Sentenze recenti rissa

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere-Rel. Dott. LANNA ANGELO Valerio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Mu.Al. nato a P il (Omissis) avverso la sentenza del 17 aprile 2023 della Corte Assise Appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Di Giuro Gaetano; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Cocomello Assunta che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. uditi i difensori. L'avv. Mo.Ma. si riporta alla memoria depositata, deposita conclusioni e nota spese; L'avv. Pa.Mi. deposita conclusioni e nota spese; L'avv. Mo.Sa. riportandosi ai motivi di ricorso insiste per l'accoglimento; L'avv. Bo.Ra. conclude insistendo per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Assise di Palermo, con sentenza in data 7 marzo 2022, dichiarava Mu.Al. responsabile dei reati di omicidio volontario in danno di La.Pa., con l'aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di minori di anni diciotto (capo di imputazione 1), di porto di coltello fuori dalla propria abitazione senza giustificato motivo, aggravato dal nesso teleologico col delitto sub 1 (capo 2), e di partecipazione, insieme ad altri soggetti, ad una rissa nel corso della quale era deceduto La.Pa., sempre aggravata dall'aver commesso il fatto alla presenza di minori di anni 18 (capo 3). Escludeva, quindi, per il delitto di omicidio la circostanza aggravante contestata dei futili motivi, e riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti e tenuto conto della diminuzione della pena prevista dall'art. 438, comma 6-ter cod. proc. pen. (avendo l'esclusione dell'aggravante reso ammissibile il rito abbreviato richiesto nei termini), condannava Mu.Al. alla pena di anni sedici di reclusione ed Euro 1.000,00 di ammenda, all'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e all'interdizione legale per tutta la durata della pena, oltre che al risarcimento del danno con riconoscimento di provvisionali in favore delle parti civili. La Corte di assise di appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della suddetta sentenza, appellata dall'imputato, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e dalla parte civile La.Ca., ha riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi, contestata in relazione al delitto di cui al capo 1), concesso le circostanze attenuanti generiche, applicandole con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti ritenute per il medesimo delitto di cui al capo 1) ed escluso la diminuzione di pena prevista dall'art. 438, comma 6 ter cod. proc. pen., rideterminando la pena in anni ventitré, mesi sei e giorni ventiquattro di reclusione, aumentando la provvisionale in favore della parte civile appellante e confermando nel resto la sentenza impugnata. 1.1. Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2020, all'esterno della discoteca Millennium, in T, a seguito di una violenta lite, era stato colpito mortalmente La.Pa. (come da esame autoptico da cinque fendenti, due alla gola, altrettanti all'addome e uno, di striscio, al capo). Sulla base delle testimonianze delle persone presenti sul posto, era stato individuato come autore dell'aggressione mortale Mu.Al. Grazie anche alla presenza di un sistema di videosorveglianza attivo nei pressi dell'uscita della discoteca, era stato possibile ricostruire la dinamica del fatto. Nelle prime riprese si aveva modo di scorgere La.Pa., con il braccio sulla spalla di Mu.Fi., la sorella La.Gi. (fidanzata di Mu.Fi.) e Mu.Ma. (sorella di Mu.Fi.) discutere tra loro in maniera tranquilla fino alle ore 3:21:24, orario in cui La.Pa. aveva iniziato a mostrare segni di nervosismo, dando pugni al muro mentre parlava con Mu.Fi., verso il quale puntava ripetutamente il dito indice. Alle 3:21:52, La.Pa. aveva iniziato a sferrare a Mu.Fi. quattro colpi alla guancia sinistra determinando la sua reazione e il conseguente corpo a corpo tra i due, mentre le ragazze avevano cercato di separarli. Dopo un solo secondo dai primi colpi di La.Pa., si notava l'imputato, che fino a quel momento era rimasto a guardare la scena, dirigersi verso il gruppo dei quattro per sferrare almeno cinque colpi alla testa di La.Pa. Alle 3:22:03 La.Pa. era tornato alla carica e aveva tentato di aggredire Mu.Fi.; in questo frangente l'imputato, incrociando La.Pa., gli aveva sferrato due colpi dal basso verso l'alto all'altezza dell'addome. Alle 3:22:07 l'imputato gli aveva dato un ulteriore colpo, per poi indietreggiare di qualche metro. Alle 3:22:11 l'imputato, dopo essersi riavvicinato a La.Pa. giacente con le spalle a terra, gli aveva sferrato sempre con la mano destra almeno due fendenti in direzione orizzontale. Poco dopo La.Pa., alzatosi da terra, sorretto da alcuni ragazzi, si era avviato in direzione opposta alla telecamera tenendosi il collo con la mano destra. Dopo pochi minuti, La.Pa. si sarebbe accasciato nuovamente e sarebbe morto a causa di una copiosa emorragia, nella piazza distante qualche decina di metri dal luogo dell'accoltellamento. 2. Avverso detta sentenza Mu.Al. propone ricorso per cassazione, articolato in due atti difensivi, a firma rispettivamente dell'avv. Mo.Sa. e dell'avv. Bo.Ra., che possono essere trattati congiuntamente. Entrambi i difensori denunciano, con un unico motivo di ricorso, violazione degli artt. 577 n. 4 e 61 n. 1 cod. pen., e vizio di motivazione, anche come travisamento delle risultanze processuali, per avere la Corte di assise di appello di Palermo affermato la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi in relazione al delitto di omicidio volontario. Rilevano che la sentenza impugnata ha ritenuto, ribaltando la opposta statuizione sul punto della prima Corte, la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi per il delitto di omicidio volontario, incorrendo nella violazione dei principi giuridici che presiedono alla individuazione di tale aggravante, senza, peraltro, fornire al riguardo una motivazione rafforzata tale da consentire di superare la valutazione di primo grado. Lamentano che detta sentenza non ha indicato in che cosa sarebbero consistiti i motivi futili suscettibili di integrare la condotta costitutiva dell'aggravante, a fronte altresì di un movente non solo non identificato con certezza, ma neppure individuato o anche solo enunciato in imputazione, limitandosi a darne una determinazione in negativo, ancorata alla sproporzione della condotta "reattiva" avuta dall'imputato, tale da escludere l'attenuante della provocazione invocata con l'appello in favore del suddetto. Osservano che l'iter argomentativo è viziato dall'avere richiamato e riportato una giurisprudenza che non si attaglia al caso di specie, ma riguarda altre fattispecie in ambito omicidiario (come quelle relative alla gelosia e al tifo calcistico) e che la sentenza disattende le conclusioni del primo Giudice (che escludeva i futili motivi facendo leva sul fatto ingiusto di La.Pa., che avrebbe determinato la reazione dell'imputato a favore del cugino violentemente aggredito dal primo) sulla base di una soggettiva interpretazione del filmato dell'accaduto, senza che nel giudizio di appello si fosse proceduto all'esame di tale documento nella fase dibattimentale. Si dolgono, altresì, del fatto che la sentenza abbia omesso di correlare tale interpretazione con le altre risultanze testimoniali e documentali, incorrendo in un travisamento processuale (quando, ad esempio, riconosce il carattere di "buffetti" a veri e propri schiaffi di cui parlano i testimoni oculari). Osservano che nel caso di specie, come ben evidenziato dal primo Giudice, l'imputato ha agito in reazione ad un comportamento illecito della vittima, intromettendosi al fine di proteggere il cugino e dunque per motivi non futili; e che tali considerazioni sembrano rafforzate dalla conclamata inesistenza di precedenti ragioni di astio o di rancore del ricorrente nei confronti di La.Pa. Lamentano che la sentenza impugnata trascura due essenziali circostanze: in primo luogo, quella secondo cui La.Pa. agiva sotto gli effetti congiunti di alcool e droga, dunque in maniera non lucida, essendo anzi sovraeccitato e privo di qualsivoglia effetto inibitore (dato scientifico, questo, acclarato dallo stesso consulente tecnico medico-legale nominato dal P.m.); e, in secondo luogo, il contenuto dei messaggi vocali whatsapp estratti dal telefono cellulare di un testimone, registrati nell'immediatezza del fatto, che dimostrerebbero l'aggressione violenta e inaspettata della vittima nei confronti di Mu.Fi. A tale ultimo riguardo, osservano che i testimoni presenti al fatto apprezzarono in termini di gravità e serietà offensiva l'azione aggressiva della vittima; e che tale dato non può essere disatteso neppure dall'accurata visione del filmato. Rilevano, infine, che del tutto congetturale appare l'affermazione dei Giudici di appello, secondo cui, anche se fosse stato Mu.Fi. ad alzare per primo le mani, per Mu.Al. nulla sarebbe cambiato, in quanto sarebbe comunque intervenuto per dare man forte al cugino. I difensori insistono, alla luce di tali censure, per l'annullamento della sentenza impugnata. 3. L'avv. Mo.Sa. deposita memoria difensiva per conto del suo assistito, allegando alla stessa la sentenza di assoluzione di Mu.Fi. dall'imputazione di concorso in omicidio volontario con l'odierno ricorrente per non aver commesso il fatto, di cui chiede l'acquisizione anche se depositata fuori termine, trattandosi di documento sopravvenuto al ricorso (e anche alla scadenza dei quindici giorni prima dell'udienza), del quale non era possibile tenere conto nell'impugnazione e da cui viene confermato, dandosi atto della previa visione del filmato in atti, il passaggio a vie di fatto da parte di La.Pa. e l'iniziale proposito pacificatore dell'odierno ricorrente. 4. L'avv. Mo.Ma., per la parte civile La.Ca., padre della vittima, deposita memoria difensiva nella quale insiste per l'inammissibilità del ricorso dell'imputato per manifesta infondatezza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Invero, il ricorrente, nel dolersi della violazione degli artt. 577 n. 4 e 61 n. 1 cod. pen. e del vizio di motivazione anche come travisamento probatorio, ripercorre argomentazioni sulle quali la pronuncia impugnata ha dato un'adeguata e non manifestamente illogica risposta, che tiene conto sia del compendio probatorio, che dell'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, dal quale questa Corte non intende discostarsi. Orientamento, secondo cui sussiste la circostanza aggravante dei futili motivi ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante in relazione ad una rissa insorta per questioni di tifo calcistico in quanto la passione per una attività sportiva non può mai giustificare possibili manifestazioni di violenza; in senso conforme anche Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 - 02: fattispecie relativa all'omicidio preterintenzionale del coniuge determinato dalla reazione ad una lite provocata dalla gelosia della vittima). Orbene, l'iter argomentativo della pronuncia impugnata sul punto è scevro da vizi logici e giuridici. Si evidenzia, invero, come la condotta perpetrata da Mu.Al. ai danni della vittima non sia stata altro che l'occasione e il pretesto per dare sfogo ad istinti violenti del suddetto e al bisogno di affermare il suo ruolo di capobranco. E come vada ravvisata proprio nel rapporto con l'insano senso di protezione dell'imputato nei confronti del cugino Mu.Fi. la comparazione tra lo stimolo esterno che ha innescato la reazione delittuosa e l'entità di tale reazione, sproporzionata rispetto a qualsiasi istinto protettivo. Anche la doglianza relativa all'inadeguatezza della giurisprudenza riportata dalla Corte di assise di appello risulta, a sua volta, infondata, in quanto dalla lettura della sentenza si evince come il richiamo alla giurisprudenza in merito al tifo calcistico o alla gelosia non sia stato animato da una comparazione qualitativa tra fattispecie ben diverse l'una dall'altra, quanto piuttosto dall'eguale sproporzione che sussiste in questi casi tra il motivo criminale che anima l'agente e la reazione che ne segue. La Corte di assise di appello ribadisce che prepotenza, tracotanza, indole e tendenze criminali trasudano già dall'atteggiamento e dalle parole profferite dall'imputato, all'inizio della serata, prima ancora che scoppiasse la zuffa tra i due cognati, parole che denotano i suoi propositi bellicosi e la smania di dimostrare la sua capacità di tutelare i suoi protetti, con il supporto del fido coltello, da qualunque offesa da chiunque proveniente (p. 94-95). Un atteggiamento di cui l'imputato, come rimarcato dalla Corte a qua, aveva già dato ripetuta prova in vari episodi pregressi, tra i quali in particolare una recente rissa avvenuta sulla spiaggia M, culminata nel ferimento di un coetaneo. La solidità di tale assunto si ricava anche dagli specifici propositi criminali manifestati dall'imputato nel corso della serata a più testimoni, nonché dalle minacce esternate nei confronti del buttafuori che La.Pa. voleva proteggere, invitando, pertanto, il cognato a scusarsi per evitare che la sorella finisse ancora una volta coinvolta nelle gazzarre o nelle risse inscenate dal suo fidanzato, tanto più che questi quella sera era spalleggiato dal cugino Mu.Al. di cui era ben nota a tutti l'elevata pericolosità. La Corte di assise di appello fornisce una motivazione più che rafforzata, spiegando perché vada riconosciuta l'aggravante dei futili motivi e perché, quindi, ci si debba discostare dalle argomentazioni del primo Giudice. Invero, sottolinea, nel confronto con le statuizioni di primo grado, che il comportamento aggressivo di La.Pa. (pur volendo accedere alla ricostruzione dell'azione omicida in chiave di reazione all'iniziale fatto ingiusto ascrivibile alla stessa vittima), tanto più se riportato alle sue corrette dimensioni come documentate dalle immagini che la stessa Corte asserisce di avere visionato, non rende meno spropositata la reazione armata dell'imputato (che colpiva la vittima con ben cinque fendenti), anche perché questi appariva così freddo e lucido nei gesti da far ritenere che fosse ben consapevole del fatto che l'incolumità di suo cugino non correva alcun rischio. Sottolinea, inoltre, la sentenza impugnata come a fare scattare l'odierno imputato come una molla fu che i cognati vennero alle mani, e non il gesto offensivo di La.Pa. che vi avrebbe dato causa, e, in particolare, il fatto stesso di vedere il suo pupillo venire alle mani con un antagonista. E come è lo stesso imputato ad ammettere di non sapere esattamente perché ad un certo punto La.Pa. sferrò dei colpi in faccia a Mu.Fi.; e, nel tentativo di giustificare la sua mossa di estrarre il coltello e colpire a più riprese La.Pa., insiste a dire di averlo fatto perché era stato La.Pa. ad aggredire Mu.Fi., trascurando che all'inizio il primo si era limitato a colpire con dei pugni la vittima e che nelle fasi successive a La.Pa. si poteva solo imputare l'intenzione e il tentativo di aggredire nuovamente Mu.Fi. dopo che questi gli aveva risposto per le rime restituendo i colpi ricevuti e, quindi, in un contesto che comunque non era più di aggressione unilaterale, risultando, quindi, l'intervento di estrema e cruenta violenza posto in essere in quel frangente dall'imputato, motivato unicamente dall'intento di punire La.Pa. per avere osato alzare le mani su suo cugino, essendo irrilevante che La.Pa. fosse stato a sua volta provocato o meno da Mu.Fi. Aggiunge la Corte territoriale che, nel discernere i veri motivi che determinavano Mu.Al. ad agire nel modo in cui ha agito, non può non pesare anche il dato della sua piena consapevolezza del legame lato sensu familiare tra i due litiganti (essendo la sorella di La.Pa. fidanzata da cinque anni con Mu.Fi.) e il fatto che lo stesso Mu.Al. avesse contezza dell'origine e del motivo della lite scoppiata tra i due cognati. Rileva, quindi, che rivalutato il fatto nelle sue giuste proporzioni, ad un'innocua scazzottata tra cognati (coetanei ed entrambi disarmati, che si conoscevano da anni e non erano soli a fronteggiarsi, perché erano presenti decine di ragazzi, alcuni dei quali erano già intervenuti con successo per disarmarli), l'imputato reagiva "punendo" uno dei due litiganti nel modo più atroce ed efferato e cioè sbudellandolo, prima, e poi, quando ormai la vittima, già gravemente ferita, non era più in condizioni non solo di nuocere ma neppure di opporre un'efficace difesa, scannandolo come si farebbe con un capretto; e così manifestando in modo eclatante un'indole violenta e innate pulsioni criminali, tanto più se valutate alla luce della mancanza di un effettivo stato d'ira. Aggiunge il provvedimento in esame che appare evidente, come colto dall'appello della parte civile, una faglia nel ragionamento logico del primo Giudice, in quanto lo stesso, pur scomponendo la condotta dell'imputato in diversi segmenti, non coglie l'evidente discontinuità che separerebbe il primo segmento, quello in cui Mu.Al. si avventa contro La.Pa. per colpirlo con semplici pugni, dal successivo, incentrato sui fendenti all'addome, e ancor più dal terzo e ultimo segmento, culminato con la manovra di scannamento della vittima, fasi, queste, nelle quali l'intenzione e la determinazione di uccidere emergono in tutta la loro evidenza e virulenza, ormai sganciate da qualsiasi impulso o finalità di protezione del cugino, non avendo l'imputato altro intento che quello di annientare La.Pa., reo di avere alzato le mani sul suo protetto, benché già diffidato dal farlo. Conclude che il senso di protezione su cui fa leva il Giudice di primo grado sarebbe comunque insano, malato proprio perché si rivela essere la proiezione di una personalità narcisistica, smaniosa e, quindi, alla ricerca di occasioni per poter affermare la sua superiorità e il suo valore attraverso la sopraffazione del nemico. Osserva, inoltre, la Corte territoriale, con riguardo al presupposto da cui muove la Corte di assise di Palermo per addivenire all'esclusione dell'aggravante, ossia che tra l'imputato e la vittima non vi erano precedenti motivi di astio, che al più tale circostanza potrebbe valutarsi come una ragione di più per convenire sul fatto che Mu.Al. cercasse solo un pretesto per sfogare la sua indole violenta, che nulla ha a che vedere con effettive e sincere finalità di protezione. Infondata è anche la censura secondo cui i giudici della Corte di assise di appello si sarebbero sforzati di delineare un profilo della vittima niente affatto corrispondente alle emergenze processuali. Ci si riferisce, in particolare, al dato secondo cui La.Pa. avrebbe aggredito Mu.Fi. in preda ai fumi dell'alcool e della cocaina. La Corte, a tale riguardo, osserva che, a parte il fatto che per ammissione dello stesso imputato, La.Pa. non era più alticcio di quanto lo fossero egli stesso e il cugino Mu.Fi., se è vero che l'azione combinata di alcol e droga può avere l'effetto di allentare i freni inibitori, nel caso in esame il comportamento di La.Pa. non denotava fin dall'inizio uno stato di sovraeccitazione o di obnubilamento da ebbrezza alcolica (invero, parlava, dopo essersi informato dell'accaduto, con il buttafuori che aveva litigato col cognato, si adoperava per farli riconciliare, e successivamente prendeva sottobraccio Mu.Fi. e la sorella La.Gi. per andare a parlare in disparte e con maggiore tranquillità, senza altro scopo che evitare che la lite col buttafuori avesse ulteriori strascichi). Aggiunge che, pertanto, non può trarsene argomento per sostenere che siano stati l'alcol e la droga a far perdere il controllo a La.Pa. e spingerlo ad aggredire Mu.Fi. e non piuttosto il comportamento irriverente, il tono e il contegno di sfida da quest'ultimo assunto negli istanti che precedono la zuffa e persino le battute ingiuriose profferite al suo indirizzo. E', quindi, evidente che nel caso in esame la Corte territoriale, diversamente da quanto infondatamente lamentato dai difensori, non è incorsa in alcuna violazione di legge e in alcun vizio motivazionale anche come travisamento probatorio (travisamento, che neppure emergerebbe dalla sentenza di assoluzione prodotta, peraltro non passata in giudicato e quindi non utilizzabile ai sensi 238-bis cod. proc. pen., facente leva sulla mera imprevedibilità da parte di Mu.Fi. della reazione armata del cugino). Quanto a quest'ultimo profilo, va osservato, come da ultimo ribadito da Sez. 5, n. 4715 del 15/10/2019, dep. 2020, che "il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione". 2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L'imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili La.Ca., La.Gi. e Ze.An., Comune di T, Comune di C, La.Ma. e Lo.Ma., che si ritiene equo liquidare, in considerazione dell'impegno professionale profuso dai difensori e del numero di parti civili assistite dallo stesso difensore, come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili La.Ca., La.Gi. e Ze.An., che liquida in complessivi Euro 7.500, oltre accessori di legge; Comune di T e Comune di C, che liquida in complessivi Euro 4.500, oltre accessori di legge; La.Ma. e Lo.Ma., che liquida in complessivi Euro 4.500, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Relatore Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CURAMI Micaela Serena - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: De.Ek. nato il (omissis) avverso l'ordinanza del 14/09/2023 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI; lette, nel procedimento a trattazione scritta, e conclusioni del PG, MARIAEMANUELA GUERRA, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni rassegnate con memoria dall'avv. AN.SI., difensore del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento dell'impugnazione; RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa il 14 settembre 2023, il Tribunale di Napoli ha accolto l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord avverso l'ordinanza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord il 10 giugno 2023 con cui - con riferimento alla posizione di De.Ek., indagato per il reato di concorso in tentato omicidio aggravato in danno di Se.Ra. e Se.Vi. (capo A) e per il reato di rissa aggravata (capo B) - aveva parzialmente accolto la richiesta di applicazione di misura cautelare custodiale avanzata dal Pubblico ministero e, riqualificato il reato sub A) ai sensi degli artt. 112, 583, 585, 61, n. 11, cod. pen., aveva applicato all'indagato la misura degli arresti domiciliari. Il Tribunale, in accoglimento dell'appello, ha diversamente qualificato il fatto sub A), riconsiderandolo quale tentato omicidio, e ha applicato all'indagato la misura della custodia cautelare in carcere, con sospensione bell'esecuzione del provvedimento fino alla definitività dello stesso. 1.1. Il Giudice per le indagini preliminari, determinandosi sul punto cruciale, dopo aver ricostruito l'episodio, aveva ritenuto che il primo reato andasse qualificato come reato di lesioni volontarie, non apprezzando come sussistente il profilo oggettivo e quello soggettivo del tentato omicidio, giacché, valutando gli elementi disponibili, aveva valorizzato il carattere superficiale delle ferite da taglio e la natura accidentale dei colpi di pistola esplosi dal concorrente Fa., in quanto determinati dal suo tentativo di recuperare l'arma. 1.2. Il Tribunale, valutando l'appello proposto dal Pubblico ministero, ha invece optato per la diversa qualificazione di tentato omicidio da annettere al reato e ne ha tratto il corollario, considerato consequenziale, in punto di valutazione di esigenze cautelari e di misura necessaria per il loro contenimento. 2. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso il difensore di De.Ek. chiedendone l'annullamento e affidando il mezzo ad un unico, articolato motivo con cui lamenta il vizio della motivazione in relazione all'applicazione dei parametri indicati dall'art. 273 cod. proc. pen., il travisamento della prova e la violazione dell'art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. La difesa censura l'equiparazione della posizione dell'indagato con quella dell'altro indagato Fa., destinatario di ordinanza applicativa della misura custodiale carceraria, del tutto apodittica essendo stata tale assimilazione, che aveva confuso la posizione di De.Ek., da vittima dell'agguato messo in opera dai Se. a pianificatore di un atto aggressivo ai loro danni. In tal senso, la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice per le indagini preliminari, sulla scorta della chiara ricognizione delle immagini registrate dalle videocamere in loco, aveva dato conto che erano stati i Se. a placare l'indagato che chiamato in aiuto il fratello, senza che sussistesse alcuna prova che questi detenesse una pistola, da lui usata nello scontro con i Se.. Nessuna sfida, dunque, aveva accettato l'indagato: piuttosto, egli era stato aggredito e aveva chiamato il fratello, il quale lo aveva raggiunto e, nel corso dell'aggressione da loro patita, era stato quest'ultimo ad aver esploso un colpo di pistola, ma tale circostanza rappresentava un fatto non imputabile al ricorrente. Quanto alle lesioni da lui cagionate a Se.Ra., esse, secondo la difesa, erano state l'esito del suo atteggiamento difensivo, finalizzato a impedire a costui di impossessarsi della pistola che intanto Fa. aveva fatto cadere in terra; per la stessa ragione l'azione difensiva era stata estesa contro Se.Vi.. In ogni caso, l'assenza della volontà omicida era dimostrata dal fatto che, recuperata la pistola, i due indagati erano fuggiti senza usare l'arma: ciò si afferma in quanto dai filmati dimostrava che la ricostruzione del Tribunale era frutto di illazioni e non aveva tenuta logica. Inoltre, la difesa sottolinea che la misura cautelare applicata dal Giudice per le indagini preliminari era quella adeguata e proporzionata al fatto, comunque qualificato, considerata anche l'assenza di precedenti penali e giudiziari a carico di De.Ek., non essendo del resto prospettabile una nuova contesa del tipo di quella in cui si era verificato l'episodio oggetto di procedimento. