Sentenze recenti rottura ingiustificata trattative

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di LATINA I Sezione CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giuseppina Vendemiale ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 300444/2010 promossa da: C.F., (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Terracina, (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende giusta procura in atti; ATTRICE Contro S.L., (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Terracina, (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti; CONVENUTA Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione, ritualmente notificato, C.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina, ex sezione distaccata di Terracina, S.L., deducendo che: 1) la convenuta le aveva promesso in locazione il suo appartamento sito in T. alla via delle C. s.n.c. a partire dal 01/04/2010 in quanto, in pari data, avrebbe dovuto rilasciare l'immobile ove abitava; 2) l'appartamento promesso in locazione, tuttavia, era già occupato dal sig. A.M., giusta contratto di locazione stipulato il 24/12/2007 che, con raccomandata a.r., in data 30/12/2008 aveva comunicato di recedere dal contratto con effetto dal 01/07/2009; 3) nel mese di giugno 2009, il sig. M. richiedeva verbalmente alla locatrice una proroga di ulteriori sei mesi per il rilascio dell'immobile, accettata dalla medesima; 4) nel dicembre 2009, però, l'immobile non veniva liberato come pattuito e l'odierna convenuta accordava al suo conduttore ulteriori proroghe verbali nonostante l'impegno assunto; 5) in data 01/04/2010, giorno stabilito per la consegna dell'appartamento, l'immobile di proprietà della convenuta era ancora occupato dal sig. M., nonostante la S. fosse stata formalmente invitata a consegnare le chiavi dell'appartamento promesso in locazione; 6) a causa di tale negligente condotta, aveva subito notevoli disagi, nonché conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali, meritevoli di tutela risarcitoria. Chiedeva, pertanto, l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, accertare e dichiarare l'illegittima condotta posta in essere dalla sig.ra L.S. e per l'effetto condannarla al risarcimento dei danni morali, esistenziali e non patrimoniali che possono quantificarsi in Euro 10.000,00 ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia, nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito dalla stessa per l'intermediazione dell'Immobiliare "C." S.r.l. di T., pari ad Euro 700,00 e al pagamento della somma di Euro 4.320,00 per le spese di ristrutturazione sostenute. Con vittoria di spese, anche generali, competenze ed onorari di lite, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore che si dichiara antistatario ex art. 93 c.p.c." Si costituiva in giudizio S.L., contestando la fondatezza della pretesa attorea ed esponendo che: 1) tra le parti non era mai intercorso alcun tipo di rapporto anche solo preliminare finalizzato alla concessione dell'immobile di sua proprietà in locazione alla C., fatta salva una generica disponibilità a valutare l'esistenza delle condizioni per addivenire ad una futura e ipotetica stipula di un contratto di locazione; 2) stante l'inesistenza di un rapporto giuridico intercorrente tra le parti, nessun addebito comportamentale poteva esserle contestato; 3) a tutto voler concedere, la pretesa ex adverso azionata doveva essere qualificata in termini di responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c., con conseguente risarcibilità del solo interesse negativo; 4) peraltro, nessuna violazione del canone di buona fede rilevante ex art. 1337 c.c. poteva esserle imputata, essendo a sua volta stata costretta a subire le tempistiche impostele dal conduttore, e dovendosi considerare il ritardo di quest'ultimo nel rilascio dell'immobile quale "giusta causa" determinante il recesso dalle ipotetiche trattative dedotte dalla controparte. Concludeva, pertanto, chiedendo l'integrale rigetto della domanda attorea. C. i termini ex art. 183, 6 comma, c.p.c., la causa veniva istruita mediante interrogatorio formale delle parti e prova per testi, dopodiché, a seguito della soppressione della Sezione Distaccata di Terracina, veniva assegnata al Tribunale di Latina, rinviata per la precisazione delle conclusioni, da ultimo, all'udienza del 6.12.2022, svoltasi mediante modalità di trattazione scritta, e trattenuta in decisione a detta udienza senza concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per comparse conclusionali e repliche, come da concorde richiesta delle parti. C.F. ha agito in giudizio per far dichiarare la responsabilità della convenuta S.L. per essere venuta meno all'impegno assunto di concederle in locazione l'immobile di sua proprietà, sito in T., Via delle C., con condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni subiti. La domanda non merita di trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte. In primo luogo, occorre fornire il corretto inquadramento giuridico al rapporto intercorso tra le parti. Sul punto, viene in rilievo innanzitutto la lettera raccomandata prodotta sub. doc. n. 7 dell'atto di citazione, con cui l'odierna convenuta, in data 13.03.2010, intimava all'allora conduttore dell'immobile, M.A., di liberare l'appartamento entro il termine improrogabile del 31.03.2010, "atteso che l'abitazione già da tempo è stata promessa, nei modi di legge, alla Signora F.C. la quale dall'inizio dell'anno ha pazientato per i diversi rinvii, considerato che dal 1 aprile 2013 dovrà lasciare la casa dove attualmente abita". La suddetta scrittura non è mai stata disconosciuta dall'odierna convenuta, la quale, sentita in sede di interrogatorio formale all'udienza del 25.1.2012, ha confermato di averla inviata ("confermo in particolare il sollecito scritto del 13.3.2010"), così come pure la madre della S., escussa in qualità di teste, ha riconosciuto la firma della figlia apposta in calce alla citata lettera. Tale evidenza documentale deve essere considerata unitamente alle dichiarazioni rese dalle parti e dai testi escussi. La convenuta S., in particolare, ha riferito di non aver assunto alcun impegno formale nei confronti dell'odierna attrice, precisando come quest'ultima avesse intrattenuto rapporti esclusivamente con sua madre, e soggiungendo che a fronte dell'interesse manifestato dalla C. alla locazione dell'appartamento, da parte sua vi era stata una disponibilità a locare l'immobile a cui non aveva tuttavia fatto seguito l'assunzione di alcun preciso obbligo contrattuale. La lettera del 13.3.2010, poi, sarebbe stata inviata anche alla C. "per dimostrare la nostra buona fede nonostante non ci fosse alcun impegno preciso". Tali circostanze sono state confermate dalla teste M.A.V., madre della convenuta, la quale ha riferito di aver avuto dei contatti con la C. ai fini della possibile concessione in locazione dell'immobile una volta che fosse stato liberato dal precedente inquilino. In tal senso ha deposto anche il padre della convenuta, A.S.. Per contro, l'odierna attrice sostiene che, sin a partire dal mese di ottobre 2009, la S. avesse assunto un preciso obbligo nei suoi confronti, avente ad oggetto la locazione dell'abitazione a partire dal 1.4.2010. Alla luce delle citate emergenze istruttorie, a prescindere dal fatto che i rapporti siano materialmente intercorsi direttamente tra la S. e la C. ovvero tra quest'ultima e i genitori della prima, non può disconoscersi che tra le parti fosse stata raggiunta un'intesa quantomeno verbale in ordine alla locazione dell'appartamento da parte della C.. In tal senso depone, soprattutto, il chiaro tenore della lettera raccomandata del 13.3.2010, in cui si faceva espresso riferimento ai pregressi accordi con la C.. Tuttavia, in proposito occorre precisare come, vertendosi in materia di locazione ad uso abitativo, un eventuale contratto preliminare di locazione avrebbe necessitato della forma scritta ad substantiam: tanto si ricava dal combinato disposto dell'art. 1, comma 4, della L. n. 431 del 1998, che impone il requisito della forma scritta per la validità dei contratti di locazione abitativa, e dell'art. 1351 c.c., a mente del quale il contratto preliminare deve rivestire la medesima forma prescritta per il definitivo. Nel caso di specie, non essendo stato comprovata, né tantomeno dedotta, l'esistenza di un accordo scritto in tal senso, deve ritenersi che l'intesa raggiunta tra le parti non fosse ancora assurta al rango di contratto, e che cioè non fosse insorto, in capo all'odierna convenuta, l'obbligo giuridico di sottoscrivere con la C. il contratto di locazione dell'immobile di sua proprietà. Ne consegue che il rapporto intercorso tra le parti deve essere correttamente ricondotto alla fase delle trattative, nell'ambito della quale una eventuale violazione del canone di buona fede, tale da determinarne l'ingiustificata interruzione, può costituire fonte di responsabilità precontrattuale. Ciò posto, in punto di diritto occorre ricordare che, come noto, la responsabilità precontrattuale trova fondamento nell'art. 1337 c.c., il quale impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. È pacifico che l'obbligo sancito dalla citata norma debba essere inteso in senso oggettivo, ossia come obbligo di correttezza, sicché non è necessario, affinché siano integrati gli estremi della responsabilità precontrattuale, che il comportamento della parte sia connotato da una condizione soggettiva di mala fede, consistente nell'intenzione di arrecare pregiudizio alla rispettiva controparte, ma è sufficiente anche una condotta non caratterizzata dal proposito di nuocere, sia essa volontaria o meramente colposa, purché oggettivamente contraria a buona fede. Una delle ipotesi più frequenti in cui la giurisprudenza tende a ravvisare la violazione del dovere precontrattuale di buona fede è rappresentata dal recesso senza giusta causa da trattative che siano giunte ad uno stadio tale da generare nell'altro contraente un legittimo affidamento circa la conclusione del contratto, affidamento che può reputarsi giustificato quando sussistano elementi oggettivi che facciano ritenere serie le trattative, per capacità delle parti, durata e stato della contrattazione e per la considerazione degli elementi essenziali del contratto da concludere. In particolare, come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione, "Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto" (Cass. Civ., Sez. III, 14.3.2022, n. 8119). La responsabilità precontrattuale, peraltro, non è limitata al caso di rottura ingiustificata delle trattative, ma, consistendo l'art. 1337 c.c., in una clausola generale può risultare da ogni comportamento sleale o contrario a correttezza che abbia significativamente inciso sulle trattative. Sotto il profilo della sua natura giuridica, poi, la giurisprudenza prevalente tende a ricondurla nell'alveo della responsabilità aquiliana, con la conseguenza per cui "qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l'onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza" (Cass. Civ., Sez. II, 3.10.2019, n. 24738). Tanto chiarito in diritto, ritiene il Giudicante che nel caso di specie non siano ravvisabili gli estremi di una responsabilità precontrattuale in capo all'odierna convenuta. Innanzitutto, non sussistono elementi idonei a far ritenere che le trattative tra le parti in ordine alla concessione dell'immobile in locazione fossero in uno stadio talmente avanzato da aver ingenerato nella parte attrice il serio e legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contratto. L'unico dato in tal senso, infatti, è rappresentato dalla già citata lettera raccomandata del 13.3.2010, con cui la S. richiedeva formalmente al conduttore di rilasciare l'immobile in tempi utili da consentire la locazione in favore della C., mentre non risultano documentati scambi di corrispondenza o altri contatti tra le parti tesi a definire modalità e tempistiche di conclusione del contratto di locazione, così come pure non risulta che ne fossero stati concordati gli elementi essenziali. Inoltre, si è già detto che la responsabilità precontrattuale è esclusa qualora sussistano fatti idonei ad escludere il ragionevole affidamento della parte nella conclusione del contratto: nel caso in oggetto, è pacifico che la C. fosse consapevole che, alla data del 13.3.2010 - ossia a distanza di sole tre settimane da quando ella avrebbe dovuto prendere possesso dell'appartamento - l'immobile era ancora occupato dal precedente inquilino, il quale aveva già richiesto svariate proroghe. Ed allora, deve ritenersi che detta circostanza fosse idonea ad escludere, in una persona di ordinaria diligenza, il ragionevole convincimento che il contratto sarebbe stato certamente stipulato entro il 1.4.2010. Peraltro, anche ove si ritenesse che le trattative svoltesi tra le parti avessero effettivamente raggiunto uno stadio avanzato, e che l'attrice avesse maturato un legittimo affidamento nella conclusione del contratto di locazione, non sarebbe comunque riscontrabile una condotta oggettivamente contraria a buona fede, nel senso sopra precisato, imputabile alla parte convenuta. Come rilevato, invero, dalla qualificazione della responsabilità precontrattuale nell'alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., deriva che spetta in capo a chi intende avvalersene l'onere di dimostrare che l'interruzione delle trattative sia dipesa dalla condotta scorretta e contraria a buona fede della controparte. Ebbene, nella fattispecie che ci occupa l'odierna attrice non ha fornito elementi idonei a dimostrare che la mancata stipulazione del contratto di locazione sia stata effettivamente causata dalla negligenza della S.. Per converso, la stessa lettera raccomandata prodotta dall'attrice comprova come la convenuta si fosse attivata per far sì che l'immobile fosse liberato dal terzo a partire dal 1.4.2010 - come poi di fatto avvenuto, a distanza di soli due mesi, in data 10.6.2010 - mentre la circostanza che la S. abbia inteso riconoscere precedenti proroghe verbali all'inquilino non può certamente assurgere a comportamento contrario a buona fede, fonte di responsabilità precontrattuale, in assenza di qualsiasi evidenza da cui sia dato desumere in quale data abbiano avuto avvio tra le parti in causa le trattative per la locazione dell'immobile in questione. Giova altresì precisare come la pronuncia della Corte di Cassazione n. 8671/2017, invocata dall'attrice a sostegno delle proprie pretese, non si attagli al caso di specie. Nella fattispecie sottoposta all'attenzione della Corte, infatti, era stato valorizzato lo scambio di corrispondenza intercorso tra le parti in merito al rinnovo del contratto di locazione, nonché la fissazione di un appuntamento per il rinnovo, a cui aveva fatto seguito l'ingiustificata interruzione delle trattative da parte del locatore. Orbene, nulla di tutto ciò risulta avvenuto nel caso oggetto di interesse in questa sede: - non vi è prova di contatti ed accordi direttamente intercorsi tra le parti in merito alla concessione dell'immobile in locazione all'attrice, al di là della lettera raccomandata, indirizzata dalla convenuta all'inquilino, con cui quest'ultimo veniva invitato al rilascio dell'appartamento onde consentirne la consegna all'attrice; - detta unica lettera, in assenza di qualsiasi altro elemento, non appare di per sé sufficiente a ritenere che le trattative tra le parti fossero pervenute ad uno stadio avanzato, non essendo peraltro emerso né che le parti avessero concordato gli elementi essenziali del contratto né che avessero fissato una possibile data per la stipula del contratto di locazione; - l'odierna attrice era a conoscenza del fatto che l'immobile era ancora occupato dal precedente inquilino, circostanza questa idonea ad escludere il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; - in ogni caso, non risulta comprovato che la convenuta abbia ingiustificatamente receduto dalle trattative o comunque violato il canone di buona fede nella fase di formazione del contratto, essendosi la stessa finanche attivata affinché l'inquilino rilasciasse l'appartamento. Dall'acclarata insussistenza di alcuna responsabilità imputabile all'odierna convenuta discende altresì il rigetto delle pretese risarcitorie avanzate dall'attrice. Alla luce di tutto quanto esposto e considerato, si impone, in definitiva, il rigetto della domanda. Le spese di lite seguono la soccombenza dell'attrice e sono liquidate in dispositivo secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. rigetta le domande proposte da C.F.; 2. condanna C.F. al pagamento, nei confronti di S.L., delle spese di lite, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. C.D.A., dichiaratosi antistatario. Così deciso in Latina, il 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di XXXXX SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Santa Spina, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2710/2012 promossa da: XXXXXX S.p.A. (già XXXXX), in persona del legale rappresentante pro tempore e Presidente del Consiglio di amministrazione, dott. XXXXXX (C.F. XXXXX), con il patrocinio degli avvocati (...), del Foro di XXXXX e dall'avv. (...) del Foro di XXXXX, ed elettivamente domiciliata presso e nello studio di quest'ultimo sito in XXXXX, (...); ATTRICE nei confronti di XXXXXX S.p.A. (già XXXXXX S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore XXXXXX, (C.F. (...)) con il patrocinio degli avvocati (...) ed elettivamente domiciliata presso e nello studio di quest'ultima, via (...), XXXXX; CONVENUTA OGGETTO: vendita di cose mobili. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza è redatta secondo lo schema contenutistico delineato dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009, e quindi, con omissione dello svolgimento integrale del processo ed espressione succinta delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; si premette, quindi, la conoscenza dell'atto di citazione, delle comparse di costituzione e risposta delle parti convenute, delle memorie autorizzate e di tutti gli altri atti e documenti di causa, che qui integralmente si richiamano. Il giudizio approdato qui innanzi ha ad oggetto la domanda proposta da XXXXXX S.p.A. (di seguito XXXXXX), finalizzata ad ottenere l'accertamento dell'inadempimento, da parte di XXXXX S.p.A. (di seguito XXXXX), delle clausole contrattuali sottoscritte, tra le stesse parti, in data 9.03.2007, in forza delle quali XXXXX si obbligava ad acquistare esclusivamente dalla società attrice, un quantitativo minimo annuo di 5.000 kg di prodotto semilavorato, consistente in gocce nipiologiche polivitaminiche, composte da D.A.D.(...)-S, prodotto da XXXXX, garantendosi, quindi, l'esclusivo approvvigionamento del predetto bene su tutto il territorio nazionale, Spagna, Portogallo, Turchia, Cipro e Grecia (cfr. art. 2.2. e 2.3 del contratto) Il contratto, la cui durata pattuita era triennale con facoltà di rinnovi annui, era stato regolarmente eseguito per il primo triennio (2007/2010), per il primo anno successivo al rinnovo (1.03.2010-28.02.2011), e fino al luglio 2011 (secondo rinnovo annuale 1.03.2011-28.02.2012), momento a partire dal quale, inspiegabilmente, a detta dell'attore, XXXXX cessava gli ordini del prodotto oggetto del contratto. L'ultimo ordine effettuato da XXXXX risaliva al 29.02.2012, per un quantitativo di 1.000 kg, effettuato, peraltro, all'indomani della formalizzazione delle contestazioni oggetto del presente giudizio. Secondo quanto riportato nell'atto di citazione, nei primi anni di operatività del contratto, la richiesta di prodotto, da parte della convenuta, aveva sempre superato, fino quasi a triplicarlo, il quantitativo minimo pattuito; l'improvvisa riduzione degli ordini, sommata ad un mancato calo della produzione degli integratori (D.F. e D. k) immessi sul mercato dalla convenuta, la cui componente principale era il bene oggetto del contratto, inducevano l'attrice a convincersi che le ragioni del calo degli ordinativi dovessero rinvenirsi nell'acquisto del D.A. da fornitori terzi rispetto a XXXXXX, con conseguente violazione delle clausole pattizie, da parte della convenuta. Al fine di fugare ogni dubbio in ordine al supposto inadempimento contrattuale di XXXXX, XXXXX inviava - ad una società indipendente - i campioni di prodotto commercializzato dalla convenuta, affinché il laboratorio di analisi ne accertasse la composizione, comparando il prodotto posto a base degli integratori D. e D.F. K, entrambi prodotti da XXXXX, con il DHA Algale prodotto da XXXXX. Gli esiti dell'analisi chimica confermavano la diversa composizione degli integratori e la non corrispondenza del D.A. posto a base della formulazione dei predetti integratori con quello prodotto da XXXXXX. L'odierna ricorrente, pertanto, sulla base delle risultanze della verifica effettuata, in data 25.01.2012, contestava formalmente a XXXXXX l'acquisto di D.A. da altri fornitori e, dunque, la violazione di quanto prescritto dall'art. 2.2. del contratto, chiedendo l'immediata cessazione di produzione di prodotto contenente D.A. non fornito da XXXXXX, in uno alla indicazione dell'esatto quantitativo di prodotto acquistato in violazione del contratto al fine di quantificare il corrispondente danno subito. La ricostruzione degli eventi così come effettuata in citazione dava, inoltre, atto delle lunghe ed intense trattative, esperite tra le parti, volte a rinvenire una bonaria soluzione della vicenda, concretizzatesi nella definizione delle condizioni dell'accordo transattivo che avrebbe dovuto determinare la ripresa dei rapporti commerciali tra le parti e la rideterminazione dei rispettivi obblighi. Tuttavia, le trattative, oramai giunte al momento conclusivo, venivano interrotte da XXXXXX che, per la prima volta - dopo mesi - condizionava la sottoscrizione dell'accordo transattivo alla risoluzione di asseriti problemi relativi alla fornitura di 1000 kg di D.A. consegnati alla attrice in data 2.05.2021, individuati con Lotto n. 1182 e in ordine al quale la convenuta rifiutava di pagare la relativa fattura, nonostante avesse utilizzato e rivenduto sul mercato circa 380 kg di prodotto, oggetto del Lotto n.1182, e chiedeva il ritiro dei restanti 620 kg. In ordine agli asseriti vizi del Lotto predetto, l'attore contestava non solo la genericità della lamentata non conformità del prodotto alle specifiche contrattuali, rimarcando la bontà/conformità del prodotto inviato, ma anche l'illegittimità della richiesta di ritiro in virtù dell'operatività dell'art. 1492 comma 3, c.c. Chiedeva, pertanto, l'accertamento dell'inadempimento contrattuale della convenuta per violazione dell'art. 2.2. del contratto, con conseguente risoluzione dello stesso e condanna di XXXXX al pagamento di Euro 623.462,00 ovvero diverso ammontare, determinato anche in via equitativa. Sempre in via principale, chiedeva l'accertamento della conformità della fornitura Lotto n. 1182 e conseguente condanna al pagamento della convenuta dell'importo della fattura emessa relativamente a detta fornitura, e pari a complessivi Euro 78.164,58. Da ultimo, in via subordinata all'accertamento dell'inadempimento contrattuale per violazione della clausola di esclusiva, parte attrice domandava accertarsi la violazione del principio di buona fede cui le parti devono attenersi nello svolgimento delle trattative, ex art. 1337 c.c., rimettendo la quantificazione dell'eventuale danno al giudice, in via equitativa. Si costituiva la società convenuta negando fondamento ad ogni addebito di responsabilità, sia sotto il profilo dell'an, e quindi dell'inadempimento contrattuale alla stessa ascritto, sia in punto di quantum, in considerazione dell'eccepita mancata allegazione degli elementi costitutivi del danno lamentato. Con riferimento alla asserita responsabilità precontrattuale, XXXXX contestava ogni accusa argomentando di non aver mai, con il proprio comportamento, ingenerato un legittimo affidamento in XXXXX nella conclusione del contratto. Per quel che concerne il lotto n. 1182, la convenuta dava atto di avere provveduto, in data 24 ottobre 2012 all'integrale pagamento di quanto dovuto per la suddetta fornitura, al fine di ridurre il contenzioso tra le parti. Proponeva, poi, due domande riconvenzionali, lamentando l'inadempimento contrattuale di XXXXX in ordine alla fornitura del lotto n. 1182, poiché il prodotto ivi contenuto presentava un aroma differente da quello caratterizzante le precedenti forniture; la suddetta modifica non era stata autorizzata ovvero comunicata alla società convenuta che, in conseguenza della violazione degli obblighi contrattuali, chiedeva condannarsi XXXXXX alla refusione di Euro 23.228,70 (iva inclusa) corrispondenti al valore di 300 kg di prodotto, con immediato ritiro del quantitativo residuale. Infine, XXXXX contestava alla società attrice la violazione dell'obbligo di esclusiva considerato che, prima della scadenza quinquennale della clausola di esclusiva, altra società aveva iniziato a commercializzare, in Italia, un prodotto contenente D.A. (...), lamentando, pertanto, un ingente danno patrimoniale; chiedeva, quindi, previo accertamento dell'inadempimento di cui innanzi, la condanna di XXXXXX al pagamento di Euro 1.857.286,21, calcolato moltiplicando il giro d'affari annuo generato dalla produzione dei tre prodotti contenenti D.A. (Euro 371.457,24) per 5 anni. L'istruttoria si risolveva nell'acquisizione dei documenti versati in atti dalle parti, nell'assunzione delle prove orali ammesse, nell'espletamento di una CTU, chiesta da parte attrice, volta ad accertare quale fosse la materia prima utilizzata per la fabbricazione dell'integratore "D. forte K lotto 11EP" e ad accertare, tramite l'analisi di un campione del lotto 1182, la corrispondenza dello stesso alle schede tecniche convenzionalmente concordate tra le parti, nonché da ultimo nell'esibizione della documentazione contabile, chiesta dalla parte convenuta, ex art. 210 c.p.c. in capo a XXXXXX, XXXXXX s.r.l., XXXXX S.p.a., atta a dimostrare l'asserita violazione della clausola di esclusiva in capo a XXXXX. Acquisite le conclusioni di cui ai rispettivi atti introduttivi, riassunti nei fogli di precisazione delle conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. e, all'esito di una remissione sul ruolo, decisa per il tramite della presente sentenza. Prima di entrare nel merito della disamina, si rende necessaria una seppur breve precisazione in ordine alla natura giuridica del contratto sottoscritto tra le parti, anche alla luce dei dubbi interpretativi sollevati in ordine alla qualificazione dello stesso in termini di contratto di somministrazione (secondo la tesi di parte attrice) ovvero di contratto di appalto (secondo l'impostazione di parte convenuta), la cui differenza non rileva soltanto ai fini terminologici, ma anche (e soprattutto) in ordine al regime giuridico applicabile nell'uno ovvero nell'altro caso. In tema di interpretazione del contratto, il principio "in claris non fit interpretatio" rende superfluo qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale, quando la comune intenzione dei contraenti sia chiara. Nel caso di specie, il già chiarissimo elemento letterale del contratto, integrato con gli ulteriori criteri di interpretazione tra cui lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e, quindi, la relativa causa concreta, depongono per l'inquadramento del "pactum" nell'alveo del contratto di somministrazione. (cfr. Cass. n.15707/2021; Cass. sentenza n.6675/2018; Cass. n.11295/2011). Si rileva, inoltre, che l'interpretazione del contratto riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (Cass. n.22343/2014); il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì, unicamente l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti al medesimo riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto. Nel caso di specie, emerge con evidenza che le parti hanno inteso dar vita ad un contratto di somministrazione, non già in base al nomen allo stesso attribuito (ndr. contratto di fornitura) ma in forza della volontà concreta delle parti, che traspare dall'intero contratto, di dare prevalenza alla consegna periodica del bene oggetto dell'accordo, e quindi causa concreta del contratto, rispetto all'erogazione di un servizio, latu sensu inteso. Ferma, quindi, la qualificazione del contratto, in termini di contratto di somministrazione, occorre stabilire se vi sia stato da parte della convenuta, XXXXXX, l'inadempimento contrattuale per violazione del patto di esclusiva. Nell'ambito delle controversie relative a rapporti obbligatori, ed alle connesse domande di adempimento o risoluzione, costituisce approdo giurisprudenziale indiscusso, ai fini del riparto dell'onere della prova, il dictumin base al quale "colui che agisce per la risoluzione per inadempimento debba provare la fonte negoziale del suo diritto, potendo poi limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, che a sua volta sarà onerata della prova dell'avvenuto adempimento o di cause giustificatrici del mancato adempimento" (cfr. ex multis Cass. ord. n.13695/2019). Dall'esame degli atti e documenti di causa, emerge con tutta evidenza la fonte negoziale dell'obbligazione dedotta dall'attore, ovvero il contratto di fornitura sottoscritto dalle parti, in forza del quale la XXXXX si obbligava ad acquistare esclusivamente da XXXXX, e in un quantitativo minimo di 5.000 kg annui, il prodotto semilavorato denominato D.A. poi (essa XXXXX) poneva a base della produzione degli integratori alimentari commercializzati. L'attore, oltre alla fonte contrattuale ha dedotto in ordine all'inflessione del quantitativo di bene acquistato da XXXXX nel corso del 2011, evidenziando come, da una media di acquisti pari a quasi il triplo del quantitativo minimo imposto dall'art. 2.3. del contratto, la società convenuta aveva, poi, ridotto drasticamente gli ordini, fino ad arrivare, nel luglio 2011, alla cessazione degli ordinativi, nonostante: i) la piena ed incontestata operatività del contratto; ii) l'assenza di contestazioni formali volte a sospenderne ovvero limitarne l'esecuzione; iii) l'assenza di riduzione e/o arresto della produzione degli integratori commercializzati da XXXXX aventi quale "ingrediente principale" il D.A.. A ciò si aggiunga che, lo svolgimento dell'istruttoria, ed in particolare l'espletamento della prova testimoniale, ha evidenziato come la società convenuta, nel 2011, e quindi in piena operatività del contratto de quo, abbia acquistato D.A. da altri fornitori, in particolare dal XXXXX. Nello specifico, l'escussione del teste Dott. XXXXXX, direttore di stabilimento di XXXX, ha confermato la circostanza che tra i fornitori della XXXX vi era XXXX, dal quale XXXX ha acquistato, "probabile che fosse il 2011", il D.A. "e forse è stato acquistato per delle prove per i nostri clienti" (cfr. verbale di udienza del 28.05.2014) La dichiarazione anzidetta dà forza e riscontro alla documentazione prodotta da parte attrice (cfr. doc. 21 allegato all'atto di citazione) relativa ad una e-mail inviata, dalla società convenuta ad XXXX s.r.l., con la quale XXXX si professava interessata all'acquisto del D.A.. La mail ora menzionata risale al giugno 2012, allorquando il contratto de quo, con ogni sua connessa statuizione e prescrizione, era valido ed efficace. Non revocabile in dubbio come l'onere della prova incombente sulla parte attrice sia stato assolto: risulta, infatti, provato che la società convenuta, da un lato abbia ridotto notevolmente gli ordini di D.A., e dall'altro che, la stessa abbia acquistato, il prodotto oggetto del contratto di fornitura sottoscritto, da altri fornitori. D'altro canto, giova osservare che la stessa XXXXX ha confermato la riduzione degli ordini di D.A. contestata dall'attrice, imputandone la causa ad un minor consumo di semilavorato per il confezionamento degli integratori, nonché alla variazione della formula (più concentrata) del prodotto, che ha ridotto la richiesta dell'integratore sul mercato. Con riferimento, invece al contestato acquisto di D.A. da fornitori terzi rispetto a XXXXX, all'indomani dell'escussione del teste XXXXX ancora una volta, la stessa convenuta a confermare di aver acquistato il prodotto da soggetti diversi dall'attrice, precisando, tuttavia, che l'acquisto effettuato nel 2011 era destinato allo svolgimento di non meglio precisate prove per i clienti e non anche alla commercializzazione. Per quel che concerne le ragioni dedotte dalla convenuta a sostegno della riduzione degli ordini e, quindi, del mancato rispetto dei termini contrattuali, occorre rilevare come le stesse non abbiano alcun pregio, ovvero effettiva incidenza causale "scusante", atteso come il cambio di formulazione degli integratori, ovvero la sostituzione di alcuni integratori con altri e, da ultimo, la riduzione della capienza del flacone, sono, tutte, il portato di scelte imprenditoriali che, in quanto tali, l'ordinamento riconosce e tutela nella misura in cui le stesse non si pongano in contrasto con degli obblighi contrattuali precedentemente assunti e con il generale dovere giuridico di bona fede e correttezza. Infatti, se pur vero che l'iniziativa economica libera e legittima, la società convenuta, nel rispetto degli obblighi assunti, avrebbe dovuto rendere edotta XXXXX delle mutate esigenze commerciali nel rispetto dell'obbligo di reciproca lealtà di condotta, laddove, invero, le dedotte "giustificazioni" trovano solo nel presente giudizio il loro terreno di elezione. La giurisprudenza più recente ha chiarito che la violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza esprime un generale principio di solidarietà sociale che, in ambito contrattuale, deve presiedere in ogni fase del contratto, dalla genesi sino all'esecuzione, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto stabilito espressamente dalla legge. Quanto, invece, alla confermata circostanza dell'acquisto di D.A. da parte della convenuta da fornitori diversi da XXXXXX, sull'assunto legittimante del "motivo" dell'acquisto, ovvero delle "prove per dei clienti" in luogo della commercializzazione, occorre evidenziare come la lettera del contratto non imponga alcuna differenziazioni di sorta in ordine al motivo dell'acquisto, il patto di esclusività inerisce l'acquisto di D.A. indipendentemente dall'uso che la convenuta XXXXX ne avrebbe potuto fare. Va da sé, quindi, che le argomentazioni della convenuta sul punto sono destituite di qualsivoglia fondamento logico oltre che giuridico. Sul punto deve ulteriormente osservarsi come le risultanze della CTU, volte ad individuare quale fosse la tipologia di olio algale componente l'integratore Ditrevi Forte K, non hanno raggiunto il risultato per il quale la consulenza era stata ammessa, posto che "in mancanza di evidenze della metodologia di campionamento, in base alle analisi fornite ed alle specifiche tecniche, vista la mancata separazione della componente saponificabile, e dato che non è possibile ripetere tali analisi, o basarsi su altri parametri, si ritiene che le analisi non possano fornire prova sufficiente per affermare che i due oli siano diversi tra loro. Si può viceversa desumere che molto probabilmente si tratta della stessa materia prima." (cfr. pag 6 CTU) Atteso il carattere non dirimente della CTU e la mancata acquisizione di elementi necessari e dotati di quel grado di evidenza tecnica e/o scientifica richiesti per il riscontro della verdicità dei fatti documentati dalle parti, le risultanze ivi contenute non potranno porsi legittimamente a fondamento della domanda (cfr. Cass. n.31886/2019) Acclarato l'inadempimento della convenuta XXXXX per violazione della clausola di esclusiva, che "nell'ambito del regolamento negoziale cui afferisce assume grande rilevanza poichè incidente direttamente sull'equilibrio sinallagmatico, innegabile come la violazione di detta clausola sia da sola idonea e sufficiente a titolare la risoluzione del contratto" (cfr. Tribunale di XXXXX, sez. V, 17/01/2019, n.425). Nei contratti a prestazioni corrispettive, alla risoluzione per inadempimento si accompagna, conseguentemente, il diritto per il contraente fedele, al risarcimento del danno, non limitato all'interesse negativo (id quod interest contractum non fuisse), ma esteso all'interesse positivo (quantum lucrari potuit). Ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da inadempimento, deve essere in concreto fornita la dimostrazione dell'esistenza del pregiudizio lamentato ed il diretto nesso causale con la condotta illecita. Deve, pertanto, escludersi che il giudice possa fare ricorso alle presunzioni in mancanza della allegazione e della prova di circostanze di fatto gravi univoche e concordanti dalle quali desumere il danno nella sua effettività e in ordine al "quantum" (Cass. n.24140/2007). Il danno patrimoniale da mancato guadagno concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità e non di mera possibilità, il creditore avrebbe conseguito, di modo che, deve escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, e dipendenti da condizioni incerte (Cass. n.2018/25160). Nel caso di specie, la parte attrice ha puntualmente dedotto di aver subito un danno patrimoniale, a causa del mancato profitto che avrebbe realizzato in forza del comportamento conforme a buona fede - ed alle clausole pattizie - della convenuta XXXXX. Il suddetto danno è stato parametrato sulla base del margine operativo lordo per kg, moltiplicato per il quantitativo di prodotto che XXXXX avrebbe ragionevolmente acquistato nel biennio di riferimento, ovvero dal 01 marzo 2011 al 28 febbraio 2013, ricavato dalla media degli acquisti effettuati nei quattro anni precedenti. A sostegno della quantificazione del danno lamentato l'attore ha depositato la relazione di valutazione a firma del dott. XXXXXX. Sul punto, si osserva come parte convenuta non ha contestato validamente e puntualmente la quantificazione del danno lamentato da parte attrice, atteso come nella comparsa di costituzione e risposta, in ordine al danno, la società convenuta non ha preso una posizione chiara ed analitica sui fatti costitutivi del diritto fatto valere e specificamente indicati dall'attrice, ma si limitata con clausola di mero stile ad asserire che "Controparte nulla prova sull'an e sul quantum né tramite i documenti prodotti in atti, né tramite le dichiarazioni e la ricostruzione dei fatti operata". (cfr. pag. 17 della comparsa di costituzione e risposta). La conseguenza è che tali fatti debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova in ossequio del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. (Cass. n. 26908/2020; Cass. ordinanza n.31837/2021). Venendo alla disamina dell'inadempimento relativo al Lotto n. 1182, il cui accertamento posto a base sia della domanda di parte attrice, volta al riconoscimento del preteso diritto al pagamento della relativa fattura n.(...) (ridotto al soli interessi moratori per effetto dell'intervenuto pagamento della fattura in corso di causa), sia della domanda riconvenzionale formulata da XXXXX, volta ad ottenere la condanna dell'attrice al pagamento della somma di Euro 23.228,70, corrispondente alla somma pagata dalla convenuta per 300 kg di semilavorato asseritamente fornito da parte attrice e viziato, in uno al ritiro del relativo quantitativo giacente. Sul punto, deve osservarsi che la società convenuta, nella prima delle due domande riconvenzionali avanzate, contesta la non conformità della merce contenuta nel Lotto n. 1182, rispetto agli standard quantitativi convenuti e, in particolare, la differenza sostanziale di gusto ed aroma dei 1000 kg consegnati rispetto a quello caratterizzante i precedenti ordini, ragione per la quale, dopo aver effettuato, in corso di causa, il pagamento dell'intero importo indicato nella fattura n.(...), ha chiesto al Tribunale la refusione del prezzo corrispondente al quantitativo invenduto (300 kg) e all'immediato ritiro dello stesso. Preliminarmente, si dà atto che le eccezioni di tardività sollevate dalla convenuta, sono inconferenti ed infondate posto che la società attrice, nel primo termine utile, ovvero alla prima udienza di comparizione ha formalmente contestato, chiedendone il rigetto, le domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta. Sulla eccepita non conformità della merce, inoltre, deve darsi atto che la CTU, cui era stata demandata la verifica della corrispondenza delle caratteristiche del campione del lotto 1182 alle schede tecniche concordate tra le parti, ha avuto esito negativo, nella misura in cui "in assenza di metodi scientifici che possano confermare il tipo di aroma concordato, non stato possibile effettuare un'indagine analitica comprovante sul campione lotto 1182." (cfr. pag. 8 della CTU). Orbene, sulla questione rileva la disciplina dei vizi della cosa venduta, e precisamente la disciplina codicistica, non rivestendo la convenuta la qualità di consumatore. Dall'esame della documentazione prodotta agli atti, emerge quale fatto non contestato la consegna del Lotto predetto in data 02.05.2012, cui è seguita la contestazione degli asseriti vizi in data 14.05.2012, da parte di XXXXX. Per quel che concerne l'onere della prova dei vizi della merce consegnata deve darsi atto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, invertendo il precedente orientamento, hanno stabilito che "la garanzia per i vizi della cosa venduta non costituisce un'autonoma obbligazione negoziale, ovvero che il venditore non ha l'obbligo di consegnare un bene immune da vizi. L'obbligazione del venditore si risolve, quindi, unicamente nella consegna della cosa oggetto del contratto e non nel modo di essere della stessa, avendo, tuttavia, il venditore l'obbligo di garantire l'acquirente in caso di vizi, nonchè di indennizzarlo per non aver potuto conseguire il risultato traslativo promesso di cui al contratto. Da ciò deriva che la consegna di merce viziata non costituisce inadempimento (o più correttamente, inesatto adempimento) di una obbligazione del venditore, come precedentemente affermato e, quindi, non può trovare applicazione la disciplina della prova relativa all'inadempimento contrattuale dovendosi, invece, far riferimento ai principi generali sulla ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. e quindi, in ossequio ai medesimi, sarà l'acquirente a dover provare l'esistenza dei fatti posti a fondamento della propria pretesa, di risoluzione o di modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita, e perciò egli sarà tenuto a dimostrare l'esistenza del vizio quale fatto costitutivo (presupposto) dell'azione di garanzia (prova positiva). (cfr. Cass. SSUU, 3 maggio 2019, n.11748) La Corte ha, altresì, precisato che tale approccio è anche più rispettoso del principio di prossimità della prova, in quanto la prova dell'esistenza del vizio più vicina al compratore atteso che, dopo la consegna, è costui che ha la materiale disponibilità del bene oggetto di vendita e che, quindi, può agevolmente accertare l'esistenza del vizio stesso; in caso contrario, infatti, il venditore sarebbe gravato dalla (difficile, se non impossibile) prova negativa di aver consegnato un bene (peraltro ormai non più nella propria disponibilità) privo di vizi. Riparametrando quindi, l'onere della prova in capo alla società XXXXX, nel corretto terreno di elezione, ovvero l'art. 2967 c.c., non può, lo stesso, ritenersi validamente assolto; la società convenuta, infatti, si limitata alla mera allegazione dell'asserito fatto, ovvero vizio della res vendita, senza esporre rilevanza ed idoneità dimostrative atte a fondare il successivo convincimento del Giudice. E' del tutto carente, da parte della convenuta, l'esistenza del danno, del difetto, nonchè la correlazione causale che deve necessariamente sussistere tra il difetto ed il danno subito. Ne consegue, quindi, che la richiesta di riduzione del prezzo per asseriti vizi della cosa venduta è priva di fondamento. Di contro, deve riconoscersi il diritto di parte attrice a vedersi riconosciuti, gli interessi moratori disciplinati dal D.Lgs. n.231 del 2002, in relazione ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Nel caso de quo, infatti, la corresponsione degli interessi moratori è prevista ex lege, per il mero ritardo nel pagamento; gli interessi di cui innanzi andranno calcolati su base giornaliera ad un tasso che è pari a quello di riferimento maggiorato di otto punti percentuali. Atteso come la decorrenza degli interessi sia automatica, senza necessità della costituzione in mora, gli stessi andranno calcolati dal giorno successivo alla scadenza del termine pattuito per il pagamento. Per quel che concerne la refusione dei costi sostenuti dall'attrice per il recupero della somma oggetto di fattura, invece, si rileva il mancato assolvimento dell'onere della prova, spettante in capo all'attrice, dell'effettività dei costi sostenuti (id est, trattasi di costi richiesti e non documentati) e, per l'effetto, la relativa domanda non può essere accolta. In ordine, invece, alla domanda di parte attrice volta ad accertare la responsabilità precontrattuale di XXXXXX per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, ex art. 1337 c.c., la stessa deve ritenersi fondata e, pertanto, meritevole di accoglimento. Dalla ricostruzione degli accadimenti operata dall'attrice, ed in parte confermata dalla società convenuta, emerso come, all'indomani della riscontrata violazione dei termini contrattuali relativi al rispetto del quantitativo minimo annuo di beni da acquistare e la convinzione dell'ulteriore violazione del patto di esclusiva, le parti hanno intavolato delle trattative tese a dirimere la controversia originata dalla condotta di XXXXX che, tuttavia, non si sono concretizzate, a causa - sempre in base a quanto riportato dalla attrice - del repentino ed illegittimo "ripensamento" della convenuta. È proprio il repentino ed ingiustificato recesso dalle trattative da parte di XXXXX a costituire presupposto legittimante l'ipotesi di responsabilità precontrattuale. Se, da un lato, il nostro ordinamento non impone un obbligo a contrarre, ciò che rende il comportamento della società convenuta censurabile l'aver indotto l'altra parte a fare affidamento sulla conclusione del contratto. Esaminando lo scambio di mail intercorso tra le parti, è oltremodo incontrovertibile che la società attrice abbia avanzato delle precise opzioni transattive, volte non solo alla generica definizione delle controversie insorte, ma alla stipula di una nuova e precisa regolamentazione dei rapporti, ed intese, tra le parti. In data 21.03.2012, il legale rappresentante dell'allora XXXX (oggi XXXXX) in risposta alle osservazioni di XXXXX ha esplicitato le determinazioni della società, dal medesimo rappresentata, in ordine all'opzione contrattuale n.2, specificando, nella successiva mail del 27.03.2012, i correttivi da apportare al fine di addivenire alla sottoscrizione del contratto. La condotta posta in essere dalla convenuta è stata causalmente diretta ad ingenerare nella controparte il ragionevole affidamento alla conclusione dell'accordo, cui conseguito un ingiustificato recesso dalle trattative, comunicato a distanza di tre mesi (5 giugno 2012) e mediante formula tanto generica quanto contraddittoria ed immotivata "la proposta formulata da XXXXX non presenta alcun vantaggio per XXXXX". A nulla valgono le doglianze ed eccezioni avanzate dalla convenuta XXXXX nei propri scritti difensivi, posto che emerge per tabulas non già la volontà della convenuta ad addivenire - in maniera generica - ad una eventuale ipotesi transattiva, ma la determinazione del legale rappresentante di XXXXXX di definire la controversia prescegliendo tra le varie opzioni proposte, quella specifica indicata convenzionalmente come "opzione 2", che stata oggetto di disamina, tanto da indurre il medesimo legale rappresentante a chiedere "un'unica modifica alla sua ultima proposta". Ne consegue che, il comportamento assunto dalla società convenuta, oltre ad esplicitare il consenso alla definizione transattiva, rispecchia interamente quel comportamento affidante ad ingenerare il legittimo affidamento, nella controparte, alla imminente conclusione dell'accordo. Si rammenta, inoltre, che l'accertamento dei presupposti del recesso ingiustificato delle trattative, quale species della responsabilità precontrattuale, è rimesso al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. n.7545/2016). Per quel che concerne la quantificazione del danno connesso alla violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nelle trattative, ed, in particolare, nei casi di rottura ingiustificata delle trattative, il soggetto avrà diritto (risultati provati l'esistenza del fatto lesivo (l'interruzione ingiustificata delle trattative), che il fatto lesivo è stata causa del danno lamentato e una sorta di causalità economica, oltre che giuridica, vale a dire la relazione fra il fatto lesivo e le conseguenze negative ad esso attribuibili con ragionevole certezza) al risarcimento del danno consistente nelle spese inutilmente affrontate oltre che della perdita di altre e più favorevoli alternative contrattuali (Cass. n. 1453972004; Cass. n. 1632/2000). Con riferimento al quantum, la parte attrice ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 560.000,00, quale quantificazione del danno da mancato guadagno, corrispondente a quanto la stessa avrebbe realizzato in seguito del mancato accordo transattivo, moltiplicando il margine operativo lordo per kg, con il quantitativo che la XXXXXX avrebbe dovuto acquistare. La società convenuta non ha eccepito alcunché in ordine alla quantificazione del danno paventata dall'attrice, e pertanto, in applicazione del principio di non contestazione, la predetta determinazione deve porsi a base della decisione. Da ultimo deve procedersi alla disamina della seconda domanda riconvenzionale promossa da XXXXXX ed avente ad oggetto il contestato inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto di fornitura sottoscritto, per avere l'attrice violato il patto di esclusiva a suo carico. A ben notare l'art. 2.2. dell'oramai noto contratto, prevede l'obbligo di esclusiva, in capo alla attrice, di fornire il prodotto ad XXXXX (ora XXXXX) su tutto il territorio nazionale, Spagna, Portogallo, Cipro Grecia e Turchia, condizionato al raggiungimento dei minimi annui di acquisto indicati al punto 2.3. (cfr pag. 2 del contratto "XXXXX si obbliga ad effettuare ad XXXXX la fornitura del prodotto...qualora XXXXXX raggiunga i minimi annui di acquisto"). La società convenuta nella comparsa di costituzione e risposta eccepisce la violazione del suddetto obbligo in quanto, a far data dalla fine del 2011, XXXXXX avrebbe fornito il prodotto oggetto del contratto a soggetti terzi. A fondamento di quanto sostenuto, evidenza che la società XXXXX S.p.A. aveva iniziato a produrre ed immettere sul mercato un prodotto contenente D.A.D.(...)-S. Nella memoria ex art. 163, VI comma, n.2, la convenuta, inoltre, evidenzia come la violazione del predetto patto di esclusiva, da parte di XXXXX, risalirebbe al maggio 2011 - sempre, quindi, in piena vigenza dell'operatività del contratto tra le parti - allorquando l'attrice avrebbe fornito il D.A. alla società spagnola XXXXXX SL. Orbene, dall'istruttoria espletata, ed in particolare a seguito del deposito della documentazione richiesta ex art. 210 c.p.c. in capo alle società terze XXXXX S.p.A. e XXXXX SL, non sono risultate evidenze di transazioni commerciali tra queste e la società attrice. Inoltre, con riferimento alla sola XXXXX S.p.A. il documento n.31 allegato al fascicolo di parte convenuta pone agli atti una dichiarazione della predetta società, datata 03.09.2012, che afferma incontrovertibilmente che il prodotto dalla stessa immesso sul mercato, contenente D.A., non è stato acquistato da XXXXX. Quanto all'onere di esibizione assolto da XXXXX, non possono ritenersi condivisibili le eccezioni di parte convenuta, in ordine all'asserito inadempimento della attrice per non aver prodotto la documentazione attestante la vendita a terzi del D.A.. Per giurisprudenza costante, allorchè i fatti da provare siano negativi, ciò non determina l'inversione dell'onere probatorio, ma importa solo che la prova debba essere data mediante la dimostrazione dei fatti positivi contrari (Cass. 9 giugno 2008, n. 15162). Con la locuzione fatti negativi si intendono fatti che si assume che non siano avvenuti e cioè fatti non accaduti, e, quindi, "non fatti". È per questo che non possibile fornire la prova degli stessi, poiché non possibile dare la dimostrazione di un "non accadimento". Ciò che (si assume che) non è accaduto può essere provato solamente mediante presunzioni: il "non accadimento", difatti, non può essere che desunto, e ciò derivato. E poiché le presunzioni, ai sensi dell'art. 2727 c.c., sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato, è gioco-forza ritenere che la prova del fatto negativo" dev'essere data con la prova di un fatto positivo contrario poiché questo, con la sua certezza, importa, appunto per presunzione, che debba desumersi il "fatto negativo".(Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 01 febbraio 2018, n. 2527). Nel caso di specie, l'attrice ha provato, mediante produzione di fatti positivi contrari (rectius fatture emesse nei confronti della sola convenuta) l'insussistenza dell'addebito asserito nei propri confronti di violazione del patto di esclusiva, che esaminato unitamente agli altri riscontri probatori, consente di addivenire al rigetto della domanda riconvenzionale, così come proposta perché infondata. Da ultimo occorre mettere in luce la circostanza, debitamente pattuita tra le parti nell'ultimo comma dell'art. 2.2, della automatica inoperatività della clausola di esclusiva, in capo all'attrice, nel caso in cui l'azienda produttrice XXXXXX, estenda la commercializzazione, in Italia, del DHA algale, ad altri soggetti. Sulla base di detta clausola contrattuale, infatti, la pattuita clausola di esclusività è automaticamente non rinnovabile, qualora - non per fatto imputabile all'attore - la società produttrice del principio attivo, poi lavorato e commercializzato da XXXXX, decida di estendere a soggetti terzi la commercializzazione del prodotto. È lapalissiana, nonché condivisibile la scelta pattizia di non imputare alla responsabilità dell'attrice l'eventuale scelta dell'azienda "madre" di estendere a terzi la commercializzazione, sul territorio italiano, del D.A., non avendo, la società attrice alcuna responsabilità in ordine al predetto evento. L'infondatezza della domanda riconvenzionale nei termini e per le ragioni sopra viste esonerano chi scrive dall'affrontare le richieste di risarcimento, avanzate dalla convenuta. Ogni ulteriore questione resta assorbita nella motivazione di cui sopra. Le spese di lite, ivi comprese quelle di CTU (liquidate come da verbale del 17.03.2016 e da separato decreto del 7.07.2017) seguono la soccombenza a norma dell'art. 91 c.p.c., e vengono liquidate ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (secondo lo scaglione di valore 1.000.001-2.000.000, valori medi, avuto riguardo alle quattro fasi di giudizio). P.Q.M. Il Tribunale di XXXXX, nella persona della dott.ssa Santa Spina, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXXXX S.p.A. (già XXXXX), in persona del legale rappresentante pro tempore così provvede: ACCERTA E DICHIARA l'inadempimento della XXXX S.p.A. (già XXXXX s.r.l.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, del patto di esclusiva (e di tutti gli obblighi e oneri conseguenti) previsto dall'art. 2.2 del contratto sottoscritto con XXXXXX S.p.A. in data 9.03.2007 (tacitamente rinnovato alle scadenze pattuite), e, per l'effetto, accertata, altresì, la gravità dell'inadempimento, DICHIARA risolto l'or ora menzionato contratto di fornitura (sottoscritto tra esse parti in data 9.03.2007, tacitamente rinnovato alle scadenze pattuite, per inadempimento della XXXXX S.p.A. (già HXXXX. s.r.l.)), CONDANNA XXXXX S.p.A. (già XXXXX s.r.l.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di XXXXX S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, della somma di Euro 623.462,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni conseguenza diretta ed immediata dell'inadempimento; CONDANNA XXXXX S.p.A. (già XXXXX s.r.l.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di XXXXX S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento degli interessi di mora dovuti calcolati sull'importo indicato nella fattura n. (...), dal giorno successivo alla scadenza pattuita al saldo; RIGETTA per le ragioni di cui in parte motiva, la richiesta di refusione dei costi sostenuti da XXXXX S.p.A. per il recupero delle somme relative alla fattura n. (...). ACCERTA, altresì, la violazione da parte della convenuta XXXXXX S.p.A., della violazione del dovere di buona fede oggettiva e correttezza nella fase delle trattative volte a dirimere la controversia insorta e a determinare un nuovo assetto negoziale, e, per l'effetto, DICHIARA ingiustificato il recesso di XXXXX S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, dalle anzidette trattative, CONDANNA XXXXX S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni conseguenti alla violazione dell'art. 1337 c.c., quantificati in Euro 560.000,00, oltre interessi dalla data della presente sentenza al saldo. RIGETTA istanze, tutte, e domande riconvenzionali avanzate da XXXXX S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore. CONDANNA XXXXX S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore al rimborso delle spese di lite in favore di XXXXX S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, (spese) che si liquidano in Euro 37.951,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15% sul compenso totale), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge. PONE DEFINITIVAMENTE a carico della XXXXX S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore le spese di CTU così come liquidate nel verbale d'udienza del 17.03.2016 e nel separato decreto del 7.07.2017 e, quindi, CONDANNA XXXXX S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore alla refusione in favore di parte attrice di quanto eventualmente dalla stessa (parte attrice) corrisposto a tale titolo. Così deciso in Pisa, il 30 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PRATO in persona del giudice istruttore, dott. Michele Sirgiovanni, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta a ruolo il 9 marzo 2021 e segnata al n. 665/2021 del Ruolo Generale, promossa da: (...), in proprio, nato a F. il (...) e residente in (...) (P.), Via di (...) n. 1 rappresentato e difeso dall' Avv. Ma.DI. del Foro di Prato ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Prato, Via (...), come da procura in calce all'atto di citazione; Fax: (...) Pec: [email protected] Attore Contro (...), nato a F. il (...), residente a (...) in Via (...) J. n. 4, c.f. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. St.LE. del Foro di Prato ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Prato Via , giusta procura allegata alla comparsa di risposta: Fax (...) Pec: (...) ASSOCIAZIONE (...), in persona del legale rappresentante pro tempore dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.NA. ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Prato, Viale (...), come da procura alle liti allegata alla comparsa di risposta; Pec: (...) E (...) SOCIETÀ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Al.ME., e dall'Avv. Ma.FA., entrambi del Foro di Pistoia, unitamente ed anche disgiuntamente tra loro come da procura alle liti allegata alla comparsa di risposta Fax: (...) Pec: (...) Pec: (...) Convenuti (...), in persona dell'amministratore unico (...) rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Di. del Foro di Prato (C.F. (...) ) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Prato, Via (...), come da procura allegata alla comparsa di intervento; Fax: (...) Pec: (...) Terza intervenuta avente ad oggetto: responsabilità precontrattuale e risarcimento danni. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione rispettivamente notificato in data 8, 12 marzo e 10 maggio 2021, (...) esponeva: - che nell'anno 2013, in qualità di legale rappresentante p.t., si era rivolto all'Associazione (...) al fine di predisporre un progetto imprenditoriale che , con l'ausilio del suddetto Fondo, gli avrebbe permesso di accedere al micro-credito con istituto di credito con esso convenzionato, nello specifico (...); - che, a seguito dell'assistenza ricevuta dal (...), così come risultante dal "modulo di presentazione del progetto imprenditoriale", veniva redatto un business plan che prevedeva la richiesta di finanziamento di Euro 20.000,00 ad un istituto di credito; - che la (...) aveva deliberato a favore della società (...) srls tale somma, previo rilascio di fideiussione personale specifica da parte di (...), in qualità di legale rappresentante; - che, al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo chirografario, aveva constatato che la somma erogata alla società con quel contratto di mutuo era di Euro 10.000,00, anziché Euro 20.000,00, anziché come richiesto e già deliberato; - di avere richiesto spiegazioni alla Banca che lo aveva rassicurato dichiarando che Euro 10.000,00 costituivano solo la prima trance del prestito e che gli ulteriori importi sarebbero stati erogati in una seconda trance e tale circostanza era stata confermata anche da (...), quale referente del Fondo (...) e persona di riferimento per l'adesione al progetto; - che il (...) , consapevole che la prima tranche non era da sola sufficiente a realizzare il progetto imprenditoriale, a fronte delle rassicurazioni ottenute in ordine alla successiva erogazione, aveva sottoscritto i contratti di finanziamento e di fideiussione personale a garanzia di Euro 10.000,00; - che aveva quindi iniziato la propria attività imprenditoriale da cui erano scaturiti i primi guadagni, seppure in maniera ridotta considerato il ridotto capitale ottenuto; - che la (...) Srl aveva provveduto con regolarità a saldare le rate del mutuo acceso, così come risultava dagli estratti di conto corrente, dai quali si evinceva che la somma era stata esclusivamente impiegata per le spese inerenti all'attività di impresa; - di qualche mese dopo la prima erogazione aveva richiesto notizie - tramite il (...) - in merito alla "seconda" erogazione, per cui la aveva ottenuto le assicurazioni, ottenendo comunicazione che tale ulteriore erogazione non sarebbe stata eseguita in quanto erano scaduti i termini; - che la (...) , nonostante i primi guadagni, aveva diminuito bruscamente la sua attività fino a cessarla completamente, non avendo la disponibilità finanziaria necessaria; - che il (...) era consapevole del funzionamento delle modalità del finanziamento della somma di Euro 20.000,00, atteso il contenuto della lettera del 10.12.2013 inviata dalla Banca alla Fondazione (...), sezione di Prato c/o Studio Dott. (...), secondo cui: "in data 27.11.2013 è stato stipulato un finanziamento chirografario al nominativo in oggetto per Euro 20.000,00 rimborsabile in 120 rate mensili ed erogazione a (...), con la prima d'importo pari ad Euro 10.000,00 e con rilascio di fideiussione da parte del sig. (...) d'importo pari ad Euro 10.000,00 ciascuno"; - che di tale comunicazione era venuto a conoscenza solo il 9 giugno 2018, a seguito delle richieste inoltrate dal proprio legale; - che in realtà il contenuto della lettera non era conforme a quanto accaduto, in quanto non era mai stato stipulato un contratto di finanziamento tra (...) e la (...) e non corrispondente al contenuto del piano di ammortamento; - che, inoltre, con riferimento all'erogazione a (...), la Banca non aveva mai comunicato tale modalità di erogazione né al (...), né tanto meno alla (...) e nemmeno mai eseguito alcun sopralluogo o preso contatti con il (...) al fine di verificare lo stato di avanzamento della sua attività a seguito dell'erogazione del mutuo; - che per effetto di tali vicende il (...) era disoccupato, affetto da depressione - e privo di redditi, impossibilitato ad iniziare una qualunque attività imprenditoriale a causa del debito rimasto con la (...) e delle relative segnalazioni in Centrale rischi, le quali non gli consentivano di ottenere alcun prestito o finanziamento; - che dalla ricostruzione delle vicende emergeva un comportamento negligente e contrario a buona fede tenuto da (...), il quale, pur essendo a conoscenza delle particolari modalità di erogazione delle due tranches da Euro 10.000,00 ciascuna, aveva omesso di comunicarle all'attore; - che, del pari, dai fatti emergeva anche la responsabilità della (...) la quale, con la sua condotta negligente, aveva omesso di comunicare al (...) ed alla (...) Srls le modalità di erogazione della somma richiesta e deliberata; - che con riferimento alla condotta della Banca era ravvisabile una responsabilità precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 c.c., avendo ingenerato nel (...) un'aspettativa ed un legittimo affidamento sull'erogazione dell'ulteriore trance da Euro 10.000,00, determinando un danno costituito dal danno emergente, per i debiti contratti per porre in essere l'attività imprenditoriale secondo il business plan da Euro 20.000,00, e del lucro cessante, quale mancato guadagno a seguito della mancata erogazione della seconda tranche che ha impedito lo sviluppo dei rapporti commerciali, iniziati e bruscamente interrotti; - che per una quantificazione dei danni subiti dalla (...) e dal sig. (...), sarebbe stato sufficiente prendere visione della lettera di incarico con cui veniva commissionata alla (...) l'attività di "consulenza per ricerca di materiale plastico" da parte della società F. srls nella quale si stabiliva un compenso mensile di Euro 5.000,00 per il periodo di un anno . attività non espletata a causa della mancanza del finanziamento necessario originariamente preventivato. Tanto premesso conveniva (...), l' Associazione (...) e (...) Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, innanzi a questo Tribunale per sentirli condannare al risarcimento dei danni quantificati in complessivi Euro 20.000,00 o di quella minore o maggiore somma che sarà determinata in corso di causa, per danno emergente e lucro cessante , in aggiunta al profondo danno morale e psichico subito, con il favore delle spese di lite. Instauratosi il contraddittorio, (...) si costituiva e contestava i presupposti di fatto e di diritto della domanda introdotta nel giudizio, e concludeva per il suo integrale rigetto, con la condanna al risarcimento per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. In particolare, precisava: - che il (...) era, in sostanza, un network di enti e organizzazioni, promosso nel 2011 da Fondazione (...), (...) e (...), al quale avevano successivamente aderito: Camera di Commercio, la Provincia, l'Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, l'Ordine dei Consulenti del Lavoro, l'Ordine degli Avvocati, l'Ordine degli Architetti, il Collegio dei Geometri, CNA e Confcooperative: - che il progetto era nato al fine di supportare lo sviluppo della micro impresa, con particolare attenzione ai soggetti più deboli, per coadiuvare l'accesso al microcredito, offrendo servizi di informazione, orientamento, consulenza, tutoraggio e monitoraggio a titolo gratuito; - che nel 2013 era nata l'Associazione (...) al fine di promuovere il progetto, farlo conoscere, coinvolgere la cittadinanza, mettendo a disposizione un proprio consulente, (...), con l'incarico di coordinare i rapporti del richiedente con i diversi attori partecipanti al Fondo, fare raccolta fondi e sostenere i costi operativi; - che nel caso di specie, l'attore era affiancato dal proprio consulente, (...), che aveva redatto la proposta, poi trasmessa alla banca di riferimento; - che le condizioni, le modalità, i termini, i tempi di rimborso , tassi applicati, le garanzie venivano concordati e stabiliti direttamente tra banca ed interessato; - che, pertanto, difettavano le condizioni di legittimazione passiva del convenuto, che non aveva avuto alcuna relazione diretta con l'attore, nonché di legittimazione attiva dell'attore, che aveva avanzato pretese nell'interesse di (...), estranea a giudizio. Si costituiva in giudizio (...) Società Cooperativa la quale preliminarmente eccepiva il difetto di legittimazione dell'attore a pretendere i danni per soggetto distinto quale la S.r.l.s. (...) e la prescrizione delle pretese avanzate. In via subordinata, eccepiva il difetto di ordinaria diligenza in capo all'attore ai sensi dell'ar 1227 , comma 2, c.c. ovvero, il concorso del fatto colposo , ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.. Nel merito precisava: - che il mutuo stipulato il 27 novembre 2013 per l'importo erogato di Euro 10.000,00, era rimasto inadempiuto dalla rata scadente il 27 marzo 2016, secondo il piano di ammortamento aggiornato; - che la domanda di adesione richiamata dall'attore prevedeva quale richiedente non la società a responsabilità limitata ma una ditta individuale, era rivolto al Comitato di Indirizzo Fondo (...) e non conteneva un progetto dettagliato né un business plan; - che anche la descrizione del progetto da finanziare era carente e la Banca era comunque libera di valutare il merito creditizio ed ogni altro elemento o circostanza, così che a fronte della richiesta aveva ritenuto di concedere l'importo di Euro 10.000,00, riservando l'eventuale erogazione di ulteriori importi ad una successiva e positiva valutazione dell'andamento del progetto; - che non era stata fornita alcuna rassicurazione in merito ad eventuali ulteriori erogazioni, che avrebbero in ogni caso imposto rilascio di ulteriore garanzia fideiussoria, mai rilasciata, né richiesta; - che il contenuto del contratto di mutuo e della fideiussione attestavano la reale volontà delle parti, mentre il riferimento di cui alla lettera del 10.12.2013 e frutto di errore reso evidente e riconoscibile dall'allegato piano di ammortamento; - che non vi era stata alcuna segnalazione dell'attore, il quale non aveva subito alcun danno anche morale dalla vicenda. Su tali rilievi, concludeva per l'integrale rigetto delle domande e per l'accoglimento delle eccezioni sollevate, con il favore delle spese processuali. Si costituiva, infine, anche l'Associazione (...) la quale eccepiva la nullità dell'atto di citazione per inosservanza del termine a comparire, attesa la notifica perfezionatasi in data 10 maggio 2021. Eccepiva, ancora, il difetto di legittimazione passiva evidenziando che la propria attività si era limitata a mettere in contatto l'attore con un professionista, (...), al fine di supportare l'attore nella predisposizione di un "business plan" credibile da sottoporre alla (...), allo scopo di realizzare un progetto imprenditoriale, attività peraltro prestata a titolo gratuito. Assumeva l'insussistenza di qualsivoglia forma di responsabilità a carico dell'Associazione, che aveva pienamente assolto alla propria funzione, tentando di far interagire il (...) con soggetti che potessero essere di ausilio nel proprio progetto imprenditoriale, mentre le informazioni delle modalità di erogazione del finanziamento e le susseguenti determinazioni della Banca in ordine alla concessione o meno del medesimo, esulavano dalla sfera di responsabilità della Associazione e concludeva per il difetto di legittimazione passiva dell'Associazione (...) e, comunque, per il rigetto di ogni domanda, con il favore delle spese e con condanna dell'attore per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. A seguito della prima udienza di comparizione, con concessione dei termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., si costituiva in giudizio (...) spiegando intervento volontario ai sensi dell'art. 105 c.p.c. per sentire accertare la responsabilità pre-contrattuale e responsabilità aquiliana della (...) cooperativo e la responsabilità da contatto sociale dell' Associazione (...) e del il sig. (...) e la condanna dei convenuti nei propri confronti, con il favore delle spese di lite. Quindi la causa era istruita con la produzione di documenti e trattenuta in decisione, sulle conclusione in epigrafe trascritte, all'udienza del 12 aprile 2022, previa concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. ECCEZIONI PROCESSUALI In primo luogo, deve essere disattesa la eccezione di nullità dell'atto di citazione per il mancato rispetto dei termini minimi di comparizione prescritti dall'art. 163 bis c.p.c. Ai sensi dell'art. 164, I comma, c.p.c. la citazione è nulla se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge e, in forza del successivo III comma, la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al II comma, tuttavia, se il convenuto deduce l'inosservanza dei termini, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini. Nel caso di specie, dagli atti prodotti risulta che l'attore nell'atto di citazione ha indicato il 15 luglio 2021 quale udienza di comparizione e che la notifica nei confronti dell'Associazione si è perfezionata solo il 10 maggio 2021, così che a ragione parte convenuta ha rilevato il mancato rispetto dei termini e chiesto fissarsi nuova udienza. All'udienza successiva, tuttavia, non ha esercitato alcuna attività nel rispetto dei termini, prestando sostanzialmente acquiescenza al termine concesso ai sensi dell'art. 183, VI comma, c.p.c., depositando la relativa memoria ed opponendosi alle istanze istruttorie. Conseguentemente, anche in ragione del tenore della pronuncia, deve oramai ritenersi definitivamente sanato il motivo di nullità non risultando alcuna preclusione rispetto allo svolgimento dell'attività difensiva svolta. Ciò precisato, le domande introdotte nel presente giudizio sono infondate e devono essere integralmente disattese per le seguenti motivazioni. 2. LE DOMANDE DI (...). (...) Invero, quanto alla posizione di (...), nella determinazione del thema decidendum va rilevato che nell'atto introduttivo l'attore ha precisato di agire in proprio, e quindi in qualità di persona fisica formulando pluralità di domande aventi ad oggetto la responsabilità precontrattuale per le condotte omissive e commissive poste in essere nei convenuti, in occasione dell'erogazione del finanziamento nell'ambito di una iniziativa volta a favorire l'accesso al microcredito da parte di soggetti più deboli. In tale contesto si censura la negligenza e contrarietà a buona fede dell'attività di consulenza ed assistenza prestata nella fase propedeutica alla conclusione del mutuo chirografario concluso in con la Banca .. nonché nella comunicativa ed informativa anche nella fase successiva, che avrebbe determinato il danno conseguente alla mancata erogazione di ulteriori importi necessari a dare seguito al progetto di impresa. Ora, nel qualificare la domanda, giova precisare che la regola posta dall'art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti, nonché un dovere di completezza informativa, fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto. (Cass., 26.4.2012, n 6526; Cass. 8.10.2008, n 24795). Nel solco di tali principi, qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuto cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto (Cass., 14.2.2022, n 4715 v. anche 10.1.2013, n 477). Nel ricostruire la vicenda in esame, tuttavia, non può omettersi di considerare che l'atto introduttivo del giudizio non indica, neanche implicitamente, l'attore come titolare dei diritti di cui si chiede l'affermazione, in quanto egli ha allegato di avere instaurato le trattative e i rapporti contrattuali relativi all'erogazione del finanziamento sempre in qualità di rappresentante legale della (...) S.r.l. Invero, è in tale veste che avrebbe mantenuto i primi contatti con il consulente e predisposto la richiesta di finanziamento, ottenendo - a suo dire- rassicurazioni sull'entità complessiva. Ora, ai sensi dell'art. 81 c.p.c., "fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui", così che la legittimazione attiva spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare, mentre la legittimazione ad agire mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all'attore(Cass., 1.9.2021, n 23721; Cass., 12.2.2021, n 3765; Cass., sez un. 16.2.2016, n 2951). A riguardo, non può che essere richiamato il principio generale richiamato dalla S.U. con sentenza del 16 febbraio 2016, n 2951, secondo cui l'interesse ad agire, come la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio assumendo di esserne titolare e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice ( Cass., 27.3.2017, n 7776; Cass., 12.8.2016, n 17092). Diversamente, la titolarità della posizione soggettiva attiva o passiva, dedotta in giudizio è elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, così che spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento e lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione da parte del convenuto. 0ggetto di analisi, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l'attore deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio e, nel caso in cui l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione e il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile (Cass. 22 luglio 2022, n 22972; Sez. 2, n. 27528, :30/12/2016, Rv. 642183). Sulla scorta di tali principi, non possono che essere accolte le eccezioni sollevate da tutti i convenuti in ordine alla legittimazione attiva di (...) in proprio, non risultando egli - in base alla stessa prospettazione attorea - il titolare della pretesa oggetto del giudizio sulla quale, le richieste risarcitorie, risultano essere state fondate. 3. L'INTERVENTO DI (...) S.r.l.S. Nel corso del giudizio, la (...), ha spiegato intervento con comparsa depositata in data 8 settembre 2021, dopo l'udienza di prima comparizione. Ora, non v'è dubbio che le domande formulate - pur di identico contenuto-sono differenti e nuove rispetto a quelle introdotte con l'atto di citazione, in quanto riconducibili alla sfera di differente soggetto giuridico e in rapporto di alternatività. L'intervento spiegato non può quindi essere qualificato come adesivo o dipendente, ma costituisce intervento autonomo, ai sensi dell'art. 105, I comma, c.p.c. per cui trovano applicazione i limiti e preclusioni di cui all'art. 268 c.p.c. Tale norma, invero, consente al terzo di intervenire sino a che non vengano precisate le conclusioni, ma preclude al terzo il compimento di atti che non sono più consentiti ad alcuna altra parte ( salva ipotesi di litisconsorte necessario, così che il terzo interventore potrebbe spiegare autonome domande solo entro il termine di costituzione del convenuto, e proporre le proprie istanze istruttorie entro i limiti temporali previsti dall'art. 183 c.p.c.. Nel caso di specie l'intervento di (...) S.r.l.s. è avvenuto dopo il termine di costituzione del convenuto, quando oramai era preclusa la possibilità di introdurre domande nuove nel giudizio, con la conseguenza che le domande nuove introdotte dovrebbero ritenersi non ammissibili. E tuttavia, tale conclusione non appare conforme all'orientamento consolidato della S.C. ( Cass., 2.3.2018, n 4934; Cass., 22.12.2015, n 25978) in forza del quale la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie. Pur accedendo a tale approdo ermeneutico, nella presente fattispecie le domande introdotte da (...) S.r.l. s. non potrebbero in ogni caso ritenersi meritevoli di accoglimento. Invero, in presenza di contestazioni da parte di tutti i convenuti, tale società non ha fornito alcun elemento di prova in ordine ad attività non conformi al parametro della buona fede, sia nella fase di consulenza e la predisposizione del progetto oggetto di finanziamento, sia nella fase successiva alla conclusione del primo contratto di mutuo. In particolare, dalla documentazione acquisita non è emerso nessun comportamento che avrebbe giustificato un ragionevole affidamento in ordine alla erogazione di importi ulteriori rispetto a quanto concordato con la conclusione del primo contratto di mutuo, quale condizione negoziale essenziale. (...), per conto dell'Associazione (...), ha contestato di avere offerto indicazioni e assicurazioni in tal senso al legale rappresentante della (...) nella fase di assistenza e consulenza prestata nella predisposizione del progetto da finanziare, né che l'importo minimo di Euro 20.000,00 rappresentava condizione essenziale per la sua attuazione. Dall'analisi di tale progetto richiamato, in effetti, si evince che la richiesta di finanziamento era stata predisposta per Euro 20.000,00, ma non risulta che tale complessivo importo fosse stato determinato dall'esito di trattative con la banca, né che in qualche modo rappresentasse un dato essenziale per (...) per pervenire alla conclusione del contratto di mutuo. Il regolamento contrattuale, poi, in alcun modo richiama un differente ulteriore importo: oggetto di mutuo era la somma di Euro 10.000,00 (limite peraltro della garanzia fideiussoria) e le parti non fanno riferimento o collegamento ad ulteriori erogazioni, le quali, pertanto, non possono che scaturire da autonome negoziazioni ed essere rimesse ad una successiva fase di trattative e ad una nuova ed autonoma manifestazione di volontà di entrambe parti. Dai dati documentali acquisiti non è quindi emerso in alcun modo che nella fase di trattativa le parti avessero concordato condizioni differenti rispetto al contenuto del contratto di mutuo, né che tali condizioni siano state modificate arbitrariamente o senza preavviso dalla banca, in violazione del legittimo affidamento del cliente. A tale conclusione non può poi pervenirsi solo sulla base della lettera datata 10.12.2013, in quanto tale lettera è certamente posteriore rispetto al contratto del 27.11.2013, non è indirizzata al cliente e presenta - oltre tutto- alcune inesattezze anche con riferimento ad ipotetici SAL. Invero, le difformità di tale missiva rispetto all'effettivo contenuto del contratto di mutuo - che all'epoca era oramai stipulato- non consentono di desumere in modo sufficientemente univoco che con la Banca mutuante vi fossero accordi, precedenti o contestuali alla sottoscrizione del contratto, per ottenere maggiori erogazioni per finanziare il progetto. Inoltre, poiché dai documenti prodotti non risulta alcun impegno a carico della banca di pervenire ad una ulteriore e successiva erogazione di finanziamenti, non trova riscontro neanche quanto allegato in ordine ad una carenza di informazioni circa il mancato rispetto dei termini per inoltrare ulteriori richieste o fornire documenti. Prive di significatività probatoria a sostegno di tale ipotesi, sono i capitoli oggetto di interrogatorio formale deferito a (...) con la memoria depositata il 14.10.2021, poiché non sono indicate in modo dettagliato le circostanze di tempo e di luogo in cui sarebbero state rese le assicurazioni al richiedente. Si tratta, peraltro, di allegazioni che fanno ulteriormente insorgere un preciso onere probatorio di dimostrare sia l'effettivo pregiudizio subito quanto la sussistenza del nesso di causalità rispetto alle lamentate violazioni agli obblighi (Cass., 14.2.2022, n 4715; Cass. 17.11.2020, 26042). E, nel caso in esame, la società intervenuta non soltanto non ha offerto adeguata dimostrazione della antigiuridicità delle condotte della banca e degli altri soggetti che hanno coadiuvato e prestato assistenza nella fase di trattative in violazione del fondamentale canone della buona fede, ma anche della correlazione causale tra l' erogazione di un ridotto finanziamento e la mancata realizzazione della iniziativa imprenditoriale. Sulla base del compendio probatorio acquisito, in definitiva, le domande di accertamento della responsabilità precontrattuale e di risarcimento del danno proposte dalla società intervenuta non possono che essere integralmente respinte e tali argomentazioni presentano carattere assorbente rispetto alla eccezione di prescrizione, pure tempestivamente sollevata. 4. RESPONSABILITA' E SPESE PROCESSUALI. Al contempo, non può essere accolta la richiesta di condanna dell'attore e della società intervenuta al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata. Tale affermazione di responsabilità, che è prevista a carico della parte soccombente dal primo comma dell'art. 96 c.p.c., postula, oltre al carattere totale e non parziale di tale soccombenza (Cass., 15.7.91, n. 7815) ed alla sussistenza di una colpa grave (Cass., 21798/2015; Cass., 17.10.89, n. 4164; Cass., sez. un., 30.9.89, n. 3948, in Giust. civ. 1989, I, 2535), che l'avversario deduca e dimostri la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima, con la conseguenza che il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l'esistenza (Cass., 2.6.92, n. 6637; Cass., 9.2.91, n. 1341; Cass., 23.5.90, n. 4651; Cass., 2.6.84, n. 334). Tale esigenza probatoria non può venir meno neppure in considerazione della qualità delle parti perché la sussistenza del danno deve essere espressione di un giudizio concreto e non astratto, mentre nel caso di specie nessuno dei convenuti ha dimostrato l'esistenza di un danno patrimoniale concretamente subito né si ravvisano le condizioni per fare applicazione discrezionale dell'art. 96, comma 3, c.p.c.. Infine, le spese processuali, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. seguono la soccombenza e sono quindi poste a carico dell'attore e della società intervenuta in solido, così come liquidate in dispositivo, in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dell'attività svolta e del valore della controversia nonché della natura della decisione P.Q.M. Il Tribunale, sulle antescritte conclusioni dei procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...), con atto di citazione notificato in data 8, 12 marzo e 10 maggio 2021, nei confronti di (...), della Associazione (...) e della (...) Società Cooperativa, , in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, nonché sulle domande proposte nei confronti dei medesimi convenuti da (...) SRLS, in persona dell'amministratore unico, con intervento depositato il 9 settembre 2021, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) dichiara il difetto di legittimazione attiva di (...) in ordine alle domande proposte; b) rigetta le domande di (...) SRLS ; c) condanna l'attore e la società intervenuta, in solido, al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2270,00 per ognuno dei convenuti, oltre spese generali, Iva e CPA nella misura di legge. Così deciso in Prato l'1 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA Prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del GOP dr. Silvestro Binetti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 1072/2019, promossa da: (...) (CF: (...)) in persona del legale rappresentante p.t. - con gli Avv.ti Gu.Br. e Vi.Me.; ATTRICE contro (...) SRL ((...)), in persona del legale rappresentante p.t. - con L'Avv. Ma.Ga., CONVENUTA Fatto e processo Con atto di citazione notificato il 19/04/2019 (...) (di seguito semplicemente (...) Snc) ha convenuto in giudizio (...) Srl per sentirla condannare al pagamento in suo favore della somma di Euro 343.000,00, oltre interessi moratori, corrisposta dalla (...) per l'escussione di una fidejussione prestata dall'attrice in favore della convenuta a seguito della sottoscrizione di un contratto di subappalto stipulato a condizioni eccessivamente svantaggiose a causa della condotta affetta da dolo incidente della seconda in danno della prima. Parte attrice, inoltre, richiedeva anche il risarcimento degli ulteriori danni subiti per effetto dello stato di crisi innestato dal suddetto pagamento e consistenti nella cessazione dell'attività della SNC attrice, da liquidarsi in via equitativa. (...) Srl si costituiva ritualmente con propria comparsa e deposito di fascicolo documentale, contestando in fatto ed in diritto quanto dedotto, eccepito e richiesto da parte attrice, sostenendo la correttezza della condotta di (...) Srl, incentrata sulla mera e legittima esecuzione delle condizioni contrattuali frutto di libere trattative tra le parti, eccependo a sua volta che le condizioni contrattuali fossero solo il frutto dell'imperizia dell'attrice nella conduzione delle trattative nonché la malafede della medesima nel rappresentare i fatti e formulando domanda riconvenzionale per il pagamento dei danni causati dal parziale inadempimento del contratto di subappalto intercorso tra le parti, quantificati in totali Euro 144.000,00. (...) Snc che in data 10.12.2013 tra le parti intercorreva contratto di subappalto per la demolizione delle strutture in ferro esistenti nell'area denominata "(...)" sita in C. alla Via G. e Viale S. (...) di proprietà di (...) Srl, già oggetto di contratto di appalto tra quest'ultima e (...) Srl. Il contratto concedeva al subappaltatore la disponibilità e la custodia delle aree per l'esecuzione delle opere di demolizione delle sole strutture in ferro ivi presenti, ad esclusione quindi degli edifici in cemento armato, con possibilità di recupero del ferro ed obbligo di smaltimento per i materiali di risulta non recuperabili. A fronte della possibilità di recupero del ferro risultante dalla demolizione per la successiva rivendita, il subappaltatore (...) Snc si obbligava a corrispondere a (...) Srl l'importo forfettario di Euro 800.000,00 da corrispondere per Euro 50 mila alla firma del contratto e per il resto con fatture settimanali "a partire dalla data del primo carico per un valore massimo di 250 tonnellate al prezzo minimo di Euro 200,00 a tonnellata". Mentre "il saldo fino alla residua concorrenza" dell'importo pattuito avrebbe dovuto essere corrisposto "in relazione all'ultimo conferimento di ferro. Veniva inoltre previsto che, a garanzia dei pagamenti pattuiti, il subappaltatore consegnasse al committente una fideiussione di Euro 300.000,00, da rilasciarsi dalla (...) e (...) entro il 23.12.2013. Importo che, in caso di mancato rispetto delle condizioni contrattuali, avrebbe dovuto essere corrisposto a (...) "a sua semplice richiesta ed a prima chiamata". Fideiussione che, unitamente alla relazione tecnica descrittiva delle opere da eseguire, era allegata al contratto facendone parte integrante. Il contratto veniva sottoscritto per (...) Srl dall'Arch. (...), legale rappresentante di (...) Srl nonché Amministratore di (...) Srl (proprietaria delle aree di cantiere ed appaltatrice), mentre l'incarico di progettista e direttore dei lavori era conferito all'Ing. (...). (...) Snc iniziava le opere di demolizione nel gennaio del 2014 corrispondendo gli importi fatturati da (...) per il ferro prelevato al prezzo di Euro 200 a tonnellata. Prezzo che, però, a marzo dello stesso anno aumentava su iniziativa di (...) al fine dichiarato di compensare, in esecuzione del punto 6 del contratto, la minore quantità di ferro mediamente prelevata e poter così raggiungere l'importo pattuito di 800.000 Euro. All'esito delle rimostranze di (...) Snc le parti convenivano di effettuare un sopralluogo sul cantiere oggetto del contratto per determinare la quantità di ferro contrattualmente prelevabile. Sopralluogo che veniva eseguito in data 01.04.2014 dal (...) Srl si costituiva confermando l'esistenza del contratto di appalto intercorso tra (...) Spa e (...) Snc avente ad oggetto lo smaltimento delle strutture in ferro presenti nell'Area "Ex Ferriera" di Crema nella disponibilità della convenuta, ed il recupero del metallo in cambio del pagamento della somma di Euro 800.000, determinata in misura forfettaria e non in base alla quantità effettiva di ferro ricavato. La società convenuta, però, sosteneva che tali condizioni contrattuali erano frutto delle lunghe trattative intercorse, precisando come la concessione della fidejussione fosse stata proposta dalla stessa attrice per assicurarsi l'affidamento dell'appalto, ritenuto da (...) Snc troppo "appetibile". Tanto anche all'esito della presa visione dell'area e di sopralluoghi valutativi svolti da (...) per effetto dei quali venivano anche apportate modifiche alla bozza del contratto prima della sottoscrizione del definitivo avvenuta in data 10.12.2013. Nonostante ciò a maggio 2014 (...) Snc sarebbe risultato gravemente inadempiente avendo accumulato arretrati di pagamento per totali Euro 394.000,00. Situazione che determinava la richiesta di pagamento della garanzia prestata e la sua successiva escussione ed il sorgere dei predetti contenziosi civili e penali. Alla prima udienza del 08/10/2019 le parti si costituivano con rituale deposito di fascicoli documentali e venivano concessi i termini istruttori, cui seguiva il deposito di memorie autorizzate ex art. 183, 6 comma c.p.c.. Dopo due rinvii dovuti all'emergenza epidemiologica da Covid19, all'udienza del 10.11.2020 il giudice ammetteva le istanze di prova testimoniale ritenute ammissibili e rilevanti. I testi venivano escussi alle udienze del 16.02.21 e 11.05.21. All'esito veniva fissata dal giudice l'udienza del 18.01.2022 per la precisazione delle conclusioni ove le parti concludevano come sopra indicato ed il giudice tratteneva la causa in decisione concedendo i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di note conclusive e repliche. DIRITTO Diritto La domanda proposta dalla società attrice nei confronti della convenuta va qualificata come azione risarcitoria da dolo incidente ai sensi dell'art. 1440 c.c., non essendo ipotizzata l'invalidità del contratto di appalto concluso bensì la sua stipula a condizioni inique per effetto della condotta contraria a buona fede, in spregio al disposto dell'art. 1337 c.c.. Figura di dolo che attiene alla fase di formazione del contratto e la sua eventuale esistenza non incide sulla possibilità di far valere i diritti sorti dal medesimo e sul suo adempimento, ma comporta che il contraente in mala fede sarà responsabile dei danni provocati dal suo comportamento illecito. Danni che andranno commisurati al minor vantaggio o maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede (Cass. n. 19024/2005; n. 9523/1999). In altri termini la fattispecie di cui all'art. 1440 c.c. è sostanziata da una condotta insidiosa, idonea a trarre in inganno un contraente di normale diligenza, tale da indurlo a concludere un contratto cui altrimenti verosimilmente non avrebbe acceduto o lo avrebbe fatto a condizioni diverse. Tuttavia il comportamento fraudolento non deve rappresentare l'unica o la causa principale del contratto che, pertanto, rimane valido ma la controparte sarà legittimata a richiedere il risarcimento dei danni subiti. Il cd. dolo incidente presenta, pertanto una minore intensità rispetto al dolo di cui all'art. 1439 c.c. che può determinare l'annullamento del contratto per vizio di volontà. Sarà dunque necessario fare riferimento alle concrete circostanze del contratto per verificare se la condotta di uno dei contraenti abbia integrato gli estremi del dolo incidente piuttosto che il cd. "dolus bonus" costituito dall'insieme di accorgimenti finalizzati alla mera esaltazione della bontà delle proprie proposte commerciali per indurre la parte alla conclusione del contratto, frequenti nella pratica negoziale ma che non sostanziano un'attività fraudolenta se mantenuti nei limiti della correttezza e buona fede. A tale proposito la giurisprudenza di legittimità ha oramai pacificamente ammesso che il dolo di cui all'art. 1440 c.c. viene sostanziato anche da un comportamento reticente teso ad occultare un fatto che, se conosciuto dall'altro contraente, ne avrebbe determinato diversamente la volontà (Cass. n. 5762/2016; n. 24795/2008). Pertanto la prova dell'esistenza del raggiro su un elemento non trascurabile del contratto determina una presunzione secondo la quale, senza la presenza della condotta reticente, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e meno inique, ovvero non gravemente sbilanciate a favore della parte in malafede. Alla luce dei principi esposti e che si reputano del tutto condivisibili, per meglio inquadrare l'ambito delle responsabilità nel caso che ci occupa, occorre partire senz'altro dalle circostanze di fatto che hanno portato all'instaurazione del presente giudizio per come accertate all'esito dell'istruttoria documentale e testimoniale. Nulla quaestio sull'esistenza del contratto stipulato in data 10.12.2013 tra (...) Snc, rappresentata dall'Ing. I., e (...) Snc ed avente ad oggetto lo smaltimento delle sole strutture in ferro "a vista" presenti nell'area Ex Ferriera di Crema, a disposizione della prima in quanto concessa in appalto con contratto del 03.12.2013 dalla proprietaria (...) Srl, ed il loro recupero come rottame da parte della società attrice in cambio del pagamento della complessiva somma di Euro 800.000,00, calcolata a forfait ed a priori. Pagamento garantito nella misura di Euro 300.000 da fidejussione pagabile a semplice richiesta ed a prima chiamata della creditrice garantita (...) Srl. Come pure nessuna contestazione è stata sollevata sulla validità del contratto che non viene messa in alcun modo in discussione dalle parti (cfr. doc. n. 10 di p.c.). Contratto che infatti è stato eseguito rimanendo inadempiuto solo nella parte relativa al pagamento di una parte del compenso pattuito poi recuperata quasi totalmente con la riscossione della garanzia prestata (cfr. doc. n. 17 di p.a. dalla fatt. n (...) del 14.03.2014 alla fatt. n. (...) del 24.04.2014). Pure incontestata è l'esistenza della perizia svolta dall'Ing. C.Z. su incarico dell'Arch. I. e la conoscenza da parte di quest'ultimo delle sue risultanze (doc. 04 p.c.). Al riguardo parte convenuta ha sostenuto che la quantità di metallo indicata, con percentuale di errore del 5%, comprendesse anche il ferro presente nei cementi armati, non incluso nel contratto di appalto, e che la distinzione non fosse chiaramente deducibile dal testo della perizia rimessa dall'Ing. C.Z. all'arch. I.; tanto in virtù del carattere empirico del calcolo effettuato dal perito che non consentiva di quantificare con precisione le rispettive percentuali del metallo presente nell'area. (...), nei propri atti ha sostenuto come tale informazione fosse e stata messa a disposizione di (...) durante le trattative e che, pertanto, (...) Snc avrebbe concluso il contratto alle condizioni descritte perché liberamente convinto della vantaggiosità dello stesso a seguito dell'esame di ogni elemento utile svolto sulla base dell'esperienza professionale posseduta e di esaustive e trasparenti trattative. Circostanze, queste, che sarebbero state tutte confermate dal medesimo Ing. C.Z. con la testimonianza resa nell'ambito del processo penale a carico dell'Ing. I.. Processo poi estinto per morte di quest'ultimo. Sul punto all'udienza del 16.02.2021 l'Ing. C.Z., figura centrale della controversia e teste comune ad entrambe le parti, confermava di aver eseguito su incarico dell'Arch. I., nell'ottobre del 2013, quindi prima dell'inizio delle trattative ed addirittura prima che quest'ultimo ricevesse l'appalto dei lavori di demolizione dalla (...) Srl, proprietaria dell'area, una prima stima del metallo presente nel cantiere, quando "tutte le strutture in metallo erano ancora in piedi come pure i due edifici in cemento (un magazzino ed un capannone). Il testimone riferiva di aver quantificato in 2.200-2.500 tonnellate il peso del metallo di cui erano composte le sole strutture in ferro presenti in cantiere e che tale stima era stata contestata dall'Arch. I. che l'avrebbe ritenuta errata per difetto. Stima che però veniva confermata dal perito con una mail, inviata al secondo, in data 29.10.2013 (cfr. doc. n. 04 di p.c.). Nell'ambito della medesima testimonianza l'ing. C.Z. precisava di aver chiaramente quantificato in 2.200-2.500 tonnellate il peso del ferro delle strutture in metallo a vista ed in totali 3.900 tonnellate il peso totale del ferro presente nell'area, comprensivo quindi di quello ricavabile dalle strutture in cemento armato e dai binari interrati (ferro occulto). Testimonianza che confuta quanto sostenuto dalla convenuta e che va ritenuta del tutto attendibile in quanto riferita senza esitazioni e contraddizioni, confermata dai documenti presenti nel fascicolo del presente procedimento e non discordante dalle testimonianze rese dagli altri testi escussi. In particolare la testimonianza resa dall'Ing. C.Z. nel presente giudizio trova piena ed esaustiva conferma anche nella motivazione della decisione che altro giudice di questo tribunale ha reso all'esito del giudizio RG n. 1914/2014, intercorso tra le medesime parti, avente ad oggetto un'istanza di cautela ex art. 700 c.p.c., secondo la quale, l'arch. I. durante le trattative aveva rappresentato alla controparte la presenza nell'area Ex Ferriera di circa 4.000 tonnellate di ferro, senza fare però riferimento alla stima operata dall'Ing. C.Z. e dunque senza riferire della relativa distinzione tra il metallo a vista e quello occulto (doc. n. 3 p.a.). L'Arch. I., quindi, già prima dell'inizio delle trattative era perfettamente a conoscenza che all'interno dell'area Ex Ferriera in Crema, oggetto del contratto, si trovavano circa 3.900 tonnellate di ferro di cui però solo 2.200-2.500 visibili cioè ricavabili dalle strutture in ferro. Per contro l'istruttoria testimoniale espletata fa ritenere verosimile che ai (...) sia stato fatto intendere che all'interno dell'area fossero presenti all'incirca 4.000 tonnellate di ferro ma non sia stato loro specificato che tale quantità comprendeva anche il metallo "occulto", escluso dal contratto. Come del resto sostenuto proprio dalla difesa di (...) Srl. Così lasciando insorgere nel subappaltatore il fatale equivoco sulla quantità effettiva di ferro che avrebbe potuto ricavare. Equivoco che, al netto della conoscenza di tale distinzione, non poteva certo essere confutato sulla base di meri "sopralluoghi" dell'area che per vastità e natura non consentiva di determinare esattamente la quantità di ferro corretta a che anzi si prestava ad una sopravalutazione del dato. La estrema difficoltà di determinazione della quantità di metallo ricavabile ha trovato conferma anche nella circostanza che lo stesso Arch. I. riteneva errata per difetto la quantificazione di circa 2.500 tonnellate effettuata dall'Ing. C.Z., pur all'esito di una approfondita perizia (cfr. testim. del 16.2.21 teste C.Z. e dell'11.5.21 teste C.). Convinzione che ha verosimilmente portato il committente a nascondere al proprio interlocutore il risultato della perizia ma che non gli ha impedito, per altro verso, di ritenere utile il rilascio di una fidejussione (a semplice richiesta ed a prima chiamata) al fine di garantirsi comunque l'importo forfettariamente determinato qualora, invece, la stima fosse risultata corretta (come in realtà è poi successo posto che la quantità effettiva di metallo ricavata dai (...) è risultata inferiore a 2.500 tonn.). Il teste C.Z. ha poi confutato l'ulteriore affermazione di parte convenuta secondo la quale il (...) avesse preso visione e conoscenza della stima per averla appresa dal consulente durante le trattative. Circostanza espressamente e chiaramente smentita dal testimone che ha invece dichiarato di non aver mai partecipato alle trattative per la stipula del contratto, di aver conosciuto i (...) solo dopo la conclusione del contratto e di aver comunicato agli stessi la sua stima solo in occasione del sopralluogo svolto in contraddittorio in data 01.04.2014 (testim. del 16.02.21). Nella medesima udienza anche il teste Paridi confermava come i (...) ritenessero verosimile che dal cantiere si potessero ricavare circa 4.000 tonn. di ferro e che tale convinzione derivasse dal mero esame visivo della zona, molto ampia ed in stato di abbandono. Tanto rende del tutto verosimile che (...) e l'Ing. I. per essa, non abbia comunicato l'importante informazione in suo possesso, ovvero che le quasi 4.000 tonnellate erano sì verosimili, ma solo ove comprendessero anche il ferro "occulto" cioè nascosto nei cementi o interrato e dunque non compreso nel contratto. Informazione che non solo avrebbe dovuto essere messa a diposizione dei (...) ma che avrebbe dovuto fare parte integrante del contratto al fine di garantire la corretta formazione della volontà contrattuale. Pertanto l'arch. I., consapevole della circostanza sin dall'inizio delle trattative, le ha condotte con dolosa malafede al fine di spuntare condizioni contrattuali eccessivamente vantaggiose per lui ad esclusivo danno di (...) Snc. E con il senno di poi, non può certamente essere considerata una mera coincidenza la circostanza che il valore della fideiussione rilasciata dal subappaltatore compensi esattamente la differenza di valore tra il ferro ricavato e quello ricavabile. Fidejussione, dunque, verosimilmente pretesa al solo fine di escludere il rischio di non vedersi corrispondere dal (...) l'intera somma pattuita a fronte della presa di coscienza che la quantità di ferro prelevabile, non solo non avrebbe garantito alcun margine di guadagno ma, anzi, avrebbe potuto rivelarsi fallimentare. Tanto anche in virtù degli accordi presi dal (...) con E.T. Spa per rivendere il ferro recuperato al prezzo di Euro 257 a tonnellata. Nel caso di specie appare pertanto sussistere il dolo incidente in capo alla società convenuta posta la provata consapevolezza dell'arch. I., per aver avuto notizia, ben prima dell'inizio delle trattative, della quantità di ferro ricavabile dal cantiere oggetto del contratto di appalto sottoscritto nel dicembre del 2014 con la società attrice. Sotto tale profilo va dunque richiamato l'obbligo di buona fede sancito dall'art. 1337 c.c. il cui ambito di rilevanza va ben oltre l'ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, assumendo il valore di una clausola generale il cui contenuto non può essere determinato in maniera precisa. Clausola che implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti, fornendo alla controparte ogni dato conosciuto o anche solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, che sia rilevante ai fini della stipulazione del contratto. L'esame delle norme vigenti al riguardo pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido o inefficace (artt. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido e tuttavia gravemente pregiudizievole per la controparte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.). In tal senso la violazione di una regola di comportamento, che nella specie si ravvisa nell'obbligo di dare una particolare informazione, se consapevolmente commessa per incassare un prezzo più elevato, si configura come dolo omissivo. Nel caso che ci occupa, tale violazione si è sostanziata nel precipuo, conseguito, intento di incassare una controprestazione pecuniaria notevolmente più elevata di quella ricavabile dall'applicazione del mero prezzo di mercato, pure contrattualmente indicato. Il (...) doveva essere messo al corrente della corretta informazione in possesso di (...) posto che solo la compiuta conoscenza della quantità di ferro verosimilmente ricavabile dal cantiere avrebbe posto il sub appaltatore nella condizione di condurre una più consapevole trattativa. La circostanza che al (...) non sia stato impedito di effettuare sopralluoghi sul cantiere non può esimere da responsabilità la parte convenuta perché comunque è risultato nel corso del giudizio che la situazione complessiva del cantiere non consentiva di effettuare con precisione ed attendibilità una valutazione a vista del ferro disponibile; situazione che, senza la precisazione omessa, rendeva verosimile la presenza di una quantità di ferro a vista pari a quella indicata. Non si discute, quindi, della libertà di accettazione di qualsivoglia contratto ma del fatto che tale accettazione avvenga all'esito di una trattativa condotta secondo buona fede e trasparenza, durante la quale le parti non abbiano tenute nascoste circostanze determinanti in relazione all'oggetto e delle condizioni economiche del contratto. In particolare, la determinazione a priori e forfettaria del compenso e di un prezzo minimo alla tonnellata pari a quello di mercato ma adeguabile in funzione della (prevedibilmente minore) quantità di ferro raccolta come pure la prestazione della garanzia fideiussoria di natura astratta "a semplice richiesta ed a prima chiamata", non per l'intero importo pattuito ma solo per la (prevedibile) differenza, sono clausole contrattuali del tutto orientate a garantire alla convenuta/committente l'incasso dell'intero importo pattuito anche all'esito della scoperta da parte dell'attrice/subappaltatore della reale situazione e della iniquità dell'accordo concluso. Nessun rilievo possono al riguardo avere le testimonianze rese dai testi di parte convenuta che di fatto nulla tolgono o aggiungono all'accertamento dei fatti come sopra illustrati. Come pure non utilizzabili in quanto non sempre coerenti con le testimonianze assunte nel presente giudizio, sono le testimonianze rese nel giudizio penale estinto. Irrilevante al riguardo è anche la decisione assunta nell'ambito del procedimento RG n. 394/2015, avente ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo richiesto da (...) verso la (...)D. e (...) per ottenere il pagamento delle somme garantite. Il giudice del procedimento di opposizione, instaurato dalla Banca garante, ha confermato l'obbligo di pagamento delle somme garantite ed ordinato il pagamento dopo aver dichiarato inammissibili, perché inopponibili alla banca attrice/opponente e, dunque, irrilevanti nell'ambito del rapporto oggetto del giudizio, i documenti proposti come prova della responsabilità di (...) Snc, parte peraltro estranea al giudizio. Accertata quindi l'esistenza di un comportamento improntato alla malafede e dunque la sussistenza del dolo incidente in capo alla convenuta (...) Srl, va determinato il "quantum debeatur" il quale, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità non si esaurisce nelle diverse condizioni alle quali l'accordo si sarebbe concluso ma va quantificato in relazione ai danni valutati nel loro complesso, che risultino collegati da un rapporto diretto e di stretta consequenzialità con l'attività fraudolenta posta in essere. Nella quantificazione del danno risarcibile si deve, pertanto, avere riguardo alla situazione che si sarebbe creata come se il dolo non ci fosse stato, stante la validità del contratto sottoscritto. Nel caso in esame il danno consiste nel maggior esborso sostenuto dagli attori e non può che essere liquidato in via equitativa tenuto conto delle somme ottenute dalla rivendita del ferro ottenuto al prezzo di Euro 257 alla tonnellata, circostanza provata per documenti e comunque non contestata, delle somme relative al parziale inadempimento di parte attrice, nella misura provata, e infine delle somme addebitate dalla Banca agli attori a titolo di costi per il pagamento della fideiussione. Oltre questo, nessun altro danno può essere liquidato. Non quello richiesto dagli attori in relazione alla cessazione dell'attività di famiglia posto che non è stata fornita alcuna prova del legame diretto e di stretta consequenzialità con l'attività fraudolenta. Parte attrice non ha infatti dimostrato che la cessazione dell'attività della (...) Snc non sia stata il frutto di una mera volontà rinunciataria da parte dei soci che, ove avessero voluto continuare a svolgere l'attività di impresa, avrebbero potuto cercare di attuare azioni utili al riguardo (richiedere finanziamenti garantiti dagli immobili di proprietà, ricorrere a procedure concorsuali alternative al fallimento o ricercare soci finanziatori esterni al nucleo familiare) invece di cessare l'attività e dismettere gli immobili di proprietà dell'impresa. Altrettanto è a dirsi delle istanze di risarcimento danni avanzate dalla convenuta in riconvenzionale. (...) Srl non ha fornito alcuna prova circa la misura del parziale inadempimento di parte attrice, al netto delle somme incassate grazie all'escussione della garanzia prestata. La cifra richiesta di Euro 94.000 è rimasta priva di qualsivoglia riferimento documentale. L'unico documento al riguardo fornito dalla convenuta e non contestato dall'attrice è la nota di messa in mora di (...) Snc e della banca di credito di (...) e (...) inviata con mail PEC del 09.05.2014, cui erano allegate le fatture emesse da (...) Srl a carico di (...) Snc, ed in particolare le fatture n. (...), (...) ed (...) del 2014 (doc. n. 13 di p.c. e 17 di p.a.). Documenti dai quali si evince una richiesta di pagamento di somme non corrisposte nell'ambito del contratto del 10.12.2013 pari ad Euro 323.208 che, al netto della fideiussione incassata risultano, pertanto, pari ad Euro 23.208. Circostanza non contestata da parte attrice che si è limitata ad un laconico "nessun importo è dovuto per nessun titolo o ragione a (...)", assumendo la risoluzione del contratto per fatto e colpa della convenuta. Altrettanto è a dirsi degli ulteriori 50 mila Euro richiesti quale corrispettivo per la mancata esecuzione di opere accessorie quali lo sgombero e la pulizia del cantiere al termine dei lavori di recupero del ferro e smaltimento dei materiali residui. Mancata esecuzione e relativa quantificazione rimaste assolutamente sfornite di prove sia documentali che testimoniali e archiviabili come mere affermazioni indimostrate. Appare pertanto equo liquidare il danno patrimoniale subito dagli attori nella somma di Euro 200.000,00 tenuto conto che (...) Snc ha rivenduto il ferro ricavato dal cantiere oggetto del contratto al prezzo di Euro 257 alla tonnellata ricavandone una somma pari circa ad Euro 580.000, a cui vanno aggiunti i circa ventimila Euro rimasti impagati da (...) al netto delle somme garantite. Per un totale di circa Euro 600.000. Somma che può considerarsi come il valore che il (...) avrebbe verosimilmente ottenuto quale corrispettivo da corrispondere all'esito di trattative eque, trasparenti e consapevoli. Alla società attrice, inoltre, andrà riconosciuto il diritto alla restituzione della ulteriore somma di Euro 43.000 corrisposti alla Banca garante a titolo di spese per il pagamento delle somme garantite ed il successivo recupero a carico della società attrice. In virtù del principio di soccombenza, le spese di lite sostenute dall'attrice nel presente giudizio vanno poste a carico di parte convenuta e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa: 1) Accoglie per quanto di ragione la domanda attorea e per l'effetto condanna parte convenuta (...) Srl al pagamento a titolo di risarcimento dei danni in favore di (...) Snc della somma di Euro 243.000,00, oltre interessi come in motivazione; 2) Condanna parte convenuta alla refusione delle spese processuali sostenute da parte attrice, ove non già anticipate o altrimenti corrisposte, che liquida in Euro 1.214,00 per C.U. ed Euro 21.387,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Cremona il 28 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAMMINO Matilde - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M. - Consigliere Dott. ARIOLLI G. - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/10/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI LEO Giovanni, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio per il ricorso di (OMISSIS); l'annullamento senza rinvio con rideterminazione della pena, per il ricorso di (OMISSIS); il rigetto del ricorso di (OMISSIS); la dichiarazione di inammissibilita' per tutti gli altri ricorsi. E' presente l'avvocato CALABRESE FRANCESCO del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS). Il medesimo difensore e' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di VIBO VALENTIA in difesa di: (OMISSIS), come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato VENETO CLARA del foro di Roma, in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS), come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. L'avvocato (OMISSIS) e' presente anche in sostituzione, per delega orale, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) ANTONINO del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS). L'avvocato (OMISSIS) deposita nomina difensore di fiducia e procura speciale per (OMISSIS). Il medesimo difensore e' presente anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS)NICO del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS) (nato nel 1964) e in sostituzione, per delega orale, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS) (nato nel 1964), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di Locri, in difesa di: (OMISSIS), come da nomina a sostituto processuale depositata in udienza. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa della parte civile COMUNE DI CINQUEFRONDI e, in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI, in difesa della parte civile COMUNE DI ANOIA, come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. Tutti i difensori degli imputati insistono per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. L'avvocato (OMISSIS) per le parti civili COMUNE DI CINQUEFRONDI e COMUNE DI ANOIA deposita conclusioni scritte e note spese ed insiste per il rigetto e/o declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi degli imputati. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per l'annullamento della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 3/10/2019 (dep. 6/7/2021) che ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria il 16/10/2017 a seguito di rito abbreviato, nei termini e con riferimento ai diversi reati di seguito precisati. (OMISSIS) (risponde dei delitti di cui ai capi 1 (delitto associativo) e 56 (violazione della legge armi in concorso con (OMISSIS)); per effetto della continuazione dei reati di cui al presente giudizio con quelli di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 27.10.2016, la C.A. determina la complessiva pena in anni tredici mesi quattro di reclusione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. 1.1. Si censura anzitutto la sussistenza e la corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di concreta operativita' di tale gruppo travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi sotto l'irrinunciabile profilo della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a tale autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non direttamente discesa dalla presunta cosca (OMISSIS). Ne', al riguardo, poteva farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) era stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterni del metodo mafioso. Parimenti non poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente al quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta', tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 1.2. Quanto poi alla specifica condotta associativa addebitata alla ricorrente, questa era stata tratta dalla Corte territoriale dal compimento dei reati fine. Invece, il rapporto di coniugio ed il fatto che la stessa eseguiva o meglio obbediva alle sole direttive del marito deponeva non per l'esistenza del vincolo associativo, bensi' "per essere frutto di un vincolo di tipo familiare di sottomissione alla volonta' del marito tipico delle zone dell'entroterra calabrese", con cio' dovendosi semmai registrare solo lo schema giuridico del concorso nei reati fine. Mancava in punto di dolo l'affectio societatis. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 81 e 133 c.p.. La censura attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti operati a titolo di continuazione (sul punto si richiama il recente arresto delle S.U. del 24 giugno 2021). 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. (capo 56, circostanza ritenuta sotto il profilo dell'agevolazione). La Corte di merito non aveva fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza in capo alla ricorrente del dolo specifico di favorire l'associazione, anziche' il singolo sodale (il marito (OMISSIS)). 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 99 c.p.. Si era posto a fondamento della recidiva un unico precedente risalente all'anno 2006, senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con il precedente reato, con cio' omettendo di uniformarsi ai criteri dettati da questa Corte in materia. (OMISSIS) (in riforma della sentenza di primo grado, anni otto e mesi quattro di reclusione ed Euro 22.800,00 di multa, in relazione ai reati di cui ai capi 23), 24) esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e 26), con la sola recidiva infraquinquennale). Al riguardo, deduce: 1. violazione del principio di ragionevole durata del processo ex articolo 111 Cost. e articolo 6 Convenzione EDU. Si censurano i lunghi tempi occorsi per il giudizio e per la redazione della sentenza impugnata che avevano precluso il raggiungimento delle finalita' di giustizia insite nel principio della ragionevole durata del processo, valevole tanto piu' per il ricorrente chiamato a giudizio sulla scorta di un materiale investigativo privo della necessaria pregnanza. 2. violazione della L. n. 895 del 1967, articolo 1, in ordine al capo 23) della rubrica (il ricorrente avrebbe agito contattando i fornitori delle armi e operando quale mediatore con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). La censura attiene anzitutto alla valenza probatoria del compendio intercettivo, ossia delle conversazioni ambientali captate nell'abitazione del (OMISSIS), inidonee a ricostruire quale tipo di attivita' illecita il ricorrente avesse eseguito nello specifico ed anzi la cui attenta lettura deponeva per una diversa ed alternativa interpretazione in favore dell'imputato. Si trattava di conversazioni prive di un contesto dimostrativo, comportamentale ed effettuale, ma solo di tipo strettamente narrativo vertenti su fatti vissuti sui quali vi e' comunanza di conoscenza. Dalle conversazioni, prive di specifici riferimenti al ricorrente, non emergeva alcun contributo del ricorrente sia nella fase della trattativa che in quella della conclusione dell'accordo volto alla compravendita delle armi al quale non vi era stato seguito, ne' elementi sufficienti per avvalorare l'ipotesi dell'intermediazione in senso stretto, stante l'assenza dei necessari connotati di serieta' della trattativa intrapresa. Analoga carenza dimostrativa aveva il richiamo al propalato dei collaboratori (OMISSIS) Lorenzo e (OMISSIS), privi di riferimenti al ricorrente. 3-4. violazione di legge in relazione all'articolo 115 c.p. Si lamenta, tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione (dedotto separatamente), anche l'omessa motivazione in ordine alla prospettazione difensiva volta, nell'ipotesi in cui si attribuisse al ricorrente il ruolo di intermediario, a ricondurre la vicenda nell'alveo dell'articolo 115 c.p., trattandosi di una trattativa mai giunta ad un accordo e non traducendosi l'attivita' posta in essere dal ricorrente, priva della necessaria offensivita', in un'attivita' di partecipazione ad un reato. 5. violazione della L. n. 895 del 1967, articolo 1in ordine al capo 24) della rubrica (illegale detenzione di diverse armi affidate in custodia a (OMISSIS)). Si lamenta che la prova di responsabilita' sia stata ricavata dal contenuto incerto e generico di un'unica intercettazione alla quale non prendeva parte il ricorrente (contenente un telegrafico riferimento a "Turi"), intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La frase profferita dal (OMISSIS) ("Turi lo stesso") non era evocativa di alcunche', non indicava la tipologia di armi, il periodo in cui sarebbero state detenute dal ricorrente e poi date al (OMISSIS), ne' il canale di approvvigionamento. Difettava quella minima relazione stabile con l'arma necessaria per integrare la illegale detenzione. 6. violazione dell'articolo 56 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 26 della rubrica, aver preso parte con gli altri correi ad una trattativa volta all'acquisto di sostanza stupefacente). Si lamenta che il ricorrente, additato di avere contattato i fornitori, tra cui uno di nazionalita' albanese, sia stato chiamato a rispondere di una condotta del tutto indeterminata in relazione alle modalita' di consegna, disponibilita' e tipologia di droga. Anche in tal caso l'affermazione di responsabilita' si fondava su un'unica intercettazione etero accusatoria, priva di valenza dimostrativa in ordine ad una trattativa in merito all'acquisto di sostanza stupefacente, che la Corte territoriale aveva valorizzato a carico del ricorrente con una motivazione aspecifica ed acritica, ricorrendo a mere congetture al fine di superare l'assenza di profili di offensivita' nella condotta tenuta dall'imputato. L'ipotesi tentata doveva escludersi su entrambi i piani: quello dell'idoneita', in quanto nessun incontro per la trattativa vi era stato, ne' la merce era stata visionata; non erano indicati i contatti esterni al gruppo; nessun riferimento alla natura strumentale che la partita di droga doveva assumere per comprare la partita di armi; gli elementi conducevano nel senso di escludere che vi fosse stata una trattativa affidante; quello dell'univocita', trattandosi semmai di meri atti preparatori da cui non era possibile ritenere probabile l'instaurazione di una trattativa con i venditori che avevano la disponibilita' della droga. 7. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 23) della rubrica nella componente oggettiva "concernente le modalita' dell'azione". Si censura la motivazione della sentenza impugnata per avere riservato, sul tema, un'unica trattazione di carattere congiunto a tutti i coimputati. Quanto al metodo, l'aggravante non era configurabile per la mancanza di metodiche mafiose, ne' al riguardo era pertinente il richiamo alla condanna annoverata dal ricorrente nella veste di partecipe per associazione di tipo mafioso. 8. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 23) della rubrica nella componente soggettiva concernente la direzione della volonta' di agevolazione mafiosa. La circostanza che il ricorrente fosse in contatto con soggetti intranei o contigui alla cosca non era sufficiente a dimostrare la consapevolezza della direzione finalistica di tale contributo e che si fosse per cio' solo determinato ad agire. Si era dunque operato un salto logico che il dato fattuale della contiguita' non consentiva, dovendo lo scopo di agevolazione della cosca costituire l'obiettivo diretto e non rilevando possibili vantaggi illeciti indiretti o il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca. 9. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 26) della rubrica nella componente oggettiva "concernente le modalita' dell'azione". Si era al cospetto di motivazione cd. a cascata, assumendosi il rilievo delle considerazioni svolte riguardo la vicenda relativa alle armi, a cui sarebbe stato finalizzato l'acquisto della droga. Nessun riferimento, invece, vi era ad elementi della condotta caratterizzanti il metodo mafioso. 10. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 26) della rubrica nella componente soggettiva concernente la direzione della volonta' di agevolazione mafiosa. Sul punto si possono richiamare le argomentazioni spese a proposito dell'analogo motivo di cui al capo 23) della rubrica. 11. Vizio di motivazione con riferimento ai capi 23) e 26) della rubrica. La motivazione della sentenza impugnata attraverso una copiatura di quella di primo grado aveva omesso di esprimere una propria critica valutazione alle censure mosse con l'atto di appello, con particolare riferimento alla sussistenza dell'aggravante speciale. 12. violazione di legge penale in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione in ordine al reato di cui al capo 26) della rubrica. L'ipotesi tentata (cosi' come contestata) e l'esclusione dell'aggravante speciale (in caso di accoglimento del motivo di ricorso) determinerebbero la prescrizione del reato, trattandosi di fatto risalente al (OMISSIS). 13. violazione di legge con riferimento all'applicazione della recidiva. Si era ricavata la circostanza dalla mera elencazione delle precedenti condanne annoverate dal ricorrente, cosi' operando un automatismo non consentito, occorrendo, invece, una valutazione degli elementi che la legge indica quali rivelatori di un giudizio di pericolosita' qualificata del reo, tale da dimostrare che il nuovo illecito contestato sia sintomo della pericolosita' dell'imputato. 14. violazione di legge penale in relazione all'articolo 62-bis c.p.. La censura attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato su richiami riferiti genericamente a tutti gli imputati e priva della valutazione complessiva degli indici oggettivi (nessuna arma era stata rivenuta) e soggettivi (buon comportamento processuale, avendo il ricorrente sin da subito chiarito la sua posizione depositando memoriale) e non tenendo conto che i precedenti penali erano risalenti nel tempo. 15. Con memoria in data 23/12/2021, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire motivi aggiunti, con i quali si e' ulteriormente argomentato sui profili di censura attinenti: all'assenza della componente oggettiva concernente le modalita' dell'azione e soggettiva inerente alla direzione della volonta' dell'agevolazione mafiosa con riferimento all'aggravante speciale contestata in relazione ai capi 23) e 26) della rubrica; all'aumento di pena apportato per la ritenuta recidiva. (OMISSIS) (in riforma della sentenza di primo grado, anni sei e mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo 1) della rubrica, quale partecipe con il ruolo di "sgarrista" della locale di (OMISSIS); disposta la misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni due). Al riguardo, deduce: 1. vizio di motivazione in relazione all'articolo 192 c.p.p., commi 2 e 3 e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza di validi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che ha indicato il ricorrente come partecipe al sodalizio di cui al capo 1) della rubrica con la qualifica di "sgarrista" e che sarebbe stato "portato" da (OMISSIS). Si trattava di un'indicazione generica, priva di una ben precisa collocazione funzionale; ne' riscontri potevano trarsi dall'operato riconoscimento fotografico, ovvero dalla circostanza che fosse stato accertato che il ricorrente era proprietario, per come affermato dal collaboratore di giustizia, di un tabacchino in (OMISSIS), trattandosi di una circostanza nota. Ne' valenza indiziante poteva parimenti assegnarsi al contenuto dell'intercettazione ambientale captata a casa del (OMISSIS) ove si era fatto riferimento a "quello dei tabacchi", termine del tutto generico e privo di elementi convolgenti verso il ricorrente; l'impiego del termine "infamone" contenuto nelle stesse intercettazioni ambientali poi non era evocativo di un ruolo assunto nella cosca, bensi' di un giudizio dispregiativo mosso dal (OMISSIS), il quale cosi' additava coloro che erano ritenuti inaffidabili per essere scelti per la formazione della sua nuova compagine. Ne' il ricorrente era stato mai registrato come frequentatore di casa (OMISSIS). Non si era poi apprezzato, ai fini del giudizio di credibilita' del collaboratore, che i testi addotti dalla difesa avevano dichiarato che il ricorrente si era rifiutato di rifornire lo (OMISSIS) di sigarette senza che questi le pagasse, comportamento di per se' incompatibile con una comune intraneita' nella stessa cosca. Ne' elementi di reita' si ricavavano dalle dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS), cugino del ricorrente, il quale nulla aveva riferito in ordine alla partecipazione dell'imputato alla cosca di âEuroËœndrangheta, limitandosi a riferire di aver da questo ricevuto delle schede telefoniche intestate a persone difficilmente individuabili, per un prezzo doppio rispetto al valore di mercato, circostanza, anche questa, che logicamente strideva con un'opera prestata a favore di un comune sodale. Assenza di decisivita' andava poi riconosciuta ai meri rapporti di frequentazione con coimputati citati in sentenza, rilevanti, semmai, ai soli fini dell'applicazione di misure di prevenzione. In conclusione, anche laddove si fosse ritenuto il ricorrente partecipe (in realta' semmai si trattava di un "cane sciolto" per come avvalorato da precedenti per delitti comuni dotati di "autonomia"), difettava l'indicazione dell'avvenuta attivazione del soggetto a favore dell'organizzazione mafiosa mediante apporti contributivi di carattere significativo. 2. vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La sentenza impugnata aveva fondato il diniego sulla scorta dell'automatica appartenenza del ricorrente alla cosca di âEuroËœndrangheta, omettendo qualsiasi verifica della rilevanza o meno dei contributi forniti e del ruolo concretamente svolto (in termini n. 33913 del 2001). Ne' gli indici di disvalore spesi a proposito del ricorrente erano allo stesso riferibili, trattandosi, peraltro, di soggetto incensurato ed al quale non erano stati contestati i delitti fine). 3. omessa motivazione in ordine al motivo di appello con cui si censurava l'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata. (OMISSIS) (in riforma della sentenza del GUP, per effetto della continuazione dei reati qui giudicati con quelli di cui alla sentenza della Corte -di Appello di Reggio Calabria del 6/03/2003, irrevocabile il 7/06/2004, nonche' della gia' ritenuta continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria dell'11/07/2013, irrevocabile il 24/11/2013 determina la complessiva pena in anni 20 e mesi 4 di reclusione; capi 1) ed 80) della rubrica (reato associativo ed estorsione in concorso con (OMISSIS) ai danni del (OMISSIS)). Al riguardo deduce: 1. vizio di motivazione per acritica copiatura della sentenza di primo grado (mancanza di autonoma valutazione) ed omesso confronto con i temi difensivi dedotti tra i quali la data di cessazione della permanenza (e conseguente individuazione della norma da applicare) e il correlato accertamento della condotta, se apicale o meno. 2. violazione dell'articolo 416-bis c.p. e articolo 238-bis c.p.p. (tema della sussistenza e persistenza dell'omonima cosca). Si era ricavata la responsabilita' del ricorrente in ordine al delitto di cui al capo 1) operando una non consentita traslazione - mediante il richiamo all'articolo 238-bis c.p.p. - dei fatti accertati con le sentenze irrevocabili acquisite (relative ai procedimenti cd. "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)") che, invece, lungi dal porsi in similitudine e continuita', non si innestavano con gli elementi emersi nell'odierno processo. Le sentenze irrevocabili oltre a riguardare fatti del tutto diversi e non conciliabili con quelli oggetto del presente giudizio - essendosi evidenziato come dal compendio probatorio emergesse una netta frattura finalistica che consentisse di affermare una mutazione genetica della cosca - erano stati dalla Corte di merito ritenuti sufficienti a dimostrare la persistente mafiosita' del ricorrente. Non vi era, infatti, la prova certa della perduranza della cosca, ne' della continuita' dell'agire del gruppo. Ne' a tale fine era significativo l'episodio estorsivo citato in sentenza (ai danni del (OMISSIS)). Insomma, la storia giudiziaria non poteva rendere immanente quel metodo processualmente accertato in contesti temporali e modali differenti, altrimenti ridondandosi in una sorta di "colpa di autore" ricavata dal precedente penale. In conclusione, mancava nella sentenza impugnata l'indicazione degli ulteriori elementi fattuali che avrebbero concorso con l'accertamento giudiziale a fondare il convincimento della continuita' dell'agire del gruppo (peraltro il collaboratore (OMISSIS) aveva riferito dell'esistenza di una spaccatura all'interno della locale di (OMISSIS)). Con conseguente assenza di autonome conferme probatorie in ordine alla valenza del fatto accertato nelle decisioni giudiziali divenute irrevocabili. 3. violazione dell'articolo 416-bis c.p. con riferimento alla partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1) (svalutazione del dichiarato del collaboratore (OMISSIS)). La sentenza impugnata aveva anzitutto omesso di considerare le dichiarazioni "scagionanti" del collaboratore (OMISSIS), il quale nel descrivere la storia dei (OMISSIS) aveva precisato come non facessero parte della âEuroËœndrangheta e nulla aveva riferito con riguardo alla loro partecipazione alla locale di (OMISSIS), sottolineando l'autonomia del ricorrente che non dava conto a nessuno del suo agire, escludendo altresi' di avervi commesso in concorso delle estorsioni. Al di fuori del contesto associativo andava, quindi, letta l'ipotesi estorsiva citata dalla Corte di merito a sostegno dell'ipotesi accusatoria. 4. violazione dell'articolo 416-bis c.p., comma 2, (condotta di partecipazione con competenza specifica e quasi esclusiva nel settore delle estorsioni). Si richiamano sul punto i due profili di "criticita'" portanti dei motivi di ricorso: l'assenza di motivazione sulla sussistenza della cosca (OMISSIS) e sul ruolo assunto dal ricorrente. La sentenza impugnata aveva finito per sostituire al necessario dato fattuale di sostegno, il dato ambientale che ne fa da sfondo, tenuto conto che l'agire del ricorrente non si inseriva in un contesto associativo, risultando semmai ed in ipotesi un "cane sciolto". La partecipazione effettiva del ricorrente, da dover intendersi in senso dinamico-funzionalistico, era soltanto apoditticamente affermata (si richiamano le affermazioni "liberatorie" del collaboratore (OMISSIS)). Ne' potevano assumere valenza causale ai fini associativi le estorsioni che avrebbe commesso il ricorrente in quanto non confluivano nella cd. "bacinella" a disposizione della âEuroËœndrangheta (pag. 91 sentenza di primo grado). Mancavano quindi le necessarie evidenze per potersi affermare che il ricorrente avesse contribuito alla realizzazione dei fini perseguiti dal sodalizio, tantomeno con caratteri direttivi. 5. violazione dell'articolo 416-bis c.p., comma 4, (natura armata dell'associazione). Si lamenta che l'attribuzione della circostanza al ricorrente - in assenza di contestazioni inerenti alle armi e a posizioni operative in tale settore - sia stata affermata sulla base di un mero nesso "meccanicistico", confondendo il gruppo (OMISSIS), dotato di armi, con il ricorrente a tale âEuroËœndrina estraneo. Mancava un accertamento in termini di consapevolezza, non essendo al riguardo pertinente il riferimento al passato giudiziale del ricorrente. 6. violazione dell'articolo 629 c.p., in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. (assenza di elementi connotanti l'estorsione di cui al capo 80). Del tutto congetturale era la motivazione in punto di identificazione del ricorrente quale autore del delitto estorsivo. Inoltre, non era stato chiarito in cosa fosse consistito l'attivismo del ricorrente (significativo che la stessa sentenza di merito parli di minacce velate ed indirette). Si era finito per identificare il contributo del ricorrente in una sorta di responsabilita' di posizione. L'assenza di contesto mafioso della vicenda non consentiva neppure - nonostante il difetto di tipizzazione della condotta - di richiamare l'ipotesi della cd. estorsione ambientale. 7. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p., in relazione all'estorsione di cui al capo 80) della rubrica, ritenuta sia nel metodo che nell'agevolazione; assenza degli elementi costitutivi dell'aggravante speciale nella duplice declinazione. Dalla stessa motivazione resa dalla Corte d'appello si ricavava la mancanza degli elementi soggettivi e oggettivi costitutivi dell'aggravante. La condotta non evocava i caratteri tipici dell'intimidazione mafiosa, difettando l'attuazione di condotte minacciose, violente od intimidatorie. Inoltre, gli eventuali proventi estorsivi non sono stati destinati ad avvantaggiare il gruppo mafioso, bensi' sono stati destinati al mantenimento in vita dello stesso. 8. violazione dell'articolo 99 c.p., commi 4 e 5. Si erano posti a fondamento dell'aumento di pena dovuto al riconoscimento della recidiva precedenti risalenti nel tempo per i quali il ricorrente ha scontato la pena. Si era incentrata l'attenzione sul casellario giudiziale del ricorrente, omettendo, invece, di apprezzare il ruolo marginale assunto, circoscritto anche a livello di arco temporale, in totale assenza di contatti con altri soggetti pregiudicati. Insomma, si era operato una sorta di automatismo punitivo, in assenza dell'indicazione di pertinenti parametri individualizzanti significativi della personalita' del reo e del grado della colpevolezza, in forza dei quali si possa ritenere che la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (mancava il cd. nesso accrescitivo di pericolosita'). Si era poi erroneamente riconosciuta la recidiva infraquinquennale quando invece il precedente reato del ricorrente risaliva ad epoca piu' remota (v. sent. proc. (OMISSIS)). 9. violazione dell'articolo 62-bis c.p. La censura attiene al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non essendosi tenuto conto delle necessita' rieducative individuabili attraverso l'analisi del fatto e la personalita' dell'imputato (i precedenti erano datati nel tempo). 10. violazione dell'articolo 2 c.p., comma 4, in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 416-bis c.p. nella formulazione antecedente alla L. 27 maggio 2015, n. 69 e, precisamente, con riguardo al trattamento sanzionatorio stabilito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, stante l'assenza di prova che la condotta associativa si sia protratta in un tempo successivo all'entrata in vigore della legge del 2015. L'estorsione risultava commessa nel 2014 e la perduranza della contestazione di carattere associativo non era stata dimostrata. 11. violazione degli articoli 133 e 81 cpv. c.p. quanto alla determinazione della continuazione esterna tra le varie pronunce di condanna considerate. La censura muove dall'accoglimento delle doglianze in punto di delimitazione della condotta di partecipazione (ante 2015), di esclusione del ruolo direttivo e della recidiva che hanno portato la Corte di merito a ritenere piu' grave il reato di cui al capo 1) dell'odierno processo. 12. violazione di legge con riguardo alla statuizione sulla decadenza da prestazioni previdenziali e pensionistiche in genere (L. n. 92 del 2012, articolo 2, commi 58-63). Con l'applicazione automatica della revoca delle prestazioni in questione si era inciso su diritti quesiti di tipo assistenziale fondati su ragioni di salute ed incidenti anche su nuclei familiari, in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e di parita' di trattamento. 13. vizio di motivazione (anche con riguardo all'ulteriore atto di gravame del 25/6/2018) per mera apparenza della medesima in punto di confisca dei beni (a pag. 47 del ricorso sono indicati quelli rimasti assoggettati al vincolo reale), trattandosi di compendio del tutto modesto e "sopportabile" del nucleo familiare. 14. Con memoria in data 23/12/2021, la difesa del ricorrente ha ulteriormente argomentato tanto in ordine alla censura relativa alla mancata applicazione della disciplina sanzionatoria antecedente alla riforma del 2015 in ordine al delitto di cui al capo 1) della rubrica (questione che investe anche la delimitazione temporale della condotta di partecipazione attribuita al ricorrente), quanto con riferimento alla richiesta di revoca della confisca in ragione dell'assenza dei requisiti di sproporzione e di liceita' del patrimonio del ricorrente. (OMISSIS) (conferma, anni quattro mesi quattro di reclusione ed Euro 3.200 di multa per i reati di cui ai capi 81) e 82) della rubrica, con l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.; tentativo di estorsione e danneggiamento seguito da incendio ai danni di (OMISSIS)). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 56 - 629 c.p. e articolo 416-bis.1 c.p. La censura investe la responsabilita' del ricorrente in ordine al tentativo di estorsione ai danni di (OMISSIS) ed al connesso danneggiamento seguito da incendio di cui ai capi 81) e 82) della rubrica con l'aggravante speciale. Il ricorrente si duole del fatto che la prova e' rappresentata solamente dalle dichiarazioni della persona offesa, prive di riscontri e a suo giudizio inattendibili, in considerazione della posizione contrapposta rispetto agli interessi dell'imputato. Inoltre, lamenta il mancato esame dei motivi di appello al riguardo dedotti, essendosi la sentenza impugnata limitata a richiamare le valutazioni operate in punto di affermazione di responsabilita' del primo giudice, cosi' operando un'acritica sovrapposizione della decisione di primo grado e, dunque, finendo per rendere una motivazione del tutto apparente. Si erano posti a fondamento della responsabilita' due elementi privi di valenza dimostrativa costituiti dal rapporto parentale del ricorrente con il (OMISSIS), che annoverava condanne per fatti della stessa specie, e l'aver assistito alle operazioni di danneggiamento mediante incendio del fratello (OMISSIS), omettendosi di considerare che la p.o., pur addebitando il gesto ai (OMISSIS), non aveva visto ne' il ricorrente ne' altri familiari appiccare il fuoco presso il proprio cantiere. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Difettavano gli elementi costitutivi della circostanza aggravante ad effetto speciale, non ravvisabili nelle modalita' della richiesta presuntivamente estorsiva, cio' non bastando a caratterizzarla come "mafiosa"; anche a voler dare credito alle dichiarazioni della p.o. non emergeva che si trattasse di una richiesta formulata nell'interesse della cosca che opererebbe nel territorio di (OMISSIS), con la conseguenza che la circostanza non solo era stata supposta, ma restava anche indimostrata, in quanto la condotta sarebbe stata tutt'al piu' riconducibile ad una generica richiesta estorsiva (nemmeno risultava menzionato il nome di (OMISSIS)), priva dei caratteri mafiosi, che non potevano desumersi dalla mera reazione della vittima, dovendo invece la condotta essere oggettivamente idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri proprio dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale evocata. Ne' risultava operata una concreta verifica della funzionalita' della condotta all'agevolazione dell'attivita' dell'organizzazione criminale e del dolo specifico che avrebbe animato l'agire del ricorrente. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in ragione della giovane eta' dell'imputato, dell'assenza di precedenti penali, dell'estraneita' al contesto associativo e stante la condotta tenuta post delictum. Del tutto indimostrati e di carattere congetturale erano gli elementi di disvalore posti a fondamento del diniego dalla sentenza impugnata. (OMISSIS) (riforma, venti anni di reclusione ed Euro 9.000 di multa per i reati di cui ai capi 1) e 39) della rubrica, ritenuta la continuazione con i reati giudicati dalla medesima Corte di Appello con sentenza del 17/2/2003, irrev. il 7/6/2004). Al riguardo, deduce: 1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, in relazione agli articoli 81, 99 e 133 c.p., nonche' articolo 187 disp. att. c.p.p.. 1.1. Si censura, anzitutto, la scelta operata dalla Corte di merito in ordine al criterio di identificazione della "pena piu' grave" da porre come pena base per gli aumenti in continuazione dei reati oggetto del presente giudizio ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, stante l'errata applicazione del principio della pena irrogata "in concreto" in luogo di quello della pena prevista in astratto per la violazione piu' grave. In particolare, la pena base avrebbe dovuto essere stabilita sul piu' grave delitto associativo di cui alla sentenza irrevocabile del procedimento cd. "Il (OMISSIS)", in quanto in tale sede all'imputato era stato attribuito un ruolo qualificato, superiore a quello di partecipe riconosciuto al medesimo ricorrente all'interno dell'odierno procedimento. 1.2. Inoltre, un'ulteriore violazione di legge era ravvisabile nel calcolo operato per gli aumenti dovuti alla continuazione, in quanto nel procedimento irrevocabile erano stati contenuti in anni uno per il capo 7) ed anni uno per il capo 1), mentre la sentenza impugnata "per il capo 1) ne ha ritenuti due per il medesimo capo di imputazione, raddoppiando quanto irrevocabilmente stabilito dalla sentenza irrevocabile del procedimento "Il (OMISSIS)". La Corte territoriale non aveva quindi osservato il principio di diritto affermato dalla S.C. secondo cui il giudice e' tenuto a rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena gia' coperte da giudicato, cosi' violando il principio del divieto della reformatio in peius. Peraltro, a tale conclusione la Corte di merito era pervenuta in assenza di una congrua motivazione. 1.3. Infine, trattandosi di reato continuato e, dunque, di un unico procedimento, la Corte di merito avrebbe dovuto decurtare dalla pena base scelta l'aumento operato a titolo di recidiva dal giudice di primo grado. (OMISSIS) e (OMISSIS) (riforma in ordine al trattamento sanzionatorio, rispettivamente anni sei di reclusione ed Euro 22.000 di multa per il primo imputato e anni cinque di reclusione ed Euro 22.300 di multa per il secondo, in ordine ai capi 23) e 26), concorso nella messa in vendita di armi da guerra - parte acquirente - e tentata compravendita di stupefacenti) Con distinti ricorsi, i cui motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto sovrapponibili (con le necessarie distinzioni anche in ordine alle doglianze relative all'aggravante speciale ed al trattamento sanzionatorio), deducono: 1. violazione ed erronea applicazione dell'articolo 110 c.p. in relazione alla L. n. 895 del 1967, articolo 1 e relativo vizio di motivazione. La censura attiene alla sussistenza della partecipazione concorsuale dei ricorrenti al reato contestato (si ipotizza la messa in vendita di armi), in ragione delle caratteristiche peculiari della norma incriminatrice e dell'imputazione elevata. (OMISSIS): si rappresenta che il ricorrente non ha concordato con nessuno il prezzo, modalita' e quantita' delle armi, configurandosi, tutt'al piu', un generico interesse all'acquisto di armi, non fondato su una reale ed oggettiva capacita' di portare a compimento l'intento, a causa della mancanza di ogni presupposto, essendo "improspettabile" lo svolgimento di un ruolo specifico in seno alle prodromiche fasi di approvvigionamento delle armi. Vi e' l'assoluta carenza motivazionale della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di non operare distinzione di sorta circa la natura ed il contenuto delle intercettazioni ambientali, intercorse all'interno dell'abitazione del (OMISSIS), al fine di verificare la partecipazione del ricorrente all'acquisto delle armi stesse; invero, la Corte di merito ha ritenuto che in relazione all'ipotesi delittuosa contestata, ai fini della consumazione del delitto, fossero sufficienti delle trattative negoziali aventi ad oggetto la cessione di armi, e quindi che da una parte vi fossero potenziali acquirenti, dall'altra parte potenziali venditori, ma si evidenzia come al ricorrente venga contestato di aver visionato le armi, mentre le trattative per l'acquisto sono state condotte da altri soggetti, quali (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali si relazionavano con (OMISSIS). Gli elementi declinati dai giudici di merito (reperire i finanziamenti per l'operazione e l'essersi recato personalmente a visionare le armi) non sono dunque sufficienti alla configurazione dell'ipotesi delittuosa "porre in vendita" di cui al capo 23), per cui e' intervenuta condanna. Giorni: richiamati gli arresti di questa Corte in ordine agli specifici presupposti necessari per integrare la fattispecie criminosa contestata nella declinazione di "porre in vendita" (di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1come sostituito dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9) lamenta come il giudice di appello avesse errato nel sussumere la fattispecie concreta in quella descritta dal legislatore nella norma incriminatrice richiamata. Invero, al fine di evitare una retrocessione non consentita della soglia di punibilita', evidenzia come la stessa giurisprudenza, pur riconoscendo rilievo alla fase della trattativa, ne esige, mediante una lettura costituzionalmente orientata, la serieta', nei termini di una concreta idoneita' della stessa a determinare la conclusione dell'affare illecito. Le stesse conversazioni captate erano invece riferibili ad un possibile acquisto delle armi da parte degli imputati (contrariamente a quanto ipotizzato nell'imputazione), tant'e' che lo stesso giudice del merito era ricorso alla figura dell'intermediario. Quanto ai potenziali acquirenti delle armi nessun elemento portava ad individuarne i destinatari, con cio' venendo a mancare un elemento di fattispecie, caratterizzata dalla finalita' di trasferire armi a terzi (e non essendo sufficiente un generico interesse ad acquistarle). Peraltro, contraddittoria era la motivazione della sentenza impugnata laddove, per un verso, escludeva la rilevanza ai fini della consumazione del delitto in esame della prova della positiva conclusione della trattativa e, per altro verso, affermava come i successivi discorsi captati tra (OMISSIS) e (OMISSIS) confermassero l'avvenuto acquisto delle armi da parte di terzi alla luce della loro esistenza e della serieta' dell'offerta per come "nella prospettazione accarezzata dagli acquirenti (OMISSIS) e (OMISSIS)". 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 110, 56 e 73. Anche con riguardo a tale fattispecie (capo 26) dal contenuto della conversazione ambientale dell'11.3.2014 emergeva la mancanza di elementi per ritenere provato il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente, non ricavandosi il prezzo di vendita, la quantita' e le modalita' di pagamento, tutti indici rivelatori, necessari per poter documentare il tentato delitto in contestazione. La censura investe, pertanto, il discrimine tra tentativo punibile e la condotta penalmente rilevante, ricavata dalla Corte di merito sulla scorta di elementi privi del necessario significato dimostrativo ed avvalorata mediante il ricorso ad una motivazione di carattere illogico. Si era poi valorizzato in modo "circolare" il materiale indiziario raccolto per la violazione della legge armi a sostegno di differente fattispecie in ragione di un'asserita strumentalita' tra fattispecie di per se' inidonea ad assumere autonoma valenza dimostrativa. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. La sentenza impugnata risulta altresi' censurabile nella parte in cui ritiene sussistente l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 (ora 416-bis.1 c.p.), sul presupposto che attraverso la propria condotta l'indagato ha arrecato vantaggio al sodalizio mafioso riconducibile al (OMISSIS), ma tale valutazione merita censura, in quanto mancava il dolo specifico, ossia la volonta' di favorire ovvero di facilitare l'attivita' del gruppo, vantaggio che non poteva trarsi in via "automatica" neanche nel caso in cui il soggetto avvantaggiato sia posto in un ruolo apicale all'interno della presunta consorteria, sussistendo quantomeno il dubbio in merito alla ricorrenza di tale aggravante, posto che il ricorrente non e' stato mai coinvolto in fatti di criminalita' organizzata ovvero in altri reati, ne' sono stati certificati rapporti di frequentazione con soggetti controindicati. Il ricorrente (OMISSIS) censura, altresi', la valenza del riferimento alla qualita' di "soggetto orbitante" per via dell'excursus giudiziario di alcuni suoi parenti, operato dalla Corte di merito ai fini dell'applicazione dell'aggravante nei confronti del ricorrente. Richiamati gli arresti di questa Corte sul tema, si lamenta come la finalita' agevolatrice sia stata esclusivamente dedotta e, dunque, non possa trovare applicazione in relazione ad entrambi i capi di imputazione contestati. 4. ( (OMISSIS)) violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 133 e 62-bis c.p.. Non si era apprezzato il ruolo marginale rivestito dal ricorrente nell'ambito della piu' ampia e complessa vicenda illecita oggetto di giudizio, finendo per ricorrere ad una sorta di motivazione collettiva priva della necessaria aderenza con la posizione del ricorrente, priva di un ruolo di primo piano o decisionale. (OMISSIS) (conferma, anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 7.400,00 di multa per i reati di violazione della legge armi di cui ai capi 71 (limitatamente alla detenzione) e 72 (cessione), esclusa per entrambe le fattispecie l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., ritenuta la continuazione e la contestata recidiva). Al riguardo, deduce: 1. omessa e/o illogica motivazione con riferimento alle censure contenute nell'atto di appello in ordine alla responsabilita' dell'imputato per il reato di cui al capo 71). La sentenza impugnata, pur non ritenendo provato l'elemento portante dell'intero impianto accusatorio, quale l'identificazione dell'imputato nel soggetto soprannominato "Brigante" (promissario acquirente del coimputato (OMISSIS) di una pistola calibro 38), confermava la penale responsabilita' del ricorrente mediante un richiamo "pressoche' totale" alla sentenza di primo grado ed alle "ancor valide considerazioni del G.I.P.". 2. mancanza e/o illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e, in particolare, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. I giudici di seconde cure avrebbero omesso di operare una valutazione quantitativa della pena in ordine alla posizione di ciascun imputato, ivi compreso il ricorrente, limitandosi ad enunciare i principi generali in materia di commisurazione del trattamento sanzionatorio, senza effettuarne la necessaria personalizzazione ai fini del calcolo della pena. 3 inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in particolare della L. n. 895 del 1967, articolo 7, comma 1, stante la mancata mitigazione della pena che la Corte territoriale avrebbe dovuto apportare al trattamento sanzionatorio in forza della enunciazione di detta circostanza attenuante nell'editto accusatorio recepito in sentenza. Inoltre, risultava "eccessivo" anche l'aumento applicato per la continuazione, stante la ritenuta possibilita' di ritenere assorbite le condotte di cui al capo 71) nell'ipotesi delittuosa contestata con il capo 72) dell'imputazione. (OMISSIS) (riforma, dieci anni di reclusione per i reati di cui ai capi 1) e 61) della rubrica, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale e ritenuta la continuazione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'artt 125 e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza e corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di concreta operativita' travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi di tale gruppo sotto il profilo irrinunciabile della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a detto autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non discesa dalla presunta cosca " (OMISSIS)". Ne' all'uopo poteva farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) fosse stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status individuale ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e, dunque, a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterno di detto metodo mafioso. Ne' al riguardo poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente a quel quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta' tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si erano poste a fondamento dell'aggravante condotte realizzate dal ricorrente allorche' era ancora minorenne senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con il precedente reato. (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) (riforma, dieci anni e otto mesi di reclusione per il reato di cui al capo 1 della rubrica). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 stesso codice ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., nonche' del disposto di cui all'articolo 546 c.p.p., lettera e). La censura attiene alla connotazione "mafiosa" dell'associazione contestata, con particolare riguardo alla sussistenza del metodo nell'accezione intesa dalla giurisprudenza di legittimita' al riguardo richiamata. Si lamenta, poi, l'assenza di elementi idonei ad avvalorare l'appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso, anche quale condivisione di condotte delittuose concrete, tratta da alcune vicende collaterali che, sia isolatamente che, unitariamente considerate, erano prive di valenza dimostrativa: cosi' il collaboratore di giustizia (OMISSIS), seppur riferendo di essere stato affiliato alla âEuroËœndrangheta nel lontano 1994 alla presenza del ricorrente, il quale avrebbe quantomeno rivestito la carica del Vangelo, non disponeva di un patrimonio conoscitivo valido in quanto poi allontanato dalla cosca, ne' riferiva riguardo a condotte associative che il ricorrente avrebbe posto in essere nel periodo storico oggetto di contestazione, tantomeno in ordine alla semplice condotta di messa a disposizione. Anzi lo stesso collaboratore aveva dichiarato che il ricorrente si era allontanato dall'ambiente criminale di riferimento in occasione della tragica morte del figlio, episodio che la Corte di merito aveva ritenuto in modo congetturale rafforzativo dei legami criminali con la famiglia (OMISSIS). Ne' le conversazioni telefoniche captate all'interno dell'abitazione del (OMISSIS), al di la' dei propositi da questi avanzati, erano evocative di un diretto coinvolgimento del ricorrente in attivita' associative; il riferimento che il (OMISSIS) aveva operato, nell'ambientale del 15 marzo 2014, ai figli del ricorrente (OMISSIS) e (OMISSIS) ed alla circostanza che l'imputato fosse stato "capo societa'" da una vita ovvero fosse stato sempre "il referente numero uno", era tutt'al piu' evocativo della risalenza nel tempo di condotte di cui non era stata operata una verifica in ordine alla loro effettiva attualizzazione. Cosi', quale mero riferimento di carattere familiare doveva intendersi quanto riferito al (OMISSIS) dal figlio del ricorrente (OMISSIS) ("mio padre ora me l'ha detto, fate quello che volete, fatevi una strada a me ha detto, a me lasciatemi consigli"), che la Corte di merito invece aveva ritenuto espressivo di un placet paterno ad entrare nella âEuroËœndrina distaccata del (OMISSIS). Insomma, si era tratta la prova della partecipazione da un compendio intercettivo insufficiente, i cui dialoghi avevano significato equivoco, non essendo evocativi del contesto criminale in cui i conversanti pur agiscono, in assenza di un materiale coinvolgimento nelle attivita' della cosca e di riferimenti che, anche in ragione dei termini impiegati, erano riferibili al passato. Da qui la necessita' di rinvenire elementi di riscontro, non presenti agli atti di causa. In sostanza, dalle intercettazioni non poteva ricavarsi la prova di alcuna contiguita' di carattere delittuoso che si fosse tradotta in un contributo di carattere stabile, avente effettiva rilevanza causale, ma semmai emergeva una normalissima relazione conoscitiva che non avrebbe mai potuto sottintendere la sussistenza di alcun interesse di carattere illecito. Difettavano nel compendio probatorio evidenziato dai giudici di merito gli elementi dimostrativi di una condotta dinamica e funzionalmente connessa al perseguimento del programma criminale del sodalizio, anche nella veste di "consigliori" che la sentenza impugnata aveva apoditticamente ascritto al ricorrente. Peraltro, le stesse conversazioni additate al ricorrente (quelle del 15 e 18 marzo 2014) erano equivoche financo in ordine alla sua certa identificazione (indicato come "(OMISSIS)", da ricondursi invece al nipote della persona da affiliare, mentre il ricorrente ne era lo zio) quale soggetto che avrebbe dovuto essere consultato da (OMISSIS) e (OMISSIS) per inserire tra i sodali il figlio di (OMISSIS) (ossia (OMISSIS) cl. (OMISSIS)), pure nipote dello (OMISSIS), senza la cui approvazione il (OMISSIS) non si sarebbe sentito sicuro; al piu' si trattava di comunicazioni giustificate dal legame di parentela e comunque non vi era prova che tale intendimento avesse avuto seguito. Ne' indici dimostrativi di intraneita', per come asseverato dalla Corte di legittimita', potevano ricavarsi da alcune sporadiche frequentazioni che la sentenza impugnata aveva citato ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)). Le conversazioni poi non vedevano protagonista il ricorrente, bensi' terze persone, ne' potevano assurgere a riscontro delle accuse mosse dal collaboratore di giustizia (OMISSIS). Nessun concreto elemento era stato valorizzato a disvelare la perpetrazione di delitti fine (neppure contestati al ricorrente), ovvero il rafforzamento del proposito criminale dei propri stretti congiunti. In conclusione, mancava l'individuazione di elementi idonei ad asseverare la condotta di partecipazione, occorrendo un contributo idoneo a fornire efficacia al mantenimento in vita e al perseguimento degli scopi del sodalizio, non essendo all'uopo sufficiente la mera vicinanza o disponibilita' episodica ad aiutare un esponente di vertice, necessitando per assurgere nell'area del penalmente rilevante di un carattere continuativo e fiduciario. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, la censura attiene all'assenza di prova che il ricorrente avesse una qualche disponibilita' di armi. Congetturale era l'aver ricondotto la disponibilita' di armi al sodalizio facendo ricorso al notorio, traducendosi, in difetto dei necessari elementi fattuali di sostegno, in una petizione di principio. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. Non si era doverosamente apprezzata la condotta processuale del reo improntata alla celere definizione del processo e priva di atteggiamenti di carattere dilatorio. (OMISSIS) (in riforma, rideterminata la pena, previa esclusione della contestata recidiva, in anni otto di reclusione per il delitto di cui al capo 1), in qualita' di componente in possesso del "Vangelo"). 1. Con un unico motivo di ricorso, deduce la "violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) con conseguente motivazione illogica". Si lamenta che la sentenza impugnata ha confermato la responsabilita' penale del ricorrente affermata dal primo giudice unicamente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), omettendo di indicare le condotte materiali attraverso le quali si sarebbe concretizzato il contributo prestato all'associazione di stampo mafioso. Inoltre, si deduce come il propalato del collaboratore di giustizia sia privo dei necessari risconti esterni individualizzanti, idonei a dimostrare la effettiva partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale. Cio' posto, si deduce, altresi', l'insufficienza della detenzione della dote del "Vangelo" ad integrare l'elemento materiale del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., in quando non espressivo della necessaria "messa a disposizione" del ricorrente a favore del gruppo criminale (all'uopo si richiamano anche i principi espressi nella recente sentenza delle S.U. del 27/5/2021). (OMISSIS) (riforma, dieci anni di reclusione per i reati di cui ai capi 1) e 61) della rubrica, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale e la continuazione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., nonche' del disposto di cui all'articolo 546 c.p.p., lettera e). La censura attiene alla connotazione "mafiosa" dell'associazione contestata, con particolare riguardo alla sussistenza del metodo nell'accezione intesa dalla giurisprudenza di legittimita' al riguardo richiamata. Si lamenta, poi, l'assenza di elementi idonei ad avvalorare l'appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso, anche quale condivisione di condotte delittuose concrete, che era stata tratta da alcune vicende collaterali che, sia isolatamente che unitariamente considerate, erano prive di valenza dimostrativa: cosi' il collaboratore di giustizia (OMISSIS) non menzionava il ricorrente tra gli adepti, ne' disponeva di un patrimonio conoscitivo valido in quanto poi allontanato dalla cosca; le due conversazioni telefoniche captate all'interno dell'abitazione del (OMISSIS) del 13 e 15 marzo 2014 non erano evocative di un diretto coinvolgimento in attivita' associative; non vi era prova certa della partecipazione del ricorrente, unitamente al germano (OMISSIS), ad un incendio subito da (OMISSIS) che i due avrebbero commesso in concorso con il (OMISSIS), fatto tuttavia privo di rilievo associativo; mero dato di carattere familiare doveva riconoscersi al riferimento fatto da (OMISSIS) al padre (OMISSIS) nel corso della conversazione del 15 marzo 2014 (che la Corte invece aveva ritenuto espressivo di un placet paterno rivolto ai figli ad entrare nella âEuroËœndrina distaccata di (OMISSIS)). Insomma, si era tratta la prova della partecipazione da un compendio intercettivo insufficiente, i cui dialoghi avevano significato equivoco, non essendo evocativi del contesto criminale in cui i conversanti pur agiscono, in assenza di un materiale coinvolgimento nelle attivita' della cosca. Da qui la necessita' di rinvenire elementi di riscontro, non presenti agli atti di causa. In sostanza, dalle intercettazioni non poteva ricavarsi la prova di alcuna contiguita' di carattere delittuoso che si fosse tradotta in atto attraverso un contributo di carattere stabile, avente effettiva rilevanza causale; semmai emergeva una normalissima relazione conoscitiva che non avrebbe mai potuto sottintendere la sussistenza di alcun interesse di carattere illecito. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, la censura attiene all'assenza di prova che il ricorrente avesse una qualche disponibilita' di armi. Congetturale era l'aver ricondotto la disponibilita' di armi al sodalizio facendo ricorso al notorio, traducendosi, in difetto dei necessari elementi fattuali di sostegno, in una petizione di principio. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Si lamenta l'assenza di finalizzazione, in relazione alle contestazioni mosse al ricorrente, delle utilita' che sarebbero derivate dalla ritenuta attivita' illecita posta in essere rispetto alle finalita' del sodalizio, tantomeno l'utilizzo del metodo mafioso. Ne' a tale fine era dimostrativo il ritenuto concorso dei ricorrenti con il (OMISSIS) nell'episodio del danneggiamento ai danni del (OMISSIS), in quanto riferibile unicamente ai rapporti intercorrenti tra quest'ultimi due. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. Non si era doverosamente apprezzata la condotta processuale del reo improntata alla celere definizione del processo. (OMISSIS) (primo grado: responsabile dei reati di cui ai capi 1, 14 (esclusa l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7), 20, 21, 22, 23, 26, 28, 34, 36, 37, 42, 49, 50, 51, 53, 54, 55, 56, 57, 58 (previa riqualificazione nella fattispecie di cui agli articolo 455 c.p. e L. n. 203 del 1991, articolo 7), 59, 60, 63, 75, 77, 78, 79 e, per l'effetto, ritenuta la contestata recidiva, e previo riconoscimento della continuazione, lo condanna alla pena finale di anni 20 di reclusione ed Euro 74.000 di multa. Appello: rigetto appello del P.M.; riforma: per effetto della continuazione dei reati qui giudicati con quelli di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 21.3.2018 esecutiva il 4.9.2018 ridetermina la pena in complessivi anni 29 di reclusione ed Euro 90.000,00 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza e corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di tale concreta operativita' travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi di tale gruppo sotto il profilo irrinunciabile della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a detto autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non discesa dalla presunta cosca (OMISSIS). Ne' all'uopo poteva -farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) sia stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status individuale ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e, dunque, a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterni di detto metodo mafioso. Ne', al proposito, poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente al quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta' tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 81, 133 e 78 c.p.. 2.1. La censura attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti operati a titolo di continuazione. 2.2. Si lamenta, poi, la violazione ad opera del giudice del merito del criterio moderatore di cui all'articolo 78 c.p., posto che lo stesso in sede di cognizione si applica dopo la determinazione della pena finale complessiva oltre che degli aumenti interni anche di quelli relativi al riconoscimento del vincolo della continuazione con fatti reato di altro procedimento, in ossequio al principio di unicita' della pena stabilito dall'articolo 80 c.p.. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si lamenta che a base dell'applicazione della recidiva la Corte di merito abbia fatto ricorso a mere formule di stile, registrandosi, pertanto, una motivazione meramente apparente. (OMISSIS) (riforma, anni nove, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed Euro 24.800 di multa per i reati di cui al capo 23), 25) escluso la L. n. 203 del 1991, articolo 7 e 26), ritenuta la contestata recidiva reiterata e specifica, nonche' la continuazione) 1. violazione di legge, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con riguardo al riconoscimento della fattispecie consumata per i reati di cui al capo 23) - articoli 99 e 110 c.p., L. n. 895 del 1967, articolo 1, articolo 416-bis.1 c.p. -, nonostante l'esito inconcludente delle trattative per la compravendita delle armi. Tale qualificazione giuridica risultava irragionevolmente divergente rispetto a quella conferita alla omologa condotta, contestata al ricorrente al capo 26), consistente nella partecipazione ad un'attivita' prenegoziale, finalizzata alla compravendita di stupefacenti, e qualificata in termini di reato tentato. Tale differente valutazione giuridica delle due condotte, la cui omogeneita' risultava rilevabile tanto con riguardo al disvalore sociale da queste espresso quanto con riferimento alla formulazione sintattica e terminologica delle norme incriminatrici che le prevedono, aveva condotto anche ad una irragionevole disparita' del trattamento sanzionatorio, per effetto dell'applicazione della diminuente di cui all'articolo 56 c.p. alla sola condotta avente ad oggetto le sostanze stupefacenti. Dunque, a fronte delle due condotte omologhe di cui ai capi 23) e 26), consistenti nella partecipazione alle trattative per la compravendita di armi e di sostanze stupefacenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere il medesimo trattamento, sia in punto di qualificazione giuridica a titolo di tentativo, sia in punto di trattamento sanzionatorio. 2. violazione di legge, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione "in relazione all'imputazione oggettiva e soggettiva dell'aggravante delle c.d. armi da guerra rispetto ai reati di cui al capo 23)", in quanto difettavano elementi probatori idonei a dimostrare l'inclusione di dette armi nell'oggetto della trattativa. Anzi, il propalato del collaboratore (OMISSIS) non colmava tale vuoto probatorio e le risultanze captative escludevano qualsivoglia consapevolezza del ricorrente circa la serieta' delle trattative aventi ad oggetto la compravendita di armi da guerra. 3. illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con riguardo al reato di cui al capo 25) - articolo 99 c.p. e L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, articolo 416-bis.1 c.p. -, in quanto le risultanze probatorie non consentivano di identificare il ricorrente nel soggetto per cui conto ed a cui favore (OMISSIS) avrebbe custodito le armi, in considerazione della equivocita' del contesto captativo e della insussistenza di immagini fotografiche attestanti la traditio delle armi. 4. illogicita' della motivazione e travisamento della prova in relazione al riconoscimento della responsabilita' penale del ricorrente a titolo di concorso personale nel il reato di cui al capo 26) - articoli 99, 56, 81 e 110 c.p. Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e articolo 73 -, in particolare nella compravendita di cocaina, in quanto dalle risultanze probatorie e dall'ordinanza cautelare emessa nei confronti dell'imputato e richiamata in sentenza emergerebbe che la condotta di compravendita di stupefacente aveva ad oggetto esclusivamente droghe leggere, non anche droghe pesanti. 5. illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla imputazione soggettiva dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p. per i reati di cui ai capi 23) e 26), in quanto difettava in capo al ricorrente sia la proiezione teleologica personale sia la consapevolezza circa la finalizzazione della condotta dei concorrenti, volta alla agevolazione del sodalizio di stampo mafioso. Inoltre, il riferimento ad una "comune fratellanza" dei correi, attestato dalle intercettazioni telefoniche, era stato erroneamente inquadrato dai giudici di merito come certificazione della destinazione sodale degli eventuali proventi delle attivita' illecite, dovendo invece intendersi come un mero richiamo alla reciproca affidabilita' dei soggetti agenti, nell'ambito di una concorsualita' limitata al singolo affare. 6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto i giudici di merito avevano arbitrariamente confinato nel limite minimo la diminuente ex articolo 56 c.p., ed irragionevolmente riservato al ricorrente un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto al concorrente (OMISSIS), pur nella piena sovrapponibilita' della condotta concorsuale e del ruolo rivestito nella medesima fattispecie delittuosa, ed a fronte della condotta collaborativa del ricorrente. 7. Con memoria depositata in data 17/12/2021, la difesa del ricorrente ha depositato motivi aggiunti, con cui si insiste nell'accoglimento dei motivi proposti con il ricorso principale. (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (conferma della sentenza impugnata, capi 68), ritenuta la condotta di detenzione di armi comuni da sparo, 69) e 70), con esclusione per tutti i reati l'aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p., con la continuazione e la recidiva, anni cinque mesi otto di reclusione ed Euro 3.000.00 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento ai capi 68) e 70); in subordine riqualificazione dei fatti contestati nella forma tentata con conseguente rideterminazione della pena. 1.1. Il primo rilievo attiene all'assenza di valenza dimostrativa della prova d'accusa, fondandosi questa esclusivamente sul contenuto di una captazione ambientale (in data 21.3.2014 all'interno dell'abitazione del (OMISSIS)), priva di riscontro avendo avuto esito negativo la perquisizione volta a rinvenire le armi. Si trattava, dunque, di ipotesi di "armi parlate". 1.2. Il secondo rilievo investe la corretta qualificazione giuridica del fatto alla luce del significato ricavabile dalle intercettazioni, in quanto, pur avendo il ricorrente manifestato al (OMISSIS) il suo interesse per l'acquisto delle armi, le stesse non gli erano state consegnate per l'ora tarda e le difficolta' a recuperare il materiale balistico dal luogo in cui era custodito. La responsabilita' dell'imputato era stata dunque tratta esclusivamente dall'acquisita consapevolezza che il (OMISSIS) aveva delle pistole occultate che avrebbe dovuto consegnargli (evidentemente sconoscendo il ricorrente persino il luogo in cui erano state nascoste). Per potersi configurare il concorso nei reati di detenzione illegale di armi, rileva il ricorrente, e' necessario avere la disponibilita' dell'arma, ossia che il soggetto versi in una situazione di fatto tale per cui possa in qualsiasi momento utilizzarla. La semplice consapevolezza che altri ne abbiano il possesso non e' sufficiente ad integrare la fattispecie di detenzione illegale. L'assoluzione dal reato di porto di cui al capo 68), in ragione dell'assenza di prova della consegna dell'arma da (OMISSIS) all'imputato, avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti anche sulla ritenuta detenzione. Parimenti doveva escludersi che il ricorrente avesse messo in vendita delle armi, per come contestatogli al capo 70), in difetto di un concreto acquirente che avesse manifestato interesse all'acquisto ovvero che fosse stato dal ricorrente contattato per la vendita. Ne' a conferma dell'esistenza di un pregresso accordo che il ricorrente avrebbe concluso per vendere una delle armi "prelevate" dal (OMISSIS) poteva assumere valenza di prova il contenuto della conversazione citata sul punto dalla sentenza impugnata: la sollecitazione che il ricorrente avrebbe rivolto al (OMISSIS) di avere l'arma era una mera giustificazione per ottenere la celere consegna dell'arma. 2. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al delitto di cui al capo 70) della rubrica. L'assenza di prova che il ricorrente avesse effettivamente prelevato le armi a casa del suocero (OMISSIS) precludeva che potesse contestarsi a suo carico la ricettazione. Peraltro dall'intercettazione posta a fondamento dell'affermazione di responsabilita' non emergeva con certezza il tipo di munizionamento dell'arma oggetto della ricezione (se cal. 9x21 normale o Luger), ne' la consapevolezza in capo al ricorrente del tipo di calibro, aspetti di rilievo non ricavabili da un contenuto intercettivo che risultava invece poco intellegibile, con la conseguenza che non si poteva ritenere esistente il delitto presupposto di cui al Decreto Legislativo n. 204 del 2010, articolo 5 che vieta la vendita di armi corte semiautomatiche che sono camerate per il munizionamento nel calibro 9x19 parabellum. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'eccessivita' della pena inflitta - dosimetria della pena. Mancava un'adeguata motivazione sulle ragioni che avevano indotto il giudice del merito a discostarsi dal minimo (stabilito sul reato di cui al capo 69 nella misura di quattro anni ed Euro 1.500 di multa), tenuto conto che era stato anche asseverato il ruolo marginale dell'imputato nella vicenda. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'aumento operato per la recidiva. A parte il rilievo sulla mancanza di una specifica contestazione in ordine al tipo di recidiva, difettava un'attenta valutazione della gravita' dell'illecito commesso in relazione alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal reo, nonche' la valutazione di continuita' con le precedenti condanne. 5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e conseguente giudizio di bilanciamento con la recidiva, a fronte della correttezza del comportamento processuale tenuto dall'imputato e della positiva personalita' del ricorrente (precedenti datati, condotta priva di indole proclive all'azione criminosa, assenza di sintomi di pericolosita'). 6. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'aumento di pena ex articolo 81 cpv. c.p.. Mancava una dettagliata motivazione sulla misura degli aumenti, tanto piu' necessaria stante lo scostamento della pena base dal minimo edittale. (OMISSIS), cl. (OMISSIS) (riforma, anni otto e mesi otto di reclusione per il reato di cui al capo 1), con posizione qualificata, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale). Al riguardo, con due distinti ricorsi, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla prova dell'appartenenza del ricorrente all'interno della consorteria mafiosa di (OMISSIS) con la dote del vangelo. Premessa la distinzione della valutazione in tema cautelare rispetto a quella di cognizione, tenuto conto che la sentenza impugnata aveva richiamato a sostegno dell'affermazione di responsabilita' le motivazioni della sentenza della S.C. resa nell'ambito del giudizio di cautela, e richiamata la giurisprudenza anche recente a S.U. di questa Corte sul tema della partecipazione, evidenzia come, al di la' di mere propalazioni (il riferimento e' all'interrogatorio di (OMISSIS) e ad una conversazione intercettata di (OMISSIS)), non vi siano elementi atti a far ritenere concretamente uno stabile inserimento del ricorrente nella struttura organizzativa dell'associazione di stampo âEuroËœndranghetista. Peraltro, con riguardo al contenuto dell'intercettazione ambientale del (OMISSIS), il riferimento al ricorrente era solo nominativo e quello all'autovettura in suo possesso - peraltro una delle piu' comuni - veniva fatto da altro conversante, il (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla locale di (OMISSIS), all'esistenza dei reati fine e all'apporto contributivo del ricorrente. Travisamento delle emergenze processuali. La Corte di appello aveva omesso di apprezzare che nessun coinvolgimento del ricorrente nei molteplici delitti fine attribuiti alla cosca era stato asseverato; nessun avvistamento nei luoghi deputati agli incontri, nessun rapporto con i soggetti coinvolti, nessuna partecipazione a riunione di âEuroËœndrangheta. Tale assenza di contributi strideva con una ricostruzione che attribuiva al ricorrente un ruolo significativo all'interno della cosca. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'assenza di riscontri circa la partecipazione ai reati fine e all'intraneita' del ricorrente nella locale di (OMISSIS). Si lamenta che il giudizio di responsabilita' si fondi esclusivamente sul conferimento di una dote, in assenza di ogni ulteriore e valido riferimento ad un ambito partecipativo concreto e dinamico rispetto al gruppo di riferimento, non avendo mai posto in essere l'imputato specifiche attivita' o preso parte a riunioni di settore. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla contestazione di far parte di un'associazione armata. La censura attiene all'assenza di elementi dimostrativi della conoscenza da parte del ricorrente della disponibilita' in capo ai sodali coimputati di armi. Il ricorrente, peraltro, mai era stato visto presso il locale ove sarebbero avvenuti gli spostamenti delle armi. 5. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena. Si censura l'omissione da parte dei giudici di merito degli indici positivi che avrebbero consentito la concessione delle attenuanti generiche; i precedenti erano datati nel tempo; travisati quelli di polizia; successivamente la condotta era stata improntata a rettitudine. 6. "sulla recidiva" (reiterata ed infraquinquennale). Si lamenta l'assenza di idonea motivazione in ragione del fatto che il precedente annoverato risale all'anno 2000 e si tratterebbe di un reato diverso da quello in contestazione. Peraltro, si faceva riferimento ad un passaggio tra societa' minore e societa' maggiore che non risulta avere alcun nesso con le contestazioni subite nei due procedimenti penali. 7. violazione di legge per mancato rispetto del principio della successione di leggi penali. La condotta associativa del ricorrente resterebbe confinata agli anni precedenti al 2010, ancorata ai precedenti penali che risalgono ai primi anni 2000 e, dunque, occorreva applicare il piu' favorevole trattamento sanzionatorio precedente alla modifica del 2008, piu' favorevole al ricorrente. (OMISSIS) (parziale accoglimento appello del PM, condanna per il reato di cui al capo 10) limitatamente alla prima condotta in relazione alla rivelazione del nominativo del possibile autore dell'omicidio di (OMISSIS) e, esclusa l'aggravante di cui alla Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, mesi 6 di reclusione, con sospensione condizionale della pena e non menzione; conferma dell'assoluzione del ricorrente per i reati di cui ai capi 11) e 12) per non aver commesso il fatto con rigetto sul punto dell'appello del PM). Al riguardo, deduce: 1. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione all'erronea applicazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis" in quanto la Corte territoriale avrebbe dapprima disposto la riassunzione della testimonianza del collaboratore (OMISSIS), sulla scorta della ritenuta decisivita' delle sue dichiarazioni ai fini del ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, e successivamente avrebbe escluso detta prova dal novero degli elementi fondativi della condanna del ricorrente. Inoltre, stante la riapertura istruttoria, la Corte territoriale avrebbe dovuto adottare una decisione "piu' prudente", ponendo alla base della sentenza di condanna elementi probatori nuovi, e non la propria alternativa interpretazione del compendio intercettivo. 2. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione dell'articolo 326 c.p.". Posto che il delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio non risulta configurato quando la notizia divulgata sia divenuta di dominio pubblico, ne' quando essa sia rivelata a persone che ne siano gia' venute a conoscenza, nel caso di specie nessuna rivelazione di notizie coperte dal segreto di ufficio vi era stata da parte del ricorrente, essendosi al piu' limitato a comunicare al correo una notizia "gia' nota in paese", e comunque al solo fine di agevolare l'utile prosecuzione delle indagini. Inoltre, in considerazione dei connotati ontologici della condotta del ricorrente, si censura l'erronea sussunzione del fatto sotto l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 326 c.p., comma 1 punita a titolo di dolo, in luogo della fattispecie di cui al comma 2 della medesima norma, punita a titolo di colpa. 3. "violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e) per illogicita' e per difetto di motivazione" nella parte concernente la ritenuta integrazione dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'articolo 326 c.p., anche alla luce dell'obbligo di motivazione rafforzata gravante sul giudice d'appello in caso di ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado. In particolare, il vizio di logicita' dell'impianto motivazionale in ordine alla ritenuta rilevanza penale della condotta del ricorrente deriverebbe dalla rivelazione del nome del possibile autore dell'omicidio di (OMISSIS), sulla base dalla irragionevole premessa secondo cui all'ottenimento di informazioni utili all'attivita' investigativa deve pervenirsi mediante richieste vaghe e generiche. Inoltre, si censura la assoluta mancanza di motivazione con riguardo all'elemento psicologico del reato ex articolo 326 c.p., comma 1, per il quale e' intervenuta la condanna in appello del ricorrente, non sorretta da alcuna valutazione idonea a giustificare l'inquadramento dell'elemento soggettivo nel dolo piuttosto che nella colpa. 4. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla quantificazione della pena". La censura e' invero strettamente connessa all'erronea qualificazione della condotta del ricorrente come integrativa della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., comma 1, con conseguente applicazione della sanzione penale prevista per l'ipotesi dolosa, in luogo di quella stabilita dal comma 2 della norma in esame, che punisce il fatto commesso a titolo di colpa. (OMISSIS) (in accoglimento dell'appello del P.M. dichiarato colpevole del reato di cui al capo 1) e condannato alla pena di anni 8 di reclusione). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge sotto il profilo dei presupposti del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p.. Si richiama sul tema la recente sentenza delle S.U. di questa Corte secondo cui - con un chiaro sbilanciamento verso il modello causale - per integrare la condotta non e' sufficiente la mera affiliazione formale, ma occorre un apporto causale che si concreti nella realizzazione di un qualsiasi apporto alla vita e all'esistenza dell'associazione. Alla messa a disposizione deve dunque accompagnarsi un quid pluris dimostrativo di una maggiore pregnanza dell'azione delittuosa. La sentenza impugnata, invece, aveva fondato la condotta di partecipazione facendo esclusivo richiamo al modello organizzatorio. Il ruolo "attivo" del ricorrente non poteva ricavarsi dalla vicinanza allo (OMISSIS) al momento dell'agguato ai danni di questi o dalla condanna nel procedimento (OMISSIS), in quanto il tentato omicidio dello (OMISSIS) era diretta conseguenza dell'omicidio (OMISSIS) e non era legato alle dinamiche associative relative alla locale di (OMISSIS); la condanna subita dal ricorrente nel procedimento (OMISSIS) non atteneva alla contestazione associativa mafiosa. In conclusione, si lamenta l'assenza di contributi rilevanti ai fini della partecipazione, in relazione ad una cosca i cui riferimenti spaziali, locali e temporali restavano indefiniti. 2. vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del sodalizio mafioso. Nei fatti mancavano gli elementi tipizzanti di una cosca di âEuroËœndrangheta: assoggettamento ed omerta', programmazione di delitti (non contestati al ricorrente); gestione invasiva delle attivita' commerciali, ottenimento di profitti o vantaggi ingiusti, indici di partecipazione. Cosi' dal compendio intercettivo del (OMISSIS) emergeva la narrazione di fatti vecchissimi non scansionati nel tempo. Quanto al ricorrente, vi era stato un ribaltamento della decisione assolutoria del primo giudice, nonostante le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) - ritenute idonee a delineare il profilo associativo del ricorrente quale referente della locale di (OMISSIS) in grado di negoziare alleanze in vista di scontri con le altre cosche - che non rinvenivano nel narrato dello (OMISSIS), di carattere incerto ed oscillante, valido riscontro ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3. La Corte d'appello, nel ribaltare la sentenza di primo grado, si era limitata a sostituire la propria differente valutazione a quella svolta dal primo giudice, senza giustificare adeguatamente la chiave interpretativa accusatoria privilegiata e senza confutare puntualmente le argomentazioni su cui si fondava l'esito favorevole del giudizio di primo grado, dimostrandone la fallacia. Peraltro non si era tenuto nel debito conto che, nella ricognizione operata dal (OMISSIS) dei soggetti affiliati alla locale, il ricorrente non era stato menzionato, sebbene lo (OMISSIS) lo indicasse dal 2001 quale partecipe del suo gruppo. Del resto, lo stesso collaboratore, risentito al dibattimento, aveva ammesso di avere inizialmente mentito al P.M. nell'escludere il ruolo certo di associato del ricorrente, per poi, invece, accusarlo quando il procedimento era stato incardinato dinanzi al GUP distrettuale. Tale discrasia, originata da una dichiarata falsita', doveva condurre il giudice ad escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del propalante. 3. vizio di motivazione in ordine all'aggravante di essere l'associazione armata. Nessuna motivazione vi era sul perche' le armi del (OMISSIS) fossero dell'associazione. Peraltro, la mancata riconducibilita' di (OMISSIS) ad una precisa âEuroËœndrina, l'assenza di reati fine al medesimo contestati, avrebbe richiesto uno sforzo motivazionale maggiore in ordine alla sua consapevolezza. 4. violazione di legge con riguardo alla successione di leggi penali nel tempo. La censura attiene alla corretta individuazione dei connotati spazio-temporali della condotta di partecipazione, comunque realizzatasi in epoca antecedente all'anno 2010, di talche' la disciplina applicabile andrebbe rinvenuta nel trattamento sanzionatorio piu' favorevole al ricorrente precedente alla modifica del 2008. 5. Con motivi aggiunti in data 24/12/2021, la difesa del ricorrente ha ulteriormente argomentato in ordine alla mancanza della credibilita' soggettiva del (OMISSIS), dell'attendibilita' intrinseca dello (OMISSIS), richiamandosi al riguardo anche l'esito favorevole al ricorrente del compendio intercettivo. (OMISSIS) e (OMISSIS) (riforma: capo 38) estorsione aggravata dalle persone riunite in concorso, nonche' dall'articolo 416-bis.1 c.p., esclusa l'aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, in continuazione con il delitto di furto aggravato ex articolo 625 c.p., n. 7 di cui al capo 40) per (OMISSIS), esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.) ed assoluzione dal delitto associativo per entrambi per non aver commesso il fatto; anni 6 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa per (OMISSIS); anni 6 mesi 4 di reclusione ed Euro 5.200,00 di multa per (OMISSIS)). Al riguardo, con distinti ricorsi - che possono trattarsi unitariamente stante la natura comune e sovrapponibile delle censure, ad eccezione del motivo n. 6 dedotto da (OMISSIS) in ordine al reato di furto al medesimo contestato al capo 40) - deducono: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 110 c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 con riferimento all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), articolo 416-bis.1 c.p., articoli 192 e 530 c.p.p.. La censura attiene alla sussistenza di un compendio probatorio idoneo ad asseverare la sussistenza del delitto estorsivo di cui al capo 38) di cui (OMISSIS) e' stato ritenuto autore in concorso con (OMISSIS). Premessa l'assoluzione dei ricorrenti dalla contestazione associativa che li vedeva deputati a commettere estorsioni per conto della locale cosca di âEuroËœndrangheta, si sostiene che la vicenda vada ricondotta ad una lite sulla titolarita' ad impossessarsi di un albero di faggio caduto a causa delle intemperie, frutto di incomprensioni in ordine alla prassi esistente in quel di (OMISSIS) - successivamente persino regolamentata con Delib. del consiglio comunale - per la raccolta di legna da alberi caduti, i cui rami sarebbero serviti al padre di (OMISSIS) per alimentare il forno della sua attivita' commerciale. In sostanza, i ricorrenti avrebbero contestato allo (OMISSIS) (la persona aggredita nel corso della lite) di avere raccolto alcuni rami di faggio ai quali erano interessati; lo (OMISSIS), invece, rivendicava la legittimita' del suo operato, sostenendo che la ditta Cartolano per cui lavorava (egli era il genero del titolare) si era regolarmente aggiudicata la relativa gara di appalto per il taglio degli alberi in questione, precisando, altresi', di avere ottenuto il benestare della locale cosca di âEuroËœndrangheta a cui aveva versato la tangente. A sostegno della prova di colpevolezza, la Corte di merito aveva richiamato un compendio intercettivo caratterizzato dall'assenza ai dialoghi captati dei ricorrenti e, dunque, in ipotesi, dotato di valenza meramente indiziante, nel caso in esame privo dei necessari connotati di gravita', precisione e concordanza; si era poi valorizzata un'intercettazione di cui la Corte di merito aveva travisato il contenuto (ritenendo la pretesa avanzata riferita a piu' alberi anziche' ad un solo, reale oggetto del contendere), traendone l'errata conclusione che i ricorrenti fossero interessati ad un egemone abusivo accaparramento di legna nei boschi (tutti i faggi caduti dalle intemperie), cosi' riconducendo la vicenda ad un'estorsione consumata. Inoltre, si era omesso di considerare, ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, che la ditta per cui lavorava la persona aggredita non disponeva di un'autorizzazione alla raccolta dei faggi abbattuti dalle intemperie; inoltre, l'esito delle indagini svolte e le dichiarazioni rese dai testi sentiti dalla difesa ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) consentivano di ricondurre la causale della lite al mancato rispetto di usi civici comunali (nel senso che in caso di caduta di alberi, il primo che se ne avvedeva poteva segnarli acquisendo cosi' il diritto di poter presentare al comune la domanda e poterlo prelevare). 2. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento del tentativo ex articolo 56 c.p. in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3. La doglianza riguarda la mancava di prova dell'avvenuta consumazione del reato, cio' non potendosi ricavare dall'intercettazione ambientale del 13/3/2014, citata in sentenza, che non dava conto di come la questione fosse stata poi "sistemata", ossia se il faggio conteso fosse stato consegnato al ricorrente. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'articolo 393 c.p., rientrando la condotta contestata al ricorrente nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, stante l'esistenza di una controversia tra le parti ed avendo agito a tutela delle ragioni di un terzo (il padre (OMISSIS)) e in assenza di un profitto altrui. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di estorsione aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p.. Difettava il presupposto su cui era stata costruita l'aggravante: non si trattava piu' di un'estorsione di cosca, essendo entrambi i ricorrenti stati assolti dall'appartenenza all'associazione di stampo âEuroËœndranghetista; inoltre era stato anche escluso che dell'estorsione ne fossero a conoscenza i cd. maggiorenti (nella specie (OMISSIS) il (OMISSIS) e (OMISSIS)) e che fosse stata commesso con il loro benestare; la condotta criminosa era stata ricondotta ad un'iniziativa autonoma dei due cugini (OMISSIS) che si contrapponeva al benestare che lo stesso (OMISSIS) aveva rilasciato alla ditta del (OMISSIS) per la raccolta del legname, per come si ricavava dalle conversazioni immediatamente successive all'aggressione perpetrata dai ricorrenti: (OMISSIS) evidenziava che la condotta da costoro tenuta costituiva un disonore per tutta la famiglia considerato che con i loro comportamenti erano venuti meno gli accordi inizialmente assunti con l'imprenditore (OMISSIS), tanto che se lo avesse saputo (OMISSIS) Lino (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), l'unico a salire sulla cabina del trattore condotto dallo (OMISSIS) ed aggredirlo fisicamente, azione non supportata dal cugino (OMISSIS), il quale era intento a trattenere il cugino ostacolando l'aggressione. 6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di furto contestato al capo 40). Si era ricavata la responsabilita' dal contenuto etero-accusatorio di intercettazioni, erroneamente ritenute non soggette ai canoni di cui all'articolo 192 c.p.p., comma 3. Si trattava, invece, di conversazioni alle quali non aveva partecipato l'inputato (per la precisione di un de relato di un de relato in quanto (OMISSIS) racconta ai suoi interlocutori cio' che avrebbe appreso da (OMISSIS), il quale a sua volta lo avrebbe appreso da (OMISSIS)) e, dunque, necessitanti di elementi di riscontro. Ne' elementi di conferma del coinvolgimento del (OMISSIS) potevano trarsi dal contenuto incerto di un'annotazione di PG richiamata da cui emergeva soltanto il sospetto del coinvolgimento del ricorrente, unitamente ad altri, per essere stato sorpreso a tagliare alberi nell'ambito pero' di un'attivita' lavorativa autorizzata dal committente. 7. violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della dosimetria della pena. L'esclusione di una pena stimata sui minimi edittali era supportata dal richiamo di indici di gravita' del reato riferiti a contesti mafiosi ovvero a riferimenti a condotte vessatorie di tipo estorsivo gia' inflitte alla vittima da cui i ricorrenti erano stati ritenuti estranei (gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo e non figuravano come concorrenti nell'estorsione mafiosa ai danni del (OMISSIS) contestata al capo 39, attribuita invece ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS)). Peraltro, si era indicata a cagione della gravita' del fatto anche la circostanza che la vittima avesse addirittura ricevuto la solidarieta' di altro âEuroËœndranghetista (il (OMISSIS) ed i suoi prossimi congiunti), quando, invece, dal capo di imputazione si ricavava che il (OMISSIS) avrebbe interrotto l'aggressione e sarebbe stato "solidale" con il ricorrente. 8. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e conseguente giudizio di bilanciamento con l'aggravante in contestazione. Oltre i rilievi indicati al motivo dedotto in punto di dosimetria della pena, si era erroneamente valorizzata in punto di gravita' l'aggressione commessa limitata ad un semplice strattonamento. Il ricorrente, poi, era incensurato e di giovane eta'. (OMISSIS) (riforma, anni sette e mesi quattro di reclusione per il reato di cui al capo 1) con il ruolo di partecipe, esclusa la contestata recidiva). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 416-bis c.p. e articolo 192 c.p.p. (capo 1 dell'imputazione). La censura, gia' ritenuta fondata in sede cautelare, attiene all'assenza di motivazione in ordine alla verifica dell'attualita' dell'inserimento del ricorrente nel sodalizio mafioso contestato, posto che il compendio investigativo acquisito non consente di storicizzare tale attivita', individuandone con precisione l'epoca in cui collocare temporalmente la condotta in disamina; ne' le conversazioni captate, ne' le frequentazioni registrate consentivano di attualizzare la condotta in termini di permanente e stabile messa a disposizione per il perseguimento dello scopo sociale (gli stessi contatti che il ricorrente avrebbe tenuto con soggetti appartenenti al sodalizio erano datati, trattandosi di tre sporadiche frequentazioni tra il 2009 ed il 2014, mentre la misura restrittiva era stata applicata con ordinanza del 4/1/2016). Mancava, quindi, una motivazione rafforzata che desse conto delle differenti ragioni che, sul piano della prova, deponevano per una conclusione differente da quella assunta, anche con l'avallo di questa S.C. (si cita la sentenza n. 568/2017 della 5 Sezione), in sede di riesame cautelare, ove si era stigmatizzata proprio l'assenza di motivazione in merito al perdurare della condotta associativa di presunta adesione al gruppo da parte del ricorrente (sul punto si riporta anche il relativo passaggio della sentenza di questa S.C.). La stessa attivita' che secondo la sentenza impugnata sarebbe dimostrativa dell'intraneita' del ricorrente - ossia la presunta affiliazione del (OMISSIS) che l'imputato avrebbe promosso - risaliva al 1994. Ne', al proposito, era decisivo il riferimento, ricavato dalle propalazioni del collaboratore (OMISSIS), all'aver fatto parte di una sorta di "collegio di anziani" appartenenti all'omonima cosca, ai quali sarebbe stato demandato il compito di gestire i proventi delle estorsioni riconducibili a tale sodalizio mafioso successivamente al 2004. Invero, i riferimenti del collaboratore attenevano a (OMISSIS) e la Corte di merito nulla aveva spiegato perche' tale evocazione fosse riferibile anche al ricorrente. Peraltro, lo stesso imputato era stato ritenuto estraneo a detta compagine nel processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Palmi nel 2001, per come implicitamente ritenuto dallo stesso capo di imputazione che additava il ricorrente non di far parte dell'omonima cosca (OMISSIS) (ipotesi elevata a carico di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma di appartenenza alla locale di (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'attribuzione al ricorrente dell'aggravante speciale di essere l'associazione armata. Si era tratta la consapevolezza in capo al ricorrente della natura armata dell'associazione dal fatto che "storicamente" le cosche mafiose operanti sul territorio oggetto di giudizio hanno abitualmente fatto uso di armi. Si era quindi operato un inammissibile automatismo, in contrasto con i canoni soggettivi della circostanza, soprattutto in considerazione dal fatto che gli elementi rafforzativi di detta "storicita'" erano tratti dalle captazioni del (OMISSIS), risalenti al 2013, a fronte di una prova della partecipazione ancorata al 2004. (OMISSIS) (riforma, anni quattordici di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 39) con la recidiva e, quanto al capo 39, ritenuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 121 e 192 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera c) e articoli 416-bis e 629 c.p.. Si censura anzitutto la decisione impugnata per la mancata disamina delle questioni poste con l'atto di appello che attenevano alla sussistenza del reato associativo. In particolare, le doglianze si riferiscono ai seguenti temi: assenza di motivazione in ordine al preliminare profilo della credibilita' del collaboratore (OMISSIS); assenza di attendibilita' intrinseca per le evidenti contraddizioni che caratterizzavano il narrato del predetto; assenza di riscontri individualizzanti; forte risentimento di rancore e astio del collaboratore nei confronti del ricorrente; assenza di conoscenza sulle ipotetiche dinamiche associative per l'ammissione da parte dello stesso collaboratore di aver abbandonato detti contesti; assenza di specifiche condotte diverse da quella a cui il collaboratore avrebbe preso parte; inimicizia confermata dal collaboratore; assenza di ulteriori emergenze indiziarie deponenti per il riconoscimento degli addebiti mossi; natura de relato delle informazioni apprese e riferite dal collaboratore; assoluta inconciliabilita' tra la circostanza che vede il figlio dell'odierno ricorrente concorrente nel pestaggio ai danni dello (OMISSIS) e quella secondo la quale il (OMISSIS) aveva gia' concordato la faccenda con il padre; assenza di ulteriori fonti dichiarative; "inconducenza" dei colloqui captati rispetto alle imputazioni. A fronte di tali censure la motivazione resa dalla sentenza impugnata era fumosa e ridondante, fondata su argomenti non dirimenti, ne' risolutori, cosi' registrandosi una motivazione apparente e dunque assente. Era stato omesso un concreto esame delle risultanze processuali disponibili; in buona sostanza non emergeva dal provvedimento impugnato nessuna chiara intellegibile ragione legittimante il convincimento adottato. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si lamenta di avere posto a base della circostanza aggravante e soprattutto dell'esorbitante aumento di pena, delle condotte risalenti agli anni 90, senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con i precedenti reati e addirittura valorizzando una piu' recente assoluzione, cosi' snaturando le caratteristiche dell'istituto della recidiva che si fonda esclusivamente sull'esistenza di condanne e non di meri precedenti giudiziari che hanno coinvolto l'imputato. Al fine di verificare se la reiterazione dell'illecito fosse effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un'accresciuta pericolosita' del ricorrente, si era omesso di effettuare una relazione tra i fattori significativi della condotta sottoposta in quel momento al giudizio della Corte d'appello e quelli rinvenienti dal pregresso corredo penale del prevenuto. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Apodittica era anche l'affermazione della ricorrenza dell'aggravante del metodo mafioso e dell'agevolazione mafiosa con riferimento al delitto estorsivo di cui al capo 39) della rubrica. Sebbene l'aggravante fosse stata ricavata nella sua declinazione agevolativa, la sentenza impugnata non aveva puntualmente delineato il percorso logico argomentativo seguito per ritenere ipotizzabile la sussistenza della contestata circostanza aggravante anche sotto il profilo agevolatore, tenendosi soprattutto conto che la circostanza sotto tale veste ha natura soggettiva e dunque presuppone la prova del dolo specifico di favorire l'associazione, con la conseguenza che questo fine deve costituire l'obiettivo diretto della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti, ne' il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all'effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capo mafia con quelli dell'organizzazione. La Corte di merito, in realta', con una motivazione apparente, dava per scontato che le attivita' economiche e le presunte condotte estorsive fossero esercitate nell'interesse dell'associazione mafiosa e non nell'esclusivo interesse del ricorrente, nonche' il fatto che l'imputato intendeva favorire il sodalizio mafioso senza alcun dato dimostrativo di tale apodittica asserzione. Difettava poi l'indicazione di qualunque elemento che desse conto che il ricorrente si fosse avvalso delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e, dunque, le concrete modalita' di esplicazione del metodo mafioso. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 81 cpv. c.p.. La doglianza attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti disposti per la continuazione, in contrasto con il recente orientamento affermato anche dalle S.U. di questa corte con la recente sentenza del 24 giugno 2021. - Il ricorrente articola, poi, da pag. 20 a pag. 57 del ricorso diversi motivi in punto di partecipazione all'associazione mafiosa clan (OMISSIS) e in ordine a delitti di intestazione fittizia indicati come capi f) e g), alla natura armata dell'associazione e al diniego delle attenuanti generiche. In particolare, deduce altresi': 5. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e)in relazione all'articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. 6. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 512-bis c.p. (capi F e G). 7. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis.1 c.p.. 8. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p., comma 4. 9. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p., comma 2. 10. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 133 e 62-bis c.p.. (OMISSIS) (conferma, anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il reato di furto di cui all'articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., n. 7 esclusa gia' dal primo giudice l'aggravante mafiosa). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di furto contestato al capo 40) della rubrica. La censura si fonda sulle analoghe argomentazioni poste a fondamento del motivo di ricorso svolto dal coimputato ricorrente (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della dosimetria della pena. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche. (OMISSIS) (rigetto appello PM e imputato, conferma; responsabile dei reati di cui ai capi 30) e 32), esclusa per tutti l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e, per l'effetto, ritenuta la continuazione e la contestata recidiva, anni 4 mesi 8 di reclusione ed Euro 12.000 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 192, 533 e 546 c.p.p. ed agli articoli 56, 110, L. n. 895 del 1967, articolo 2 contestato al capo 30) della rubrica. Si lamenta che il tentativo di acquisto dal (OMISSIS) di armi comuni da sparo e da guerra ad opera del ricorrente sia stato tratto da un travisato contenuto del compendio intercettivo, di cui era stata valorizzata (e riportata) soltanto una parte ("stasera arrivano di nuovo"), cosi' ritenendosi che il (OMISSIS) avesse riferito al ricorrente che le mitragliette skorpion gia' la sera stessa sarebbero state nella disponibilita' del soggetto che avrebbe dovuto cederle, mentre l'intera frase era di diverso tenore: "ora penso che stasera arrivano di nuovo", da cui invece avrebbe dovuto trarsi, essendosi il (OMISSIS) espresso in termini dubitativi, che questi non avesse alcuna disponibilita' nemmeno mediata delle armi, ma solamente conosceva una persona che spesso aveva la disponibilita' di armi comuni da sparo e da guerra che poneva in vendita. Tale differente lettura trovava conferma nel complesso della captazione, da cui si ricavava che il (OMISSIS) si era limitato a riferire al ricorrente che non era in grado di sapere se avesse avuto modo di incontrare la persona che si occupava della vendita di armi e di non sapere se questa persona avesse la disponibilita' delle stesse. Ad analoghe conclusioni, risultando il contenuto dell'intercettazione travisato, doveva giungersi anche con riferimento all'attivita' di compravendita delle pistole Glock tra (OMISSIS) ed il ricorrente. Anche in questo caso dalla captazione risultava che il (OMISSIS) non avesse alcuna disponibilita' delle pistole considerato che il ricorrente gli manifestava la disponibilita' all'acquisto qualora il coimputato ne fosse venuto in possesso (.. "se ti capita.. sai che li vogliamo noi.."). In conclusione, mancava la prova di un accordo per la cessione di armi (soltanto una biunivoca disponibilita' ad acquistare e vendere), alla cui base doveva necessariamente esservi una concreta disponibilita' di armi, assente nel caso in esame. La mera offerta delle armi ad opera di chi non ne ha ancora la disponibilita' non assurge infatti a tentativo punibile, bensi' a mero atto preparatorio. Il (OMISSIS) avrebbe ceduto le armi al ricorrente soltanto laddove fosse stato in grado di reperirle (tanto che allo stesso (OMISSIS) contraddittoriamente non si era elevata alcuna imputazione di detenzione per come riconosciuto dagli stessi giudici di appello che ne avevano evidenziato allora la figura di mero intermediario). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 192, 533 e 546 c.p.p. ed al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 56, 110, 73 contestato al capo 32) della rubrica (tentativo di acquisto di sostanza stupefacente). La doglianza attiene alla pregnanza contenutistica del compendio intercettivo censurato sotto il profilo dell'assenza dei canoni dell'esatta comprensione e credibilita' del narrato. Contraddittoria era la motivazione della stessa sentenza impugnata che dapprima riconosce il (OMISSIS) come mero latore delle necessita' del ricorrente presso il fornitore escludendo, implicitamente di conseguenza, che abbia la disponibilita' dello stupefacente anche solo mediata e, poi, afferma che aveva la disponibilita' mediata della droga eventualmente detenuta presso il fornitore, ove il (OMISSIS) avrebbe dovuto recarsi per concludere l'attivita' di compravendita, di talche' in mancanza della prova dell'effettivo raggiungimento dell'accordo doveva ritenersi configurato il tentativo. In realta', il (OMISSIS) non aveva alcun potere dispositivo della sostanza; il terzo era dedito in maniera del tutto autonoma al traffico di droga e tra questi ed il (OMISSIS) non intercorreva alcun rapporto di affari, per come comprovato dagli stessi dialoghi intercettati. L'assenza di disponibilita' diretta e/o indiretta da parte del (OMISSIS) della sostanza escludeva la possibilita' di configurare il tentativo, non potendosi ritenere la mera manifestazione di propositi criminosi come un atto prodromico alla conseguente cessione di sostanza stupefacente. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p., comma 4, e articolo 125 c.p.p.. La motivazione sulla recidiva era di stile, avendo omesso la sentenza impugnata di indicare le ragioni per cui, nel caso concreto, era prevedibile la ricaduta nel reato da parte del ricorrente. A fronte, invece, dell'assenza di sintomaticita' di maggiore colpevolezza e pericolosita' dell'imputato ricavabile dai reati per cui e' processo in rapporto ai precedenti annoverati. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 132 e 133 c.p. e articoli 125, 192 e 546 c.p.p.. Si lamenta la mancanza di un'adeguata motivazione a sostegno del trattamento sanzionatorio inflitto. (OMISSIS) (rigetto dell'appello del P.M. e, previa esclusione della aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 in relazione al capo 7), ridetermina la pena in anni 9 di reclusione, in ordine ai reati di cui ai capi 1) (compresa l'aggravante per la associazione armata), 2), 7) 11) e 12) della rubrica; violazione legge armi e articoli 326 e 378 c.p.). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., articolo 416-bis.1 c.p. (capi 1, 11 e 12 dell'imputazione). La censura attiene all'esistenza di un valido compendio probatorio ed alla tenuta della motivazione che era stata posta a fondamento dell'affermazione di responsabilita', riproduttiva di quella del primo giudice e "sganciata" rispetto alle doglianze della difesa che investivano, in primo luogo, il giudizio espresso sull'attendibilita' del collaboratore di giustizia (OMISSIS) e sulla chiamata da questi effettuata nei confronti del ricorrente indicato quale partecipe dell'associazione di cui al capo 1). Non si era infatti considerato che il collaboratore fosse da tempo estraneo al presunto consesso criminale ("tralasciato" da oltre 10 anni) ed animato da sentimenti di rancore contro l'imputato (a cagione della frequentazione del ricorrente con il carabiniere (OMISSIS) e della convinzione, nutrita dal ricorrente, che fosse stato lo (OMISSIS) ad avere distrutto le coltivazioni del fondo del suocero), argomenti che incidevano sull'intrinseca credibilita' del narrato. Ne' poteva colmarsi tale lacuna facendo riferimento al fatto che il collaboratore avesse riferito circostanze apprese da altri, trovandosi, in tal caso, al cospetto di una "chiamata de relato" la cui valutazione deve essere ancor piu' rigorosa. Al riguardo, non era decisivo, trattandosi di circostanza travisata in quanto non espressa in termini di certezza, richiamare il dichiarato dell'agente di PG (OMISSIS) che avrebbe escluso conflitti tra il ricorrente ed il collaboratore. Lo stesso ricorrente aveva escluso di avere riferito all' (OMISSIS) dei suoi contrasti con l'imputato, avendone invece parlato con il maresciallo Miozzo come dallo stesso confermato in una relazione di servizio. Ne' si poteva indicare a riscontro del narrato del collaboratore circa l'avvenuta affiliazione del ricorrente l'ambientale del (OMISSIS), posto che mentre lo (OMISSIS) ne attribuiva l'iniziativa al (OMISSIS), il (OMISSIS) invece la riconduceva a se' medesimo. Ne' il riferimento, riscontrato, in ordine alle dicerie sullo stato di gravidanza di (OMISSIS), che il collaboratore aveva affermato di avere appreso dal ricorrente, poteva costituire elemento utile in quanto per affermazione dello stesso (OMISSIS) alla (OMISSIS) si trattava di un'invenzione (essendo la relazione tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) divenuta di dominio pubblico, lo (OMISSIS) aveva cercato di saggiare la riservatezza della donna, inventando la rivelazione da parte di (OMISSIS); tale versione era stata poi modificata successivamente dal collaboratore adducendo che tale "ritrattazione" era dovuta all'intervento del (OMISSIS), il quale lo avrebbe pregato di modificare la versione offerta alla donna). In conclusione, l'unico elemento di prova in ordine al reato associativo era rappresentato dalle dichiarazioni non riscontrate dello (OMISSIS). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., articolo 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e 581 c.p.p. (capi 1, 11 e 12 dell'imputazione). La condanna si fondava su un pregiudizio. Smentito dalla logica e dalle emergenze istruttorie, secondo cui sarebbe fondata la tesi complottista del "doppio gioco" utilizzata dal ricorrente per sapere in anticipo le mosse degli inquirenti e mantenere nei loro confronti un sicuro credito che lo esentasse da responsabilita'. Con il (OMISSIS) vi era un rapporto di inimicizia tanto che tale imputato aveva maturato il proposito di ucciderlo, l'imputato era inviso alla maggior parte del gruppo in ragione dei suoi rapporti di amicizia con le forze dell'ordine che, notoriamente, precludono l'accesso a tali consessi criminali. La circostanza che le cimici all'interno del locale il Fungo (additato quale luogo di incontri di cosca) fossero state apposte da altri corpi di polizia differenti da quelli "vantati" dal ricorrente, smentiva sul punto l'affermazione dello (OMISSIS), il quale additava il ricorrente della relativa informazione. Il ricorrente era un confidente della polizia (non riceveva informazioni ma le forniva), ma cio' che riferiva non era dovuto alla sua intraneita' alla cosca, bensi' a notizie che poteva apprendere da voci correnti in quel territorio, come avevano confermato l'isp. (OMISSIS) e l' (OMISSIS), escludendo che fosse affiliato alla âEuroËœndrangheta. Cosi' illogico era affermare che il ricorrente non si portasse piu' presso il suo fondo confinante con quello del (OMISSIS) perche' consapevole che la PG vi avesse installato delle telecamere all'esterno, trattandosi di mera deduzione del (OMISSIS) e dovendosi, invece, tale comportamento al fatto che si era avveduto che il (OMISSIS), ivi sottoposto agli arresti domiciliari, in realta' vi incontrava personaggi di "malaffare", facendo anche uso in qualche occasione di armi (come confermato dal maresciallo (OMISSIS) in una sua annotazione). L'ulteriore circostanza che il ricorrente negasse il saluto al (OMISSIS) (ritenuto altro associato) deponeva nel senso dell'estraneita', in quanto condotta contraria ai codici di cosca. Se il (OMISSIS) ed i suoi avessero ritenuto il ricorrente responsabile di non averli avvisati della presenza delle videocamere, sarebbero stati questi a prendere le distanze e non il ricorrente (distanza quale fattore di estraneita' al gruppo). Peraltro, la convinzione del (OMISSIS) si fondava non tanto sul rilievo che il ricorrente fosse stato informato dalla PG, bensi' perche' aveva apposto un lucchetto all'ingresso della sua proprieta', come a volere stabilire le distanze dal (OMISSIS) stesso. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'att. 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articoli 546 e 581 c.p.p. (capi 2 e 7 dell'imputazione). Anche in relazione a tali capi di imputazione, di cui il n. 2) generico nella sua formulazione (facendosi riferimento all'acquisto e/o detenzione di armi di vario genere), la prova si fondava sulle dichiarazioni frazionate, progressive e generiche del collaboratore (OMISSIS). Cosi' il successivo riferimento al tale (OMISSIS) che avrebbe contattato il ricorrente nell'ambito del traffico di armi intrattenuto con lo (OMISSIS) era privo di qualsiasi riscontro. Dalle stesse dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS) - il quale, pur non ricordando il nome dell'imputato, avrebbe assistito ad una presunta trattativa tra l'imputato ed il (OMISSIS) - emergeva che non era il ricorrente a cedere le armi a quest'ultimo, bensi' il contrario, con la conseguenza che non sarebbe allora il ricorrente il fornitore del gruppo. Dallo stesso compendio intercettivo emergeva come nessuno degli affiliati facesse affidamento sull'imputato per acquistare o vendere armi. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) "in relazione agli articoli 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articoli 546 e 581 c.p.p. (capo 7 dell'imputazione)". L'affermazione di responsabilita' dell'imputato per la cessione di una pistola (a (OMISSIS) che per tale ragione sarebbe stato poi arrestato) era priva dell'indicazione di una prova concreta, fondandosi esclusivamente su uno stralcio di un'intercettazione estrapolata dal contesto e non risultando neppure accertato se poi il (OMISSIS) sia mai stato arrestato per la detenzione di un'arma. La detenzione dell'arma poteva ascriversi a causa lecita (dono ricevuto dall'avv. (OMISSIS); armi legittimamente detenute e poi cedute a (OMISSIS)). 5. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) "in relazione agli articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 581 c.p.p. (capi 2 e 7 dell'imputazione)". L'aggravante si fondava sul "pregiudizio" secondo cui il ricorrente sarebbe stato affiliato proprio a (OMISSIS) che, per sua stessa ammissione, sarebbe stato tralasciato da tempo (dal 2013). Non era quindi illogico sostenere che il ricorrente avesse agito nell'interesse del singolo, anziche' del gruppo di riferimento, stante l'assenza di prova di legami con la cosca. 6. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 321 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, articolo 12 sexies articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articoli 546 e 581 c.p.p.. La censura investe la legittimita' e la motivazione del provvedimento di confisca. Contraddittoria era la motivazione con cui la Corte di merito aveva rigettato la richiesta di perizia sulle capacita' economiche dell'imputato. Ne' congrue erano le motivazioni in forza delle quali si era ritenuto che l'imputato avesse tenuto un tenore di vita adeguato e non indigente. Provenienza lecita avevano le somme rinvenute sul c/c del germano, in quanto si trattava di un conto su cui confluivano gli stipendi del congiunto.. 7. Con memoria in data 21/12/2021, la difesa del ricorrente ha proposto motivi aggiunti. In particolare, si argomenta ulteriormente sulla censura relativa al giudizio di attendibilita' del collaboratore (OMISSIS), all'assenza di validi riscontri esterni alla chiamata in correita', alla mancanza di una condotta di partecipazione. A tale ultimo proposito, si evidenzia come il ricorrente non avrebbe fornito alcun contributo al mantenimento in vita dell'associazione. Non era stata riscontrata la circostanza che l'imputato fosse l'armiere della cosca ovvero che avesse riferito ai presunti sodali notizie apprese da appartenenti alle forze di polizia. Anzi egli continuamente informava l' (OMISSIS) di circostanze utili alle indagini. Alle propalazioni dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine ad un presunto ingresso del (OMISSIS) nella locale di (OMISSIS), non vi era un elemento dimostrativo che all'affiliazione fosse seguito un comportamento attivo del ricorrente finalizzato a contribuire al mantenimento ed al rafforzamento del sodalizio in contestazione. Infine, si insiste con riguardo al vizio di motivazione dedotto con riferimento alla condotta di cui al capo 2) della rubrica ed all'assenza della relativa circostanza aggravante ad effetto speciale. (OMISSIS) (vedi sub motivi di ricorso del coimputato (OMISSIS)) (OMISSIS) (conferma, anni sei di reclusione ed Euro 7.000 di multa, in ordine ai capi 44), in esso assorbito il capo 19) e per come riqualificato, 45), in esso assorbita la sola detenzione del capo 44), 46), 47) e 48) della rubrica). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e) in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 1 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in riferimento ai reati contestati ai capi 44), 45), 46) e 47). Preliminarmente si censura la sentenza impugnata per non aver dato in modo diffuso conto delle ragioni per cui erano state disattese le censure mosse con l'atto di appello. Con riguardo alle violazioni della legge armi relative alle 11 pistole Glock, si lamenta l'assenza di un valido compendio probatorio dimostrativo della detenzione e del successivo porto ad opera del ricorrente, alla luce sia della natura millantatoria che ammantava i discorsi tra (OMISSIS) e l'imputato, sia del contenuto di un'intercettazione ambientale del 13 marzo 2014 da cui emergeva che, alla data delle contestazioni (accertato l'11.3.2014), il ricorrente non era in possesso delle armi (che sarebbe state "portate" dai presunti venditori al ricorrente) e, dunque, non poteva farne oggetto di porto in luogo pubblico (al (OMISSIS)), stante l'autonomia e diversita' delle due fattispecie. Relativamente, poi, alla contestazione della L. n. 110 del 1975, articolo 23, comma 3, (capo 45 illegale detenzione delle pistole di cui sopra, aventi matricola abrasa), dalla stessa conversazione riportata in sentenza risultava che la condotta di alterazione era riferibile a terzi ("no i numeri gliel'ha tolti"; conversazione tra il ricorrente e l'ordinante (OMISSIS)). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in riferimento al reato contestato al capo 48 (tentativo di acquisto di 10 kg di marijuana). Difettavano gli elementi di fattispecie, non avendo l'attivita' preparatoria assunto uno sviluppo tale da integrare il tentativo punibile. Le trattative, infatti, si erano arrestate ad un punto tale da non poter neppure presumere che l'accordo si sarebbe potuto concludere in un momento successivo. Ne' ai fini dell'affermazione di responsabilita' soccorreva la prova logica, in quanto sfornita del necessario corretto procedimento valutativo degli indizi e in assenza di un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Il riconoscimento della circostanza si fondava su una motivazione priva di rigore logico, posto che il ricorrente non era un associato mafioso, ne' la famiglia di appartenenza risultava vicina a contesti mafiosi, ne' tantomeno i suoi congiunti estranei a procedimenti di criminalita' organizzata. Gli elementi probatori raccolti non consentivano di dimostrare la conoscenza da parte del ricorrente del fine diretto delle condotte, ossia dell'agevolazione della cd. cosca scissionista. Ne' era decisivo a tale fine il contenuto dell'intercettazione in cui il ricorrente avrebbe invitato i gemelli (OMISSIS) a trascorrere un periodo di latitanza a (OMISSIS), trattandosi di proposta priva di serieta'. Peraltro, con riguardo alla comune posizione del (OMISSIS), il giudice del merito era pervenuto a risultati opposti. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla quantificazione della pena. La mancata concessione delle attenuanti generiche. Il diniego si fondava su una non consentita ritenuta incompatibilita' tra l'aggravante mafiosa e le attenuanti generiche comuni. CONSIDERATO IN DIRITTO (OMISSIS) Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine alla sussistenza del delitto associativo e' manifestamente infondato. 1.1. Sulla natura mafiosa dell'omonimo sodalizio capeggiato dal (OMISSIS), vedi quanto argomentato a proposito del motivo sub 1. con riferimento alla posizione di detto coimputato. 1.2. La seconda parte del primo motivo relativo alla compartecipazione della ricorrente in seno al sodalizio di cui al capo 1) della rubrica e' del tutto generico. La ricorrente non si confronta, infatti, con i molteplici elementi a carico declinati dai giudici di merito a conferma del ruolo dalla medesima assunto all'interno dell'associazione capeggiata dal marito. Invero, la condotta di partecipazione risulta essere stata ricavata da un serie di condotte di carattere servente e strumentale all'attuazione delle finalita' della cosca che danno ragionevolmente conto di come la ricorrente, lungi dal rivestire la mera qualita' di concorrente eventuale nei reati commessi dal (OMISSIS), in realta' sia a costante disposizione delle esigenze connesse al sodalizio, deponendo in tal senso le chiare condotte dimostrative declinate dai giudici di merito che danno conto di come l'imputata partecipi attivamente ai dialoghi con gli altri correi, intervenga nelle questioni relative agli affari di cosca e sia portatrice di un apporto conoscitivo di carattere proprio che criticamente introduce nei molteplici dialoghi intercettati (che vertono su questioni illecite) ai quali prende autonomamente parte. Del resto, la (legittima) prospettazione difensiva volta a ricondurre la ricorrente al ruolo di familiare culturalmente supina dei voleri del marito, additato di essere il capo dell'omonima âEuroËœndrina di riferimento, non rinviene - anche in ragione degli elementi sottesi a tale deduzione - alcun riscontro negli atti processuali menzionati dalla sentenza impugnata, vertendosi piuttosto in una sorta di militanza ubbidiente comune a quella che notoriamente si registra in molti affiliati di tali consessi e, nel caso in esame, tradotta in atto attraverso la commissione di un numero rilevantissimo di reati se si considerano quelli gia' coperti dal giudicato e ritenuti in continuazione (capi H, P, Q, U, V, W, X, Y, Z, come tali aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7), nonche' mediante condotte definite di tipo operativo (si cita, tra le tante, la manutenzione delle armi trafficate dal (OMISSIS)). Le conversazioni intercettate che la Corte di merito passa puntualmente in rassegna (si consideri tra le tante anche quella che evidenzia il comportamento tenuto dalla ricorrente dopo l'esecuzione delle perquisizioni ove partecipa alle strategie da adottarsi per il rinvenimento delle armi di cui al casolare e "con contributo fattivo ed a sangue freddo" sui progetti di fuga degli interessati, vedi pag. 1011) sorreggono, in punto di fatto, l'assegnazione di un ruolo tutt'altro che passivo, emergendo, al contrario, quello della donna che non si comporta da moglie solo passivamente convivente ma si mostra come il braccio risolutivo, attivo e fattivo del (OMISSIS), anche a causa della sua condizione di ristretto domiciliare; al riguardo, infatti, si e' specificato come la ricorrente lasci che il marito istruisca alla âEuroËœndrangheta i piu' giovani tra cui proprio il loro figlio (OMISSIS), abile maneggiatore di armi con il colpo in canna, di cui conosce i nascondigli nella terra e di cui realizza il trasporto dal casolare alla casa per mettere in mostra pistole e droga. Gia' solo questo sarebbe elemento idoneo a dimostrare come ci si trovi di fronte ad una donna di âEuroËœndrangheta, che collabora all'educazione in questo senso finalizzata del proprio figlio appena tredicenne. Proprio tale ultimo aspetto da' ragionevolmente conto anche della sussistenza del dolo e dell'aggravante speciale ritenuta sotto la forma dell'agevolazione mafiosa, risultando i contributi dati per un verso sostenuti dall'a ffectio societatis e, per altro, dalla direzione finalistica di rafforzare la cosca, nel cui diretto interesse la stessa ricorrente e' additata di agire. In tal senso, risulta essersi gia' pronunciata la stessa sentenza che ha giudicato e condannato l'imputata per gli ulteriori (e numerosi) delitti fine commessi che, oltre a trovare piena condivisione, sono stati direttamente ricondotti al consesso criminoso in cui si inserivano e che volevano favorire. Del resto, anche i comportamenti tenuti allorche' si scoprono i video di sorveglianza dell'abitazione collocati dalla P.G. ed il marito viene arrestato, danno conto di come la ricorrente fosse attivamente e scientemente parte del disegno perseguito, in ottica associativa, dal coniuge. Si precisa, infatti, nella sentenza impugnata, che ella discuteva, alla pari dei sodali, ed anzi mostrando a tratti una maggiore lucidita', circa le possibili conseguenze dell'attivita' di video sorveglianza, e si impegnava, una volta tratto in arresto il marito, nella gestione del patrimonio della consorteria, preoccupandosi di far riscuotere dai sodali i residui crediti vantati. In conclusione, la prova della condotta di partecipazione non solo e' stata correttamente tratta dai numerosissimi delitti fine - tra i quali assume spiccato rilievo quello relativo al recupero delle armi dell'associazione per conto del marito contestato al capo 56) - posto che attraverso essi si manifesta in concreto l'operativita' dell'associazione medesima (Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254233; Sez. 2, n. 19435 del 31/372016, Rv. 266670), ma rinviene altresi' precisi elementi dimostrativi in ulteriori comportamenti che, pur non assurgendo ad autonome fattispecie di reato, risultano causalmente espressivi, tanto sul piano oggettivo che soggettivo, di diretta intraneita'. Nessuna violazione di legge ne' vizio di motivazione e', dunque, ravvisabile nella sentenza impugnata per avere ritenuto la ricorrente parte attiva degli affari illeciti gestiti direttamente dalla âEuroËœndrina dell'allora marito, stabilmente a disposizione del pactum sceleris, ed in grado di offrire un concreto ed efficace contributo al mantenimento in vita ed al rafforzamento del sodalizio, emerso in questo procedimento. 2. Il secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene sufficiente motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione della ricorrente, essendosi specificamente precisato come "gli aumenti qui comminati per la continuazione tengono conto del progressivo incremento dell'azione criminale della (OMISSIS) che solo oggi appare connotato di un ruolo servente, ma non meno centrale nella conduzione degli affari illeciti della cosca" (vedi pag. 1025)". 3. Il terzo motivo relativo alla sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa con riguardo al delitto di cui al capo 56) della rubrica e' manifestamente infondato. Ai fini della sussistenza dell'aggravante speciale non solo rileva quanto gia' esposto sub 1.2, ma altresi' l'attribuzione alla ricorrente, in forza di pregnanti indici fattuali (vedi pag. 1023 ove si cita l'episodio relativo al recupero delle armi della cosca, pienamente dimostrativo della volonta' di servizio nei confronti del gruppo), del ruolo di parte integrante di quel progetto espansionistico che vuole il proprio marito al centro di una evoluzione futura della cosca piu' baricentrica nei grossi affari della tratta delle armi per rifornire esponenti delle maggiori cosche calabresi, quale fedele collaboratrice in queste attivita'. 4. Il quarto motivo in ordine alla sussistenza della recidiva (ritenuta nella forma semplice) e' inammissibile poiche' del tutto generico, non confrontandosi con la motivazione resa dalla Corte di merito (pagg. 10231024), la quale risulta avere operato una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacita' a delinquere del reo, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneita' della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacita' a delinquere della ricorrente che giustifichi l'aumento di pena, in ragione anche della tipologia del reato in precedenza commesso (una tentata estorsione), definito in linea con le emergenze e la personalita' dell'imputata per quanto emerso nel presente giudizio. (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione del principio della ragionevole durata del processo e' inammissibile. La censura, infatti, e' formulata in modo del tutto generico e, con riguardo all'epoca di commissione dei reati, priva di sanzione processuale. 2. Il secondo motivo relativo alla vicenda del traffico di armi di cui al capo 23) della rubrica e' manifestamente infondato. In proposito deve osservarsi che la sentenza impugnata nell'esposizione degli elementi di prova a carico del ricorrente e degli altri coimputati (vedi pagg. 536 ss.) ha chiarito, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, insindacabile in questa sede, le ragioni per le quali ha ritenuto asseverato il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda oggetto di imputazione. Al riguardo, si sono richiamate molteplici conversazioni di chiaro significato indiziante. Tra queste, la sentenza impugnata, anche ai fini della corretta identificazione del ricorrente, ha segnalato quella in cui il capo cosca (OMISSIS), aveva parlato con i coimputati del medesimo reato (OMISSIS) e (OMISSIS) del prezzo delle armi, interrogandosi con costoro sul guadagno che avrebbero ricavato dalla programmata vendita; nel contesto discorsivo (OMISSIS) si era riferito a tale "(OMISSIS)" (ossia il ricorrente), che sarebbe dovuto intervenire nella negoziazione, aggiungendo che qualcuno si sarebbe dovuto portare a (OMISSIS), paesi che, secondo le notizie acquisite in atti, sono quelli di nascita e residenza dell'indagato; altri discorsi riguardanti la trattativa per la compravendita di armi sono elencati nel provvedimento impugnato e da essi emerge che (OMISSIS) aveva evocato la presenza di una persona, che appellava indifferentemente (OMISSIS) o (OMISSIS). A completare il coinvolgimento del ricorrente, la sentenza impugnata ha citato le comunicazioni tramite facebook con il (OMISSIS), nonche' la pluralita' di visite effettuate dal ricorrente presso l'abitazione del capo cosca, nello stesso contesto temporale in cui questi si incontrava con i coimputati, accertate tramite visione diretta da parte di personale di polizia giudiziaria, nonche' i numerosissimi messaggi telefonici intercorsi tra i due. Alla luce degli elementi di fatto declinati in sentenza, e' stato correttamente ricavato come, con ogni evidenza, la trattativa avesse riguardato armi e munizioni, comuni e da guerra, ad elevata potenzialita' offensiva (tra cui kalashnikov, skorpion, bazooka), per un totale di 68 pezzi, secondo le chiare indicazioni contenute nei dialoghi captati, alcune in migliori condizioni e piu' ambite ed altre meno interessanti ma comprese nel pacchetto dell'offerta. In questo contesto, il ricorrente e il (OMISSIS) sono indicati come coloro che tenevano i contatti con i fornitori delle armi e mediavano tra questi (fornitori anche tra loro differenti a seconda dei propri canali di rifornimento) e la parte acquirente, ovvero (OMISSIS) ed il duo (OMISSIS)- (OMISSIS). La sentenza impugnata, pertanto, risulta avere indicato validi e diretti elementi di coinvolgimento dell'imputato nella trattativa illecita, aventi carattere individualizzante in quanto acquisiti nel mentre venivano registrati gli incontri dello stesso ricorrente con il (OMISSIS) e lo scambio tra di loro di diversi messaggi, con la conseguenza che l'assenza del propalato dei collaboratori di giustizia - che rinviene, peraltro, una spiegazione non affatto illogica con riguardo alla vicenda in esame essendosi evidenziate le ragioni "strategiche" che avrebbero condotto il ricorrente a non rendere partecipe di tali traffici lo (OMISSIS) e i motivi per cui non vennero rivolte domande al (OMISSIS) sul punto (vedi pag. 629-630) - non risulta affatto decisivo ai fini della prova di colpevolezza. In tale chiaro quadro probatorio il motivo di ricorso finisce per proporre un'interpretazione alternativa dei dati di indagine, che oltre ad essere inammissibile, risulta smentita dalle emergenze processuali indicate nelle sentenze di merito. 3.4. Il terzo ed il quarto motivo in ordine alla corretta sussunzione della vicenda relativa alle armi nell'alveo della condotta penalmente rilevante, con esclusione dell'ipotesi del cd. "quasi-reato" di cui all'articolo 115 c.p., sono infondati. Dalle ampie trascrizioni delle conversazioni, compiutamente riportate nella sentenza impugnata, con costanti riferimenti da parte del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del duo (OMISSIS)- (OMISSIS), all'acquisto di armi, la Corte di merito, senza illogicita', ha correttamente ritenuto l'apporto assicurato dal ricorrente idoneo, tanto sul piano causale che soggettivo, ad assumere rilievo sotto il profilo concorsuale, in aderenza ai principi piu' volte affermati da questa Corte, secondo cui lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011; in termini anche in relazione alla stessa vicenda in sede cautelare, Sez. 5, n. 21235 del 2017). Ai fini dell'integrazione della condotta punibile, con esclusione, quindi, dell'ipotesi del "quasi-reato" prospettata nel ricorso, si e' anche evidenziato, in punto di fatto, come il (OMISSIS) avesse personalmente accompagnato (OMISSIS) e (OMISSIS), grazie all'interessamento del (OMISSIS), a visionare le armi oggetto della trattativa; inoltre, si era fatto portavoce del prezzo proposto dal gruppo acquirente presso i fornitori. Dal canto suo, il (OMISSIS), pur ristretto presso il suo domicilio, non solo aveva negoziato il prezzo e le condizioni di vendita, ma aveva anche organizzato gli incontri tra i fornitori, (OMISSIS) e (OMISSIS) per visionare la merce. Questi ultimi due imputati, oltre a recarsi personalmente a visionare le armi, ed a discuterne delle condizioni di vendita, si erano adoperati, al pari del (OMISSIS), per reperire la liquidita' necessaria e gli acquirenti finali. Pertanto, non si e' trattato, secondo la descrizione fatta dai giudici di merito, di un semplice fatto di essersi accordati con altri in relazione alla commissione di un reato a cui non e' seguita la messa in atto del proposito criminoso (articolo 115 c.p.), bensi' di avere compiuto sistematicamente un'attivita' materiale improntata a serieta' e concretezza, alla realizzazione della quale ciascun coimputato ha apportato un contributo tanto di carattere materiale che morale, volta all'attuazione di quel proposito criminoso. Le condotte evidenziate dai giudici di merito integrano, all'evidenza, il concorso materiale nel reato di cui alla imputazione. Sotto tale profilo, quindi, gli imputati hanno posto in essere una vera e propria attivita' di intermediazione, giuridicamente riconducibile nel concetto di "porre in vendita" di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1. Sul punto correttamente risulta richiamata dalla sentenza impugnata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui integra il reato previsto dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9 anche la semplice offerta in vendita delle armi, non essendo necessario che alla condotta dell'agente siano seguiti effetti traslativi della proprieta' o la materiale consegna del bene, ma solo che risulti accertato lo svolgimento di trattative serie tra i soggetti interessati alla negoziazione (Sez. 1, n. 10071 del 25/06/2014, dep. 2015, Rv. 262691), ed ancora a mente della quale lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni senza licenza integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 (mod. dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9), ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta diponibilita', nei potenziali contraenti delle armi e del denaro o l'accettazione dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, Sentenza n. 5570 de111/11/2011, dep. 2012, Rv. 251835; in termini con riguardo al (OMISSIS) in sede cautelare, vedi Sez. 5, n. 21235 del 2017). Quanto al ricorrente, poi, sebbene legittimamente in un'ottica difensiva si e' tentato di parcellizzarne la posizione al fine di escludere la pregnanza contenutistica del contributo offerto, la lettura unitaria della vicenda correttamente operata dai giudici di merito ne consente di apprezzare il rilievo causale (anche in termini di rafforzamento dell'operato degli altri correi), vertendosi in un'ipotesi in cui tutti i contributi nelle diverse forme prestati, vertenti alla realizzazione dello stesso fine, assumono valenza punibile, in ossequio al principio della tipizzazione unitaria del concorso di persone nel reato, basata sul criterio dell'efficienza causale della condotta di ciascun concorrente, non essendo richiesto che tutti pongano in essere la condotta tipica. 5. Il quinto motivo in ordine alla sussistenza del delitto di cui al capo 24) e' generico. Invero, l'affermazione di responsabilita' non solo poggia sull'affermazione, particolarmente significativa in ragione dell'autorevolezza del personaggio e del contesto riservato in cui e' riferita, del (OMISSIS), il quale rende noto ai conversanti che anche il ricorrente gli aveva affidato in custodia le sue armi, ma e' altresi' avvalorata, quanto alla sua pregnanza contenutistica, da precisi riferimenti che attengono anzitutto alla convergenza dei dialoghi sulle armi ed alla piena capacita' del (OMISSIS) tanto di assurgere a mediatore di "sistema", quanto di risultare un possessore di armamentari di spiccato rilievo. Inoltre, e si tratta di un ulteriore elemento significativo in quanto attualizza l'affermazione del (OMISSIS) nel relativo contesto d'accusa, si precisa come il riferimento si collochi allorche' si stanno imbastendo delle trattative volte all'acquisto di armi e droga, in particolare il duo (OMISSIS) e (OMISSIS), attraverso l'intermediazione del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del ricorrente (i quali agiscono anche per mezzo di canali di rifornimento tra loro ulteriori e differenti), e' interessato principalmente alle armi da guerra, nel cui stock accetta di prendere "anche quelle brutte" o di tipo comune, meno interessanti per i loro acquirenti. Nel premurarsi, il (OMISSIS), di rassicurare gli acquirenti sulla bonta' della trattativa, precisa che armi del tipo evidentemente di quelle ricercate per l'occasione dai suoi interlocutori (principalmente armi da guerra, come si e' visto) il (OMISSIS) ed il ricorrente non ne possedevano attualmente in modo diretto, per il momento, mentre le armi di altro genere che erano state gia' in loro possesso erano nella disponibilita' detentiva del (OMISSIS), che le custodiva per loro conto. A riscontro di questa ipotesi, la sentenza impugnata richiama anche gli esiti del procedimento n. 1982/14 RGNR dda (le cui sentenze passate in giudicato sono state acquisite in atti e prodotte anche dalla difesa degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, che rimarcano il quantitativo particolarmente significativo di armi e munizioni e l'esistenza di un canale privilegiato di approvvigionamento e di una sfera clientelare ben affiatata), in cui venivano monitorati e videoripresi gli accessi continui nella proprieta' del (OMISSIS) dei personaggi rientranti nel circuito criminale di tale imputato, che ivi si recavano per portare o, viceversa, per acquistare armi e droga, che risultavano detenute o in un casolare/rudere prospiciente alla sua dimora, utilizzato dagli imputati quale deposito per il predetto materiale, oppure - per brevissimi spazi temporali - appoggiati provvisoriamente presso la stessa sua dimora (si cita, tra i tantissimi scambi videoripresi, quello relativo al fucile d'assalto Ak 180 cal. 5,56 mm con matricola parzialmente illeggibile trasportato dentro l'abitazione del (OMISSIS) da Papaluca Emanuele e ricevuto dalla (OMISSIS), odierna imputata, moglie del (OMISSIS), unitamente ad una pistola e poi ritirato e trasportato da (OMISSIS) fuori dall'abitazione del (OMISSIS) - e sequestratogli il (OMISSIS) - a testimonianza della sua abitudine a detenere in proprio e per conto terzi simili materiali. 