comunque la vittima si sarebbe accinta a compiere; a riprova che, per quanto talentuoso, il suo lavoro era ancora saltuario. Sicché prendere a parametro i guadagni di professionisti già affermati nel campo (v. doc. 43, 44 e 45 fascicolo attoreo) appare incongruo, ed asserire che la vittima avesse "davanti una vita non comune, con il successo alle porte" risulta eccessivo. Dal rigetto della asserita perdita di chance di carriera per (...) deriva di riflesso anche quella della asserita perdita di chance economiche della madre (...) atteso che quest'ultima chance secondo la stessa prospettazione degli appellanti principali non sarebbe stata altro che la conseguenza della prima. Tanto più che non vi è prova che il defunto aiutasse la madre, la quale aveva comunque una vita autonoma ed un compagno. Par. 3.2 Con il secondo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la carente personalizzazione del danno non patrimoniale, atteso che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valorizzato la peculiarità del caso concreto. La censura, per come formulata, è infondata (...) al riguardo gli appellanti principali che "avere del tutto trascurato l'esame delle circostanze che sostanziano i danni per le perdite di chance" renderebbe evidente che non sarebbero state "considerate tutte le eccezionali circostanze del caso concreto e che non sia stata quindi valutata l'effettiva consistenza di tutti i danni subiti dagli attori". In particolare, si deduce che "non solo della morte di un ragazzo di 28 anni in ottima salute si tratta, ma di questa morte, in questo modo e in questo momento della sua vita anche professionale. E proprio queste peculiarità hanno reso enormi le sue sofferenze e insuperabili le sofferenze di chi lo ha amato". Orbene, appare evidente che l'asserito difetto di personalizzazione del danno non patrimoniale non può essere trattato autonomamente, pena una indebita duplicazione delle voci risarcitorie, ma che dovrà essere affrontato, piuttosto, nella disamina dei diversi aspetti di tale danno riconosciuti dal giudice di prime cure, ossia il c.d. danno catastrofale, il danno da perdita di rapporto parentale ed, infine il danno psichico, su cui gli appellanti principali hanno formulato specifici motivi di doglianza lamentando la loro liquidazione, ritenuta, per l'appunto, del tutto riduttiva. Par. 3.3 Con il terzo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "il mancato riconoscimento del danno da perdita della vita". Si deduce al riguardo che l'irrisarcibilità del danno da perdita della vita immediatamente conseguente come nel presente caso alle lesioni di un fatto illecito appare superato dal dibattito dottrinario, nel quale: sono state considerate interne al sistema anche la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile; è stato considerato che comunque nel rispetto della funzione compensativa del risarcimento del danno da perdita della vita, tale diritto accrescerebbe il patrimonio ereditario della vittima; è stato considerato che la lesione mortale interviene quando la vittima è in vita e può quindi soffrire il danno ingiusto provocatole da tale lesione, il cui processo causale si concluderebbe proprio con la morte; è stato considerato che nell'illecito che abbia provocato il decesso verrebbe menomata una capacità dell'individuo, ossia la sua attitudine alla sopravvivenza e, così configurato il pregiudizio per la lesione del diritto alla vita, si rimarrebbe nella dimensione tipica del danno conseguenza. La censura è infondata. Come noto, a seguito della morte sopraggiunta dopo lesioni personali e da esse provocata, la vittima può acquisire un diritto al risarcimento del danno da perdita di vita (rectius, danno biologico terminale), trasmissibile agli eredi, soltanto se sia sopravvissuta per un tempo apprezzabile, anche se incosciente. E ciò perché in tal caso si risarcisce la oggettiva forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità. Sicché per un verso quel che rileva è la perdita in sé, e non anche la consapevolezza di essa; e per l'altro è necessario che la vita, sia pur menomata, prosegua quel tanto da determinare che la lesione si possa riflettere in una concreta perdita delle attività realizzatrici dell'individuo nel suo ambiente di vita. In particolare, la durata apprezzabile minima della sopravvivenza è ritenuta essere 24 ore, atteso che per risalente convenzione medicolegale il danno alla salute da invalidità temporanea si apprezza in giorni e non in frazioni di esso; infatti, sarebbe un esercizio meramente teorico pretendere di dare un peso monetario alle attività di cui la vittima è stata privata durante un periodo di sopravvivenza protrattosi per poche ore o per pochi minuti (in particolare, v. Cass. civ., sez. III, ord. n. 18056 del 5 luglio 2019; da ultimo, Cass. civ., sez. III, ord. 1627 dell'8 giugno 2023). Pertanto, atteso che nel presente caso la sopravvivenza della vittima si è protratta per pochi minuti (sul punto v. amplius il seguente paragrafo Par. 3.4), non può ritenersi integrato l'invocato danno "da perdita della vita". Par. 3.4 Con il quarto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una inadeguata quantificazione del c.d. danno morale catastrofale, atteso che il primo giudice avrebbe sia sottostimato l'intensità della lucida agonia, che, per un soggetto che soffriva da anni dell'emergere di angosce ipocondriache innescate talvolta da ansia somatizzata con difficoltà respiratorie, sarebbe stata, per le modalità del fatto, "la massima (...) concepibile"; sia sottostimato il periodo di lucida agonia, atteso che a fronte di un incidente verificatosi poco prima delle ore 20.00 l'unico dato sicuro è che la morte è stata ufficialmente constatata soltanto alle ore 20.40. La censura è infondata. Nella relazione prot. n. (...) del 20 novembre 2014 redatta da (...) responsabile della squadra dei vigili del fuoco che operò l'intervento di soccorso, ritualmente prodotta dall'Avvocatura dello Stato, è precisato che all'arrivo la vittima, che si trovava incastrata sotto la vettura, non presentava " alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". E' ben vero che trattasi di relazione redatta a chiarimenti a processo in corso e dopo oltre tre anni dallo svolgimento dei fatti, sicché ad essa non può attribuirsi la forza probatoria privilegiata del verbale di intervento, ove tale specificazione non era contenuta. Tuttavia, premesso che il suddetto verbale è costituito da un formulario standard che non appare consentire una siffatta specificazione (sicché tale assenza non è di per sé incompatibile con la veridicità delle successive dichiarazioni scritte), deve essere evidenziato che in effetti già poco prima dell'intervento dei vigili del fuoco un passante presente sul posto non aveva più rinvenuto segni vitali sul (...) (v. sommarie informazioni testimoniali rese e(...) art. 351 c.p.p. da (...) "mi sono preoccupato di fare qualcosa per la persona sotto la macchina, che, nonostante gli parlassi, non dava segni di vita"). Ciò rende plausibile ritenere che i segni di vita percepiti dai privati cittadini per primi intervenuti, ed in particolare da (...) (v. s.i.t. del 4 ottobre 2011) e da (...) (v. s.i.t. del 29 settembre 2011), siano da circoscrivere ai momenti immediatamente successivi al sinistro, verificatosi qualche minuto prima delle 20.00; e che in poco tempo, e comunque prima dell'arrivo dei vigili del fuoco alle 20.11, fossero già scomparsi come riferito dal (...) così corroborando la dichiarazione scritta del capo squadra dei soccorritori. Peraltro, premesso che la data formale di constatazione della morte non coincide necessariamente con il momento effettivo della stessa tanto più nel presente caso ove è circostanza pacifica in atti che l'autoambulanza con il personale medico giunse sul posto soltanto successivamente alle 20.30 , deve altresì essere evidenziato che tra coloro che percepirono segni di vita del (...) fu soltanto il (...) ad aver ottenuto una risposta cosciente della vittima ("avvicinandomi a lui lo sollecitavo a muovere un piede, cosa che faceva, anche se in maniera lieve"); ma già il (...) non percepì risposte del genere ("il predetto, però, non rispondeva alle mie domande"). In conclusione, appare ragionevole desumere, sulla scorta delle circostanze suddette, che la sopravvivenza si sia protratta al massimo poco più di 10 minuti, ossia tra qualche minuto prima delle 20.00 e l'arrivo dei vigili del fuoco verso le 20.10; e che durante questo lasso temporale la vittima ha manifestato segni di coscienza assai labili. Pertanto, pur sussistendo gli estremi per il riconoscimento del danno morale catastrofale, la liquidazione del primo giudice pari ad Euro 50.000,00 appare congrua rispetto al tempo minimo di sopravvivenza ed alla limitata caratterizzazione dei segni di coscienza e consapevolezza. Par. 3.5 Con il quinto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza per una riduttiva liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale, sia per una sua inadeguata personalizzazione, conseguenza della mancata ammissione delle prove testimoniali richieste; sia per l'utilizzazione delle tabelle previste dal Tribunale di (...) anziché di quelle del Tribunale di Milano. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove testimoniali, che avrebbe impedito, fra l'altro, di far emergere le eccezionali conseguenze subite dagli attori/odierni appellanti principali, si rinvia al successivo paragrafo Par. 3.8, ove si tratta lo specifico motivo di doglianza. Quanto all'uso delle tabelle del Tribunale di (...) si osserva che in merito al criterio equitativo da utilizzarsi per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di rapporto parentale, la S.C. ha affermato il seguente consolidato principio di diritto: "al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (Cass. civ., sez. III, n. 10579 del 21 aprile 2021). Orbene, al tempo della decisione impugnata (e fino al giugno 2022) le tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita di relazione parentale non seguivano ancora il meccanismo del punto variabile, bensì quello a forbice; e pertanto all'epoca della aestimatio dei danni in questione erano maggiormente conformi al predetto principio di diritto le (...) del Tribunale di (...) la cui applicazione nel caso specifico, pertanto, non è in alcun modo censurabile (Cass. civ., sez. III, n. 11689 dell'11 aprile 2022). Par. 3.6 Con il sesto motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza per l'omesso riconoscimento in suo favore del danno patrimoniale futuro da perdita del contributo economico che le avrebbe garantito il figlio (...) Al riguardo ci si duole della mancata ammissione delle prove testimoniali volte a dimostrare l'esistenza tra madre e figlio di un ménage familiare di reciproco scambio e sostegno nonché il momento particolarmente propizio per la carriera della vittima e le connesse importanti possibilità anche economiche, peraltro avendo il primo giudice erroneamente omesso di valorizzare le prove documentali già presenti e rilevanti in tal senso. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove orali, si rinvia al prossimo Par. 3.8, specifico sul punto. Relativamente alle prove documentali che sarebbero state ingiustamente disattese, invero gli appellanti principali richiamano quelle già invocate in materia di danno da asserita perdita di chance di cui al primo motivo di appello, la cui limitata valenza euristica invero è già stata vagliata nella seconda parte del precedente Par. 3.1., a cui anche in tal caso si rinvia. Par. 3.7 Con il settimo motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza, lamentando, a seguito di un acritico recepimento da parte del primo giudice delle conclusioni del (...) una riduttiva liquidazione del danno psichico, atteso che l'ausiliario del giudice non avrebbe tenuto in alcun conto dei risvolti pregiudizievoli di carattere esistenziale. La censura è infondata. Il danno psichico è quella forma di danno biologico che consiste in una alterazione delle funzioni psichiche accertabile mediante criteri medicolegali. Ciò posto, come qualsiasi danno biologico esso è rilevante soltanto se implica una riduzione delle potenzialità realizzatrici della persona, sia rispetto al suo ambiente di vita che ai rapporti interpersonali; infatti, sono proprio tali conseguenze pregiudizievoli il necessario presupposto per la risarcibilità dell'evento lesivo della salute. Ne consegue che la liquidazione secondo il valore monetario base, espressione di una valutazione media uniforme, già ingloba quelle conseguenze negative sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato che secondo l'id quod plerumque accidit sono da ritenersi normali ed indefettibili, ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire (Cass. civ., sez. III, n. 8127 del 23 aprile 2020). Ai fini dell'aumento per la personalizzazione, la vittima avrebbe dovuto dimostrare, dunque, di aver subito conseguenze anomale o del tutto peculiari, eccedenti tale ordinarietà (cfr. Cass. civ., sez. VI 3, ord. n. 5865 del 4 marzo 2021). In tal senso l'appellante principale rinvia alla (...) ove viene evidenziato che insieme alla sindrome depressiva scaturita dall'incapacità di elaborazione del lutto coesistono "spunti ansiosi e ossessivi", tali da determinare "importanti risvolti negativi (...) non solo come sofferenza individuale, ma anche come sofferenza sociale". Tuttavia, trattasi di aspetto che il CTU non ha omesso di valutare ("il contenuto sintomatologico è di tipo prevalentemente depressivo con qualche spunto di tipo ansioso ed ossessivo, come non infrequente in siffatti profili psicopatologici"), e che, pertanto, deve ritenersi essere già stato preso in considerazione dal medesimo ai fini della quantificazione, a monte, dello stesso grado di invalidità nella misura del 15%. Par. 3.8 Con l'ottavo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la mancata ammissione di prove testimoniali da ritenersi invece rilevanti per dimostrare compiutamente, anche in termini di personalizzazione, tutte le componenti dei danni patrimoniale e non patrimoniale per cui essi hanno agito in giudizio. La censura è infondata. Nell'atto di appello, al riguardo, si insta "per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015". Orbene, le richieste di prove orali, articolate con mero rinvio alle circostanze così come capitolate negli atti di causa e non specificamente riprodotte in questa sede (...)possono essere accolte, atteso che "In osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado" (Cass. civ., sez. III, ord. n. 16420 del 9 giugno 2023). Par. 3.9 Con il nono motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una omessa pronuncia sulla richiesta di condanna ultramassimale della compagnia assicuratrice per asserita mala gestio impropria. La censura è inammissibile; infatti, in ragione del rigetto dei precedenti motivi di gravame, l'entità risarcitoria riconosciuta è ampiamente contenuta nel massimale assicurato, sicché ne consegue la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare in parte qua. Par. 3.10 Con il decimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando il mancato riconoscimento di alcune spese, quantificate complessivamente in Euro 7.750,67. In particolare, il dettaglio delle somme richieste è contenuto nelle note difensive conclusionali autorizzate, depositate il 7 gennaio 2022, di seguito ritrascritto: "Euro 3.500,67 per spese funebri (fattura n. 443 del 20.08.2011 doc. 36 fascicolo di primo grado): Euro 2.420,00 per spese del (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 35 fascicolo di primo grado); Euro 610,00 per anticipo spese al (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 56 fascicolo di primo grado); Euro 1.220,00 per spese del (...) (fattura n. 31 dell'1.3.2016 doc. 55 fascicolo di primo grado)". La censura è infondata. Orbene, come risulta dal suddetto dettaglio, trattasi di fatture, le quali non comprovano anche l'effettivo esborso. Invero, con specifico riferimento alle (...) la S.C. ha statuito che "la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell'avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova dell'effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione" (Cass. civ., sez. I, n. 4357 del 25 marzo 2003). Al riguardo occorre allora ulteriormente precisare che la fattura n. 91 del 21 maggio 2012 non può essere rimborsata, attenendo non al presente procedimento civile, bensì al procedimento penale nei confronti del (...) Mentre le spese di cui alla fattura n. 31 del 1° marzo 2016, che attengono al presente procedimento, sono state comunque liquidate dal primo giudice, anche se in maniera ridotta (Euro 600,00 anziché Euro 1.226,00), ma ciò in base all'esercizio di un potere del tutto legittimo del giudicante, che è quello di verificare la congruità dell'importo (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 3380 del 20 febbraio 2015). Par. 3.11 Con l'undicesimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una liquidazione eccessivamente ridotta delle spese di lite, che sarebbero inferiori ai minimi tabellari. La censura è infondata. Tenuto conto del decisum, ossia Euro 91.862,29 in favore di (...) ed Euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, doveva applicarsi il sesto scaglione (superiore ad Euro 260.000,00); secondo le tabelle del D.M. n. 55/2014, all'epoca non ancora aggiornate, i minimi ammontavano ad Euro 12.678,00. Conseguentemente, pur computando l'aumento, comunque non obbligatorio ("il compenso unico può di regola essere aumentato"), del 20% per ogni soggetto ulteriore al primo avente la medesima posizione processuale (art. 4, comma 2, D.M. cit.), il compenso finale di Euro 18.000,00 riconosciuto dal primo giudice, anche se per poco, non è inferiore ai predetti minimi comprensivi di siffatto aumento. Laddove tale quantificazione appare congrua tenuto conto, per un verso, della notevole divergenza tra quanto richiesto (Euro 2.600.000,00) ed il decisum e, per l'altro, della circoscritta entità del superamento del precedente quinto scaglione. Par. 4 Con unico motivo di impugnazione, l'appellante incidentale (...) s.p.a. censura la gravata sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto "la corresponsabilità del (...) per il fatto e la colpa, anche omissiva, dei propri dipendenti, nella causazione del decesso di (...) e/o nell'aggravamento delle sue conseguenze". Preliminarmente debbono essere rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dall'Avvocatura di Stato. Quanto alla prima, ossia al non essere stato l'appello incidentale notificato al (...) dell'(...) devesi evidenziare che dal verbale della prima udienza del 26 settembre 2018 non risulta alcuna declaratoria di contumacia di tale ente, bensì esclusivamente la pronuncia di sospensione del giudizio per sopravvenuta comunicazione del decesso della parte (...) mentre nella successiva udienza del 25 giugno 2019 il (...) risulta regolarmente costituito. Tanto più che nella comparsa di costituzione l'Avvocatura dello Stato ha comunque ampiamente preso posizione contro tale gravame, sicché qualsivoglia eventuale irregolarità deve comunque ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo e(...) art. 156 c.p.c. Quanto alla seconda eccezione, anche se il primo giudice nell'escludere il concorso causale dell'(...) ha pronunciato su domanda proposta da soggetti diversi dalla (...) s.p.a., la legittimazione di quest'ultima ad impugnare la sentenza di primo grado in parte qua deriva dalla circostanza che essa potrebbe subire un aggravamento della propria responsabilità indennitaria dall'accoglimento dell'appello principale (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. n. 10477 del 17 aprile 2024). Tanto premesso in rito, nel merito la censura è infondata. Al riguardo può rinviarsi a quanto già argomentato nella prima parte del Par. 3.1 sulla assenza in capo alla vittima del danno da asserita perdita della chance di sopravvivenza. Par. 5 In conclusione, debbono essere rigettati tanto l'appello principale quanto l'appello incidentale. Par. 6 Le spese di lite del grado vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della generale complessità degli accertamenti oggetto di causa. Ai sensi dell'art. 13, comma 1quater, d.P.R. n. 115/2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti principali e dell'appellante incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettata, a norma del comma 1bis, medesimo art. 13. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) e (...) nonché sull'appello incidentale proposto da (...) s.p.a., avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), così provvede: a) rigetta l'appello principale; b) rigetta l'appello incidentale; c) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite del grado; d) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002 a carico sia degli appellanti principali (...) e (...) sia dell'appellante incidentale (...) s.p.a.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE II CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: Dott. Carlo MADDALONI Presidente Dott. Maria Elena CATALANO Consigliere Dott. Manuela ANDRETTA Consigliere estensore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado, iscritta al n. 2482 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2022, promossa con atto di citazione notificato il 2 settembre 2022 ai sensi della legge n. 53 del 1994 da (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Fornovo San Giovanni (BG), (...) ed elettivamente domiciliata in Bergamo, (...), presso lo studio dell'avv. Pa.Ca. del Foro di Bergamo, che la rappresenta e difende giusta procura allegata all'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado APPELLANTE Contro (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Tavagnacco (UD), (...) ed elettivamente domiciliata in Brescia, (...), presso lo studio dell'avv. Em.Fa. del Foro di Brescia, che la rappresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di risposta deposita nel giudizio di primo grado APPELLATO PER LA RIFORMA della sentenza n. 1495/2022, pubblicata il 5 luglio 2022 dal Tribunale di Monza nella causa iscritta al n. 1514/2021 r.g. OGGETTO: responsabilità ex art. 2043 c.c. Conclusioni: come note di precisazione delle conclusioni depositate per l'udienza del 12 settembre 2023, da intendersi qui integralmente richiamate e trascritte. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato il 17 febbraio 2021 (...) (di seguito denominata (...) ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Monza, (...) (di seguito denominata (...)- già (...) - allegando le seguenti circostanze: in data 11 giugno 2014 era pervenuta a (...) una mail da parte della filiale di Monza di (...) con la quale la società attrice veniva convocata a presentarsi "per la sottoscrizione del modello dell'adeguata verifica della clientela"; il 16 giugno 2014 la parte attrice chiedeva spiegazioni in merito, non avendo mai intrattenuto alcun rapporto con la filiale di Monza della predetta banca, avendo solamente stipulato un contratto di leasing con la filiale di Bergamo; a seguito dell'ulteriore richiesta di regolarizzazione inoltrata dalla banca il 14 ottobre 2014, con mail del 21 ottobre 2014 il difensore di (...) dava riscontro a detta richiesta, formulando formale invito a rendere spiegazioni al riguardo; mediante successive comunicazioni (...) informava la società interessata dell'esistenza di un conto corrente acceso a nome di (...) presso la filiale di Monza; a seguito dell'esame della documentazione richiesta, fornita dall'istituto di credito, (...) rilevava come tutte le sottoscrizioni apposte a suo nome nei documenti contrattuali stipulati per l'apertura del conto corrente in questione fossero apocrife e comunicava tale circostanza in data 8 luglio 2015 all'istituto di credito, chiedendo di avere accesso agli estratti di conto corrente; dalla documentazione fornita dalla (...) si evinceva che sul conto corrente in questione erano stati effettuati numerosi movimenti in entrata e in uscita, "per svariate decine di migliaia di euro"; che con delega sottoscritta con firma apocrifa era stata autorizzata ad operare sul detto conto corrente tale (...); che l'agenzia era stata autorizzata a ricevere ordini per l'esecuzione di operazioni a mezzo del telefax e che anche le firme apposte in calce a tale autorizzazione a nome di (...)" e (...)" erano all'evidenza apocrife; (...) legale rappresentante della società, veniva così a sapere che era stato aperto a sua insaputa un conto corrente a nome della società; che su di esso erano state effettuate numerose operazioni; che su tale conto aveva operato una persona del tutto estranea alla compagine sociale di (...) che nessuna comunicazione era mai pervenuta alla società dalla banca e che il conto corrente era stato, infine, estinto a sua insaputa. Sulla base di tali circostanze la parte attrice ha ravvisato una "gravissima responsabilità - per dolo o colpa grave - dei funzionari (...), i quali come minimo avevano omesso di verificare adeguatamente l'identità della persona che si era recata materialmente nei locali della banca ed aveva stipulato il contratto di conto corrente, sottoscrivendo tutta la documentazione negoziale in via apocrifa". La parte attrice ha, infine, dedotto che "tale circostanza , del tutto inusitata, le aveva arrecato un grave danno extra-contrattuale, ravvisabile, sotto il profilo patrimoniale, nella sommatoria di tutti gli importi prelevati dal conto corrente nel falso interesse della società, mentre sussisteva altresì, nella fattispecie, un danno di pericolo, dato che le operazioni effettuate in nome e per conto della società esponente non avevano ovviamente avuto un riscontro contabile e fiscale, e non poteva escludersi che avessero un contenuto illecito, che avrebbe potuto essere contestato alla (...).. Sulla base di tali premesse (...) ha chiesto di "accertare che tra (...) e soggetti rimasti ignoti fu illecitamente stipulato un contratto di conto corrente apparentemente e falsamente riferibile alla società (...) e per l'effetto condannare la convenuta a risarcire il danno arrecato alla società attrice corrispondente a tutti gli importi prelevati da tale conto corrente, nonché costituito da ogni altro nocumento arrecato, da quantificarsi in via equitativa". Tempestivamente costituitasi in giudizio, (...) ha formulato eccezioni preliminari di nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dell'oggetto e di prescrizione dell'azione ai sensi dell'art. 2947, primo comma, c.c. Nel merito, la parte convenuta ha eccepito che parte attrice non aveva provato alcun elemento costitutivo dell'asserita responsabilità extracontrattuale dell'istituto di credito, avendo solo rilevato genericamente di aver subito un danno extra contrattuale. Ha dedotto che il saldo attivo del conto corrente derivava da due bonifici dell'importo di euro 25.800,00 e di euro 19.968,00 disposti da parte di Te. S.p.A.; che tali importi erano stati oggetto di successive operazioni di trasferimento e prelievo; che non via era stata, da parte di (...) alcuna segnalazione, denuncia o altro evento pregiudizievole riconducibile al rapporto di conto corrente in questione e alle sue movimentazioni. (...) ha, quindi, chiesto anche la condanna per lite temeraria, ai sensi del primo e dell'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c., deducendo che parte attrice aveva promosso l'azione di risarcimento da responsabilità extracontrattuale nella consapevolezza di non aver subito alcun danno. Istruita la causa mediante acquisizione dei documenti rispettivamente depositati dalle parti, con sentenza n. 1495/2022, pubblicata il 5 luglio 2022, il Tribunale di Monza ha rigettato la domanda, condannando Parte_l a rimborsare le spese processuali anticipate dalla parte convenuta e a pagare a (...)  la somma di denaro di euro 4.000,00 a norma dell'art. 96, ultimo comma, c.p.c. Il giudice ha ritenuto insussistente il danno lamentato da parte attrice sulla base delle seguenti argomentazioni: "affinché sia configurabile la responsabilità extracontrattuale della banca per accensione di un conto corrente non autorizzata dal titolare, per omesso controllo dell'identificazione del sottoscrittore, e sorga l'obbligazione del risarcimento del danno non è sufficiente che tale fatto pregiudichi l'interesse altrui, ma occorre che esso abbia arrecato un danno ingiusto. Nella specie, come evidenziato dalla stessa parte attrice, il conto corrente abusivamente intestato alla società (...)  era stato aperto a sua insaputa e su di esso erano state effettuate numerose operazioni da parte di una persona del tutto estranea alla compagine sociale. Non è stato dedotto, tuttavia, che tali operazioni abbiano comportato spostamenti patrimoniali di poste attive e passive di pertinenza della Società, dal momento che non risulta che quest'ultima lo abbia mai alimentato con propria provvista. Ne consegue che non costituisce danno patrimoniale della società (...) la sommatoria di tutti gli importi prelevati dal suddetto conto corrente, posto che si tratta di somme pacificamente non di spettanza della stessa. Per quanto riguarda il preteso danno morale da pericolo, riconducibile, secondo l'attrice, alle conseguenze dannose determinate da una condotta integrante un'ipotesi di reato, va osservato che anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è conseguenza normale dell'illecito, ma non automatica e necessaria, dovendosi escludere la configurabilità di un danno in re ipsa, posto che deve concretizzarsi in effettivi disagi e turbamenti di carattere psicologico causalmente prodotti dalla lesione del diritto alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri (cfr. Cass. n. 7034 del 12/03/2020; Cass. n. 25 730 del 1/12/2011). Nella specie, nulla è stato specificamente dedotto in merito, né che il preteso fatto lesivo abbia in qualche modo altrimenti inciso su una situazione giuridica della persona giuridica equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, come ad esempio il diritto all'immagine o al nome, determinando una diminuzione della considerazione dell'ente da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisce. Nessun danno, pertanto, è allo stato riscontrabile e neppure prevedibile". Quanto alla condanna per lite temeraria ai sensi dell'art. 96, ultimo comma, c.p.c., il giudice ha ritenuto che "l'attrice ha intrapreso l'azione giudiziale nella consapevolezza di non aver sopportato alcun danno, non essendole riferibili le singole operazioni effettuate sul conto, tenendo una tipica condotta processuale temeraria, quantomeno colposamente gravatoria e pretestuosa, tesa a sfruttare abusivamente l'errore altrui, di per sé improduttivo di effetti dannosi". Con atto di citazione ritualmente notificato il 2 settembre 2022 (...) ha impugnato la predetta sentenza, di cui ha chiesto l'integrale riforma sulla base delle seguenti conclusioni: "si chiede che l'On.le Corte di Appello adita, in riforma dell'impugnata sentenza, adito, accertato e dichiarato he tra Hy. S.p.A. e soggetti rimasti ignoti è stato illecitamente stipulato un contratto di conto corrente apparentemente e falsamente riferibile alla società (...) (...) voglia condannare la società convenuta a risarcire il danno morale e non patrimoniale arrecato alla società attrice, da quantificare in via equitativa. Voglia, in ogni caso, in riforma dell'impugnata sentenza, revocare il capo della stessa con il quale la società (...) è stata condannata al risarcimento dei danni ex art. 96, III° comma, c.p.c., per difetto dei presupposti sufficienti e necessari per l'applicazione di tale norma". Tempestivamente costituitasi in giudizio il 2 gennaio 2023, (...) ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del gravame ai sensi dell'art. 342 c.p.c.; ha riproposto le eccezioni rimaste assorbite in primo grado e ha puntualmente confutato i motivi dell'appello, chiedendone il rigetto. La parte appellata ha chiesto la condanna dell'appellante ai sensi del primo e dell'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c. Non essendo possibile conciliare la lite, la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 12 settembre 2023, celebrata nelle forme della trattazione scritta di cui all'art. 127 ter c.p.c. Le parti hanno depositato comparse conclusionali e memorie di replica entro i termini (cinquanta giorni e, successivamente, venti giorni) all'uopo assegnati con provvedimento emesso ai sensi del combinato disposto degli artt. 190 e 352 c.p.c. Essendo scaduti i predetti termini di deposito degli scritti conclusivi di cui all'art. 190 c.p.c. nel periodo (dal 21 novembre 2023 al 27 febbraio 2024) in cui il consigliere relatore-estensore era in congedo parentale, la causa è stata decisa dal collegio nella camera di consiglio del 10 aprile 2024. L'eccezione di inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. In via preliminare deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità formulata dall'odierna parte appellata ai sensi dell'art. 342 c.p.c., così come modificato dal d.l. n. 82 del 2012. L'assunto di tale parte, secondo cui l'appello sarebbe privo dei requisiti di specificità previsti dalla citata disposizione di legge, avendo l'appellante omesso di indicare le parti di sentenza oggetto di gravame e le modifiche da apporre in sede di riforma, limitandosi a riproporre argomenti difensivi già spesi in primo grado e a chiedere una pronuncia a sé favorevole, è privo di fondamento. Nell'atto di appello sono individuate le parti del provvedimento appellato non condivise, sono illustrati gli specifici motivi delle censure svolte e sono specificate le ragioni per cui si invoca la riforma della sentenza impugnata, sì che sono chiaramente individuate le questioni costituenti l'oggetto e l'ambito del riesame richiesto al giudice di secondo grado, nel pieno rispetto dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e richiamati dalla stessa parte appellata. L'appello di (...) Con un primo articolato motivo di gravame l'appellante si duole che il giudice di prime cure abbia ritenuto che la parte attrice non avesse provato di aver effettivamente subito alcun danno. Svolge, quindi, a confutazione dell'impugnata decisione, le seguenti deduzioni: la Corte di Cassazione ha confermato, con la recente sentenza n. 25164 del 2020, l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico e ha affermato che il giudice deve procedere all'accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno e che la sua esistenza non corrisponde necessariamente ad una manifestazione suscettibile di percezione immediata; conseguentemente, "onde evitare la formulazione in giudizio di capitoli di prova volti a dimostrare il significativo mutamento dello stato d'animo del danneggiato, si può e si deve ricorrere al ragionamento presuntivo" (p. 10, atto di appello); la prova di tale particolare forma di danno non è raggiungibile mediante forme tradizionali, come consulenza medico legale o prova testimoniale, ma tramite il ricorso a presunzioni, derivanti dalle massime di esperienza, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 10 novembre 2021, n. 33123); anche le società costituiscono soggetti degni di subire un danno morale, non solo laddove siano vittime di reati, ma anche in tutti i casi in cui venga violato un interesse o un diritto costituzionalmente garantito; nel caso in esame, pertanto, essendo impossibile o comunque non pertinente, la dimostrazione del danno subito mediante l'esperimento di consulenza tecnica e "non essendo neppure congrua la deduzione di capitoli di prova orale per tale scopo, non possono che soccorrere le presunzioni semplici, ed in particolare la considerazione che in una situazione di tal genere, talmente inusuale ed inaspettata, qualunque persona raziocinante, ed a maggior ragione un imprenditore che è solito confrontarsi con i pericoli insiti nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, non può che preoccuparsi per le possibili conseguenze in termini di accertamenti fiscali e tributari, o ancor peggio di natura penale, stante l'opacità caratterizzante la provenienza delle somme versate a più ripresa sul conto corrente. E' pertanto altamente presumibile (e la società attrice lo ha dimostrato con il suo comportamento, volto ad appurare con insistenza l'accaduto, formulando varie richieste all'istituto bancario interessato) che la previsione delle conseguenze che avrebbero potuto sortire (e potrebbero ancora sortire) dall'illecita operazione posta in essere dalle persone ignote che si sono giovate dell'atteggiamento gravemente colposo, per non pensare cose peggiori, dei funzionari di Hy., abbia generato uno stato di patimento derivante dalla preoccupazione ed ansia, se non addirittura timore, nei confronti degli attori" (p. 11, atto di appello); secondo la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 515 del 2002, "nel danno da pericolo la conseguenza diretta è appunto il timore, l'ansia, il cambio dell'agenda di vita e non certo lo sviluppo della patologia temuta (omissis) che rappresenta altro tipo di conseguenza rispetto ad altro tipo di richiesta risarcitoria, finalizzata cioè a chiedere il ristoro non del danno morale/esistenziale ma di quello biologico"; trattandosi di danno morale da pericolo, il presupposto è che il fatto da cui discendono le conseguenze dannose costituisca un fatto di reato, come nel caso in esame, posto che negli eventi descritti sono ravvisabili il reato di sostituzione di persona di cui all'art. 494 c.p., quello di truffa di cui all'art. 640 c.p. e quello di falso di cui agli artt. 476 e ss. c.p. Sotto altro profilo l'appellante deduce di aver subito un altro danno di natura non patrimoniale, consistente nella violazione del diritto all'identità personale e, pertanto, al proprio nome. Ricorda che anche le persone giuridiche possono godere di quelle forme di protezione che discendono dall'art. 2 della Costituzione e, in genere, dal dettato costituzionale. Precisa che nel caso in esame la lesione del diritto al nome è "in re ipsa", "dato che il nome di (...) è stato utilizzato illecitamente in un contesto contrattuale bancario" (p. 14, atto di appello). L'appellante conclude affermando che "Anche sotto tale profilo, pertanto, si è generato un danno nei confronti della società attrice, danno ampiamente provato in causa" (p. 14, atto di appello). Con un secondo e ultimo motivo di impugnazione (...) censura la pronuncia di condanna al risarcimento del danno ex art. 96, ultimo comma, c.p.c. Deduce che la responsabilità ex art. 96, ultimo comma, c.p.c. presuppone, oltre alla soccombenza della parte, l'elemento soggettivo della mala fede o della colpa grave della parte soccombente nell'agire o resistere in giudizio, secondo quanto chiarito da Cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza 13 settembre 2018, n. 22405. Afferma che (...) non ha agito con mala fede o colpa grave, dato che i fatti illeciti su cui si è fondata la domanda attorea non sono nemmeno stati contestati, nella loro materialità, dalla banca convenuta. Aggiunge che, pur nella consapevolezza della difficoltà di provare i danni non patrimoniali, il difensore della parte attrice si è nondimeno determinato ad agire "nella consapevolezza che la posizione della società attrice fosse veramente e sostanzialmente quella della vittima di un fatto-reato di per sé estremamente preoccupante" (p. 16, atto di appello). Aggiunge, d'altro canto, che il fatto che la domanda sia stata respinta non implica di per sé, come ha ritenuto il giudice di prime cure, che l'attore sapesse di non aver subito alcun danno, perché così argomentando ogni domanda non accolta per difetto del raggiungimento della prova darebbe adito al risarcimento ai sensi dell'art. 96, ultimo comma, c.p.c. Afferma che nel caso di specie vi sono buone ragioni per sostenere che, in realtà, la prova del danno è stata raggiunta o, comunque, è supportata da argomentazioni certamente non "contra jus". Conclude che, in sostanza, la lite non era e non è temeraria e tanto meno è stato temerario il comportamento di fondo della società attrice, la quale ha instaurato un procedimento di mediazione non obbligatoria prima di agire in via giudiziale ed ha agito in giudizio solo a fronte del diniego alla partecipazione frapposto dall'istituto di credito convenuto. Prima di esaminare l'impugnazione occorre valutare le eccezioni rimaste assorbite in primo grado e riproposte dall'appellato ai sensi dell'art. 346 c.p.c. Si tratta, invero, di eccezioni preliminari, di rito e di merito, il cui esame ha carattere di priorità logico giuridica rispetto a quello del gravame, poiché inficiano il diritto stesso vantato da (...) Al riguardo è opportuno ricordare che, poiché su tali eccezioni il giudice di prime cure non si è pronunciato, non è necessaria la proposizione dell'appello incidentale, ma è sufficiente che la parte le riproponga, come chiarito dalla Corte di Cassazione (Cass., S.U., 24 maggio 2007, n. 12067, secondo cui "la parte vittoriosa in primo grado non ha l'onere di proporre appello incidentale, per far valere le domande e le eccezioni non accolte, e, al fine di sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle'; in senso conf. Cass. 21 marzo 2019, n. 7940; Cass. 12 aprile 2022, n. 11816). Le eccezioni riproposte dall'appellato ex art. 346 c.p.c. L'eccezione preliminare di rito. (...) ribadisce la nullità, ai sensi dell'art. 163, terzo comma, n. 4), c.p.c. dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, affermando che (...) si è limitata a riportare circostanze del tutto generiche, spesso incomplete, senza precisare in che modo le stesse avrebbero arrecato, in capo alla medesima, l'asserito pregiudizio di cui ha chiesto il ristoro. La parte appellata rileva, in particolare, che (...) non ha dedotto che (...) aveva dato riscontro al reclamo della detta società con comunicazione del 4 agosto 2015, con la quale non solo contestava il contenuto del reclamo e rilevava l'assenza di qualsivoglia profilo di danno, ma chiedeva, altresì, all'odierna parte appellante, chiarimenti in ordine ai rapporti con le società (...) e Te. S.p.A., "unici soggetti ad aver effettuato movimenti in entrata sul conto corrente di che trattasi", nonché con la dott.ssa (...) che risultava "essere stata nominata quale delegata ad operare sul conto corrente di che trattasi". La parte appellata aggiunge che tali chiarimenti non sono mai stati resi da (...) la quale si è limitata a promuovere, a distanza di mesi, un procedimento di mediazione e, a distanza di anni, il giudizio dinanzi al Tribunale di Monza n. 1514/2021 r.g. Aggiunge che con l'atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio (...) ha asserito di aver subito "un grave danno extra-contrattuale" da quantificarsi nella "sommatoria di tutti gli importi prelevati dal conto corrente nel falso interesse della società'' e che sussisterebbe "un danno di pericolo", senza tuttavia indicare gli elementi da cui ha tratto tali conclusioni. L'eccezione è priva di fondamento. Le allegazioni contenute nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado sono idonee ad individuare il thema decidendum, essendo state specificate le circostanze da cui desumere la sussistenza dell'asserita responsabilità extracontrattuale dell'istituto di credito convenuto. Dopo aver spiegato il modo in cui (...) ha appreso che "era stato aperto a sua insaputa un conto corrente, che su di esso erano state effettuate numerose operazioni, che su tale conto aveva operato una persona del tutto estranea alla compagine sociale, che nessuna comunicazione gli era mai pervenuta dalla banca, e che il conto era stato infine estinto, sempre ovviamente a sua insaputa" (p. 3, atto di citazione), la parte attrice ha argomentato nei seguenti termini: "evidentemente, l'apertura di un conto corrente a nome della società attrice senza alcun intervento del suo legale rappresentante o di suoi delegati, implica la raccolta di sottoscrizioni apocrife da parte della banca convenuta, i cui funzionari hanno stipulato un contratto di apertura di conto corrente con persona sconosciuta all'esponente, autorizzando ad operare su tale conto persona estranea alla compagine sociale della (...); "si ravvisa, nei fatti qui descritti, una gravissima responsabilità -per dolo o colpa grave- dei funzionari dell'Istituto, che come minimo non hanno adeguatamente verificato l'identità della persona che si è recata materialmente nei locali della banca ed ha stipulato il contratto di conto corrente, sottoscrivendo falsamente tutta la documentazione negoziale" (p. 3, cit.); "il danno subito dalla società deducente, sotto il profilo patrimoniale, è da ravvisare nella sommatoria di tutti gli importi prelevati dal conto corrente nel falso interesse della società"; "sussiste nella fattispecie un danno di pericolo, dato che le operazioni effettuate in nome e per conto della società esponente non hanno ovviamente avuto un riscontro contabile e fiscale, e non può escludersi che abbiano un contenuto illecito, che avrebbe potuto essere contestato all'odierna attrice" (pp. 3 e 4, atto di citazione). Le citate allegazioni di parte attrice sono sufficientemente precise da consentire la individuazione dell'oggetto del giudizio e, così, consentire alla controparte di difendersi, come, del resto, è avvenuto, avendo (...) svolto difese adeguate al tenore delle allegazioni dell'attore. L'eccezione preliminare di merito. La parte appellata ribadisce l'eccezione di prescrizione dell'azione extracontrattuale ai sensi dell'art. 2947, primo comma, c.c. Chiarisce quanto segue: il dies a quo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento derivante da fatto illecito è individuabile nel giorno in cui il fatto si è verificato e, dunque, stando alla ricostruzione della parte attrice, nel 21 luglio 2009 (data di apertura del conto corrente); con la conseguenza che già alla data di deposito della domanda di mediazione il diritto era prescritto; la situazione rimane immutata anche considerando quale dies a quo il giorno in cui è divenuto conoscibile l'asserito evento dannoso e, dunque, il giorno 11 giugno 2014, quando (...) è venuta a conoscenza, per la prima volta, dell'esistenza del conto corrente; anche ritenendo che il decorso del termine prescrizionale sia stato interrotto, ai sensi dell'art. 5, comma VI, del decreto legislativo n. 28 del 2010, dalla comunicazione della domanda di mediazione, avvenuta il 30 dicembre 