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell'art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre del 2020, n. 176, come richiamato dall'art. 16 d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, nonché, ulteriormente, dall'art. 94, comma 2, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, poi modificato dal d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, ha chiesto il rigetto del ricorso: i giudici dell'appello cautelare hanno chiarito i tratti salienti dell'aggressione compiuta, con coltello e pistola, dai coindagati ai danni dei due antagonisti, con modalità sintomatiche del dolo omicidiario, quanto meno alternativo, desumibile anche dal numero dei colpi esplosi con l'arma da fuoco. 4. Il difensore dell'indagato ha rassegnato memoria t concludendo per l'accoglimento del ricorso ed evidenziando che occorre distinguere fra la posizione di De.Ek. e la posizione del coindagato Fa., il quale aveva peraltro esploso un colpo di pistola a scopo intimidatorio, prima di far cadere in terra l'arma, nonché ribadendo che la partecipazione di De.Ek. alla colluttazione era avvenuta in prospettiva soltanto difensiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'impugnazione non è ammissibile. 2. Giova rilevare che il Tribunale ha premesso che già nel procedimento cautelare relativo alla posizione di Fa. si era pervenuti alla conclusione della sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato di tentato omicidio, non di lesioni personali. Da un lato, l'analisi delle immagini ritratte dalle telecamere in funzione sul luogo del fatto e, dall'altro, la considerazione delle ferite che nello scontro avevano riportato Se.Ra. e Se.Vi. hanno condotto i giudici dell'appello cautelare a ritenere sussistente la gravità indiziaria relativamente al più grave delitto di tentato omicidio: Se.Ra. aveva riportato una ferita da arma da fuoco alla coscia destra, una ferita da arma da taglio alla coscia destra, una ferita lacero-contusa all'emitorace destro e altre due piccole ferite lacero-contuse sempre all'emitorace destro; Se.Vi. aveva riportato una lesione all'ipocondrio sinistro, sanguinante con ematoma, e ferita di parete addominale anteriore. Dalla ricostruita dinamica era risultato che l'attuale indagato aveva sollecitato l'intervento del fratello per affrontare i Se. con il suo ausilio. Entrambi i fratelli erano, quindi, andati armati allo scontro e, mentre l'attuale indagato aveva ferito entrambi i Se. con il coltello, Fa. aveva esploso un colpo di pistola che aveva attinto Se.Ra. L'uso coordinato delle armi è stato interpretato come elemento dimostrativo del fatto che i coindagati si erano risolti ad aggredire, con l'impiego di quegli strumenti, i Se., dopo averli cercati, ed essi lo avevano fatto essendo consapevoli di tutte le conseguenze che avrebbero potuto determinarsi. La gravità indiziaria inerente alla posizione dell'indagato è stata, in tal senso, individuata nel suo pieno coinvolgimento nella rissa e nel concorso nel tentativo di omicidio per avere egli istigato il complice, allertandolo e poi raggiungendolo per sfidare i Se., per essersi, a sua volta, armato, al pari del fratello, per essersi poi posto alla ricerca degli antagonisti e per avere, infine, nella colluttazione, attinto ripetutamente gli avversari con il coltello: in particolare, l'imputato aveva colpito Se.Ra. per consentire a Fa. di recuperare la pistola, da quest'ultimo successivamente utilizzata per esplodere i tre colpi in direzione della vittima; in questo modo, l'imputato aveva svolto la funzione di supporto al concorrente, intervenendo attivamente in suo aiuto. Il modificato inquadramento giuridico del reato sub A) ha indotto il Tribunale a considerare inadeguata la misura degli arresti domiciliari in luogo della misura coercitiva inframuraria; il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è stato reputato sussistente in grado rilevante, convergendo in tal senso l'indole violenta dell'indagato, il ruolo per nulla marginale da lui giocato nella commissione del tentativo di omicidio e il collegamento del medesimo con ambienti criminali, desumibile dalla capacità di procurarsi l'immediata disponibilità di armi. Il complessivo compendio valutato ha anche indotto il Tribunale a ritenere tutte le misure diverse dalla custodia inframuraria inadeguate, allo stato, rispetto al fine di assicurare la tutela delle esigenze cautelari emerse. In effetti, i giudici dell'appello cautelare hanno giustificato la riqualificazione imperniando il loro ragionamento sulla base dell'articolato inquadramento della dinamica dell'episodio, inquadramento coerentemente sfociato nella considerazione della sussistenza della gravità indiziaria del concorso da parte dell'indagato nel tentativo di omicidio: e tale concorso è stato reputato indicativo dell'allarmante pericolosità anche di questo concorrente, pur se lo sviluppo dell'azione aveva contemplato come atto più grave quello dell'esplosione dei colpi di pistola da parte del di lui fratello all'indirizzo di Se.Ra. È, poi, vero che la sostituzione della misura cautelare non costituiva conseguenza derivante in modo automatico dalla nuova qualificazione del reato sub A), ma è parimenti certo che la sua necessità è stata, in concreto, giustificata in modo congruo e coerente, in relazione agli indicatori di pericolo espressi dalla condotta e dalla personalità dell'indagato. 3. A fronte del richiamato percorso argomentativo, il ricorso si presenta in larga parte orientato alla rivalutazione degli indizi e - sebbene la difesa si sia sforzata di negarlo - incline a prospettare l'apprezzamento alternativo in forza di diversi contenuti di merito. 3.1. In particolare, tutte le considerazioni svolte dal ricorrente, sia nell'atto di impugnazione, sia nella susseguente memoria, al fine di fornire un'interpretazione dell'azione aggressiva - diversa da quella adeguatamente illustrata dai giudici del merito cautelare - sulla scorta di un'alternativa analisi delle immagini fissate dalle telecamere in funzione sul luogo del fatto sfociano in modo evidente nella rivalutazione di merito del quadro indiziario: ambito inibito al vaglio di legittimità. La condotta dell'indagato, per come ripresa nel filmato registrato dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, analizzata dal personale di polizia giudiziaria e poi delibata dal giudice del merito cautelare, integra il riferimento a un elemento idoneo a possedere la valenza dell'indizio grave, oltre che preciso, a suo carico. Soprattutto, per quel che qui rileva, anche la valutazione di questo è rimessa al giudice di merito, con esito che, se sorretto da congrua e non illogica motivazione, non è censurabile in cassazione (v. per riferimenti a fattispecie analoga Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, Impolito, Rv. 277013 - 01). Di conseguenza, la lettura della condotta di De.Ek. patrocinata dalla difesa -in senso primariamente difensivo e, comunque, priva di intento omicida, comunque in termini nettamente scissi da quella inerente alla posizione del coindagato Fa. - non può non essere relegata, in relazione all'analizzato compendio indiziario, all'ambito escluso dalla verifica di legittimità. 3.2. Poi, la critica mossa dal ricorrente, con la contestazione della necessità - ritenuta dai giudici dell'appello cautelare - di rivalutare lo spessore delle esigenze cautelari, di carattere specialpreventivo, per gli effetti relativi all'individuazione della misura adeguata a tutelarle, si profila meramente confutativa. Essa, limitandosi ad affermare l'assenza di automatismo tra aggravamento della fattispecie delittuosa e aggravamento della misura cautelare, risulta aspecifica, in quanto non affronta il nucleo del discorso giustificativo esposto dal Tribunale, volto a sottolineare, in modo articolato, l'emersione del più alto grado di pericolosità da riconnettersi alla posizione di De.Ek., in ragione dell'accertata spregiudicatezza connotante la condotta dell'indagato, le cui modalità e circostanze sono state valutate, con argomentazioni congrue e coerenti, come indicative di una personalità priva di freni inibitori, a livello tale che, nel contesto dato, si è considerato che esclusivamente la misura custodia le carceraria risulta idonea a contenere il concreto e attuale pericolo del suo dispiegamento deviante. Non è superfluo, in tale snodo, ribadire che il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.) deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, in relazione ai canoni della logica e ai principi di diritto, sempre in relazione al contenuto argomentativo del provvedimento impugnato, ma non può accedere alle censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (per tutte, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 - 01). 3.3. Posto quanto precede, diviene conseguente concludere che il Tribunale del riesame, in sede di appello, ha esposto con motivazione adeguata e lineare la soluzione avversata dal ricorrente: e, una volta assodata l'adeguatezza della motivazione resa dai giudici dell'appello cautelare, deve considerarsi incensurabile la conseguenza trattane in punto di nuova individuazione della misura cautelare, dopo che il Pubblico ministero aveva sollevato specificamente la questione della qualificazione del fatto oggetto dell'imputazione provvisoria e degli effetti da farne derivare in tema di apprezzamento del grado delle esigenze cautelari da presidiare. Siccome questo approdo è stato contestato da De.Ek. in modo rivalutativo e generico, l'atto di impugnazione non supera il vaglio di ammissibilità. 4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 elei 2000) - di una somma alla Cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in euro tremila. Determinando la presente decisione l'assunzione di efficacia, per la raggiunta definitività, del provvedimento impugnato, segue la disposizione alla cancelleria di dare corso agli adempimenti di cui all'art. 28 del Regolamento di esecuzione del codice di rito. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen. Così deciso il 30 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Rel. Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Cu.Ni., nato a M il (Omissis), avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina emessa in data 07-06-2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Tomaso Epidendio, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell'avv.to Gi.Cu., difensore dell'imputato, con cui insiste nei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale di Messina in data 18-10-2022 in composizione monocratica, che aveva condannato Cu.Ni. a pena d giustizia per aver partecipato ad una rissa in cui ciascuno dei partecipanti riportava lesioni personali, in S il 22-09-2019. 2. In data 21-06-2023 Cu.Ni. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Gi.Cu., deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.: 2.1 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità, decadenza, in riferimento all'art. 601, comma 3, cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606, lett. c) cod. proc. pen., in quanto, a seguito di irreperibilità dell'imputato, il decreto di citazione per il giudizio di appello era stato notificato ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., presso il difensore, il quale avanzava istanza di trattazione orale nel termine di giorni quindici dalla notifica del decreto di citazione all'imputato, nonostante non fossero stati rispettati termini a comparire di cui all'art. 601, comma 3, cod. proc. pen.; la Corte di merito ha rigettato l'istanza ritenendola tardiva, con conseguente nullità della sentenza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'art. 52 cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., non essendo stata riconosciuta la legittima difesa, considerato che la motivazione risulta in contrasto con il testimoniale, in assenza di immagini riprese all'interno del bar, essendo state solo parzialmente riprese le immagini dell'esterno; in particolare, Pu.Iv. e De.An., che avevano assistito ai fatti, hanno riferito dell'aggressione subita dall'imputato da parte del Ba.Cr., ma tali dichiarazioni sono state travisate dalla Corte di merito; anche il teste Da.Gi. ha riferito di come l'imputato fosse stato sopraffatto, all'interno del bar, dall'aggressione di un individuo, dalla quale, quindi, aveva la necessità di difendersi, non potendo fuggire; in tale fase, inoltre, la vicenda aveva coinvolto solo due persone, tanto è vero che la altre due persone presenti, Da.Gi. e To.Fr., non sono mai state coinvolte nell'imputazione, mentre non è possibile considerare attendibili i testi che erano in compagnia del Ba.Cr. e del Ca.Ga.; né risulta chiara l'identità dell'individuo che per primo aveva aggredito l'imputato all'interno del bar, considerato che il To.Fr. ha riferito che a tale aggressione aveva preso parte anche il Ca.Ga., il che dimostra, in ogni caso, come l'imputato fosse stato aggredito, trovandosi, quindi, nella necessità di difendersi; 2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen., quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 588, comma secondo, cod. pen., fondata sulle deposizioni dei testi De.An. e Pu.Gi., benché quest'ultimo avesse dichiarato di essersi trovato troppo lontano per notare se alcuno avesse riportato delle ferite; la deposizione del Da.Gi., inoltre, risulta palesemente contraddittoria, avendo egli dapprima negato di aver visto alcuno dei soggetti coinvolti sanguinare e poi, incalzato dal pubblico ministero, aveva genericamente affermato detta circostanza; alla luce dell'inattendibilità dei testi e della carenza di immagini registrate, quindi, non appare possibile configurare la contestate aggravante, con conseguente necessità di rideterminare nel minimo la pena; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen., quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla luce dell'incensuratezza dell'imputato ed al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 2 cod. pen., atteso lo stato d'ira dell'imputato, messo alle strette senza alcuna ragione. 3. In data 26-12-2023 sono pervenute conclusioni scritte a firma del difensore dell'imputato, con cui ci si riporta ai motivi di ricorso e se ne chiede l'accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di Cu.Ni. è inammissibile. Quanto al primo motivo, come condivisibilmente osservato dal Procuratore generale, risulta che la difesa aveva depositato, in grado di appello, memoria in data 07-06-2023, senza nulla eccepire in merito alla mancata trattazione orale del ricorso, né in merito al mancato rispetto del termine per il giudizio e, trattandosi di eccezioni a regime intermedio, i relativi vizi risultano sanati; pertanto, l'eccezione in sede di legittimità è, senza alcun dubbio, tardiva (Sez. 2, n. 48275 del 20-10-2023, (Omissis), Rv. 285585; Sez. 5, n. 43782 del 17-10-2023, (Omissis), Rv. 285774). Il secondo ed il terzo motivo risultano palesemente versati il1 fatti, tesi ad una ricostruzione alternativa della vicenda, attraverso una diversa valutazione dell'attendibilità dei testi, operazione del tutto estranea al giudizio di legittimità. Come si evince dalla motivazione delle sentenze di merito, la dinamica dei fatti appare chiaramente descritta dai testi Pu.Iv. e De.An., entrambi dipendenti del bar all'interno del quale si era svolto l'accaduto: entrambi avevano ricordato l'ingresso di un gruppo di quattro o cinque ragazzi, uno dei quali litigava ed aggrediva un uomo che già si trovava all'interno della sala delle slot machines, in compagnia, a sua volta, di altro soggetto. I due si erano azzuffati e da ciò era scaturita una vera e propria rissa, svoltasi all'esterno del bar, in cui erano coinvolti anche gli altri ragazzi che erano entrati nel locale. Dichiarazioni analoghe erano rese da Pu.Gi., che aveva assistito all'ingresso del gruppo di giovani nel bar mentre egli si trovava nel parcheggio, udendo, subito dopo, delle grida dall'interno del locale, per cui si era reso conto che era scoppiata una rissa ed aveva visto i quattro ragazzi lasciare il bar insieme ad altri due uomini, proseguendo l'aggressione tra i due gruppi contrapposti al di fuori del bar; il teste ricordava che uno dei due uomini presentava una ferita sanguinante sulla guancia ed anche il più robusto dei quattro ragazzi sanguinava all'altezza del naso e della bocca. Anche il teste To.Fr. riferiva che, insieme all'amico Da.Gi. e su richiesta di quest'ultimo, dopo aver trascorso la serata in discoteca, aveva dato un passaggio in auto a Ba.Cr. ed a Ca.Ga., e che si erano fermati al bar CH di S , dove lui aveva acquistato le sigarette, andando, poi, a fumare all'esterno, mentre gli altri prendevano un caffè; in quel frangente sentiva delle urla e, rientrato nel bar, assisteva ad un litigio tra il Ba.Cr. ed il Ca.Ga., da una parte, ed il Cu.Ni., dall'altra, mentre il Da.Gi. cercava di separare i tre che, tuttavia, continuavano ad insultarsi, anche al di fuori del bar; qui, in particolare, il Cu.Ni. continuava a provocare il Ba.Cr., che non reagiva, e colpiva con un pugno al volto il Ca.Ga., che reagiva a sua volta, ferendo il Cu.Ni.; dopo essersi allontanati dal bar, i quattro si fermavano in una piazza poco lontana, dove il Ca.Ga. si lavava il viso, ma venivano raggiunti dal Cu.Ni. e dal Mu. e, quindi, ricominciavano le provocazioni e la lite tra il Ba.Cr. ed il Ca.Ga. da una parte, ed il Cu.Ni. ed il Mu. dall'altra. Anche il Da.Gi. rendeva dichiarazioni dello stesso tenore, ricordando di aver visto, all'interno del bar, il Cu.Ni. che aveva aggredito il Ba.Cr. allorquando questi si era allontanato per recarsi in bagno. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza consentivano, inoltre, di verificare come, all'esterno del bar, fosse dapprima arrivata una vettura con a bordo il Ba.Cr., il Ca.Ga., il Da.Gi. ed il To.Fr., nonché l'accesa lite all'esterno del bar, allorquando si vedeva il Cu.Ni. ed il Ca.Ga. discutere animatamente: in particolare, il Ca.Ga. spingeva il Cu.Ni., che gli sferrava un pugno innescando la rissa, a cui partecipavano anche il Ba.Cr. ed il Mu., mentre il Da.Gi. ed il To.Fr. cercavano di separare i corissanti. Già il primo giudice, quindi, aveva evidenziato come i fatti si erano svolti in due fasi, essendo sorta dapprima una violenta contesa all'interno del bar, che aveva costituito l'innesco della vera e propria rissa, svoltasi all'esterno del locale e riprodotta dalle telecamere, secondo la minuziosa descrizione della sentenza di primo grado. La sentenza di appello ha nitidamente escluso la sussistenza della legittima difesa, ricordando come il Cu.Ni., dopo il litigio all'interno del bar, dove era stato aggredito dal Ba.Cr., aveva proseguito la contesa all'esterno ed, anzi, rientrato sanguinante all'interno del bar, aveva chiesto una bottiglia di birra che aveva impugnato in modo da poterla utilizzare per colpire qualcuno, e, subito dopo, aveva afferrato un cavalletto in legno che si trovava all'esterno del bar e lo aveva scagliato contro il Ba.Cr. La sussistenza delle lesioni riportate da due dei corissanti, comprovata dalle immagini riprese e confermate dai testi De.An., Pu.Gi. e Da.Gi., rende palese la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 588, comma secondo, cod. pen. Del tutto immune da vizi rilevabili nella presente sede risulta la motivazione posta a base del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di merito evidenziato la pervicacia nella condotta aggressiva e la pericolosità della stessa, posta in essere in un locale pubblico alle prime luci dell'alba. Quanto all'attenuante della provocazione, essa è normalmente inapplicabile al reato di rissa, in cui la provocazione fra i corissanti è reciproca e si elide vicendevolmente, salvo che l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti sia stata preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall'altro gruppo (Sez. 5, n. 8020 del 13-12-2012, dep. 19-02-2013, (Omissis) ed altro, Rv. 255218; Sez. 1, n. 710 del 14-12-1992, dep. 26-01-1993, (Omissis) ed altri, Rv. 192794); detta ultima circostanza non emerge in alcun modo dallo sviluppo della vicenda descritto in sentenza, e, per la verità, non risultando neanche dedotta dalla difesa. Dall'inammissibilità del ricorso discende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, l'11 gennaio 2024 Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. ROMANO Michele - Relatore Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ku.Ma., nato in A il (Omissis) avverso la ordinanza del 31/10/2023 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Michele Romano; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Giordano, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Firenze ha confermato, ex art. 309 cod. proc. pen., l'ordinanza del 11 ottobre 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno che aveva applicato a Ku.Ma la misura cautelare personale degli arresti domiciliari in quanto gravemente indiziato del reato di rissa aggravata. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso Ku.Ma., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza. Sostiene che dal filmato registrato dall'impianto di videosorveglianza presente sul luogo ove è stato commesso il delitto emerge che non ricorre la presenza di due gruppi di persone che si aggrediscano reciprocamente con l'intento di ledersi, come invece sostenuto dai giudici del merito, in quanto egli era stato dapprima circondato e poi aggredito da tre persone e si era limitato a resistere all'altrui violenza a scopo meramente difensivo; difettano, quindi, l'elemento oggettivo e quello soggettivo del reato che gli viene contestato. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Sostiene che il Tribunale del riesame si è limitato a richiamare sul punto la motivazione del provvedimento coercitivo e che pertanto la motivazione sarebbe meramente apparente; in ogni caso, poi, la motivazione risulta contraddittoria ed illogica, poiché invoca, a sostegno della ricorrenza delle esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc. pen., i precedenti penali dell'indagato, che sono, tuttavia, inerenti a fatti commessi oltre quindici anni prima di quello per cui si procede in questa sede e comunque di indole del tutto diversa, trattandosi, infatti, di reati in materia di sostanze stupefacenti e di reati di evasione. Segnala il ricorrente che il pericolo di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc. pen. deve riguardare reati della stessa specie di quello per cui si procede e nell'ordinanza qui impugnata non sono esplicitati i motivi per i quali la commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti o dei reati di evasione porterebbero a ritenere sussistente il pericolo della commissione di altri reati di rissa o comunque della stessa specie. Nemmeno il Tribunale avrebbe tenuto conto delle sue condizioni sociali e familiari, essendo egli un padre di famiglia e disponendo di una stabile occupazione lavorativa. La misura applicata sarebbe, peraltro, sproporzionata rispetto al ruolo svolto dall'indagato nella commissione del reato di rissa, specie ove si consideri che egli, aggredito da tre persone, aveva riportato una grave ferita al ventre prodotta da una coltellata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si fonda su una ricostruzione fattuale diversa da quella operata dai giudici del merito ed alla quale dovrebbe pervenirsi sulla base di una differente valutazione del materiale istruttorio - ed in particolare del filmato registrato dall'impianto di videosorveglianza - non consentita in questa sede di legittimità. 2. Il secondo motivo di ricorso è fondato. Il pericolo di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc. pen. deve riguardare gravi delitti caratterizzati dall'impiego di armi o di altri mezzi di violenza personale oppure altri reati della stessa specie di quello per cui si procede. Ai fini dell'individuazione dell'esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, di cui all'art. 274, lettera c), cod. proc. pen., come modificato dalla Legge n. 47 del 2015, la pericolosità sociale dell'indagato è desunta congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità (Sez. 3, n. 1166 del 02/12/2015, dep. 2016, Luppino, Rv. 266177). Nell'ordinanza impugnata, per giustificare l'applicazione della misura coercitiva, si fa riferimento all'atteggiamento aggressivo tenuto dal Ku.Ma. nel corso della rissa ed ai suoi precedenti penali, ma non vengono esplicitate le ragioni per le quali dai reati di evasione e dai reati in materia di sostanze stupefacenti, per i quali il ricorrente ha già riportato condanna anni fa, dovrebbe evincersi un attuale e concreto pericolo della commissione di altri reati di rissa o comunque della stessa specie di quello per cui si procede o caratterizzati dall'impiego di armi o dalla violenza alla persona. 3. Ne deriva che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Firenze per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze. Così deciso in Roma il 13 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere Rel. Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Jo.Mi., nato a M il giorno (Omissis), Si.Lu., nata in Romania il giorno (Omissis), Jo.Fa., nato a R il (Omissis), Lo.Cr., nato in Romania il (Omissis), avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 29-05-2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; letta la requisitoria scritta presentata ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paola Mastroberardino, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del Tribunale di Milano in data 19 aprile 2022, Jo.Mi., Si.Lu., Jo.Mi., Lo.Cr. e Ra.Ma. furono condannati, con la recidiva reiterata e infraquinquennale, alla pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli del delitto di cui agli artt. 588 cod. pen., per avere partecipato in concorso ad una rissa in cui Lo.Cr., Jo.Mi. e Jo.Mi. avevano riportato lesioni personali lievissime. 