6. Il sesto motivo relativo al capo 26) della rubrica, in merito all'attivita' finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina ed alla sussistenza del tentativo punibile, e' infondato. Invero, la sentenza impugnata ha precisato come la deduzione, secondo la quale dalle conversazioni oggetto di captazione non emergerebbe una chiara attivita' tra i colloquianti finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente, risulti smentita dal tenore dei colloqui captati, nel corso dei quali si fa specifico riferimento all'acquisto non solo della marijuana, ma anche della "polvere", la cocaina appunto, come risulta chiaro dai riferimenti del (OMISSIS), che propone ai suoi interlocutori di pagare una parte del corrispettivo delle armi, tramite la cessione anche di cocaina e specificamente proponendo a (OMISSIS) di acquistare droga da trattare, evidenziando in proposito la necessita' di "assumere" un altro ragazzo per finire in tempo il lavoro. Lo stesso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) riferivano al (OMISSIS) di aver visionato in occasione della visita ai fornitori con il Lanari, oltre alle armi, marijuana e lo stesso (OMISSIS) in proposito precisava agli interlocutori di effettuare per l'acquisto una controproposta ad un prezzo inferiore; inoltre, oltre a tale trattativa vi era in corso anche un'altra trattativa avviata anche con fornitori di nazionalita' albanese contattati dal ricorrente. La predetta operazione di finanziamento, a mezzo del procacciamento anche della cocaina, si legge nelle stesse parole del (OMISSIS) e si realizza sempre attraverso il pieno coinvolgimento del ricorrente. Peraltro, a riprova della serieta' e dello stato di avanzamento della trattativa, la sentenza impugnata, a riscontro che lo stupefacente in arrivo era del "materiale", gia' dentro casa del (OMISSIS), come dallo stesso ammesso, o comunque trattabile con i sistemi ed i mezzi ben conosciuti a detto coimputato, di cui egli era gia' in possesso, cita anche la condanna definitiva del predetto e della moglie nel procedimento penale antecedente a quello odierno (n. 1982/2014 RGNR) per la detenzione a fini di spaccio di grammi 600 di cocaina, accertata il 22 marzo 2014, e di grammi 1.029 di cocaina rinvenuta e sequestrata il 24 marzo 2014 presso il rudere/casolare antistante l'abitazione dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), da cui sono risultati ricavabili 49.416,6 mg di principio attivo puro e ricavabili 320,4 dosi medie singole. Si tratta, infatti, di un periodo di poco contemporaneo alle trattative in atto per l'acquisto di ulteriori partite di cocaina da utilizzare quale merce di scambio o di finanziamento dell'operazione di acquisto per le armi da dirottare verso il mandamento fonico con l'intermediazione dei concorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Pertanto, correttamente il giudice del merito ha ricondotto la corposa contrattazione, sebbene non conclusa, alla figura del tentativo, alla luce del numero di incontri anche rischiosi tra le parti, della visione della merce, delle trattative per mezzo anche di contatti esterni al ristretto gruppo criminale agente, dei continui tentativi di reperire, anche a mezzo dei finanziatori, quanto necessario a comprare l'intera partita di armi da guerra di vario genere, sia pure mediante il ricavato della vendita della droga, del passaggio di parziali somme di denaro dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e dal (OMISSIS) al (OMISSIS) per la formazione di una liquidita' iniziale su cui contare per ottenere parte delle armi e della droga da acquistare anche per il gruppo (OMISSIS) (a tale proposito si richiamano anche i "desiderata" espressi dai coimputati (OMISSIS) "affascinati dall'idea del possesso e dell'acquisto di mitra da guerra", vedi pag. 205, 217 e 219 della sentenza impugnata). Tali elementi, nei limiti del sindacato demandato a questa Corte volto a verificare l'esistenza di una logica motivazione in ordine ai punti censurati, risultano idonei a dar conto della sussistenza di un valido compendio probatorio in ordine al reato contestato. Peraltro, anche riguardo a tale ipotesi di reato, la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando riter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018, Rv. 273961; in termini con riguardo alla vicenda cautelare, Sez. 5, n. 21235 del 2017). 7-8-9-10 e 11. I motivi dedotti in tema di sussistenza, rispetto ai delitti di cui ai capi 23) e 26) della rubrica, dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sono inammissibili e/o infondati. Quanto ai dedotti vizi di legittimita' in ordine alla sussistenza dell'aggravante speciale con riguardo ai delitti in materia di armi e di droga (limitatamente ai capi 23 e 26, essendo stata esclusa con riguardo al capo 24 gia' dal primo giudice), va anzitutto precisato che le doglianze sono inammissibili per carenza di interesse laddove censurano la circostanza nella declinazione del metodo. Invero, sebbene nel capo di imputazione sia stata elevata, in relazione a tutti i delitti fine, in modo disgiuntivo ("ovvero") la contestazione tanto per essersi avvalsi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis c.p. (metodo), quanto al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo (agevolazione), gia' il primo giudice ha ritenuto configurabile l'aggravante speciale esclusivamente con riguardo alla finalita' di agevolazione della locale di âEuroËœndrangheta, per come si legge a pag. 436 e ss. della relativa sentenza. Quanto, invece, all'agevolazione, osserva il Collegio che la motivazione ha dato ampiamente conto delle ragioni per le quali e' stata ritenuta l'aggravante speciale in favore della compagine facente capo al (OMISSIS); sono stati, infatti, menzionati i dati della pluralita' di trattative illecite in essere tra i due, le caratteristiche e le quantita' di armi - comuni e da guerra - e droghe pesanti e leggere - oggetto del commercio illecito, ponendo in luce, in modo conseguenzialmente coerente, la necessita' di poter contare su ingenti risorse finanziarie da parte degli acquirenti, di cui la cosca aveva la disponibilita', nonche' i notevoli guadagni che ne avrebbe ricavato tramite la vendita, tesi ad aumentare il potere ed il prestigio criminale del nascente gruppo. In tale cornice, e' stata sottolineata la costanza di rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dirigente del sodalizio mafioso, che in quel frangente storico stava realizzando il progetto criminale di dare vita ad un proprio autonomo sodalizio delinquenziale, con l'appoggio della famiglia (OMISSIS). Peraltro, sul punto, va rimarcato come questa Corte abbia affermato che integra la circostanza aggravante la condotta di agevolazione del vertice di un'associazione mafiosa che, in ragione della coincidenza tra interessi del capo, beneficiario della condotta, e quelli dell'associazione, si traduca in un ausilio al sodalizio criminale nel suo complesso (Sez. 5, n. 36842 del 10/06/2016, Rv. 268018). Nel caso in esame, plurimi sono gli elementi indicati dai giudici di merito (vedi anche in particolare la parte della sentenza impugnata dedicata alla cosca (OMISSIS)) che danno conto di una obiettiva "inscindibilita'" tra gli interessi perseguiti dal (OMISSIS) e l'omonima cosca di riferimento, a favore della quale le molteplici attivita' illecite erano finalisticamente dirette. Concorre, poi, ad avvalorare, sul piano soggettivo, l'attribuzione al ricorrente dell'aggravante speciale - nel senso di ritenere che egli abbia agito in base a tale finalita' o comunque l'abbia condivisa e fatta propria - anche lo specifico contesto di criminalita' organizzata descritto dai giudici di merito in cui i reati vengono a collocarsi. In particolare, si e' precisato come il traffico di armi costituisse il viatico per implementare la forza di potere e di capacita' intimidatoria delle cosche della fonica interessate al loro acquisto e delle cosche della tirrenica (in primis quella rappresentata dal (OMISSIS)) e destinato, negli intenti degli imputati, a creare un canale stabile di rifornimento a cui stavano dando vita soggetti ben calati in detto contesto risultando gia' condannati per associazione mafiosa ( (OMISSIS), (OMISSIS) e lo stesso ricorrente) o contigui a tali consessi ovvero additati di essere "fedeli emissari delle organizzazioni territoriali di riferimento" (il duo (OMISSIS)- (OMISSIS)). I continui riferimenti nel compendio intercettivo alla "comune appartenenza mafiosa", quale comune determinatore di un'iniziativa destinata a ripetersi nel tempo proprio in ragione dell'affidabilita' "soggettiva" dei rispettivi partecipanti, in ragione della storiografia criminale da ciascuno annoverata e dei legami, anche parentali, annoverati con le varie cosche di interesse, danno ragionevolmente conto di come ciascuno avesse ben presente la chiara finalizzazione di agevolazione mafiosa della rispettiva condotta, stante anche l'assenza di una lettura alternativa priva delle necessarie probanti allegazioni. Ne', poi, per come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, osterebbe al riconoscimento dell'aggravante l'individuazione di una sola cosca di âEuroËœndrangheta favorita, ben potendo la finalita' agevolativa investire piu' "famiglie" mafiose, soprattutto allorche' ci si trova al cospetto di un'organizzazione a matrice unitaria raggruppatasi sotto l'organo di vertice costituito dal direttorio "la cd. Provincia" a capo dei tre mandamenti jonico, tirrenico e della citta' di Reggio Calabria (Sez. 5, n. 48676 del 14/05/2014, Rv. 261912). L'aver poi accertato come l'acquisto della droga fosse funzionale a finanziare quello delle armi, costituente il viatico per implementare la forza di potere e di capacita' intimidatoria delle cosche di âEuroËœndrangheta che, quale compenso, avrebbero ricevuto parte dell'arsenale, cosi' incrementando il bottino di armi detenute per conto di tutti, da' correttamente conto della sussistenza dell'aggravante speciale stante la necessaria strumentalita' tra i due reati ed il loro collegamento finalistico, per come, peraltro, gia' accertato nella sentenza passata in giudicato della Corte di appello di Reggio Calabria emessa a carico di (OMISSIS) e dei coimputati del (OMISSIS) nel procedimento n. 1982/14 RGNRDDA. 12. Il dodicesimo motivo di ricorso relativo alla prescrizione del reato di cui al capo 26) e' inammissibile poiche' si fonda su una prospettata insussistenza dell'aggravante speciale che invece non e' stata neppure esclusa in questa sede; inoltre, la censura omette di tenere conto delle numerose sospensioni legali della prescrizione pure intervenute nel corso del processo (quantificate in complessivi giorni 929) di cui e' stato dato atto espressamente in sentenza. 13. Il tredicesimo motivo di ricorso in ordine alla recidiva e' manifestamente infondato, risultando la Corte di merito avere indicato le specifiche ragioni a sostegno dell'aumento di pena e della persistenza della maggiore capacita' a delinquere dell'imputato. I precedenti annoverati dall'imputato - tra i quali si sono indicati la condanna per associazione mafiosa ed il riconoscimento della finalita' agevolatrice in ordine al delitto di usura, unitamente all'applicazione ed alla violazione reiterata delle misure di prevenzione - risultano logicamente dimostrativi di una stile di vita caratterizzato da contatti con ambienti criminali mafiosi e, pertanto, si legano con i fatti oggetto del presente giudizio quale rinnovata conferma di una maggiore pericolosita' sociale. 14. L'ultimo motivo di ricorso in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. Invero, nessun vizio di illogicita' sconta la sentenza impugnata per avere riservato una motivazione unitaria al relativo diniego, tenuto conto che il profilo ostativo attinente alla particolare gravita' dei reati accomuna piu' ricorrenti, in quanto commessi in concorso tra loro. Peraltro, con riguardo specifico alla posizione dell'imputato, si sono richiamati anche i precedenti penali, di indubbia gravita' e tanto basta a rendere congrua la motivazione, alla luce del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62-bis c.p. e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163). 15. Nulla aggiungono i motivi aggiunti di decisivo ai fini dell'accoglimento delle censure svolte con il ricorso principale. (OMISSIS); Il ricorso e' fondato nei limiti di cui in motivazione. Infondato nel resto. 1. Il primo motivo in ordine alla partecipazione del ricorrente alla locale di (OMISSIS) e' infondato. In punto di fatto, la Corte di merito, anche mediante il richiamo della sentenza di primo grado, ha ripercorso analiticamente le risultanze processuali che risultano fondate: sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS) e (OMISSIS) Lorenzo; sulle intercettazioni delle comunicazioni fra presenti realizzate all'interno dell'abitazione di Landini Giuseppe e sulla contestuale individuazione degli interlocutori attraverso una videocamera posta all'interno di un palo per l'illuminazione pubblica collocato nei pressi di detta abitazione. Con particolare riguardo alla posizione del ricorrente, il collaboratore (OMISSIS) ha dichiarato che tale (OMISSIS), un tabaccaio con un negozio sito a (OMISSIS) salendo verso la montagna, faceva parte della cosca, subordinato al capo cosca (OMISSIS), ed ha riconosciuto la persona da lui indicata nel (OMISSIS), che effettivamente ha una rivendita di tabacchi a (OMISSIS) nella zona indicata da (OMISSIS). Il secondo elemento valorizzato nella sentenza impugnata e' rappresentato dal contenuto di una conversazione fra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso della quale il primo elenca gli affiliati storici alla cosca di (OMISSIS) e gli anziani ancora operativi, citando "quello dei tabacchi, quello infamone"... a (OMISSIS), (OMISSIS) lo ha portato", che e' stato inteso come chiaro riferimento a (OMISSIS), subordinato al (OMISSIS). Sono indicati, poi, i riscontri costituiti dalla accertata frequentazione, da parte del ricorrente, del (OMISSIS) e di altri pregiudicati, nonche' dalle affermazioni di (OMISSIS) secondo cui il ricorrente utilizzava la sua rivendita di tabacchi per rifornire la criminalita' organizzata di schede telefoniche intestate a terze persone e quindi idonee ad eludere le investigazioni. La sentenza impugnata ha dunque indicato una serie di elementi dotati di particolare significato indiziante, la cui convergenza e combinazione logica consentono di avvalorare la chiamata in correita' rivolta dallo (OMISSIS) al ricorrente. A tale riguardo, rileva, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, anche l'accertata frequentazione del ricorrente proprio con il (OMISSIS), il quale a detta del collaborante l'avrebbe "portato" all'interno della cosca di âEuroËœndrangheta. Se infatti le mere frequentazioni con soggetti pregiudicati non possono valere di per se' quale esclusivo elemento dimostrativo della partecipazione, cio' non toglie che possano assumere valenza di riscontro alla chiamata in correita' allorche' confermative di una circostanza narrata dal collaboratore. Peraltro, nel caso in esame, la rilevanza di tale frequentazione ai fini della prova del narrato del collaboratore e' anche ulteriormente confermata dal riferimento all'esistenza del rapporto di cosca che lega il ricorrente con il (OMISSIS) che si trae dalle intercettazioni ambientali effettuate a casa del (OMISSIS), di particolare significato probatorio in quanto provenienti da un soggetto storicamente a pieno titolo facente parte della cosca di (OMISSIS) che conversa con altri soggetti ad essa intranei (il (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS), nonche' la moglie (OMISSIS)). La circostanza, poi, che proprio un esponente autorevole come il (OMISSIS) abbia definito il ricorrente, durante la conversazione, un "infamone", termine generalmente utilizzato per indicare un traditore o un delatore e, a detta della difesa, certamente non un associato mafioso, non si pone affatto in termini di inconciliabilita' logica con il riconoscimento della qualifica di associato in quanto la sentenza impugnata, mediante una lettura unitaria di quanto captato, ha evidenziato come tale termine sia stato riferito dal (OMISSIS) anche a soggetti ai quali era stata addirittura attribuita la "Santa". Pertanto, anche laddove non si ritenesse logica la conclusione della sentenza impugnata laddove giunge ad assegnare a tale termine non il significato di tradimento, bensi' di caratura criminale, resta il fatto, indubbio, che il ricorrente, nell'ambito della ricognizione degli accoliti che il (OMISSIS) faceva nell'ottica di costituire una sua autonoma compagine, sia stato chiaramente additato come partecipe alla locale, in cui era entrato per iniziativa del (OMISSIS), per come riferito, in modo del tutto convergente, dal collaboratore (OMISSIS) che gli attribuisce anche la dote di "sgarrista", grado superiore al picciotto. Il fatto che il (OMISSIS), poi, sia rientrato o meno nelle "grazie" del (OMISSIS) poco importa, in quanto al ricorrente e' mossa l'accusa di avere fatto parte della locale di (OMISSIS) e non dell'articolazione interna riferibile al (OMISSIS) ed al suo progetto autonomista. La convergenza proveniente dal (OMISSIS) in punto di attendibilita' del narrato del collaboratore rende di conseguenza del tutto priva di decisivita' la doglianza attinente all'ipotizzato risentimento che lo (OMISSIS) avrebbe nutrito nei confronti dell'imputato in ragione di un rifiuto per un acquisto di sigarette avvenuto senza pagare, profilo che comunque la Corte di merito svaluta con motivazione non manifestamente illogica anche in ragione del fatto che l'accaduto non sarebbe avvenuto al cospetto di affiliati. Anche con riguardo al contenuto della condotta di partecipazione la sentenza impugnata sfugge ai vizi di legittimita' denunziati: per un verso si precisa, in termini logici, che l'attribuzione al ricorrente di una dota superiore a quella base di mero picciotto a disposizione e che ne ha determinato un avanzamento nella compagine sia necessariamente dipesa, per il contesto criminale di riferimento, da meriti acquisiti proprio nella realizzazione di compiti ed attivita' funzionali agli interessi ed obiettivi illeciti perseguiti dalla cosca; per altro si valorizza la capacita' del ricorrente di rifornire i criminali di identita' telefoniche sicure, anche con il ricorso al commercio in nero, come la contravvenzione per abusivo gioco d'azzardo presso il suo locale confermerebbe, dimostrativa della sua propensione ad esercitare ivi anche attivita' non ufficiali e non registrabili dal punto di vista dei commerci assentiti e regolari. 2. Fondato, invece, risulta il secondo motivo con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo, la Corte ha fondato il diniego sul rilievo che si tratterebbe di una affiliazione "fiduciaria" da parte di maggiorenti del gruppo risalente nel tempo e sostanziata da condotte di vita che consentivano l'anonimato a pericolosi personaggi, esecutori di atroci crimini. Con riguardo al primo profilo di disvalore legato alla condotta di partecipazione, si tratta di un'affermazione generica in quanto non accompagnata dai necessari elementi di specificazione tanto con riguardo alla insistenza temporale che alla natura "fiduciaria" del vincolo. Inoltre, con riguardo ai comportamenti dimostrativi di soggettiva capacita' criminale, quello di avere fornito schede telefoniche di copertura viene legato, in punto di disvalore, all'esecuzione di atroci crimini, circostanza quest'ultima indimostrata e dunque del tutto assertiva. 3. Anche il terzo motivo con cui si lamenta l'omessa motivazione in ordine alla durata dell'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata (obbligatoria nel caso di specie) risulta fondato, non avendo la Corte di merito esaminato il relativo motivo di appello articolato sul punto dal ricorrente (n. 5, pag. 23 dell'atto di appello) e dovendo il giudice del merito dare conto, anche succintamente, delle ragioni in forza delle quali stabilisce il limite di durata della misura di sicurezza. Se, infatti, in tema di associazione di tipo mafioso, l'applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall'articolo 417 c.p. non richiede da parte del giudice della cognizione di merito l'accertamento in concreto della pericolosita' del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarieta', il giudice e', invece, tenuto a motivare adeguatamente in ordine al corretto uso del potere esercitato quanto alla determinazione, superiore al minimo di legge (quale e' il caso in esame), della durata della misura applicata (Sez. 2, n. 23797 del 17/07/2020, Rv. 279486). 4. Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Va, invece, rigettato il ricorso nel resto e dichiarata, ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione (mancanza e/o apparenza) sul rilievo di un'acritica copiatura della sentenza del primo giudice, e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, con una tecnica espositiva riferibile a tutte le posizioni degli imputati, ha dapprima evidenziato, mediante l'espresso richiamo a quella di primo grado, gli elementi probatori posti a carico del ricorrente, per poi passare ad esaminare i motivi di appello, dedotti in modo specifico facendo riferimento alle diverse censure sollevate, in relazione alle quale ha fornito adeguata motivazione (in particolare quanto al ruolo attribuito al ricorrente si veda sub 2-3-4. ultimo cpv.; con riferimento alla permanenza della condotta di partecipazione contestata si veda sub 10). Il richiamo, pertanto, della decisione del primo giudice non priva affatto di alcuna autonomia grafica e valutativa la sentenza impugnata che si "nutre" di diffuse argomentazioni aventi carattere autonomo e critico. 2-3-4. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso - che possono trattarsi unitariamente stante la stretta connessione delle questioni poste attinenti alla sussistenza della contestazione associativa ed alla partecipazione del ricorrente a tale consesso di stampo âEuroËœndanghetista - sono generici e manifestamente infondati. Quanto alla condotta di partecipazione del ricorrente all'omonima cosca di âEuroËœndrangheta, la Corte territoriale, lungi dall'operare una sorta di non consentita "traslazione" temporale tra i precedenti giudicati per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. (cd. processi Il (OMISSIS) e (OMISSIS), che coprono il periodo sino all'11/1/2012) e le prove in quei procedimenti acquisite, ha invece fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicche' l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo' rilevare solo quale elemento significativo di un piu' ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Rv. 275586). Al riguardo, infatti, la sentenza impugnata ha indicato una serie di elementi, di particolare significato e dotati di novum, che consentono di ritenere mai interrotta l'adesione dell'imputato all'omologo consesso mafioso, del quale si e' asseverata la persistenza. Cosi', a detti fini, rileva anzitutto ed in modo particolare l'episodio estorsivo di cui al capo 80) della rubrica ai danni della ditta del (OMISSIS), essendosi evidenziato come si trattasse della "ripresa" di un'attivita' estorsiva gia' in essere prima che l'imputato venisse arrestato a cagione delle pregresse accuse e che aveva formato gia' oggetto di contestazione e condanna proprio nel procedimento che aveva asseverato la partecipazione del ricorrente all'omonima cosca (c.d. processo (OMISSIS) ove il ricorrente veniva condannato oltre che per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., anche per le estorsioni continuate aggravate commesse ai danni di (OMISSIS), nella qualita' di gestore di fatto dell'impresa boschiva intestata al padre (OMISSIS)). E che si trattasse di un'estorsione di cosca e' correttamente tratto non solo dai chiari riferimenti contenuti nelle intercettazioni ove e' lo stesso imprenditore soggiogato a collegare tale iniziativa ad una vicenda estorsiva non ancora sopita, nonostante le denunce poi ritrattate a seguito di danneggiamenti ritorsivi, ma anche perche' la pretesa doveva comprendere quanto dalla ditta percepito per l'esecuzione di lavori aggiudicati nel periodo di detenzione del ricorrente. Volere conto dei lavori illo tempore eseguiti significa che la vicenda estorsiva non si e' mai interrotta, a prescindere dalla carcerazione subita dal ricorrente. Una richiesta, pertanto, che rinveniva una precisa causale nella persistenza del pizzo imposto dalla cosca su un'attivita' economica che aveva caratterizzato l'illecito agire di tale sodalizio per come giudizialmente accertato e per come ricavato dai chiari riferimenti operati a tale vicenda dallo stesso (OMISSIS) nel corso dei dialoghi intercettati che la colloca proprio nell'ambito delle estorsioni operate dalle cosche di âEuroËœndrangheta in quel territorio, al pari di quelle realizzate ai danni della ditta del (OMISSIS) che vedeva coinvolto altro appartenente della famiglia (OMISSIS) (capo 38 della rubrica) ed il cui placet, unitamente a quello del (OMISSIS), aveva consentito alla ditta (peraltro di provenienza territoriale "esterna") di lavorare in quel territorio. Insomma, una storia che si ripete con analoghe modalita' di imposizione del pizzo e del controllo dei lavori pubblici e privati, in cambio di una presunta guardiania sui beni delle ditte, tipico dell'agire dei consessi mafiosi di stampo âEuroËœndranghetista. La Corte territoriale supera, pertanto, con congrua motivazione, la lettura parcellizzata dell'episodio che offre (legittimamente) la difesa e lo cala nell'ambito di una situazione di fatto - asseverata anche autonomamente in questo processo (sulla scorta del captato del (OMISSIS) e dei diversi delitti fine commessi ascrivibili alla cosca (OMISSIS)) - caratterizzata da un'insistenza delle cosche sulle attivita' imprenditoriali locali e territoriali di riferimento in cui si colloca la condotta del ricorrente che, dunque, non puo' ritenersi avulsa, per quanto dagli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente riferito, dal contesto associativo di cui costituisce la diretta espressione. Del resto, il rimprovero mosso al (OMISSIS) di non essersi subito portato al cospetto del ricorrente appena uscito di prigione - per risolvere la questione e l'imbasciata dal primo operata verso l'imputato, per il tramite di uno dei suoi figli, affinche' si ragionasse, costituiscono ulteriori indici che qualificano il fatto estorsivo, conferendogli "l'esatto nome". La riconducibilita' di tale vicenda ad un contesto mafioso e, dunque, in continuita' col precedente giudicato, rinviene nella sentenza impugnata anche un'ulteriore conferma, laddove si riportano alcuni episodi che, pur non assurgendo alla soglia di reati fine, sono indicati come dimostrativi del fatto che il ricorrente, uscito di prigione, si comportasse come "capo mafia". Si citano, al riguardo, il messaggio, rivolto dall'imputato ad un tale per non avergli inviato i saluti in carcere, durante la detenzione, a differenza di quanto fatto da altri suoi congiunti. Un rimprovero che, in assenza di altre causali e del contesto di insieme, e' stato logicamente ricondotto ad una mancanza di rispetto che doveva essere prestato alla persona del ricorrente, per come avvalorato anche dagli allusivi riferimenti ai rapporti dell'imputato in quell'occasione evocati con i " (OMISSIS)" ed i " (OMISSIS)" ed al timore di possibili ritorsioni ai danni di chi tale codice d'onore non aveva rispettato; la pretesa, espressa con tono minaccioso e prepotente, di pagare alla meta' del prezzo quanto l'imputato si apprestava ad acquistare in un negozio di giocattoli; le pressanti richieste ai macellai della zona di comprare da lui la carne, come riferito dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), richieste che venivano esaudite in ragione del fatto che gli interlocutori, impauriti, erano ben consapevoli del suo spessore criminale. Si tratta, all'evidenza, di comportamenti di carattere "prevaricatorio" che, proprio per esser stati realizzati successivamente alla scarcerazione, si prestano ad essere interpretati come causalmente volti a riaffermare la presenza dell'autorita' del ricorrente e dell'omonima cosca sul territorio. A tale riguardo, e' importante sottolineare come lo stesso giudice del merito, a conferma della sua lettura, precisi come proprio nelle sentenze passate in giudicato, tra gli elementi evocativi dell'appartenenza al consesso mafioso, siano stati accertati altri comportamenti di tal genere, se non del tutto analoghi. Ma allora del tutto logico e conseguenziale e' legare, a tale rinnovato contesto di carattere impositivo, la vicenda estorsiva citata in premessa, ove la natura "qualificata" del reato e' del tutto coerente con la natura "mafiosa" di tali comportamenti volti a riaffermare il controllo del territorio ad opera della stessa famiglia che ivi aveva esercitato il potere. Ed a tanto il ricorrente poteva proprio per la posizione da sempre occupata nell'omonima cosca, circostanza a tutti nota, per come dalla sentenza esplicitato in forza dei dichiarati acquisiti dai soggetti menzionati nei vari episodi. Con la conseguenza che, se questo e' il contesto che fa sfondo al reato estorsivo, l'affermazione difensiva secondo cui - contrariamente al passato - i proventi li avrebbe intascati direttamente l'imputato senza finire nella "bacinella" a disposizione della cosca, non e' idonea a scardinare, sul punto, la logicita' della motivazione, avendo al proposito la Corte territoriale precisato come permanessero i connotati di agevolazione mafiosa seppur diversamente riferibili al diverso, ma parimenti rilevante fine, di riaffermare il potere âEuroËœndranghetistico della cosca (OMISSIS), cosi' agevolandone la sopravvivenza in via molto piu' efficace di un formale rituale âEuroËœndranghetistico (vedi oltre sub 7). Infine, a corredo dell'intraneita', sono state evidenziate anche le frequentazioni con altri coimputati, essendo stati censiti controlli sul territorio con il capo della locale (OMISSIS), lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) (con quest'ultimo nel segmento temporale coperto dalla odierna contestazione). Di conseguenza, privo di decisivita' e' il rilievo difensivo - tratto dalle dichiarazioni dello (OMISSIS) - dell'assenza di un battesimo e di una formale affiliazione del ricorrente. Nel caso in esame, la Corte di merito, anziche' partire dal dato formale, si e' mossa da quello sostanziale, in ossequio all'orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale non e' essenziale, in quanto cio' che rileva e' la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che possono emergere anche da significativi "facta concludentia" (ex multis, Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571; in termini, anche la giurisprudenza sull'affiliato "di fatto" ossia di colui che agisce con metodo mafioso contribuendo con la commissione di azioni delinquenziali poste in favore di se stesso e del gruppo di appartenenza e con spartizione dei proventi: Sez. 1, n. 6992 del 30/01/1992, Rv. 190658). In senso analogo, si e' affermato che, pur mancando la dimostrazione dell'inserimento formale, il giudice del merito puo' acquisire la prova del coinvolgimento attraverso la dimostrata partecipazione a delitti-fine ovvero ad altre attivita' della cosca che assumano significativita' tale da dimostrare proprio lo stabile inserimento nel contesto criminale di quel determinato gruppo mafioso, assumendo al contempo rilievo l'esistenza di un progetto delinquenziale che quel determinato gruppo si professa di realizzare attraverso il ricorso al metodo intimidatorio ed al clima di omerta' e collusione capace di imporre in un determinato territorio od ambiente operativo (Sez. 2, Sentenza n. 56088 de112/10/2017, Rv. 271698). Nessuna illogicita' "sconta", pertanto, la sentenza impugnata per avere affermato che "il battesimo qui e' dato dal territorio e dal riconoscimento della loro supremazia e potere, che viene vissuto come ineluttabile dai cittadini del piccolo comune di (OMISSIS), incapaci di denunciare tali soprusi". Tra l'altro, la censura in punto di valenza a discarico delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e' anche parziale, in quanto non si confronta con l'altra parte della sentenza, che assume rilievo anche ai fini della persistenza del delitto associativo, in cui si da' atto di come il collaboratore, pur non attribuendo ai (OMISSIS) affiliazioni formali, ne evoca il riconoscimento di gruppo mafioso insistente nel territorio, al quale, unitamente ai (OMISSIS), era stata riconosciuto il predominio sulle attivita' estorsive, condizione che si rammenta non era venuta meno nonostante le successive fratture tra i vari gruppi familiari facenti capo alla locale. Del resto, ad esclusione di qualunque profilo di illogicita' della motivazione resa sul punto, si precisa anche che lo stesso (OMISSIS), che pure si descrive come ritualmente affiliato, si reputa e si definisce come "appartenente", unitamente ad altri accoliti, ai (OMISSIS), dotati di rappresentativita' autonoma dagli (OMISSIS) e dai (OMISSIS). Quanto, poi, all'esistenza e persistenza dell'omonima cosca operante nell'ambito della locale di (OMISSIS), la Corte di merito, partendo dal notorio giudiziario e dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), ha operato una lettura unitaria dei vari episodi estorsivi oggetto del presente giudizio, con riguardo alle posizioni dei coimputati (OMISSIS), per cui e' stata ritenuta la continuazione - in relazione al reato associativo di cui al capo 1) e l'altro episodio estorsivo ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) - con lo stesso giudicato che interessa il ricorrente, e (OMISSIS), reo di avere commesso un'estorsione seguita da danneggiamento ai danni dell'imprenditore (OMISSIS), ritenuta aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p. proprio perche' riconducibile al contesto di cosca di cui si e' detto (capi 81 e 82 della rubrica). A tali fatti si sono poi aggiunti altri episodi, tra i quali assumono rilievo anche quelli di carattere "prevaricatorio" in precedenza narrati, unitamente alle conversazioni captate presso l'abitazione del (OMISSIS), che avvalorano la contestazione dell'esistenza di un gruppo mai effettivamente sopito nell'ambito delle dinamiche illecite caratterizzanti il territorio oggetto di rispettiva insistenza, con particolare riguardo al settore delle estorsioni. In tale contesto, risultano certamente significativi, in quanto espressione dell'autorevolezza e del mutuo riconoscimento che la "cosca" (OMISSIS) rinviene anche negli altri organismi della cui qualificazione mafiosa non si discute, gli incontri avuti rispettivamente da (OMISSIS) e (OMISSIS) con rappresentanti della cosca (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla risoluzione di questioni coinvolgenti gli affari riferibili alle cosche di âEuroËœndrangheta (vedi pagg. 478 e 479). Infine, sulla scorta del narrato dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' di quanto captato presso l'abitazione del (OMISSIS), ha escluso, in aderenza con gli elementi di fatto sopra menzionati, che il gruppo (OMISSIS) fosse stato "confinato" in una realta' a se' stante, svincolata dal contesto di âEuroËœndrangheta, precisando come i conflitti del passato che avevano visto contrapposti, da un lato (OMISSIS)- (OMISSIS) a (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), avevano trovato composizione avendo questi ripreso a spartirsi "il giogo estorsivo" anche in forza della loro risalente parentela, oltre che perdurante partecipazione associativa alla âEuroËœndrangheta, quale elemento territoriale di appartenenza e di risalente congiunzione. L'approccio ermeneutico seguito dai giudici di merito volto a rintracciare i comportamenti estorsivi o di "prepotenza" mafiosa del passato, per come giudiziariamente accertati, che da sempre hanno caratterizzato l'agire dei (OMISSIS) agli occhi della comunita' locale, per derivarne le similitudini e la continuita' con il presente, appare operazione giuridica e fattuale, in termini di accertamento dei fatti contestati, pienamente legittimita' e dotata di idonea efficacia probatoria e motivazionale. Con la conseguenza che l'affermazione in chiave difensiva che vuole i (OMISSIS) non "dare conto" allo (OMISSIS) non assume decisivo rilievo ai fini dell'esclusione della loro rilevanza mafiosa, essendo, al contrario, stata contestualizzata dalla Corte di merito nella "rappresentativita'" esterna che i (OMISSIS) si erano meritati sul campo. I (OMISSIS) erano dunque una "garanzia" di potere mafioso anche per i terzi e lo erano in quanto dotati di una percentuale risalente di "autonomia" dal resto della compagine mafiosa della locale di âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), rispetto alla quale erano pure percepiti dall'esterno come "un nome" autonomo a cui rivolgersi in caso di alleanze o richieste di autorizzazioni (al proposito si citano anche i riferimenti dell'altro collaboratore (OMISSIS)). In conclusione, il giudice del merito ha declinato idonei indici probatori ad asseverare tanto la continuita' della partecipazione del ricorrente all'omonima cosca di âEuroËœndrangheta, quanto della perdurante insistenza dell'omonima cosca sul territorio di rispettiva competenza. Ed a tale riguardo, non privo di rilievo risulta il riferimento giurisprudenziale citato dalla Corte di merito che attribuisce valore anche al dato parentale. Invero, con decisione resa proprio in relazione ad una cosca di âEuroËœndrangheta operante nel mandamento tirrenico, e' stato ritenuto logico affermare che, una volta accertata l'esistenza di una organizzazione delinquenziale a base familiare ed una non occasionale attivita' criminosa dei singoli esponenti della famiglia, nulla impedisce al giudice di attribuire alla circostanza che vi siano legami di parentela tra un soggetto e coloro che nella associazione occupano posizioni di vertice o di rilievo valore indiziante in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso (cosi', in parte motiva, Sez. 5, n. 50999 del 14/10/2014; conf., Sez. 5, n. 18491 del 22/11/2012, dep. 2013, Rv. 255431). Infine, con riguardo alla doglianza sul ruolo apicale o meno attribuito al ricorrente, la relativa censura e' inammissibile per carenza di interesse e poiche' non si confronta con la motivazione resa: la sentenza impugnata (vedi pagine 491 e 500 della sentenza impugnata), infatti, anche sulla scorta della determinazione della pena operata dal primo giudice e in aderenza col capo di imputazione che contesta al ricorrente la qualita' di componente, ha espressamente attribuito al ricorrente la figura del mero partecipe. 5. Il quinto motivo in tema di sussistenza dell'aggravante di essere l'associazione armata e' inammissibile poiche' finisce per riprodurre l'analoga censura mossa con i motivi di appello, a fronte di pertinenti argomentazioni spese al riguardo dalla Corte di merito. La sentenza impugnata, infatti, partendo dall'esclusione dell'esistenza di un'insanabile frattura dei (OMISSIS) con i gruppi riferibili a (OMISSIS)- (OMISSIS) ed anzi valorizzando l'elemento di congiunzione costituito dalla rinnovata intesa nel settore estorsivo con costoro raggiunta, ha correttamente operato una lettura unitaria delle diverse âEuroËœndrine facenti parte della locale, in capo alla quale si e' accertata la diffusa disponibilita' di armi di cui potevano disporre, all'occorrenza, gli associati, anche in ragione di comuni canali di riferimento (si pensi all'armiere (OMISSIS)). Peraltro, proprio con riguardo ai (OMISSIS), quale elemento rivelatore anche della consapevolezza in capo al ricorrente della disponibilita' di armi, sono state indicati i traffici di armi effettuati dallo (OMISSIS) (appartenente, per sua stessa ammissione, alla cosca (OMISSIS)) relativi al commercio di fucili con matricola abrasa e pistole in favore del (OMISSIS), armi procurate dall'armiere (OMISSIS) (si tratta delle vicende di cui ai capi 2 e ss. della rubrica), nonche' le stesse modalita' con cui era avvenuto l'omicidio, commesso dal figlio del ricorrente sparando dei colpi di pistola, di (OMISSIS) e (OMISSIS). La mancata contestazione del possesso di armi in capo al ricorrente nel presente procedimento non e', dunque, idonea ad elidere la contestata aggravante, che impone un diverso trattamento sanzionatorio proprio in forza della generica disponibilita' o agevole reperimento di armi da parte degli associati, condizione questa ben evidenziata dalle sentenze di merito che hanno messo piu' volte in risalto come non solo i diversi componenti della locale fossero armati (al riguardo basti pensare ai numerosissimi capi di imputazione all'uopo elevati), ma vi fosse un canale di approvvigionamento aperto nel "settore" utilizzato anche da soggetti gravitanti o provenienti da diverse cosche del mandamento. A conferma delle conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di merito, va evidenziato che questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide, ha affermato che, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilita' di armi, di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, e' configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino. (Fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule "locali" di âEuroËœndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilita' dell'anzidetta aggravante, e' necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula "locale" che abbia la concreta disponibilita' delle armi - Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Rv. 276831). 6-7. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso relativi alla sussistenza e corretta qualificazione dell'ipotesi estorsiva di cui al capo 80) della rubrica sono manifestamente infondati. Per come evidenziato a proposito del paragrafo dedicato alla persistenza dell'omonima cosca (OMISSIS) ed alla partecipazione in seno ad essa del ricorrente, l'estorsione di cui al capo 80) della rubrica costituisce prosecuzione di analoga condotta, ai danni della stessa p.o., ritenuta, con effetto di giudicato, gia' caratterizzata, per metodo ed agevolazione, dall'aggravante mafiosa; in sostanza, ne segue la traccia euristica e si "nutre" della pregressa valenza causale delle minacce rivolte alla vittima, la quale, rea di avere denunciato, era stata anche punita subendo il danneggiamento dei beni della sua ditta. E che tale fosse la situazione allorche' il ricorrente rinnovo' la pretesa estorsiva si ricava in modo chiaro dai dialoghi che la p.o. ha con il (OMISSIS), dal quale emerge come il timore di subire ritorsioni, financo di carattere personale, laddove non avesse acceduto alla reiterata tangente, fosse ben presente alla mente della vittima, tanto da aver determinato la corresponsione del pizzo. Del resto, tale stato di soggezione e timore si ricava anche dal comportamento assunto dal (OMISSIS) allorche' ha notizia che il ricorrente sia stato scarcerato ed ha ripreso a girare nel Paese; si precisa, infatti, in sentenza, come la p.o. si guardo' bene dall'incontrare l'imputato, tanto da venire da questi poi rimproverata per non essersi portata al suo cospetto. Nel reato di estorsione, ha piu' volte precisato questa Corte, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioe' privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, Rv. 272884). La circostanza, poi, dedotta dalla difesa che vuole i (OMISSIS) non minacciati dal ricorrente in forza del fatto che il danneggiamento subito nel 2009 e' stato commesso dal collaboratore (OMISSIS) (cognato dell'imputato), non e' affatto decisiva, in quanto la sentenza impugnata, anche mediante il richiamo dei dialoghi intercettati, ha precisato come alla p.o. fosse ben chiaro come la ritorsione in passato subita per avere denunciato l'estorsione subita, portando all'arresto dell'odierno ricorrente, fu determinata dai (OMISSIS). Del resto, tale affermazione rinviene un elemento confermativo proprio nella circostanza che la difesa adduce quale elemento a discarico: il fatto che, a seguito all'arresto dell'imputato, il danneggiamento ai beni della p.o. fu realizzato dallo (OMISSIS) e' espressivo di come quell'estorsione, lungi dall'essere un fatto illecito "privato" ascrivibile al ricorrente, fosse al contrario, ritenuta un affare di cosca, tanto che al gesto ritorsivo viene incaricato lo (OMISSIS), il quale, per sua stessa ammissione, fa parte della cosca (OMISSIS) ed era deputato a commettere azioni di tal genere. Infine, l'ulteriore rilievo che i "piccioli" pretesi dal ricorrente non fossero stavolta finiti nelle tasche della cosca non e' parimenti decisivo ai fini dell'esclusione dell'aggravante speciale nella forma dell'agevolazione, in quanto la sentenza impugnata, con motivazione congrua con cui il motivo di ricorso non si confronta specificamente, ha precisato come, con tale condotta, si realizzasse l'asservimento del territorio ai voleri mafiosi e dunque si agevolava la cosca, per come avvalorato anche dai ripetuti comportamenti di carattere prevaricatore assunti dal ricorrente al fine di dimostrare coram populo la sua rinnovata egemonia nell'ambito dell'omonima cosca. Anche laddove si ritenesse pertanto che i proventi di questa specifica estorsione siano stati trattenuti, contrariamente al passato, dal ricorrente, vi sarebbe comunque una riaffermazione del potere âEuroËœndranghetistico della cosca (OMISSIS) idoneo a rafforzarne metodo e capacita' impositiva e quindi ad agevolarne la sopravvivenza in via molto piu' efficace di un formale rituale âEuroËœndranghetistico. 8. L'ottavo motivo di ricorso in punto di sussistenza della recidiva e' manifestamente infondato. 8.1. Invero, la sentenza impugnata, con congrua motivazione (vedi pag. 495), ha dato atto di come i reati di cui al presente giudizio siano espressivi di un'accentuata pericolosita' sociale del ricorrente ponendosi in perfetta continuita' - anche tipologica - con i precedenti penali specifici, dimostrativi di un vissuto dettato dalla persistente scelta di "sposare da decenni la regola âEuroËœndranghetista come unica e basilare opzione di vita e di sussistenza". 8.2. Inammissibile, invece, perche' non dedotto in appello (vedi pagg. 17, 18 e 19 atto di appello) e comunque perche' l'aumento apportato e' conseguenza anche della recidiva reiterata e specifica, e' la censura relativa alla mancata esclusione della recidiva infraquinquennale. 9. Il nono motivo di ricorso in tema di diniego delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. Gli indici positivi addotti risultano generici e, comunque, la motivazione in forza della quale se ne e' addotta la mancata concessione e' pienamente congrua, alla luce della gravita' dei fatti commessi, in quanto riferibili ad un contesto di carattere mafioso alla cui persistenza tali condotte sono volte, nonche' al vissuto del ricorrente, espressivo di una scelta delinquenziale di carattere immanente, alla luce dei precedenti penali specifici annoverati, ai quali si aggiunge anche, quale ulteriore indice di disvalore, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale che risulta essere stata al ricorrente applicata ed in costanza della quale ha commesso il reato estorsivo. 10. Il decimo motivo di ricorso, che rinviene ulteriori sviluppi nella memoria depositata e relativo alla correttezza del trattamento sanzionatorio inflitto in relazione al perimetro della permanenza del delitto associativo, e' manifestamente infondato. La Corte territoriale, con riferimento al tempus commissi delicti, ha correttamente ricostruito il reato di cui al capo 1) della rubrica, in aderenza alla specifica contestazione elevata al ricorrente ("dall'11.1.2012 in poi"), in termini di attuale permanenza dalla precedente condanna del 2012 sino alla data della sentenza del GUP (16/10/2017), sulla base di precisi indici dimostrativi. Al riguardo, errato e' il riferimento al fatto che la condotta del ricorrente si arresterebbe al settembre 2014 con la consumazione del reato estorsivo. Cio' che rileva, infatti, e' l'appartenenza al sodalizio, condotta che non si esaurisce con quella della commissione del singolo delitto fine pur rientrante nel programma associativo, ma si concreta - per come recentemente ribadito dalle S.U. di questa Corte (sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889) - per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua âEuroËœmessa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Peraltro, a conferma della partecipazione, i giudici del merito, come evidenziato nei precedenti paragrafi, hanno evocato molteplici comportamenti di carattere prevaricatorio ed additati di significanza mafiosa, realizzati anche dopo l'estorsione commessa ai danni dei (OMISSIS) (all'11/4/2015 sono riferibili le "doglianze" del Guerrisi; le confidenze del Prestileo sono collocate nel dicembre 2014). Cio' che conta, pertanto, ai fini della corretta delimitazione del periodo temporale e' che i giudici di merito abbiano motivatamente dato conto che, proprio attraverso quei comportamenti (uniti anche a. quelli degli altri coimputati aventi lo stesso nomen), si sia rinnovata in modo evidente la persistenza dell'omonima cosca sul territorio, corredata dalla sua fama e potere locale. In assenza, pertanto, di chiari indici fattuali di recesso anticipato o del venir meno della cosca (perche' sgominata nella sua intera articolazione), correttamente dal punto di vista sanzionatorio si e' fatta applicazione della piu' severa legge del 2015 e non di quella del 2008, in ossequio al principio affermato da questa Corte secondo cui, in tema di successione di leggi penali nel tempo, il regime sanzionatorio applicabile al reato di cui all'articolo 416-bis c.p. deve determinarsi con riferimento alla data di cessazione della permanenza cosi' come contestata, se in forma cd. chiusa, se in forma cd. aperta, ovvero "sino ad oggi" e cioe' alla data del rinvio a giudizio. (In applicazione del principio, la Corte ha precisato che nelle ipotesi di contestazione in forma cd. aperta, quando cioe' il capo di imputazione contesti la partecipazione "in permanenza attuale", vale quale momento finale consumativo della condotta associativa quello coincidente con la sentenza di primo grado, alla cui data, pertanto, va individuata la pena prevista).(Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476). 11. L'undicesimo motivo di ricorso in ordine alla determinazione della continuazione esterna tra le diverse pronunce di condanna considerate ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio, e' inammissibile poiche' poggia sul riconoscimento di vizi di legittimita' dedotti in punto di delimitazione della condotta di partecipazione (ante 2015), di esclusione del ruolo direttivo in capo al ricorrente e della recidiva che risultano essere stati motivatamente esclusi dalla sentenza impugnata per come evidenziate nei precedenti paragrafi. Di talche' si appalesa inammissibile - anche per quanto evidenziato nei paragrafi immediatamente precedenti, anche il motivo aggiunto dedotto sul punto. 12. Il dodicesimo motivo in ordine alla legittimita' della pena accessoria applicata e' manifestamente infondato. 12.1. Al riguardo, risulta fornita una congrua motivazione giustificativa, essendosi posto l'accento sull'azione parassitaria che il ricorrente ha esercitato sulla popolazione del relativo comune incompatibile con i presupposti giustificativi del pubblico contributo. 12.2. Quanto, poi, alla dedotta incostituzionalita' della disposizione di legge che dispone la revoca del beneficio, la doglianza non si confronta con la decisione resa sul punto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 137 del 25/5/2021, che ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalita' dell'articolo 2 della legge in esame, sollevata in riferimento agli articoli 3, 25 e 38 Cost., salva l'ipotesi che la revoca riguardi il caso, che non si attaglia al ricorrente, del condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere. 13. Anche il tredicesimo motivo di ricorso - i cui vizi denunziati sono richiamati nella memoria depositata - in ordine alla legittimita' della disposta confisca (motivazione mancante e/o apparente) e' inammissibile. 13.1. Va. Anzitutto, escluso che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare i motivi di impugnazione all'uopo sollevati dal ricorrente: invero, la Corte territoriale, nel riassumere i motivi di impugnazione, richiama espressamente "l'ulteriore atto di impugnazione depositato dalla difesa", nonche' le relative doglianze, richiamate dal ricorrente anche in questa sede (vedi pag. 468 e ss.). 13.2. Quanto, poi, ai presupposti della confisca, la sentenza impugnata (vedi pagg. 502-505) risulta corredata da congrua motivazione, avendo, alla luce degli esiti degli accertamenti investigativi compiuti sul patrimonio dei (OMISSIS) e delle allegazioni difensive, specificamente individuato i beni in relazione ai quali, per le circostanze, tempi e modalita' di acquisto, non fosse verosimile la riconducibilita' ad una provvista lecita e quelli, invece, del tutto coerenti con la redditivita' accertata, tanto che si e' disposto il dissequestro. Il ricorso sul punto di appalesa, quindi, inammissibile poiche' a fronte della valutazione operata, da parte del giudice del merito, degli elementi reddituali del nucleo familiare interessato dal sequestro, ripropone, sotto il profilo della omessa o carente motivazione, questioni riguardanti l'accertamento della sproporzione, non consentiti in questa sede, essendo il ricorso per cassazione ammesso solo per violazione di legge. Ne' i profili di inammissibilita' rilevati risultano "colmabili" con quanto evidenziato nei motivi aggiunti, privi, peraltro, di valenza decisiva. (OMISSIS); Il ricorso e' inammissibile. 1-2. I primi due motivi di ricorso che riguardano il delitto di cui al capo 81) della rubrica, possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente legati - per come e' formulata l'imputazione - al contesto ambientale in cui l'accusa colloca la genesi e lo sviluppo dell'ipotesi estorsiva. Con riferimento alle censure relative all'attendibilita' della persona offesa, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104). Nel caso in esame, la Corte d'appello risulta essersi fatta carico di apprezzare le dichiarazioni della persona offesa in punto sia di attendibilita' soggettiva che oggettiva, alla luce degli altri elementi acquisiti nel processo di cui si e' dato conto nella sentenza impugnata. Peraltro, le valutazioni della p.o. risultano compiutamente valutate nel contesto degli ulteriori elementi passati in rassegna dal giudice di primo grado, la cui motivazione risulta essere stata anche graficamente riportata nella sentenza impugnata. La Corte di merito ha infatti operato in modo logico e non contraddittorio la valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni del (OMISSIS), giudicate "precise, dettagliate e costanti, internamente coerenti ed esenti da incongruenze". In punto di fatto, la sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni rese dalla vittima del reato estorsivo (OMISSIS) (OMISSIS) - sulla cui attendibilita' si era gia' pronunciata la Corte di legittimita', richiamando la giurisprudenza consolidata sulla valenza indiziaria delle dichiarazioni delle persone offese (Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 2014, Puente Suarez, Rv. 258870; Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010, M., Rv. 24788301) - che riferiva delle modalita' con cui era stato fermato dal ricorrente che, con toni intimidatori, gli aveva chiesto la consegna della somma di Euro 3.000,00, specificandogli che tale consegna avrebbe impedito all'imprenditore di subire ulteriori danni. A seguito del rifiuto della vittima di consegnare la somma richiesta, si verificava un danneggiamento incendiario in un cantiere edile allestito dalla ditta "(OMISSIS)", di cui (OMISSIS) era l'amministratore, da quest'ultimo immediatamente collegato alle richieste di denaro dal ricorrente effettuate. In questo contesto, la Corte di merito ha ritenuto dimostrati anche gli elementi costitutivi dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., atteso che l'intimidazione rivolta dal (OMISSIS) alla vittima - che si concretizzava nella frase richiamata cosi' riportata: "Mi devi dare 3.000/00 Euror che mi servono... Questi sono per evitare possibili danni in seguito" - non consentiva interpretazioni alternative, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui la frase in questione veniva pronunciata, idonee a determinare una condizione di coartazione psicologica nella vittima. Si e', inoltre, evidenziato, che la riconducibilita' del successivo danneggiamento incendiario alla sfera di operativita' del clan (OMISSIS) era corroborata da un ulteriore dato circostanziale costituito dal fatto che alle operazioni di spegnimento dell'incendio del cantiere della ditta "(OMISSIS)" da parte dei vigili del fuoco erano presenti, a modo di esemplarita', numerosi soggetti collegati alla cosca reggina, tra cui il fratello del ricorrente, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Infine, si e' sottolineato che il collegamento del ricorrente al clan (OMISSIS) di (OMISSIS) emergeva dal coinvolgimento del suo nucleo familiare nella gestione di un'ulteriore vicenda estorsiva, posta in essere in danno di un imprenditore locale, (OMISSIS), cosi' come richiamata nelle sentenze di merito. Va, pertanto, escluso che la sentenza impugnata sia incorsa nelle dedotte violazioni di legge e vizi motivazionali censurati dalla difesa del ricorrente, nei termini prospettati in ricorso. Al riguardo, la Corte di merito ha posto a fondamento del giudizio di sussistenza degli elementi costitutivi dell'aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, tre profili valutativi, sui quali si e' soffermata analiticamente e in termini immuni da censure. Il primo di tali profili riguarda le modalita' dell'avvertimento rivolto dal ricorrente alla vittima che non consentivano interpretazioni alternative, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui la frase intimidatoria in questione veniva pronunciata e del condizionamento psicologico subito dal (OMISSIS), della cui attendibilita' si e' detto, conformemente alla giurisprudenza consolidata richiamata (Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 2014, Puente Suarez, cit.; Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010, M., cit.). Il secondo di tali profili valutativi attiene alla circostanza che alle operazioni di spegnimento delle fiamme sviluppatesi nel cantiere della ditta "(OMISSIS)" da parte dei vigili del fuoco erano presenti numerosi soggetti collegati alla famiglia (OMISSIS), tra cui il fratello del ricorrente, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), corroborando ulteriormente il dato investigativo della riconducibilita' dell'azione incendiaria alla sfera di operativita' della cosca (OMISSIS) di (OMISSIS). Si evidenzia, infine, che il collegamento del ricorrente alla cosca (OMISSIS) e al controllo illecito delle attivita' economiche svolte nell'area di (OMISSIS) emerge dal coinvolgimento del nucleo familiare dell'indagato nella gestione di un'altra vicenda estorsiva, coeva ai fatti in contestazione, posta in essere in danno di (OMISSIS). In questa cornice, non manifestamente illogico e' aver ritenuto l'aggravante presente in entrambe le declinazioni, sia sotto il profilo del metodo mafioso, utilizzato da (OMISSIS) per commettere le condotte contestategli al capo 81), sia sotto il profilo dell'agevolazione mafiosa, considerato che, con la sua condotta, il ricorrente mirava a favorire l'attivita' dell'omonima cosca âEuroËœndranghetista, operante nell'area reggina di (OMISSIS) e capeggiata dal padre. Sulla scorta di tali plurimi e convergenti elementi indiziari, valutati unitariamente, nel rispetto degli orientamenti dettati in materia da questa Corte, la sentenza impugnata ha affermato la riconducibilita' dell'episodio delittuoso estorsivo alla sfera di operativita' della cosca (OMISSIS) di (OMISSIS), dalla quale se ne e' fatto correttamente discendere il riconoscimento dell'aggravante speciale. E' stata, dunque, compiuta un'operazione di ermeneutica processuale pienamente rispettosa delle emergenze indiziarie e delle indicazioni fornite da questa Corte di legittimita' in materia, correttamente richiamate dalla sentenza impugnata, secondo cui "La valutazione della prova impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, e di verificare se essi, ricostruiti in se' e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verita' processuale" (Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Rv. 248128; in termini in fase cautelare, Sez. 6, n. 57837/2017). 3. Il terzo motivo in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato, risultando enunciati nella sentenza impugnata pertinenti indici di disvalore del fatto che e' stato ricondotto nell'ambito di un contesto mafioso che ne ha determinato l'agire per come chiaramente percepito dalla p.o. e rivelatosi nelle modalita' della condotta. Il diniego, pertanto, trova adeguata motivazione in punto di gravita' del reato e della connessa pericolosita' sociale che ha reso logicamente recessivo, nell'ambito della valutazione discrezionale demandata al giudice del merito, l'indice positivo costituito dalla giovane eta' del ricorrente al momento del fatto, in ossequio al principio stabilito da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). (OMISSIS). 1. Il ricorso e' fondato nei sensi di cui in motivazione. E', invece, inammissibile nel resto. 1.1. La censura formulata in ordine ai criteri seguiti ai fini dell'individuazione del reato piu' grave su cui stabilire la pena base e' manifestamente infondata. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che i giudici di merito, in conformita' al principio di diritto enunciato dalle S.U. (sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Rv. 255347), hanno individuato la pena piu' grave in astratto, facendo riferimento a quella stabilita per il delitto contestato al capo 39) dunque nel reato di cui agli articoli 99 e 110 c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 con riferimento all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 ed articolo 416-bis.1. c.p. - in quanto ex codice punito con pena il cui massimo edittale, in ragione anche del concorso dell'aggravante speciale di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 che rileva ex articolo 63 c.p., comma 4, risulta maggiormente afflittivo rispetto a quello previsto tanto per il delitto associativo non qualificato contestato nel presente giudizio, quanto del reato associativo con partecipazione qualificata per cui il ricorrente ha riportato condanna nell'ambito del procedimento cd. Il (OMISSIS) (collocandosi la condotta associativa nel 1999 e, dunque, in epoca antecedente alla riforma sanzionatoria introdotta dalla legge del 2005), i cui fatti sono stati ritenuti avvinti dal medesimo disegno criminoso con quelli oggetto del precedete giudizio e valutati quoad poenam in continuazione. Peraltro, l'individuazione del delitto estorsivo aggravato tanto dal comma 2 in relaz. all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, quanto dall'articolo 416-bis.1 c.p. risulta piu' grave anche del reato associativo con partecipazione qualificata attribuito al ricorrente nella sentenza irrevocabile i cui fatti sono stati ritenuti avvinti dalla continuazione con quelli oggetto del presente processo (all'epoca dei fatti, il delitto ex articolo 416-bis c.p., comma 2, era punito con una pena massima inferiore a dieci anni di reclusione). Correttamente, pertanto, la Corte di merito e' partita dalla pena base corrispondente a quella determinata dal primo giudice per il piu' grave delitto estorsivo, con la conseguenza che anche su tale aspetto il motivo e' manifestamente infondato. 1.2. Fondato, invece, e' il profilo di censura dedotto in tema di violazione del divieto di reformatio in peius. Nel rideterminare la pena in continuazione con i fatti di cui alla sentenza irrevocabile del procedimento cd. "Il (OMISSIS)", la Corte di merito risulta, con riferimento al reato di cui al capo 1), per cui erano stati in quel procedimento inflitti anni uno di reclusione, disposto un aumento pari ad anni due di reclusione, cosi' raddoppiando quanto irrevocabilmente statuito dalla sentenza della medesima Corte di appello del 17/2/2003, irrev. il 7/6/2004. Al riguardo, questa Corte ha, infatti, stabilito, che in tema di applicazione della disciplina della continuazione, il giudice della cognizione, che individui il reato piu' grave in quello sottoposto al suo esame e i reati satellite in quelli gia' giudicati con sentenza irrevocabile, nella rideterminazione della pena, e' vincolato al rispetto del divieto di "reformatio in peius" di cui all'articolo 597 c.p.p., comma 3, non potendo, pertanto, quantificare l'aumento della pena per detti reati satellite in misura superiore rispetto a quella originariamente disposta nella sentenza divenuta irrevocabile (ex multis vedi: Sez. 3, n. 13725 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 275187; Sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, dep. 2016, Rv. 265733). Va, pertanto, eliminato dalla pena complessivamente inflitta dalla sentenza impugnata l'aumento, pari ad anni uno di reclusione, apportato in violazione del divieto di reformatio in peius, cosi' pervenendosi ad una pena legale di anni diciannove di reclusione, ferma restando la pena pecuniaria. A tale operazione di calcolo puo' procedere direttamente il Collegio, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l). 1.3. Quanto, poi, al rilievo secondo cui l'unificazione dei reati in continuazione non consentirebbe di ritenere la recidiva, in quanto i reati gia' giudicati perderebbero, a tale fine, la loro autonomia, va ribadito il consolidato principio affermato da questa Corte secondo cui non esiste incompatibilita' tra gli istituti della recidiva e della continuazione, potendo quest'ultima essere riconosciuta anche tra un reato gia' oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato. Invero, il secondo procedimento non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma e' fondata su una mera "fictio iuris" a fini di temperamento del trattamento penale (in termini Sez. 2, n. 18317 del 2016, Rv. 266695; Sez. 3, n. 54182 del 2018, Rv. 275296). Anche su tale aspetto il motivo proposto risulta manifestamente infondato. 2. In conclusione, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, che ridetermina in anni diciannove di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa. Va dichiarato inammissibile il ricorso nel resto. (OMISSIS) e (OMISSIS); I ricorsi sono infondati. 1. Il motivo di ricorso, con cui si censura la ritenuta partecipazione dei ricorrenti alle trattative per l'acquisto di armi anche da guerra, non e' fondato. Al riguardo, infatti, la sentenza impugnata ha indicato, con congrua motivazione, idonei elementi dimostrativi della compartecipazione dei ricorrenti nella fattispecie di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1. Ed invero, in punto di fatto la Corte di merito - dopo aver dato atto del fatto che (OMISSIS), capo dell'omonimo sodalizio era solito incontrarsi, tra gli altri, con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - evidenzia che, sulla base del tenore dei colloqui di cui alle intercettazioni ambientali a casa del (OMISSIS) e dalle videoriprese nei pressi dell'abitazione dello stesso, si appurava che, a partire dal (OMISSIS), era in corso una trattativa illecita con personaggi della Locride, venuti a discutere dell'affare a casa del (OMISSIS); in particolare, si precisa che, quella mattinata, il coimputato riceveva la visita di (OMISSIS) e (OMISSIS) e, nel corso di quella stessa giornata, il (OMISSIS) veniva invitato a recarsi a casa del (OMISSIS); nell'occasione il (OMISSIS) veniva notiziato del fatto che il giorno successivo era stato organizzato un nuovo incontro con i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS) presso il bar "(OMISSIS)" e nel prosieguo del dialogo si aveva modo di accertare che l'oggetto della trattativa erano armi e droga, e che il (OMISSIS) si poneva quale anello di congiunzione tra i due ricorrenti, potendo muoversi in vece del (OMISSIS), all'epoca sottoposto al regime degli arresti domiciliari; in data 11 marzo 2014, a casa del (OMISSIS) che si trovava gia' in compagnia del (OMISSIS), si portava anche (OMISSIS), il quale riferiva ai presenti anche l'esito dell'incontro avuto col (OMISSIS), sostenendo che sia lui che il predetto (OMISSIS) erano stati condotti in vari luoghi a visionare "la merce" che comprendeva anche armi a canna corta; in particolare, il (OMISSIS) chiedeva ai presenti se avessero visionato Kalashnikov o Skorpion e nel prosieguo il (OMISSIS) dichiarava di aver visionato Kalashnikov con colpi a raffica, oltre all'"erba", e Skorpion di cui erano disponibili 78 pezzi; sempre nel corso della conversazione provvedevano, poi, a "fare i conti", anche con riguardo alla "polvere"; il (OMISSIS) ribadiva che i fornitori avevano a disposizione armi in prevalenza Skorpion, sicche' gli interlocutori effettuavano calcoli per valutare il costo complessivo dell'operazione, mentre il (OMISSIS) discuteva della necessita' di reperire il denaro per l'acquisto delle armi, nonche' i soggetti ai quali rivenderle; sia il (OMISSIS) che il (OMISSIS) nel commentare le armi visionate alludevano specificamente anche a Kalashnikov di matrice russa, analoghi a quelli visti a casa del (OMISSIS), riscontrando quanto riferito dal collaborante (OMISSIS), circa il possesso di tali armi da parte del (OMISSIS); nel corso della conversazione il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) facevano riferimento ad armi militari ed ad una "parabellum" da guerra. Dalle ampie trascrizioni delle conversazioni, compiutamente riportate nella sentenza impugnata, con costanti riferimenti da parte del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del duo (OMISSIS)- (OMISSIS), all'acquisto di armi, oltre che alla sostanza stupefacente, la Corte di merito, senza illogicita', ha correttamente ritenuto l'apporto assicurato dai ricorrenti idoneo, tanto sul piano causale che soggettivo, ad assumere rilievo sotto il profilo concorsuale, in aderenza ai principi piu' volte affermati da questa Corte, secondo cui lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1, ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011; in termini in relazione alla stessa vicenda in sede cautelare, Sez. 5, n. 21235/2017). Invero, l'argomentazione della Corte territoriale secondo la quale il (OMISSIS)- al pari del (OMISSIS) - ha partecipato alla trattativa per l'acquisto delle armi, come emerge dal chiaro tenore delle conversazioni oggetto di intercettazione, non si presta a censura. La deduzione svolta dalla difesa del (OMISSIS), secondo cui il giudice del merito avrebbe dovuto scindere le posizioni dei colloquianti, emergendo una sorta di ruolo "passivo" dell'imputato rispetto agli altri, essendosi limitato solo a visionare le armi e non a partecipare alle trattative per il loro acquisto, appare priva di fondamento, in ragione del contenuto dei dialoghi come riportati dalla sentenza impugnata (che ripercorre sul punto quella di primo grado), interpretati senza illogicita' nel senso della impossibilita' di scindere in sostanza una mera visione delle armi, non finalizzata ad un acquisto delle stesse, alla luce proprio dell'evolversi della vicenda connotata, in ragione anche del contesto fattuale descritto e della "professionalita'" criminale dei soggetti partecipanti, da affidabile serieta'. Al riguardo, va ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, questa Corte, con orientamento espresso anche a Sezioni unite (S.U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389), l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' e nella fattispecie l'interpretazione effettuata dai giudici di merito non si presenta illogica, bensi' del tutto razionale in relazione alle espressioni adoperate, anche letteralmente evocative dei traffici ipotizzati. Ne' in questa sede puo' chiedersi a questa Corte, in assenza di travisamenti, di sostituire il proprio giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti svolti dal giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti di prova e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione risulti adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, come nella fattispecie in esame all'esito della non illogica lettura dei colloqui oggetto di captazione. 2. Infondato, si presenta altresi' l'ulteriore motivo di ricorso, relativo al capo 26) della rubrica, in merito all'attivita' finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina. Invero, la deduzione, secondo la quale dalle conversazioni oggetto di captazione non emergerebbe una chiara attivita' tra i colloquianti finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente risulta smentita dal tenore dei colloqui captati, riportati nelle sentenze di merito, nel corso dei quali si fa specifico riferimento all'acquisto non solo della marijuana, ma anche della "polvere", la cocaina appunto stante la tipologia della sostanza che la distingue notoriamente dalle altre droghe leggere oggetto di trattativa, come risulta chiaro dai riferimenti del (OMISSIS), che propone ai suoi interlocutori di pagare una parte del corrispettivo delle armi, tramite la cessione anche di cocaina e specificamente proponendo a (OMISSIS) di acquistare droga da trattare, evidenziando in proposito la necessita' di "assumere" un altro ragazzo per finire in tempo il lavoro. Lo stesso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) riferivano al (OMISSIS) di aver visionato in occasione della visita ai fornitori con il (OMISSIS), oltre alle armi, marijuana e lo stesso (OMISSIS) in proposito precisava agli interlocutori di effettuare per l'acquisto una controproposta ad un prezzo inferiore; inoltre, oltre a tale trattativa ve ne era in corso anche un'altra avviata anche con fornitori di nazionalita' albanese contattati dal coimputato (OMISSIS). Tali elementi si presentano idonei a dar conto della sussistenza di un valido compendio probatorio in ordine al reato contestato, nei limiti del sindacato demandato a questa Corte, volto al controllo dell'esistenza di una motivazione logica in ordine ai punti censurati. Peraltro, anche riguardo a tale ipotesi di reato, la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando riter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018, Rv. 273961; in termini con riguardo alla vicenda cautelare Sez. 5, n. 21235/2017). 3. Inammissibile poiche' del tutto generica e' la censura mossa con riguardo alla ritenuta sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. (nella declinazione dell'agevolazione). Invero, a fronte di una diffusa e puntuale motivazione con cui la Corte territoriale da' ampiamente e ragionevolmente conto degli elementi di fatto dimostrativi tanto dell'obiettiva finalizzazione dei reati commessi dai ricorrenti all'agevolazione degli interessi della cosca locale capeggiata dal (OMISSIS), quanto della piena consapevolezza in capo a ciascun imputato di inserirsi nell'ambito di traffici delittuosi chiaramente evocativi del contesto associativo investigato (vedi sul punto pagg. 685-694), il motivo dedotto finisce per riproporre le medesime doglianze mosse con l'atto di appello, omettendo di confrontarsi con le puntuali argomentazioni rese dalla sentenza impugnata. Quanto al (OMISSIS), va poi evidenziato che i riferimenti di carattere "parentale" oggetto di censura in ordine al loro rilievo nel motivo di ricorso, in realta' sono stati correttamente evocati dalla Corte di merito, unitamente ai precedenti giudiziari e di prevenzione, al fine di escludere che all'imputato fosse estraneo il contesto delinquenziale di stampo mafioso in cui si muoveva e nell'ambito del quale i fatti indubbiamente risultano collocarsi. Sul piano oggettivo, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l'aggravante speciale sul rilievo che i ricorrenti si sono interfacciati ed hanno posto in essere trattative con (OMISSIS), che, secondo quanto emerso al processo e dalla sua storia personale avvalorata dalle sentenze irrevocabili a suo carico citate, rappresenta un autentico punto di riferimento della criminalita' organizzata di stampo âEuroËœndranghetista nel territorio di riferimento. In tale contesto, non affatto illogica si presenta la motivazione della sentenza impugnata secondo cui il fatto che (OMISSIS) abbia stretto accordi con i ricorrenti, quanto alle attivita' delittuose in contestazione, "non lascia adito a dubbi circa la sussistenza della circostanza aggravante, atteso che la natura e la quantita' delle armi detenute e poste in vendita, nonche' la mole, la quantita' e le caratteristiche delle stesse (unitamente a variegato munizionamento), rappresentando un autentico arsenale di elevata potenzialita', risultano pienamente dimostrative di un mercato clandestino di armi, foraggiato dalla ricchezza della consorteria ed alimentato proprio al fine di aumentare il "prestigio" criminale del gruppo e le risorse illecite dallo stesso accumulate e riutilizzate per il programma criminoso della consorteria, cosi' determinando tale illecita attivita' posta in essere con il (OMISSIS) un ulteriore aggravamento della forza e della capacita' intimidatrice della criminalita' organizzata imperante nella zona di riferimento" (in termini Sez. 5, n. 21235/2017). Quanto alla consapevolezza di operare a vantaggio del sodalizio mafioso, la Corte di merito, con argomenti scevri da vizi logici, ha evidenziato come lo stesso (OMISSIS) nel corso di un colloquio con il (OMISSIS), noto trafficante in materia di armi, abbia messo in risalto l'intensita' del suo legame con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) evidenziando che questi ultimi avrebbero operato nell'interesse di "tutti loro", con cio' logicamente dando ad intendere come agli stessi fosse ben presente il contesto di criminalita' organizzata in cui operavano - peraltro tre dei coimputati coinvolti nei traffici risultavano gia' condannati per associazione di stampo mafioso come (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - ed a vantaggio del quale le loro condotte causalmente si prestavano. Piu' volte sono, infatti, declinati termini di consapevole ed affidabile contiguita' allorche' il (OMISSIS) indica il duo " (OMISSIS)- (OMISSIS)": si tratta, all'evidenza, di un dato fattuale di particolare pregnanza in quanto proveniente da quel soggetto che proprio con riguardo al traffico di armi faceva uno dei caposaldi dell'attivita' criminale del gruppo territoriale di stampo mafioso di riferimento.. Si precisa, poi, che e' lo stesso (OMISSIS) a rassicurare il (OMISSIS) circa la diffusivita' dei suoi canali di distribuzione delle armi, in specie da guerra, e dell'intento manifestato di rendere stabile il traffico d'armi intrapreso in vista di sistematiche forniture future. Non illogica e', dunque, la "chiosa" finale riportata nella sentenza impugnata a corredo motivazionale sulla sussistenza dell'aggravante contestata, allorche' si sottolinea che "non v'e' chi non veda che portare "cassette" di armi per armare ciascuna famiglia della Locride, non di una singola pistola di emergenza, e' una condotta con ogni evidenza percepibile e percepita come un'azione servente interessi paramilitari di famiglie involte in assetti criminali qualificati che in Calabria sono appannaggio esclusivo della âEuroËœndrangheta, come pure risulta dimostrato dalle parentele e dalla storiografia delinquenziale dei protagonisti, che per tale rifornimento si sono avvalsi di "âEuroËœndranghetisti" di chiarissima notorieta' per i livelli apicali e le doti di âEuroËœndrangheta raggiunti (" Pure se arrivano cinquecento pezzi per volta, pure sopra a questa, ne prendono pure mille"). 4. Manifestamente infondato e' il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio dedotto da (OMISSIS). La Corte di merito, infatti, lungi dall'aver fatto ricorso in punto di diniego di generiche e di determinazione pena ad una motivazione collettiva che facesse ridondare a carico del ricorrente indici di disvalore propri di altre posizioni, ha invece fatto riferimento a puntuali elementi attinenti alla gravita' dei fatti contestati, in ragione del contesto e dello scenario delinquenziale in cui le condotte si collocano, caratterizzate dall'organizzazione di un traffico d'armi che nei propositi dei rispettivi protagonisti doveva assumere notevoli dimensioni. In forza dell'indicazione di tali indici di gravita' del reato e di spiccato allarme sociale, non manifestamente illogico e' l'aver considerato "recessivo" lo stato di incensuratezza dell'imputato, condizione, per cio' solo, non sufficiente, ex articolo 62-bis c.p., comma 3, a fondare il riconoscimento delle attenuanti generiche. Analogamente rinviene congrua motivazione anche la determinazione della pena, avendo la Corte di merito evidenziato specifici indici di disvalore che giustificano, nell'ambito di una valutazione discrezionale propria del giudice del merito, lo scostamento dal minimo edittale. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato, in quanto afferente all'asserito difetto e/o illogicita' della motivazione che, invece, la lettura della sentenza impugnata consente di escludere essendo la decisione connotata da lineare e coerente logicita', conforme alla completa ed esauriente disamina degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di merito. Inoltre, le censure si riducono ad una rivalutazione del fatto e ad una lettura alternativa dei dati probatori rispetto a quella asseverata dalla Corte territoriale, estranea al sindacato di legittimita', nonche' avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Peraltro, il motivo di ricorso in esame risulta riproduttivo delle doglianze avanzate con atto d'appello in punto di responsabilita' penale dell'imputato, gia' vagliate e disattese dalla Corte territoriale come emergente dalla parte motiva del provvedimento impugnato, con cui il ricorrente non si confronta. Nel caso di specie, i giudici di seconde cure, pur avendo escluso che l'imputato potesse individuarsi nel soggetto additato come "(OMISSIS)", hanno, al contempo, evidenziato, a carico dello stesso, elementi probatori di carattere individualizzante pienamente idonei ad asseverarne la penale responsabilita', alla luce anche delle argomentazioni operate dal primo giudice, specificamente richiamate. In tale senso, e' stato valorizzato il contenuto delle captazioni telefoniche ed ambientali, che hanno comunque consentito ai giudici di merito di ritenere provata l'identificazione del ricorrente quale accompagnatore del (OMISSIS) e quale partecipante alle conversazioni aventi ad oggetto il prelievo e la detenzione delle armi da fuoco (come dimostrato dai rumori metallici, quali quelli ricondotti allo scarrellamento, tipici del maneggio di armi da fuoco), sulla scorta del riconoscimento vocale ad opera della p.g. (non specificamente contestato), dell'uso del nome proprio utilizzato per presentarsi al (OMISSIS), nonche' dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS). Ne' l'accertata "dimestichezza del ricorrente con i modelli e i costi delle armi" (p. 929) risultava posta, contrariamente a quanto dedotto, a fondamento dell'affermazione di responsabilita', avendo invece a tale fine la sentenza impugnata valorizzato altri e pregnanti elementi (intercettazioni telefoniche ed ambientali, dichiarazioni del (OMISSIS)). 2. Il secondo motivo di ricorso afferente al trattamento punitivo e' manifestamente infondato. Il diniego delle attenuanti generiche risulta sorretto da motivazione congrua e scevra da vizi logici, per questo insindacabile in sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Al riguardo, a fronte dell'assenza di qualsiasi elemento positivo in ordine alla loro valutabilita', si sono richiamati puntuali indici di disvalore, costituiti dal precedente penale annoverato dal ricorrente e dalla gravita' della condotta delittuosa consistente nella detenzione di una pluralita' di armi di calibro, provenienza e marca assai diverse tra loro. In tal senso, viene in rilievo il principio affermato da questa Corte secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590). Ne' il trattamento sanzionatorio risulta rinvenire generica motivazione, avendo la Corte di merito dedicato a detti fini anche uno specifico paragrafo per ciascun imputato ove sono indicati gli elementi fondanti la misura della pena inflitta, cosi' assolvendosi all'onere di motivazione. 3. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Infatti, il calcolo della pena, come risultante dalla riduzione dovuta all'applicazione della L. n. 895 del 1967, articolo 7 e' sorretto da motivazione esente da manifesta illogicita', ed e', pertanto, insindacabile in Cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419). La Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, ha dato conto dell'operativita' dell'istituto di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 7, comma 1, specificando che esso deve essere applicato all'esito della determinazione della pena, ma come elemento determinativo della pena base. Infatti, la L. 2 ottobre 1967, n. 895, articolo 7, come modificato dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497, articolo 14, non prevede una circostanza attenuante rispetto ai delitti di cui ai precedenti articoli da 2 a 4, ma configura altrettanti autonomi reati, caratterizzati dalla diversita' dell'oggetto (arma comune da sparo anziche' arma da guerra), e cioe' di un elemento essenziale e non circostanziale, cui corrisponde l'autonomia della relativa sanzione, che, per le armi comuni, e' determinata "per relationem" (Sez. 1, n. 49127 del 21/12/2017, Rv. 274551; Sez. 1, n. 38626 del 21/10/2010, Rv. 248664). Infine, si rileva la genericita' dell'ultimo profilo dedotto con il terzo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale congruamente motivato in ordine all'aumento operato a titolo di continuazione (vedi pag. 939). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. In ordine alle censure relative alla sussistenza della cosca (OMISSIS) ed alla natura mafiosa di tale sodalizio, vedi le argomentazioni spese a proposito del comune motivo sub 1 riferito alla posizione del coimputato (OMISSIS) 2. Il secondo motivo relativo all'applicazione della recidiva e' manifestamente infondato. Nella sentenza impugnata si rinviene congrua motivazione in ordine all'applicazione della recidiva. Si e', infatti, evidenziato come il ricorrente e il fratello (OMISSIS) coimputato, anch'egli ricorrente, nonostante la giovane eta' siano dediti alla commissione di delitti sin da minorenni, annoverando precedenti penali reiterati per violazione della legge sulle armi, porto, danneggiamento, numerose resistenze a p.u., lesioni, sino al tentato omicidio con arma da fuoco del 2008 per cui erano ancora in esecuzione pena. Anche nel loro caso, si osserva, la detenzione e' stata ininfluente ai fini rieducativi, anzi "il progetto criminale che covano e l'attaccamento viscerale alle armi ed alle trattative illecite, oltre alla voglia di trovare braccia per ampliare la potenza del clan sono tutte dimostrazioni della recrudescenza della loro pericolosita' sociale, affatto scalfita dalle risposte giudiziarie" (vedi pag. 1043). Nel caso in esame, con riguardo alla posizione di ciascun ricorrente, la sentenza impugnata ha dato atto di come i reati commessi siano espressione, per modalita' e contesto ed i precedenti penali specifici annoverati da ciascun imputato, di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto, costituendo la condotta significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (ex multis, Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo relativo alla sussistenza del sodalizio di stampo mafioso di cui al capo 1) della rubrica e alla condotta di partecipazione del ricorrente e' manifestamente infondato. Quanto alla sussistenza di una cosca di stampo mafioso in quel di (OMISSIS) e, in particolare, della ndrina " (OMISSIS)" possono integralmente richiamarsi le motivazioni rese a proposito di tale coimputato e dei figli del ricorrente. Quanto alla condotta di partecipazione, la Corte di merito, lungi dal fondarla in una mera contiguita' compiacente ovvero sulla scorta della vicinanza o della generica disponibilita' manifestata dal ricorrente nei riguardi di esponente di spicco del sodalizio (il (OMISSIS)) a cagione dei rapporti familiari che lo legano agli altri soggetti coinvolti (in particolare i figli (OMISSIS) e (OMISSIS)), ha indicato, con argomentazioni congrue e coerenti, una pluralita' di elementi, la cui lettura unitaria risulta dimostrativa dell'appartenenza del ricorrente all'associazione âEuroËœndrangheta locale di (OMISSIS), per come emergente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS), unitamente al contenuto delle conversazioni ambientali intercettate. La sentenza impugnata, anche mediante il richiamo grafico di quella di primo grado, si e' lungamente soffermata sulla deposizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS), evidenziandone l'attendibilita' riscontrata non solo sulla base delle argomentazioni contenute nell'ordinanza genetica del G.I.P. di Reggio Calabria ma anche sul rilievo che, sulla scorta dell'attivita' avviata a seguito delle dichiarazioni di tale collaborante, tutti gli imputati del procedimento n. 1982/14 R.G.N. R. sono stati condannati in sede di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, ad eccezione del (OMISSIS) nei cui confronti si e' proceduto separatamente. La sentenza impugnata ha evidenziato come il racconto del collaboratore sulle attuali dinamiche della locale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) abbia trovato pieno riscontro nel contenuto della conversazione captata, in cui l'interlocutore principale (OMISSIS), personaggio di spicco della locale di (OMISSIS), ha indicato l'odierno ricorrente come affiliato al sodalizio criminale con la dote di "v (OMISSIS)", insignito anche della prestigiosa carica di "capo societa'" (sull'importanza che assume l'attribuzione di un grado qualificato all'interno della consorteria e sulla sua idoneita' ad assurgere ad elemento dimostrativo della partecipazione associativa vedi quanto riportato a proposito della posizione di (OMISSIS), sub 1), 2) e 3) e gli orientamenti di questa Corte ivi citati). Sul punto, va precisato che la dedotta mancata coincidenza temporale tra il propalato del collaboratore e il periodo oggetto di captazione non priva di rilievo dimostrativo quanto dallo stesso riferito, in quanto l'attribuzione di un ruolo "vestito" che il dichiarante attribuisce al ricorrente nell'ambito del sodalizio investigato si pone in stretta continuita' logico-temporale con gli accadimenti successivi e le condotte che nelle stesse conversazioni ambientali vengono additate al ricorrente che proprio nel contesto riferito rinvengono la loro genesi e giustificazione causale (vedi sul punto pag. 393 ss. della sentenza impugnata). Di cio' vi e' un preciso riferimento nella sentenza impugnata che con argomentazione pertinente evidenzia come il profilo criminale del ricorrente era descritto dal collaboratore, peraltro in termini (di capacita' di "fermare" o di "decidere l'avanzamento in carriera dei sodali) corrispondenti a quelli che assumera' nelle parole intercettate del (OMISSIS). Quanto, poi, ai riferimenti al ricorrente tratti dalle conversazioni captate, la Corte di merito ha spiegato con argomentazioni lineari e coerenti le ragioni per le quali, nonostante il (OMISSIS) abbia pronunciato tale espressione al tempo passato, sia ancora attuale il vincolo che lega l'imputato al sodalizio mafioso. In particolare, il (OMISSIS), nel riconoscere nello (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) colui che lo aveva aiutato nella sua progressione criminale di stampo mafioso, lo ha indicato come il referente numero uno della locale di (OMISSIS), e lo stesso figlio del ricorrente, (OMISSIS), ha affermato, nel corso del colloquio captato intercorso con il (OMISSIS), che il progetto di quest'ultimo di costituire una nuova cosca trovava il placet del padre (OMISSIS), che aveva autorizzato i propri figli a prendere parte al progetto criminale in questione. E', dunque, evidente che il ruolo di consigliere che lo (OMISSIS) si e' ritagliato all'interno della consorteria non attiene affatto a meri rapporti familiari, come invocato nel ricorso, essendosi lo stesso si' espresso - sulla base della ricostruzione operata dalle sentenze di merito - su questioni riguardanti progetti che coinvolgono (anche se non solo) i figli, ma nell'ambito del sodalizio criminoso che fa capo al (OMISSIS). Del resto, che non si tratti di un ruolo destinato a restare defilato e' rimarcato dalla Corte di merito laddove riferisce che (OMISSIS) (OMISSIS) si era rivolto al ricorrente per ottenere il permesso di ingrandire la cosca e inserire tra i sodali il figlio di (OMISSIS) (âEuroËœu Liscio), svolgendo tale approvazione una precisa rilevanza causale in ordine all'inserimento di terzi nella "nuova" compagine. A conferma di cio' e del ruolo di natura apicale svolto dal ricorrente nella locale di (OMISSIS), la sentenza impugnata, valorizzando il contenuto della conversazione intercettata in data 18 marzo 2014, fa riferimento al potere di veto allo stesso riconosciuto dai suoi interlocutori in merito alle nuove affiliazioni all'interno del sodalizio criminale. Se e' pur vero che il ricorrente sul punto ha contestato di essere il "(OMISSIS)" richiamato nella conversazione captata, va osservato che, per orientamento consolidato di questa Corte, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito la quale, se logica - come nel caso di specie - in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (vedi S.U. n. 22471 del 26.2.2015, Rv. 263715). Peraltro, nel caso in esame, la sentenza impugnata declina una molteplicita' di elementi che vanno oltre il nominativo che emerge dalle conversazioni (vedi pagg. 397 ss.), con la conseguenza che la doglianza sul punto assume anche profili di genericita'. In conclusione, l'assunzione del ruolo di "consigliori" all'interno di una nuova articolazione di locale di âEuroËœndrangheta da parte di chi, nell'ambito di tale associazione, vi abbia gia' assunto un ruolo di rilievo e' condotta idonea ad essere sussunta nell'alveo della partecipazione, in quanto attiene al momento costitutivo del sodalizio, e' funzionale alla selezione degli affiliati e, dunque, confacente allo svolgimento proficuo dei fini associativi, incide sull'integrita' ed affidabilita' della cosca e sulla sua tenuta territoriale anche ai fini del successivo riconoscimento interno ed esterno ed assicura un'assistenza "tecnico-criminale" stabile su cui il sodalizio puo' contare nel tempo (anche in ragione dell'affiliazione dei figli nella compagine). 2. Il secondo motivo in ordine alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione armata e' manifestamente infondato. L'esclusione quantomeno dell'ignoranza inevitabile la si ricava, infatti, dal ruolo di rilievo allo stesso assegnato e dalla carica comunque ricoperta nel panorama associativo di stampo âEuroËœndranghetista, da cui logicamente discende la conoscenza della struttura anche armata del sodalizio investigato, in relazione al quale viene chiamato ad intervenire con i suoi benestare e di cui e' informato anche tramite i figli. Ne' manifestamente illogico risulta al riguardo l'ulteriore argomento speso dalla sentenza impugnata che fa leva sul particolare rapporto di fiducia esistente con i figli che con il ricorrente si confrontano sulle dinamiche associative, tra le quali, per come ben evidenziato dai giudici di merito, spiccano proprio quelle in materia di armi presso l'abitazione del (OMISSIS). 3. Manifestamente infondato e', infine, il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio, essendosi richiamati a fondamento del diniego della concessione delle attenuanti generiche e in punto di determinazione della pena (peraltro stabilita nel minimo edittale la pena base sul reato associativo aggravato dall'essere l'associazione armata) pertinenti indici di disvalore tanto attinenti alla gravita' delle condotte, che si inseriscono in continuita' con un percorso associativo radicato volto alla creazione anche di articolazioni ben piu' agguerrite, quanto alla pericolosita' sociale essendo gravato da precedenti penali anche di rilievo. La circostanza, poi, che il ricorrente non abbia fatto ricorso ad una strategia processuale dilatoria e' elemento generico non essendosi circostanziata l'affermazione con il riferimento a quelle attivita' od atti processuali in cui il consenso o la mancata opposizione della difesa hanno giovato alla ragionevole durata del giudizio e non potendosi all'uopo ritenere sufficiente la scelta di procedere col rito abbreviato, atteso che la valutazione premiale di tale scelta e' gia' posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 2, n. 24312 del 25/3/2014, Rv. 260012; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 12/2/2009, Rv. 242861). (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il motivo in ordine alla condotta di partecipazione e' manifestamente infondato, in quanto l'asserita apparenza ed illogicita' della motivazione e' confutata dalla lettura della sentenza impugnata, che risulta corredata da una motivazione connotata da lineare e coerente logicita' conforme all'esauriente disamina degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di merito. Inoltre, il motivo di ricorso e' volto a prefigurare una rivalutazione ed un'alternativa lettura delle fonti di prova, estranee al sindacato di legittimita' ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Le censure dedotte, peraltro, si traducono in mere doglianze in punto di fatto, non ammesse in sede di legittimita', stante l'insindacabilita' della sentenza di merito in punto di ricostruzione dei fatti contestati quando corredata da una motivazione congrua, coerente e scevra da vizi logici. Ebbene, la sentenza impugnata da' conto degli elementi fondativi della responsabilita' penale dell'imputato, tra i quali assume sicuro rilievo il propalato del collaboratore di giustizia (OMISSIS), la cui attendibilita' e' stata approfonditamente vagliata dai giudici di merito, alla luce di plurimi riscontri esterni alla chiamata in correita'. A differenza di quanto enunciato nella prospettazione difensiva, infatti, la Corte territoriale enuclea molteplici elementi espressivi del collegamento esistente tra il ricorrente ed il contesto di criminalita' organizzata oggetto del presente procedimento giudiziario. In tale prospettiva, e' stata evidenziata la rappresentativita' dell'assenso del ricorrente per conto della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) ai fini dell'apertura di un locale notturno nella zona di operativita' della cosca, vicenda che trova riscontro negli esiti di altra inchiesta cosiddetta (OMISSIS), definita con sentenza irrevocabile, nonche' il propalato di altro collaboratore di giustizia ( (OMISSIS)). Peraltro, in tale contesto si colloca il dato relativo alle frequentazioni del ricorrente con i coimputati, cui e' contestata l'appartenenza al medesimo sodalizio criminale. In tale prospettiva viene in rilievo il principio di diritto affermato da questa Corte, cui i giudici di merito risultano essersi adeguati, in forza del quale nel delitto di associazione mafiosa, pur essendo escluso che le "frequentazioni" possano autonomamente essere poste a fondamento di una affermazione di responsabilita', e' possibile che, a fronte di una intrinsecamente valida chiamata di correita', le relazioni qualificate con altri esponenti della stessa organizzazione criminale, tra cui quelle con soggetti posti in posizione verticistica, valgono da riscontro esterno ex articolo 192 c.p.p., comma 3, e siano pertanto idonee ad essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' per il delitto di associazione mafiosa (Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, Rv. 270468; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659). Infatti, la Corte di merito rileva come le frequentazioni con sodali aventi ruoli apicali e l'assidua presenza del ricorrente presso il distributore TAMOIL non risultano circostanze neutre, come prospettato dalla difesa, bensi' confermative del propalato del collaboratore di giustizia in ordine all'appartenenza del ricorrente alla "locale" di (OMISSIS), nonche' espressive della volonta' dell'imputato, anche dopo la sorveglianza speciale e l'attenzione investigativa subita nel procedimento (OMISSIS), di affermare la propria presenza ed il ruolo di riferimento per l'ambiente circostante. Stante quanto appena affermato, nell'ambito del medesimo motivo di ricorso, si censura la mancata indicazione di fatti leciti o illeciti idonei ad individuare la "materializzazione della condotta di partecipazione all'associazione mafiosa". Ebbene, si rende necessario precisare che la condotta del partecipe e' suscettibile di manifestarsi nella prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purche' non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all'esistenza o al rafforzamento dell'associazione. Non potendosi considerare la "messa a disposizione", al pari delle condotte di conservazione e di potenziale rafforzamento dell'associazione, un "evento" oggettivamente rilevabile alla luce della sua innegabile connotazione di immaterialita', ai fini della sua valutazione non puo' utilizzarsi il "parametro" della causalita', dovendosi invece ricorrere a quello della "rilevanza" in concreto. In tal senso, rileva quanto affermato da ultimo da questa Corte anche nelle motivazioni della sentenza della S.U. (non depositate all'atto della redazione del ricorso), secondo cui nell'irrinunciabile recupero di una dimensione probatoria, potranno venire in rilievo, oltre all'accertamento della comprovata mafiosita' del gruppo associante, la "qualita'" dell'adesione ed il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilita' criminale dell'affiliando, la "serieta'" del contesto ambientale in cui la decisione e' maturata, il rispetto delle forme rituali anche con riferimento all'accertamento dei "poteri" di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilita' pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell'associato a favore della consorteria mafiosa: gli indici rivelatori del fatto punibile devono essere tratti da elementi oggettivi e soggettivi di contesto, capaci di fungere da criterio metodologico di verifica processuale, da calibrare caso per caso, in ragione della situazione concretamente considerata (S.U., n. 36958 del 27/05/2021, dep. 11/10/2021, Rv. 281889). Nel caso di specie, gli elementi dimostrativi dello stabile inserimento del ricorrente all'interno della cosca e del ruolo allo stesso riconosciuto vengono identificati dai giudici di merito nell'ossequio dei sodali rispetto alla distribuzione delle cariche che sin dal 2012 gli venivano attribuite (" (OMISSIS)...se hai problemi ti dice ti...per me lo sto...lui deve restare lui", intercettazione telefonica riportata a p. 376 della sentenza impugnata), nonche' nell'autorizzazione per l'apertura del locale notturno nella zona di controllo della cosca di (OMISSIS), conferita dall'imputato alla cosca "amica" della vicina Polistena, che manifesta non solo la riferibilita' dell'imputato medesimo alla cosca di (OMISSIS), ma anche e soprattutto la capacita' rappresentativa del sodalizio nei confronti dei soggetti esterni. Ebbene, come evidenziato dalla Corte territoriale, gli elementi cosi' declinati nella parte motiva della sentenza risultano idonei ad integrare la condotta di partecipazione ascritta al ricorrente, che viene identificato come "vangelista", ruolo che costituisce espressione di un potere progressivamente in crescita, in forza del quale l'imputato risulta gia' destinatario delle prerogative e delle sfere di conoscenze tipiche della societa' di âEuroËœndrangheta cosiddetta maggiore. Di conseguenza, ove il ruolo formalmente conferito nella scala gerarchica caratterizzante l'organigramma interno dell'associazione corrisponda ad ambiti di rilievo via via crescenti in progressione, il valore indiziario ascrivibile al dato dell'affiliazione e' destinato ad assumere un significato maggiormente rilevante sul piano probatorio, laddove - come nel caso di specie - alla crescita per gradi corrispondano positive valutazioni "meritocratiche", in sostanza, meriti gia' acquisiti sul campo e concretati da pregresse condotte positivamente realizzate nell'interesse della compagine associativa (vedi motivazione Sez. 6, 20 maggio 2015, n. 39112; Sez. 5, n. 50839/2016; Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Rv. 269040). In questa ottica, il giudizio sulla intraneita' ad un'organizzazione di tipo mafioso puo' ben valersi dell'apprezzamento della carica formale - di rilievo nella scala dei valori interni all'associazione - rivestita dall'imputato. L'attribuzione di un grado qualificato - quale la dote all'interno del gruppo sulla base di una scala di progressione consolidata - puo' assurgere a significativo elemento dimostrativo della partecipazione associativa, ove si colleghi a ruoli e funzioni riconosciute all'interno di un territorio, ed integri una figura di riferimento indefettibile, che dimostra la sua valenza e stabilita' all'interno della compagine, per come anche avvalorato dagli indici fattuali di carattere esterno declinati nelle sentenze di merito. In tale contesto, quindi, l'incarico ulteriore nell'ambito della scala gerarchica della âEuroËœndrangheta qualifica la condotta di partecipazione e la stessa permanente messa a disposizione, non risultando, peraltro, che tale conferimento sia stato la mera conseguenza di un "tramandato" di carattere familiare. (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso in tema di affermata partecipazione del ricorrente (OMISSIS) e del fratello (OMISSIS) al sodalizio mafioso e' inammissibile quanto alle censure che investono la sussistenza dell'associazione di cui al capo 1) della rubrica; e' manifestamente infondato con riguardo alla posizione di associato attribuita dal giudice del merito a ciascun imputato. 1.1. Con riferimento alla sussistenza della cosca (OMISSIS), quale articolazione interna dell'associazione di stampo mafioso nota come locale di (OMISSIS), la doglianza e' generica in quanto il ricorrente dopo averla introdotta come premessa evocando i requisiti strutturali del sodalizio mafioso, omette specificamente di confrontarsi con la motivazione resa sul tema dalle sentenze di merito con riferimento proprio al gruppo riconducibile al (OMISSIS) ed alla sua esteriorizzazione (vedi punto 7 pagg. 527 ss.). 1.2. Quanto alla responsabilita' in ordine alla partecipazione all"associazione di stampo mafioso di cui al capo 1) della rubrica, la Corte di merito, infatti, lungi dal fondare la condotta in una mera contiguita' compiacente ovvero sulla scorta della vicinanza o della generica disponibilita' manifestata dal ricorrente nei riguardi di un esponente di spicco del sodalizio (il coimputato (OMISSIS)), ha indicato, con argomentazioni congrue e coerenti, una pluralita' di elementi, la cui lettura unitaria, risulta dimostrativa dell'appartenenza di entrambi i fratelli (OMISSIS) all'associazione âEuroËœndrangheta locale di (OMISSIS), per come emergente soprattutto dal contenuto delle conversazioni ambientali intercettate. In particolare, e' stato messo in luce come gli interlocutori abbiano pienamente condiviso il progetto di riorganizzazione della locale di (OMISSIS) mediante la costituzione di una nuova cosca " (OMISSIS)", per la quale (OMISSIS), padre del ricorrente ed illustre componente della locale di (OMISSIS), aveva dato il proprio benestare, concordando con il (OMISSIS) le regole da osservarsi per la selezione dei nuovi "affiliati" ed avallando il proposito di costui di rafforzare il proprio ruolo all'interno della stessa locale di (OMISSIS). Del resto, il particolare rilievo contenutistico dei colloqui, vertenti su aspetti essenziali dell'attivita' della cosca locale, quale il settore delle estorsioni della legna, e' logicamente evocativo di un'intraneita' al sodalizio e non di una mera aspettativa di farne parte o di asserita contiguita'. Le sentenze di merito, infatti, hanno evidenziato come in tali frangenti i colloqui non si siano limitati al richiamo di fatti storici ma come, invece, abbiano avuto riguardo alle conseguenze per la stabilita' degli affari e del predominio della cosca nel territorio di competenza e, dunque, su aspetti attinenti alle strategie da adottarsi al fine di conservare, nel settore estorsivo di interesse, il predominio. E in tale contesto, l'aver messo il (OMISSIS) al corrente gli imputati anche dell'altra estorsione della legna a cui questi non avevano partecipato, discutendo sulle strategie di imposizione del pizzo (tanto da rivangare l'estorsione perpetrata in passato ai danni del Belocco, additato di inaffidabilita' in quanto proveniente da zona diversa), da' ragionevolmente conto della pregressa esistenza di un legame di carattere necessario in forza del quale era possibile la circolarita' tra di loro di dette informazioni. La conferma di tale legame si rinviene, altresi', anche nella parte in cui la sentenza impugnata da' atto di come i ricorrenti discutano con il (OMISSIS) delle possibili nuove affiliazioni, chiedendo che di esse venisse loro dato conto e sondando la possibilita' di assoldare persone di fuori paese, nonche' di come lo stesso (OMISSIS) confermi al ricorrente ed al fratello di avere notiziato il capo locale (OMISSIS) del proposito di creare una nuova âEuroËœndrina all'interno della locale. Si tratta di tematiche di cosi' stretta pertinenza ed esclusivita' che logicamente richiedono un legame di carattere associativo gia' presente tra gli interlocutori, in quanto disvelano circostanze che - laddove improvvidamente condivise con soggetti esterni o aspiranti - potrebbe mettere in pericolo il progetto criminoso intrapreso. Declinare il nome del capo della locale - di cui in tale occasione il (OMISSIS) giunge anche a criticare la stesse capacita' direttive - e chiedere conto delle nuove affiliazioni sono elementi che presuppongono logicamente l'assunzione di un ruolo all'interno della veste associativa e l'esistenza di un pregresso e stretto legame associativo e di fiducia tra i conversanti. Non si tratta, dunque, di avere asseverato un battesimo o una manifestazione generica di disponibilita', ma di avere dimostrato che soggetti gia' affiliati alla locale di (OMISSIS) si stavano attivando concretamente per ritagliarsi uno spazio autonomo di intervento. Il richiamo, peraltro, dell'atto intimidatorio perpetrato da entrambi i ricorrenti con altro associato ( (OMISSIS)) ai danni di (OMISSIS) ed al successivo colloquio di quest'ultimo con il (OMISSIS) (parimenti intercettato), da cui emerge il contesto mafioso in cui tale atto e' maturato e si inserisce, contribuisce alla prova di colpevolezza, al pari anche della condivisa conoscenza delle armi di cui il (OMISSIS) disponeva (anche con riguardo alla provenienza ed alla necessita' di un frazionato occultamento) e della disponibilita' a questi manifestata di prestarsi ad assicurare un fattivo contributo nei relativi traffici. 2. Il motivo in ordine alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione armata e' generico, in quanto la sentenza impugnata risulta avere richiamato precisi elementi di fatto (si vedano in particolare i paragrafi relativi anche alle contestazioni della violazione legge armi mosse al (OMISSIS) e agli altri imputati) dimostrativi tanto del possesso da parte della cosca del (OMISSIS) di armi (risultano elevati specifici capi di imputazione a carico del (OMISSIS) e di altri imputati in materia) che lo stesso aveva compravenduto, quanto dell'interesse al riguardo manifestato da entrambi i ricorrenti e della diretta conoscenza in capo agli stessi della presenza di armi, per come disvelato dalle stesse conversazioni intercettate a cui prendono parte sul tema con il (OMISSIS). 3. La riconducibilita' dell'episodio del danneggiamento mediante incendio ai danni del (OMISSIS) ad un contesto associativo e' stata motivatamente argomentata dalla sentenza impugnata evidenziando il contesto di fatto all'interno del quale origina l'azione illecita posta in essere dal ricorrente, unitamente al germano, in concorso con il (OMISSIS). Lungi, infatti, dal trattarsi dell'epilogo violento di una controversia avente carattere privatistico, per come gia' avvenuto a proposito dell'episodio relativo all'estorsione commessa dai cugini (OMISSIS) ai danni dello (OMISSIS) (capo 39), la sentenza impugnata ha evidenziato come tali "vertenze" scaturissero da una suddivisione territoriale dell'attivita' del taglio boschivo soggetta al pagamento della tangente estorsiva ad opera delle rispettive ditte interessate. Altrimenti non si spiegherebbe l'intervento del (OMISSIS), certamente non a titolo personale, ma quale soggetto deputato a garantire l'osservanza proprio di quei pacta illeciti che, a monte, dovevano assicurare ai singoli esercenti il pieno e libero svolgimento dell'attivita' di impresa in ragione del pizzo corrisposto alla cosca di riferimento. E tale lettura risulta confermata anche dall'ulteriore dato, ricavato dalle intercettazioni e riportato in sentenza, ove si da' atto che la p.o. (OMISSIS), al pari proprio di quanto aveva fatto lo (OMISSIS) nell'occasione del delitto di cui al capo 39), si era recato proprio dal (OMISSIS) - con cio' dimostrando come tale imputato fosse ritenuto un diretto ed autorevole referente delle dinamiche relative alle questioni della cosca di (OMISSIS) - al fine di far valere le sue "ragioni" e, dunque, il suo esclusivo diritto in forza della tangente pagata. Ed analogamente cio' era avvenuto anche per gli autori del gesto e, in particolare, per i fratelli (OMISSIS), essendosi anche questi portati dal (OMISSIS) con cui discutevano del merito dell'iniziativa intrapresa a sostegno del (OMISSIS) (il quale non risulta un quisque de populo ma e' ritenuto un intraneo alla cosca del (OMISSIS), per il quale si e' proceduto separatamente e la cui responsabilita' e' stata affermata nel parallelo giudizio di appello), nonche' delle conseguenze che tale gesto avrebbe potuto rappresentare per la tenuta interna ed esterna della cosca, ricevendo dal (OMISSIS) assicurazioni sull'assenza di conseguenza anche in ragione del fatto che non erano stati riconosciuti e la p.o. si sarebbe ben guardata dal denunziare. Nella ricostruzione dei giudici di merito, ai fini dell'integrazione dell'aggravante, rilevano, in particolar modo, le modalita' del fatto, quale espressione di un metodo mafioso di carattere del tutto prevaricatorio ai danni di un imprenditore gia' soggetto ad estorsione e costretto a sottostare al volere del potente, tanto che si citano a conferma anche gli episodi, non certo di contorno ma espressivi della finalizzazione della condotta, degli accessi del (OMISSIS) e dei suoi familiari presso la "bottega" del (OMISSIS), effettuati senza pagare alcunche', ovvero "l'offerta" della legna" nonostante il (OMISSIS) non avesse alcun titolo per riceverla. Ma se una condotta illecita concorre anche a rafforzare quel clima omertoso che regna in un determinato territorio - tanto che la p.o. si guarda bene dal denunciare l'accaduto per come accertato nelle investigazioni, ma si rivolge al referente della cosca che ivi insiste - del tutto illogico oltre che contraddittorio sarebbe escludere la valenza della sua ulteriore direzione finalistica che ne involge tanto il profilo causale che soggettivo in capo a chi se ne rende autore. La censura mossa, pertanto, si risolve in un'alternativa di merito, in quanto volta a prospettare una lettura differente che riconduce le modalita' di commissione del fatto alla vicenda in se' e per se' considerata, versione che risulta essere stata disattesa dai giudici di merito con congrua motivazione, non censurabile in questa sede. 4. Manifestamente infondato e' il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio, essendosi richiamati a fondamento del diniego della concessione delle attenuanti generiche e in punto di determinazione della pena (peraltro la pena base sul reato associativo e' stata stabilita nel minimo edittale al ricorrere dell'aggravante dell'essere l'associazione armata), pertinenti indici di disvalore tanto attinenti alla gravita' delle condotte, quanto alla pericolosita' sociale del ricorrente, gravato, unitamente al fratello, di precedenti penali anche di spiccato rilievo, i quali hanno commesso i reati anche in costanza di permesso premio, evenienza, quest'ultima, che rende logico l'aver affermato l'incapacita' alla rieducazione della pena. La circostanza, poi, che il ricorrente non abbia fatto ricorso ad una strategia processuale dilatoria e' elemento generico non essendosi circostanziata l'affermazione con il riferimento a quelle attivita' od atti processuali in cui il consenso o la mancata opposizione della difesa hanno giovato alla ragionevole durata del giudizio e non potendosi all'uopo ritenere sufficiente la scelta di procedere col rito abbreviato, atteso che la valutazione premiale di tale scelta e' gia' posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 2, n. 24312 del 25/3/2014, Rv. 260012; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 12/2/2009, Rv. 242861). (OMISSIS) Il ricorso va rigettato. 1. Il primo motivo in punto di sussistenza della cosca " (OMISSIS)" non tende a contestare la forza di intimidazione della âEuroËœndrangheta nel suo complesso o l'operativita' della stessa nel territorio di (OMISSIS), peraltro gia' giudizialmente accertata con riguardo al periodo antecedente alle contestazioni mosse nel presente giudizio, bensi' - sotto tale principale profilo - la concreta operativita' della âEuroËœndrina (OMISSIS). Al riguardo, va anzitutto precisato, quale dato di partenza, che le sentenze di merito, con motivazione congrua, hanno spiegato, citando tanto le propalazioni di un collaboratore di giustizia che i dialoghi intercettati proprio presso l'abitazione del (OMISSIS) (intervenuti tra soggetti direttamente coinvolti) che il proposito del ricorrente di costituire un'autonoma âEuroËœndrina non resto' affatto a livello di mera "cogitazione", ma si estrinseco' in atto, operando specifiche affiliazioni, con soggetti anche gia' gravanti all'interno del panorama mafioso, dotati di particolare affidabilita' anche in forza di legami parentali. Inoltre, e' stato anche chiarito come tale progetto prevedeva una realta' organizzativa comunque inserita nell'ambito delle articolazioni territoriali delle cosche di âEuroËœndrangheta (in specie della locale di (OMISSIS)), tanto che se ne auspicava il riconoscimento da parte della provincia e se ne riproducevano le formule organizzative; lo stesso (OMISSIS) ne aveva discusso con i referenti locali della cosca e ricevuto il benestare anche da alcuni notabili. Il gruppo aveva preso forma, disponeva di numerose armi, circostanza di cui erano state messe al corrente anche le cosche limitrofe, e il (OMISSIS) aveva assunto anche le relative determinazioni quale organo di vertice della omonima locale. Allo stesso (OMISSIS), in virtu' del ruolo apicale assunto sul territorio, si rivolgono poi soggetti estorti (il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) al fine di ottenere il rispetto dei patti estorsivi stabiliti con le cosche di âEuroËœndrangheta in ordine alla raccolta della legna ed al rispetto delle zone di rispettivo esercizio. In sostanza, precisa la Corte territoriale, la storiografia criminale del clan (OMISSIS) - sistematicamente inserimento in traffici illeciti in materia di armi, droga, estorsioni ed usura, per come rivelato da un collaboratore di giustizia - coincide necessariamente con quella della cosca di (OMISSIS), solo che si proietta in avanti in un tentativo di recrudescenza del potere mafioso gestito dal gruppo per una non troppo malcelata critica ai metodi "percepiti come meno efficaci" dei padri del clan e non senza coinvolgere nella evoluzione il capo (OMISSIS). Ne' a tale rinnovato intento erano di ostacolo i conflitti e le rivalita' innescatesi all'interno del gruppo madre, precisando la sentenza impugnata come tali fatti non costituissero motivo di necessaria cesura con il passato di âEuroËœndrangheta della cosca, ma anzi al contrario "sedimentassero nuovi e successivi sviluppi di cui questo capeggiato dal (OMISSIS) costituisce un frutto di sicuro rilievo per la prosecuzione della azione criminale della cosca". Se questo e' dunque il contesto di fatto asseverato dal giudice del merito, nessuna violazione di legge in ordine all'applicazione della norma sostanziale censurata, nonche' vizio di motivazione, e' dato ravvisarsi. Va anzitutto ricordato come questa Corte abbia in diverse occasioni avuto modo di puntualizzare che il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e' configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una gia' attuale pericolosita' per l'ordine pubblico (ex multis: Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, Rv. 268676; Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290; Sez. 5, n. 47535 dell'11/7/2018, Rv. 274138). Si e' infatti, al riguardo, osservato come diverso sia invece il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorche' caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, giacche', rispetto ad essa, e' imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex articolo 416-bis c.p., tra cui la manifestazione all'esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omerta' nell'ambiente circostante (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017 - dep. 18/05/2017, Rv. 270290; Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, non mass.). Ma e' del tutto evidente come una siffatta autonomia (con tutto quel che ne consegue sul piano della analisi e della "effettivita'" del "metodo" e del clima di assoggettamento omertoso che ne deve scaturire) postuli uno iato, tra vecchia e "nuova" aggregazione, che deve porsi in termini, non soltanto strutturali, ma anche - e soprattutto - funzionali, nel senso che il sodalizio "locale" sia appunto - e "appaia" essere - entita' scollegata da qualsiasi altra struttura configurabile alla stregua di "casa madre". D'altra parte, nel ribadire i principi anzidetti a proposito dei "locali" di "âEuroËœndrangheta", questa Corte, in una ipotesi di creazione in Svizzera di una "locale" rappresentante l'articolazione di un clan calabrese, non ha mancato di focalizzare come i moderni mezzi di comunicazione propri della globalita' hanno reso noto il metodo mafioso proprio della "âEuroËœndrangheta" anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non e' necessaria la prova della capacita' intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omerta' in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante e' assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria. (Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018 - dep. 21/06/2018, Demasi, Rv. 27309301). Dunque, puo' affermarsi come l'insorgenza di un nuovo "gruppo" finalisticamente e metodologicamente orientato al perseguimento di finalita' mafiose, ben possa "sfruttare" - volgendole a proprio vantaggio di sodalizio "neonato" - proprio la notorieta' ed il conseguente assoggettamento omertoso derivante dalla attivita' - pregressa e perdurante - di gruppi mafiosi gia' occupanti in maniera stabilmente radicata il medesimo ambito territoriale, soprattutto allorche' tale nuova formazione si ponga quale diretta "derivazione" di quelle storicamente insistenti proprio in quel territorio di "competenza" e al contempo si rimette all'osservanza di regole, rituali proprie dell'organismo sovraordinato, di cui si riconosce l'autorita' di carattere organico e funzionale. D'altra parte, e' del tutto evidente come la continuita' del quadro ambientale di riferimento giovi, si potrebbe dire, sul piano ontologico, quante volte il nuovo sodalizio si ponga come "derivazione" storica di altra preesistente e notoria struttura, della quale finisce per costituire una sorta di "costola", dotata di vita e operativita' proprie. Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare che, in tema di associazione di tipo mafioso, la costituzione di una nuova organizzazione, alternativa ed autonoma rispetto ai gruppi storici presenti sul territorio, puo' essere desunta da plurimi indicatori fattuali quali le modalita' con cui sono commessi i delitti-scopo, la disponibilita' di armi, l'esercizio di una forza intimidatoria derivante dal vincolo associativo, nonche' dal riconoscimento, da parte dell'associazione storicamente egemone di una paritaria capacita' criminosa al gruppo emergente. (Fattispecie in cui dalle intercettazioni telefoniche risultava che esponenti del gruppo "storico", nonostante il consolidato predominio sul territorio, manifestavano preoccupazione per la contrapposizione con il gruppo emergente, attese la capacita' di quest'ultimo di subentrare nel controllo delle attivita' illecite e la comprovata forza intimidatrice della nuova formazione - Sez. 6, n. 42369 del 17/07/2019, Rv. 277206). Ma se tutto cio' e' vero in un ambito di concorrenzialita' territoriale in cui l'esprimersi del nuovo sodalizio operi, o possa operare, come elemento di "disturbo" per i clan tradizionali, e' evidente che la "continuita'" e compresenza mafiosa sia assai piu' agevolmente dimostrabile laddove - come nella specie la nuova realta' associativa sia controllata proprio da un elemento che al vecchio gruppo egemone faceva notoriamente riferimento (il (OMISSIS)), e - soprattutto - da questo gruppo non sia stato in alcun modo "ostacolato" nei suoi iniziali propositi di dar vita ad una "propria associazione", con un nomen che non si pone in alcuna antinomia esterna con quelli di piu' risalente "tradizione" pur insistenti nel territorio di causa. Ebbene, in tale quadro di riferimento, il "manifestarsi" del gruppo facente capo al (OMISSIS) si ammanta - per modalita', struttura, "notorieta'" del contesto âEuroËœndranghetista di provenienza, insistenza operativa del nuovo gruppo proprio sullo stesso territorio di pertinenza di quello stesso contesto mafioso, senza che cio' avesse ingenerato alcun tipo di frizione (dato, questo, anch'esso "evidente" nel territorio gia' oggetto di quell'assoggettamento omertoso) - di tutte le "prerogative" mafiose che gia' connotavano in passato l'attivita' dello stesso (OMISSIS) e delle altre locali di riferimento. Una fenomenologia, dunque, quella che viene qui in discorso, distinta da quella delle cosiddette "nuove mafie locali", che hanno trovato disamina giurisprudenziale in recenti approdi di questa Corte (Sez. 2, n. 10255 del 29/2019, deo. 2020, 278745). Nelle neoformazioni, infatti, e' del tutto assente quella "assimilazione per rendita di posizione" o di utilizzo a propri fini dell'avviamento criminale ascrivibile ai consessi ivi insistenti, derivante dalla presenza sul territorio di associazioni nominativamente riconducibili al genus ed al paradigma di cui all'articolo 416-bis c.p., nel cui alveo il "nuovo" gruppo si e' formato e consolidato, condividendone gli scopi ed i metodi e realizzando la stessa tipologia di reati. La "nuova" articolazione del (OMISSIS), infatti, non solo ripete le gesta notoriamente proprie delle associazioni di stampo âEuroËœndranghetista da cui deriva, ma ha causalmente fruito, sotto il profilo rappresentativo, della traccia euristica genetica costituita dagli accertamenti giudiziari che hanno preceduto la sua formazione, della quale si e' avvalsa non mediante meri propositi di carattere intimidatorio, ma esercitando in un'ottica di continuita' in quel territorio la forza di intimidazione di tali conosciuti consessi organizzati. Insomma, una storia che si ripete, con analoghe metodologie e finalita' ed anche comprimari (a quell'ambiente riferibili), che si e' tradotta materialmente in atto. Non si assiste, dunque, ad una novazione, bensi' ad una successione a titolo particolare di un consesso che utilizza lo stesso metodo e si pone le medesime finalita' criminali del precedente, nell'ambito di un pactum avente eguale natura - perfettamente riconducibile alla medesima societatis sceleris per modello e tipo - e destinato ad insistere in una realta' territoriale notoriamente gia' adusa a confrontarsi con realta' di tal fatta. La stretta continuita' di tipo delinquenziale si lega poi ad una riscontrata operativita' interna ed esterna del gruppo, che da' ragionevolmente conto della ricaduta del nomen sulla realta' circostante e del clima che ad essa ne consegue. Quest'ultima appare evidente, si legge nella sentenza impugnata, alla luce della consolidamento del progetto criminale all'interno della stessa cosca e prendendo le mosse dalla locale di âEuroËœndrangheta gia' accertato, anche in via giudiziale, che e' quello in oggetto, riconosciuto all'esterno per il suo potere impositivo di natura estorsiva come le estorsioni del "bosco" (vicende oggetto delle contestazioni mosse ai capi 38 e 61), tra le altre, dimostrano, nonche' detentore del traffico di armi anche da guerra, che passano indisturbate da casa (OMISSIS), che unitamente al collaboratore (OMISSIS) diviene un rifornitore costante dei singoli associati e dei personaggi di altre zone criminali che con loro si interfacciano stabilmente a questo scopo, in cio' mantenendo una costante delinquenziale che consente di integrare l'accesso al nuovo progetto delittuoso come naturale evoluzione e fattivo avvicendamento di quello gia' in atto da anni ed anni. Il motivo di ricorso, pertanto, risulta infondato sotto entrambi i vizi denunziati, avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di associazione mafiosa, di cui ha dato atto con congrua argomentazione. 2. Il secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio presenta profili tanto di manifesta infondatezza che di infondatezza. 2.1. Manifestamente infondata e' la censura in ordine all'aumento per la continuazione. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene diffusa motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione del ricorrente (vedi pagg. 992-993). L'onere di motivazione quindi risulta reso, in ossequio anche agli orientamenti recenti assunti da questa Corte in materia (S.U., n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269). 2.2. E', invece, infondato il rilievo attinente all'esatta determinazione della pena conseguente al riconoscimento della continuazione con i fatti per cui l'imputato e' stato gia' giudicato con i fatti di cui al procedimento c.d. (OMISSIS) definitivo con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 21.3.2018 esecutiva il 4.9.2018, che a sua volta riconosceva la continuazione tra i fatti di quel processo e quelli decisi con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 20 marzo 2008 esecutiva il 2.12.2008. Al riguardo, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la pena complessivamente inflitta al ricorrente e' stata determinata - in riforma di quella inflitta dal primo giudice - nel seguente modo: ritenuti piu' gravi i fatti oggetto del presente giudizio (in ragione dell'entita' delle pene stabilite dalla legge, della tipologia dei reati contestati e del numero particolarmente elevato delle imputazioni contestate), si e' proceduto alla determinazione della pena stabilita per tali reati (indicandosi la pena base e la misura di ciascun aumento dovuto alla recidiva qualificata ed alla continuazione), nella complessiva misura di anni 47 di reclusione ed Euro 111.000,00 di multa; si e' quindi proceduto ad applicare, sulla reclusione, la regola di temperamento del cumulo materiale di cui all'articolo 78 c.p., comma 1 n. 1, stabilendosi, per l'effetto, una pena di anni 30 di reclusione ed Euro 109.000,00 di multa. Si e' provveduto poi ad applicare la diminuente di un terzo stante la scelta del rito abbreviato, cosi' giungendosi ad una pena di anni 20 di reclusione ed Euro 72.000 di multa. A questo punto si e' rideterminata ex articolo 81 cpv. c.p. in anni 9 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, indicandosi la misura di ogni aumento per ciascun reato contemplato, la pena in continuazione per i fatti di cui alle predette sentenze di condanna gia' definitive. Ad avviso del ricorrente, invece, il giudice del merito avrebbe dapprima dovuto procedere ad un'unica sommatoria ex articolo 81 cpv. c.p. delle pene stabilite per i fatti di cui al presente giudizio con quelli di cui al procedimento c.d. FIORE ed altro ad esso gia' unito in continuazione, applicare la regola di temperamento del cumulo materiale ex articolo 78 c.p. e, poi, la riduzione per la scelta del rito abbreviato, cosi' pervenendosi ad una pena finale di anni venti di reclusione ed Euro 85.000,00 di multa. Tale prospettazione non puo' tuttavia essere condivisa alla luce del condivisibile orientamento espresso dalla Quinta sezione di questa Corte (sentenza n. 47073 del 20/06/2014, Rv. 262144), al quale il Collegio intende aderire. Ora, se e' vero che la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena e' stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli articoli 71 c.p.ss., fra le quali vi e' anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non puo' essere superiore ad anni trenta di reclusione (S.U., n. 45583 del 25/10/2007), e' altresi' vero che la diminuente del rito abbreviato puo' essere applicata solo nei processi celebrati col rito speciale suddetto, non essendo consentite estensioni della disciplina di favore oltre i casi espressamente stabiliti. E', infatti, affermazione ricorrente in giurisprudenza quella per cui, ove venga riconosciuta - in fase cognitiva o esecutiva - la continuazione tra piu' reati, alcuni dei quali oggetto di condanna all'esito di giudizio abbreviato, e altri di condanna all'esito di giudizio ordinario, la riduzione ex articolo 442 c.p.p. opera solo sui reati giudicati con rito abbreviato (Cass., n. 9038 del 20/11/2012; Cass., n. 33856 del 2008). Il caso oggetto del presente giudizio presenta una particolarita', rappresentata dalla interferenza del principio da ultimo richiamato col criterio moderatore posto dall'articolo 78 c.p.. Normalmente (vale dire, ove non venga in questione l'articolo 78 c.p.), la determinazione della pena viene operata, anche nel caso di piu' reati uniti per continuazione e giudicati in procedimenti celebrati con rito diverso, nel modo seguente: la riduzione di un terzo opera sulla (sola) pena irrogata all'esito di giudizio abbreviato e - ove il reato piu' grave sia quello giudicato con rito abbreviato - gli aumenti per i reati satellite avvengono secondo le regole ordinarie (senza riduzioni per il rito). Tale soluzione, valevole per i casi di minore gravita', non puo' differire da quella ipotizzabile per le situazioni piu' gravi, in cui si tratta di fare applicazione dell'articolo 78 cit.. Percio', quando il cumulo delle pene - si ripete: irrogate in procedimenti diversi, celebrati con rito diverso - supera gli anni trenta di reclusione, la riduzione di un terzo (ex articolo 442 c.p.p.) non puo' operare sull'unica pena "temperata" ex articolo 78, giacche' questa pena (come quella risultante dal cumulo materiale) esita a procedimenti celebrati con riti differenti. Alla sua determinazione concorrono, infatti, piu' reati, in ordine ai quali l'imputato ha operato scelte processuali diverse, sicche' e' da escludere l'indiscriminata estensione del trattamento di favore a tutti quelli unificati per continuazione per l'esclusiva ragione che vi e' stata, in un caso, scelta del rito speciale. In tal caso, l'autonomia dei procedimenti e l'applicazione del principio di premialita' esigono che la diminuente venga riconosciuta solo in relazione a quello celebrato in forma contratta, analogamente a quanto avviene in sede esecutiva. Si tratta, in entrambi i casi, di una diversita' di moduli applicativi nella determinazione della pena che trova giustificazione nell'oggettiva diversita' delle situazioni processuali. L'opposta soluzione ermeneutica - propugnata dal ricorrente - darebbe luogo ad un'ingiustificata disparita' di trattamento, equiparando la posizione dell'imputato giudicato col rito abbreviato a quella dell'imputato giudicato col rito ordinario (S.U., n. 35852 del 22/02/2018, Rv. 273547). La Corte di merito ha fatto quindi corretta applicazione dei principi rilevanti nella specie. 3. Il terzo motivo di ricorso in tema di recidiva e' generico, in quanto non scandito dalla necessaria critica ed analisi delle specifiche argomentazioni poste a base del capo della sentenza impugnata relativo all'applicazione dell'aggravante speciale nei confronti del ricorrente. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto l'asserita contraddittorieta' e illogicita' della motivazione sono smentite dalla lettura della sentenza impugnata, che dimostra l'esistenza di un impianto motivazionale congruo e connotato da lineare e. coerente logicita' in punto di responsabilita' penale del ricorrente e di qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo 23) dell'imputazione. Inoltre, la disamina della pronuncia oggetto di gravame sul punto evidenzia come i giudici di merito risultano aver fatto corretta applicazione ed interpretazione delle norme penali in materia di armi, sicche' le censure mosse con il motivo di ricorso in esame si traducono nella prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dettato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimita'. Infatti, nella parte motiva della sentenza impugnata si precisa come la qualificazione giuridica in termini di reato consumato della condotta di partecipazione alle trattative per la compravendita di armi risulta dalla sussunzione di detto fatto nella fattispecie di "porre in vendita" di cui alla L. n. 895 del 196, articolo 1, che per sua natura assorbe e tipizza la fase prenegoziale, collocandosi in un momento antecedente rispetto alla conclusione dell'accordo illecito. Dunque, la norma penale in esame, incriminando la condotta di messa in vendita di armi, anticipa la soglia di consumazione del reato alla sola offerta, che fenomenologicamente si estrinseca nella fase precontrattuale delle trattative e non richiede la conclusione dell'accordo di vendita ai fini del suo perfezionamento, ne' la materiale consegna delle armi. Quanto appena affermato rivela l'ontologica incompatibilita', fattuale e giuridica, della condotta di "porre in vendita" con la fattispecie del tentativo ex articolo 56 c.p., posto che gia' di per se' tale condotta risulta collocata in una fase dell'iter criminis antecedente rispetto alla conclusione dell'accordo illecito. La qualificazione giuridica della condotta di partecipazione alle trattative finalizzate alla vendita di armi in termini di delitto consumato da parte dei giudici di merito, di cui si da' conto nella parte motiva della sentenza impugnata (pagg. 639 e 660), risulta pertanto scevra da vizi logici, nonche' conforme ai principi affermati in materia da questa Corte, secondo cui ai fini dell'integrazione del delitto di vendita illegale di armi o munizioni da guerra non e' necessario che alla condotta dell'agente siano seguiti effetti traslativi della proprieta' o la traditio del bene, ma e' sufficiente "porre in vendita" lo stesso, in quanto tale nozione e' comprensiva anche delle trattative (Sez. 1, n. 5619 del 14/01/2008, Rv. 238861). Alla luce di quanto appena affermato, l'esito infruttuoso delle trattative non incide sulla qualificazione giuridica del fatto in termini di delitto consumato. Inoltre, la Corte territoriale da' conto del perfezionamento del requisito della serieta' delle trattative (desunta dalla raccolta preventiva di denaro, dal numero delle armi e dalla tipologia delle stesse, dalla serieta' dei dialoghi), ritenuto necessario ai fini della integrazione della fattispecie contestata, in tal senso aderendo al consolidato principio di diritto affermato a piu' riprese dalla giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale integra il reato previsto dalla L. n. 865 del 1967, articolo 1 anche la semplice offerta in vendita, che ha riguardo ad ogni attivita' negoziale e prenegoziale, ivi comprese le trattative, purche' serie (Sez. 6, n. 3667 del 3/12/2021, dep. 2022; Sez. 1, n. 10071 del 25/06/2014, Rv. 262691; Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011, Rv. 251835; Sez. 2, n. 43054 del 23/10/2007, Rv. 238310). Quanto alla profilata irragionevole disparita' di trattamento tra la condotta di cui al capo 23) avente riguardo alle armi e la condotta contestata al capo 26) concernente gli stupefacenti, derivante dalla qualificazione dell'una in termini di delitto consumato e dell'altra in termini di delitto tentato, seppure a fronte della loro "sostanziale omogeneita'", la censura parte da una errata premessa, che si rinviene proprio nella asserita sovrapponibilita' dei due fatti ascritti al ricorrente. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata si rileva come la diversa qualificazione giuridica della condotta in materia di armi rispetto a quella concernente le sostanze stupefacenti sia il portato della divergente attivita' posta in essere dal ricorrente nei due contesti di riferimento. Infatti, i giudici di merito hanno accertato la responsabilita' penale dell'imputato per i fatti di cui al capo 23) in quanto concorrente nella messa in vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra, e parimenti per i fatti contestato al capo 26) per aver compiuto atti diretti in modo non equivoco ad acquistare sostante stupefacenti. Ebbene, la prima condotta e' stata correttamente qualificata in termini di reato consumato, posto che l'offerta in vendita di armi, includendo la fase delle trattative, e' sufficiente al perfezionamento della fattispecie incriminatrice contestata che non richiede la conclusione dell'accordo di vendita. La seconda condotta in materia di stupefacenti, invece, e' stata ritenuta integrativa del delitto tentato alla luce della considerazione per cui la fattispecie di "acquisto" di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 non assorbe la fase precontrattuale delle trattative, richiedendo la conclusione dell'accordo tra le due parti negoziali ai fini del suo perfezionamento, e pertanto e' suscettibile di configurarsi ontologicamente e normativamente nella forma del tentativo. Infatti, la Corte territoriale, sulla scorta della considerazione per cui la fattispecie di acquisto si perfeziona quando sia stato raggiunto l'accordo sulla qualita', quantita' e prezzo, ha correttamente inquadrato la contrattazione non conclusasi nella fattispecie del tentativo, richiamando in tal senso il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui si configura il tentativo di acquisto di sostanze stupefacenti quando l'iter criminis si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 4, n. 6781 del 23/01/2014, Rv. 259283 e Rv. 259284). Pertanto, la qualificazione della condotta di partecipazione alla trattativa finalizzata all'acquisto di sostanze stupefacenti in termini di delitto tentato trova il proprio antecedente logico necessario sul piano fattuale nell'accertamento del diverso ruolo svolto dal ricorrente (intermediario per conto dell'acquirente), e sul piano giuridico nel differente significato normativo delle condotte tipizzate e nel differente ambito applicativo. Cio' posto, l'operazione ermeneutica ed applicativa delle norme in materia di armi e stupefacenti, di cui si da' conto nella parte motiva della sentenza impugnata, risulta esente da vizi logici e, pertanto, insindacabile in sede di legittimita'. Infine, per completezza in punto di inammissibilita', va anche rilevato che il motivo di ricorso risulta pedissequamente riproduttivo di quello di appello, esaminato e disatteso dalla Corte territoriale con argomentazioni logiche e coerenti con le risultanze probatorie, con cui il ricorrente non si confronta specificamente. 2. Il secondo motivo di ricorso, riguardante l'inclusione nell'oggetto delle trattative anche di armi da guerra, e' manifestamente infondato in quanto l'asserita illogicita' e contraddittorieta' della motivazione sono smentite dalla lettura della sentenza impugnata, che evidenzia l'esistenza di un impianto motivazionale logico, congruo e coerente con le risultanze probatorie. Il riconoscimento della circostanza aggravante delle armi da guerra, infatti, risulta sorretto dalla complessiva disamina degli elementi probatori (in particolare delle intercettazioni ambientali) dimostrativi di come l'oggetto della trattativa di compravendita includesse non solo armi comuni, ma anche e soprattutto armi da guerra (68 pezzi tra cui bazooka, CZ, kalashnikov, Skorpion), nonche' espressivi della consapevolezza del ricorrente in ordine alla qualita' delle armi, anche considerato il ruolo attivo di intermediario da questo svolto nelle trattative. Ulteriore profilo di manifesta infondatezza del motivo in esame si rinviene nella pedissequa riproduzione di censure gia' dedotte dinanzi ai giudici di merito, e da questi vagliate e disattese con motivazione scevra da vizi logici, con cui il ricorrente non si confronta. 3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla responsabilita' del ricorrente per la violazione della legge armi di cui al capo 25), e' manifestamente infondato, in quanto la disamina del provvedimento impugnato dimostra l'esistenza di un apparato motivazionale connotato da lineare e coerente logicita', conforme all'esauriente disamina dei dati probatori sul punto. In tal senso, la Corte territoriale valorizza il contenuto delle captazioni ambientali e le risultanze istruttorie gia' divenute definitive nell'ambito del procedimento 1982/14 RGNR DDA in quanto elementi idonei ad attribuire al ricorrente il ruolo di soggetto per cui conto ed a cui favore il (OMISSIS) custodiva le armi, riconoscimento ritenuto coerente e conferente con lo svolgimento dell'attivita' di intermediario nella vendita di dette armi da parte del ricorrente medesimo. A fronte dell'indicazione di tali elementi di prova, il ricorrente finisce per prospettare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, nella specie del contenuto delle captazioni telefoniche, estranea al sindacato di legittimita', trattandosi di questione di fatto rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). Quanto alla asserita mancanza di rilievi fotografici che attestino la traditio di armi da parte del ricorrente presso l'abitazione del (OMISSIS), la Corte territoriale ha ritenuto decisivo, ai fini dell'affermazione di responsabilita', il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che precisa come vi fosse un'ulteriore via di accesso alla casa del (OMISSIS), posta sul retro, che non poteva essere ripresa dalla videocamera apposta dalla PG in prossimita' dell'ingresso principale. Anche sotto tale profilo il motivo in esame si traduce, pertanto, in una prospettazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' e avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Va, infatti, rammentato che sono inammissibili in questa sede tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita', quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). 4. Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l'illogicita' della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per i fatti di cui al capo 26), e' manifestamente infondato. La lettura della sentenza impugnata dimostra l'esistenza di un impianto motivazionale scevro da vizi logici, che da' conto di come la Corte territoriale sia pervenuta all'accertamento della partecipazione dell'imputato alle trattative finalizzate alla compravendita di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, e non solo marijuana e hashish come prospettato nel ricorso, sulla scorta della complessiva e coerente valutazione delle risultanze probatorie acquisite sul punto. In particolare, i giudici di merito ritengono provata la circostanza che sin da subito la negoziazione illecita aveva ad oggetto sia droghe leggere che droghe pesanti ("erba" e "polvere"), in ragione del contenuto delle copiose captazioni ambientali che hanno coinvolto il ricorrente e che ne hanno confermato il ruolo di intermediario quale soggetto attivo nelle operazioni di finanziamento per l'acquisto dello stupefacente e di scelta del tipo e della quantita' di droga da acquistare. Inoltre, a conferma della inclusione delle due tipologie di sostanza stupefacente ("dell'una e dell'altra") nell'oggetto delle trattative, la Corte di merito fa riferimento all'ordinanza del Tribunale del Riesame, la quale avallava l'esistenza di un doppio binario nella negoziazione, che coinvolgeva l'acquisto o lo scambio della "polvere" (cocaina) oltre che del "fieno per cavalli" (marijuana). Cio' posto, le doglianze sollevate con il motivo di ricorso in esame si traducono in mere doglianze in punto di fatto, non ammesse in sede di legittimita', e sono volte a prefigurare una rivalutazione ed alternativa lettura del materiale probatorio, che esulano dalla portata del giudizio di questa Corte. Ulteriore profilo di manifesta infondatezza del motivo di ricorso in esame si rileva nella pedissequa riproduzione delle doglianze gia' dedotte con l'atto di appello e gia' ampiamente disattese dalla Corte di merito con argomentazioni congrue ed esenti da censure in punto di logicita' e coerenza, con cui il ricorrente non si confronta. 5. Il quinto motivo di ricorso, avente riguardo al vizio di motivazione in relazione all'imputazione soggettiva dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p. per i fatti di cui ai capi 23) e 26), e' manifestamente infondato. Invero, la sentenza impugnata risulta essere corredata da una motivazione scevra da vizi logici in punto di riconoscimento dell'aggravante in discorso, sotto il profilo dell'agevolazione mafiosa, accertata con riguardo sia ai fatti in materia di armi sia a quelli in materia di stupefacenti. In tal senso, la Corte territoriale ha enunciato plurimi elementi dimostrativi della finalizzazione delle condotte poste in essere dal ricorrente, nonche' della consapevolezza dello stesso circa la proiezione teleologica delle operazioni illecite realizzate e condivise anche dai correi. Si e' fatto riferimento, in particolare, al contenuto dei dialoghi captati (viene sottolineato il contenuto dell'intercettazione del 15/03/2014), in cui il ricorrente veniva identificato quale soggetto intraneo alla âEuroËœndrangheta, peraltro in posizione apicale, come anche confermato dalla condanna del ricorrente, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. in qualita' di reggente nell'ambito del sodalizio mafioso operante nel territorio di (OMISSIS) e denominato (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). Inoltre, anche alla luce di tali elementi, la Corte territoriale ha operato una valutazione logica e coerente delle espressioni captate, in cui il ricorrente ed i correi venivano rappresentati quali "fratelli" o "fratelli nostri" ai soggetti con cui i traffici illeciti di armi e droga venivano intrattenuti, proprio al fine di qualificarne il ruolo di affiliati, nonche' al fine di attestarne l'affidabilita' negoziale. Tali elementi, in uno con il contesto materiale e logico in cui risultano collocati, esprimono, nella valutazione dei giudici di merito, la finalizzazione ultima delle condotte negoziali e prenegoziali ascritte al ricorrente, che viene identificata nell'agevolazione e nel rafforzamento della compagine criminale di appartenenza e dei sodalizi mafiosi ad esso contigui ("famiglie"). Nella motivazione della sentenza impugnata, peraltro, si da' conto di come il dichiarato parzialmente confessorio del ricorrente, laddove quest'ultimo affermava di aver partecipato alle trattative illecite a titolo esclusivamente personale, trovi esplicita smentita nei dialoghi oggetto delle captazioni ambientali, che esprimono l'interesse dello stesso imputato e dei correi alla conclusione degli affari illeciti al fine di implementare il mercato nero delle armi in guisa da detenerne il controllo "per conto di tutti". Della valenza indiziante di tale contenuto i giudici di merito hanno fornito, pertanto, una ricostruzione coerente con l'editto accusatorio, anche operando una valutazione complessiva delle circostanze emerse, relative alla persona del ricorrente, in ragione del contesto fattuale dei dialoghi captati e del ruolo, anche associativo, rivestito da taluni degli interlocutori. I motivi di ricorso finiscono, dunque, per proporre, in questa sede, una rinnovata ponderazione delle emergenze processuali, alternativa a quella correttamente effettuata dai giudici di merito, introducendo problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimita' (ex multis Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482). Inoltre, i motivi dedotti risultano interamente riproduttivi delle doglianze gia' proposte in sede di appello ed esaminate nonche' disattese dalla Corte territoriale con motivazione congrua e scevra da vizi logici, con cui il ricorrente omette di confrontarsi. 6. Il sesto motivo di ricorso, afferente al trattamento sanzionatorio, e' manifestamente infondato in quanto la parte motiva della sentenza oggetto di gravame sul punto risulta aver fornito adeguato esame delle deduzioni difensive, e risulta essere sufficiente e non illogica. In particolare, la Corte territoriale, anche richiamando la sentenza del primo giudice, ha fatto riferimento a plurimi criteri ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, in particolare all'entita' della condotta, alla modalita' dell'azione, alla variegata tipologia di armi e narcotico trafficati, alla finalita' agevolatrice, ai precedenti penali del ricorrente, peraltro operando una diminuzione di pena per effetto dell'applicazione della disciplina maggiormente favorevole disposta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019. Pertanto, la graduazione della pena, anche in relazione alla diminuzione prevista ex articolo 56 c.p. per il tentativo, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142), cio' che, nel caso di specie, non ricorre. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, non puo' essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, Rv. 264020; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Rv. 252880). 7. In conclusione, nulla aggiungendo la memoria depositata, va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso. (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo relativo all'affermazione di responsabilita' in ordine ai delitti in materia di armi e' infondato. Anzitutto, correttamente la sentenza impugnata ha escluso la ricorrenza di un'ipotesi di "armi parlate" evidenziando come gli elementi indicativi delle caratteristiche delle armi menzionate nel corso dei dialoghi intercettati si riferissero a strumenti idonei ad offendere (all'uopo rilevano le indicazioni dei diversi calibri o dei modelli, elementi sufficienti a dare conto che non si tratta di armi giocattolo), in ragione della provenienza e del prezzo per una di esse corrisposto dal (OMISSIS) ed anche da quanto ammesso poi dallo stesso ricorrente nel riferire di avere visionato delle armi reali una volta entrato in casa del cognato (vedi pag. 906 ove si da' atto che il (OMISSIS) ne portava una alla cinta). 1.1. Quanto al capo 68), la detenzione dell'arma Beretta serie 81 e' stata correttamente tratta dal giudice del merito da un passaggio dell'intercettazione ambientale in cui e' lo stesso ricorrente a riferire al (OMISSIS) di avere la disponibilita' di un'arma (Beretta serie 81), mediante l'utilizzo del verbo avere, indicativo di possesso, in difetto di allegazione che si trattasse proprio della stessa arma legalmente detenuta dal padre, circostanza, quest'ultima, logicamente esclusa dalla Corte di merito mediante il riferimento al fatto che si trattava di un oggetto nuovo e contenuto in un pacco e che l'arma paterna, della cui serie vi e' incertezza, fosse invece stata acquistata molto tempo prima. Peraltro, la sentenza impugnata indica anche un elemento risolutivo costituito dal riferimento di un coimputato, che distingue l'arma posseduta dal ricorrente da quella di cui era titolare il padre. 1.2. Quanto alla pistola P38 calibro 9 Luger (riferibile tanto al capo 68 che a quello 70 trattandosi dell'arma per la quale vi e' contestazione di messa in vendita), la consumazione del reato di detenzione illegale e' stata ricavata dall'avvenuta conclusione del negozio di vendita intervenuto con il (OMISSIS) che prevedeva la consegna di due pistole di cui una gia' promessa in vendita da parte del ricorrente ad un terzo. La stessa Corte di merito da' atto di come la traditio non fosse intervenuta a causa di difficolta' sopravvenute (dapprima per difficolta' inerenti all'individuazione del luogo di occultamento stante l'ora notturna, poi perche' vennero scoperte le telecamere che monitoravano l'abitazione del (OMISSIS)), ma evidenzia, ai fini della consumazione, come fosse stato ormai concluso uno specifico accordo con il (OMISSIS) per l'avvenuta cessione delle armi, prontamente reperibili nei dintorni dell'abitazione del venditore (nascoste nella terra nei dintorni di casa). In forza di tale accordo, pertanto, muta la veste giuridica della detenzione delle armi compravendute da parte del (OMISSIS), il quale, da quel preciso momento, detiene nomine alieno, ossia in nome e per conto del ricorrente. Il fatto, dunque, che nel frangente monitorato dalle intercettazioni non si sia materialmente operata la consegna non e' elemento decisivo ai fini dell'esclusione del reato, in quanto, sulla scorta della ricostruzione operata dai giudici di merito, risulta come tra le parti - anche in forza dei rapporti di parentela tra le stesse intercorrenti fossero stati gia' concordati tempi, luogo e modalita' del ritiro e come fosse stabilito che quelle armi erano gia' divenute di proprieta' del ricorrente che, pertanto, ne poteva validamente disporre, anche ponendole in vendita ad un terzo al quale le aveva promesse. A conferma della validita' di tale ricostruzione, la Corte di merito cita anche la significativa circostanza di come proprio il giorno dopo fosse stato stabilito l'incontro con il terzo a cui erano gia' promesse in vendita le armi. Corretta, pertanto, risulta, sulla scorta della motivazione resa e degli elementi di fatto enunciati, la qualificazione giuridica data al fatto dalla sentenza impugnata. L'assunzione dell'impegno in capo al ricorrente di vendita delle armi in favore di un terzo, sulla scorta di un contratto gia' concluso per quanto si ricava sia dall'individuazione del compratore che del relativo prezzo di vendita, rende del tutto ragionevole la conclusione raggiunta dalla Corte di merito, in ossequio all'orientamento di questa Corte a mente del quale lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni senza licenza integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 (mod. dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9), ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011, dep. 2012, Rv. 251835; in termini con riguardo al caso di specie in sede cautelare (Cass. pen., sez. 5, n. 54973 del 18/11/2016). Del resto, che la trattativa, per come risulta dai dialoghi in sentenza riportati, fosse seria ed incombente, viene anche ricavato dalla particolare premura mostrata dal ricorrente nell'ottenerne la consegna, comportamento che logicamente si spiega proprio con l'obbligo negoziale gia' assunto dal ricorrente verso il terzo e non, come alternativamente prospettato nel ricorso, che lo riconduce ad un pretesto al fine di ottenere velocemente la consegna delle armi dal (OMISSIS). 2. Anche il secondo motivo di ricorso e' infondato. Quanto alla ricettazione (che attiene precisamente al capo 69, essendo invece nel capo 70 contestata la violazione della legge armi con riguardo all'ipotesi della messa in vendita), per avere acquistato dal (OMISSIS) un'arma di provenienza delittuosa, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte secondo cui, ai fini della consumazione del delitto di ricettazione, non e' necessario che all'acquisto, perfezionatosi in virtu' dell'accordo intervenuto tra le parti, segua materialmente la consegna della âEuroËœres', poiche' l'articolo 648 c.p. distingue l'ipotesi dell'acquisto da quella della ricezione (fattispecie in cui il fermo della merce di provenienza delittuosa presso la Dogana aveva impedito la ricezione da parte dell'imputato; Sez. 2, n. 40382 del 12/06/2015, Rv. 264559; conforme Sez. 2, n. 33957 del 14/06/2017, Rv. 270734). Peraltro, la censura risulta anche inammissibile nella parte in cui finisce per investire il significato delle intercettazioni con particolare riguardo alla individuazione dei modelli delle armi successivamente messe in vendita dal ricorrente, profilo che la sentenza di merito ha affrontato e risolto con motivazione non affatto illogica in ragione dei chiari elementi identificativi delle armi comuni da sparo comunque declinati nelle conversazioni e in ragione del contesto di fatto in cui avviene l'acquisto delle armi dal (OMISSIS). Il fatto che l'arma fosse con munizioni 9 Luger o 9 parabellum, implica anche l'esistenza del reato presupposto di cui al Decreto Legislativo n. 204 del 2010, articolo 5, considerato che a norma di tale disposizione le armi corte in cal. 9 Luger (9x19) pur essendo armi comuni (non da guerra per come correttamente rilevato dalla stessa sentenza impugnata accogliendo sul punto il rilievo della difesa) sono vietate ai civili e ne e' vietata anche la vendita; sono tuttavia costruibili regolarmente. Il fatto, poi, che le armi circolino al di fuori dei canali ufficiali di vendita basta a dare conto dell'elemento soggettivo del dolo generico richiesto per la sussistenza della fattispecie. 3. La dosimetria della pena, anche della pena base, e' adeguatamente motivata. La pena base e' stata correttamente parametrata su un valore prossimo al medio pari ad anni quattro di reclusione per la ricettazione, trattandosi di condotta azione che si innesta in un contestuale attivismo delinquenziale ben piu' ampio di cui la sentenza impugnata ha dato atto, essendosi anche richiamato l'ulteriore elemento di disvalore in cui il ricorrente fa anche da tramite per l'interesse al recupero di armi di (OMISSIS) e da canale di smercio per gli affari del Pronesti', oltre che del cognato (OMISSIS). 4. L'applicazione della recidiva rinviene congrua motivazione. Si da' atto, infatti, che il ricorrente annovera precedenti reiterati per reati contro il patrimonio (anche nel quinquennio), oltre al favoreggiamento personale verso il collaboratore (OMISSIS) e Giovanazzo (OMISSIS), nonche' varie pendenze per gravi addebiti in sede cautelare in materia di droga per i quali al momento della valutazione espressa dai giudici di merito si trovava contemporaneamente detenuto. Tali precedenti sono stati coerentemente apprezzati dal giudice del merito quali antecedenti di un percorso delinquenziale non interrotto alla luce anche della gravita' dei reati commessi, del contesto criminale in cui si inseriscono le condotte accertate e dei rapporti intrattenuti con soggetti di primo piano coinvolti nel presente procedimento ( (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS)). L'aumento disposto per la recidiva e' quello prescritto per legge, nella misura di due terzi della pena base, trattandosi di recidiva pluriqualificata: reiterata ed infranquinquennale. 5. Anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche rinviene congrua motivazione: al riguardo la Corte di merito ha richiamato stringenti indici ostativi, facendo riferimento vuoi alla negativa personalita' emersa e vuoi ad un atteggiamento "ondivago" anche nel dichiarato, durante il quale l'imputato continuava ad ammettere soltanto le questioni emerse in modo piu' evidente nelle intercettazioni, cercando "di edulcorare il proprio e l'altrui ruolo nelle vicende esaminate". Con la conseguenza che se e' certamente legittimo in un'ottica difensiva assumere un atteggiamento processuale volto al diniego delle contestazioni mosse, non si puo' pero' al contempo invocare la concessione delle attenuanti generiche sulla scorta di un dichiarato avente carattere parziale e privo di spontaneita'. 6. Anche l'aumento per la continuazione rinviene in ogni singolo aumento sufficiente motivazione. Si precisa, infatti, come la pena venga aumentata di un anno ed Euro 1.000 di multa per il capo 70) "consistito nella gravissima condotta di messa in vendita e quindi autonomo smercio della pistola illecita con scambio in natura e con propositi di vendita anche per la seconda da reperire, sicche' la determinazione in aumento appare piu' che giustificata e comunque contenuta alla luce della possibilita' di aumento fino al triplo della pena base a seconda della gravita' dei casi". Per la detenzione della pistola P.38 (in via mediata) e della Beretta serie 81 l'aumento - piu' contenuto di soli mesi 10 di reclusione, oltre la multa - l'aumento si fonda sul rilievo che trattasi di "ben due armi dalla micidiale potenza aggressiva". (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). I ricorsi sono inammissibili. 1-2-3. I primi tre motivi di ricorso, che investono l'affermazione di responsabilita' per la partecipazione al sodalizio mafioso di cui al capo 1) - e di cui e' possibile una trattazione unitaria stante la connessione logica delle censure - sono manifestamente infondati. In particolare, la sentenza impugnata si e' lungamente soffermata sulla deposizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS), evidenziandone l'attendibilita' riscontrata non solo mediante il richiamo dei passaggi significativi di quella di primo grado, ma anche sul rilievo che, sulla scorta dell'attivita' avviata a seguito delle dichiarazioni di tale collaborante, tutti gli imputati del procedimento n. 1982/14 R.G.N. R. sono stati condannati in sede di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, ad eccezione del (OMISSIS) nei cui confronti si e' proceduto separatamente. Proprio lo (OMISSIS), la cui deposizione ha fatto ampia luce sulle attuali dinamiche della locale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), ha indicato l'odierno ricorrente come affiliato al sodalizio criminale con la dote di "vangelo", spiegando, attraverso il riferimento alla sua storia "criminale", la valenza di tale qualifica nella scala gerarchica dell'associazione mafiosa in oggetto. La sentenza impugnata, oltre ad aver esposto in modo articolato gli elementi fattuali in base ai quali ha identificato nel ricorrente il (OMISSIS) indicato dal collaborante (titolarita' di autovettura Panda 4x4, frequentazione di mafiosi, precisa individuazione fotografica), ha altresi' indicato quale riscontro esterno individualizzante a quanto dichiarato dallo (OMISSIS) il contenuto dell'intercettazione ambientale della conversazione tra il (OMISSIS), esponente di spicco della locale di (OMISSIS) ed in procinto di costituire una propria cosca, ed altri affiliati. Il (OMISSIS), nell'elencare i componenti della locale di (OMISSIS) proprio nella prospettiva di costituire un'autonoma propria cosca, ha fatto riferimento anche al (OMISSIS), indicando la dote di "Vangelo" rivestita dal ricorrente. Orbene, e' proprio il richiamo effettuato sia dallo (OMISSIS) che dal (OMISSIS) al ruolo di spessore assunto dal ricorrente nel sodalizio criminoso che confuta l'assunto del (OMISSIS) secondo cui l'ordinanza impugnata non avrebbe indicato il contributo specifico fornito dallo stesso a vantaggio dell'organizzazione criminale. Al riguardo, va richiamato il recente arresto delle S.U. di questa Corte a mente del quale "La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla "messa a disposizione" del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi". "Nel rispetto del principio di materialita' ed offensivita' della condotta, l'affiliazione rituale puo' costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza - alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serieta' ed effettivita', l'espressione non di una mera manifestazione di volonta', bensi' di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione" (S.U. n. 36958 del 27/05/2021, dep. 11/10/2021, Rv. 281889). Cio', pertanto, sta a significare che la condotta di partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare la permanenza del vincolo. Di conseguenza, ove il ruolo formalmente conferito nella scala gerarchica caratterizzante l'organigramma interno dell'associazione corrisponda ad ambiti di rilievo via via crescenti in progressione, il valore indiziario ascrivibile al dato dell'affiliazione e' destinato ad assumere un significato maggiormente rilevante sul piano probatorio, laddove - come nel caso di specie - alla crescita per gradi corrispondano positive valutazioni "meritocratiche", in sostanza, meriti gia' acquisiti sul campo e concretati da pregresse condotte positivamente realizzate nell'interesse della compagine associativa (vedi sul tema anche in motivazione Sez. 6, n. 39112 del 20 maggio 2015; Sez. 5, n. 50839/2016; Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Rv. 269040). In questa ottica, il giudizio sull'intraneita' ad un'organizzazione di tipo mafioso puo' circoscriversi all'apprezzamento della carica formale - di rilievo nella scala dei valori interni all'associazione - rivestita dall'imputato. In conclusione, l'attribuzione di un grado qualificato - quale la dote all'interno del gruppo sulla base di una scala di progressione consolidata - ben puo' assurgere ad elemento dimostrativo della partecipazione associativa, ove si colleghi a ruoli e funzioni riconosciute all'interno di un territorio, ed integri una figura di riferimento indefettibile, che dimostra la sua valenza e stabilita' all'interno della compagine. In tale contesto, quindi, l'incarico ulteriore nell'ambito della scala gerarchica della âEuroËœndrangheta qualifica la condotta di partecipazione e la stessa permanente messa a disposizione, non risultando che tale conferimento sia stato la mera conseguenza di un "tramandato" di carattere familiare. Non pertinente, pertanto, si rivela il richiamo operato, nei motivi di ricorso, all'orientamento espresso a S.U. da questa Corte nella sentenza n. 36958 del 2021 (peraltro il richiamo risulta effettuato all'informativa provvisoria della decisione, essendo le motivazioni state depositate dopo la presentazione del ricorso). Ne' tale ritenuta partecipazione risulta aver assunto nella motivazione impugnata un mero riferimento di carattere "storico", in quanto il richiamo operato dal (OMISSIS) e' logicamente riferito, per il contesto del dialogo (vertente anche sugli uomini d'onore da trascinare con se' nella scelta di dar vita ad una autonoma âEuroËœndrina) e l'uso del verbo essere all'indicativo, ad una persona intranea, con carattere di attualita' della sua appartenenza, considerato che, nella declinazione degli affiliati, il (OMISSIS) stesso fa riferimento, a mo' di distinzione, anche a soggetti non piu' a disposizione della compagine. Insomma, nessuna illogicita' nell'aver desunto che il (OMISSIS) nel corso di tale dialogo stesse facendo "la conta degli attivi". Peraltro, ad esclusione della ricorrenza di "un'astrazione dell'imputato dai contesti mafiosi", si citano anche i controlli sul territorio del ricorrente con altri coimputati, quali (OMISSIS), (OMISSIS) e l'omonimo (OMISSIS), suo cugino. A cio' va anche aggiunto che dal dialogo del (OMISSIS) riportato in sentenza risulta che il ricorrente e' noto anche all'altro conversante, (OMISSIS), pure ritenuto un associato, il quale all'imputato attribuisce il dato, riscontrato e dal medesimo ammesso in sede di interrogatorio, del possesso di una Fiat Panda 4x4, cosi' dando dimostrazione di conoscerlo con certezza. La sentenza impugnata risulta, pertanto avere fatto corretta applicazione della disposizione sostanziale censurata, anche in applicazione del principio affermato da questa Corte a mente del quale in materia di reati associativi, la commissione dei "reati-fine" dell'associazione, di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria, ne' ai fini della configurabilita' e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 3, n. 9459, del 6/11/2015, dep. 8/03/2016, Rv. 266710). Parimenti, va escluso anche il paventato vizio di motivazione, sul rilievo, peraltro gia' affermato proprio con riferimento alla tematica in oggetto da questa Corte, che in tema di associazione di tipo mafioso l'individuazione della c.d. " dote di âEuroËœndrangheta", concernente lo "status" di un affiliato ad una consorteria âEuroËœndranghetista, costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito che, ove sorretta da una motivazione esente da vizi logici o motivazionali, non e' sindacabile in sede di legittimita' (Sez. 1, n. 35775 del 20/11/2020, Rv. 280094). 4. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla contestazione di far parte di un'associazione armata. La censura attiene all'assenza di elementi dimostrativi della conoscenza da parte del ricorrente della disponibilita' in capo ai sodali coimputati di armi. Il ricorrente, peraltro, mai era stato visto presso il locale ove sarebbero avvenuti gli spostamenti delle armi. 4. Anche il quarto motivo in ordine all'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. Sul punto, infatti, non puo' ritenersi manifestamente illogico aver ricavato la consapevolezza anche da parte del ricorrente di essere l'associazione armata - quantomeno sotto il profilo dell'esclusione dell'ignoranza incolpevole - dalla circostanza che il possesso delle armi ad opera del (OMISSIS) e della sua consorteria, in ragione dell'elevatissimo numero delle armi, della loro potenzialita' e dei suoi stabili contatti con cosche limitrofe o di altra zona della Calabria, avesse assunto proprio in ragione della circolarita' di tali informazioni all'interno del panorama della âEuroËœndrangheta, non limitato alla locale di (OMISSIS), tanto che ai traffici di armi del (OMISSIS) erano interessati e coinvolti anche soggetti di provenienza "esterna" - la valenza di una vero e propria connotazione strutturale ben nota all'intero gruppo criminale, quantomeno sotto il profilo dell"assenza dell'ignoranza inevitabile. 5. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (ex multis, Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549). Nel caso di specie, a fronte dell'indicazione di indici non dotati di particolare pregnanza e generici, si e' fatto motivatamente riferimento ai precedenti penali ed al ruolo di particolare spessore rivestito dal ricorrente nella consorteria criminale. 6. Anche il motivo sulla recidiva risulta manifestamente infondato. Nessuna manifesta illogicita' e' dato ricavarsi nella motivazione della sentenza impugnata per avere ravvisato una continuita' delinquenziale tra i reati comuni in relazione ai quali il ricorrente annovera precedenti e quello "qualificato" oggetto del presente processo. Al riguardo, va, infatti, precisato che la recidiva e' stata ritenuta nella forma reiterata ed infraquinquennale. Pertanto, non e' affatto richiesto che tra i reati presi in considerazione dal giudice del merito sussistano, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, caratteri fondamentali comuni, trattandosi, invece, di requisito prescritto in caso di recidiva specifica (ossia quella che involge delitti della stessa indole). Cio' che rileva, invece, e' che il giudice del merito dia conto, seppur con succinta motivazione, che la condotta costituisca significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). E al proposito nessuna distonia e' ravvisabile nell'aver ritenuto che i diversi precedenti penali annoverati dal ricorrente (si indicano condanne le condanne per ricettazione, truffa, usura, estorsione, bancarotta fraudolenta e falso ideologico) si pongano quale antecedente logico di una scelta delinquenziale poi rivelatasi espressiva di una maggiore gravita', nell'ambito di una escalation manifestatasi anche con l'avanzamento nel "grado" acquisito all'interno del sodalizio criminale. E' dunque il vissuto giudiziario che denota una personalita' avvezza alle violazioni di legge, ritenuta chiara espressione di una rafforzata capacita' delinquenziale alla luce della obiettiva gravita' della condotta contestata nel presente giudizio. 7. Il settimo motivo di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio ratione temporis applicabile alla condotta di partecipazione e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, lungi dall'aver "ancorato" la condotta di partecipazione al periodo in cui il ricorrente era stato coinvolto nell'ambito dell'operazione cd. Decollo (culminata in provvedimenti cautelari emessi dal GIP di Catanzaro anche per i delitti di usura ed estorsione in relazione ai quali l'imputato ha poi riportato condanna definitiva), ha fatto riferimento ad un periodo ben successivo al 2010, in ragione non solo della chiamata dello (OMISSIS) (in cui il riferimento al coinvolgimento del ricorrente nell'operazione Decollo avviene esclusivamente a fini identificativi e non per delimitare temporalmente la condotta di partecipazione), del contenuto dell'intercettazione ambientale captata in data 15/3/2014 presso l'abitazione del (OMISSIS) e dei controlli operati sul territorio con gli altri coimputati. A fronte della ritenuta permanenza della condotta di partecipazione in aderenza alla contestazione del reato di cui al capo 1) della rubrica in forma aperta e permanente ("in (OMISSIS), Anoia e localita' limitrofe dal 1995 in poi e tuttora permanente"), competeva al ricorrente specificare gli elementi di merito confermativi di un'interruzione della partecipazione da parte del ricorrente in epoca antecedente all'entrata in vigore della normativa piu' sfavorevole che si ritiene applicata per la determinazione del trattamento sanzionatorio. Peraltro, il motivo risulta inammissibile anche sotto il profilo della carenza di interesse. Invero, entrambi i giudici di merito risultano avere stabilito la pena base in anni nove di reclusione, ossia in una misura che rientra appieno nell'ambito della forbice edittale della lex mitior riferibile al periodo storico in cui si vorrebbe cessata l'appartenenza al sodalizio (soltanto alla L. 27 maggio 2015, n. 69 si deve l'innalzamento della pena da dieci a quindici anni di reclusione). Ne' l'interesse a sostegno del motivo puo' ravvisarsi nel fatto che la pena base comunque stabilita, pur compresa nella forbice edittale dei diversi interventi normativi che hanno modulato la pena (L. n. 251 del 2005 e Decreto Legge n. 92 del 2008), si sia comunque attestata sul massimo e, dunque, necessitava di una piu' stringente motivazione. Al di la', infatti, del rilievo che tale censura non e' stata mossa, va anche evidenziato come la sentenza impugnata abbia motivatamente riconosciuto al ricorrente un ruolo "qualificato", in virtu' della dote del v (OMISSIS) posseduta, evidenziando, al contempo, che l'applicazione di una pena relativa al mero partecipe (per come stabilito dal primo giudice) era conseguenza del rispetto del divieto di reformatio in peius avendo il pubblico ministero omesso di proporre appello sul punto. (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto afferente a violazioni di norme processuali smentite dagli atti processuali. Invero, la Corte territoriale ha correttamente applicato la disciplina di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3-bis, disponendo la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale a fronte dell'appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento di primo grado per motivi attinenti anche alla valutazione di prove dichiarative assunte nel corso del primo giudizio. Nel caso di specie, la Corte d'appello ammetteva l'audizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS), sulla scorta della ritenuta decisivita' delle sue dichiarazioni ai fini della valutazione della posizione del ricorrente, limitatamente ai fatti di cui al capo 12) ("limitatamente alle imputazioni di favoreggiamento anche ascritte al (OMISSIS)", p. 12 della sentenza impugnata), rispetto ai quali la sentenza di secondo grado ha confermato l'assoluzione dell'imputato. Correttamente, il giudice di seconde cure ha disposto la riassunzione della prova dichiarativa in questione solo ed esclusivamente con riferimento ai delitti di cui al capo 12) alla luce del principio, affermato da questa Corte, secondo cui costituiscono prove decisive ai fini della valutazione della necessita' di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonche' quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti -da sole o insieme ad altri elementi di prova- ai fini dell'esito della condanna (S.U., n. 27620 del 28/04/2016 (dep. 2016) Rv. 267491). Stante il principio secondo cui nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato e' ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perche' potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti, la Corte territoriale ha escluso ogni riferimento alla prova dichiarativa in questione dalla parte motiva della sentenza in punto di condanna del ricorrente sulla scorta della valutazione di non decisivita' del propalato del collaboratore rispetto ai fatti di cui al capo 10). La decisione del primo giudice e' stata, infatti, riformata solo nella parte relativa ai reati di cui al capo 10), per i quali e' stata accertata la responsabilita' penale del ricorrente in forza di altri elementi rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, quali le intercettazioni telefoniche. La censura dedotta con tale motivo di ricorso, secondo cui l'asserita violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 3 bis, deriverebbe dalla ritenuta decisivita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia ai fini della rinnovazione istruttoria e dalla successiva elisione delle stesse dal percorso argomentativo in punto di condanna del ricorrente, risulta pertanto infondata ed anche generica, in quanto non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata. Inoltre, la Corte territoriale ha legittimamente fondato la decisione di condanna sulla scorta di una valutazione approfondita del materiale intercettivo, ammessa in sede di appello stante la assoluta pienezza di cognizione e di rivalutazione del merito di quanto e' stato devoluto, nonche' corredata da un impianto motivazionale congruo e scevro da vizi logici, adempiendo peraltro all'obbligo di motivazione rafforzata che si impone nel caso di riforma della sentenza di assoluzione di primo grado. In tale prospettiva, si rende necessario precisare il principio, affermato a piu' riprese da questa Corte, in forza del quale il giudice di appello che riformi la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (S.U. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679). La condanna in appello dell'imputato assolto in primo grado, pertanto, e' suscettibile di fondarsi anche sulla diversa valutazione dei medesimi elementi di prova posti alla base della prima decisione, purche' sia adempiuto l'obbligo di motivazione rafforzata che impone al giudice di giustificare il diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p. Dunque, dalla lettura della sentenza impugnata se ne ricava che la Corte di merito abbia fatto buon governo dei principi in materia affermati da questa Corte. 2.-3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vengono trattati congiuntamente in quanto omogenei e strettamente connessi, sono manifestamente infondati. In particolare, l'asserita violazione della legge sostanziale risulta fondata su assunti relativi alla ricostruzione dinamica della fattispecie concreta non rivisitabile nel giudizio di legittimita'. Nel caso di specie, la profilata violazione dell'articolo 326 c.p. avrebbe causa nella ritenuta idoneita', secondo la valutazione operata dai giudici di seconde cure, della condotta del ricorrente ad integrare il delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreto d'ufficio, sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Ebbene, dalla lettura della sentenza impugnata si rileva la corretta applicazione della legge penale sostanziale al caso concreto da parte della Corte territoriale mediante un'operazione, sostenuta da una motivazione non manifestamente illogica, di sussunzione dei fatti ascritti al ricorrente sotto l'ipotesi delittuosa prevista in astratto dal legislatore alla luce degli elementi probatori assunti nel corso del giudizio di merito. La Corte di appello, infatti, ha accertato la violazione, da parte dell'imputato, del dovere di segretezza impostogli in qualita' di pubblico ufficiale, mediante una condotta che e' stata ritenuta spingersi "ben oltre" la semplice sollecitazione funzionale ad acquisire informazioni utili ai fini dell'identificazione dell'autore dell'omicidio del (OMISSIS). Dalle risultanze probatorie emergeva come, proprio in tale occasione, il ricorrente forniva al (OMISSIS), suo confidente, il nominativo del possibile autore dell'omicidio, verso il quale si stavano orientando le indagini. Orbene, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, proprio l'iniziativa dell' (OMISSIS) di comunicare il nome del sospettato al (OMISSIS), nel corso dell'attivita' investigativa, integrava l'elemento oggettivo della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., stante la qualificazione dell'informazione rivelata come "non necessitata" dall'incombente investigativo e "non funzionale" ad ottenere spiegazioni circa il soggetto su cui concentrare le indagini. Anzi, era lo stesso agente ad orientare l'informatore sulla direzione assunta dall'attivita' di investigazione, in guisa da ottenere conferma circa la bonta' della pista investigativa, tuttavia assumendo il rischio concreto di compromissione della stessa mediante la rivelazione ad un extraneus dell'oggetto e della direzione delle indagini. Peraltro, contrariamente alla prospettazione difensiva, dalle intercettazioni telefoniche risultava come il (OMISSIS) non fosse venuto a conoscenza aliunde della informazione e come il nome del sospettato non fosse affatto notizia di dominio pubblico. Dunque, la Corte territoriale accertava, sulla base di tali elementi, anche l'idoneita' causale della condotta posta in essere dal ricorrente a creare un pericolo concreto per l'integrita' del bene protetto dalla norma incriminatrice in discorso, che si identifica nel buon funzionamento della pubblica amministrazione, e, nel caso di specie, nel corretto andamento dell'azione investigativa. Peraltro, i giudici di seconde cure ritenevano la non applicabilita' della causa di giustificazione ex articolo 54 c.p. alla condotta ascritta all'imputato, poiche' dalle risultanze probatorie si rilevava come il ricorrente non avesse agito poiche' costretto dalla necessita' di verificare, a pena di un male peggiore, l'esattezza della pista investigativa e che non ricorreva una situazione di urgenza tale da rendere necessario fermare il sospettato. Inoltre, la Corte d'appello rilevava la non operativita', rispetto alla posizione dell'imputato, della scriminante di cui all'articolo 51 c.p., in quanto egli non aveva agito nell'adempimento del dovere informativo cui era tenuto nel suo ruolo di ricerca del nome del soggetto autore dell'omicidio, considerato che era stato lo stesso ricorrente a fornire tale informazione al confidente e che avrebbe potuto sollecitare eventuali conoscenze dell'informatore anche senza fare il nome del sospettato, dunque anche tenendo una condotta alternativa lecita. Secondo la ricostruzione della Corte territoriale, sarebbe stato ben possibile e doveroso da parte dell'imputato sollecitare l'informatore per ottenere notizie utili a dare impulso alle indagini in corso, senza per cio' solo rivelare, alla luce dello specifico contesto di fatto delineato, il nome del sospettato. Non a caso, tali considerazioni sono coerentemente poste a fondamento dell'assoluzione dell'imputato per i fatti contestati con il medesimo capo di imputazione (concernenti il danneggiamento a mezzo di colpi di arma da fuoco subito da Improvolo (OMISSIS), ed il rinvenimento di sostanza stupefacente nella disponibilita' di un'avvocatessa, vedi capo 10), rispetto ai quali i giudici di appello hanno accertato la scriminabilita' della condotta, in quanto posta in essere nei limiti dell'esercizio del dovere informativo di cui il ricorrente era onerato. Ebbene, dalla lettura della parte motiva della sentenza impugnata, si ricava come la Corte territoriale, nella identificazione degli elementi essenziali e del disvalore espresso dalla fattispecie censurata, abbia fatto, quindi, corretta applicazione dell'articolo 326 c.p., anche alla luce dei principi di diritto espressi in materia da questa Corte, secondo cui il reato di rivelazione di segreti di ufficio e' un reato di pericolo concreto, posto a tutela del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione, la cui configurabilita' va esclusa quando la notizia sia divenuta di dominio pubblico, e quando essa, sebbene ancora segreta, sia rivelata a persone che, pur estranee alla pubblica amministrazione, ne siano gia' venute altrimenti a conoscenza, fermo restando, con riferimento a queste ultime, il limite della non conoscibilita' dell'ulteriore evoluzione della notizia stessa (Sez. U., n 4694 del 27/10/2011 (dep.2012), Rv. 251271; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 (dep.2020), Rv. 279555). Dunque, sulla base della qualificazione della fattispecie in esame come reato di pericolo concreto e non meramente presunto, rileva precisare che la rivelazione di segreti d'ufficio e' punibile, non gia' in se' e per se', ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta, come accertato nel caso di specie, in cui, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, il ricorrente, in quanto onerato dal dovere di segretezza circa la direzione assunta dalla indagini in virtu' della qualita' di ufficiale di polizia giudiziaria, avrebbe dovuto operare in guisa da ottenere dal confidente informazioni autonome ed esterne, idonee a consentire l'allargamento dell'inchiesta, "al di la' di quanto gia' maturato all'interno dell'ambiente investigativo, e soprattutto per non compromettere gli esiti e sviluppi possibili ed ulteriori" (p. 180 della sentenza impugnata). Stante quanto appena affermato, l'ulteriore profilo di censura, che concerne l'erronea applicazione dell'articolo 326 c.p., comma 1, in luogo del comma 2 della medesima disposizione normativa, derivante dalla asserita mancata considerazione dell'elemento psicologico da parte dei giudici di merito, e' manifestamente infondato in quanto volto a prospettare una ricostruzione alternativa della fattispecie concreta, non consentita in sede di legittimita'. Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, si desume come la Corte territoriale abbia operato una valutazione complessiva dei fatti ascritti al ricorrente anche sotto il profilo della colpevolezza, sulla scorta delle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di merito, che hanno condotto all'accertamento della sussistenza dell'elemento del dolo ed alla conseguente applicazione dell'articolo 326 c.p., comma 1Posto che l'elemento soggettivo richiesto ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., comma 1 si indentifica nel dolo, anche eventuale, deve ritenersi necessario e sufficiente che gli elementi della fattispecie siano concretamente sorretti da rappresentazione e volizione del soggetto agente, atteggiamento soggettivo che la Corte di merito ritiene sussistente e dimostrato nel caso di specie. In tale prospettiva, viene in rilievo la parte motiva della sentenza impugnata in cui i giudici di seconde cure danno conto della conoscenza, da parte del ricorrente, della segretezza dell'informazione avente ad oggetto il nome del possibile autore dell'omicidio nonche' della consapevolezza che la rivelazione di detta informazione ad un extraneus, per lo piu' vicino alle cosche di âEuroËœndrangheta, avrebbe potuto compromettere la pista investigativa su cui le indagini erano orientate. La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, specifica gli elementi espressivi della colpevolezza dell'imputato rispetto al fatto ascrittogli, che si identificano, in particolare, nella atipicita' dell'approccio con aspirazione probatoria adottato dal ricorrente, nonche' nella personale ed eccessiva fiducia riposta dall' (OMISSIS) nei confronti dell'informatore, tale da elidere "colpevolmente" il dovere di mantenere segrete le notizie circa gli iniziali approcci investigativi. Ebbene, stante l'individuazione dell'oggetto materiale del delitto di cui all'articolo 326 c.p. nelle notizie coperte da segreto, cioe' sottratte alla divulgazione in ogni tempo e luogo e nei confronti di chiunque per legge, per regolamento o dalla natura stessa della notizia che puo' recare danno all'amministrazione (Sez. 1, n. 8201 del 10/02/2010, Rv. 246623), la Corte di merito ritiene comprovata la rappresentazione in capo al ricorrente di tale elemento della fattispecie, nonche' la volontaria comunicazione dell'informazione al (OMISSIS) e la consapevolezza circa il concreto pericolo per il corretto andamento dell'attivita' investigativa potenzialmente derivante dalla divulgazione della notizia all'extraneus. La rivelazione dell'informazione riservata circa il nome del possibile autore dell'omicidio ad un soggetto estraneo alle indagini esprime, secondo la ricostruzione della Corte di merito, l'accettazione del rischio, da parte dell'imputato, che detta informazione potesse essere comunicata al soggetto indagato e che costui potesse in tal modo alterare l'esito di eventuali prove stubs o strumenti di ricerca della prova ad impatto diretto e di verifica dell'iniziale ipotesi investigativa. Tali argomentazioni rendono corretta la decisione di condanna per il delitto ascritto all'imputato a titolo di dolo, e la conseguente esclusione dell'ipotesi colposa prevista dall'articolo 326 c.p., comma 2. Alla luce di tutto quanto appena affermato, il terzo motivo di ricorso, con cui si denuncia "l'illogicita' ed il difetto di motivazione", e' manifestamente infondato in quanto la lettura della sentenza impugnata dimostra la sussistenza di un impianto argomentativo connotato da lineare e coerente logicita', conforme all'esauriente disamina dei dati probatori, nonche' idoneo a garantire una motivazione rafforzata in punto di colpevolezza dell'imputato, che si impone al giudice di seconde cure nel caso di riforma della sentenza di assoluzione di primo grado. Ebbene, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056). Inoltre, la diversa spiegazione di un fatto non puo' semplicemente basarsi sulla mera possibile alternativa, disancorata dalla realta' processuale, ma deve fondarsi su specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un "iter" logico cui si pervenga senza affermazioni apodittiche ma nelle forme corrette del ragionamento probatorio (Sez. 4, n. 7630 del 29/11/2004, Rv. 231136). Orbene, nel caso di specie la motivazione corredata al provvedimento impugnato da' conto della maggiore forza persuasiva della ricostruzione operata dai giudici di seconde cure rispetto a quella asseverata dal giudice di primo grado, idonea a comprovare la responsabilita' penale del ricorrente sul piano sia oggettivo che soggettivo oltre ogni ragionevole dubbio, sulla scorta della complessiva disamina di tutti gli elementi probatori emersi nel corso del processo. Le argomentazioni spese in ordine al secondo motivo di ricorso, che dimostrano la sussistenza di un impianto motivazionale congruo e scevro da vizi logici nonche' conforme all'obbligo di motivazione rafforzata, rilevano anche ai fini della valutazione di manifesta infondatezza delle censure dedotte con il terzo motivo di ricorso. Inoltre, le censure dedotte con il terzo motivo di ricorso risultano precluse in sede di legittimita', in quanto costituite da mere doglianze in punto di fatto, volte a prefigurare una ricostruzione alternativa rispetto a quella cristallizzata nella sentenza di secondo grado ed una diversa valutazione delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di seconde cure. 4. Il quarto motivo di ricorso, concernente il trattamento sanzionatorio, e' manifestamente infondato in quanto l'asserita inosservanza della legge penale sostanziale, da cui si fa discendere l'illegalita' della pena, e' basata su assunti relativi alla ricostruzione dinamica della fattispecie concreta non rivisitabile nel giudizio di legittimita', e la profilata illogicita' della motivazione e' confutata dalla lettura della sentenza impugnata, che evidenzia la sussistenza di un impianto motivazionale connotato da lineare e coerente logicita' anche in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Stante la manifesta infondatezza delle censure dedotte con i precedenti motivi, che costituiscono l'antecedente logico necessario del motivo di ricorso ora in esame, risulta giocoforza giungere alla medesima conclusione in ordine alla doglianza in punto di determinazione della pena. All'insindacabilita' della ricostruzione del fatto ascritto al ricorrente come integrativo dell'ipotesi delittuosa prevista dall'articolo 326 c.p., comma 1 in quanto corredata da una motivazione congrua, coerente e scevra da vizi logici in punto di responsabilita' dell'imputato, consegue la non censurabilita' in sede di legittimita' della sentenza impugnata nella parte concernente la determinazione della pena poiche' corredata da un impianto motivazionale che risulta congruo ed esente da manifesta illogicita'. In tale prospettiva, deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorche' siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 (dep.2014), Rv. 258410). Nel caso di specie, la Corte territoriale, nell'esercizio della discrezionalita' riconosciutale nell'ordinamento penale ai fini della determinazione della pena nel caso concreto, comunque stabilita in misura contenuta con il riconoscimento dei doppi benefici di legge, fa riferimento alla natura fortemente ambigua e compromessa dei rapporti tra l'imputato ed il (OMISSIS), alla violazione del limite professionale imposto al pubblico ufficiale nella relazione con il proprio informatore, alla scarsa capacita' di impermeabilita' alle pulsioni del territorio, connotato dalla forte insistenza di associazioni di stampo mafioso, ed al comportamento deontologico del ricorrente, connotato da favoritismi nei confronti del (OMISSIS). (OMISSIS). Il ricorso e' infondato. 1-2. I primi due motivi di ricorso, in tema di sussistenza del sodalizio di stampo mafioso e della relativa condotta di partecipazione ascritta al ricorrente, sono infondati. Il primo rilievo, secondo cui la sentenza impugnata non darebbe conto in termini sufficienti della consistenza e dell'operativita' della cosca della âEuroËœndrangheta operante in (OMISSIS), si scontra con due ordini di considerazioni: da un lato la giurisprudenza di questa Corte e' orientata nel senso che "In materia di associazioni mafiose "storiche", l'onere di motivazione del giudice e' significativamente attenuato in relazione all'esistenza del sodalizio, che trova conferma in decenni di storia giudiziaria, mentre non subisce alcuna incisione in relazione alla partecipazione del singolo alla consorteria, che deve sempre essere dimostrata con i parametri di giudizio tipici della fase: ragionevole probabilita' di colpevolezza nella fase cautelare o certezza non incisa dal ragionevole dubbio nella fase di merito" (Sez. 2, n. 28602 del 06/05/2015 Rv. 264138); dall'altro, nella sentenza impugnata si da' ampio conto delle affermazioni dei collaboratori di giustizia secondo cui la cosca oggetto dell'indagine e' attualmente operante ed attiva sul territorio, secondo gli schemi tipici della âEuroËœndrangheta. Quindi, l'onere motivazionale e' attenuato con riferimento all'esistenza di un sodalizio criminoso denominato âEuroËœndrangheta, strutturato in articolazioni territoriali, che si manifesta nei termini sanzionati dall'articolo 416-bis c.p., ed il dubbio prospettato circa l'attualita' della presenza dell'articolazione territoriale, denominata cosca di (OMISSIS), Anoia e localita' limitrofe, e' superato dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riportate nelle sentenze di merito, da cui emergono incontri con cadenza mensile degli associati, rapporti costanti con altre articolazioni territoriali, riunioni indette per decidere della destinazione dei proventi delle attivita' illegali, faide fra appartenenti alle diverse âEuroËœndrine, coinvolgimento degli imputati nella realizzazione di condotte illecite riferibili a detto contesto, ecc., nonche' dalle stesse captazioni ambientali del (OMISSIS), il quale proprio nel coltivare il progetto di dare vita ad un'autonoma âEuroËœndrina riferisce circostanze di spiccato rilievo sull'esistenza della locale oggetto di imputazione. Quanto al giudizio di credibilita' soggettiva del (OMISSIS), prima fonte dichiarativa a carico dell'imputato, va al riguardo evidenziato che l'attendibilita' di tale collaboratore non e' stata messa in discussione neppure dal primo giudice che ha, invece, assolto il ricorrente sulla scorta dell'assenza di validi riscontri alla chiamata. La doglianza sul punto e', peraltro, inammissibile poiche' tardiva, essendo stata introdotta con i motivi aggiunti e difettando la necessaria connessione con i motivi originariamente proposti (Sez. 2, n. 17693 del 17/1/2018, Rv. 272821; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Rv. 268980; Sez. 4, n. 12995 del 5/2/2016, Rv. 266295). In ogni caso, e' anche generica, poiche' la Corte di merito, nella motivazione a fondamento del "ribaltamento" decisorio, non solo ha integralmente riportato anche i motivi di appello del P.M., condividendone criticamente il contenuto, ove si fa riferimento all'attendibilita' di detto collaboratore, evidenziando la coincidenza del narrato con gli esiti di accertamenti giudiziali espressamente menzionati, ma vi ha dedicato apposita motivazione (pag. 426 ss.), indicando anche gli specifici punti di riscontrata convergenza col propalato dell'altro collaboratore (OMISSIS). Inoltre, nel riportare ampi stralci dello stesso interrogatorio del (OMISSIS) e nell'esaminare le dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS), di cui si discute l'attendibilita' e la valida convergenza, ha piu' volte richiamato elementi confermativi anche del narrato del primo. Pertanto, posta l'attendibilita' del collaboratore (OMISSIS), il quale colloca il ricorrente all'interno della locale di âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) (da lui conosciuto in carcere, con cui aveva raggiunto un tipico accordo di matrice mafiosa ovvero l'impegno di allearsi, una volta usciti dal carcere, per vincere le guerre che i rispettivi gruppi avevano in corso con cosche rivali: il gruppo (OMISSIS) con i (OMISSIS) e la cosca dei (OMISSIS) con i (OMISSIS)), la questione posta attiene all'esistenza di una motivazione rafforzata resa dalla Corte territoriale a fondamento del convincimento di condanna, rispetto a quello assolutorio al quale era pervenuto il primo giudice. Sul punto, va anzitutto precisato che l'obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell'istruttoria, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, in quanto trova fondamento nella necessita' di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado. Pertanto, la circostanza che si siano correttamente risentiti, nel contraddittorio delle parti, i due collaboratori non esaurisce il tema legato alla presenza di una motivazione che compiutamente indichi le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado e che sia assicurato un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 2019, Rv. 278056). Cio' premesso, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di merito si sia correttamente attenuta al principio sopra indicato. AI proposito, va, infatti, ribadito che compito della Corte di legittimita' non e' quello di operare una scelta tra le decisioni contrastanti adottate dai giudici di merito, ma di verificare se il giudice di secondo grado, al quale l'ordinamento processuale consente, su appello del pubblico ministero, di pervenire ad un risultato differente sulla responsabilita' dell'imputato rispetto a quello a cui e' giunto il primo giudice, abbia dato conto, in modo esauriente, delle ragioni del suo discostamento. Ebbene, sullo specifico tema, occorreva dimostrare come il narrato dell'altro collaboratore (OMISSIS) fosse utilmente valutabile quale riscontro esterno alla diretta chiamata del (OMISSIS). E al riguardo, non puo' affatto essere condivisa la prospettazione difensiva, ribadita nei motivi aggiunti, secondo cui, una volta asseverato che un collaborante ha inizialmente mentito, il successivo dichiarato non rileverebbe, in ragione degli esiti difformi, ai fini della valutazione probatoria da compiersi alla stregua dell'articolo 192 c.p.p., comma 3. Molteplici sono infatti le disposizioni processuali che disciplinano i casi in cui il giudice possa trovarsi dinanzi a dichiarati che, pur provenienti dalla stessa fonte di prova, risultano contrastanti; cio' non toglie, tuttavia, che tali contributi debbano essere apprezzati in funzione delle regole stabilite per le diverse fasi processuali in cui sono stati acquisiti. Quanto alle chiamate in correita', pur dovendo essere spontanee, costanti, univoche e disinteressate, tuttavia ben possono assumere valore probatorio anche in mancanza di una o di alcune di tali caratteristiche, quando trovino appoggio e controllo in ulteriori elementi di prova, che conferiscono carattere di certezza circa il fatto da provare, tanto che si e' condivisibilmente affermato che la chiamata di correo ha validita' probatoria e puo' essere anche assunta quale fonte di prova, se confortata da elementi obiettivi di riscontro, anche se sia stata una o piu' volte ritrattata (Sez. 1, n. 1933 del 02/07/1973, dep. 1974, Rv. 126396). Cosi' si e' anche di recente precisato che, in tema di valutazione delle prove, la ritrattazione, da parte di un collaboratore di giustizia, di dichiarazioni accusatorie in precedenza rese non costituisce elemento in grado di escluderne di per se' l'attendibilita', potendo il giudice legittimamente riconoscere valore probatorio alle stesse, a condizione che eserciti su di esse un controllo piu' incisivo, esteso ai motivi della variazione del dichiarato, potendo anche ritenere che la ritrattazione si traduca in un ulteriore elemento di conferma delle originarie accuse. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna fondata su dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia, successivamente ritrattate mediante l'invio di una lettera al difensore dell'imputato, il quale la depositava in copia chiedendo l'escussione del collaborante, richiesta immotivatamente disattesa dal giudice del merito che si limitava a sottolineare che la ritrattazione prodotta in copia era priva di valenza probatoria; Sez. 6, n. 35680 del 30/05/2019, Rv. 276693). Ebbene, la sentenza impugnata, con diffusa motivazione, risulta essersi criticamente soffermata sulle ragioni che avevano portato il primo giudice ad assolvere l'imputato - tanto che si e' premunita di riportarne le relative argomentazioni - pervenendo ad un ribaltamento di tale decisum sulla scorta di un approfondito esame del complesso del narrato reso da (OMISSIS), risolvendo con passaggi argomentativi congrui e sulla scorta delle dichiarazioni acquisite al processo nel contraddittorio delle parti, i dubbi del primo giudice. E a tanto si e' pervenuti - e in cio' e' ravvisabile un ulteriore profilo di infondatezza della censura difensiva - non mediante una mera valutazione differente del compendio probatorio, ma in forza di un novum costituito proprio dalla piena convergenza delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale a seguito della disposta rinnovazione. Il sapere conoscitivo del giudice di seconde cure si e', dunque, venuto ad arricchire rispetto a quanto appreso dal primo giudice. Non si e' dunque operata una "scelta" tra il contenuto dei diversi verbali di dichiarazioni rese dal collaboratore, ma nel rispetto dei principi del giusto processo; la Corte di merito si e' fatta carico di esplorare de visu le ragioni della ritrattazione a carico dell'imputato successivamente operata dallo (OMISSIS), ritenendola pienamente attendibile in ragione degli elementi di carattere logico che inizialmente lo avevano determinato ad allontanare le accuse a detto imputato, verso cui nutriva indubbia riconoscenza per averlo soccorso in occasione dell'attentato subito, fatto di particolare rilievo che, logicamente, rendeva possibile un atteggiamento iniziale volto ad escludere il coinvolgimento. Inoltre, in tale rigoroso procedere, la sentenza impugnata si e' fatta carico di passare in rassegna gli elementi di possibile "distonia", indicando per ciascuno di essi le ragioni, anche di carattere fattuale e logico, che ne hanno consentito di superare la possibile interferenza, tenuto conto anche degli ulteriori elementi di prova successivamente acquisiti (vedi pagg. 420-424). Assunta, quindi, legittimamente nell'alveo delle altre fonti di prova utili a confermare l'attendibilita' di una chiamata, le propalazioni di (OMISSIS) si prestano ad assumere valenza di idoneo riscontro alla chiamata del (OMISSIS), in ragione dei molteplici elementi di convergenza indicati dalla sentenza impugnata, peraltro non oggetto di specifica censura, in ossequio al principio enunciato da questa Corte a mente del quale la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell'incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non puo' pretendersi una completa sovrapponibilita' degli elementi d'accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l'aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, mentre non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita' (Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008, Rv. 239744; Sez. 2, n. 35923 dell'11/07/2019, Rv. 276744). In conclusione, la Corte di merito risulta avere "depurato" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dallo stesso dichiarante, pervenendo ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio". Ne' si presta ad inficiare tale risultato probatorio, in punto di univocita', la segnalata mancata menzione del ricorrente da parte del (OMISSIS) nel compendio intercettivo. Sul punto, la doglianza e' generica, in quanto non si confronta con gli argomenti, pur presenti nella sentenza impugnata attraverso l'espresso richiamo dei motivi di appello del P.M. che risultano essere stati condivisi, in cui si fornisce una spiegazione logica di tale carenza: "l'imputato non e' stato menzionato nelle significative ambientali captate a casa del (OMISSIS), dimenticandosi di considerare che il predetto - all'epoca in cui era in corso l'attivita' tecnica era detenuto (v. Operazione (OMISSIS))". Tale conclusione, peraltro, risulta logicamente avvalorata anche dalla ricognizione del contenuto delle ambientali captate presso l'abitazione del (OMISSIS) che la Corte di merito passa in rassegna. Si precisa, infatti, che i dialoghi riguardano: i soggetti con cui (OMISSIS) aveva in corso affari illeciti; i soggetti facenti parte della locale di (OMISSIS) ai quali (OMISSIS) avrebbe dovuto rendere conto del distacco della sua âEuroËœndrina (v. ad es. (OMISSIS), nella qualita' di capo locale in carica); i soggetti che (OMISSIS) si proponeva di reclutare nelle fila della sua âEuroËœndrina, nonche' gli affiliati nei confronti dei quali lo stesso muoveva delle critiche. Alla luce, dunque, del tenore dei colloqui registrati, non appare manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata che, in ragione del fatto che l'imputato in quel periodo si trovava detenuto, ha ritenuto non anomalo il mancato riferimento al (OMISSIS). Infine, manifestamente infondata per genericita' e' la dedotta lacuna in ordine al periodo temporale della condotta, rinvenendosi sul punto specifica motivazione nella sentenza impugnata, laddove espressamente precisa che e' infondata, come pure piu' volte sottolineato, l'obiezione sollevata da molte delle difese in ordine all'inattendibilita' del narrato del collaboratore, avendo egli collocato il predetto rituale di affiliazione nel 2011, dopo la vicenda dell'omicidio (OMISSIS), che lo stesso (OMISSIS) avrebbe sponsorizzato, in un'epoca in cui il collaboratore viveva un momento di difficolta' all'interno del sodalizio (il periodo di c.d. "trascuranza") per avere intessuto una relazione sentimentale con (OMISSIS). Sul punto il collaboratore ha precisato che cio' gli aveva comportato un allentamento alla partecipazione alla vita associativa (ad esempio nel presenziare a riunioni di âEuroËœndrangheta, gia' diradate rispetto alla frequenza mensile di un tempo in ragione dei maggiori controlli di polizia connessi alle operazioni di polizia e giudiziarie ad ampio raggio quali "(OMISSIS)") e che tuttavia cio' non aveva causato la definitiva rottura dei rapporti con gli altri associati, ne' la sua formale dissociazione, anzi al contrario si e' evidenziato come lo stesso ne avesse guadagnato una certa autorevolezza delinquenziale legata ai traffici di armi e droga in corso al punto da porsi con maggiore autonomia ed alla pari (alle volte anche in termini di rivalita', si pensi all'incendio al capannone della GICOS commissionato dallo (OMISSIS) per ritorsione ai danni di (OMISSIS)) con i maggiorenti delle famiglie dei (OMISSIS) e dei (OMISSIS), alla luce delle fattispecie estorsive sopra esaminate ed eseguite in concorso con i predetti e con la sua fattiva collaborazione. Quanto, infine, alla condotta di partecipazione, la sentenza impugnata risulta corredata da idonea motivazione e sfugge alla violazione di legge denunciata, essendosi evidenziati idonei indici dimostrativi di una permanente e fattiva messa a disposizione del ricorrente. Richiamandosi il contenuto delle propalazioni del (OMISSIS), si e' indicato il ricorrente come il referente della locale di (OMISSIS) durante la detenzione in carcere e attivamente impegnato, una volta uscito dal carcere, a dare vita ad un'alleanza di tipica matrice mafiosa, al fine di "risolvere", anche mediante il ricorso alle armi, un conflitto in corso in danno delle cosche ostili, cosi' da assumere il controllo dei vari traffici illeciti, anche nell'ambito del settore degli stupefacenti. Essere additato come persona in grado di tessere le fila di un accordo che coinvolge altri soggetti di primo piano delle diverse consorterie coinvolte e che prevede anche la possibilita' di fronteggiare in modo ostile gli avversari denota l'esistenza in capo al ricorrente di un particolare munus che ben si coniuga anche con il rilievo che allo stesso imputato viene riconosciuto dall'altro chiamante in correita' (OMISSIS) il quale, nel riferire sulla storia criminale del (OMISSIS), gli attribuisce anche qualifiche o attributi associativi di rilievo, ricoperti nel tempo in seno alla locale. E' sempre il (OMISSIS), poi, ad apprendere dal ricorrente del danneggiamento di un nightclub riconducibile alla famiglia (OMISSIS), danneggiamento imputabile alla locale di (OMISSIS) la quale non aveva gradito l'avvio dell'attivita' nel territorio di sua "competenza" senza il suo preventivo assenso, in linea con consolidate regole mafiose, e perche' ritenuto "moralmente" riprovevole. Al di la' dell'assenza di specifica censura sul punto, si tratta comunque di un indice di conoscenza di fatti interni al sodalizio notoriamente patrimonio conoscitivo degli associati che non si rivelano a soggetti estranei alla consorteria. Si cita poi il propalato dello (OMISSIS), il quale accusa il ricorrente di essere a sua fattiva disposizione per compiere delitti, facendo comunque intendere che li abbia commessi, additandolo anche del possesso di doti e qualifiche notoriamente attribuite in ragione dei contributi criminali prestati, citando l'episodio del danneggiamento del locale night club in cui la Corte di appello lo ritiene coinvolto, nonche' quelli in cui unitamente ad altri avrebbe favorito diversi latitanti (tra cui il propalante indica (OMISSIS), di cui avrebbe anche riferito essere sempre armato). Nessun contrasto, quindi, si ravvisa nelle conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata con il recente arresto delle S.U. "Modaffari", per come dal Collegio precisato a proposito dei motivi di ricorso del coimputato (OMISSIS) a cui puo' rinviarsi (sub 1, 2 e 3 della relativa impugnazione). 3. Il terzo motivo di ricorso con cui si censura l'attribuzione al ricorrente dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava come l'aggravante non si fondi su una sorta di traslazione delle armi del (OMISSIS), elemento comunque di rilievo in quanto ad esso si lega la notorieta' dell'uso e dello scambio di armi in quel di (OMISSIS), bensi' su elementi di carattere individualizzante ricavati dal compendio probatorio declinato a corredo della condotta di partecipazione, quali i danneggiamenti commissionati con l'uso delle armi dallo (OMISSIS) e l'accordo di matrice mafiosa raggiunto con il (OMISSIS), consistente nell'impegno, tornati in liberta', di allearsi in danno delle cosche a loro ostili ("avevamo fatto l'alleanza... ci ha cercato l'alleanza.. ci uniamo tutti e due e spariamo sia a destra che a sinistra"), da fronteggiare anche con l'uso delle armi. Si tratta di circostanze pienamente idonee a dimostrare la consapevolezza in capo al ricorrente della disponibilita' di armi da parte della locale, di cui anch'egli avrebbe potuto, all'occorrenza, disporre. 4. Il quarto motivo in ordine alla delimitazione temporale della condotta di partecipazione e' generico. La sentenza impugnata ha, infatti, attribuito rilievo anche a condotte (la cd. alleanza) che trovano la loro collocazione nel periodo della comune detenzione con il (OMISSIS) (anni 2013 e 2014) e, comunque, anche a detto periodo la Corte territoriale riferisce l'intraneita' del ricorrente alla locale, non cessata a seguito della carcerazione, avendolo il collaboratore (OMISSIS) additato come attuale referente (piu' in particolare, nel corso dell'interrogatorio del settembre 2015, il collaboratore indicava nel (OMISSIS), conosciuto in carcere, un referente, per la locale di (OMISSIS), della consorteria mafiosa dei (OMISSIS) (cui apparteneva il (OMISSIS)) con cui aveva raggiunto un tipico accordo di matrice mafiosa, consistente nell'impegno, tornati in liberta', di allearsi in danno delle cosche a loro ostili (avevamo fatto l'alleanza... ci ha cercato l'alleanza.. ci uniamo tutti e due e spariamo sia a destra che a sinistra), ovvero i (OMISSIS) e i (OMISSIS)" (pag. 402). A fronte di tali elementi, il motivo di ricorso contrappone un'alternativa di merito - ossia che la partecipazione sarebbe cessata "sicuramente negli anni precedenti al 2010" e financo al 2008 che non solo non e' asseverata dalla sentenza impugnata, ma nemmeno supportata dall'indicazione dei relativi elementi fattuali di specifico sostegno. (OMISSIS) e (OMISSIS): I ricorsi sono inammissibili. 1. Il primo motivo di ricorso in ordine alla sussistenza del delitto estorsivo di cui al capo 38) e' manifestamente infondato. Invero, le deduzioni difensive sono volte a prefigurare un'alternativa di merito - secondo cui l'aggressione operata dai ricorrenti ai danni dello (OMISSIS) sarebbe riconducibile ad una controversia di carattere privatistico in ordine alla raccolta della legna da un albero caduto a causa delle intemperie - volta a sollecitare una rilettura delle fonti probatorie estranea al sindacato di legittimita' e riproduttiva di profili di censura gia' adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito. L'esclusione di qualunque valenza "privatistica" della vicenda si fonda, invece, su una coerente lettura del compendio intercettivo, puntualmente passato in rassegna dalla sentenza impugnata non solo sulla scorta del chiaro significato dei dialoghi, ma letto alla luce del quadro di insieme che caratterizza il narrato (a cui hanno contribuito pure le propalazioni collaborative di un coimputato), connotato dall'esistenza di specifiche dinamiche estorsive in merito alla raccolta della legna e alla delimitazione delle rispettive aree di "intervento" in capo a chi era stato dalle cosche specificamente autorizzato all'esercizio di tale attivita'. Ed e' proprio tale contesto che consente di attribuire un significato logico all'aggressione ordita dagli imputati ai danni del dipendente della ditta "rea", a torto o a ragione, di avere sconfinato dai limiti territoriali imposti dal pagamento alla cosca di riferimento. Da un lato i ricorrenti, i quali, adducendo il pretesto che la ditta del (OMISSIS), tramite lo (OMISSIS), avesse sconfinato dagli ambiti territoriali che la cosca gli aveva consentito, intendevano prendersi gli alberi caduti e, dall'altro, lo (OMISSIS) il quale, invece, riteneva di essersi legittimamente mosso nell'ambito "consentito" e per cui la ditta onorava la tangente estorsiva. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo - ed infatti sul punto nulla argomenta il ricorso - per cui una vicenda destinata a restare nell'ambito di un mero conflitto tra privati (in fondo si sarebbe trattato della mera raccolta di legna da un unico albero caduto per intemperie) assuma, invece, rilievo quale questione "della cosca di (OMISSIS)", e cio' consegua proprio all'iniziativa dello (OMISSIS), il quale nell'immediatezza dell'accaduto, ritenendo di avere correttamente operato in una zona di "spettanza", rivolge le sue rimostranze verso chi di tale consesso fa parte (il (OMISSIS)) ed e' al corrente della sottoposizione della ditta del (OMISSIS) ad estorsione. E parimenti non si spiegherebbe la ragione per cui il (OMISSIS), presente lo (OMISSIS), ritenendo corretto l'agire di quest'ultimo e pretestuose le richieste dei ricorrenti, ne renda immediatamente partecipi i fratelli (OMISSIS), appartenenti alla cosca, arrivando persino a temere, in ragione di tali avventate iniziative (il riferimento e' all'operato dei "giovani" ricorrenti) volte a sottoporre ad ulteriore estorsione soggetti che gia' pagano alla cosca il pizzo, ripercussioni sia di carattere interno che esterno. Al riguardo, si evidenzia, infatti, come l'avventata azione dei ricorrenti avrebbe potuto scatenare la reazione di (OMISSIS), il quale, avendo imposto la tangente alla ditta ed avendo assicurato con la sua parola il rispetto del lavoro accordato, avrebbe certamente compiuto gravi ritorsioni. Inoltre, si e' altresi' osservato come la vicenda avrebbe potuto incidere sull'autorevolezza esteriore del consesso mafioso additato di non far rispettare gli accordi intrapresi, portando ad esasperazione la vittima gia' soggetta ad estorsione, evocandosi, al proposito, anche un precedente che aveva portato l'estorto ( (OMISSIS), considerato, al pari del (OMISSIS), un forestiero in quanto proveniente da Giffoni) a denunciare l'accaduto all'autorita' giudiziaria. Significativo, infine, e' che uno dei ricorrenti ( (OMISSIS)) si sia poi portato dal (OMISSIS) per rassicurarlo, rappresentandogli che la questione era stata chiarita, essendo stato intimato al (OMISSIS) di non far rimuovere la legna da terra, in quanto, a suo dire, aveva - tramite l'attivita' dello (OMISSIS) sconfinato in una zona diversa da quella concordata con la locale; ed altrettanto significativo e' che il (OMISSIS) lo abbia messo al corrente delle rimostranze dello (OMISSIS) e dell'opera che egli stesso aveva intrapreso per dissuaderlo dal coinvolgere il (OMISSIS), vero dominus dell'estorsione ai danni del (OMISSIS), il quale aveva assicurato con la sua parola il rispetto del lavoro accordato. Ma se questa e' la vicenda che emerge dalle intercettazioni ed il contesto in cui si muove la condotta degli imputati - in relazione alla quale assume valenza dimostrativa del contesto impositivo sopra menzionato anche l'ulteriore significativa vicenda di cui al capo 61) che vede coinvolti da un lato i fratelli (OMISSIS) ed il Tigano e dall'altro l'imprenditore (OMISSIS) - privi di rilievo sono i riferimenti all'esistenza di prassi o di regole dettate da successivi regolamenti comunali, cosi' come nessuna illogicita' sconta la sentenza impugnata per non aver ritenuto credibili le versioni difensive rese al difensore dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS), in ordine al contenuto delle quali la Corte di merito risulta avere messo in evidenza lacune, contraddizioni ed anche profili di inverosimiglianza, tanto che dei relativi verbali si e' disposta la trasmissione all'autorita' giudiziaria perche' si proceda per il reato di cui all'articolo 391-ter c.p.. Infine, manifestamente infondata si rivela anche la dedotta violazione di legge in ordine alla valutazione probatoria del compendio intercettivo, considerato che la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte a mente del quale le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (S.U. n. 22471 del 2015, Rv. 263714). Nel caso di specie, a differenza di quanto prospettato, va evidenziato come dalla successione temporale dei dialoghi riportati in sentenza risulti che anche il ricorrente vi ha preso parte (vedi pag. 208) ed anzi e' proprio la conversazione finale intervenuta tra questi ed il (OMISSIS) che avvalora la ricostruzione accusatoria delle precedenti conversazioni intervenute tra lo (OMISSIS), il (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS). Inoltre, al di la' del chiaro contenuto delle conversazioni e del fatto che non vi sia alcun dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato, cio' che rileva ai fini dell'univocita' del dato probatorio e' che le conversazioni intervengano proprio a ridosso del fatto, senza soluzione di continuita', e riguardino soggetti che allo stesso vi hanno preso parte (lo (OMISSIS) e, da ultimo, il ricorrente), ovvero, pur non essendovi direttamente coinvolti, riferiscono di circostanze anche a carattere auto-indiziante su fatti che risultano giudizialmente accertati nel presente giudizio. 2. Il secondo motivo, con cui si prospetta l'ipotesi tentata e non consumata dell'estorsione, e' manifestamente infondato. Invero, la censura difensiva muove da un'alternativa di fatto - ossia che la contesa riguardasse il "prelievo" di un unico albero abbattuto da eventi atmosferici - che risulta essere stata motivatamente esclusa dalle sentenze di merito. Correttamente, pertanto, e' stata ricavata la consumazione dal contenuto dell'intercettazione ambientale che vede il ricorrente protagonista e che da' esplicitamente atto di come, a seguito dell'aggressione subita dallo (OMISSIS), il messaggio intimidatorio di non rimuovere il legname tagliato nella zona di "non spettanza" fosse chiaramente arrivato al destinatario (la ditta del (OMISSIS)), tanto che la questione era stata "risolta", avendo questi assunto la relativa obbligazione. 3. Il terzo motivo con cui si lamenta la mancata qualificazione giuridica del fatto quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni e' manifestamente infondato in ragione delle argomentazioni con cui la sentenza impugnata ha escluso che potesse ricondursi ad una controversia in materia di rispetto di usi civici la causale della successiva aggressione perpetrata dai ricorrenti ai danni dello (OMISSIS). 4. Anche il quarto motivo di ricorso in ordine all'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e' manifestamente infondato. Invero, la circostanza che l'estorsione non sia diretta conseguenza dell'imposizione a cui la ditta gia' sottostava, o strumentale all'attuazione della stessa pretesa, non priva la condotta di connotazioni "mafiose": la sentenza impugnata ha, infatti, precisato come l'azione aggressiva venne compiuta davanti l'abitazione di un appartenente della cosca che aveva imposto l'estorsione e con caratteri di esemplarita' e, inoltre, come la condotta si innestasse - e di cio' erano consapevoli i ricorrenti - su un'estorsione imposta dalla locale cosca, a cui la ditta pagava la tangente. Pertanto, la Corte di merito ha evocato precise circostanze di fatto che danno conto di come la vittima ebbe chiaramente a percepire che la minaccia non proveniva da comuni criminali, ma da soggetti quanto meno contigui per mentalita' e prossimi per parentela ai maggiorenti di âEuroËœndrangheta con i quali aveva preso precisi accordi per la realizzazione dell'appalto, per come avvalorato dalle successive "interlocuzioni" che con tali ambienti criminali ebbero tanto la vittima che gli autori. Al riguardo, va infatti ribadito il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilita' dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso" non e' necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilita' del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015, Rv. 263525; Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, Rv. 257065). 5. Il quinto motivo di ricorso con cui si lamenta la mancata esclusione dell'aggravante delle persone riunite e' manifestamente infondato. Invero, la doglianza muove da una lettura parcellizzata dello sviluppo della vicenda estorsiva, al fine di escludere (legittimamente in un'ottica difensiva) la valenza concorsuale attribuita alla presenza del ricorrente all'azione aggressiva ai danni dello (OMISSIS) compiuta dal (OMISSIS), che avrebbe cercato di trattenere dal portare a compimento l'aggressione Invece, il giudice del merito ha, al proposito, evidenziato come tale azione sia ascrivibile ad entrambi i ricorrenti, sia perche' avevano seguito con la loro auto lo (OMISSIS), intimandogli poi di fermarsi, sia perche' era stato (OMISSIS) a sostenere, verso la cosca che aveva imposto l'estorsione, la "bonta'" delle ragioni del loro operato, ai danni di quelle sostenute dallo (OMISSIS), nonche' a risolvere la questione con il titolare della ditta, affinche' venisse conseguito l'ingiusto profitto avuto di mira. Pertanto, correttamente le sentenze di merito hanno attribuito alla presenza congiunta di entrambi gli imputati una maggiore valenza intimidatoria dell'azione aggressiva compiuta da (OMISSIS), per come riscontrato dal chiaro comportamento dello (OMISSIS), il quale intimidito si porto' immediatamente dal (OMISSIS). Nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle piu' persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia e non che la minaccia sia resa con il contributo materiale di entrambe potendo essere posta in essere anche soltanto da taluno dei concorrenti (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518). Cio' che conta e' che sia riscontrata la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento della realizzazione della violenza o della minaccia, in quanto solo in tal modo si verificano, in conformita' alla "ratio" della norma, quegli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima che ne riducono la forza di reazione e giustificano l'applicazione dell'aumento della pena. Infine, va esclusa qualsiasi paventata violazione dell'articolo 522 c.p.p., in quanto ai fini della contestazione della circostanza aggravante delle piu' persone riunite non e' indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, ne' l'indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto che lo integrano. Nel caso in esame, nel capo di imputazione risulta descritto l'intero accadimento che vede come responsabili entrambi gli imputati concorrenti e presenti al fatto enunciato; inoltre, alla luce anche del rito seguito, lo sviluppo dei fatti da cui origina la circostanza era ben noto agli imputati, con esclusione pertanto di una lesione del diritto di difesa. Di conseguenza l'aver ritenuto (vedi pag. 262) ed applicato il relativo aumento di pena si sottrae al vizio di legittimita' denunziato. 6. Il sesto motivo, in ordine all'affermata responsabilita' del (OMISSIS) per il delitto di furto di cui al capo 40) della rubrica, e' manifestamente infondato. Invero, la censura - che finisce per riprodurre il relativo motivo di appello - attiene all'interpretazione del contenuto delle conversazioni ambientali, non deducibile in questa sede, costituendo questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). Nel caso in esame, la sentenza impugnata si sottrae al vizio di legittimita' denunciato, in quanto ha dato conto, per come evidenziato nel paragrafo relativo alla sussistenza del capo 38), degli elementi in forza dei quali le captazioni assumono valenza direttamente indiziante nei confronti del ricorrente in ordine al furto di legname contestato, evidenziando come dalle stesse parole dello (OMISSIS) - il quale, come la sentenza rammenta, e' il cognato del (OMISSIS) da cui aveva appreso i fatti, nonche' soggetto ben inserito nell'ambito delle attivita' dell'impresa presso cui lavorava, tanto da essere al corrente che la stessa era sottoposta ad estorsione dalle cosche locali emergesse come il titolare della ditta (il (OMISSIS)), lungi dall'aver consentito tale abusivo accaparramento di legname, in realta' avesse finito per coprire gli imputati al fine di tenersi buone le varie famiglie mafiose che insistevano sul territorio. Nessuna attribuzione di responsabilita' pertanto de relato, ma in virtu' di precisi elementi dichiarativi acquisiti dal compendio intercettivo, pienamente utilizzabili a carico del ricorrente, in quanto provenienti da soggetti che, per le loro qualita' e in ragione del diretto coinvolgimento nelle attivita' della p.o. (lo (OMISSIS) anzitutto), sono risultati affidabili, per come anche riscontrato dagli accertamenti di PG che danno conto dell'esistenza "storica" della vicenda narrata. Ne' l'esistenza di un eventuale rapporto di lavoro che legasse all'epoca effettivamente i ricorrenti all'asserita p.o. "committente" escluderebbe il furto: posto che il (OMISSIS) ha escluso di avere consentito tale accaparramento, sarebbe comunque integrata l'ipotesi del furto aggravato dall'abuso di relazione qualificata. Infine, va dato atto che il delitto di furto aggravato (da una sola circostanza) non risulta estinto per prescrizione, tenuto conto,: ai fini della sospensione del relativo termine, vanno computati i 929 giorni di sospensione dei termini di custodia cautelare che rilevano a detto fine (Sez. 5, n. 14863 del 2020, dep. 2021, Rv. 281138). 7-8. Entrambi i motivi dedotti in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati. Tanto la dosimetria della pena che il diniego delle attenuanti generiche rinvengono congrua motivazione, essendosi evidenziati plurimi indici di disvalore attinenti alla gravita' dei reati commessi e alla capacita' a delinquere, in applicazione, peraltro, del principio espresso da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Peraltro, la pena base e' stata sostanzialmente commisurata in misure pressoche' prossima al minimo edittale (anni sette di reclusione a fronte di un minimo all'epoca del fatto di anni sei), come gli stessi aumenti per l'aggravante speciale e la continuazione per il (OMISSIS). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso in tema di partecipazione alla locale di cui al capo 1) della rubrica e' manifestamente infondato. Invero, il dato di fatto che ha consentito alla Corte di merito di affermare la continuita' partecipativa al sodalizio del ricorrente - presente nel 1994, anche nella veste di capo societa', al battesimo del propalante (OMISSIS) e promotore dell'affiliazione di (OMISSIS) - e' costituito dalla partecipazione, successivamente all'aprile 2004 (data di esecuzione delle misure cautelari di natura coercitiva nell'ambito dell'operazione cd. "(OMISSIS)"), al "consiglio degli anziani" che da quel momento in avanti si sarebbe occupato della gestione delle estorsioni consumate dall'omonima cosca di âEuroËœndrangheta. Si tratta di una circostanza di rilievo in quanto consente di attualizzare la condotta partecipativa del ricorrente nell'omonimo consesso, della cui esistenza vi e' accertamento passato in giudicato (sentenza del Tribunale di Palmi del 12/10/2001 non avente effetto di giudicato nei confronti del ricorrente in quanto all'epoca non indagato ne' imputato, dovendosi il suo coinvolgimento alle successive propalazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS)) e di attribuirgli quel connotato di stabilita' e necessaria strumentalita' al perseguimento dei comuni fini criminosi. Ebbene, sul punto la censura e' incentrata sul rilievo che il collaboratore, nel fare riferimento a coloro che avrebbero partecipato a tale summit - di spiccata valenza dimostrativa sia per l'autorevolezza dei personaggi che vi prendono parte sia per l'importanza delle questioni trattate, tanto che di tale rilievo non ci si duole - avrebbe indicato tale (OMISSIS), anziche' (OMISSIS). Tale rilievo, tuttavia, risulta privo del carattere di decisivita', in quanto dalla lettura della sentenza impugnata, la quale riporta testualmente il propalato del collaboratore, risulta che a tale riferimento nominativo venne accostato anche l'ulteriore elemento, di certa riferibilita' all'imputato, costituito dalla circostanza dell'uccisione del padre (OMISSIS), oltre chiare indicazioni relative tanto al luogo di dimora, alla professione di autotrasportatore svolta e all'arresto subito dal figlio. La convergenza poi, tratta dalle stesse conversazioni del (OMISSIS), dell'indicazione del ricorrente come colui che aveva introdotto nella locale di (OMISSIS) (OMISSIS) (garantendo per la "solidita'" di vocazione del nuovo affiliato), costituisce un ulteriore dato di conferma all'individuazione fotografica operata dal collaboratore di giustizia, oltreche' un valido elemento di riscontro alla chiamata. Cio' posto, nessuna illogicita' e violazione di legge sconta la sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta persistenza ed apprezzabilita' della partecipazione del ricorrente anche in un arco temporale successivo alle originarie condotte poste in essere in epoca antecedente (sino al 2014), in quanto, sulla scorta anche del dichiarato (intercettato) del (OMISSIS) e dell'assenza di fatti recessivi, si e' cosi' attribuito al ricorrente un ruolo quanto mai attivo nel preservare al gruppo " (OMISSIS)" i proventi delle estorsioni in corso sotto l'egida del mandato morale, in passato assunto dalla cosca nei confronti dei figli del capo (OMISSIS) assassinato il 17/11/1987 a (OMISSIS). Il ricorrente, pertanto, e' additato di avere assunto una posizione di rilievo in quel consesso, tanto da essere stato investito del ruolo di capo societa' (carica quest'ultima che girava solo tra gli anziani del gruppo, in ragione della loro affidabilita'), manifestando una volonta' preservatrice dei diritti di "prelazione" nel campo delle estorsioni del gruppo (OMISSIS) all'interno della locale di âEuroËœndrangheta di riferimento, imponendo agli altri sodali questa sua posizione in accordo al capo locale (OMISSIS). Di conseguenza, non affatto illogico da parte della Corte di merito aver letto tale rilevante dato probatorio in un'ottica di continuita' con quel ruolo di primo piano che lo stesso ricorrente e' indicato di avere rivestito in passato sempre nell'ambito della consorteria di stampo âEuroËœndranghetista. Del resto, la partecipazione ad un summit cosi' rilevante in tanto si spiega in quanto si e' investiti di un ruolo decisionale e qualificato all'interno della âEuroËœndrina di riferimento e, pertanto, tale intervento si pone in perfetta coerenza con l'attributo passato. Il giudice del merito, pertanto, proprio mediante il riferimento a tale successivo "consesso", ha dato motivatamente conto di condotte diverse da quelle risalenti nel tempo, cosi' superando le "obiezioni" a cui si era esposta l'ordinanza cautelare in sede di riesame, per quanto affermato dalla sentenza della 5'' sezione penale di questa Corte richiamata nel ricorso (vedi pag. 2, primo capoverso). Con la conseguenza che altrettanto non prive di rilievo indiziario e di riscontro risultano le frequentazioni indicate in sentenza e registrate dal 2009 al 2014, con soggetti coimputati e indicati come appartenenti alla locale di (OMISSIS), anche con ruoli di primo piano (vengono segnalate, in particolare, quelle con il capo locale (OMISSIS), nonche' con gli attuali imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che con altri soggetti pregiudicati quali (OMISSIS) e (OMISSIS)). Il rilievo che tali incontri sarebbero stati sporadici, tenuto conto dell'ampio arco temporale in cui sono stati registrati, e' logicamente disatteso dalla Corte di merito evidenziando come, soprattutto prima delle dichiarazioni dello (OMISSIS) (2013), l'imputato non fosse oggetto di specifica attenzione investigativa, stante anche l'assenza di coinvolgimento nel procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale di Palmi che, nel 2001, aveva asseverato l'esistenza in (OMISSIS) della locale di âEuroËœndrangheta. A conferma di cio' si richiama la stessa informativa dei Carabinieri di Taurianova che e' datata 2015. In conclusione, le sentenze di merito non hanno dunque asseverato la condotta di partecipazione del ricorrente sulla scorta di un fatto accaduto nel 1994 (allorche' presenzio' al battesimo dello (OMISSIS)) e da isolate frequentazioni, ma hanno declinato ulteriori elementi fattuali, ricavati dalla piena convergenza del dichiarato dello (OMISSIS) e del captato del (OMISSIS), dimostrativi dell'assunzione di un ruolo di primo piano (capo societa') che gli consentiva di essere considerato uno degli anziani, e dunque in quanto tale legittimato ad interloquire con la Provincia, e, ancor piu', ad imporre, all'interno della locale, la linea da seguire in ordine alla spartizione dei proventi delle estorsioni, che come noto rappresentano uno dei settori "elettivi" di intervento della cosca sul territorio. E la carica di capo societa', che gli era stata riconosciuta in un determinato momento, consegue non solo ad un mero dato formale, bensi' costituisce logicamente un indicatore concreto dell'impegno prestato dal ricorrente per la realizzazione del pactum sceleris. 2. Il secondo motivo di ricorso, in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, lungi dall'operare un rigido automatismo tra la partecipazione alla âEuroËœndrangheta e la sussistenza della circostanza aggravante, ha anzitutto indicato una serie di elementi logicamente dimostrativi che il ricorrente avesse contezza dell'uso di armi ad opera della locale, precisando come i (OMISSIS) "mantenessero la signoria sulle estorsioni anche a suon di danneggiamenti e di imposizioni con la forza del loro potere, che a queste latitudini si mantiene con la notoria disponibilita' di armi in capo ai sodali, come i sequestri a (OMISSIS) hanno ampiamente dimostrato". Inoltre, ha valorizzato, in punto di corretta esclusione dell'ignoranza incolpevole, la continua notorieta' della presenza di armi nell'ambito della cosca di (OMISSIS), in ragione dei conflitti armati ivi insistenti che hanno caratterizzato nel tempo anche l'evoluzione dei rapporti tra le differenti âEuroËœndrine ed i contrasti tra le stesse sorti, quali fatti che certamente non potevano essere ignorati senza colpa da coloro che di tali consessi vi hanno fatto parte e vi hanno svolto ruoli comunque significativi come lo stesso ricorrente per un tempo apprezzabile. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso, in ordine all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo e l'estorsione c.d della legna, e' inammissibile. Invero, in tema di vizio di motivazione questa Corte ha affermato che la sentenza di merito non e' tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26600 del 13/05/2011, Rv. 250900, Sez. 2, n. 47115/2017 non mass. pag. 4; Sez. 7, n. 43185/2021; Sez. 4, n. 37104/2021). Tanto premesso, la sentenza impugnata ha delineato il percorso logico seguito dal giudice per affermare la responsabilita' dell'imputato, indicando le molteplici fonti di prova dalle quali ha tratto gli elementi fondamentali per ritenere integrati i reati ascrittigli (vedi pag. 217 ss., con riferimento al delitto associativo), tra cui rilevano non solo le propalazioni del collaboratore di giustizia, ma anche gli accertamenti di PG di volta in volta evidenziati a conferma del narrato, le intercettazioni ambientali che contengono diretti riferimenti al ricorrente ed al ruolo di primo piano dallo stesso svolto nell'omonima locale e, quanto al reato associativo, anche la chiara riconducibilita' del delitto fine ascritto al contesto di stampo mafioso; il ricorrente, pertanto, era tenuto anzitutto a confrontarsi con detti elementi al fine di svilirne la pregnanza contenutistica. Inoltre, la Corte di merito risulta avere dato conto delle diverse questioni poste con l'atto di appello (specificamente e graficamente richiamate con riferimento alla posizione del ricorrente) e fornito diffusa ed adeguata motivazione in punto di credibilita' intrinseca ed estrinseca del collaboratore di giustizia (vedi pagine 228-244). Pertanto, anche sotto tale profilo il motivo di ricorso risulta inammissibile poiche' riproduce genericamente i motivi di appello senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni resa al riguardo dalla Corte territoriale. Ad analoga conclusione deve giungersi anche con riferimento ai profili di censura rivolti all'affermazione di responsabilita' in ordine all'estorsione ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) per il taglio della legna nei boschi. Sul punto possono richiamarsi le argomentazioni spese a proposito delle posizioni dei cugini (OMISSIS) (vedi sub 1 dei rispettivi motivi di ricorso) da cui risulta come l'azione di quest'ultimi ai danni del (OMISSIS) - che da' origine al reato estorsivo di cui al capo 38) della rubrica - in realta', lungi dall'escludere la sussistenza del pactum estorsivo stipulato a monte dall'imprenditore con i maggiorenti della cosca locale ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), pur assumendo natura pretestuosa, proprio a tale antefatto illecito faccia riferimento, cosi' avvalorandone sul piano probatorio la stessa sussistenza. 2. Il secondo motivo di ricorso in tema di recidiva e' manifestamente infondato. Il riconoscimento della recidiva rinviene congrua motivazione, in quanto il richiamo dei precedenti penali, di particolare gravita', in tutt'uno con l'applicazione di misura di prevenzione della sorveglianza speciale che connota la pericolosita' sociale del ricorrente, si lega ad una valutazione che tiene ben conto dell'incidenza di detti fattori in ordine all'aver intrapreso un percorso delinquenziale definito "mai sopito" e culminato con i fatti oggetto del presente giudizio. In tale contesto, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito non ha affatto preso in considerazione i fatti associativi da cui il ricorrente era stato assolto (ben definiti nel loro perimetro temporale dalla sentenza impugnata che ne ha tenuto conto ai fini della "decorrenza" del reato di cui al capo 1), ma, anzi, ha espressamente precisato come l'adesione al codice mafioso prenda avvio proprio "a far data dal 24 settembre 2005 (limite temporale imposto dalla sentenza del processo c.d. (OMISSIS) in cui il ricorrente restava assolto)", apprezzando poi "il ruolo di tale delicatezza e potere" che gli e' stato attribuito nel presente giudizio, "che trova le sue radici nelle iniziali attivita' delinquenziali di ordine piu' sparso, ancorche' significativamente aggressive ai danni del patrimonio e della persona, nonche' sintomatiche di un peculiare approccio con il territorio". La motivazione resa si sottrae dunque ai vizi di legittimita' denunziati. 3. Anche il terzo motivo di ricorso, in ordine alla sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., ritenuto in sentenza in relazione all'estorsione di cui al capo 39) della rubrica, e' manifestamente infondato con riguardo ad entrambe le declinazioni contestate (metodo ed agevolazione). Al riguardo, la Corte di merito ha evidenziato, in punto di fatto, come il "benestare" all'accettazione del contratto per il taglio del leccio rilasciato dai due maggiorenti mafiosi (il ricorrente ed il (OMISSIS)), nell'ambito del piu' antico copione delle estorsioni della "montagna", come dimostrano i precedenti in materia (si richiamano le sentenze riversate in atti relative ai procedimenti cd. "mafie dei boschi" etc.), integri l'ipotesi classica di estorsione. Il rituale per lo "straniero" (il (OMISSIS) e' della vicina Giffoni, ma considerato "straniero" in ragione della rigida divisione criminale del territorio con cui opera la âEuroËœndrangheta), che si vede costretto a "pagare" il benestare e la guardiania ai locali âEuroËœndranghetisti solo per potere lavorare senza grandi aggressioni ai suoi beni ed al prodotto del suo lavoro, rinviene conferma proprio in questo tipo di estorsione. Si tratta del piu' rigoroso e fedele repertorio delle estorsioni di mafia, che qui trova massima realizzazione, integrando l'aggravante sotto il profilo del metodo, vieppiu' che a garanzia del patto estorsivo si collocano i due vertici delle famiglie mafiose del luogo - (OMISSIS), gia' condannato per associazione di stampo mafioso in veste di comando, e (OMISSIS) - che si spartiscono i proventi estorsivi in forza di un rinnovato patto collaborativo, gia' messo in crisi negli anni (con prevalenza della famiglia (OMISSIS) sul giogo estorsivo) dall'accidentale (mediante rissa) omicidio di alcuni dei giovani rampolli seguaci delle due famiglie, che aveva creato in passato non poche fratture tra i sodali. Pertanto, l'agevolazione mafiosa non va letta soltanto come contributo economico ai due "maggiorenti", ma come simbolo di una ricostruzione della unitarieta' mafiosa che certamente ha capacita' rafforzative e rigenerative per la âEuroËœndrangheta del luogo oltre che agevolarne le casse" (vedi pagg. 245-246). Si tratta, dunque, per quanto tratteggiato dalla sentenza impugnata, di un'estorsione di mafia in cui il pagamento del prezzo costituisce il pizzo dovuto dall'imprenditore "straniero" per poter lavorare sui territori di diretto insediamento della cosca senza incorrere in ritorsioni o danneggiamenti dei suoi beni di impresa, la cui corresponsione e' funzionale tanto alla riaffermazione del potere mafioso su quel territorio, quanto al rafforzamento della stessa cosca sul piano economico. Corretta risulta pertanto la motivazione adottata nell'aver ritenuto sussistente l'aggravante speciale con riferimento non solo alla finalita' di agevolazione mafiosa, ma anche del metodo. A questo riguardo, va, infatti, ribadito l'orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di estorsione cd. "ambientale", integra la circostanza aggravante del metodo mafioso la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l'estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato (Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Rv. 270175). 