2015, lo stesso ha ricominciato a decorrere proprio da tale data e, dunque, il giudizio avrebbe dovuto essere radicato entro il 30 dicembre 2020. L'eccezione non merita accoglimento. Circa il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione, va ricordato che, secondo quanto statuito da Cass. 7 novembre 2013, n. 25042, "superato l'originario criterio della obbiettiva esteriorizzazione del fatto (rectius, del danno), l'indagine in ordine agli elementi costitutivi del diritto azionato (indagine riservata, come è noto, in via esclusiva al giudice del merito) prescinde del tutto dalla "data del fatto" inteso questo come fatto storico obbiettivamente realizzato ed altrettanto obbiettivamente collocabile sul piano temporale, ma postula, secondo il più recente insegnamento di questa corte, la compiuta conoscenza/conoscibilità degli elementi costitutivi del diritto azionato". La citata sentenza ha, quindi, affermato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla data del fatto, inteso come fatto storico obbiettivamente realizzato, bensì quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all'avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo conosciuti o conoscibili. In senso analogo si è espressa Cass. 22 settembre 2017, n. 22045, secondo cui per il decorso del termine di prescrizione è necessaria "una conoscenza, ragionevolmente completa, circa i dati necessari per l'instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti"; Anche Cass. 14 marzo 2016, n. 4899 ha affermato che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danneggiato ha avuto reale e concreta percezione dell'esistenza e gravità del danno stesso, nonché della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero dal momento in cui avrebbe potuto avere tale percezione usando l'ordinaria diligenza (nello stesso senso cfr. anche Cass. n. 7677 del 2020). Secondo quanto statuito da Cass. 21 giugno 2011, n. 13616 "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro". Nel caso in esame, il termine di prescrizione è iniziato a decorrere da giugno 2014, allorché (...) è venuta a conoscenza dell'illecita apertura del conto corrente bancario a suo nome. L'art 5, comma 6, del decreto legislativo n. 28/10, nel testo ratione temporis applicabile, prevede che: "Dal momento della comunicazione (dell'istanza di mediazione) alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo." La sentenza n. 17781/2013 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha affermato che l'istanza di mediazione, come accade per ogni domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2943 c.c., commi 1 e 2, e art. 2945 c.c., interrompe la prescrizione del diritto controverso. Non c'è ragione per escludere l'applicazione del citato art. 5, comma 6, nella mediazione facoltativa, quale quella esperita nel caso in esame, considerato che la norma incoraggia la deflazione del contenzioso giudiziario attraverso il ricorso a forme extragiudiziali di risoluzione delle liti, obiettivo in buona parte irraggiungibile ove le parti sapessero sin dall'inizio che la mediazione facoltativa non è idonea a sospendere i termini di decadenza o di prescrizione. Considerato che nel caso in esame la domanda di mediazione è stata comunicata il 30 dicembre 2015, cioè entro il termine di prescrizione previsto dalla legge (termine iniziato a decorrere nel giugno 2014) e considerato che l'effetto interruttivo opera sino alla definizione del procedimento di mediazione, procedimento che nel caso di specie si è concluso il 4 marzo 2016, mentre l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato il 17 febbraio 2021, deve concludersi che all'epoca dell'instaurazione della causa il termine quinquennale di cui all'art. 2947, primo comma, c.c. non era ancora decorso. Il diritto vantato da (...) non si è, dunque, prescritto. Le preliminari eccezioni ex art. 345 c.p.c. formulate dall'appellato. Con la comparsa di risposta (...) ha eccepito l'inammissibilità delle domande nuove proposte da (...) deducendone la novità, per avere la parte appellante chiesto per la prima volta in appello il risarcimento del danno di natura non patrimoniale legato alla "violazione del diritto all'identità personale e pertanto al proprio nome" e per aver tale parte dedotto solo in appello il presunto patimento del legale rappresentante di (...) invocando, sempre per la prima volta nel presente grado di giudizio, l'utilizzo di presunzioni semplici al fine di provare tale asserito danno. In replica a tali eccezioni, negli scritti conclusivi ex art. 190 c.p.c. la parte appellante ha argomentato che non si tratta di domande nuove, poiché non sono stati introdotti fatti nuovi, ma ci si è limitati a specificare l'originaria domanda. Non sussiste l'eccepita inammissibilità. E' stato più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità che "Si ha domanda nuova - inammissibile in appello - per modificazione della "causa petendi" quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio" (Cass. 23 luglio 2015, n. 15506; Cass. 10 settembre 2012, n. 15101; Cass. 28 gennaio 2013, n. 1861; Cass. 27 novembre 2012, n. 21002). Pertanto, solo quando viene ampliato il tema di indagine o si fonda la domanda su un titolo diverso, rispetto a quello originariamente dedotto, questa risulta inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. In materia di risarcimento del danno è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione che "In tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicché, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante (nella specie, perdita di "chance" lavorativa), la cui richiesta non può, pertanto, considerarsi domanda nuova, come tale inammissibile" (Cass. 10 aprile 2015, n. 7193). E' stato affermato che "In caso di domanda di risarcimento "di tutti i danni" (nella specie, conseguenti alla morte di una persona), la quale è indicativa della volontà di conseguire l'integrale risarcimento di tutte le voci di danno legittimamente ricollegabili all'evento lesivo, la successiva specificazione dei singoli danni di cui si invochi la liquidazione (nella specie, nella memoria ex art. 183, quinto comma, cod. proc. civ.) ha valore meramente esemplificativo e non può essere interpretata come volontà di delimitare il "petitum" "(Cass. 17 dicembre 2009 n. 26505). Alla luce della pacifica giurisprudenza di Cassazione, in particolare, "in tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, ricorre la fattispecie processuale della emendatio libelli, e non anche della (non consentita) mutatio, nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci, e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del petitum mediato, ma all'esito di una variazione nella sola estensione del petitum immediato, ferma restandone l'identità e l'individualità ontologica, atteso che le varie voci di danno non integrano, pertanto, una pluralità e diversità strutturale di petitum, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni (o categorie interne) quanto alla sua specificazione quantitativa (così, ad esempio, Cass. 6 agosto 1997, n. 7275)" (Cass. 12 gennaio 2011, n. 534). In quest'ordine di principi, nel caso in esame (...) aveva formulato domanda onnicomprensiva di risarcimento del danno, chiedendo, invero, di "condannare la convenuta a risarcire il danno arrecato alla società attrice corrispondente a tutti gli importi prelevati da tale conto corrente, nonché costituito da ogni altro nocumento arrecato, da quantificarsi in via equitativa". La richiesta, in sede di appello, da parte di (...) del risarcimento del danno morale (per il patema sofferto dal proprio legale rappresentante) e da lesione del diritto all'identità personale e al proprio nome costituiscono specificazione di "ogni altro nocumento arrecato", già oggetto della domanda originariamente proposta. Si tratta di specificazione della domanda volta a conseguire tutte le possibili voci di danno ricollegabili all'unico evento lesivo dedotto in giudizio. L'esame del gravame. Dall'esposizione dei motivi di appello, in precedenza effettuata, emerge chiaramente come l'appellante si dolga dell'omesso riconoscimento dei soli danni di natura non patrimoniale, mentre nessuna censura viene mossa con riferimento alla parte della sentenza che ha ritenuto l'insussistenza del danno patrimoniale richiesto da (...) e "corrispondente a tutti gli importi prelevati da tale conto corrente". Nella parte in cui la sentenza gravata ha rigettato la domanda di risarcimento del danno di natura patrimoniale si è, dunque, formato il giudicato. Ciò premesso, quanto ai danni di natura non patrimoniale richiesti dall'appellante vanno confermate le giuste osservazioni, in diritto e in fatto, contenute nella sentenza gravata. Il giudice di prime cure ha, invero, correttamente ricordato che "Per quanto riguarda il preteso danno morale da pericolo, riconducibile, secondo l'attrice, alle conseguenze dannose determinate da una condotta integrante un'ipotesi di reato, va osservato che anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è conseguenza normale dell'illecito, ma non automatica e necessaria, dovendosi escludere la configurabilità di un danno in re ipsa, posto che deve concretizzarsi in effettivi disagi e turbamenti di carattere psicologico causalmente prodotti dalla lesione del diritto alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri (cfr. Cass. n. 7034 del 12/03/2020; Cass. n. 25730 del 1/12/2011)". Il giudice ha, quindi, correttamente rilevato, in fatto, quanto segue: "Nella specie, nulla è stato specificamente dedotto in merito, né che il preteso fatto lesivo abbia in qualche modo altrimenti inciso su una situazione giuridica della persona giuridica equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, come ad esempio il diritto all'immagine o al nome, determinando una diminuzione della considerazione dell'ente da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisce. Nessun danno, pertanto, è allo stato riscontrabile e neppure prevedibile". Le deduzioni svolte in sede di appello non sono idonee a censurare la sentenza gravata ove si consideri che il ricorso alle presunzioni semplici, invocato da (...) per la prova del danno morale, presuppone pur sempre la specifica allegazione dei fatti sulla base dei quali svolgere il procedimento logico inferenziale. Nel caso in esame (...) non ha precisato, neppure nel presente grado di giudizio, quale concreto pregiudizio avrebbe sofferto il proprio legale rappresentante per la scoperta dell'illecita apertura di un conto corrente bancario a nome della società. A tale difetto di allegazioni non si può supplire con l'invocare le massime di esperienza, posto che il patema d'animo dedotto dall'odierna parte appellante deve, comunque, essere oggetto di allegazione nelle sue concrete manifestazioni e che la parte ha l'onere di allegare le circostanze integranti le conseguenze, modificative in peius della precedente situazione del danneggiato, derivanti dall'evento. Tali allegazioni difettano nel caso in esame. Si aggiunga che è difficilmente configurabile il patema d'animo prospettato dall'appellante, ove si consideri che allorché (...) è venuta a conoscenza dell'illecita apertura del conto corrente bancario a suo nome questo era già stato estinto. Non si vede, quindi, quale sofferenza interiore possa essere derivata da simile fatto, tanto più se si tiene presente che, secondo la prospettazione di parte appellante, essa non è stata destinataria di alcuna segnalazione, denuncia o qualsivoglia altro evento pregiudizievole riconducibile al rapporto di conto corrente per cui è causa e alle sue movimentazioni. Neppure è configurabile un danno morale da pericolo, basato su astratte e future contestazioni di ipotetici illeciti o da parte dell'Erario, posto che il danno deve sempre essere ancorato a fatti concreti e non a mere supposizioni e che nel caso in esame (...) non ha presentato alcuna denuncia querela per i fatti per cui è causa, di cui pure afferma il rilievo penale e che nel lungo lasso di tempo intercorso dall'apertura del conto corrente in questione (nel 2009) sino all'instaurazione del giudizio (nel 2021) non sono intervenuti accertamenti o richieste da parte dell'Erario, né qualsivoglia altro avvenimento che possa anche solo far presumere, sulla base di un giudizio prognostico, conseguenze negative per la società. Con riferimento al danno al nome, va parimenti confermato il difetto di allegazioni, non essendo stato specificato in che modo i fatti per cui è causa avrebbero compromesso la considerazione di cui gode la società e, quindi, il suo nome, nell'ambito sociale in cui essa opera. Sintomatico dell'omesso assolvimento dell'imprescindibile onere di allegazione è, altresì, la circostanza che l'appellante deduca che "la lesione del diritto basilare al nome è "in re ipsa" dato che il nome della (...) è stato utilizzato illecitamente in un contesto contrattuale bancario" (p. 14, atto di appello). Al riguardo è opportuno ricordare il principio, più volte affermato dalla Corte di Cassazione, per cui il danno non patrimoniale da lesione dei diritti fondamentali, tipico danno-conseguenza, non è in re ipsa alla lesione, ma deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento anche se è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire (Cass., ord. 16 aprile 2018, n. 9385). La citata sentenza ha affermato che anche il danno all'onore e alla reputazione non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, ma con le conseguenze di tali lesioni, sicché la sussistenza di siffatto nocumento deve essere oggetto di prova, anche attraverso presunzioni. Nel caso in esame il mancato assolvimento dell'onere di allegazione si è riverberato sul difetto di prova. Le deduzioni svolte da (...) nell'atto di appello non sono idonee ad assolvere l'imprescindibile onere di allegazione, che ha carattere pregiudiziale rispetto all'onere della prova. In conclusione, alla luce di quanto evidenziato, deve essere confermata la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria, per insussistenza del danno dedotto. Anche il secondo motivo di gravame deve essere rigettato. Il giudice di prime cure ha ritenuto integrata la fattispecie di cui all'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c., non perché abbia accertato il difetto di prova del danno richiesto, ma perché ha valutato che "l'attrice ha intrapreso l'azione giudiziale nella consapevolezza di non aver sopportato alcun danno, non essendole riferibili le singole operazioni effettuate sul conto, tenendo una tipica condotta processuale temeraria, quantomeno colposamente gravatoria e pretestuosa, tesa a sfruttare abusivamente l'errore altrui, di per sé improduttivo di effetti dannosi". La pronuncia di condanna si basa non sul mancato assolvimento dell'onere della prova da parte del soccombente, ma sul comportamento processuale dello stesso, che ha intrapreso il giudizio pur nella consapevolezza della mancanza di qualsivoglia danno di natura patrimoniale, come reso evidente dal fatto che (...) ha accampato pretese di risarcimento del danno in relazione a movimentazioni di denaro non suo e che la stessa sapeva non essere di sua proprietà (come reso evidente dalle allegazioni svolte). Si aggiunga che il comportamento della parte attrice (...) connotato quanto meno da colpa grave, che giustifica la censurata pronuncia di condanna, va ravvisato anche nel vuoto di allegazioni in ordine al danno di natura non patrimoniale; vuoto che si pone in evidente contrasto con la pacifica giurisprudenza di legittimità in materia di risarcimento del danno di tale natura e di correlativi oneri di allegazione e di prova. La condanna per lite temeraria trova, quindi, il suo giusto fondamento non nella circostanza che la parte attrice non abbia raggiunto nel processo la prova dei danni allegati, ma nella circostanza che essa abbia agito in giudizio omettendo il minimo grado di diligenza quanto all'assolvimento dei necessari oneri di allegazione (in relazione al danno non patrimoniale) e quanto alla valutazione dell'evidente infondatezza di una domanda di risarcimento di danni che sapeva inesistenti (quanto a quelli di natura patrimoniale). In conclusione, l'appello deve essere rigettato, con la conseguente integrale conferma della sentenza gravata. La regolamentazione delle spese processuali. In ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio, l'appellante, soccombente, deve essere condannato a rimborsare le spese anticipate da (...) Le spese sono liquidate in dispositivo, in base al D.M. 13 agosto 2022, n. 147, contenente il "Regolamento recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247". Il detto decreto è in vigore dal 23 ottobre 2022 (cfr. art. 7) e trova applicazione alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore (art. 6). Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata" (così Cass., Sez. Un., 12 ottobre 2012, n. 17405; principio recentemente ribadito da Cass., Sez. Un, ordinanza del 14 novembre 2022, n. 33482). Le spese sono liquidate in base all'attività effettivamente svolta (escluso, quindi, il compenso per la fase istruttoria), tenuto conto dei parametri medi e considerato il valore della causa, rappresentato dal disputatum, di valore indeterminabile e di complessità bassa. Quanto alle domande ex art. 96, primo e ultimo comma, c.p.c., proposte da (...) se ne rileva, preliminarmente, l'ammissibilità. La giurisprudenza di legittimità ha recentemente e in più occasioni affermato che è ammissibile una domanda ex art. 96 c.p.c. per la prima volta anche in appello, almeno con riferimento a comportamenti processuali posti in essere in tale grado del giudizio (Cass., 25 luglio 2006, n. 16975; Cass., 21 aprile 1999, n. 3967; Cass., 20 ottobre 2014, n. 22226; Cass., 12 marzo 2002, n. 3573). Muovendo dalla considerazione secondo cui la domanda per responsabilità processuale aggravata è "accessoria alla domanda principale di merito" dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti ritengono che la domanda di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. deve essere formulata esclusivamente, sia per l'an che per il quantum, innanzi al giudice investito del procedimento per il quale si pretende dedurre tale responsabilità, con conseguente esclusione della possibilità di avanzare una domanda ex art. 96 c.p.c. in un successivo e separato giudizio rispetto a quello in cui si è realizzata la condotta temeraria (Cass., 8 febbraio 1990 n. 875; Cass., 26 giugno 2001, n. 8738; Cass., 12 marzo 2002, n. 3573). D'altro canto, l'art. 96 c.p.c., nell'affidare al giudice - avanti al quale si è "agito o resistito in giudizio" (primo comma), ovvero a quello che ha compiuto l'accertamento dell'inesistenza del diritto (secondo comma) o a quello che "pronuncia sulle spese" (terzo comma) - il compito di decidere sulla relativa istanza, disciplina un fenomeno che si colloca all'interno di un processo già pendente; si è così affermato che il potere di proporre detta istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all'azione od alla resistenza in giudizio, non può essere esercitato in via di azione autonoma (Cass., 18 aprile 2007, n. 9297); di conseguenza, l'istanza, con cui si chiede al giudice la condanna della controparte al risarcimento del danno da lite temeraria, non essendo configurabile come autonoma azione giudiziale, sfugge al regime di preclusioni previsto per le domande nuove dall'art. 345, primo comma, c.p.c. e, quindi, può essere proposta per la prima volta in appello, anche se limitatamente ai danni processuali conseguenti a condotte temerarie tenute in tale grado. E', dunque, possibile proporre per la prima volta in appello una domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c., ma alla condizione che si richiedano danni processuali conseguenti a condotte temerarie tenute nel solo grado di appello (cfr. Cass., 18 novembre 2014, n. 24546, che ha condannato, ai sensi dell'art. 96, terzo comma, c.p.c. la parte che aveva insistito colpevolmente in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice e che aveva mosso censure alla sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica ben avrebbe potuto essere apprezzata dall'appellante, in modo da evitare il gravame); eventuali e ritenuti danni processuali da condotte temerarie tenute in primo grado dovranno invece essere chiesti al giudice di prime cure non potendo essere domandati per la prima volta nel giudizio di appello). Si è di recente ribadito che: "La domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. può essere proposta per la prima volta nella fase di gravame solo con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio, quali la colpevole reiterazione di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero la proposizione di censure la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata in modo da evitare il gravame, e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall'art. 345, comma 1, c.p.c., tutelando un diritto conseguente alla situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, strettamente collegato e connesso all'agire od al resistere in giudizio, sicché non può essere esercitato in via di azione autonoma." (Cass. 21 aprile 2016, n. 1115). Quanto al merito, la domanda ex art. 96, primo comma, c.p.c., proposta da (...) va rigettata, poiché non sono stati allegati i danni, diversi dalle spese processuali, che la parte appellata avrebbe sofferto in conseguenza della proposizione del gravame. Quanto alla domanda di cui all'art. 96, ultimo comma, c.p.c., la parte appellata deduce che (...) si è resa nuovamente responsabile della "violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda", la cui manifestazione paradigmatica è costituita, come nel caso di specie, dalla "pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria, per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata" (Cass., 24 febbraio 2019, n. 27362; Cass., S.U., 20 aprile 2018, n. 9912; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3376). La domanda merita accoglimento, ove si consideri che la parte appellante ha fondato il gravame sulla richiesta risarcitoria di danni di natura non patrimoniale, in relazione ai quali ha, tuttavia, omesso di assolvere ai necessari oneri di specifica allegazione, nonostante la consolidata giurisprudenza in materia. In ordine al quantum risarcibile, si ritiene di determinare tale somma di denaro nella metà dei compensi spettanti alla parte vittoriosa. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, così decide: RIGETTA l'appello proposto da (...) nei confronti di (...) per la riforma della sentenza n. 1495/2022, pubblicata il 5 luglio 2022 dal Tribunale di Monza nella causa iscritta al n. 1514/2021 r.g. e, per l'effetto, CONFERMA Integralmente la sentenza impugnata; CONDANNA (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 6.946,00 per compensi di avvocato, oltre spese generali e C.P.A. come per legge, oltre I.V.A. se dovuta; RIGETTA La domanda di condanna al risarcimento del danno per lite temeraria proposta da (...) nei confronti di (...) (...) ai sensi dell'art. 96, primo comma, c.p.c.; CONDANNA (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, una sanzione pecuniaria pari a euro 3.473,00. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al comma 1-quater dell'art. 13 del D.P.R. 115/2002 (nel testo inserito dall'art. 1 comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - legge di stabilità 2013), per il versamento dell'ulteriore contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-bis del D.P.R. 115/2002 da parte di (...) Così deciso in Milano, dalla Seconda Sezione Civile della Corte d'Appello, nella camera di consiglio del 10 aprile 2024

  • Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano Il Tribunale Ordinario di Latina Sezione II Civile in composizione monocratica nella persona del giudice dott. (...) ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. (...)/2018 del R.G.A.C, trattenuta in decisione nell'udienza cartolare del 15 febbraio 2024 con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. e vertente TRA - (...) (C.F. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. (...) per delega in calce all'atto di citazione (...) E - (...) (C.F. (...)) rappresentato e difesa dall'avv. (...) per delega in calce alla comparsa di costituzione (...) OGGETTO: responsabilità ex artt. 2049 - 2051 - 2052 c.c. CONCLUSIONI Per l'udienza di precisazione delle conclusioni a trattazione scritta del 15 febbraio 2024 i procuratori delle parti depositavano note di trattazione scritta atti da intendersi in questa sede (...)prosieguo riassunti (...) Con atto di citazione notificato in data 30 novembre 2018 la sig.ra (...) conveniva in giudizio il sig. (...) deducendo: a) in data (...) alle ore 11.00 circa, in (...) mentre passeggiava veniva improvvisamente aggredita da un cane di tipo pitbull nero di taglia media - femmina - dal quale veniva morsa alla gamba destra e, per effetto dell'aggressione, cadeva rovinosamente a terra; b) il cane, pur se tenuto al guinzaglio dal proprietario sig. (...) era tuttavia privo di museruola; c) il sig. (...) recava al guinzaglio ma senza museruola anche un altro cane di grossa taglia, tipo un pastore tedesco; d) sul posto intervenivano gli agenti della (...) municipale che redigevano verbale; e) a causa delle ferite riportate la sig.ra (...) veniva soccorsa dal personale del 118, presso l'(...) di (...) f) successivamente alla guarigione clinica con postumi, come da certificato medico allegato, la sig.ra (...) si sottoponeva a perizia medico-legale del Dr. (...); g) con lettera raccomandata A/R del 06.02.2017 la Sig.ra (...) contestava il danno subito al (...) invitandolo al risarcimento dei danni patiti e con raccomandata A/R del 11.01.2018 invitava il sig. (...) alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita ai sensi della (...) 162/2014; h) il sig. (...) comunicava la propria adesione all'invito di negoziazione; i) esperita visita medica collegiale, i rispettivi periti nominati da entrambe le parti, concordemente riconoscevano in capo alla sig.ra (...) una invalidità pari al 4-5%; j) dall'esame della documentazione medica (inoltre, si evince che la stessa subiva una ITT di gg. 20 ed una ITP di gg. 30 con spese sostenute per Euro.517,69 (oltre al costo delle perizie per complessivi Euro.976,00); k) la responsabilità dell'accaduto va ascritta ex art.2052 c.c., o in subordine ex art. 2043 c.c., al proprietario sig. (...) l) il cane, seppur vaccinato, risultava privo di copertura assicurativa; m) alcuna imprudente condotta ex se idonea a provocarne l'accertato impeto aggressivo dell'animale, risulta imputabile all'attrice ex art. 1227 c.c.; n) le richieste risarcitorie rimanevano prive di riscontro; (...) attrice concludeva chiedendo di accertare la responsabilità del convenuto (...) nella causazione dell'evento dannoso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2052 c.c. ovvero, in subordine dell'art. 2043 c.c., e dichiarare che le lesioni riportate da (...) sono conseguenza immediate e diretta dell'omesso o inadeguato controllo del sig. (...) sul cane di sua proprietà, per gli effetti, condannare il convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'attrice pari ad (...) 9.323,52 (e/o nella diversa somma che sarà quantificata e provata in corso di causa) oltre interessi legali dal giorno dell'evento a quello dell'effettivo soddisfo; condannare il convenuto alle spese, funzioni ed onorari di lite da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario ai sensi e per gli effetti dell'art. 93 c.p.c.. Si costituiva con comparsa in data 25 marzo 2019 il sig. (...) deducendo: a) improcedibilità del giudizio non potendosi ritenere correttamente esperito il procedimento di negoziazione assistita, non avendo comunque la parte invitante proposto la domanda giudiziale entro 30 gg. dal rifiuto; b) l'attrice avrebbe dovuto provare ex art.2697 c.c. di non aver fatto un movimento inconsulto che ha provocato la naturale reazione dell'animale, che le cure ricevute furono appropriate, di aver seguito scrupolosamente le indicazioni dei sanitari; c) il Sig. (...) risponde solo di quei danni direttamente riconducibili alla propria responsabilità ed il danno riconducibile al leggero morso di cane non ammonta a più di 2 punti percentuali di invalidità permanente; d) restano a carico dell'attrice o di terzi la restante percentuale accertata nella collegiale medica espletata in data (...); (...) convenuta concludeva chiedendo, dichiarare il giudizio improcedibile, nel merito rigettare la domanda di risarcimento del danno; in subordine ed in caso di condanna tener conto dell'incidenza nella verificazione degli esiti del danno, della concorrente corresponsabilità di terzi o della stessa danneggiata, la quale, con l'uso della normale diligenza, avrebbe potuto evitare il danno o il suo aggravarsi; vittoria di spese, competenze ed onorari. All'udienza del 26 marzo 2019, il giudice concedeva i termini per consentire l'esperimento del procedimento di negoziazione obbligatoria. All'udienza del 16 luglio 2019, il giudice, preso atto dell'esito negativo della procedura di negoziazione assistita (verbale 06.06.2019), assegnava alle parti i termini di cui all'art.183 comma sei c.p.c.. In considerazione dell'emergenza epidemiologica da (...)19, visto il d.l. n. 125 del 7.10.2020, l'art. 221, co. 4, d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, il giudice disponeva la trattazione c.d. scritta della causa previo deposito di note scritte. Con ordinanza in data 3 dicembre 2020 il giudice, quanto alle istanze istruttorie formulate dalle parti, ammetteva per parte attrice la prova per interrogatorio formale e per testi, nel limite di due, sui cap. 1 - 7 formulati nella memoria ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c., accoglieva l'ordine di esibizione sub C) (libretto sanitario del cane), ammetteva la CTU medica (chiesta anche da parte convenuta) nominando a tale fine il dott. (...) ammetteva per parte convenuta la prova con il teste indicato sui cap.a) - d), ad esclusione dei capitoli seguenti tutti irrilevanti ai fini del decidere; non ammetteva l'interrogatorio formale dell'attrice, vertendo tutti i capitoli su circostanze di natura tecnica non demandabile alla parte; non accoglieva l'ordine di esibizione, irrilevante ai fini del decidere. Alla udienza del 2 ottobre 2021 rendeva l'interrogatorio formale il convenuto (...) il quale, sui capitoli della memoria istruttoria di parte attrice, rispondeva: Capitolo 1): non è vero; (...) 2): non è vero; (...) 3): non è vero; (...) 4): è vero erano senza museruola perché gliela avevo appena tolta altrimenti non mozzicava. (...) 5): l'ambulanza è arrivata. (...) 6): è vero. (...) 7): non è vero. Alla stessa udienza veniva sentito il primo testimone di parte attrice, il dott. (...) di professione medico di chirurgia generale, il quale sul capitolo B della memoria istruttoria di parte attrice dichiarava: confermo il rapporto di pronto soccorso a mia firma in data 20 dicembre 2016. Interrogato sui capitoli della memoria istruttoria di parte convenuta, rispondeva: (...) A): è vero. (...) B): è vero come ho scritto nel verbale. (...) C): non ricordo penso si trattasse di un unico foro. (...) D): è vero come ho sopra detto. Con ordinanza in pari data il giudice, a scioglimento della riserva assunta all'udienza, a modifica della precedente ordinanza istruttoria ammetteva per parte convenuta la teste (...) All'udienza del 5 aprile 2022 veniva escusso il primo testimone di parte attrice (...) il quale, sul capitolo 1 della memoria istruttoria di parte attrice, dichiarava: confermo la relazione a mia firma del 20 dicembre 2016. A conclusione dell'udienza, su richiesta congiunta delle parti, il giudice rinviava per tentativo di bonario componimento della lite. Con note in data 16 settembre 2022 le parti comunicavano l'esito negativo delle trattative di bonario componimento, parte attrice chiedeva rinviarsi l'udienza per la convocazione del CTU già nominato, parte convenuta, chiedeva disporsi rinvio per la precisazione delle conclusioni. Con ordinanza in data 22 settembre 2022 il giudice, lette le note di udienza depositate dalle parti, confermava la nomina del (...) già nominato con ordinanza in data 3 dicembre 2020, ponendo il seguente quesito: 1) descriva il CTU le lesioni riportate da (...) nell'incidente per cui è causa, la loro evoluzione, i trattamenti praticati e lo stato attuale delle lesioni stesse, precisando se detto stato sia suscettibile di miglioramento o di aggravamento e se il soggetto dovrà in futuro sottoporsi a cure mediche e/o ad interventi riabilitativi e/o medicochirurgici, specificandone in caso positivo natura e caratteristiche; descriva lo stato psico-fisico preesistente del soggetto onde tenerne conto nelle valutazioni elencate di seguito; 2) stabilisca se, in conseguenza delle lesioni, si sia verificata compromissione temporanea (totale e/o parziale) della validità psicofisica del soggetto, intesa come incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni e ne determini la durata, rilevando altresì se il periziando, per il periodo di invalidità temporanea, abbia avuto la necessità di assistenza personale infermieristica o comunque generica a causa del tipo di lesioni riportate; 3) stabilisca se, in conseguenza delle lesioni, sussistano esiti di compromissione permanente della validità psicofisica del soggetto (con conseguente menomazione del modo di essere della persona, del suo stato di benessere, delle consuete attività anche soltanto potenziali, non escluse quelle del tempo libero e di svago), ne quantifichi la percentuale sotto il profilo del danno biologico e dica inoltre se il soggetto medesimo abbia riportato danno estetico; 4) precisi la eventuale incidenza che tale compromissione della validità psicofisica del soggetto abbia avuto e/o abbia sulla capacità lavorativa propria del medesimo, sia temporanea che permanente, ed in riferimento sia alla capacità generica che a quella specifica eventuale; 5) precisi se e quale attività lavorativa, diversa da quella precedentemente esercitata, sia in tutto o in parte compatibile con il predetto danno permanente alla validità, tenuto conto della personalità del soggetto, della sua età e di ogni altra circostanza soggettiva e obiettiva all'uopo ritenuta utile; riferisca quant'altro ritenuto utile ai fini dell'indagine. Alla successiva udienza del 25 ottobre 2022 il giudice conferiva l'incarico al nominato CTU ed in data 22 marzo 2023 il CTU depositava l'elaborato peritale definitivo. Con ordinanza in data 27 aprile 2023 il giudice, lette le note di udienza depositate da parte attrice in data 20 aprile 2023 e da parte convenuta in data 27 aprile 2023, lette le risultanze della (...) ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava all'udienza di precisazione delle conclusioni del 15 febbraio 2024, disponendone la trattazione ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. con termine per note fino al giorno dell'udienza. Precisate le conclusioni delle parti con note depositate da parte attrice in data 30 gennaio 2024 e da parte convenuta in data 14 febbraio 2024, con ordinanza in data 15 febbraio 2024 il giudice, lette le note di udienza depositate dalle parti, assegnava i termini di cui all'art. 190 c.p.c. ed assumeva la causa in decisione. (...) attrice depositava comparsa conclusionale in data 11 aprile 2024 e comparsa conclusionale di replica in data 29 aprile 2024 ribadendo le proprie difese e insistendo per l'accoglimento della domanda. (...) convenuta depositava comparsa conclusionale in data 14 aprile 2024 e comparsa conclusionale di replica in data 6 maggio 2024 chiedendo il rigetto parziale della domanda e l'accoglimento delle proprie conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda di parte attrice è fondata e deve essere accolta. La fattispecie di causa va ricondotta nell'alveo normativo dell'art. 2052 c.c. perché il proprietario di un animale, o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. Come per l'ipotesi di responsabilità da cose in custodia, la giurisprudenza è conforme nel ritenere che la responsabilità del proprietario di un animale sia di natura oggettiva, prescindente dalla colpa del proprietario, fondandosi sul mero rapporto intercorrente con l'animale, nonché sul nesso causale tra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso. Ne consegue, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte del danneggiato-attore del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, rimanendo a carico del convenuto fornire la prova liberatoria del caso fortuito rappresentato dall'intervento di un elemento estraneo alla sfera soggettiva del proprietario, che può consistere anche nel fatto del terzo o del danneggiato, avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale (Cass. n. 5895/2011; 7260/2013; Cass. n. 17091/2014; Cass. n. 10402/2016). Nel caso di specie, il fatto storico dedotto da parte attrice, rappresentato dall'aver subito, mentre passeggiava su strada pubblica, un morso alla gamba destra da parte del cane di razza pitbull di taglia media di proprietà del convenuto e della successiva caduta a terra della vittima dell'aggressione, non è mai stato oggetto di contestazione del convenuto, risultando, comunque, provato dal rapporto della (...) del 20.12.2016, il cui contenuto è stato confermato in sede testimoniale dall'agente (...) nonché dalle dichiarazioni rese agli agenti nell'immediatezza del fatto dallo stesso proprietario del cane, odierno convenuto. Si aggiunga che dal verbale di (...) risulta che l'attrice (...) presentava una ferita da morso di cane lacerocontusa escoriata con perdita di sostanza, di circa 3 centimetri, al terzo medio della gamba destra ed una escoriazione al ginocchio sinistro seguente a caduta; circostanze, queste, tutte confermate in sede testimoniale dal medico che ha redatto il Verbale di (...) Dr. (...) convenuta invoca l'intervento del caso fortuito rappresentato, a suo dire, da un gesto inconsulto della danneggiata che avrebbe provocato l'improvvisa aggressiva reazione del cane. Tuttavia, dall'istruttoria non è emersa alcuna condotta colposa rimproverabile alla danneggiata. Risulta invece accertato che il cane, sebbene legato al guinzaglio, era privo di museruola in luogo pubblico. Ciò detto, la reazione improvvisa dell'animale non può di per sé integrare gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale, non potendosi ritenere che il mordere o aggredire un passante sia un evento imprevedibile ed inevitabile estraneo al rischio tipico relativo alla specie animale; infatti, l'imprevedibilità e l'inevitabilità non ricorrono nel fatto che il custode può prevenire esercitando i poteri di vigilanza che gli competono (Cass. n. 1655/2005). Pertanto, rimasto non provato il caso fortuito dedotto dal convenuto, dei danni cagionati all'attrice dall'aggressione da parte del cane, deve risponderne ai sensi dell'art.2052 c.c. il suo proprietario. In ordine all'accertamento dei danni, il nominato CTU ha accertato postumi a carattere permanente consistenti ferita della gamba destra da morso di cane, escoriazione di ginocchio sinistro da successiva caduta, trattate secondo la prassi e guarite nei tempi usuali, non più suscettibili di miglioramento o di aggravamento; tali ferite hanno determinato 10 giorni di inabilità temporanea totale e 40 giorni di inabilità temporanea parziale, senza necessità di assistenza personale infermieristica o generica, ed una compromissione permanente della validità psicofisica del soggetto, rappresentata da "sindrome da allarme ed esito cicatriziale con minimo pregiudizio estetico", valutabile nella misura del 5% , inteso come danno biologico comprensivo del danno estetico; precisa il CTU che tale compromissione non ha inciso sull'attività? lavorativa specifica e generica; riconosce il CTU la congruità delle spese sostenute per acquisto di farmaci per un importo complessivo di Euro 255,03, e spese mediche per un importo complessivo di Euro 1.118,00. Quanto alle osservazioni alla bozza peritale formulate dal CTP di parte convenuta relativamente alla presenza di eventuali comorbilità proprie dell'attrice incidenti sul tempo di guarigione della perizianda e sulla determinazione degli esiti permanenti della ferita, il CTU confermava le conclusioni raggiunte precisando che "sulla scorta dell'ecocolordoppler degli arti inferiori, eseguito dopo tre mesi dall'evento, e dell'esame obiettivo della visita eseguita in sede di operazioni peritali, il sottoscritto non ha evidenziato alterazioni pregresse del circolo artero-venoso degli arti inferiori, che possano aver avuto incidenza sui tempi di guarigione e sulla determinazione degli esiti permanenti della ferita". Le conclusioni del CTU vanno condivise, perché adeguatamente motivate ed immuni da vizi logici. Pertanto, l'esito dell'istruttoria conduce a ritenere raggiunta la prova, gravante su parte attrice ex art.2697 c.c., del verificarsi dell'evento dannoso e del nesso causale tra il comportamento del cane e le lesioni subite. Di contro, sono rimasti sforniti di prova, di cui era onerato il convenuto, l'intervento del caso fortuito e le dedotte concause nella determinazione del danno. In ordine alla liquidazione del danno, tenuto conto dei postumi permanenti accertati dal CTU (5%), trattandosi di lesioni c.d. micro-permanenti (postumi di lieve entità fino a 9%), deve farsi applicazione dei criteri fissati dall'art.139 del D.lgs. 209/2005 ((...) delle (...) private), aggiornati dal D.M. 16.10.2023. Si osserva che il danno non patrimoniale da lesione della salute ha natura unitaria ed il relativo risarcimento deve essere liquidato in una somma omnicomprensiva di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla danneggiata (all'integrità psico-fisica, dinamicorelazionale, morale, ecc.) che non costituiscono voci di danno autonomamente risarcibili ((...) Un. n. 26972/08), e della cui allegazione e prova è onerato il richiedente, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico (Cass. n. 339/2016). In applicazione dei richiamati criteri, considerata l'età dell'attrice al momento del sinistro (65 anni), devono essere liquidati Euro 5.110,05 per danno biologico permanente (5%), Euro 548,00 per invalidità temporanea totale (10 giorni), Euro 1.096,00. per invalidità temporanea parziale al 50% (40 giorni). Tenuto conto che il CTU ha precisato che la misura del 5% di danno biologico è comprensiva anche della alterazione comportamentale (sindrome d'allarme alla vista dei cani) e dei postumi di carattere estetico, non si ritiene di dover riconoscere la c.d. "personalizzazione" del danno in difetto di allegazione e prova di ulteriori pregiudizi eccedenti quelli normalmente correlati alle lesioni personali subite dall'attrice (Cass. n. 23469/2018). Devono riconoscersi le spese mediche documentate, come accertate dal (...) per complessivi Euro 1.373,03. (...) totale ottenuto par a Euro 8.127,05 deve essere devalutato alla data dell'evento lesivo (20.12.2016) e rivalutato con (...) ((...) indice (...), per un importo finale complessivo di Euro 8.771,19. Per tutto quanto considerato, parte convenuta deve essere condannata ex art.2052 c.c. a risarcire i danni patiti dall'attrice per l'importo complessivo di Euro 8.771,19 già rivalutato all'attualità, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. La soccombenza di parte convenuta nel merito della domanda regola le spese di lite che vengono liquidate, nella misura media, come in dispositivo sulla base del D.M. 55/14 e successive modifiche. Le spese di (...) già liquidate con decreto in data 22 marzo 2023, vengono poste definitivamente a carico di parte convenuta che deve rifondere quanto anticipato da parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di (...) monocraticamente e definitivamente pronunciando nella causa n. (...)/2018, ogni diversa domanda rigettata, così provvede: - dichiara la responsabilità in capo al convenuto per i danni subiti da parte attrice; - condanna il sig. (...) al pagamento in favore della sig.ra (...) dell'importo di Euro 8.771,19 già rivalutato all'attualità, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; - condanna il sig. (...) al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi, Euro 264,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell'Avv. (...) dichiaratasi antistataria; - pone le spese di (...) già liquidate con decreto in data 22 marzo 2023 definitivamente a carico di parte convenuta che deve rifondere quelle anticipate da parte attrice. Così deciso in Latina il 9 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2021 e promossa da (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) PESCARA, presso il difensore avv. (...) ATTORE contro (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliati in (...) PESCARA presso il difensore avv. (...) CONVENUTI CONCLUSIONI All'udienza di precisazione delle conclusioni del 7.2.204, tenuta con le modalità previste dall'art. 127 ter cpc, le parti hanno così concluso: l'attore ha chiesto che il Tribunale disponga perizia tecnica finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro verificatosi in (...) in data (...), procedendo al rinnovo della CTU medico-legale, disposta nel corso del presente giudizio, di cui contesta gli esiti. Nel merito, riportandosi alle richieste formulate con l'atto di citazione, ha chiesto che il tribunale, accertata la responsabilità esclusiva o comunque prevalente del conducente del veicolo (...) tg. (...) assicurato con la (...) condanni (...) e la (...) in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati, quantificati nella complessiva somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 incassato dall'attore a titolo di provvisionale, ovvero al risarcimento della differente somma ritenuta di giustizia, oltre interessi, rivalutazione monetaria e maggior danno derivante da ritardato adempimento, con decorrenza dalla data del sinistro al saldo effettivo. (...) e (...) hanno chiesto che il Tribunale, previa ammissione delle richieste istruttorie e rinnovo della CTU medico-legale espletata nel presente giudizio, ammetta la CTU cinematica, finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro, rigettando all'esito le domande formulate dall'attore. In subordine e salvo gravame, ritenuta la prevalente e concorrente responsabilità del (...) nella causazione del sinistro, limiti l'accoglimento della domanda al danno effettivamente dovuto e dimostrato, al netto della somma già corrisposta da (...) con integrale compensazione delle spese di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato il (...) ha convenuto in giudizio (...) e la (...) nelle rispettive qualità di proprietario/conducente e (...) assicuratrice per la responsabilità civile della vettura (...) tg. (...) chiedendo al Tribunale di accertare la responsabilità esclusiva o concorrente del convenuto (...) nella causazione del sinistro avvenuto in (...) il giorno 3.12.2010 alle ore 19:52 circa, in corrispondenza dell'intersezione tra Via da (...) e (...) tra il veicolo del (...) ed il ciclomotore modello (...) tg (...) da lui condotto. A sostegno della domanda formulata ha dedotto che, giunto in prossimità dell'intersezione con la Via da (...) di (...) posta alla sua destra, era stato travolto dal veicolo (...) tg. (...) che, provenendo dalla direzione opposta, nell'effettuare la manovra di svolta a sinistra verso Via da (...) aveva imboccato contromano la suddetta strada, omettendo di dare la precedenza al ciclomotore, che proveniva nel senso contrario. Ha quantificato i danni patrimoniali e non patrimoniali da lui subiti nella somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 versato a titolo di provvisionale dalla (...) ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Ha allegato la sentenza n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...) nel procedimento penale n. (...)/2011 RGnr, che aveva attribuito la responsabilità del sinistro avvenuto in data (...) all'imputato (...) nella misura dei 2/3 e per la quota residua all'attore, condannando l'imputato e la (...) citata come responsabile civile, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede (...)suo favore una provvisionale dell'importo di Euro 200.000,00. 2. Con comparsa depositata il (...) si sono costituiti i convenuti evidenziando che l'attore, con querela del 2/03/2011 (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva denunciato che il sinistro era avvenuto il 3 dicembre 2010 alle 19,45 circa in (...) n. 72 km 963, mentre spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà. Successivamente, in sede di costituzione come parte civile nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva dedotto che, al momento del fatto, si trovava alla guida del ciclomotore. In sede di esame dibattimentale, reso davanti al Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano sul proprio fianco destro il ciclomotore, in quanto privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Con sentenza penale n. (...)/2014 emessa all'udienza del 12.6.2014, il Giudice di pace di (...) sulla base delle lesioni riportate dal (...) e dei danni rilevati sui mezzi coinvolti nel sinistro, aveva ritenuto che l'attore, al momento del fatto, si trovasse alla guida del motociclo. Considerato che il motociclo procedeva a fari spenti, a velocità non commisurata allo stato dei luoghi e che il (...) era privo di casco, aveva attribuito il sinistro nella misura di 2/3 all'imputato e per la quota residua alla parte civile. La sentenza, impugnata dal (...) era stata confermata dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. 3. All'esito della fase di trattazione ed istruttoria, nel corso della quale è stata parzialmente ammessa la prova per interrogatorio e testi capitolata dalle parti e disposta CTU medico legale, finalizzata ad accertare la sussistenza di un aggravamento delle lesioni riportate dal (...) rispetto a quelle già esaminate dal perito nella relazione redatta in data (...) nel procedimento penale n. (...)/11 (...) la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 7/02/2024, nella quale è stata riservata per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini previsti dall'art, 190 c.p.c. ******** A. Sulla rilevanza, nel presente giudizio civile, della sentenza penale allegata dalle parti. a.1 Il convenuto (...) e la compagnia di assicurazioni (...) sono stati citati rispettivamente come imputato e responsabile civile nel giudizio penale conclusosi con sentenza di condanna n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...), impugnata dalla parte civile e confermata nei successivi gradi di giudizio dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. a.2 Con riguardo alla rilevanza, nel presente giudizio, della sentenza penale allegata dalle parti, va precisato che, nel successivo giudizio civile, risarcitorio e restitutorio il giudicato penale copre, ex art. 651 cpp, solo la condotta del condannato e non anche il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l'accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima ((...) civ. 3, n. 1665 del 29/01/2016). In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione promosso dalla parte civile, volto a censurare l'accertamento del giudice di merito in ordine al concorso di colpa della vittima nella determinazione causale dell'evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.17219). B. Sulle prove raccolte in sede penale ed allegate dalle parti b.1 Il giudice civile, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento del danno da reato, deve quindi procedere, autonomamente, a valutare la sussistenza di una eventuale concorrente responsabilità della persona offesa, senza essere vincolato dalla decisione assunta dal giudice penale. Può comunque legittimamente utilizzare, come fonte probatoria, le prove raccolte nel processo penale, purché acquisite con le garanzie di legge e basare la sua decisione anche su tali elementi e circostanze (Cassazione civile sez. III, 25/01/2024, n.2426). Nell'ordinamento processualcivilistico manca infatti una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, per cui è consentito al Giudice civile porre alla base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del processo (Cass. civ. 25 marzo 2004, n. 5965). (...)à delle prove è infatti categoria del solo rito penale, ignota al processo civile e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un'operazione logico-giuridica (Cass. civ. 12 giugno 2019, n. 15859). b.2 (...) della dinamica del sinistro può essere quindi validamente effettuato sulla base della documentazione depositata da parte attrice, che ha allegato copia della sentenza penale del Giudice di pace di (...) copia delle sentenze emesse nei successivi gradi di giudizio, dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione, copia del verbale redatto dai (...) di (...) che avevano effettuato i rilievi e copia dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi escussi davanti al Giudice di pace di (...) che aveva esaminato l'attore, costituito come parte civile ed i verbalizzanti che avevano effettuato i rilievi del sinistro. C. Sulla ricostruzione della dinamica del sinistro c.1 Assume l'attore che il (...), alle ore 19:52 mentre percorreva la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) a bordo del ciclomotore modello (...) tg (...) era stato investito dal veicolo (...) tg. (...) di proprietà e condotto dal convenuto (...) che, svoltando a sinistra, aveva invaso la corsia di pertinenza dell'attore. Considerato che, come sopra evidenziato, la sentenza penale emessa dal Giudice di pace di (...) che aveva accertato la condotta di guida dell'imputato (...) odierno convenuto, non è idonea ad accertare, con efficacia di giudicato, anche la condotta del (...) va evidenziato che tale accertamento è, nel caso in esame, irrimediabilmente compromesso proprio dalle dichiarazioni rese dall'attore. Questi, con querela da lui sottoscritta e datata 2.3. (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva dichiarato che, al momento del fatto, spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà, non funzionante. In sede di costituzione di parte civile depositata nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva genericamente dichiarato che il ciclomotore era da lui condotto al momento del fatto (cfr doc. 6). Sentito in sede di esame dal Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano, sul proprio fianco destro il ciclomotore privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Nel presente giudizio l'attore ha genericamente dichiarato che, al momento del fatto, stava percorrendo la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) (monti - mare) con il ciclomotore modello (...) tg (...) senza specificare se portasse a mano il veicolo spento oppure viaggiasse a bordo del veicolo in moto. (...) del ciclomotore come veicolo circolante ovvero come veicolo spento, condotto a mano, assume rilevanza dirimente nella ricostruzione del sinistro, in quanto se l'attore era a bordo del veicolo circolante con direzione (...) il convenuto che procedeva nell'opposto senso di marcia, prima di svoltare a sinistra, era tenuto a dare la precedenza al ciclomotore. Se invece l'attore conduceva a mano il veicolo spento, doveva comportarsi come un pendone ed attraversare l'incrocio, privo di strisce pedonali (cfr doc. 19 e fotografie del teatro del sinistro allegate alla perizia redatta dall'ing. (...) dando la precedenza a tutti i veicoli in transito, quindi nel caso di specie anche al (...) così come previsto dall'art. 190 comma 5 CdS. c.2 Sulla base dei rilevanti danni riportati da entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro e delle gravi lesioni subite dall'attore, rinvenuto a circa 7 metri dal punto d'urto, sul lato opposto rispetto alla vettura del (...) il Giudice di pace di (...) aveva ritenuto che il (...) procedesse a bordo del ciclomotore e che, approssimandosi all'incrocio avesse tenuto una velocità non commisurata allo stato dei luoghi. Aveva inoltre evidenziato che la frattura, riportata dal (...) all'arto inferiore destro, non era compatibile con la versione che vedeva il medesimo condurre a mano lo scooter sul lato destro. Tale ricostruzione dei fatti, già condivisa dal Tribunale e dalla Corte di Cassazione, risulta certamente la più verosimile, in quanto riscontrata sulla base di dati oggettivi, quali l'entità dei danni riportati dai veicoli coinvolti nel sinistro, l'entità delle lesioni subite dall'attore ed il luogo nel quale questi era stato rinvenuto. È infatti evidente che se (...) conduceva a mano il motociclo non poteva essere sbalzato oltre la vettura, a distanza di sette metri dal punto d'impatto. c.3 Accertato che, al momento del fatto l'attore viaggiava a bordo del ciclomotore, si può quindi procedere all'accertamento della condotta di guida del medesimo sulla base dei criteri dettati dall'art. 2054 cc. Ai sensi della norma citata, l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente. Il conducente che invoca la responsabilità esclusiva dell'altra parte, nella causazione del sinistro, deve infatti vincere la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 comma II c.c. e fornire la prova dell'esatta dinamica dell'incidente, della riconducibilità eziologica dello stesso ad una colpa esclusiva dell'altro conducente e della piena conformità della propria condotta alle norme cautelari comuni e specifiche (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 124 del 08/01/2016). (...) violazione, da parte del (...) dell'obbligo di dare la precedenza e la condotta di guida del (...) che, in prossimità di un incrocio, procedeva a velocità sostenuta e a luci spente, consente di attribuire al convenuto una maggiore percentuale di responsabilità, quantificata nella misura di 2/3, con attribuzione all'attore della percentuale residua. Trattasi di valutazione complessiva che, alla luce delle contraddizioni evidenziante nella ricostruzione del fatto da parte dell'attore, non verrebbe sostanzialmente modificata nell'ipotesi in cui fosse possibile accertare che il convenuto aveva svoltato a sinistra, impegnando l'incrocio senza portarsi prima al centro dell'intersezione. Trattasi infatti di manovra che, valutata alla luce della condotta di guida dell'attore, ben poteva essere stata attuata dal (...) proprio allo scopo di evitare la collisione con il motociclo, che procedeva a fari spenti, nell'opposto senso di marcia. Sulla base dell'accertato il grado di corresponsabilità dell'attore nella causazione del sinistro, si può passare ad esaminare l'entità dei danni riportati dall'attore. D. Sugli accertamenti svolti dal CTU d.1 Dall'esame degli atti risulta che l'attore, a seguito del sinistro stradale verificatosi in data (...), aveva riportato lesioni per le quali era stato soccorso e accompagnato al P.O. di (...) e da qui trasferito presso la U.O. di Rianimazione del P.O. di Pescara per "stato di coma profondo in politrauma severo". In data (...) era stato trasferito presso l'(...) di riabilitazione ospedaliera (...) di (...) dove era rimasto degente fino al 21/02/2011, per poi continuare la riabilitazione presso il proprio domicilio. La diagnosi definitiva era stata "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura branca ischio-pubica destra. Frattura polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistro. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laserbroncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di fili di (...) al polso sinistro e di fissatori esterni alla gamba destra". d.2 Al CTU, dott. (...) già nominato come perito dal Giudice di (...) di (...) è stato chiesto di accertare l'esistenza di un eventuale aggravamento delle lesioni riportate dal DI (...) rispetto all'accertamento compiuto dal perito in data (...) precisando, laddove possibile, se ed in quale misura, le lesioni riportate dall'attore erano state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. Il CTU, considerato che le lesioni riportate dal (...) a seguito del sinistro per cui è causa, sono rappresentate da: "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale e ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea della gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura della branca ischio-pubica destra. Frattura del polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistra. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laser - broncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di filo di (...) al polso sinistro e dei fissatori esterni alla gamba destra", aveva evidenziato che la guarigione clinica era intervenuta con rilevanti menomazioni di natura permanente, a carico di numerosi e vari organi funzionali. All'esito dell'esame del periziando, aveva accertato che i principali organi ed apparati interni non mostravano alterazioni significative sul piano clinico, mentre l'esame dettagliato dei distretti corporei, oggetto di lesioni, consentiva di rilevare una cicatrice chirurgica, rotondeggiante lunga cm 2, in esito a tracheostomia in regione giugulare. Piccola area cicatriziale quadrangolare di cm 1,5 (...) 1,5 in medio torace bilateralmente, lato esterno e obiettività toraco-polmonare negativa. (...) del sistema nervoso centrale non mostrava significativa alterazione a focolaio, mentre erano evidenti disturbi del coordinamento alla prova indice naso e calcagno-ginocchio. (...) saggiato in (...) dava luogo ad oscillazioni pluridirezionali del tronco con tendenza alla caduta posteriore, che miglioravano tuttavia all'apertura degli occhi. (...) psichico faceva rilevare la presenza di un'amnesia perilesionale con persistenza di deficit della memoria recente e un apprezzabile rallentamento ideativo. (...) dell'apparato locomotore mostrava un rachide in asse con spiccata spinalgia pressoria al segmento cervicale, dove i movimenti risultavano rigidi, dolenti e limitati globalmente di un terzo su tutte le direzioni. (...) temporomandibolare destra risultava dolente alla mobilizzazione, che evocava scrosci in chiusura. (...) dell'arto superiore sinistro in destrimane consentiva di rilevare la presenza di una cicatrice chirurgica, ben riparata, lunga cm 5, in regione carpale, lato palmare. Altra cicatrice chirurgica, lunga cm 5, era presente sul lato dorsale della mano, a decorso longitudinale e ubicata tra il III e IV raggio metatarsale. I movimenti dell'articolazione del polso sinistro risultavano così limitati: la flessione era consentita per 30 mentre l'estensione risultava possibile per solo 5; la flessione ulnare e radiale risultavano anch'esse possibili per solo pochi gradi. Normale la pronosupinazione. La mano sinistra presentava una muscolatura evidentemente ipotrofica e ipotonica con riduzione volumetrica rispetto alla mano controlaterale e deficit perimetrico di cm 2 al metacarpo. La cute si presentava fredda al termotatto con ipoestesia diffusa. La forza prensile era significativamente ridotta così come la formazione del pugno. (...) dell'arto inferiore destro consentiva di rilevare un accorciamento di cm 2 rispetto all'arto controlaterale. Soddisfacente il trofismo muscolare mentre vi era una ipoestesia sulla regione laterale della gamba e a livello della caviglia. Rilevava la presenza di varie cicatrici rappresentate da cicatrice stellata sulla regione malleolare laterale con diametri massimi di cm (...), area cicatriziale di cm 7(...)5 sul lato esterno, III medio della gamba, altra cicatrice di cm 2(...)2 presente sul lato mediale III medio della gamba, cicatrice lunga cm 6 sulla coscia destra, III inferiore, lateralmente. Non erano state rilevati cicatrici a livello del cranio che, ove presenti, risultavano del tutto ricoperte dai capelli e pertanto non visibili. (...) del ginocchio destro si presentava asciutta, mobile ma con flessione limitata di circa un quinto, estensione completa. La caviglia destra risultava dolente alla mobilizzazione limitata di circa un quarto, con tonotrofismo muscolare in ordine rispetto all'arto controlaterale. Il restante apparato locomotore risultava indenne, mentre la deambulazione si svolgeva con lieve zoppìa. Le lesioni come sopra descritte avevano comportato per il periziando i seguenti effetti: i) sindrome neurologica deficitaria, in esito agli ematomi cerebrali plurimi (subdurale, cerebellare bilaterale ed epidurale frontale sinistro) e al prolungato stato di coma, caratterizzato da amnesia perilesionale, disturbi della memoria e del sonno, cefalea, vertigini, deficit del coordinamento motorio e rallentamento ideativo; ii) deficit funzionale del polso e dell'articolazione della mano sinistra, in destrimane, in esiti delle lesioni fratturative ossee (frattura dello scafoide trattata chirurgicamente) e riconducibili alle lesioni del nervo ulnare con ipotonotrofia muscolare e associati disturbi sensitivomotori; iii) esiti di frattura biossea della gamba destra con accorciamento dell'arto, ipoanestesia a livello della gamba, numerosi esiti cicatriziali discromici e modesto deficit funzionale delle articolazioni del ginocchio e della caviglia omolaterale; iv) esiti algico-disfunzionali della frattura ischio-pubica; v) postumi del trauma distorsivo cervicale e dell'articolazione temporo-mandibolare destra riconducibili al trauma facciale destro. Il danno biologico permanente complessivo, riconducibile alle menomazioni come sopra descritte, è stato ritenuto dal CTU sostanzialmente sovrapponibile a quello già accertato con relazione peritale del 04/03/2013 versata in atti, ancorché rivalutato secondo le indicazioni fornite dalla (...) intervenute in epoca successiva (2016). Tenuto conto dei plurimi danni accertati, il perito aveva valutato nella percentuale del 45% la riduzione dell'integrità psicofisica riportata dal (...) a seguito del sinistro stradale del 3.12.2010 Considerato il prolungato periodo di cure e riabilitazione aveva quantificato l'inabilità temporanea totale in mesi 6, l'inabilità temporanea parziale al 75% in mesi 3 e l'inabilità temporanea parziale al 50% in mesi 3. (...) del danno biologico sulla capacità lavorativa specifica era stata stimata nella misura del 20%. d.3 In relazione all'omesso utilizzo del casco di protezione, considerato che il (...) all'esito dell'investimento, era stato proiettato a distanza di quasi 7 metri dal punto d'urto, il CTU aveva evidenziato che l'utilizzo di un casco protettivo, regolarmente indossato, poteva contenere e limitare le lesioni a livello del cranio, ferme restando le menomazioni riportate alle restanti parti del corpo, ivi comprese quelle di natura neurologica periferica (lesione del nervo ulnare). Con riferimento al danno di esclusiva origine cerebrale, stimabile percentualmente e singolarmente, sempre sulla base delle indicazioni fornite dalla (...) nella misura di circa il 20%, in termini di riduzione della integrità psico fisica, evidenziava che non era possibile stabilire con certezza in quale misura le lesioni neurologiche centrali potevano essere state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. La dinamica cruenta del sinistro, gli ingenti danni materiali riportati da entrambi i veicoli coinvolti, le multiple e gravi lesioni fratturative contusive distribuite sul capo, sul tronco e sui quattro arti lasciavano supporre, con alto grado di probabilità scientifica, che il danno alle strutture cerebrali centrali si sarebbe comunque determinato. In tale contesto, considerato che non erano state rilevate lesioni fratturative della calotta cranica, l'uso del casco di protezione avrebbe potuto, al massimo, attutire l'impatto lesivo. Richiamate le (...) guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico fornite dalla (...) aveva ritenuto, in termini esclusivamente probabilistici (nel senso del più probabile che non) che l'utilizzo del casco di protezione cranica, regolarmente indossato, poteva ridurre di almeno un terzo l'incidenza menomativa delle lesioni cerebrali (ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro) di natura contusiva/concussiva, che si erano prodotte con meccanismo traumatico derivante da un urto frontale e successivo contraccolpo nucale del cranio, con conseguente riduzione del danno neurologico derivante dalle lesioni di natura cerebrale nella misura di circa il 13%. d.4 Ritenute le valutazioni effettuate dal CTU pienamente condivisibili, in quanto esposte con rigore logico ed all'esito di un attento esame della documentazione sanitaria in atti e delle attuali condizioni psicofisiche del (...) valutata l'adeguatezza delle risposte formulate dal CTU ai rilievi svolti dal (...) considerato che l'omesso corretto uso di un casco protettivo omologato, da parte del conducente infortunato in un incidente stradale è idoneo, salva prova rigorosa del contrario, rispettosa delle leggi della medicina, a contribuire alle modalità di accadimento dell'evento lesivo, il danno biologico permanente riportato dall'attore può essere ragionevolmente rivalutato, nella misura complessiva del 40%, incidente sulla capacità lavorativa specifica nella misura di circa il 17% - 18%. Resta invariata la quantificazione dell'invalidità temporanea, come sopra determinata. E. Sull'importo del danno non patrimoniale riportato dall'attore e.1 Sulla base degli accertamenti svolti dal (...) si può quindi procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale riportato dall'attore. Considerata la tipologia del danno, vanno applicate le (...) di (...) vigenti che, nell'ultima edizione del 2021, prevedono da un lato una liquidazione del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari", dall'altro una liquidazione del "danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termine di dolore, sofferenza soggettiva in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione". e.2 Tenuto conto dell'età dell'attore nel momento in cui l'invalidità temporanea (della durata complessiva di 12 mesi) si è cronicizzata in invalidità permanente (21 anni circa) per il principio per cui "nella liquidazione del danno biologico permanente occorre fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza", (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10303 del 21/06/2012) il danno non patrimoniale permanente in questione, accertato nella percentuale del 40%, è pari alla somma tabellare di Euro 288.265,00 già all'attualità, di cui Euro 192.177,00 per danno biologico ed Euro 96.088,00 per danno morale, spettante nel caso di specie, considerata la gravità e la pluralità dei distretti interessati dalle lesioni, il lungo periodo di riabilitazione ospedaliera durante il quale l'attore era stato degente presso l'(...) di (...) protrattosi fino al 21/02/2011 e la successiva riabilitazione domiciliare. Non sussistono invece i presupposti per una personalizzazione del danno come sopra liquidato, non essendo stata dimostrata dall'attore l'esistenza di circostanze particolari, tali da giustificare la liquidazione di un danno maggiore rispetto a quello come sopra liquidato. Lo svolgimento di attività amatoriali quali il calcetto o le arti marziali, effettuate dall'attore prima del sinistro, genericamente confermato dal teste (...) sentito all'udienza del 22.4.2022, non ha infatti trovato riscontro in alcuna documentazione comprovante l'iscrizione dell'attore a palestre o corsi sportivi. Premesso che, in relazione al calcetto e alle arti marziali, nessuna documentazione fotografica di allenamenti, partite o tornei, organizzati a livello amatoriale, è stata allegata dall'attore, va segnalato che, l'esame delle fotografie pubblicate dall'attore sul proprio profilo facebook, in epoca successiva al sinistro, mostrano l'immagine di un giovane sorridente, in grado di indossare pattini da ghiaccio e montare su un cavallo (cfr doc. depositata da parte convenuta). e.3 Considerato che, per l'invalidità temporanea totale, le (...) prevedono una forbice di valori monetari che va da un minimo di Euro. 99,00 ad un massimo di Euro. 149,00 al giorno, all'attore spetta il ristoro del danno non patrimoniale temporaneo riportato in conseguenza delle lesioni subite, determinato nel complessivo importo di Euro 29.250,00, considerato come punto base quello di Euro 100,00 per ogni giorno di invalidità totale, applicandola in percentuale ai successivi giorni di invalidità temporanea. Il danno non patrimoniale complessivamente riportato dall'attore, in conseguenza del sinistro, è quindi pari ad Euro 317.515,00 (288.265,00+ 29.500,00). F. Sull'importo del danno patrimoniale riportato dall'attore f.1 Non è contestato che l'attore, al momento del sinistro, prestasse attività lavorativa coadiuvando il gestore di un bar. Nessuna documentazione reddituale è stata dal medesimo depositata in relazione a tale attività, probabilmente non remunerata. (...) ha dimostrato che, a decorrere dal 30.09.2011, previo superamento del corso di formazione iniziale di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, era stato ammesso nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) (cfr doc. n. 25). Assume l'attore che, a causa delle lesioni riportate a seguito del sinistro, non essendo in possesso dei requisiti di cui alla tabella A del DPR n. 76/04, non aveva potuto partecipare al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito l'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Va al riguardo precisato che la perdita di chance (...) si sostanziata nella privazione della possibilità di conseguire risultati patrimoniali vantaggiosi e costituisce un danno patrimoniale risarcibile (Cass. sent. n. 22376/2012; n. 14820/2007; n. 12243/2007; n. 11322/2003; n. 682/2001; n. 8468/2000; n. 6906/2000). Deve però trattarsi di un danno certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante bensì nel danno emergente da perdita di possibilità attuale e non di un futuro risultato. Detto altrimenti, la chance è anche essa un bene patrimoniale, un'entità giuridicamente a sé stante ed economicamente valutabile che rivendica una propria autonomia, la cui perdita produce un danno attuale risarcibile, purché ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità e presunzione. La chance è quindi un'attitudine attuale del soggetto e non futura, costituendo economicamente una componente già acquisita al patrimonio del danneggiato. Ai fini della risarcibilità del danno da perdita di chance non occorre che l'avente diritto offra la prova del sicuro conseguimento dell'utilità finale perduta, ma è sufficiente che egli fornisca dimostrazione di taluni segmenti della fattispecie che l'avrebbero posto in condizione di realizzare la situazione giuridica di vantaggio, mentre il grado di probabilità del suo pieno conseguimento incide sulla percentuale delle chances di successo; in altri termini sul danno risarcibile. Quanto più la percentuale di consecuzione sarà prossima al 100%, tanto più il danno risarcibile si avvicinerà all'ammontare stimato dell'utilità finale. Per converso, quanto più esigua risulterà quella percentuale, tanto più il danno risarcito si discosterà dal bene della vita cui si aspirava finanche, in ipotesi, ad escludere in toto la risarcibilità qualora fosse accertato la prossimità a zero della percentuale di consecuzione dell'effetto favorevole e, quindi, la completa inattitudine del segmento di fattispecie realizzato a far conseguire il risultato sperato (cfr., in motivazione, Cass. n. 23846/2008; sent. n. 13241/2006). (...), che ha allegato il provvedimento con il quale era stato ammesso al corso di formazione iniziale, di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, per l'ammissione nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) ha omesso di indicare e provare la sussistenza dei titoli e dei requisiti morali, psico-fisici ed attitudinali prescritti per la partecipazione al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito di aspirare all'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Non ha neppure indicato il numero dei posti messi a concorso ed il numero dei partecipanti effettivi al corso di formazione. Trattasi di omissioni che impediscono di formulare una qualsivoglia prognosi favorevole sulle effettive possibilità di assunzione dell'attore nel (...) dei (...) del (...) f.2 (...), che al momento del sinistro non era titolare di attività di lavoro retribuita e che non ha prodotto documentazione reddituale recente, sentito all'udienza del 12.1.2022 ha dichiarato di prestare lavoro da casa, con il computer, per una compagnia che si chiama (...) facendo assistenza ai clienti. Il danno patrimoniale, conseguente la riduzione della capacità lavorativa specifica dell'attore, andrà quindi determinato utilizzando il criterio residuale del triplo della pensione sociale (Cassazione civile sez. III, 13/06/2023). Rilevato che il CTU ha quantificato nella misura del 17-18% la riduzione della capacità lavorativa specifica, per la capitalizzazione di tale tipologia di danno si ritiene opportuno adottare le vigenti tabelle elaborate dal Tribunale di (...) per la capitalizzazione anticipata di una rendita, visibili sul sito https://ius.giuffrefl.it/dettaglio/10473970/capitalizzazione-anticipata-di-una-rendita-milano-2023-i- nuovi-criteri-elaborati-dallosservatorio-sulla-giustizia-civile-di-milano, da ritenersi senza dubbio più adeguate del R.D. 1403/22 adottato in precedenza. Esaminata la nuova tabella di capitalizzazione del Tribunale di (...) relativa ai maschi in cui, nella prima colonna (quella in giallo) è riportata l'età dell'infortunato, si individua la riga dei 20 anni e si scorre sulla stessa fino a rinvenire la colonna n. (...) (l'arco temporale selezionato va dai 20 fino all'età pensionabile che si assume pari a 67 anni). Nell'incrocio tra le due colonne vi è un numero (il c.d. coefficiente moltiplicativo) che, nel caso in esame è 56,67, che va moltiplicato per il reddito fiscale annuale del soggetto all'epoca del sinistro, in questo caso pari al triplo della pensione sociale per l'anno 2024 che è di Euro 534,41, da moltiplicare per 13 mesi. Il parametro del triplo porta l'importo annuale di Euro 6.947,33 a un totale di Euro 20.841,99 che va moltiplicato per il coefficiente del 56,67, proprio di un ventenne che, astrattamente, dovrebbe lavorare per altri 47 anni fino all'età della pensione che si assume a 67 anni. Sull'importo così calcolato di Euro 1.181.115,57 va applicata la percentuale di riduzione della capacità lavorativa, pari al 18%, pervenendosi ad un importo finale già rivalutato di Euro 212.600,80. G. Sul quantum debeatur g.1 Accertato che il danno non patrimoniale riportato dall'attore è pari ad Euro 317.515,00 e che il danno patrimoniale come sopra calcolato è pari ad 212.600,80, sull'importo complessivo del danno, pari ad Euro 530.115,80 va applicata la riduzione di 1/3 considerata la percentuale di responsabilità attribuita all'attore. g.2 Dall'importo finale così determinato nella misura di Euro 353.(...),53 va detratto l'acconto di Euro 200.000,00 già versato da (...) in data antecedente all'8.7.2013 pari oggi (a seguito della relativa rivalutazione (...) ad Euro. 238.600,00. È infatti noto che la liquidazione del danno extracontrattuale, che dev'essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, dev'essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei. Ciò si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l'importo degli acconti alla data della liquidazione finale del danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16726 del 17/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16448 del 15/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17743 del 03/09/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 10/03/1999). La somma risarcitoria attribuibile all'attore a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale è quindi pari ad Euro 114.810,53 (353.(...),53 - 238.600,00) alla quale devono aggiungersi, a titolo di danno da ritardo ed in misura equitativa, gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 (approssimativa epoca in cui il danno non patrimoniale temporaneo, traducendosi in danno permanente, ha fatto maturare in capo all'attore gran parte del credito risarcitorio qui riconosciuto) sino alla data odierna (cfr. ex multis (...) della Cassazione n.1712/95, Cass. N. 608/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5671 del 09/03/2010; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9194 del 19/05/2020). g.3 Sulla somma finale di cui sopra spetteranno, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, gli interessi corrispettivi al tasso legale ai sensi dell'art. 1282 c.c., in quanto somma convertitasi in debito di valuta (cfr. in tal senso ex multis Cass. Sent. 22 giugno 2004 n. 11594; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9711 del 21/05/2004). H. Sulla liquidazione delle spese h.1 (...) corresponsabilità dell'attore e l'ammontare del danno liquidato ante causam dalla (...) di assicurazione, giustificano la parziale compensazione delle spese di lite che, liquidate come in dispositivo sulla base del valore della causa come sopra accertato, amentato in considerazione del numero delle parti, vanno compensate nella misura del 50% e poste per la quota residua a carico dei convenuti, in solido. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. h.2 Per le medesime ragioni le spese di (...) liquidate come da separato decreto, vanno poste nella misura del 50 % a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti, in solido tra loro, con conseguente diritto agli eventuali conguagli. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. (...)/2021, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, (...) che il complessivo danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile in favore di (...) quale conseguenza del sinistro avvenuto in data (...), già decurtato della quota di responsabilità a lui attribuita e dell'acconto ricevuto in corso di causa è pari ad Euro.114.810,53 calcolato all'attualità, oltre accessori, (...) e la (...) in solido tra loro, a versare all'attore a titolo risarcitorio la somma di Euro.114.810,53 già all'attualità, oltre (a titolo di danno da ritardo) gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 sino alla data odierna, oltre interessi legali sulla somma complessiva così come determinata, dalla data della pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo. (...) e la (...) alla rifusione delle spese sostenute dall'attore che, previa compensazione nella misura del 50%, liquida nel residuo in Euro 1.512,00 per l'attivazione e la fase di negoziazione, in Euro 856,50 per esborsi ed in Euro 9.166,95 per onorari, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. PONE le spese di (...) liquidate come da separato decreto, nella misura del 50% a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti in solido. Così deciso in Pescara il 6 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI VI sezione civile riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dr.ssa (...) D'(...) - Presidente dr. (...) - (...) dr.ssa (...) - (...) rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al N. (...) R.G.A.C. per l'anno 2017, riservata in decisione all'udienza a trattazione scritta del 30.11.2023, vertente TRA (...) ((...)), rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. (...) con il quale è elettivamente domiciliato (...), presso lo studio dell'avv. (...) COMUNE di (...) ((...)), in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dagli avv.ti (...) e (...) presso il cui studio in (...) via (...) n. 156, è elettivamente domiciliato; (...) appello contro l'ordinanza del Tribunale di Avellino ex art. 702 ter c.p.c., n. cron. (...)/2017, pubblicata in data (...). CONCLUSIONI: come da rispettive note scritte autorizzate, da intendersi qui richiamate e trascritte. IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data (...), (...) conveniva in giudizio, innanzi al tribunale di Avellino, il Comune di (...) in persona del sindaco in carica, onde sentirne accertare l'esclusiva responsabilità ex art. 2051 c.c. nella causazione dell'evento lesivo verificatosi il (...), con conseguente condanna dell'ente convenuto al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in Euro 25.00,00, oltre interessi legali e rivalutazione. Con vittoria delle spese di lite. A sostegno della pretesa, l'istante assumeva che in data (...), alle ore 12.00, si trovava in località "(...) della frazione (...) del Comune di (...) allorquando cadeva in una buca, sita all'interno della zona destinata a parcheggio e antistante l'ingresso delle seggiovie, non visibile, in quanto interamente coperta dalla neve, né segnalata e tanto meno transennata; che, a seguito della caduta, riportava frattura-lussazione trimalleolare caviglia destra, con conseguente necessità di sottoporsi ad intervento chirurgico presso l'ospedale "(...) di (...) ove veniva ricoverato dalla data del sinistro fino al 30.1.2012; che residuava un danno biologico con postumi invalidanti nella misura del 7-8%, con lieve riduzione della capacità lavorativa; che la responsabilità del sinistro andava ascritta al comune di (...) ex art. 2051 c.c., quale ente proprietario della strada e custode della stessa, per mancata manutenzione nonché omessa segnalazione e/o recinzione della zona in cui si era verificato il sinistro. Radicata la lite, si costituiva in giudizio, con comparsa del 18.7.2016, il Comune di (...) negando ogni responsabilità nell'accaduto, da ascriversi al comportamento colpevole ed imprudente dell'utente danneggiato, con conseguente ricorrenza del c.d. "fortuito incidentale" idoneo a interrompere ogni nesso di causalità. Concludeva, dunque, per il rigetto della pretesa attorea, infondata e non provata, con vittoria delle spese. Rinviata la causa onde consentire l'esperimento della negoziazione assistita, mutato il rito da ordinario a sommario di cognizione e assunta la prova testimoniale, la lite veniva definita con ordinanza n. cronol. (...)/2017, pubblicata in data (...), con cui il tribunale di (...) ricondotta la fattispecie nell'alveo di applicabilità dell'art. 2051 c.c. e ritenuto nondimeno indimostrato il nesso di causalità tra le lesioni lamentate e la res in custodia, così statuiva: "a. rigetta la domanda proposta da (...) b. condanna l'attore (...) al pagamento in favore del convenuto comune di bagnoli irpino, in persona del sindaco pro tempore, delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 438,00 per compenso per la fase di studio, Euro 370,00 per compenso per la fase introduttiva, Euro 1.120,00 per compenso per la fase istruttoria, Euro 810,00 per compenso per la fase decisoria, oltre I.V.A. e C.P.A. se dovute nelle misure di legge, e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso". (...) tale ordinanza, comunicata in data (...), con atto di citazione notificato il (...), proponeva appello (...) lamentando, con due connessi motivi di gravame, l'erronea valutazione delle risultanze istruttorie da parte del tribunale, che rigettava la pretesa attorea sull'erroneo assunto che fosse rimasto indimostrato il nesso di causalità e che nella specie ricorresse l'esimente del caso fortuito, con conseguente esclusione della responsabilità in capo alla P.A. convenuta. Chiedeva, pertanto, in riforma dell'ordinanza gravata, l'accoglimento della domanda risarcitoria azionata in prime cure, con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio, con distrazione, insistendo, in via istruttoria, per l'espletamento di ctu medico-legale, con l'acquisizione della registrazione delle risultanze della prova testimoniale espletata in primo grado e, se possibile, anche la trascrizione cartacea di essa. Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data (...), il Comune di (...) insistendo per l'integrale rigetto dell'avverso gravame, inammissibile in rito ex artt. 348 bis e 342 c.p.c., oltre che infondato nel merito, con conseguente conferma dell'ordinanza impugnata e vittoria delle spese del grado. Acquisito il fascicolo d'ufficio di prime cure, unitamente al supporto magnetico (pervenuto in data (...)) contenente la registrazione del file audio delle deposizioni testimoniali assunte in primo grado, ammessa ed espletata CTU medico-legale (depositata il (...)), all'udienza cartolare del 30.11.2023, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive note scritte autorizzate, la causa veniva definitivamente riservata in decisione, previa concessione dei termini di legge ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti difensivi. I. In rito, premesso che l'eccezione ex art. 348 bis c.p.c. deve intendersi superata, trovandosi la causa in fase decisoria, si osserva che l'impugnazione, tempestivamente proposta, soddisfa il requisito formale prescritto dall'art. 342 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, essendo stati chiaramente individuati i punti della sentenza gravata sottoposti a critica ed illustrata la diversa ricostruzione dei fatti prospettata dall'appellante, che, in definitiva, ha rappresentato alla corte un contenuto completo delle proprie censure sì da permettere il raffronto immediato fra le motivazioni della pronuncia impugnata e le motivazioni addotte nell'atto di appello. Invero, per ormai consolidato insegnamento giurisprudenziale, "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata"(Cass., Sez. Unite, 2017/n. 27199; nello stesso senso, da ultimo, Cass., Sez. Unite, 2022/n. (...)). In altri termini, occorre, ed è per altro verso sufficiente, che il giudice del gravame, come verificatosi nella specie, sia posto in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, e che l'appellante dimostri di aver compreso le ragioni del primo giudice e indichi il perché queste siano censurabili, senza che sia preteso il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate. II. Nel merito, l'appello è fondato e va accolto per le considerazioni che ci si accinge a precisare. Con due motivi di gravame, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi, si lamenta che il tribunale, pur ritenendo applicabile, in punto di diritto, l'art. 2051 c.c. invocato dall'istante, avrebbe poi, con un ragionamento certamente solo induttivo, fondato sull'errata valutazione delle risultanze istruttorie, rigettato la pretesa risarcitoria azionata dal (...) sull'erroneo assunto che nella specie: a) fosse oggettivamente impossibile il potere di controllo dell'ente comunale convenuto, con conseguente ricorrenza dell'esimente del caso fortuito; b) fosse rimasto indimostrato il nesso di causalità tra il danno patito e la res in custodia, non potendo l'avvallamento del fondo stradale e la stessa dinamica del sinistro, per come descritti dai testimoni, cagionare le gravi lesioni riportate dall'attore, indicate in citazione. Assume, in contrario, l'appellante di aver dato piena prova (testimoniale e documentale) della sussistenza dell'insidia e del nesso di causalità con le lesioni subite, avendo i testi escussi concordemente e specificamente descritto che la caduta del (...) con le conseguenti lesioni, era avvenuta per effetto della situazione oggettiva e anomala del fondo del parcheggio ("avvallamento del terreno e copertura di esso dalla neve"), laddove, di contro, l'ente convenuto non aveva fornito alcuna prova della ricorrenza del "fortuito", né che l'evento si fosse verificato per il comportamento colpevole del danneggiato, vieppiù che, quanto alla sussistenza della anomalia del fondo stradale del parcheggio (buca e avvallamento), la situazione oggettiva dei luoghi, come dedotta e precisata in prime cure dall'attore, non era stata contestata da controparte. La censura è fondata nei termini che seguono. Giova innanzitutto riportare i passi rilevanti della pronuncia gravata, con cui il tribunale preliminarmente evidenziava: "l'art. 2051 c.c. trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali, con la precisazione che essendo, tuttavia, detti beni particolarmente esposti a fattori di rischio non prevedibili e non controllabili dal custode, perché determinati dai comportamenti del pubblico indiscriminato degli utenti - che il custode non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni - il caso fortuito idoneo ad esimere da responsabilità il custode di beni demaniali va individuato in base a criteri più ampi ed elastici di quelli che valgono per i beni privati (Cass. civ., Sez. III, 6 giugno 2008, n. 15042). Il caso fortuito va individuato, in particolare, nei casi in cui la causa che ha provocato il danno non sia strutturale e intrinseca al modo di essere del bene, ma sia derivata da comportamenti estemporanei di terzi, non immediatamente conoscibili o eliminabili dal custode, neppure con la più diligente attività di manutenzione. (... omissis...). In definitiva, questo Giudice ritiene che la combinazione delle tre caratteristiche della demanialità o patrimonialità del bene, dell'uso diretto dello stesso da parte della collettività, nonché della sua estensione, non siano circostanze automaticamente idonee ad escludere l'astratta applicabilità dell'art. 2051 c.c. Piuttosto, queste vanno considerate come circostanze che possono rilevare ai fini dell'individuazione del caso fortuito, a causa delle implicazioni che determinano sulle modalità di svolgimento della vigilanza sulla cosa in custodia. Esse, quindi, vanno ad incidere sull'onere della prova che la P.A. deve soddisfare per sottrarsi alla responsabilità una volta che siano stati dimostrati l'esistenza dell'evento, nonché del nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso". Tanto premesso, così il primo giudice argomentava il rigetto della pretesa attorea: "sia l'avvallamento che la dinamica del sinistro per come descritti dai testimoni escussi non vengono ritenute da questo giudice, nell'esercizio del libero convincimento riconosciutogli dal codice di rito, in grado di cagionare le lesioni indicate in citazione; in effetti, un avvallamento di scarsa profondità (20-30 cm), della non indifferente ampiezza descritta dai testimoni e tenuto conto che la parte inferiore dello stesso era anche "ammorbidita" dalla neve, non può aver causato una lesione del tipo di quello indicato in citazione; pure la dinamica del sinistro per come descritta non convince lo scrivente, perché non è chiaro in che modo l'incappare in tale avvallamento abbia provocato l'accasciamento dell'attore sul suo lato destro e le gravi lesioni descritte in citazione; non possono poi venire in soccorso neppure le foto allegate alla citazione perché: a) si tratta di foto le quali sono state scattate evidentemente non nella giornata del sinistro bensì dopo un certo tempo - in questo senso depone univocamente il fatto che non vi sia neve all'interno dell'avvallamento ritratto dalle stesse, mentre entrambi i testimoni hanno chiaramente riferito che la zona era ricoperta di neve -, per cui queste non ritraggono in modo affidabile il luogo preciso in cui si è verificato il sinistro; b) il dissesto stradale ritratto in queste foto è ben più ampio rispetto a quello descritto dai testimoni - in effetti in quasi metà della strada risulta fortemente eroso l'asfalto; c) nell'ambito dei dissesti ritratti in foto non risulta chiaro precisamente quale di questi avrebbe causato la caduta; d) ad ogni buon conto non sembrano ricavabili da tali foto avvallamenti con le caratteristiche proprie di quelle descritte dai testimoni; e) pur ritenendo superabili i precedenti rilievi e volendo utilizzare tali fotografie ai fini della decisione comunque nessuno dei dissesti ritratti sembra in grado di causare di per sé solo e camminando sullo stesso lesioni analoghe a quelle descritte dall'attore; in definitiva, l'attore non è riuscito a provare che le lesioni da lui riportate siano state causate dall'avvallamento predetto". Osserva in contrario la Corte che l'esame delle risultanze istruttorie, ed in particolare le concordi deposizioni rese dai due testi oculari escussi, indifferenti, sulla cui piena attendibilità non v'è alcuna seria ragione di dubitare, inducono legittimamente a ritenere che il (...) abbia assolto all'onere probatorio su di esso gravante, risultando adeguatamente dimostrato il nesso causale tra la res in custodia e il danno subito, e, più specificamente, che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass. n. 5910/2011). Invero, all'udienza del 20.2.2017, il testimone (...) confermava integralmente la dinamica descritta in citazione, e dopo aver precisato di essere a conoscenza dei fatti perché il giorno del sinistro si era recato in località "(...)" con il (...) la compagna di questi ((...), la propria moglie ((...) e il figlioletto, per far giocare quest'ultimo con la neve, non essendo sciatori, riferiva: "...