2. Con sentenza in data 29 maggio 2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolse Ra.Ma. dal reato ascrittole, confermando nel resto le precedenti statuizioni. 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione Jo.Mi. e Si.Lu. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Ro.Pe., deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 588 cod. pen., nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, le dichiarazioni rese dagli operanti sarebbero state difficoltose nell'esposizione, contraddittorie e lacunose, tali da non poter costituire prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto. Gli stessi elementi di riscontro esterno indicati a pagina 7 della sentenza di appello dimostrerebbero: quanto ai verbali di pronto soccorso, che Jo.Mi. e Jo.Mi. erano stati aggrediti; quanto ai verbali di perquisizione e sequestro, che le armi improprie erano state trovate, nell'immediatezza, solo nella disponibilità dei Lo.. Quanto a Si.Lu., nulla si leggerebbe in sentenza a proposito della sua posizione. In ogni caso, ella, così come Jo.Mi., si sarebbe difeso dall'aggressione dei Lo.., i quali, come riconosciuto dalla Corte di appello a pagina 7 motivazione avrebbero dato inizio alla rissa, organizzando una spedizione punitiva ai danni dei rivali per questioni legate indirettamente a Ra.Ma. Quanto, poi, all'affermazione secondo cui i due non avrebbero fatto nulla per evitare la rissa, preferendo lo scontro, essa dimenticherebbe che essi dimoravano in (omissis), sicché una via di fuga non poteva esserci, trovandosi essi già nella propria abitazione. Né varrebbe quanto affermato a pagina 10 della sentenza, ovvero che le dichiarazioni di Jo.Mi. "dimostrano che lo scontro nacque non tanto per difendere la libertà di Ra.Ma., quanto per l'inclinazione delle parti all'uso della forza e della violenza quale strumento per definire i rapporti sociali". 3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza della scriminante della legittima difesa. Dopo avere premesso che la rissa aveva avuto inizio per volontà dei Lo., i quali avrebbero organizzato una spedizione punitiva ai danni di Jo.Mi. e Jo.Mi. per questioni legate indirettamente alla Ra.Ma. (pagina 7 della motivazione) la Corte di appello, contraddittoriamente, affermerebbe "tutti i presenti abbiano preso parte attivamente al tafferuglio", laddove Jo.Mi. e Jo.Mi., accerchiati dai rivali muniti di armi improprie, si sarebbero limitati a difendersi, senza alcuna volontà aggressiva, rimasta del tutto indimostrata, secondo quanto emergerebbe dalle testimonianze degli operanti Da. e Sc.. Né varrebbe richiamare il litigio occorso due giorni prima tra Lo.Cr. e Jo.Mi. per questioni legate a Ra.Ma., fidanzata di Jo.Fa.; episodio che escluderebbe la legittima difesa di Jo.Mi. e Jo.Mi., i quali, pur aspettandosi un'ulteriore aggressione, non avrebbero fatto nulla per evitarla, posto che essi abitavano nell'immobile nel cui cortile erano stati aggrediti. Quanto a Si.Lu., nessuno, tantomeno il teste Pr., l'avrebbe vista partecipare in qualche modo alla zuffa. 3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 2, cod. pen. Richiamato l'orientamento che ammette la configurabilità della provocazione in caso di rissa quando l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti "sia stata preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall'altro gruppo", il ricorso lamenta che Jo.Fa. avesse tentato di arginare, con modalità lecite, le pretese dei Lo. e che l'azione criminosa fosse stata organizzata e posta in essere due giorni dopo la prima aggressione. 3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante il positivo comportamento processuale di Jo.Mi., sottopostosi ad interrogatorio. La circostanza che egli non abbia offerto un contributo alla ricostruzione dei fatti, come affermato nella sentenza impugnata, non potrebbe essere, al contrario, valorizzata, considerato che l'imputato avrebbe finanche diritto di mentire nel processo, senza che da ciò possano derivargli conseguenze negative. 3.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla eccessività della pena, determinata in misura non vicina ai minimi edittali senza alcuna spiegazione e senza differenziare la posizione dei due imputati rispetto a quella dei Lo., a causa dei quali, secondo la Corte di appello, la rissa avrebbe avuto inizio. 4. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Jo.Fa. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Gu.Pa., deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 4.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 588 cod. pen. Infatti, secondo la sentenza impugnata l'aggressione sarebbe stata portata dai Lo., mentre Jo.Mi. e Jo.Mi. non avrebbero fatto nulla per evitarla. Tuttavia, dal momento che i due gruppi erano vicini di casa, Jo.Mi. e Jo.Mi. non avrebbero potuto "cambiare" casa per evitare lo scontro. Inoltre, se si accettano le dichiarazioni auto-confessorie di Jo.Fa., queste dovrebbero essere prese nel loro totale contenuto e, dunque, anche laddove egli aveva affermato di avere solo cercato di proteggere i propri familiari levando dal campo una delle armi portate dai Lo., "distraendo" il gruppo e compiendo il danneggiamento dell'auto. Gli stessi operanti, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata alle pagine 7 e 8, parlerebbero di "parapiglia", senza specificare che gli uni stessero picchiando gli altri e viceversa. Ciò non smentirebbe la versione difensiva secondo cui Jo.Mi. e Jo.Mi. si siano semplicemente difesi, non avendoli i testimoni visti colpire qualcuno dei Lo. ed avendo l'imputato colpito unicamente la loro autovettura. Tutto il gruppo di Jo.Mi. e Jo.Mi., quindi, dovrebbe "beneficiare" della legittima difesa, anche in considerazione delle poche lesioni subite dal gruppo dei Lo.. 4.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla aggressione di Jo.Mi. da parte di Lo., che gli operanti non avrebbero visto, come confermato dagli stralci delle trascrizioni riportate dei verbali di udienza di primo grado. 5. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche Lo.Cr. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Do.Ma., deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 5.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento della particolare tenuita del fatto. La Corte ometterebbe di considerare che: 1) le lesioni erano state lievissime; 2) Lo.Cr. non avrebbe usato alcuna arma impropria; 3) egli sarebbe stato aggredito dall'altro gruppo e, solo dopo, avrebbe reagito. Dunque, l'imputato avrebbe rivestito un ruolo marginale, tenendo una condotta assolutamente occasionale: elementi che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare. 5.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale per intervenuta prescrizione del reato. Lo.Cr. ha commesso il reato in data 10 aprile 2015, mentre la sentenza impugnata, emessa in data 29 maggio 2023, sarebbe intervenuta ben oltre il termine di prescrizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti da Jo.Mi., Si.Lu. e Jo.Fa. sono infondati e, pertanto, devono essere respinti. Il ricorso proposto da Lo.Cr. è, invece, inammissibile. 2. Muovendo dal ricorso presentato nell'interesse di Jo.Mi. e da Si.Lu., i relativi motivi di impugnazione sono complessivamente infondati. 2.1. Con il primo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del delitto previsto dall'art. 588 cod. pen. Invero, dalla ricostruzione fattuale adottata dai Giudici del merito con motivazione conforme nei due gradi di giudizio, è emerso che, come condivisibilmente osservato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, entrambi i gruppi erano animati da un intento aggressivo e che i componenti avevano partecipato attivamente alla colluttazione. Pertanto, anche ipotizzando che l'iniziativa dello scontro fosse stata assunta dai Lo., l'altro gruppo familiare non si era limitato a difendersi, ma aveva assunto un atteggiamento parimenti violento, facendo finanche uso di armi improprie, al pari del gruppo dei rivali. Tale ricostruzione, congrua e logica, non appare in alcun modo scalfita dalle argomentazioni svolte dalla difesa con l'odierno ricorso, che non ha riprodotto, né tantomeno allegato, l'integrale contenuto delle deposizioni di entrambi gli operanti, ma solo uno stralcio di quella del teste Da., palesando, pertanto, un evidente difetto di autosufficienza delle relative prospettazioni. 2.2. La Corte territoriale ha anche evidenziato come l'azione offensiva posta in essere dal gruppo dei Lo. non fosse affatto imprevedibile. Essa, infatti, era stata preceduta, due giorni prima, da un altro scontro con il gruppo di Jo.Mi. e Jo.Mi. I componenti di quest'ultimo, dunque, erano ben consapevoli delle intenzioni aggressive dei rivali, alle quali avevano nondimeno reagito, con pari aggressività, in uno spazio aperto, nel quale la fuga sarebbe stata, all'evidenza, possibile. Su tali premesse deve escludersi la fondatezza delle censure difensive mosse con il secondo motivo, con cui la difesa prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della scriminante della legittima difesa. Invero, l'accertamento dei fatti compiuto in sede di merito, come sopra riassunto, non consente di ritenere che gli imputati siano stati vittime di un'aggressione e che, pertanto, siano stati costretti a difendersi, con conseguente inapplicabilità della invocata scriminante, la quale postula, come noto, la necessità della difesa in capo a chi intenda reagire all'offesa ingiusta di cui sia vittima. Va, dunque, richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui è inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i corrissanti sono ordinariamente animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata; essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta (Sez. 5, n. 15090 del 29-11-2019, dep. 2020, (Omissis), Rv. 279085 -01). 2.3. Con il terzo motivo i ricorsi deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione prevista dall'art. 62, n. 2, cod. pen., nonostante le accertate condotte agite da parte dei Lo., che avrebbero dato causa allo scontro. Sul punto, deve essere richiamato, innanzitutto, l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'attenuante in questione è tendenzialmente incompatibile con il delitto di rissa, salvo che l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti sia stata "preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall'altro gruppo" (così Sez.5 , n. 8020 del 13-12-2012, dep. 2013, (Omissis), Rv. 255218 -01). Tuttavia, non è chiaro, nemmeno alla luce dell'odierno ricorso, quali siano state le ragioni "tracotanti e illecite" che avevano portato i Lo. alla scontro. E ciò tanto più ove si considerino le dichiarazioni, sostanzialmente obliterate dal ricorso, con cui Jo.Mi. ha escluso di sapere alcunché della ragazza; con ciò escludendo, pertanto, qualunque relazione causale tra le vicende di Ra.Ma. e la successiva rissa oggetto dell'odierno giudizio. 2.4. Infondato è, poi, il quarto motivo, con cui il ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. I Giudici di merito, infatti, hanno congruamente esercitato il potere discrezionale agli stessi rimesso, dando atto dell'assenza di consistenti elementi suscettibili di un favorevole apprezzamento, i quali, del resto, non sono stati nemmeno prospettati dalla difesa con il presente ricorso. Va, peraltro, ricordato che il riconoscimento delle attenuanti generiche deve essere fondato sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato. Ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17-7-2018, D., Rv. 275440 -01; Sez. 3, n. 9836 del 17-11-2015, dep. 2016, (Omissis), Rv. 266460 -01). 2.5. Quanto, infine, alla violazione di legge e al vizio di motivazione in ordine all'eccessività della pena, le due sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente, hanno offerto adeguata spiegazione della concreta scelta dosimetrica, incentrata essenzialmente sulla complessiva gravità del fatto. Tale riferimento deve ritenersi sufficiente a soddisfare l'onere incombente sul giudice di dare conto delle proprie scelte, anche tenuto conto del fatto che la pena si è attestata su valori prossimi al minimo edittale. 3. Venendo, indi, al ricorso proposto nell'interesse di Jo.Fa., il primo motivo, con cui la difesa deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di rissa, ritiene il Collegio che le censure difensive debbano essere disattese. 3.1. Anche con riferimento a tale ricorso, infatti, le argomentazioni svolte in ricorso non intaccano la puntuale ricostruzione fattuale compiuta dai Giudici di merito, che hanno escluso la tesi difensiva dell'aggressione unilaterale da parte dei Lo. e hanno, invece, valorizzato le condotte attive poste in essere dal gruppo familiare riferibile a Jo.Mi. e Jo.Mi., oggetto di diretta percezione delle Forze dell'ordine intervenute nell'occorso e asseverate dai referti medici che hanno riguardato Lo.Cr.. 3.2. Del pari, le considerazioni svolte con il secondo motivo, con cui vengono dedotti vizi della motivazione in relazione alla prospettata sussistenza della legittima difesa, si infrangono con la ricostruzione fattuale compiuta dal complesso motivazionale delle due sentenze di merito, che hanno efficacemente evidenziato la possibilità per gli imputati di sottrarsi all'occasione di scontro propiziata dai Lo. , escludendo, in tal modo, la inevitabilità altrimenti del pericolo di un'offesa ingiusta. 4. Venendo, infine, al ricorso proposto nell'interesse di Lo.Cr., esso è complessivamente inammissibile. 4.1. Tale è, invero, il primo motivo, con cui il ricorso deduce violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Infatti, le censure difensive si connotano in termini di assoluta genericità, prospettandosi, in maniera assai vaga, la mancata valorizzazione di elementi di fatto asseritamente pretermessi, ma senza confrontare la puntuale motivazione del provvedimento impugnato che, in maniera congrua e con apprezzamento fattuale non sindacabile in questa sede, ha ritenuto di disattendere la richiesta, considerate: le modalità dell'azione, posta in essere anche con l'uso di armi improprie; l'intensità del dolo, che emerge dal fatto che per sedare la rissa è stato necessario l'intervento di più volanti delle Forze dell'ordine; l'entità delle lesioni, tutt'altro che irrisorie (v. pago 10 della sentenza di appello). 4.2. Quanto, in ultimo, al secondo motivo del ricorso di Lo.Cr., secondo cui la prescrizione del reato sarebbe maturata prima della pronuncia della sentenza di appello, la prospettazione difensiva appare manifestamente infondata. A carico dell'imputato, infatti, è stata ritenuta l'aggravante della recidiva reiterata, da cui consegue l'innalzamento della metà del termine necessario affinché il delitto de quo possa prescriversi. Ne consegue, pertanto, che il termine prescrizionale, ad oggi, non è ancora decorso. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi presentati nell'interesse di Jo.Mi., Si.Lu. e Jo.Fa. devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Viceversa, il ricorso proposto da Lo.Cr. deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Rigetta i ricorsi di Jo.Mi., Si.Lu. e Jo.Fa. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di Lo.Cr. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 12 gennaio 2024 Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1) Gr.Mo. nata a G il (omissis), 2) Li.Do. nata a G il (omissis), 3) Li.Gi. nato a G il (omissis), 4) Li.Ni. nato a G il (omissis), 5) Ra.Sa. nato a G il (omissis); avverso la sentenza del 02/05/2023 della Corte di Appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Emanuele Cersosimo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore dei ricorrenti Li.Do., Li.Gi. e Li.Ni., Avv. Da.Li., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito il difensore dei ricorrenti Li.Ni. e Ra.Sa., Avv. Gi.Ve., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito il difensore della ricorrente Gr.Mo., Avv. Fl.Si., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Gr.Mo., Li.Do., Li.Gi., Li.Ni. e Ra.Sa. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 02 maggio 2023 con la quale la Corte di appello di Caltanisetta, ha confermato le condanne inflitte nei confronti dei ricorrenti dal Tribunale di Gela con sentenza emessa in data 02 febbraio 2022. 2. Li.Gi., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stato ritenuto colpevole dei reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione. 2.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. 309/90 nonché vizio di motivazione in ordine all'esistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La motivazione sarebbe carente in ordine alla sussistenza di una stabile struttura associativa ed al ruolo apicale rivestito dal padre Li.Ni.; le conversazioni intercettate avrebbero, infatti, ad oggetto argomenti di natura familiare che i membri della famiglia gli confidavano nella sua veste di capo della famiglia di sangue. La motivazione sarebbe carente anche in relazione alla dimostrazione della sussistenza di stabili canali di approvvigionamento: l'esiguo numero di viaggi effettuati da Li.Gi. e da Ra.Sa. a C, denoterebbe, infatti, che la piazza catanese non era un luogo in cui gli associati si approvvigionavano di stupefacenti in modo stabile e sistematico. A giudizio della difesa sarebbe assente anche il requisito dell'interscambiabilità dei ruoli tra gli affiliati; in particolare il ricorrente, a seguito del suo arresto, non sarebbe stato sostituito dal cognato Ra.Sa., il quale si sarebbe limitato a pagare il debito contratto dal ricorrente nei confronti di Cr.Sa., su incarico del suocero Li.Ni. La difesa ha evidenziato che gli imputati avrebbero rapporti tra loro in considerazione dell'appartenenza al medesimo nucleo familiare ovvero dei rapporti amicali nati in occasione dei colloqui in carcere con i parenti detenuti. La Corte di merito non avrebbe adeguatamente dimostrato l'elemento della continuità dei rapporti e le reciproche interessenze tra gli associati; i contatti con il detenuto Li.Ni. sarebbero, infatti, tutti fondati sul desiderio di avere contatti con il congiunto ristretto in carcere. La motivazione sarebbe carente in ordine al ruolo rivestito da Li.Gi. per la realizzazione degli scopi dell'associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, stante la mancanza di elementi logico-probatori idonei a provare un ruolo attivo del ricorrente. In particolare, lo scambio di battute intercorso tra Li.Ni. e Cr.Sa., nel corso dei colloqui in carcere, sarebbe inidoneo al raggiungimento di un accordo associativo; il primo acquisto di droga si sarebbe verificato otto giorni dopo tale colloquio ed a credito, circostanze che escluderebbero, ad opinione della difesa, che tale acquisto costituisca atto esecutivo di un generico pactum sceleris. Il ricorrente, anche a causa della sua dipendenza dalla cocaina, avrebbe manifestato con i suoi comportamenti, una evidente volontà di non aderire all'associazione di cui il padre sarebbe il promotore mentre Ra.Gi., sarebbe intervenuto solo per saldare il debito contratto dal ricorrente su mandato del suocero Li.Ni. e non per sostituirsi al ricorrente nell'associazione. La difesa ha evidenziato l'insussistenza di alcun riferimento al conteggio ed alla successiva suddivisione dei proventi da spaccio in occasione delle conversazioni intrattenute da Li.Gi. 2.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell'imputato in relazione al reato di cui al capo 2) della rubrica. La Corte territoriale non avrebbe superato con esaustivi elementi logici la tesi difensiva, sostenuta in entrambi i gradi di giudizio, secondo cui gli episodi del 5 e 6 gennaio 2016 non avrebbero riguardato la fornitura di sostanza stupefacente nella misura di ottanta grammi e per la somma di euro 4.700,00 bensì un prestito che Cr.Sa. fece a Li.Gi., nella convinzione che il giovane si fosse presentato dietro incarico del padre. Ad avviso della difesa, non sarebbe strana, come sostenuto dalla Corte, la circostanza secondo la quale il Cr.Sa., soggetto con precedenti per usura e per associazione mafiosa, avrebbe prestato dei soldi a Li.Ni. dal momento in cui è dato di esperienza che tra detenuti di una certa leva vengano ad istaurarsi rapporti fiduciari in ragione dell'affidabilità scaturente dal prestigio criminale. 2.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 D.P.R. 309/90 e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 20) 21) 22) e 23). La motivazione, fondata esclusivamente sul contenuto delle conversazioni intercettate in assenza di sequestri di droga, sarebbe carente quanto alla prova che le conversazioni telefoniche abbiano ad oggetto le sostanze stupefacenti nonché in ordine destinazione delle sostanze stupefacenti oggetto delle cessioni di cui al capo di imputazione, anche e soprattutto in considerazione del fatto che il ricorrente sarebbe un accanito assuntore di sostanze stupefacenti e della mancanza di elementi attestanti la natura consuetudinaria degli incontri. 2.4. Li.Gi., con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 629 comma 1 e 2 e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo 27). La Corte di merito avrebbe desunto la natura estorsiva dell'assunzione del ricorrente da parte della persona offesa dal fatto che tale assunzione sarebbe stata antieconomica e dal fatto che il Fe., nonostante il Li.Gi. non si sia mai recato sul luogo di lavoro, non lo abbia licenziato. Tale affermazione non terrebbe conto del contrasto tra le dichiarazioni della persona offesa e le altre emergenze probatorie. Peraltro, le condotte attribuite al ricorrente sarebbero prive dei requisiti della violenza e minaccia in considerazione del fatto che la stessa persona offesa avrebbe dichiarato di aver accettato "per timore" la proposta della madre di Li.Gi. senza precisare da cosa derivasse tale timore e riferendo di non conoscere il soggetto che aveva accompagnato la donna. I giudici di appello non avrebbero fornito elementi da cui desumere l'esistenza degli ulteriori elementi costitutivi del reato di estorsione (ingiusto profitto con altrui danno); in particolare l'eventuale ammissione alla misura alternativa del collocamento in comunità non sarebbe idonea a causare un danno alla persona offesa in quanto il Fe. non avrebbe corrisposto alcuna somma di denaro per l'attività lavorativa prestata dal ricorrente. Dall'esclusione da parte dei giudici di appello della circostanza aggravante di cui all'art. 7 L. 203/91 discenderebbe l'impossibilità di affermare che l'assunzione del ricorrente presso il proprio autolavaggio sia frutto di una scelta della persona offesa coartata dai comportamenti degli imputati, anche in considerazione che il ricorrente non avrebbe mai fatto alcuna allusione alla cosca del padre Li.Ni. per intimorire la persona offesa. 2.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 10 e 14 della L. 497/4 e vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo 29 della rubrica. La motivazione sarebbe fondata esclusivamente sul contenuto di intercettazione ambientali generiche, ambigue, prive di riscontri esterni e soprattutto in assenza del rinvenimento e sequestro del fucile di cui al capo di imputazione. L'intercettazione posta a fondamento della condanna non dimostrerebbe che la conversazione intercorsa tra il ricorrente e la fidanzata avesse ad oggetto un'arma da fuoco o un altro oggetto, né fornirebbe elementi da cui desumere l'identità del detentore dell'arma. 2.6. Il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 612 comma 2, in relazione all'art. 339 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei capi 30), 31), 32). La condanna in ordine a tali reati, asseritamente commessi in concorso con Ra.Sa., sarebbe fondata su elementi indiziari non gravi né univoci; i giudici del merito si sarebbero limitati ad individuare il movente della condotta criminosa nelle tensioni tra marito ed ex amante di Li.Do. sulla base delle conversazioni intercorse tra quest'ultima ed il Bo. e dell'esito della perizia balistica, senza valutare e confutare la tesi difensiva secondo cui le condotte rubricate sarebbe conseguente ad una rissa in cui era stato coinvolto il Bo. nei giorni precedenti, circostanza emersa nel corso di un colloquio intercorso in carcere tra il ricorrente e il padre. 2.7. Il ricorrente, con il settimo motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 62-bis e 133 cod. pen. e carenza di motivazione in ordine alla determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale ed al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti sulla contestata circostanza aggravante. La Corte avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle attenuanti e determinare una pena più lieve in considerazione della giovane età del ricorrente, dell'influenza nefasta del contesto familiare e della breve durata della condotta ascrittagli. 3. Li.Ni., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stato ritenuto colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. 3.1. Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza dell'ipotizzata associazione a delinquere con le medesime argomentazioni esposte nel primo motivo del ricorso proposto dal figlio Li.Gi. 3.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art 73 D.P.R. 309/90 e mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 2). La Corte di merito non avrebbe adeguatamente valutato e confutato la ricostruzione prospettata nell'atto di appello secondo cui il viaggio a C sarebbe stato giustificato dall'estinzione del debito contratto da Li.Gi. con il Cr.Sa., soggetto con precedenti per usura, e non per attività legate al narcotraffico. La motivazione sarebbe fondata su intercettazioni dal contenuto ambiguo e generico e, quindi, del tutto inidonee a dimostrare la sussistenza dei contestati reati. 