4. Il motivo con cui si deduce il vizio di omessa motivazione con riferimento agli aumenti operati per la continuazione e' manifestamente infondato. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene diffusa motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione del ricorrente, da intendersi riferibili anche alla misura dell'unico aumento ex articolo 81 cpv. c.p. apportato, conseguenziale al calcolo della pena base stabilita. 5-6-7-8-9-10. Le doglianze sollevate dal quinto al decimo motivo di ricorso sono inammissibili poiche' non vi sono specifici riferimenti alla posizione del ricorrente ovvero perche' si riferiscono a fattispecie di reato non oggetto di contestazione (verosimilmente le censure sono da ricondursi ad errore materiale nella collazione dell'atto essendo piu' volte richiamata la posizione di altro coimputato non ricorrente, cosi' quelle relative alla partecipazione al sodalizio mafioso, ai delitti fine di intestazione fittizia ed al ruolo qualificato allo stesso attribuito) ovvero ancora perche' del tutto generiche ed omettono di confrontarsi con le motivazioni al riguardo addotte dalla sentenza impugnata: cosi', in tema di riconoscimento della natura armata dell'associazione e dell'attribuzione della relativa aggravante al ricorrente, la censura e' generica omettendo il ricorrente di confrontarsi con le specifiche parti motivazionali dedicate dalla sentenza impugnata tanto alle ragioni che hanno portato a riconoscere detta aggravante a tutte le âEuroËœndrine od omonime cosche facenti parte della locale (pag. 26 e ss.) quanto ad ascriverla soggettivamente all'imputato (vedi pag. 247); cosi' il diniego delle attenuanti generiche e la determinazione della pena non si fonda sul generico riferimento alla gravita' del reato, ma rinviene specifica motivazione, avendo la sentenza impugnata richiamato precisi indici di disvalore relativi alla personalita' del reo (del quale si ricostruisce nella parte iniziale della relativa posizione la biografia criminale, riprendendola in tema di recidiva), all'intensita' del dolo ed alla la pericolosita' dei reati (vedi pag. 247). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine al delitto di furto di cui al capo 40) della rubrica e' manifestamente infondato per le considerazioni gia' espresse a proposito della posizione del coimputato (OMISSIS), al cui esame puo' integralmente rinviarsi. 2-3. Entrambi i motivi dedotti in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati. Tanto la dosimetria della pena che il diniego delle attenuanti generiche rinvengono congrua motivazione, essendosi evidenziati plurimi indici di disvalore attinenti alla gravita' dei reati commessi e alla capacita' a delinquere, in applicazione, peraltro, del principio espresso da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Nel caso in esame, si e' evidenziato come il furto, ben lungi dall'essere un episodio del tutto isolato e privo di apprezzabile disvalore, in realta' si inserisca in un "disegno di tracotanza dei "locali" rispetto agli "stranieri" (la ditta del (OMISSIS) era di Giffoni), "laddove i primi si sentono in diritto "di prendersi" la legna della ditta (OMISSIS), proprio perche' l'appalto viene a realizzarsi nella loro zona, con una concetto deviato di appartenenza foriero di maggiori e piu' preoccupanti equilibri delinquenziali sui quali gli atteggiamenti e le azioni di adesione al codice mafioso in quel territorio si innestano. Pertanto, la lettura in termini di spiccata gravita' del reato operata dalla Corte territoriale non sconta alcun vizio di motivazione, in quanto anche l'azione furtiva commessa dal ricorrente in concorso con gli altri imputati risponde alla deprecabile logica di evidente approfittamento di quegli imprenditori che per lavorare in quel territorio sono costretti a pagare la tangente estorsiva ovvero a subire supinamente atti delinquenziali di depredazione del loro "patrimonio". Inoltre, la sentenza impugnata ha poi indicato, quale ulteriore elemento di disvalore attinente alla capacita' a delinquere, lo status di pregiudicato del ricorrente in conseguenza delle condanne annoverate. Ne' il fatto che la Corte di merito abbia ritenuto tali elementi idonei ad assumere valenza ostativa tanto ai fini della determinazione della pena quanto ai fini del diniego delle attenuanti generiche concreta alcuna violazione di legge, avendo questa Corte di legittimita' precisato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo' tenere conto piu' volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del "ne bis in idem", in quanto legittimamente lo stesso elemento puo' essere rivalutato in vista di una diversa finalita'. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d'appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravita' del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche). (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904; Sez. 2, n. 933 dell'11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011). Pizzinqa (OMISSIS); Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine alla violazione della legge armi (capo 30 della rubrica) e' manifestamente infondato. Cio' premesso, l'error che, ad avviso del ricorrente, avrebbe portato ad un risultato di prova del tutto diverso da quello corrispondente al significato del compendio intercettivo e' costituito da un passaggio della conversazione ambientale intervenuta tra il (OMISSIS) ed il ricorrente in cui il primo, facendo riferimento al fatto che "stasera arrivano", avrebbe rassicurato l'imputato (che si poneva come acquirente) dell'effettiva disponibilita' delle armi oggetto di trattativa e, dunque, della serieta' dell'offerta. Invece, si sostiene che il riferimento all'intera frase "ora penso che stasera arrivano di nuovo", avrebbe dovuto condurre i giudici di merito alla differente conclusione che il (OMISSIS) si fosse espresso in termini dubitativi posto che, al momento, non aveva alcuna disponibilita' nemmeno mediata delle armi. Cio' premesso, la lettura della sentenza impugnata - la quale anche mediante il riferimento grafico a quella di primo grado ha riportato l'intero compendio delle conversazioni intercettate tra il ricorrente ed il (OMISSIS) consente di escludere il dedotto travisamento della prova. Infatti, va anzitutto precisato che l'esatta frase ricavata dalle intercettazioni e' la seguente: " (OMISSIS): ora penso che stasera.. stasera arrivano di nuovo.." (vedi pag. 708). Non vi e', dunque, nella frase, quell'assenza di soluzione di continuita' ("ora penso che stasera arrivano di nuovo") su cui si fonda la prospettata doglianza. Tanto basterebbe ad escludere il travisamento, in quanto l'iniziale parte ipotetica ("ora penso che stasera") e' poi seguita da un'affermativa ("stasera arrivano di nuovo"). Si rientra, pertanto, nell'ambito dell'interpretazione del contenuto dell'intercettazione e, sul punto, quanto ritenuto in sentenza, ossia che il (OMISSIS), quale intermediario, avesse la disponibilita' delle armi che andava offrendo in vendita, e' sostenuto da motivazione non manifestamente illogica. Infatti, al di la' della frase riportata - alla quale comunque segue l'ulteriore affermativa non priva di significato del (OMISSIS) ".. (inc.).. stasera li porta che oggi e' andato a trovare (OMISSIS): e non vedi ora di chiamarlo che.. (inc.) (OMISSIS):.. (inc.) te lo prendi ti faccio andare a prenderlo" - la Corte di merito ha indicato un complesso di elementi di fatto sulla scorta dei quali l'acquisto era tutt'altro che incerto nel se e nel quando, a fronte dell'imminente arrivo di nuove armi, dello stesso tipo, e stante l'affidamento che il (OMISSIS) riponeva fondatamente sulla precedente fornitura, personalmente visionata dagli intermediatori degli aspiranti acquirenti. L'offerta di armi e' stata dunque unitariamente letta alla luce delle altre vicende che avevano interessato non solo quei carichi, ma la stessa capacita' operativa del coimputato ad assumere la seria veste di intermediario nel settore, per come comprovato non solo dalle numerose condanne in materia di armi inflitte nel presente giudizio ma anche dall'ulteriore episodio relativo alla fornitura delle pistole Glock, rispetto alle quali il tenore complessivo della conversazione era tale per cui, a fronte dell'interesse del ricorrente, si registrava la precisazione del (OMISSIS) sull'oggettiva possibilita' di reperire celermente le armi. E che le pistole Glock esistessero e fossero gia' state oggetto di sistematici e coevi tentativi del (OMISSIS) di piazzarle e che si trattasse di quelle detenute presso il coimputato (OMISSIS) risulta dalla motivazione relativa alla sussistenza dei reati contestati ai capi 44), 45) e 46) della rubrica, in cui si evidenzia come il (OMISSIS), nella mattinata del 13 marzo 2014 (appena 3 giorni prima), aveva proposto alla coppia (OMISSIS) - (OMISSIS) l'acquisto, da un suo conoscente, di un carico di dieci pistole semiautomatiche di marca Glock, al prezzo di Euro 1.500 ciascuna. E', dunque, logico, affermare che la corrispondenza temporale, di tipo (Glock), di numero di armi (10) e di prezzo (Euro 1.500 ciascuna) consente di identificare proprio in (OMISSIS) il detentore ed offerente di quelle pistole, anche in considerazione che vi era un espresso riferimento al fatto che le armi erano detenute proprio a (OMISSIS). Di conseguenza, che non si sia contestata al (OMISSIS) la detenzione delle Skorpion o delle altre armi da guerra richiestegli dal ricorrente non rende illogica la motivazione di condanna, in quanto, per come osservato dalla sentenza impugnata, e' diretta conseguenza del suo ruolo di intermediazione per conto terzi, che detenevano fisicamente le armi. Ma se questa e' la prospettiva fatta propria dalla sentenza impugnata, corretta e' la conclusione che se ne ricava, reputandosi che le condotte del ricorrente costituiscano atti diretti, in maniera non equivoca, all'acquisto, e dunque ad ottenere la detenzione delle armi di cui alla imputazione. 2. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla vicenda inerente il tentativo acquisto di sostanza stupefacente dal (OMISSIS), e' manifestamente infondato. In tal caso, infatti, per come osservato dalla sentenza impugnata, la mancata certezza della realizzanda cessione si fonda su una lettura frammentaria del compendio intercettivo, eludendo il principale elemento di certezza in ordine all'effettiva esistenza e disponibilita' della cocaina in capo al (OMISSIS), ancorche' in via mediata presso terzi, e cioe' la circostanza che lo stesso (OMISSIS) descrive le caratteristiche visive della cocaina, individuata anche a mezzo del colore, indicazioni da cui e' stato corretto e ragionevole ritenere che egli l'abbia vista direttamente presso il rivenditore (vedi pag. 721 e ss.). Sul punto, pertanto, i giudici di merito risultano avere fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte a mente del quale la condotta criminosa di "offerta" di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui l'agente manifesta la disponibilita' a procurare ad altri droga, indipendentemente dall'accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un'offerta collegata ad una effettiva disponibilita', sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilita' di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalita' che "garantiscano" il cessionario (cfr., S.U., sentenza n. 22471 del 26/02/2015, rv. 263716). Se, da un lato, infatti, va tenuta distinta la ipotesi della offerta da quella della semplice promessa (in quanto quest'ultima si' caratterizza per essere incerta an et quando), dall'altro, non puo' pretendersi che l'offerente abbia presso di se' lo stupefacente, in quanto in tal caso, evidentemente, sarebbe integrerebbe la condotta di detenzione. In questa prospettiva, in punto di fatto, sono state lette dalla sentenza impugnata le iniziative del (OMISSIS) (capo 34), il quale: - proponeva al ricorrente di acquistare della cocaina da una persona di sua conoscenza, al prezzo compreso tra Euro 21.000 ed Euro 22.000, spiegando che la sostanza si presentava di colore bianco e nero, per come egli stesso aveva potuto verificare (mi ha mostrato quella cosa), ribadendo in piu' passaggi, visto l'interesse del (OMISSIS) (ce la prendiamo (OMISSIS).. pure due tre pacchi alla volta... poi andiamo a prendercela), la disponibilita' dello stupefacente (quando tu la vuoi vedere... c'e' sicuro- Sicurissimo); ne' la ricostruzione, come invece sostenuto dalla difesa, e' contraddetta dal passaggio in cui il (OMISSIS) si diceva in attesa di una risposta (mi dai la risposta allora, che altrimenti te le ordiniamo subito, Pe', poi andiamo a prendercela), essendo evidente, dal tenore complessivo del dialogo, che la trattativa necessitava dell'ulteriore specificazione del prezzo; d'altro canto, ove vi fosse stato l'accordo su prezzo e quantita', sarebbe mutato il titolo di reato; - proponeva all'imputato di acquistare dell'"erba", che era gia' nella sua disponibilita' (ce l'ho lo in mano) al prezzo di Euro 1.400 al chilogrammo e, ricevuto un iniziale diniego (no erba no), insisteva sulla qualita' del prodotto (non c'e' neanche un chicco di seme...), riuscendo cosi' a convincere l'interlocutore circa l'opportunita' di visionare la sostanza (e vediamo di veder la'). Non occorre, come prospetta il ricorrente, che l'offerta sia "effettiva", se con tale termine si vuole intendere - appunto - la possibilita' di consegnare illico et immediate "la merce", essendo sufficiente che l'offerente ne abbia la disponibilita' (non necessariamente fisica), vale a dire possa procurarsela e smistarla o farla smistare in tempi ragionevoli e con modalita' che "garantiscano" il cessionario: e, nel caso in esame, (OMISSIS), seppur agli arresti domiciliari, ben sapeva come, dove e quando procurarsi la sostanza che si impegnava a consegnare a terzi. D'altro canto, lo stesso (OMISSIS), per come risulta diffusamente dalla lettura della sentenza impugnata, era dedito, con i suoi sodali, alla stessa lavorazione della sostanza stupefacente (peraltro pure rinvenuta nel corso delle perquisizioni), ragion per cui e' stato escluso trovarsi dinanzi a mera millanteria. A fronte di tale offerta, il ricorrente mostrava ampia disponibilita', sollecitando il (OMISSIS) a farsi latore delle sue necessita' presso il fornitore; sicche', difettando la prova dell'effettivo raggiungimento dell'accordo, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto l'ipotesi tentata, come correttamente hanno richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749), secondo cui si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l'iter criminis si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza. Il ripetuto riferimento della difesa alla regola di cui all'articolo 115 c.p., del resto, non tiene conto delle peculiarita' ricostruttive del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, norma come noto a piu' fattispecie (tra le condotte plurime punite vi e' infatti la sola offerta in vendita per il venditore ed il tentativo di acquisto al fine di spaccio, come le dosi richieste ed in trattativa dimostrano - si procede per chilogrammi - per il compratore: in termini per la sussistenza del tentativo di acquisto di droga in sede cautelare, vedi Sez. 5, n. 54188 del 26/9/2016). 3. Il terzo motivo in tema di recidiva e' manifestamente infondato, rinvenendo l'applicazione della circostanza aggravante adeguata motivazione in osservanza del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, in tema di recidiva facoltativa, il dovere di motivazione risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (ex multis, Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). Nel caso in esame, con riguardo alla posizione di ciascun ricorrente, la sentenza impugnata ha dato atto di come i reati commessi siano espressione, per modalita' e contesto e per i precedenti penali specifici annoverati da ciascun imputato, di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto. Quanto al ricorrente, e' stato motivatamente escluso che l'essere stata accertata un'unica presenza presso l'abitazione del (OMISSIS) risulti insignificante, essendosi, invece, precisato come dai dialoghi intercettati emergesse una significativa contrattazione trai due imputati ed una consuetudine acquisita di certo in precedenza. Al riguardo, in punto di fatto, si e' osservato come il ricorrente faccia riferimento anche all'emissario del (OMISSIS), " (OMISSIS)" (ossia il (OMISSIS)), dimostrando come i passaggi di merce tra i due erano affidati anche a terzi, sicche' il dato della sua presenza in loco non risulta scagionante rispetto a pregressi contatti delinquenziali. Inoltre, l'essersi rivolto al (OMISSIS), di cui si e' accertata la caratura criminale, rende logica l'affermazione resa dalla sentenza impugnata che, al di la' della intervenuta esclusione della L. n. 203 del 1991, articolo 7, il ricorrente "si serva di canali di rifornimento e di compagni di delitto assai qualificati". 4. Il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio e' del tutto generico in quanto, contrariamente a quanto dedotto, la sentenza impugnata ha indicato precisi indici tanto di gravita' dei fatti che di pericolosita' sociale che danno congruamente conto dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione sul punto (vedi pag. 729). Anche in ossequio al principio enunciato da questa Corte secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. In particolare, si e' evidenziato come la pena base si giustifichi alla luce della molteplicita' dei traffici trattati dal ricorrente presso l'abitazione del (OMISSIS), "che spaziano dalle armi da guerra (certamente non utili per episodi di violenza spicciola) all'acquisto di droga pesante, alla progettazione di recupero di animali vivi per la macellazione clandestina", elementi tutti che rendono congruo l'accesso ad un trattamento sanzionatorio non determinato nei limiti edittali. (OMISSIS): Il ricorso non e' fondato. 1-2. I primi due motivi di ricorso, i cui profili di censura investono i capi 1), 11) e 12) della rubrica, sono infondati. 1. Con riguardo al giudizio di attendibilita' intrinseca del collaboratore (OMISSIS), la Corte di merito, proprio con riferimento alla censura di assenza della pregnanza delle relative propalazioni in ragione del fatto che il collaboratore era stato "tralasciato" dalla rispettiva cosca di appartenenza, ha diffusamente affrontato la questione (nell'ambito della trattazione dei motivi comuni a piu' appellanti), evidenziando come la "percezione" di essere stato "tralasciato" da parte del collaboratore non ha corrisposto ad una cesoia con quel mondo criminale, ma al piu' ha portato ad una attenuazione della sua partecipazione attiva alle riunioni ed alla distribuzioni delle doti di âEuroËœndrangheta, mentre il suo patrimonio conoscitivo delle dinamiche criminali locali e' rimasto pressoche' inalterato. Inoltre, la sentenza impugnata si e' premunita di smentire, con congrua motivazione cosi' superando anche le ulteriori obiezioni contenute nel motivi aggiunti, che il narrato del collaboratore a carico del ricorrente fosse animato da risentimento, passando in rassegna sia le dichiarazioni complessivamente rese, sottolineando, in punto di spontaneita', come sia stato lo stesso (OMISSIS) a precisare quando le circostanze riferite erano state apprese ovvero frutto una sua deduzione o di un ripensamento, sia svalutando gli elementi difensivi citati a sostegno della falsita' delle accuse. A tale riguardo, va, infatti, precisato che le censure mosse sul punto dal ricorrente risultano ben lungi dall'integrare ipotesi di travisamento della prova (per come dedotto nei motivi aggiunti), ma attengono ad enunciati di carattere valutativo motivatamente disattesi dalla sentenza impugnata e si sostanziano in prospettate letture alternative di merito non consentite in questa sede (tanto che si allegano anche i relativi enunciati), peraltro aventi anche carattere parziale al fine di svilire (legittimamente in un'ottica difensiva) la pregnanza contenutistica delle molteplici argomentazioni rese dalla sentenza impugnata sul tema "credibilita' (OMISSIS)-vicende collegate" (annotazione di servizio del maresciallo (OMISSIS), ipotesi non gradita delle amicizie del ricorrente con il carabiniere (OMISSIS) e le forze dell'ordine ovvero convinzione che l'imputato aveva che fosse stato lo (OMISSIS) ad avere distrutto le coltivazioni del padre; vedi pagg. 108 e ss.). Esclusa quindi l'esistenza di ragioni per ritenere "spogliata" la chiamata in correita' dello (OMISSIS) e, dunque, non intrinsecamente attendibile, la sentenza impugnata sfugge ai vizi di legittimita' denunziati anche in punto di indicazione dei necessari riscontri a supportare la chiamata resa dal collaboratore di estrinseca attendibilita'. Al riguardo, infatti, l'avere il (OMISSIS), soggetto non solo intraneo alle cosche di âEuroËœndrangheta ma con un ruolo di rilievo proprio in ragione del suo vissuto (criminale), additato il ricorrente di essere un affiliato e' stato letto quale elemento di logico raccordo con il diretto riferimento di intraneita' affermato dal collaboratore (OMISSIS). A tanto si e' anche pervenuti valorizzando altra intercettazione del 2002 il cui contenuto - riferito al (OMISSIS) e proveniente da altri e differenti affiliati quali i (OMISSIS), vicini al collaboratore (OMISSIS) - e' stato riletto in termini accusatori alla luce dei nuovi elementi raccolti che hanno consentito al giudice del merito di ritenere quel riferimento, seppur privo del nominativo, assumere carattere individualizzante a carico del ricorrente. Insomma, si e' indicata una convergenza a piu' voci di spiccata ed "autorevole" provenienza da parte di personaggi riferibili o espressivi della locale di âEuroËœndrangheta. Ed a tale riguardo, con motivazione non manifestamente illogica, si e' esclusa la prospettata contraddittorieta' tra quanto dichiarato dallo (OMISSIS), che vorrebbe il (OMISSIS) affiliato con la dote di sgarrista, addetto al traffico delle armi e "iniziato" alla âEuroËœndrangheta da (OMISSIS), e viceversa quanto affermato dal (OMISSIS) nella intercettazione captata il quale si vanta di avere lui "portato" (OMISSIS). Al di la' del nucleo comune delle accuse, che additano il ricorrente di intraneita' alla locale di (OMISSIS) - e della lettura che ne da' la Corte territoriale la quale, alla luce del contesto in cui vengono captate le dichiarazioni del (OMISSIS), non esclude che si tratti di affiliazione cronologicamente scollegata - viene indicato il dato di sicuro rilievo emergente da altra captazione proveniente da altri affiliati (ed acquisita da altro procedimento, si tratta di quella dei (OMISSIS)) in cui si evidenzia - e ci si lamenta - della fulminante progressione in carriera di âEuroËœndranghetista operata dal ricorrente (vedi pag. 113). Parimenti, con motivazione congrua, si e' escluso analogo rilievo a discarico all'assenza di frequentazioni, vuoi in ragione del ruolo "doppiogiochista" attribuito al ricorrente dalle sentenze di merito (e sul punto non e' manifestamente illogico aver ritenuto che l'assenza del riscontro di persistenti frequentazioni con gli altri sodali deponesse a suo favore in ragione invece proprio del ruolo dallo stesso assunto, il quale si accompagnava anche, notoriamente, a personaggi delle forze dell'ordine), vuoi anche in ragione di un dato, costituito dal contenuto della richiesta di intercettazioni delle utenze dei vari soggetti coinvolti nel presente procedimento, ove si dava atto che il ricorrente era presentato come un usuale frequentatore dello (OMISSIS), del (OMISSIS) e di diversi componenti delle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS), ossia proprio di coloro ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) da cui proviene il contenuto intercettivo posto a fondamento dell'accusa. A conferma del ruolo partecipativo la sentenza impugnata evidenzia, altresi', un dato di carattere logico costituito dalle reazioni del (OMISSIS) - e dello stesso Tigano, il quale arriva anche a rinfacciare al ricorrente di essere "un infame" - alla scoperta della telecamera, logicamente lette in chiave associativa. Gia' il giudice di primo grado, infatti, di cui si riportano ampi stralci della motivazione, aveva osservato che, se cosi' non fosse, non si spiegherebbe l'esplosione di rabbia del (OMISSIS) alla notizia della scoperta della telecamera che lo avrebbe inchiodato alle sue responsabilita', financo a volerlo eliminare, rancore diretto unicamente verso il sodale, dal quale, con ogni evidenza, per la sua duplice "vicinanza" geografica (della sua campagna con l'abitazione (OMISSIS)) e morale (per il rapporto a doppio mandata dagli anni dell'operazione di polizia c.d. (OMISSIS)" con la polizia), era l'unico tra i suoi sodali a potergli fornire qualche avvisaglia sull'esistenza della videocamera. Inoltre, al dichiarato del (OMISSIS) la Corte di merito aggiunge anche un altro elemento di conferma costituito dal dichiarato dell'altro collaboratore (OMISSIS), il quale, nel riferire sui rapporti tra il ricorrente ed il (OMISSIS) incentrati sulle armi, attribuisce all'imputato la conoscenza del nascondiglio ove il (OMISSIS) occultava le armi nei pressi della sua abitazione: si tratta di una circostanza di spiccato rilievo conoscitivo che non puo' logicamente e notoriamente essere condivisa con chi non e' associato e, dunque, correttamente, e' stata valutata dalla Corte di merito quale indizio logico di riscontro alle "chiamate" di partecipazione. E il dichiarato del (OMISSIS) rinviene diretto riscontro nella parte in cui la sentenza impugnata, nel passare in rassegna il materiale probatorio posto a fondamento della condanna per i delitti in materia di armi (in particolare il riferimento e' al capo 2 della rubrica), richiama i relativi dialoghi tra il (OMISSIS) ed il Tigano, da cui e' stato ricavato come il ricorrente fosse un punto di riferimento nel settore su cui i coimputati facevano affidamento. In tale contesto argomentativo, la censura difensiva che incentra il profilo di inattendibilita' del collaboratore (OMISSIS) in relazione al cambio versione da questi operato sulle dicerie relative allo stato di gravidanza di (OMISSIS), difetta, pertanto, della necessaria decisivita', in quanto, anche nel caso in cui si accedesse alla prospettazione che vuole la rappresentazione fatta dallo (OMISSIS) alla donna essere fantasiosa (per saggiare la riservatezza della (OMISSIS), (OMISSIS) avrebbe inventato di essere venuto a conoscenza dal (OMISSIS) che ella era in attesa), cio' non porta automaticamente a ritenere inattendibile la prima parte della proposizione ossia a ritenere che anche la notizia al collaboratore di essere intercettato non provenisse dal ricorrente, ma fosse stata una mera intuizione dello (OMISSIS), tenuto conto che la differente versione della vicenda (OMISSIS) proviene dallo stesso (OMISSIS), nonche' dell'elemento di conferma citato dal primo giudice che richiama il riferimento fatto sul punto in ambientale da (OMISSIS). Posto, quindi, che la prova su cui si fonda la responsabilita' per il reato associativo e' stata fondata dalla Corte territoriale su una pluralita' di elementi di convergenza aventi carattere esterno ed uno dei quali anche di pregnanza autonoma (il dichiarato intercettato "eteroaccusatorio" del (OMISSIS)), la denuncia di omessa valutazione della prova "esclusiva" di accusa, ribadita anche con i motivi aggiunti, risulta infondata. Manifestamente infondata e' l'ulteriore obiezione svolta nei motivi aggiunti in ordine alla condotta di partecipazione del ricorrente al sodalizio. La sentenza impugnata tanto con riguardo al conferimento di doti ovvero di posizioni qualificate all'interno della locale, quanto con riguardo al ruolo di doppiogiochista approvato dal (OMISSIS), quanto, infine, alla vicenda delle armi, ha dato conto di come l'affiliazione, connotata da serieta' ed effettivita', si fosse tradotta in una fattiva messa a disposizione agli interessi della locale, cosi' uniformandosi ai principi dettati da questa Corte in materia (da ultimo S.U., n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889). 2. Parimenti infondata e' la doglianza mossa in ordine al concorso nei delitti di "rivelazione" e favoreggiamento, strettamente connessi, di cui ai capi 11) e 12) della rubrica, considerato che la censura si fonda su un'alternativa di merito volta ad escludere la tesi complottista del cd. "doppio gioco" utilizzata dal ricorrente per sapere in anticipo le mosse degli inquirenti e per mantenere nei loro confronti un sicuro credito che lo esentasse da responsabilita' (pag. 117 e ss.). Una volta asseverato con congrua motivazione che il ricorrente sarebbe stato affiliato alla locale di (OMISSIS), nessuna manifesta illogicita' sconta la sentenza impugnata per avere, da tale dato di fatto, operato una lettura delle emergenze processuali in senso accusatorio. Delle due l'una: se il (OMISSIS) era un affidabile confidente, tanto che la PG proprio in forza di quanto dallo stesso "diffusamente" riferito poteva ed ha potuto svolgere proficuamente indagini pervenendo anche alla cattura dei responsabili, allora non e' manifestamente illogico avere legato tale elemento di conoscenza con l'accertata intraneita' del ricorrente alla locale, unico contesto di fatto da cui egli poteva acquisire informazioni aventi carattere cosi' riservato (e ritenute apprezzabili dalla stessa PG) e notoriamente accessibili soltanto ai soggetti appartenenti. Del resto, la doglianza ripropone - quali elementi fattuali di "presupposto" - i temi dell'inimicizia dello (OMISSIS) e del (OMISSIS), quelli dell'estraneita' con gli altri presunti associati e di ostentata vicinanza con le forze dell'ordine, temi su cui invece la Corte di merito si e' lungamente diffusa e che risultano essere stati apprezzati, in termini di necessaria gravita', in modo coerente con le emergenze probatorie puntualmente passate in rassegna anche mediante il richiamo della sentenza del primo giudice (vedi al riguardo pagg. 31 e ss. e 47 e ss.). Anche rispetto a tali capi di imputazione, in cui la condotta di "fuga di notizie" avente rilievo penale risulta specificamente indicata e non genericamente ravvisata in una "capacita' ad essere sistematicamente informato di tutte le iniziative investigative", la censura muove dall'alternativa rappresentazione che il ricorrente fosse si' un confidente, ma non perche' egli facesse parte della âEuroËœndrangheta, circostanza che tuttavia stride con il contenuto delle riservate propalazioni. Ne' elementi decisivi alla fondatezza dei rilievi mossi si rinvengono nella vicenda relativa alle telecamere installate nella proprieta' del (OMISSIS): anche in tal caso l'affermazione che il ricorrente non si recasse piu' nel suo terreno confinante con quello del (OMISSIS) perche' consapevole della loro presenza (tanto da apporre un lucchetto al cancello), viene confutata nel motivo di ricorso con argomenti di merito che finiscono per proporre una differente lettura del compendio intercettivo, anche dettata da premesse ipotetiche, non consentita in questa sede. 3. Il terzo motivo di ricorso in ordine alla vicenda relativa alle armi (capi 2 e 7 della rubrica) e' manifestamente infondato. La Corte di merito ha, al proposito, evidenziato, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, come la mutua corroboration del narrato dei due collaboranti nel caso di specie non si realizza sui singoli episodi, ma sulla sostanziale omogeneita' della chiamata che vede il (OMISSIS) trafficare in armi (capo 2). In tal senso, assume valenza di riscontro esterno quanto riferito dal (OMISSIS), non potendosi esigere una completa sovrapponibilita' degli elementi d'accusa forniti dai dichiaranti dovendo privilegiarsi l'aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, mentre non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita' (Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008, Rv. 239744; Sez. 2, n. 35923 dell'11/07/2019, Rv. 276744). Inoltre, la sentenza impugnata cita anche riscontri: (OMISSIS), indicato dallo (OMISSIS) come colui che gli cedeva, dietro corrispettivo, le armi che poi il collaboratore cedeva a sua volta all'imputato risulta avere precedenti specifici per traffico d'armi ed essere stato trovato in possesso, nel periodo in contestazione, di un ingente quantitativo di armi e munizioni, per la cui illegale detenzione e' stato condannato. Anche il (OMISSIS) indica il (OMISSIS) come soggetto che riforniva di armi vari personaggi gravitanti negli ambienti di criminalita' organizzata. Che l'imputato fosse coinvolto nel traffico di armi viene poi ricavato anche dalle captazioni relative alla cessione di una pistola cal. 22 (capo 7 per cui e' stata esclusa l'aggravante speciale), le cui censure difensive si appalesano inammissibili in quanto volte a prospettare una alternativa lettura del compendio, motivatamente esclusa dalla Corte territoriale che ha dato conto di come si tratti di una cessione illecita in favore di (OMISSIS) (sul punto sono anche richiamate le argomentazioni del primo giudice alle pagg. 81-83). I riscontri nello specifico settore delle armi provengono anche dalle intercettazioni, essendosi evidenziato, in punto di fatto, come dal relativo compendio si ricavi che il ricorrente dialoga apertamente ed in claris della cessione di armi non legalmente detenute (vedi capo 7 in cui si ascolta dalla viva voce del (OMISSIS), cosi' come captata in ambientale in data 11 agosto 2013, la sua propensione per la cessione di armi "... lo gli avevo dato una bella pistola... una 22... bella'), ceda munizioni a mezzo del fratello minore (OMISSIS) (" (OMISSIS) (condannato dal Tribunale di Palmi con sentenza del 16.11.2018 nel troncone deciso con giudizio ordinario di questo procedimento penale c.d. saggio compagno per i capi 1, 9 (relativo ad una pistola e al munizionamento procuratogli da (OMISSIS)), 15, 27, 42, 57 e 61, inerenti altri episodi di commercio di armi anche da guerra, alla pena di anni 13 di reclusione): stamattina e' salito (OMISSIS) davanti casa... mi ha detto che mi ha dato quelle cose suo fratello, i colpi della nove."). Si e' poi valorizzato lo spessore criminale dei suoi aventi o cedenti causa come il (OMISSIS) e come (OMISSIS), indicato come colui il quale aveva, per il tramite dello (OMISSIS), piu' volte ceduto armi al (OMISSIS), e gia' condannato per essere stato trovato in possesso in periodo contemporaneo a questi fatti il 5 febbraio 2014 - di un ingente quantitativo di armi e munizioni illegalmente detenute, tra cui armi da guerra e clandestine. Sul punto si richiama altresi' l'intercettazione tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), di particolare rilievo in quanto smentisce la prospettazione difensiva secondo cui dal compendio intercettivo nessuno degli affiliati faceva riferimento al ricorrente per acquistare o vendere armi (vedi pagg. 114 e 115 della sentenza) e soprattutto consente di escludere l'ipotesi che il ricorrente si profilasse quale mero acquirente di armi, estraneo alle dinamiche delle cosche di riferimento posto che e' lui stesso che rifornisce altro sodale (il (OMISSIS)) di munizioni, sempre tramite il fratello (OMISSIS) (a mo' di consuetudine organizzativa per il narrato di (OMISSIS)) e di tale circostanza, si precisa, se ne parla tra (OMISSIS) e (OMISSIS), con la conseguenza che non e' affatto illogico l'aver ritenuto patrimonio comune della locale che il ricorrente trafficasse in armi. Che, poi, non si tratti di acquisti leciti e' ricavato dallo spessore criminale dei contraenti (il (OMISSIS) qui commercia con i personaggi piu' noti ed attivi della provincia reggina nel mercato delle armi) e dalla natura clandestina delle armi. Anche il contesto descritto dal (OMISSIS) e' quello di una intensa condivisione della "passione" per le armi di un certo "peso", richiamandosi anche l'attribuzione al ricorrente della detenzione nel suo terreno, indiviso con quello del (OMISSIS), delle numerose armi sequestrate in avvio del procedimento n. 1982/14 RGNR DDA, a conferma di quanto il (OMISSIS) lo ritenesse coinvolto e partecipe "di quell'andirivieni di armi di provenienza illecita". Il ricorrente, dunque, al pari del (OMISSIS) veniva considerato dal gruppo un estimatore ed un conoscitore di armi, che alle volte comprava ed alle volte rivendeva cosi' potenziando, anche per tale via, la forza criminale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), giacche' e' notorio che la capacita' di intimidazione di un gruppo delinquenziale si accresce vieppiu' se esso si presenta ed appare ancor piu' potente, anche per essere attraverso i suoi affiliati un riferimento costante per il reperimento di armi e munizioni, come una consorteria armata capace di attuare, anche per tale via, i propri propositi criminali. E non e' affatto illogico allora sostenere, come fa la sentenza impugnata, che, in assenza di un collegamento sistematico tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), l'esistenza di un rapporto intermediato dallo (OMISSIS) conferma la natura della relazione criminale ancora attiva tra lo (OMISSIS) ed il ricorrente e rafforza la genuinita' e la spontaneita' del suo narrato che trae spunto da episodi di vita vissuta con i suoi coimputati. Il fatto che, poi, che il ricorrente - per quanto dedotto - potesse utilizzare le armi solo per "armare le braccia" dei suoi consociati oppure per anche fame mercato e' circostanza che non elide la sua qualita' di trafficante di armi. Rinviene congrua motivazione anche la ritenuta sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. quanto al delitto di cui al capo 2) della rubrica, genericamente censurata nei motivi di ricorso, essendosi al riguardo affermato come le condotte tenute siano tese a rafforzare il potere criminale del gruppo di appartenenza, laddove i reiterati traffici vissuti come uno sfogo di accrescimento delle potenzialita' di difesa e di attacco del gruppo mafioso sono sintomatici della capacita' a delinquere dell'associazione di stampo mafioso in esame. E sul punto non privo di rilievo e' il riferimento al dichiarato dello (OMISSIS), secondo cui le cessioni di armi al ricorrente avvenivano nella sua qualita' di âEuroËœndranghetista, anche in ragione della natura clandestina delle stesse, logicamente compatibile con il contesto di criminalita' organizzata descritto dai giudici di merito e degli stretti canali di provenienze a quel contesto specificamente riferibili. Infine, quanto alla denunciata genericita' delle armi, la censura risulta manifestamente infondata poiche' sono richiamate le dichiarazioni dello (OMISSIS) che indica le armi facendo riferimento al modello, al calibro ed al munizionamento. Allo stesso modo il (OMISSIS). 4. Il quarto motivo, in relazione al reato di cui al capo 7) della rubrica, e' inammissibile poiche' si risolve in un prospettata alternativa significante del contenuto delle intercettazioni alle quali prende parte anche il ricorrente, che la Corte di merito ha interpretato e letto in modo logico e coerente con il contesto fattuale di riferimento. In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). 5. Il quinto motivo di ricorso in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione ai delitti contestati ai capi 2) e 7) della rubrica e' inammissibile. 5.1. Con riguardo al delitto di cui al capo 7), per carenza di interesse, essendo l'aggravante speciale stata espressamente esclusa (vedi pag. 127). 5.2. E', invece, manifestamente infondato con riguardo alla tenuta logica delle argomentazioni con le quali la Corte ricava l'aggravante per la violazione della legge armi contestata al capo 2) della rubrica, escludendo che tali condotte siano state realizzate a vantaggio del singolo e non della cosca. Non solo assumono rilievo, al riguardo, le decisive accuse dello (OMISSIS), una volta scrutinata e ritenuta la loro attendibilita', in quanto riferisce i traffici di armi alla cosca (a questa aggiunge il contributo fornito per la presenza di microspie presso il Fungo, tuttavia non decisivo poiche' l'aggravante deve essere riferita alle armi quali delitti fine), ma anche i numerosi passaggi motivazionali in cui la Corte di appello spiega perche' alla âEuroËœndrangheta facesse comodo avere il ricorrente tra le sue fila. Rileva, inoltre, in modo significativo, anche il contenuto dell'intercettazione tra (OMISSIS)- (OMISSIS). Sullo specifico punto il motivo di ricorso risulta anche generico in quanto si limita a riprodurre, in modo del tutto sintetico, gli argomenti di merito di "contestazione", omettendo di confrontarsi specificamente con gli arresti resi dalla sentenza impugnata. 6. Il sesto motivo in ordine alla disposta confisca dei beni e' inammissibile poiche' generico e volto a censurare la motivazione del provvedimento non consentito in questa sede ove e' ammessa soltanto la denuncia di violazione di legge. 6.1. La superfluita' di ricorrere ad una perizia di ufficio rinviene comunque congrua motivazione, sul rilievo che erano stati gia' stati allegati ed esaminati i documenti di parte ed inquadrati in una visione piu' complessiva che ben poteva formare oggetto di riesame da parte dello stesso giudice del merito, alla luce dei rilievo difensivi, non mancandosi di sottolineare che il provvedimento reale, nella sua motivazione e nei suoi presupposti genetici, ha trovato gia' ampia giustificazione in atti per come gia' precisato con analitica motivazione dalla sentenza della Sesta sezione penale di questa Corte, espressamente richiamata (sentenza n. 31510 del 24.5.2017). 6.2. Quanto alla confisca del conto corrente cointestato al fratello del ricorrente su cui confluirebbero gli stipendi di quest'ultimo, si e' evidenziato invece come si tratti di conto corrente promiscuo, sul quale il ricorrente trattiene la delega ad operare a dimostrazione che la provvista sia stata mantenuta con il significativo contributo dell'odierno imputato, che peraltro intratteneva redditizi commerci di traffico di armi che potevano consentirgli un risparmio certamente idoneo ad implementarne le iniziali somme, nonostante l'incapienza del suo reddito rispetto alle uscite ordinarie di vita. Non c'e' dunque alcun vizio di apparenza di motivazione avendo la Corte di appello evocato logici elementi di disponibilita' in capo al ricorrente delle somme comunque ivi confluite in assenza di una prova certa della esclusiva provenienza da fonti lecite del terzo, solo in questa sede affermata. (OMISSIS) (vedi sub motivazione ricorso (OMISSIS)). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso articolato in ordine alla sussistenza dei delitti in materia di armi e' inammissibile sotto differenti aspetti. 1.1. Quanto al profilo di censura avente carattere preliminare, trattasi di doglianza del tutto generica: non puo' infatti affermarsi che la sentenza impugnata non abbia dato conto, in modo analitico, degli elementi di prova offerti dalle parti e della loro esegesi per come interpretata dal primo giudice con riferimenti mirati a quelle frasi o porzioni di dialogo da cui il primo decidente traeva argomenti di prova funzionali al proprio ragionamento probatorio e formanti oggetto dei motivi di appello specificamente richiamati. 1.2. Parimenti generica e' la doglianza riguardo alla valenza millantatoria dei discorsi intervenuti tra i due imputati, ipotesi del tutto sfornita di agganci di merito e, peraltro, contrastante anche con il passaggio delle captazioni in cui si sente maneggiare un'arma ed estrarre delle cartucce dal caricatore. Con riguardo al mancato possesso delle armi, si tratta di censura che si fonda su un'interpretazione atomistica di una delle conversazioni intercettate, inammissibile in questa sede, posto che dal complesso dei dialoghi captati tra il ricorrente ed il (OMISSIS) dall'11 al 12 marzo 2014 (che comprende anche quello su cui il ricorrente fonda la sua censura) la Corte di merito ne ha correttamente ricavato come il (OMISSIS) fosse gia' in possesso di una delle 11 Glock di cui attendeva la consegna e che stava per consegnare al (OMISSIS) l'11 marzo; pertanto, a tale rimanenza deve riferirsi il successivo dialogo in cui il (OMISSIS) chiede se le Glock sono arrivate, con conseguente assenza di interferenza sul risultato probatorio unitariamente e logicamente ricavato dal giudice del merito. Inoltre, quanto alla mancanza di effettiva detenzione delle armi (genericamente riferita nel motivo di ricorso anche a tutto il compendio) il motivo non si confronta con la motivazione resa dalla sentenza impugnata, secondo cui la consegna al (OMISSIS) di almeno una delle Glock, come esecuzione frazionata dell'accordo raggiunto con "i napoletani" per l'acquisto di un totale di undici pistole di questo tipo, ammanta di assoluta serieta' l'accordo per la transazione raggiunta e la disponibilita' in capo al (OMISSIS), sia pure ancora presso il venditore napoletano quanto alle rimanenti dieci. Quanto al porto, la circostanza che almeno una delle Glock fosse gia' nella disponibilita' del ricorrente, tanto che questi stava per consegnarla al (OMISSIS) in esecuzione dello scambio tra di loro concordato, da' contezza anche del precedente porto, costituendo un'alternativa di merito quella secondo cui tutte le armi sarebbero state portate dai presunti venditori napoletani al ricorrente. La circostanza, invece, che l'alterazione della matricola delle pistole sia avvenuta ad opera dei "napoletani" non incide affatto, per come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, sull'illegale detenzione e offerta delle armi, caratteristica di cui il ricorrente era a conoscenza per quanto asseverato dalle sentenze di merito in virtu' dei chiari riferimenti contenuti nel compendio intercettivo. Sfornita di specifica argomentazione, e', infine, la censura rivolta alla sussistenza della ricettazione contestata al capo 46). 2. Il secondo motivo di ricorso relativo al capo 48 (vicenda del tentativo di acquisto sino a 10 chilogrammi di marjivana) e' manifestamente infondato. A fronte della serieta' della trattativa, ricavata da precisi elementi di fatto declinati in sentenza e la cui rivisitazione non e' consentita in questa sede, il giudice del merito risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte - che si attaglia alla fattispecie in esame - a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l'"iter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per tentato acquisto, in una fattispecie in cui erano state intercettate comunicazioni tra l'imputato ed altro soggetto nelle quali il primo, manifestando la volonta' di acquistare cocaina presso un fornitore ed al prezzo indicatogli dal secondo, chiedeva a quest'ultimo di mettersi in contatto con il predetto fornitore, per verificare la disponibilita' dello stupefacente).(Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749). 3. Il terzo motivo in relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e' inammissibile in quanto non scandito dalla necessaria critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata. La Corte territoriale, infatti, mediante il richiamo di precisi indici fattuali costituiti dal ruolo di primo piano assunto dal (OMISSIS) all'interno della locale di âEuroËœndrangheta, dal contesto territoriale che animava i rapporti negoziali tra il ricorrente e il (OMISSIS), dal numero delle armi oggetto di compravendita, dai chiari riferimenti alle altre armi detenute dallo stesso (OMISSIS) (che non risulta essere un collezionista) e ai soggetti della sua cerchia che avrebbero dovuto recarsi a prelevarle, dalla contezza da parte del ricorrente dell'inserimento criminale dei fratelli (OMISSIS) e della possibile loro latitanza, dallo scambio di informazioni relative ad aspetti nevralgici e vitali della âEuroËœndrina del (OMISSIS) risulta avere declinato un complesso di elementi la cui combinazione logica da' ragionevolmente conto quantomeno dell'assenza di profili di ignoranza inevitabile in capo all'imputato (in termini in fase cautelare sulla sussistenza dell'aggravante speciale vedi Sez. 5, n. 4871/2017). 4. Anche l'ultimo motivo in ordine al trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata risultano declinati una serie di indici di spiccata gravita' dei reati commessi, in ragione tanto della potenzialita' delle armi oggetto di negoziazione, quanto della quantita' di droga per lo spaccio all'ingrosso, unitamente ad indici di pericolosita' sociale desunti dalla contiguita' compiacente manifestata verso agli accoliti del (OMISSIS) (si richiama la disponibilita' in prevenzione a favorire la latitanza dei due (OMISSIS) all'epoca in permesso premio per reato di omicidio, vedi pag. 759), che danno motivatamente conto dell'espresso diniego delle attenuanti generiche, cosi' escludendosi la dedotta incompatibilita' "ontologica" con il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. In conclusione: - va annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Va rigettato il ricorso nel resto e dichiarata irrevocabile l'affermazione di responsabilita'; - va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, rideterminata in anni diciannove di reclusione e 9.000,00 Euro di multa; va, invece, dichiarato inammissibile il ricorso nel resto; - vanno rigettati i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali; - vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, in ragione dei profili di inammissibilita' rilevati; - vanno condannati in solido gli imputati per i quali vi e' stata affermazione di responsabilita' per il capo 1) e per i reati per cui e' stata riconosciuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado in favore delle parti civili comune di (OMISSIS) e comune di Anoia liquidate come in dispositivo in ragione della tariffa legale e dell'attivita' defensionale svolta. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Rigetta il ricorso nel resto e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, che ridetermina in anni diciannove di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna in solido gli imputati per i quali vi e' stata affermazione di responsabilita' per il capo 1) e per i reati per cui e' stata riconosciuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado in favore delle parti civili comune di (OMISSIS) e comune di Anoia che liquida in complessive Euro 5.000,00 ciascuna, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. - Consigliere Dott. TERRUSI Francesco - rel. Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 25470/2018 proposto da: (OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro (OMISSIS) S.p.a., gia' (OMISSIS) S.p.a. e prima (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 998/2018 della CORTE D'APPELLO di TORINO, pubblicata il 23/05/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/2022 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO; lette le conclusioni scritte, Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23 comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FICHERA Giuseppe, che chiede che la Prima sezione civile respinga il ricorso. Conseguenze di legge. FATTI DI CAUSA Nell'ottobre 2013 la (OMISSIS) s.r.l. convenne la (OMISSIS) s.p.a. dinanzi al Tribunale di Torino, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguiti al recesso dal contratto di concessione di vendita delle auto Fiat e Alfa Romeo in essere tra le parti dal 2003. Sostenne che al recesso, motivato con la necessita' di riorganizzare l'intera rete di vendita, non aveva fatto seguito il rinnovo della concessione a essa istante, invero sostituita da altra piccola concessionaria; cosa che si sarebbe dovuta ascrivere a violazione del principio di correttezza e buona fede contrattuale (articoli 1175, 1337 e 1375 c.c.), abuso di dipendenza economica e di posizione di dominio, nonche' a violazione della disciplina Europea con particolare riferimento al Regolamento (CE) n. 1400/2002. Nella resistenza della convenuta l'adito tribunale respinse la domanda, sul rilievo che il recesso era stato esercitato legittimamente, in base alle previsioni contrattuali; in accoglimento della riconvenzionale di (OMISSIS), inibi' a (OMISSIS) l'uso dei segni distintivi di (OMISSIS) rappresentativi di un'attivita' di vendita non piu' in essere, condannandola altresi' al risarcimento dei danni. Il gravame della (OMISSIS) e' stato a sua volta respinto dalla corte d'appello di Torino con la sentenza depositata il 23-5-2018, avverso la quale e' ora proposto ricorso per cassazione in quattro motivi, illustrati da memoria. (OMISSIS) ha replicato con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE I. - Col primo mezzo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'articolo 101, paragrafi 1 e 3, del TFUE (gia' articolo 81 del Trattato CE), nel combinato disposto del Considerando n. 5, nonche' dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera f., lettera g., lettera h., dell'articolo 3, paragrafo 4, e paragrafo 5, lettera b, sub ii, del Regolamento (CE) n. 1400/2002, dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera i, del Regolamento (UE) n. 461/2010 e dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera e, del Regolamento (UE) n. 330/2010, la ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto che il fornitore, il quale abbia costituito una struttura distributiva verticale attraverso un sistema di concessioni di vendita, sia insindacabilmente libero, all'esito della riorganizzazione della rete di vendita, di scegliere il distributore cui affidare le aree territoriali non interessate da alcuna concreta misura riorganizzativa. Col secondo mezzo denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 342 c.p.c., per avere la corte d'appello ritenuto in parte qua inammissibile il gravame, erroneamente considerandolo come meramente riproduttivo delle difese di primo grado, senza formulazione di specifica censura della sentenza impugnata; nonche' la violazione e falsa applicazione dei canoni di buona fede oggettiva e correttezza ex articoli 1175, 1337 e 1375 c.c., e del divieto di abuso del diritto, per avere la stessa corte ritenuto in ogni caso non lesiva del precedente distributore la scelta immotivata di un nuovo distributore cui affidare i medesimi punti-vendita. Ancora col terzo mezzo denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 101, paragrafi 1 e 3, del TFUE, nonche' degli articoli 1175, 1337 e 1375 c.c. e del divieto di abuso del diritto, e degli articoli 2043 e 1218 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., articolo 253 citato codice, articoli 2697, 2721, 2724 e 2729 c.c., per esser stata esclusa dalla corte territoriale la configurazione di un illecito produttivo di responsabilita' civile, essendosi respinta la domanda di danni senza dar corso alle istanze istruttorie riproposte in appello. Infine, col quarto mezzo, deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1384, 1382 e 1218 c.c., per essere stata affermata l'incertezza del dovere di adempimento e nondimeno applicata a carico di essa (OMISSIS) la penale contrattuale da inadempimento. II. - I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente perche' tra loro connessi. E' rilievo preliminare che la corte d'appello di Torino non ha affatto ritenuto che il gravame di (OMISSIS) fosse inammissibile ai sensi dell'articolo 342 c.p.c., ma anzi ha esplicitamente disatteso l'avversa eccezione di (OMISSIS), invocando a supporto la sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 27199 del 2017. Ne deriva che sono inconferenti i profili di doglianza a tal riguardo formulati da (OMISSIS), nel pur unitario contesto del secondo motivo, per un'asserita violazione dell'articolo 342 c.p.c.. III. - Ancora deve osservarsi che nella sentenza si dice non aver costituito oggetto di specifica impugnazione la parte della decisione di primo grado relativa all'esistenza del programma di riorganizzazione della rete commerciale di (OMISSIS), nell'ambito del quale collocare il recesso della stessa da tutti i contratti in essere, compreso quello con la (OMISSIS), nonche' la parte relativa all'esercizio del recesso in coerenza con le previsioni del contratto tra le parti. L'affermazione integra da entrambi i punti di vista una ratio involgente il giudicato sui corrispondenti profili, come formatosi in dipendenza della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, e non e' attinta dai motivi di ricorso. IV. - La questione giuridica, alla quale i motivi alludono, attiene invece (propriamente) alle implicazioni dell'accertamento, per l'asserito fraintendimento dei precetti comunitari contenuti nel Regolamento (CE) n. 1400/2002, e quindi dell'articolo 101, paragrafo 1, del TFUE. La ricorrente assume che sarebbe errata la conseguenza tratta dalla corte d'appello di Torino nel ritenere che il produttore-fornitore automobilistico abbia il diritto di recedere dai contratti di concessione di vendita con i distributori per esigenze di riorganizzazione dell'attivita', e contesta, comunque, che se intenda valersi, per il futuro, di un criterio di selezione meramente quantitativo (basato, cioe', sulla preindividuazione del numero dei punti-vendita) anziche' di uno qualitativo (senza limiti al numero di punti-vendita e con previsione di requisiti oggettivi in presenza dei quali chiunque ne faccia richiesta debba poter essere ammesso nel novero dei concessionari), egli sia infine libero di scegliere senza vincoli i nuovi concessionari. Codesta contestazione rappresenta il nucleo fondativo di tutte le censure, poiche' egualmente errato sarebbe, per derivazione, il riconoscimento di una sfera di piena liberta' in capo al produttore-fornitore nello scegliere il distributore cui affidare lo stesso punto-vendita prima affidato a un altro, e specularmente il disconoscimento della esistenza, invece, di una sfera giuridicamente meritevole di tutela in capo a questo. V. - La tesi della ricorrente, che pur muove da un presupposto corretto, non puo' essere condivisa. Il presupposto e' che il Regolamento (CE) n. 1400/2002 ha esentato gli accordi verticali e le pratiche concordate nel settore automobilistico dall'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE (ora articolo 101 del TFUE), e che la Corte di giustizia, attesi gli effetti sulla libera concorrenza, ha ritenuto la legittimita' degli accordi istitutivi di sistemi selettivi di distribuzione commerciale, purche' pero' la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi d'indole qualitativa riguardanti la qualificazione professionale del rivenditore, del suo personale e dei suoi impianti. Ne deriverebbe che, ferma la liberta' di recesso (sempre che siano soddisfatte le ragioni riorganizzative poste alla sua base) e ferma la liberta' del produttore di valersi per il futuro di un sistema distributivo nuovo, il passaggio dal vecchio al nuovo sistema incide sulla sfera del concessionario originario e ne qualifica, per cio' solo, il legittimo interesse a che il produttore non usi del proprio diritto a scegliere la futura controparte abusandone in suo danno, e violando i canoni della correttezza e buona fede. VI. - Nella considerazione iniziale la tesi e' certamente da approvare. Solo che non giustifica l'inferenza consequenziale, e cioe' che da tale punto di vista il produttore, che pur non e' libero di perseguire in concreto, tramite il recesso, finalita' diverse da quelle riorganizzative dichiarate, neppure sia libero di redistribuire, dopo un recesso rettamente esercitato, gli incarichi concessori a propria discrezione, abbandonando un concessionario e preferendogli un altro per la stessa zona. VII. - Non possiede base normativa l'affermazione secondo la quale vi sarebbe una essenziale differenza tra quel che accade nella costruzione iniziale di una struttura distributiva territoriale, in cui non vi sono situazioni soggettive di terzi giuridicamente rilevanti, e quel che accade invece nella prosecuzione dell'attivita' dopo il passaggio attraverso il recesso dai rapporti di concessione originari. Difatti quel che in modo dirimente va osservato e' che non esiste, una volta che il recesso dal contratto sia stato fatto in coerenza con la facolta' in esso stabilita, una correlativa situazione di diritto soggettivo da preservare in capo ai distributori originari, ove la parte receduta voglia stipulare nuovi contratti di concessione in vendita. Esiste unicamente una condizione di legittima aspettativa, in via di fatto, a che il rapporto venga nuovamente attivato con loro. Per tale ragione la tesi alla quale e' affidato il cuore delle censure non ha fondamento. Va detto che la prospettata esistenza di un abuso nell'esercizio del diritto di recesso da parte della (OMISSIS) intercetta a vario titolo profili di merito, volta che la corte d'appello ha affermato, invece, che il ridetto abuso era stato escluso gia' dal tribunale, in uno all'accertamento circa il fatto che tutti i contratti coi concessionari erano stati collocati nella complessiva operazione riorganizzativa della rete commerciale di vendita. Allo stesso tempo l'accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede, porta a dire che la disdetta era stata rivolta a tutti con un periodo di preavviso addirittura doppio rispetto a quello contrattualmente stabilito; e che la ristrutturazione della rete distributiva non aveva costituito un abuso ne' di posizione dominante ne' di dipendenza economica, ma una scelta imprenditoriale, giustificata da ragioni di competizione sul mercato e quindi pienamente legittima. VIII. - Diversamente da quanto paventato dalla (OMISSIS), non puo' costringersi una impresa come (OMISSIS), che opera in condizioni di dipendenza economica da una casa produttrice, a conservare un numero precostituito di concessionari quando questa condizione pregiudica secondo le sue insindacabili valutazioni - la piena valorizzazione dei programmi attinenti ai marchi di cui e' distributrice. L'assunto, che aleggia tra le righe del ricorso, e' nel senso della portata discriminatoria dell'operazione di ristrutturazione, e cioe' che a essa sia conseguita semplicemente la discriminatoria esclusione di alcuni distributori gia' presenti sul mercato, come la (OMISSIS), a favore di altri. Ma tale assunto non puo' trovare seguito, poiche' ancora una volta implica censure in fatto, essendo stata giustappunto esclusa dalla corte del merito la portata discriminatoria dell'operazione. Di contro - e in iure - nessuna norma puo' essere utilmente evocata per attribuire un diritto al cessato contraente-distributore di essere parte, a tempo indeterminato, della rete distributiva attuata dopo la riorganizzazione. IX. - A tal proposito e' necessario svolgere un'ulteriore considerazione, di ordine piu' generale, determinata dal fatto che sulla specifica questione non sussistono precedenti di questa Corte. La ricorrente richiama a sostegno il Regolamento (CE) n. 1400 del 2002, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico. Tale Regolamento, vigente al momento del contratto inter partes e poi sostituito (ma con analogia di precetti) dal Regolamento (UE) n. 461 del 2010 (ancora relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico), e' relativo all'esenzione per categorie e si applica agli accordi relativi alla distribuzione di autoveicoli nuovi e pezzi di ricambio e agli accordi di distribuzione che regolano la fornitura di servizi di riparazione e manutenzione da parte di riparatori autorizzati. Esso in effetti contiene la definizione di "distribuzione selettiva", e si incentra essenzialmente sulla necessita' di garantire che non venga limitata un'effettiva concorrenza all'interno del mercato comune e tra distributori situati in Stati membri diversi, qualora un fornitore utilizzi la distribuzione selettiva su tali mercati e altre forme di distribuzione su altri (v. Considerando 13). In particolare, esclude dal beneficio dell'esenzione gli accordi di distribuzione selettiva che limitano le vendite passive a utilizzatori finali o a distributori non autorizzati situati in mercati nei quali vengono attribuiti territori esclusivi, nonche' gli accordi di distribuzione selettiva che limitano le vendite passive a gruppi di consumatori che sono stati attribuiti in maniera esclusiva ad altri distributori. Tuttavia, nel contesto del cd. "sistema di distribuzione selettiva" - con la quale espressione si intende un sistema di distribuzione "nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori o riparatori selezionati in base a criteri specifici, e nel quale i distributori o riparatori si impegnano a non vendere tali beni e servizi a distributori non autorizzati o riparatori indipendenti" (fatta salva la facolta' di vendere pezzi di ricambio o l'obbligo di fornire agli operatori indipendenti tutte le informazioni tecniche necessarie) - il Regolamento semplicemente distingue tra: (i) un "sistema di distribuzione selettiva basato su criteri quantitativi", vale a dire un sistema "nel quale il fornitore utilizza per la selezione dei distributori o dei riparatori criteri che ne limitano direttamente il numero" e; (ii) un "sistema di distribuzione selettiva basato su criteri qualitativi", cioe' un sistema "nel quale il fornitore utilizza per la selezione dei distributori o dei riparatori criteri di carattere esclusivamente qualitativo, richiesti dalla natura dei beni o servizi oggetto del contratto, che sono stabiliti in maniera uniforme per tutti i distributori o riparatori che chiedono di far parte del sistema di distribuzione, non sono applicati in modo discriminatorio e non limitano direttamente il numero dei distributori o dei riparatori". La congerie di definizioni non presuppone di validare un regime conservativo per la selezione specifica, dopo una riorganizzazione aziendale. Cosa che proprio la Corte di giustizia ha chiarito a mezzo dell'affermazione che in un sistema di distribuzione basato su criteri quantitativi non e' necessario che tali criteri siano oggettivamente giustificati e applicati in maniera uniforme e indifferenziata nei confronti di tutti i candidati all'autorizzazione (v. C. giust. 14-6-2012, causa C158/2011). Cio' vuol dire che il recesso dai contratti per riorganizzazione dell'attivita', quanto alla distribuzione selettiva nell'uno o nell'altro senso, e' consentito dal Regolamento alle condizioni contrattuali di volta in volta stabilite - condizioni che nel caso concreto la corte d'appello ha accertato esser state rispettate; dopodiche' la valutazione relativa alla stipula dei nuovi contratti, completata la riorganizzazione, diventa espressione della (nuova) libera scelta del contraente. La quale non e' comprimibile da ipotetici e non previsti obblighi a contrarre, e non e' sindacabile - in quanto tale - da parte del giudice. X. - Naturalmente non si nega che possano soccorrere, anche in questa materia, i principi di correttezza e buona fede nella formazione, nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, i quali rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. E non si nega neppure che sotto il primo punto di vista tali principi impongano alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove cio' sia necessario per preservare gli interessi della controparte; ne' che, sotto il secondo punto di vista, consentano al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora cio' sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto. Sennonche', l'integrazione presuppone che esista pur sempre una fonte contrattuale idonea tra le parti. Il principio di buona fede o di affidamento non puo' essere invocato per sostenere, invece, l'esistenza di un obbligo del contraente di stipulare nuovi contratti con lo stesso soggetto dopo il legittimo esercizio del recesso da un contratto anteriore. Il principio di buona fede non e' invocabile nel caso concreto neppure secondo l'ottica dell'ingiustificato recesso da trattative per il rinnovo del contratto in concessione. In linea generale la responsabilita' precontrattuale ai sensi dell'articolo 1337 c.c., puo' certamente conseguire tanto in relazione al processo formativo del contratto quanto in rapporto alle semplici trattative riguardate come qualcosa di diverso da esso, ossia come quella fase anteriore in cui le parti si limitano a manifestare la loro tendenza verso la stipulazione del contratto senza ancora porre in essere alcuno di quegli atti di proposta e di accettazione che integrano il vero e proprio processo formativo. Solo pero' se lo svolgimento delle trattative e', per serieta' e concludenza, tale da determinare un affidamento nella stipulazione del contratto, la parte che ne receda senza giusta causa, violando volontariamente l'obbligo di comportarsi secondo buona fede, e' tenuta al risarcimento dei danni (nei limiti dell'interesse negativo: v. Cass. n. 1632-00, Cass. n. 11243-03, Cass. n. 7768-07). Difatti va condiviso il principio secondo cui la regola posta dall'articolo 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto, non determinabile in modo preciso, implica pur sempre il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione di un contratto (v. Cass. n. 24795-08, Cass. n. 21255-13). Nel caso concreto non risulta che sia stata neppure ventilata una simile condizione dinanzi al giudice del merito, essendosi la ricorrente basata sull'apodittico asserto che il sistema di distribuzione selettiva avrebbe praticamente imposto - esso in quanto tale - alla (OMISSIS) di rinnovare contratto con i vecchi concessionari, quasi che per definizione essi fossero da considerare in possesso dei criteri di carattere qualitativo richiesti dalla natura dei beni o servizi oggetto del contratto, ovvero alternativamente che, dinanzi a una riorganizzazione quantitativa, quei criteri non dovessero rilevare affatto. XI. - In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: - ne' il Regolamento (CE) n. 1400 del 2002, ne' altre fonti, attribuiscono all'impresa che abbia fatto parte di una rete distributiva automobilistica ristrutturata il diritto di accedervi anche dopo la ristrutturazione, ove il contratto anteriormente in essere con la titolare della rete distributiva sia stato legittimamente sciolto per recesso convenzionale di questa; in particolare il citato Regolamento impone soltanto di utilizzare i criteri di selezione in vista del perseguimento delle finalita' dettate dai Considerando, e di non applicarli in senso discriminatorio; fermo restando pero' che, fuori da tale limite, una volta prefissato il numero delle imprese distributrici, la scelta dei contraenti rimane assolutamente libera e non sindacabile in sede giurisdizionale. XII. - Il quarto motivo e' inammissibile per difetto del presupposto. La ricorrente assume che la corte d'appello sarebbe incorsa in violazione della disciplina della penale contrattuale, perche' nonostante l'affermazione che (OMISSIS) poteva essere in dubbio circa la liceita' del persistente utilizzo da parte sua delle insegne e dei marchi Fiat, ha confermato l'applicazione della penale contrattuale a suo carico, benche' in misura ridotta rispetto a quella richiesta da (OMISSIS). Cosi' statuendo la corte territoriale avrebbe mancato di considerare che la penale contrattuale rappresenta una liquidazione convenzionale del danno da inadempimento, sicche' postula gli stessi presupposti necessari per la configurazione del danno risarcibile, e quindi l'inadempimento imputabile ex articolo 1218 c.c.; imputabilita' da escludere in ipotesi di mancanza di colpa. Viceversa, deve osservarsi che la corte d'appello ha svolto un ben differente apprezzamento. Essa ha sottolineato che il dubbio circa la liceita' del persistente utilizzo dei segni distintivi (OMISSIS) era stato correttamente posto (dal tribunale) a fondamento della riduzione della penale secondo equita'. Non ha affatto stabilito che il suddetto dubbio fosse anche sintomo di mancanza di colpa. Tale differente deduzione corrisponde a un personale asserto della parte ricorrente, che tuttavia e' inammissibile poiche' presuppone un accertamento di fatto che dalla sentenza non emerge e che men che meno puo' essere richiesto alla Corte di cassazione. XIII. - Il ricorso e' rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. GORJAN Sergio - Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. ABETE Luigi - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:   SENTENZA sul ricorso 11113-2016 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende; - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 232/2016 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 10/02/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI; udite le conclusioni del Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Dott. Ceroni Francesca. FATTI DI CAUSA 1. L'Avv. (OMISSIS), con citazione notificata il 7.6.2010, convenne in giudizio l' (OMISSIS) s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni nella misura di Euro 214.434,79. 1.1. L'attore espose di aver curato, sin dal 1997, il contenzioso del Banco di Sicilia e di aver sottoscritto, dopo la fusione per incorporazione da parte dell' (OMISSIS) s.p.a., in data 19.3.2008, una nuova convenzione con la societa' incorporante, con la quale venivano regolati i rapporti in corso. Con il nuovo accordo, l'Avv. (OMISSIS) si impegno' a trasferire, in formato digitale, tutto il materiale cartaceo relativo al contenzioso in corso in modo da permettere alla banca un costante monitoraggio della sua attivita', valutandone l'efficienza, anche attraverso l'attribuzione di un punteggio. 1.2. La convenzione del 19.3.2008, nel prevedere una nuova regolamentazione dei rapporti, modifico' il tariffario, riducendo l'importo delle voci dovute al professionista. 1.3. L'attore espose che l' (OMISSIS) s.p.a. aveva tenuto degli incontri con i legali del (OMISSIS) ed aveva inviato ulteriori comunicazioni, con le quali prospettava una futura collaborazione ma, nonostante egli avesse il punteggio piu' alto in graduatoria degli avvocati nella Provincia di Ragusa, non aveva ottenuto nessun altro incarico. 1.4. L' (OMISSIS) s.p.a. si costitui' per resistere alla domanda. 1.5. Il Tribunale di Ragusa accolse, per quanto di ragione, la domanda dell'Avv. (OMISSIS) e condanno' l' (OMISSIS) s.pa al risarcimento dei' danni, per violazione dell'articolo 1337 c.c., nella misura di Euro 25.000,00 oltre interessi. 1.6. Interpose appello l'Avv. (OMISSIS), resistito dall' (OMISSIS) s.p.a., che propose appello incidentale. 1.7. La Corte d'appello di Catania, con sentenza del 10.2.2016, rigetto' l'appello principale e l'appello incidentale, confermando integralmente la decisione di primo grado. 1.8. La Corte di merito escluse che la corrispondenza antecedente alla stipula della convenzione e, segnatamente la nota del 7.3.2008, obbligasse l' (OMISSIS) s.p.a. a conferire all'Avv. (OMISSIS) ulteriori incarichi in quanto con tali missive veniva offerta soltanto la mera possibilita' di una maggiore affluenza del contenzioso qualora il professionista si fosse dotato di un sistema operativo in grado di colloquiare costantemente con la banca. La circostanza che l' (OMISSIS) s.p.a. non avesse conferito ulteriori incarichi non costituiva inadempimento contrattuale ma integrava un'ipotesi di responsabilita' per violazione del principio di buona fede, che doveva improntare la condotta delle parti oltre che nella fase della trattativa individuale, anche per il tempo successivo alla conclusione del contratto e per tutto il periodo di esecuzione dello stesso. 1.9. La Corte distrettuale aderi' quindi all'orientamento giurisprudenziale che ravvisa un'ipotesi di responsabilita' precontrattuale non solo nell'ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative ma anche nell'ipotesi in cui il contratto concluso, benche' valido, sia pregiudizievole per la vittima del comportamento scorretto. 1.10. Tale domanda era stata regolarmente proposta dall'Avv. (OMISSIS) nell'atto di citazione. 1.11. Nel caso di specie, l' (OMISSIS) s.p.a., con numerose note inviate al professionista, aveva espresso apprezzamento per il rating dell'Avv. Criscio Cassi', il piu' alto tra i professionisti nella Provincia di Ragusa, generando la legittima aspettativa circa la concreta possibilita' di ricevere ulteriori incarichi. In vista di una collaborazione futura, l'Avv. (OMISSIS) aveva infatti accettato condizioni meno favorevoli in relazione al contratto in corso. 1.12. In ordine al quantum debeatur, la Corte liquido' equitativarnente il danno nei limiti dell'interesse negativo, pari alla meta' del fatturato delle prestazioni riscosse nel biennio 2005-2007, pari ad Euro 49.334,25, tenuto conto del minor rating per le pratiche gia' assegnate, dell'aggravio dell'attivita' professionale per il raggiungimento del miglior rating e del mancato realizzo reddituale conseguente alla legittima aspettativa del conferimento di nuovi incarichi mai conferiti. 1.13. La Corte rigetto' la richiesta di rimborso delle spese necessarie per l'adeguamento dell'organizzazione dello studio, trattandosi di spese collegate all'esecuzione dell'accordo convenzione. 2. Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso l'Avv. (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. 2.1. Ha resistito con controricorso l' (OMISSIS) s.p.a., che ha svolto ricorso incidentale sulla base di cinque motivi, di cui uno svolto in via principale e quattro in via subordinata. 2.2. Il Pubblico Ministero nella persona della Dott.ssa Francesca Ceroni ha chiesto, in via principale, la remissione degli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite in ordine alla questione, avente rilevanza nomofilattica, dell'applicabilita' deil'articolo 1337 c.c. quale clausola generale applicabile in ogni ipotesi di lesione della liberta' contrattuale e non soltanto nell'ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative; in subordine, ha chiesto l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale. 2.3. In prossimita' dell'udienza, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1366 e 1371 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte di merito valutato, nell'ambito dell'attivita' di interpretazione del contratto, anche la documentazione antecedente l'accordo - convenzione del 19.3.2008. In particolare, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che non fosse parte integrante dell'accordo contrattuale la missiva del 7.12008, con cui l' (OMISSIS), allegando il nuovo "accordo-convenzione" avrebbe assicurato al professionista un "trend duraturo di soddisfazioni". Il ricorrente si duole quindi dell'errata interpretazione delle intenzioni dei contraenti, anche in considerazione del comportamento successivo alla conclusione del contratto, avuto particolare riguardo alle rassicurazioni, da parte della banca sul conferimento di "nuove pratiche" che avrebbe ricevuto in futuro, alla necessita' di prestare attenzione ai cosiddetti "warnings" relativi alle schede informatizzate, che avrebbero bloccato le nuove assegnazioni ed alla richiesta, contenuta nella missiva del 17.11.2009, con cui era stato richiesto ai professionisti un ribasso dei compensi in vista della collaborazione futura. Detta corrispondenza, inoltrata dalla banca nel corso del rapporto contrattuale, sarebbe espressione di un chiaro vincolo contrattuale in relazione all'impegno di un conferimento di incarichi futuri e non costituirebbe una mera promessa, prive di contenuto negoziale. 2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la nullita' della sentenza, con riferimento all'articolo 132 c.p.c., n. 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito mal interpretato le conclusioni contenute nell'atto di citazione, con le quali non sarebbe stata chiesto l'accertamento degli obblighi di lealta' nelle trattative e di buona fede e correttezza nel corso del rapporto sicche' la sentenza sarebbe priva di motivazione in relazione in relazione al contenuto della documentazione in atti, integrativa dell'accordo - convenzione. 3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1126, 1223 e 1218 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il ricorrente sostiene di aver sottoscritto l'accordo del 19.3.2008, modificativo dell'accordo in corso non per la prosecuzione degli incarichi gia' assegnati ma per l'ottenimento di ulteriori incarichi. In considerazione del grave inadempimento contrattuale, la Corte avrebbe errato nel non riconoscere il danno da lucro cessante, per avere il professionista perso altre opportunita' di lavoro. Anche in caso di accertamento della responsabilita' precontrattuale, la corte avrebbe commesso errori di calcolo nella determinazione del danno. 4. Con il primo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1337 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche' il riconoscimento della responsabilita' precontrattuale non sarebbe ipotizzabile in caso di conclusione del contratto per violazione del principio di buona fede. Si sottolinea che la giurisprudenza di questa Corte non e' pacifica nel ritenere applicabile l'articolo 1337 c.c. anche nell'ipotesi di contratto concluso, valido ed efficace, come chiaramente affermato da Cass. 5273/2007, che esprime un principio di diritto diametralmente opposto da quello affermato nella sentenza impugnata ovvero che la stipulazione del contratto preclude la configurabilita' della responsabilita' precontrattuale. Nel caso in cui le trattative abbiano condotto alla conclusione di un contratto valido ed efficace, le obbligazioni avrebbero origine unicamente dal contratto mentre la responsabilita' precontrattuale sarebbe limitata alla violazione dell'obbligo di buona fede nelle trattative. 5. L' (OMISSIS) s.p.a. ha proposto, in via subordinata, altri quattro motivi di ricorso. 5.1. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 costituito dall'errata valutazione del contenuto dei messaggi inoltrati dalla banca all'Avv. (OMISSIS), con i quali il professionista sarebbe stato avvertito che, in caso di mancata implementazione del fascicolo elettronico, non sarebbe stato possibile l'affidamento di eventuali nuovi incarichi. Detti avvisi conterrebbero mere raccomandazioni dalle quali non deriverebbe alcuna chance di ottenere ulteriori incarichi ma costituirebbe una mera aspettativa di fatto non tutelabile. 6. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce l'erronea determinazione del danno, con violazione dell'articolo 1337 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 che avrebbe dovuto essere liquidato nei limiti dell'interesse negativo e non secondo i criteri dettati per la lesione dell'interesse positivo. 7. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'articolo 2697 c.c. perche' l'attore non avrebbe fornito la prova del danno da lesione dell'interesse negativo, non essendo a tal fine sufficiente la documentazione attestante il corrispettivo ricevuto nel triennio 2005-2007. 8. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all'ammissibilita' della liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell'articolo 1337 c.c., che avrebbe dovuto comprendere la perdita subita ed il mancato guadagno purche' in relazione immediata e diretta con la lesione dell'affidamento e non del contratto sicche' la prova avrebbe dovuto riguardare le spese sostenute, le occasioni di lavoro mancate mentre, nel caso di specie sarebbe stato risarcito il danno da inadempimento contrattuale. 9. I motivi del ricorso principale ed incidentale vanno trattati congiuntamente per la loro connessione in quanto vertono sulla configurabilita' della responsabilita' precontrattuale in caso in cui il contratto sia stato concluso in violazione del principio di buona fede nelle trattative e della liquidazione del danno da responsabilita' precontrattuale. 8.1. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale sono infondati. 8.2. L'interpretazione di un atto negoziale e' tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita', se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'articolo 1362 c.c., e segg., o di motivazione inidonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione. L'interpretazione data dal giudice del merito al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178) sicche' quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu' interpretazioni, non e' consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita' del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009). 8.3. Per far valere una violazione delle regole di interpretazione, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma altresi' precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; e' conseguentemente inammissibile il motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta', nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). 8.4. Nel caso di specie, non e' ravvisabile una violazione delle norme interpretative, ne', tanto meno il vizio di apparenza della motivazione in quanto nell'indagare sulla comune volonta' dei contraenti, la Corte non ha violato il criterio dell'interpretazione letterale ed ha tenuto della documentazione antecedente e successiva all'accordo ma non ha reputato che essa costituisse parte integrante del vincolo contrattuale, spiegando le ragioni per le quali la banca non si fosse obbligata a conferire all'Avv. (OMISSIS) ulteriori incarichi. 8.5. Secondo la plausibile interpretazione adottata dalla Corte di merito, l'accordo convenzione costituiva unicamente lo strumento necessario per l'eventuale affidamento di successivi incarichi da espletare secondo le formalita' individuate dall'istituto di credito. 8.6. La Corte ha esaminato la nota del 7.3.2008, richiamata dal ricorrente, antecedente alla sottoscrizione dell'accordo ravvisandovi non un atto integrativo dell'accordo ma la mera prospettazione della possibilita' di ricevere nuovi incarichi attraverso l'adeguamento alle direttive operative fornite dalla banca; parimenti, le note successive, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, non determinavano alcun vincolo contrattuale, integrativo dell'accordo- convenzione. 8.7. Detti comportamenti erano contrari all'obbligo della banca di comportarsi secondo buona fede perche' idonei ad ingenerare nel professionista l'aspettativa di poter ricevere ulteriori incarichi. 8.8. La Corte di merito ha fatto corretta applicazione dell'articolo 1337 c.c., estendendo il principio della buona fede non solo alle condotte antecedenti all'accordo, e quindi ai casi di rottura ingiustificata delle trattative o all'ipotesi in cui il contratto si fosse rivelato invalido, ma anche alle condotte successive che si innestano nella fase di esecuzione del contratto. 8.9. Secondo l'impostazione tradizionale della dottrina, che aveva avuto largo seguito nella giurisprudenza di questa Corte, non era ravvisabile un'ipotesi di responsabilita' precontrattuale nelle ipotesi in cui l'accordo tra le parti si fosse formato, sia pur a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se la parte non avesse tenuto un comportamento contrario alla buona fede, in quanto si riteneva che la configurabilita' della responsabilita' precontrattuale fosse preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto (tra le tante Cass. 16.4.1994, n. 3621, Cass. 11 settembre 1989, n. 3922 e, piu' di recente Cassazione civile sez. II, 05/02/2007, n. 2479, richiamata dall' (OMISSIS) s.p.a.). 8.10. La responsabilita' ai sensi dell'articolo 1337 c.c. era concepibile solo in presenza del mancato perfezionamento dell'accordo, ovvero nel caso di contratto invalido, previsto dall'articolo 1338 c.c. mentre, una volta concluso il contratto, l'unica forma di responsabilita' configurabile era quella contrattuale ed eventuali scorrettezze precontrattuali potevano rilevare solo se si traducevano in inadempimento. 8.11. La giurisprudenza successiva ha cambiato indirizzo e puo' dirsi consolidata - tanto che il collegio non reputa necessaria la rimessione alle Sezioni Unite - nell'estendere la responsabilita' precontrattuale anche nelle ipotesi in cui il contratto si sia concluso, attraverso un'applicazione generalizzata dell'articolo 1337 c.c. 8.12. Il cambiamento di indirizzo ha colto le riflessioni di autorevole dottrina e le innovazioni derivanti dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria. 8.13. In primo luogo, e' stato osservato che il dato letterale dell'articolo 1337 c.c. " le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede" non preclude l'applicabilita' della norma alla fase successiva alla conclusione del contratto ed a tutto il periodo di esecuzione dello stesso. 8.14. E' stata sottoposta a rimeditazione la ripartizione e la regola di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validita': secondo l'impostazione tradizionale, la violazione dei doveri di comportamento ha conseguenze esclusivamente sul piano risarcitorio e non puo' incidere sulla validita' dell'atto mentre le regole di validita' attengono alla struttura dell'atto e l'assenza dei requisiti di validita' impedisce all'atto di produrre effetti giuridici. 8.15. Si e' superato il principio di non interferenza tra regole comportamento e regole di validita', osservandosi come nella legislazione di matrice comunitaria in tema di contratti venga individuata, tra i requisiti di validita', l'osservanza di norme comportamentali, come accade per i contratti del consumatore o tra imprese con abuso di posizione economica dominante, in cui sussiste una asimmetria del potere contrattuale delle parti. 8.16. In tale ottica, una parte della dottrina ha ravvisato nell'articolo 1337 c.c. una norma di chiusura rispetto alle regole di validita' nel senso che conferisce rilevanza a scorrettezze non considerate da tali norme, assumendo una funzione correttiva dell'equilibrio economico risultante da un contratto valido. 8.17. Con la sentenza della I Sezione Civile del 29/09/2005, n. 19024 viene definitivamente superato il filone giurisprudenziale per il quale la configurabilita' della responsabilita' precontrattuale ex articolo 1337 c.c. e' preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto e tale orientamento, salvo occasionale oscillazione di segno contrario (tra cui proprio Cassazione civile sez. II, 05/02/2007, n. 2479) e' divenuta dominante. 8.18. La Corte ha affermato in modo chiaro che la "contrarieta'" a norme imperative, considerata dall'articolo 1418 c.c., comma 1 quale "causa di nullita'" del contratto, postula che essa attenga ad elementi "intrinseci" della fattispecie negoziale, che riguardino, cioe', la struttura o il contenuto del contratto (articolo 1418 c.c., comma 2). I comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale, sicche' la loro eventuale illegittimita', quale che sia la natura delle norme violate, non puo' dar luogo alla nullita' del contratto a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore (ad es., articolo 1469 ter c.c., comma 4, in relazione all'articolo 1469, quinquies, comma 1 cit. codice). 8.19, L'ambito di rilevanza della responsabilita' contrattuale non e' quindi circoscritto alle ipotesi in cui il comportamento non conforme a buona fede abbia impedito la conclusione del contratto o abbia determinato la conclusione di una contratto invalido ovvero inefficace. 8.20. La Corte ha chiarito che l'ambito di rilevanza della regola posta dall'articolo 1337 c.c. va ben oltre l'ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative e assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non puo' essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. 8.21. L'esame delle norme positivamente dettate dal legislatore pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (articoli 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.). 8.22. Da tale ultimo orientamento deriva il convincimento che la disposizione dell'articolo 1337 c.c. sia, al pari di quelle degli articoli 1175 e 1375 c.c., norma meramente precettiva o imperativa positiva, dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privatistici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non puo', percio', essere inclusa tra le "norme imperative", aventi invece contenuto proibitivo, considerate dall'articolo 1418 c.c., comma 1 la cui violazione determina la nullita' del contratto. Fuori dell'ipotesi di responsabilita' precontrattuale (che si ha quando una parte receda dalle trattative dopo aver determinato nell'altra l'affidamento sulla conclusione del contratto), la violazione dell'obbligo generico di comportarsi secondo buona fede non implica ne' responsabilita' civile, ne' invalidita' del contratto, ove il comportamento scorretto non integri una determinata ipotesi legale cui sia connessa quella specifica sanzione civilistica, come confermato anche dalla disciplina dettata, in tema di dolo, dagli articolo 1439 e 1440 c.c. 8.23. Per quanto riguarda la determinazione del danno, in caso di comportamenti precontrattuali od esecutivi illegittimi, qualora esso derivi da un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti', salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto. 8.24. Sul solco della citata pronuncia, si pone Cass. N. 2497/2005 che consolida la tesi della compatibilita' tra validita' del contratto e responsabilita' ex articolo 1337 c.c. Anche in tale decisione, si afferma che, in caso di comportamenti scorretti, il risarcimento va ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento scorretto (Cassazione civile sez. III, 08/10/2008, n. 24795). 8.25. Successivamente, le Sezioni Unite, sia pur in un obiter dictum, hanno consolidato l'orientamento che estende la responsabilita' precontrattuale anche all'ipotesi della conclusione di un valido contratto (Cass. 19.12.2007, n. 26724). 8.26. Si e' giunti, quindi, in tempi piu' recenti ad affermare funditus che la regola posta dall'articolo 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale e che la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto (Cassazione civile sez. I, 23/03/2016, n. 5762; Cassazione civile sez. VI, 21/10/2013, n. 23873). 8.27. Puo' dirsi quindi assodato che la responsabilita' precontrattuale non viene piu' considerata come un insieme chiuso di ipotesi sanzionatorie rigidamente predeterminate bensi' come uno strumento flessibile per sanzionare comportamenti scorretti anche in presenza di un contratto valido ma svantaggioso, concluso a causa di una condotta sleale che non si traduce in dolo ma in un comportamento non conforme a buona fede. 8.28. Attraverso tale ricostruzione, vengono abbattuti i limiti dell'interesse negativo sicche' il risarcimento va commisurato al "minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle condizioni diverse a cui sarebbe stato stipulato il contratto, senza l'interferenza del comportamento scorretto di una delle parti e comunque avendo riguardo a tutti i danni collegati a tale comportamento da un rapporto conseguenziale e diretto. 8.29. E' rimesso al giudice di merito l'accertamento in fatto della responsabilita' della parte alla quale sia imputabile il comportamento scorretto o l'omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso. 8.30. Nel caso di specie, la corte di merito ha accertato che l'Istituto di credito, con ripetute note trasmesse all'indirizzo dell'avvocato prospetto' l'ipotesi di una crescita del fatturato e si complimento' con il professionista per i risultati raggiunti nel sistema di indicatori di rating, che erano i piu' alti nel foro di appartenenza, creando nel professionista una ragionevole aspettativa di ricevere ulteriori incarichi. 8.31. In particolare, con la corrispondenza antecedente alla stipula della convenzione e, segnatamente con la nota del 7.3.2008, l' (OMISSIS) s.p.a. prospetto' all'Avv. (OMISSIS) che l'adesione alla convenzione avrebbe potuto determinare una prospettiva di maggiore affluenza del contenzioso affidato dall'istituto bancario. Del medesimo tenore erano le note trasmesse dopo la stipula dell'accordo- convenzione sicche', secondo l'apprezzamento della corte di merito, non era ravvisabile in nessuno di tali documenti un atto di integrazione dell'accordo che obbligasse la banca a conferire ulteriori incarichi ne' tale obbligo era rinvenibile nel testo del contratto. L'accordo -convenzione era uno strumento operativo che consentiva al professionista di colloquiare costantemente con la banca sicche' la circostanza che l' (OMISSIS) s.p.a. non avesse conferito ulteriori incarichi non costituiva inadempimento contrattuale. 8.32. Nondimeno, il comportamento dell'istituto di credito integrava un'ipotesi di responsabilita' precontrattuale per violazione del principio di buona fede, in quanto con ripetute note indirizzate all'avvocato veniva prospettata una crescita del fatturato e, dopo la sottoscrizione dell'accordo, veniva riconosciuto l'ottimo risultato raggiunto secondo gli standard previsti dall'istituto di credito, che dispensava elogi al professionista per il rating raggiunto. 8.33. Detti comportamenti, anteriori e successivi all'accordo, erano idonei a generare una concreta aspettativa di collaborazione e, quindi, di opportunita' di lavoro, grazie ad una riorganizzazione dello studio professionale sicche' la mancata assegnazione di ulteriori pratiche, senza alcuna plausibile giustificazione e nonostante le ripetute promesse, possono dirsi idonee ad integrare la violazione dell'articolo 1337 c.c. 8.34. Furono i comportamenti scorretti dell' (OMISSIS) s.p.a. ad indurre l'Avv. (OMISSIS) alla riduzione dei compensi professionali in relazione agli incarichi affidati in vista della promessa di conferimento di nuovi incarichi, giustificati dal raggiungimento degli standard richiesti dall'Istituto e dal piu' alto rating del foro di appartenenza. 8.35. Alla luce di tale accertamento, e' irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuto cronologicamente a valle e non a monte della conclusione per escludere la responsabilita', anche in caso di comportamenti scorretti in costanza o in epoca successiva alla conclusione del contratto. 8.36. Corretta e' stata altresi' la determinazione del risarcimento del danno nei limiti dell'interesse negativo, tenendo conto del contenuto piu' oneroso dell'accordo-convenzione stipulato in seguito al comportamento scorretto della banca e dell'aggravio dell'attivita' professionale richiesta in vista del raggiungimento del rating migliore. 8.37. La liquidazione del danno e' avvenuto sulla base del criterio equitativo ed e' stato parametrato alla meta' del fatturato delle prestazioni riscosse negli anni 2005-2007, considerando il minor reddito rinveniente dalle pratiche gia' assegnate ed il mancato realizzo reddituale conseguente alla legittima aspettativa del conferimento di nuovi incarichi. 8.29. La corte di merito si e' quindi conformata al principio secondo cui, in tema di responsabilita' precontrattuale, qualora il danno derivi da un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto. 9. Con il quarto motivo del ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 relativo al rimborso della somma di Euro 20.000,00 per trasformare gli atti dei fascicoli in files informatici anche sotto il profilo dell'indebito arricchimento. 9.1. Il motivo non e' fondato. 9.2. La corte di merito ha motivato sulla domanda relativa alla richiesta di rimborso delle spese sostenute per trasformare gli atti dei fascicoli in files informatici, ritenendo che si trattasse di un obbligo rientrante nella convenzione, sicche' non e' ravvisabile alcun vizio motivazionale, neanche sotto il profilo dell'indebito arricchimento, escluso dall'esistenza di un accordo negoziale. 10. Vanno quindi rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale". 11. Attesa la reciproca soccombenza, le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti. 12. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCARLINI Enrico V.S. - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. RICCARDI Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/06/2020 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ORSI Luigi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi; uditi i difensori: - l'Avv. (OMISSIS), per la parte civile Citta' METROPOLITANA DI REGGIO CALABRIA, quale sostituto processuale, deposita conclusioni e nota spese a firma Avv. (OMISSIS) alle quali si riporta; - L'Avv. (OMISSIS), per la parte civile COMUNE (OMISSIS), quale sostituto processuale, deposita conclusioni e nota spese a firma avv. (OMISSIS); - l'Avv. (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso; - L'Avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso; - L'Avv. (OMISSIS), anche in sostituzione per delega orale dell'Avv. (OMISSIS), il quale arriva successivamente all'apertura del verbale, si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento degli stessi; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'Avv. (OMISSIS) e dell'avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; - L'Avv. (OMISSIS), arrivato in un momento successivo all'apertura del verbale, alle 13:55 conclude riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per raccoglimento degli stessi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 08/06/2020 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa, all'esito del giudizio abbreviato, dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria il 07/07/2017, ha confermato l'affermazione di responsabilita' penale nei confronti di numerosi imputati per i reati associativi di cui all'articolo 416 bis c.p. (capo 30) e di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, (capo 1), nonche' per una serie di reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in materia di narcotraffico, e per una serie di reati-fine del sodalizio mafioso (porto e detenzione di armi, ricettazione, intestazione fittizia di beni), loro rispettivamente ascritti. In particolare, il procedimento trae origine dalle indagini svolte per la ricerca e la cattura dei latitanti della famiglia (OMISSIS) di (OMISSIS), nell'ambito delle quali sono emerse le figure dei fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), legati da rapporti di parentela con gli (OMISSIS). L'attivita' investigativa e' stata suddivisa in due principali settori: il primo riguarda il narcotraffico interno ed internazionale, gestito dall'organizzazione capeggiata dai fratelli (OMISSIS), in contatto con trafficanti stranieri operanti tra l'Europa ed altri continenti; il secondo concerne il delitto di associazione mafiosa di cui al capo 30 e i delitti scopo. Nell'ambito di tali indagini sono state avviate intercettazioni telefoniche ed ambientali: in particolare dal 21 dicembre 2012, in seguito alla scarcerazione di (OMISSIS), sono stati captati dialoghi all'interno dell'abitazione di (OMISSIS) ritenuti rilevanti per l'inquadramento degli assetti del gruppo mafioso di riferimento, confermando il ruolo apicale rivestito da (OMISSIS). Analogamente intercettazioni ambientali sono state realizzate per due anni all'interno delle abitazioni di (OMISSIS), considerato tra i principali gregari di (OMISSIS). Inoltre, mediante rogatoria internazionale sono state acquisite le intercettazioni ambientali eseguite nei locali della ditta (OMISSIS), in (OMISSIS), concernenti le attivita' delle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS). Secondo gli esiti investigativi e le risultanze delle sentenze irrevocabili pronunciate nei processi "Nostromo" e "Crimine", e' emersa l'esistenza e l'operativita' di tre cosche locali: 1) il "locale" di Siderno facente capo ai (OMISSIS), e collegato altresi' all'articolazione mafiosa insediatasi a Toronto, in Canada (secondo quanto gia' accertato nei processi (OMISSIS) e (OMISSIS)); 2) il "locale" di (OMISSIS), facente capo a (OMISSIS); 3) il "locale" di (OMISSIS), facente capo ai (OMISSIS)- (OMISSIS). Tali cosche operavano all'interno della struttura unitaria della âEuroËœndrangheta, accertata nell'ambito del processo (OMISSIS). 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto due motivi. Condannato per il reato di cui all'articolo 512 bis c.p., aggravato dall'agevolazione mafiosa di cui al capo 29. 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione ed il travisamento della prova in relazione al contenuto delle intercettazioni valorizzate per l'affermazione di responsabilita'. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un travisamento della prova, in quanto dalla intercettazione del 22/01/2013 emergerebbe l'estraneita' sia del (OMISSIS), sia del suo interlocutore, (OMISSIS), in ordine alla proprieta' della pescheria, in quanto gli stessi rievocavano fatti del passato, gia' oggetto di indagini nel procedimento c.d. (OMISSIS), e sottoposta a sequestro. Quanto al monologo del ricorrente, captato il 11/10/2012, la sentenza ha ritenuto che l'imputato volesse prepararsi il discorso da fare al cognato, (OMISSIS), ma la Corte avrebbe travisato il contenuto della conversazione captata il 22/01/2013, in quanto la pescheria cui facevano riferimento gli interlocutori era quella gia' sottoposta a sequestro nel processo (OMISSIS). Erroneo sarebbe anche il riconoscimento dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, trattandosi di attivita' commerciale con una situazione debitoria seria, ed esclusa dal Tribunale di Locri nel giudizio ordinario. 2.2. Con un secondo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, lamentando che non siano stati valorizzati gli elementi presi in considerazione per ridurre la pena ed escludere la recidiva. 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi. Condannato per il reato di trasporto di 5,8 kg. di marijuana, esclusa l'aggravante dall'agevolazione mafiosa, di cui al capo 6. 3.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p., ed il vizio di motivazione in relazione all'individuazione del ricorrente con riferimento all'utenza telefonica attribuita. Sostiene al riguardo che il contenuto della conversazione intercettata ("ha detto mio fra' se sei andato a prendergli il motorino di suo figlio") nei confronti del fratello, (OMISSIS), sarebbe stato travisato, sulla base di un ragionamento ipotetico e congetturale; la circostanza che l'imputato avesse un figlio all'epoca di soli 4 anni, che non poteva avere il motorino, non sarebbe indiziante di un linguaggio criptico, ed inoltre la data di nascita dell'imputato non sarebbe quella del 25/11/1979. 3.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, lamentando che la gravita' indiziaria sia stata ricavata solo da intercettazioni etero-accusatorie generiche, in assenza di riscontri esterni obiettivi, e comunque sulla base di elementi ritenuti insufficienti per il reato di cessione e riacquisto della droga, valorizzando una conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (a p. 343 della sentenza) che non sarebbe esaustiva. 3.3. Con il terzo motivo lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche. 4. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto due motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato per il reato di trasporto di 5,8 kg. di marijuana, esclusa l'aggravante dall'agevolazione mafiosa, di cui al capo 6. 4.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p., ed il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita'. Premessi diffusi richiami alla giurisprudenza di legittimita' in materia di valutazione della prova indiziaria e del principio del ragionevole dubbio, lamenta che la condanna di (OMISSIS) - per avere, insieme al fratello (OMISSIS), rivestito il ruolo di fornitore di stupefacente per il gruppo facente capo a (OMISSIS), della sostanza che e' stata poi affidata a (OMISSIS) per il trasporto sul mercato, e sequestrata il 31 maggio 2013 a (OMISSIS) - sarebbe erronea, in quanto dagli elementi emersi deve escludersi qualsivoglia asserito collegamento tra (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS), come desumibile dalla conversazione captata l'8 giugno 2013 tra quest'ultimo e la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS), attestante la disistima del (OMISSIS) nei confronti degli (OMISSIS); anche la valutazione della conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe congetturale, avendo la Corte territoriale ritenuto che il (OMISSIS), durante l'assenza per detenzione di (OMISSIS), avrebbe portato dei "sanlucoti" con un personaggio di (OMISSIS) dai siciliani, ordinari acquirenti della droga del gruppo facente capo ai (OMISSIS), e solo poi grazie all'intervento di (OMISSIS) Francesco, detto "(OMISSIS)", richiesto da (OMISSIS) e (OMISSIS), era stato possibile appianare i rapporti tra i gruppi criminali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Sottolinea al riguardo l'assenza di qualsivoglia indicazione nominativa, stante la generica menzione dei "sanlucoti", ma soprattutto l'inesistenza di qualsivoglia illecito collegamento tra (OMISSIS) e (OMISSIS); censura altresi' l'equivoca identificazione di (OMISSIS) desunta dal contenuto della conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla quale emergerebbe esclusivamente che il (OMISSIS) racconta alla donna di quanto avvenuto piu' di un anno prima quando le stesse persone, gli (OMISSIS), avrebbero tratto in inganno (OMISSIS); deduce altresi' l'assoluta lacunosita' delle dichiarazioni di (OMISSIS) e del riferimento alla moglie di (OMISSIS), individuata come "quella magrolina a nome (OMISSIS)", in difetto di qualsiasi dato di univocita' indiziaria comprovante la riferibilita' dell'asserzione alla signora (OMISSIS), moglie dell'imputato. La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare una serie di elementi, tra cui: l'inesistenza di qualsivoglia contatto visivo e telefonico con (OMISSIS), l'assenza dell'imputato nel periodo in contestazione dalla piazza di spaccio in Roma, l'insussistenza di contatti tra i germani (OMISSIS) nel periodo antecedente al trasporto dello stupefacente, l'assenza del ricorrente in occasione del prelievo del (OMISSIS) nel maggio 2013 dal rientro in Calabria da Roma presso la stazione FS di (OMISSIS), la mancata presenza di (OMISSIS) in Roma nelle giornate antecedenti al 31 maggio 2013, l'inesistenza di qualsiasi dichiarazione accusatoria del coimputato (OMISSIS), l'assenza dell'utilizzo di utenze telefoniche occulte o criptiche, e l'omessa valutazione di alcuni spunti della conversazione ambientale dell'8 giugno 2013. Oggetto di travisamento sarebbe altresi' la valutazione della visita di (OMISSIS), di rientro da Roma presso l'abitazione di (OMISSIS), ritenuta finalizzata a consegnargli danaro, mentre la predetta somma risulterebbe essere la rimanenza della cifra di 18.000 Euro che (OMISSIS) ha corrisposto a (OMISSIS) per l'acquisto di un'autovettura. 4.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche. 5. Ha proposto ricorso per cassazione altresi' (OMISSIS), con atto degli Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto due motivi. Condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 24.000,00 per il reato di cui all'articolo 73, comma 5 di cui ai capi 9 e 10. 5.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, sostenendo che non e' stato sequestrato neppure un grammo di droga e l'affermazione di responsabilita' si fonda unicamente sulla c.d. "droga parlata", ma le intercettazioni sarebbero di contenuto tutt'altro che univoco. La motivazione sarebbe contraddittoria laddove, da un lato, ritiene che i quantitativi di sostanza menzionati dai coimputati siano svariati e diversi tra loro, e, dall'altro, ritiene provato l'acquisto da parte del (OMISSIS) di 350 grammi di cocaina; nella specie, difetterebbe la prova anche dello stesso accordo del dell'acquisto dei 350 grammi, non emergendo neppure il prezzo della pattuizione. 5.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, sostenendo che il diniego sarebbe stato fondato su un precedente penale oggetto di patteggiamento, e dunque estinto ex articolo 445 c.p.p., e senza tener conto del comportamento ammissivo dell'imputato e della condotta di vita tenuta dallo stesso. 6. Ha proposto ricorso per cassazione l'Avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) - condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno nell'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, di cui al capo 1 (cosi' riqualificato dalla Corte territoriale l'originaria imputazione di partecipazione) -, che ha dedotto il vizio di motivazione sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in una contraddizione nella parte in cui ha escluso l'intraneita' del ricorrente nell'associazione dedita al narcotraffico, non di meno riconoscendo il concorso esterno dell'imputato sulla base di elementi che non consentirebbero di sostenere neppure che il soggetto avesse conoscenza dell'esistenza di un'associazione. Sotto altro profilo lamenta la contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui ha assolto il coimputato (OMISSIS), nonostante la posizione processuale del tutto sovrapponibile rispetto a quella del (OMISSIS), anche per gli elementi probatori che vi erano a suo carico (contatti con (OMISSIS) e conversazioni telefoniche da cui sono emersi trasporti di stupefacente a Palermo per conto di quest'ultimo). 7. Ha proposto ricorso per cassazione altresi' (OMISSIS), con atto degli Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto due motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 10 anni di reclusione per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., di cui al capo 30. 7.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il ruolo di partecipe, con funzioni di capo organizzatore, dell'associazione di âEuroËœndrangheta denominata "(OMISSIS)". Lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di individuare qualsivoglia condotta di partecipazione intesa, secondo i principi affermati fin dalle Sezioni Unite "Mannino", come rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio. In particolare, tenendo conto dell'ampio profilo temporale considerato nel capo di imputazione, dal gennaio 2005 al settembre 2015, la Corte territoriale avrebbe svalutato la circostanza che per la gran parte del tempo indicato nell'imputazione (OMISSIS) si trovava in stato di arresto o di latitanza per poi emigrare in Canada; invero l'imputato era stato libero da gennaio 2005 al 27 settembre 2007, era stato latitante dal 27 settembre 2007 al 29 luglio 2008, aveva riacquistato la liberta' e nel dicembre 2009 si era trasferito in Canada, infine dal 23 agosto 2013 al settembre 2015 risultava detenuto in Canada. Cio' posto, durante i pochi periodi di liberta' in Italia, per un periodo complessivo di 2 anni e 8 mesi circa, a fronte di una contestazione che copre circa 10 anni, non e' emersa la commissione da parte del (OMISSIS) di alcuna condotta di partecipazione di un sodalizio mafioso. Cio' nonostante la Corte territoriale ha ritenuto compatibile con la condotta partecipativa anche i periodi di latitanza, arresto o trasferimento in Canada ritenendo che anzi lo stato di latitanza fosse un elemento indiziario unitamente al vincolo di parentela con (OMISSIS), ma pur in assenza di uno specifico accertamento giurisdizionale. Con riferimento al trasferimento in Canada dal dicembre 2009, fino alla successiva estradizione in Italia nel settembre 2015, lamenta che la sentenza impugnata abbia neutralizzato la valenza difensiva della circostanza, ritenendo invece che il trasferimento in Canada dimostrasse i suoi legami con la consorteria sidernese, essendo in Canada insediato un nutrito e ben organizzato gruppo criminale; tuttavia non vi sono elementi concreti dimostrativi di condotte partecipative del (OMISSIS) durante la permanenza in Canada, o comunque la loro strumentalita' rispetto ad affari di natura illecita riconducibile alla cosca mafiosa operante in (OMISSIS). La Corte d'appello avrebbe erroneamente rovesciato gli ordinari criteri di accertamento processuale ritenendo che anche l'arresto nell'ambito del procedimento (OMISSIS) non potesse dimostrare la dissociazione del (OMISSIS) dal sodalizio di appartenenza, e avrebbe omesso di richiamare qualsivoglia contatto degli imputati con uno degli altri esponenti della cosca di riferimento durante il periodo di latitanza o di detenzione. Non puo' esser sufficiente il richiamo generico ad intercettazioni tra soggetti diversi dal (OMISSIS) in cui viene fatto il suo nome; dalle intercettazioni emerge anzi il distacco di (OMISSIS) della cosca di appartenenza, come si ricava dalla conversazione del 9 marzo 2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel corso della quale si afferma che " (OMISSIS) se ne fotte dei suoi", facendo riferimento a vicende accadute proprio in Canada. Anche il contenuto della conversazione del 1 maggio 2008 (p. 795 della sentenza) in cui si fa riferimento alla reggenza della Locale di (OMISSIS), affermandosi che "ora (OMISSIS) e' latitante e dovrebbe essere (OMISSIS)", sarebbe stata erroneamente utilizzato dalla Corte territoriale per affermare che comunque (OMISSIS) sarebbe rimasto un membro apicale della cosca (OMISSIS), ma in assenza di qualsivoglia base fattuale. Le conclusioni della Corte territoriale sarebbero contraddette da una serie di elementi quali: 1) intercettazione del 14 agosto 2009 tra (OMISSIS) e il " (OMISSIS)", ovvero (OMISSIS), valorizzata solo in parte, senza tener conto che (OMISSIS) dimostra di non conoscere minimamente gli assetti del territorio a quella data; 2) l'intercettazione del 20 agosto 2009, da cui si desume che (OMISSIS) partecipa al ricevimento tenuto in occasione del matrimonio della figlia di (OMISSIS), ma non alla riunione che si tiene subito prima a (OMISSIS) durante la quale vengono conferite alte cariche mafiose; 3) la vicenda del (OMISSIS), l'unico episodio cui partecipa (OMISSIS) rispetto ad una contestazione che copre ben 10 anni, ed insufficiente a dimostrare una partecipazione attiva dello stesso al sodalizio; 4) le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), rese de relato e non confortate da altri elementi probatori. 7.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualifica di capo organizzatore della (OMISSIS), affermata in assenza di una specifica e precisa motivazione e dedotta quasi automaticamente. 8. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 2 anni di reclusione per il reato di cui all'articolo 512 bis c.p., di cui al capo 27. 8.1. Con un primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di trasferimento fraudolento di beni, con riferimento all'intestazione del "tabacchino" in passato appartenuto alla famiglia di (OMISSIS). Evidenzia al riguardo che, dalla conversazione ambientale del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e' risultato che: il tabacchino era in passato appartenuto alla famiglia di (OMISSIS), che per ragioni economiche era stata costretto a venderlo; il tabacchino era stato acquistato dal cognato di (OMISSIS), (OMISSIS), e dal fratello di costui, (OMISSIS); inoltre, mentre (OMISSIS) era ancora latitante, quindi prima del 2008, anno del suo arresto, i fratelli (OMISSIS) sono andati a trovarlo per rappresentargli che stavano per vendere alla persona che all'epoca lo stava gestendo in affitto; percio' (OMISSIS) si adiro' e decise di ricomprarsi il tabacchino. Tuttavia, l'esercizio commerciale "sali e tabacchi" e' stato venduto soltanto in data 20 aprile 2015 da (OMISSIS) a (OMISSIS), il quale per circa due anni prima dell'acquisto era stato dipendente della ditta di (OMISSIS), proprio per valutare la convenienza dell'acquisto. Sostiene che la sentenza impugnata sia al riguardo manifestamente illogica e apodittica nell'affermare che, al contrario, (OMISSIS) si sia avvalso di (OMISSIS) per creare una continuita' nell'apparenza gestionale, come si evincerebbe anche da una conversazione ambientale del 18 marzo 2013 richiamata. Aggiunge che la Corte territoriale ha formulato una congettura nella parte in cui ha affermato che (OMISSIS) aveva manifestato ai (OMISSIS) la volonta' di non proseguire oltre in quella apparente titolarita', e in cui ha ritenuto inverosimile l'ipotesi alternativa che (OMISSIS) abbia ad un certo punto cambiato idea lasciando che un terzo soggetto ne acquistasse la piena esclusiva titolarita'. Del resto il "tabacchino" di cui (OMISSIS) e (OMISSIS) discutono nell'intercettazione ambientale del 22 gennaio 2013 non e' da identificarsi nella licenza per la vendita di "sali e tabacchi" acquistata il 20 aprile 2015 da (OMISSIS) dopo un periodo di gestione, ma nella proprieta' del locale che ospita la predetta rivendita; tant'e' che il (OMISSIS), dopo l'acquisto della licenza commerciale nel 2015, ha continuato a corrispondere il canone di locazione del tabacchino agli stessi danti causa della licenza commerciale, cioe' i fratelli (OMISSIS). Dall'intercettazione ambientale del 22 gennaio 2013 si evince invece che (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) che il tabacchino era finito nelle mani di suo cognato, (OMISSIS), e del fratello, e che questi, durante il periodo di latitanza di (OMISSIS), lo avevano chiamato per rappresentargli la loro volonta' di venderlo alla persona che gia' lo aveva in affitto; il (OMISSIS) si era indispettito e lo aveva acquistato per ragioni affettive e per costituire una possibile rendita nel tempo per la madre; nessun elemento probatorio e argomentazione logica viene offerta invece per dimostrare che dalla suddetta conversazione ambientale si evinca che la gestione sia rimasta in capo a (OMISSIS), anche perche' non vi era necessita' di sostituire (OMISSIS) ai fratelli (OMISSIS) ai quali (OMISSIS) avrebbe continuato a corrispondere l'affitto. Lamenta inoltre la contraddittorieta' della sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante l'assoluzione di (OMISSIS), nonostante l'ipotesi di reato contestata sia originata dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che aveva parlato di un tabacchino a (OMISSIS) gestito da (OMISSIS), e ritenute inattendibili. Deduce infine l'omessa motivazione in ordine alla sussistenza di una condotta idonea ad integrare il reato di trasferimento fraudolento di bene, non essendo emersa alcuna prova che (OMISSIS) fosse il gestore di fatto dell'attivita' intestata a (OMISSIS), nonche' in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo con particolare riferimento alla consapevolezza di (OMISSIS) che la titolarita' del tabacchino che stava acquistando era dei (OMISSIS) e non di (OMISSIS). 8.2. Con un secondo motivo lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l'esclusione dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, e la severita' del trattamento sanzionatorio determinato non nel minimo edittale di due anni, bensi' nella pena base di tre anni di reclusione nonostante l'incensuratezza, la giovane eta', l'occasionalita' della condotta, la scarsa gravita' del fatto, e l'esclusione della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa. 9. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 10 anni di reclusione per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., di cui al capo 30. 9.1. Con un primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all'articolo 169 c.p.p.. Eccepisce la nullita' della comunicazione ex articolo 169 c.p.p., inviata al domicilio estero di (OMISSIS), mancando in tale comunicazione l'indicazione del titolo del reato ascritto e della data e del luogo in cui sarebbe stato commesso, con conseguente nullita' degli atti successivi compresa la sentenza. L'articolo 169 c.p.p., e' diretto ad assicurare al destinatario l'effettiva conoscenza dei dati rilevanti, e, nel caso di specie, la mancata conoscenza del titolo del reato, del luogo e della data di commissione non ha consentito a (OMISSIS) di poter azionare tempestivamente il proprio diritto di difesa, come le facolta' di cui all'articolo 374 c.p.p., di rendere dichiarazioni spontanee. 9.