(...) chiuso la macchina e ci stavamo incamminando per accedere alla funivia e da un momento all'altro abbiamo visto il sig. (...) che è caduto... si è accasciato sulla destra, poi si è rigirato a pancia all'aria e ha alzato la gamba e abbiamo visto il piede che andava giù di colpo...abbiamo notato che c'era un avvallamento...indossava i doposci...l'avvallamento era ricoperto da neve, lui (n.d.r. (...) ha fatto le orme nella neve dove si è accasciato... sarà stata una buca di una settantina di cm di diametro più o meno...ricoperta da neve...(...) venti, trenta centimetri, era tutto ricoperto da neve...quando ha messo il piede è sprofondato giù e si è accasciato". Concordi dichiarazioni rendeva, alla stessa udienza, il teste (...) che riferiva: "Non sappiamo sciare...siamo scesi dalla macchina...in un attimo vidi (...) ((...) cascare sul lato destro...vidi il piede penzolare...mentre camminava è cascato...quando lui era a terra la neve era ammaccata, abbiamo visto un avvallamento dove aveva messo il piede...era un cerchio 60-70 cm, non era tanto profondo, poteva arrivare al polpaccio...non so dire da sotto l'asfalto quanta neve c'era, il parcheggio (luogo in cui si verificava la caduta) era tutto innevato...indossava i doposci...non c'era nulla (non c'erano transenne, né segnali). ...". Orbene, come si evince dalle su ritrascritte dichiarazioni e ancor più dall'ascolto integrale del file audio relativo alla registrazione audio effettuata (sostitutiva della verbalizzazione scritta delle deposizioni testimoniali), i testi escussi hanno descritto in maniera concorde, senza contraddizioni, sia l'anomalia del manto stradale, rappresentata dall'avvallamento e/o sconnessione del terreno, nell'occasione non visibile, essendo l'area adibita a parcheggio completamente innevata, indicandone, altresì, e sia pur approssimativamente (data la presenza di neve) le dimensioni, sia la dinamica dell'evento, precisando che il (...) dopo essere sceso dalla vettura, mentre si incamminava verso la funivia, improvvisamente ("da un momento all'altro", "in un attimo") cadeva sul lato destro a causa della sconnessione del manto stradale rispetto al piano di calpestio, non visibile, né tanto meno segnalata o transennata. Le dichiarazioni rese appaiono genuine, avendo i testi riferito ciò che poterono notare nell'immediatezza dei fatti, ovvero che il (...) si accasciava, "sprofondando" nella neve, in un punto in cui vi era la descritta sconnessione del terreno, riportando, dopo la caduta, una lesione al piede, che si presentava in posizione innaturale ("che andava giù di colpo") per la grave frattura riportata, come poi effettivamente riscontrata dai sanitari dell'ospedale (...) di (...) Né assume rilevanza la circostanza che nelle fotografie allegate in atti sia rappresentato il luogo del sinistro in un momento successivo al suo verificarsi, quando non c'era neve; anzi, proprio lo stato dei luoghi così manifestatosi, consistente in un dissesto stradale ben più ampio di quello descritto dai testi, rafforza la responsabilità oggettiva dell'ente comunale convenuto, la cui inerzia è tanto più evidente quanto più ampia appare l'area dissestata adibita a parcheggio, antistante l'ingresso delle seggiovie, come tale aperta agli utenti, che avrebbero dovuto poter fare affidamento sull'utilizzo in sicurezza della zona, vieppiù che, in presenza di neve, non potevano oggettivamente percepirsene le anomalie, con conseguente notevole aumento del rischio di infortuni. Né, peraltro, rileva la circostanza, evidenziata dal primo giudice, che nell'ambito dei dissesti ritratti in foto non risulta chiaro precisamente quale di questi avrebbe causato la caduta, ove si consideri che proprio la presenza della neve al momento dell'evento rendeva impossibile la precisa individuazione e successiva indicazione, da parte dei testi, di quello tra gli avvallamenti presenti nell'area che causava la caduta del (...) Il che, come detto, non incide sulla prova del fatto storico lesivo e del nesso di causalità, tanto più che l'indicazione di un punto rispetto ad un altro dell'area sconnessa non avrebbe mandato esente la P.A. dalla responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni riportati dal (...) che, contrariamente a quanto si legge nella pronuncia gravata, sulla scorta delle risultanze dell'espletata istruttoria, orale e documentale, nonché dei risultati della disposta CTU medico-legale a firma del dott. (...), di cui si dirà meglio a breve, devono ritenersi causalmente riconducibili, sotto il profilo eziologico, alla descritta sconnessione del manto stradale, determinata dall'oggettiva carente manutenzione dell'area in cui si verificava il sinistro. Consegue, in definitiva, che dei danni subiti dal (...) deve rispondere il comune di (...) non avendo detto ente superato la presunzione di responsabilità su di esso gravante, nulla avendo dimostrato in ordine all'eventuale ricorrenza di fattori causali autonomi, a sé estranei, nella produzione del danno (c.d. caso fortuito), dovendo piuttosto evidenziarsi come lo stato dei luoghi avrebbe dovuto indurre l'ente convenuto a prevedere il pericolo intrinseco del bene, provvedendo a manutenere l'area (destinata a parcheggio antistante l'ingresso delle seggiovie) sì da renderla sicura anche in presenza di neve, ovvero ad interdirla all'utilizzo come parcheggio, o al più a transennarla, con la creazione di un percorso obbligato per veicoli e pedoni, sì da evitare situazioni di pericolo per gli utenti. Invero, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, in tema di responsabilità civile ex art. 2051 c.c., la custodia si concretizza non solo nel compimento sulla cosa degli interventi riparatori successivi, volti a neutralizzare, in un tempo ragionevole, gli elementi pericolosi non prevedibili, che si siano comunque verificati, ma anche in un'attività preventiva, che, sulla base di un giudizio di prevedibilità "ex ante", predisponga quanto è necessario per prevenire danni eziologicamente attinenti alla cosa, di talché, in altri termini, l'obbligo di manutenzione dei beni demaniali gravante sulla pubblica amministrazione si sostanzia tanto in un'attività preventiva, volta a predisporre le cautele necessarie per scongiurare danni eziologicamente attinenti alla cosa custodita, quanto in un'attività ripristinatoria, volta ad eliminare il fattore imprevisto dalla serie causale di alterazione del bene (Cass. n. 1725/2019; nello stesso senso, ex multis, Cass. n. 14635/2015 e Cass. n. 11802/2016). In particolare, la Suprema Corte ha precisato che la prevenzione e/o l'eliminazione della conseguenza pregiudizievole rientrano, direttamente e propriamente, nell'attività di custodia, che, ragionando invece al contrario, verrebbe ad essere "svuotata" in quanto esonerata appunto da una ordinaria vigilanza della cosa, vale a dire una vigilanza atta a percepire e a comprendere non solo quel che è già accaduto (manutenzione in senso stretto) ma altresì quel che è prevedibile (manutenzione in senso lato, ovvero prevenzione). Vigilanza non è soltanto conoscere il presente, ma anche trarne le conseguenze per il futuro; non è quindi solo accertare e rimediare, ma anche prevedere e prevenire. Il fortuito allora è quel che esorbita dall'attività custodiale, ovvero dall'area del possibile propria della vigilanza: il fortuito è quel che è impossibile vigilare... ... La vigilanza del custode, in ultima analisi, viene ad essere circoscritta dal suo opposto, cioè dal caso fortuito, che traduce in riferimento alla posizione del custode il generale principio ad impossibilia nemo tenetur. Le caratteristiche della cosa custodita, infatti, plasmano e delimitano il caso fortuito, configurando l'obbligo custodiale sotto il profilo ex ante, ovvero della prevedibilità che rientra quindi nella possibilità giuridica dell'adempimento dell'obbligo stesso (cfr. in motivazione, Cass. n. 1725/2019, cit., che afferma, il principio di diritto per cui il caso fortuito esonerante il custode dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. non sussiste qualora il custode abbia avuto possibilità di prevedere che la cosa che ha in custodia, così come inserita nel concreto dinamismo causale, avrebbe potuto cagionare il danno). Né, infine, dalle risultanze in atti, emergono elementi che possano far seriamente ritenere la sussistenza di un concorso colposo della vittima nella produzione dell'evento lesivo ex art. 1227 c.c., non risultando minimamente provato che il (...) abbia fatto un uso improprio o anomalo della res (diverso rispetto a quello da ritenersi riconducibile alla sua ordinaria destinazione), né tanto meno che abbia tenuto un comportamento abnorme o comunque inadeguato alla particolare condizione dell'area percorsa, destinata a parcheggio antistante l'ingresso delle seggiovie, sulla cui efficienza e sicurezza, come già si è detto, avrebbe potuto e dovuto fare piuttosto legittimo affidamento. Par.. Accertata, dunque, l'esclusiva responsabilità dell'ente comunale convenuto ex art. 2051 c.c., può a questo punto passarsi all'esame della richiesta risarcitoria avanzata dal (...) sulla premessa che gli accertamenti medico-legali eseguiti hanno confermato la piena compatibilità dei traumi riportati (trauma distorsivo di caviglia destra produttivo di lussazione e fratture scomposte dei malleoli tibiale e peroneale) con le modalità del sinistro, avendo il CTU evidenziato che, pur non risultando indicata nella documentazione sanitaria in atti la precisa dinamica dell'evento lesivo, risultando solo segnalata una caduta accidentale in località (...) per presenza di neve (perfettamente coerente con le dichiarazioni rese dai testi escussi), le lesioni riportate dal periziando risultano, per dinamica lesiva, momento di evidenziazione clinica, evoluzione riparativa e documentazione esibita congrue, in tesi generale, con le modalità di produzione degli eventi traumatici riferiti, essendo adeguatamente compatibili con un movimento praternaturale di torsione della caviglia, realizzato in seguito a perdita dell'appoggio plantare del piede. Si trattò, in sostanza, come detto, di un violento trauma distorsivo di caviglia destra, ove si vennero a realizzare sia una lussazione tibio-tarsica, che fratture a livello sia del malleolo che tibiale oltre che della diafisi distale peroneale (cfr. pag. 4 dell'elaborato peritale). Nello specifico, il (...) dott. (...) de (...) a seguito dello studio della documentazione clinica, dell'indagine anamnestica e dell'esame obiettivo praticato, ha accertato che le lesioni subite dalla vittima, 29enne all'epoca dei fatti, determinavano un periodo di inabilità temporanea totale ((...) di complessivi 30 giorni, ed una successiva inabilità temporanea parziale ((...) progressivamente decrescente e mediamente valutabile al 50% per 30 giorni e al 25% per successivi ulteriori 30 giorni, con postumi permanenti globalmente valutabili nella misura del 7,5%, non incidenti sulla capacità lavorativa specifica del soggetto leso ed incidenti, invece, in misura lieve sulla sfera personale e relazionale del paziente per le intuibili restrizioni che in tali ambiti comportano, dando atto che non risultavano documentate spese mediche in relazione alla vicenda in oggetto (cfr. pag. 6 dell'elaborato). Conclusioni immuni da vizi logici e di metodo, integralmente condivise dalla corte, vieppiù perché non adeguatamente contrastate dalle parti, che alcuna osservazione facevano pervenire al CTU a seguito dell'invio della bozza (cfr. pag. 6 dell'elaborato). Par.. Passando, dunque, alla quantificazione del danno, e considerato che, nella specie, sussiste violazione del diritto alla salute, rientrante tra i diritti inviolabili della persona umana costituzionalmente protetti (art. 32 Cost.), va senz'altro riconosciuto al (...) il risarcimento del danno non patrimoniale subito (comprensivo del danno biologico/dinamico relazionale e del danno morale/da sofferenza soggettiva interiore). La relativa liquidazione va effettuata con metodo equitativo sulla scorta delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (Cass. 2015/n. 13982), che essendo quelle maggiormente testate a livello nazionale, per il numero elevato di casi giudiziari e di transazioni extragiudiziarie in cui hanno trovato applicazione, indicano un criterio generale adottabile per pervenire ad una valutazione dell'ammontare preciso del risarcimento dovuto (cfr., ex multis, Cass. n. 8508/2020, Cass. n. 8468/2020 e, da ultimo, Cass. n. (...)/2023, che afferma l'applicabilità delle tabelle milanesi anche per le lesioni micropermanenti conseguenti a sinistri non derivanti, come nella specie, da circolazione stradale). Facendo, quindi, riferimento alle ultime tabelle (rivalutate al gennaio 2021) redatte dal Tribunale milanese, che a seguito dell'indirizzo giurisprudenziale di cui alle note sentenze di (...) delle (...) della Cassazione dell'11.11.2008 prevedono, attraverso l'aumento percentuale del valore del c.d. punto, la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale, comprensivo sia di quello biologico/dinamico relazionale, sia di quello morale/da sofferenza soggettiva interiore, che mantiene comunque la sua autonomia (cfr. in argomento Cass. n. 25164/2020), anch'esso ricorrente nella specie in considerazione dell'innegabile frustrazione patita dal (...) costretto in giovane età, a seguito delle lesioni subite, a sottoporsi ad un cruento intervento chirurgico di osteosintesi con placca e viti, con un faticoso e lungo decorso post-operatorio (pagg. 5-6 della (...), tenuto conto dell'età del danneggiato al momento del sinistro (29 anni) e del grado di invalidità accertato (7,5%), deve liquidarsi a titolo di danno non patrimoniale permanente la somma di Euro 15.142,00, cui deve aggiungersi l'importo di Euro 5.197,50 per danno non patrimoniale temporaneo (così determinato: Euro 99,00 )valore-base del punto liquidativo corrispondente ad un giorno di invalidità temporanea assoluta) (...) 30 giorni = Euro 2.970,00; Euro 49,50 )valore-base del punto liquidativo corrispondente ad un giorno di invalidità temporanea parziale al 50%) (...) 30 giorni = Euro 1.485,00; Euro 24,75 )valore-base del punto liquidativo corrispondente ad un giorno di invalidità temporanea parziale al 25%) (...) 30 giorni = Euro 742,50). Per un totale di Euro 20.339,50, che, considerata la tipologia ed entità dei postumi riportati dal (...) incidenti in misura lieve sulla sua sfera personale e relazionale, appare idoneo all'integrale ristoro del pregiudizio non patrimoniale subito, non risultando provate, quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali ed a quelli di sofferenza soggettiva interiore, peculiari circostanze personalizzanti del caso concreto meritevoli di aumento. Trattandosi di importo già comprensivo di rivalutazione monetaria, la predetta somma finale deve essere dapprima devalutata alla data del sinistro (14.1.2012) e l'importo così ottenuto rivalutato, in base agli indici (...) dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, dalla medesima data del sinistro sino a quella della presente sentenza (momento che segna la trasformazione dell'obbligazione risarcitoria da debito di valore in debito di valuta; Cass. 2005/n. 24896). Sul valore della somma via via rivalutata spettano all'istante gli interessi legali per ritardato pagamento maturati anno per anno, restando escluso che i medesimi possano computarsi dalla data dell'illecito sull'intera somma definitivamente rivalutata (Cass. Civ., Sez. (...) 1995/n. 1712). Ne consegue che la somma finale, comprensiva di rivalutazione ed interessi, è pari ad Euro 23.077,67 (di cui Euro 16.603,67 quale capitale iniziale devalutato alla data del 14.1.2012, Euro 3.735,83 per rivalutazione ed Euro 2.738,17 per interessi legali sul capitale rivalutato annualmente). Par.. In definitiva, sulla scorta di quanto precede, l'appello va accolto per quanto di ragione e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, il comune di (...) in persona del sindaco in carica, va condannato, al pagamento, in favore di (...) a titolo di integrale ristoro dei danni subiti in occasione del sinistro verificatosi in data (...), della complessiva somma di Euro 23.077,67, oltre interessi legali dalla decisione al soddisfo. III. Resta da regolare il profilo delle spese, al fine precisandosi che il potere del giudice di appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata; l'onere delle spese va ripartito fra le parti tenendo presente l'esito complessivo della lite, atteso che il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass. n. 13356/2021). Nella specie, considerato l'esito finale della lite, caratterizzato dalla soccombenza dell'ente convenuto/odierno appellato, graveranno sul comune di (...) le spese del doppio grado di giudizio, ivi comprese quelle sostenute per la CTU espletata in sede di gravame, liquidate, avuto riguardo alla somma riconosciuta, all'attività concretamente espletata, alla natura dell'affare ed alla semplicità delle questioni trattate, nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e successive modifiche, con distrazione in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte di Appello di Napoli, VI sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con citazione notificata in data (...), da (...) nei confronti del comune di (...) in persona del sindaco in carica, contro l'ordinanza del Tribunale di (...) ex art. 702 ter c.p.c., n. cronol. (...)/2017, pubblicata in data (...), ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1. accoglie l'appello per quanto di ragione e, per l'effetto, in riforma della pronuncia impugnata, condanna il comune di (...) in persona del sindaco in carica, al pagamento, in favore di (...) a titolo di integrale ristoro dei danni riportati nel sinistro verificatosi in data (...), della complessiva somma di Euro 23.077,67, oltre interessi legali dalla decisione al soddisfo; 2. condanna, altresì, il comune di (...) in persona del sindaco in carica, al pagamento, in favore di (...) delle spese del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario, che si liquidano, per il primo grado, in Euro 537,18 per esborsi documentati ed Euro 3.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15% del compenso, Iva e Cpa come per legge, e per il secondo grado, in Euro 382,50 per esborsi documentati ed Euro 3.300,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15% del compenso, Iva e Cpa come per legge, ed esborsi sostenuti per l'espletata (...) come liquidati con decreto del 28 - 29.11.2023. Così deciso in Napoli il 6 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile Ca.Ma. nato a P il (Omissis) nel procedimento a carico di: Lo.Gi. nato a R il (Omissis) avverso la sentenza del 08/11/2023 del GIUDICE DI PACE di LEGNANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. udito il difensore avvocato CE.PA. del foro di COMO in difesa dell'imputato Lo.Gi. che ha chiesto il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 8 novembre 2023 il Giudice di Pace di legnano ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Lo.Gi., in quanto estinto per intervenuto risarcimento del danno il reato ascrittogli, di cui agli artt. 40 e 590 cod. pen. (anche in relazione all'art. 672 cod. pen. e all'ordinanza del Ministero della Salute del 6 agosto 2013), perché - quale proprietario e comunque custode di un cane pitbull, di sesso maschile, considerato pericoloso ai sensi e per gli effetti dell'ordinanza sopra meglio indicata - ometteva di esercitare su detto animale idonea vigilanza e custodia, non impedendo che il sig. Ca.Ma., avuto ingresso legittimo nel cortile comune dello stabile ove è sita l'abitazione del proprio suocero (Cu.Ro.), fosse aggredito, cagionando all'indicata persona offesa lesioni dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in gg 2. Commesso in L il (Omissis). Il giudice di pace perveniva a tale conclusione sul rilievo che: 1. All'udienza del 11 gennaio 2023 il difensore dell'imputato faceva presente che la compagnia Cargeas aveva aperto il sinistro ma non aveva ancora provveduto al pagamento, e che il suo assistito era disponibile a versare personalmente l'importo in caso non vi provvedesse l'assicurazione. 2. All'udienza del 15 marzo 2023 il difensore dell'imputato comunicava che Cargeas era stata assorbita da Banca Intesa e chiedeva un ulteriore rinvio. 3. Infine, all'udienza del 8 novembre 2023 il difensore produceva lettera di scuse da parte dell'imputato che veniva consegnata alla persona offesa, nonché comunicazione di pagamento da parte di Banca Intesa S. Paolo dell'importo di 500 Euro e dell'accettazione da parte del difensore della parte civile dell'importo salvo il pagamento del danno ex art. 185 cod. pen. e delle spese vive e legali. Faceva inoltre presente che la polizza assicurativa è intestata alla moglie dell'imputato Li.An. Il PM esprimeva aveva espresso parere favorevole all'estinzione del reato per intervenuto risarcimento del danno ritenuto l'importo congruo e che ulteriore richiesta poteva essere eventualmente avanzata in sede civile. Il giudice di pace dava atto di ritenere che: "... la somma pagata di Euro 500,00 appare congrua in relazione ai 2 giorni di prognosi, come indicati nel capo di imputazione, in assenza di perizia e di determinazione di eventuale danno biologico, anzi tenuto conto degli importi dei risarcimenti di cui alle Tabelle in vigore del Trib. di Milano, tale somma appare comprendere non solo i due giorni di prognosi, ma anche il danno morale e le spese vive. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere valido il risarcimento del danno ad opera della compagnia di assicurazioni ai fini della pronuncia di estinzione del reato. E poco importa ad avviso della scrivente, che la polizza fosse intestata alla moglie dell'imputato trattandosi di polizza familiare". Aggiungeva, inoltre, di ritenere che "il comportamento dell'imputato dà atto del ravvedimento dello stesso, il quale ha potuto usufruire del risarcimento da parte dell'assicurazione familiare - aveva in ogni caso dichiarato che, in assenza di pagamento da parte dell'assicurazione vi avrebbe provveduto personalmente, inoltre, si è impegnato a gestire con le dovute cautele il proprio cane in futuro, scusandosi con la persona offesa per l'accaduto". E che " nel caso concreto, siano state eliminate le conseguenze del reato, attesa la congruità dell'importo pagato, il quale anche se non specificato appare integrale nel suo ammontare e che, con il ravvedimento dell'imputato vi è prognosi favorevole circa una futura condotta corretta da parte dello stesso, pertanto, dichiara il reato estinto per intervenuto risarcimento del danno". 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, la parte civile Ca.Ma., a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen. la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato sub specie di travisamento della prova. Per la parte civile ricorrente il giudice di pace ha erroneamente dichiarato il reato estinto per intervenuto risarcimento del danno ex art. 35 D.Lgs. 274/00, sebbene ad oggi nessun risarcimento del danno sia stato corrisposto in favore del Ca.Ma., neppure a titolo di acconto. In realtà, in assenza di alcun pagamento, non esisterebbe alcuna "comunicazione di pagamento", come si legge in sentenza, ma solo un "atto di liquidazione" semplicemente predisposto da Intesa Sanpaolo Assicura per 500 euro, non firmato né dal Ca.Ma., né dal suo difensore "per rinuncia al vincolo di solidarietà ex art 13 N.L.P.F. ". Si documenta in ricorso che il Ca.Ma., a mezzo pec del proprio legale del 6/11/2023 esplicitava, la mera accettazione della somma offerta "a solo titolo di acconto", indicando il proprio IBAISI, residuando i danni ex art. 185 c.p. ed il rimborso delle spese sia vive, che legali. La sentenza impugnata - ci si duole - confonde un semplice "atto di liquidazione" (non firmato in quanto non accettato) con un inesistente risarcimento del danno (mai corrisposto, neppure in acconto, per cui non vi è alcun atto di quietanza). Conclusivamente per il difensore ricorrente, in mancanza di pagamento di alcuna somma in favore della parte civile, difetterebbe quindi la prova dell'erroneamente ritenuto pagamento di 500 Euro e l'impugnata sentenza deve quindi essere annullata - atteso l'oggettivo ed evidente travisamento della prova - avendo il giudicante introdotto nel giudizio una "informazione" (la riparazione del pregiudizio) in realtà mai intervenuta, nemmeno parzialmente: nessun accordo si è mai perfezionato in tal senso, né alcun acconto è stato mai corrisposto alla P.C., donde l'impossibilità logica, prima ancora che giuridica, di invocare la superiore causa di estinzione del reato. 3. In data 26 febbraio 2024 sono pervenute memoria scritta con allegati e nota spese a firma dell'Avv. Sa.Ca. nell'interesse della parte civile Ca.Ma. Il PG e il difensore dell'imputato hanno concluso alla pubblica udienza come riportato in epigrafe. 4. Il proposto ricorso è inammissibile. Ed invero, da tempo le Sezioni unite, dirimendo il precedente contrasto giurisprudenziale, hanno chiarito che, in tema di reati di competenza del giudice di pace, non sussiste l'interesse per la parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili, la sentenza emessa ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 a seguito di condotte riparatone, in quanto tale pronuncia, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell'estinzione del reato, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto, alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile (Sez. U, n. 33864 del 23/04/2015, Sbaiz, Rv. 264238 - 01; conf. Sez. 4, n. 1359 del 02/12/2016, dep. 2017, Zhu, Rv. 268876 - 01 che ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione, qualificata come appello, avverso la sentenza di proscioglimento per condotta riparatola, pur se non emessa in fase predibattimentale, ma all'esito di una compiuta istruttoria svolta in dibattimento). Analogamente, peraltro, è stato ritenuto che non sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili, la sentenza di estinzione del reato per condotte riparatone, ex art. 162-ter cod. pen., in quanto essa, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell'estinzione del reato, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto, alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile (Sez. 5, n. 10390 del 14/02/2019, Caracciolo, Rv. 276028 - 01). E la recente Sez. 2, n. 39252 del 22/06/2021, Cannizzo, Rv. 282133 - 01, ha ulteriormente chiarito che, in tema di estinzione del reato per condotte riparatorie, la procedura diretta alla valutazione di congruità della condotta è quella prevista dall'art. 469, cod. proc. pen., che è condizionata, a pena di nullità, alla mancata opposizione del pubblico ministero e dell'imputato e non richiede, invece, il consenso della parte civile, le cui pretese potranno essere fatte valere in sede civile, ove la dichiarazione di estinzione non produce alcun effetto, in quanto volta a eliminare esclusivamente l'interesse pubblico alla condanna). 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. Per il principio della soccombenza, le spese di assistenza e rappresentanza richieste dalla parte civile ricorrente, che peraltro non è comparsa alla pubblica udienza, rimangono a suo carico. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 21 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA In composizione monocratica Sezione XIII Civile in persona del giudice monocratico, dott.ssa Ornella Baiocco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, iscritta al nr. 53680/2018 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2018 promossa da Ba.Ba. (C.F. (...)), nata a R. ed ivi residente in Via V. Ba. 101, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente fra loro, dagli avv.ti Ma.Ta. (c.f. (...)) e Ma.Pa. (c.f. (...)), giusta procura alle liti rilasciata, su foglio separato, in calce all' atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in Roma Viale (...) -Attrice- Contro AVV. To.Fe. (C.F. (...)), nato a R. il (...), rappresentato e difeso da sé medesimo ex art. 86 c.p.c. nonché AVV. Sa.Ma. (C.F. (...)) rappresentata e difesa da sé medesimo ex art. 86 c.p.c. nonché dall'avv. To.Fe., nato a R. il (...), (c.f.: (...)) ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, sito in Roma alla via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - Convenuti- Nonché Hc. PLC, (C.F. e P.I. (...)) con sede in L. (G.B.), A. n. 1, in persona del Dottor Cr.Ka., nato a P. il (...), in qualità di preposto della Sede Secondaria in Italia e Rappresentanza Generale per l'Italia, domiciliata in M., Via (...), rappresentata e difesa dall'avvocato Cl.Ac. del Foro di Milano, con Studio in Milano, Corso (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta e con elezione di domicilio ai fini della procedura presso l'avvocato An.Bo. (C.F. (...)) - Terza chiamata in causa - Oggetto: RESPONSABILITA' PROFESSIONALE. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la Sig.ra Ba.Ba. ha convenuto in giudizio gli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma. per sentire "... disattesa ogni contraria istanza, deduzione o eccezione, accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in narrativa ed ai sensi degli artt. 2229 e ss., 1176, co. 2, 1218 e 1223 c.c., l'inadempimento e la conseguente responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e, per l'effetto, condannarli, anche in solido fra loro, a risarcire i danni subìti dalla Sig.ra Ba.Ba., da quantificarsi nel corso del giudizio, corrispondenti alla somma che la stessa avrebbe percepito a titolo di risarcimento dei danni per i fatti del 27 e 28 luglio 1996 per le voci indicate nel cap. 19, lett. a - f della narrativa (ossia per invalidità temporanea parziale, per invalidità temporanea assoluta, per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare, per il danno alla salute connesso alla sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero, per la riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future e, infine, per danno morale); con l'aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria, dal giorno dell'evento dannoso (27 luglio 1996) fino a quello dell'effettivo soddisfo. Quanto precede con espressa riserva di agire con autonomo e separato giudizio ai fini dell'integrale risarcimento dei danni ulteriori, subìti e subendi, in questa sede non espressamente menzionati. Con vittoria di spese e competenze, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA". L'attrice ha dedotto che: 1) la attrice agisce in giudizio per far accertare la responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e per sentirli condannare al risarcimento dei danni, dalla stessa subiti e subendi, a causa della grave negligenza con la quale gli odierni convenuti hanno svolto la propria opera professionale nei giudizi appresso indicati. Gli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. hanno assistito la attrice, invero in modo negligente, nei due seguenti giudizi: causa RG. n. 71017/2004, giudizio di primo grado innanzi al Tribunale Civile di Roma, Sez. II, Giudice Dott. E.C., contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma., Um.Ca., nonché contro la Gestione Liquidatoria - A.U., conclusasi con la sentenza n. 14049/2009; causa RG. n. 5280/2010, giudizio di appello avverso la richiamata sentenza del Tribunale Civile di Roma, svoltosi innanzi alla Corte d'Appello di Roma, Sez. III, conclusosi con la sentenza n. 6576/2015. 2) i giudizi appena richiamati avevano ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subìti dall'odierna attrice in occasione di un ricovero, risalente alla data 27 luglio 1996, presso la struttura ospedaliera A.U.; 3) in occasione di tale ricovero, infatti, l'attrice rimase vittima di una evidente e acclarata condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia dei sanitari, nonché da gravi disfunzioni e carenze organizzative della struttura ospedaliera, che hanno determinato l'insorgenza di gravissimi danni, consistenti, fra l'altro, nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici ed esistenziali; 4) sia i gravissimi danni subìti dalla Sig.ra Ba., sia la responsabilità di alcuni dei sanitari che l'hanno avuta in cura e la (conseguente e connessa) responsabilità della struttura ospedaliera, sono stati accertati nel doppio grado di giudizio sopra richiamato; 5) ed infatti con la sentenza n. 14049/2009 il Tribunale di Roma ha accertato e dichiarato ...la sussistenza in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno, di una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia, condotta causalmente ricollegabile alle conseguenze dannose subìte dalla Ba., consistenti nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici. La responsabilità del personale sanitario in oggetto comporta la necessaria estensione della responsabilità alla struttura ospedaliera, sia in virtù del rapporto intercorrente con i propri medici sia per le gravi disfunzioni organizzative verificatesi nel caso di specie. Nella fattispecie, però, la parte attrice ha convenuto in giudizio soltanto la Gestione Liquidatoria dell'A.U., ritenendo tale soggetto legittimato passivo in relazione alla domanda di risarcimento proposta... (letteralmente da pag. 15, par. 6, della sentenza di primo grado: cfr. doc. 2); 6) inoltre, con la sentenza n. 6576/2015, la Corte d'Appello di Roma, nel confermare la sentenza di prime cure, ha ribadito che: ...la ricostruzione della triste vicenda evidenzia una responsabilità, oltre che dei due medici di turno dalle ore 21:00 del 27.6.1996, una responsabilità della struttura ospedaliera - come evidenziato dal Tribunale - per le gravi carenze organizzative che hanno concorso alla produzione dei gravissimi danni subìti dalla giovane donna... (letteralmente da pag. 8 della sentenza di appello: doc. 5); 7) nonostante le sentenze abbiano accertato sia i gravissimi danni, sia la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera, l'attrice non ha ottenuto alcun ristoro di tali danni a causa della grave negligenza, stigmatizzata peraltro anche nelle citate sentenze, che ha caratterizzato lo svolgimento dell'attività professionale da parte degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe.; 8) l'attrice, infatti, non ha ottenuto alcun risarcimento dei danni - ed anzi è stata addirittura condannata alla refusione delle spese di lite del giudizio di appello nella misura complessiva di Euro 21.000,00 oltre accessori di legge - poiché gli odierni convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare (A) i medici effettivamente responsabili e (B) il soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera; 9) (A) con riferimento ai MEDICI, gli odierni convenuti, infatti, hanno instaurato il giudizio unicamente nei confronti dei medici del turno pomeridiano (in servizio fino alle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), ritenuti da entrambe le sentenze privi di qualsiasi responsabilità, ed hanno omesso, inspiegabilmente, di citare in giudizio i medici del turno notturno (in servizio dalle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), considerati invece da entrambe le sentenze gli unici responsabili dei danni subìti dalla odierna attrice; 10) tale errore è stato compiuto sebbene il coinvolgimento dei medici del turno notturno risultasse, chiaramente, dalla documentazione in loro possesso (e offerta in comunicazione anche nell'odierno giudizio), dalla quale emergeva, fra le altre cose, che le condizioni di salute della Sig.ra Ba. si fossero aggravate soltanto durante la notte del 27.7.1996, tanto da rendere inevitabile un intervento chirurgico eseguito alle ore 8:00 della mattina del 28.7.1996; 11) (B) con riferimento alla STRUTTURA OSPEDALIERA, invece, gli odierni convenuti hanno citato in giudizio, addirittura, un soggetto del tutto privo di legittimazione passiva, il quale, per tale ragione, non si è mai costituito in giudizio. Più precisamente, gli odierni convenuti instaurarono il giudizio di primo grado unicamente nei confronti della Gestione Liquidatoria della A.U., sebbene (come evidenziato dalla stessa sentenza di primo grado) il D.L. 1 ottobre 1999, n. 341 (convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453) rendesse palese che l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera fosse, nel caso di specie, l'Università degli Studi di Roma La Sapienza; 12) tanto è vero che gli odierni convenuti, ammettendo implicitamente il macroscopico errore compiuto, non hanno gravato con l'appello il capo della decisione relativo al difetto di legittimazione passiva, il quale, conseguentemente, ha acquistato il valore della cosa giudicata; 13) si aggiunga che, oltre ad aver evocato in giudizio soltanto soggetti privi di responsabilità e/o di legittimazione passiva, gli odierni convenuti non hanno mai compiuto, anche solo in via cautelativa e prudenziale, alcun atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, né nei confronti dei medici responsabili del turno notturno, né nei confronti del soggetto che aveva per legge la legale rappresentanza della struttura ospedaliera, ossia l'Università degli Studi di Roma La Sapienza; 14) per queste ragioni, l'accertato diritto dell'attrice ad ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subìti, si è prescritto nei confronti dei soggetti effettivamente responsabili, contro i quali, pertanto, l'attrice non può spiegare alcuna domanda e/o richiesta: 15) alla luce dei fatti sin qui descritti - che risultano tutti provati per tabulas dalla documentazione offerta in comunicazione - la prestazione professionale resa dagli odierni convenuti risulta senz'altro negligente e, dunque, in contrasto con i doveri gravanti sul professionista intellettuale in forza degli artt. 2229 e ss. e 1176, comma 2, c.c.; tanto più se si considera che la scelta e l'individuazione dei legittimati passivi non implicava, nel caso di specie, la soluzione di particolari problemi tecnici, essendo a tal scopo sufficiente l'esame della documentazione in possesso degli odierni convenuti e del D.L. 1 ottobre 1999, n. 341; 16) l'inadempimento, negligente, dei convenuti ha cagionato notevoli danni alla attrice, dei quali gli stessi convenuti sono tenuti a rispondere ai sensi dell'artt. 1218 e 1223 c.c. I danni che l'attrice ha subìto, e che verranno meglio quantificati nel corso del giudizio, sono rappresentati, in primo luogo, dalle somme che la stessa, in mancanza degli errori degli odierni convenuti, avrebbe certamente percepito (dai medici del turno notturno e dall'Università degli Studi La Sapienza di Roma) a titolo di risarcimento dei gravissimi danni conseguenti al ricovero del 27.7.1996; 17) tali ultimi danni - già accertati nell'an dalle sentenze di primo e secondo grado e quantificati dagli odierni convenuti nella somma di Euro 3.003.510,00 (cfr. atto di citazione di primo grado: doc. 1), sono rappresentati dalle seguenti voci: a. danno per invalidità temporanea parziale; b. danno per invalidità temporanea assoluta; c. danno per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare; d. danno alla salute per sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero; e. danno per riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future; f. danno morale; 18) a tali danni si aggiungono, in secondo luogo, le somme che la ricorrente ha già esborsato e che sarà tenuta a sborsare in conseguenza delle richiamate sentenze di primo e secondo grado, per il cui integrale ristoro l'attrice si riserva di agire con autonomo e separato giudizio; 19) vano è stato il tentativo di soluzione bonaria della vertenza, poiché gli avv.ti S. e T., ricevuta la richiesta di risarcimento dei danni (doc. 6: diffida del 18.6.2018), hanno negato apoditticamente ogni responsabilità (doc. 7: lettera degli odierni convenuti del 21.6.2018) e, con diffida ricevuta dall'attrice in data 21.6.2018, hanno addirittura avanzato delle estemporanee richieste di pagamento, per pretesi e non dovuti compensi professionali (doc. 8: diffida degli avv.ti S. e T. per il pagamento dei compensi professionali). Si costituivano in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, gli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma., i quali rassegnavano le seguenti conclusioni: " In via preliminare: - Autorizzare il convenuto ai sensi dell'art. 269 c.p.c. a chiamare in causa ( e quindi ad integrare il contraddittorio ) la Hc. PLC (assicuratore), Rappresentanza Generale per l'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in L. (G.) Via O.A., cap EC3N 1RE R.U. e con sede secondaria in I. alla Via T. 2, M. ed elettivamente domiciliata presso la U. srl con sede a M., in Corso S. 21, e di conseguenza chiede che il G.I. Voglia differire sempre ai sensi dell'art. 269 c.p.c. la prima udienza di comparizione allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all'art. 163-bis c.p.c. e la relativa costituzione in giudizio. Nel merito: In via principale - Rigettare la domanda attrice per intervenuta prescrizione, ovvero per mancanza dei presupposti dell'azione e comunque in quanto infondata in fatto e diritto nel merito - In via subordinata, qualora il Tribunale accertasse la responsabilità professionale dei convenuti e li condannasse al pagamento di una somma di denaro in favore dell'attrice, voglia accertare la sussistenza delle coperture assicurative di cui ai contratti depositati e dichiarare la compagnia assicuratrice terza chiamata tenuta a manlevare dalla responsabilità civile i convenuti ed a versare direttamente in nome per conto dei convenuti in favore dall'attrice la somma che sarà eventualmente liquidata a costei, ovvero a dichiarare che la predetta compagnia di assicurazione sia tenuta a rimborsare dette somme, condannando la medesima a rimborsare ai convenuti le somme che gli stessi debbano versare all'attrice allo stesso titolo; In via riconvenzionale, accertare e dichiarare che la sig.ra Ba.Ba. è debitrice nei confronti degli convenuti della somma complessiva di Euro 25.830,28 relativa al pagamento dei compensi come da parametri forensi per l'attività professionale espletata nel procedimento penale n.35448/1999 R.G. (parcella 2/2016 di Euro 4.990,19), nel procedimento civile numero R.G. 71017/2004 dinanzi al Tribunale di Roma, sez. II Giudice Dott. Curatola contro i Dottori Um.Ca., Fr.Pr., Ro.Ma. e la Gestione Liquidatoria - A.U., definito con sentenza n.14049/2009 (parcella n.13/2016 di Euro 10.213,84) e nel procedimento di appello avverso la suddetta sentenza, iscritto al numero R.g.5280/2010 innanzi alla Corte di Appello di Roma definito con sentenza n.6576/2015, (parcella n. 42/2015 di Euro 10.626,25) come esposto in narrativa; per l'effetto, condannare la sig.ra Ba.Ba. al pagamento dei suddetti compensi professionali per un importo complessivo di Euro 25.830,28 (venticinquemilaottocentotrenta/28) o di quel diverso maggiore o minore importo che sarà accertato come dovuto ai sensi di legge, oltre interessi legali dalla costituzione in mora sino alla data del soddisfo; Con vittoria di spese legali del giudizio, nei confronti dell'attrice e dei terzi". Eccepivano in via preliminare che la domanda attorea fosse assolutamente infondata, in fatto e diritto, per i seguenti motivi: 1) in base all'interpretazione giurisprudenziale sull'applicazione dell'art. 2935 c.c. di codesto Tribunale, o l'azione è prescritta in quanto sono trascorsi oltre dieci anni dal fatto, oppure l'azione non è prescritta e in questo secondo caso l'attrice può ancora agire anche nei confronti dei medici e dell' Università degli Studi La Sapienza, mancando quindi il presupposto dell'azione. 