3.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art 99 comma 4 cod. pen. e carenza di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva. I giudici del merito avrebbero riconosciuto la sussistenza dell'aggravante della recidiva reiterata basandosi unicamente sui precedenti penali del ricorrente, senza valutare in concreto la situazione personale del ricorrente e senza fornire adeguata motivazione delle ragioni poste a fondamento del riconoscimento della contestata recidiva. 3.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 62-bis e 133 cod. pen. La difesa lamenta l'eccessività della pena inflitta e la mancata concessione delle circostanze attenuanti: i giudici di appello avrebbero omesso di considerare che le condotte contestate al Li.Gi. sarebbero non attuali ed occasionali per via del lasso di tempo intercorso dalla precedente condanna riportata dal ricorrente. 4. Li.Do., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuta colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. La ricorrente, con l'unico motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 nonché motivazione manifestamente illogica in ordine alla penale responsabilità della ricorrente. La sentenza sarebbe priva di adeguata motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, la difesa ha sostenuto tale carenza con le medesime argomentazioni espresse nel ricorso proposto da Li.Gi. cui ci si riporta per evitare inutili ripetizioni. I giudici di appello non avrebbero tenuto in considerazione quanto affermato nell'atto di impugnazione in ordine all'indipendenza manifestata da Li.Gi. nei confronti del padre; all'assenza di espliciti riferimenti alla droga nelle conversazioni intercettate; alla mancata prova dell'acquisto di droga da parte di Li.Gi. ed al ruolo marginale rivestito dalla Li.Do. nelle vicende contestate. La lettura delle intercettazioni escluderebbe che la ricorrente abbia posto in essere condotte causalmente riconducibili all'attività associativa; la stessa avrebbe partecipato, in modo passivo e marginale, ai colloqui intercettati solo in virtù del vincolo familiare che la lega a Li.Ni.; la difesa ha rimarcato, inoltre, la mancanza di intercettazioni telefoniche relative all'utenza della ricorrente e la carenza di prova in ordine all'ipotizzato acquisto di droga effettuato dal Ra.Sa. e dal Cr.Sa. a C nei giorni 5 e 16 febbraio. 5. Ra.Sa., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stato ritenuto colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. 5.1. Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza dell'associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti. La Corte di merito non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all'esistenza del pactum sceleris a fondamento dell'ipotizzata associazione, non essendo sufficiente a dimostrare tale accordo il colloquio intercorso in carcere tra il Cr.Sa. e Li.Ni. La difesa considera manifestamente illogica la motivazione in considerazione del fatto che, dalla lettura delle intercettazioni, non emergerebbe alcun riferimento alla droga né alcun interesse del Ra.Sa. ad esser coinvolto nel narcotraffico, essendosi il ricorrente limitato ad estinguere il debito contratto d Li.Gi. 5.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine in ordine alla partecipazione del Ra.Sa. all'ipotizzato sodalizio dedito al narcotraffico. La motivazione non indica gli elementi da cui desumere che il ricorrente abbia aderito ad un programma delittuoso indeterminato volto alla commercializzazione di sostanze stupefacenti, anche in considerazione della mancanza assoluta di elementi indicativi dell'appartenenza al sodalizio quali la partecipazione agli utili del narcotraffico ovvero eventuali contatti con Li.Gi. in riferimento ad episodi di spaccio o acquisti di droga. 5.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 30) 31) 32) con le medesime argomentazioni esposte nel terzo motivo del ricorso proposto da Li.Gi. 5.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 D.P.R. n. 309/90 e motivazione apparente in ordine ai capi da 10 al 19. La Corte territoriale, con motivazione del tutto assertiva ed apparente, avrebbe ignorato le doglianze difensive e le ipotesi alternative prospettate in sede di appello (inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare un coinvolgimento del ricorrente nei singoli episodi di spaccio). 5.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di impugnazione, lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 4 e 6. La motivazione sarebbe del tutto carente in ordine al presunto acquisto di droga a C e nella parte in cui non rileva l'illogicità del comportamento del ricorrente che avrebbe iniziato a spacciare lo stupefacente acquistato a C soltanto 3-4 giorni dopo il suo rientro a G. 6. Gr.Mo., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuta colpevole dei reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsione e ricettazione. 6.1. La ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 74 e 73 D.P.R. 309/90 nonché difetto di motivazione in ordine alla sua partecipazione all'ipotizzata associazione a delinquere. La Corte di merito avrebbe apoditticamente riconosciuto un ruolo attivo della Gr.Mo. negli affari illeciti organizzati e coordinati dal marito, limitandosi a ricondurre la posizione della ricorrente a quella rivestita dagli altri familiari. I giudici di appello avrebbero travisato le prove affermando che la ricorrente, unitamente alla figlia ed al genero, avrebbero dovuto ritirare un "carico" di droga a C, senza tenere conto del fatto che la Gr.Mo. si sarebbe recata a C solo per riappianare il debito contratto dal figlio nei confronti del Cr.Sa. La Corte territoriale avrebbe apoditticamente riconosciuto il concorso della ricorrente alle condotte di spaccio poste in essere dal figlio in adesione di uno specifico programma criminoso riferibile ad un limitato arco temporale. 6.2. La ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art. 629 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di estorsione. La Corte di merito, con motivazione apodittica, avrebbe basato la condanna sull'intercettazione del colloquio intercorso tra Li.Ni. e Li.Gi. in cui il padre rimproverava il figlio e lo invitava a presentarsi a lavoro con diligenza e costanza, in assenza di alcun riferimento alla Gr.Mo. ed al non meglio identificato "zio P.". In relazione all'ingiusto profitto, individuato dalla Corte nell'ottenimento e mantenimento del beneficio della messa alla prova, la difesa ha sostenuto che tale condotta sarebbe tutt'al più un escamotage per evitare conseguenze detentive al figlio e non un vantaggio economico. Mancherebbe, in ultimo, il danno per la persona offesa in quanto il Fe. non avrebbe corrisposto alcuna somma di denaro quale corrispettivo, configurandosi nel caso di specie tutt'al più un danno nei confronti dell'amministrazione della giustizia. 7. Il difensore di Gr.Mo., in data 19 gennaio 2024 e 3 febbraio 2024, ha depositato motivi aggiunti con i quali ha insistito nei motivi di ricorso ed ha chiesto la mitigazione della pena in considerazione della lieve entità della fattispecie estorsiva contestata all'imputata desumibile dall'estemporaneità della condotta e dall'esiguità del danno patrimoniale e del correlato lucro. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili per le ragioni che seguono. 1. Conviene trattare, in esordio, alcuni aspetti rilevanti per la decisione della totalità dei ricorsi, fissando i princìpi di diritto che il Collegio intende applicare e, così, evitando inutili ripetizioni, che finirebbero per appesantire la motivazione. Quanto alle statuizioni oggetto degli odierni ricorsi, si è in presenza di una c.d. doppia conforme con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del primo giudice sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 38963 del 25/05/2023, Arcidiacono, non massimata). È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico - giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, Casamonica, non mass.). 2. Le doglianze dedotte dai ricorrenti sono aspecifiche in quanto reiterative di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, all'interpretazione del materiale probatorio ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio già formulate in sede di appello ed affrontate e disattese dalla Corte di merito in esito ad un adeguato scrutinio, trasfuso in una motivazione priva di aporie e illogicità manifeste. Tenuto conto della peculiare modalità di redazione dei ricorsi, che hanno sostanzialmente riprodotto il contenuto dei motivi di appello, si rende opportuna un ulteriore premessa: la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (in tal senso Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822-02; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 39563 dell'08/09/2023, Lo Presti, non massimata). Il motivo di ricorso in cassazione è, infatti, caratterizzato da una duplice specificità, dovendo contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 2, n.11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 38707 del 22/06/2023, Rossi, non massimata). Risulta, pertanto, di chiara evidenza che se il ricorso si limita a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nel caso di specie, il percorso argomentativo dei giudici di appello non è validamente contrastato dalle critiche contenute nei ricorsi, le quali mirano ad una lettura alternativa delle risultanze istruttorie e non si confrontano compiutamente con le argomentazioni spese dalla sentenza impugnata con conseguente aspecificità delle doglianze. 3. Deve essere, inoltre, rimarcato che tutti i motivi di ricorso sono articolati esclusivamente in fatto e, quindi, proposti al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione dì nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Le doglianze sono, peraltro, improntate ad una valutazione delle prove del tutto parcellizzata, caratterizzata dall'analisi dei singoli elementi in maniera del tutto avulsa dal contesto, prescindendo dagli evidenti elementi di coerenza palesati e valorizzati nelle sentenze di merito. Occorre ribadire, in proposito, che il sindacato di legittimità non ha ad oggetto la revisione atomistica del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento, verifica che non può quindi estendersi alla valutazione dei singoli elementi di fatto acquisiti al processo, compito riservato alla competenza del giudice di merito. 3.1. Nel caso di specie, la Corte di merito non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto specificamente alle doglianze oggi riproposte con argomentazioni adeguate, logiche ed omogenee rispetto a quelle del primo giudice. I giudici di appello hanno, in particolare, rimarcato la specifica valenza probatoria della fonte captativa sottolineando la chiarezza, univocità e concordanza del contenuto delle conversazioni intercettate e la conseguente idoneità a dimostrare la sussistenza dei reati contestati ai singoli imputati. Le deliberazioni della Corte territoriale sono fondate su una interpretazione delle conversazioni intercettate conforme a consolidate massime di esperienza e fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Peraltro, le doglianze con cui viene eccepita l'inidoneità delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata a dimostrare la sussistenza dei reati contestati e la penale responsabilità dei singoli imputati sono generiche e meramente valutative; i ricorrenti si limitano, in modo apodittico, ad attribuire un minimale valore indiziario alle conversazioni intercettate e, di conseguenza, a chiedere a questa Corte un'inammissibile rivalutazione in fatto del compendio probatorio. 3.2. Va, in proposito, ribadito che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia qualora il decidente ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e tale difformità risulti decisiva ed incontestabile (vedi Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Napoleoni, Rv. 259516; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Maro, Rv. 272558 e da ultimo Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non massimata) così da rendere manifesta l'illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (vedi Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Andronio, Rv. 282337 - 01; da ultimo Sez. 1, n. 3019 del 27/09/2022, dep. 2023, Cremona, non massimata). La valutazione dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rilevi l'illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata (vedi Sez. 2, n. 6414 del 23/11/2022, dep. 2023, Pitasi, non massimata). Tutto ciò premesso, è possibile passare all'esame dei singoli motivi di ricorso degli imputati, partendo dai motivi comuni a più ricorrenti. 4. Il primo motivo di ricorso proposto da Li.Gi., il primo motivo di ricorso proposto da Li.Ni., l'unico motivo di ricorso proposto da Li.Do., il primo ed il secondo motivo proposto da Ra.Sa. nonché il primo motivo dedotto da Gr.Mo., da trattare congiuntamente in quanto condividono l'oggetto della doglianza, sono aspecifici e non consentiti. La motivazione ha dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di appello a ritenere dimostrata la sussistenza di un'associazione a delinquere dedita al narcotraffico di cui i ricorrenti erano partecipi, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove. 4.1. Deve essere, preliminarmente, ricordato che i reati associativi si distinguono dal concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 e segg. cod. pen. poiché l'accordo criminoso non associativo è circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati, si esaurisce dopo che questi sono stati commessi ed è caratterizzato dalla mancanza di una struttura organizzativa e dei mezzi necessari all'attuazione del programma comune (Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi, Rv. 211403-01; Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, Bronzellino, Rv. 284724 - 01). La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale va individuato nella necessaria finalizzazione dell'accordo associativo alla costituzione di una struttura (almeno tendenzialmente) permanente, nella quale i singoli associati divengono - ciascuno nell'ambito dei propri compiti, assunti od affidati - parti di un tutto, e si propongono di commettere una serie indeterminata di delitti (così, in motivazione, Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, Ciaramitaro, Rv. 256054; Sez. 3, n. 45421 del 01/07/2022, Aiello, non massimata). Non occorre, peraltro, che tale organizzazione sia complessa, articolata o dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l'esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (vedi Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583-01; Sez. 4, n. 38018 del 05/07/2023, Comito, non massimata). L'elemento "strutturale-organizzativo" assurge, così, ad elemento tipizzante della fattispecie associativa destinato a fornire materialità al fatto, in ossequio al principio di potenziale offensività del reato, sotto il profilo della idoneità e adeguatezza dell'azione a ledere in modo permanente il bene protetto. Sicché l'elemento organizzativo deve essere valutato non solo e non tanto nel suo aspetto statico, quanto nella sua dimensione dinamica, dimostrativa dell'esistenza di una affectio societatis destinata a perpetuarsi nel tempo e che sopravvive al singolo episodio criminoso. Tanto sta a significare, sotto un profilo ontologico, che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l'esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l'esistenza di quell'accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sé si concreta (Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, Piacentini, Rv. 255491, in motivazione; Sez. 3, n. 38096 del 15/07/2022, Giglio, non massimata). Non occorre, peraltro, un patto espresso fra gli associati, potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetitività, dalla natura dei rapporti tra i loro autori, dalla ripartizione di compiti e ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di stupefacenti (Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, dep. 2013, Cecconi, Rv. 255312; Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, De Falco, Rv. 279589 -01). 4.2 Quanto ai profili probatori, il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati fine, e dell'indeterminatezza del programma criminoso dal susseguirsi ininterrotto, anche per un breve periodo di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540-01; Sez. 2, n. 38964 del 14/06/2023, D'Ippolito, non massimata), proprio perché attraverso essi si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670-01; Sez. 4, n. 38017 del 05/07/2023, Stefanizzi, non massimata). È, pertanto, consentito al giudice dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso gli stessi si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima, specie quando ricorrano elementi che dimostrino il tipo di criminalità, la struttura e le caratteristiche dei singoli reati, le modalità di esecuzione (Sez. U., n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218376; Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270370). La prova dello svolgimento di un'attività sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo temporale può essere raggiunta anche nel caso in cui risultino dimostrate soltanto alcune cessioni, monitorate attraverso servizi di intercettazione di conversazioni, quando le stesse, come nel caso di specie, siano collegate probatoriamente alle altre condotte contestate, non occorrendo riscontrare tutti i singoli episodi, specie quando tali fatti coinvolgano le medesime persone, si presentino omogenei e risultino avvinti tra loro da continuità cronologica (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Carrara, Rv. 263043-01; Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014, Caputo, Rv. 261146-01). 4.3. In applicazione dei principi esposti nei precedenti paragrafi, possono ritenersi ampiamente concludenti i plurimi e convergenti elementi da cui è stata desunta l'esistenza del sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti e, di conseguenza, è incensurabile la motivazione rassegnata sul punto. I giudici di appello hanno illustrato, con motivazione priva di aporie o contraddizioni, gli elementi logico-fattuali che sono stati ritenuti idonei a dimostrare la sussistenze di un tessuto organizzativo sufficiente per l'integrazione dell'associazione criminale tipizzata dal citato art. 74 nonché a comprovare l'esistenza di un unitario piano criminoso e la consapevolezza degli affiliati della dimensione collettiva dell'attività di spaccio, con motivazione sufficientemente articolata ed aderente alle risultanze istruttorie che non può esser rivalutata, in questa sede, non essendo i giudici di merito incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste (vedi pagg. da 10 a 12 della sentenza impugnata). Occorre ribadire, in proposito, che il sindacato di legittimità non ha ad oggetto la revisione atomistica del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento, verifica che non può quindi estendersi alla valutazione dei singoli elementi di fatto acquisiti al processo, compito riservato alla competenza del giudice di merito. 4.4. I giudici di merito hanno basato il rilievo dell'avvenuta costituzione di una vera e propria associazione criminosa su un quadro probatorio adeguatamente evocativo di una persistente attività di narcotraffico, ruotante sull'operato sinergico dei soggetti chiamati a rispondere della corrispondente partecipazione. La regolarità dei traffici di sostanza, la diversificazione dei canali di approvvigionamento, il carattere non estemporaneo degli acquisti e delle cessioni e un predefinito grado di distribuzione dei ruoli appaiono indici dimostrativi in sé eloquenti, che i motivi in scrutinio revocano in dubbio in termini solo generici o di pura e non consentita argomentazione controvalutativa. La sentenza impugnata ha derivato la partecipazione associativa non solo dal dato storico della reiterata consumazione di reati-fine in concorso, ma anche dall'esistenza di rapporti collaudati di collaborazione tra gli imputati, con studiata predeterminazione dei compiti di ciascuno, in maniera destinata a produrre effetti ben oltre il singolo episodio delittuoso. Nella organicità della relativa programmazione e nelle modalità di esecuzione, coinvolgente a vario titolo gli odierni ricorrenti, sono stati ragionevolmente colti i necessari segnali non solo di manifestazione dell'associazione ma anche di intraneità ad essa degli odierni ricorrenti. Le sentenze di merito espongono plurimi, significativi e convergenti elementi, logico-probatori a sostegno dell'intraneità dei ricorrenti all'associazione oggetto di scrutinio, desumibili dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari che, a differenza di quando sostenuto dalla difesa, appaiono idonee a dimostrare la stabile ed attiva adesione di Li.Gi., Li.Do., Gr.Mo. e Ra.Sa. all'attività del sodalizio dedito al narcotraffico capeggiato da Li.Ni. (vedi pagg. da 8 a 28 della sentenza impugnata). I giudici di merito non si sono fermati al solo dato storico-statico della consumazione dei singoli reati-fine, ma li hanno contestualizzati e analizzati nella loro proiezione dinamica quali espressione di un rapporto di collaborazione collaudato, stabile, duraturo, destinato a produrre effetti ben oltre i singoli episodi delittuosi, che dà linfa ad un programma potenzialmente indefinito di forniture e acquisti, in piena coerenza con la costante affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo cui la condotta di partecipazione all'associazione di cui all'art. 74 D.P.R., è a forma libera. Deve ribadirsi, in proposito, che la singola condotta di partecipazione può atteggiarsi, nella pratica, nel modo più diverso: il dato qualificante e decisivo, come per tutte le fattispecie associative, consiste nel contributo alla vita ed all'operatività del sodalizio, anche soltanto per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Ciccarelli, Rv. 276677; Sez. 3, n. 32705 del 06/04/2023, Nwococha, non massimata) o addirittura già ab origine prestabilita, dovendo l'indeterminatezza riguardare soltanto la serie dei delitti che s'intendono commettere e non la durata del pactum sceleris (Sez. 6, n. 38524 del 11/07/2018, P., Rv. 274099). 4.5. Il solido percorso argomentativo seguito dai giudici di appello non viene scalfito dalle doglianze difensive, essendosi i ricorrenti limitati a confutazioni di principio ed affermazioni apodittiche che di fatto ignorano gli elementi probatori valorizzati nella sentenza impugnata. I ricorrenti, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiedono a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a loro più gradite, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità dei motivi di ricorso. La complessiva ricostruzione del materiale probatorio esposta in motivazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata, pertanto, su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 5. Il secondo ed il terzo motivo proposti da Li.Gi., il secondo motivo proposto da Li.Ni. ed il quarto e quinto motivo proposti dal Ra.Sa., che possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto la sussistenza delle singole condotte violative dell'art. 73 D.P.R. 309/90, non sono consentiti in sede di legittimità. L'errore di impostazione nel quale cadono i ricorrenti è quello di far leva su elementi di prova negativi e cioè su considerazioni generiche ed astratte, abbandonando il piano dell'esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all'evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede. In particolare, quanto alle critiche difensive sulla ritenuta inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare la penale responsabilità dei singoli ricorrenti in relazione alle plurime violazioni dell'art. 73 D.P.R. 309/90, è sufficiente ribadire il già operato richiamo (par. 3.2) ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno rappresentato divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si sono limitati a obiettare circa l'efficacia dimostrativa della sussistenza dei reati contestati agli imputati, sicché devono ritenersi non consentite le censure sviluppate nei ricorsi inerenti all'interpretazione delle conversazioni intercettate, stante la mancanza prospettazione di alcun travisamento da parte dei giudici di merito. 6. Il quarto motivo dedotto da Li.Gi. ed il secondo motivo proposto da Gr.Mo., con cui i ricorrenti lamentano violazione ed applicazione dell'art. 629 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione di cui al capo 27), sono aspecifici. I giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi (le attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa suffragate dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni dei testi Pe., Di., Ta. e Mo.) idonei a dimostrare la penale responsabilità dei ricorrenti in ordine al reato di estorsione. La Corte territoriale ha sottolineato, in particolare, che la ricorrente Gr.Mo., in compagnia del non meglio identificato "zio P.", si è recata presso l'autolavaggio del Fe. per costringerlo, con toni minacciosi, ad assumere il figlio Li.Gi., con conseguente danno ingiusto per il Fe. dal momento in cui tale assunzione era sostanzialmente antieconomica per la piccola impresa gestita dalla persona offesa ed in considerazione del fatto che il Li.Gi. non si presentava in officina per svolgere i propri compiti, circostanze che i giudici di appello hanno ritenuto idonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 629 cod. pen. (vedi pagg. da 18 a 21 e pag. 27 della sentenza impugnata). Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 6.1. Le censure con cui le difese affermano l'insussistenza dell'elemento materiale del reato di estorsione sono destituite di fondamento. I giudici di appello hanno correttamente evidenziato come le conversazioni intercettate dimostrino che il Fe. nutriva timore nei confronti del Li.Gi. e della Gr.Mo. e che l'assunzione del ricorrente è stata presa esclusivamente a seguito delle intimidazioni subite dalla persona offesa, nonostante l'evidente svantaggio economico ricadente sul Fe. a seguito di tale assunzione (vedi pagg. 19 e 20 della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera (Sez. 2, n. 37526 del 16/06/2004, Giorgetti, Rv. 229727 - 01; da ultimo, Sez. 2, n. 33663 dell'11/07/2023 Badagliacca, non massimata). I giudici di appello hanno, inoltre, correttamente ritenuto sussistente l'elemento costitutivo dell'ingiusto profitto, dando seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui una pretesa contrattuale è contra ius ed integra il reato di estorsione contrattuale quando il soggetto attivo, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso, perché non dovuti nell'an o nel quantum o perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diritto è riconosciuto o tutelato (vedi Sez. 2, n. 34242 del 11/07/2018, Del Zompo, Rv. 273542 - 01); da ultimo Sez. 2, n. 10201 del 13/02/2024, Palluotto, non massimata) e quindi per realizzare un profitto ingiusto con conseguente violazione dell'autonomia negoziale della vittima cui viene impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo ritenuto più opportuno (vedi Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, Mancuso, Rv. 269364 - 01; Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998 - 01). L'ingiustizia del profitto a cui era finalizzata la condotta degli imputati, pertanto, è stata correttamente individuata dai giudici di merito nell'uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi non consentiti, o comunque non conformi a giustizia. 6.2. Attraverso i motivi di impugnazione i ricorrenti invocano una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, che non può trovare ingresso in sede di legittimità a fronte di sentenze di merito congruamente e logicamente motivate. Peraltro, i ricorrenti non hanno rappresentato divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si sono limitati a obiettare circa l'efficacia dimostrativa della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione ed a proporre interpretazioni alternative delle conversazioni intercettate, sicché devono ritenersi inammissibili le censure sviluppate nel ricorso inerenti alla presunta illogicità della motivazione, stante l'assenza di travisamento del contenuto delle intercettazioni da parte dei giudici di merito. I ricorsi, a fronte della ricostruzione e della valutazione adottata dai giudici di appello, non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati. La motivazione oggetto di ricorso contiene, in conclusione, una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti acquisiti e s'appalesa esente da errori nell'applicazione delle regole della logica come pure da contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio, sottraendosi pertanto a rilievi in questa sede. Le peculiarità del caso concreto sono state attentamente vagliate in sede di merito e la valutazione della complessiva "non lieve" portata della condotta estorsiva appare riconducibile ad una corretta interpretazione della normativa di riferimento in relazione ai dati fattuali processualmente emersi. 7. Il sesto motivo dedotto da Li.Gi. ed il terzo motivo proposto da Ra.Sa., con i quali i ricorrenti lamentano violazione ed erronea applicazione dell'art. 612 comma 2, in relazione all'art. 339 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei capi 30), 31), 32), sono aspecifici ed articolati esclusivamente in fatto e, quindi, proposti al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare come i ricorrenti abbiano commesso i reati di minaccia aggravata dall'uso di arma da sparo e di porto di fucile, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove (vedi pagg. 22, 23, e 29 della sentenza impugnata). I ricorrenti limitandosi ad affermare, in modo generico ed apodittico, la carenza ed irragionevolezza della motivazione, non si sono confrontati adeguatamente con le argomentazioni della Corte di merito con conseguente aspecificità dei motivi di ricorso. 8. Il quinto motivo di impugnazione con cui Li.Gi. lamenta l'inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare la sussistenza del reato di cui al capo 29 della rubrica non è consentito in sede di legittimità. La semplice lettura dell'atto di impugnazione esclude, infatti, la presenza di travisamenti nelle operazioni di interpretazione e valutazione delle conversazioni intercettate, non emergendo in alcun modo quella palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco delle conversazioni captate e quello tratto dai giudici di merito (vedi pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata), soltanto in presenza della quale si può parlare di travisamento. Deve essere, in proposito, richiamato quanto in precedenza argomentato (par. 3.2.) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse. 9 Il settimo motivo del ricorso con cui Li.Gi. lamenta la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante, è aspecifico e non consentito in sede di legittimità. 9.1. La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla congruità della pena stante l'oggettiva gravità della condotta ed i precedenti specifici a carico del ricorrente (vedi pagg. 14 e 23 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi con conseguente difetto di specificità del ricorso. Deve esser, in proposito, ribadito il principio di diritto secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, nell'osservanza dei criteri stabiliti dagli artt. 133 e 133-bis cod. pen., è sufficiente che richiami la gravità del reato o la capacità a delinquere dell'imputato con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena, diversamente dal caso di specie, sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Ne discende che è inammissibile la censura che, come nel caso di specie, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 2, n. 43893 del 29/09/2022, Cagliozzi, non massimata), vizi non ravvisabili nel caso oggetto di scrutinio. 9.2. Anche il giudizio di equivalenza è fondato su motivazione esente da manifesta illogicità (in particolare i giudici di appello hanno rimarcato l'inesistenza di motivi idonei a giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche) e, pertanto, insindacabile in cassazione, dovendosi ribadire il principio affermato da questa Corte secondo cui il giudice di merito, nel motivare il giudizio di equivalenza, non è tenuto ad effettuare una analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati, costituendo il giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti, esercizio di un potere valutativo riservato alla discrezionalità del giudice di merito (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838- 02). La Corte territoriale, con argomentazioni coerenti con le risultanze processuali ed immuni da illogicità manifeste, ha ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo edittale in ragione della capacità a delinquere dell'imputato e della gravità dei fatti (vedi pag. 23 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente. Il Collegio intende ribadire, in proposito, il consolidato orientamento di questa Corte in materia di oneri motivazionali correlati alla definizione del trattamento sanzionatorio, secondo il quale la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l'obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, Haddi, non massimata). 10. Il terzo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente Li.Ni. lamenta violazione dell'art. 99 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine all'applicazione dell'aumento di pena a titolo di recidiva è manifestamente infondato. La Corte territoriale, anche in considerazione della genericità del motivo di appello, ha correttamente fatto richiamo alla motivazione con la quale il primo giudice ha ritenuto la sussistenza della contestata recidiva in considerazione della pericolosità ingravescente del ricorrente desumibile dai numerosi, gravi e specifici precedenti penali già a partire dal 1998 e dalla pervicacia a delinquere manifestata da Li.Ni., il quale non ha inteso minimamente attenuare né recedere dalla sua già manifesta propensione criminale e anzi, ha cercato di coinvolgere i suoi familiari nell'esecuzione dei delitti che egli, nella sua condizione restrittiva, non poteva mettere in esecuzione (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza oggetto di ricorso). 11. Il quarto motivo di ricorso proposto da Li.Ni. è aspecifico non risultando adeguatamente enunciati e argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego, l'intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dai numerosi precedenti penali e la mancanza di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena (vedi pag. 14 della sentenza impugnata). Deve esser, in proposito, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 -01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02). 12. All'inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, cosi equitativamente fissata. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma dì euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Cosi deciso in Roma, il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Relatore Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta Maria - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da: Ni.Gi. nato a C il (Omissis) avverso la sentenza del 23/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TIZIANO MASINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Da.Pa., che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso; udito il difensore L'avv. AN.GA., per la parte civile, si è associato alle conclusioni del Procuratore generale; l'avv. VI.BA., per l'imputato, ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Ni.Gi. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, che - aumentato l'importo della provvisionale provvisoriamente esecutiva già comminata - ne ha confermato l'affermazione di reità e la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, sancita in primo grado, per il delitto di lesioni personali giudicate guaribili in gg. 35, commesso il 18 luglio 2016 in danno di Pa.St. . 2. Sono stati articolati, tramite difensore abilitato, due motivi, entrambi focalizzati sui vizi della motivazione della sentenza in relazione all'attendibilità del riconoscimento in aula dell'imputato come autore del fatto contestato eseguito dalla parte civile, che sarebbe stato inquinato dalla precedente visione, da parte della persona offesa, di una sua fotografia sui social network. La ricognizione sarebbe nulla perché eseguita in violazione dell'art. 213 cod. proc. pen. Le deposizioni testimoniali acquisite in dibattimento non sarebbero univoche e sarebbero state male interpretate dai giudici di merito. In particolare, né il teste Be., né le testi Na.Gi. e Me.Ce. avrebbero dichiarato di aver visto chi ha colpito la Pa.St., che a sua volta avrebbe indicato l'imputato solo perché lo avrebbe dedotto successivamente al fatto; il quadro non sarebbe chiaro anche a riguardo del numero delle persone coinvolte e dunque in relazione all'eventualità che si sia scatenata una rissa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. II ricorso, agli effetti della responsabilità civile, a tratti inammissibile, è nel complesso infondato, mentre agli effetti penali la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione. 1.1. Per un verso, esso propone deduzioni tendenzialmente versate in fatto, in un ambito di doppia conforme sulla responsabilità, nel quale sono state valorizzate, con argomentazioni piane e certo non illogiche, le dichiarazioni della persona offesa - che ha riferito, ed è stata ritenuta ragionevolmente attendibile, di essere stata informata da Na.Gi. che a colpirla era stato l'imputato - e del teste Be. - riscontrate dalla deposizione di Me.Ce. - convergenti nell'indicazione dell'imputato, nel complesso della sequenza narrativa dell'accadimento, come il responsabile dell'aggressione che ha cagionato le lesioni a Pa.St.. Non sono stati raccolti, per altro verso, conducenti elementi di segno diverso, tali da ricondurre l'episodio alla responsabilità di terzi, rimasti ignoti, nel contesto di una zuffa. Sfugge, in particolare, al perimetro del sindacato di legittimità la scelta di privilegiare il contributo testimoniale della parte lesa, avente ad oggetto le confidenze ricevute nell'immediatezza dalla Na.Gi., rispetto all'inversione di tendenza di quest'ultima nell'esame dibattimentale, perché ragionevolmente ispirata dall'intento di edulcorare le accuse nei confronti dell'imputato, con il quale si è instaurato e consolidato un legame affettivo in epoca successiva ai fatti. Come noto, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale del provvedimento in sé e per sé considerato, verifica necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui esso è "geneticamente" informato, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260-01); e non può formare oggetto di ricorso per cassazione la valutazione dei contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni dei fatti e l'indagine sull'attendibilità dei testimoni, salvo il controllo di congruità e logicità della motivazione. Infatti, il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova rimane devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata ad alcuni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche od illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema (così Sez. 2, n.51192 del 2019, M., Rv. 278368). 1.2. Fuori fuoco e manifestamente infondate, infine, si rivelano le doglianze sulla presunta inosservanza delle formalità previste per la ricognizione personale, di cui all'art. 213 cod. proc. pen., perché l'imputato è stato riconosciuto de visu, in aula, dalla parte civile e dunque nel contesto di una ricognizione non formale e comunque pacificamente consentita in virtù del principio generale dell'art. 189 cod. proc. pen., in ossequio del resto all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento dell'imputato operato in udienza, nel corso dell'esame testimoniale, è atto di identificazione diretta, effettuato con dichiarazioni orali, valido e processualmente utilizzabile anche senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale (ex multis, sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, Mannolo, Rv. 283392). La circostanza che la testimone avesse preso visione di una fotografia ritraente l'imputato prima del dibattimento non costituisce elemento che inficia la validità processuale di un riconoscimento diretto, come quello operato nel caso di specie, in quanto quest'ultimo è soggetto soltanto alle ordinarie regole che assistono la valutazione delle testimonianze (tra le molte, sez. 4, n. 34354 del 27/05/2004, Taulant, Rv. 229086). 2. Proprio di recente, all'esito dell'udienza pubblica del 14 dicembre 2023, come da informazione provvisoria diramata, le Sezioni unite di questa Corte, dalla cui decisione il collegio non intende discostarsi, hanno stabilito il principio di diritto secondo il quale "la competenza per materia in ordine al delitto di lesioni personali procedibili a querela appartiene al giudice di pace sia nei casi di malattia di durata inferiore ai venti giorni che in quelli in cui la durata della malattia sia superiore a venti giorni e non ecceda i quaranta". In definitiva, nel caso di specie, occorre rilevare di ufficio (Sez. U n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689) l'illegalità della pena inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte di merito, determinata in mesi nove di reclusione per il delitto di lesioni personali, che hanno cagionato una malattia di durata superiore a venti giorni ed inferiore ai quaranta, fattispecie di competenza per materia del giudice di pace, ai sensi dell'art. 4, lett. a) del Decr. Lgs. n. 274 del 2000. L'art. 52, comma 2, lettera b), D.Lgs. n. 274 del 2000 in tema di reati di competenza del giudice di pace prevede, infatti - per il delitto di lesioni personali - una pena di genere diverso da quella detentiva, ovvero che quando il reato è punito dalla legge penale con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 516,00 a euro 2.582,00, o la pena c.d. "para-detentiva" della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni, ovvero ancora la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi. 3. La sentenza dovrebbe essere dunque annullata con rinvio agli effetti penali con esclusivo riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ma il collegio deve rilevare, in principalità e non potendosi definire altrimenti il giudizio in ordine al capo d'imputazione contestato, la maturazione del termine massimo di prescrizione del reato, compiuta il 18 gennaio 2024, ai sensi dell'art. 129 comma 1 cod. proc. pen.; un provvedimento di annullamento sarebbe ultroneo, dal momento che il giudice del rinvio dovrebbe comunque dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione. E' principio del tutto pacifico, invero, che l'obbligo di dichiarazione immediata di una causa di non punibilità determina l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, ove sia nel frattempo maturato il termine di prescrizione del reato, pur quando con il ricorso per cassazione siano stati proposti esclusivamente motivi inerenti al trattamento sanzionatorio (Sez. 5, n. 2334 del 18/11/2015, dep. 2016, Rodomonte, Rv. 266414; cfr. Sez. 5, n. 29225 del 04/06/2018, Triolo, Rv. 273370); ovvero quando con il ricorso per cassazione siano state proposte plurime doglianze, e risultino non inammissibili soltanto quelle inerenti al trattamento sanzionatorio (Sez. 2, n. 10515 del 12/12/2014, dep. 2015, Tiberi, Rv. 262568). A tali situazioni processuali può essere equiparata quella in cui dovrebbe essere rilevata l'illegalità della pena inflitta, con la conseguente necessità, in astratto, di una sua rimodulazione nel giudizio di merito. Alla luce della complessiva infondatezza e della indeducibilità, in parte, dei motivi sulla responsabilità, il ricorso deve invece essere rigettato agli effetti civili. 4. In ragione della natura del reato, è d'obbligo disporre - ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - in caso di diffusione del presente provvedimento, l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti del processo. Così deciso il 20 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 588 del 2024, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro - il Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ch. Ca. e Gi. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via (...), e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sezione IV, -OMISSIS-, resa tra le parti, non notificata e concernente il provvedimento ex articolo 100 T.U.L.P.S. di revoca del titolo abilitativo -OMISSIS- per l'attività di somministrazione alimenti e bevande. Visto il ricorso in appello e relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione del Comune di Firenze e del Ministero dell'interno; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell'udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con appello notificato il 23 gennaio 2024 e depositato il 24 gennaio successivo, la -OMISSIS- (di seguito anche "-OMISSIS-") ha impugnato, chiedendone la riforma previa istanza di emissione di provvedimenti cautelari, monocratico e collegiale, la sentenza -OMISSIS-, con cui il Tar Toscana, Sezione IV ha rigettato il suo ricorso proposto "per l'annullamento del provvedimento emesso dal Direttore della Direzione Attività Economiche e Turismo del Comune di Firenze, prot. -OMISSIS-, di revoca del titolo abilitativo -OMISSIS- per l'attività di somministrazione alimenti e bevande esercitata dalla ricorrente (denominata -OMISSIS-) nei locali di -OMISSIS- in Firenze; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché incognito, ed in particolare della richiesta del Prefetto di Firenze -OMISSIS- (acquisita dal SUAP del Comune di Firenze con prot. -OMISSIS-) e dell'ulteriore nota della medesima Prefettura prot. -OMISSIS-, acquisita dal Comune di Firenze con prot. -OMISSIS-". Deduce l'appellante: - di aver impugnato dinanzi al Tar Toscana il provvedimento n. prot. -OMISSIS-, con il quale il Comune di Firenze ha disposto la revoca dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività di somministrazione alimenti e bevande denominata -OMISSIS- di proprietà della -OMISSIS-, ai sensi degli articoli 19 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e 100 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante "Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza" (di seguito anche "TULPS"), emanata a seguito della richiesta della Prefettura di Firenze, che aveva segnalato la sussistenza di pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica per fatti in gran parte coincidenti con quelli già considerati in precedenti provvedimenti di sospensione (il primo risalente al 2019 per una rissa tra addetti alla sicurezza del pub e alcuni avventori, il secondo emesso nel mese di febbraio 2023 per episodi accaduti nel periodo ottobre 2022-gennaio 2023, senza che nelle more si fossero registrati fatti analoghi), come l'appellante aveva appreso a seguito dell'accesso agli atti; - di aver ottenuto la sospensione degli effetti dell'atto impugnato con decreto presidenziale -OMISSIS-, il quale aveva stabilito che "gli episodi -OMISSIS- (contestati nella nota del Prefetto di Firenze -OMISSIS- alla base del provvedimento comunale gravato) risultano già sanzionati con il provvedimento di sospensione adottato dal Questore di Firenze -OMISSIS-, mentre l'ulteriore episodio -OMISSIS-, preso in esame ai fini dell'adozione del gravato provvedimento di revoca del titolo abilitativo, non risulta inerente alle valutazioni ex art. 100 TULPS (mancata valutazione di impatto acustico)"; - di aver successivamente ottenuto dal Consiglio di Stato, Sezione V (ordinanza cautelare -OMISSIS-) la riforma dell'ordinanza cautelare -OMISSIS-, con cui il primo giudice aveva respinto l'istanza di sospensiva. 2. Per la riforma della citata decisione di prime cure propone appello la -OMISSIS-, che affida il proprio gravame a quattro motivi di censura, con i quali ripropone, anche in chiave critica della sentenza impugnata, le difese svolte in primo grado, lamentando: "I - VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 100 T.U.L.P.S.- MOTIVAZIONE ERRONEA, FALSA, INCONGRUA E CONTRADDITTORIA, ERRORE E TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI DOCUMENTI DEL GIUDIZIO, DIFETTO DI PRESUPPOSTI": secondo l'appellante, la sentenza sarebbe erronea perché il Tar non ha correttamente accertato che non è possibile porre (nuovamente) a fondamento della revoca fatti già oggetto di precedenti provvedimenti di sospensione, in difetto di episodi nuovi, ai quali collegare la effettiva sussistenza di un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica; "II - VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 100 T.U.L.P.S.- MOTIVAZIONE ERRONEA, FALSA, INCONGRUA E CONTRADDITTORIA, ERRORE E TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI DOCUMENTI DEL GIUDIZIO, DIFETTO DI PRESUPPOSTI": da una concorrente angolazione, la decisione di prime cure sarebbe erronea perché il Tar non avrebbe accertato l'insussistenza dei requisiti di legge per disporre la revoca, atteso che non vi è prova dell'ulteriore episodio che sarebbe avvenuto -OMISSIS-, che costituisce il presupposto per l'adozione del provvedimento impugnato e del quale la stessa Prefettura ha riferito soltanto come fatto di cui si è appreso dalla stampa; "III - VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 100 DEL T.U.L.P.S.; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 DELLA L. 241/1990; MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E COMUNQUE ERRONEA, INCONGRUA, ILLOGICA E CONTRADDITTORIA SUL "PRIMO MOTIVO" DEL RICORSO DI PRIME CURE": con tale mezzo, viene reiterata la censura dedotta con il primo motivo del ricorso introduttivo dinanzi al Tar, secondo cui sarebbe stato violato il principio del contraddittorio procedimentale, non avendo l'Amministrazione tenuto in nessun conto le osservazioni fatte pervenire nei termini dalla società interessata; "IV - OMESSA PRONUNCIA SULLA CENSURA DI CUI AL PAR. II.2. DEL II MOTIVO DEL RICORSO CON CUI SI È CONTESTATA ULTERIORE "VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 100 DEL T.U.L.P.S.; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 DELLA L. 24171990; ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI PRESUPPOSTI, MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE ED INCONGRUA, SVIAMENTO": secondo l'appellante, la sentenza impugnata avrebbe completamente pretermesso l'esame delle ulteriori doglianze della -OMISSIS-, concernenti la dedotta illegittimità della revoca per violazione dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità . 3. L'istanza di emissione di provvedimento inaudita altera parte è stata accolta con decreto cautelare -OMISSIS-. 4. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio con atto depositato il 26 gennaio 2024 ed ha prodotto memoria difensiva per la camera di consiglio il 6 febbraio 2024. 5. Il Comune di Firenze si è costituito in giudizio con atto depositato il 30 gennaio 2024, ha prodotto memoria difensiva in vista dell'udienza camerale il 5 febbraio 2024, memoria ex articolo 73 c.p.a. il 15 marzo 2024 e memoria di replica il 29 marzo 2024. 