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all'inutilizzabilita' delle intercettazioni ambientali eseguite all'estero, ed acquisite per rogatoria dall'Olanda, nell'ambito del procedimento c.d. (OMISSIS). Sotto un primo profilo, si deduce l'inutilizzabilita' delle intercettazioni captate in Olanda, nei locali della (OMISSIS) B.V., il 20/01/2015 ed il 09/03/2015, in quanto le autorita' olandesi non hanno trasmesso ne' i decreti autorizzativi ne' i verbali di registrazione delle intercettazioni. Lamenta al riguardo che la sentenza impugnata abbia rigettato l'eccezione richiamando una decisione della Corte di Cassazione resa nei confronti del coimputato (OMISSIS), nell'ambito della fase cautelare del medesimo procedimento (Sez. 2, n. 2173 del 22/12/2016, dep. 2017), sostenendo che alcuna inutilizzabilita' discenderebbe dal mancato deposito al fascicolo del procedimento italiano degli atti concernenti le intercettazioni assunte nel procedimento olandese, trattandosi di sanzione che non e' prevista dall'articolo 270 c.p.p., e non rientra tra quelle indicate dell'articolo 271. Tuttavia, la disciplina olandese delle intercettazioni presenterebbe profili di contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, in quanto i decreti di autorizzazione alle intercettazioni adottati dal giudice sono privi di motivazione, essendo soltanto la richiesta del pubblico ministero motivata; in tal senso il sistema olandese rispetterebbe la riserva di legge, ma non la riserva di giurisdizione. Il modello normativo olandese prevede dunque un sistema autorizzativo che demanda l'assolvimento dell'obbligo di motivare la richiesta ad un organo del potere esecutivo e percio' le intercettazioni olandesi sarebbero inutilizzabili. Sotto diverso profilo, viene dedotta l'inutilizzabilita' delle intercettazioni, per il mancato deposito dei verbali di ascolto e delle richieste di autorizzazione del pubblico ministero; tuttavia l'articolo 270 c.p.p., comma 2, richiede il deposito dei verbali di ascolto e delle registrazioni nel diverso procedimento proprio ai fini dell'utilizzazione di cui al comma 1, e i verbali di ascolto costituiscono proprio la prova della ricorrenza dei presupposti di legge per procedere alla intrusione nelle comunicazioni private, che altrimenti non sarebbero suscettibili di verifica. Nel richiamare giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Cassazione, il ricorrente sostiene che non essendo ipotizzabile l'esercizio all'estero del diritto di richiedere copie di atti del procedimento previsto dall'articolo 116 c.p.p., l'assenza dei verbali di ascolto e dei provvedimenti di richiesta del pubblico ministero avrebbe impedito il controllo del procedimento di captazione. 9.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di partecipazione, con funzioni apicali, all'associazione mafiosa. Mancherebbe una motivazione sugli elementi costitutivi dell'associazione mafiosa, e sulla partecipazione alla stessa dell'imputato, nonche' sul suo ruolo di capo; la sentenza impugnata avrebbe inoltre omesso la valutazione dei motivi di appello e degli argomenti difensivi. In particolare, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente attribuito rilievo alla mera adesione al sodalizio, la c.d. messa a disposizione, in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita' che richiedono l'esplicazione di un ruolo attivo, di una fattiva partecipazione al sodalizio, di un contributo causale all'integrazione del delitto associativo funzionale agli scopi del sodalizio. La sentenza impugnata avrebbe inoltre omesso di individuare le caratteristiche dei ruoli di capo e di organizzatore attribuite al (OMISSIS) senza delineare il contenuto degli elementi che distinguono il ruolo apicale da quello di mero partecipe, ed avrebbe omesso di rispondere su una serie di argomenti espressi nei motivi di appello, analiticamente richiamati, e concernenti, in particolare, l'identificazione di (OMISSIS) classe (OMISSIS) nel soggetto indicato nelle conversazioni intercettate come lo "Scelto" e i suoi interventi nella vita del sodalizio mafioso; mancherebbe inoltre l'indicazione di elementi aventi capacita' dimostrativa della adesione al sodalizio e della messa a disposizione, e l'affermazione di responsabilita' sarebbe fondata soltanto su generiche affermazioni fatte da terze persone nel corso di conversazioni alle quali l'imputato non ha partecipato, in assenza di elementi di riscontro. In particolare, l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) e' fondata esclusivamente sul contenuto delle conversazioni intercettate intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS): la sentenza impugnata ritiene affidabili tali conversazioni, sostenendo che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano certamente a conoscenza diretta delle dinamiche piu' rilevanti del sodalizio, ma la Corte territoriale non spiega come mai dal tenore della conversazione si desumono una serie di affermazioni con le quali gli interlocutori dichiarano di non sapere e di non essere a conoscenza degli elementi invece attribuiti al (OMISSIS); anche su tali argomenti la sentenza impugnata avrebbe omesso di rispondere ai motivi di appello, limitandosi a rinviare alla sentenza di primo grado, che a sua volta si limitava ad una mera riproduzione del contenuto delle conversazioni intercettate. Lamenta inoltre che la sentenza impugnata non abbia spiegato una serie di vicende che avrebbero dimostrato l'intraneita' alla vita del sodalizio (come la vicenda di "(OMISSIS)" e della presunta confessione del Verduci), e non abbia motivato in ordine al ruolo di capo ed organizzatore pure attribuitogli. Sostiene infine che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto (OMISSIS) coinvolto nella lotta intestina alla âEuroËœndrangheta jonica tra i (OMISSIS) e i (OMISSIS), quale bersaglio del duplice tentato omicidio del 3 maggio 1987, in quanto vittima del tentato omicidio e' stato tale (OMISSIS) e non (OMISSIS). 10. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto quattro motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 2 anni di reclusione ed Euro 2000 di multa per il reato di ricettazione di cioccolata di cui all'articolo 648 c.p., di cui al capo 31. 10.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla omessa declaratoria di improcedibilita' per precedente giudicato assolutorio. Rappresenta di essere stato gia' giudicato per il medesimo reato e assolto dal Tribunale di Latina in relazione alla medesima vicenda della ricettazione della cioccolata Lindt commessa, secondo l'accusa, da (OMISSIS) in Latina, e redistribuita in Calabria, in Olanda e in Canada. La sentenza di assoluzione del Tribunale di Latina, emessa l'8 aprile 2019, e' divenuta irrevocabile il 23 settembre 2019 e concerne i medesimi fatti contestati nel presente procedimento, nel quale e' stata peraltro esclusa l'aggravante della agevolazione di un sodalizio mafioso. Innanzitutto, e' inconferente il riferimento all'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, in quanto l'identita' del fatto prescinde dall'idem legale, e sostiene che, una volta che (OMISSIS) e' stato giudicato per aver concorso con il padre nella ricettazione in Latina di tutta la partita di cioccolata di provenienza furtiva, non e' consentito nuovamente giudicarlo per averne successivamente ricevuto una parte in Canada. Deduce al riguardo la contraddittorieta' della sentenza impugnata nella parte in cui, rigettando la diversa eccezione di difetto di giurisdizione, ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione emessa in sede cautelare che aveva evidenziato come le diverse condotte di ricezione della merce hanno rappresentato frazioni di carattere esecutivo della piu' ampia e precedente operazione di acquisto della cioccolata rubata, finalizzata alla rivendita; in tal senso, l'unicita' del fatto di ricettazione e' stata disconosciuta ai fini del rigetto dell'eccezione di bis in idem. 10.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all'inutilizzabilita' delle intercettazioni ambientali eseguite all'estero, ed acquisite per rogatoria dall'Olanda, nell'ambito del procedimento c.d. (OMISSIS), proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate infra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). 10.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di ricettazione, in particolare sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Sotto un primo profilo lamenta che la responsabilita' sia stata affermata sulla base di dialoghi tra terzi soggetti ed in particolare di conversazioni di (OMISSIS) con (OMISSIS) o con tale (OMISSIS) da (OMISSIS) o tale (OMISSIS) del Canada. Lamenta inoltre che la conversazione del 20 gennaio 2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non abbia quella capacita' dimostrativa che gli viene attribuita in relazione alla vendita sottocosto della merce; sostiene che (OMISSIS), che vive da sempre in Canada ed e' cittadino canadese, ha col padre correnti e cospicui rapporti di import-export di prodotti alimentari italiani, e percio' sussisterebbe una situazione di affidamento che escluderebbe la consapevolezza della provenienza illecita della merce; quanto all'asserita assenza di documenti di trasporto regolari ne contesta la fondatezza sotto un profilo fattuale. Con riferimento ai due dialoghi ai quali il ricorrente partecipa (29 novembre 2014 e 14 gennaio 2015), sempre soltanto con il padre (OMISSIS), ne contesta la significativita', evidenziando che l'impellenza a concludere la vendita del prodotto oltreoceano e' un elemento ambivalente sotto il profilo probatorio, trattandosi di prodotti alimentari in magazzino da tempo e soggetti peraltro a scadenza; in riferimento alla telefonata del 29 novembre deduce una criticita' della motivazione ed un travisamento della conversazione, evidenziando che era stato auspicato il riascolto della stessa che la Corte ha rigettato senza spiegare il motivo. 10.4. Con un quarto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche. 11. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30. 11.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all'inutilizzabilita' delle intercettazioni ambientali eseguite all'estero, ed acquisite per rogatoria dall'Olanda, nell'ambito del procedimento c.d. (OMISSIS), proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate infra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). Aggiunge al riguardo il sistema olandese rispetterebbe la riserva di legge, ma non la riserva di giurisdizione, in quanto il PM e' sottoposto alle direttive dell'esecutivo, secondo quanto stabilito anche dalla Corte EDU, Grande Camera, in una recente sentenza (24/11/2020). Il modello normativo olandese prevede dunque un sistema autorizzativo che demanda l'assolvimento dell'obbligo di motivare la richiesta ad un organo del potere esecutivo e percio' le intercettazioni olandesi sarebbero inutilizzabili. 11.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo 30. (OMISSIS) era originariamente imputato di far parte della cosca (OMISSIS), ed in particolare della âEuroËœndrina di contrada Donisi di (OMISSIS), con ruolo apicale; tuttavia, e' stata esclusa la qualifica apicale, affermando esclusivamente la partecipazione dell'imputato. Lamenta che siano stati tuttavia obliterati nella decisione di appello i contributi dichiarativi dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), in tal modo omettendo di pronunciarsi sulle censure proposte con l'atto di appello e sulla valenza di prova a discarico della documentazione prodotta al riguardo dalla difesa; in particolare, (OMISSIS) aveva riferito che uno dei gruppi in odore di mafia aveva discendenti che possedevano un salone da barbiere a Toronto in Canada, mentre nella stessa citta' canadese era presente un'altra famiglia (OMISSIS) che aveva un panificio che nulla aveva in comune con gli imputati di questo processo, ne' con la âEuroËœndrangheta; (OMISSIS), invece, pur confessando di non poter affermare di sapere con certezza della loro appartenenza alla âEuroËœndrangheta, riferiva che i (OMISSIS) hanno un negozio di fiori e un vivaio anche a (OMISSIS); la difesa ha infatti prodotto documentazione per attestare che gli imputati di questo processo sono proprio i discendenti di coloro che avevano un panificio a Toronto, e che dunque non hanno nulla in comune con la âEuroËœndrangheta, e non hanno, ne' hanno mai avuto, un vivaio nei pressi di una concessionaria in (OMISSIS). Sotto tale profilo lamenta dunque una carenza di motivazione, a maggior ragione perche' la Corte territoriale aveva con ordinanza del 17 Febbraio 2020 ammesso la produzione documentale della difesa. Sotto altro punto di vista lamenta che la sentenza abbia escluso la contestata qualita' di apicale dell'imputato, ma abbia affermato la partecipazione al sodalizio mafioso sulla base della logica del piu' che contiene il meno, senza tuttavia verificare il quomodo della condotta. Nel contestare che si tratti effettivamente di una doppia conforme, in considerazione del vuoto motivazionale pressoche' assoluto della sentenza di primo grado, evidenza che la sentenza impugnata valorizza le intercettazioni ambientali tra il ricorrente e il cognato (OMISSIS) sotto il profilo della durata dei dialoghi e dell'interesse con cui i due trattano argomenti di sicura rilevanza per la consorteria considerata; gli elementi indiziari del ruolo di partecipe del ricorrente si ripeterebbero dunque dal contenuto dei dialoghi captati, ma soprattutto dal fatto che i due cognati impiegavano porzioni rilevantissime del loro tempo sul luogo di lavoro per discutere di questioni di rilievo per la consorteria, producendo pagine e pagine di trascrizione. Cio' posto lamenta tuttavia che gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale non integrino i requisiti minimi per l'affermazione di responsabilita' a titolo di partecipazione al sodalizio mafioso, costituiti dall'affectio societatis sul terreno soggettivo, e sul piano oggettivo dal fattivo inserimento nell'organizzazione criminale, e dal ruolo concretamente svolto dall'agente; la Corte territoriale sembra invece aver ritenuto sufficiente una mera adesione morale al consorzio illecito, accontentandosi di una prova, basata sul contenuto dei dialoghi intercettati, che non dimostra alcun contributo fattuale alla vita e all'organizzazione del sodalizio; del resto la prova derivante dalle intercettazioni pone problemi allorquando gli elementi costitutivi del reato sono molti e differenti tra loro. Evidenzia inoltre come le dichiarazioni intercettate nel loro complesso non dimostrino un'appartenenza al sodalizio, ove si consideri che in plurimi passaggi il ricorrente dichiara apertamente di non voler essere coinvolto in affari illeciti. Peraltro, anche la durata dei dialoghi e' in realta' frutto di una suggestione, in quanto riguardano essenzialmente tre giorni a fronte di un'intercettazione durata circa 160 giorni, e durano poco tempo, oltre ad essere del tutto episodici. Aggiunge che il ricorrente si era recato in Canada per la gestione dei propri affari e non certo per ragioni inerenti al sodalizio criminale, e aveva ripetutamente, in maniera esplicita ed inequivocabile, dichiarato al cognato di non voler in alcun modo essere coinvolto in affari illeciti, con una condotta logicamente incompatibile con la figura dell'affiliato alla âEuroËœndrangheta. 11.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche. Lamenta che la pena sia stata determinata sulla base dell'aggravamento sanzionatorio disposto con la L. n. 69 del 2015, nonostante la prova del reato sia costituita dall'intercettazione ambientale del 9 marzo 2015, e non sia stata dimostrata una protrazione della condotta per il periodo successivo alla modifica normativa. Deduce inoltre che il diniego delle attenuanti generiche e' stato basato su un ragionamento illogico, valorizzando il pieno coinvolgimento nelle dinamiche associative, la partecipazione ad attivita' illecita di vario tipo, e l'assenza di segni di resipiscenza. 12. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con due distinti atti dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni e 6 mesi di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30. Ricorso Avv. (OMISSIS). 12.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 268, 271, 696, 729 e 729 bis c.p.p., e all'articolo 50, comma 3, Convenzione di Schengen, e l'inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite in Olanda. Sotto un primo profilo lamenta l'assenza dei decreti autorizzativi delle intercettazioni e dei verbali di ascolto, e la violazione dell'articolo 270 c.p.p., comma 2, con conseguente impossibilita' di verificare la legalita' delle operazioni di intercettazione, proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate infra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). Sotto un diverso profilo censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni per violazione delle norme sulle rogatorie: la rogatoria era stata infatti assunta in relazione al procedimento n. 1242/2013 RGNR Mod. 44 a carico di ignoti, mentre e' stata utilizzata nel diverso procedimento n. 7498/2010 RGNR. Il procedimento per il quale fu richiesta e concessa cooperazione tra gli Stati e' dunque diverso dal procedimento nel quale il risultato di tale cooperazione si pretende di utilizzare, non essendo sufficiente la pretesa identita' di tipologia di reato, l'associazione a delinquere di tipo mafioso, ne' l'assenza di condizioni poste dallo Stato richiesto. 12.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis, lamentando la mancanza o l'insufficienza della motivazione in relazione ai motivi di appello proposte. Deduce che a fondamento dell'affermazione di responsabilita' sia stata posta l'esaltazione del dato parentale, come momento di coesione criminale, evidenziando che (OMISSIS), gia' coniuge di (OMISSIS), sorella di un asserito capoclan, tradiva quest'ultima con un'altra donna appartenente ad altra famiglie di âEuroËœndrangheta, benche' gravitante nell'ambito della stessa consorteria (OMISSIS). Tanto premesso, denuncia il travisamento della prova da intercettazione sostenendo che l'interpretazione delle conversazioni captate, da parte dei giudici del merito, sia errata, e proponendo una diversa interpretazione di alcune conversazioni: l'intercettazione del 9 gennaio 2009 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui il (OMISSIS) riferisce una colorita espressione di tale (OMISSIS) riguardante il (OMISSIS), del seguente tenore "perche' prima era (OMISSIS) di (OMISSIS) e ora (OMISSIS) di (OMISSIS)", e' stata interpretata come una collocazione di ordine criminale associativo, nel senso che il (OMISSIS), allorquando era coniuge di (OMISSIS), sorella di (OMISSIS) inteso "il (OMISSIS)", faceva parte della compagine di quest'ultimo; nel momento in cui interveniva la vicenda sentimentale tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), figlia di (OMISSIS), altro partecipe apicale della consorteria (OMISSIS), il (OMISSIS) diveniva un sodale di (OMISSIS). Analogamente la conversazione del 5 febbraio 2015 tra (OMISSIS), fratello del ricorrente, e (OMISSIS), in cui il primo censura il comportamento del (OMISSIS) consistito nell'aver invitato i compaesani in terra canadese a non salutare o comunque ad isolare (OMISSIS); la conversazione del 12 gennaio 2010 tra (OMISSIS), inteso "il (OMISSIS)", e tale (OMISSIS), in cui quest'ultimo afferma che (OMISSIS) sarebbe stato cacciato dalla societa' ad opera del fratello. Al riguardo deduce che l'estromissione del (OMISSIS) non riguardava una societa' criminale, bensi' la societa' commerciale florovivaistica della famiglia (OMISSIS), secondo quanto documentato dalla difesa; gli incontri e le frequentazioni tra (OMISSIS) e il cognato (OMISSIS) classe 56, ritenuto ai vertici dell'associazione, e' un dato neutro. Evidenzia che il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva gia' annullato per assenza di gravita' indiziaria l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, sottolineando l'assenza di condotte specifiche, e le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS); l'ordinanza veniva confermata dalla Corte di Cassazione (Sez. 5, n. 3870 del 04/10/2016). Lamenta che l'appartenenza associativa dell'imputato sia stata fondata sugli stessi elementi ritenuti inidonei indiziariamente a sorreggere la misura cautelare, valorizzando la vicenda sentimentale del ricorrente con (OMISSIS), sulla cui connotazione personale non puo' residuare alcun dubbio. Denuncia al riguardo la violazione dei criteri di valutazione della prova e della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, lamentando il travisamento delle intercettazioni, posto che: la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 9 gennaio 2009 e' connotata da scherno ed ironia, e comunque non evidenzierebbe alcuna sostanziale mutazione di schieramento, poiche' sia il (OMISSIS) sia il (OMISSIS) (OMISSIS) appartenevano al medesimo sodalizio mafioso; la conversazione del 5 febbraio 2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe priva di valenza indiziaria, in quanto il primo si lamenta delle reazioni di (OMISSIS) tendente a isolare i (OMISSIS); in ogni caso il significato dei colloqui e' ambiguo, e, a maggior ragione con riferimento al reato associativo, non appare in grado di risolvere i problemi interpretativi e valutativi. Nel richiamare gli approdi della giurisprudenza di legittimita', ed in particolare delle Sezioni Unite "Mannino", nonche' i confini tra connivenza compiacente o mera frequentazione episodica di soggetti apicali e vera e propria condotta partecipativa, sostiene che manchi la prova di un apporto concreto, di un contributo fattivo alla vita del sodalizio del ricorrente, limitandosi la Corte territoriale ad una affermazione di mera appartenenza. Per altro evidenzia la speculare posizione dell'odierno ricorrente con quella del fratello (OMISSIS), che e' stato assolto. 12.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al reato di ricettazione della cioccolata di cui al capo 31. Evidenzia al riguardo che la dichiarazione resa da (OMISSIS), che aveva riferito del viaggio di (OMISSIS) in Olanda per prelevare il server della societa' (OMISSIS) in quanto poteva contenere prove importanti, non puo' essere valutata a carico, in quanto, come sottolineato dalla memoria difensiva depositata ed ignorata, il (OMISSIS) ha recuperato il server per fornirlo agli inquirenti, tanto che e' stato messo a disposizione dei magistrati di Latina e di Roma per la ricostruzione della storia contabile della societa' olandese; inoltre non e' stato considerato che il (OMISSIS) aveva riferito del ruolo del tutto marginale di (OMISSIS) nelle aziende di famiglia, essendosi egli relazionato quasi esclusivamente con (OMISSIS). Quanto all'asserita condotta di ricettazione, vengono evidenziati una serie di contatti telefonici tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS); al riguardo, sostiene che la conversazione del 31 luglio 2014 valorizzata dalla Corte territoriale non e' intercorsa con (OMISSIS), bensi' tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Inoltre, dalla conversazione del 31 luglio 2014 emerge che (OMISSIS) si mostra indifferente, quasi infastidito, rispetto all'invito del fratello (OMISSIS) di proporre al supermercato MD di (OMISSIS) l'acquisto della cioccolata. Con riferimento all'aggravante dell'agevolazione mafiosa lamenta l'assenza di qualsivoglia motivazione. Infine deduce la violazione del divieto di un secondo giudizio ex ad 649 c.p.p., evidenziando che l'imputato e' stato gia' assolto con sentenza irrevocabile dal tribunale di Latina, con riferimento al medesimo fatto storico. 12.4. Con il quarto motivo deduce vizi di motivazione in relazione al riconoscimento della recidiva e al diniego delle attenuanti generiche. 12.5. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato motivi nuovi, reiterando le doglianze proposte. Ricorso Avv. (OMISSIS). 12.6. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 268, 271, 696, 729 e 729 bis c.p.p., e all'articolo 50, comma 3, Convenzione di Schengen, e l'inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite in Olanda. 12.7. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'articolo 416 bis c.p. (capo 30), sulla base di argomentazioni sovrapponibili a quelle proposte dall'Avv. (OMISSIS). 12.8. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ricettazione della cioccolata (capo 31), sostenendo che non vi era consapevolezza della provenienza illecita, vista la tracciabilita' bancaria del pagamento, ne' la prova di collegamento con la fase antecedente. 12.9. Con il quarto motivo deduce la violazione del divieto di un secondo giudizio ex articolo 649 c.p.p., evidenziando che l'imputato e' stato gia' assolto con sentenza irrevocabile dal tribunale di Latina, con riferimento al medesimo fatto storico. 12.10. Con il quinto motivo lamenta il riconoscimento dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, con riferimento al reato di ricettazione, in assenza di prova del dolo specifico. 12.11. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche, lamentando che la pena sia stata determinata sulla base dell'aggravamento sanzionatorio disposto con la L. n. 69 del 2015, nonostante la prova del reato sia costituita dall'intercettazione ambientale del 9 marzo 2015, e non sia stata dimostrata una protrazione della condotta per il periodo successivo alla modifica normativa. 13. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni di reclusione per concorso esterno nel reato associativo di cui al capo 30. 13.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione agli articoli 191, 270, 271 e 729 bis c.p.p., in ordine all'inutilizzabilita' delle intercettazioni ambientali eseguite all'estero, ed acquisite per rogatoria dall'Olanda, nell'ambito del procedimento c.d. (OMISSIS), per l'assenza della documentazione a corredo delle captazioni trasmesse, e della conseguente inutilizzabilita' patologica, proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate in fra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). 13.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per l'omessa valutazione autonoma delle intercettazioni e delle memorie difensive che sono state depositate nel giudizio di appello, con le quali veniva proposta una interpretazione alternativa delle conversazioni captate, con particolare riferimento al fatto che la conoscenza del (OMISSIS) con (OMISSIS) ed il cognato era legata ad affari leciti, cioe' l'attivita' di broker nel mercato dei fiori, che l'imputato risulta estraneo ad ogni altro troncone giudiziario in cui sono coinvolti i coimputati, che le modalita' di collaborazione dell'imputato nella ricettazione della cioccolata dimostrano una sua iniziale assenza di consapevolezza che si trattasse di provento di furto, e dell'assenza di consapevolezza che la famiglia (OMISSIS) fosse âEuroËœndranghetista. Lamenta dunque l'illegittimita' di una motivazione per relationem, mancando una autonoma valutazione del giudice di appello, in particolare delle memorie difensive prodotte. 13.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis. Sotto un primo profilo lamenta insufficienza della motivazione nella parte in cui, pur avendo enucleato una serie di indicatori fattuali sulla base dei quali aveva affermato l'intraneita' dell'imputato al sodalizio, ha poi riqualificato il fatto nel concorso esterno in associazione mafiosa; trattandosi tuttavia di due modalita' diverse di manifestazione del delitto associativo, il percorso motivazionale impiegato per la partecipazione non puo' esser riferito anche al concorso esterno. Sotto altro profilo lamenta la mancanza di motivazione in ordine all'elemento soggettivo proprio del concorso esterno, e dalla consapevolezza del contributo al perseguimento della realizzazione del programma delinquenziale del sodalizio. Inoltre deduce la mancanza di motivazione in ordine al profilo oggettivo del reato, non essendo descritto in cosa sia consistito il concreto consapevole e volontario contributo dell'imputato, essendosi la Corte territoriale limitata a richiamare l'episodio della cioccolata Lindt, che, tuttavia, oltre a non essere contestata nella forma aggravata dall'articolo 7, risulta un episodio occasionale e avulso dal contesto associativo, essendo l'associazione criminosa diretta e finalizzata alla commissione di altro genere di reati. Lamenta inoltre il travisamento della prova con riferimento alle 5 intercettazioni di dialoghi ai quali il (OMISSIS) avrebbe partecipato: in particolare l'intercettazione del 24 febbraio 2015 sarebbe insufficiente a dimostrare la partecipazione di (OMISSIS), in quanto anche la frase "sono 25 anni che mastico ndrangheta" avrebbe avuto un tono scherzoso, come affermato dal Tribunale del riesame nel provvedimento di annullamento dell'ordinanza cautelare; con riferimento agli altri dialoghi, non risulta che l'imputato partecipi agli stessi, essendo soltanto presente in alcuni di essi. Lamenta che anche gli interrogatori resi dal (OMISSIS) siano stati travisati, ritenendoli indizianti della sua partecipazione al sodalizio. Sotto un ulteriore profilo deduce che la vicenda della cioccolata Lindt sia stata erroneamente individuata come l'estrinsecazione di un contributo alla vita del sodalizio, mentre l'episodio costituisce evidentemente una vicenda estemporanea rispetto al programma criminale della consorteria; inoltre, l'imputato era intervenuto successivamente nella vicenda, non avendo egli partecipato all'acquisto della cioccolata, e non conoscendo originariamente la provenienza delittuosa della cioccolata. Deduce inoltre l'illogicita' della motivazione in ordine alla diversa valutazione della posizione di (OMISSIS), assolto dal delitto associativo pur in presenza di elementi di prova identici, e nonostante quest'ultimo fosse parente dei due partecipanti alle conversazioni captate: con riferimento al coimputato assolto, la vicenda della ricettazione della cioccolata e' stata ritenuta infatti insufficiente ad enucleare un contributo causale alla vita del sodalizio mafioso. 13.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al giudicato cautelare, evidenziando che il Tribunale del riesame aveva a suo tempo annullato l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di (OMISSIS), ritenendo che la condotta della ricettazione della cioccolata fosse specifica, isolata nel tempo e non direttamente ricollegabile al programma criminoso del sodalizio mafioso, tale dunque da non integrare quel concreto e rilevante contributo al perseguimento degli scopi associativi. Lamenta che anche gli interrogatori dell'imputato siano stati travisati, non avendo egli mai fornito ammissioni di un suo contributo partecipativo, ed essendo comunque stato assolto nel processo dinanzi al Tribunale di Latina. 13.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 114 c.p., nonostante non abbia partecipato fin dall'origine alla ricettazione della cioccolata rubata, e la valenza del contributo vada individuata con riferimento al reato associativo, e non gia' al reato di ricettazione. 13.6. Con il sesto ed il settimo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche. Lamenta che la pena sia stata determinata sulla base dell'aggravamento sanzionatorio disposto con la L. n. 69 del 2015, nonostante la prova del reato sia cessata con l'intercettazione ambientale del 24/02/2015, e non sia stata dimostrata una protrazione della condotta per il periodo successivo alla modifica normativa, considerando anche che si tratta di un concorso esterno. Deduce inoltre che il diniego delle attenuanti generiche e' stato basato su un ragionamento illogico, formulato nonostante l'esclusione della recidiva. 14. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannati a 10 anni e 6 mesi di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per la ricettazione della cioccolata (capo 31). 14.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all'articolo 129 c.p.p., articolo 345 c.p.p., comma 2, e articolo 721 c.p.p., sostenendo l'improcedibilita' dell'azione penale esercitata in danno dei fratelli (OMISSIS), in quanto la richiesta di estradizione in data 17 agosto 2016 non era ancora stata accordata dallo Stato canadese; in virtu' del principio di specialita' il soggetto estradato per determinati fatti-reato non puo' essere processato se non per i titoli per i quali e' stato consegnato allo stato richiedente. 14.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione all'articolo 169 c.p.p.. Eccepisce la nullita' della comunicazione ex articolo 169, inviata al domicilio estero dei fratelli (OMISSIS), mancando in tale comunicazione l'indicazione del titolo del reato ascritto e della data e del luogo in cui sarebbe stato commesso, con conseguente nullita' degli atti successivi compresa la sentenza. L'articolo 169, e' diretto ad assicurare l'effettiva conoscenza al destinatario dei dati rilevanti. 14.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 268, 270 e 271 c.p.p., e l'inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite in Olanda, proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate in fra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). 14.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis, lamentando che nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) siano state utilizzate sentenze irrevocabili rese in procedimenti penali nei quali non erano imputati, e contestando altresi' l'identificazione dei soggetti indicati nelle conversazioni intercettate come " (OMISSIS)" o " (OMISSIS)", e " (OMISSIS)" o " (OMISSIS)", o " (OMISSIS)". L'identificazione sarebbe dubbia anche perche' i timori espressi da (OMISSIS) sulla scarsa riservatezza dei fratelli nelle carceri e' incompatibile con il fatto che (OMISSIS) e' incensurato e non e' mai stato in carcere e che (OMISSIS) e' stato in carcere 17 anni prima della captazione. Sotto altro profilo deduce la totale assenza di prova dell'esercizio concreto del ruolo apicale che viene riconosciuto agli imputati, e l'incompatibilita' logica con la circostanza che uno e' incensurato e l'altro e' stato condannato per reato associativo cessato nel 1992. Deduce che in relazione alle intercettazioni inter alios, in particolare quelle eseguite in Olanda tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non siano emersi riscontri, in assenza di univocita' dei dialoghi, e contesta che in esse i colloquianti si riferissero agli imputati (OMISSIS). La sentenza della Corte di Cassazione n. 570 del 2017 aveva del resto annullato l'ordinanza del riesame proprio in relazione alla corretta identificazione dei ricorrenti quali soggetti evocati con gli appellativi (OMISSIS) e (OMISSIS) o con quello (OMISSIS). Lamenta inoltre che nella sentenza di primo grado sia stata trasposta integralmente una memoria del PM in violazione del contraddittorio. Sotto altro profilo deduce che manchi la prova di un contributo concreto alla vita del sodalizio e dunque di una partecipazione all'associazione di tipo mafioso, desunto esclusivamente dalle intercettazioni tra terzi captate; manca al riguardo sia l'elemento oggettivo del contributo causale, sia l'elemento soggettivo della consapevolezza di far parte del sodalizio. 14.5. Con il quarto ed il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di ricettazione della cioccolata (capo 31) ed all'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p.. La fonte di prova sarebbe costituita comunque da conversazioni tra terzi, mancando captazioni dirette, e mancherebbe comunque la prova della consapevolezza della provenienza delittuosa della cioccolata ricevuta dai fratelli (OMISSIS) in Canada dai figli di (OMISSIS), non emergendo elementi in tal senso da alcuna delle captazioni valorizzate. In ogni caso non ricorre l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso trattandosi di una vicenda che riguarda singoli associati, che non coinvolge l'attivita' dell'associazione mafiosa. 14.6. Con il settimo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche. Lamenta che la pena sia stata determinata sulla base dell'aggravamento sanzionatorio disposto con la L. n. 69 del 2015 nonostante la prova del reato sia cessata con l'intercettazione ambientale del 09/03/2015, e non sia stato dimostrata una protrazione della condotta per il periodo successivo alla modifica normativa. Deduce inoltre che il diniego delle attenuanti generiche e' stato basato su un ragionamento illogico. 15. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 10 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), due reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 12 e 14), e per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata dai (OMISSIS) (capo 30). 15.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti (capo 1). Sostiene che la prova del delitto associativo si e' fondata essenzialmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) - che descrive il ricorrente quale factotum dei (OMISSIS) - e sul contenuto di alcune intercettazioni; quali riscontri viene richiamato il rinvenimento di una microspia ambientale all'interno di un decoder (OMISSIS) a casa di (OMISSIS), oggetto della conversazione del 14 maggio 2013, ed una serie di conversazioni, anche ambientali, nonche' le indicazioni aventi ad oggetto sostanze stupefacenti contenute sul foglietto intestato a (OMISSIS) di (OMISSIS) rinvenuto in occasione dell'arresto di (OMISSIS), e relative a somme di denaro asseritamente imputabili all'acquisto di 2 kg di cocaina. Lamenta tuttavia che gli elementi di prova richiamati riguardino l'esistenza del sodalizio, non gia' la partecipazione del (OMISSIS) al medesimo, trattandosi di elementi inconferenti o che non contengono alcun oggettivo riferimento che consenta di individuare il (OMISSIS) di cui si parla nelle conversazioni intercettate nell'odierno ricorrente. Quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS) lamenta l'omessa considerazione, ai fini dell'attendibilita' delle sue propalazioni, della circostanza che proprio con riferimento a (OMISSIS) le circostanze riferite dal (OMISSIS) siano risultate prive di riscontro e addirittura smentite da prove di segno contrario: in particolare, (OMISSIS) e' stato assolto dal reato di cui al capo 27, in tal senso smentendo le dichiarazioni di (OMISSIS), che aveva riferito che l'esercizio commerciale, il tabacchino, era stato acquistato dai (OMISSIS) e da (OMISSIS) con i proventi della compravendita di 700/800 kg. di fumo. L'unico dato direttamente riferibile all'imputato attiene al rinvenimento del foglietto intestato al negozio del (OMISSIS), ma non si comprende in che termini tale circostanza possa dirsi idonea a riscontrare il narrato del collaboratore, trattandosi della mera intestazione di un block-notes di natura pubblicitaria sul quale (OMISSIS) scrive i suoi appunti. Con riferimento alla conversazione del 13 aprile 2015 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e tale (OMISSIS), che riscontrerebbe il narrato del collaboratore circa l'importazione di sostanza stupefacente dal Marocco, (OMISSIS) afferma in realta' che la sera precedente gli era stato comunicato che l'affare era sfumato, il che testimonia la mendacita' delle propalazioni del collaboratore, anche in riferimento alla collocazione temporale della presunta operazione, da questi alternativamente indicata nell'estate del 2013 o del 2014; la motivazione della sentenza impugnata e' sul punto congetturale, nella parte in cui sostiene che il tentativo fallito ad aprile 2014 e in un'occasione precedente potrebbe essere riuscito successivamente, ad inizio estate del 2014. Con riferimento al contenuto di alcune intercettazioni da cui si desumerebbe il coinvolgimento del (OMISSIS) nell'ambito del traffico di stupefacenti ascritto ai (OMISSIS), e richiamato quale prova del coinvolgimento nelle cessioni contestate ai capi 12 e 14, evidenzia come il ricorrente sia stato assolto dalla maggior parte degli episodi di compravendita di stupefacente contestati ai capi 2, 4, 5, 7, 9, 10, 11, 13, 15 e 27. Evidenzia al riguardo come l'asserita partecipazione del (OMISSIS) unicamente a due episodi di cessione non puo' essere posto a fondamento dell'affermazione di responsabilita' per il reato associativo, e sostiene al riguardo che, nella fattispecie, non sia configurabile il reato associativo di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, bensi' un concorso di persone nel reato, mancando gli elementi caratterizzanti del sodalizio sotto il profilo della permanenza del vincolo e dell'elemento soggettivo. In particolare, dalla conversazione del 2 gennaio 2013 si evince come (OMISSIS) replichi alle lamentele di (OMISSIS) indicando quattro persone, che costituirebbero il vero organigramma dell'associazione, senza alcun riferimento a (OMISSIS), il quale non compare nell'elenco stilato da (OMISSIS); l'odierno ricorrente, dunque, non era intraneo al gruppo, anche per l'assoluta assenza di contatti con i coimputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con riferimento alle aggravanti dell'agevolazione di un sodalizio mafioso e della disponibilita' delle armi (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4), lamenta che la motivazione sia affidata ad una mera formula di stile secondo cui le attivita' di narcotraffico erano gestite al fine di agevolare le cosche mafiose di cui al capo 30, ma senza alcun concreto riferimento a dati fattuali, ed in particolare agli eventuali flussi in entrata, per l'associazione mafiosa, dei ricavi dell'attivita' legata al narcotraffico. Anche l'aggravante della disponibilita' delle armi e' stata affermata sulla base di una presunzione di conoscenza della disponibilita', ma senza alcuna indicazione di elementi concreti da cui desumere tale effettiva disponibilita' in capo ad almeno uno degli associati. 15.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al capo 30, sostenendo che al (OMISSIS) sia stata imputata anche la partecipazione al sodalizio mafioso dei (OMISSIS) senza che sia tuttavia emersa una condotta associativa distinta da quella finalizzata al narcotraffico. Pur essendo possibile la coesistenza di due distinte organizzazioni criminali, e dunque un concorso di reati, mancherebbe nella fattispecie la prova della partecipazione del ricorrente ad entrambi i sodalizi con il ruolo di partecipe allo stesso ascritto; non puo' attribuirsi automaticamente ai singoli la partecipazione all'associazione di stampo mafioso per il solo fatto della partecipazione ad un sodalizio dedito al narcotraffico. La partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio ndranghetistico di cui al capo 30 e' essenzialmente fondata sulla sua ritenuta partecipazione all'attivita' di narcotraffico, mentre non trova riscontro alcuno l'ulteriore segmento di condotta contestato, riferito alla collaborazione nella gestione dei patrimoni frutto di attivita' illecite, e dall'attivita' di procurare telefoni ai (OMISSIS), riferita dal collaboratore (OMISSIS), rimasta senza riscontro. Anche la conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), gia' richiamata, non e' chiaro se sia riferibile all'ordinamento gerarchico del sodalizio dentro il narcotraffico, o all'associazione ndranghetistica, o ad entrambe. Al riguardo il collaboratore (OMISSIS) aveva riferito inizialmente di non essere a conoscenza dell'appartenenza del ricorrente alla âEuroËœndrangheta, mentre ha successivamente sostenuto che il (OMISSIS) facesse parte della âEuroËœndrangheta perche' solo un appartenente ad essa puo' essere a conoscenza di notizie cosi' riservate, avuto riguardo agli organigrammi di un "locale" quale quello canadese, clone di quello di (OMISSIS). Privi di valenza di riscontro appaiono invece gli ulteriori elementi, quali l'impegno per sollecitare la partecipazione ai funerali di (OMISSIS), non essendo neppure emerso se il defunto fosse un partecipe alla âEuroËœndrangheta o anche solo un contiguo alla stessa, la presunta spedizione punitiva perpetrata contro una persona che non avrebbe adeguatamente mostrato rispetto verso (OMISSIS), desunto da una conversazione dell'8 settembre 2013, in cui vi e' menzione da parte degli interlocutori soltanto della presenza di tale (OMISSIS), senza che emergano ulteriori indici individualizzanti; inoltre (OMISSIS) era del tutto estraneo al processo (OMISSIS) nel quale erano imputati i fratelli (OMISSIS). Con riferimento all'aggravante della disponibilita' di armi lamenta l'assenza di elementi concreti da cui desumere tale effettiva disponibilita' in capo ad almeno uno degli associati, essendosi la sentenza trincerata dietro il richiamo alla natura storica del sodalizio di âEuroËœndrangheta. 15.3. Con un ulteriore motivo viene denunciata la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi 12 e 14. Con riferimento al capo 12 viene contestato al (OMISSIS) di aver detenuto e ceduto, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), sostanza stupefacente del tipo cocaina, marijuana e hashish, e che il (OMISSIS) avrebbe, su direttiva dei (OMISSIS) (assolti), assicurato la disponibilita' dello stupefacente, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) provvedevano a detenerlo presso l'abitazione di (OMISSIS); il collegamento dell'odierno ricorrente alla vicenda in oggetto viene desunto esclusivamente dall'intercettazione del 17 gennaio 2014 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui si farebbe riferimento ad un quantitativo di stupefacente di (OMISSIS), ma materialmente in possesso di (OMISSIS), in cui entrambi riferivano che la sostanza doveva essere tagliata con caffeina ed efedrina e successivamente sistemata; la prova dell'operazione di compravendita di cocaina e' stata desunta dall'arresto di (OMISSIS), trovato in possesso di cocaina e delle due citate sostanze da taglio. Tuttavia l'arresto del (OMISSIS) e' avvenuto piu' di un anno dopo, nel marzo 2015, rispetto alla richiamata conversazione ambientale. La motivazione della Corte territoriale sarebbe erronea nella parte in cui sostiene che il gap temporale tra la conversazione e l'arresto di (OMISSIS) rafforzerebbe la tesi del coinvolgimento del (OMISSIS), in quanto, trattandosi di un reato permanente, il decorso del tempo non accompagnato dalla prova che incombeva sulla difesa della interruzione di ogni attivita' o rapporto del (OMISSIS) nel settore illecito varrebbe a dimostrarne la perdurante operativita' e l'incessante relazione tra lui e gli altri coimputati nell'ambito del narcotraffico. La motivazione sarebbe erronea in quanto puo' assumere natura permanente soltanto laddove sia accertata una prolungata relazione di disponibilita' della sostanza stupefacente da parte dell'agente, mentre mancano conversazioni riferibili alla cessione in oggetto, pur risultando conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel periodo che va da gennaio 2014 a marzo 2015. Manca infine qualsiasi motivazione specifica in merito all'aggravante mafiosa. Con riferimento al capo 14 viene contestato al (OMISSIS) di aver commissionato, insieme ai fratelli (OMISSIS) e a (OMISSIS), l'acquisto di oltre 800 kg. di hashish, trasportati in Italia con l'ausilio di (OMISSIS), con l'aggravante dell'ingente quantita'. La prova principale e' rappresentata dalle conversazioni ambientali del 12 e 13 aprile 2014, in cui (OMISSIS) e (OMISSIS) parlano di pescherecci che si sarebbero dovuti incontrare in alto mare; la circostanza sarebbe confermata dalle dichiarazioni di (OMISSIS), al quale (OMISSIS) avrebbe riferito di un traffico di fumo di 800 kg. da lui organizzato insieme a (OMISSIS). In realta' nella conversazione del 13 aprile (OMISSIS) afferma che la sera precedente gli era stato comunicato che l'affare era sfumato, il che confermerebbe la mendacita' delle propalazioni del collaboratore; inoltre, nel frammento di dialogo in cui (OMISSIS) fa riferimento a (OMISSIS), e quindi alla famiglia (OMISSIS), vi e' un passaggio in cui (OMISSIS) dimostra di non conoscere questi ultimi; inoltre, (OMISSIS), rivolgendosi alla moglie, riferisce che (OMISSIS) e' andato a farsi prestare i soldi, a dimostrazione della completa estraneita' di (OMISSIS) a qualsiasi gruppo criminale, altrimenti non sarebbe andato a farsi prestare dei soldi. Ulteriore smentita alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) proverrebbe dalla vicenda dell'acquisto del tabacchino, gia' richiamata, in ordine alla quale (OMISSIS) e' stato assolto. 15.4. Con un ultimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, all'aumento per la continuazione e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Lamenta in particolare che sia stata esclusa la qualifica di promotore contestata con riferimento al capo 30, benche' tale qualifica fosse stata gia' esclusa dalla sentenza di primo grado; l'errore avrebbe riverberato i propri effetti sulla determinazione della pena base, che avrebbe dovuto essere assai piu' favorevole. Sostiene che sia poi ingiustificata la misura dei singoli aumenti per i diritti avvinti dal vincolo della continuazione e lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e lo scostamento della pena dal minimo edittale. 15.5. I difensori hanno depositato motivi aggiunti, reiterando le doglianze gia' proposte con riferimento alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), alle conversazioni in ambientale tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al reato associativo mafioso ed ai reati-fine. 16. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 13 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (capo 30), in continuazione con la precedente condanna nel procedimento c.d. (OMISSIS). 16.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo. Premette che di essere imputato per aver fatto parte della âEuroËœndrangheta, nella sua articolazione denominata locale di (OMISSIS), con ruolo apicale, con contestazione dal 22 marzo 2011 fino al settembre 2015, e di essere stato gia' definitivamente condannato per il medesimo reato, nel procedimento (OMISSIS), contestato come commesso fino al 21 marzo 2011; dopo il termine finale della prima contestazione associativa (OMISSIS) ha trascorso un periodo, fino al 10 febbraio 2012, in stato di latitanza, mentre dal 15 febbraio 2012 ad oggi e' stato ininterrottamente detenuto in regime speciale di cui all'articolo 41 bis OP. Censura un primo argomento della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato la responsabilita' dell'imputato sostenendo la permanenza di (OMISSIS) nell'associazione âEuroËœndranghetistica calabrese sulla base della assenza di segni di dissociazione o di resipiscenza e dello stato di latitanza per ben 19 mesi, trascorsi nella sua zona di influenza, essendo stato arrestato mentre era nascosto in un vano ricavato nel sottotetto della sua abitazione. Lamenta al riguardo che la permanenza del reato associativo e' stata interrotta con la contestazione chiusa formulata nel procedimento (OMISSIS), al 21 marzo 2011, e comunque sarebbe cessata con la sentenza di condanna di primo grado dell'8 marzo 2012. Seguendo il ragionamento della Corte territoriale l'imputato potrebbe essere condannato ciclicamente fino alla fine dei suoi giorni, ritenendolo âEuroËœndranghetista a vita. Nel richiamare principi giurisprudenziali di legittimita', afferma la necessita' della prova di una nuova condotta partecipativa, di un contributo, anche morale, alla vita e all'organizzazione del sodalizio. Contesta altresi' la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, dello stato di latitanza per 19 mesi, ritenuta impossibile senza un concreto e sicuro appoggio di sodali fidati e di una generale omerta': l'imputato e' stato infatti catturato nel sottotetto della propria abitazione, e cio' farebbe desumere che abbia ricevuto l'aiuto dei propri familiari con lui conviventi (moglie e figli), che non risultano tra i sodali fidati, ne' sono mai stati incriminati per il reato associativo; la latitanza e' stata trascorsa interamente all'interno della propria abitazione, come desunto anche dalle intercettazioni ambientali, delle quali si evince che (OMISSIS) colloquiava con i propri familiari, nascondendosi nel sottotetto all'arrivo dei carabinieri. Censura un secondo argomento della motivazione, nella parte in cui valorizza le conversazioni intercettate durante la latitanza di (OMISSIS), dalle quali emergerebbe con chiarezza il mantenimento, anche in epoca successiva al marzo del 2011, di un ruolo di particolare rilievo e prestigio nella compagine associativa: in particolare, dalla conversazione del 16 novembre 2011 captata nell'abitazione di (OMISSIS) emergerebbe che questi, benche' latitante, era in grado di convocare diversi soggetti, nella specie (OMISSIS), contando sulla loro omerta', per essere tenuto al corrente di diverse attivita' economiche evidentemente ai limiti della legalita'; dalla conversazione intercettata il 20 febbraio 2013 nell'abitazione di (OMISSIS) si evince che (OMISSIS) e (OMISSIS) si propongono di far intervenire dei contatti politici per alleggerire in appello la condanna riportata da (OMISSIS). Deduce il travisamento della prova e l'illogicita' della motivazione, evidenziando che l'intercettazione comprende tre conversazioni presso l'abitazione dell'imputato, una con la cognata (OMISSIS), irrilevante in quanto avente ad oggetto il sequestro dei beni all'epoca subita nel processo (OMISSIS), una con la moglie e i due figli gemelli (OMISSIS) e (OMISSIS), e una terza con (OMISSIS); con riferimento a tale terza conversazione lamenta che non risulta che (OMISSIS) fosse in grado di convocare diverse soggetti, e che gli unici soggetti con i quali interloquisce nella conversazione sono il figlio (OMISSIS) e il genero (OMISSIS), ne' (OMISSIS) impartisce disposizioni ad alcuno, posto che i gemelli cui fa riferimento non sono altro che i due figli gemelli (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e' stato assolto dalla stessa Corte di Appello, sul rilievo che non emergesse un coinvolgimento in attivita' criminose della cosca. Con riferimento alla conversazione del 20 febbraio 2013, captata nell'abitazione di (OMISSIS), evidenzia che manca la prova di qualsivoglia condotta posta in essere da (OMISSIS), che e' stato arrestato il 10 febbraio 2012 e posto in regime detentivo speciale; (OMISSIS) invece e' stato ininterrottamente detenuto in regime di 41 bis dal suo arresto risalente al 2008 fino al dicembre del 2012; quando (OMISSIS) e' stato scarcerato nel dicembre del 2012, quindi, (OMISSIS) era gia' detenuto da oltre 10 mesi in regime di 41 bis; la conversazione intercettata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) e' del 20 febbraio 2013, allorquando (OMISSIS) era gia' detenuto da oltre un anno, ne' prima costui aveva avuto alcun contatto con (OMISSIS), ne' con (OMISSIS), ne' con (OMISSIS), ne' con (OMISSIS). Pertanto, (OMISSIS) era completamente estraneo ai propositi espressi nella conversazione del 20 febbraio 2013. Lamenta che la sentenza impugnata ha raggiunto la conclusione che (OMISSIS) abbia reiterato il reato in forza della natura permanente della fattispecie criminosa, ignorando la cessazione della permanenza conseguente alla contestazione chiusa al 21 marzo 2011 nel primo processo, e della considerazione che (OMISSIS) dimostra di avere per l'imputato, prescindendo completamente dalla verifica di una condotta posta in essere dall'imputato, integrativa della fattispecie criminosa di cui all'articolo 416 bis. L'affectio societatis, infatti, e' integrato dalla consapevolezza e volonta' del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso, non gia' dalla considerazione che altri hanno di lui. Nella fattispecie non esiste un solo elemento da cui possa inferirsi l'esplicazione della volonta' di (OMISSIS) di far parte del sodalizio criminoso successivamente al 21 marzo 2011; inoltre, essendo la permanenza del reato associativo cessata in quella data, non e' l'imputato a dover dare dimostrazioni di segni di resipiscenza o di dissociazione, ma sarebbe stato necessario accertare se dopo tale data l'imputato avesse dato prova di voler continuare ad aderire al sodalizio criminoso cosi' integrando l'elemento soggettivo. Inoltre, la Corte ha completamente omesso di motivare il ruolo apicale attribuitogli, essendo impossibile che abbia potuto promuovere o dirigere il sodalizio criminoso dal carcere in regime detentivo speciale ex articolo 41 bis. La sentenza inoltre ha omesso di motivare in ordine all'elemento oggettivo in quanto la contestazione chiusa al 21 marzo 2011 segna la cessazione giudiziale della permanenza del reato, e dopo quella data non e' ravvisabile alcuna condotta dell'imputato che valga dimostrare la sua partecipazione, per di piu' con un ruolo apicale, ad un sodalizio criminale. Censura un terzo argomento della motivazione concernente le dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS): al riguardo la Corte omette di verificare il contenuto delle dichiarazioni, e perfino di illustrarne il profilo temporale in relazione all'epoca della contestazione del nuovo delitto associativo; nel richiamare estratti delle dichiarazioni rese all'udienza del 16 gennaio 2016, evidenzia come il collaboratore (OMISSIS) non fosse neppure a conoscenza del fatto se (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS) facessero parte di una cosca di âEuroËœndrangheta; tali dichiarazioni sarebbero state ignorate dalla Corte territoriale, che non si sarebbe neanche preoccupata di collocare temporalmente le circostanze riferite da (OMISSIS), per accertare se si trattasse di fatti e circostanze antecedenti al 21 marzo 2011. Del resto, gli stessi elementi indiziari presi in considerazione per la condanna preesistevano alla richiesta di applicazione della misura di custodia cautelare, e sono stati ritenuti insufficienti ad integrare la gravita' indiziaria dal Gip della cautela. Inoltre, non sarebbe chiaro (OMISSIS) al vertice di quale cosca sia collocato e con quale perimetro territoriale operi. Censura, infine, un quarto profilo della motivazione, lamentando la completa omissione di una motivazione con riferimento al ruolo di promotore del sodalizio criminoso, gia' riconosciuto nel processo (OMISSIS), in assenza di qualsivoglia condotta posso in essere dall'imputato nell'arco temporale del 22 marzo 2011 al settembre 2015. 16.2. Con un secondo motivo lamenta l'erronea individuazione dell'arco temporale del commesso delitto e per l'effetto della sanzione da applicare, con conseguente illegittima applicazione della disciplina della continuazione. Nel caso in esame la contestazione di partecipazione al sodalizio criminoso nel procedimento (OMISSIS) era stata chiusa al 21 marzo 2011, mentre nel procedimento in esame e' stata contestata come decorrente dal 22 marzo 2011 fino al settembre 2015; al riguardo, richiama un principio giurisprudenziale secondo cui, in assenza di soluzione di continuita', la partecipazione del prevenuto al medesimo sodalizio mafioso, anche se contestata in tempi diversi, integra un unico reato permanente, con la conseguenza che il trattamento sanzionatorio deve essere commisurato alla maggior durata del reato permanente, dovendosi escludere la continuazione. Del resto le posizioni degli altri coimputati incriminati anche nel procedimento (OMISSIS), come (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), sono state oggetto di differente trattamento con applicazione di una pena base di 15 anni di reclusione, e non gia' come nel caso (OMISSIS), di 16 anni. Deduce inoltre censure in relazione alla circostanza aggravante della disponibilita' delle armi, desunta dal possesso di armi contestate ai capi 16,17, 18, 19, 20, 22, 23, 24 e 25; tuttavia la disponibilita' delle armi deve essere riferibile all'associazione, e nella fattispecie non risulta la disponibilita' collettiva; inoltre, non si comprende come l'aggravante possa essere trasmessa anche ad (OMISSIS), atteso che nell'arco temporale di riferimento l'imputato e' stato ininterrottamente detenuto al regime detentivo speciale. Quanto alla misura della pena inflitta lamenta la maggior misura della pena base, 16 anni, irrogata al ricorrente, rispetto a quella di anni 15 irrogata a tutti gli altri coimputati, in assenza peraltro di motivazione del punto. Infine, deduce la illegittima determinazione della pena per effetto dell'applicazione della disciplina della continuazione, in considerazione della insussistenza di soluzione di continuita' tra la contestazione associativa chiusa il 21 marzo 2011 nel processo (OMISSIS) e l'odierna contestazione fatta decorrere dal 22 marzo 2011. 16.3. Deduce infine la violazione di legge in relazione alle statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, evidenziando che la posizione dell'imputato, per un difetto di notifica, era stata stralciata alla prima udienza preliminare, e riunita successivamente alla costituzione delle parti civili; nell'udienza successiva, ormai tardivamente, solo il Comune di (OMISSIS), e non quello anche di Gioiosa Jonica, chiedeva di costituirsi parte civile nei confronti di (OMISSIS). 17. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 20 anni reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), e due reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 2, 3), i reati di detenzione di armi (capi 16 e 19, il primo ritenuto assorbito nel secondo), e per associazione di tipo mafioso (capo 30). 17.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Contesta innanzitutto che si verte in un'ipotesi di doppia conforme, in quanto la Corte di Appello ha assolto l'imputato dall'articolo 416 bis, comma 2, confermandone la sola partecipazione, e sostiene che la decisione dei giudici sia disumana. Nel richiamare massime giurisprudenziali, sovente avulse dal pur incerto contesto argomentativo, nonche' frammenti fattuali privi di apprezzabile rilevanza autonoma (p. 3-4, 6), sostiene che (OMISSIS) non abbia alcun ruolo direttivo nel sodalizio dedito al narcotraffico, non avendo il controllo dei soggetti che si vorrebbero a lui sottoposti, e venendo addirittura messo da parte dagli stessi che gestivano affari autonomamente; in tal senso, dalla conversazione del 27 gennaio 2014 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emergerebbe che il secondo afferma di non avere alcuna subordinazione nei confronti dello (OMISSIS) ("io me ne fotto di (OMISSIS)"); anche la posizione attribuita a (OMISSIS) nell'ambito del gruppo dei (OMISSIS), ritenuta dalla Corte territoriale essere la terza, sarebbe errata, in quanto (OMISSIS) sarebbe quinto tra otto, e non ricoprirebbe nessun ruolo direttivo che neppure sa di ricoprire; quando (OMISSIS) dice "dopo me e (OMISSIS) vieni tu e poi (OMISSIS)", (OMISSIS) appare incredulo, in tal senso evidenziando il ruolo di meno che gregario dell'imputato, essendo in realta' materialmente sottoposto per valore sul campo a (OMISSIS) e a (OMISSIS). 17.2. Con un secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Sostiene al riguardo che nella fattispecie non sia configurabile il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, bensi' un concorso di persone nel reato, mancando gli elementi caratterizzanti del sodalizio sotto il profilo della permanenza del vincolo e dell'elemento soggettivo; dalla conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emergerebbero contrasti e addirittura prevaricazioni di alcuni appartenenti e la sua estromissione dagli affari, mentre da altre intercettazioni emergerebbe la noncuranza di (OMISSIS) rispetto ad eventuali interessi comuni. 17.3. Con riferimento ai reati fine, ed in particolare alla cessione di 300 kg. di marijuana consegnata nel mese di gennaio 2013 ai siciliani, dalle intercettazioni non emergerebbe il coinvolgimento di (OMISSIS), ne' la partecipazione al summit del 28 gennaio 2014 organizzato presso l'abitazione di (OMISSIS). Anche con riferimento alla cessione di cocaina, dalle conversazioni risulterebbe che non vi e' stato alcuno scambio di stupefacente, in quanto l'affare non si sarebbe concluso. 17.4. Con riferimento ai reati di detenzione illegale di armi da guerra contestati ai capi 16, 19 e 20, deduce che (OMISSIS) non compare in alcuna delle conversazioni intercettate aventi ad oggetto le armi tranne quella del 22 gennaio 2013, in cui, rispondendo a (OMISSIS), l'imputato afferma "ce le avete tutte voi". 17.5. Deduce inoltre violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis c.p.. Evidenzia come (OMISSIS) non sia stato coinvolto in nessuno dei processi che hanno riguardato il territorio della (OMISSIS) - e che non sia stato imputato di alcun reato fine del sodalizio mafioso; le captazioni intercettate riguardano soltanto la droga, mentre non emerge alcun contatto con altri imputati del procedimento, non e' conosciuto da nessuno dei collaboratori di giustizia ed e' estraneo ad una serie di vicende del sodalizio, richiamate in maniera circostanziale ed assertiva; manca in particolare la prova di un qualsiasi ruolo dinamico e funzionale assunto all'interno del sodalizio, emergendo invece rapporti esclusivamente con (OMISSIS), e i dialoghi hanno ad oggetto soltanto gli stupefacenti; evidenzia inoltre che nessuno dei tre collaboratori - (OMISSIS), appartenente al gruppo di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) appartenenti al gruppo di (OMISSIS) - conosca (OMISSIS). 17.6. Con un'ultima censura lamenta che non sia stata ridotta la pena nonostante l'imputato sia stato assolto dal ruolo direttivo di cui all'articolo 416 bis, comma 2, e sia stata esclusa l'aggravante della transnazionalita'. 17.7. Il difensore ha depositato motivi nuovi, reiterando le doglianze gia' proposte. 18. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. Francesco (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni e 4 mesi di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), e un reato-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 2). 18.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 2). Dopo una premessa sui limiti della motivazione per relationem e sulla c.d. "doppia conforme", che deve consistere in una integrazione reciproca delle decisioni di merito, non gia' nella riproposizione dei medesimi errori, lamenta che le fonti di prova per affermare la responsabilita' con riferimento al capo 2 derivino da un esiguo numero di intercettazioni ambientali, tutte inter alios, dalle quali si e' desunto che (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano recati in Sicilia con lo specifico fine di recuperare 50.000 Euro mancanti relativi alla transazione avente ad oggetto la cessione dei 300 kg. di marijuana ceduti dal (OMISSIS) al gruppo siciliano nel gennaio 2013; tale viaggio sarebbe riscontrato da un controllo di polizia in data 8 giugno 2013. Cio' posto contesta innanzitutto l'effettiva riferibilita' all'imputato delle intercettazioni inter alios, e in secondo luogo la possibilita' di affermare con certezza che effettivamente (OMISSIS) si sia recato a Palermo insieme a (OMISSIS), in mancanza di una prova di natura tecnica che avesse accertato gli spostamenti del ricorrente quel determinato giorno. Invero il giudice di primo grado aveva ritenuto che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero stati controllati a Messina al rientro da un viaggio finalizzato a portare i messaggi ai siciliani, nonche' per recuperare somme dovute per lo stupefacente ceduto nel gennaio 2013, mentre invece risulta che i due sono stati controllati una volta giunti a Messina, subito dopo essere scesi dal traghetto, mentre andavano in Sicilia, ognuno per gli affari propri, (OMISSIS) diretto a Gela, approfittando del passaggio del cugino, e non gia' a Palermo. Con riferimento alla conversazione del 28 giugno 2013 tra (OMISSIS) e la moglie (OMISSIS) non vi e' traccia del riferimento ad (OMISSIS), e l'allusione a tale " (OMISSIS)" non puo' esser riferita ad (OMISSIS), in quanto il nome di battesimo dello stesso e' (OMISSIS), e come emerso dal resto delle conversazioni intercettate viene indicato con i diminutivi di (OMISSIS), ma mai (OMISSIS). Del resto, (OMISSIS) si era recato in Sicilia anche in altre occasioni, e in una delle conversazioni si fa riferimento a lavori che hanno avuto oggetto "neve", dunque cocaina, non gia' la marijuana contestata al capo 2. Inoltre, dalla missione di (OMISSIS) di essersi recato in Sicilia non si puo' inferire che egli si sia recato a Palermo, in quanto e' stato documentato che egli si era recato a (OMISSIS) per il montaggio degli arredamenti di un Mc Donald a (OMISSIS) come attestato da due fatture. 18.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (capo 1). All'imputato e' contestato di aver ricoperto il ruolo di corriere, esattore di proventi illeciti, latore di comunicazioni a clienti o fornitori. Sostiene al riguardo che nella fattispecie non sia configurabile il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, bensi' un concorso di persone nel reato, mancando gli elementi caratterizzanti del sodalizio sotto il profilo della permanenza del vincolo, della struttura organizzativa e dell'elemento soggettivo: in particolare, benche' il reato associativo sia contestato dal 2004 al 2015, il capo del sodalizio, (OMISSIS), e' stato ininterrottamente detenuto al regime del 41 bis dall'agosto 2008, dopo un lungo periodo di latitanza dal 2005, e (OMISSIS) risulta avere avuto contatti solo con (OMISSIS) e con il cugino (OMISSIS). 18.3. Con il terzo e il quarto motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla pena inflitta, superiore al minimo edittale. 19. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto cinque motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 14 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), due reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 13 e 15) e per associazione di tipo mafioso (capo 30). 19.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis c.p. (capo 30). Lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciarsi sulle specifiche censure mosse dall'appellante avverso la sentenza di primo grado, e che abbia fondato l'affermazione di responsabilita' su un modesto numero di conversazioni intercettate, richiamando piu' che altro due episodi nell'ambito dei quali il (OMISSIS) aveva esternato un proprio interesse, il primo relativo all'acquisizione della scuola di formazione per estetisti e il secondo relativo all'inserimento nei lavori per la posa della fibra ottica nel Comune di (OMISSIS). Entrambi i lavori, tuttavia, risultano iniziative economiche regolari, come pure riconosciuto dalla Corte territoriale, ed e' contraddittoria la motivazione nella parte in cui ritiene che il disappunto della moglie del (OMISSIS) all'assunzione di (OMISSIS) con mansioni di bidello nella scuola non fosse indice di estraneita'. Anche con riferimento alla vicenda della fibra ottica non risulta che si sia trattato di affari illeciti, essendo state evocate soltanto alcune frasi caratterizzate da assoluta genericita', in assenza di riscontri che avrebbero dovuto confermare la particolare lettura delle comunicazioni fornita dal giudice di appello; dopo oltre due anni di intercettazioni telefoniche ed ambientali le conversazioni indizianti sono un numero assolutamente esiguo e peraltro distanziate nel tempo. Inoltre, al (OMISSIS) non e' contestato alcuno dei reati fine dell'associazione mafiosa, ne' risulta concretamente una condotta associativa o un contributo partecipativo, in quanto gli episodi evocati nella motivazione sono irrilevanti. 19.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 74 (capo 1) ed ai reati-fine (capi 2, 4, 7, 9, 10, 12, 13, e 15). Sostiene al riguardo che nella fattispecie non sia configurabile il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, bensi' un concorso di persone nel reato, mancando gli elementi caratterizzanti del sodalizio sotto il profilo della permanenza del vincolo e dell'elemento soggettivo: in particolare, benche' il reato associativo sia contestato dal 2004 al 2015, le fonti di prova concernenti (OMISSIS) sono collocate in un ambito temporale molto ristretto, dal maggio 2013 ad aprile 2014; inoltra risultano soltanto 14 conversazioni captate nel 2013, e 5 nel 2014, circostanza che esclude una frequenza di contatti o di frequentazioni tra i presunti membri del sodalizio, mentre risultano mesi interi caratterizzati dall'assenza di qualsivoglia contatto con i ritenuti sodali. Sotto il profilo del reato associativo, contesta l'insussistenza del requisito dell'organizzazione, sia pur rudimentale, di mezzi e persone, che non potrebbe essere affidato al tenore della conversazione ambientale del 3 maggio 2013 in cui (OMISSIS) chiede a (OMISSIS) della collocazione di uno spray, ritenuto utilizzato per coprire l'odore del narcotico; tale conversazione sarebbe infatti priva di attitudine dimostrativa dell'esistenza di un sodalizio. Tutte le conversazioni captate in casa di (OMISSIS) rivestono un carattere di accidentalita', e sono avulse da qualsivoglia logica associativa. Con riferimento ai reati-fine lamenta che la condanna si e' basata sullo stralcio di conversazione del 3 maggio 2013 nel corso della quale (OMISSIS) chiede a (OMISSIS) quando vedra' nuovamente una persona, laddove il riferimento sarebbe ad un tale " (OMISSIS)", ipotetico emissario della famiglia (OMISSIS) di Palermo e cio' dimostrerebbe secondo la Corte territoriale la reiterazione dei viaggi in Sicilia svolti dagli imputati; tuttavia il ragionamento sarebbe congetturale e non considererebbe che l'ipotizzato referente delle cessioni di stupefacente sarebbe stato assolto. Lamenta in ogni caso che le imputazioni in materia di stupefacenti siano fondate esclusivamente sulla c.d. "droga parlata", in assenza di riscontri costituiti da sequestri di stupefacente o da individuazione dei fornitori o degli acquirenti, e il presunto acquirente del gruppo siciliano e' stato assolto in relazione al capo 2 dal Tribunale di Locri. 19.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai reati di detenzione illecita di armi (capi 19, 22, 23, 24 e 25). La Corte, pur dando atto che "(OMISSIS)" non era da identificarsi nel (OMISSIS), riteneva comunque il ricorrente responsabile in ordine ai reati contestati ai capi 19 e 16; ma se "(OMISSIS)" non si identifica nell'odierno ricorrente viene meno anche la prova sulla detenzione delle armi contestato al capo 19, essendo la prova ricavata da un semplice foglietto sequestrato nel corso della perquisizione eseguita nei confronti di tale (OMISSIS), in assenza di qualsivoglia sequestro, nonostante il coimputato (OMISSIS) sia stato assolto dal medesimo reato. In ordine ai capi 22, 23 e 24 il materiale indiziario e' costituito da una sola intercettazione ambientale del 14 settembre 2013 presso l'abitazione del (OMISSIS), dalla quale non emergerebbe con certezza che l'arma rinvenuta ben sei giorni dopo presso l'abitazione del (OMISSIS) fosse stata ceduta del ricorrente; in ogni caso al (OMISSIS) non avrebbe potuto essere contestata la ricettazione, mancando la prova che sia stato il ricorrente ad obliterare la matricola dell'arma. Con riferimento al capo 25 la conversazione si presta ad interpretazioni alternative, in assenza di un sequestro dell'arma. 19.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'aggravante dell'agevolazione di associazione mafiosa. 19.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche. 20. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni 10 mesi e 20 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), e tre reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 2, 4 e 15). 20.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo. Sostiene al riguardo che nella fattispecie non sia configurabile il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, bensi' un concorso di persone nel reato, mancando gli elementi caratterizzanti del sodalizio sotto il profilo della permanenza del vincolo e dell'elemento soggettivo: in particolare, benche' il reato associativo sia contestato dal 2004 al 2015, le fonti di prova concernenti (OMISSIS) sono collocate in un ambito temporale molto ristretto, dal maggio 2013 a giugno 2014; inoltra risultano soltanto 7 conversazioni in captazione ambientale ricondotte al (OMISSIS) nell'arco di tutto il periodo di un anno di presunta appartenenza del ricorrente all'ipotizzato sodalizio, circostanza che esclude una frequenza di contatti o di frequentazioni tra i presunti membri del sodalizio, mentre risultano mesi interi caratterizzati dall'assenza di qualsivoglia contatto con i ritenuti sodali; inoltre, la sentenza impugnata ipotizza una sorta di messa da parte di (OMISSIS), in quanto ritenuto inaffidabile, senza che tuttavia una circostanza di rilievo per l'associazione criminosa risulti a conoscenza dello stesso interessato. Sotto il profilo del reato associativo, contesta l'insussistenza del requisito dell'organizzazione, sia pur rudimentale, di mezzi e persone, che non potrebbe essere affidato al tenore della conversazione ambientale del 3 maggio 2013 in cui (OMISSIS) chiede a (OMISSIS) della collocazione di uno spray, ritenuto utilizzato per coprire l'odore del narcotico; tale conversazione sarebbe infatti priva di attitudine dimostrativa dell'esistenza di un sodalizio. (OMISSIS) e' stato intercettato esclusivamente in conversazioni ambientali presso l'abitazione di (OMISSIS), che risulta il suo interlocutore esclusivo, mentre non vi e' traccia di rapporti di alcun tipo con altri presunti sodali; anche con riferimento all'elemento soggettivo, tutte le conversazioni captate in casa di (OMISSIS) rivestono un carattere di accidentalita', e sono avulse da qualsivoglia logica associativa. Con riferimento al reato associativo e ai reati-fine lamenta che la condanna si e' basata sullo stralcio di conversazione del 3 maggio 2013 nel corso della quale (OMISSIS) chiede a (OMISSIS) quando vedra' nuovamente una persona, laddove il riferimento sarebbe ad un tale (OMISSIS), ipotetico emissario della famiglia (OMISSIS) di Palermo, e cio' dimostrerebbe secondo la Corte territoriale la reiterazione dei viaggi in Sicilia svolti da (OMISSIS); tuttavia il ragionamento sarebbe congetturale e non considererebbe che l'ipotizzato referente delle cessioni di stupefacente sarebbe stato assolto. Lamenta in ogni caso che le imputazioni in materia di stupefacenti siano fondate esclusivamente sulla cosiddetta âEuroËœdroga parlata', in assenza di riscontri costituiti da sequestri di stupefacente o da individuazione dei fornitori o degli acquirenti, e il presunto acquirente del gruppo siciliano e' stato assolto in relazione al capo 2 dal Tribunale di Locri. 20.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'aggravante della agevolazione di un sodalizio mafioso riconosciuta esclusivamente con riferimento al reato di cui al capo 15. Evidenzia, invero, che la medesima aggravante e' stata esclusa sia con riferimento al reato associativo, sia con riferimento ai reati fine contestati ai capi 2 e 4, sul rilievo che mancasse la dimostrazione della consapevolezza di (OMISSIS) di agevolare l'associazione (OMISSIS)- (OMISSIS) alla quale egli e' estraneo; lamenta pertanto la contraddittorieta' della sentenza laddove, sulla base dei medesimi presupposti, ha invece riconosciuto l'aggravante dell'agevolazione con riferimento al solo capo 15, che pure concerne un'ipotesi di cessione di sostanze stupefacenti, in contrasto peraltro con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nel 2020 e sul rilievo che la circostanza non puo' essere estesa in base al solo criterio della rappresentazione, come pure sostenuto dalla Corte territoriale. 20.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche. 21. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto due motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannata a 2 anni di reclusione, pena sospesa, per il reato di trasferimento fraudolento di un tabacchino di cui all'articolo 512 bis c.p., contestato al capo 32. 21.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'articolo 512 bis c.p.. Sostiene che la sentenza impugnata si e' fondata su vizi logici e su una errata interpretazione delle conversazioni ambientali, valorizzando la situazione di pregiudizio giudiziario a carico del concorrente nel reato, (OMISSIS), che si ritiene dovesse essere nota alla ricorrente. Nel caso di specie e' rimasta inalterata la titolarita' formale e sostanziale del tabacchino in capo alla ricorrente, mancando elementi che possono accreditare il trasferimento in favore di (OMISSIS); sarebbe del tutto congetturale la prova del subentro del titolare occulto, mancando altresi' la prova di qualsivoglia trasferimento di denaro, di altri beni o utilita'; peraltro, va esclusa la rilevanza penale dell'ipotetico trasferimento fittizio laddove l'eventuale provvedimento della misura di prevenzione sia intervenuto in tempi antecedenti al trasferimento del bene. In ordine alla tracciabilita' del denaro utilizzato dalla (OMISSIS) per organizzare la nuova rivendita, la sentenza impugnata sarebbe erronea laddove afferma l'astratta possibilita' di una sorta di dissimulazione della reale fonte di provenienza delle risorse del soggetto interponente, nel cui interesse il trasferimento fraudolento e' attuato, risultando certificata la tracciabilita' delle somme utilizzate dalla ricorrente, come desunto dai bonifici di pagamento e dal libretto di risparmio, le cui copie sono state allegate al ricorso. Lamenta inoltre la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico e del presupposto che la ricorrente fosse a conoscenza della vulnerabilita' giudiziaria del (OMISSIS) per via di qualche precedente penale o di prevenzione, nonostante l'intervenuta definitiva assoluzione di (OMISSIS) e la successiva revoca della misura di prevenzione. Tali considerazioni fondano altresi' l'impugnazione della confisca della tabaccheria di proprieta' di (OMISSIS), disposta quale corpo del reato. 21.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e all'eccessivita' della pena inflitta. 22. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atti dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto sei motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 10 anni e 4 mesi di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per il reato di trasferimento fraudolento di un tabacchino di cui all'articolo 512 bis c.p., contestato al capo 32. 22.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 268, 271, 696, 729 e 729 bis c.p.p., e all'articolo 50, comma 3, Convenzione di Schengen, e l'inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite in Olanda, proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate infra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). Sotto un diverso profilo censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni per violazione delle norme sulle rogatorie: la rogatoria era stata infatti assunta in relazione al procedimento n. 1242/2013 RGNR Mod. 44 a carico di ignoti, mentre e' stata utilizzata nel diverso procedimento n. 7498/2010 RGNR. Il procedimento per il quale fu richiesta e concessa cooperazione tra gli Stati e' dunque diverso dal procedimento nel quale il risultato di tale cooperazione si pretende di utilizzare, non essendo sufficiente la pretesa identita' di tipologia di reato, l'associazione a delinquere di tipo mafioso, ne' l'assenza di condizioni poste dallo Stato richiesto. 22.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui all'articolo 416 bis, lamentando la mancanza o l'insufficienza della motivazione in relazione ai motivi di appello proposti. Sotto altro profilo denuncia il travisamento della prova da intercettazione, sostenendo che l'interpretazione delle conversazioni captate da parte dei giudici del merito sia errata e proponendo una diversa interpretazione di alcune conversazioni: quella del 9 marzo 2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui manca la prova che l' (OMISSIS) di cui si parla si identifichi nell'odierno ricorrente, e che il preteso incontro con il (OMISSIS), afferente a questioni canadesi, si sia effettivamente svolto; quella del 2 agosto 2015 avente ad oggetto lavori edili stradali nel Comune di (OMISSIS), intercorsa tra (OMISSIS) e terzi soggetti, in cui non vi e' alcun intervento del ricorrente; quella del 28 aprile 2015, posto a base di un preteso interesse del ricorrente a sostenere politicamente la candidatura di tale (OMISSIS), da cui emerge l'assenza di qualsiasi intervento di (OMISSIS); inoltre, l'asserito "(OMISSIS)", identificato congetturalmente in (OMISSIS), non sarebbe l'odierno ricorrente, bensi' tale (OMISSIS). Lamenta la congetturalita' del ragionamento proposto dalla Corte territoriale, e la natura soltanto indiretta ed indiziaria del contenuto delle intercettazioni captate tra soggetti terzi rispetto all'imputato, in assenza di una gravita' e di una univocita' delle stesse, anche sotto il profilo della individuazione del soggetto di cui si parla. Deduce inoltre che il periodo temporale associativo contestato in sentenza e' collocato da gennaio 2011 a settembre 2015, nel corso del quale il (OMISSIS) e' stato ininterrottamente detenuto fino al 13 maggio 2014; cio' posto mancherebbe qualsiasi comportamento attivo o contributo al sodalizio che comprovi il vincolo associativo, anche sotto il profilo della ipotetica messa a disposizione della propria persona per scopi criminali. Con riferimento all'aggravante della posizione apicale, lamenta che la Corte territoriale l'abbia riconosciuta in assenza di qualsiasi esercizio di poteri autonomi e di elaborazione di scelte rilevanti per il sodalizio, limitandosi ad una esaltazione suggestiva della asserita caratura criminale del (OMISSIS). 22.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con la precedente condanna per il medesimo reato nel processo c.d. "(OMISSIS)", motivato sulla base del notevole intervallo temporale tra la cessazione della permanenza del reato definitivamente giudicato e quello successivamente contestato. Evidenzia tuttavia che al (OMISSIS) e' stato riconosciuto il ruolo di capo dell'omonimo locale nella sentenza definitiva e che tale condotta e' stata accreditata nell'ambito del presente processo per riconoscere il ruolo apicale, ma e' stata poi disconosciuta per negare l'istituto della continuazione, nonostante si tratti della medesima articolazione mafiosa. 22.4. Con il quarto ed il quinto motivo deduce vizi di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e dalla pena inflitta. 22.5. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'articolo 512 bis c.p., (capo 32), articolando il medesimo motivo gia' esposto con riferimento a (OMISSIS) (sub p. 21.1), aggiungendo la carenza di univocita' nell'esito della perquisizione dell'autovettura di tale (OMISSIS), asserito accompagnatore dell'odierno ricorrente, indicato come concorrente nel reato contestato alla (OMISSIS), e del rinvenimento di bollettini postali a nome della (OMISSIS), con gli estremi della sua rivendita di tabacchi, per il pagamento di concessioni governative. 22.6. I difensori hanno depositato memoria, allegando la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria emessa nei confronti di (OMISSIS) nel giudizio ordinario, e motivi nuovi, ribadendo le doglianze gia' proposte. 23. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha dedotto dieci motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 11 anni di reclusione per i reati associativi di cui ai capi 1 e 30, nonche' per reati di traffico di stupefacenti (capo 7) e di illecita detenzione di armi (capi 16, 17 e 19). 23.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 268, 270 e 271 c.p.p., e l'inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite in Olanda, lamentando l'assenza dei decreti autorizzativi delle intercettazioni e dei verbali di ascolto, e la violazione dell'articolo 270 c.p.p., comma 2, con conseguente impossibilita' di verificare la legalita' delle operazioni di intercettazione proponendo le medesime, anche sotto il profilo lessicale, argomentazioni gia' richiamate infra p. 9.2. a proposito del ricorso di (OMISSIS). 23.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, sostenendo che non sia emersa una organizzazione ed una struttura sufficienti ad integrare il reato associativo e che l'arco temporale di esercizio delle condotte sia estremamente limitato; si tratterebbe di singoli episodi del tutto sconnessi tra loro, dai quali emergerebbe che gli imputati agivano in totale autonomia, a titolo personale e fuori da contesti e logiche associative. Mancherebbe inoltre la prova di canali di approvvigionamento, di messa in comune di risorse economiche, e la carenza di attribuzione di ruoli ai singoli. 23.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla partecipazione al reato associativo di cui all'articolo 74, mancando indici positivi di appartenenza, I'affectio societatis e la stabilita' della messa a disposizione in seno al presunto gruppo criminale. L'associazione sarebbe stata operativa dal 2004 fino al 25 marzo 2015, mentre (OMISSIS) nel 2004 era ancora minorenne, e dal 2014 al 2015 si trovava in Canada per completare i propri studi. Deduce che, a fondamento dell'affermazione di responsabilita', vi sarebbero soltanto 9 conversazioni, due intervenute nel settembre del 2013, 1 nel dicembre del 2013 e 5 nel gennaio del 2014: l'esiguita' del materiale probatorio e il ridottissimo spazio temporale in cui le captazioni sono state registrate escluderebbero la sussistenza di una condotta di partecipazione. 23.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla aggravante della disponibilita' di armi di cui all'articolo 74, comma 4, contestando la consapevolezza della disponibilita' di armi in capo al (OMISSIS). 23.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento al capo 7 per il concorso nel reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, lamentando il mancato confronto con le doglianze difensive proposte negli atti di appello, e sostenendo che la motivazione sarebbe generica e che le conversazioni intercettate non sarebbero univoche. Le censure sono dirette altresi' nei confronti dell'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso trattandosi di episodio del tutto avulso dal contesto dei reati oggetto di giudizio. 23.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo 17 concernente la detenzione di una pistola del tipo Beretta. La fonte di prova sarebbe costituita da una singola intercettazione dell'8 dicembre 2013 captata nelle abitazioni di (OMISSIS) (OMISSIS) tra quest'ultimo e (OMISSIS). Lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto immotivatamente non plausibile l'argomento difensivo che la conversazione fosse minata da una carica di millanteria del (OMISSIS) per il suo tentativo di pavoneggiarsi e fare il gradasso. 23.7. Con il settimo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione ai capi 19 e 20, ritenendo insufficiente la prova del concorso del (OMISSIS) nella detenzione di armi emergente dalla conversazione del 22 gennaio 2013, in cui si farebbe riferimento ad un grado di parentela che non e' proprio dell'imputato (OMISSIS). 23.8. Con l'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla partecipazione all'associazione di tipo mafioso di cui al capo 30, lamentando innanzitutto l'inutilizzabilita' delle c.d. intercettazioni olandesi, e sostenendo comunque che i colloqui tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sono privi di elementi di riscontro; inoltre, l'appartenenza al sodalizio mafioso sarebbe desunta dalla presunta partecipazione alla diversa associazione finalizzata al narcotraffico. 23.9. Con il nono motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'aggravante della disponibilita' delle armi, affermata sulla base della sola disponibilita' di armi in capo al sodalizio e del concorso dell'imputato nei delitti in materia di armi, ma senza che sia emersa una consapevolezza del (OMISSIS) della messa a disposizione di tali armi per la funzionalita' del gruppo mafioso. 23.10. Con il decimo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche, nonostante la giovane eta' e l'incensuratezza dell'imputato. 23.11. I difensori hanno depositato motivi nuovi, ribadendo le doglianze gia' proposte. 24. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 8 anni di reclusione per concorso esterno nel reato associativo di cui al capo 30. 24.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione della condotta in termini di concorso esterno in associazione mafiosa. L'affermazione della responsabilita' penale e' fondata esclusivamente sul tenore della conversazione del 20 febbraio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e sul tono confidenziale registrato tra i due, nonche' sulla missione corruttiva affidatagli, ai fini dell'aggiustamento del processo a carico di (OMISSIS). Evidenzia che mentre il giudice di primo grado ha qualificato tale condotta come partecipazione, la Corte di Appello l'ha qualificata come concorso esterno; tuttavia, la Corte di Cassazione, decidendo in sede cautelare (Sez. 6, 24/03/2016), aveva annullato l'ordinanza cautelare ritenendo gli elementi insufficienti per sostenere l'accusa formulata, ed affermando che la mera disponibilita' dell'indagato a veicolare la richiesta corruttiva risultasse di non univoca interpretazione. Tanto premesso, lamenta che il materiale investigativo che ha determinato l'annullamento della Corte di Cassazione e' il medesimo valutato in termini di concorso esterno della Corte di appello. Aggiunge che non vi e' prova che (OMISSIS) abbia poi incontrato lo (OMISSIS) di cui si era parlato con (OMISSIS), ne' di quanto si siano eventualmente detti, ne' di alcun successivo intervento sulla Corte di Appello. Sicche' l'affermazione della Corte territoriale secondo cui e' sufficiente l'atteggiamento verso la proposta di corruzione in atti giudiziari per integrare il reato sarebbe debitrice di una colpa d'autore, diretta a punire un qualcosa di assolutamente prodromico rispetto alla condotta tipica del delitto di istigazione alla corruzione. Evidenzia che l'originaria contestazione della condotta di partecipazione, ormai svuotata di contenuto probatorio, e' stata mutata in un episodico contributo rilevante come concorso esterno, senza considerare che, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite "Mannino", il concorrente esterno e' colui che fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo al sodalizio, sempre che questo abbia un'effettiva rilevanza causale; nel caso di specie mancano tutti gli elementi del concorso esterno, non essendovi innanzitutto la prova del contributo causale richiesto all'imputato. Sotto altro profilo lamenta il vizio di motivazione in ordine al tenore della conversazione, che sarebbe stata valorizzata sulla base di un approccio moralistico emozionale. 24.2. Deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla pena inflitta, applicata sulla base di una norma entrata in vigore il 14 giugno 2015, introdotto dalla legge numero 69 del 2015, nonostante l'episodio ascritto all'imputato risalga al 2013. 24.3. Deduce infine la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, all'applicazione dell'aggravante della disponibilita' di armi, nonostante sia stato riconosciuto il ruolo di concorrente esterno, e al diniego delle attenuanti generiche. 25. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto quattordici motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per il reato di cui al capo 27. 25.1. Con il primo motivo deduce l'inutilizzabilita' degli atti di indagine espletati tra il 12/09/2012 ed il 01/02/2016. Eccepisce l'inutilizzabilita' degli atti d'indagine compiuti tra la data del decreto di archiviazione nei confronti di (OMISSIS) nel procedimento c.d. (OMISSIS) per il reato di quell'articolo 416 bis e la tardiva riapertura delle indagini preliminari nel presente procedimento, avvenuta solo in data 1 febbraio 2016. Evidenzia al riguardo che si tratta del medesimo fatto di reato, essendo anche nel procedimento (OMISSIS) oggetto di indagine un'associazione per delinquere operante nel territorio di (OMISSIS) a partire dal 2008, e richiama al riguardo Sezioni Unite Giuliani del 2010. Aggiunge che, con riferimento ai reati permanenti, l'archiviazione non seguita dall'autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni solo con riferimento ai comportamenti successivi a quelli oggetto del procedimento di archiviazione. Sussiste l'identita' sostanziale del reato associativo nei due procedimenti, in quanto nel procedimento (OMISSIS) era contestato il ruolo di capo promotore e l'arco temporale di riferimento, trattandosi di contestazione aperta, era quello intercorrente tra il 13 novembre 2008 (data di iscrizione nel registro degli indagati) ed il 12 settembre 2012 (data del decreto di archiviazione); coincide, dunque, il ruolo apicale di (OMISSIS) in seno all'associazione, il radicamento territoriale dell'associazione, i reati fine del sodalizio, l'operativita' della cosca in Canada, e l'arco temporale di operativita'. L'imputazione dell'odierno procedimento riguarda infatti un arco temporale intercorrente tra il 2005 ed il 2015, che comprende altresi' quello oggetto di indagine nel procedimento (OMISSIS). Aggiunge che le prove acquisite nell'ambito del presente procedimento hanno per oggetto anche il periodo precedente al termine della detenzione di (OMISSIS), e quindi precedenti al 2012, come si evince dal decreto di intercettazione d'urgenza del 21 settembre 2012, e dal contenuto dell'intercettazione ambientale del 22 gennaio 2013, in cui (OMISSIS), conversando con (OMISSIS), riferirebbe di una condotta di (OMISSIS) parlando sempre al passato. 25.2. Con il secondo motivo deduce la violazione del principio del ne bis in idem ex articolo 649 c.p.p.. Rappresenta che, per i medesimi fatti, (OMISSIS) e' stato assolto con sentenza divenuta irrevocabile 111 marzo 2014 nel procedimento c.d. (OMISSIS), avente ad oggetto la medesima associazione di tipo mafioso operante nel medesimo ambito territoriale, con contestazione dal settembre 2002 con condotta perdurante, a nulla rilevando eventuali minime differenze riguardanti la composizione soggettiva del sodalizio. 25.3. Con il terzo motivo deduce l'improcedibilita' del nuovo giudizio in seguito alla assoluzione per lo stesso fatto e la violazione dell'articolo 669 c.p.p.. Premette che, secondo il Tribunale, "sono stati raccolti elementi probatori certamente nuovi, frutto della captazione dei colloqui ambientali tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e tra (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali sono successivi alla sentenza assolutoria del procedimento (OMISSIS)"; l'ipotesi associativa nel presente procedimento era stata ritenuta sussistente dal gennaio 2005 fino a settembre 2015, mentre nel processo (OMISSIS) la contestazione aveva ad oggetto il periodo da settembre 2002 con condotta perdurante, chiusa dunque al marzo 2014; inoltre, nel procedimento Circolo Formato il reato concerneva il periodo da luglio 1993 al maggio 2010 ed e' stato archiviato il 20 aprile 2012. Si puo' dunque ritenere che dal settembre 2002 al marzo 2014 (OMISSIS), in base al giudicato del processo (OMISSIS), debba essere ritenuto estraneo all'associazione mafiosa riconducibile alla cosca contestata nel presente processo. Peraltro (OMISSIS) e' stato detenuto dal 9 maggio 2009 fino al 5 dicembre 2013, agli arresti domiciliari fino a 4 luglio 2014, e poi soggetto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in Roccella Jonica fino al fermo per il presente procedimento avvenuto in data 25 settembre 2015; le nuove prove dunque dovrebbero collocarsi nel periodo dal marzo 2014 al settembre 2015, in quanto, se riferite ad un periodo precedente, anche se raccolte dopo il marzo 2014, non potrebbero essere utilizzate contro (OMISSIS), perche' rispetto a tale periodo e' stato assolto con la formula piu' ampia. La Corte di Appello si e' sottratta a tale accertamento limitandosi a citare due intercettazioni come prove nuove: quella del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che comunque si riferisce a condotte precedenti all'arresto di (OMISSIS) avvenuto il 9 maggio 2009, non potendo sostenersi che nonostante la detenzione (OMISSIS) abbia continuato a seguire gli interessi economici e gli investimenti immobiliari della cosca; quella del 9 marzo 2015 captata in Olanda tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che sarebbe irrilevante in quanto (OMISSIS) era rientrato da un suo viaggio in Canada durato dal 26 febbraio 2015 al 9 marzo 2015, mentre (OMISSIS) era sottoposto alla misura di prevenzione con obbligo di soggiorno in (OMISSIS), e non poteva recarsi in Canada in quel periodo. Il giudicato assolutorio nel processo (OMISSIS), dunque, esclude la sua partecipazione dal settembre 2002 al marzo 2014. 25.4. Con il quarto motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine a specifici motivi di appello, lamentando che la Corte territoriale abbia omesso di rendere specifica motivazione in ordine all'eccezione sul ne bis in idem, sulla riapertura delle indagini e sulle questioni proposte con riferimento al l'insussistenza della partecipazione all'associazione di tipo mafioso. 25.5. Con il quinto motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine al requisito del metodo mafioso. Premette che nel procedimento in oggetto le "locali" oggetto di accertamento sarebbero: 1) la societa' di (OMISSIS), facente capo ai (OMISSIS); 2) la societa' di (OMISSIS), facente capo a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 3) la (OMISSIS), facente capo a (OMISSIS). Trattandosi di filiali della "casa madre", sarebbe dunque necessaria l'estrinsecazione della forza di intimidazione e del metodo mafioso; su tale profilo la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia motivazione, limitandosi a richiamare gli esiti delle sentenze emesse nei procedimenti (OMISSIS), (OMISSIS), la (OMISSIS) sugli appalti, (OMISSIS); tuttavia, tali sentenze non hanno affatto accertato l'esistenza di una cosca (OMISSIS), anzi l'hanno esclusa, o hanno escluso la partecipazione di (OMISSIS), quantomeno per gli archi temporali presi in considerazione. Conclude nel senso che o l'associazione ex articolo 416 bis, oggetto dei richiamati procedimenti, e' la medesima, e quindi opera l'articolo 649 c.p.p., oppure si tratta di una diversa associazione, e allora manca l'accertamento sul metodo mafioso. 25.6. Con il sesto motivo deduce il travisamento della prova in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) alla associazione mafiosa, lamentando l'erronea interpretazione delle due intercettazioni richiamate, e la mancata considerazione dei passi decisivi da cui risulterebbe che si trattava di affari di famiglia, e non gia' di affari illeciti. Con riferimento alla vicenda del tabacchino, sostiene che dal contenuto delle conversazioni emerga come si trattasse di un affare di famiglia dei (OMISSIS); con riferimento alla intercettazione del 9 marzo 2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), contesta che "(OMISSIS)" cui alludono gli interlocutori, come colui che avrebbe litigato con tale Riccardo (OMISSIS), sia identificabile in (OMISSIS), che non e' stato mai menzionato con tale soprannome nel compendio probatorio a disposizione; su tale profilo la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare. 25.7. Con il settimo motivo deduce l'omessa motivazione in ordine al ruolo apicale di (OMISSIS), affermato in maniera apodittica e senza l'indicazione di alcun concreto esercizio dello stesso. 25.8. Con l'ottavo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine all'aggravante della disponibilita' di armi, lamentando che sia stata ascritta la circostanza all'imputato in maniera apodittica sulla base del solo ruolo apicale attribuitogli. 25.9. Con il nono motivo deduce la violazione dell'articolo 521 c.p.p., con riferimento al reato di intestazione fittizia del tabacchino a (OMISSIS), contestato al capo 27. 25.10. Con il decimo motivo deduce il travisamento della prova ed il vizio di motivazione con riferimento al medesimo capo 27, evidenziando come l'intercettazione posta fondamento dell'affermazione di responsabilita' risalga al 22 gennaio 2013, mentre la titolarita' dal tabacchino e' stata trasferita nel 2015; evidenzia inoltre come non e' indicata alcuna condotta attiva di (OMISSIS) nella attribuzione della rivendita e nel riacquisto della stessa. 25.11. Con l'undicesimo motivo deduce il travisamento della prova con riferimento al reato di intestazione fittizia di una pescheria, contestato al capo 29. Sostiene al riguardo che esisteva una prima pescheria, intestata alla madre dei (OMISSIS), (OMISSIS), successivamente sottoposta a sequestro; nel 2009 e' stata creata la ditta intestata ad (OMISSIS), denominata anch'essa pescheria (OMISSIS). Le conversazioni del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' la conversazione ambientale captata 111 ottobre 2012 all'interno del veicolo in uso ad (OMISSIS), sarebbero state erroneamente interpretate dalla Corte territoriale, essendo evidente che viene menzionata la pescheria creata nel 2006, in cui (OMISSIS) era del tutto estraneo, essendo intestata alla madre dei (OMISSIS). 25.12. Con il dodicesimo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al concorso di (OMISSIS) nell'intestazione fittizia ad (OMISSIS), in quanto la pescheria e' stata costituita nel 2009, quando l'imputato era detenuto, e la sentenza non ha indicato alcun fatto da cui risulti un coinvolgimento dell'imputato nella intestazione fittizia della pescheria nel 2009. 25.13. Con il tredicesimo motivo deduce l'insussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 7 riconosciuta con riferimento al capo 29, evidenziando che anche il Tribunale di Locri, nel parallelo giudizio ordinario, ha escluso la sussistenza della circostanza, sostenendo che si trattasse di attivita' di carattere personale e familiare, non appannaggio della cosca. 25.14. Con un ultimo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l'esclusione della recidiva. 25.15. I difensori hanno depositato motivi nuovi, ribadendo le doglianze in ordine all'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 6, e in ordine alla mancata considerazione della documentazione attestante lo stato detentivo a partire dal 2009 ed i successivi provvedimenti. 26. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che ha dedotto otto motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Condannato a 20 anni di reclusione per i reati associativi di cui ai capi 1 e 30, per i reati di illecita detenzione di armi di cui ai capi 16 e 19 (in quest'ultimo assorbito il primo), e per i reati di cui ai capi 27 e 29. 26.1. Con il primo motivo deduce l'inutilizzabilita' ex articolo 414 c.p.p. degli atti di indagine compiuti tra la data del decreto di archiviazione nei confronti di (OMISSIS) nel procedimento c.d. (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 416 bis e la tardiva riapertura delle indagini preliminari nel presente procedimento avvenuta solo in data 1 febbraio 2016. 26.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al capo 30 e l'omessa pronuncia su specifiche censure proposte con l'atto di appello. Lamenta che non si tratti di una doppia conforme, ma di una mera reiterazione dei medesimi elementi ed argomenti esposti della sentenza di primo grado, in assenza di un concreto confronto con i motivi di appello. Deduce il travisamento delle prove, sostenendo che non ricorra la prova della affectio societatis, ed il concreto fattivo inserimento nell'organizzazione criminale, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite "Mannino". Sostiene che la Corte territoriale abbia erroneamente valutato le sentenze rese nei processi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) sugli appalti e (OMISSIS), che hanno escluso la sussistenza di una cosca (OMISSIS) operante in (OMISSIS); in tali procedimenti, infatti, i fratelli (OMISSIS) sono stati assolti dal reato associativo o addirittura archiviati. Quanto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), lamenta che, benche' fosse stato acquisito ex articolo 603 c.p.p., il verbale delle dichiarazioni rese all'udienza del 30 novembre 2017 dinanzi al Tribunale di Locri, la Corte territoriale abbia valutato soltanto le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, omettendo la valutazione di una prova decisiva; il travisamento della prova dichiarativa consisterebbe, infatti, nello scrutinio solo parziale delle dichiarazioni del collaboratore, in quanto, pur avendo ritenuto necessario acquisire il verbale reso nel giudizio ordinario, ha omesso di valutarlo, non considerando che in quella circostanza aveva escluso che qualcuno dei fratelli (OMISSIS) avesse mai partecipato a riunioni di âEuroËœndrangheta, precisando di non essere a conoscenza se gli stessi facessero parte della consorteria denominata âEuroËœndrangheta. Sostiene inoltre che le dichiarazioni del collaboratore siano confuse, approssimative, generiche e contraddittorie, e che su tali censure la Corte territoriale abbia in realta' omesso di pronunciarsi, limitandosi a richiamare asseriti riscontri esterni non specificamente menzionati. Lamenta inoltre che la Corte territoriale abbia valorizzato presunti fatti concludenti dimostrativi della partecipazione dell'imputato alla consorteria criminosa, sulla base di un ragionamento congetturale e tautologico, in quanto l'acquisizione da parte di (OMISSIS) della scuola di formazione professionale per estetisti e' il risultato di un'attivita' acquisita in via autonoma e del tutto lecita, mentre per quanto riguarda la pescheria e il tabacchino non risulta alcun coinvolgimento di (OMISSIS) nella loro intestazione, avvenuta allorquando egli si trovava in regime di 41 bis; analogamente rilevante sarebbe la vicenda inerente al pagamento del pizzo imposto da (OMISSIS) alla societa' (OMISSIS) per i lavori di messa in opera della fibra ottica, che sarebbe attribuita a (OMISSIS) sulla base del solo ruolo apicale, e in assenza di qualunque prova su un suo concreto coinvolgimento. L'unica condotta ascrivibile a (OMISSIS) sarebbe quella relativa all'interessamento alle sorti del processo penale a carico di (OMISSIS), che tuttavia sarebbe avulsa da riferimenti a logiche associative, bensi' rivolta alla realizzazione degli interessi del singolo; anche l'affermazione "qua senza di lui siamo rovinati", valorizzata dalla Corte territoriale, sarebbe un segmento di conversazione dal contenuto neutro. Lamenta inoltre l'erronea interpretazione delle conversazioni ambientali intercettate il 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero ad oggetto non gia' attivita' illecite di carattere associativo, bensi' loro pregresse attivita' commerciali imprenditoriali di natura immobiliare e la gestione economica delle stesse e la divisione dei profitti; l'esame della Corte territoriale sul contenuto di tali conversazioni sarebbe superficiale e parcellizzato, mentre riguarderebbe lecite vicende di natura societaria, in ordine alle quali la Corte territoriale ha omesso di spiegare la valenza probatoria del contenuto del dialogo; anche il segmento del dialogo avente ad oggetto il programma e l'elencazione dell'organigramma concernerebbe in realta' tali interessi di natura immobiliare e la necessita', affermata da (OMISSIS), che qualsiasi provento economico proveniente dalle attivita' delle loro societa' dovesse essere ripartito secondo le quote societarie da ognuno possedute, al di fuori di una logica associativa. Ancor piu' inconferente il contenuto delle conversazioni olandesi del 24 febbraio e del 9 marzo 2015 per l'assoluta genericita' ed ambiguita' dei discorsi affrontati da (OMISSIS) e (OMISSIS), che peraltro vivevano altrove e non potevano avere conoscenza diretta dei fatti, limitandosi ad ipotizzare le possibili ragioni dell'accaduto relativo all'omicidio di (OMISSIS) avvenuto in Canada; in ordine a tali contestazioni proposte con i motivi di appello la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi. 26.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge del vizio di motivazione in relazione al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Sostiene che le fonti di prova siano rappresentate soltanto da 10 conversazioni intercettate, 8 delle quali inter alios, e dalla dichiarazione del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Tuttavia il ricorrente e' stato assolto dall'unico reato fine per cui in primo grado era stata affermata la sua responsabilita', e i contenuti della conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui si farebbe riferimento al traffico degli stupefacenti non sarebbe indicativo di un'attivita' attuale, in quanto l'imputato dal 2005 ha trascorso un lungo periodo di latitanza in Canada fino al 2008, allorquando e' stato ristretto in regime di 41 bis fino al dicembre del 2012; il contenuto della conversazione dunque concernerebbe il disappunto espresso dal (OMISSIS) in ordine ad una sua estromissione dalle dinamiche decisionali e dai proventi relativi al traffico di stupefacenti, ed avrebbe comunque ad oggetto un'attivita' passata. Il secondo tema riguardante il traffico di stupefacenti oggetto della conversazione riguarda invece il disappunto per le condotte poste in essere da (OMISSIS) per i rapporti intrattenuti con taluni siciliani suoi conoscenti, spendendo arbitrariamente il suo nome; in tale contesto il (OMISSIS) esprime l'esigenza di rappresentare al (OMISSIS) di considerarsi libero di intessere rapporti illeciti con chi crede, ma senza avvalersi del suo nome, senno' si deve cominciare a sparare. Anche con riferimento alla prospettazione di un possibile futuro suo coinvolgimento diretto nel traffico illecito di cocaina da acquistare a Milano, l'unico elemento sarebbe una conversazione del 17 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che tuttavia risulta priva di qualsivoglia sviluppo. Sostiene che sia paradossale che un soggetto, scarcerato nel dicembre 2012 dopo una lunga detenzione in regime di 41 bis, che aspirerebbe a riassumere le redini di un sodalizio ai cui presunti componenti non viene pero' contestato alcun reato ne' alcuna condotta nell'arco temporale che va dal 2004 al dicembre 2012, sia individuato come l'organizzatore di un'associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico. Cio' che e' emerso infatti e' la sostanziale assenza dalla scena del (OMISSIS) nell'arco temporale successivo alle intercettazioni richiamate, e la estraneita' a tutti i numerosi reati-fine attribuiti ai presunti componenti del sodalizio. Lamenta che anche il contributo dichiarativo del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sia inaffidabile, avendo appreso de relato dal (OMISSIS) circa il coinvolgimento del (OMISSIS) nell'importazione di un carico di 700/800 kg. di "fumo" giunto in Italia dal Marocco tramite pescherecci messi a disposizione da siciliani, in quanto l'importazione non e' stata portata a compimento; peraltro, la conclusione si pone in contraddizione interna con l'assoluzione del (OMISSIS) dal capo 14. Nel contestare la genericita' di ulteriori dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sostiene che non sarebbe possibile una duplicazione della qualificazione giuridica del sodalizio in termini dell'articolo 416 bis, e di Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in quanto il nucleo centrale delle due supposte associazioni sarebbe costituito dagli stessi soggetti, e il traffico degli stupefacenti costituirebbe un ramo d'azienda dell'associazione mafiosa. 26.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai reati di trasferimento fraudolento di beni contestati ai capi 27 e 29. Con riferimento al tabacchino, deduce che non sia stato spiegato il contributo fornito da (OMISSIS) nel 2015, quando la rivendita e' stata trasferita a (OMISSIS), mentre la conversazione del 22 gennaio 2013 fornisce la prova che (OMISSIS), in epoca anteriore, avrebbe attribuito la titolarita' a (OMISSIS). Con riferimento alla fittizia intestazione della pescheria di cui al capo 29, al (OMISSIS) viene attribuito un concorso morale nella fittizia intestazione in capo ad (OMISSIS) in data 27 marzo 2009; tuttavia (OMISSIS) all'epoca dei fatti era detenuto in regime di carcerazione speciale di cui al 41 bis, e non emerge alcuna prova che egli abbia realmente concorso nella commissione del reato. 26.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla aggravante dell'agevolazione di un sodalizio mafioso riconosciuto con riferimento al capo 29, sostenendo che l'attivita' commerciale ha avuto una gestione personale da parte del ricorrente, ed autonoma da quella del programma dell'ente criminoso. 26.6. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla illecita detenzione di armi, di cui ai capi 16 e 19 delle imputazioni. (OMISSIS) non ha mai avuto la disponibilita' delle armi detenute da (OMISSIS), tanto che chiede lumi in merito a (OMISSIS) nel corso della conversazione del 22 gennaio 2013. 26.7. Con il settimo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla qualifica di organizzatore dei reati associativi contestati ai capi 1 e 30 delle imputazioni, in assenza delle indicazioni di un concreto esercizio dei corrispondenti poteri. Il ruolo apicale sarebbe stato desunto soltanto dalla conversazione in cui, rivolgendosi a (OMISSIS), disse "tutti devono dare conto alla persona che al momento tiene le redini nelle mani", senza considerare che l'imputato era assente dalla scena da ben 8 anni. 26.8. I difensori hanno depositato due atti contenenti motivi nuovi ed una memoria, ribadendo le doglianze gia' proposte e chiedendo la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, mediante acquisizione di atti del processo di appello concernenti le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente va valutato il motivo relativo alla eccepita inutilizzabilita' delle intercettazioni eseguite all'estero, in quanto comune a numerosi ricorrenti, essendo stato riproposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Il motivo e' manifestamente infondato. 1.1. Il primo profilo di doglianza e' manifestamente infondato, poiche' possono essere utilizzate in un procedimento italiano le intercettazioni disposte in procedimenti penali svoltisi all'estero, acquisite per rogatoria dall'autorita' giudiziaria italiana, purche' siano rispettate le condizioni eventualmente poste dall'autorita' estera all'utilizzabilita' degli atti richiesti e sempre che le intercettazioni stesse siano avvenute nel rispetto delle regole formali e sostanziali che le disciplinano e altresi' nel rispetto dei fondamentali principi di garanzia, aventi rilievo di ordine costituzionale, propri del nostro ordinamento (Sez. 1, n. 4048 del 06/07/1998, Bonelli, Rv. 211301, in una fattispecie in tema di intercettazioni disposte dall'autorita' giudiziaria tedesca). Nel caso di specie, risulta che le intercettazioni telefoniche utilizzate siano state eseguite nel rispetto delle norme processuali olandesi, ma nel rispetto, altresi', dei principi di garanzia previsti dal nostro ordinamento: invero, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata (p. 27), le captazioni sono avvenute sotto il controllo ed in forza di un'autorizzazione di una Autorita' giudiziaria (quella olandese), nel rispetto di determinati termini di durata e nel rispetto dell'esigenza di contemperare il diritto alla riservatezza ed alla segretezza delle comunicazioni con la necessita' di perseguire i reati di particolare allarme sociale; in altri termini, risultano salvaguardati i principi di garanzia sottesi alla doppia riserva, di legge e di giurisdizione, che sancisce la legittimita' costituzionale delle intercettazioni (articolo 15 Cost., comma 2). Naturalmente, gli standard motivazionali dei decreti autorizzativi, oggetto di una generica censura, sono conformi all'ordinamento nel quale sono stati adottati, e la doglianza relativa alla mancanza di motivazione e' inammissibile per difetto di specificita', non essendo stati prodotti i decreti dei quali si lamenta l'inutilizzabilita' (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia', Rv. 254109: "Allorche' i risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni autorizzate con provvedimento motivato "per relationem" siano acquisiti in procedimento diverso da quello in cui furono disposte, la parte che ne eccepisce l'inutilizzabilita', per essere la relativa motivazione solo apparente, ha l'onere di produrre sia il decreto di autorizzazione sia il documento al quale esso rinvia, in modo da porre il giudice del procedimento "ad quem" in grado di verificare l'effettiva inesistenza, nel procedimento "a quo", del controllo giurisdizionale prescritto dall'articolo 15 Cost."). Quanto al rispetto della riserva di giurisdizione, e' sufficiente rilevare che la motivazione del decreto e' stata formulata dal Pubblico Ministero olandese che, a prescindere dalle garanze ordinamentali riconosciute nel Paese estero, rientra nella nozione di "autorita' giudiziaria" - e sottoposta al controllo di un giudice. Del resto, questa Corte ha gia' chiarito, proprio con riferimento a ricorsi proposti nella fase cautelare del presente procedimento, che, in tema di rogatoria internazionale, trovano applicazione le norme processuali dello Stato in cui l'atto viene compiuto, con l'unico limite che la prova non puo' essere acquisita in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano e dunque con il diritto di difesa (Sez. 2, n. 2173 del 22/12/2016, dep. 2017, (OMISSIS), Rv. 269000, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure il provvedimento impugnato che aveva respinto l'eccezione di inutilizzabilita' di intercettazioni ambientali disposte ed acquisite dall'autorita' olandese, essendo la procedura penale olandese in tema di intercettazioni conforme ai principi garantiti dall'articolo 15 Cost.); l'utilizzazione degli atti non ripetibili compiuti in territorio estero dalla polizia straniera e acquisiti nel fascicolo per il dibattimento non e' condizionata all'accertamento, da parte del giudice italiano, della regolarita' degli atti compiuti dall'autorita' straniera - vigendo una presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' riscontrate - bensi' alla compatibilita' del diritto straniero sulla base del quale l'atto sia compiuto con i principi inderogabili dell'ordinamento interno, spettando, comunque, a colui che eccepisca il difetto di compatibilita' darne la prova, tanto piu' ove si tratti di Paese membro dell'Unione Europea (Sez. 5, n. 45002 del 13/07/2016, Crupi, Rv. 268457). 1.2. In ordine alla doglianza concernente il mancato deposito dei decreti autorizzativi e dei verbali di ascolto delle intercettazioni, la censura e' manifestamente infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui, ai fini dell'utilizzabilita' degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l'Autorita' giudiziaria competente per il "diverso" procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229244). Dunque, il deposito dei decreti autorizzativi, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni doveva avvenire nel "diverso" procedimento presso l'A.G. olandese. Del resto, anche il profilo di inutilizzabilita' dedotto e' manifestamente infondato, essendo consolidato il principio secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni sussiste soltanto, ai sensi dell'articolo 271 c.p.p., comma 1, quando esse siano eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall'articolo 267 c.p.p., e articolo 268 c.p.p., commi 1 e 3, e non pure nel caso in cui non siano state osservate le disposizioni previste dall'articolo 268, comma 4 e ss., o dall'articolo 270 c.p.p., comma 2, relativi al deposito dei verbali o delle registrazioni delle intercettazioni (Sez. 5, n. 788 del 06/08/1991, Luise, Rv. 188105); deve escludersi che possa dar luogo a inutilizzabilita' dei risultati di intercettazioni in processo diverso da quello in cui le intercettazioni stesse sono state disposte il mancato deposito, in violazione dell'articolo 270 c.p.p., comma 2, dei verbali e delle registrazioni, come pure quello dei decreti di autorizzazione (ove si ritenga che anche a tali decreti debba estendersi l'obbligo previsto dalla suddetta disposizione normativa), atteso che tali inosservanze non rientrano fra quelle indicate, con carattere di tassativita', dall'articolo 271 c.p.p. (Sez. 1, n. 790 del 17/12/1999, dep. 2000, Santoro, Rv. 215108). In tal senso si sono pronunciate anche le Sezioni Unite, affermando che l'inutilizzabilita' dei risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per violazione dell'articolo 267 c.p.p., e articolo 268 c.p.p., commi 1 e 3, e' rilevata dal giudice del procedimento diverso da quello nel quale furono autorizzate solo quando essa risulti dagli atti di tale procedimento, non essendo tenuto il giudice a ricercarne d'ufficio la prova. Grava, infatti, sulla parte interessata a farla valere l'onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende l'eccepita inutilizzabilita', sulla base di copia degli atti rilevanti del procedimento originario che la parte stessa ha diritto di ottenere, a tal fine, in applicazione dell'articolo 116 stesso codice (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245, che, in motivazione, ha osservato che anche nel giudizio "a quo", poiche' l'inutilizzabilita' discende dalla violazione delle norme richiamate dall'articolo 271 c.p.p., comma 1, e non dalla mera indisponibilita' degli atti concernenti l'intercettazione e la sua legittimita', incombe alla parte l'onere di dedurne la sussistenza). Anche la giurisprudenza successiva ha confermato che il mancato deposito, presso l'autorita' competente per il diverso procedimento, dei verbali delle intercettazioni altrove disposte, non determina l'inutilizzabilita' dei relativi risultati, in quanto tale sanzione processuale non e' prevista dagli articoli 270 e 271 c.p.p. (Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, Morabito, Rv. 240972), e che, ai fini dell'utilizzabilita' degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l'Autorita' giudiziaria competente per il "diverso" procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (Sez. 1, n. 38626 del 21/10/2010, Romeo, Rv. 248665; Sez. 1, n. 19791 del 06/02/2015, Alberti, Rv. 263571); in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l'omesso deposito degli atti concernenti le intercettazioni disposte nel procedimento "a quo" - tra cui anche i nastri di registrazione presso l'autorita' competente per il procedimento "ad quem" non determina l'inutilizzabilita' dei risultati intercettativi, in quanto detta sanzione non e' prevista dall'articolo 270 c.p.p. e non rientra tra quelle tassativamente indicate dall'articolo 271 c.p.p. (Sez. 5, n. 4758 del 10/07/2015, dep. 2016, Bagnato, Rv. 265993; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009 Badescu, Rv. 243609; Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Tunno, Rv. 266410). Peraltro, va aggiunto che comunque l'omesso deposito dei supporti magnetici ed il conseguente mancato accesso agli stessi da parte dei difensori da' luogo ad una nullita' di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), non piu' deducibile, in quanto sanata, con la scelta del giudizio abbreviato. (Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, Bianco, Rv. 252850; Sez. 6, n. 19191 del 07/02/2013, Stanganelli, Rv. 255130; Sez. 2, n. 22500 del 10/07/2020, Sette, Rv. 280422). 