2) manca il presupposto essenziale della responsabilità professionale: l'attrice non ha conferito il mandato ai professionisti, per agire contro i medici P. e Ba. e contro l'Università degli Studi La Sapienza. Evidenziavano, inoltre, che l'attrice aveva effettuato una errata rappresentazione dei fatti, omettendo gravemente di riportare diverse circostanze accadute durante gli undici anni di giudizio, che escludevano ineluttabilmente qualsiasi responsabilità professionale degli stessi convenuti. Rilevavano che l'attrice adduceva, erroneamente, come motivi della responsabilità dei convenuti: 1. l'errata indicazione dei soggetti legittimati passivi - secondo l'attrice i convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare i medici effettivamente responsabili; 2. l'errata citazione di un soggetto privo di legittimazione passiva, ossia la Gestione Liquidatoria della A.U. e non dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza, che era l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera; 3. la conseguente prescrizione dei diritti dell'attrice nei confronti dei responsabili. Rilevavano che la richiesta di risarcimento danni della cliente, sembrava diretta a paralizzare la richiesta di pagamento degli onorari per l'attività (ex 133 co.3, 134 co.3, 136 co. 3, 170 c.p.c.) professionale svolta dai convenuti per conto della sig.ra Ba., in quanto giunta proprio in coincidenza della ennesima richiesta di pagamento. Sul punto l'attrice tentava di sostenere che la richiesta di pagamento degli onorari fosse stata inviata in data 21 giugno 2018, dopo aver ricevuto la richiesta di risarcimento danni in data 18.6.2018. Precisavano che l'ultima lettera contenente il sollecito di pagamento degli onorari, era stata inviata via posta in data 15 giugno 2018 (doc.2), ma vi era stata copiosa corrispondenza pregressa, con richieste di pagamento a partire dal mese di novembre 2015 (doc.3). I convenuti spiegavano, dunque, domanda riconvenzionale. Evidenziavano che la responsabilità del professionista era soggetta all'ordinario termine decennale di prescrizione, con decorrenza dal compimento dell'atto dannoso e poiché i fatti occorsi all'attrice erano accaduti nel 1996, la prescrizione ordinaria nei confronti dei dottori P. e Ba. sarebbe spirata nel 2006. Tuttavia, essendovi stato il procedimento penale definito con sentenza del 20 novembre 2003, che avrebbe sospeso i termini, il termine prescrizionale decennale nel caso della sig.ra Ba. sarebbe spirato al più tardi il 19.11.2013; allo stesso modo, visto che la citazione introduttiva del giudizio civile era del 2004, la prescrizione si sarebbe verificata nel 2014 anche nei confronti degli avvocati convenuti. Rilevavano che la perizia del CTU. dott. Leoluca Parisi, era stata depositata il 07/02/2008 nel fascicolo del Tribunale civile e, quindi, da quel momento e fino al 6 febbraio 2018, sarebbe stato possibile per l'attrice esercitare il diritto nei confronti degli odierni convenuti, ma avrebbe potuto agire anche nei confronti dei dottori P. e Ba., nonché dell'Università degli Studi La Sapienza, visto che trattavasi di responsabilità solidale ex art. 1306 c.c., con le ulteriori conseguenze di cui all'art. 1310 c.c. Puntualizzavano che la sig.ra Ba. nel 2016 aveva revocato il mandato agli avv.ti S. e T. e solo il 18.6.2018 a prescrizione ormai verificatasi, era pervenuta la diffida dell'avv. Ta., legale a cui l'attrice si era rivolta, dopo l'emissione della sentenza della Corte di Appello nel 2015. Ritenevano che fosse intervenuta la prescrizione, in quanto né l'attrice, che aveva revocato il mandato ai convenuti, né i suoi nuovi difensori, si erano avveduti di esperire tale azione nei termini, ovvero nel 2016, allorchè era ancora in tempo utile. Sottolineavano la possibilità di un'ulteriore soluzione interpretativa nel caso in cui il Tribunale avesse ritenuto il momento della pubblicazione della sentenza (2009), quale momento accertativo della riconoscibilità, allora la prescrizione della responsabilità dei professionisti convenuti andrebbe a scadere nel 2019 e l'attrice, in questo caso, sarebbe ancora in tempo per agire sia contro i dottori P. e Ba., responsabili secondo la CTU espletata nel procedimento civile, sia nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza, in quanto nessuna prescrizione si sarebbe ancora verificata. La presente azione sarebbe, in tale ultimo caso, priva dei presupposti oggettivi e le relative domande andrebbero immediatamente respinte. Specificavano che i convenuti erano assicurati per la responsabilità civile dal 1989 al 2006, con la Milano assicurazione, giusta polizza in convenzione con il Sindacato Avvocati, dal 2007 al 2015 con le G.A., nel 2016 con la A., nel 2017 con la Marsch e nel 2018 con la T.M. - Hc.. Nel merito, evidenziavano che l'attrice come motivo della responsabilità dei convenuti, richiamava la sentenza n.14049/2009 del Tribunale di Roma, nella parte in cui accertava la sussistenza in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno, di una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia. Precisavano che la sentenza n. 6576/2015 della Corte di Appello di Roma, di conferma della sentenza di primo grado, risultava errata nella parte in cui non aveva ritenuto responsabili i medici Um.Ca., Fr.Pr. e Ro.Ma., del turno pomeridiano, colpevoli dell'omissione che aveva determinato ontologicamente il problema fisico e poteva e doveva essere impugnata davanti al Giudice di Legittimità, per vari motivi di legittimità, azione che l'attrice, tuttavia, non aveva esperito neanche tramite i nuovi difensori, operando una propria scelta, non condivisa dagli odierni convenuti, che aveva determinato il passaggio in giudicato della sentenza stessa. Rilevavano come i convenuti, avvocati iscritti all'Albo professionale da oltre trenta anni - mai una causa di responsabilità professionale nei loro confronti - avevano operato in modo corretto e non avevano alcuna responsabilità al riguardo. Evidenziavano che l'attrice, consapevole di una responsabilità professionale medica, aveva sporto querela contro ignoti, ma era venuta a conoscenza della responsabilità dei medici dott. P.F.M., dott.ssa M.R. e dott. C.U.M., cosicché il giudizio di primo grado fu iniziato nei confronti di costoro, in quanto il P.M. li aveva ritenuti responsabili, esercitando l'azione penale soltanto nei confronti di questi ultimi. Rilevavano che la sig.ra Ba. non aveva inteso agire contro i medici de turno notturno, dottori P. e Ba., né prima, né dopo la CTU in sede civile, in quanto conscia che fossero stati proprio loro a salvarle la vita, anche se con una operazione demolitiva, decisione di estrema urgenza, dovuta non alla loro incapacità, bensì alle omissioni dei colleghi dei turni precedenti. Né tantomeno gli odierni convenuti avrebbero potuto imporre alla propria assistita, di agire contro dei soggetti che erano stati invece ritenuti dal PM estranei ai fatti. Evidenziavano che 1) contrariamente a quanto affermato dall'attrice, non appena presa cognizione della CTU circa una eventuale responsabilità dei medici del turno di notte, ancor prima dell'emissione della sentenza di primo grado, gli odierni convenuti avevano informato immediatamente la sig.ra Ba.Ba. dei rischi per l'ipotizzabile esito negativo del giudizio e, come già detto, avevano provveduto a redigere un atto di citazione (cfr.doc.11), ultima modifica effettuata in data 31 marzo 2009 (doc. n. 18), con la quale iniziare un nuovo giudizio proprio contro i due medici del turno di notte (P. e B.); 2) la sig.ra Ba., dopo vari solleciti, si era recata presso lo studio dei convenuti, tuttavia, si era rifiutata di conferire il mandato per detta nuova azione per i motivi suesposti; 3) risultava ovvio che senza la procura, i convenuti non potevano procedere con il secondo giudizio, che avrebbe avuto comunque un corso autonomo rispetto al primo, essendo ormai in fasi diverse, ma avrebbe potuto dare alla sig.ra Ba. una possibilità in più di vedersi riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno; 4) successivamente, in seguito alla pubblicazione della sentenza di primo grado, l'avv. Sa.Ma. aveva provveduto nuovamente a convocare la sig.ra Ba., per rappresentarle la necessità di procedere con l'introduzione del nuovo giudizio nei confronti dei dottori P. e Ba., essendo ormai conclamata la responsabilità di costoro e nei confronti dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza, indicata dalla sentenza di primo grado come il soggetto munito di legittimazione passiva; 5) i convenuti avevano convocato l'attrice presso il loro studio. Quest'ultima tuttavia rimaneva ferma nella propria decisione: si mostrava contraria ad intraprendere nuovi giudizi e/o inviare comunicazioni di qualsiasi tipo, anche di interruzione della prescrizione - incaricando i sottoscritti esclusivamente di appellare la sentenza del Tribunale, nella parte in cui escludeva la responsabilità professionale dei medici dott. P.F.M., dott.ssa M.R. e dott. C.U.M. per le conseguenze lesive subite dall'attrice. Secondo la sentenza del Tribunale di Roma l'istruttoria espletata in corso di causa ha, invece, accertato la sussistenza, in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno di una condotta omissiva colposa... (punto 6, pag.13 doc.1 attrice); infatti, come risulta per tabulas, l'attrice sottoscriveva la procura a margine dell'atto di appello; 6) quindi gli odierni convenuti prendevano atto della decisione della cliente di non introdurre nuovi giudizi e/o inviare comunicazione per l'interruzione della prescrizione, ma di presentare soltanto l'atto di appello; 7) per sollecitare l'attrice ad iniziare l'azione, in prossimità dello spirare del decennio dalla fine del procedimento penale, l'attrice veniva di nuovo contattata più volte telefonicamente, ma poiché non rispondeva mai alle telefonate, in data 22 luglio 2013 le veniva inviata anche una raccomandata del seguente tenore da parte dei convenuti a firma della segretaria dott.ssa E.R. " le scrivo per invitarla a prendere contatti con il nostro Studio quanto prima e fissare un appuntamento. Sono molti giorni che provo a contattarla al numero telefonico (...) senza ricevere mai una risposta. Attendiamo notizie. Cordiali saluti. La segreteria" (cfr.doc.8); 8) la sig.ra Ba. tuttavia si opponeva per l'ennesima volta e invitava gli odierni convenuti ad occuparsi soltanto dell'atto di appello e di non inviare alcuna ulteriore comunicazione o prendere nuove iniziative. Evidenziavano i convenuti che il danneggiato può agire sulla base di una responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.) in capo solidalmente sia alla struttura ospedaliera, sia del medico, nel rispetto del termine prescrizionale decennale, quindi nel caso della sig.ra Ba., entro il 19.11.2013 (in quanto, il procedimento penale veniva definito con sentenza del 20 novembre 2003). Ritenevano, dunque, l'assenza di qualsiasi responsabilità professionale dei difensori convenuti, avendo informato sin dal 2008 l'attrice della necessità di promuovere un nuovo giudizio, nei confronti dei nuovi soggetti ritenuti responsabili dalla sentenza del Tribunale di Roma, ovvero quantomeno di inviare una comunicazione per interrompere il termine di prescrizione, nonché di averla resa edotta dei rischi ai quali andava ad incorrere. Ribadivano che la ferma decisione della sig.ra Ba. di presentare soltanto l'atto di appello ed il rifiuto a sottoscrivere la procura del nuovo atto di citazione, esoneravano i difensori da qualsiasi responsabilità, mancando ogni presupposto circa la asserita responsabilità professionale, non essendo stato conferito l'incarico, più volte sollecitato. Rilevavano che contrariamente agli esiti del procedimento penale, con la sentenza di primo grado veniva riconosciuta esclusivamente in capo al personale sanitario operante durante il turno di guardia notturno (e quindi proprio i dottori dott. P.L. e la dott.ssa B.P.) una condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza ed imperizia, condotta casualmente ricollegabile alle conseguenze dannose subite dalla Ba., consistenti nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici, (v. pag.15 parag.3 sentenza), ma l'attrice non aveva voluto attivarsi contro costoro. I convenuti, in merito alla asserita responsabilità professionale circa l'errata citazione del soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera, rilevavano che la sentenza di primo grado accertava e constatava che la questione giuridica era talmente complessa, nonché soggetta ad una recente riforma, che decideva di compensare le spese legali di primo grado, anche per "la non facile individuazione delle responsabilità". Rilevavano che 1) i fatti sono del 1996, la normativa è intervenuta nel 1999 e la legge non è mai retroattiva; quindi, il legittimato passivo all''epoca della notifica della citazione, avrebbe dovuto essere sempre l'Ente che gestiva l'Ospedale e quindi la Gestione autonoma del Policlinico; 2) la Gestione liquidatoria del Policlinico ha risposto alle richieste di risarcimento danni inviate dai convenuti, non eccependo alcunché in merito alla proprio legittimazione passiva, anzi iniziava anche la propria istruttoria e indicava ai convenuti la compagnia assicuratrice che garantiva i rischi de quo (cfr. doc n.11bis); 3) la sig.ra Ba. si rifiutò di procedere anche nei confronti dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza - soggetto legittimato passivo indicato nella sentenza di primo grado, terzo convenuto nel nuovo atto di citazione, la cui procura rimase priva di sottoscrizione - che in ogni caso sarebbe stato condannato per responsabilità oggettiva e solidale (fatto quest'ultimo, che avrebbe consentito l'interruzione della prescrizione anche nei suoi confronti); 4) impugnando la suddetta sentenza davanti alla Suprema Corte di Cassazione, la mancata citazione della struttura ospedaliera non avrebbe assolutamente compromesso l'esito del giudizio che, laddove riformata la sentenza, avrebbe comportato il conseguente dovuto risarcimento anche nei confronti dei debitori solidali; infatti, l'attrice avrebbe ottenuto ugualmente il risarcimento dei danni dalle compagnie assicuratrici dei medici del turno pomeridiano, anche in assenza del soggetto munito di legittimità passiva, al quale si sarebbe potuto estendere il giudicato successivamente, in virtù del principio della responsabilità solidale, che avrebbe consentito l'interruzione della prescrizione anche nei suoi confronti. Rilevavano che l'obbligazione che il legale assume nei confronti del cliente è un'obbligazione di mezzi e non di risultato, sicchè il mancato raggiungimento del risultato voluto dal cliente non prova alcun inadempimento, in quanto il diritto al risarcimento del danno non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, dovendosi piuttosto valutare, sulla base di un giudizio probabilistico, se, in assenza dell'errore commesso dall'avvocato, l'esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto. Inoltre, sullo stesso tema e sul grado di diligenza richiesto al professionista ai sensi dell'art. 1176 c.c. la Suprema Corte afferma essere quello medio. Precisavano che nel caso concreto, i convenuti avevano adottato tutte le misure prescritte ed avevano informato la cliente dei possibili rischi nel limitare la domanda e nel rimanere inerti. La sig.ra Ba. a distanza di dieci anni aveva deciso di perseguire la strada ritenuta più facile, ossia chiedere il risarcimento dei danni ai propri difensori, a coloro che l'avevano difesa e tutelata durante i circa 15 anni di giudizio, senza che l'attività professionale prestata fosse stata retribuita. Ribadivano che, è esclusa ogni responsabilità dei convenuti: la Ba. lamenta danni per colpa professionale allegando delle asserite omissioni dei convenuti, ma, allo stesso tempo, ha impedito agli stessi convenuti di procedere nella difesa con coerenza, limitando il loro mandato, non ha ascoltato i loro consigli professionali, ha revocato loro l'incarico professionale e non ha proseguito nelle azioni tramite i nuovi difensori. Infine, ritenevano di aver assolto pienamente anche al dovere di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, avendo rappresentato alla sig.ra Ba. tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi e sconsigliandola dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. Evidenziavano che 1) la sig.ra Ba.Ba. non ha ancora corrisposto la somma totale di Euro 25.830,28 e complessiva della intera prestazione professionale per la fase istruttoria penale, il giudizio penale, il primo grado del giudizio civile e per la fase di Appello; 2) la condotta della sig.ra Ba.Ba. integra palesemente un'ipotesi di inadempimento contrattuale, in quanto la stessa, con la sottoscrizione della procura alle liti ha stipulato con gli odierni convenuti un contratto di prestazione d'opera professionale relativo a prestazioni giudiziali, rimasto non onorato; 3) l'attrice dal 1997 al 2015 ha versato ai convenuti Euro 3.030,00 (tremilatrenta/00), che hanno coperto solo le spese dei tre procedimenti, le più importanti delle quali sono state la CTP del Prof. Giusti (Euro 516,46), il contributo unificato del primo grado civile (Euro 932,58) ed il contributo Unificato della Corte di Appello (Euro 414,00) (doc.19). Si costituiva in giudizio la Hc. Plc, con comparsa di costituzione e risposta, la quale contestando integralmente le deduzioni e le produzioni avversarie, rassegnava le seguenti conclusioni: " ..respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, In via preliminare: - accertare e dichiarare la nullità/invalidità/illiceità/inesistenza della chiamata in causa della Hc. PLC per i motivi dedotti in via preliminare in narrativa (da intendersi quivi integralmente riportati) e, per l'effetto, estromettere Hc. PLC dal presente Giudizio, sancendo la decadenza dalla possibilità della possibilità di chiamata nell'ambito di questo procedimento; In via principale, nel merito del rapporto contrattuale: - accertare e dichiarare che il sinistro de quo si è verificato in data antecedente a quella di efficacia delle polizze N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, e, quindi, dichiarare l'invalidità totale o parziale e comunque la non efficacia della garanzia assicurativa, per le ragioni esposte in narrativa (da intendersi quivi integralmente riportate), in particolare per essere operativa l'ipotesi di esclusione della garanzia assicurativa prevista nel paragrafo 2 "ESCLUSIONI" delle rispettive garanzie assicurative, posta l'esistenza di una probabile richiesta di risarcimento del danno e di circostanze note a norma di contratto e, pertanto, dichiarare la risoluzione totale o parziale dei contratti, con conseguente INEFFICACIA e NON OPERATIVITÀ dello stesso e della seguente garanzia assicurativa; per quanto innanzi e, per l'effetto, respingere le domande tutte, nessuna esclusa, formulate dagli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. nei confronti della Hc. PLC relativamente ai contratti N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018. In via principale, nel merito della questione attorea: - Accertata e dichiarata l'assenza di qualsivoglia responsabilità degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. verso la parte attrice, rigettare le domande attoree nei confronti di Hc. PLC per i motivi tutti esposti in narrativa (quivi da intendersi integralmente riportati), perché infondate in fatto e in diritto. In subordine nel merito: - Nel denegato e non creduto caso di soccombenza, anche parziale, degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., accertare e dichiarare il diritto di questi ultimi ad essere tenuti indenne da Hc. PLC - detratto, in ogni caso, lo scoperto e le franchigie contrattualmente previste e poste rispettivamente a carico degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma. - salvo ogni diritto di surroga e/o di regresso della compagnia nei confronti di eventuali terzi. In ogni caso, - con vittoria di compensi professionali e spese tutte da liquidarsi in favore dell'avvocato Claudio Acampora, quale anticipatario". La Terza Chiamata, preliminarmente eccepiva che l'atto di citazione per chiamata in causa notificatole, risultava essere incompleto: nella formazione dello stesso la controparte aveva omesso di allegare le difese e le domande della parte attrice (dandone brevi cenni solo in qualche riga e non riportando per intero il contenuto dell'atto di citazione con il quale è stato introdotto l'odierno giudizio), provocandone così la nullità/invalidità/inesistenza per indeterminatezza, con conseguente rilevante limitazione - compressione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio. Chiedeva allo stato, l'estromissione della Hc. Plc dal presente giudizio per nullità/invalidità e inesistenza della chiamata in causa, con dichiarazione di decadenza dalla possibilità di chiamata nel presente giudizio, con condanna, in solido tra loro, delle due parti chiamanti alla rifusione delle spese di Difesa delle fasi di studio e introduttiva ex art. D.M. n. 55 del 2014. Riguardo alla domanda di garanzia e manleva, formulata dagli avvocati T. e S. nei confronti dell'esponente, la Hc. Plc evidenziava di non accettare il contraddittorio e respingeva, nella loro interezza, tali domande a fronte dell'inoperatività della copertura assicurativa. Sottolineava, in via preliminare, come le polizze sottoscritte N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, alla pagina n. 2 delle condizioni di assicurazione (cfr. all. doc. 2) che formavano parte integrante della polizza, precisava: "Si noti che tutte le garanzie del contratto di assicurazione sono prestate nella forma Claims Made (grassetto aggiunto) e sono operanti per le richieste di risarcimento fatte per la prima volta contro l'Assicurato durante il periodo di Assicurazione in corso e da lui denunciate agli Assicuratori durante il periodo di assicurazione e riferite ad Atti illeciti commessi dopo la data di retroattività se concessa". Inoltre, le medesime condizioni di assicurazione prevedevano tra le ipotesi di "esclusioni" che: "l'assicurazione non opera per le richieste di risarcimento causate da, connesse o conseguenti in tutto od in parte circostanze esistenti prima od alla data di decorrenza di questo contratto, che l'assicurato conosceva o delle quali poteva avere ragionevolmente conoscenza (cfr. doc. all. 2 - pagina n. 4 condizioni di assicurazione). Nel merito comunque, evidenziava che nessuna pretesa risarcitoria poteva essere invocata nei confronti dei predetti avvocati, anzitutto per avere essi adempiuto con diligenza al mandato ricevuto. Sottolineava, in ogni caso, come gli Avvocati T. e S., al momento della sottoscrizione delle polizze con la H., fossero consci della esistenza/presenza del sinistro (non dichiarato) per cui è causa e ciò in ragione delle Sentenze emesse dal Tribunale di Roma prima, in data 25 giugno 2009 (cfr. doc. 12 fascicolo parti convenute), nonché della Corte d'Appello di Roma poi, in data (cfr. doc. 12 bis fascicolo parti convenute), che respingevano le domande svolte nell'interesse della Sig.ra Ba. (odierna attrice). Rilevavano che gli avvocati T. e S., anche in ragione della propria professione e della trentennale esperienza (lo dichiarano gli stessi convenuti), al momento della sottoscrizione della polizza potevano e dovevano almeno presumere che le circostanze relative al rigetto dell'azione di risarcimento su mandato della Sig.ra Ba., anche alla luce delle risultanze della CTU assunta nel giudizio di primo grado avanti il Tribunale di Roma (R.G. n 71017/2004), potessero generare una richiesta di risarcimento del danno da parte della propria assistita, oggi attrice nel presente procedimento. Rilevava, inoltre, la Compagnia assicuratrice, come anche le risultanze della relativa sentenza di primo grado n. 14049/2009, in ordine alla errata individuazione dei soggetti legittimati passivi, avrebbero potuto e ben dovuto allertare l'attenzione dei professionisti (come di fatto è avvenuto, avendo gli stessi predisposto e sottoposto alla Signora Ba. un ulteriore atto di citazione da azionare nei confronti dei soggetti individuati come legittimati passivi), circostanze di cui, in tutta evidenza, avrebbero dovuto dare preventiva comunicazione alla H. in sede di stipula dei rapporti contrattuali, in forza dei quali oggi i professionisti pretenderebbero di essere garantiti. Precisava che tuttavia, era avvenuto che i convenuti assicurati avevano omesso di dare atto in occasione della stipula del contratto e della compilazione del questionario/modulo di proposta di assicurazione, entrambi datati 30 maggio 2018, di essere a conoscenza di qualche circostanza che potesse dare origine ad una perdita o ad una richiesta di risarcimento contro gli assicurati. Sottolineava che pertanto, si era verificata una delle ipotesi di esclusione disciplinata dal contratto assicurativo al paragrafo "ESCLUSIONI" punto 2, che prevedeva specificamente la non risarcibilità delle richieste di risarcimento causate da, connesse o conseguenti in tutto o in parte a circostanze esistenti prima o alla data di decorrenza del contratto di assicurazione, che l'assicurato conosceva o delle quali poteva avere ragionevolmente conoscenza; circostanza questa provata per tabulas, nei moduli di proposta sottoscritti dagli assicurati il 30 maggio 2018, rispettivamente allegati alle polizze N. (...) del 01 giugno 2018 e N. (...) del 01 giugno 2018, i professionisti dichiaravano espressamente, apponendo una crocetta nella casella corrispondente al "NO" del punto n. 11 del questionario, di non essere a conoscenza di qualche circostanza che potesse dare origine ad una perdita o ad una richiesta di risarcimento contro l'assicurato/gli assicurati. Ribadiva la pacifica operatività dell'ipotesi di esclusione contrattualmente prevista e, conseguentemente, l'invalidità e comunque l'inoperatività totale o parziale della garanzia assicurativa rispetto alle richieste di manleva formulate dagli avvocati T. e S. essendo stato espressamente assunto il rischio da parte della H. sulla base delle dichiarazioni, rivelatesi reticenti e omissive, dei contraenti assicurati. Evidenziava che l'indicazione dei soggetti legittimati passivi, la cui mancata corretta individuazione era stata poi accertata in sentenze che avevano assunto l'efficacia di giudicato - ancorché, nel caso di specie, non evocati in giudizio per scelta deliberata della sig.ra Ba. e ferme le contestazioni circa l'assenza di responsabilità da parte di questi ultimi, che qui si richiamano - fosse in ogni caso una circostanza rilevante per un professionista che, di certo, non avrebbe dovuto essere omessa in sede di dichiarazione precontrattuale alla compagnia di assicurazione, la quale, ne eccepiva la conoscenza in capo ai contraenti assicurati, rilevando, altresì, come essi fossero stati reticenti ed avessero omesso di fornire le informazioni richieste e dovute prima della stipula, con ogni conseguenza sulla invalidità totale o parziale delle garanzie assicurative, quanto meno con specifico riferimento al sinistro oggetto del presente giudizio. Rilevava che, laddove la garanzia fosse considerata operante, essa doveva essere limitata nei limiti del massimale pattuito e al netto della franchigia di Euro 500,00 prevista per ciascun contratto. Nel merito, la H. contestava la richiesta di risarcimento danni formulata dalla parte attrice, che si appalesava comunque generica e lacunosa, oltre che infondata; richiamava, infatti, a ragione della richiesta risarcitoria a carico dei professionisti, esclusivamente la mancata indicazione dei soggetti legittimati passivi, avendo instaurato il giudizio contro i soggetti poi non ritenuti responsabili (Dottori P., M. e C.) e per aver citato la "Gestione Liquidatoria della A.U.", in luogo dell'"Università degli studi di Roma La Sapienza", determinando la prescrizione dei diritti dell'attrice. Sottolineava che i dottori P., M. e C., indagati nel procedimento penale n. 35448/99 R.G., all'esito delle indagini durate circa sette anni, erano stati "individuati quali responsabili delle lesioni cagionate alla Sig.ra Ba. nel corso del pomeriggio del 27 luglio 1996 e nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1996" (perizia dottoressa R. e dottor V.) e che il P.M. aveva chiesto il rinvio a giudizio solo nei confronti di predetti soggetti, ritenendo evidentemente estranei ai fatti, i medici del turno notturno, Dottori P. e Ba.. Evidenziava che il rifiuto da parte dell'odierna attrice di attivare un ulteriore giudizio nei confronti dei medici del "turno notturno" Dottori P. e Ba. - sia pur tempestivamente informata e resa edotta dai propri difensori, avv. T. e S. - rappresentava una deliberata scelta della sig.ra Ba. che, opportunamente informata e messa di fronte all'atto di citazione confezionato nel suo interesse, aveva rifiutato di sottoscrivere il mandato, confermando di non voler procedere nei confronti di quei dottori che, sia pur in modo invasivo e invalidante, le avevano a suo dire "salvato la vita", né contro l'Università. Rilevava che, di conseguenza, l'aver lasciato spirare inutilmente il termine per l'impugnativa in Cassazione, aveva comunque contribuito a cristallizzare l'esito negativo della sentenza di secondo grado, potere di impugnativa di cui gli Avvocati T. e S. non disponevano più, a fronte della intervenuta revoca del mandato professionale da parte della Sig.ra Ba., puntualmente informata dei termini per promuovere l'eventuale gravame. Riteneva dunque la H., non provata e non giustificata la esorbitante richiesta risarcitoria dell'attrice. Rilevava che la sig.ra Ba., alla fine dell'anno 2015, aveva provveduto a revocare il mandato conferito ai legali T. e S., quando l'azione nei confronti dei medici del turno di notte e nei confronti dell'Università La Sapienza, sarebbe ancora state esperibile, per non essere ancora spirato il termine prescrizionale. Evidenziava, in particolare, l'assenza di prova del nesso causale fra i danni lamentati da parte attrice e i presunti e inesistenti inadempimenti contestati dalla Sig.ra Ba.Ba., rispetto all'espletamento del mandato professionale ricevuto, per come impone l'art. 2697 c.c. Sottolineava che alcuna responsabilità poteva essere imputata nel caso di specie ai professionisti, considerato che la vertenza aveva ad oggetto la risoluzione di questioni opinabili; risultavano essere contrapposte le risultanze di due diverse consulenze tecniche di segno opposto, l'una, resa in sede penale, che avrebbe individuato la responsabilità dei dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca. - soggetti nei confronti dei quali è stata attivata la causa civile da parte degli odierni convenuti a seguito della sentenza di "non doversi procedere" del 20 novembre 2003 - l'altra, resa in sede civile, che, viceversa, ha individuato quali soggetti responsabili dei danni subiti dalla Sig.ra Ba. i dottori L.P. e P.B.. Ribadiva, dunque, che doveva ritenersi esclusa la responsabilità professionale, a meno che questa non discendesse da dolo o colpa grave dei professionisti, il cui onere probatorio ricadeva inevitabilmente su chi intendeva far valere tale responsabilità. Rilevava, infine, che la Sig.ra Ba., con la decisione di non impugnare la sentenza della Corte d'Appello (determinandone il passaggio in giudicato), aveva contribuito a rendere definitivo un danno che, anche solo in astratto, avrebbe potuto non concretizzarsi mai a seguito di un eventuale accoglimento del ricorso in Cassazione: tale comportamento, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande attoree, doveva pertanto, essere valutato ai fini del concorso del danneggiato nell'evento dannoso ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227 c.c.. Il Giudice, ritenute ultronee le prove testimoniali richieste, essendo la causa di natura documentale, rinviava per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 28.10.2021. Detta udienza veniva rinviata, per esigenze di riorganizzazione del ruolo dovute all'emergenza epidemica, all'udienza del 24.02.2022 per i medesimi incombenti. La causa, assegnata a questo Giudice l'8.8.2022. Precisate le conclusioni all'udienza a trattazione scritta del 9.10.2023, il Giudice con ordinanza del 6.11.2023, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. a decorrere dalla data di comunicazione del suddetto provvedimento. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è fondata per i motivi che di seguito si riportano. L'attrice agisce chiedendo il risarcimento di tutti i danni da lei subiti, a causa della condotta negligente degli Avvocati To.Fe. e Sa.Ma., per la propria opera professionale svolta nei giudizi: 1) causa RG. n. 71017/2004, giudizio di primo grado innanzi al Tribunale Civile di Roma, contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca., nonché contro la Gestione Liquidatoria - A.U., conclusasi con la sentenza n. 14049/2009; 2) causa RG. n. 5280/2010, giudizio di appello avverso la richiamata sentenza del Tribunale Civile di Roma, svoltosi innanzi alla Corte d'Appello di Roma, Sez. III, contro i dottori Fr.Pr., Ro.Ma. e Um.Ca., conclusasi con la sentenza n. 6576/2015, non impugnata. Tali giudizi avevano ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subìti dall'odierna attrice in occasione di un ricovero, risalente alla data 27 luglio 1996, presso la struttura ospedaliera A.U.. Narra l'attrice che in occasione di tale ricovero rimase vittima di una evidente e acclarata condotta omissiva colposa, caratterizzata da negligenza, imprudenza e imperizia dei sanitari, nonché da gravi disfunzioni e carenze organizzative della struttura ospedaliera, che hanno determinato l'insorgenza di gravissimi danni, consistenti, fra l'altro, nella perdita dell'utero e dunque della possibilità di procreare, nonché in disturbi psichici ed esistenziali. Ritiene che nonostante le sentenze abbiano accertato sia i gravissimi danni sia la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera, la stessa non ha ottenuto alcun ristoro di tali danni, a causa della grave negligenza, che ha caratterizzato lo svolgimento dell'attività professionale da parte degli Avvocati Sa.Ma. e To.Fe.. Rileva di essere stata addirittura condannata alla refusione delle spese di lite del giudizio di appello nella misura complessiva di Euro 21.000,00 oltre accessori di legge, poiché gli odierni convenuti hanno instaurato il giudizio contro i soggetti sbagliati, omettendo di citare i medici effettivamente responsabili ed il soggetto legalmente legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera. Rileva che con riferimento ai medici, gli odierni convenuti, infatti, hanno instaurato il giudizio unicamente nei confronti dei medici del turno pomeridiano (in servizio fino alle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), ritenuti da entrambe le sentenze privi di qualsiasi responsabilità, ed hanno omesso, inspiegabilmente, di citare in giudizio i medici del turno notturno (in servizio dalle ore 21:00 del giorno 27.7.1996), considerati invece da entrambe le sentenze gli unici responsabili dei danni subìti dalla odierna attrice. Ritiene che tale errore è stato compiuto sebbene il coinvolgimento dei medici del turno notturno, risultasse chiaramente dalla documentazione in loro possesso (e offerta in comunicazione anche nell'odierno giudizio), dalla quale emergeva, che le condizioni di salute della Sig.ra Ba. si fossero aggravate soltanto durante la notte del 27.7.1996, tanto da rendere inevitabile un intervento chirurgico eseguito alle ore 8:00 della mattina del 28.7.1996. Con riferimento alla Struttura ospedaliera, l'attrice sottolinea che gli odierni convenuti hanno citato in giudizio, addirittura, un soggetto (Gestione Liquidatoria della A.U.) del tutto privo di legittimazione passiva, il quale, per tale ragione, non si è mai costituito in giudizio, sebbene il D.L. 1 ottobre 1999, n. 341 (convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453), rendesse palese che l'unico soggetto legalmente deputato a rappresentare la struttura ospedaliera fosse, nel caso di specie, l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Evidenzia che gli odierni convenuti, ammettendo implicitamente l'errore compiuto, non hanno gravato con l'appello il capo della decisione relativo al difetto di legittimazione passiva, il quale, conseguentemente, ha acquistato il valore della cosa giudicata. Ritiene che gli odierni convenuti, oltre ad aver evocato in giudizio soltanto soggetti privi di responsabilità e/o di legittimazione passiva, non hanno mai compiuto, anche solo in via cautelativa e prudenziale, alcun atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, né nei confronti dei medici responsabili del turno notturno, né nei confronti del soggetto che aveva per legge la legale rappresentanza della struttura ospedaliera, ossia l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Evidenzia che l'accertato diritto della attrice ad ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subìti, si è prescritto nei confronti dei soggetti effettivamente responsabili contro i quali, pertanto, la attrice non può spiegare alcuna domanda e/o richiesta. Rileva che la scelta e l'individuazione dei legittimati passivi non implicava, nel caso di specie, la soluzione di particolari problemi tecnici, essendo a tale scopo sufficiente l'esame della documentazione in possesso degli odierni convenuti e del D.L. 1 ottobre 1999, n. 341. L'attrice, dunque, chiede "accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in narrativa ed ai sensi degli artt. 2229 e ss., 1176, co. 2, 1218 e 1223 c.c., l'inadempimento e la conseguente responsabilità professionale degli avv.ti Sa.Ma. e To.Fe. e, per l'effetto, condannarli, anche in solido fra loro, a risarcire i danni subìti dalla Sig.ra Ba.Ba., da quantificarsi nel corso del giudizio, corrispondenti alla somma che la stessa avrebbe percepito a titolo di risarcimento dei danni per i fatti del 27 e 28 luglio 1996 per le voci indicate nel cap. 19, lett. a - f della narrativa (ossia per invalidità temporanea parziale, per invalidità temporanea assoluta, per invalidità permanente connessa alla perdita dell'utero e della capacità di procreare, per il danno alla salute connesso alla sindrome ansioso depressiva che ha vissuto l'attrice a seguito del ricovero, per la riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 40% con perdita di chance lavorative future e, infine, per danno morale); con l'aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria, dal giorno dell'evento dannoso (27 luglio 1996) fino a quello dell'effettivo soddisfo. Quanto precede con espressa riserva di agire con autonomo e separato giudizio ai fini dell'integrale risarcimento dei danni ulteriori, subìti e subendi, in questa sede non espressamente menzionati. Con vittoria di spese e competenze, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA". Orbene, è opportuno, prima di passare ad analizzare il caso che ci occupa, fare alcune premesse. La responsabilità professionale dell'avvocato non sorge automaticamente nel caso di non corretto adempimento dell'attività professionale - da provare a cura del cliente - ma è necessario altresì 1) verificare se il danno sia riconducibile alla condotta del legale commissiva o omissiva , ovvero la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone; 2) verificare se effettivamente sussista il danno; 3) infine accertare che, qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, l'assistito avrebbe conseguito, alla stregua di criteri probabilistici, il riconoscimento delle proprie ragioni e/o il danno non si sarebbe in tutto o in parte verificato, alla stregua dell'id quod plerumque accidit. (Cassazione civile sez. III, 28/05/2021, n.15032) Dunque, l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 cod. civ., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio. In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente opera la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile" da applicarsi non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso di causalità tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa. (Cassazione civile sez. II, 25/08/2021, n.23434; Cassazione civile sez. VI, 13/01/2021, n.410) Come noto, le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Ne deriva che l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo al tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c. - parametro da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. Secondo il consolidato e costante orientamento della Corte di Cassazione, la responsabilità dell'avvocato non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, ma sussiste solo nel caso in cui l'inadempienza dello stesso sia causalmente rilevante sull'esito della controversia, ed inoltre, l'onere di allegare e provare gli elementi sulla scorta dei quali effettuare la predetta valutazione prognostica grava sul cliente danneggiato. (cfr., da ultimo, anche Cass. Civ., Ordinanza n. 410/2021; Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 7064/2021; Cass. Civ., Sez. III, n. 20516/2020) Si deve osservare, altresì, che "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 15032/2021; Cass. Civ., Sez. III, n. 4742/2019). Nel caso di specie, innanzitutto deve essere esaminata l'eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta. La responsabilità dell'avvocato nei confronti del cliente rientra nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., pertanto, il termine di prescrizione è decennale (art. 2946 c.c.). Vi sono due indirizzi giurisprudenziali riguardo al momento in cui inizia a decorrere la prescrizione: secondo un primo indirizzo essa decorre dal compimento dell'atto dannoso, secondo un altro indirizzo invece, decorre dal momento in cui il cliente ha la consapevolezza del danno. Nelle ipotesi di inadempimento del mandato difensivo in ambito giudiziario, la prescrizione del diritto al risarcimento, ai sensi dell'art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui l'esito del processo diventa definitivo. In tema di responsabilità professionale per l'attività giudiziale dell'avvocato, il termine di prescrizione inizia a decorrere da quando il danno si manifesta ed è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla pubblicazione della sentenza e non dal momento in cui la condotta del professionista ha determinato l'evento dannoso (Cass. sentenza n. 24270/2020 e n. 18606/2016). Orbene, applicando tali principi al caso di specie, si deve ritenere che l'evento dannoso collegato alla negligenza professionale dei convenuti, è divenuto percepibile all'esterno e conoscibile dalla Sig.ra Ba., con la Sentenza della Corte d'Appello di Roma (sentenza n. 6576/2015), irrevocabile. Dunque, il diritto della Sig.ra Ba. al risarcimento dei danni conseguenti alla asserita negligenza professionale dei convenuti, oggetto di diffida in via stragiudiziale del 18.6.2018, non risulta prescritto, decorrendo il termine decennale dal 2015. D'altra parte, anche voler ritenere che l'attrice avesse percepito la negligenza dei professionisti ed il danno provocatole già con la sentenza di primo grado del 2009, anche in questo caso il termine di prescrizione decennale non sarebbe spirato. Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, al fine di verificare la fondatezza della domanda dell'attrice, occorre valutare se via sia stata negligenza da parte degli avvocati convenuti cui è stato conferito il mandato professionale e, successivamente, valutare l'esistenza del nesso causale con un danno risarcibile, inquadrando la responsabilità dell'avvocato nell'ambito della c.d. "perdita di chance", accertando la ragionevole probabilità che la controversia avrebbe avuto una diversa e più favorevole evoluzione, con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale. E' pacifico e non contestato che l'attrice avesse conferito mandato ai legali convenuti, al fine di essere risarcita delle conseguenze subite in occasione di un ricovero, effettuato in data 27 luglio 1996, presso la Struttura ospedaliera A.U.. È mancata, effettivamente, la corretta esecuzione della prestazione dedotta nel mandato professionale, per l'errata individuazione del soggetto legittimato passivo della pretesa, ossia "Gestione Liquidatoria -A.U." in luogo della "Università degli studi di Roma La Sapienza". La sentenza che ha definito il giudizio di primo grado - alla luce del D.L. n. 341 del 1999, convertito in L. 3 dicembre 1999, n. 453 (che ha attribuito alle neocostituite " A.P." e " A.O." una autonoma personalità giuridica di diritto pubblico ( art.1 comma 19) e che tuttavia nulla ha disposto per i rapporti pregressi - ha statuito che " la domanda proposta dalla Ba. nei confronti della Gestione liquidatoria deve essere respinta per difetto di legittimazione passiva". Ebbene, gli Avvocati T. e S., non hanno applicato quanto prevedeva il decreto Legge prima richiamato e quindi non hanno correttamente citato in giudizio l'effettivo legittimato passivo (Università degli Studi di Roma La Sapienza). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, ritiene che "L'omessa osservanza della regola sulla legittimazione passiva costituisce fonte di responsabilità professionale dell'avvocato difensore "(Cass. 10822/2020). Sussiste dunque, rispetto al difetto di legittimazione passiva della struttura sanitaria, un'ipotesi di inadempimento contrattuale. Nel caso di specie però, l'attrice è tenuta a provare non solo di aver sofferto un danno per l'omessa tempestiva e corretta azione giudiziale da parte dei propri difensori (tesa ad accertare la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera), ma anche il danno e che questo danno sia stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista (nesso causale). Pertanto - poiché l'art. 1223 cod. civ. postula la dimostrazione dell'esistenza concreta di un danno, consistente in una diminuzione patrimoniale - la responsabilità degli avvocati per la mancata proposizione dell'azione giudiziale nei confronti dei sanitari ritenuti successivamente responsabili e della struttura ospedaliera legittimata passivamente, con conseguente preclusione della possibilità della Ba. di ottenere il risarcimento dei danni subiti - può essere affermata solo se la cliente dimostri che la corretta azione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta. Dalla lettura degli atti di causa, risulta che ella presentò querela il 31.7.1997 contro ignoti, per il reato di lesioni gravi commesse ai suoi danni dai sanitari che l'ebbero in cura il 27 e 28 luglio 1996 presso l'A.U., conferendo poi incarico all'avv. T. di assisterla nel processo penale, ove si era costituita parte civile. Ebbene, a seguito delle indagini svolte dal PM ed in particolare sulla base delle risultanze della CTU svolta su suo incarico, vennero rinviati a giudizio "solo i medici del turno pomeridiano", ovvero i tre sanitari citati in giudizio dagli attuali convenuti, nel giudizio civile di responsabilità medica. Tuttavia, dalla relazione espletata in sede di indagini, è emersa la responsabilità dei medici di turno del pomeriggio, ovvero in servizio al momento del ricovero in P.S. della Ba., i quali di fronte ad una emorragia, complicanza ben nota e prevedibile come conseguenza ricorrente del precedente e recente intervento di conizzazione cui l'attrice si era sottoposta, anziché procedere ad una sutura, procedura che i consulenti hanno ritenuto doverosa ed adeguata al fine di evitare l'evoluzione ingravescente poi verificatasi, si erano limitati ad inserire un tampone vaginale e senza ulteriori controlli nemmeno degli esiti delle analisi del sangue e dei valori preoccupanti che ne emergevano, l'avevano affidata alle ore 21 ai colleghi del turno di notte, con la sola raccomandazione di controllare il tampone vaginale. Tuttavia, dalla medesima relazione, è emersa anche la responsabilità dei sanitari del turno notturno. Nella medesima consulenza infatti, vengono messi in risalto profili di responsabilità anche di tali ultimi sanitari, i quali, nonostante la paziente lamentasse nella notte dolore e chiedesse più volte l'intervento dei medici, non la sottoponevano ad alcuna visita o controllo, nemmeno del tampone vaginale, come da indicazioni dei colleghi che li avevano preceduti, che veniva quindi espulso naturalmente alle ore 7 di mattina, dalla forte ed inarrestabile emorragia in corso, che la costringeva poco dopo, ad un intervento di urgenza di isterectomia, in condizioni gravi, anche per i valori ematochimici indubbiamente alterati per la grande perdita di sangue subita. In effetti dalla CTU svolta in sede di indagini a cura del PM, emergono profili di responsabilità di tutti i medici che l'ebbero in cura tra il 26 luglio ed il 27 luglio, indistintamente: i medici del turno pomeridiano, per l'erroneo iniziale approccio alla problematica della paziente, che con idonea sutura le avrebbe evitato l'emorragia e l'intervento; i medici del turno notturno, per la negligenza e l'omessa sorveglianza delle condizioni della paziente durante la notte, nonostante le sue richieste di aiuto, che a causa dell'intervento intempestivo dei medici, determinò l'asportazione dell'utero. E' ben vero che furono rinviati a giudizio solo i dottori P., M. e C. e non anche i sanitari del turno di notte, dottori Ba. e P.. Tuttavia, è principio noto a qualsiasi professionista esercente l'attività legale, che i criteri di attribuzione della responsabilità penale e quelli della responsabilità civile, sono diversi. Ciò sta a significare che il fatto che fossero stati rinviati a giudizio solo alcuni dei sanitari, verosimilmente perchè sotto il profilo penalistico non si ravvisavano nei confronti degli altri medici sufficienti indizi di colpevolezza, non escludeva che gli stessi potessero essere ritenuti responsabili in sede civile, tanto più che il materiale a disposizione dei convenuti, non consisteva in una CTU espletata in sede dibattimentale o in una sentenza penale di condanna, bensì in una consulenza espletata solo in sede di indagini ed in una sentenza di non doversi procedere. In sostanza, in sede penale non era stato accertato alcunchè. Pertanto, il fatto che i convenuti abbiano citato in giudizio solo i tre sanitari di turno nel pomeriggio, non trova giustificazione nè in diritto, e dunque sotto il profilo della perizia, né sotto un profilo di strategia processuale, e quindi sotto il profilo della diligenza. Parimenti è frutto di negligenza, il non aver comunque inoltrato atti interruttivi, anche solo in via cautelativa, nei confronti di tutti i sanitari coinvolti e nei confronti dei diversi soggetti giuridici che rappresentavano I.P., proprio alla luce delle difficoltà interpretative della norma che aveva riconosciuto personalità giuridica alla struttura ospedaliera ed ai contrasti giuresprudenziali sul punto, che gli stessi convenuti hanno ammesso, anche se a loro discolpa. Pertanto, l'attribuzione di responsabilità ai convenuti, per aver citato in giudizio i sanitari sbagliati e l'ente privo di legittimazione passiva, se da un lato può trovare giustificazione per quanto concerne l'erronea citazione in giudizio della struttura sanitaria, non esonera i convenuti da responsabilità, per non aver messo in atto tutte le procedure cautelative, idonee a riservarsi una nuova e diversa azione nei confronti di tutti i sanitari coinvolti e del soggetto che fosse risultati effettivamente legittimato a rappresentare la struttura sanitaria, prima dell'inutile decorso del termine di prescrizione e comunque impedendo che questo decorresse a danno dell'attrice. Quanto al difetto di legittimazione passiva della struttura, ovvero della citazione in giudizio della Gestione Liquidatoria (della cessata A.U.), benchè il decreto Legge risalisse temporalmente al 1999, non può solo per questo qualificarsi un errore causato da negligenza o imperizia, giacchè la sua applicazione al caso concreto, non avendo disposto nulla la suddetta normativa per i procedimenti in corso, era di difficile interpretazione, tanto che il Tribunale, ha all'uopo citato la sentenza della Corte di Cassazione a S.U. n. 584/08 chiamata a dirimere il contrasto intervenuto sul punto. Tale pronuncia, comunque successiva alla proposizione della domanda, comprova che esistesse un dibattito aperto sulla questione e che sussistessero, al momento dell'instaurazione della causa (2004), diversi orientamenti contrastanti. A conforto di quanto sopra detto, vi è la decisone del giudice di primo grado in punto spese, il quale, proprio in considerazione di tale difficoltà interpretativa e della difficoltà di individuare i sanitari responsabili, alla luce degli esiti del procedimento penale, ritenne di dover compensare le spese legali. Tuttavia, ciò non esime da responsabilità i convenuti, i quali, qualora avessero comunicato i dovuti atti interruttivi a tutti i possibili soggetti evocabili in giudizio, alla luce soprattutto della sentenza di primo grado, avrebbero potuto quanto meno promuovere immediatamente e contestualmente all'atto di appello, azione nei confronti degli altri sanitari, in virtù del rapporto di coobbligati solidali. La copiosa corrispondenza tra i convenuti e l'ente citato in giudizio, intrattenuta con i responsabili del loro ufficio legale e delle loro assicurazioni, che risposero, si attivarono ed aprirono persino la pratica relativa al sinistro, nella fase stragiudiziale volta ad una definizione bonaria, non è circostanza idonea a giustificare il comportamento omissivo dei convenuti: ciò prova soltanto che verosimilmente i dubbi interpretativi esistessero addirittura in seno all'ente stesso, che mai comunicò di non essere legittimato. Alla luce di quanto sopra esposto, le doglianze dell'attrice ricolte ai convenuti e consistenti nel non aver posto in essere atti interruttivi nei confronti degli altri sanitari coinvolti nella vicenda, né nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza, quanto meno prima della sentenza di primo grado del 2009, è assolutamente fondata. D'altra parte, alla luce della sentenza di primo grado confermata in appello e persino passata in giudicato, secondo il principio del più probabile che non, l'attrice, qualora fossero stati posti in essere atti interruttivi nei confronti dei due sanitari dottori P. e Ba., avrebbe avuto secondo il principio del più probabile che non, l'esito favorevole del giudizio. D'atra parte va anche sottolineato, che tutta la tesi difensiva dei convenuti improntata sul presunto rifiuto dell'attrice di agire nei confronti dei medici del turno notturno e dell'Università gli Studi La Sapienza, oltre ad essere stata puntualmente contestata dall'attrice nella memoria ex art.183 co.6 c.p.c. I termine, non ha trovato smentita negli atti prodotti dai convenuti. Ciò premesso, va affrontato innanzitutto il profilo di imprudenza, quanto alla mancanza di atti interruttivi nei confronti dell'Ospedale (Università degli Studi La Sapienza). Risulta infatti che l'attrice non si sia presentata allo studio dei professionisti, sebbene sollecitata nel 2013, ma non è indicato nella missiva il motivo dell'urgenza della sua convocazione. Sicchè, tale documento, nulla prova in difesa dei convenuti. Viceversa, con mail del 1.12.2015, l'attrice veniva informata dai convenuti dell'esito della sentenza della Corte di Appello di Roma del 25.11.2015 e sollecitata a presentarsi allo studio, non solo per procedere eventualmente con ricorso per Cassazione, pur rappresentandole il rischio del passaggio in giudicato della sentenza, ma per fornirle tutte le spiegazioni ed i chiarimenti del caso e per valutare come diversamente procedere a fronte dell'esito negativo del giudizio (sui prossimi eventuali passi da percorrere). Quand'anche si dovesse ritenere che in quella sede, l'attrice oltre a rifiutarsi di proporre ricorso in Cassazione, si fosse rifiutata di agire contro i sanitari del turno notturno e contro l'università degli Studi La Sapienza, in mancanza degli atti interruttivi di cui sopra, il suo rifiuto tamquam non esset, atteso che tali azioni non sarebbero state comunque più esperibili. Invero, è pregiudiziale all'esame di ogni altro aspetto, l'effettiva ricaduta dell'inadempimento sopra evidenziato, sulla denunciata perdita definitiva del diritto di agire per il risarcimento dei danni subiti, a causa del predetto inadempimento, ovvero verificare la sussistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno. A tal proposito, va precisato che i fatti sono accaduti nel luglio 1996 e quindi, trattandosi di responsabilità medica anteriore alla Legge G., la stessa si configurava di natura contrattuale anche nei confronti dei medici. La prescrizione ordinaria decennale pertanto, nei confronti dei dottori P. e Ba. e dell'Università La Sapienza, sarebbe inutilmente spirata a luglio del 2006. Infatti, anche applicando l'art.2935 c.c. invocato dai convenuti, non si può ritenere che l'attrice, alla quale sia stato asportato l'utero e sia stata privata della possibilità di procreare in data 28.7.1996, a seguito della vicenda sanitaria sopra descritta, non avesse compreso e percepito da subito, il grave danno subito e la sua connessione con l'attività negligente ed omissiva dei sanitari. E' dalla data dell'intervento di isterectomia eseguito con urgenza in data 28.7.1996, che deve dunque farsi decorrere la prescrizione decennale, come anche accertato dalla sentenza penale di non doversi procedere del 2003. Diversamente da quanto sostenuto dai convenuti, l'azione penale esercitata solo nei confronti dei dottori P., C. e M., ha avuto effetto sospensivo della prescrizione solo nei loro confronti, ma detto effetto sospensivo non si è esteso ai condebitori solidali, dottori P. e Ba., né all'Università La Sapienza di Roma, in virtù di quanto disposto dall'art.1310 comma 2 c.c. Quanto all'effetto estensivo della interruzione della prescrizione nei confronti dei condebitori solidali, ossia dei suddetti due medici non rinviati a giudizio e non citati in sede civile, nei confronti dei quali, proprio in base a quanto disposto dalla citata norma al comma 1, gli atti interruttivi con i quali il creditore interrompe il termine di prescrizione nei confronti di uno dei debitori solidali, interrompe la prescrizione anche nei confronti del comune debitore, ancorchè questi non sia venuto a conoscenza di detti atti, non va ignorato innanzitutto il limite dell'eccezione di giudicato di cui al'art.1306 comma 2 c.c. Come statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20559/14 "la regola di cui all'art.1306 comma 2 c.c. secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli atri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta si stata resa in un giudizio in cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla". Inoltre, va precisato che nel caso di specie ci troviamo in presenza non di solidarietà nell'adempimento della medesima obbligazione, bensì di solidarietà derivante da medesimo fatto dannoso, ossia plurime condotte ciascuna con un contributo autonomo e distinto rispetto al fatto, ossia di SOLIDARIETA' RISARCITORIA. In questa ipotesi la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3633/18 ha precisato che: "quando a più soggetti sia imputabile un medesimo fatto dannoso, questi risponderanno in solido per l'intero danno, tuttavia il giudizio contro solo uno dei condebitori non si svolge entro i binari dell'art.2055 c.c.; rimane un giudizio di responsabilità monosoggettiva. Le nozioni di solidarietà, di condebito risarcitorio e di quota ex art.2055 c.c. non entrano in quel giudizio. In quel giudizio, il primo debitore-non riguardato come obbligato in solido-è condannato per l'intero danno di cui è responsabile, anziché, parziariamente, per una quota di corresponsabiità del 50%. Il creditore può sempre agire nei confronti dei corresponsabili (anche dopo il passaggio in giudicato della prima statuizione, ma sempre nei limiti dei termini prescrizionali, decorrenti, peraltro, dal primo) per ottenere il ristoro residuo". In punto prescrizione, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 286/15 ha chiarito che: "il danno di cui al'art.2055 c.c. è disciplinato da un unitario regime della prescrizione nei confronti di tutti gli autori delle diverse condotte illecite che hanno concorso a determinarlo, con estensione del termine di prescrizione di dieci anni (art.2953 c.c.) nei confronti di tutti i coobbligati solidali (art.1292 c.c.), in caso di passaggio in giudicato di una sentenza di condanna emessa nei confronti di uno solo dei coobbligati solidali" Invero i Giudici di Legittimità già con precedente sentenza n. 8136/01 avevano statuito che "la disciplina del'art.1310 c.c. e dunque dell'effetto estensivo dell'interruzione della prescrizione ai condebitori solidali, doveva essere letta in combinato disposto con l'art. 2945 c.c." (conf. Cass. n. 1463/16). Invero l'art.2945 c.c. al comma 2 così dispone: "Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art.2943 c.c., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio". Ebbene, è evidente che detta norma vada letta in relazione a quanto disposo dall'art. 2935 c.c. che prevede che "i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essa è intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con decorso di dieci anni". Come statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2003/17: "la sentenza passata in giudicato, per poter determinare la conversione del termine di prescrizione, deve essere di "condanna", come esplicitamente sancito dall'art.2953 c.c. e cioè consistere in un provvedimento giudiziale definitivo che imponga, a chi vi è obbligato, l'esecuzione della prestazione dovuta per il soddisfacimento del diritto altrui fatto valere, con conseguente esclusione, delle sentenze di mero accertamento". Dala lettura combinata delle suddette norme, se ne ricava il conseguente corollario: l'interruzione della prescrizione, è strettamente connessa con l'esito favorevole del giudizio per l'attore, ovvero deriva dall'accoglimento della domanda ed al riconoscimento del diritto azionato (sentenza di condanna). Diversamente, se la sentenza che definisce il giudizio escludesse il diritto azionato (sentenza di rigetto), non si porrebbe proprio la questione della prescrizione e tanto meno della interruzione del termine di prescrizione o addirittura della sua estensione. Essendo stata esclusa la sussistenza del diritto, viene meno il tempo per farlo valere, nascendo invece a favore dell'altra parte, l'interesse all'exceptio rei iudcatae. L'art.2935 c.c. infatti dispone che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". Se dunque con sentenza passata in giudicato la domanda è stata rigettata ed è stato escluso il diritto, è evidente che viene meno il termine necessario per farlo valere. Va inoltre precisato che anche una sentenza che dichiara l'inammissibilità della domanda interrompe la prescrizione, sempre se le parti hanno avuto conoscenza del processo (Cass. 29609/18). Peraltro, le sentenze in rito che definiscono il giudizio, interrompono la prescrizione, sempre che non definiscano anche il merito. Ciò premesso, due sono dunque gli aspetti giuridici rilevanti nel caso in esame, in cui il danno lamentato è la perdita di chance, ovvero la perdita definitiva di poter agire per il risarcimento del danno, stante la condotta omissiva dei convenuti che ha comportato la prescrizione del diritto: 1) Il tipo di sentenza passata in giudicato (sentenza di rigetto), che ha definito il giudizio promosso dai convenuti nei confronti solo di alcuni dei condebitori solidali; 2) La pronuncia di inammissibilità per difetto di legittimazione passiva nei confronti di soggetto privo della legittimazione a resistere in giudizio (che ha anche rigettato la domanda nel merito nei confronti dei medici e del cui giudizio non era a conoscenza il soggetto legittimato a rappresentare il condebitore solidale struttura sanitaria). Ebbene, la Corte di Cassazione, partendo dal dettato dell'art.2055 c.c. che dispone che "se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno", ha ritenuto che ciò che rileva è l'unicità del fatto dannoso, indipendentemente dal fatto che sia stato determinato da più condotte autonome ovvero che i titoli di responsabilità di ciascuno siano diversi. Questo significa che il danneggiato potrà richiedere ad un solo condebitore l'integrale pagamento del danno, ma poi nei rapporti interni (tra debitori), ciascuno risponde nella misura in cui ha partecipato alla verificazione del danno e a titolo di dolo o di colpa. In sostanza, colui che ha risarcito il danno per intero, ha poi azione di regresso contro ciascuno degli altri condebitori, e nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Trattandosi di responsabilità solidale, non sussiste un'ipotesi di litisconsorzio necessario, sicchè il creditore danneggiato non deve citare tutti i debitori. Inoltre, sempre a favore del danneggiato, vale il principio per cui ogni atto di interruzione della prescrizione effettuato verso uno dei debitori in solido, interrompe la prescrizione anche nei confronti degli altri condebitori ai sensi dell'art.1310 c.c. che dispone: "gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto riguardo agi altri debitori". Tipico atto interruttivo è l'atto di citazione. Sicchè se il creditore cita in giudizio solo uno dei debitori in solido ed il giudizio si definisce con la sua condanna, il termine di prescrizione ricomincia a decorrere dalla sentenza passata in giudicato, anche nei confronti del condebitore non citato in giudizio e che non ha partecipato al processo. Poiché l'art.2953 c.c. fa riferimento genericamente al "diritto", in linea con la solidarietà, la Corte di Cassazione ha ritenuto che a seguito della sentenza di condanna passata in giudicato, il giudicato formatosi nei confronti di un coobbligato solidale, operi anche nei riguardi degli altri coobbligati rimasti estranei al giudizio. Non vi è dubbio, in virtù dei principi sopra delineati in ordine al concetto di solidarietà risarcitoria, nonchè avuto riguardo al rapporto contrattuale instaurato tra paziente-medico e paziente-struttura all'epoca del fatto, che sia i primi che la struttura, possano ritenersi debitori solidali. Di recente la Corte di Cassazione a S.U. nella sentenza n. 13143/22, ha ritenuto di dover estendere il principio di solidarietà passiva di cui all'art.2055 c.c., anche alle ipotesi di solidarietà da risarcimento del danno derivante da più condotte che hanno concorso a provocare il danno, ancorchè il loro obbligo nascesse da fonti diverse, contrattuale ed extracontrattuale. In questo modo ha ritenuto applicabile anche alle condotte lesive autonome l'art.1310 c.c. e dunque l'estensione del termine di prescrizione anche agli altri debitori solidali. La Corte di Cassazione con la suddetta sentenza infatti, in una causa di risarcimento del danno, rappresentato dalla perdita dei capitali conferiti dagli attori nelle società fiduciarie, domanda proposta dagli investitori nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico per omessa sorveglianza delle società fiduciarie, ha risolto il contrasto in materia di estensione dell'interruzione del termine di prescrizione ai condebitori solidalmente obbligati, ritenendo applicabile l'art.1310 comma 1 c.c. anche al soggetto solidalmente responsabile ai sensi dell'art.2055 c.c., ancorchè la sua responsabilità si fondasse un titolo diverso rispetto alla fonte negoziale, in virtù della quale le società fiduciarie avevano assunto l'obbligo, non adempiuto, di amministrare con diligenza e profitto il denaro degli investitori e nonostante il Ministero non avesse mai ricevuto alcun atto interruttivo, enunciando il seguente principio di diritto: "nel caso di società fiduciaria posta in L.C.A. l'ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ai sensi del'art.207 primo comma L.F, sia per i creditori ammessi a domanda ai sensi del'ar.208 stessa legge, l'interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell'elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d'ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l'inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dall'art. 208 L.F.: tale effetto, ai sensi del'art.1310, primo comma, c.c., si estende anche al Ministero ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella società soggetta a vigilanza divenuta insolvente". Orbene, nel caso di specie, le lettere di diffida e di richiesta di risarcimento danni inviate ai tre medici del turno pomeridiano prima del giudizio e l'atto di citazione del 2004, hanno sicuramente interrotto la prescrizione anche nei riguardi dei medici rimasti estranei a quel giudizio. Di talchè, la prescrizione decennale ha ricominciato a decorrere dal 2004 anche nei loro confronti e dunque sarebbe spirata nel 2014 (Cass. S.U. n. 13143/22). Come sopra esposto però, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8136/01, ha statuito che: "l'estensibilità dell'interruzione della prescrizione ai condebitori solidali va completata con la disciplina degli effetti della durata dell'interruzione contenuta nell'art. 2945 c.c., con la conseguenza che l'azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo, determina l'interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio, fino al passaggio in giudicato della sentenza" (Conf. Cass. 22594/19; Cass. 1463/16). Tuttavia, in base proprio ai principi sopra enunciati, essendo stato definito quel giudizio con "sentenza di rigetto" nei confronti dei convenuti (medici del turno pomeridiano) e di "inammissibilità" nei confronti del soggetto privo della legittimazione a stare in giudizio in rappresentanza dell'O.U., essendo detta sentenza passata in giudicato nel 2015, non avendo avuto conoscenza la struttura sanitaria legittimata del processo, né essendo stati mai inviati atti interruttivi né a quest'ultima, nè agli altri condebitori solidali, la suddetta sentenza non ha avuto effetto interruttivo della prescrizione nei confronti dei condebitori solidali, ovvero nè nei confronti dei dottori P.L. e P.B., né nei confronti dell'Università degli Studi La Sapienza. Da ciò ne discende una considerazione di notevole importanza nella fattispecie in esame. Invero, stante l'indubitabile rapporto di solidarietà passiva tra i cinque medici operanti nella stessa struttura e la struttura stessa, tutti coinvolti nello stesso fatto generatore di danno, sebbene ciascuno con proprie autonome condotte, peraltro i medici P. e Ba. ritenuti responsabili nella sentenza civile passata in giudicato, a fronte dell'inutile spirare del termine di prescrizione nei confronti dei medici non citati in giudizio e nei confronti della struttura non citata correttamente, è evidente il gravissimo ed irreparabile danno provocato dai convenuti all'attrice, con il loro comportamento imprudente ed omissivo. Peraltro, il fatto è ancora più grave, se si considera che con l'atto di citazione del 2004, quanto meno nei confronti dei medici condebitori solidali, il termine di prescrizione si era interrotto e poteva essere promossa azione ai loro danni subito dopo la sentenza di primo grado del 2009. Invero, il termine di prescrizione per esercitare l'azione di risarcimento nei confronti dei dottori P. e Ba. andava a scadere nel 2014. Sussiste dunque il danno irreparabile lamentato dall'attrice nel presente giudizio ed il nesso di causalità tra l'inadempimento dei convenuti ed il danno. D'altra parte, alla luce della sentenza civile di secondo grado, secondo il principio del più probabile che non, l'esito del ricorso in Cassazione sarebbe stato comunque sfavorevole all'attrice ed in ogni caso non le avrebbe consentito comunque di agire nei confronti della struttura sanitaria, benchè già in sede penale fossero emerse le gravi carenze organizzative dell'ospedale, che avevano concorso a determinare il danno (solo due medici di turno quella notte, a servizio sia del reparto che della sala operatoria). Sicuramente, il profilo di colpa più grave, è la mancata interruzione dei termini di prescrizione nei confronti di tutti i medici coinvolti, che già dalla consulenza tecnica svolta in sede di indagini preliminari, risultavano parimenti responsabili. Pertanto, anche qualora si volesse ritenere che l'attrice convocata con la mail del 2015 presso lo studio dei convenuti, non fosse stata convocata solo per valutare a possibilità di proporre ricorso in Cassazione, essendo ormai spirati i termini di prescrizione, non si comprende a quale altro titolo sarebbe stata convocata. Il fatto che ella revocò il mandato il 15.12.2015, è dunque circostanza irrilevante, non avendo impedito ai convenuti con il suo comportamento, di proporre una nuova causa nei confronti dei condebitori solidali. L'attrice non ha negato di essere stata dovutamene informata dei rischi a cui si esponeva qualora non avesse proposto ricorso in cassazione, ma tale rischio era poca cosa rispetto al danno ormai procuratole, che poteva essere evitato e del cui rischio invece non risulta essere stata mai informata. L'altro aspetto pregnante della vicenda, riguarda la contestata inadempienza dei professionisti, per aver citato in giudizio un soggetto non legittimato a rappresentare la struttura ospedaliera ove era stata ricoverata. Ebbene, a parte le considerazioni già fatte in ordine alla difficoltà interpretativa e di individuare il legittimato passivo, va anche qui aperta una parentesi di ordine processuale di non poco momento. Invero, la sentenza di primo grado con la quale è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria-A.S., per essere legittimata passiva l'Università degli Studi La Sapienza, è stata confermata in appello. Tuttavia, la decisione sul punto, non è una mera pronuncia in rito, ma anche nel merito e per di più la pronuncia in rito è stata emessa senza che il soggetto legittimato fosse a conoscenza del processo. Pertanto, in base a quanto sopra detto, il danno anche sotto questo profilo, è irreparabile. Qualora si fosse trattato solo di una mera pronuncia in rito, che avesse comportato solo l'inammissibilità della domanda proposta nei confronti di quel determinato soggetto, come statuito dalla sentenza della Corte di cassazione a S.U. n.1516/16, anche la domanda dichiarata inammissibile avrebbe interrotto il termine di prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza, ma sempre a condizione che fossero stati comunicati atti interruttivi nei confronti del soggetto legittimato. Sul punto la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 29069/18, ha infatti precisato che: "il principio sancito dall'art.2945 secondo comma c.c., secondo cui l'interruzione della prescrizione determinata dalla proposizione della domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, trova infatti deroga soltanto nel caso di estinzione del processo e resta pertanto applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza NON abbia deciso sul merito della domanda, ma si sia limitata a definire eventuali questioni di carattere pregiudiziale, purchè essa sia stata pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza; l'effetto interruttivo permanente previsto da tale disposizione deve essere pertanto riconosciuto anche alla domanda nuova introdotta, in quanto la relativa dichiarazione di inammissibilità presuppone, in ogni caso, una pronuncia idonea a passare formalmente in giudicato e dunque una difesa attiva della controparte, la quale resta compiutamente edotta della volontà dell'attore di esercitare il proprio diritto" (Conf. Cass. 13603/21 e Cass. 21008/22). Qualora come nel caso di specie invece, venga proposta una domanda nei confronti del soggetto sbagliato dal punto di vista della sua legittimazione ad processum, detta domanda, inammissibile, in assenza di atti interruttivi nei confronti del vero legittimato, non può essere riproposta in un altro giudizio ed impedisce dunque all'attore, di riproporre la stessa domanda nei confronti del soggetto effettivamente legittimato passivo, anche perché la suddetta sentenza, ha deciso anche sul merito e non solo in rito. Sicchè, l'effetto estensivo dell'interruzione della prescrizione invocato dai convenuti, non trova spazio nel caso in esame. Ne discende, dunque, la fondatezza della domanda. Orbene, avendo l'attrice assolto al suo onere probatorio, può liberarsi dall'obbligo di pagamento del compenso in favore del professionista. "Non può essere applicata l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per negare il pagamento del compenso all'avvocato che sia incorso in negligenza professionale, se il cliente non dimostri che la condotta sia stata causativa del danno subìto non potendosi avvalere, perché contrario a buona fede, dell'esercizio di poteri di autotutela" (Cass. civ., sez. 6, 12.11.2020, n. 25464) "Il legale non ha diritto all'onorario quando la sua negligenza, secondo un criterio probabilistico, abbia impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile" (Cass. n. 3830/2022) Dunque, riguardo alla domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, sussistono i presupposti affinchè la Sig.ra Ba. possa sottrarsi al pagamento dei compensi, in ragione della dedotta responsabilità professionale. La domanda riconvenzionale proposta dai convenuti deve pertanto essere rigettata. Deve essere rigettata parimenti, ogni eccezione di nullità della chiamata in causa del terzo, in quanto l'atto contiene gli elementi essenziali per predisporre una difesa, tanto che la compagnia assicurativa si è difesa punto per punto anche in ordine alle contestazioni mosse dall'attrice agli assicurati. Quanto alla difesa svolta nel merito dalla compagnia di assicurazione, deve ritenersi infondata l'eccepita inoperatività della polizza, in quanto basata sul presupposto che in assenza di una denuncia o di una diffida da parte del cliente, pervenuta solo in data 18.6.2018, ogni qualvolta vi sia l'esito sfavorevole del giudizio, l'assicurato dovrebbe prevedere un'eventuale futura azione di responsabilità, anche in assenza di consapevolezza di valide ragioni e dichiarare tali sue supposizioni in sede di stipula della polizza. E' incontestabile che la diffida sia pervenuta ai convenuti solo successivamente alla stipula della polizza, datata 1.6.2018, sicchè la domanda di manleva deve essere accolta, dovendo gli assicurati in base al n.4 delle condizioni della polizza pag. 2, dichiarare l'esistenza di denunce, domande di risarcimento o di illeciti di cui avessero consapevolezza, ma non certo di ipotesi, supposizioni, previsioni future o atti di autocritica. D'altra parte, non si può sostenere che gli assicurati fossero consapevoli del danno procurato alla cliente e della sicura richiesta di risarcimento del danno, già sulla base della sola CTU espletata nel giudizio civile di primo grado. Non è infatti un dato certo ed incontrovertibile, che il Giudice si attenga sempre e pedissequamente agi esiti della CTU. Non avendo poi la compagnia precisato in alcun modo nella comparsa di costituzione, né nella prima memoria istruttoria, i limiti del massimale o della franchigia, non potrà che farsi un rinvio generico al contratto, essendo suo onere precisare i limiti della polizza o fare precisi rinvii e clausole o condizioni di contratto sul punto. Con riferimento al quantum debeatur, essendo stato il danno ormai cristallizzato nella CTU posta a base della sentenza passata in giudicato, nessun'altra valutazione può essere fatta in questa sede o contestazione in ordine a tale valutazione medico-legale. Dalla reazione suddetta, risulta che l'attrice ha subito una ITP di 20 giorni, una ITP al 50% di 20 giorni ed un danno biologico permanente del 30%, comprensivo sia della perdita dell'utero e della capacità di procreare, sia del disturbo di ansia conseguente (di cui non è stata data prova alcuna che sia ancora sussistente), con esclusione della perdita della capacità lavorativa. Pertanto, considerata l'età dell'attrice al momento del fatto (28.7.1996), ossia 33 anni, della percentuale di invalidità del 30%, applicando le Tabelle de Tribunale di Roma in vigore al 2023, deve liquidarsi a titolo di danno biologico permanente la somma di Euro 146.197,71. Quanto alla ITT di giorni 20 va liquidata la somma di Euro 2.561,40 (pari ad Euro 128,07 X 20 giorni), mentre per la ITP al 50% la somma di Euro 1.280,60 (pari ad Euro 64,03 X 20). Complessivamente dunque all'attrice deve essere liquidato a titolo di danno biologico, la somma di Euro 150.039,71. Ebbene, la somma di Euro 150.039,71 è stata valutata all'attualità. Pertanto, detta somma va devalutata al momento del fatto (28.7.1996) e via via rivalutata ad anno per anno secondo gli indici Istat, dal dì del fatto alla sentenza. La giurisprudenza infatti ha ritenuto applicabile anche al debito di valore derivante da inadempimento contrattuale, i medesimi criteri di rivalutazione applicabili al risarcimento del danno da fatto illecito. Poiché se il mandato conferito ai convenuti fosse stato adempiuto correttamente, l'attrice avrebbe avuto il risarcimento del danno a far data dall'inadempimento contrattuale per colpa medica, il danno dalla stessa subito è pari al medesimo risarcimento da colpa medica che si sarebbe vista riconoscere in assenza dell'inadempimento dei convenuti, a decorrere dalla data dell'intervento. Sulla suddetta somma via via rivalutata, vanno computati poi gli interessi "compensativi", volti a compensare il ritardo con cui il danneggiato riceve il risarcimento, dalla data dell'inadempimento (intervento) alla sentenza. Da questo momento invece il debito di valore si converte in debito di valuta, pertanto dalla sentenza al saldo, sulla somma come sopra liquidata, vanno computati gli interessi nella misura legale. Infatti, va osservato, che i danni sono stati liquidati all'attualità ed invece va effettuata la liquidazione all'epoca dell'inadempimento. Quanto invece agli interessi, si rileva che "il danno subito per la mancata corresponsione dell'equivalente pecuniario del bene danneggiato può essere liquidato in via equitativa, attraverso il ricorso agli interessi, non necessariamente determinati in misura corrispondente al saggio legale, da calcolarsi sulla somma corrispondente al valore del bene al momento dell'illecito via via rivalutata ". In pratica "qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento cioè, al valore del bene perduto all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell'illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso ) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio" (Cass. Sez. Unite 1712/95). Questo Giudice ritiene equo adottare, come risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute, quello degli interessi "compensativi" nella misura del 2,5%, tenuto conto del graduale mutamento del potere di acquisto della moneta e dell'andamento medio dei tassi di impiego del denaro. Nulla invece deve essere liquidato, come voce a sé stante, per il danno morale, esistenziale o relazionale, in quanto secondo il recente insegnamento della Corte di Cassazione di cui alla sentenza n. 901/18, tale voce di danno, pur costituendo attualmente una categoria autonoma rispetto a quella del danno biologico, va intesa come "personalizzazione" del danno, solo quando il danno abbia cagionato conseguenze significative e ostative nelle condizioni di vita future del danneggiato. Qualificati entrambi come danni di natura non patrimoniale, il danno biologico è da ricondursi ad una violazione dei diritti costituzionalmente tutelati (diritto alla salute ex art. 32 Cost.), mentre il danno morale o relazionale è da intendersi come un autonomo "danno esistenziale", consistente, di converso, proprio nel vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico relazionali della vita della persona conseguenti alla lesione della salute; quello stesso danno "relazionale" è predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati. Pertanto, esso va quantizzato, "in un aumento percentuale" del danno biologico, solo quando sia dovutamente provato e dimostrato. Secondo un orientamento giurisprudenziale ancor più recente, inoltre, il danno relazionale o morale, inteso come sofferenza, si verifica solo quando le conseguenze di un danno alla salute, si configurino come "peculiari ed eccezionali", rispetto ad altri soggetti della stessa età, i quali abbiano goduto di conseguenze ordinarie e non straordinarie da quel tipo di menomazione: in applicazione di tali princìpi, questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali", tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. 7513/2018). Pertanto, non essendo state né allegate, né provate, conseguenze straordinarie alla menomazione subita dalla sig. Ba., ed essendo tali voci di danno non straordinarie già ricomprese nei valori tabellari, non dovrà essere effettuata alcuna "personalizzazione del danno biologico", in funzione di un danno morale (sofferenza) o relazionale subito. Invero, non avendo l'attrice né dedotto, né provato, di aver subito una sofferenza eccezionale o diversa da quella già contemplata nei valori tabellari corrispondenti all'invalidità riportata, quantificare una ulteriore voce di danno morale, costituirebbe una ingiusta duplicazione. I convenuti sono dunque tenuti in solido al risarcimento in favore dell'attrice della somma di Euro 150.039,71 devalutata al 28.7.1996 e via via rivalutata come sopra, oltre interessi compensativi e legali come sopra specificato. Dal pagamento di tale somma, i convenuti devono essere manlevati dalla Hc. PLC, nei limiti del massimale e della franchigia di cui alla polizza, così come devono essere manlevati ai sensi dell'art.1917 comma 3 c.c., dalle spese legali liquidate nel presente giudizio. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successivi aggiornamenti, scaglione 52.000,00-260.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Roma, XIII sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ba.Ba. nei confronti degli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., sulla domanda riconvenzionale proposta da questi ultimi nei confronti dell'attrice e sulla domanda di manleva proposta da costoro nei confronti di Hc. PLC, così provvede: 1) Accoglie la domanda attorea e per l'effetto condanna gli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., in solido tra loro, al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 150.039,71 devalutata al 28.7.1996 e via via rivalutata, anno per anno, secondo gli Indici Istat, dalla suddetta data alla sentenza; sulla somma via via rivalutata anno per anno, vanno computati gli interessi compensativi nella misura del 2.5 % dal 28.7.1996 alla sentenza e sulla somma così liquidata vanno computati gli interessi legali, dalla sentenza al saldo; 2) Rigetta la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti nei confronti dell'attrice; 3) Condanna gli avvocati To.Fe. e Sa.Ma., in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite sostenute dall'attrice, che si liquidano in Euro 600,00 per esborsi ed Euro 13.430,00 per compensi di giudizio, oltre iva, cpa e rimborso spese generali nella misura del 15%; 4) Condanna la Hc. PLC a manlevare i convenuti dal pagamento delle somme che sono tenuti a versare in virtù della presente sentenza, nei limiti del massimale e della franchigia cui alla polizza. Così deciso in Roma il 2 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Roma Sezione XIII Civile il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, in persona del giudice Alberto Cisterna, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 15198 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2021 tra Pa.Il. (C.F. (...)), rappresentata e difesa, in forza di procura alle liti posta in calce all'atto di citazione, congiuntamente e disgiuntamente fra loro, dall'avv. An.Ga. (C.F. (...)) e dall'avv. Sa.De. (C.F. (...)), - attrice- e Ma.Em. (C.F. (...)) e Sp.An. (C.F. (...)), rappresentati e difesi, in forza di procura alle liti posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Gi.Ac. (C.F. (...)), - convenuti - nonché Ge. Spa (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura generali alle liti per atto a rogito notar G.B.D. (rep. n. (...) - racc. n. (...)), dall'avv. Pa.Ge. (C.F. (...)), - terza chiamata in garanzia - oggetto: responsabilità professionale dell'avvocato. FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione, regolarmente notificato, la sig.ra Pa.Il. conveniva in giudizio gli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. al fine di farne accertare e dichiarare la responsabilità professionale e, per l'effetto, al fine di fare condannare i professionisti convenuti al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti e subendi e consistenti: a) nell'onorario complessivamente corrisposto ai convenuti (pari a Euro 10.000,00); b) nelle somme versate ai legali di Ce. Srl a seguito di sottoscrizione di accordo transattivo (pari a Euro 10.000,00); b) nelle ulteriori somme (a titolo di danno futuro) che la parte attrice sarà tenuta a versare in favore di Gr. in forza della sentenza n. 7059/2020 pronunciata dal Tribunale di Roma (pari a Euro 17.250,00, di cui Euro 6.880,00 liquidate a titolo di spese legali ed Euro 6.880,00 liquidate ex art. 96 c.p.c.); c) nel danno biologico, morale ed esistenziale, costituito dai patemi e dalle sofferenze sofferti dalla sig.ra Ma. a seguito della vicenda occorsa e incidenti sulla sua vita di relazione (ammontante a Euro 10.000,00). 