6. La -OMISSIS- ha depositato memoria ex articolo 73 c.p.a. il 22 marzo 2024 e memoria di replica il 29 marzo 2024 e all'udienza del 23 aprile 2024 la causa è passata in decisione. 7. L'appello è fondato e va accolto. 8. Per ragioni di tassonomia processuale, deve essere per primo esaminato il terzo motivo di appello, concernente la lamentata violazione delle regole in materia di partecipazione procedimentale. Da quanto risulta dagli atti di causa, in risposta alla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n, 241 (cfr. la nota del Comune di Firenze n. prot. -OMISSIS-), l'appellante ha trasmesso le proprie osservazioni con pec inviata in data 8 giugno 2023, della quale la Prefettura procedente non ha, in concreto, tenuto conto in maniera motivata nel provvedimento finale, essendosi limitata con nota n. prot. -OMISSIS- a comunicare che "gli elementi fattuali posti a sostegno della proposta di revoca -OMISSIS- individuano in modo puntuale e preciso le ragioni giustificative a base della stessa", con la conseguenza che, "ferme le osservazioni difensive della parte interessata, si ritiene di poter confermare quanto ampiamente esplicitato nella proposta di revoca". La disciplina della partecipazione in contraddittorio al procedimento teso all'adozione del provvedimento finale introduce regole, che servono non solo al privato per poter prendere parte all'iter che lo riguarda direttamente, ma che consentono alla stessa Amministrazione procedente di considerare ulteriori (o nuovi) elementi in fatto e diritto che permettono di avere un quadro complessivo a tutto tondo, dal quale evincere dati, sulla base dei quali è possibile emanare un provvedimento anche di segno diverso da quello ipotizzato in origine, al fine di perseguire la realizzazione dell'interesse pubblico, cui la stessa P.A. deve orientare la propria azione. La laconica risposta della Prefettura non risponde a questa esigenza. Pur essendo, in tutta evidenza, libera di adottare, nell'esercizio di una discrezionalità assai lata in materia, un atto di tipo contrario a quello invocato dalla parte privata, l'Amministrazione avrebbe potuto e dovuto esplicitare le ragioni contrarie all'emanazione della revoca, tanto più considerando che le osservazioni della -OMISSIS- avevano una loro consistenza. 9. Passando infatti all'esame dei restanti tre motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di economia processuale, ritiene il Collegio che le censure siano fondate. 10. La nota n. prot. -OMISSIS- recante la proposta della Prefettura ex articolo 19, comma 4, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, si basa esclusivamente sul rilievo delle seguenti circostanze: "- -OMISSIS- all'interno del locale veniva accertato l'utilizzo di indebiti sistemi di pagamento elettronici e veniva altresì consumato furto ai danni di una cliente; - -OMISSIS- un cittadino -OMISSIS- veniva arrestato in flagranza di reato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, dopo una lite con un addetto alla sicurezza del pub; - -OMISSIS- personale dei Carabinieri e della Polizia di stato interveniva presso l'esercizio e fermava tre soggetti di nazionalità straniera che avevano preso parte ad una rissa a seguito di un furto commesso all'interno del locale; - -OMISSIS- in occasione di un controllo effettuato dalla P.M., unitamente al personale della Polizia di stato e dell'Ispettorato del lavoro, l'esercizio è stato sanzionato per mancanza del documento di valutazione di impatto acustico". Non potendo l'ultima sanzione citata essere posta a base della revoca, come peraltro aveva rilevato il Presidente del Tar con il citato decreto cautelare -OMISSIS-, gli altri episodi indicati non sono sufficienti a sostenere il provvedimento impugnato in prime cure, secondo quanto accertato in sede cautelare da questo Consiglio di Stato con l'ordinanza -OMISSIS-, cha ha riformato il provvedimento di primo grado e secondo la quale: "- gli episodi da gennaio 2019 a gennaio 2023 erano già stati sanzionati con il provvedimento di sospensione dell'attività adottato dal Questore, già eseguito, mentre l'ulteriore episodio -OMISSIS-, preso in esame ai fini dell'adozione del gravato provvedimento di revoca del titolo abilitativo, non risulta inerente alle valutazioni ex art. 100 TULPS (mancata valutazione di impatto acustico); - non vi è traccia negli atti di causa, ad oggi, di un episodio risalente ad aprile 2023, menzionato dall'ordinanza cautelare impugnata; - il riferimento alla "interposizione fittizia" nella gestione dell'impresa, che costituisce il fatto nuovo contenuto nel provvedimento impugnato e nella relazione prefettizia rispetto ai precedenti provvedimenti, necessita di adeguato approfondimento nel merito, in relazione alla sua rilevanza ai fini della valutazione di pericolosità alla base dei provvedimenti impugnati". 11. Passando all'esame delle regole applicabili alla vicenda di causa, osserva il Collegio che la legge introduce una disciplina concernente gli interventi emanabili da parte dell'Autorità di pubblica sicurezza a determinate condizioni per mantenere l'ordine pubblico, la quale rimanda al combinato disposto di due norme. In base alla prima, "oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini", fermo restando che "qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata" dal Prefetto (articolo 100, del TULPS). La norma introduce così un sistema progressivo di adozione di provvedimenti a crescente intensità da parte di soggetti incaricati a diverso titolo (Consiglio di Stato, Sezione V, 14 aprile 2020, n. 2395) della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici (Consiglio di Stato, Sezione III, 27 settembre 2018, n. 4529). Tra tali atti, la sospensione ha la funzione di deterrenza (Consiglio di Stato, Sezione III, 30 gennaio 2024, n. 910), con l'obiettivo che la giurisprudenza lo ha qualificato come di "prevenzione e di tutela anticipata della pubblica sicurezza, per cui è sufficiente la sussistenza del mero pericolo per la sicurezza pubblica per consentire al Questore l'adozione della misura cautelare, nell'esercizio di poteri discrezionali che sono censurabili solo per manifesta irragionevolezza (cfr. Cons. Stato, III, 12-2-2019, n. 1021; III,29-7-2015, n. 3752)" (Consiglio di Stato, Sezione III, 28 novembre 2022, n. 10417). In base alla seconda norma, di cui all'articolo 19, comma 4, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, "i provvedimenti di cui ai numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11), 13), 14), 15) e 17) sono adottati previa comunicazione al prefetto e devono essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta dello stesso." (tra questi atti è ricompreso al numero 7 il titolo abilitativo n. prot. -OMISSIS- rilasciato dall'ente locale in virtù della sua competenza delegata e revocato nella fattispecie). Se ne ricava un quadro nel quale il Comune, al quale la norma indicata attribuisce il potere di rilasciare la licenza per la vendita di alcolici e l'autorizzazione per superalcoolici, è tenuto, nei casi ed alle condizioni previsti, ad adottare un contrarius actus (Consiglio di Stato, Sezione III, 21 ottobre 2022, n. 8722). Tale provvedimento è emanato solo formalmente dal Comune, poiché l'ente locale è tenuto ad attuare quanto indicato dall'Autorità di P.S., non residuando in capo ad esso alcun potere discrezionale per discostarsi dalla richiesta ricevuta dal Questore o dal Prefetto, titolari del potere di vigilanza e controllo del territorio ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica (Consiglio di Stato, sentenza n. 910/2014, cit.) ed ai quali deve ascriversi in ultima analisi la responsabilità sostanziale della funzione preventiva della tutela dell'ordine pubblico. 11. Calato il caso all'esame del Collegio nel quadro ermeneutico così ricostruito, il provvedimento impugnato in prime cure risulta affetto dai vizi denunciati da una serie concorrente di angoli prospettici. In primo luogo, né nella richiesta della Prefettura, né nella precedente informativa della Questura -OMISSIS- vi è traccia di alcun fatto verificatosi -OMISSIS-, come, viceversa, ritenuto erroneamente dal primo giudice. L'unico dato attestante l'episodio è contenuto nella scheda informativa concernente l'attività -OMISSIS-, che riporta informazioni di stampa, da cui si sarebbe si è appreso che "si sarebbe verificata una rissa". Ora, in disparte il decisivo rilievo che, se effettivamente si fosse verificato un fatto di quel tipo, è ragionevole ritenere che l'Autorità di P.S. ne sarebbe stata informata direttamente, magari perché chiamata ad intervenire per sedare la rissa o per individuarne i responsabili, l'assenza di un (ulteriore) elemento di fatto, oltre quelli indicati come insufficienti a disporre la revoca, comporta l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento della revoca. Ritiene il Collegio che per giungere alla revoca non possa inferirsi la persistenza di un qualche pericolo per la sicurezza pubblica dagli altri accadimenti posti a sostegno dei precedenti provvedimenti di sospensione, pur non potendosi configurare una responsabilità diretta dei gestori dell'esercizio commerciale in cui i fatti si verificano, ma dovendo l'Autorità di P.S., al fine di poter adottare legittimamente misure preventive, verificare soltanto se sussistano in concreto profili di rischio, atteso che "quanto agli accertamenti svolti dall'Autorità di pubblica sicurezza, che essi costituiscono piena prova dei fatti svoltisi nei pressi del locale e che l'adozione del provvedimento a finalità preventiva ben può prescindere dalla concreta riferibilità delle contestazioni a specifiche responsabilità del titolare della licenza, purché sussista un chiaro collegamento tra l'attività del pubblico esercizio e la reiterata presenza, all'interno e in prossimità di esso, di soggetti pericolosi o dediti ad attività contrarie alla sicurezza e all'ordine pubblico" (Consiglio di Stato, sentenza n. 910/2024, cit.; in termini, per l'aspetto che qui interessa legato alla natura preventiva e non sanzionatoria dei provvedimenti in materia, Sezione III, 27 settembre 2018, n. 4529). 12. Né, in questa prospettiva, il rilevato riscontro dei presupposti per l'emissione dei precedenti provvedimenti di sospensione può essere considerato, di per sé, come motivo sufficiente per disporre la revoca del titolo abilitativo e la conseguente chiusura di un esercizio posto in zona UNESCO, nella quale, dunque, non sarebbe più possibile svolgere analoga attività in futuro. Ritiene al riguardo la Sezione che la lite -OMISSIS- tra gli addetti alla sicurezza del locale dell'appellante e alcuni avventori, l'arresto di un cittadino straniero per detenzione di sostanze stupefacenti e la rissa -OMISSIS-, posti a fondamento della revoca (cfr. atto impugnato in primo grado), non siano utilizzabili ai fini della sua adozione. Tutti i citati episodi sono già stati considerati ai fini dell'emanazione dei provvedimenti di sospensione e la loro (ulteriore) utilizzazione per disporre la revoca risulta in contrasto con la ratio di tutto il sistema e, in concreto, in violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza, attesa la natura definitiva del provvedimento. D'altra parte, diversamente opinando, si otterrebbe l'inammissibile risultato di porre a base di una nuova misura (stavolta irreversibile) fatti che sono stati già in precedenza considerati per la sospensione del tiolo abilitativo. In altre parole, secondo la ricostruzione delle Amministrazioni appellate si giungerebbe all'eccentrico risultato di violare la regola del ne bis in idem, volendo mutuare principi di matrice penalistica per quanto applicabili alla vicenda per cui è causa, nella quale vengono in rilievo atti di natura preventiva e non sanzionatoria, perché quegli episodi sono stati a suo tempo considerati per la sospensione dell'attività commerciale disposta con atti -OMISSIS-, senza che si siano successivamente riscontrati fatti analoghi, che consentissero al Prefetto di disporre la cessazione dell'attività . 13. Né assumono consistenza i dubbi sollevati nel provvedimento impugnato in prime cure, legati al sospetto che con la cessione delle quote sociali si sia realizzata un'interposizione fittizia di persona nella gestione dell'attività della società appellante, considerato che il suo precedente titolare è stato trovato alle dipendenze della nuova compagine sociale. In realtà, l'assunzione da parte della -OMISSIS- del signor -OMISSIS-, socio accomandatario della -OMISSIS-, precedente proprietaria del locale -OMISSIS- per cui è causa, è motivata dall'appellante, senza che le controparti abbiano controdedotto sul punto, dall'esigenza di garantire una certa continuità all'attività attraverso l'utilizzo di personale che ne conoscesse già le dinamiche interne e commerciali. Ne consegue che non risulta fondata neppure la supposizione - perché non di altro si tratta - che l'assunzione del precedente titolare dell'attività costituisca il tentativo di aggirare gli effetti della precedente sospensione della licenza con l'obiettivo di mascherare una gestione che, nei fatti, sarebbe esercitata del medesimo soggetto, pur volendo trascurare il rilievo che i provvedimenti di cui all'articolo 100 TULP, come osservato, prescindono (Consiglio di Stato, Sezione III, 29 novembre 2021, n. 7946) dall'accertamento di responsabilità dirette dei gestori dell'esercizio dove si verificano fatti idonei a disporne la sospensione o la revoca. 14. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, in conclusione, l'appello va accolto e la sentenza riformata, con l'accoglimento del ricorso di primo grado e l'annullamento dei provvedimenti impugnati. 15. Sussistono, tuttavia, giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 588/2024), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti con esso impugnati. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: Ch.Gi. nato a G il (Omissis); Ch.Vi nato a G il (Omissis); avverso la sentenza del 15/11/2023 del TRIBUNALE di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, PERLA LORI, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore dei ricorrenti, avv. DE.FE., che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l'accoglimento degli stessi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Bari confermava la pronuncia di condanna di primo grado dei ricorrenti per il reato ascritto al capo 1) dell'imputazione (assolvendo invece Ch.Gi. per il delitto di cui al capo 2). In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, gli imputati avrebbero cagionato lesioni personali di giorni dieci al fratello Ch.Do. nel corso di un'assemblea condominiale. 2. Avverso la richiamata sentenza gli imputati hanno proposto ricorsi per cassazione, mediante il comune difensore di fiducia, avv. De.Fe., articolando cinque motivi di impugnazione - di cui il quinto relativo alla posizione del solo Ch.Gi., e gli altri di analogo tenore - di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. I ricorrenti, con il primo e il secondo motivo, sviluppati unitariamente, denunciano violazione degli artt. 521, terzo comma, e 522 cod. proc. pen. in riferimento all'art. 588 cod. pen. nonché violazione dell'art. 521, primo comma, cod. proc. pen., con riferimento all'emersa incompetenza funzionale per materia. A fondamento delle complessive doglianze gli imputati assumono che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere, rilevata l'ipotesi concorrente di reato di rissa anche a carico della persona offesa, di dover tenere separati i procedimenti relativi alle due ipotesi delittuose rimettendo gli atti per la rissa al Pubblico Ministero, vieppiù in quanto ciò avrebbe determinato una modifica nell'individuazione del giudice competente (operando, qualora i giudizi sulle due imputazioni avessero "viaggiato insieme" la competenza per attrazione della competenza al giudice superiore). 2.2. Con il terzo ed il quarto motivo, anch'essi sviluppati unitariamente, i ricorrenti lamentano omessa motivazione in relazione all'attribuzione a ciascuno di essi delle ritenute condotte riconducibili al delitto di cui all'art. 582 cod. pen. e l'omessa contestazione del concorso di persone nel relativo delitto. Assumono, in particolare, che, in assenza nel capo di imputazione di una contestazione del concorso dei ricorrenti nel delitto di lesioni, la sentenza non avrebbe argomentato in alcuna misura quale sarebbe stato l'apporto, rispettivamente di Ch.Gi. e di Ch.Vi nella causazione delle lesioni al fratello Ch.Do. 2.3. Con il quinto motivo Ch.Gi. lamenta che, pur essendo stato assolto per il delitto di cui al capo 2), non è stato ridotto l'importo della provvisionale disposta a suo carico in favore della parte civile nel giudizio di primo grado. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi due motivi dei ricorsi non sono fondati. Vi è infatti che la pronuncia impugnata ha fatto corretta applicazione del principio, affermato ripetutamente nella giurisprudenza di legittimità e nel solco del quale il collegio intende collocarsi, secondo cui, ove emerga in dibattimento un "fatto nuovo" nella locuzione di cui all'art. 518 cod. proc. pen., e non ricorra alcuna delle ipotesi previste dall'art. 517 dello stesso codice, il giudice deve trasmettere gli atti al Pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie esclusivamente in relazione al fatto nuovo e non può restituire gli atti anche per il reato contestato determinando una indebita regressione del procedimento (v., ex ceteris, Sez. 6, n. 8011 del 11/12/2002, dep. 2003, Rv. 223947-01). È stato così puntualizzato che è addirittura affetta dal vizio radicale dell'abnormità l'ordinanza con cui il giudice, a seguito dell'emersione in dibattimento di un fatto nuovo, o di un reato concorrente non contestato in udienza, restituisce gli atti al pubblico ministero per la riformulazione dell'imputazione, omettendo di decidere sul fatto a lui originariamente devoluto (Sez. 6, n. 24377 del 06/03/2014, PMT in proc. Margutti, Rv. 260065-01), e ciò anche ove, come nella fattispecie per cui è processo, a fronte di un'iniziale imputazione del delitto di lesioni emerga nel corso del giudizio un fatto idoneo a concretare anche il delitto di rissa (cfr., pur nel corso di un giudizio con rito abbreviato, Sez. 5 n. 5374 del 15/01/2018, P.M. in proc. Montesano e altro, Rv. 272795-01). Invero, nel caso in esame, come è stato precisato in motivazione, non era stata effettuata alcuna contestazione suppletiva nel corso del giudizio da parte del Pubblico Ministero in ordine al fatto nuovo emerso nell'istruttoria dibattimentale circa il verificarsi di una rissa tra i ricorrenti ed il fratello Ch.Do., persona offesa del delitto di lesioni, e dunque il giudice doveva decidere su quest'ultimo delitto, senza che potesse pervenirsi ad una differente soluzione in ragione dell'operare della competenza per attrazione del giudice superiore che avrebbe potuto operare solo in forza di una rituale contestazione di entrambe le ipotesi di reato. 2. Il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati, atteso che, a fronte della contestazione ad entrambi i ricorrenti del delitto di lesioni operata nel capo 1) dell'imputazione rispetto ad un fatto unitario, il solo omesso richiamo nello stesso capo anche dall'art. 110 cod. pen., non può far ritenere, come pretende la difesa degli imputati, che non sia stato contestato il concorso degli stessi nella causazione del delitto, stante la chiara descrizione del fatto come posto in essere da entrambi i ricorrenti nel senso che "sferravano calci e pugni" al fratello cagionando al medesimo lesioni personali guaribili in giorni dieci. 3. Il quinto motivo, proposto solo dall'imputato Ch.Gi., è inammissibile, in virtù del fermo orientamento giurisprudenziale per il quale non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (v., ex multis, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773-02; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.G. e C., Rv. 261535-01). 4. Pertanto i ricorsi devono essere nel complesso rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 5. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge, stante la natura del reato contestato e i rapporti tra le parti. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma il 14 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Relatore SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BRESCIA nel procedimento a carico di: Si.Ta.nato il (Omissis) avverso l'ordinanza del 04/01/2024 del TRIB. RIESAME di BRESCIA; udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, ALDO CENICCOLA, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; letta la memoria del difensore dell'indagato, avv. MI.OL., che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Brescia annullava la decisione emessa dal GIP del Tribunale di Bergamo, che aveva applicato a Si.Ta.la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di rissa aggravato da lesioni personali. 2. Avverso la richiamata ordinanza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, articolando due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi, entro i limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Con il primo motivo il Procuratore lamenta manifesta illogicità della motivazione, in riferimento alla ritenuta assenza del nesso eziologico tra le lesioni occorse alle persone offese e la rissa. A fondamento dell'impugnazione il Pubblico Ministero espone, in particolare, che, pur avendo il Tribunale del Riesame confermato la sussistenza di gravi elementi indiziari nel senso che le lesioni subite dalla persona offesa Ge.Ri. erano state inferte con coltello da Si.Ta., che nel medesimo contesto spaziale-temporale stava partecipando ad una rissa davanti al locale, ha poi contraddittoriamente escluso una correlazione tra le lesioni subite dalla persona offesa e la rissa. Di qui, illogicamente, la decisione denunciata si sarebbe fondata sulle dichiarazioni delle stesse persone offese che avevano riferito l'assenza di motivi per le aggressioni subite, il che le avrebbe rese estranee al contesto della rissa. 2.2. Con il secondo motivo di impugnazione il Pubblico Ministero assume contraddittorietà della motivazione in riferimento all'assenza, nel compendio probatorio in atti, di un adeguato riscontro che le lesioni inferte ai soggetti fossero state cagionate durante la rissa, ponendosi detta affermazione in contrasto con le risultanze delle telecamere oggetto dell'annotazione del 24 novembre 2023 da parte della Stazione dei Carabinieri di C, dalla quale si evinceva una contiguità temporale e spaziale tra la rissa e le lesioni inferte al Ge.Ri.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di esame unitario, non è fondato. Occorre premettere, considerato che il Pubblico Ministero si duole del ragionamento inferenziale della decisione impugnata, che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944-01). Ebbene, ciò posto, la pronuncia impugnata, ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto che le lesioni infette al Ge.Ri. non fossero causalmente correlate alla rissa che si stava svolgendo dinanzi alla medesima discoteca. Ed invero - pur non scevra da alcune aporie argomentative che non incidono, tuttavia, sulla tenuta logica della motivazione - la decisione impugnata ha escluso una correlazione tra la rissa e le lesioni in forza delle dichiarazioni rese in tale direzione dalle persone offese che hanno contestualizzato le aggressioni subite senza alcun legame con i precedenti episodi di violenza avvenuti poco prima dinanzi alla stessa discoteca (pag. 4). 