3.3. Il terzo profilo di doglianza, concernente l'asserita violazione dell'articolo 50, comma 3, dell'Accordo di Schengen, riproposto soltanto da (OMISSIS) e (OMISSIS), e' manifestamente infondato. Sul punto, nel rilevare che non risulta violata alcuna norma in materia, va osservato, trattandosi di procedimento fondato in maniera significativa sugli esiti delle intercettazioni telefoniche, eseguite anche all'estero (in particolare in Olanda), che, al riguardo, e' stato sovente ribadito che "in tema di utilizzabilita' di atti assunti per rogatoria, le intercettazioni telefoniche ritualmente compiute da un'Autorita' di Polizia straniera e da questa trasmesse di propria iniziativa, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata con L. 23 febbraio 1961, n. 215, e dell'articolo 46 dell'Accordo di Schengen, ratificato con 1.30 settembre 1993 n. 388, senza l'apposizione di "condizioni all'utilizzabilita'", alle Autorita' italiane interessate alle informazioni, rilevanti ai fini dell'assistenza per la repressione di reati commessi sul loro territorio, possono essere validamente acquisite al fascicolo del pubblico ministero, ai sensi dell'articolo 78 disp. att. c.p.p., comma 2, trattandosi di atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera" (Sez. 1, n. 42478 del 31/10/2002, Moio D, Rv. 222984), e che "possono essere utilizzate in un procedimento italiano le intercettazioni disposte in procedimenti penali svoltisi all'estero, acquisite per rogatoria dall'autorita' giudiziaria italiana, purche' siano rispettate le condizioni eventualmente poste dall'autorita' estera all'utilizzabilita' degli atti richiesti e sempre che le intercettazioni stesse siano avvenute nel rispetto delle regole formali e sostanziali che le disciplinano e altresi' nel rispetto dei fondamentali principi di garanzia, aventi rilievo di ordine costituzionale, propri del nostro ordinamento" (Sez. 1, n. 4048 del 06/07/1998, Bonelli, Rv. 211301, in tema di intercettazioni disposte dall'autorita' giudiziaria tedesca; in senso analogo, Sez. 5, n. 5170 del 26/11/1996, dep. 1997, Lavorato, Rv. 207867, secondo cui "in tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, possono essere utilizzate in un procedimento italiano le intercettazioni telefoniche disposte in procedimenti penali esteri, acquisite per rogatoria dall'autorita' giudiziaria italiana, purche' siano rispettate le condizioni eventualmente poste dall'autorita' estera all'utilizzabilita' degli atti richiesti, come previsto dall'articolo 729 c.p.p."). Nel caso in esame, non risulta siano state poste condizioni all'utilizzabilita' degli atti richiesti, ne' tale profilo e' stato dedotto. L'articolo 50, comma 3, della Convenzione applicativa Accordo di Schengen, la cui violazione viene lamentata dai ricorrenti, prevede che "La Parte contraente richiedente non puo' trasmettere ne' utilizzare le informazioni o i mezzi di prova ottenuti dalla Parte contraente richiesta per indagini, perseguimenti (poursuites) o procedimenti diversi da quelli menzionati nella domanda, senza il preventivo consenso della Parte contraente richiesta". Tuttavia, come e' stato gia' affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di intercettazioni telefoniche eseguite all'estero, il Protocollo alla Convenzione Europea di assistenza giudiziaria, firmato il 16 ottobre 2001 ed entrato in vigore il 5 ottobre 2005, ha abrogato l'articolo 50, comma 3, della Convenzione del 19 giugno 1990 per l'applicazione dell'Accordo di Schengen, con la conseguenza che e' venuto meno, per i Paesi aderenti alla suddetta Convenzione, il limite alla utilizzazione degli atti trasmessi nell'ambito di una procedura rogatoriale in procedimenti diversi da quello nel quale sia stata accolta la richiesta, salvo che tale limite sia apposto dal Paese concedente nell'atto di trasmissione (Sez. 5, n. 26885 del 18/05/2016, COMMISSO, Rv. 267265; Sez. 2, n. 1926 del 13/12/2016, dep. 2017, COMMISSO, Rv. 268760). Ne consegue che la doglianza dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), secondo cui la rogatoria sarebbe stata utilizzata in relazione a procedimento diverso da quello per il quale era stata concessa, e' basata su una norma non piu' vigente, ed e' manifestamente infondata. 2. E' fondato il motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) in merito alla improcedibilita' in ordine al reato di ricettazione di cui al capo 31. I due ricorrenti sono stati gia' giudicati per il medesimo reato e assolti dal Tribunale di Latina in relazione alla medesima vicenda della ricettazione della cioccolata Lindt commessa, secondo l'accusa, da (OMISSIS) in Latina, e redistribuita in Calabria, in Olanda e in Canada. La sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di bis in idem sul rilievo che non vi sarebbe stata identita' piena tra le due fattispecie, sia sotto il profilo oggettivo (quantitativi trattati, numero e identita' dei correi, specifica condotta contestata), sia quanto alla contestazione della aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7. La sentenza di assoluzione del Tribunale di Latina, emessa l'8 aprile 2019, e divenuta irrevocabile il 23 settembre 2019, concerne tuttavia i medesimi fatti contestati nel presente procedimento, nel quale e' stata peraltro esclusa l'aggravante della agevolazione di un sodalizio mafioso. 2.1. Innanzitutto, e' inconferente il riferimento all'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, in quanto l'identita' del fatto prescinde dall'idem legale. Con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale - che ha dichiarato illegittimo l'articolo 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato gia' giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui e' iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, cristallizzata dalla Grande Camera, 10/2/2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, in cio' affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, pero', dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016, p. 4), cioe' dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia gia' stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (Corte Cost., n. 200 del 2016, p. 10). Tanto premesso, ne consegue che l'estensione del bis in idem processuale e' diversa, e di regola piu' ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, come pure affermato dalla piu' consapevole dottrina (secondo cui, efficacemente, il divieto di un secondo giudizio "e' puro fenomeno giudiziario"), concerne rapporti diversi: l'articolo 649 c.p.p., infatti, riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storico-naturalistica, prescinde dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche; il bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico. In tal senso, questa Corte ha di recente chiarito che, "in tema di divieto di un secondo giudizio, le nozioni di "bis in idem" processuale e di "bis in idem" sostanziale non coincidono in quanto la prima, piu' ampia, ha riguardo al rapporto tra il fatto storico, oggetto di giudicato, ed il nuovo giudizio e, prescindendo dalle eventuali differenti qualificazioni giuridiche, preclude una seconda iniziativa penale la' dove il medesimo fatto, nella sua dimensione storico-naturalistica, sia stato gia' oggetto di una pronuncia di carattere definitivo; la seconda, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte e prescinde dal raffronto con il fatto storico (Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Barbato, Rv. 280774, che, in applicazione del principio, nonostante la qualificazione sostanziale del fatto storico consentisse il concorso formale tra il delitto di cui all'articolo 642 c.p. e quello di cui all'articolo 497 bis c.p., e, quindi, la non operativita' del "bis in idem" sostanziale, ha ravvisato il "bis in idem" processuale, in quanto il precedente giudizio aveva riguardato il medesimo fatto storico, qualificato ai sensi dell'articolo 642 c.p.). 2.2. Va altresi' rilevato che la sentenza impugnata e' contraddittoria, nella parte in cui, nel rigettare l'eccezione di difetto di giurisdizione, richiama la sentenza di questa Corte (Sez. 5, n. 12010 del 28/11/2016, dep. 2017, Crupi), che aveva evidenziato l'unitarieta' della vicenda criminosa, articolatasi in piu' condotte strettamente collegate non solo sul piano negoziale, ma soprattutto ideativo ed esecutivo (p. 983-985 della sentenza impugnata), per poi invece negare l'identita' del fatto con riferimento alla condotta di ricettazione giudicata dinanzi all'A.G. di Latina. La sentenza n. 12010 del 28/11/2016, dep. 2017, Crupi, in merito all'eccezione di difetto di giurisdizione, aveva sul punto evidenziato: "l'ordinanza impugnata risulta aver fatto buon governo dei principi appena richiamati: dopo aver rilevato, in relazione alla prospettazione accusatoria, che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano ricevuto dal padre, (OMISSIS) vertice della omonima consorteria confederata alla potente cosca di âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", operante sul versante ionico-reggino - una parte (pari a 25 pedane) di una ben piu' consistente quantita' (250 tonnellate, divise in 344 pedane, per un valore di oltre 7 milioni di Euro) di cioccolata Lindt rubata in data antecedente al 20/08/2014, e l'avevano ceduta, dietro corrispettivo, a (OMISSIS) e (OMISSIS), che la acquistavano per immetterla nel mercato canadese, la giurisdizione italiana e' stata affermata sul corretto presupposto che il reato di ricettazione contestato fosse stato commesso, anche in parte, in Italia, dove e' stata ricevuta da (OMISSIS), e, successivamente, distribuita in Italia e all'estero (in Olanda e in Canada, dove si trovavano i figli); alla stregua dell'analitica ricostruzione dei fatti e dei contatti intercorsi tra i concorrenti nel reato (riassunti alle p. 9-11 dell'ordinanza impugnata), il Tribunale del riesame ha dunque affermato che la condotta di ricettazione si era svolta per segmenti collegati e conseguenti, connotati prima da trattative funzionali alla compravendita, poi dalla distribuzione sul mercato italiano e canadese, e poi dalla successiva rivendita sottocosto della merce. In altri termini, pur avendo il reato di ricettazione natura istantanea, consumandosi nel momento in cui l'agente ottiene il possesso della cosa (Sez. 2, n. 38230 del 06/10/2010, Quiroga, Rv. 248538), nondimeno, nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti e la concreta qualificazione del reato contestato hanno fondato l'affermazione della giurisdizione italiana, poiche' le condotte di ricezione che si sono succedute ( (OMISSIS), poi i figli, (OMISSIS) e (OMISSIS), infine (OMISSIS) e (OMISSIS)) non possono essere, naturalisticamente e giuridicamente, parcellizzate in altrettanti autonomi fatti-reato, essendo al contrario emerso un concorso di persone nell'originario reato di ricettazione commesso da (OMISSIS), connotato dai frequenti e (OMISSIS)nti contatti per il trasporto della merce in Canada e per la successiva rivendita ai fratelli (OMISSIS); proprio per il collegamento, non solo negoziale, ma ideativo ed esecutivo, che ha connotato la complessa operazione di ricettazione della cioccolata, finalizzata al conseguimento di un profitto derivante dalla rivendita della merce, le singole condotte naturalistiche di ricezione appartengono al medesimo fatto di ricettazione; invero, le diverse condotte di ricezione della merce hanno rappresentato frazioni, di carattere esecutivo, della piu' ampia e precedente operazione di acquisto della cioccolata rubata, finalizzata alla rivendita". Tanto premesso, va dunque condivisa la ricostruzione unitaria della fattispecie di ricettazione della cioccolata, poiche' le condotte di ricezione che si sono succedute ( (OMISSIS), poi i figli, (OMISSIS) e (OMISSIS), infine (OMISSIS) e (OMISSIS)) non possono essere, naturalisticamente e giuridicamente, parcellizzate in altrettanti autonomi fatti-reato, essendo al contrario emerso un concorso di persone nell'originario reato di ricettazione commesso da (OMISSIS), connotato dai frequenti e (OMISSIS)nti contatti per il trasporto della merce in Canada e per la successiva rivendita ai fratelli (OMISSIS). 2.3. Ne consegue che il fatto storico oggetto della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Latina e' identico a quello oggetto della sentenza impugnata. Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al reato di ricettazione di cui al capo 31, per essere l'azione penale improcedibile. Sono assorbiti gli altri motivi di ricorso di (OMISSIS), condannato esclusivamente in ordine al reato di cui al capo 31. 3. Ai fini di una piu' chiara illustrazione delle argomentazioni e delle decisioni di questa Corte, appare opportuno considerare unitariamente i profili di doglianza proposti dai ricorrenti concernenti la partecipazione all'associazione di tipo mafioso di cui al capo 30. Invero, il sindacato sollecitato a questa Corte, pur sfociando sovente in una non consentita rivalutazione del merito - che non verra' dunque considerata ai fini della verifica di legittimita' -, coinvolge i profili, spesso connessi, del contributo minimo per aversi condotta partecipativa e della relativa prova. 3.1. Al riguardo, giova richiamare gli approdi consolidati della giurisprudenza di legittimita' in materia. Sul punto, occorre partire dal fondamentale principio affermato dalle Sezioni Unite "Mannino" nel 2005, secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670, che, in motivazione, ha osservato che la partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e pero' significativi "facta concludentia" -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione; in tal senso, di recente, Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180, con riferimento ad una fattispecie in cui l'imputato, infermiere in servizio presso un istituto penitenziario, svolgeva la funzione di "messaggero", consentendo di mantenere i collegamenti tra gli associati in liberta' e quelli ristretti, facendo entrare nell'istituto oggetti personali destinati ai componenti del sodalizio e partecipando a riunioni ed incontri con esponenti di altre cosche operanti nel medesimo territorio). Ancora recentemente le Sezioni Unite "Modaffari" hanno ribadito che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 - 01), e che l'affiliazione rituale puo' costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d'esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serieta' ed effettivita', espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 - 02, che, in motivazione, relativa a fattispecie inerente a misura cautelare personale, ha incluso, tra gli indici valutabili dal giudice, la qualita' dell'adesione ed il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilita' criminale dell'affiliando, la serieta' del contesto ambientale in cui la decisione e' maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l'altro, ai poteri di chi propone l'affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilita' pretesa od offerta). In particolare, va rilevato, a fini che rilevano in questa sede, che le Sezioni Unite âEuroËœModaffari' hanno sottolineato che: "La partecipazione non si esaurisce ne' in una mera manifestazione di volonta' unilaterale ne' in una affermazione di status: essa, al contrario, implica un'attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicita', concretezza e riconoscibilita' alla condotta che si sostanzia nel "prendere parte". L'opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa "fa parte" di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 1, non puo' pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell'organizzazione criminosa" (p. 11.2). Pertanto, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione mafiosa, l'affiliazione rituale puo' non essere sufficiente qualora alla stessa non si correlino concreti indici fattuali rivelatori dello stabile inserimento del soggetto con ruolo attivo nel sodalizio (Sez. 5, n. 38786 del 23/05/2017, De Caro, Rv. 271205). Premesso che, in materia di reati associativi, la commissione dei "reati-fine", di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria ne' ai fini della configurabilita' dell'associazione ne' ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703 - 02), il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell'organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiche', trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l'offesa all'ordine pubblico e' sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che e' di per se' idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Geraci, Rv. 276897; Sez. 2, n. 27394 del 10/05/2017, Pontari, Rv. 271169); ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non e' necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio e aderisca consapevolmente al programma criminoso, accrescendo per cio' solo la potenziale capacita' operativa e la temibilita' dell'associazione (Sez. 2, n. 56088 del 12/10/2017, Agostino, Rv. 271698, che, in motivazione, ha aggiunto, che qualora non sia stata acquisita la dimostrazione dell'inserimento formale del singolo all'interno della cosca, la prova della partecipazione puo' essere ricavata dal compimento di una o piu' attivita' significative nell'interesse dell'associazione mafiosa). Invero, la condotta di partecipazione all'associazione per delinquere di cui all'articolo 416 bis c.p., e' a forma libera e puo' realizzarsi in forme e contenuti diversi, indipendenti dall'esistenza di un formale atto di inserimento nel sodalizio e da uno stretto contatto con gli altri sodali, sicche' il partecipe puo' anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con la consapevolezza che il risultato viene perseguito con l'utilizzazione di metodi mafiosi (Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, Galati, Rv. 274250). E' stato, pertanto, affermato che integra il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso la condotta di chi offre il proprio contributo materiale, con carattere continuativo e fiduciario, ai fini della trasmissione di messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in liberta', cosi' da consentire al primo di continuare a dirigere l'associazione mafiosa, in quanto tale attivita' si risolve in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio nonche' alla conservazione ed al rafforzamento di quest'ultimo (Sez. 6, n. 3595 del 04/11/2020, dep. 2021, T., Rv. 280349; Sez. 2, n. 41736 del 09/04/2018, M., Rv. 274077, con riferimento ad una fattispecie relativa alla moglie di un capo clan che informava regolarmente il marito ristretto in carcere della condizione dei sodali latitanti e dell'andamento del traffico di stupefacenti gestito dall'organizzazione; Sez. 2, n. 7872 del 28/01/2020, Pellicano', Rv. 278425), sebbene non sia sufficiente la collaborazione episodica alla trasmissione di messaggi scritti (c.d. pizzini) tra il capo cosca e soggetti affiliati alla stessa, richiedendosi, invece, un'attivita' di carattere continuativo e fiduciario di "veicolatore abituale di notizie", idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale, nonche' alla sua conservazione e rafforzamento (Sez. 5, n. 26306 del 16/03/2018, D'Agostino, Rv. 273336, con riferimento ad una fattispecie relativa alla consegna di messaggi in due sole occasioni, in cui la Corte ha annullato con rinvio per difetto di motivazione l'ordinanza cautelare che non spiegava come aveva tratto da tale dato di fatto il convincimento della stabilita' del contributo del ricorrente). Analogamente, rappresenta comportamento concludente, idoneo a costituire indizio di intraneita' al sodalizio criminale, l'essere posto a conoscenza dell'organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell'identita' dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati, nonche' l'essere stato ammesso a partecipare ad incontri deputati all'inserimento di nuovi sodali (Sez. 5, n. 25838 del 23/07/2020, Prestia, Rv. 279597 - 02, con riferimento ad una fattispecie relativa alla assunzione, da parte dell'affiliato, del grado di "capo bastone giovane" all'interno di una cosca locale di âEuroËœndrangheta); va infatti considerato comportamento concludente idoneo, sul piano logico, a costituire indizio di intraneita' al sodalizio criminale la presenza e la partecipazione attiva ad una cerimonia di affiliazione, essendo illogico ritenere che il rito di affiliazione o di conferimento di un grado gerarchico all'interno di un'organizzazione mafiosa possa essere officiato da soggetti estranei (Sez. 2, n. 27428 del 03/03/2017, Serratore, Rv. 270315, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha giudicato immune da censure l'ordinanza impugnata, la quale aveva ritenuto che l'appartenenza dell'imputato alla âEuroËœndrangheta fosse dimostrata, in particolare, dalla sua presenza al pranzo di affiliazione di altri sodali). La condotta partecipativa puo' ancora consistere nell'attivita' di "paciere", svolta da parte di esponenti di primo piano di una cosca, in ordine alla composizione di contrasti interni per fatti attinenti all'attivita' ed al funzionamento dell'organizzazione, avendo essa la funzione di assicurare la stabilita' e la tenuta di quest'ultima (Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Gullo, Rv. 279825, con riferimento ad una fattispecie in cui l'attivita' di composizione del contrasto, previa convocazione e richiesta di rendiconto, avveniva tra membri di rilievo dell'organizzazione in merito al versamento dei ricavi derivanti dallo spaccio di stupefacenti); nella condotta di chi si fa intestare fittiziamente, in ripetute occasioni, beni immobili riconducibili alla compagine criminale (Sez. 6, n. 13444 del 10/03/2016, Borrata, Rv. 266925). Dalla breve rassegna dei piu' recenti approdi giurisprudenziali di questa Corte, dunque, emerge che la condotta partecipativa deve consistere nell'assunzione, stabile, di un ruolo dinamico nella vita del sodalizio, essendo insufficiente il mero status di affiliato, che puo' costituire solo un indice. Invero, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione all'associazione di tipo mafioso, puo' essere insufficiente la mera indicazione della qualita' formale di affiliato, laddove alla stessa non si correli la realizzazione di un qualsivoglia "apporto" alla vita dell'associazione, idoneo a far ritenere che il soggetto si sia inserito nel sodalizio in modo stabile e pienamente consapevole (Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015 Alcaro, Rv. 265536). Tant'e' che, e' stato pure affermato, il possesso della c.d. "dote di âEuroËœndrangheta", pur implicante una posizione di rango elevato nel sodalizio, non e' sufficiente a provare l'effettiva operativita' dell'associazione ed il ruolo ricoperto dal possessore al suo interno, definendone epoca e concreta durata della sua partecipazione (Sez. 6, n. 16543 del 19/01/2021, Barbaro, Rv. 281054 - 01). E' rilevante, dunque, delimitare la tipicita' della condotta di partecipazione verso il "basso", ovvero verso le forme di mera vicinanza o di contiguita' compiacente, penalmente irrilevante, anche sulla base, naturalmente, della prova della condotta processualmente raggiunta, alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso (Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, Di Marco, Rv. 269207: "Ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso (nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che detto ruolo potesse evincersi, sulla base di una valutazione complessiva delle risultanze fattuali, in relazione ad un indagato che, pur non raggiunto da indizi circa la sottoposizione a rituale affiliazione e la commissione di specifici reati-fine, godeva della possibilita' di confrontarsi direttamente con soggetti di comprovata "mafiosita'", frequentava il "luogo di appuntamenti" dei sodali ed intratteneva, con i medesimi, movimentazioni di denaro)". Infatti, nel solco di una interpretazione costituzionalmente orientata verso un "diritto penale del fatto", e non dell"autore', va ribadito il principio secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la mera "contiguita' compiacente", cosi' come la "vicinanza" o "disponibilita'" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all'organizzazione, ove non sia dimostrato che l'asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, Panicola, Rv. 268325; Sez. 1, n. 25799 del 08/01/2015, Di Maio, Rv. 263953). Alla stregua delle coordinate ermeneutiche appena richiamate va dunque operato il sindacato di legittimita' delle singole posizioni processuali in ordine alle quali e' stato proposto ricorso con riferimento ai requisiti ed alla prova della condotta partecipativa. 4. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. Nel rinviare infra p. 2 per l'annullamento senza rinvio in ordine al distinto capo 31, la sentenza impugnata va annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS) anche in relazione al reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso di cui al capo 30. La Corte territoriale ha infatti affermato la responsabilita' penale di (OMISSIS) valorizzando, da un lato, i legami personali e familiari con esponenti, anche apicali, della cosca (OMISSIS) - per avere l'imputato sposato (OMISSIS), sorella di (OMISSIS), dello il (OMISSIS) -, e dall'altro intercettazioni tra terzi che alludevano alla vicenda della separazione dell'odierno ricorrente, per avere tradito la moglie con una donna ( (OMISSIS)) appartenente ad un nucleo familiare sempre gravitante nella consorteria. Tuttavia, nel rilevare che gli unici elementi, non privi di equivocita' probatoria, derivano da conversazioni intercettate tra terze persone, dalla motivazione della Corte territoriale non risulta alcuna condotta partecipativa, alcun contributo alla conservazione o al rafforzamento della consorteria âEuroËœndranghetista. Emergono, di fatto, soltanto relazioni di natura familiare, relative ad una vicenda di natura personale - la rottura del matrimonio tra lo stesso (OMISSIS) e la sorella del capo-cosca (OMISSIS) -, ed ai riflessi, inevitabili, che tale evento aveva comportato sugli equilibri all'interno del gruppo dei (OMISSIS). Tuttavia, la mera conoscenza, da parte del ricorrente, del calibro mafioso di (OMISSIS), detto il (OMISSIS), non puo' avere di per se' significato di intraneita' all'organizzazione; ne' il risentimento di quest'ultimo verso la famiglia (OMISSIS), cui era conseguito l'isolamento dell'odierno ricorrente, poteva riflettersi sulla posizione di costui nel senso di una partecipazione ad un sodalizio mafioso; anche la conversazione del 9 gennaio 2009, dalla quale e' stato ricavato un mutamento degli assetti di potere tra i (OMISSIS) ed i (OMISSIS) ("perche' prima era (OMISSIS) di (OMISSIS) e ora e' (OMISSIS) di (OMISSIS)"), non scioglie l'ambiguita' delle espressioni usate dai conversanti circa l'allontanamento del ricorrente dai (OMISSIS), potendo le stesse spiegarsi nell'ambito di rapporti familiari naturali, incrinati dall'avvenuta rottura tra (OMISSIS) e la moglie. Va pertanto ribadito che la mera "contiguita' compiacente", cosi' come la "vicinanza" o "disponibilita'" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all'organizzazione, ove non sia dimostrato che l'asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria. Sul punto, non appare ridondante evidenziare che questa Corte aveva gia' ritenuto immune da censure il provvedimento che, in fase cautelare, aveva escluso la gravita' indiziaria del reato di partecipazione ad associazione mafiosa (Sez. 5, n. 3870 del 04/10/2016, dep. 2017, (OMISSIS)). Gli altri motivi proposti da (OMISSIS) devono ritenersi assorbiti. 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. La sentenza impugnata va annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso di cui al capo 30. La Corte territoriale ha infatti affermato la responsabilita' penale di (OMISSIS) valorizzando la circostanza che l'imputato fosse l'interlocutore dei lunghi colloqui captati con (OMISSIS), cognato e socio in affari: i due interlocutori parlano delle vicende riguardanti il gruppo calabrese insediato in Canada, esprimono timori sulle rivalita' interne al gruppo "canadese", si riferiscono a personaggi di rilievo della âEuroËœndrangheta fonica, come (OMISSIS), il (OMISSIS), - cognato di (OMISSIS), per avere il fratello (OMISSIS) sposato la sorella del (OMISSIS) -, criticato per avere ordinato di non salutare piu' i (OMISSIS) in seguito alla separazione, e discutono delle dinamiche interne al gruppo "canadese" anche in relazione alla vicenda dell'omicidio (OMISSIS) consumato in Canada; dalle intercettazioni emerge anche l'incontro sul lungomare di (OMISSIS) con (OMISSIS), al quale confida che, terminata la sottoposizione agli obblighi, sarebbe "scappato". Anche in tal caso, tuttavia, gli unici elementi indiziari, desunti da conversazioni intercettate, sottolineano la diretta conoscenza di fatti e persone legate alla consorteria, soprattutto nella sua articolazione canadese, e l'interesse per la ricostruzione degli stessi, senza che, dalla motivazione della Corte territoriale, risulti alcuna condotta partecipativa, alcun contributo alla conservazione o al rafforzamento della consorteria âEuroËœndranghetista. A fondamento dell'affermazione di responsabilita', in altri termini, vengono richiamati esclusivamente dialoghi dell'imputato nel corso dei quali si discute di vicende legate (anche) al gruppo mafioso, ma senza che se ne possa desumere una inequivocabile condotta partecipativa che esuli dalla mera adesione morale, o il riferimento ad attivita' associative illecite. Neppure risulta una dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. "messa a disposizione", che pure sarebbe idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialita' operative e la capacita' di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale. Inoltre, la Corte territoriale, pur richiamando analiticamente i motivi di appello, non ha motivato in ordine al contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione al profilo, devoluto con l'impugnazione, che entrambi i dichiaranti non avrebbero affermato l'appartenenza di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta e che (OMISSIS) avrebbe riferito dell'esistenza di un ramo familiare omonimo insediato in Canada, al quale apparterrebbe il ricorrente, del tutto estraneo alle logiche mafiose. Anche in tal caso emerge, dunque, una mera "contiguita' compiacente", una "vicinanza" o "disponibilita'" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, che non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare la condotta di partecipazione all'organizzazione, ove non sia dimostrato che l'asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria. Gli altri motivi proposti da (OMISSIS) devono ritenersi assorbiti. 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. Condannato a 8 anni di reclusione per concorso esterno nel reato associativo di cui al capo 30, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per ragioni analoghe concernenti il vizio di motivazione. La Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita', riqualificando la condotta come concorso esterno, e non come partecipazione, valorizzando la presenza del (OMISSIS) alle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la consapevolezza dei loro "traffici" illeciti, soprattutto nel settore degli stupefacenti, desunta dai continuativi rapporti di collaborazione con il (OMISSIS), e dalle sue ammissioni in ordine alle attivita' truffaldine o di evasione fiscale, e l'interesse per la buona riuscita dell'operazione della ricettazione della cioccolata (OMISSIS). Al riguardo, va premesso che (OMISSIS) - al quale era originariamente contestata la partecipazione alla cosca (OMISSIS), in quanto coadiuvava (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle attivita' illecite del sodalizio era collaboratore dei (OMISSIS) nel commercio internazionale di fiori, e percio' frequentava i locali della (OMISSIS) in Olanda, dove sono state captate le conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS); ebbene, nel rinviare infra p. 5 per la insufficienza dimostrativa dei dialoghi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) a delineare un contributo efficiente al sodalizio mafioso, e nel sottolineare che (OMISSIS) risulta essere stato soltanto presente ad essi, va evidenziato che la motivazione della Corte territoriale non risulta appagante nel delineare, in termini fattuali, un contributo efficiente e causale per la conservazione e il rafforzamento del sodalizio mafioso. La Corte territoriale, infatti, evidenzia "la vicinanza a soggetti accoscati" (p. 900), senza tuttavia delineare il contributo causale fornito al sodalizio; contributo che neppure puo' essere desunto da altre attivita' illecite (traffico di stupefacenti dietro lo schermo del commercio floreale, frodi fiscali, ecc.) - alle quali (OMISSIS) avrebbe partecipato, o delle quali sarebbe stato a conoscenza - estranee all'oggetto sociale della cosca di âEuroËœndrangheta; anche l'interesse alla riuscita dell'operazione della ricettazione della cioccolata Lindt non appare indice di un contributo - sia pur nei termini di un concorso esterno - all'attivita' del sodalizio mafioso, ove si consideri che (OMISSIS) non e' imputato del reato di cui al capo 31, e che - sia pur con riferimento al solo (OMISSIS), con motivazione contraddetta in relazione agli altri coimputati - l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso e' stata esclusa, sul rilievo che non vi fosse prova che la ricettazione di cioccolata fosse diretta a favorire il perseguimento degli scopi illeciti dell'associazione. Del resto, (OMISSIS) risulta, secondo la contestazione, figura adiacente a quella di (OMISSIS), nei confronti del quale pure e' stata annullata con rinvio la sentenza impugnata. Va aggiunto che il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso non puo' ritenersi un minus rispetto alla condotta partecipativa, quasi che occorresse uno standard probatorio meno stringente; si tratta, invece, di una condotta diversa, che comunque non puo' prescindere dalla prova di un contributo causale, a maggior ragione per l'assenza dell'affectio societatis che connota invece la partecipazione. Al riguardo, le Sezioni Unite "Mannino" hanno chiarito che, in tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'"affectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "Cosa nostra", di un suo particolare settore e ramo di attivita' o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671). Pertanto, la partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi fra loro, in quanto la condotta associativa implica la conclusione di un "pactum sceleris" fra il singolo e l'organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo sociale, con la volonta' di appartenere al gruppo, e l'organizzazione lo riconosce ed include nella propria struttura, anche "per facta concludentia" e senza necessita' di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente esterno e' estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione, ovvero di un suo particolare settore di attivita' o articolazione territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. 6, n. 16958 del 08/01/2014, Costantino, Rv. 261475, che, in motivazione, ha chiarito che un unico percorso motivazionale non puo' essere fungibilmente riferito all'una o all'altra delle due fattispecie, che si pongono in rapporto di alternativita' fra loro). I residui motivi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono assorbiti. 7. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 8 anni di reclusione per concorso esterno nel reato associativo di cui al capo 30 -, e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. La sentenza impugnata va annullata con rinvio per ragioni analoghe a quelle di (OMISSIS), concernenti il vizio di motivazione. La Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita', tuttavia riqualificando la condotta come concorso esterno, e non come partecipazione al reato di associazione mafiosa denominata âEuroËœndrangheta, operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, ed in particolare alla sua articolazione denominata "locale" di (OMISSIS), facente capo alla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS). L'affermazione di responsabilita' e' stata fondata sulla conversazione del 20 febbraio 2013, avvenuta all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), nel corso della quale il fratello (OMISSIS) - promotore ed organizzatore del sodalizio, da poco scarcerato -, chiedeva all'imputato, in ragione dei buoni rapporti commerciali con la societa' dell'ex senatore (OMISSIS), un intervento di quest'ultimo per ottenere il ridimensionamento in appello della pesante condanna inflitta in primo grado ad (OMISSIS) (capocosca, condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione per associazione mafiosa ed altri delitti), trovando la pronta adesione dell' (OMISSIS), resosi disponibile a formulare la richiesta allo (OMISSIS) nella consapevolezza della possibilita' e del potere di intervento di quest'ultimo, che aveva gia' posto in essere interventi analoghi, nonche' nella consapevolezza del ruolo apicale dell' (OMISSIS) e dell'interesse del sodalizio alla sorte di questi. Va innanzitutto evidenziato che l'affermazione di responsabilita' ha circoscritto la partecipazione concorsuale all'associazione mafiosa, facente capo alle famiglie (OMISSIS)- (OMISSIS), all'episodio emerso nel corso della conversazione del 20 febbraio 2013, captata all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), ed intercorsa tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e l'imputato. La Corte territoriale ha fondato su quest'unico episodio l'affermazione di responsabilita', in ragione della rilevanza degli elementi ricavabili dalla conversazione intercettata, in quanto il colloquio avviene con un esponente apicale del sodalizio, (OMISSIS), che, appena scarcerato, aveva ripreso in mano le redini dell'associazione, occupandosi dei rapporti con le altre cosche, del narcotraffico e degli affari, della situazione interna del gruppo, pretendendo informazioni sulla gestione del patrimonio e degli investimenti immobiliari e convocando i sodali. Tramite il (OMISSIS), fidanzato della figlia del capocosca (OMISSIS), (OMISSIS) aveva convocato (OMISSIS) e gli aveva esposto in termini chiari l'esigenza di un intervento corruttivo sui giudici della Corte d'appello per ottenere il ridimensionamento della pena inflitta in primo grado ad (OMISSIS), condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria per associazione mafiosa alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione: in particolare, gli aveva chiesto in modo esplicito di parlarne con l'ex onorevole (OMISSIS), con il quale l' (OMISSIS) era in rapporti imprenditoriali, per tentare, tramite questi, di influire sui giudici, che avrebbero trattato il processo in grado di appello. All'evidenza il colloquio, riportato nella sentenza impugnata, da' conto della fiducia riposta dal (OMISSIS) nell'imputato, che risulta perfettamente a conoscenza della posizione apicale dell'interlocutore e del soggetto da favorire (il (OMISSIS) gli dice chiaramente che "li' e' la mamma di tutti, sono tutti figliocci suoi, sono tutti sotto di lui; qua senza di lui siamo rovinati"), nonche' della posizione di altri componenti del sodalizio, della cui sorte il (OMISSIS) non si preoccupa, anche perche' condannati a pene piu' miti, in gran parte gia' scontate; dimostra che l' (OMISSIS) sa del potere di influenza del senatore, gia' attivatosi in precedenti occasioni per interventi analoghi, ed in buoni rapporti con la âEuroËœndrangheta, dalla quale aveva ricevuto favori, ed il (OMISSIS), che, sottolineando l'indispensabilita' di tali rapporti per mantenere certi equilibri, lo sollecita a riferire allo (OMISSIS) della loro disponibilita' ad aiutarlo in caso di bisogno (se dice "ho bisogno di... in caso pure qua", poi uno vede di impegnarsi", "l'impossibile da parte nostra vediamo quello che.. lo possiamo servire in tutti i modi se ci aiuta su questo fatto di (OMISSIS) ci vendiamo pure l'anima al diavolo"); dimostra ancora che l'imputato e' pronto e disponibile a parlare con l'ex senatore, garantendo che questi si e' sempre interessato di queste cose. Dalle indagini emergeva che (OMISSIS) si era recato il 15 marzo 2013 presso la sede della societa' (OMISSIS) s.p.a., dell'ex senatore (OMISSIS), anche se non vi e' prova che abbia incontrato proprio lo (OMISSIS), ne' di quanto si siano effettivamente detti, ne' dell'effettivo espletamento dell'incarico affidatogli e dell'eventuale interessamento del politico nel senso richiesto. Tanto premesso, la motivazione della Corte territoriale non appare persuasiva non solo per l'unicita' dell'episodio, privo di riscontro, ma soprattutto, per l'assenza di ulteriori elementi fattuali, emergenti dal testo della sentenza impugnata, indicativi di una stabile appartenenza al sodalizio o, comunque, di un contributo concorsuale occasionale (secondo la riqualificazione dei fatti operata dalla Corte territoriale); la sentenza impugnata, al contrario, afferma che "e' sufficiente il suo atteggiamento verso la proposta di corruzione in atti giudiziari esplicitamente sollecitata da (OMISSIS) (...) che dimostrano convergenza di interessi, pronta e totale disponibilita' a fornire alla cosca informazioni ed appoggi" (p. 774). La motivazione, che sembrerebbe piu' aderente ad una condotta partecipativa, che non ad un concorso esterno, appare lacunosa, non evidenziando il contributo effettivamente prestato dall'imputato alla vita e al rafforzamento del sodalizio mafioso, ed accontentandosi di una mera manifestazione di disponibilita' ad attivarsi in favore di un capo-cosca, sulla base del solo atteggiamento adesivo. Pur valorizzandosi la provenienza della richiesta da un esponente apicale del sodalizio e l'importanza del favore per la vita dell'organizzazione, e pur considerando che, trattandosi di una richiesta illecita, certamente non poteva essere rivolta ad un soggetto men che fidato, sulla cui disponibilita' e riservatezza assoluta si poteva fare affidamento, tali elementi, in assenza di altri dati di fatto, risultano insufficienti per fondare l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo - a maggior ragione nella sua qualificazione concorsuale, e non partecipativa -, atteso che la consapevolezza dell' (OMISSIS) dell'esistenza del sodalizio, del ruolo apicale del (OMISSIS) e dell' (OMISSIS) e dei rapporti del politico con la âEuroËœndrangheta non puo' ritenersi patrimonio di informazioni esclusivo di un sodale in un ambiente circoscritto e ad alta densita' mafiosa, come quello accertato, specie avuto riguardo ai rapporti commerciali dell'imputato con la societa' dello (OMISSIS), nonche' con il (OMISSIS), lo (OMISSIS) e (OMISSIS). Dato il contesto ambientale ed i rapporti commerciali esistenti con appartenenti al sodalizio, la mera disponibilita' dell'imputato a veicolare la richiesta, emersa nella vicenda in esame, risulta insufficiente a provare il contributo effettivo alla vita ed al mantenimento del sodalizio mafioso necessario per configurare il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso. Anche in tal caso, premesso che il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso non puo' ritenersi un minus rispetto alla condotta partecipativa, quasi che occorresse uno standard probatorio meno stringente, trattandosi, invece, di una condotta diversa, che comunque non puo' prescindere dalla prova di un contributo causale, a maggior ragione per l'assenza dell'affectio societatis che connota invece la partecipazione, va ribadito che la "mera contiguita' compiacente", la "vicinanza" o "disponibilita'" nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio mafioso, non qualificano la condotta del partecipe (in termini, Sez. 5, n. 12679 del 24/01/2007, Mercadante, Rv. 235986), ne' del concorrente âEuroËœesterno'. Va, inoltre, ribadito il principio secondo cui la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d'affari, ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di per se' sintomatici dell'appartenenza all'associazione, ma possono essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell'articolo 192, comma 3, c.p.p., quando risultino qualificati da una abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante (Sez. F, n. 38881 del 30/07/2015, Salerno, Rv. 264515; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, dep. 08/03/2012, Biondo, Rv. 252281). Sul punto, non appare ridondante evidenziare che questa Corte aveva gia' ritenuto immune da censure il provvedimento che, in fase cautelare, aveva escluso la gravita' indiziaria del reato di partecipazione ad associazione mafiosa (Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, (OMISSIS), Rv. 267418, che, nel ribadire che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, ha ritenuto insufficiente, al fine di dimostrare l'adesione dell'indagato al sodalizio criminale e, quindi, la sua permanente e stabile messa a disposizione per il perseguimento dello scopo sociale, l'esistenza di un'unica conversazione oggetto di intercettazione ambientale, rimasta priva di riscontri, nel corso della quale l'indagato si era impegnato, nei confronti di uno dei promotori ed organizzatori del sodalizio criminale, a sollecitare l'intervento di un ex parlamentare, con cui lo stesso indagato era in rapporti di affari, allo scopo di influire sui giudici di appello per ottenere il ridimensionamento della pena inflitta in primo grado ad un esponente di spicco dell'organizzazione). I residui motivi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono assorbiti. 8. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 -, e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. 8.1. Il primo motivo, con cui eccepisce la violazione dell'articolo 169 c.p.p., e' inammissibile, in quanto privo di specificita', avendo omesso di allegare la comunicazione prevista per le notificazioni all'imputato all'estero. Pur trattandosi di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione e' anche giudice del fatto, potendo accedere agli atti processuali, il ricorrente non ha indicato specificamente la collocazione dell'atto asseritamente nullo - che, peraltro, risalendo alla fase delle indagini preliminari, secondo le deduzioni difensive, non risulta acquisito al fascicolo processuale trasmesso a questa Corte -, ne' tanto meno lo ha allegato al ricorso. Al riguardo, giova rammentare il principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullita' o inutilizzabilita' collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perche' appartenenti ad altro procedimento o anche - qualora si proceda con le forme del dibattimento - al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l'eccezione si accompagna l'ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali - positive o negative - addotte a fondamento del vizio processuale (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329). 8.2. E' invece fondato il terzo motivo. Prescindendo dalla generica e laconica doglianza concernente la struttura dell'associazione mafiosa, che non appare peraltro seriamente suscettibile di messa in discussione, va rilevato che la sentenza impugnata presenta profili di carenza motivazionale che fondano un annullamento con rinvio. (OMISSIS) (c. 56) e', infatti, ritenuto partecipe, con funzioni apicali, della cosca (OMISSIS) di (OMISSIS), ed in particolare dell'articolazione insediata a Toronto, in Canada; tuttavia, tale partecipazione qualificata e' basata sulla mera ricostruzione delle ascendenze familiari dell'imputato - figlio e nipote di due capi della cosca risultata vincitrice della faida con i (OMISSIS) -, e sui contenuti delle conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS), con i reiterati riferimento a "(OMISSIS)", e agli interventi di costui nelle controversie canadesi seguite alla vicenda (OMISSIS). Va tuttavia rilevato che la sentenza appare del tutto priva di motivazione (limitandosi ad un ellittico, quanto generico, riferimento a precedenti sentenze irrevocabili) in ordine al profilo - devoluto con i motivi di appello, ed evidentemente decisivo ai fini dell'affermazione di responsabilita' - della individuazione dell'odierno ricorrente come "(OMISSIS)"; ma la sentenza appare altresi' carente nella individuazione del contributo causale alla vita del sodalizio mafioso, limitandosi a richiamare, peraltro in maniera eccessivamente laconica, estratti delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dalle quali, oltre ad un âEuroËœruolo' statico di referente per le dinamiche del gruppo canadese, non emerge quel contributo effettivo e causale che necessariamente deve connotare, a livello di piattaforma probatoria, la partecipazione ad una associazione mafiosa, a maggior ragione con funzioni apicali. In altri termini, l'affermazione di responsabilita' risulta fondata sulle ascendenze familiari e su una conversazione tra terzi, il cui contenuto non appare dotato - almeno nei richiami operati dalla sentenza impugnata - di univocita' e idoneita' dimostrativa di una condotta partecipativa effettiva e causale. Al riguardo, va rammentato quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite âEuroËœModaffari', secondo cui "l'opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa "fa parte" di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 1, non puo' pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell'organizzazione criminosa" (p. 11.2). Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. 9. Il ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) - condannati a 10 anni e 6 mesi di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per il reato di ricettazione di cui al capo 31 -, e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. 9.1. Il primo motivo, con cui si eccepisce la nullita' della sentenza per il difetto della estradizione, e' inammissibile, in quanto privo di specificita', avendo omesso di allegare gli atti necessari per l'esame della doglianza, proposta sotto il profilo del principio di specialita'. Pur trattandosi di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione e' anche giudice del fatto, potendo accedere agli atti processuali, i ricorrenti non hanno indicato specificamente la collocazione della richiesta di estradizione (non ancora ottenuta), ne' tanto meno l'hanno allegata al ricorso, non consentendo di apprezzare la necessita' del rispetto del principio di specialita' e la sua asserita violazione. Del resto, correttamente la Corte territoriale ha rigettato l'eccezione, rilevando che, in mancanza della consegna, il principio di specialita' non trova applicazione. 9.2. Anche il secondo motivo, con cui eccepisce la violazione dell'articolo 169 c.p.p., e' inammissibile, in quanto privo di specificita', avendo omesso di allegare la comunicazione prevista per le notificazioni all'imputato all'estero. Nel rinviare a quanto gia' evidenziato infra p. 8.1., pur trattandosi di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione e' anche giudice del fatto, potendo accedere agli atti processuali, i ricorrenti non hanno indicato specificamente la collocazione dell'atto asseritamente nullo - che, peraltro, risalendo alla fase delle indagini preliminari, secondo le deduzioni difensive, non risulta acquisito al fascicolo processuale trasmesso a questa Corte -, ne' tanto meno lo hanno allegato al ricorso. 9.3. E' invece fondato il quarto motivo. La Corte territoriale ha affermato la responsabilita' dei fratelli (OMISSIS), quali membri di vertice del gruppo "canadese" insediato a Toronto sulla base delle conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nei locali olandesi della (OMISSIS), e dei continui riferimenti ad " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)", o ai " (OMISSIS)". La sentenza impugnata risulta tuttavia carente sotto un duplice profilo, oggetto di specifica devoluzione con i motivi di appello, concernente, da un lato, la identificazione di " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)" negli odierni ricorrenti, e, dall'altro, l'individuazione del contributo causale, effettivo e concreto, fornito al sodalizio mafioso. Quanto al profilo della individuazione degli odierni ricorrenti quali partecipi del sodalizio mafioso, oltre che autori della ricettazione di cui al capo 31, la sentenza impugnata identifica i germani (OMISSIS) con l' (OMISSIS) ed il (OMISSIS) menzionati nelle conversazioni intrattenute tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) in Olanda quali (tra l'altro) partecipi del gruppo "canadese" e destinatari di una parte del quantitativo di cioccolata rubato sulla base di una serie di indici esterni, nonche' del fatto che nel corso delle suddette conversazioni, oltre che ricorrendo ai loro nomi di battesimo, gli stessi verrebbero evocati mediante l'appellativo con il quale sarebbero comunemente noti (i " (OMISSIS)"). Al riguardo, giova rilevare che questa Corte, decidendo il ricorso proposto dai fratelli (OMISSIS) in sede cautelare (Sez. 5, n. 570 del 08/11/2016, dep. 2017, Figliomeni, Rv. 268599), ha annullato con rinvio, rilevando, con considerazioni che questo Collegio condivide, e che appaiono replicabili nella presente sede, quanto segue: "Quanto ai suddetti indici esterni, il Tribunale si limita pero' alla loro enunciazione, senza spiegare le ragioni della loro funzionalita' rispetto all'obiettivo probatorio perseguito. Ed infatti che gli indagati siano intestatari od utilizzatori delle due utenze telefoniche canadesi menzionate nella motivazione dell'ordinanza e' circostanza di cui non e' possibile valutare la rilevanza posto che alcuna intercettazione effettuata sulle medesime ed eventualmente pertinente alla presente vicenda viene riportata o menzionata dai giudici del riesame. Parimenti, gli ulteriori elementi descritti (la partecipazione ai funerali del "boss" (OMISSIS) assassinato in territorio canadese e i precedenti giudiziari e di polizia dei (OMISSIS)) possono al piu' costituire indizi dell'appartenenza degli indagati all'ambiente ndranghetista, ma ancora non consentono di collegarli al contenuto delle ambientali menzionate. Il provvedimento impugnato sembrerebbe poi aver attribuito valore indiziario alle evocate circostanze nella misura in cui le stesse convergerebbero con gli altri due elementi di cui si e' detto a restringere il "campo" dei soggetti cui si riferivano il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso delle loro conversazioni (il condizionale e' d'obbligo, giacche' tale sviluppo argomentativo non viene esplicitato dai giudici del riesame, che si limita ad esporre i fatti menzionati). Ora non e' dubbio che l'evocazione di " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)" nelle suddette conversazioni costituisca un dato indiziante (posto che questi sono effettivamente i nomi di battesimo degli indagati), non pero' sufficiente a connotare della necessaria gravita' il compendio probatorio sul punto, posto che i suddetti nomi vengono evocati in maniera autonoma ed in momenti diversi delle conversazioni e che effettivamente nelle stesse (come osservato a p. 20 del ricorso) si fa riferimento al tentativo del (OMISSIS) di incontrare il (OMISSIS) il giorno precedente, circostanza apparentemente incompatibile con il fatto che il primo si trovasse in Olanda ed il secondo probabilmente in Canada. Centrale allora, nell'economia della motivazione dell'ordinanza, appare il fatto che i conversanti ripetutamente associno " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)" all'appellativo " (OMISSIS)". Che pero' tale appellativo effettivamente li identifichi e' circostanza solo affermata dal Tribunale, ma non anche dimostrata in maniera inequivoca. Infatti a p. 13 dell'ordinanza viene ricordato come nel 2014 una sentenza di Tribunale di Locri abbia accertato l'appartenenza dei fratelli (OMISSIS) al c.d. "(OMISSIS)" e nell'occasione viene menzionato il fatto che gli stessi sarebbero noti, per l'appunto, come "i (OMISSIS)", ma non e' precisato se tale ultimo dato sia stato ricavato dalla suddetta pronunzia e comunque quale sarebbe la sua fonte probatoria. Cio' rivela una esiziale lacuna dell'apparato giustificativo del provvedimento impugnato che ne mina la tenuta, posto che se non si puo' ritenere certo il significato indiziante del dato identificativo viene meno il primo presupposto della gravita' degli indizi di colpevolezza e cioe' l'identita' tra gli autori del reato contestato e i soggetti destinatari dell'intervento cautelare". Il profilo della identificazione degli odierni ricorrenti non appare risolto dal richiamo, operato dalla sentenza impugnata, all'accertamento (contenuto nella sentenza c.d. "(OMISSIS)") che (OMISSIS) era legato, quale affiliato, alla cosca mafiosa dei (OMISSIS), che aveva stabilito una "filiale" a (OMISSIS), ovvero alla partecipazione di (OMISSIS) ad un pranzo per il sostegno elettorale della cosca ad un candidato, tenutosi a (OMISSIS) il 18/05/2010; ne' appare assorbente la improbabilita' statistica di un riferimento reiterato ad entrambi i nomi nello stesso contesto di tempo e di luogo, soprattutto quando il riferimento alla scarsa riservatezza dei germani nelle carceri risulta contraddetto dal rilievo che (OMISSIS) e' incensurato e (OMISSIS) ha cessato lo stato di detenzione nel 1992. Quanto alla individuazione del contributo partecipativo, la sentenza risulta ancor piu' carente, in quanto si limita a richiamare estratti, peraltro non particolarmente significativi, delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui, discutendo delle vicende del "gruppo canadese" e dei contrasti ivi insorti, vengono evocati "Angelino" e "Cosimello", o i " (OMISSIS)", senza che, tuttavia, venga delineato il contributo effettivo e causale alla vita e/o al rafforzamento del sodalizio mafioso. 9.4. Sono altresi' fondati i motivi concernenti il reato di ricettazione di cui al capo 31 in relazione alla sussistenza del dolo. Al riguardo, oltre al profilo (gia' evidenziato supra p. 9.3.) della individuazione, va rilevato che la sentenza impugnata ha omesso di motivare in merito alla consapevolezza, da parte dei fratelli (OMISSIS) - qualora fossero loro i "ricettatori" di una parte della cioccolata -, della provenienza furtiva della merce. In assenza di intercettazioni dirette, infatti, anche in relazione a tale capo di imputazione l'affermazione di responsabilita' e' fondata esclusivamente sulle conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS); tuttavia, poiche', secondo la ricostruzione dei fatti accertata, (OMISSIS) aveva originariamente ricevuto la cioccolata rubata, per poi cederne una parte ai figli Francesco e (OMISSIS) in Canada, i quali, a loro volta, l'avrebbero ceduta, in parte, ai fratelli (OMISSIS), la Corte territoriale non ha motivato in merito al dolo della ricettazione, sotto il profilo della consapevolezza, da parte dei âEuroËœricettatori di 3 grado', della provenienza furtiva della merce. 9.5. Assorbiti gli ulteriori motivi, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. 10. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), due reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 12 e 14), e di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata dai (OMISSIS) (capo 30) -, e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. 10.1. Il primo motivo, concernente la partecipazione all'associazione finalizzata al narcotraffico (capo 1), e' inammissibile, perche', oltre ad essere del tutto generico, non confrontandosi concretamente con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata, sul punto ampiamente motivata, propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606, lettera e), c.p.p. ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla prova della partecipazione al sodalizio finalizzato al narcotraffico, e dunque coinvolto nel traffico di stupefacenti, ed alla valenza probatoria delle intercettazioni e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta', evidenziando che la partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio criminale e' fondato sul contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che aveva riferito dei contatti intrattenuti con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ed era stato riscontrato da una serie di elementi (tra cui il rinvenimento di una microspia ambientale in un decoder (OMISSIS) in casa di (OMISSIS)), e su una serie di conversazioni intercettate, contenenti riferimenti univoci a sostanze stupefacenti e da taglio ed a pagamenti, dotate di autonoma valenza probatoria (richiamate da p. 236 a p. 250): tra queste, spicca per l'idoneita' dimostrativa, la conversazione del 22/01/2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che delinea una sorta di organigramma del sodalizio ("a me non le deve dire le cose (OMISSIS), a me tu me le devi dire, no (OMISSIS)...mancando lo e (OMISSIS), il punto di riferimento sei o u o Vice"), nel quale (OMISSIS) risulta sottordinato a (OMISSIS). Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). 10.2. E', invece, fondato il motivo concernente le aggravanti dell'associazione finalizzata al narcotraffico. L'aggravante della disponibilita' di armi, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, e' stata infatti riconosciuta sulla base della mera appartenenza dell'imputato all'associazione di tipo mafioso di cui al capo 30, che, come si dira', e' stata oggetto di annullamento; analoga motivazione e' stata posta a fondamento dell'aggravante dell'agevolazione di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, (ora articolo 416 bis.1 c.p.), sul rilievo che percio' il traffico di droga ed i relativi proventi fossero finalizzati ad agevolare le cosche della zona fonica del reggino. Essendo venuto meno il presupposto della partecipazione all'associazione di tipo mafioso, ed essendo la motivazione calibrata su un ragionamento congetturale, la sentenza impugnata va dunque annullata, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alle aggravanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, e all'articolo 416 bis.1 c.p., contestate in riferimento al reato di cui al capo 1. 10-3. E', analogamente, fondato il motivo concernente il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 30. Al riguardo, infatti, la partecipazione del (OMISSIS) e' stata affermata sulla base del suo coinvolgimento nelle attivita' del sodalizio dedito al narcotraffico, in considerazione della parziale corrispondenza e coincidenza del vertice ( (OMISSIS)). Tuttavia, se i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883), va tuttavia precisato che l'elemento che caratterizza l'associazione di tipo mafioso rispetto all'associazione dedita al narcotraffico e' costituito dal profilo programmatico dell'utilizzo del metodo, che, nell'associazione di cui all'articolo 416 bis c.p., si estrinseca nell'imposizione di una sfera di dominio sul territorio, con un'operativita' non limitata al traffico di sostanze stupefacenti, ma estesa a svariati settori, in cui si inseriscono l'acquisizione della gestione o del controllo di attivita' economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici, l'impedimento al libero esercizio del voto, il procacciamento di voti in occasione delle consultazioni elettorali (Sez. 6, n. 31908 del 14/05/2019, Perrone, Rv. 276469, che, in motivazione, ha precisato che e' configurabile il concorso tra i due delitti quando il sodalizio mafioso strutturi al proprio interno un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico). Nel caso in esame, la Corte territoriale ha affermato il concorso tra i due reati associativi alla stregua di un non consentito automatismo, senza valutare la sussistenza dei presupposti per l'affermazione della partecipazione anche al sodalizio di tipo mafioso; non e' stato affermato, infatti, che il narcotraffico gestito dal sodalizio di cui al capo 1 costituisse un asset, un oggetto sociale precipuo, del sodalizio mafioso, ma soprattutto non sono emersi elementi tali da enucleare una condotta partecipativa del (OMISSIS) all'associazione âEuroËœndranghetistica di cui al capo 30; in tal senso non rilevando, quale prova di un contributo effettivo e causale, le pressioni per la partecipazione ai funerali di (OMISSIS), o la spedizione punitiva alla quale avrebbe partecipato anche " (OMISSIS)", senza che sia certa l'individuazione di costui e la finalita' della "spedizione", considerando altresi' le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che non ha saputo riferire in merito all'appartenenza dell'imputato anche alla âEuroËœndrangheta. La sentenza impugnata va dunque annullata, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 30, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. 10.4. Il motivo concernente il reato di traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo 12 e' inammissibile, perche' propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta', evidenziando le molteplici conversazioni intercettate, dalle quali si desume il coinvolgimento diretto del (OMISSIS) negli acquisti, e nelle successive rivendite, di diversi tipi di sostanze stupefacenti (cocaina, marijuana), per gli espliciti riferimenti ai prezzi al kg., alle sostanze "da taglio"; il riscontro fornito dagli esiti della perquisizione eseguita in occasione dell'arresto di (OMISSIS), in data 25 marzo 2015, non risulta sminuito dall'asserito lungo lasso temporale, ove si consideri che l'imputazione ha ad oggetto una serie di condotte di acquisto e successiva rivendita, e non soltanto quella a cui gli interlocutori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) fanno riferimento nella conversazione del 17 gennaio 2014; peraltro, sul punto la Corte territoriale ha fornito una motivazione congrua, ed immune da censure di illogicita'. 10.5. E', invece, fondato il motivo concernente il reato di traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo 14, concernente l'importazione di 800 kg. di hashish dal nord Africa. La sentenza impugnata, infatti, pur richiamando le conversazioni captate nell'aprile del 2014, che danno conto "di un'operazione di importazione dal nord-Africa non condotta a termine, per esserne falliti due tentativi", nondimeno afferma la responsabilita' penale di (OMISSIS) sulla base di un ragionamento del tutto congetturale, sostenendo che "il contrasto non esiste perche' e' ben possibile, anzi piu' che plausibile, stante il tenore dell'ultimo dialogo captato in proposito tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (dove costui ha indicato la via piu' efficace da seguire per potere ottenere l'appoggio effettivo dei "siciliani" e attuare la programmata importazione), che, dopo i due fallimenti, l'operazione sia stata finalmente portata a compimento" (p. 568). Al riguardo, va rammentato che, in tema di prova, gli "indizi", suscettibili di valutazione ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il "sospetto" si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l'indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative - ed anche contrapposte - ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova (Sez. 5, n. 5209 del 11/12/2020, dep. 2021, Ottino, Rv. 280408 - 02; Sez. 5, n. 17231 del 17/01/2020, Mazza, Rv. 279168). 10.6. Premesso che i motivi nuovi depositati si limitano ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che precedono, e assorbiti gli ulteriori motivi, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (OMISSIS), con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame sui punti evidenziati. 11. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 8 anni 10 mesi e 20 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), e tre reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 2, 4 e 15) -, e' fondato nei limiti di cui alla motivazione. 11.1. Il primo motivo, concernente la partecipazione all'associazione finalizzata al narcotraffico (capo 1), e' inammissibile, perche', oltre ad essere del tutto generico, non confrontandosi concretamente con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata, sul punto ampiamente motivata, propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla sussistenza del reato associativo ed alla prova della partecipazione al sodalizio finalizzato al narcotraffico, ed alla valenza probatoria delle intercettazioni e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta'. Quanto alla sussistenza del reato associativo, e non di un mero concorso di persone, premesso che l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550, che, in motivazione, ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo, poiche', solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie), la sentenza impugnata ha ampiamente motivato in ordine alla struttura organizzativa ed alla permanenza del vincolo associativo, dimostrata altresi' dalla commissione di diversi reati-fine. Quanto alla partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio criminale, premesso che doglianze sono rivolte ad una mera contestazione della idoneita' dimostrativa, sul rilievo che si tratterebbe di condotte circoscritte nel tempo, provate da un numero esiguo di intercettazioni, va evidenziato che l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo 1 e' fondata su una serie di conversazioni - analiticamente richiamate e valutate da p. 87 a p. 98 -, dalle quali si desumono i reiterati viaggi verso la Sicilia, gli stretti contatti con (OMISSIS), l'invio di (OMISSIS) presso altre persone per riscuotere i crediti, il coinvolgimento nelle vicende associative (come quando l'imputato manifesta a (OMISSIS) la doglianza di (OMISSIS) per l'ammanco di sostanza stupefacente, a dimostrazione della natura collettiva, e non individuale, della sua partecipazione). Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). 11.2. E', invece, fondato il motivo concernente l'aggravante dell'agevolazione di cui all'articolo 416 bis.1 c.p., con riferimento al reato di cui al capo 15. Invero, l'aggravante e' stata esclusa, nei confronti di (OMISSIS), sia con riferimento al reato associativo (p. 100), sia con riferimento agli reati-fine per i quali e' stato condannato; contraddittoriamente la sentenza impugnata ha invece affermato la sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione di un sodalizio mafioso con riferimento al solo reato-fine di cui al capo 15 (p. 596). 11.3. Il motivo con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e' inammissibile, perche' del tutto generico. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 11.4. La sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'articolo 416 bis.1 c.p., contestato in riferimento al reato di cui al capo 15, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame, anche in relazione al trattamento sanzionatorio. Il ricorso va rigettato nel resto. 12. La sentenza impugnata va annullata con rinvio anche con riferimento al reato di cui all'articolo 512 bis c.p., di cui al capo 27, nei confronti di (OMISSIS) - condannato a 2 anni di reclusione per il reato di cui al capo 27 -, nonche' nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), i cui ricorsi, per la sovrapponibilita' delle questioni concernenti il reato in esame, meritano una valutazione congiunta (limitatamente al capo in esame). La Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita' per il reato di trasferimento fraudolento di beni, escludendo l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, in relazione alla cessione della rivendita di tabacchi ubicata a (OMISSIS), a (OMISSIS) a (OMISSIS). In particolare, secondo la ricostruzione dei fatti accertata sulla base del contenuto di una serie di intercettazioni - ed in particolare della conversazione del 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) -, e' emerso che i (OMISSIS), da sempre interessati alla gestione del "tabacchino", in quanto originariamente nella titolarita' del padre, lo avevano intestato al cognato di (OMISSIS) - (OMISSIS) -, che lo gestiva insieme al fratello (OMISSIS); i (OMISSIS) avevano riacquistato il "tabacchino" in una logica estranea al contesto associativo, bensi' per onorare la memoria del padre, e attribuire una fonte di reddito alla madre; tuttavia, secondo quanto spiegato da (OMISSIS) a (OMISSIS), che aveva esternato lamentele a proposito della mancata condivisione dei profitti, (OMISSIS) aveva manifestato il proposito di cedere il tabacchino, e glielo aveva comunicato recandosi nel luogo ove trascorreva la latitanza; (OMISSIS) si era pero' opposto a tale proposta, e aveva convocato il cognato finanche in carcere. Cio' posto, risulta che il tabacchino e' stato ceduto, con atto notarile del 20 aprile 2015, a (OMISSIS), che gia' lo gestiva di fatto da circa due anni. Tanto premesso, la sentenza impugnata presenta profili di illogicita', e deve essere pertanto annullata con rinvio pe nuovo esame sul punto. Invero, premesso che il delitto di trasferimento fraudolento di valori (gia' previsto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12 quinquies, conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356, e ora dall'articolo 512 bis c.p.) integra un'ipotesi di reato a forma libera, istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene realizzata consapevolmente la difformita' tra titolarita' formale e apparente e titolarita' di fatto dei beni, con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648 bis e 648 ter c.p., (Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto, Rv. 276199), dalla ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito puo' ritenersi provato il trasferimento fraudolento di beni in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), ma non altresi' quello in favore di (OMISSIS). Al riguardo, infatti, premesso che le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) - secondo cui il tabacchino sarebbe stato comprato da (OMISSIS) con il ricavato della vendita di 700 kg. di hashish - non risultano riscontrate, tanto che (OMISSIS) e' stato assolto in relazione al reato di cui al capo 27, va evidenziato che la principale fonte di prova e' costituita dalla conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) intercettata il 22 gennaio 2013; ebbene, da tale eloquente conversazione si evince appunto che la titolarita' formale del bene e' stata attribuita a (OMISSIS) e (OMISSIS), ma non e' dato evincere che la stessa sia stata, peraltro due anni dopo, attribuita a (OMISSIS). Se e' vero che i (OMISSIS) erano storicamente interessati al tabacchino, il ragionamento della Corte territoriale assume cadenze congetturali, nella parte in cui afferma che "la vicenda commerciale, cosi' come emerge dalle parole di (OMISSIS), e' dunque stata sempre diretta e condotta dalla famiglia (OMISSIS) e, una volta scarcerato il predetto, si puo' ritenere provato, in base al dato logico e presuntivo, che l'uomo abbia fatto ricorso alla persona di (OMISSIS) (apparentemente terzo estraneo, ma in realta' fratello di (OMISSIS), amico e sodale dei (OMISSIS)) per creare una continuita' nell'apparenza gestionale, nel contempo liberando gli (OMISSIS) anche dagli impegni economici divenutigli gravosi" (p. 701). Il "dato logico e presuntivo" non consente, infatti, di fondare la prova della scissione della titolarita' del tabacchino, non essendovi prova che il bene sia stato trasferito in maniera fittizia a (OMISSIS), ed essendo il ragionamento probatorio fondato su una intercettazione precedente di due anni rispetto al momento della cessione, avvenuta nel 2015; la conversazione, in altri termini, "fotografa" una situazione risalente al 2013, e non e' in grado, in assenza di altri elementi indiziari, di fondare, sia pure sul piano logico, la prova di una situazione successiva, risalente al 2015. Pertanto, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 27, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. 13. I ricorsi proposti da (OMISSIS), nonche' da (OMISSIS) e (OMISSIS) - i cui ricorsi, per la sovrapponibilita' delle questioni concernenti il reato in esame, meritano una valutazione congiunta (limitatamente al capo in esame) -, in relazione al reato di trasferimento fraudolento di una pescheria di cui al capo 29, sono inammissibili. La Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita' per il reato di trasferimento fraudolento di beni, con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, in relazione alla cessione, da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) della pescheria ubicata a (OMISSIS), a (OMISSIS): in particolare, in seguito al sequestro eseguito nel 2005 (nell'ambito del procedimento (OMISSIS)) dell'attivita' gestita da (OMISSIS) (madre dei (OMISSIS)), i fratelli (OMISSIS) aprivano un'attivita' commerciale nello stesso indirizzo, ponendo quale formale titolare (OMISSIS). Le fonti di prova sono costituite essenzialmente dalla conversazione captata in ambientale il 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che chiede spiegazioni al primo sul fatto di non essere stato messo al corrente di proprieta' acquistate dai (OMISSIS) con i soldi della "cassa comune" della cosca, e dalla conversazione captata in ambientale il 11 ottobre 2012 all'interno del veicolo di (OMISSIS), il quale, parlando tra se' e se' ad alta voce, sembra prepararsi il discorso da fare a (OMISSIS), suo cognato, con riferimento alla gestione della pescheria; tale ultima intercettazione contiene riferimenti a somme di danaro ("mi hai dato...di 200.000 Euro") ed a difficolta' gestionali che rendono arduo il compito di portare l'incasso ai titolari effettivi ("come faccio a portarti l'incasso-"). 13.1. Tanto premesso, i ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono inammissibili, limitandosi ad una mera contestazione del significato delle intercettazioni e della ricostruzione dei fatti. Al riguardo, va rammentato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), e che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Manifestamente infondata e' altresi' la deduzione secondo cui il riferimento di (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe ad una diversa pescheria, gia' sequestrata nel 2005, atteso che, come ben chiarito dalla Corte territoriale, l'attivita' della pescheria "(OMISSIS)" gestita dalla madre dei (OMISSIS), sequestrata nel 2005 nell'ambito del procedimento (OMISSIS), e' stata successivamente proseguita mediante avviamento di una pescheria, denominata "Pescheria (OMISSIS) di (OMISSIS)", ubicata presso lo stesso indirizzo della prima. La doglianza con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) sostengono che, al momento della costituzione della pescheria nel 2009, gli imputati erano detenuti, e non avrebbero potuto disporre l'intestazione fittizia, e' manifestamente infondata, in quanto il trasferimento fraudolento di beni e' un reato a forma libera, e non necessita, per l'integrazione della tipicita', della formale partecipazione ad un atto negoziale, occorrendo invece un trasferimento, di fatto, di beni o di valori al fittizio intestatario; in tal senso, si e' evidenziato che integra il reato di trasferimento fraudolento di valori, previsto dalla L. n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies, comma 1, la fittizia costituzione di una nuova societa' commerciale volta ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, attraverso l'intestazione delle quote a soggetti utilizzati come prestanome dei reali proprietari, risultati essere amministratori e soci occulti di altra societa' dichiarata fallita (Sez. 2, n. 6939 del 26/01/2011, Melodia, Rv. 249457). Peraltro, la titolarita' effettiva del bene e' emersa in maniera univoca sia dalla conversazione di (OMISSIS) con (OMISSIS), sia dai riferimenti di (OMISSIS) alle somme a lui attribuite per l'avviamento della pescheria, nell'interesse dei (OMISSIS). Quanto all'aggravante dell'agevolazione mafiosa, la Corte territoriale ha congruamente motivato in merito alla finalita' ed alla consapevolezza di implementare, mediante il trasferimento fraudolento del bene, gli interessi finanziari della cosca (OMISSIS), sicche' le doglianze proposte sono manifestamente infondate e non consentite, nella parte in cui propongono una lettura alternativa del materiale probatorio. 13.2. Il secondo motivo di (OMISSIS), con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e' inammissibile, perche' del tutto generico. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e la gravita' del fatto, finalizzato altresi' ad agevolare un sodalizio mafioso. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 14. I ricorsi proposti da (OMISSIS) - condannata a 2 anni di reclusione, pena sospesa, per il reato di cui al capo 32 -, nonche' da (OMISSIS) - il cui ricorso, per la sovrapponibilita' delle questioni concernenti il reato in esame, merita una valutazione congiunta (limitatamente al capo in esame) -, in relazione al reato di trasferimento fraudolento di un tabacchino di cui al capo 32, sono inammissibili. La Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilita' per il reato di trasferimento fraudolento di beni, in relazione alla intestazione fittizia di un tabacchino presso il centro commerciale la Gru in (OMISSIS) a (OMISSIS). Le fonti di prova sono molteplici: la conversazione captata tra (OMISSIS) e la moglie (OMISSIS) (OMISSIS) in data 25/09/2015, allorquando, discutendo della prescrizione di trovarsi un lavoro imposta a (OMISSIS) il giorno precedente con la sottoposizione alla liberta' vigilata, la donna chiede se non possa lavorare "nel tabacchino suo", ricevendo la replica del marito, che sottolinea che cio' non sarebbe stato possibile, altrimenti sarebbe stato sottoposto a confisca ("no, al tabacchino, se sanno che ha il tabacchino, se sanno che e' suo, se lo prendono"); la conversazione captata il 29/07/2015 nell'auto di (OMISSIS), tra costui, la moglie e (OMISSIS), durante la quale la donna chiede dove avrebbe dovuto essere assunta una persona, e (OMISSIS) risponde che avrebbe lavorato presso la rivendita di tabacchi che stava per aprire presso la Gru; la conversazione del 18/09/2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in merito al pagamento di alcuni âEuroËœbollettini', poi rinvenuti, all'esito di una perquisizione, nell'auto del secondo, ed intestati a (OMISSIS), ed alla Rivendita di tabacchi in (OMISSIS); le conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui discutono di documenti da far firmare, di bonifici, di insegna. Tali elementi sono stati dunque ritenuti assorbenti per affermare che il reale dominus dell'attivita' commerciale era (OMISSIS), e che (OMISSIS) era solo una prestanome, consapevole di esserlo, considerando le numerose volte in cui si e' rivolta al (OMISSIS) per la gestione dell'esercizio, e che la fittizia intestazione era funzionale ad eludere eventuali provvedimenti ablatori (come evidenziato dall'intercettazione di (OMISSIS)). 14.1. Tanto premesso, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili, limitandosi ad una mera contestazione del significato delle intercettazioni e della ricostruzione dei fatti: in particolare, con le censure proposte i ricorrenti non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla sussistenza del reato ed alla prova della fittizia intestazione, che evidentemente, essendo un reato a forma libera, non puo' ritenersi escluso dalla documentazione attestante l'utilizzo di fonti proprie, atteso che cio' che rileverebbe sarebbe la reale provenienza delle provviste. Al riguardo, va rammentato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), e che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Quanto al dolo, pacifico quello di (OMISSIS), desunto peraltro dalla consapevolezza esternata da (OMISSIS) che il tabacchi sarebbe stato confiscato, se si fosse appresa la reale titolarita', anche quello di (OMISSIS) e' stato ritenuto sussistente, sulla base di un apprezzamento di fatto immune da censure di illogicita', e dunque insindacabile in sede di legittimita', che ha valorizzato la conoscenza da parte dell'imputata del calibro criminale del (OMISSIS), partecipe della omonima cosca operativa a (OMISSIS), ed il senso di soggezione nei suoi confronti manifestato nel corso dei colloqui intercettati; del resto, non e' emerso alcun diverso, lecito, motivo per acconsentire ad una intestazione fittizia. 14.2. Il secondo motivo di (OMISSIS), con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e' inammissibile, perche' del tutto generico. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e la gravita' del fatto. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 15. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile, cosi' come i motivi nuovi depositati che si limitano a ribadire o ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che seguono. Va innanzitutto rilevato che il ricorso non rispetta alcuno dei criteri normativi di ammissibilita', essendo redatto, in parte, in maniera lessicalmente incerta, con proposizioni che, a tratti, sembrano meri appunti da sviluppare, ed essendo infarcito di richiami giurisprudenziali non pertinenti e di flash fattuali assertivi e privi di rilevanza nell'economia della pur incerta argomentazione; inoltre, si risolve in una mera contestazione della decisione, ma manca un reale confronto con la motivazione. 15.1. Oltre alla tecnica di redazione, il ricorso e' altresi' inammissibile, perche' propone doglianze non consentite e manifestamente infondate. Quanto al secondo motivo, con cui contesta la sussistenza del reato associativo finalizzato al narcotraffico, nel rilevare la genericita' e l'assertivita' della doglianza, e' sufficiente rinviare a quanto gia' esposto infra p. 11.1. Il primo motivo, concernente la partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio di cui al capo 1, e' del tutto versato in fatto, limitandosi ad una contestazione della ricostruzione dei fatti e del ruolo assunto nel sodalizio. Oltre a trattarsi di doglianze non consentite, i motivi sono altresi' manifestamente infondati, in quanto la sentenza impugnata, richiamando analiticamente il tenore testuale delle conversazioni intercettate, ha chiarito come (OMISSIS) rivestisse un ruolo apicale, riconosciutogli dallo stesso (OMISSIS) nell'intercettazione del 22 gennaio 2013 ("mancando lo e (OMISSIS), il punto di riferimento sei tu o Vice"; "quando manchiamo noi, sei tu il riferimento nostro"). 15.2. Le doglianze concernenti i reati-fine di traffico di stupefacenti sono del tutto generici, non indicando neppure il capo oggetto di censura, e mancando qualsivoglia confronto argomentativo con la sentenza impugnata. In ogni caso, con riferimento alla cessione di 300 kg. di marijuana a (OMISSIS) (capo 2), il coinvolgimento di (OMISSIS) e' stato desunto da una serie di conversazioni intercettate e richiamate da p. 277 a p. 283 della sentenza impugnata, con cui il ricorso omette qualsivoglia confronto argomentativo. Con riferimento al reato di cui al capo 3, concernente il traffico di 2 kg. di cocaina, la doglianza con cui si lamenta che non vi e' stato alcuno scambio di stupefacente, in quanto l'affare non si sarebbe concluso, non si confronta con la sentenza impugnata, che, proprio sulla base di tale elemento, ha riqualificato il fatto in termini di offerta di sostanza stupefacente, e non di cessione. 15.3. Con riferimento ai reati di detenzione illecita di armi, premesso che la Corte territoriale ha ritenuto il reato contestato al capo 16 assorbito nel reato di cui al capo 19, la doglianza con cui si lamenta che (OMISSIS) non comparirebbe in alcuna intercettazione e' smentita dal tenore della conversazione intercettata il 22 gennaio 2013, nel corso della quale, discorrendo con (OMISSIS), l'odierno ricorrente fa riferimenti piu' che espliciti ad armi e munizionamento (la "7 parabellum", una "quarantacinque", i "colpi", il "silenziatore") detenuti dal sodalizio. 15.4. Le doglianze concernenti la partecipazione al reato associativo mafioso sono inammissibili, in quanto non consentite e manifestamente infondate. Lungi dall'aver assunto un ruolo esclusivamente nel traffico di stupefacenti, (OMISSIS) risulta partecipe altresi' del sodalizio mafioso capeggiato dai fratelli (OMISSIS), come si evince in maniera univoca del tenore della conversazione intrattenuta, per ore, il 22 gennaio 2013, con (OMISSIS), appena scarcerato, che lo convoca per ricevere informazioni sugli affari del gruppo: nel corso di tale colloquio, una sorta di "chiamata a rapporto", risulta il pieno coinvolgimento di (OMISSIS) negli affari della cosca, la posizione di supremazia di (OMISSIS) e la sua esigenza di essere informato della situazione finanziaria e degli investimenti immobiliari; (OMISSIS) risulta a conoscenza dell'utilizzo di somme ingenti di denaro e di rapporti, anche finanziari, con i fratelli (OMISSIS), e riferisce di aver provveduto al versamento di somme di denaro ai familiari dei detenuti o latitanti (in particolare, mille Euro al mese alla madre dei (OMISSIS)). Al riguardo, e' configurabile il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa nell'ipotesi in cui l'autore della condotta svolga il ruolo di "alter ego" del soggetto di vertice di un gruppo mafioso, ponendo in essere attivita' di ausilio ed intermediazione nei suoi riguardi, con carattere continuativo e fiduciario, tali da risolversi in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio, nonche' alla conservazione ed al rafforzamento di quest'ultimo (Sez. 5, n. 35277 del 16/06/2017, Panebianco, Rv. 270654), cosi' come riveste efficacia indiziante del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, ex articolo 416 bis c.p., la condotta di colui che partecipi ad un fondo di solidarieta' (cosiddetta "colletta") a favore di detenuti inseriti nell'associazione mafiosa (Sez. 5, n. 35997 del 05/06/2013, Caglioti, Rv. 256947). 15.5. Il motivo sul trattamento sanzionatorio e' inammissibile, in quanto generico, non avendo illustrato i motivi dell'erroneita' del calcolo, tenuto conto che la pena finale di 20 anni di reclusione rappresenta l'esito dell'applicazione del limite previsto dall'articolo 78 c.p. e dell'applicazione della diminuente del rito. 16. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per i reati di trasferimento fraudolento di beni di cui ai capi 27 e 29 - e' fondato limitatamente al capo 27 (in ordine al quale si veda infra p. 12), essendo nel resto, nel suo complesso, infondato. 16.1. Il primo motivo e' inammissibile, innanzitutto perche' generico, avendo omesso di indicare quali sarebbero gli atti di indagine affetti da inutilizzabilita', trattandosi di doglianza omnicomprensiva concernente un periodo. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416, con riferimento ad una fattispecie relativa ad atti asseritamente compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari). In ogni caso, va evidenziato che se il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilita' degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (Sez. U, n. 33885 del 24/06/2010, Giuliani, Rv. 247834), nell'ipotesi di reato permanente (nella specie quello di associazione di stampo mafioso) l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo illecito con riferimento ai comportamenti successivi a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione, con eventuale applicazione di una misura cautelare per tali fatti ulteriori; ne consegue che l'eventuale riapertura delle indagini in ordine alle condotte precedenti, intervenuta successivamente alla disposta misura, non costituisce elemento nuovo idoneo a scardinare il giudicato cautelare formatosi rispetto all'oggetto della misura gia' emessa (Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, Caponera, Rv. 270221); secondo il principio consolidato, dunque, nell'ipotesi di reato permanente, l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l'esercizio dell'azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell'illecito limitatamente ai segmenti temporali successivi all'archiviazione. Ne consegue che la sanzione di inutilizzabilita' derivante dalla violazione dell'articolo 414 c.p.p., colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benche' collegati con i fatti oggetto della precedente indagine (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, Caponera, Rv. 264923); in tema di archiviazione, nell'ipotesi di reato permanente, l'efficacia preclusiva del decreto emesso dal gip, non seguito dall'autorizzazione alla riapertura delle indagini, non impedisce lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l'esercizio dell'azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell'illecito limitatamente a segmenti temporali successivi all'archiviazione (Sez. 2, n. 26762 del 17/03/2015, Sciascia, Rv. 264222, che ha ritenuto legittimo l'esercizio dell'azione penale per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., posto che l'imputazione riguardava un segmento temporale successivo al decreto di archiviazione e il relativo accertamento era fondato su fatti diversi da quelli valutati nel precedente provvedimento di archiviazione; Sez. 2, n. 3255 del 10/10/2013, dep. 2014, Rostan, Rv. 258528); nell'ipotesi di reato permanente, l'archiviazione non seguita dalla riapertura delle indagini ai sensi dell'articolo 414 c.p.p., non preclude la possibilita' di valutare i comportamenti ed i fatti successivi all'archiviazione, che valgano a dimostrare la consumazione del reato anche alla luce delle condotte pregresse poste in essere dall'imputato (Sez. 6, n. 6547 del 10/10/2011, dep. 2012, Panzeca, Rv. 252113); nell'ipotesi di reato permanente, qualora la contestazione sia formulata senza indicazione dell'epoca di cessazione della permanenza - c.d. contestazione "aperta" -, in difetto di richiesta di riapertura delle indagini a seguito di decreto di archiviazione, il limite temporale della preclusione allo svolgimento delle indagini ed all'esercizio dell'azione penale per gli stessi fatti va individuato non nel momento dell'emissione del decreto di archiviazione dal parte del giudice per le indagini preliminari ma nella data della relativa richiesta formulata dal pubblico ministero, mentre per i segmenti temporali successivi e' consentito l'esercizio dell'azione penale per il medesimo titolo di reato, ove sia proseguita la condotta criminosa oggetto dell'originaria contestazione con mutamento della caratteristiche strutturali del reato (Sez. 2, n. 5220 del 28/06/2018, dep. 2019, Alampi, Rv. 276049). Tanto premesso, la Corte territoriale ha escluso che venisse in rilievo un identico fatto storico, con riferimento al procedimento oggetto di archiviazione in data 20/04/2012, trattandosi di condotte che, sebbene esplicatesi in un medesimo ambito territoriale, riguardavano periodi diversi e soggetti anche diversi rispetto ai coimputati del capo 30; con riferimento al procedimento "(OMISSIS)", nel quale (OMISSIS) e' stato assolto, la sentenza impugnata ha rilevato, inoltre, che la pronuncia di primo grado, e quindi la cessazione della permanenza, risale al 26/11/2006; sicche' i fatti associativi contestati nel presente procedimento non risultano sovrapponibili. 16.2. Il secondo motivo, concernente la violazione del bis in idem, e' altresi' manifestamente infondato. Per quanto gia' evidenziato, nel procedimento "(OMISSIS)", (OMISSIS) e' stato assolto con la sentenza di primo grado - che, quindi, individua la cessazione della permanenza - del 26/11/2006; sicche' i fatti associativi contestati nel presente procedimento non risultano sovrapponibili, se non in minima parte, trattandosi, secondo l'imputazione, di condotte dal 2005 al 2015. Al riguardo, premesso che, in tema di reato associativo, laddove la contestazione sia formulata senza specificazione del termine finale della condotta, la pronuncia della sentenza di primo grado segna il termine ultimo e invalicabile della protrazione della permanenza del reato, in quanto la condotta futura dell'imputato trascende necessariamente l'oggetto del giudizio (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv. 259482), va rammentato che, in tema di applicazione del principio del "ne bis in idem", il precedente giudicato per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., non impedisce la configurabilita' di un nuovo reato del medesimo tipo in relazione ad un periodo immediatamente successivo, quand'anche le condotte poste in essere siano identiche, per tipologia e modalita', a quelle gia' giudicate, trattandosi in ogni caso di fatti diversi sotto il profilo storico-naturalistico e frutto di un rinnovato "prendere parte" al fenomeno associativo (Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149 - 03); ai fini della preclusione del giudicato, l'identita' del fatto e' configurabile solo quando questo si realizza nelle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone; ne consegue che costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un'ulteriore estrinsecazione dell'attivita' del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva (Sez. 2, n. 292 del 04/12/2013, dep. 2014, Coccorullo, Rv. 257992). 16.3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato, in quanto si invoca l'applicazione di una norma, l'articolo 669 c.p.p., che concerne la fase dell'esecuzione, e che presuppone la definitivita' della decisione anche nel presente procedimento. In ogni caso, e' assorbente rilevare che il giudicato assolutorio, invocato dal ricorrente, copre fino al 2006, e non gia' fino al 2014. 16.4. Il quarto motivo, con cui si lamenta l'omessa motivazione in ordine alle eccezioni proposte in appello, e' manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata espressamente motivato in merito alle questioni processuali (p. 41-48) ed alla partecipazione all'associazione di tipo mafioso (p. 815-826). 16.5. Il quinto motivo, concernente l'esteriorizzazione del metodo mafioso, e' manifestamente infondato, in quanto riposa sull'erroneo presupposto che la cosca dei (OMISSIS) costituisca una âEuroËœfiliale' delocalizzata della "casa madre", per la quale e' necessaria la prova dell'estrinsecazione del metodo mafioso. Al contrario, la cosca (OMISSIS), secondo la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata e dalle altre precedenti sentenze che hanno accertato l'operativita' del sodalizio, e' una articolazione locale (non delocalizzata), insediata nel tradizionale territorio calabre, della âEuroËœndrangheta, che ha una struttura verticistica. Ne consegue che non viene in rilievo il diverso fenomeno della âEuroËœneoformazione' o della âEuroËœfiliale delocalizzata' (in quanto operante all'estero o in territori nazionali non tradizionalmente penetrati dalle organizzazioni mafiose) della "casa madre", bensi' quello della articolazione territoriale delle c.d. mafie storiche. Al riguardo, comunque, e' stato condivisibilmente affermato che, ricorrendone i presupposti strutturali, organizzativi e operativi, la cd. "mafia silente" rientra nel paradigma normativo dell'articolo 416 bis c.p., in quanto e' capace di avvalersi di una forza di intimidazione intrinseca alla struttura delle associazioni mafiose, nelle sue componenti centrali e delocalizzate, pur in assenza di forme di esteriorizzazione eclatante del metodo mafioso e della forza di intimidazione. (Sez. F, n. 56596 del 03/09/2018, Balsebre, Rv. 274753 02); il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., e' configurabile anche nel caso di "ricostituzione" di un gruppo criminale a distanza di tempo da parte di noto capo mafia, di dimostrata caratura criminale, inserito in ambito di mafie storiche (nel caso di specie "Cosa Nostra"), senza che sia necessaria un'esteriorizzazione della forza di intimidazione, considerato il capitale criminale della associazione mafiosa di riferimento e il diffuso riconoscimento della capacita' di aggressione di persone e patrimoni da parte della stessa, anche nel caso di riferimento "implicito o contratto" alla forza criminale del sodalizio mafioso (Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Furnari, Rv. 276111), ed e' configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una gia' attuale pericolosita' per l'ordine pubblico (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, Cataldo, Rv. 270290, che, in motivazione, ha osservato come diverso sia invece il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorche' caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, giacche', rispetto ad essa, e' imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex articolo 416 bis c.p., tra cui la manifestazione all'esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omerta' nell'ambiente circostante). Del resto, anche con riferimento alle articolazioni estere di mafie storiche, e' stato affermato che il reato di cui all'articolo 416 bis c.p., e' configurabile con riferimento ad un'articolazione territoriale di una mafia storica (nella specie, una cosca tedesca di âEuroËœndrangheta), allorche' la stessa, per effetto del collegamento organico-funzionale con la casa-madre, dotato del carattere della riconoscibilita' esterna e non limitato, pertanto, a forme di collegamento che si consumino soltanto al suo interno sul piano dell'adozione di moduli organizzativi e di rituali di adesione, si avvalga di una forza di intimidazione intrinseca che, pur non necessitando di forme eclatanti di esteriorizzazione del metodo mafioso, non consiste nella mera potenzialita', non esercitata e quindi meramente presuntiva, dell'impiego della forza, ma nella spendita d'una vera e propria fama criminale ereditata dalla casa-madre (Sez. 1, n. 51489 del 29/11/2019, Albanese, Rv. 277913; analogamente, Sez. 5, n. 47535 del 11/07/2018, N., Rv. 274138: "Il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e' configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, con conseguente forza di intimidazione "intrinseca" alla accertata capacita' di egemonizzazione criminale del territorio. (Fattispecie relativa a c.d. "locale di ndrangheta" stabilita in territorio elvetico, in cui erano emersi in seguenti indizi: il collegamento con la "casa madre" calabrese, la composizione della "locale" con soggetti esclusivamente di origine calabrese, la struttura organizzativa secondo una divisione dei ruoli ben precisa, l'attribuzione di cariche interne mutuate da quelle tradizionali della "ndrangheta", nonche' il rispetto rigoroso di rituali tipici della "casa madre")". Va, infine, evidenziato che la sentenza impugnata ha altresi' sottolineato come (OMISSIS) avesse partecipato allo scontro tra le cosche (OMISSIS)- (OMISSIS) e (OMISSIS) per il controllo politico sul territorio jonico calabrese, in occasione delle elezioni del 2008, giungendo a condotte minacciose e manifestando la propria adesione ai metodi ed alle finalita' della consorteria di appartenenza. 16.6. Il sesto ed il settimo motivo, con cui si contesta la prova della partecipazione e del ruolo apicale, sono inammissibili, in quanto si limitano a contestare l'interpretazione delle intercettazioni dalle quali e' stata desunta la prova del ruolo partecipativo apicale di (OMISSIS) all'interno della omonima cosca. Al riguardo, nel ribadire che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), va evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di elementi: - (OMISSIS) e' riuscito a rimanere latitante fino al 10/05/2009 senza abbandonare il proprio "territorio" di riferimento, nascondendosi in un bunker ricavato nella abitazione, e facendo dunque affidamento su una sicura e consolidata rete di sostegno e omerta', sintomatica di una posizione di prestigio criminale; - l'intercettazione della conversazione captata in ambientale proprio all'interno della sua abitazione il 22 gennaio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), allorquando il primo, appena scarcerato, convoca il secondo per ricevere informazioni sugli affari del gruppo: nel corso di tale colloquio, una sorta di "chiamata a rapporto", risulta la posizione di supremazia di (OMISSIS) e del fratello (OMISSIS), e l'esigenza di essere informato della situazione finanziaria e degli investimenti immobiliari, il ruolo attivo assunto da (OMISSIS) negli affari immobiliari della cosca, seguiti, sia pur con qualche difficolta', anche durante la latitanza; - (OMISSIS) delinea una sorta di organigramma della cosca, individuando proprio in lui, e nel fratello (OMISSIS) i vertici del sodalizio, cui rendere conto. 16.7. Il settimo motivo, concernente l'aggravante della disponibilita' di armi, e' generico e manifestamente infondato, essendo emersa la prova della disponibilita' di armi, anche da guerra, da parte della cosca, come si desume, tra le altre, dal tenore della conversazione intercettata il 22 gennaio 2013, nel corso della quale, discorrendo con (OMISSIS), (OMISSIS) fa riferimenti piu' che espliciti ad armi e munizionamento (la "7 parabellum", una "quarantacinque", i "colpi", il "silenziatore") detenuti dal sodalizio. Sul punto, premesso che il ruolo apicale dell'imputato esclude che la disponibilita' di armi da parte del sodalizio sia ignorata, e' consolidato il principio secondo cui, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilita' di armi, di cui all'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 5, e' configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, Rv. 276831 - 02, con riferimento ad una fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule "locali" di âEuroËœndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilita' dell'anzidetta aggravante, e' necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula "locale" che abbia la concreta disponibilita' delle armi). 16.8. Nel rinviare, quanto ai motivi concernenti il capo 27 ed il capo 29, infra p.p. 12 e 13, l'ultimo motivo, concernente il diniego delle attenuanti generiche, nonostante l'esclusione della recidiva, e' manifestamente infondato, essendo pacifico che l'esistenza di precedenti penali specifici puo' rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalita' dell'imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l'applicazione della recidiva (ex multis, Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444). 16.9. Premesso che i motivi nuovi depositati si limitano ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 27, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Il ricorso va rigettato nel resto. 17. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 20 anni di reclusione per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo 1, per il reato associativo di cui al capo 30 e per i reati di trasferimento fraudolento di beni di cui ai capi 27 e 29 - e' fondato limitatamente al capo 27 (in ordine al quale si veda infra p. 12), essendo nel resto, nel suo complesso, infondato. 17.1. Quanto al primo motivo, analogo a quello proposto anche nell'interesse di (OMISSIS), e' sufficiente rinviare infra p. 16.1. 17.2. Il secondo ed il settimo motivo, concernenti la partecipazione, con ruolo apicale, all'associazione di tipo mafioso, sono inammissibili, in quanto si limitano a contestare l'interpretazione delle intercettazioni dalle quali e' stata desunta la prova del ruolo partecipativo apicale di (OMISSIS) all'interno della omonima cosca, e l'attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Al riguardo, nel ribadire che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), va evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di elementi: - (OMISSIS), nipote dello storico capo cosca di (OMISSIS) (OMISSIS), e fratello dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest'ultimo condannato a 30 anni di reclusione nel giudizio ordinario), e' riuscito a rimanere latitante non solo in Calabria, ma anche in Canada, facendo dunque affidamento su una sicura e consolidata rete di sostegno e omerta', sintomatica di una posizione di prestigio criminale; - le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), valutate attendibili dai giudici di merito, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicita', e dunque insindacabile in sede di legittimita', che ha riferito di essere a conoscenza della appartenenza dei (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta, non solo de relato, ma per aver discusso con (OMISSIS) degli appoggi in Canada per il traffico di droga da importare dal Brasile, e per la partecipazione ad una riunione congiunta tra le famiglie (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la eloquente conversazione del 20 febbraio 2013, avvenuta all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), nel corso della quale il (OMISSIS) promotore ed organizzatore del sodalizio, da poco scarcerato -, chiedeva all'imputato, in ragione dei buoni rapporti commerciali con la societa' dell'ex senatore (OMISSIS), un intervento di quest'ultimo per ottenere il ridimensionamento in appello della pesante condanna inflitta in primo grado ad (OMISSIS) (capocosca, condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione per associazione mafiosa ed altri delitti), trovando la pronta adesione dell' (OMISSIS), resosi disponibile a formulare la richiesta allo (OMISSIS) nella consapevolezza della possibilita' e del potere di intervento di quest'ultimo, che aveva gia' posto in essere interventi analoghi, nonche' nella consapevolezza del ruolo apicale dell' (OMISSIS) e dell'interesse del sodalizio alla sorte di questi; tramite il (OMISSIS), fidanzato della figlia del capocosca (OMISSIS), (OMISSIS) aveva convocato (OMISSIS) e gli aveva esposto in termini chiari l'esigenza di un intervento corruttivo sui giudici della Corte d'appello per ottenere il ridimensionamento della pena inflitta in primo grado ad (OMISSIS), condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria per associazione mafiosa alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione: in particolare, gli aveva chiesto in modo esplicito di parlarne con l'ex onorevole (OMISSIS), con il quale l' (OMISSIS) era in rapporti imprenditoriali, per tentare, tramite questi, di influire sui giudici, che avrebbero trattato il processo in grado di appello; all'evidenza il colloquio, riportato nella sentenza impugnata, da' conto della fiducia riposta dal (OMISSIS) nell' (OMISSIS), che risulta perfettamente a conoscenza della posizione apicale dell'interlocutore e del soggetto da favorire (il (OMISSIS) gli dice chiaramente che "li' e' la mamma di tutti, sono tutti figliocci suoi, sono tutti sotto di lui; qua senza di lui siamo rovinati"), nonche' della posizione di altri componenti del sodalizio, della cui sorte il (OMISSIS) non si preoccupa, anche perche' condannati a pene piu' miti, in gran parte gia' scontate; dimostra che l' (OMISSIS) sa del potere di influenza del senatore, gia' attivatosi in precedenti occasioni per interventi analoghi, ed in buoni rapporti con la âEuroËœndrangheta, dalla quale aveva ricevuto favori, ed il (OMISSIS), che, sottolineando l'indispensabilita' di tali rapporti per mantenere certi equilibri, lo sollecita a riferire allo (OMISSIS) della loro disponibilita' ad aiutarlo in caso di bisogno (se dice "ho bisogno di... in caso pure qua", poi uno vede di impegnarsi', "l'impossibile da parte nostra vediamo quello che.. lo possiamo servire in tutti i modi se ci aiuta su questo fatto di (OMISSIS) ci vendiamo pure l'anima al diavolo"); tutti elementi evidenziati dalla sentenza impugnata per sottolineare la dimensione associativa della richiesta di intervento, ed escludere la pur invocata preoccupazione individuale e familiare; - la conversazione intrattenuta, per ore, il 22 gennaio 2013, tra (OMISSIS), appena scarcerato, e (OMISSIS), convocato per rendere informazioni sugli affari del gruppo: nel corso di tale colloquio, una sorta di "chiamata a rapporto", emerge inequivocabilmente la posizione di supremazia di (OMISSIS) e la sua esigenza di essere informato della situazione finanziaria e degli investimenti immobiliari, il sostegno ricevuto durante la detenzione (avendo (OMISSIS) provveduto al versamento di somme di denaro ai familiari dei detenuti o latitanti, consegnando, in particolare, mille Euro al mese alla madre dei (OMISSIS)); (OMISSIS) delinea una sorta di organigramma della cosca, individuando proprio in lui, e nel fratello (OMISSIS) i vertici del sodalizio, cui rendere conto; emerge inoltre il programma di acquisto, su Milano, di "cinque, sei pacchi" di droga, e la pretesa di ottenere chiarimenti e tenere, in una logica associativa, i conti della "cassa comune" ("poi se dobbiamo tenere i conti...poi vieni qua e ci sediamo...perche' se no non siamo una societa', non siamo un gruppo"); - la conversazione, sempre con (OMISSIS) e (OMISSIS), avente ad oggetto le armi nella disponibilita' del gruppo, con l'esortazione a tenere sempre un'arma "a portata di mano", in quanto "possono servire all'improvviso"; - la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nei locali olandesi della (OMISSIS), da cui emerge la posizione di rilievo di (OMISSIS) nelle dinamiche del sodalizio mafioso. Tanto premesso, con le doglianze proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asserita mente sbagliata in merito alla valenza probatoria delle intercettazioni, alla attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Va aggiunto che, prescindendo dall'interessamento alla scuola di formazione di (OMISSIS) ed al "pizzo" richiesto alla (OMISSIS) per i lavori di messa in opera della fibra ottica, che comunque non rivestono profili di decisivita' ai fini dell'affermazione di responsabilita', la doglianza concernente la mancata valutazione delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Locri non costituisce travisamento della prova, limitandosi a sollecitare una diversa interpretazione delle dichiarazioni. Al riguardo, va rammentato che non ricorrono i presupposti del pur lamentato travisamento, risolvendosi le censure in una non consentita lettura alternativa degli elementi di prova, basata su estratti, parziali ed arbitrariamente selezionati, delle prove dichiarative. Al riguardo, infatti, giova rammentare che, ai fini della configurabilita' del vizio di travisamento della prova dichiarativa, e' necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406). Tuttavia, premesso che l'esame nel giudizio di legittimita' del travisamento della prova, quale ulteriore criterio di valutazione della contradditorieta' estrinseca della motivazione, deve riguardare uno o piu' specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911), nel caso di specie, il ricorso non deduce una palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco delle dichiarazioni e quello tratto dal giudice, limitandosi ad estrapolare estratti parziali del testimoniale per sostenere un presunto errore nella valutazione del significato probatorio delle dichiarazioni, a proposito del "fatto" della partecipazione di (OMISSIS) alla âEuroËœndrangheta. 17.3. Il terzo motivo, concernente la partecipazione all'associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo 1, e' inammissibile, in quanto si limita a contestare l'interpretazione delle intercettazioni dalle quali e' stata desunta la prova del ruolo partecipativo apicale di (OMISSIS) all'interno del sodalizio, e l'attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Al riguardo, nel ribadire che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), va evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di intercettazioni, analiticamente richiamate e valutate da p. 105 a p. 126, dalle quali e' emerso che: (OMISSIS) discute con (OMISSIS) dell'importazione di cocaina, da acquistare a Milano al prezzo di 38/39 mila Euro al kg, per poi rivenderla a 47/48 mila ("prendiamo cinque, sei pacchi"), chiede il rendiconto di quanto accaduto in sua assenza, durante il periodo di detenzione, rivendicando il proprio ruolo apicale ("tutti devono dare conto alla persona che al momento tiene le redini nelle mani. Quando manca quella persona, poi...deve dare conto a quella altra persona"), ed avverte che se si intendere operare in autonomia, bisogna lasciare il gruppo, e non spendere il suo nome ("se no si deve cominciare a sparare Anto'"); fa riferimento ad una "cassa comune"; emerge il ruolo apicale, nell'impartire direttive agli altri sodali, soprattutto con riferimento ai rapporti con la famiglia (OMISSIS) in Sicilia, debitrice del pagamento di una importazione avvenuta nel gennaio 2013; la programmazione di una importazione di droga dal Brasile, di cui (OMISSIS) discute con (OMISSIS), che, pur non essendo stata portata a termine, conferma la sussistenza del sodalizio capeggiato dal (OMISSIS). Al riguardo, peraltro, il collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha altresi' dichiarato di essere stato contattato da (OMISSIS), che, alla presenza di (OMISSIS) e di (OMISSIS), gli aveva proposto di collaborare nel narcotraffico, utilizzando dei pescherecci per importare "fumo" dal Marocco; dichiarazione non de relato, come dedotto dal ricorrente, bensi' diretta, in quanto il collaboratore ha riferito di avere incontrato personalmente (OMISSIS). Tanto premesso, le doglianze proposte, che si limitano ad un tentativo di contestazione e ridimensionamento del significato probatorio delle conversazioni intercettate, anche mediante una non consentita parcellizzazione valutativa, oltre ad essere non consentite, per quanto gia' evidenziato, sono manifestamente infondate e generiche, per l'omesso concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, di cui contestano esclusivamente la valutazione probatoria di alcune conversazioni. Manifestamente infondata e' altresi' la deduzione con cui si contesta la partecipazione al reato associativo, sul rilievo della mancata condanna per reati-fine: e' infatti pacifico, in materia di reati associativi, che la commissione dei "reati-fine", di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria ne' ai fini della configurabilita' dell'associazione ne' ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (ex multis, Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703 - 02) 17.4. Il motivo concernente la detenzione illecita di armi (capi 16 e 19) e' inammissibile, essendo emersa la prova della disponibilita' di armi, anche da guerra, da parte della cosca, come si desume, tra le altre, dal tenore della conversazione intercettata il 22 gennaio 2013, nel corso della quale, discorrendo con (OMISSIS), (OMISSIS) fa riferimenti piu' che espliciti ad armi e munizionamento (la "7 parabellum", una "quarantacinque", i "colpi", il "silenziatore") detenuti dal sodalizio; sicche' non e' predicabile una ignoranza, tanto meno incolpevole, del ricorrente. Al riguardo, premesso che la circostanza aggravante prevista dall'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 5, e' integrata dalla mera disponibilita' delle armi da parte dell'associazione, indipendentemente dal fatto che essa configuri le ipotesi delittuose di porto e detenzione, sia perche' la disponibilita' non necessariamente corrisponde all'attuale ed effettiva detenzione, e tanto meno al porto, sia perche' essa puo' riguardare perfino armi legalmente detenute, con la conseguenza che l'associazione mafiosa armata non e' un reato complesso nel quale possono restare assorbiti l'illegale detenzione o porto di armi (Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012, dep. 2013, Adamo, Rv. 254295), dal materiale probatorio richiamato dalla sentenza impugnata emerge la piena consapevolezza di (OMISSIS) della detenzione di armi, anche da guerra, e la volonta' di disporne per finalita' associativa, anche invitando i sodali a "tenerle a portata di mano"; dalla conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge altresi' l'esistenza di un fucile a canne mozze di "(OMISSIS)" ( (OMISSIS)), nascosto in un borsone all'interno della casa di (OMISSIS), e rinvenuto in sede di perquisizione nei confronti di (OMISSIS). 17.5. Premesso che i motivi nuovi depositati si limitano ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che precedono, nel rinviare, quanto ai motivi concernenti il capo 27 ed il capo 29, infra p.p. 12 e 13, la sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 27, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Il ricorso va rigettato nel resto. 18. I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS), che meritano una valutazione congiunta per la sovrapponibilita' delle questioni, sono inammissibili. Entrambi sono stati condannati per il reato di trasporto di 5,8 kg. di marijuana, esclusa l'aggravante dall'agevolazione mafiosa, di cui al capo 6, per avere rivestito il ruolo di fornitori di stupefacente per il gruppo facente capo a (OMISSIS), della sostanza che e' stata poi affidata a (OMISSIS) per il trasporto sul mercato, e sequestrata il 31 maggio 2013 a (OMISSIS) 18.1. I primi due motivi di (OMISSIS), concernente l'individuazione del ricorrente con riferimento all'utenza telefonica attribuita e la valenza probatoria delle intercettazioni etero-accusatorie, in assenza di riscontri esterni obiettivi, ed il primo motivo di (OMISSIS) sono inammissibili, perche', oltre ad essere del tutto generici, non confrontandosi concretamente con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata, sul punto ampiamente motivata, propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte i ricorrenti non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla individuazione quale utilizzatore dell'utenza cellulare intercettata, e dunque coinvolto nel traffico di stupefacenti, ed alla valenza probatoria delle intercettazioni e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta', evidenziando che l'utilizzatore dell'utenza intercettata era, nel frangente, non gia' (OMISSIS), bensi' il fratello (OMISSIS), e che gli elementi probatori - l'intercettazione ambientale del 22/01/2013 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con il riferimento ai "sanlucoti" (i fratelli (OMISSIS)) con un altro di (OMISSIS) ( (OMISSIS)) portati da (OMISSIS) dai "siciliani", e l'intercettazione del 08/06/2013 tra (OMISSIS) e la moglie di (OMISSIS), durante la quale il primo aveva indicato i fratelli (OMISSIS) come i soggetti per i quali (OMISSIS) stava trasportando lo stupefacente quando e' stato arrestato - dai quali e' stata desunta la partecipazione degli imputati al traffico di stupefacenti erano molteplici; elementi elusi, o semplicemente contestati, dai ricorrenti, che hanno omesso qualsivoglia confronto argomentativo, sollecitando una non consentita rivalutazione del merito. Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). 18.2. Il motivo con cui lamentano la mancata concessione delle attenuanti generiche e' inammissibile. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, e la gravita' del fatto, nonche', con riferimento a (OMISSIS), un precedente specifico. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 19. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 19.1. Condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 24.000,00 per i reati di cui all'articolo 73, comma 5, di cui al capi 9 e 10, con il primo motivo deduce la violazione di legge, sostenendo che non e' stato sequestrato neppure un grammo di droga e l'affermazione di responsabilita' si fonda unicamente sulla c.d. "droga parlata", ma le intercettazioni sarebbero di contenuto tutt'altro che univoco; la motivazione sarebbe poi contraddittoria laddove da un lato ritiene che i quantitativi di sostanza menzionati dai coimputati siano svariati e diversi tra loro, e dall'altro ritiene provato l'acquisto da parte del (OMISSIS) di 350 grammi di cocaina; nella specie difetterebbe la prova anche dello stesso accordo del dell'acquisto dei 350 grammi, non emergendo neppure il prezzo della pattuizione. Il motivo e' del tutto generico, omettendo completamente di confrontarsi con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata - che ha analizzato la posizione di (OMISSIS) da p. 419 a p. 464 -, e limitandosi a contestare la valenza probatoria della c.d. "droga parlata", senza neppure distinguere tra le due imputazioni per le quali e' stata affermata la responsabilita' penale. Al riguardo, la sentenza impugnata - che richiama l'ampia piattaforma probatoria costituita dalle intercettazioni, con i riferimenti alle quantita' ed al prezzo della cocaina - appare conforme al principio affermato da questa Corte, secondo cui in tema di stupefacenti, la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti puo' essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell'organizzazione di una attivita' illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l'identificazione degli acquirenti finali, l'accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilita' degli imputati, e' gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalita' con le quali e' risalito alle diverse qualita' e tipologie della droga movimentata (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, De Simone, Rv. 279251); in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piu' ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilita' razionale, con esclusione soltanto delle eventualita' piu' remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299). 