2. A fondamento della domanda l'attrice deduceva: che, nell'anno 2019, si era rivolta al "telefono rosa" per una problematica riguardante il rapporto di lavoro intercorso con la O. Srl (poi divenuta Ce. Srl) e con il Gr.; che gli operatori del "telefono rosa" avevano indirizzato l'attrice presso lo studio dell'avv. M.; che la sig.ra Ma. aveva consegnato, quindi, all'avv. Ma. tutta la documentazione riguardante il giudizio svoltosi (prima dinnanzi il Tribunale di Roma - sezione lavoro - e successivamente dinnanzi la Corte d'appello di Roma) tra la medesima, Ce. Srl (sua diretta datrice di lavoro) e il Gr., che si era concluso con la sentenza che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di primo grado (ad eccezione del capo riguardante la determinazione delle spese processuali a carico della soccombente); che la sig.ra Ma. aveva agito al fine di ottenere una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro alle dipendenze (dirette) del Gr., per la ricostruzione della propria posizione lavorativa sulla base di un diverso e più elevato livello e per l'accertamento del diritto al risarcimento dei danni subiti a fronte di una lunga serie di vicende patite nell'ambiente lavorativo; che, con la sentenza n. 4049/2014, il Tribunale di Roma - sezione lavoro - aveva rigettato integralmente tutte le domande svolte dalla sig.ra Ma. nel giudizio R.G. 42845/2011 (in cui era stata rappresentata dagli avv.ti O. e G.C.) e aveva condannato la medesima al pagamento delle spese di lite (liquidate nella misura complessiva di Euro 14.669,00 oltre oneri di legge in favore di ciascuna parte resistente); che, successivamente, con la sentenza n. 318/2017, la Corte di appello di Roma - Sezione Lavoro - aveva rigettato il gravame proposto dalla sig.ra Ma. (giudizio R.G. 4591/2014, in cui l'attrice era stata rappresentata dell' Avv. A.B.) avverso la sentenza di primo grado, riformando solo il capo della sentenza riferito alle spese di giudizio (rideterminate per il primo grado in Euro 2.000,00 oltre accessori per ciascuna parte resistente) e aveva condannato la medesima alle spese del gravame liquidate in Euro 1.000,00 per ciascuna parte resistente oltre accessori e oneri di legge; che, inoltre, l'attrice aveva consegnato all'avv. Ma. l'atto di querela sporto dalla medesima (in data 04/12/2013) contro alcuni dei testimoni del giudizio di primo grado (R.G. 42845/2011) per il reato di falsa testimonianza e la relativa richiesta di archiviazione della Procura; che sia con la sentenza n. 4049/2014 pronunciata dal Tribunale di Roma che con quella della Corte di appello di Roma n. 318/2017 erano stati categoricamente esclusi gli stessi presupposti in fatto dell'azione svolta dall'attrice e, quindi, erano state disattese le domande di riconoscimento di un rapporto lavorativo subordinato con il Gr. e del superiore e diverso inquadramento contrattuale, oltre che la domanda di accertamento e risarcimento del danno (stante la mancata prova di condizioni di lavoro particolarmente gravoso e di episodi che potessero definirsi vessatori e, quindi, del nesso causale tra i danni lamentati dall'attrice e il comportamento del datore di lavoro); che la sig.ra Ma. aveva richiesto, quindi, all'avv. Ma. se fosse possibile, da un lato, ottenere una nuova e diversa valutazione da parte della magistratura della questione civilistica e, dall'altro, se fosse possibile procedere nuovamente in sede penale sia nei confronti dei testimoni sentiti nel giudizio R.G. 42845/2011 e sia per il mobbing subito; che l'avv. Ma., esaminata la documentazione, aveva prospettato alla sig.ra Ma. la possibilità di agire tanto in sede civile (mediante introduzione di un nuovo giudizio del lavoro) tanto in sede penale (presentando una nuova denuncia querela), oltre che la possibilità di adire la Corte di giustizia al fine di vedere "annullate" le sentenze sfavorevoli di cui si è detto; che, alla luce delle prospettata possibilità di ottenere giustizia, la sig.ra Ma. aveva deciso di conferire incarico all'avv. Ma. per la sua rappresentanza nel nuovo giudizio civile, per la redazione e presentazione della denuncia querela, oltre che per la proposizione del ricorso alla Corte di giustizia, concordando con il professionista un onorario complessivo pari a Euro 10.000,00 (di cui Euro 5.000,00 a titolo di acconto ed Euro 5.000,00 da versare in n. 10 rate mensili); che la sig.ra Ma. aveva provveduto a saldare i compensi pattuiti; che, in data 13/11/2019, gli avv.ti Ma. e R. avevano depositato, quindi, presso il Tribunale di Roma - sezione Lavoro - il ricorso ex art. 414 c.p.c., contenente le seguenti conclusioni "... accertate le illegittimità delle condotte tenute dalla Società O. Srl (poi divenuta Ce. Srl) e dal Gr. Srl per cui la ricorrente è stata fatta oggetto Straining, accertati i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla stessa e il nesso di causalità tra le suddette condotte e i danni dedotti, accogliere la domanda attrice e per l'effetto condannare le parti convenute al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale...."; che, inoltre, in data 31/10/2019, gli avv.ti Ma. e R., avevano redatto e depositato formale denuncia querela contro Ce. Srl e il Gr. per i reati di violenza privata, minacce, atti persecutori, diffamazione, lesioni, maltrattamenti in famiglia, estorsione e appropriazione indebita; che, successivamente, nel giudizio instaurato dinnanzi al Tribunale civile di Roma (R.G. n. 39387/2020) si erano costituite le resistenti (C. Srl in liquidazione e Gr. Spa) chiedendo, innanzitutto, la pronuncia di inammissibilità delle domande per violazione del principio del "ne bis in idem" e, in subordine, il rigetto della domanda; che, nonostante, l'eccepita inammissibilità della domanda azionata, l'avv. Ma. aveva continuato a rassicurare l'attrice sui sicuri esiti favorevoli del giudizio; che, successivamente, alla prima udienza tenutasi il giorno 05/03/2020 nel giudizio civile (rubricato con il n. R.G. 39387/2020) il giudice B., disattesa ogni richiesta istruttoria, aveva rinviato la causa per la discussione al 30/10/2020; che, anche all'esito della prima udienza, l'avv. Ma. aveva nuovamente rassicurato la sig.ra Ma. sul sicuro positivo esito del giudizio; che, successivamente, la sig.ra Ma., rivoltasi agli odierni difensori, era stata edotta da questi ultimi del certo esito infausto del giudizio civile promosso; che, pertanto, l'attrice si era determinata a revocare l'incarico agli avv.ti Ma. e Sp. per affidarsi agli odierni difensori avv. Gangale e Sandra De Leso, i quali avevano provveduto a costituirsi in giudizio con l'intenzione di "limitare" per quanto possibile i danni; che il tentativo di bonario componimento della lite con le parti resistenti era naufragato a fronte della richiesta da parte di queste ultime (seppure disponibili a rinunziare al danno ex art. 96 c.p.c.) di subordinare il consenso alla contestuale rinuncia da parte della sig.ra Ma. all'ulteriore azione penale esercitata con la querela depositata il 31/10/2019 e al pagamento delle spese legali; che, all'esito dell'udienza di discussione, tenutasi il 31/10/2020, il Tribunale di Roma aveva pronunciato la sentenza n. 7059/2020, con cui - dato atto, preliminarmente, della mancata disponibilità delle parti resistenti alla rinunzia al giudizio e agli atti proposta dalla sig.ra Ma. - aveva statuito "dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la ricorrente ex art. 96 c.p.c. terzo comma al pagamento in favore di ciascuna delle parti convenute, della somma di Euro 6.880,00. Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente, in favore di ciascuna delle parti convenute, in Euro 6.880,00, oltre Iva e Cpa, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari"; che il Tribunale di Roma, quindi, aderendo alle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti, aveva statuito che "...il principio del "ne bis in idem" preclude l'esercizio di una nuova azione sul medesimo oggetto tra le stesse parti, allorquando l'azione prima proposta sia stata definita con sentenza passata in giudicato (v. Cass. n. 20111/2006)...E', comunque, principio generale del nostro ordinamento che ove in relazione alla stessa controversia siano state presentati in tempi diversi due ricorsi contenenti una identica istanza e uno dei due sia stato definito con sentenza, il ricorso esaminato per secondo deve essere dichiarato improcedibile, poiché si applica in tal caso il principio "ne bis in idem", affermato dall'art. 39 cod. proc. civ. e rispondente a irrinunciabili esigenze di ordine pubblico processuale, il quale non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due volte su identica domanda (cfr. Cass. n. 8527/2007)"; che, inoltre, il Tribunale aveva precisato come dalla disamina della sentenza in atti, delle deduzioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e in genere da tutta la documentazione processuale fosse risultato "assolutamente evidente che la sentenza n. 4049/2014 confermata dalla Corte di appello con sentenza n. 318/2017, ormai passata in giudicato, è intervenuta sui medesimi fatti, oggetto del presente giudizio. Prova ne è, in maniera evidente, quanto precisato nelle sentenze già intervenute fra le parti in cui, viene espressamente specificato che non sono risultate provate le condizioni di lavoro particolarmente gravose lamentate dalla ricorrente né gli episodi riferiti ai colleghi. Del resto, la stessa ricorrente, come evidenziato nelle sentenze sopra richiamate, in sede di interrogatorio libero, precisava di non aver subito mobbing da parte dei colleghi di lavoro, ma che si era trattato di un forte stress. In quelle sentenze, poi, era stato precisato che le buste paga in atti avevano evidenziato un numero di ore di lavoro straordinario inferiore al limite di legge"; che, inoltre, il Tribunale di Roma, nel pronunciare la condanna della sig.ra Ma. anche al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 96 comma III c.p.c., aveva ravvisato la sussistenza della "mala fede e/o della colpa grave della soccombente", consistita e individuata esattamente nella "sicura consapevolezza della infondatezza della propria domanda"; che, all'esito della suddetta pronuncia, la sig.ra Ma. aveva ricevuto la notifica, prima, di un atto di precetto (su impulso dell'avv. D.C. nella qualità di difensore antistatario della Ce. Srl) e, successivamente, di un atto di pignoramento immobiliare; che la sig.ra Ma. era riuscita a fermare l'azione esecutiva solo nell'agosto dell'anno 2021, dopo avere sottoscritto con Ce. Srl e i difensori della società un atto transattivo con cui era stato pattuito il versamento della complessiva somma di Euro 10.000,00, a titolo di spese legali dovute all'avv. D.C. e la contestuale rinuncia della Ce. Srl al pagamento della somma di Euro 6.880,00, liquidata in sentenza ex art. 96 c.p.c.; che doveva ritenersi indubbio, pertanto, il mancato ottemperamento da parte degli avv.ti Ma. e R. all'obbligo di diligenza di cui all'art. 1176 comma II c.c., non solo per avere omesso di rappresentare alla propria cliente il più che probabile esito infausto del giudizio, tenuto conto del giudicato formatosi sulle medesime questioni, ma per avere omesso, altresì, di dissuadere la propria assistita dal proseguire l'azione esperita anche a seguito delle eccezioni preliminari di inammissibilità dell'azione per violazione del divieto del "bis in idem" sollevate dalle parti resistenti; che, pertanto, stante la responsabilità professionale degli avvocati convenuti, doveva ritenersi certamente sussistente il diritto della sig.ra Ma. a ottenere il ristoro, da parte dei professionisti, di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti e subendi e consistenti, in particolare, nell'onorario complessivamente corrisposto agli avv.ti Ma. e R. (pari a Euro 10.000,00), nelle somme versate a Ce. Srl a seguito di sottoscrizione della transazione (pari a Euro 10.000,00), nelle ulteriori somme che la parte attrice sarà tenuta a versare in favore del Gr. in forza della sentenza n. 7059/2020 pronunciata dal Tribunale di Roma (pari a Euro 17.250,00, di cui Euro 6.880,00 liquidate a titolo di spese legali e Euro 6.880,00 liquidate ex art. 96 c.p.c.), nonché nel danno morale costituito dai patemi e dalle sofferenze subite e incidenti anche sulla sua vita di relazione. 3. Con comparsa di risposta del 03/06/2021 si costituivano in giudizio gli avv.ti Ma. e Sp. deducendo: che, nel maggio del 2019 la sig.ra Ma. si era rivolta all'avv. Ma. per ricevere un parere in merito ad una causa di lavoro da istaurarsi, rappresentando di avere già incardinato altro giudizio per "mobbing" e di cui aveva consegnato copiosa documentazione; che il professionista aveva spiegato alla parte l'impossibilità di procedere in tal senso considerata la precedente causa civile decisa con un provvedimento passato in giudicato; che, sempre in occasione del primo incontro, l'attrice aveva manifestato anche la volontà di ricorrere avanti alla Corte di giustizia e che, al riguardo, l'avv. Ma. aveva rappresentato alla stessa l'impossibilità di adire la suddetta Corte risultando già decorsi i tempi di proposizione del ricorso; che, inoltre, la sig.ra Ma. si era rivolta, di propria iniziativa, a un consulente di parte, il dott. E., che l'aveva anche seguita nel precedente giudizio, al quale aveva richiesto di redigere una nuova consulenza; che il dott. E. aveva preso contatto con l'avv. Ma. al fine di confrontarsi sull'iniziativa giudiziale della sig.ra P.; che, all'esito del confronto, il dott. E. aveva redatto un nuovo elaborato in cui aveva evidenziato motivazioni e circostanze, oltre che riferimenti giurisprudenziali specifici, dirette a sostenere una nuova azione civile di risarcimento per la comune assistita; che, anche a seguito di disamina della nuova consulenza, l'avv. Ma. aveva rappresentato alla sig.ra Ma. le difficoltà di un nuovo giudizio civile; che, tuttavia, nonostante il tentativo di dissuasione, la sig.ra Ma. aveva confermato la propria volontà di procedere con il nuovo giudizio; che, successivamente, la sig.ra Ma. si era rivolta all'avv. Ma. per la proposizione di una denuncia querela che avesse ad oggetto fatti e le circostanze che avevano caratterizzato il suo rapporto con i datori di lavoro e non, come invece rappresentato dall'attrice, i medesimi fatti già oggetto di altra denuncia penale (poi archiviata), concernente la falsa testimonianza resa nell'ambito del giudizio civile già deciso con sentenza passata in giudicato; che, comunque, anche con riguardo alla denuncia querela, l'avv. Ma. aveva rappresentato alla sig.ra Ma. come il notevole lasso di tempo trascorso avrebbe potuto avere favorito il maturare della prescrizione ma che, ciò nonostante, la sig.ra Ma. si era determinata a conferire incarico al professionista al fine di proseguire con la denunzia; che, in ogni caso, il procedimento penale attivato con la denuncia querela non era ancora concluso, tanto che alcuna richiesta di archiviazione era stata formulata dal PM; che, inoltre, non corrispondeva a verità l'allegazione di parte attrice secondo cui quest'ultima aveva conferito incarico ai professionisti al fine di adire la Corte di giustizia atteso che alcun mandato era stato sottoscritto dall'attrice; che, inoltre, l'avv. Ma. aveva concordato con la sig.ra Ma. l'importo di Euro 10.000,00 (somma rispettosa dei parametri forensi), da versare ratealmente, per l'assistenza e difesa nell'azione civile e per la proposizione della denuncia querela; che, tuttavia, in considerazione del fatto che alcuni bonifici effettuati dalla sig.ra Ma. avevano riportato come causale, tra le altre, anche il ricorso alla Corte di giustizia, l'avv. Ma. al fine di allineare i pagamenti con la documentazione contabile, aveva emesso una fattura inserendo nella descrizione della prestazione anche la dicitura "Corte di Giustizia Europea"; che, infine, del tutto infondata doveva ritenersi la domanda di accertamento della responsabilità professionale dei convenuti, anche in considerazione dell'assenza di nesso causale tra i danni lamentati dall'attrice e il preteso inadempimento, atteso che dal verbale di udienza del 05/03/2020 era possibile evincere come il giudice adito, piuttosto che dichiarare l'inammissibilità in via immediata, aveva formulato, invece, una proposta conciliativa di definizione bonaria della lite, proposta cui la sig.ra Ma. aveva scelto di non aderire; che, infine, doveva ritenersi infondata, altresì, l'allegazione attorea secondo cui l'inadempimento dei convenuti sarebbe stato causa di un danno psico fisico dell'attrice anche in considerazione del fatto che le precarie condizioni di salute della sig.ra Ma. erano preesistenti alle vicende oggetto di causa; che, in caso di accoglimento della domanda attorea, i convenuti dovevano ritenersi manlevati dalla propria compagnia assicurativa Ge. spa, con la quale avevano stipulato le polizze per la copertura della responsabilità professionale rispettivamente n. (...) e n. (...) e per cui chiedevano autorizzarsi la chiamata in causa. 4. Con decreto del 04/06/2021 il giudicante autorizzava la chiamata del terzo in garanzia richiesta dai convenuti e differiva la prima udienza al 03/11/2021. 5. Con comparsa di risposta del 30/09/2021 si costituiva in giudizio Ge. Spa deducendo: l'inoperatività della garanzia assicurativa prestata dalle polizze sottoscritte dai convenuti il 20/10/2020 (rispettivamente la n. (...) stipulata dall'avv. Ma. e la n. (...) stipulata dall'avv. R.); che per entrambe le polizze le parti avevano pattuito: a) l'efficacia della garanzia dal giorno immediatamente successivo a quello della sottoscrizione (art. 4 Cga); b) l'operatività della copertura "per le richieste di risarcimento pervenute per la prima volta all'assicurato durante il periodo di efficacia dell'assicurazione indipendentemente dalla data di accadimento della circostanza che provoca le richieste di risarcimento" (art. 11 comma I Cga); che il giorno 13/10/2020 (ovverosia 7 giorni prima della stipula delle due polizze) la sig.ra Ma. aveva inoltrato agli avv.ti Ma. e Sp. una lettera di diffida a provvedere all'immediata restituzione della somma di Euro 10.150,40 dalla stessa corrisposta a titolo di compensi professionali, nonché al risarcimento di tutti i danni dalla stessa subiti e subendi in conseguenza della negligente condotta posta in essere dai professionisti; che gli avv.ti Ma. e Sp., nel compilare e sottoscrivere il "modulo di adesione/questionario per l'assicurazione della RC professionale avvocati", avevano omesso di evidenziare di aver ricevuto solo pochi giorni prima la richiesta risarcitoria da parte della sig.ra P.; che, pertanto, doveva ritenersi evidente come gli avv.ti Ma. e Sp. avessero stipulato le polizze assicurative nella piena consapevolezza delle pretese creditorie della sig.ra Ma. e al solo fine di essere manlevati; che, pertanto, la garanzia assicurativa non doveva ritenersi operante tenuto conto del fatto che il sinistro (nella definizione indicata nella polizza sottoscritta) si era verificato prima della stipula dei due contratti (sia come fatto storico che come richiesta di risarcimento del danno) e che, ciò nonostante, non era stato dichiarato dagli assicurati, i quali avevano perduto, pertanto, il diritto alla garanzia assicurativa, ai sensi dell'art. 1892 c.c.; che, in ogni caso, nelle polizze sottoscritte dai professionisti era stata prevista una franchigia del 5% sull'importo eventualmente liquidato a titolo di risarcimento danni (art. 8 Cga), oltre che l'esclusione dalla copertura assicurativa della domanda di rimborso dei compensi professionali erogati non trattandosi di domanda risarcitoria; che, comunque, del tutto infondata doveva ritenersi la domanda risarcitoria formulata dalla sig.ra Ma. sia in ordine all'an che in ordine al quantum; che, in ogni caso, in caso di accoglimento della domanda attorea, doveva ritenersi escluso il risarcimento in favore della sig.ra Ma. dei danni riconducibili a responsabilità del danneggiato, ex art. 1227 c.c.. 6. All'udienza di prima comparizione del 03/11/2021, le parti si riportavano ai propri scritti difensivi e, concessi i termini di cui all'art. 183 comma VI c.p.c., la causa veniva rinviata per l'ammissione dei mezzi istruttori. All'udienza del 17/02/2022 il giudicante ordinava ai convenuti, ex art. 210 c.p.c., la produzione in giudizio del questionario compilato, sottoscritto e consegnato a Ge. Spa propedeutico alla stipula dei contratti assicurativi per la responsabilità civile, ammetteva l'interrogatorio formale dell'attrice e dei convenuti, nonché la prova testimoniale richiesta dai convenuti. Alle udienze del 25/05/2022 e del 21/09/2022 si tenevano l'interrogatorio formale dell'attrice sig.ra Ma. e dei convenuti sig.ri Ma. e Sp.; all'udienza del 22/03/2023 si teneva presso il Tribunale di Bologna la prova per testi delegata. 7. All'udienza del 13/12/2023 le parti precisavano le conclusioni e il giudicante tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. 8. La domanda risarcitoria proposta dall'attrice sig.ra Ma. risulta parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti di seguito illustrati. 9. Nel presente giudizio, l'attrice sig.ra Ma. ha chiesto l'accertamento della responsabilità professionale dei convenuti avv.ti Ma. e Sp. e, per l'effetto, la condanna dei professionisti al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti e subendi: a) per avere - il solo avv. Ma. - adempiuto all'incarico stragiudiziale di formulare un parere circa l'esperibilità di un'azione civile (avente ad oggetto il rapporto di lavoro intercorso tra la sig.ra Ma. e le società Ce. srl e Gr., su cui si era già svolto un giudizio, deciso con sentenza passata in giudicato) violando l'obbligo di diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma II c.c., avendo il professionista omesso di informare l'odierna attrice del sicuro esito infausto dell'azione; b) per avere entrambi i convenuti avv.ti Ma. e Sp. omesso di dissuadere la sig.ra Ma. dall'instaurare un nuovo giudizio civile dal sicuro esito infausto, tenuto conto dell'evidente violazione del principio del "bis in idem", oltre che per avere omesso di dissuadere l'attrice dal proseguirlo nonostante le eccezioni di inammissibilità dell'azione sollevate in corso di causa dalle parti resistenti; c) per avere entrambi i convenuti avv.ti Ma. e Sp. omesso di informare la sig.ra Ma. dell'inutilità della proposizione di una querela nei confronti dei medesimi destinatari e per i medesimi fatti per cui era stata già stata esercitata l'azione penale (conclusasi con un provvedimento di archiviazione) anche in considerazione dell'evidente intervenuta prescrizione degli eventuali reati; d) per avere entrambi i convenuti avv.ti Ma. e Sp. omesso di predisporre un ricorso alla Corte di giustizia nonostante l'attrice avesse conferito incarico in tal senso (al fine di vedere tutelati i propri diritti in ordine al rapporto di lavoro intercorso le società Ce. srl e Gr.). 10. Premesso quanto sopra, occorre evidenziare, innanzitutto, come le obbligazioni inerenti all'esercizio di attività professionale siano, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo; pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176 comma II c.c., che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione; inoltre, "nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello "jus postulandi", stante la relativa inidoneità ad obiettivamente e univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio" (cfr. Cass. n. 34993/2021; Cass. n. 19520/2019); e ancora, "L'avvocato, i cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato, è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente. Ne consegue che il professionista, ove una soluzione giuridica, pure opinabile ed eventualmente non condivisa e convintamente ritenuta ingiusta ed errata dal medesimo, sia stata tuttavia riaffermata dalla giurisprudenza consolidata, non è esentato dal tenerne conto per porre in essere una linea difensiva volta a scongiurare le conseguenze, sfavorevoli per il proprio assistito, derivanti dalla prevedibile applicazione dell'orientamento ermeneutico da cui pur dissente" (cfr. Cass. n. 21953/2023); occorre considerare, inoltre, che "avuto riguardo all'attività professionale dell'avvocato, nel caso in cui questi accetti l'incarico di svolgere un'attività stragiudiziale consistente nella formulazione di un parere in ordine all'utile esperibilità di un'azione giudiziale, la prestazione oggetto del contratto non costituisce un'obbligazione di mezzi, in quanto egli si obbliga ad offrire tutti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di adottare una consapevole decisione, a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi e dei vantaggi insiti nella proposizione dell'azione. Pertanto, in applicazione del parametro della diligenza professionale (art. 1176, secondo comma, c.c.), sussiste la responsabilità dell'avvocato che, nell'adempiere siffatta obbligazione, abbia omesso di prospettare al cliente tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l'utile esperimento dell'azione, rinvenendo fondamento detta responsabilità anche nella colpa lieve, qualora la mancata prospettazione di tali questioni sia stata frutto dell'ignoranza di istituti giuridici elementari e fondamentali, ovvero di incuria ed imperizia insuscettibili di giustificazione" e che "In tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata dal giudice di merito "ex ante", in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite; pertanto, in relazione ad una causa che presenti un'elevata probabilità di soccombenza per il proprio cliente, il difensore che abbia accettato l'incarico non può successivamente disinteressarsene del tutto, incorrendo in responsabilità professionale ove esponga il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della controparte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento a una causa di opposizione a decreto ingiuntivo dal sicuro esito sfavorevole, aveva escluso la responsabilità professionale dell'avvocato il quale, pur avendo sconsigliato il cliente di svolgere l'opposizione, aveva accettato l'incarico in considerazione della sua impossibilità di onorare nell'immediato il debito, adoperandosi successivamente nel corso della lite per addivenire a una transazione, tuttavia non accettata dal cliente)" (cfr. Cass. n. 30169/2018); ulteriormente, la Corte di legittimità ha evidenziato che "in tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito "ex ante" e non "ex post", sulla base dell'esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente" (cfr. Cass. n. 11906/2016); quanto, poi, alle conseguenze dannose subite dal cliente per la violazione da parte del professionista dell'obbligo di eseguire l'incarico secondo la diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma II c.p.c., la Corte di legittimità ha enunciato il principio secondo cui "Sussiste la responsabilità aggravata del ricorrente, ex art. 96, comma 3, c.p.c., per la redazione da parte del suo difensore di un ricorso per cassazione contenente motivi del tutto generici ed indeterminati, in violazione dell'art. 366 c.p.c., rispondendo il cliente delle condotte del proprio avvocato, ex art. 2049 c.c., ove questi agisca senza la diligenza esigibile in relazione ad una prestazione professionale particolarmente qualificata, quale è quella dell'avvocato cassazionista. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione, che si limitava a ripetere l'atto di citazione in appello, a sua volta riproducente la comparsa conclusionale del primo grado)" (cfr. Cass. n. 15333/2020). 11. Occorre ulteriormente evidenziare che, in base alla regola di riparto dell'onere della prova in materia contrattuale di cui all'art. 1218 c.c., incombe sul cliente l'onere di dare la prova del conferimento dell'incarico, mentre incombe sul professionista l'onere di provare l'adempimento delle prestazioni con la diligenza richiesta dall'art. 1176 comma II c.c., ovvero di provare di non avere potuto adempiere per ragioni al medesimo professionista non imputabili. 12. Quanto al merito della domanda risarcitoria proposta nel presente giudizio, occorre innanzitutto rilevare come sia incontestata tra le parti (e, comunque, pienamente provata dalla documentazione prodotta in atti): a) l'esistenza dell'incarico professionale stragiudiziale conferito all'avv. Ma. avente ad oggetto la formulazione di un parere legale circa l'utile e possibile (in procedura e in diritto) esperibilità di un'azione avente ad oggetto il rapporto di lavoro intercorso tra la sig.ra Ma. e le società Ce. Srl e Gr. (vedi anche p. 3 della comparsa di risposta di parte convenuta); b) l'esistenza dell'incarico professionale per la rappresentanza e difesa della sig.ra Ma. nel "nuovo" giudizio civile instaurato nei confronti di Ce. Srl e Gr. (vedi, fra gli altri, il ricorso ex art. 414 c.p.c., all. 13 del fascicolo di parte attrice); c) l'esistenza dell'incarico professionale per la redazione della denuncia querela da parte della sig.ra Ma. nei confronti di Ce. Srl in persona del legale rappresentante dott. A.S. e del Gr. in persona del legale rappresentante (vedi atto di denuncia querela del 31/10/2019 e atto di nomina del difensore, all. n. 26 del fascicolo di parte attrice). 13. Non risulta provato, invece, il conferimento dell'incarico da parte della sig.ra Ma. ai professionisti convenuti per la redazione del ricorso alla Corte di giustizia, non risultando certamente sufficiente al suddetto fine la mera menzione del ricorso nella documentazione contabile prodotta agli atti (nello specifico, bonifici di parte attrice e fatture di parte convenuta). In ogni caso, parte attrice non ha neppure allegato e provato il pregiudizio ovvero il danno che avrebbe subito a causa del preteso inadempimento professionale e, tantomeno, ha provato che, in mancanza dell'inadempimento professionale, avrebbe ottenuto secondo il principio del "più probabile che non" il bene della vita ambito. 14. A fronte della (pacifica) esistenza del mandato professionale con riguardo all'azione civile e a quella penale e attesa la natura contrattuale della responsabilità dell'avvocato ex art. 1218 c.c. avrebbe dovuto costituire, quindi, preciso onere probatorio dei convenuti quello di dimostrare di avere eseguito diligentemente la propria prestazione professionale e, cioè, per quel che rileva nel presente giudizio: a) di avere - l'avv. Ma. - adempiuto diligentemente all'incarico stragiudiziale, avente ad oggetto la formulazione di un parere circa l'esperibilità di un'azione civile concernente il rapporto di lavoro intercorso tra la sig.ra Ma. e le società Ce. Srl e Gr. e di avere prospettato, quindi, alla cliente tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire - per come si dirà in prosieguo - l'utile esperimento dell'azione; b) di avere gli avv.ti Ma. e Sp. tentato di dissuadere la sig.ra Ma. dal proseguire il giudizio civile R.G. n. 39387/2019 instaurato dinnanzi al Tribunale di Roma - sezione lavoro - (anche al fine di limitare i prevedibili danni derivanti dalla certa soccombenza giudiziale), quantomeno a seguito delle eccezioni di inammissibilità dell'azione sollevate dalle parti resistenti e in considerazione dell'evidente violazione del principio del "ne bis in idem"; c) di avere gli avv.ti Ma. e Sp. assistito la sig.ra Ma. per la redazione della denuncia querela con la diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma II c.c.; 2) ovvero, di non avere potuto compiere i suddetti adempimenti per causa agli stessi non imputabile. 15. Orbene, la prova dell'adempimento degli oneri incombenti sui professionisti non può dirsi raggiunta; e invero, la disamina della documentazione prodotta in atti, oltre che delle dichiarazioni rese dall'unico teste e dalle parti con l'interrogatorio formale, non consente di ritenere assolto da parte dei professionisti l'onere di diligenza qualificata. 16. In particolare, con riguardo all'attività stragiudiziale conferita all'avv. Ma. avente ad oggetto la formulazione di un parere circa l'utile esperibilità di un'azione civile avente ad oggetto il rapporto di lavoro intercorso tra la sig.ra Ma. e le società Ce. Srl e Gr. (che, come anche confermato dalla giurisprudenza di legittimità, costituisce un'obbligazione di risultato e non di mezzi - vedi fra gli altri Cass. n. 30169/2018), sebbene il professionista abbia allegato nei propri scritti difensivi di avere informato la sig.ra Ma. della "impossibilità di procedere in tal senso considerata la precedente causa civile conclusasi con un provvedimento passato in giudicato" (vedi p. 3 della comparsa di risposta di parte convenuta), tuttavia la suddetta allegazione è risultata del tutto sfornita di prova. Invero, neanche può dirsi che qualche utile apporto alla difesa della parte convenuta sia derivato dall'assunzione, all'udienza del 25/05/2022, dell'interrogatorio formale, richiesto dai professionisti, dell'attrice sig.ra Ma., tenuto conto che quest'ultima ha dichiarato "Il giorno in cui ci siamo incontrati con l'avv. Ma., presso il suo studio, siamo rimasti a parlare per almeno un'ora. In quel frangente, l'avv. Ma. ha anche guardato la documentazione che gli avevo portato. L'avv. Ma. non mi ha parlato di difficoltà che le azioni da intraprendere avrebbero comportato. Non mi ricordo le parole utilizzate dall'avv. Ma. per esprimere la fondatezza della causa, anzi ricordo che mi disse che c'era una falsa testimonianza nella causa del 2011" (vedi verbale di udienza del 25/05/2022). 17. Del resto, l'esito infausto (ovvero, quantomeno, privo di utilità) dell'instaurando giudizio civile (stante l'evidente violazione del principio del "ne bis in idem") doveva ritenersi certo anche alla luce del costante orientamento giurisprudenziale che ha più volte chiarito come, al di là della tassonomia e della qualificazione come "mobbing" e "straining", ciò che conta è che il fatto commesso (anche isolatamente) sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore (danno alla salute); ne consegue, pertanto, che i fatti oggetto di indagine, ai fini della riconoscibilità di una tutela in favore del lavoratore, sono i medesimi tanto nel caso di "mobbing" quanto nel caso di "straining", ovverosia i fatti atti a provare la ricorrenza di un'azione vessatoria, persecutoria ovvero discriminatoria a danno del lavoratore (constando, invece, la differenza tra le due fattispecie nelle modalità in cui l'azione vessatoria è perpetrata, che nel solo caso di "mobbing" è continua). Invero, secondo la Corte di legittimità, "La nozione di mobbing - come quella di straining - è una nozione di tipo medico-legale, che non ha autonoma rilevanza ai fini giuridici e serve soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro; pertanto, la reiterazione, l'intensità del dolo o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono eventualmente incidere sul quantum del risarcimento, ma non sull'an dello stesso, che prescinde dal dolo o dalla colpa datoriale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento da mobbing per l'assenza di comportamenti intenzionalmente vessatori, senza verificare se le condotte datoriali avevano generato un ambiente logorante e "stressogeno" per il dipendente)" (cfr. Cass. n. 4664/2024); e, inoltre, "Ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" cd. "straining" e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (cfr. Cass. n. 3291/2016); e, ancora, "al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica)... È invero è noto l'orientamento costante di codesta Suprema Corte (sent. n. 18164/2018, n. 3977/2018, Cass. n. 7844/2018, 12164/2018, 12437/2018, 4222/2016), secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all'art. 2087 c.c., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n. 16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 33428)...Il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il "petitum" e la "causa petendi"" (cfr. Cass. n. 29101/2023). 18. Dalla disamina della documentazione versata in atti è possibile immediatamente desumere come entrambi i giudizi instaurati dalla sig.ra Ma. - rispettivamente il giudizio R.G. n. 42845/2011 (con il patrocinio degli avv.ti O. e G.C.) e il giudizio R.G. 4591/2014 (con il patrocinio dell'avv. A.B.), da un lato, e il giudizio R.G. n. 39387/2019 (con il patrocinio degli avv.ti Ma. e Sp.), dall'altro, - hanno avuto ad oggetto l'accertamento dei medesimi fatti, ovverosia la sussistenza o meno di una situazione lavorativa particolarmente gravosa, conflittuale e vessatoria, lesiva della salute della lavoratrice (cfr. all. ti 1 - 6 e all.13 e all. 24). Ne consegue che, pertanto, la ricorrenza del giudicato formatosi sui medesimi fatti (condizioni di lavoro, rapporti del lavoratore con i propri datori e con i colleghi) con la pronuncia della sentenza n. 4049/2014 (cfr. all. 3), confermata dalla successiva pronuncia della Corte di appello di Roma n. 318/2017 (cfr. all. 6) - pronunce che avevano escluso la ricorrenza di "condizioni di lavoro particolarmente gravose" (cfr. p. 19 all. 3) e di qualsivoglia "episodio che possa definirsi vessatorio" e, conseguentemente, avevano escluso "che i danni lamentati" dalla ricorrente potessero ricondursi "causalmente al comportamento del datore di lavoro" (cfr. all. 3 p. 24) - aveva certamente precluso la possibilità di instaurare un nuovo giudizio civile (da qui il prevedibile esito infausto del giudizio instaurato con il ricorso redatto dai convenuti avv.ti Ma. e Sp.). 19. Ulteriormente, con riguardo all'onere probatorio incombente nel presente giudizio sui convenuti avv.ti Ma. e Sp., occorre evidenziare come i professionisti non abbiano provato di avere, quantomeno a seguito della costituzione nel giudizio R.G. n. 39387/2019 delle parti resistenti e a fronte delle eccezioni sollevate di inammissibilità dell'azione esperita dalla sig.ra Ma., di avere informato la sig.ra Ma. del sicuro esito infausto dell'azione esperita e, quindi, di averla dissuasa dal proseguire l'azione esercitata. Invero, sebbene i convenuti abbiano allegato che "È pacifico che tale obbligo di diligenza, a cui è tenuto il professionista stante il combinato disposto di cui agli artt. 1176, 2 comma, e 2236 c.c., impone all'avvocato anche il dovere di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente. In tale contesto il legale, infatti, è tenuto a rappresentare al proprio cliente tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, sconsigliandolo eventualmente dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. Parte attrice assume che tale onere non sia stato assolto ma nell'affermarlo non dice il vero perché l'avv. Ma. tale onere lo ha assolto perché le problematiche sottese all'azione civile vennero francamente esposte....Verosimilmente il tentativo di dissuasione si è scontrato con la tenacia e determinazione della Sig.ra Ma., vale a dire quella stessa determinazione che portò la Sig.ra Ma. a non considerare minimamente la proposta transattiva formulata dal Giudice del Lavoro nella udienza del 5.3.2020", tuttavia gli stessi professionisti hanno omesso di fornire qualsivoglia prova diretta a dimostrare di avere diligentemente consigliato e dissuaso la sig.ra Ma. dal proseguire l'azione. Invero, non è rinvenibile agli atti del giudizio alcun prova e né, tantomeno, alcuna allegazione da parte dell'avv. Sp., presente alla prima udienza del giudizio R.G. n. 39387/2019 (tenutasi il 05/03/2020) di avere conferito con la propria assistita e di averle consigliato di accogliere la proposta conciliativa formulata dal giudice. Inoltre, ancora una volta alcun utile apporto alla difesa della parte convenuta è derivato dall'assunzione, all'udienza del 25/05/2022, dell'interrogatorio formale dell'attrice sig.ra Ma. e dall'assunzione della prova delegata, all'udienza del 22/03/2023 tenutasi dinnanzi al Tribunale di Bologna, del teste dott. H.H.; invero, la sig.ra Ma. ha dichiarato "È vero che il Giudice, in prima udienza, fece una proposta di componimento bonario, in base alla quale avrei dovuto accettare, per rinunciare alla causa, 5.000 Euro, ma non è vero che l'avv. S. o l'avv. Ma. mi sollecitarono ad accettare la proposta. Preciso che avevo già speso 10.000 Euro per la causa e, quindi, ascoltata la proposta, sono uscita dall'aula; anzi, mi ricordo che, prima di uscire, ho sentito l'avv. Ma. che diceva al Giudice che lui credeva nella causa perché negli atti della causa del 2011 c'era una falsa testimonianza di cui aveva le prove" (vedi verbale di udienza del 25/05/2022); invece, il teste dott. H. nulla ha ricordato in merito alla circostanza secondo cui l'avv. Ma. avesse informato la propria cliente sig.ra Ma. delle difficoltà "che avrebbero incontrato per una soluzione favorevole del contenzioso civile" (vedi ordinanza ammissione prove del 17/02/2022 e verbale di udienza del 22/03/2023). 20. Quanto alla denuncia querela redatta dagli avv.ti Ma. e Sp. e depositata presso la Procura della Repubblica di Roma in data 31/10/2019 occorre evidenziare quanto segue. Premesso che, diversamente da quanto rappresentato da parte attrice, la denuncia querela depositata in data 31/10/2019 (vedi all. 26 fascicolo di parte attrice) riguarda soggetti, fatti e ipotesi di reato differenti rispetto alla denuncia querela depositata dall'attrice in data 14/12/2013 (vedi all. 7 e 8); in ogni caso, prescindendo da qualsivoglia indagine circa la fondatezza o meno delle allegazioni attoree (secondo cui i termini per proporre la querela per le ipotesi di reato individuate dovevano ritenersi ampiamente scaduti, così come dovevano ritenersi ampiamente prescritte le ipotesi di reato individuate), occorre evidenziare che, comunque, parte attrice non ha né allegato e né ha, tantomeno, provato il danno ovvero il pregiudizio che avrebbe subito a causa dell'inadempimento professionale dei convenuti. 21. Una volta accertata la condotta omissiva e negligente tenuta dagli avv.ti Ma. e Sp., si deve però osservare che, secondo l'orientamento consolidato della Corte di cassazione, "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva e il risultato derivatone" (cfr. Cass. n. 15032/2021; Cass. n. 4742/2019). 22. Orbene, devono certamente ritenersi conseguenza dell'inadempimento professionale dei convenuti i danni patrimoniali consistenti nelle somme riconosciute dal Tribunale di Roma - sezione lavoro - con la sentenza n. 7059/2020, pronunciata dal Tribunale civile di Roma nel giudizio R.G. n. 39387/2019 e così precisati: a) a titolo di danno emergente l'importo di Euro 10.000,00, quale importo versato dalla sig.ra Ma. a seguito di sottoscrizione dell'accordo transattivo (vedi all. 43 - atto transattivo - e all. 44 - fattura avv. D.C. quietanzata - del fascicolo di parte attrice) con Ce. Srl e con i difensori della società (accordo transattivo con cui la Ce. Srl ha rinunciato al diritto di esigere il pagamento dell'importo Euro 6.880,00 liquidato in suo favore ex art. 96 c.p.c.); il suddetto importo pari a Euro 10.000,00 - tenuto conto del tempo variabile delle corresponsioni - può essere equitativamente rivalutato alla data odierna in Euro 10.500,00; b) a titolo di danno futuro e condizionatamente, quindi, all'effettivo esborso dell'importo in favore del Gr. - per cui l'attrice dovrà essere manlevata, quindi, dai convenuti - l'importo di Euro 16.918,74 (di cui Euro 6.880,00 oltre accessori liquidate a titolo di spese legali e Euro 6.880,00 liquidate ex art. 96 c.p.c.). 23. A tale ultimo riguardo, occorre evidenziare come, infatti, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale il professionista inadempiente sia tenuto al risarcimento dei danni patrimoniali futuri che appaiano, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto, come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati e inequivocabilmente sintomatici della relativa probabilità (quali, appunto, nel caso de quo, gli importi oggetto di pronuncia di condanna a carico della sig.ra Ma. con la sentenza n. 7059/2020 del Tribunale civile di Roma); e, invero, secondo la Corte di legittimità, "la possibilità che, per qualunque remota ragione, le conseguenze pregiudizievoli possano poi non verificarsi e che conseguentemente insorga l'esigenza di un riequilibrio delle posizioni mediante i rimedi che l'ordinamento appresta, non varrebbe a giustificare una soluzione che si risolvesse in un diniego di tutela a favore del soggetto in buona fede, in difetto di quella tutela esposto addirittura al rischio della perdita del bene acquistato" (cfr. Cass. n. 14446/2023). 24. Resta ferma la possibilità per i convenuti avv.ti Ma. e Sp. di adempiere direttamente in favore del Gr. ai sensi dell'art. 1180 c.c.. 25. Quanto alla domanda avanzata da parte attrice di restituzione dell'importo pari a 10.000,00 versato in favore degli avv.ti Ma. e Sp. a titolo di compensi professionali, tenuto conto del consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui "nel contratto d'opera intellettuale, qualora il committente non abbia chiesto la risoluzione per inadempimento, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista mantiene il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela" (Cass. n. 18086/2018; Cass. n. 6886/2014; Cass. n. 29218/2017) e non avendo l'attrice avanzato domanda di risoluzione del contratto, la richiesta attorea deve dichiararsi inammissibile. 26. Per ultimo, non può essere accolta, altresì, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (biologico e morale) avanzata dall'attrice, in quanto: 1) da una parte, non appare individuabile il diritto costituzionale, inviolabile e fondamentale, asseritamente leso dall'inadempimento dei professionisti che potrebbe giustificare il risarcimento del danno morale (invero, come da consolidato orientamento della Cassazione, "non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva, il diritto ad essere felici"; 2) dall'altra perché parte attrice non ha allegato alcun elemento e non ha fornito alcuna prova da cui poter desumere il nesso causale tra l'asserito danno biologico lamentato e l'inadempimento dei convenuti. A tale ultimo riguardo, occorre evidenziare come proprio la documentazione medica prodotta dalla sig.ra Ma. sconfessi la tesi attorea e provi che le sue precarie condizioni di salute fossero preesistenti agli incarichi conferiti ai convenuti; invero, si rileva come dai certificati medici prodotti agli atti possa accertarsi che la sig.ra Ma. sia stata seguita per "vari anni" dall'A.R. per la patologia del "disturbo bipolare in paziente con personalità borderline"(vedi certificato A.R. del 18/06/2020 - all. 30 del fascicolo di parte attrice). 27. In conclusione, alla luce di quanto sopra detto deve, pertanto, ritenersi sussistente la responsabilità professionale degli avv.ti Ma. e Sp., con conseguente obbligo degli stessi a risarcire i danni subiti dalla sig.ra Ma. per come dettagliatamente sopra indicati. 28. Quanto alla domanda di manleva azionata dai convenuti avv.ti Ma. e Sp. essa deve ritenersi infondata e, pertanto, deve essere rigettata per le ragioni di seguito indicate. 29. Risulta dagli atti che la sig.ra Ma., a mezzo dei propri difensori, ha contestato agli avv.ti Ma. e Sp., con lettera inoltrata a mezzo pec in data 13/10/2020, la negligente esecuzione degli incarichi professionali conferiti e ha richiesto ai professionisti la restituzione dei compensi versati oltre che il risarcimento dei danni patiti (vedi all. 5 fascicolo Ge. Spa). Inoltre, risulta dagli atti come entrambe le polizze "per la copertura dei rischi da responsabilità professionale", rispettivamente la n. (...) riferita all'avv. Ma. e la n. (...) riferita all'avv. R., siano state stipulate dai professionisti in data 19/10/2020, con decorrenza dalle ore 24:00 del 21/10/2020; ulteriormente, si rileva come, secondo le condizioni generali di assicurazione pattuite dalle parti,: a) la garanzia abbia effetto dal giorno immediatamente successivo a quello dell'adesione (art. 4 Cga); b) l'assicurazione sia operante "per le richieste di risarcimento pervenute per la prima volta all'assicurato durante il periodo di efficacia dell'assicurazione indipendentemente dalla data di accadimento della circostanza che provoca le richieste di risarcimento e denunciate nei termini previsti per la Convenzione. Qualora il sinistro si realizzi attraverso più atti successivi, esso si considererà avvenuto nel momento in cui è stato posto in essere il primo atto. In caso di più richieste di risarcimento, originate da uno stesso fatto, la data della prima richiesta sarà considerata come data di tutte le richieste fermo quanto previsto dal presente contratto circa la denuncia dei sinistri. A tal fine, più richieste originate da uno stesso fatto sono considerate unico sinistro" (art. 11 comma I Cga) (vedi all. 3 e 4 del fascicolo di Ge. Spa); inoltre, si evidenzia come dai moduli di "adesione/questionario per l'assicurazione della RC professionale avvocati", allegati ai contratti assicurativi sottoscritti il 19/10/2020 dagli avv.ti Ma. e Sp., si evinca che i professionisti abbiano omesso di indicare, sebbene espressamente e chiaramente richiesto in detti moduli, di avere ricevuto in data 13/10/2020 la lettera di diffida formulata dai difensori della sig.ra Ma. (vedi all. 3 e 4 fascicolo di Ge. Spa e vedi anche allegati alla "nota di deposito" di parte convenuta del 26/05/2022). 