2. Il ricorso del Pubblico Ministero deve pertanto essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del PM. Così deciso in Roma il 28 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese - alla pubblica udienza del 28 marzo 2024, con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Gi.D'U. (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. Ma.Vi., ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: At.Ra., n. a P. (S.) il (...), residente in S. del M. A. (S.) alla Via S. A. n. 3, elettivamente domiciliata in P. (S.) alla Via T. n. 20; libera assente; difesa di fiducia dall'avv. Gi.De., sostituito per delega ex art. 102 c.p.p., dall'Avv. Lu.Ma.; IMPUTATA Vedi foglio allegato. IMPUTATA Del reato p. e p. dagli artt. : art. , 588 c.p. perché all'interno dell'esercizio commerciale denominato Ta.Es. corrente in P., partecipavano ad una rissa nel corso della quale Gu.Ca., At.Ra. ed Es.Al. riportavano lesioni giudicate, riportavano lesioni giudicate guaribili non oltre il 5 giorno. in P. il 12/04/2016 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio, emesso dal P.M. in sede in data 08.08.2016, Es.Al., C.T., Gu.Ca. e At.Ra. venivano tratte innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato di cui alla formale imputazione, da intendersi qui richiamata. Alla prima udienza del 05.04.2017, dichiarata l'assenza delle coimputate, ritualmente avvisate e non comparse senza cause note di impedimento, la trattazione era differita come da protocollo d'intesa con il locale ordine forense. All'assise del 22.01.2018 le Difese chiedevano concedersi un rinvio per valutare una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova; si differiva al 26.09.2018 con sospensione dei termini di prescrizione (246 gg di sospensione). La seduta del 26.09.2018 era rinviata su concorde richiesta delle parti, con sospensione dei termini di prescrizione per 224 gg. Nella sessione dell'08.05.2019 il procedimento era rinviato per adesione del difensore all'astensione indetta dalle associazioni professionali; in ossequio all'orientamento più recente della Corte di Cassazione, i termini di prescrizione erano sospesi per gg 266 (Cass, pen., sent. n. 6362/2019; n. 9051/2019; n. 1097/2019; n. 52014/2019; n. 36119/2019; n. 28995/2020). All'assise del 29.01.2020, stralciata la posizione di C.T., che chiedeva definirsi il giudizio mediante patteggiamento, si differiva la trattazione per E., G. e A., che chiedevano di accedere al rito di cui all'art. 464 bis c.p.p., in attesa dell'elaborazione del programma di trattamento; i termini di prescrizione erano sospesi per gg 237. Analogo motivo comportava il rinvio della sessione prevista per il 23.09.2020. con sospensione dei termini di prescrizione per gg 280, e di quella fissata per il 30.06.2021, con ulteriori 105 gg di sospensione della prescrizione. Nella seduta del 13.10.2021 il Tribunale ammetteva Es.Al. e Gu.Ca. alla sospensione del procedimento con messa alla prova, separando la posizione di At.Ra.. La sessione del 16.02.2022 era differita per impedimento dell'imputata, sottoposta a programma di protezione e non videocollegata. All'assise del 20.04.2022 si rinviava il processo con notifica all'imputata del verbale d'udienza, contenente l'avviso che in caso di mancata rinnovazione l'istanza di messa alla prova si sarebbe intesa rinunciata. Nella seduta del 01.06.2022, acquisita la rinuncia dell'imputata per messa alla prova, il giudice, avendo nelle more definito la posizione di C.T. con sentenza ex art. 444 c.p., si asteneva dalla trattazione del processo che veniva riassegnato ad altro giudice della sezione. All'assise del 03.11.2022 il processo era rinviato su istanza del difensore, che chiedeva di accedere ad un rito diverso da quello di cui all'art. 464 bis c.p.p.. Nella seduta del 20.04.2023 il procedimento era rinviato per adesione del difensore all'astensione indetta dalle associazioni professionali; in ossequio all'orientamento più recente della Corte di Cassazione, i termini di prescrizione erano sospesi per gg. 189 (Cass, pen., sent. n. 6362/2019; n. 9051/2019; n. 1097/2019; n. 52014/2019; n. 36119/2019; n. 28995/2020). All'udienza del 26.10.2023 la Difesa chiedeva un breve rinvio per addivenire ad una proposta di patteggiamento; i termini di prescrizione erano sospesi per gg. 21. Nella sessione del 16.11.2023, registrato il dissenso del P.M. alla proposta di patteggiamento, il difensore, munito di procura speciale, chiedeva di accedere al giudizio abbreviato; il Tribunale, in accoglimento dell'istanza, disponeva la trasformazione del rito nelle forme di cui agli arti. 438 e ss c.p.p. e acquisiva il fascicolo del P.M.. All'udienza del 28.03.2024 aveva luogo la discussione: le parti rassegnavano le conclusioni in epigrafe trascritte e il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza, con riserva del deposito delle motivazioni in giorni 60, considerato il carico di ruolo. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Premessa in rito. Preliminarmente, quanto al rito prescelto, si ricorda che il giudizio abbreviato viene comunemente definito un procedimento a "prova contratta" in cui le parti, abdicando all'istruzione dibattimentale, accettano che la regiudicanda sia definita allo stato degli atti. E un "patteggiamento sul rito" e la scelta processuale implica l'accettazione delle risultanze delle indagini confluite nel fascicolo del P.M., con facoltà di utilizzazione di tutti gli atti acquisiti in tale fase, fermo restando il potere del giudice, quale garante della legalità del procedimento probatorio (cfr. Cass, pen., SS.UU., sentenza n. 16/2000, T.), di negare l'utilizzabilità degli atti probatori assunti contra legem, ovvero affetti da inutilizzabilità patologica, che ne preclude l'utilizzazione in modo assoluto in tutte le fasi del procedimento, non solo nel processo. Piuttosto, nel giudizio abbreviato il negozio introduttivo attribuisce agli atti di indagine preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie. È utile poi ricordare che l'accesso al rito premiale, con le modalità di cui al comma primo dell'art. 438 c.p.p., rappresenta un diritto dell'imputato il cui esercizio dipende esclusivamente dalla sua volontà, ferma restando per il giudice la sola facoltà officiosa di cui all'art. 441 comma 5 c.p.p.. Diversamente, qualora la scelta del giudizio abbreviato sia condizionata all'assunzione di prove, il giudice è chiamato ad una valutazione di rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione e di compatibilità della stessa con le esigenze di economia sottese al rito contratto. Nell'odierno procedimento la richiesta è stata formulata nell'interesse dell'imputata senza condizionamenti probatori, e dunque l'ammissione al rito costituisce esplicazione di un diritto non negabile, vista la tempestività dell'istanza. 2. La ricostruzione del fatto oggetto di imputazione. La valutazione degli atti contenuti nel fascicolo del P.M., consentita dalla scelta del rito a prova contratta, consente al Tribunale ima chiara cognizione dei fatti in contestazione, sostanzialmente evidenti. Ciò anche in forza delle immagini del sistema di videosorveglianza presente sul luogo del delitto, che immortalano con obiettiva affidabilità lo svolgimento dei fatti. In particolare, i filmati estrapolati dalla P.G., restituiscono oggettività alla ricostruzione dei fatti, contaminata altrimenti dalla faziosità delle dichiarazioni rese nelle rispettive querele dalle coimputate. Le rissanti, infatti, hanno reso versioni volte ad far emergere solo le responsabilità altrui, tacendo e minimizzando le proprie. Tuttavia, anche dal confronto tra le opposte propalazioni delle originarie coimputate si ricavano informazioni che comprovano la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 588 c.p., stagliandosi innanzi al Tribunale uno scenario di reciproca conflittualità; scenario raffigurato in modo incontrovertibile dalle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza. Per completezza, è opportuno sottolineare che nel presente procedimento, costituente stralcio di quello a carico di tutte e quattro le coimputate, non è stato riversato il supporto contenente i filmati in questione ma, dai frammenti estrapolati dalla P.G., la dinamica fattuale è comunque chiaramente comprensibile, vista anche l'annotazione descrittiva allegata. Dalla C.N.R. dei CC della Tenenza di Pagani del 28.04.2016, si ricava che in data 12.04.2016, poco prima delle ore 20.30 circa, si verificava una rissa tra quattro donne presso l'esercizio commerciale denominato "Ta.Es.", sito in P. via T. nr. 2. I militari intervenivano sul posto e identificavano le donne presenti in Es.Al., C.T., Gu.Ca. e At.Ra.; testimoni degli accadimenti erano At.Ra. e A.M., estranei alla vicenda. La rissa era scaturita perché C.T. intratteneva una relazione sentimentale con il marito di At.Ra., tale D.R.G., non presente sul posto. In data 13.04.2016, Es.Al. presentava una querela contro Gu.Ca. e At.Ra., accusandole di minaccia, lesioni personali e violenza privata; nell'occasione consegnava ai CC una pen drive contenente la registrazione effettuata nella giornata del 12.04.2016 presso il locale commerciale teatro degli eventi. Nella suddetta querela l'E. raccontava che nella serata del 12.04.2016, mentre si trovava nella sua tabaccheria con l'amica C.T., che le stava raccontando di una lite avvenuta poco prima con At.Ra. - lite scatenata da una pregressa relazione sentimentale con il marito di quest'ultima - vedeva giungere innanzi alla porta del locale l'A. e la madre Gu.Ca.. Le due donne, a detta della querelante, manifestavano l'intenzione di voler entrare per picchiare C.T.; urlavano anche contro l'E. ("Puttana, ti devo uccidere") che provava chiudeva la porta per non farle entrare, spingendole al contempo con la mano destra. Le due donne riuscivano ad aprire la porta e, nel frangente, graffiavano il braccio destro della E., rompendole anche un bracciale; Gu.Ca. si scaraventava contro la C., strappandola per i capelli e colpendola con pugni alla testa; l'A. si avventava contro la E., colpendola con alcuni schiaffi al petto. Entravano nel locale due uomini, attirati dalle urla, che separavano le litiganti; bloccavano prima l'A., e la E. allontanava allora la G. dalla C., venendo in quel momento afferrata per i capelli e offesa ("Anche tu sei una grande puttana"). Nel frangente, per allontanare la G., l'E. si rompeva le unghie di entrambe le mani. La colluttazione si arrestava quando l'A. e la G. uscivano dal locale, ove erano nelle more intervenuti anche i CC (cfr. querela di Es.Al. del 13.04.2016). Il racconto della E. collima con quello dell'amica O.T., la quale ha presentato parimenti una querela in data 13.04.2016. La C. ha riferito che la lite con l'A. era iniziata poco prima, per strada, quando l'imputata l'aveva offesa dandole della "prostituta" a causa della relazione intrattenuta con il marito D.R.G.. L'A. l'aveva anche colpita con schiaffi, graffi e tirate di capelli. Trovava allora rifugio nella tabaccheria dell'amica Es.Al., ove, mentre stava raccontando l'accaduto, sopraggiungevano l'A. e la G. che pretendevano di entrare per picchiare la C.; l'E. provava a tenere le due donne all'esterno, chiudendo la porta e spingendole con la mano, ma le stesse riuscivano con la forza ad entrare. La G. si avventava contro la C., colpendola, come riferito dalla E., con pugni alla testa e tirandole i capelli; l'A. si scagliava invece contro l'E., e la lite si placava grazie all'intervento di due uomini che dividevano le litiganti. Resesi conto della presenza dei CC, l'A. e la G., a detta della C., simulavano un malore (cfr. querela di O.T. del 13.04.2016). Prima ancora dell'E. e della C. erano state, in data 13.04.2016, alle ore 09.30, Gu.Ca. e At.Ra. a presentare una querela congiunta contro C.T. e Es.Al., accusandole di lesioni personali e minaccia. L'A. sosteneva che era stata la O. ad aggredirla per prima la sera del 12.04.2016; tornata a casa sanguinante, la madre le aveva chiesto spiegazioni e, appreso quanto accaduto, entrambe si erano recate presso la tabaccheria della E. in cerca della C.. Appena entrate la O. aggrediva la G., strattonandola, tirandole i capelli, colpendola con pugni in testa e al viso; contemporaneamente l'E. chiudeva la porta del negozio e si portava verso l'A., afferrandola per i capelli. A quel punto entravano nel locale At.Ra. e A.M. che dividevano le litiganti; la C. minacciava l'A. anche di morte ("ti devo tagliare la testa, ti devo uccidere con la mazza da baseball). La G. accusava un malore e veniva trasportata al P.S. dell'Ospedale di Nocera Inferiore, ove poco dopo la raggiungeva la figlia (cfr. querela di Gu.Ca. e At.Ra. del 13.04.2016). I testimoni indicati in At.Ra. e A.M., escussi a sommarie informazioni dai CC, non confermavano la versione di nessuna delle quattro donne dichiarando entrambi di aver solo notato la signora Gu.Ca. che si trovava al di fuori del locale commerciale e che non si sentiva bene, al punto da essere trasportata in ambulanza in ospedale (cfr. verbali di sommarie informazioni rese in data 28.04.2016 da At.Ra. e in data 26.04.2016 da A.M.). I referti medici redatti presso il nosocomio nocerino documentavano le lesioni patite dalle donne: a Gu.Ca. veniva diagnosticato un trauma cranico giudicato guaribile in gg 3; ad At.Ra. veniva diagnosticato un trauma cranico giudicato guaribile in gg 4; a C.T. venivano diagnosticate un trauma cervicale, escoriazioni al volto, un trauma contusivo frontale, escoriazioni alle braccia giudicate guaribili in giorni 5; a Es.Al. venivano diagnosticate un trauma cervicale, escoriazioni all'avambraccio destro e sinistro ed escoriazioni al collo giudicate guaribili in giorni 5 (cfr. documentazione sanitaria versata in atti). Le indagini proseguivano con la visione a cura della P.G. delle immagini relative al giorno 12.04.2016, tratte dal sistema di sorveglianza del locale commerciale "Ta.Es.", sito in P. alla via T. nr. 2, in cui si notava: - alle ore 20.19.42 giungere l'A. con la madre, che entravano nell'esercizio commerciale, dopo una iniziale resistenza sull'uscio della porta d'ingresso da parte dell'E. e della C.; - alle ore 20.19.56 la C. e la G. si afferravano reciprocamente per i capelli e si schiaffeggiavano; sopraggiungeva l'E. che afferrava per i capelli Gu.Ca.; in seguito, l'A. colpiva con pugni e schiaffi l'E. e la C.. Quest'ultima andava incontro all'A. e la colpiva al volto con uno schiaffo, sferrandole poi un calcio; - la rissa veniva sedata da alcune persone intervenute a seguito delle urla, le quali riuscivano a portare fuori dal locale commerciale l'A. e la G.; - sul posto sopraggiungevano infine i CC e la G., dopo essersi seduta su una sedia, si sentiva male (cfr. annotazione dei CC della Tenenza di Pagani del 28.04.2016 e le immagini allegate). 3. La configurazione del reato ascritto. La dinamica fattuale, ricavabile dagli elementi istruttori appena sintetizzati, dimostra l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 588 comma 2 c.p. Trattasi infatti di reato necessariamente plurisoggettivo che si concretizza in "forme di violenta contesa tra più persone o gruppi di persone, con reciproco intento offensivo, e con modalità che pongano in pericolo l'incolumità dei contendenti" (cfr. Cass, pen., sent. n. 48007/2015; n. 35301/2008). La rissa va annoverata tra i reati di pericolo per l'incolumità individuale, onde a nulla rileva che lo scontro violento sia di breve durata (Cass., Sez. 1, sentenza del 22.04.1980). Secondo l'impostazione tradizionale (Cass., Sez. 1, sentenza del 20.06.1966), il pericolo sarebbe inoltre presunto di guisa che la sussistenza del reato non sarebbe esclusa dalla tenuità del fatto e della pochezza delle sue proporzioni. Nel caso di specie, nessun dubbio si nutre sulla dimensione offensiva del fatto, atteso che il pericolo per l'incolumità individuale non solo sussisteva in astratto, ma si è concretizzato viste le lesioni subite da tutte le rissanti (così come attestato dai referti medici in atti). Sotto il profilo della tipicità strutturale, la rissa evoca una contesa violenta tra più persone, in cui è essenziale la presenza di due centri contrapposti di persone animati dalla volontà vicendevole di aggredire l'altrui incolumità individuale. È fondamentale dunque la contesa tra più persone, animate dall'intento di aggredire gli avversari e di difendersi dalla loro violenza, non sussistendo il reato nella sola ipotesi in cui più persone aggrediscano altre e queste esplichino una azione di pura difesa (Cass., Sez. 6, sent. n. 24630/2012; Sez. 6, sent. n. 12200/2020: "il reato di rissa richiede la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volontà di attentare all'altrui incolumità, presupposto che non è integrato qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall'azione violenta posta in essere ai loro danni "). La sequenza degli accadimenti al vaglio denota in maniera univoca la compartecipazione alla violenta lite di due gruppi di donne contrapposti: da un lato l'A. e la G. e, dall'altro la O. e l'E.. Tutte hanno agito allo scopo non di difendersi ma di offendere le rispettive avversarie, scambiandosi anche i ruoli nella contesa, come dimostrato dalle immagini della videosorveglianza acquisite, oltre che dalle dichiarazioni a loro volta contrapposte delle imputate. Tutte , e quattro le donne hanno pertanto contribuito attivamente allo scontro. Alle contendenti principali A.-O. si sono affiancate rispettivamente la madre G. e l'amica C., a sostegno della fazione di appartenenza, e tutte hanno posto in essere condotte eteroaggressive: la G. e la C. si sono afferrate reciprocamente per i capelli, l'E. a sua volta ha tirato i capelli alla G., l'A. ha colpito con pugni e schiaffi l'E. e la O.; la O. ha a sua volta colpito l'A.. Da qui la manifestazione di una rissa a tutti gli effetti tipici dell'art. 588 c.p., apparendo evidente anche il dolo presupposto dalla fattispecie, vista la chiara intenzione delle rissanti di offendere l'altrui incolumità; intenzione animata da uno scopo anche ritorsivo della A. per il tradimento del marito con la O.. La volontarietà dell'aggressione, partita proprio dalla A. che, insieme alla madre, si è recata alla ricerca della O. per affrontarla e farle pagare l'offesa all'onore recatale dalla relazione extraconiugale con il marito, esclude l'ipotizzabilità di una legittima difesa, considerati anche i ristretti margini di operatività della scriminante rispetto al delitto di cui all'art. 588 c.p. (Cass., Sez. 5, sentenza n. 15090/2020: "è inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i corrissanti sono ordinariamente animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata; essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un 'offesa che, per essere diversa a più grave dì quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta"). In senso analogo, deve escludersi l'attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2) c.p., non potendosi ritenere il tradimento del marito dell'A. con la O. offesa atta a giustificare la reazione offensiva dell'imputata e della madre (cfr. Cass., Sez. 5, sentenza n. 8020/2013: '7'attenuante della provocazione è normalmente incompatibile con il reato di rissa, a meno che non risulti che l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti sia stata preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall 'altro gruppo "). L'approccio psicologico al reato dell'imputata che, per prima ha dato inizio alla lite, coinvolgendo anche la madre, consente di ritenerla motore dell'intera dinamica delittuosa, e questo preclude ad una valutazione di particolare tenuità della sua condotta ai sensi dell'art. 131 bis c.p., vista anche l'entità della rissa, affatto trascurabile, come dimostrato dalle lesioni personali riportate da tutte le rissanti, e la sua durata, attesa la sedazione solo per l'intervento di terzi. Quest'ultima circostanza, come già anticipato, determina la ricorrenza dell'aggravante di cui al comma secondo dell'art. 588 c.p.. 4. Il trattamento sanzionatorio. Affermata la penale responsabilità dell'imputata in ordine al delitto ascrittole, si impone un'adeguata dosimetria del trattamento sanzionatorio, nell'ottica delle finalità rieducative e risocializzanti della pena. Preliminarmente, si ritiene di riconoscere all'A. le attenuanti generiche, potendosi valorizzare il comportamento processuale collaborativo, manifestatosi attraverso la reiterata richiesta di definizione del giudizio con rito alternativo, l'assenza di precedenti condanne, essendo allo stato incensurata, e i motivi a delinquere, intrisi di rancore dovuto all'infedeltà del marito con la C.. Nessun margine vi è invece per l'applicazione dell'attenuante dell'aver commesso il fatto in stato d'ira, ai sensi dell'art. 62 n. 2) c.p., invocata dalla Difesa in sede di discussione, non essendo la circostanza configurabile nella dinamica plurisoggettiva della rissa: "l'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 cod. pen. può essere riconosciuta solo allorquando sia oggettivamente e probatoriamente certo il fatto ingiusto altrui, mentre va esclusa in caso di rissa o di sfida, perché allora la provocazione è reciproca e si elide vicendevolmente anche in considerazione del fatto che la spontanea offerta al pericolo e la preparazione all'offesa dell'avversario sono motivi di natura psichica caratterizzati dallo intento di infliggere una punizione all'offensore. Tali motivi, pur se e quando ricollegabili ad una precedente Azione provocatrice in termini di reazione ad un fatto ingiusto altrui, sono sintomatici di rancore, di vendette e trovano radice in un sentimento diverso dall'ira che, invece, deve plasmare il momento psicologico nella cui contingenza viene attuata la reazione causalmente legata al fatto ingiusto altrui" (cfr. Cass, pen., Sez. 1, sentenza n. 7836/1988). All'esito del bilanciamento tra le attenuanti generiche e la concorrente aggravante di cui all'art. 588 comma 2 c.p., si giunge ad un giudizio di equivalenza, con neutralizzazione reciproca degli effetti sulla pena, che deve essere commisurata guardando alla cornice edittale del comma primo della disposizione (nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, antecedenti all'inasprimento della L. n. 173 del 2020). Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e, tenuto conto delle modalità delle condotte eteroaggressive, del pericolo per l'incolumità individuale concretizzatosi, nonché dell'intensità del dolo, il Tribunale stima equa la pena finale Euro 140,00 di multa, determinata applicando alla pena base di Euro 210,00 la riduzione di 1/3 per la scelta del rito abbreviato; pena corrispondente a quella proposta ex art. 444 c.p.p., e cui il P.M. non aveva dato il proprio consenso. Alla condanna segue per legge il pagamento delle spese processuali. All'imputata può essere concessa la sospensione condizionale della pena, non avendone beneficiato in passato e potendosi formulare un giudizio prognostico favorevole circa la futura astensione dalla commissione di ulteriori delitti. P.Q.M. Letti gli artt. 438-533-535 c.p.p., DICHIARA At.Ra. colpevole del reato a lei ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 588 comma 2 c.p., applicata la diminuzione prevista per la scelta del rito, la condanna alla pena finale Euro 140,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 163 e ss. c.p., sospende la pena inflitta ad At.Ra. a termini e condizioni di legge. Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p., indica in giorni 60 il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Nocera Inferiore il 28 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Relatore Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Da.D'a. ANCHE PCN nato a M il (Omissis) avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO. Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza dell'art. 17 del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 112. Lette: la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n, 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Nicola Lettieri, che ha concluso per il rigetto del ricorso; le conclusioni, per le parti civili, dell'Avv. Cl.Bo., per la conferma della sentenza impugnata; la memoria del difensore del ricorrente, Avv. An.Ca., che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza deliberata il 05/07/2023, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 20/09/2021 con la quale, per quanto è qui di interesse, il Tribunale di Milano ha dichiarato Dario Da.D'a. responsabile del reato di lesioni personali ai danni di Mi.Ch. e St.Ch. (giudicate guaribili in 10 giorni) e lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione e al risarcimento dei danni a favore delle parti civili. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con un unico atto e attraverso il difensore avv. An.Ac. Cattaneo, articolando sette motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Il primo motivo denuncia violazione dell'art. 52 cod. pen., in quanto la sentenza impugnata ha erroneamente attribuito rilevanza alla mera presenza dell'imputato sulla pubblica via, mentre la scriminante della legittima difesa non può essere esclusa in base al rilievo che il soggetto non si sia avvalso della di evitare un'aggressione ancora solo ipotetica, senza che il pericolo avesse assunto consistenza, laddove al ricorrente non è mai stato contestato il delitto di rissa, sicché difetta l'applicabilità dei principi di diritto in tema di aggressioni reciproche. 2.2. Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 131 -bis cod. pen., in quanto la reiterazione di comportamenti aggressivi costituenti una condotta unitaria non rende un comportamento abituale, né la ritenuta particolare violenza, per la sia vaghezza, costituisce valido motivo per escludere la causa di non punibilità. 2.3. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto il giudice di primo grado, nell'escludere la legittima difesa, ha ritenuto che le lesioni sono avvenute nell'ambito di una vera e propria rissa -reato non contestato - e tale vizio non è stato emendato dalla sentenza di primo grado. 2.4. Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di lesioni volontarie. Le sentenze di merito hanno ritenuto parimenti inattendibili, da una parte, le dichiarazioni dei fratelli Ch. e, dall'altra, quella dei fratelli @5D'a.@ senza considerare che queste ultime erano perfettamente collimanti e sovrapponibili, sicché non è stata ricostruita l'effettiva e concreta dinamica dei fatti. 2.5. Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla scriminante della legittima difesa, in quanto la sentenza di primo grado non aveva riscontrato l'esistenza di un commodus discessus, quanto la reciprocità lesiva, e comunque non essendo stato possibile ricostruire la dinamica dei fatti sul piano logico non poteva essere individuato il commodus discessus, né la grandissima violenza, posto che, secondo massime d'esperienza, un morso è una reazione difensiva. 2.6. Il sesto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla manata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., in quanto pur riconoscendo la reciprocità delle offese e il carattere lievi delle lesioni, tale applicazione è stata esclusa nonostante la contestualità spazio-temporale e l'unicità della condotta. 2.7. Il settimo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine al diniego di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, nonostante la parziale inutilizzabilità della prova statuita dal giudice di primo grado. 