30. Dunque, il fatto che, da un lato, gli avv.ti Ma. e Sp. abbiano omesso di rendere la dichiarazione richiesta dalla compagnia assicurativa nel "modulo di adesione/questionario" - avente il seguente tenore "il contraente dichiara di non essere a conoscenza di fatti, situazioni, circostanze e atti illeciti che possano dare luogo a richiesta di risarcimento da parte di terzi?" - e che tale omissione debba ritenersi "quantomeno" colposa stante l'indubbia conoscenza da parte dei professionisti della ricorrenza di fatti da cui potesse originare un loro obbligo risarcitorio (in considerazione della ricezione pochi giorni prima della stipula del contratto della lettera di diffida della sig.ra P.) e che, dall'altro, detta dichiarazione debba ritenersi certamente rilevante per la compagnia assicurativa ai fini della valutazione del rischio ai sensi degli artt. 1892, 1893 e 1894 (come indicato, peraltro, nello stesso "modulo"), comporta l'evidente inoperatività delle polizze assicurative. 31. Invero, in caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze dell'assicurato che siano rilevanti ai fini della manifestazione del consenso al contratto da parte dell'assicuratore, questi ha la possibilità di chiedere l'annullamento del contratto se tale reticenza venga scoperta prima che il sinistro si verifichi, oppure di "rifiutare il pagamento dell'indennizzo, anche lasciando in vita il contratto, se la reticenza venga scoperta dopo il sinistro, ovvero prima del sinistro, ma quando quest'ultimo si verifichi entro tre mesi" (cfr. Cass. n. 12831/2014; vedi anche Cass. n. 11905/2020). Nel caso de quo, quindi, atteso che il sinistro si è verificato prima della stipulazione del contratto, la compagnia assicurativa non è obbligata a chiedere l'annullamento del contratto, potendo opporre, in via di eccezione (come accaduto) la non operatività della polizza. 32. Al rigetto della domanda di manleva deve conseguire, secondo il principio della soccombenza, anche la condanna in solido dei convenuti avv.ti Ma. e Sp. al pagamento in favore della terza chiamata G.A. Spa delle spese di lite per la chiamata in garanzia. 33. Quanto alle spese di lite tra l'attrice sig.ra Ma. e i convenuti avv.ti Ma. e Sp., sempre secondo il principio della soccombenza, esse sono poste in solido a carico dei convenuti. 34. Per ultimo le dette spese di lite sono liquidate come da dispositivo, in base ai criteri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato, tenuto conto dello scaglione di riferimento del decisum e non del disputatum (da Euro 26.001,00 a Euro 52.000,00) del numero e dell'importanza delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dall'attrice Pa.Il. nei confronti dei convenuti avv.ti Ma.Em. e Sp.An. e sulla domanda di garanzia proposta dai convenuti nei confronti di Ge. Spa - così provvede: 1) in accoglimento della domanda attorea, accerta e dichiara la responsabilità professionale degli avv.ti Em.Ma. e Sp.An.; 2) condanna, per l'effetto, gli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. al pagamento in favore dell'attrice Pa.Il., in solido fra loro, dell'importo di Euro 10.500,00, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza fino al saldo effettivo; 3) accerta e dichiara il diritto dell'attrice Pa.Il. ad essere manlevata e tenuta indenne dagli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. in solido degli esborsi cui la stessa dovrà fare fronte in favore del Gr. e/o dei propri difensori in forza della sentenza n. 7059/2020, pronunciata dal Tribunale civile di Roma; 4) condanna, per l'effetto, gli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. in solido a manlevare e tenere indenne l'attrice degli importi che la stessa sarà tenuta a versare in favore del Gr. e/o dei propri difensori in forza della sentenza n. 7059/2020, pronunciata dal Tribunale civile di Roma, pari a Euro 10.038,74 per spese di lite e Euro 6.880,00 liquidato ex art. 96 c.p.c.; 5) rigetta per il resto la domanda di parte attrice; 6) dichiara inammissibile la domanda dell'attrice di restituzione dei compensi professionali; 7) rigetta la domanda di garanzia proposta dagli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. nei confronti di Ge. Spa; 8) condanna gli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. in solido al pagamento in favore dell'attrice Pa.Il. delle spese di lite del presente giudizio che liquida nell'importo di Euro 7.616,00 oltre 15% per rimborso spese generali, Iva qualora dovuta e Cpa come per legge e oltre rimborso del contributo unificato; 9) condanna gli avv.ti Em.Ma. e Sp.An. in solido al pagamento in favore della terza chiamata Ge. Spa delle spese di lite del presente giudizio che liquida nell'importo di Euro 7.616,00 oltre 15% per rimborso spese generali, Iva qualora dovuta e Cpa come per legge. Così deciso in Roma il 30 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10211 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De St. e Gi. Mo. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ra. e Ma. Se., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, nei confronti del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio, per la riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sezione staccata di Latina, n. -OMISSIS-, resa inter partes, concernente il mancato scorrimento di una graduatoria concorsuale per la copertura di un posto di dirigente tecnico. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e sentiti gli avvocati Ma. De St., Fa. Ra. e Ma. Se.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso n. -OMISSIS-, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. Lazio, Sezione staccata di Latina, il signor -OMISSIS- aveva chiesto: - l'annullamento: a) della decisione del Comune di (omissis), con i relativi atti e provvedimenti con i quali la stessa si è concretizzata, di non procedere allo scorrimento della graduatoria approvata con deliberazione della G.C. n. 389 del 13 dicembre 2007, di cui al "concorso pubblico per la copertura di n. 1 posto di dirigente tecnico a tempo pieno indeterminato da assegnare al Settore Urbanistica, bandito con determinazione n. del 13.3.2007"; b) della decisione di affidare l'incarico di dirigente del IV Settore Urbanistica e Ambiente all'arch. -OMISSIS-, in virtù di decreto Sindacale n. 1 del 31 maggio 2013, pubblicato sull'Albo Pretorio dal 24 giugno 2013 al 9 luglio 2013; - il risarcimento dei danni (domanda avanzata coi motivi aggiunti). 2. A sostegno dei ricorsi lo -OMISSIS-, classificatosi al 2° posto della graduatoria, aveva dedotto, in sostanza, che il Comune di (omissis), per la copertura del posto di dirigente del IV Settore Urbanistica, non aveva mai proceduto all'assunzione utilizzando gli idonei della stessa graduatoria concorsuale, la cui validità ed efficacia è stata prorogata più volte fino al 31 dicembre 2015, ma aveva preferito affidare l'incarico sempre e solo all'arch. -OMISSIS- attraverso contratti a tempo determinato intuitu personae. 3. Costituitasi l'Amministrazione in resistenza, il Tribunale adì to ha così deciso il gravame al suo esame: - in parte lo ha dichiarato inammissibile ed in parte lo ha respinto; - ha condannato parte ricorrente alle spese di lite (Euro 4.000,00). 4. In particolare, il Tribunale: - ha preliminarmente ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo; - ha accolto l'eccezione di irricevibilità del ricorso in ordine a "tutti gli atti di nomina dell'arch. -OMISSIS- precedenti a quello del 31.5.2013"; - ha accolto l'eccezione di irricevibilità dell'impugnazione del decreto Sindacale n. 1 del 31 maggio 2013; - ha evidenziato che "con ricorso giurisdizionale era stato impugnato - tra gli altri - il decreto sindacale n. 78 del 22.12.2006 di conferimento al sig. -OMISSIS- dell'incarico per la realizzazione e gestione di quattro concorsi pubblici, tra i quali quello per il conferimento del posto di dirigente del IV Settore Urbanistica e che con sentenza n. -OMISSIS- questa Sezione ha accolto il ricorso e annullato tutti gli atti impugnati compresi gli esiti della procedura di concorso per il conferimento del posto di Comandante della Polizia Municipale scaturente dal medesimo decreto n. 08 del 22.1.2006" e che pertanto "la scelta discrezionale operata dal Comune di (omissis) di evitare, nelle more del ricorso giurisdizionale sopra descritto, di ricoprire il posto di dirigente con il vincitore del concorso sub iudice e di ricorrere allo strumento dell'incarico a tempo determinato ai sensi dell'art. 110 TUEL appare immune alle censure di violazione di legge ed eccesso di potere, risultando al contrario legittima e ragionevole". 5. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto l'appello in trattazione, notificato il 15 novembre 2019 e depositato l'11 dicembre 2019, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 9-24), quanto di seguito sintetizzato: I) sarebbe erronea per ultrapetizione la statuizione di irricevibilità del ricorso in relazione agli atti precedenti al decreto sindacale del 31 maggio 2013; II) il T.a.r. sarebbe incorso in errore, in quanto è stato annullato il diverso bando per il conferimento del posto di Comandante della Polizia Municipale e non quello de quo di dirigente tecnico settore urbanistica del Comune di (omissis); peraltro il provvedimento impugnato non conterrebbe alcun riferimento al contenzioso conclusosi con la sentenza annullatoria n. -OMISSIS-; evidenzia che il Comune soltanto dopo 10 anni dal concorso ha fatto scorrere la graduatoria e segnatamente 26 giorni dopo il collocamento in quiescenza dell'appellante; il Comune si sarebbe così sottratto all'obbligo di scorrimento della graduatoria; III) si ritengono pertanto sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno patito; IV) si lamenta con l'ultimo motivo l'erroneità della statuizione sulle spese di giudizio sia perché il T.a.r. non ha dato atto della parziale soccombenza del Comune di (omissis), a fronte delle (infondate) eccezioni formulate dalla medesima P.A. di difetto di giurisdizione e di integrale irricevibilità del ricorso, sia perché il medesimo Ente, ad ogni buon conto, oltre alla memoria di costituzione risalente all'anno 2014, non ha svolto alcuna attività difensiva, omettendo anche la partecipazione all'udienza pubblica del 21 marzo 2019. 6. L'appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l'annullamento dell'atto con lo stesso impugnato ed il risarcimento del danno nella misura di Euro 211.501,36 a titolo di danno patrimoniale, di Euro 267.649, 89 o, in subordine, di Euro 211.833,61 quanto al danno non patrimoniale oltre al danno morale in misura del 50 % di quello biologico, il tutto da determinarsi anche previa CTU se necessario. 7. In data 11 giugno 2020 il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame. 8. In data 1° febbraio 2024 parte appellante ha depositato memoria insistendo per l'accoglimento del gravame. 9. In data 14 febbraio 2024 parte appellata ha depositato memoria di replica insistendo per il rigetto dell'avverso gravame evidenziando che: il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile per mancata impugnativa degli atti previi rispetto al d.s. n. 1/2013; controparte non ha impugnato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale veniva dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine al ricorso proposto innanzi al giudice del lavoro circa "tutti i decreti sindacali meglio specificati in premessa" ovverosia quelli antecedenti alla d.s. n. 1/2013; la graduatoria aveva durata triennale e pertanto era ampiamente cessata alla data cui risale il d.s. n. 1/2013; non è stata impugnata la clausola del bando che attribuisce ampia discrezionalità all'Amministrazione nel servirsi o meno della graduatoria; l'originario titolare del posto reclamato era solo temporaneamente scoperto in quanto aveva chiesto di essere collocato in aspettativa senza assegni; ricorreva l'esigenza di avvalersi di specifiche professionalità legate all'esperienza acquisita in ordine alla disciplina sopravvenuta rispetto alla procedura concorsuale; la graduatoria di cui parte appellante lamenta la mancata utilizzazione poteva ragionevolmente ritenersi caducata per effetto della sentenza del T.a.r. di annullamento del presupposto atto di organizzazione e gestione del concorso per dirigente del settore urbanistica; nell'-OMISSIS- era stato avviato nei confronti dell'appellante un procedimento penale per omissione di atti d'ufficio; non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria non ricorrendo i presupposti per l'utilizzazione della graduatoria. 10. La causa, chiamata per la discussione all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024, è stata trattenuta in decisione. 11. L'appello è infondato. 11.1. Giova preliminarmente prendere atto delle argomentate deduzioni difensive svolte dalle parti contrapposte in sede di discussione orale della causa, tanto che, come riportato a verbale, l'avvocato di parte appellante eccepiva l'inammissibilità delle eccezioni svolte nella memoria di replica del Comune di (omissis), ritenendo che andavano sollevate con appello incidentale ex art. 96 c.p.a. In replica all'eccezione di controparte, l'avvocato di parte appellata ha precisato che le deduzioni difensive contenute nella memoria di replica si riferiscono a questioni di fatto accertabili d'ufficio dal giudice. Nel merito parte appellante ha rimarcato la persistente efficacia della graduatoria del 2013, mai impugnata, tanto che veniva utilizzata in favore del terzo graduato. 11.2. Le rispettive prospettazioni delle parti impongono che la disamina del merito sia preceduta da quelle, dipanantesi sotto diversi profili, in punto di rito. 11.2.1. Va in primis esclusa la fondatezza di quanto eccepito da parte appellante in ordine alla irritualità della produzione difensiva di controparte con la memoria di replica del 14 febbraio 2024, in quanto non tale da integrare una vera e propria iniziativa impugnatoria avverso la sentenza di prime cure. Trattasi infatti di articolate argomentazioni intese ad inficiare le prospettazioni di controparte anche sulla base di elementi fattuali, in verità valorizzati per la prima volta nel corso del presente giudizio ma evidenziati già in prime cure. L'eccezione di parte appellante in esame va quindi respinta. 11.2.2. In ordine invece alle deduzioni di parte appellante riguardanti i decreti sindacali di attribuzione degli incarichi all'arch. -OMISSIS- precedenti al n. 1/2013 (nella specie: il n. 18/2009; il n. 6 del 2011; il n. 18 del 2012), occorre rilevare, come eccepito da controparte con memoria di replica, che non essendo stati impugnati, sebbene anche su questi lo -OMISSIS- abbia fondato la richiesta risarcitoria, le deduzioni sollevate avverso tali atti risultano inammissibili. 11.2.3. Altresì la doglianza con cui si lamenta l'indebito ricorso alla graduatoria per assegnare l'incarico al -OMISSIS- risulta inammissibile, atteso che nel ricorso al T.a.r. si era precisato che il ricorrente "non intende contestare le modalità illegittime con cui il conferimento dell'incarico dirigenziale è peraltro avvenuto; questa difesa vuole solo contestare l'assoluto difetto di motivazione e di trasparenza della decisione con la quale l'Amministrazione ha discrezionalmente deciso di privilegiare lo strumento dell'incarico dirigenziale in violazione dell'obbligo di scorrimento della graduatoria" (cfr. pagine 7-8); non a caso i precedenti decreti venivano censurati innanzi al giudice del lavoro che, con sentenza della Corte d'appello di Roma, sez. lavoro, n. 4725 del 13 dicembre 2018, dichiarava il difetto di giurisdizione senza successiva riassunzione del giudizio innanzi al T.a.r. 11.2.4. Non ricorre invece la pur eccepita inammissibilità dell'impugnativa del decreto n. 1/2013 per mancata impugnativa dei decreti precedenti riemergendo il necessario profilo di interesse per effetto della sua stessa adozione, essendo frutto di un rinnovato esercizio del potere. 12. Venendo al merito delle deduzioni sollevate occorre rilevare quanto segue: - la graduatoria approvata con d.g.m. n. 389 del 13 dicembre 2007 aveva validità triennale in base all'art. 91, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 ("Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l'eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all'indizione del concorso medesimo") e pertanto, alla data del decreto n. 1 del 31 maggio 2013, non risultava più efficace; - alla luce di tale dato temporale detta graduatoria non poteva risentire né della proroga disposta col DPCM 19 giugno 2013 (ai fini della proroga fino al 31 dicembre 2013) né del d.l. n. 101 del 31 agosto 2013 (ai fini della proroga fino al 31 dicembre 2016); - in tempi non sospetti la graduatoria era stata regolarmente utilizzata fino a quando l'appellante veniva sottoposto a procedimento penale per omissione di atti d'ufficio, circostanza questa che, in considerazione della specifica natura dei fatti contestati ("ometteva di dar corso all'attività di demolizione o comunque di acquisizione al patrimonio comunale degli immobili abusivamente costruiti e non sanati", con conseguente contestazione del reato di cui agli artt. 81 cpv e 328 c.p.), assumeva oggettivo rilievo nel contesto delle valutazioni discrezionali di pertinenza della stessa Amministrazione; - la procedura concorsuale de qua è ricompresa in un ventaglio di quattro procedure concorsuali innescate dal decreto n. 78/06, che veniva annullato dalla suddetta sentenza del T.a.r., confermata da questo Consiglio, con il conseguente travolgimento anche della procedura afferente alla nomina del Dirigente settore urbanistica sebbene di questa si dia atto, da parte della stessa Amministrazione, che trattasi dell'unica procedura effettivamente conclusa; - il secondo motivo, col quale si lamenta l'erroneità della pronuncia per avere il Ta.r. fatto erroneamente riferimento al diverso concorso per la nomina del Comandante della Polizia Municipale, è infondato atteso che il surriferito decreto n. 78/06 riguarda anche la procedura in questione; - non rileva la circostanza che il decreto impugnato non contiene alcun riferimento al "contenzioso definito con sentenza del TAR Lazio, Sezione staccata di Latina, n. -OMISSIS- quale eventuale motivazione..." non necessitando di tale supporto motivazionale in considerazione dell'autonomo venir meno della graduatoria concorsuale per effetto del decorso del termine triennale; - il riferimento operato dal T.a.r. alla previsione normativa di cui all'art. 35 comma quinto ter, d.lgs. n. 165/2001 non assume carattere indebitamente integrativo della motivazione rispondendo all'esigenza soltanto di ricostruire il quadro normativo di riferimento e non anche di introdurre elementi di valutazione dell'interesse sotteso al provvedimento impugnato; - per quanto riguarda l'efficacia cogente della graduatoria, esclusa dal T.a.r. sulla base di un preciso orientamento giurisprudenziale, parte appellante lamenta sia l'insussistenza di un orientamento pretorio incline ad escludere la rilevanza della graduatoria sia l'illegittimità dell'operato dell'Amministrazione che "prima della prevista scadenza dell'incarico dirigenziale (con decorrenza dal 01.06.2013 e scadenza al 30.06.2018), con la determinazione dirigenziale n. 153 del 27.12.2016 pure richiamata in premessa,... ha provveduto allo scorrimento della citata graduatoria, consentendo di fatto la stabilizzazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro dell'Arch. -OMISSIS- (2° risultato idoneo della graduatoria concorsuale)"; - per il primo aspetto va confermato in questa sede il richiamato orientamento giurisprudenziale in quanto, come "ha stabilito il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 28 luglio 2011, n. 14, in vigenza di una graduatoria concorsuale, ove l'Amministrazione decida di provvedere alla copertura dei posti vacanti senza attingere dalla medesima, deve solo adeguatamente motivare in ordine alle ragioni che l'hanno indotta ad effettuare tale scelta in luogo del ricorso allo scorrimento della graduatoria" (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3724 del 28/07/2015); - orbene, nel caso di specie non ricorreva il descritto onere motivazionale in quanto, come rilevato, la graduatoria in questione era già divenuta inefficace al momento cui risale l'atto impugnato in prime cure; - parte appellante formula una serie di considerazioni atte a contestare il fatto che l'Amministrazione abbia fatto ricorso alla graduatoria e quindi al suo scorrimento bypassando la posizione di primo graduato dell'odierno appellante, ma in realtà, l'attribuzione all'Arch. -OMISSIS- non costituisce frutto dell'attingimento sic et simpliciter della graduatoria quanto piuttosto di un apprezzamento discrezionale circa la sua idoneità ad espletare l'incarico affidatogli; - per quanto riguarda la contestata stabilizzazione dell'Arch. -OMISSIS- essa attiene a fatti sopravvenuti rispetto all'epoca cui risale il ricorso del 2013 e comunque non costituisce frutto del lamentato scorrimento della graduatoria come detto ormai da tempo divenuta inefficace; - non possono avere accesso nel presente giudizio considerazioni che attengono alla posizione dell'Arch. -OMISSIS- sia per estraneità al novero dei soggetti coinvolti nel presente giudizio sia per la diversità dell'incarico dirigenziale affidatogli (relativo al settore Lavori Pubblici invece che al Settore Urbanistica); - in tale contesto, come detto non interessato da un preciso obbligo di scorrimento di una graduatoria efficace, risulta priva di rilevo la circostanza che si tratti dell'affidamento di incarichi a tempo determinato invece che indeterminato; - non può essere condiviso quanto dedotto richiamando il Decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013, laddove ha espressamente stabilito, all'art. 4, comma 4, che "L'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata fino al 31 dicembre 2016"; - invero, alla data di entrata in vigore di tale disciplina, come sopra rilevato, la graduatoria in questione era già divenuta inefficace, con la conseguenza che non ricorreva alcun preciso ed incombente onere motivazionale, di cui si fa menzione nell'atto di appello (pagine 17-18), anche nell'ottica dell'esigenza di contenimento della spesa pubblica; - ne deriva l'insussistenza di ogni elemento atto a suffragare la richiesta risarcitoria, per la quale si insiste col quarto motivo di gravame, che pertanto va respinta. 12.1 Infondato è infine il quinto motivo di gravame, afferente al capo della sentenza di primo grado relativo alla statuizione sulle spese di giudizio, che sarebbe incurante delle statuizioni sfavorevoli a controparte in ordine alle "eccezioni formulate dalla medesima P.A. di difetto di giurisdizione e di integrale irricevibilità del ricorso" (cfr. pagina 24 dell'appello) ed al mancato svolgimento di attività difensiva (anche mediante partecipazione alla pubblica udienza del 21 marzo 2019) oltre alla memoria di costituzione. 12.1.1. In senso contrario, deve richiamarsi il consolidato orientamento di questo Consiglio, secondo cui "la condanna alle spese di giudizio comminata dal giudice di primo grado, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, può essere modificata in appello solo se è modificata la decisione principale e non è sindacabile, salvo manifesta abnormità " (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 1816). Tale ultima evenienza non si configura nel caso di specie in ragione della soccombenza sotto il profilo del merito 13. In conclusione, l'appello va respinto. 14. Sussistono nondimeno giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio avuto riguardo alla particolarità della vicenda ed al comportamento processuale della parte appellata consistente nell'aver depositato una articolata memoria di replica non preceduta da alcuna produzione difensiva suscettibile di essere contraddetta da parte appellante. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 10211/2019), lo respinge. Spese di grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ANCONA SEZIONE PRIMA Riunita in camera di consiglio con l'intervento dei sigg. magistrati Dott. (...) Presidente Dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. (...) del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, posta in decisione all'udienza del 28 novembre 2023 e promossa (...) con gli (...) e (...) C.SO (...) N. (...) (...) con l'Avv. (...) C/O (...) 11 (...). (...) con l'Avv. (...) N. (...) (...) con l'Avv. (...) N. (...) (...) sentenza del Tribunale di (...) n. (...)/2009 del 23/09/2009 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. (...)/2020 la Corte di Cassazione, ha annullato la sentenza n. (...)/2017 con la quale la seconda sezione di questa Corte di Appello aveva deciso sull'impugnazione della sentenza del Tribunale di (...) n. (...)/2009 del 23/09/2009. I giudici di legittimità hanno rinviato ad altra sezione di questa Corte affinché si conformasse al seguente principio di diritto: ""posto che il giudizio di appello continua ad ispirarsi ad una logica devolutiva e, quindi, di revisio prioris istantiae nei limiti della specificità dei motivi di appello, si deve ritenere affetta da nullità ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. la sentenza di appello, la quale, sollecitata dall'appellato a controllare la decisione del giudice di primo grado in quanto adagiatasi sulle conclusioni di una c.t.u., con critiche rivolte sia sotto il profilo della mancata considerazione della c.t.p. di parte sia sotto il profilo della intrinseca congruenza, proceda all'esame dell'appello assumendo come premessa programmatica i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione a proposito dei limiti del sindacato di legittimità sul controllo della motivazione del giudice di merito che abbia condiviso la c.t.u. e, quindi, si limiti ad evocare quest'ultima dichiarando genericamente di condividerne gli assunti, così finendo per procedere all'adempimento del dovere motivazionale non come giudice di appello, ma come se fosse investito di un giudizio di legittimità". Ha riassunto il giudizio (...) notificando atto di citazione con pec a (...) ed (...) il 4 maggio 2021 e per posta a a (...) e (...) che la hanno ricevuta entrambi il (...) e non essendosi costituiti, vanno dichiarati contumaci (cfr. Cass. 30.09.2008| n.24331). Hanno invece resistito (...) ed (...) ha citato la dott.ssa (...) il dott. (...) e l'(...) "(...) I" affinché - previo accertamento i) della esclusiva responsabilità dei ridetti due sanitari, in via tra loro concorrente e nella percentuale da determinarsi in corso di causa, nel determinismo dell'evento lesivo patito dall'attore in dipendenza delle loro condotte, omissive e commissive, nonché ii) della sussistenza del rapporto professionale intercorrente tra il dott. (...) e l'(...) "(...) I" di (...) - i convenuti fossero condannati in via solidale tra loro al risarcimento integrale dei danni, di qualsivoglia origine o natura, sofferti dal medesimo attore nella misura e nelle proporzioni risultanti più di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata nei singoli periodi annuali con riferimento ai tassi iis temporibus vigenti, dal 23.05.1998 sino alla data di proposizione della domanda, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi legali successivi sino all'effettivo soddisfo. A fondamento della sua pretesa ha sostenuto che a cagione del colpevole ritardo da parte della dott.ssa (...) (suo medico curante nell'ambito del (...), nell'individuare la malattia "(...) mi(...)oide" - ovvero nella colpevole inerzia da parte della stessa nel prescrivere/richiedere la tempestiva effettuazione di quelle indagini diagnostiche strumentali che, allorquando tardivamente erano state eseguite, avevano consentito il riconoscimento della malattia e la predisposizione delle terapie necessarie - un consistente aggravamento della patologia in atto con pesanti riflessi sulla propria salute psico-fisica, presente e futura. Affermava inoltre che le inidonee modalità di esecuzione dell'intervento chirurgico (escissione marginale di liposarcoma mi(...)oide gluteo destro con rottura a fine intervento della capsula neoplastica) colpevolmente attuate in data (...) dal dott. (...) in servizio presso gli (...) di (...) avevano occasionato la recidiva per la cui asportazione egli aveva dovuto sottoporsi ad un'ulteriore operazione presso l'(...) "Rizzoli" di (...) in data (...) sostenendone integralmente i costi, anche di trasferta ed assistenza. Rappresentava, infine, l'attore (che sino al 1998 non aveva mai sofferto di particolari patologie) di aver subito, a causa dei prefati eventi, un vero e proprio stravolgimento esistenziale, intanto per il fatto di doversi costantemente sottoporre, a cadenza quadrimestrale, agli irrefutabili controlli medico diagnostici, ognuno dei quali avrebbe potuto - denegatamente - rivelarsi foriero delle più drammatiche eventualità, indi perché tale situazione, sommata ai pregressi accadimenti (ove l'attore non solo aveva appreso di essere affetto da una forma patologica di tipo tumorale ma, quel che è peggio, aveva dovuto sopportare vuoi il consistente ritardo nella diagnosi della malattia, vuoi la recidiva del male a cagione delle peculiari modalità di esecuzione dell'intervento, vuoi infine ad un'ulteriore operazione radicale) aveva causato l'insorgenza a suo carico di una seria forma di depressione. In giudizio si sono costituiti la (...) e gli (...) riuniti di (...) resistendo, mentre il Dott. (...) è rimasto contumace. Appellata la sentenza, questa Corte ha confermato il decisum impugnato. Impugnata per Cassazione la decisione di appello, la Suprema Corte ha cassato con rinvio, da cui il presente giudizio, riassunto dal solo erede (...) essendo nelle more deceduto (...) Questa Corte ha disposto rinnovarsi la (...) sui seguenti quesiti: 1) La "rapportabilità" ad un lipomatumore benigno con l'aumento delle dimensioni già nel maggio 1998, per quanto riguarda la posizione del MMG 2) Le osservazioni del CTP dell'appellante al verbale di udienza dell'8 novembre 2005 (si vedano il verbale di udienza dell'8 novembre 2005, le deduzioni dell'attore e le osservazioni critiche del proprio CTP 3) la tempistica con cui tener conto, da parte del (...) come indicato nel referto della disposta ecografia, dell'indicazione "meritevole di controllo TC o RM", Quanto alla posizione del chirurgo Dr. (...) 4) Con riferimento all'asserita necessità di un ulteriore intervento che si sarebbe prospettata soltanto a seguito dell'esito dell'esame istologico della massa asportata, e di sua contestata (da parte appellante) necessità di secondo intervento, invece, in ipotesi, evitabile in caso di diverso primo approccio chirurgico", in relazione alla ipotizzata "difficoltà di indagine istologica del pezzo operatorio" 5) La possibile eziologia della rottura parziale della capsula che parte appellante ascrive all'intervento chirurgico ad opera del (...) (il quale peraltro dichiara in ordine a tale incidente che sarebbe avvenuto "a fine intervento") , rispetto alle osservazioni contenute nella sentenza cassata secondo cui non può evincersi in maniera inequivoca che la lacerazione si sarebbe verificata nel corso dell'operazione, quanto piuttosto una volta che questa era stata portata a termine: eziologia che non si ricollega solamente al momento temporale ma, in ipotesi, sia pure cronologicamente distinta rispetto alle fasi operative dell'intervento, in ogni caso ricollegabile quale conseguenza probabile o certa 6) le conseguenze dannose rilevabili, se possibile, ora per allora, a carico del defunto in relazione ad un riscontrabile peggioramento positivamente accertabile (e disaggregabile rispetto alla patologia di base di cui lo stesso soffriva), secondo la migliore scienza e conoscenza, da un'eventuale malpractice rilevata secondo i punti che precedono. All'esito del deposito della (...) questa Corte ha trattenuto in decisione l'appello, con termine per note e(...) art. 190 cp.c.. Successivamente al deposito di queste ultime, vista l'istanza di discussione e(...) art. 352, co. III, c.p.c. proposta dal sig. (...) con provvedimento pubblicato il (...), questa Corte di Appello adita disponeva lo scambio di note scritte e(...) art. 127 ter c.p.c. in luogo della discussione orale ed assegnava sino al 23.03.2024 per il relativo deposito. Lette le memorie da ultimo depositate la causa può essere decisa. Preliminarmente si deve delibare l'eccezione di inammissibilità, per tardività, dell'atto di riassunzione, notificato oltre 3 mesi dalla decisione della Suprema Corte. E' vero che l'art. 393 c.p.c. nel testo attualmente vigente prevede che se la riassunzione non avviene entro il termine di 3 mesi di cui all'art. 392 c.p.c. il processo si estingue. Tuttavia, la norma in esame, nell'attuale formulazione si applica solo ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge 69/2009 e cioè dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell'art. 58, co. I, della legge 69/2009, con il termine "giudizi instaurati" ci si deve riferire all'introduzione originaria del giudizio o del procedimento (citazione o deposito del ricorso nel primo grado), dovendosi escludere che esso intenda avere riguardo all'instaurazione di una fase di un grado di giudizio o di un ulteriore grado di giudizio. (cfr. e(...) multis Cass. Civ., n. 6007/2012; Cass. Civ. n. 17060/2012; Cass. Civ., n. 15741/2013) Nel caso in esame, la causa è stata introdotta con atto di citazione notificato in data (...), e, all'entrata in vigore della L. 69/2009, era ancora pendente in secondo grado con conseguente applicazione del previgente art. 392 c.p.c. che prevedeva il termine di 1 anno dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione per la riassunzione. Si può quindi entrare nel merito. Considerata la perizia depositata dal nominato (...) questa Corte ritiene che le censure proposte dall'appellante meritino parziale accoglimento, come di seguito si preciserà. Quanto alla condotta della (...) è emerso che la medesima non si è attenuta alle indicazioni di approfondimento diagnostico-strumentale contenute nel referto dell'ecografia a cui il paziente si è sottoposto il (...), e non risulta nemmeno aver dato indicazioni al paziente di tornare a visita successivamente per effettuare quantomeno un controllo clinico a breve termine della potenziale crescita della massa. La buona pratica clinica vorrebbe infatti che una tumefazione voluminosa, misurata ecograficamente delle dimensioni di ben 6(...)2.5 cm, necessiti quantomeno di richiedere un controllo clinico dopo non più di 6 mesi per valutare la sua stabilità o l'eventuale aumento di dimensioni, per poi prendere in considerazione le eventuali decisioni attendistiche o di approfondimento diagnostico successive. Il successivo iter clinico ha infatti documentato che la massa era in crescita, avendo più che raddoppiato le sue dimensioni al controllo successivo effettuato dopo circa 18 mesi ed il non aver effettuato un controllo clinico a breve distanza di tempo ha certamente favorito un ritardo diagnostico con notevole accrescimento della tumefazione inizialmente individuata già nel maggio del 1998. Tale ritardo diagnostico, seppur non abbia comportato al paziente un peggioramento della prognosi, ha comunque avuto la conseguenza di rendere necessario un intervento chirurgico maggiormente demolitivo: è palese il fatto che già il semplice esito cicatriziale, oltre che l'estensione della demolizione dei tessuti, sia molto differente in senso peggiorativo per una diagnosi formulata su una tumefazione di 12(...)6,5 cm piuttosto che su di una di 6(...)2.5 cm. Non convincono i rilievi della difesa della (...) per cui il (...) avrebbe dovuto lui fornir la prova del ritardo, in quanto sul danneggiato incombe (per giurisprudenza pacifica) l'onere di dimostrare il nesso di causalità fra l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e la condotta del sanitario, mentre a quest'ultimo spetta offrire prova liberatoria. (...) fin dall'atto di citazione in primo grado ha affermato che "(...) i successivi due anni il Sig. (...) ogniqualvolta si recava dalla Dott.ssa (...) le rappresentava che la tumefazione stava aumentando le proprie dimensioni senza che il medico assumesse iniziative di sorta" mentre la (...) non ha dimostrato di aver disposto i necessari approfondimenti diagnostici, che la miglior scienza ed esperienza anche dell'epoca raccomandavano. Quanto alla responsabilità del (...) e dell'azienda ospedaliera, le censure dell'appellante si imperniano sul fatto che il (...) dopo il primo intervento cui è stato sottoposto ad (...) ne ha dovuto subire altro al (...) di (...) per effetto della rottura, durante il primo intervento della capsula del lipoarcoma. Si deve tuttavia considerare che, per la natura stessa della neoplasia maligna diagnosticata (liposarcoma mi(...)oide a cellule rotonde), anche a fronte di un intervento chirurgico radicale, una volta formulata la diagnosi istologica sulla massa tumorale asportata, ancorché integra, era comunque indicato un 2 intervento di radicalizzazione per la natura microinfiltrativa intrinseca della malattia in via prudenziale unitamente alla valutazione di eseguire un trattamento radioterapico locale (non ritenuto correttamente necessario nel caso in discussione). La suddetta necessità di eseguire un 2 intervento di radicalizzazione dell'asportazione della massa tumorale sarebbe stata comunque necessaria a prescindere dalla rottura parziale della capsula; pertanto anche il momento temporale di quando possa essersi verificata quest'ultima risulta del tutto ininfluente sia in merito alla prognosi che in merito al proseguimento del percorso terapeutico indicato dalle (...) attuali e dell'epoca. Il chirurgo e l'azienda ospedaliera vanno dunque esenti da responsabilità Quanto al danno, considerato essere pacifico in fatto che il (...) non ha sofferto alcuna temporanea malattia in conseguenza della ritardata diagnosi ed ha vissuto ancora 11 anni decedendo per cause del tutto indipendenti dalla patologia in esame, il danno sofferto è semplicemente di natura estetica. Al riguardo, si osserva che nei barhèmes valutativi allegati alle (...) edite dalla Società Italiana di (...) nel 2016 il danno biologico permanente di natura estetica viene suddiviso in 6 classi di gravità, delle quali solo le prime 3 sono attinenti al caso in discussione: 1) Voce n. 911 3 Classe 1 3 Pregiudizio estetico lievissimo, con range valutativo del danno biologico pari a 1-5% che riguarda, tra l'altro, le cicatrici "fino a 10cm al tronco o agli arti"; 2) Voce n. 912 - Classe 2 3 Pregiudizio estetico da lieve a moderato, con range valutativo del danno biologico pari a 6-15% che riguarda, tra l'altro, le cicatrici "nell'ordine di 10-15cm, ipertrofiche o discromiche al tronco o agli arti"; 3) Voce n. 913 3 Classe 3 3 Pregiudizio estetico da moderato a rilevante, con range valutativo del danno biologico pari a 16-25% che riguarda, tra l'altro, le cicatrici di "oltre 15cm, ipertrofiche o ipercromiche al tronco o agli arti, specie se insistenti su aree per lo più lasciate scoperte e produttive anche di riverberi disfunzionali e tali da attirare attenzioni negative da parte di terzi". Nel caso di specie, il (...) ha patito un esito cicatriziale di 20 cm: che tuttavia non può essere ascritto alla (...) 3 (16-25%) in quanto oltre alla lunghezza eccedente i 15 cm manca sia la rilevazione di riverberi disfunzionali della stessa sia la posizione su una parte anatomica scoperta in grado di attirare attenzioni negative di terzi (trovandosi nel gluteo). Dunque si può ritenere che laddove si fosse intervenuti tempestivamente il danno estetico sarebbe rientrato nella classe 1 (fino a 10 cm), mentre quello effettivamente subito può farsi rientrare nella classe 2. Si deve pertanto determinare il danno. Al riguardo è il caso di osservare che l'appellante, nella riassunzione si limita a chiedere il " risarcimento integrale dei danni - di qualsivoglia origine o natura - sofferti" senza indicare se e quali danni di natura patrimoniale siano stati patiti, né, ovviamente indicare prove al riguardo. Dunque l'unico danno provato è quello estetico, che ha natura differenziale. Il relativo danno deve quindi essere liquidato, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. 11.11.2019 n. 28986) stimando in punti percentuali la invalidità complessiva e convertendola in denaro, poi stimando in punti percentuali la invalidità preesistente, in questo caso quella che sarebbe comunque residuata dall'intervento di rimozione e convertendola in denaro e quindi sottraendo il secondo importo dal primo. Si possono applicare le tabelle della legge (...) la (...) corte ha infatti enunciato il seguente principio di diritto: "Non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile (negando od impedendo il risarcimento di conseguenze - dannose già realizzatisi), il D.L. 13 settembre 2012, n. 138, art. 3, comma 3, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 2012, n. 189 (cd. legge Balduzzi che dispone l'applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità - contrattuale od e(...)tracontrattuale - per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del CAD - criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, confermati anche dalla successiva L. 8 marzo 2017, n. 24 cd. (...) -), trova diretta applicazione in tutti i casi in cui il (...) sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul "quantum". Non è ostativa, infatti, la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente alla entrata in vigore della legge, o che l'azione risarcitoria sia stata promossa prima dell'entrata in vigore del predetto decreto legge; né può configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i giudizi ormai conclusi ed i giudizi pendenti, atteso che proprio e soltanto la definizione del giudizio - e la formazione del giudicato - preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale a tutela della autonomia della funzione giudiziaria e del riparto delle attribuzioni al potere legislativo e al potere giudiziario. Neppure può ravvisarsi una lesione del legittimo affidamento in ordine alla determinazione del valore monetario del danno non patrimoniale, in quanto il potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno, riservato al (...) di merito, si colloca su un piano distinto e comunque al di fuori della fattispecie legale della responsabilità civile: la norma sopravvenuta non ha, infatti, modificato gli effetti giuridici che la legge preesistente ricollega alla condotta illecita, né ha inciso sulla esistenza e sulla conformazione del diritto al risarcimento del danno insorto a seguito del perfezionamento della fattispecie" (Cassazione civile, sentenza n. 28990/2019). Considerando un danno del 15% (massimo della classe 2 giustificato dal fatto che la cicatrice è di 20 cm) si devono prendere come riferimento le (...) di (...) (quelle del testo unico assicurazioni, richiamate dalla legge (...) arrivano al 9%): Età del danneggiato alla data del sinistro 66 anni Percentuale di invalidità permanente 15% Punto danno biologico Euro 2.763,15 il danno risarcibile si ottiene moltiplicando il punto non patrimoniale per l'invalidità riconosciuta e applicando il demoltiplicatore per età, nel caso di specie avremo la somma di Euro 27.977,00 che essendo il risultato del calcolo effettuato sulle tabelle del 2021, dovrà essere rivalutata al 2024, e pertanto Euro 30.998,52. Quanto al danno che si sarebbe comunque prodotto dalla patologia, si applicano le tabelle del codice delle assicurazioni e quindi: Età del danneggiato alla data del sinistro 66 anni Percentuale di invalidità permanente 5% per un totale danno biologico di Euro 5.074,81. Il danno risarcibile ammonta pertanto a (30.998,52 - 5.074,81) Euro 25.923,71. A questo punto necessita delibare l'eccezione per cui l'erede non è legittimato ad escurete il preteso debitore del de cuius per l'intero. Sul punto, la (...) dirimendo un risalente contrasto, con la sentenza a (...) n. 24657/2007, ha definitivamente chiarito che: "I crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l'unico credito succede nel credito al momento dell'apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall'art. 760, che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione. Conseguentemente, deve affermarsi che ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune". Andrà quindi attribuito al (...) per conto della comunione ereditaria, l'intero danno. Non meritano accoglimento le richieste di rinnovazione della (...) non ravvisandosi nell'elaborato posto alla base di questa decisione, errori logici o scientifici, né le prove per testi richieste, del tutto inutili. In definitiva la domanda dev'essere accolta nei soli confronti della (...) che dovrà sopportare le spese dei tre gradi di giudizio, mentre (...) soccombente, dovrà rimborsare le spese a (...) ed all'(...) : spese tutte liquidate in dispositivo con riferimento ai parametri vigenti al momento dell'esaurimento della relativa fase processuale (cfr. Cass. 18680/17) secondo valore indeterminabile minimo. P.T.M. La Corte d'Appello di Ancona definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) ed all'(...) così provvede: accerta la responsabilità di (...) e per l'effetto la condanna al pagamento, in favore di (...) per conto della comunione degli eredi di (...) della somma di Euro 25.923,71 oltre interessi legali dalla pubblicazione di questa sentenza al saldo, condanna (...) a rifondere a (...) le spese del giudizio, che liquida per il primo grado in Euro 3.850,50 per diritti ed Euro 2.140 per onorari, per il giudizio di cassazione in Euro 3.900,00 e per l'appello complessivamente considerato Euro 11.000,00 oltre spese generali cassa ed iva di legge, condanna (...) a rifondere a (...) ed all'(...) le spese del giudizio, che liquida, per ciascuno per il primo grado in Euro 3.850,50 per diritti ed Euro 2.140 per onorari per la sola (...) attesa la contumacia del (...) per il giudizio di cassazione in Euro 3.000,00 e per l'appello complessivamente considerato Euro 10.000,00 oltre spese generali cassa ed iva di legge, spese di ctu sia di primo grado che di appello a carico di (...) tra (...) ed (...) così deciso nella camera di consiglio del 26 marzo 2024 (...). Così deciso in Ancona il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

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