3. Rileva d'ufficio la Corte che - già secondo l'originaria contestazione - il reato contestato rientrava nella competenza del giudice di pace, attenendo a lesioni determinanti una malattia giudicata guaribile in dieci giorni e non essendo contestate aggravanti (non rilevando, ai fini in esame, la recidiva), sicché, come affermato dalle Sezioni unite, l'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, cod. proc. pen., ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della perpetuano iurisdictionis purché il reato gli sia stato correttamente attribuito ab origine e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo (Sez. U, n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais, Rv. 275869 - 01). Non si versa in quest'ultima ipotesi nel caso di specie, perché, come si è detto, l'originaria contestazione riguardava un reato già rientrante nella competenza del giudice di pace. Né in senso contrario può argomentarsi ritenendo contestata in fatto l'aggravante delle persone riunite alla luce del concorso del fratello (poi assolto) dell'imputato, in quanto, come questa Corte ha avuto modo di puntualizzare in tema di lesioni personali volontarie, l'aggravante delle più persone riunite non si identifica con il concorso di persone nel reato, sicché, nel caso in cui l'imputazione si limiti a rappresentare la presenza di almeno due soggetti sul luogo e nel momento della realizzazione della condotta, non può ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza anche siffatta aggravante, in quanto, onde ritenerne concretamente realizzati gli elementi costitutivi, è necessario che, a causa della pluralità degli aggressori e della loro simultanea presenza, si producano nella vittima effetti fisici e psicologici tali da eliminarne o ridurne la forza di reazione (Sez. 5, n. 27386 del 06/04/2022, Fracasso, Rv. 283575 - 01) 4. Pertanto, le sentenze di merito devono essere annullate senza rinvio e deve disporsi la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano, per l'ulteriore corso, mentre il riferimento a condizioni di salute delle persone offese impone l'oscuramento dei dati sensibili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendosi la trasmissione degli atti al PM presso il Tribunale di Milano, per l'ulteriore corso. Motivazione semplificata. Così deciso il 1 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. APRILE Stefano - Presidente Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Relatore Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Pa.Lo. nato a N il (Omissis) avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO; lette le conclusioni del PG, STEFANO TOCCI, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12 dicembre 2022 il Tribunale per i minorenni di Napoli, in rito abbreviato, ha condannato Pa.Lo. alla pena di 8 anni di reclusione, per i reati di rissa aggravata (art. 588 cod. pen.) e tentato omicidio (artt. 56, 575 cod. pen.), aggravato dai futili motivi e dall'utilizzo di un coltello, bilanciati con giudizio di equivalenza con l'attenuante della minore età, fatti commessi in N il 15 maggio 2022. Con sentenza del 6 luglio 2023 la Corte di appello di Napoli, sezione per i minorenni, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riformulato il giudizio di bilanciamento con giudizio di prevalenza dell'attenuante della minore età, ha rideterminato la pena inflitta in 6 anni di reclusione e confermato, per il resto, la sentenza di primo grado. In particolare, i giudici del merito hanno ritenuto accertato che il giorno 15 maggio 2022 Pa.Lo. era partito da P, ed utilizzando i mezzi pubblici, si era recato con Ge.Sp. ed altri amici, a passare la giornata alla spiaggia di M. Giunti sul posto, Ge.Sp. aveva notato la presenza sulla stessa spiaggia di un gruppo di ragazzi tra cui vi era un altro coetaneo, tale Lu.Gu., con cui aveva avuto una discussione su un social network per motivi sentimentali connessi alla comune frequentazione della stessa ragazza, e aveva riferito ai suoi amici che temeva si potesse arrivare ad uno scontro. Ad un certo punto, mentre i due gruppi di ragazzi erano venuti a trovarsi sullo stesso scoglio, era nata una colluttazione tra i due contendenti, poi estesa ai rispettivi amici, colluttazione in cui l'imputato aveva estratto un coltello che teneva nella tasca dei pantaloni ed aveva colpito due degli amici di Lu.Gu., procurando loro ferite, da punta e da taglio, al torace ed all'addome; uno dei due feriti era stato ricoverato in rianimazione. Visto il sangue ed i ragazzi caduti, l'imputato era scappato a nuoto. L'episodio era avvenuto in luogo pubblico su una spiaggia che quel giorno era molto frequentata, ed ad esso avevano assistito, quindi, diversi testimoni che avevano indirizzato le indagini verso Ge.Sp. La notte stessa del fatto l'imputato era stato individuato come possibile autore dell'accoltellamento ed, interrogato dal pubblico ministero, lo aveva confessato e circostanziato. Il processo di primo grado si era concluso con la condanna dell'imputato con il riconoscimento dell'attenuante della minore età con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti dei futili motivi e dell'utilizzo del coltello. Nel giudizio di appello l'attenuante della minore età era stata riconosciuta con giudizio di prevalenza. La Corte di appello aveva respinto il motivo in cui si chiedeva la concessione delle attenuanti generiche, ed anche quello con cui si chiedeva di non riconoscere l'esistenza delle aggravanti dell'utilizzo del coltello, in quanto non contestata, e dei futili motivi, in quanto non contestata ed in quanto non sussistente in concreto. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Con unico motivo deduce vizio di motivazione, perchè i giudici d'appello non hanno concesso le attenuanti generiche all'imputato che avrebbero dovuto essere riconosciute per le dichiarazioni ammissive rese nell'immediatezza dei fatti, ma su questo argomento non vi è stata alcuna risposta nella pronuncia impugnata; inoltre, la sentenza impugnata nega le attenuanti generiche sostenendo che si tratti di un comportamento che non trova giustificazione alcuna, affermazione che è contraddittoria perché le attenuanti generiche non hanno lo scopo di giustificare una condotta costituente reato ma solo di mitigare bonariamente il trattamento sanzionatorio; la decisione è contraddittoria anche perché la stessa sentenza riconosce che la spinta a delinquere è nata dal vedere l'amico in difficoltà e dal dalla volontà di intervenire in suo aiuto. Inoltre, la sentenza impugnata si presta a censura anche nella parte in cui riconosce l'aggravante dei futili motivi nonostante che la condotta dell'imputato sia stata determinata dalla volontà di aiutare l'amico in difficoltà, ed anche perché sia i futili motivi che l'utilizzo del coltello sono stati ritenuti esistenti nonostante le aggravanti non fossero esplicitamente contestate. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale, dr. Stefano Tocci, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. L'unico, cumulativo, motivo del ricorso è dedicato nella prima parte alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Tali attenuanti sono state negate in primo grado con la seguente motivazione: "ritiene il Tribunale che, per la gravità dei fatti e per la personalità dell'imputato, sintomatica di una particolare pervicacia e capacità a delinquere, ad onta della giovane età, non possono essere concesse le invocate attenuanti, neppure alla luce delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dal Pa.Lo., a conoscenza delle prove raccolte a suo carico. Si osservi a tal proposito che la concessione delle attenuanti generiche non può essere intesa come oggetto di benevola e discrezionale concessione del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni e circostanze che incidano obiettivamente sull'apprezzamento della gravità del reato e della capacità a delinquere dell'imputato, e che nel caso di specie sono assenti". Nella sentenza di appello le attenuanti sono negate con la seguente motivazione: "la richiesta di concessione delle attenuanti generiche deve essere disattesa in quanto si ritengono ampiamente condivisibili le argomentazioni del giudice di primo grado sul punto, dovendosi altresì sottolineare che i fatti di cui si tratta sono di particolare gravità, e sono espressione di un'indole trasgressiva e violenta che non trova giustificazione alcuna". Il ricorso attacca la sentenza impugnata deducendo che le attenuanti generiche avrebbero dovuto essere riconosciute per le dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nell'immediatezza dei fatti, ma sul punto vi è risposta non illogica nella sentenza di primo grado, che ha ritenuto subvalente tale comportamento in quanto avvenuto non proprio nell'immediatezza, ma quando l'imputato era già a conoscenza delle prove raccolte a suo carico. La risposta del giudice del merito non è manifestamente illogica alla luce dello svolgimento dei fatti che portano all'individuazione quale autore del reato di Pa.Lo., che in realtà era scappato dalla scena del crimine, solo a seguito di attività di polizia e deposizione di persone informate sui fatti. Il ricorso attacca la sentenza impugnata anche deducendo che la decisione è contraddittoria perché la stessa sentenza riconosce che la spinta a delinquere è nata dal vedere l'amico in difficoltà e dalla volontà di intervenire in suo aiuto, ma l'argomento è infondato, perché, nella decisione in ordine alla concessione o meno delle attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899-01), e nel percorso logico della sentenza impugnata l'elemento che in modo non illogico è stato considerato preponderante è stata la gravità del comportamento dell'imputato, che, utilizzando un coltello per colpire i rivali (unico tra i contendenti dei due gruppi che lo ha fatto), ha fatto degenerare un incontro casuale tra due gruppi di ragazzi che avevano una minimale, e componibile, ragione di attrito tra loro in un episodio potenzia mente letale per la vita di chi ha partecipato all'incontro. 2. La parte finale dell'unico motivo del ricorso è dedicato poi alle aggravanti dei futili motivi e dell'utilizzo del coltello, che sono state ritenute a carico dell'imputato in entrambe le sentenze di merito. Anche al di là del difetto di interesse a contestarne l'esistenza, attesa la ritenuta subvalenza di tali aggravanti rispetto alla attenuante della minore età nella sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 3880 del 24/11/2022, dep. 2023, Damiano, Rv. 284309; Sez. 4, Sentenza n. 28230 del 22/06/2022, Raidich, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 23313 del 24/02/2022, Katibi, n.m.; Sez. 1, n. 43269 del 25/09/2019 Rv. 277144; Sez. 2, n. 38697 del 24/06/2015, Mdiaye, Rv. 264803; Sez. 3, n. 16717 del 09/03/2011, Khadim, Rv. 250000), va osservato che, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, entrambe le aggravanti sono state in realtà contestate in fatto nella imputazione, in cui si legge che il reato è contestato all'imputato "per futili motivi legati ad un pregresso dissidio avvenuto per fatti sentimentali tra il suo amico Ge.Sp. ed il maggiorenne Lu.Gu., ingaggiata una rissa con Lu.Gu., De., Uc., colpiva con un coltello non repertato (...)". Con riferimento ai futili motivi, il ricorso deduce anche che essi non sussisterebbero in concreto, in quanto la stessa pronuncia di appello riconosce che l'imputato è intervenuto per difendere un amico in difficoltà. L'argomento è infondato, perché la motivazione con cui la pronuncia di appello ha respinto il motivo di appello sul punto ("in ordine poi ai futili motivi dai quali la rissa, e quindi il tentato omicidio, sono scaturiti, può senz'altro ritenersi che gli screzi per motivi sentimentali, emersi chiaramente dagli elementi istruttori acquisiti, integrino la menzionata aggravante") è coerente con la giurisprudenza di legittimità che ritiene che "il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa" (Sez. 1, Sentenza n. 4819 del 17/12/1998, dep. 1999, Casile, Rv. 213378; più di recente, v. sul punto Sez. 5, Sentenza n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103: "la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare lezione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento"). Né tale parte della pronuncia è contraddittoria con la frase, evidenziata in ricorso, che si rinviene in altra parte della sentenza, laddove il giudice di appello riconosce all'imputato la attenuante della minore età come prevalente in ragione anche della circostanza che "nella determinazione delittuosa assunta dall'imputato è ravvisabile una significativa componente di impeto scaturita dal vedere l'amico in difficoltà e dalla volontà di intervenire in suo aiuto", perché la Corte di appello si è limitata a riconoscere l'esistenza di una "componente" di impeto, che nello stesso giudizio della sentenza impugnata non assorbe completamente la determinazione a delinquere iniziata nel momento in cui l'imputato, avvisato dall'amico dell'esistenza del gruppo rivale e della possibilità che si arrivasse allo scontro per il motivo futile ben descritto in sentenza, si è avviato verso lo scoglio recando con sé il coltello che poi ha usato nel momento in cui allo scontro si è, in effetti, arrivati. Il ricorso è, in definitiva, infondato. 3. Al rigetto del ricorso non consegue condanna alle spese processuali (Sez. U, Sentenza n. 15 del 31/05/2000, Radulovic, Rv. 216704) ex art. 29 disp. att. c.p.m., norma ritenuta applicabile anche al giudizio di legittimità (Sez. 4, Ordinanza n. 11194 del 01/06/1999, Milanovic, Rv. 214385). 4. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 1° marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna - Presidente Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SAVONA nei confronti di: Ze.Lu. nato a C il (omissis) Ve.As. nato a M il (omissis) Me.Lo. nato a S il (omissis) Mu.Pa. nato a C il (omissis) Va.Re. nato il (omissis) avverso l'ordinanza del 21/07/2023 del GIP TRIBUNALE di SAVONA udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, FULVIO BALDI, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato; letta la memoria dell'Avv. S. Ca., che ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1.Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di Savona, nel rigettare una richiesta di archiviazione, ordinava al Pubblico Ministero di elevare, entro dieci giorni, l'imputazione nei confronti di Ze.Lu., Ve.As., Me.Lo., Mu.Pa. e Va.Re., per il reato di cui all'art. 588, comma 2, cod. pen., rilevando che dalla lettura degli atti emergeva che a carico dei soggetti italiani già identificati nel procedimento iscritto a carico di ignoti per lesioni e danneggiamento e ivi indicati come persone offese emergevano i presupposti per la configurazione di una rissa con loro, da una parte, e alcuni giovani albanesi da un'altra, almeno uno dei quali identificato nella persona di Va.Re. 2. Contro tale provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Savona deducendone l'abnormità poiché l'imputazione coatta non potrebbe riguardare fatti di reato non configurati nella prospettazione accusatoria rispetto alla quale si è richiesta l'archiviazione né estendere l'imputazione a carico di soggetti non indagati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. La pronuncia impugnata si pone infatti in contrasto con i principi, cui il collegio intende conformarsi, espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte per i quali, poiché in tema di provvedimenti del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di archiviazione, le disposizioni contenute nell'art. 409, comma 4 e 5, cod. proc.pen., devono formare oggetto di rigorosa interpretazione, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell'organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa, costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, sia l'ordine d'imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione, potendo in questi casi il GIP limitarsi ad ordinare le relative iscrizioni nei registri di cui all'art. 335 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014, P.M. in proc. L. e altro, Rv. 257786 - 01). Ebbene, nella fattispecie in esame, risulta che, discostandosi dai richiamati canoni interpretativi, a fronte dell'iscrizione di un procedimento a carico di ignoti per delitti di danneggiamento e lesioni dei quali il Pubblico Ministero aveva richiesto l'archiviazione, il GIP del Tribunale di Savona ha ordinato l'imputazione coatta di soggetti precisamente individuati e per un fatto di reato differente da quello di lesioni ipotizzato nella prospettazione accusatoria, ossia quello di rissa aggravata. 2. L'ordinanza impugnata, pertanto, va annullata senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la trasmissione degli atti al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Savona per l'ulteriore corso. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna -Presidente Dott. ROMANO Michele -Consigliere Dott. PILLA Egle -Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo -Consigliere Dott. BIFULCO Daniela -Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CA.SA. nato a V il (omissis) avverso la sentenza del 15/12/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO; udito il Sostituto Procuratore generale LUCIA ODELLO, la quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. udito il difensore dell'imputato, Avv. Salvatore Pa.Sa. del foro di CATANIA, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. È oggetto di ricorso la sentenza del 15 dicembre 2022, con cui la Corte d'appello di Catania ha confermato il giudizio di responsabilità, anche ai fini civili, reso in primo grado nei confronti di Ca.Sa. per il reato di lesioni aggravate dall'uso di strumenti atti ad offendere, cagionate a Gi.Ad., con prognosi di guarigione di giorni trenta, e di Gi.So. le cui lesioni sono state giudicate guaribili in giorni otto. La decisione di primo grado è stata riformata unicamente in punto di trattamento sanzionatorio, attesa l'eccessività dell'aumento di pena disposto a titolo di continuazione: l'imputato è stato condannato alla pena detentiva di anni tre e mesi quattro di reclusione, con conferma, come detto, delle statuizioni risarcitone. 2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Sa.Pa., affidando le proprie censure ai sette motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale disatteso la censura relativa alla mancata assunzione di prova decisiva in primo grado, vale a dire l'esame dell'imputato in sede dibattimentale, pure ritualmente richiesto dalla difesa e ammesso con ordinanza dal primo Giudice. La difesa fa notare che il Tribunale, una volta constatata l'assenza dell'imputato, chiudeva l'istruttoria; a tale decisione, la difesa opponeva formale contestazione. La Corte territoriale ha ritenuto superata la deduzione difensiva, rilevando che, nel corso del giudizio d'appello, l'imputato decideva comunque di rendere spontanee dichiarazioni; in tal modo, osserva la difesa, si sarebbe realizzato un vulnus al diritto dell'imputato a difendersi provando, posto che l'esame dibattimentale dell'imputato dispiega una ben più ampia valenza dimostrativa rispetto alle spontanee dichiarazioni. Si deduce, pertanto, nullità della sentenza per violazione di norme processuali poste a presidio del diritto di difesa e delle prove. 2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte d'appello riqualificato il fatto oggetto di contestazione sub specie di reato di rissa di cui all'art. 588 cod. pen. La documentazione depositata dalla difesa attesta, infatti, le lesioni riportate anche dall'imputato a seguito della colluttazione con la persona offesa Gi.So. e il di lui figlio Ma.. 2.3 II terzo motivo ha ad oggetto violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della disciplina di cui all'art. 55 cod. pen., e della circostanza di cui all'art. 59, ult. comma, cod. pen. Pur escludendo la causa di giustificazione della legittima difesa, la Corte territoriale avrebbe dovuto almeno prendere atto che la condotta dell'imputato era stata adottata in uno stato psicologico di forte agitazione, che aveva impedito allo stesso di riflettere sul grado di opposizione necessario a fronteggiare le persone offese. Da tale stato di febbrile agitazione, sarebbe scaturito l'utilizzo di strumenti atti a offendere (una chiave inglese e un giratubi), che l'imputato non aveva premeditato di utilizzare. Anche la deduzione - posta in subordine - relativa alla possibilità di circostanziare la condotta alla luce dell'art. 59, ult. comma, cod. pen., è stata immotivatamente disattesa dai Giudici dell'appello. In chiusura del motivo in esame, la difesa censura l'impugnata sentenza per avere la Corte territoriale basato il giudizio di responsabilità unicamente sulle dichiarazioni delle persone offese, senza alcun riguardo al possibile interesse - di natura economica - delle stesse ad accusare l'imputato, posto che quest'ultimo vantava un credito di lavoro nei confronti della persona offesa Gi.So. datore di lavoro dell'odierno ricorrente. 2.4 Il quarto motivo ha ad oggetto la mancata applicazione della circostanza attenuante dello stato d'ira cagionato da fatto ingiusto altrui, tenuto conto del protratto inadempimento dell'obbligazione derivante dal rapporto di lavoro tra lo Sciortino e l'imputato, nonostante l'accordo raggiunto per un pagamento rateale. 2.5 Col quinto e sesto motivo si deduce violazione di legge e carenza assoluta di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e in relazione alla contestata recidiva, nonostante la lontananza, nel tempo, dei precedenti penali dell'imputato, l'ultimo dei quali risalente al 2002 per fatti commessi 25 anni orsono. 2.6 Col settimo motivo, si eccepisce violazione di legge processuale e vizio di motivazione in ordine alla mancata revoca della costituzione di parte civile, stante la mancata illustrazione di ragioni poste a base della pretesa risarcitoria. 3. All'udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Lucia Odello, riportandosi alle conclusioni scritte della requisitoria, trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. La difesa dell'imputato, Avv. Sa.Pa., si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendo l'accoglimento dello stesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è infondato, avendo la Corte territoriale adeguatamente esplicato sia le ragioni per cui non si è ritenuto di procedere all'esame dibattimentale dell'imputato sia i motivi per cui il diritto alla difesa dell'imputato non ha subito compromissione alcuna dal mancato espletamento di quell'atto. Rilevata, infatti, l'assenza ingiustificata dell'imputato all'udienza e revocata, di conseguenza, l'ordinanza ammissiva dell'esame dello stesso, la Corte territoriale ha ritenuto che l'imputato potesse avvalersi della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee, come in effetti avvenuto. Ritiene pertanto il Collegio che la Corte d'appello abbia operato buon governo dei principi elaborati da questa Corte, secondo cui in caso di volontaria assenza dell'imputato all'udienza dibattimentale fissata per l'assunzione del suo esame, la mancata rinnovazione di tale atto durante la prosecuzione dell'istruttoria non è suscettibile di determinare alcuna nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. o, comunque, una concreta menomazione del diritto di difesa, atteso che egli può avvalersi della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee e di domandare per ultimo la parola in sede di discussione (Sez. 1, n. 31624 del 23/05/2014, Monaco, Rv. 261465 - 01). 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato e privo di specificità, in quanto, in termini assertivi, reitera la propria ricostruzione dei fatti senza riuscire ad incrinare la logicità del percorso argomentativo dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto che l'imputato si sia recato a casa delle persone offese con il deliberato intento di operare l'aggressione, alla luce della persistente insoddisfazione del credito vantato. Esclusa la contrapposizione violenta di gruppi che si aggrediscano reciprocamente, la Corte d'appello ha coerente ritenuto insussistente la scriminante della legittima difesa. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, dal momento che, secondo il costante orientamento di questa Corte, l'assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, impedisce di ravvisare l'eccesso colposo, che si caratterizza per l'erronea valutazione di detto pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati (Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico, Rv. 279344 - 02). Per altro aspetto, la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, esclude, nella prospettiva dell'invocata applicazione dell'art. 59 cod. pen., qualunque profilo di ragionevolezza nel pericolo che l'imputato avrebbe percepito e che, in realtà, secondo quanto esposto in ricorso, appare più il frutto di un turbamento d'animo che non l'effetto di una situazione aggressiva percepita come proveniente da terzi. 4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, alla luce del costante orientamento di questa Corte, alla stregua del quale l'accettare o il portare una sfida per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo a un risentimento, impedisce l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppur occasionato da un precedente fatto dell'avversario (Sez. 5, n. 12045 del 16/12/2020, dep. 2021, Gallace, Rv. 281137 - 03). 5. Il quinto motivo è manifestamente infondato e privo di specificità, dal momento che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 6. Il sesto motivo è del tutto generico e non riesce a dimostrare alcuna illogicità nell'esercizio, da parte dei giudici di merito, del potere valutativo sotteso al riconoscimento della recidiva, alla luce dei precedenti penali dell'imputato per delitti contro la persona e delle modalità della condotta. 7. Generico e manifestamente infondato è l'ultimo motivo, dal momento che la mancata presentazione di una comparsa conclusionale non può essere equiparata alla mancata presentazione delle conclusioni in udienza ad opera della parte civile, ai sensi dell'art. 82, comma 2, cod. proc. pen. 8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003. Così deciso in Roma, il 17 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 07 marzo 2024.

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