19.2. Il secondo motivo, con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, e' inammissibile. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, la gravita' dei fatti ed un precedente penale specifico. Va al riguardo rammentato che, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, e' valutabile anche nell'ipotesi in cui sia gia' intervenuta, ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 23952 del 30/04/2015, Di Pietro, Rv. 263850); peraltro, la deduzione e' generica e non documentata. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 20. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. Condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno nell'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, di cui al capo 1 (cosi' riqualificato dalla Corte territoriale l'originaria imputazione di partecipazione), deduce il vizio di motivazione sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in una contraddizione nella parte in cui ha escluso l'intraneita' del ricorrente nell'associazione dedita al narcotraffico, non di meno riconoscendo il concorso esterno dell'imputato sulla base di elementi che non consentirebbero di sostenere neppure che il soggetto avesse conoscenza dell'esistenza di un'associazione; sotto altro profilo lamenta la contraddittorieta' della motivazione nella parte in cui ha assolto il coimputato (OMISSIS), nonostante la posizione processuale del tutto sovrapponibile rispetto a quella del (OMISSIS), anche per gli elementi probatori che vi erano a suo carico (contatti con (OMISSIS) e conversazioni telefoniche da cui sono emersi trasporti di stupefacente a Palermo per conto di quest'ultimo). Il ricorso e' del tutto generico, limitandosi a richiamare estratti della motivazione della sentenza impugnata, per contestarne, sia pur laconicamente ed assertivamente, le valutazioni, senza un concreto confronto argomentativo con l'apparato motivazionale della Corte territoriale. Al contrario, la sentenza impugnata ha compiutamente ricostruito il ruolo assunto da (OMISSIS), sulla base delle conversazioni intercettate e dell'arresto in flagranza, in occasione del quale e' stato trovato in possesso di stupefacente, evidenziando come l'imputato, pur operando autonomamente, avesse costantemente e consapevolmente agevolato l'attivita' dell'associazione per delinquere contestata al capo 1, occupandosi di circa venti trasporti di droga, per conto di (OMISSIS), verso i "palermitani"; pur evidenziando l'autonomia operativa del (OMISSIS), che ha dunque consentito di escluderne l'intraneita' al sodalizio, la sentenza ha motivato in merito alla sua consapevolezza di agevolare il traffico del sodalizio in considerazione del carattere non occasionale, bensi' reiterato, dei "viaggi" fatti per conto dell'associazione e delle comunicazioni riservate (le "imbasciate", come definite dal (OMISSIS)) veicolate al gruppo dei "siciliani" ai quali trasportava le partite di stupefacente. Non vi e' alcuna contraddittorieta' con la motivazione concernente (OMISSIS), in quanto la Corte territoriale ha valorizzato le differenti circostanze di fatto, per porre in dubbio la consapevolezza dell'imputato di agevolare l'attivita' dell'associazione, anziche' del singolo ( (OMISSIS)). 21. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni e 4 mesi di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 e per il reato di trasferimento fraudolento di un tabacchino di cui all'articolo 512 bis c.p. contestato al capo 32 - e' inammissibile. 21.1. Nel rinviare infra p. 1 per l'eccezione di inutilizzabilita' delle intercettazioni, comune a diversi ricorrenti, e infra p. 14 per i motivi concernenti il capo 32, i residui motivi sono inammissibili, in quanto non consentiti e manifestamente infondati. 21.2. Le doglianze concernenti il reato associativo sono inammissibili, perche' si risolvono in una contestazione del significato probatorio delle intercettazioni captate e degli altri elementi, e nella sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, sulla base di una lettura alternativa delle stesse. Al riguardo, premesso che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Invero, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, i contenuti informativi provenienti da intercettazioni di conversazioni tra soggetti intranei all'associazione, relativi a fatti direttamente attinenti a settori vitali della cosca, sono utilizzabili in modo diretto e non come mere dichiarazioni "de relato", perche' espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all'interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune agli associati (Sez. 2, n. 10366 del 06/03/2020, Muia', Rv. 278590 - 02); in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l'imputato, possono costituire fonte diretta di prova, senza necessita' di reperire riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611 - 02, che, in motivazione, ha precisato che le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all'altro). Va inoltre evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di elementi: - (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), gia' condannato nel processo c.d. "(OMISSIS)" per associazione per delinquere di tipo mafioso, con funzioni apicali (con condotta permanente accertata fino al 1999), si e' reso latitante, per un periodo anche in territorio canadese, in occasione della misura cautelare adottata nel procedimento "(OMISSIS)", facendo dunque affidamento su una sicura e consolidata rete di sostegno e omerta', sintomatica di una posizione di prestigio criminale; - e' stato coinvolto nella cruenta faida tra la famiglia dei (OMISSIS) e quella dei (OMISSIS), che lo ha visto vittima di un tentato omicidio nel 1987, terminata con l'affermazione della supremazia dei primi; - dall'intercettazione delle conversazioni captate in ambientale tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge il continuo riferimento a (OMISSIS) come colui al quale i sodali del gruppo canadese devono dare conto ("loro intanto gli devono dare conto dei soldi che hanno fatto e non hanno fatto"), e che manifesta un interesse diretto e pressante rispetto alla evoluzione della situazione canadese in seguito all'omicidio (OMISSIS), affidando a (OMISSIS) una "imbasciata" per i sodali insediati in Canada; - dalle intercettazioni captate emerge l'interessamento di (OMISSIS) alle elezioni amministrative, come si evince dal sostegno assicurato ad un candidato, per il quale, secondo quanto affermato da (OMISSIS) nell'autovettura, "si sta impegnando (OMISSIS)": la chiara dimostrazione del prestigio criminale del (OMISSIS) e' stata desunta dalla risposta dell'interlocutore al quale era stato sollecitato l'appoggio elettorale, che assicurava "quello che ci dice lui facciamo". Tali elementi, con i quali il ricorrente omette un concreto confronto argomentativo, che non si risolva in una assertiva contestazione, fondano dunque l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo, con ruolo apicale. Con riferimento al periodo temporale del contributo associativo, la doglianza e' manifestamente infondata, in quanto la contestazione, nel presente procedimento, e' espressamente circoscritta, con riferimento a (OMISSIS), "a partire dal gennaio 2011 (cessazione della permanenza di cui alla contestazione del procedimento (OMISSIS))"; sicche' non esiste alcuna sovrapposizione di contestazioni. Quanto allo stato detentivo, prolungatosi fino al 13/05/2014, che avrebbe impedito la partecipazione al sodalizio, nel sottolineare che gli elementi di prova riguardano il periodo successivo alla scarcerazione, va rammentato che, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo dell'indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (ex multis, Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti, Rv. 261272). Peraltro, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicche' l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo' rilevare solo quale elemento significativo di un piu' ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Buglisi, Rv. 275586; Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Ammendola, Rv. 278221). 21.3. Il motivo concernente il mancato riconoscimento della continuazione con la condanna nel procedimento "(OMISSIS)" e' inammissibile. Premesso che, ai fini della configurabilita' del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non e' sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneita' delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operativita' e sulla loro continuita' nel tempo, al fine di accertare l'unicita' del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralita' di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, Gattuso, Rv. 281375; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, Carpentieri, Rv. 271569, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto corretta l'esclusione del vincolo della continuazione tra il reato associativo accertato con la sentenza impugnata ed altro analogo reato, relativo alla medesimo clan camorristico, accertato con sentenza di condanna emessa vent'anni prima, in quanto dalla sentenza impugnata emergeva che il gruppo criminale, sebbene operante nel medesimo ambito territoriale, era profondamente mutato nel tempo, quanto alla compagine sociale ed al programma delinquenziale, per effetto di circostanze contingenti ed occasionali inimmaginabili al momento dell'iniziale affiliazione del ricorrente), la Corte territoriale ha evidenziato come, pur trattandosi della medesima associazione mafiosa, il notevole intervallo di tempo tra la cessazione della permanenza del reato definitivamente giudicato, nel 1999, e quello contestato nel presente procedimento (a partire dal gennaio 2011), in assenza di ulteriori elementi, non consentisse di affermare la unitarieta' del disegno criminoso. 21.4. Il motivo con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e' inammissibile. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, la gravita' dei fatti ed i gravi precedenti penali, anche specifici. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 21.5. Il motivo concernente il trattamento sanzionatorio e' privo di specificita', ed e' altresi' manifestamente infondato, essendo pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicche' e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142). 21.6. I motivi nuovi depositati si limitano ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che precedono, non essendo evidentemente consentita una valutazione di merito della sentenza prodotta emessa nei confronti di (OMISSIS) in altro processo. 22. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 - e' inammissibile. 22.1. Le doglianze concernenti il reato associativo ed il ruolo apicale sono inammissibili, perche' si risolvono in una contestazione del significato probatorio delle intercettazioni captate e degli altri elementi, e nella sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, sulla base di una lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla valenza probatoria delle intercettazioni e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta'. Con riferimento al periodo temporale del contributo associativo, la doglianza e' manifestamente infondata, in quanto la contestazione, nel presente procedimento, e' espressamente circoscritta, con riferimento a (OMISSIS), "a partire dal 22 marzo 2011 (cessazione della permanenza di cui alla contestazione del procedimento il (OMISSIS))". Quanto allo stato detentivo, che avrebbe impedito la partecipazione al sodalizio, va rammentato che, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo dell'indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (ex multis, Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti, Rv. 261272). Peraltro, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicche' l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo' rilevare solo quale elemento significativo di un piu' ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Buglisi, Rv. 275586; Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Ammendola, Rv. 278221). Va inoltre evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di elementi: - (OMISSIS), gia' condannato per la partecipazione all'associazione âEuroËœndrangheta, per il ruolo di raccordo tra le articolazioni settentrionali e la "Provincia" calabrese, e per la partecipazione a summit tra esponenti di rilievo della âEuroËœndrangheta fonica e quella canadese, si e' reso latitante per un periodo di circa un anno, potendo dunque fare affidamento su una sicura e consolidata rete di sostegno e omerta', sintomatica di una posizione di prestigio criminale; - il trasferimento in Canada non elide la sua partecipazione al sodalizio, considerando che proprio a Toronto era insediata una articolazione della cosca calabrese oggetto del presente procedimento, si' da corroborare il suo ruolo associativo; - dall'intercettazione delle conversazioni captate in ambientale tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge il riferimento esplicito a (OMISSIS), criticato per essersi disinteressato delle vicende canadesi (" (OMISSIS) se ne fotte dei suoi"), che rivela comunque un perdurante e riconosciuto ruolo apicale dell'imputato, percio' oggetto di critiche; - dall'intercettazione captata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (il (OMISSIS)) il 14/08/2009 emerge la rilevanza della sua posizione nel sodalizio, considerando che un soggetto del calibro mafioso del " (OMISSIS)" affronta con lui argomenti delicati, come i contrasti a livello dei vertici associativi; - (OMISSIS) non solo prende parte alle discussioni sul conferimento di cariche di âEuroËœndrangheta, ma partecipa a riunioni di vertice indette per comporre dissidi interni al sodalizio, insieme a (OMISSIS), (OMISSIS), ed altri; - dalla conversazione del 1 maggio 2008 si evince che durante la latitanza di (OMISSIS), la reggenza della âEuroËœlocale' e' stata assegnata a (OMISSIS) ("ora (OMISSIS) e' latitante e dovrebbe essere (OMISSIS)"); - (OMISSIS) svolge il ruolo di risolutore di contrasti tra locali di âEuroËœndrangheta attivi in Piemonte, come riferito dal collaboratore (OMISSIS), che lo individua come il responsabile della (OMISSIS), capace di intervenire "quando sorgeva qualche problema", come il conferimento di una "dote". Quanto alla interpretazione delle intercettazioni, premesso che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Tanto premesso, tali elementi, con i quali il ricorrente omette un concreto confronto argomentativo, che non si risolva in una assertiva contestazione, fondano dunque l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo, con ruolo apicale. 23. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 10 anni di reclusione per il reato associativo di cui al capo 30 - e' inammissibile. 23.1. Le doglianze concernenti il reato associativo ed il ruolo apicale sono inammissibili, perche' si risolvono in una contestazione del significato probatorio delle intercettazioni captate e degli altri elementi, e nella sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, sulla base di una lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla valenza probatoria delle intercettazioni, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), e degli altri elementi indiziari posti a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. Con riferimento al periodo temporale del contributo associativo, la contestazione, nel presente procedimento, e' espressamente circoscritta, con riferimento a (OMISSIS), "a partire dal 22 marzo 2011 (cessazione della permanenza di cui alla contestazione del procedimento il (OMISSIS))". Quanto allo stato detentivo, che avrebbe impedito la partecipazione al sodalizio, va rammentato che, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo dell'indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (ex multis, Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti, Rv. 261272). Peraltro, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicche' l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo' rilevare solo quale elemento significativo di un piu' ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Buglisi, Rv. 275586; Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Ammendola, Rv. 278221). Va inoltre evidenziato che la sentenza impugnata ha congruamente fondato l'affermazione di responsabilita' su una serie di elementi: - (OMISSIS), gia' condannato per la partecipazione all'associazione âEuroËœndrangheta, con funzioni apicali della "locale" di (OMISSIS), si e' reso latitante per un periodo di circa 19 mesi, rimanendo sempre nella sua zona di influenza, essendo stato arrestato solo nel 2012, mentre era nascosto in un vano ricavato nel sottotetto della sua abitazione, potendo dunque fare affidamento su una sicura e consolidata rete di sostegno e omerta', sintomatica di una posizione di prestigio criminale, che aveva consentito di vanificare le indagini tendenti alla sua cattura, dalle quali, grazie alle intercettazioni disposte, e' originato il presente procedimento; - (OMISSIS), secondo quanto accertato nel procedimento (OMISSIS), rivestiva funzioni apicali non soltanto della "locale", ma dell'intera "Provincia", cioe' dell'organismo criminale di vertice della âEuroËœndrangheta, partecipando ai summit in cui si assegnavano le âEuroËœcariche' criminali; tali elementi, dunque, sono stati ritenuti significativi per escludere che (OMISSIS) abbia reciso il rapporto associativo e abbandonato la sua posizione di vertice, mentre riusciva a rimanere latitante per ben 19 mesi in casa sua; - dalle intercettazioni delle conversazioni captate in ambientale nella sua abitazione emerge che, anche durante la latitanza, egli era in grado di convocare diversi soggetti, contando sulla loro omerta' circa il suo nascondiglio, per essere tenuto al corrente di diverse attivita' "economiche" e per impartire disposizioni; circostanze che, a prescindere dalla specifica illiceita' delle condotte, manifesta un perdurante e riconosciuto ruolo apicale dell'imputato; - dall'intercettazione captata il 20 febbraio 2013, all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), emerge che (OMISSIS) - promotore ed organizzatore del sodalizio, da poco scarcerato -, chiedeva ad (OMISSIS), in ragione dei buoni rapporti commerciali con la societa' dell'ex senatore (OMISSIS), un intervento di quest'ultimo per ottenere il ridimensionamento in appello della pesante condanna inflitta in primo grado ad (OMISSIS) (capocosca, condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione per associazione mafiosa ed altri delitti), trovando la pronta adesione dell' (OMISSIS), resosi disponibile a formulare la richiesta allo (OMISSIS) nella consapevolezza della possibilita' e del potere di intervento di quest'ultimo, che aveva gia' posto in essere interventi analoghi, nonche' nella consapevolezza del ruolo apicale dell' (OMISSIS) e dell'interesse del sodalizio alla sorte di questi. Al riguardo, il ricorrente ha tentato di ridimensionare il significato dello stato di latitanza e dell'intervento di (OMISSIS), proponendo una non consentita lettura alternativa del compendio probatorio. Al contrario, nell'evidenziare che lo stato di latitanza, protrattosi anche successivamente al 22 marzo 2011 (data di cessazione della permanenza del reato associativo accertato nel procedimento (OMISSIS)), e fino al 2012, dunque in epoca concernente il reato associativo contestato nel presente procedimento, assume una indubbia valenza indiziaria della partecipazione qualificata ad una associazione mafiosa, necessitando di significativi appoggi e di una rete di omerta' e protezione saldamente radicata nel territorio controllato, va aggiunto che, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, al fine di individuare il requisito tipico di tale genere di sodalizio, consistente nella forza di intimidazione promanante dalla stessa esistenza del vincolo associativo (articolo 416 bis c.p., comma 3), assume un particolare rilievo sintomatico la consuetudine alla latitanza dei suoi membri e in particolare dei suoi componenti di vertice, giacche' la latitanza contribuisce in misura notevole a far si' che l'attivita' della consorteria sia circondata dalla diffusa sensazione dell'impunita', che rende sfuggente e al tempo stesso incombente l'impressione di pericolo in chiunque pensi di ostacolare il raggiungimento dei fini associativi (Sez. 6, n. 2324 del 16/05/2000, Lorizzo, Rv. 217562). Quanto all'intervento di (OMISSIS) per "aggiustare" la condanna inflitta ad (OMISSIS) nel processo (OMISSIS), che, secondo il ricorrente, sarebbe estraneo al contributo del beneficiario e frutto di una iniziativa autonoma del (OMISSIS), va rilevato che, come gia' piu' ampiamente illustrato infra p. 7, l'intervento e' stato predisposto nell'ambito delle logiche associative e nell'interesse del sodalizio, del quale, evidentemente, (OMISSIS) era ancora partecipe qualificato: invero, (OMISSIS) aveva convocato (OMISSIS) tramite il (OMISSIS), fidanzato della figlia del capocosca (OMISSIS), e gli aveva esposto in termini chiari l'esigenza di un intervento corruttivo sui giudici della Corte d'appello per ottenere il ridimensionamento della pena inflitta in primo grado ad (OMISSIS), condannato dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria per associazione mafiosa alla pena di 11 anni e 2 mesi di reclusione: in particolare, gli aveva chiesto in modo esplicito di parlarne con l'ex onorevole (OMISSIS), con il quale l' (OMISSIS) era in rapporti imprenditoriali, per tentare, tramite questi, di influire sui giudici, che avrebbero trattato il processo in grado di appello. All'evidenza il colloquio, riportato nella sentenza impugnata, da' conto della fiducia riposta dal (OMISSIS) nell' (OMISSIS), che risulta perfettamente a conoscenza della posizione apicale dell'interlocutore e del soggetto da favorire, (OMISSIS) - il (OMISSIS) gli dice chiaramente che "li' e' la mamma di tutti, sono tutti figliocci suoi, sono tutti sotto di lui; qua senza di lui siamo rovinati" -, nonche' della posizione di altri componenti del sodalizio, della cui sorte il (OMISSIS) non si preoccupa, anche perche' condannati a pene piu' miti, in gran parte gia' scontate; dimostra che l' (OMISSIS) sa del potere di influenza del senatore, gia' attivatosi in precedenti occasioni per interventi analoghi, ed in buoni rapporti con la âEuroËœndrangheta, dalla quale aveva ricevuto favori, ed il (OMISSIS), che, sottolineando l'indispensabilita' di tali rapporti per mantenere certi equilibri, lo sollecita a riferire allo (OMISSIS) della loro disponibilita' ad aiutarlo in caso di bisogno (se dice "ho bisogno di... in caso pure qua", poi uno vede di impegnarsi", "l'impossibile da parte nostra vediamo quello che.. lo possiamo servire in tutti i modi se ci aiuta su questo fatto di (OMISSIS) ci vendiamo pure l'anima al diavolo"). Tale intervento, chiesto da un soggetto del calibro di (OMISSIS), nella affermata consapevolezza della indispensabilita' per la vita dell'associazione mafiosa di far uscire al piu' presto (OMISSIS) dal carcere, costituisce dunque una ulteriore conferma, sotto il profilo logico, della permanenza di quest'ultimo nell'organigramma della âEuroËœndrangheta, con funzioni di assoluto rilievo, anche in epoca successiva al marzo del 2011; tanto da richiedere un intervento "straordinario", quale il tentativo di corruzione in atti giudiziari sollecitato. Quanto alla interpretazione delle intercettazioni, premesso che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714), l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Tanto premesso, tali elementi, con i quali il ricorrente omette un concreto confronto argomentativo, che non si risolva in una assertiva contestazione, fondano dunque l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo, con ruolo apicale. Va aggiunto che le doglianze concernenti l'attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), oltre ad essere generiche e prive di univocita' - lo stralcio di dichiarazione richiamato a p. 20-21 del ricorso sembra riferirsi ad un collegamento con la cosca Ursino -, e fondate su una selezione arbitraria e del tutto parziale delle stesse, sollecitano una diversa valutazione di merito, non consentita in sede di legittimita'. 23.2. Il secondo motivo e' inammissibile. Quanto all'aggravante della disponibilita' delle armi, il motivo e' generico e manifestamente infondato, essendo emersa la prova della disponibilita' di armi, anche da guerra, da parte della cosca, come si desume, tra le altre, dal tenore della conversazione intercettata il 22 gennaio 2013, nel corso della quale, discorrendo con (OMISSIS), (OMISSIS) fa riferimenti piu' che espliciti ad armi e munizionamento (la "7 parabellum", una "quarantacinque", i "colpi", il "silenziatore") detenuti dal sodalizio. Sul punto, premesso che il ruolo apicale dell'imputato esclude che la disponibilita' di armi da parte del sodalizio sia ignorata, e' consolidato il principio secondo cui, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilita' di armi, di cui all'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 5, e' configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, Rv. 276831 - 02, con riferimento ad una fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule "locali" di âEuroËœndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilita' dell'anzidetta aggravante, e' necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula "locale" che abbia la concreta disponibilita' delle armi). Quanto alle doglianze concernenti la disciplina di cui all'articolo 81 c.p., pur prescindendo dalla scarsa perspicuita' di alcune argomentazioni, va evidenziato che alcuna erronea individuazione dell'arco temporale del reato associativo ricorre nella sentenza impugnata, che ha affermato la responsabilita' penale di (OMISSIS) in relazione alla condotta permanente dal 22 marzo 2011 al 2015, ed ha riconosciuto la continuazione con la precedente condotta associativa, la cui permanenza era giudizialmente cessata in data 21 marzo 2011. Lungi dallo smentire la corretta applicazione, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente non fa che confermare la corretta applicazione della legge da parte della Corte territoriale, avendo affermato che, "in tema di partecipazione ad associazione mafiosa, la condotta criminosa cessa con lo scioglimento del vincolo associativo o per recesso volontario del singolo, per cui soltanto in tali ipotesi potra' configurarsi il reato continuato rispetto alla partecipazione alla medesima organizzazione delinquenziale contestata in separato procedimento e relativa ad epoca immediatamente successiva, mentre, in assenza di soluzione di continuita', la partecipazione al medesimo sodalizio criminoso, anche se contestata in tempi diversi, realizza un unico reato permanente" (Sez. 2, n. 41727 del 04/07/201, Arena, Rv. 261987): in altri termini, in caso di cessazione della permanenza, come nella fattispecie, si configura una continuazione tra le diverse condotte partecipative, mentre "in assenza di soluzione di continuita'", la partecipazione al medesimo sodalizio criminoso, anche se contestata in tempi diversi, integra un unico reato permanente. Nel caso di specie, vi e' stata soluzione di continuita', essendo intervenuta una causa giudiziale di cessazione della permanenza. Quanto al trattamento sanzionatorio, le doglianze si concentrano sul quantum della pena base - 16 anni di reclusione - determinata, aumentata di 4 anni per la continuazione con il reato giudicato nel processo (OMISSIS). Ebbene, a prescindere dal rilievo che la pena inflitta e' stata determinata in prossimita' del minimo edittale (essendo il minimo edittale previsto dall'articolo 416 bis c.p., comma 1, pari a 15 anni di reclusione), e' pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, (OMISSIS), Rv. 271243); sicche' e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142). Nel caso in esame, peraltro, la Corte territoriale ha motivato in merito al lieve discostamento dal minimo, evidenziando i precedenti penali specifici, lo stato di latitanza per un lungo periodo, ed il ruolo di spicco rivestito nel sodalizio mafioso. 23.3. Il terzo motivo, concernente le statuizioni civili, e' inammissibile, in quanto la relativa censura e' stata gia' accolta nel giudizio di appello (p. 761 della sentenza impugnata), e la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile del Comune di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). 24. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 8 anni e 4 mesi di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), e un reato-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 2) - e' inammissibile. 24.1. Le doglianze concernenti il reato associativo sono inammissibili Quanto alla sussistenza del reato associativo, e non di un mero concorso di persone, premesso che l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550, che, in motivazione, ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo, poiche', solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie), la sentenza impugnata ha ampiamente motivato in ordine alla struttura organizzativa ed alla permanenza del vincolo associativo, dimostrata altresi' dalla commissione di diversi reati-fine. Con tale motivazione il ricorso omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio criminale, premesso che doglianze sono rivolte ad una mera contestazione della idoneita' dimostrativa, sul rilievo che si tratterebbe di condotte circoscritte nel tempo, provate da un numero esiguo di intercettazioni, va evidenziato che l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo 1 e' fondata su una serie di conversazioni - analiticamente richiamate e valutate da p. 73 a p. 83 -, dalle quali si desumono i reiterati viaggi verso la Sicilia, in compagnia di (OMISSIS), e la Puglia per l'acquisto di cocaina, gli stretti contatti con (OMISSIS), che avverte del rischio di perquisizioni e controlli da parte delle forze dell'ordine, il coinvolgimento nelle vicende associative. Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va ribadito che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). 24.2. Il motivo concernente il reato-fine di traffico di stupefacenti di cui al capo 2 e' del tutto generico, mancando qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, e proponendo doglianze non consentite, dirette a sollecitare una rivalutazione della ricostruzione dei fatti, sulla base di una non consentita lettura alternativa del materiale probatorio. 24.3. I motivi con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancanza di motivazione della pena sono inammissibili, in quanto del tutto generici, non deducendo neppure quali sarebbero gli elementi positivamente valutabili per il riconoscimento delle attenuanti generiche. Quanto al calcolo della pena, e' sufficiente rilevare che la pena base per il reato associativo, aggravato dalla disponibilita' delle armi, e' stata determinata nel minimo edittale di 12 anni di reclusione. 25. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 14 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione per i reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo 1), una serie di reati-fine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 2, 4, 7, 9, 10, 12, 13 e 15), reati di illecita detenzione di armi (capi 19, 22, 23, 24 e 25) e per associazione di tipo mafioso (capo 30) - e' inammissibile. 25.1. Le doglianze concernenti il reato associativo di cui al capo 30 sono inammissibili, perche' si risolvono in una contestazione del significato probatorio delle intercettazioni captate e degli altri elementi, e nella sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, sulla base di una lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). La partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio mafioso, oltre che all'associazione finalizzata al narcotraffico, e' stata desunta da una serie di univoci elementi, quali: - il dialogo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso del quale il secondo afferma "qua purtroppo non possiamo andare a litigarci con tutti e tu lo dovresti capire che abbiamo un gruppo e una famiglia", ed il primo replica dicendo "a me non mi mandano piu' la' sotto"; - l'acquisizione della scuola di formazione per estetisti, di cui (OMISSIS) parla con (OMISSIS), in una prospettiva associativa e nell'interesse del sodalizio; - il colloquio in cui (OMISSIS), parlando del processo (OMISSIS), adopera termini che implicano una sua consapevole appartenenza alla cosca (OMISSIS) ("noi pentiti nei nostri processi non ne abbiamo mai avuto"). Oltre ad una serie di altri elementi, appare assorbente il rilievo che (OMISSIS) e' risultato essere il custode dell'arsenale di armi, anche da guerra, a disposizione della cosca (OMISSIS), per il quale e' stato condannato anche in relazione ai singoli reati di illecita detenzione di armi; in tal senso, oltre all'indice costituito dalla commissione di reati-fine, e' innegabile il contributo decisivo alla vita ed al rafforzamento del sodalizio mafioso. 25.2. Il secondo motivo, concernente l'associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e i reati-fine, e' inammissibile. Quanto alla sussistenza del reato associativo, e non di un mero concorso di persone, premesso che l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550, che, in motivazione, ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo, poiche', solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie), la sentenza impugnata ha ampiamente motivato in ordine alla struttura organizzativa ed alla permanenza del vincolo associativo, dimostrata altresi' dalla commissione di diversi reati-fine. Con tale motivazione il ricorso omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo, limitandosi a proporre una lettura alternativa di singoli elementi probatori, con un non consentito approccio atomistico e parcellizzato. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio criminale, premesso che doglianze sono rivolte ad una mera contestazione della idoneita' dimostrativa, sul rilievo che si tratterebbe di condotte circoscritte nel tempo, provate da un numero esiguo di intercettazioni, va evidenziato che l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo 1 e' fondata su una serie di conversazioni - analiticamente richiamate e valutate da p. 154 a p. 187 -, dalle quali si desumono gli espliciti riferimenti ai "pacchi" ed ai "kili" di stupefacenti trafficati, ai relativi prezzi, ai reiterati viaggi verso la Sicilia, per recuperare il residuo del corrispettivo di una fornitura di 300 kg. di marijuana ai "siciliani", il coinvolgimento nelle vicende associative. La circostanza che le intercettazioni concernenti la posizione di (OMISSIS) siano circoscritte ad un periodo limitato (dal 3 maggio 2013 al 12 maggio 2015) rispetto alla contestazione non esclude, naturalmente, l'esistenza e l'operativita' del sodalizio anche precedentemente, e durante lo stato di detenzione o di latitanza del capo, (OMISSIS), che infatti, non appena scarcerato, convoca (OMISSIS) per riprendere le "redini" del sodalizio e mettere ordine negli affari illeciti. Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va ribadito che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). 25.3. Il motivo concernente i reati-fine di traffico di stupefacenti e' del tutto generico, e, nella sua laconicita', appare circoscritto ai capi 2 e 4. Manca, al riguardo, qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, proponendo doglianze non consentite, dirette a sollecitare una rivalutazione della ricostruzione dei fatti, sulla base di una non consentita lettura alternativa del materiale probatorio. In ogni caso, con riferimento alla cessione di 300 kg. di marijuana a (OMISSIS) (capo 2), il coinvolgimento di (OMISSIS) e' stato desunto da una serie di conversazioni intercettate e richiamate da p. 269 a p. 273 della sentenza impugnata, con cui il ricorso omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo, e che evidenziano i riferimenti espliciti ai "trecento chili" mandati ai "siciliani" ed ai tentativi di recupero del residuo corrispettivo (50 mila Euro) della fornitura di marijuana. Quanto al capo 4, concernente una serie di cessioni di marijuana a (OMISSIS), il ruolo attivo assunto da (OMISSIS) e' stato desunto da una serie di univoche intercettazioni ambientali richiamate da p. 311 a p. 315 della sentenza, attestanti i numerosi viaggi effettuati anche dallo stesso imputato verso la Sicilia per il traffico intrapreso. La doglianza con cui si contesta la valenza probatoria della c.d. "droga parlata" e' del tutto generica, oltre che manifestamente infondata. Al riguardo, la sentenza impugnata - che richiama l'ampia piattaforma probatoria costituita dalle intercettazioni, con i riferimenti alle quantita' ed al prezzo della sostanza stupefacente oggetto di traffico illecito - appare conforme al principio affermato da questa Corte, secondo cui in tema di stupefacenti, la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti puo' essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell'organizzazione di una attivita' illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l'identificazione degli acquirenti finali, l'accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilita' degli imputati, e' gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalita' con le quali e' risalito alle diverse qualita' e tipologie della droga movimentata (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, De Simone, Rv. 279251); in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piu' ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilita' razionale, con esclusione soltanto delle eventualita' piu' remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299). 25.4. Il motivo concernente i reati di detenzione illecita di armi e' del tutto generico, ed omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che ha richiamato analiticamente (da p. 603 a p. 612) le numerose intercettazioni, anche in ambientale, attestanti il ruolo assunto da (OMISSIS) nella custodia delle armi, anche da guerra, detenute nell'interesse della cosca mafiosa, ulteriormente confermato anche dal sequestro di parti di armi e munizionamento, nonche' di un elenco di armi, nell'abitazione del medesimo. Quanto alla ricettazione, detenzione e cessione a (OMISSIS) della pistola cal. 3.57 Magnum, Smith & Wesson, con matricola abrasa (capi 22, 23 e 24), la sentenza ha evidenziato il tenore dell'intercettazione con (OMISSIS) il 14 settembre 2013 ed il successivo rinvenimento dell'arma, sei giorni dopo, nell'abitazione di quest'ultimo. Con riferimento alla pistola (capo 25), che (OMISSIS) aveva pochi giorni prima mostrato con orgoglio a (OMISSIS) e (OMISSIS), la illecita detenzione e' stata affermata sulla base dell'intercettazione nel corso della quale, immediatamente dopo l'arresto del (OMISSIS), (OMISSIS) telefona alla moglie, intimandole di "buttare via" la "cosa posata la' sopra", e dalla intercettazione successiva alla perquisizione, in cui afferma "la pistola non sono riusciti a trovarla". 25.6. Il motivo concernente l'aggravante dell'agevolazione di un sodalizio mafioso e' inammissibile, in quanto generico e meramente assertivo, e in quanto manifestamente infondato, essendo emersa la finalizzazione dei reati in materia di stupefacenti e di armi ad agevolare la cosca (OMISSIS), del quale (OMISSIS) faceva parte, con compiti neppure secondari. 25.7. Il motivo con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancanza di motivazione e' inammissibile, in quanto del tutto generico, non deducendo neppure quali sarebbero gli elementi positivamente valutabili per il riconoscimento delle attenuanti generiche. 26. Il ricorso di (OMISSIS) - condannato a 11 anni di reclusione per i reati associativi di cui ai capi 1 e 30, nonche' per reati di traffico di stupefacenti (capo 7) e di illecita detenzione di armi (capi 16, 17 e 19) - e' inammissibile, cosi' come i motivi nuovi depositati, che si limitano ad estendere l'argomentazione posta a fondamento dei motivi principali, ed il loro vaglio deve dunque ritenersi assorbito dalle considerazioni che seguono. 26.1. Nel rinviare infra p. 1 in merito all'eccezione di inutilizzabilita' delle intercettazioni, i motivi concernenti l'associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e il reato-fine di cui al capo 7, sono inammissibili. Quanto alla sussistenza del reato associativo, e non di un mero concorso di persone, premesso che l'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, Noure, Rv. 275550, che, in motivazione, ha precisato che il reato associativo richiede la predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione dei delitti ed il contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo, poiche', solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa, si realizza la situazione antigiuridica che giustifica le gravi sanzioni previste per tale fattispecie), la sentenza impugnata ha ampiamente motivato in ordine alla struttura organizzativa ed alla permanenza del vincolo associativo, dimostrata altresi' dalla commissione di diversi reati-fine. Con tale motivazione il ricorso omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo, limitandosi ad una mera contestazione assertiva. Quanto alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio criminale, premesso che doglianze sono rivolte ad una mera contestazione della idoneita' dimostrativa, sul rilievo che si tratterebbe di condotte circoscritte nel tempo, provate da un numero esiguo di intercettazioni, va evidenziato che l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo 1 e' fondata su una serie di conversazioni - analiticamente richiamate e valutate da p. 133 a p. 151 -, dalle quali si desumono gli espliciti riferimenti all'"erba", alla "cocaina all'85%", ai "trecento kili" di stupefacenti trafficati, ai relativi prezzi, ai reiterati viaggi verso la Sicilia, per recuperare il residuo del corrispettivo di una fornitura di 300 kg. di marijuana ai "siciliani", ed il coinvolgimento nelle vicende associative. La circostanza che le intercettazioni concernenti la posizione di (OMISSIS) siano circoscritte ad un periodo limitato (dal 2013 al 2014) rispetto alla contestazione non esclude, naturalmente, l'esistenza e l'operativita' del sodalizio anche precedentemente, e durante lo stato di detenzione o di latitanza del capo, (OMISSIS), che infatti, non appena scarcerato, convoca (OMISSIS) per riprendere le "redini" del sodalizio e mettere ordine negli affari illeciti; che poi la partecipazione ad un sodalizio criminale possa essere circoscritta nel tempo e' un dato che non ne elide la consistenza, ma ne circoscrive soltanto la responsabilita', in termini anche sanzionatori. Con riferimento alla valenza probatoria delle intercettazioni, va ribadito che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). Il motivo concernente il reato-fine di traffico di stupefacenti di cui al capo 7 e' del tutto generico, mancando qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, e proponendo doglianze non consentite, dirette a sollecitare una rivalutazione della ricostruzione dei fatti, sulla base di una non consentita lettura alternativa del materiale probatorio. In ogni caso, con riferimento alla detenzione e cessione di 2 kg. di cocaina, 2 kg. di marijuana e 500 gr. di kobret (capo 7), il coinvolgimento di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e' stato desunto da tre conversazioni intercettate e richiamate da p. 357 a p. 398 della sentenza impugnata, con cui il ricorso omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo, e che rappresentano "in diretta" la cessione dello stupefacente ad un certo (OMISSIS), ed il pagamento dell'ingente corrispettivo (32 mila Euro) 26.2. Il motivo concernente il reato di detenzione illecita di una pistola Beretta (capo 17) e' del tutto generico, ed omette qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che ha richiamato analiticamente (da p. 649 a p. 654) la conversazione dell'8 dicembre 2013 con (OMISSIS), nel corso della quale (OMISSIS) afferma di possedere una Beretta "con i colpi della 32", ritenendo del tutto inverosimile la versione della millanteria fornita dall'imputato. Anche il motivo concernente i capi 16 e 19 e' del tutto generico, limitandosi alla contestazione del significato probatorio della conversazione intercettata il 22 gennaio 2013; la censura, tuttavia, non si confronta con le altre numerose conversazioni intercettate - analiticamente richiamate e valutate da p. 603 a 616 -, ed in particolare con la conversazione intercettata l'8 dicembre 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso della quale i due interlocutori parlano esplicitamente delle armi del gruppo. Tali elementi evidenziano altresi' la manifesta infondatezza del nono motivo, concernente l'aggravante della disponibilita' di armi contestata con riferimento ai due reati associativi, essendo emersa univocamente la consapevolezza del (OMISSIS) della disponibilita' di un arsenale da parte del sodalizio, ed anche un suo personale contributo nella custodia. 26.3. Le doglianze concernenti il reato associativo di cui al capo 30 sono inammissibili, perche' si risolvono in una contestazione del significato probatorio delle intercettazioni captate e degli altri elementi, e nella sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito, sulla base di una lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). La partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio mafioso, oltre che all'associazione finalizzata al narcotraffico, e' stata desunta da una serie di univoci elementi, quali: il dialogo tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso del quale il secondo afferma "qua purtroppo non possiamo andare a litigarci con tutti e tu lo dovresti capire che abbiamo un gruppo e una famiglia"; il ruolo di "inviato" e "messaggero" del vertice della cosca (OMISSIS), anche in relazione ai contrasti insorti in seno al gruppo canadese. Oltre ad una serie di altri elementi, appare assorbente il rilievo che (OMISSIS) e' risultato essere uno dei custodi dell'arsenale di armi, anche da guerra, a disposizione della cosca (OMISSIS), per il quale e' stato condannato anche in relazione ai singoli reati di illecita detenzione di armi; in tal senso, oltre all'indice costituito dalla commissione di reati-fine, e' innegabile il contributo decisivo alla vita ed al rafforzamento del sodalizio mafioso. 26.4. Il motivo con cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancanza di motivazione e' inammissibile, in quanto del tutto generico, non deducendo neppure quali sarebbero gli elementi positivamente valutabili per il riconoscimento delle attenuanti generiche, non essendo in tal senso sufficiente il mero stato di incensuratezza. Premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, e la gravita' e reiterazione, fin da giovane eta', dei fatti. Sicche' la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 27. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 3.015,00, oltre accessori di legge in favore del Comune di (OMISSIS), e in complessivi Euro 12.000,00 in favore della Citta' Metropolitana di Reggio Calabria. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al reato di ricettazione di cui al capo 31, per essere l'azione penale improcedibile. Annulla la sentenza impugnata: - nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 27; - nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 30; - nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 31; - nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 14, ed alle aggravanti di cui all'articolo 74, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e all'articolo 416 bis.1 c.p. contestate in riferimento al reato di cui al capo 1; - nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'articolo 416 bis.1 c.p. contestato in riferimento al reato di cui al capo 15; con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.015,00, oltre accessori di legge in favore del Comune di (OMISSIS), e in complessivi Euro 12.000,00 in favore della Citta' Metropolitana di Reggio Calabria.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO in persona della Dott.ssa Sabrina Cignini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 200680 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2012, trattenuta in decisione all'udienza del 7.10.2021, avente ad oggetto una domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale promossa da (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. An.Ma., presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata ATTRICE nei confronti di (...) S.P.A. (P.I. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Li.Ma., presso lo studio della quale è elettivamente domiciliata CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 25.6.2012, l'attrice, nella qualità di unica erede di (...) (marito defunto), ha evocato in giudizio la (...) S.P.A. dinnanzi l'intestato Tribunale per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "premessa ogni più opportuna declaratoria in relazione ai fatti, incorsa in responsabilità precontrattuale per la mancata erogazione del mutuo al sig. (...) dell'importo di Euro 130.000,00, ex art. 1337 c.c.; condannare la (...) spa al pagamento di un risarcimento nella misura di Euro 130.000,00 ( come sopra motivato) ovvero nella maggiore o minore somma da determinarsi anche in via equitativa, oltre esborsi, interessi e rivalutazioni monetaria dalla domanda e sino al soddisfo, per le ragioni indicate in narrativa; condannare la (...) spa al pagamento delle spese ed onorari di giudizio.." A sostegno della domanda deduceva che il sig. (...), nel mese di gennaio 2010, presentava alla (...) spa - filiale di Pineto (TE), richiesta di erogazione di un mutuo ipotecario sul suo immobile sito in (...), dell'importo di Euro 130.000,00, in modo da far fronte a tutti i suoi debiti che aveva in essere con terzi ed Enti pubblici. La (...), dopo la valutazione della richiesta, acconsentiva ad istruire la pratica di mutuo, richiedendo, oltre alle informazioni anagrafiche dell'esponente, i suoi dati lavorativi e reddittuali, nonché tutta una serie di altri documenti. Tuttavia, la (...), senza alcun motivo, non deliberava la concessione del finanziamento, pur avendo, sin dall'inizio e durante tutte le trattative, alla luce dei documenti raccolti, sempre garantito l'erogazione del mutuo stesso. Secondo l'attrice tale comportamento configurerebbe un'ipotesi di responsabilità precontrattuale da ingiustificata rottura delle trattative, comportamento contrario a buona fede che avrebbe causato al L. un notevole danno: egli, infatti, sicuro della erogazione del mutuo, rinunciava ad intavolare trattative bonarie, rateizzazioni e transazioni o anche pagamenti dei suoi debiti con terzi ed altri Enti pubblici, in quanto il finanziamento della (...) avrebbe coperto le pregresse pendenze; per questo motivo, il danno subito avrebbe potuto quantificarsi in Euro 130.000,00, salva diversa liquidazione del Giudice, tenendo conto anche del fatto che tale comportamento della banca avrebbe determinato la vendita all'asta dell'immobile ipotecato per altri crediti. Si costituiva la (...) chiedendo il rigetto della domanda attrice, in quanto infondata ed anzi temeraria, chiedendo l'applicazione dell'art. 96. I e III comma c.p.c.; Deduceva, in particolare, che essa convenuta aveva semplicemente effettuato l'istruttoria della pratica di concessione del mutuo ipotecario di 130.000,00 euro richiesto da parte attrice; che le trattative non erano assolutamente giunte ad uno stato di avanzamento tale da poter comportare l'insorgenza di un legittimo affidamento in capo al L. circa la positiva delibazione della propria pratica ed erogazione del mutuo richiesto; che nelle more dell'istruttoria, le condizioni economico/patrimoniali del convenuto si erano notevolmente aggravate, determinando invece una valutazione negativa circa la possibilità per il L. di pagare con puntualità le rate del mutuo. Con ordinanza istruttoria del 17.4.2013, questo Giudice si era già espresso chiaramente circa l'infondatezza della domanda, rigettando le richieste di prova orale articolate da parte attrice. Detta ordinanza, che qui si conferma integralmente, così disponeva: "le prove testimoniali dedotte da parte attrice nella sua seconda memoria istruttoria, sono, prima ancora che inammissibili, inconcludenti ed irrilevanti rispetto all'oggetto del decidere; ? infatti, secondo giurisprudenza consolidata, il danno risarcibile ex art. 1337 c.c. consiste nel c.d. "interesse contrattuale negativo"; si veda in proposito Cass. n. 19883/2005: "In materia di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all'interesse all'adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte; inoltre sia la perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali, sia la relativa valutazione comparativa devono essere sorrette da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume danneggiata, e non possono basarsi sulla semplice considerazione della sua qualità imprenditoriale, né può senz'altro farsi luogo alla liquidazione equitativa da parte del giudice, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., subordinata, anche nella materia della responsabilità precontrattuale, all'impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell'esatta quantificazione di un pregiudizio comunque certo nella sua esistenza", 1) anche a voler dato per dimostrato, in ipotesi, il comportamento scorretto asseritamente tenuto dalla banca convenuta durante l'istruttoria della pratica di mutuo oggetto di causa, l'attrice non ha fornito elementi probatori sufficienti per poter poi procedere alla quantificazione del danno, non indicando né l'ammontare delle spese sostenute e rese inutili dal comportamento della banca, né la perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di altro contratto di mutuo alle stesse o a migliori condizioni; 2) anzi, tenuto conto della vasta e grave posizione debitoria dell'attrice, del coniuge defunto e dell'attività commerciale degli stessi gestita, appare di sicuro non dimostrabile che altra banca avrebbe consentito l'erogazione del predetto mutuo e che l'importo dello stesso sarebbe stato sufficiente a scongiurare la vendita all'asta dell'immobile staggito. ? le prove testimoniali dedotte da parte attrice nella sua seconda memoria istruttoria, sono, prima ancora che inammissibili, inconcludenti ed irrilevanti rispetto all'oggetto del decidere; ? infatti, secondo giurisprudenza consolidata, il danno risarcibile ex art. 1337 c.c. consiste nel c.d. "interesse contrattuale negativo"; si veda in proposito Cass. n. 19883/2005: "In materia di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all'interesse all'adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte; inoltre sia la perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali, sia la relativa valutazione comparativa devono essere sorrette da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume danneggiata, e non possono basarsi sulla semplice considerazione della sua qualità imprenditoriale, né può senz'altro farsi luogo alla liquidazione equitativa da parte del giudice, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., subordinata, anche nella materia della responsabilità precontrattuale, all'impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell'esatta quantificazione di un pregiudizio comunque certo nella sua esistenza", 3) come già sottolineato nell'ordinanza più sopra citata, anche a voler dato per dimostrato, in ipotesi, il comportamento scorretto asseritamente tenuto dalla banca convenuta durante l'istruttoria della pratica di mutuo oggetto di causa, l'attrice non ha fornito elementi probatori sufficienti per poter poi procedere alla quantificazione del danno, non indicando né l'ammontare delle spese sostenute e rese inutili dal comportamento della banca, né la perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di altro contratto di mutuo alle stesse o a migliori condizioni; 4) anzi, tenuto conto della vasta e grave posizione debitoria dell'attrice, del coniuge defunto e dell'attività commerciale degli stessi gestita, appare di sicuro non dimostrabile che altra banca avrebbe consentito l'erogazione del predetto mutuo e che l'importo dello stesso sarebbe stato sufficiente a scongiurare la vendita all'asta dell'immobile staggito." A queste motivazioni, da considerarsi di per se stesse dirimenti, si aggiunge in questa sede che le trattative instaurate tra l'attore e la Banca convenuta non avevano certo raggiunto la completezza e concretezza che la giurisprudenza esige al fine di poter configurare un recesso ingiustificato e quindi una responsabilità precontrattuale. Infatti, secondo indirizzo consolidato, qui rappresentato da Cass. 2204/2020, "Nella nozione di minuta o puntuazione del contratto rientrano tanto i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi tra le parti (cd. puntuazione di clausole), quanto i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (cd. puntuazione completa di clausole). Mentre la prima ipotesi denota una presunzione iniziale di mancato accordo, salva la dimostrazione concreta che solo a quelle clausole aveva riferimento un accordo raggiunto tra le parti, la seconda integra, al contrario, una presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, superabile dalla prova contraria della effettiva volontà delle parti non volta all'attuale raggiungimento di un accordo. In tale secondo caso, la parte o il terzo che abbiano l'interesse a dimostrare che non si tratta di un contratto concluso ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole, hanno l'onere di superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto, fornendo la prova concreta della insussistenza della volontà attuale di accordo negoziale." In questo caso, non è stato dimostrato dall'attrice che si fosse raggiunta con la banca una completa e specifica determinazione di tutte le clausole contrattuali necessarie a configurare perlomeno una minuta, cosicché deve operare la presunzione di mancato raggiungimento dell'accordo. Per questi motivi la domanda attrice deve essere rigettata. Tenuto conto del fatto che detta parte ha voluto insistere nel portare avanti il procedimento nonostante l'ordinanza del Giudice sopra citata e pur non ravvisandosi elementi di dolo o colpa grave nel comportamento processuale della medesima, occorre richiamare la giurisprudenza formatasi sull'interpretazione dell'art. 96, comma III, c.p.c. In proposito si può citare Cass. n. 2830/2021, la quale statuisce; "la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'avere agito o resistito pretestuosamente" In questo caso, a parere di questo Giudice, sussiste senz'altro il requisito dell'aver agito in giudizio pretestuosamente da parte di (...). La giurisprudenza, nel rimettere al giudice di merito la quantificazione della somma in tema di responsabilità processuale aggravata, ha stabilito: "l'art. 96, comma 3, c.p.c., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una "somma equitativamente determinata", non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell'importo delle spese processuali (o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia" (Cass. n. 26435/2020). Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando, così decide: 5) RIGETTA la domanda proposta da (...) nei confronti della (...) S.P.A.; 6) Condanna (...) a rifondere alla (...) S.P.A. le spese di lite, liquidate in Euro 8.030.00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 7) Condanna (...) al pagamento in favore della (...) S.P.A., della somma di Euro 5.000,00, determinata equitativamente ex art. 69, comma 3, c.p.c. Così deciso in Teramo il 4 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia, Prima Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei Magistrati: dott. Domenico Taglialatela Presidente relatore dott. Caterina Passarelli Consigliere dott. Federico Bressan Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al ruolo il 28/03/2019 al n. 819/2019 R.G., promossa con atto di citazione DA (...) con il patrocinio dell'avv. EM.MA., elettivamente domiciliata presso il difensore appellante CONTRO (...) S.p.A. (C.F. (...)) con il patrocinio degli avv.ti. (...), elettivamente domiciliata in) Belluno presso lo studio dell'avv. (...) appellata Avente per oggetto: Mutuo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 23.6.2016 (...) conveniva avanti il Tribunale di Belluno la (...) soc. coop. per azioni esponendo che nell'anno 2010 si era rivolta a vari istituti di credito per ottenere il finanziamento necessario alla costruzione di un immobile da adibire a sede della società, scegliendo tra le altre l'offerta della convenuta; gli accordi prevedevano la stipulazione di un mutuo ipotecario dell'importo di Euro 320.000,00 a determinate condizioni (durata 180 mesi, tasso variabile Euribor 3 mesi + spread di 1,20 punti percentuali), anticipato da un prefinanziamento con garanzia ipotecaria da utilizzarsi quale fido di conto corrente, prefinanziamento da estinguersi con l'ultimazione dell'immobile. Deduceva ancora che il giorno antecedente la stipula del prefinanziamento la Banca aveva modificato le condizioni e che, ciò nonostante, in ragione degli impegni finanziari già assunti, essa attrice aveva accettato le nuove, peggiorative condizioni contrattuali. Si doleva, ancora, che nel 2012 la banca aveva ulteriormente modificato le condizioni del mutuo concordate nel 2010, prevedendo un maggiore tasso d'interesse ed una maggiore provvigione una tantum, con l'aggiunta di una commissione di estinzione anticipata in precedenza non prevista. Sosteneva che, in ragione delle mutate condizioni contrattuali, si era vista costretta a rivolgersi ad altro istituto di credito, così stipulando, in data 9.8.2013, un diverso contratto di mutuo ipotecario. Deduceva che banca convenuta era incorsa in responsabilità per aver violato il principio di buona fede nel corso delle trattative modificando in pejus, senza congruo preavviso e senza giustificato motivo, le condizioni economiche in precedenza concordate per la conclusione del mutuo ipotecario e domandava di accertarne la responsabilità precontrattuale e/o contrattuale con condanna al risarcimento del danno in suo favore commisurato all'interesse negativo, ossia alle spese inutilmente sostenute ed alle perdite di altre occasioni favorevoli, nella misura di Euro 98.378,57 o di quella ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi. La convenuta si costituiva e deduceva che l'attrice, pur avendo originariamente chiesto la concessione di un mutuo ipotecario, aveva poi ritenuto di optare per il fido in conto corrente con garanzia ipotecaria che le avrebbe garantito una provvista maggiore; sottolineava che il direttore di filiale, nel 2010, aveva comunicato a (...) le condizioni che la banca avrebbe potuto praticare in quel momento, salva approvazione degli organi deliberanti, senza però alcuna opzione in senso tecnico; che, successivamente, nel 2012 si era aperta una nuova trattativa, quando cioè l'attrice aveva iniziato a valutare la possibilità di trasformare in mutuo il fido in conto corrente ma che, in quell'anno, erano mutate le condizioni di mercato e comunque la (...) non aveva estinto, come previsto, il mutuo ipotecario precedentemente contratto con altra banca. Evidenziava ancora come non fosse maturato alcun obbligo, in capo ad essa convenuta, di concludere un mutuo alle condizioni indicate nel 2010 e negava che la comunicazione del 2010 potesse configurare un'offerta irrevocabile, contestando infine la quantificazione del danno, difettandone ogni prova. Con sentenza pubblicata il 21/2/19 l'adito Tribunale respingeva la domanda. Ha proposto tempestivo appello (...), si è costituita la originaria convenuta per resistere all'impugnazione. Esaurita la trattazione e precisate le conclusioni all'udienza del 4/2/2021, tenuta con modalità telematiche, la causa è stata riservata per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Il primo giudice ha escluso che la documentazione versata in causa consentisse di accertare la conclusione di un formale impegno della banca alla concessione di un mutuo ipotecario alle condizioni indicate nella comunicazione del 15.9.2010 prodotta (sub 4) da (...) o che la stessa banca avesse colpevolmente indotto l'attrice a maturare un affidamento in tal senso, così violando i doveri di buona fede nel corso delle trattative; ha negato, in proposito, che la corrispondenza intercorsa integrasse la pattuizione di un termine di irrevocabilità (nemmeno se coincidente con l'ultimazione dell'immobile oggetto di finanziamento) entro il quale il proponente fosse obbligato a mantenere ferma la proposta inoltrata nel 2010 così rendendola irrevocabile. Il Tribunale ha inoltre escluso, sulla scorta della medesima documentazione, che la banca avesse colpevolmente ingenerato nella società attrice il legittimo affidamento circa la possibilità di conclusione del contratto di mutuo alle più favorevoli condizioni indicate nella missiva del 15.9.2010, condizioni notoriamente legate alla situazione del mercato e del potenziale mutuatario da considerarsi al momento di concessione del finanziamento, sottolineando come nella specie i tassi fossero nel frattempo, a circa due anni di distanza, notevolmente cresciuti. Con il primo motivo di impugnazione l'appellante lamenta che il Tribunale non ha analiticamente analizzato il comportamento tenuto dalla Banca nella fase delle trattative limitandosi a porre l'attenzione sul lasso di tempo intercorso tra la proposta del 15/9/2010 e la successiva comunicazione delle condizioni meno favorevoli; in particolare, ha omesso di valutare la consapevolezza della Banca, desumibile dalla stessa delibera dell'Istituto 11/2/2011 (doc. 22), riguardo alla tempistica di stipulazione del mutuo, finalizzato alla edificazione di un immobile e preceduto da un prefinanziamento con apertura di credito garantito da ipoteca, finanziamento da estinguere o trasformare nel mutuo ipotecario, alle condizioni proposte, ad avvenuta ultimazione dell'immobile; che lo stesso giorno della stipula del prefinanziamento la Banca (doc.6) aveva confermato le condizioni inizialmente offerte (Euribor 3m flat+1.50 e commissioni una tantum 0,10%), successivamente (doc. 21) scusandosi, peraltro, per la intempestiva modifica di dette condizioni rispetto a quelle ancor prima promesse. Assume che la Banca non avrebbe dovuto formulare una proposta che sapeva di non poter mantenere a meno che non l'avesse fatto al sol fine di acquisire un nuovo cliente e, più correttamente, avrebbe dovuto ben specificare che le effettive condizioni del mutuo sarebbero state valutate solo all'atto della conclusione. Deduce, quindi, che legittimo fu l'affidamento sulle future condizioni dello stipulando mutuo (altrimenti avrebbe concordato il prefinanziamento con altri Istituti, di cui aveva già raccolto le offerte), affidamento avvalorato proprio dalla missiva di scuse. Assume ancora che la Banca, a norma dell'art. 127 del Tub, ha l'obbligo di comportarsi in conformità ai principi di trasparenza, buona fede e correttezza, anche nella fase delle trattative. Con il secondo motivo lamenta sia la mancata ammissione delle prove orali volte all'accertamento della natura irrevocabile della proposta - deducendo l'erroneo richiamo del giudicante al disposto dell'art. 2721 c.c. che disciplina la prova per testimoni del contratto, mentre nella specie la stessa prova riguardava la fase delle trattative - che dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. della delibera del settembre 2010, con la quale l'Istituto aveva approvato le condizioni economiche indicate nella mail 15/9/2010. Con il terzo si duole della omessa pronuncia riguardo alla responsabilità contrattuale, questa denunciata sul rilievo che le trattative erano giunte ad una fase così avanzata che la mancata conclusione del contratto di mutuo "avrebbe potuto essere interpretata anche come un inadempimento contrattuale", alla stregua peraltro della segnalata decisone della Suprema Corte n. 4628/15. Con il quarto lamenta infine la eccessività della liquidazione delle spese di soccombenza che non avrebbe tenuto conto della mancata partecipazione della Banca al procedimento di mediazione. L'appello è fondato. Va premesso, in diritto, che per considerare integrata la responsabilità precontrattuale è necessario che tra le parti siano in corso trattative, che dette trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l'altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto e che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. (7768/2007, 7545/16). Ancora, perché le trattative possano considerarsi affidanti è necessario che nel corso di esse le parti abbiano preso in considerazione almeno gli elementi essenziali del contratto, come la natura delle prestazioni 0 l'entità dei corrispettivi (Cass. 7545/16, 13 marzo 1996, n. 2057; Cass. 25 febbraio 1992, n. 2335; Cass. 30 marzo 1990, n. 2623). Inoltre, la regola posta dall'art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi 0 reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto 0 conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La violazione di tale dovere si configura in capo alla parte che, avendo le trattative raggiunto un punto tale da determinare un ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto, le interrompa senza un giustificato motivo. Ora, la documentazione in atti testimonia che (...) si era rivolta alla (...) nel 2010 (dopo aver contattato altri istituti, docc. nn. 2 e 3) per la concessione di un mutuo finalizzato alla realizzazione dell'edificio da adibire a sede della società; la banca si era detta pronta all'erogazione alle seguenti condizioni: tasso euribor 3m flat+1,20 (dunque 2,10%), provvigione una tantum 0,10% e nessuna penale per estinzione anticipata (doc. 4); (...) optò successivamente, in accordo con la stessa Banca, per un "prefinanziamento" da estinguere e trasformare, poi, nel mutuo ipotecario. Ne sono prova la delibera della banca 2/12/10 (doc. 22) e la corrispondenza tra le parti, in particolare la mail 9/12/2010 (doc. 5) - con la quale (...) si lamentò della variazione delle condizioni del futuro mutuo (tasso 1,50% anziché 1,20%), dicendosi costretta comunque a stipulare il prefinanziamento, con appuntamento dal notaio fissato solo il giorno successivo, avendo già revocato le trattative con altri istituti - e la stessa missiva della Banca del 10/12 (doc. 6) che inoltrava all'appellante la bozza già trasmessa al notaio (per il contratto di apertura di credito con garanzia ipotecaria, dalle parti impropriamente definito prefinanziamento), poi regolarmente stipulato il giorno 10/12/2010 (doc. 7) con la "conferma" delle nuove condizioni. Ancora, la Banca, con la mail del 15/2/2011, rispondendo evidentemente alle rimostranze della (...), si scusò formalmente (doc. 8) per la modifica delle condizioni del mutuo, comunicate solo il giorno precedente il rogito notarile per il "prefinanziamento" (apertura di credito con garanzia ipotecaria) finalizzato proprio alla stipula del mutuo. Successivamente, conclusa l'edificazione dell'edificio (nei 18 mesi del "prefinanziamento"), furono ripresi i contatti tra le parti per il completamento dell'intera operazione e l'erogazione del mutuo ipotecario (docc. 9, 10, 11, 12) - con una riduzione da parte della Banca dell'importo dall'iniziale ammontare di Euro 320.000,00 ad Euro 240.000,00, poi rientrata - sino alla proposta dell'Istituto con le nuove condizioni e cioè: tasso 4.750 per il mese in corso, indicizzato euribor con uno spread di 4,250 punti percentuali, provvigione una tantum pari a 1,250% e commissione per estinzione anticipata dello 0,250%. Detta documentazione testimonia, senza ombra di dubbio, che le trattative tra le parti, nel 2010, si erano concluse con l'accordo per la concessione del mutuo alle condizioni di cui alla missiva 9/12/2010 (in parte, sia pure modesta, diverse da quelle originarie); in proposito la lettera di scusa dell'istituto circa l'aumento dello spread da 1.20 ad 1,50 punti percentuali appare oltremodo significativa, così come la successiva corrispondenza (sopra evidenziata) che ebbe ad oggetto solo l'importo da erogare, che la banca inizialmente ridusse ad Euro 240.000,00 e poi ricondusse ad Euro 320.000,00 secondo gli accordi già presi. Legittimo e ragionevole fu dunque l'affidamento della (...) - ancor più avvalorato da detta successiva corrispondenza - per la conclusione del mutuo alle condizioni essenziali del contratto ben precisate e specificate senza alcuna riserva. Difforme invece dal dovere di lealtà il successivo comportamento della banca, che incurante delle aspettative del cliente, ormai legato contrattualmente anche per l'operazione di "prefinanziamento" (ovvero dell'apertura di credito da trasformarsi o estinguersi nello stipulando mutuo ipotecario), ed altre ancora, che si vide invece proporre, nell'imminenza della stipula, condizioni di molto diverse e di gran lunga più onerose di quelle originarie (né nella missiva 8/11/2012 vi è traccia dei diversi ostacoli ora indicati dalla banca - quale l'estinzione di altro mutuo con un diverso istituto - a giustificazione della nuova e più gravosa proposta). Ne segue il diritto dell'appellante al risarcimento del danno posto che la responsabilità contrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del c.d. interesse negativo tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, quando come nella specie la sua mancata conclusione si manifesti quale conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse (da ultimo Cass. n. 4718/16). A tal fine possono valorizzarsi gli accertamenti della consulenza versata in atti dall'appellante (che non risultano contestati) dai quali si evince - comparando le condizioni concluse nel 2010 (spread euribor 1,50 punti percentuali e commissioni 0,1) con quelle del mutuo poi concluso con la (...) (spread euribor 3m del 3,00% e commissioni 0,6 - il danno patito da (...) nella complessiva misura (tenuto conto dell'intero periodo di ammortamento) di Euro 49.619,13 per maggiori interessi e di Euro 1.425,00 per il maggior importo della commissione di istruttoria, ogni altra spesa diversa da quelle comunque necessarie, anche per la stipula con (...), risultando priva di dimostrazione. Detta somma, considerato che tiene conto anche degli intessi maturandi sino alla estinzione del mutuo e dunque compensa il pregiudizio da svalutazione ed interessi sull'importo già corrisposto alla mutuante, va liquidata alla data odierna e maggiorata di interessi legali sino al saldo. In detti limiti la domanda della appellante può dunque trovare accoglimento, restando assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza. Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 819/19 rg così provvede: 1) in riforma della impugnata sentenza n. 81/19 del Tribunale di Belluno, pubblicata il 21/2/2019, condanna l'appellata (...) S.p.A. al risarcimento dei danni in favore di (...) liquidati nella misura di Euro 51.044,13, con interessi legali dalla presente sentenza al saldo; 2) condanna l'appellata (...) S.p.A. alla rifusione in favore dell'appellante (...) delle spese di entrambi i gradi che liquida, quanto al primo, in complessivi Euro (...) di cui Euro (...) per borsuali, e, quanto al secondo, in complessivi Euro (...), di cui Euro (...) per borsuali, oltre accessori di legge e rimborso forfettario del 15%. Così deciso in Venezia l'11 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. BELMONTE Maria T. - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/07/2019 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO. Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176; Letta la requisitoria scritta Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Epidendio Tomaso, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio e il rigetto nel resto del ricorso, nonche' le conclusioni scritte del difensore del ricorrente nel senso dell'accoglimento integrale del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza deliberata il 06/11/2017, il Tribunale di Milano dichiarava (OMISSIS), quale amministratore di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 1: finanziamento, senza autorizzazione consiliare, in favore delle partecipate (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., per complessivi 427 mila Euro circa; versamento di 100 mila Euro in favore di (OMISSIS); scissione parziale della societa' con trasferimento a (OMISSIS) s.r.l. e a (OMISSIS) s.r.l. dell'attivo, rispettivamente, di Euro 673 mila circa e 36 mila Euro circa), di bancarotta fraudolenta documentale (capo 2) e di causazione o aggravamento del dissesto attraverso operazioni dolose (capo 3: prosecuzione dell'attivita' sociale nonostante il dissesto, occultato con l'iscrizione di crediti inesistenti o almeno controversi; sistematica omissione del versamento dell'IVA; scissione parziale della societa') e, ritenute equivalenti la contestata aggravante e le riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena principale di anni 3 di reclusione, alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Investita dalle impugnazioni dell'imputato e della parte civile, la Corte di appello di Milano, con sentenza deliberata il 12/07/2019, ha assolto l'imputato dal reato di bancarotta documentale, ha ridotto ad anni 5 la durata delle pene accessorie fallimentari, ha condannato l'imputato al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia violazioni di legge e vizi di motivazione con riferimento al capo 1). 2.1.1. Per quanto riguarda le operazioni di finanziamento alle partecipate (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., lamenta il ricorso che la sentenza impugnata non ha considerato che le scelte imprenditoriali erano state causate dai ritardi dei pagamenti da parte del "contraente forte" (OMISSIS) e dalla cessazione di ogni commessa da parte sua alla fallita dall'agosto del 2010, il che aveva indotto l'imputato a cercare altri canali di lavoro e, segnatamente, come evidenziato dal consulente (OMISSIS), non valutato dalla Corte distrettuale, ad alimentare il portafoglio clienti e a diversificare le attivita', quanto al finanziamento alla prima, e a creare un dotazione finanziaria a favore della seconda (cosi' da consentirle di pagare i debiti fiscali e previdenziali). Del tutto avulso dal quadro probatorio e apodittico e' il rilievo secondo cui le difficolta' con (OMISSIS) erano da attribuire anche a inadempimenti della fallita, cosi' come il suo coinvolgimento in un'indagine per corruzione, laddove l'illegittimita' della risoluzione del contratto da parte di (OMISSIS) e' emersa dalla deposizione dell'Avv. (OMISSIS), non considerata dal giudice di appello. Mentre il versamento da parte dell'imputato di proprie risorse per "dare ossigeno" alla societa' conferma l'insussistenza di distrazioni. 2.1.2. In ordine al bonifico in favore di (OMISSIS), la sentenza impugnata lamenta la mancanza di qualsiasi "pezza giustificativa", ma cio' e' attribuibile a Siclari, amministratore al momento del fallimento, laddove il bonifico si inseriva in trattative sfociate in un preliminare di cui il bonifico stesso era parte, mentre del tutto privi di sostegno probatorio sono i riferimenti a finalita' illecite e all'acquisizione di favori in ambito pubblico, posto che furono le sopravvenute problematiche giudiziarie di (OMISSIS) a impedire la conclusione del contratto. 2.1.3. Quanto alla scissione del 2011, la sentenza impugnata si basa sulla ritenuta inesistenza del credito di 7 milioni vantato nei confronti di (OMISSIS), ma tale credito e' derivato da una serie di iscrizioni di crediti iniziate nel 2006, laddove la mancata prosecuzione dell'azione in sede civile per l'illegittima risoluzione del contratto da parte di (OMISSIS) fu determinata dai tempi lunghi in cui sarebbe intervenuta la sentenza, il che spiega perche' successivamente la somma fu girata al passivo. La scissione non costituiva una distrazione, ma la sola possibilita' di proseguire con le due societa' scisse, (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., che avevano assunto il personale gia' in forza a (OMISSIS) s.r.l., le attivita' dalle quali la societa' era stata esclusa con la risoluzione contrattuale dell'agosto del 2010 e la decadenza dall'albo dei fornitori (a seguito della "vicenda del cantiere di (OMISSIS)"), con la chiusura di tutti i cantieri della fallita, come confermato dal consulente e dai testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Se dunque vi e' una condotta che ha come conseguenza quella di "svuotare" (OMISSIS) s.r.l. del "buono" la stessa, questa non e' la condotta dell'imputato, che, a seguito della risoluzione, del tutto inattesa, nell'agosto del 2010 del contratto con (OMISSIS) e della decadenza dall'albo dei fornitori, non aveva altra scelta se non scindere la societa' nelle due nuove societa' che potevano garantire la prosecuzione delle attivita' gia' poste in essere con (OMISSIS) s.r.l. La sentenza impugnata ha omesso di considerare la consulenza (OMISSIS), tanto piu' che, per il principio di responsabilita' solidale delle societa' coinvolte nella scissione, la stessa non ha posto in pericolo gli interessi dei creditori di (OMISSIS) s.r.l., come affermato anche da Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013, Rv. 254788. 2.2. Il secondo motivo denuncia violazioni di legge e vizi di motivazione con riferimento al capo 3). 2.2.1. La Corte di appello, per un verso, afferma erroneamente che i fatti contestati a titolo di bancarotta per distrazione possono assumere rilevanza anche quali operazioni dolose causative del fallimento, mentre, per altro verso, non indica, neppure implicitamente, termini e modalita' della causazione del fallimento o dell'aggravamento del dissesto attraverso le contestate operazioni, non affrontando neppure la questione relativa alla sussistenza del dolo. 2.2.2. Con riferimento alla contestata prosecuzione dell'attivita' sociale, erroneamente la sentenza impugnata considera espressione di una manipolazione contabile l'appostazione dei crediti per 7 milioni di Euro nei confronti di (OMISSIS), posto che tali crediti erano sorti negli anni in corrispondenza alla crescente serie di commesse "extra contratto" che (OMISSIS) imponeva alla fallita, come emerso dalla consulenza (OMISSIS) e dalle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti dirigenti e funzionari di (OMISSIS) s.r.l. 2.2.3. In ordine alla contestata sistematica omissione di versamenti IVA, e' stato documentato che per tutte le annualita' l'imputato e' stato assolto per difetto di dolo con sentenze definitive dal reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-ter tanto piu' che l'imputato ha versato poco meno di 2 milioni di Euro in relazione alla rateizzazione concordata con (OMISSIS). 2.2.4. Quanto alla scissione parziale della societa', la motivazione della sentenza impugnata al riguardo e' totalmente carente. 2.3. Il terzo motivo denuncia violazione dell'articolo 649 c.p.p. e del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter lamentando la violazione del divieto di bis in idem in relazione alle operazioni dolose relative all'omesso versamento dell'IVA, per le quali si e' gia' proceduto con le contestazioni relative al reato tributario. 2.4. Il quarto motivo denuncia violazione dell'articolo 597 c.p.p., in quanto la Corte di appello, pur avendo assolto l'imputato dal reato di bancarotta documentale, non ha rideterminato in melius la pena irrogata. 2.5. Il quinto motivo denuncia inosservanza degli articoli 62-bis e 69 c.p. e vizi di motivazione in relazione alla conferma del giudizio di equivalenza tra le circostanze eterogenee, tanto piu' che erroneamente la Corte di appello fa riferimento a due circostanze aggravanti, essendo stata contestata e ritenuta solo quella della pluralita' dei fatti di bancarotta. 2.6. Il sesto motivo denuncia violazione dell'articolo 539 c.p.p. e vizi di motivazione in relazione alla concessione e alla quantificazione della provvisionale. 3. Con requisitoria scritta Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Tomaso Epidendio, ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio e per il rigetto nel resto del ricorso. Il difensore del ricorrente ha fatto pervenire conclusioni scritte, con le quali ha replicato ai rilievi del P.G. e ha chiesto l'accoglimento integrale del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato. 2. Muovendo dalle censure articolate con il primo motivo in ordine al fatto distrattivo relativo al finanziamento, per complessivi 427 mila Euro circa di cui al capo 1), in favore delle partecipate (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., la sentenza impugnata colloca le operazioni nel 2009 e nel 2011, ossia in un'epoca in cui gia' si erano manifestate le difficolta' con il principale committente della fallita, ossia con (OMISSIS); evidenziato che le operazioni in questione "non erano finanziamenti soci alla fallita, ma finanziamento della societa' a partecipate, per di piu' riconducibili essenzialmente" a (OMISSIS), il giudice di appello sottolinea come non sia emerso nel processo "il vantaggio che la fallita avrebbe tratto dal depauperamento conseguente ai finanziamenti ad altre societa', non rilevando il fine ultimo quanto l'effetto pregiudizievole per la societa'". Le doglianze articolate si basano - cosi' come per altre contestazioni sull'esigenza di (OMISSIS) s.r.l. s.r.l. di "emanciparsi" dal rapporto stringente con (OMISSIS), ossia, per riprendere le parole del ricorso, di trovare "altri canali di lavoro al solo fine di mantenere sia il know how maturato da (OMISSIS) che i livelli occupazionali della stessa", ossia di "affrancare" (OMISSIS) "dalla dipendenza economica del cliente principale (OMISSIS)". La strategia imprenditoriale cosi' delineata non viene in rilievo, ai fini del sindacato del giudice penale, sotto il profilo della sua razionalita' rispetto allo scopo e, tantomeno, per i risultati conseguiti, ma solo sotto il profilo, puntualmente messo in luce dalla Corte distrettuale dell'effetto pregiudizievole per la societa' fallita e, puo' aggiungersi, per i suoi creditori. La finalita', irrilevante in sede di qualificazione del fatto, di creare altri canali di lavoro si e', invero, perfezionata attraverso versamenti in favore di societa' diverse dalla fallita non accompagnati da pattuizioni in grado di assicurare alla fallita stessa vantaggi compensativi della secca diminuzione patrimoniale derivante dai due finanziamenti; ne' in senso contrario puo' argomentarsi sulla base dei patti parasociali evocati dal consulente dell'imputato, posto che, come risulta dalla sentenza di primo grado (che si integra con quella, sul punto, conforme di appello: Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145) e come, del resto, riconosciuto dallo stesso consulente, i presunti "patti sociali" altro non erano che semplici bozze non firmate, dai quali, comunque, non viene dedotta con la necessaria specificita' la concreta ed effettiva derivazione di vantaggi compensativi dei versamenti effettuati dalla fallita. Del pari non puo' argomentarsi in senso contrario sulla base del rilievo - peraltro dedotto in termini del tutto aspecifici - dei lavori eseguiti da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), inidonei ad incidere sulla configurabilita' del fatto distrattivo, laddove la deduzione circa i versamenti da parte dell'imputato alla societa' e' del tutto aspecifica nell'an e nel quantum, nonche' nella "corrispondenza" ai fatti distrattivi in questione. Nel resto, le deduzioni del ricorso si risolvono nella diffusa trascrizione di brani di fonti di prova (consulenza, dichiarazioni), all'evidenza funzionali a sollecitare a questa Corte una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimita' della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici, sicche', ai riguardo, e' sufficiente ribadire che esula "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe'). Complessivamente valutate, pertanto, le censure in esame devono essere rigettate. 3. In ordine al secondo fatto distrattivo contestato al capo 1), ossia al versamento di 100 mila Euro in favore di (OMISSIS), la Corte distrettuale sottolinea, oltre alla mancata produzione di alcuna "pezza giustificativa", l'assenza di deduzioni in ordine a quale sarebbe stato l'interesse della fallita, stante il suo oggetto sociale e il settore di attivita', nell'acquisto di una quota di partecipazione del (OMISSIS), laddove l'istruttoria "ha consentito di rilevare come appaia verosimile che l'esborso fosse connesso a finalita' illecite, correlate all'acquisizione di favori in ambito pubblico". Rileva il Collegio che le censure del ricorrente non inficiano la tenuta della motivazione della sentenza impugnata. Sia la deduzione relativa alla stipula del contratto preliminare, sia l'inerenza dell'operazione all'attivita' svolta dalla fallita sono rimaste oggetto - sulla base di quanto dedotto dal ricorso - di mere enunciazioni da parte dell'imputato, non suffragate non solo da dati documentali (che, quanto al preliminare, il ricorrente sostiene essere stato consegnato al nuovo curatore, ma del quale non viene fornita alcuna indicazione, ad esempio, in ordine alle modalita' di stipulazione, che avrebbe consentito di valutare la "recuperabilita'" dell'atto), ma neanche da conferme testimoniali, a fronte dei plurimi testi (impiegati di significativo livello presso la fallita) escussi in dibattimento. Del resto, anche in ordine a tale pagamento effettuato dalla fallita non sono risultati corrispondenti vantaggi per la fallita. Ne' in senso contrario puo' argomentarsi sulla base della contestazione dell'affermazione della Corte di appello circa la finalita' illecita dell'operazione, trattandosi di affermazione estranea al nucleo essenziale della ratio decidendi, cosi' come la tipologia del versamento per il tramite di un bonifico, che non esclude comunque l'ingiustificata fuoriuscita della somma contestata dalla disponibilita' della fallita. Anche per questa parte le doglianze del ricorso non meritano accoglimento. 4. Le doglianze relative al terzo fatto distrattivo contestato al capo 1), ossia alla scissione parziale della societa' con trasferimento a (OMISSIS) s.r.l. e a (OMISSIS) s.r.l. dell'attivo non meritano accoglimento. 4.1. Sul punto, mette conto prendere le mosse dalla questione di diritto dedotta nell'ultima parte del motivo, attraverso, per un verso, il riferimento al principio di responsabilita' solidale delle societa' coinvolte nella scissione ex articolo 2506-quater c.c. e, per altro verso, il richiamo al principio di diritto affermato da Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013, Marzona. Rv. 254788, secondo cui, in tema di bancarotta impropria patrimoniale, in caso di scissione mediante costituzione di nuova societa', l'assegnazione a quest'ultima di rilevanti risorse non costituisce di per se' un fatto di distrazione qualora la societa' scissa venga successivamente dichiarata fallita, dovendosi invece tenere conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la stessa al momento della scissione, nonche' del fatto che tale condotta non e' necessariamente idonea a porre in pericolo gli interessi dei suoi creditori, atteso che ai medesimi e' attribuito il potere di opporsi al progetto di scissione e che i loro diritti sono comunque salvaguardati dalla disposizione di cui all'articolo 2506-quater c.c., comma 3, che stabilisce la responsabilita' solidale, nei limiti dell'attivo trasferito, della nuova societa' per i debiti di quella scissa non ancora soddisfatti al momento della scissione. L'indirizzo espresso dalla sentenza richiamata risulta superato dal successivo, consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', in forza del quale integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di societa', successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla societa' beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale: decisivo, al riguardo, e' il rilievo che le "tutele normative per la posizione dei creditori, rispetto agli effetti della scissione, risultano inidonee ad escludere interamente il danno o quanto meno il pericolo per le ragioni dei creditori della societa' scissa, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di quest'ultima. Se e' vero infatti che ai creditori e' riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle societa' beneficiane, che rimangono obbligate per i relativi debiti, e' vero altresi' che un pregiudizio per gli stessi e' comunque ravvisabile nella necessita' di ricercare detti beni. Ma, soprattutto, all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle societa' beneficiarie, con la concreta possibilita' che tanto riduca le possibilita' di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese" (Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Alfano, Rv. 260393; conf. Sez. 5, Sentenza n. 15715 del 28/11/2013, dep. 2014. Vigilante, Rv. 262762; Sez. 5, n. 6404 del 08/10/2014, dep. 2015, Ferla, Rv. 262723; Sez. 5, Sentenza n. 13522 del 21/01/2015, Di Cesare, Rv. 262964; Sez. 5, n. 20370 del 10/04/2015, Piscedda, Rv. 264078; Sez. 5, n. 27930 del 01/07/2020, Abete, Rv. 279636 - 02). 4.2. I giudici di merito hanno fatto buon governo del principio di diritto affermato dall'orientamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimita', rimarcando, in primo luogo, che l'operazione era intervenuta nel 2011, ossia dopo la rottura dei rapporti imprenditoriali con (OMISSIS); esaminando piu' diffusamente la vicenda, la sentenza di primo grado ha rilevato che lo stesso consulente della difesa aveva evidenziato che la societa' scissa aveva trasferito alle nuove societa' i contratti in corso, i beni materiali e immateriali, 78 dipendenti e un consistente patrimonio: sottolinea al riguardo il Tribunale di Milano come "con tale operazione (OMISSIS) sia stata svuotata e condannata al fallimento". Le doglianze del ricorrente non scalfiscono la motivazione delle conformi, sul punto, sentenze di merito. Il ricorrente (oltre a soffermarsi sulla questione del credito vero di (OMISSIS), sulla quale ci si soffermera' tra breve) deduce che la scissione era la sola possibilita' per proseguire, appunto con le due societa' nate dalla scissione, l'attivita' che era stata inibita a (OMISSIS) dopo la vicenda della disdetta di (OMISSIS) e la decadenza dall'albo dei fornitori. Ora, tali rilievi possono dar corpo, al piu', ai motivi alla base dei fatti in esame, ma certo non ne escludono la valenza, ossia lo "svuotamento" della fallita, "condannata" cosi' al fallimento, e, con essa, la sussumibilita' nel paradigma punitivo del fatto distrattivo. La sentenza impugnata evidenzia poi che la scissione aveva lasciato (OMISSIS) con l'"apparente" credito di 7 milioni di Euro (a fronte di importanti debiti verso banche ed erario), sottolineando che si trattava di un credito correlato con la valutazione dell'esito del potenziale risarcimento ottenibile da (OMISSIS) grazie al contenzioso avviato per far dichiarare illegittima la risoluzione del contratto. Il ricorrente contesta tale assunto, argomentando, in buona sostanza, sulla base della deduzione che le iscrizioni di crediti risalivano al 2006. Al riguardo, rileva questa Corte che il punto in questione resta estraneo al nucleo essenziale della ratio decidendi, da individuarsi, come si e' detto, nello "svuotamento" della fallita, sicche' la doglianza risulta comunque del tutto inidonea a disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). Solo ad abundantiam, pertanto, puo' osservarsi che il rilievo sopra riportato della Corte di appello si salda con la motivazione della sentenza di primo grado, li' dove richiama le dichiarazioni dello stesso imputato secondo cui dopo la scissione erano rimasti in (OMISSIS) alcuni crediti tra i quali "l'azione legale verso (OMISSIS), valorizzata dai soci circa 7 milioni", evidenziando che quasi contestualmente alla scissione erano avvenute le successioni nelle cariche di amministratore di (OMISSIS), prima, e di (OMISSIS), poi, cariche, dunque "passate a soggetti che non hanno mai svolto alcuna attivita' se non ricoprire il ruolo di parafulmine"; inoltre, i giudici di merito hanno sottolineato che il passaggio del credito a sofferenza era stato effettuato quando l'imputato era ancora amministratore, ossia in data 01/01/2012, laddove l'operazione di scissione risaliva, come mette in luce la sentenza di primo grado, al 28/12/2011. Nel resto, il ricorso riproduce ampi brani della consulenza e di dichiarazioni, implicanti, ancora una volta, inammissibili questioni di merito. 5. Il secondo motivo, relativo all'imputazione sub 3), deve essere accolto, per le ragioni e nei termini indicati. 5.1. Esigenze di linearita' espositiva suggeriscono di esaminare in primo luogo le censure mosse in ordine alla contestazione della scissione esaminata anche quale operazione dolosa integrante il reato sub 3). Le doglianze articolate sul punto sono fondate. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, le operazioni dolose di cui alla L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2), attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedelta' ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria dell'impresa e postulano una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non gia' direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi' da un fatto di maggiore complessita' strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita' di atti coordinati all'esito divisato (ex plurimis, Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684). Discende da tale principio di diritto che, ai fini dell'integrazione della fattispecie in esame e' necessario che la violazione da parte dell'organo amministrativo non costituisca gia', di per se', un fatto di bancarotta, in particolare, distrattivo, per il rapporto di diversita' strutturale tra le due fattispecie. Pertanto, con riferimento all'operazione dolosa di cui al capo 3) integrata dalla scissione esaminata, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la stessa integrasse (anche) la fattispecie di operazioni dolose: la censura proposta dal ricorrente e' dunque fondata. 5.2. Passando all'ulteriore operazione dolosa di cui al capo 3) rappresentata dalla sistematica omissione del versamento dell'IVA, ad essa il ricorso dedica censure articolate in parte nel secondo motivo, in parte nel terzo, che, per esigenze di chiarezza espositiva, conviene subito esaminare. 5.2.1. Queste ultime doglianze chiamano in causa la violazione del divieto di bis in idem avuto riguardo ai processi per reati tributari relativi all'omesso pagamento dell'IVA promossi contro l'imputato: esse non sono fondate. La giurisprudenza di legittimita' ha gia' delineato la nozione di "identita' del fatto", ai fini del divieto di bis in idem, in un'ottica, non gia' di idem legale", bensi' storico-naturalistica: secondo il nitido principio di diritto affermato dalla sentenza Donati delle Sezioni unite, ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem, l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799; ex plurimis, conf., con riguardo ai reati fallimentari, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261937). All'impostazione seguita dalla sentenza Donati si e' ricollegata anche la giurisprudenza costituzionale, che, con la sentenza n. 200 del 2016 (parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 649 c.p.p., per contrasto con l'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui secondo il diritto vivente esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato gia' giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui e' iniziato il nuovo procedimento penale), ha ribadito l'adesione ad una concezione storico-naturalistica dell'idem factum (e, con essa, il ripudio del criterio dell'idem legale), definendo i rapporti con l'omologa garanzia fornita dall'articolo 4 del Protocollo 7 alla Cedu. Nella prospettiva del giudice delle leggi, dunque, fatto "e' l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione e' condotta secondo criteri normativi", sicche' non vi e' "alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne e' conseguito, ovvero la modificazione della realta' indotta dal comportamento dell'agente"; richiamando la sentenza Donati delle Sezioni unite, la sentenza n. 200 del 2016 ha sottolineato come Costituzione e Cedu si saldino "nella garanzia che la persona gia' giudicata in via definitiva in un processo penale non possa trovarsi imputata per il medesimo fatto storico". Ora, deve escludersi che sia ravvisabile una corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale), tra i fatti di omesso versamento dell'IVA contestato nei vari processi al ricorrente a norma del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-ter (reato di mera condotta) e il reato di evento nel quale si sostanzia l'imputazione di operazioni dolose causative del fallimento contestata nel procedimento in esame. 5.2.2. Il secondo motivo, invece, nella parte in cui lamenta la mancata valutazione delle sentenze che hanno assolto l'imputato dal reato di cui all'articolo 10-ter per carenza di dolo e' fondato. Come risulta dalla sintesi dei motivi di appello offerta dalla stessa sentenza impugnata, la valutazione delle sentenze in questione era stata espressamente devoluta alla Corte distrettuale, la cui motivazione, pero', non affronta il tema. Ne consegue che, in parte qua, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio. 5.2.3. La struttura dell'imputazione di cui al capo 3) attribuisce alle tre tipologie di operazioni dolose (prosecuzione dell'attivita' sociale nonostante il dissesto, sistematica omissione del versamento dell'IVA e scissione parziale della societa') valenza complessiva in ordine all'evento, senza che la motivazione dei giudici di merito dia conto di un'autonoma idoneita' di ciascuna a cagionarlo e in quali termini. Di conseguenza, l'annullamento in relazione alle operazioni dolose consistite nella scissione parziale della societa' e nella sistematica omissione del versamento dell'IVA, impone di annullare in toto la sentenza impugnata con riferimento al capo 3): all'esito del giudizio in relazione alla seconda operazione e del giudizio sulle censure relative alla prosecuzione dell'attivita' sociale nonostante il dissesto, il giudice del rinvio dovra' valutare la sussistenza dei requisiti della fattispecie in questione. 6. Restano, pertanto, assorbiti i motivi relativi al trattamento sanzionatorio (quarto e quinto motivo) e alla provvisionale (sesto motivo). Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, limitatamente al reato di cui al capo 3 e, per l'effetto, al trattamento sanzionatorio e alla provvisionale, mentre, nel resto il ricorso deve essere rigettato. Le spese sostenute dalla parte civile andranno liquidate all'esito del giudizio di rinvio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 3 e, per l'effetto, al trattamento sanzionatorio e alla provvisionale con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso. Spese della parte civile al definitivo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO SEZIONE II CIVILE Riunito in camera di consiglio e composto dai signori magistrati: dott. Alfredo Grosso - Presidente dott. Maurizio Alzetta - Consigliere relatore dott. Roberto Rivello - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al RG n. 1440/2019 promossa da: (...), nato ad (...) il (...), (C.F. (...)), titolare dell'Impresa (...) e l'arch. (...), nato ad (...) il giorno (...) (C.F. (...)), con domicilio eletto in Acqui Terme, al civico 3 di Via (...), presso lo studio e la persona dell'avv. Ro.Pa. del foro di Alessandria, il quale li rappresenta e difende in forza di procura 2.7.2019; il difensore indica, ai fini delle comunicazioni relative al presente procedimento i seguenti recapiti: (...); fax (...) - Appellanti - contro (...) nato a (...) il (...), c.f.: (...) e (...) nata ad (...) (A.) il (...), c.f.: (...), entrambi residenti in S. (A.), Via A. n. 69/A che chiedono darsi atto della loro odierna costituzione tramite l'avv. Ma.Ca. c.f. (...) del foro di Alessandria, in virtù di procura, con il deposito e lo scambio del presente atto e del fascicolo di parte telematicamente, dichiarando di eleggere domicilio in Monastero Bormida, Via (...), presso lo studio del procuratore come sopra, il quale dichiara di voler ricevere avvisi e comunicazioni al numero di fax: (...), all'indirizzo pec: (...), - Appellati - Oggetto: appalto: altre ipotesi ex art. 1665 c.c., ivi compresa l'azione ex art. 1669 cod. civ.. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Premesse in fatto. Con atto in data (...), a rogito del notaio (...) di (...), (...) e (...) acquistarono dalla (...) Immobiliare s.r.l. una villetta ubicata in S., al civico 69/A di Via A. e collocata nel complesso denominato "(...)". L'immobile in oggetto era stato realizzato su commissione della (...) Immobiliare dalla Impresa (...) di (...) sotto la direzione lavori dell'arch. (...). Gli acquirenti, rilevata la sussistenza di vari problemi a carico di altre costruzioni dello stesso complesso immobiliare predetto, incaricarono l'ing. (...) di eseguire una perizia. Il perito constatò la presenza di gravi difetti di costruzione e d'opera, nonché la difformità dell'immobile ai progetti depositati presso il Comune di Strevi e alle dichiarazioni di avvenuta esecuzione del fabbricato a regola d'arte. 2. Il giudizio di primo grado. Con atto di citazione ritualmente notificato, la coppia (...)-(...) convenne in giudizio avanti il Tribunale di Alessandria l'Impresa (...) di (...) e l'arch. (...) esponendo quanto segue. I signori (...)-(...) lamentarono di aver riscontrato i seguenti vizi e difetti: - una pendenza errata delle falde del tetto (19%-20% anziché 30%, come consigliato dalla ditta che fabbrica i coppi), con conseguenti problemi di deflusso dell'acqua piovana; - la mancanza dei pozzetti ".. di ispezione igienico-sanitario..", che comporta la presenza di esalazioni maleodoranti dovuta, all'omessa predisposizione degli sfiati a tetto e all'innesto dei pluviali direttamente sul tratto di fognatura; - l'omessa predisposizione dell'isolamento del pavimento, come accertato a seguito di carotatura, dalla quale è emersa l'assenza dello strato di sette centimetri di polistirene espanso, previsto in progetto e dichiarato nella relazione sul contenimento energetico; - la mancanza di adeguato fono-isolamento della facciata; - la mancata realizzazione dell'isolamento del sottotetto con uno strato, dichiarato nella relazione sul contenimento energetico, di sette centimetri di polisterene espanso sintetizzato, difetto che comporta l'impossibilità di utilizzare detto locale come deposito, difformemente da quanto dichiarato al momento della vendita. Tanto premesso gli attori conclusero chiedendo la condanna dell'impresa esecutrice dei lavori e del direttore dei lavori (quest'ultimo per omessa vigilanza) al risarcimento del danno pari a Euro 55.700,00 per i gravi difetti dell'opera e a Euro 10.000,00 per i disagi conseguenti ai lavori di ripristino. Resistettero alla domanda i convenuti, contestando la sussistenza dei difetti lamentati e, comunque, laddove presenti, la gravità degli stessi ai sensi dell'art. 1669 cod. civ.. Al riguardo osservarono che: - non esisteva alcuna norma che imponesse la pendenza delle falde del tetto e che la scheda tecnica dei coppi conteneva soltanto un semplice suggerimento, mentre la pendenza realizzata permetteva il normale deflusso delle acque meteoriche; - i pozzetti erano stati regolarmente realizzati; - non erano presenti esalazioni maleodoranti; - il pavimento era isolato per effetto del materiale utilizzato, così come era a regola d'arte il fonoisolamento della facciata (muratura e serramenti); - il locale sottotetto non è abitabile, né agibile ed esso non sarebbe qualificabile come "deposito"; - gli attori non avevano provato di aver effettuato la denunzia dei vizi entro i termini di cui all'art. 1669 cod. civ.. Tanto esposto, i convenuti conclusero chiedendo la reiezione della domanda avversaria e spiegando domanda riconvenzionale diretta a ottenere la condanna degli attori al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 5.000,00. Assumevano al riguardo come il danno sarebbe derivato dall'avere gli attori, a pochi giorni dalla scadenza del termine per la costituzione dei deducenti in giudizio, inopinatamente azionato una pretesa risarcitoria pari al triplo della somma sulla quale erano state intavolate una serie di trattative, cui aveva partecipato anche la società venditrice. La causa era istruita mediante CTU, diretta ad accertare la sussistenza dei vizi lamentati e la loro incidenza sul complesso dell'opera. Il Tribunale decise la causa con la sentenza in data 10.6.2019, a mezzo della quale, in accoglimento della domanda attorea, condannò i convenuti in solido tra loro, a titolo risarcitorio, ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., al pagamento della somma di Euro 69.490,00, oltre interessi legali dall'acquisto dell'immobile al saldo; respinse la domanda azionata in via riconvenzionale; condannò in solido i convenuti alla rifusione delle spese di lite, spese liquidate in Euro 7.254,00, oltre accessori di legge, iva e cpa. Pose in via definitiva le spese di CTU a carico dei convenuti. Avverso la sentenza interposero appello l'Impresa (...) e l'arch. (...). Resistettero al gravame i signori (...)-(...). All'udienza del 28 ottobre 2020, sulle conclusioni riportate in epigrafe, questa Corte assegnava la causa in decisione, concedendo alle parti i termini di legge per il deposito degli ulteriori atti difensivi (conclusionali e memorie di replica). 3. La sentenza impugnata. Il Tribunale ha rilevato come, a fronte delle domande azionate dagli attori, sia stata svolta una CTU funzionale all'accertamento dell'esistenza dei vizi lamentati e della loro incidenza sul complesso dell'opera. In ordine all'eccezione di decadenza/prescrizione per omesso rispetto dei termini di cui all'art. 1669 c.c., il primo giudice ha ritenuto di dover applicare il principio affermato in sede di legittimità per il quale, onde evitare di onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, la denuncia debba essere proposta, ai fini della decorrenza del successivo termine prescrizionale, qualora la parte riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità del medesimo. Ha osservato come, in base alla perizia tecnica redatta dall'ing. Mara Berruti, i sospetti sulla presenza di vizi (anche occulti) si concretizzavano nell'effettiva conoscenza oggettiva della presenza dei difetti solo alla data della stessa (20.3.2015), circostanza incontestata dalla controparte. Ha osservato quindi come la lettera raccomandata di diffida e messa in mora 11.4.2015 (prodotta in uno all'atto di citazione notificato il 14.7.2015) sia stata certamente tempestiva, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1669 c.c.. In ordine all'individuazione dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c., il Tribunale ha rilevato come la responsabilità dell'appaltatore e, in via solidale, del direttore dei lavori in applicazione del principio di cui all'art. 2055 c.c., nei confronti del committente e dei suoi aventi causa sia riferita dall'art. 1669 c.c., non solo alla rovina, ma anche ai gravi difetti dell'opera. Ha richiamato, in ordine alla qualificazione dei gravi difetti, alcuni arresti di legittimità, per i quali sono intese come tali "(..) quelle alterazioni che, in modo apprezzabile riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, tanto che, a tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini",quelle alterazioni che "(..) pur riguardando direttamente una parte dell'opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell'opera medesima, come, ad esempio, si verifica nel caso di infiltrazioni d'acqua e di umidità per difetto di copertura dell'edificio" (..), nonché addirittura quei difetti che "(..) riguardino elementi secondari e accessori, purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione di quest'ultimo". Ha ritenuto non condivisibile l'argomentazione sostenuta dalla difesa dei convenuti, per i quali i singoli difetti dovrebbero essere considerati separatamente, talché nella loro singolarità non potrebbero assurgere alla categoria dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c.. Ha quindi affermato che, trattandosi di un'opera unitaria (edificazione di villetta monofamiliare con giardino pertinenziale circostante) debba farsi riferimento alla nozione di gravi difetti riferita all'opera nel suo complesso, mediante la verifica della possibilità che i singoli difetti possano determinare il pregiudizio al normale godimento del bene - criterio questo indicato ai fini dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 1669 c.c.. In ordine ai gravi difetti integranti la responsabilità ex art. 1669 c.c., ha osservato come - causa la aspecificità del quesito - i vizi e difetti ulteriori rilevati dal CTU non fossero ammissibili perché estranei alle doglianze dell'atto di citazione, per il quale il campo di indagine era limitato come segue: errata pendenza del tetto, con conseguenti seri problemi di deflusso delle acque; assenza dei pozzetti e degli sfiati delle colonne di scarico e quindi disagio dovuto alla presenza di esalazioni maleodoranti; innesto del pluviale direttamente nella fognatura; omesso fonoisolamento di facciata e del tetto; impossibilità di uso del sottotetto quale locale di deposito. Ha quindi condiviso le indicazioni e le risultanze degli accertamenti tecnici svolti dal CTU e, di conseguenza, i rilievi svolti in relazione ai vizi lamentati e riscontrati anche in ordine al fonoisolamento della facciata, accertato avvalendosi il CTU dell'opera del tecnico specializzato, ing. Speranza, il quale aveva riscontrato scostamenti significativi rispetto ai parametri normativi, soprattutto riguardo alla porta di ingresso e ai fori di ventilazione passanti della cucina, segnalando la necessità di un intervento preliminare sugli infissi, prima di valutare altre costose e difficili opere da realizzare sulle murature perimetrali. In sintesi, ha rilevato come i vizi, occulti e palesi, riscontrati come presenti dal CTU integrassero i gravi difetti di cui all'art.1669 c.c., assumendo come l'assenza di isolamento termico previsto in progetto, l'errata realizzazione delle pendenze delle falde del tetto con conseguenti infiltrazioni d'acqua, l'insufficiente fonoisolamento, la mancanza di sfiati dei sanitari importino indubbiamente un complesso di seri disagi tali da menomare il normale godimento di un immobile destinato a fini abitativi. Ha aderito alla quantificazione dei danni suggerita dal CTU, per il quale il costo necessario per eliminare i difetti è stato stimato in Euro 64.490,00, mentre il controvalore del disagio conseguente alla necessità di eseguire i lavori, è stato indicato in Euro 5.000,00 (cfr. p. 49 CTU). Ha indicato la necessità di dover maggiorare detto importo degli interessi legali dalla data di acquisto dell'immobile al saldo effettivo. In ordine alla responsabilità dei convenuti, ha rilevato quanto segue. Quella in capo alla (...) di (...), quale materiale esecutore dell'opera, è stata ritenuta pacificamente acclarata. Richiamati gli obblighi di garanzia e controllo del direttore dei lavori, ha osservato come il riscontro della presenza di tali e tanti vizi (anche occulti), costituenti gravi difetti dell'opera, altro non era che il risultato dell'inadempimento degli obblighi incombenti sull'arch. (...), che aveva assunto la posizione di direttore dei lavori. Non avendo il medesimo osservato gli obblighi assunti, ha ritenuto sussistente il concorso solidale dell'arch. (...) nell'obbligazione di risarcimento danni nei riguardi degli attori. Ha escluso la ricorrenza dei presupposti per pronunciare la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. e per disporre la cancellazione di alcune frasi ex art. 89 c.p.c.. Ha respinto la domanda riconvenzionale azionata dei convenuti - diretta a ottenere la condanna degli attori al pagamento in solido della somma di Euro 5.000,00 per ingiustificata rottura delle trattative in corso ai fini della definizione della vertenza dopo la notifica dell'atto di citazione. Ha rilevato come, al di là dell'assenza di prova di ogni responsabilità in capo agli attori, la domanda fosse di per sé infondata non potendosi ravvisare, a causa iniziata, alcuna responsabilità per interruzione di trattative, più o meno ben avviate, ai fini del bonario componimento del contenzioso. Ha liquidato le spese di lite secondo soccombenza e posto a carico dei convenuti le spese di CTU. 4. I motivi di appello. Avverso la sentenza suddetta hanno interposto appello la (...) di (...) e l'arch. (...), i quali si dolgono della pronuncia assumendo come il Tribunale sia caduto in errore nel: a) recepire quale base di motivazione le argomentazioni svolte dal CTU, lamentando nello specifico come: -non siano state considerate dal CTU le dichiarazioni rese dagli stessi attori nel corso delle operazioni peritali; -non siano stati enucleati elementi di fatto da cui cui trarre conclusioni congruenti; -siano state respinte senza motivazione adeguata le osservazioni del CTP; b) non considerare le argomentazioni della comparsa conclusionale sulla norma da applicare in tema di fonoisolamento della facciata; c) nell'affermare e ritenere gravi i difetti indicati (relativi a pozzetti di ispezione / sfiati / innesto del pluviale nella tubazione fognaria) in base a una valutazione complessiva, quando le stesse parti avevano sempre fatto riferimento a singoli vizi -che erano stati accomunati ad altri per la singola caratterizzazione consistente nella possibilità di recar danno alla stabilità o tenuta, ovvero alla fruibilità, alternativamente previsti dall'art. 1669 cod. civ., il quale fa riferimento a più vizi e non a uno solo; d) nel trarne esistenza e gravità, anche dalla difformità da quanto progettato, di elementi costruttivi realizzati in sostituzione, quando gli stessi dovrebbero essere invece valutati singolarmente e non solo in relazione alla possibilità di arrecare danno; e) di non aver preso in adeguata considerazione l'eccezione di decadenza e prescrizione per omesso rispetto dei termini di cui all'art. 1669 cod. civ. ai fini della denuncia, dal momento che i coniugi (...)-(...) sarebbero stati a conoscenza dei fatti sin dalla loro origine. L'atto di appello prosegue, quindi, nella disamina e contestazione di tutti i vizi rilevati in sede di CTU e condivisi dal primo giudice. Infine l'atto di gravame eccepisce l'erroneità della sentenza impugnata quanto alla posizione dell'arch. (...), evocato quale soggetto responsabile verso l'acquirente ex art. 1669 cod. civ.. Assume al riguardo come l'ipotesi di una responsabilità possa essere concepita solo qualora ricorra una non corrispondenza d quanto realizzato alle "regole dell'arte" e alla normativa e non rispetto a quanto progettato e approvato dalla p.a. Sul punto, la difesa appellante sostiene, rispetto a quanto affermato dal CTU, che: a) l'opera realizzata è conforme a progetto; b) le difformità rispetto al progetto (isolamento del pavimento e sottotetto) non integrano un pericolo di crollo nei limiti di durata dell'utilizzo del bene; non risulta accertata e provata la violazione della normativa in punto a risparmio energetico, con conseguente irresponsabilità del direttore lavori; c) non è provata la violazione delle regole dell'arte nell'esecuzione del fonoisolamento della facciata e nella configurazione della pendenza del tetto. Tutte le osservazioni esposte potrebbero entrare in gioco a condizione che all'arch. (...) (quale direttore lavori) competesse la vigilanza e il controllo di quanto non progettato, dovendosi piuttosto far riferimento alle competenze e responsabilità del progettista strutturale. 5. Disamina dei motivi. Appare pregiudiziale la trattazione della questione relativa all'eccezione di decadenza e prescrizione che gli appellanti assumono esser fondata ritenendo che i signori (...) e (...) avessero avuto già una conoscenza pregressa dei vizi denunciati. Il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: "In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili, ai sensi dell'art. 1669 cod civ., poiché la disciplina concernente la decadenza e la prescrizione per l'esercizio dell'azione ha lo scopo di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia, per far decorrere il successivo termine prescrizionale, riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso". In altra pronuncia, il Supremo Collegio, ha rilevato che "Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e se, da un lato, tale termine può essere postergato all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale, dall'altro, esso decorre immediatamente quando si tratti di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini". La conoscenza richiesta, per far scattare la decorrenza dei termini di decadenza e prescrizione, deve quindi essere completa e non generica. Gli appellanti per sostenere che la coppia (...)-(...) avesse una conoscenza effettiva (sicura in ordine a sussistenza di difetti e cause) non hanno portato elementi concreti, desumendo la pretesa conoscenza soltanto da dichiarazioni rese dagli stessi nel corso della CTU. Oltre a trattarsi di una indicazione di carattere assolutamente generico, si rileva come non vi sia correlazione e, quindi, possibilità di confronto tra la doglianza così espressa e l'argomentazione del primo giudice che, per ciò solo, non può dirsi dalla stessa intaccata. Né gioverebbe opporre che taluni vizi, all'atto della consegna, manifestassero una qualche visibilità, richiedendosi invece che l'acquirente abbia conoscenza effettiva delle cause del fenomeno (cfr. in punto Cass. 777/2020). Di qui, l'infondatezza della doglianza. Si tratta quindi di affrontare i profili di responsabilità dell'appaltatore (nella specie, (...), titolare dell'impresa (...)) e del direttore lavori (arch. (...)). Nella specie è stata proposta un'azione di responsabilità verso l'appaltatore e il direttore dei lavori. L'azione di responsabilità, prevista dall'art. 1669 cod. civ. che configura una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, è esperibile contro ogni costruttore, per tale intendendosi chi abbia costruito l'immobile sotto la propria responsabilità, senza che abbia rilievo l'identificazione o meno del rapporto giuridico in base al quale la costruzione è stata realizzata; tale azione è esperibile, proprio perché di responsabilità aquiliana, anche dall'acquirente. È inoltre indubbiamente ammissibile l'azione risarcitoria nei riguardi del professionista (in questo caso l'arch. (...), nella veste di direttore dei lavori), in quanto proposta dalla coppia (...)-(...) ex art. 1669 c.c. che disciplina l'azione extracontrattuale esperibile anche dal proprietario nei riguardi del progettista ovvero del direttore dei lavori che abbia concorso a cagionare il danno. In merito al fondamento della responsabilità gravante sull'appaltatore e il direttore lavori, il Supremo Collegio ha affermato che "In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale del progettista e direttore dei lavori e dell'appaltatore per i difetti della costruzione che avevano determinato infiltrazioni d'acqua, ponendo a carico del primo l'identica obbligazione risarcitoria del secondo, avente ad oggetto le opere necessarie all'eliminazione dei vizi ed all'esecuzione dell'"opus" a regola d'arte)". In sintesi, si deve ritenere che l'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione. Assunto il principio di responsabilità esposto quale nucleo per l'individuazione e la valutazione delle condotte di ciascuno dei soggetti chiamati a rispondere dell'opera realizzata quali agenti che abbiano concorso in modo sufficiente a produrre l'evento dannoso, si tratta di vagliare se fosse adeguata o inadeguata la metodologia dell'intervento eseguito, ossia se lo stesso sia stato eseguito senza la necessaria prudenza e accuratezza da parte di coloro che erano tenuti a eseguire e controllare l'esecuzione dei lavori. Nella specie gli addebiti mossi dai signori (...)-(...) si incentrano su taluni rilevanti elementi, enumerati nella: - mancata necessaria pendenza del tetto (formato da pioventi di diversa lunghezza); - posa delle tegole in base a una pendenza inadeguata (inferiore al 30%); - mancata predisposizione e posa di uno strato di 7 cm. di poliestere espanso nel tetto (con conseguente pregiudizio al normale utilizzo e alla funzione economica del bene); - omesso isolamento termico del pavimento; - omesso fonoisolamento della facciata; - assenza dei pozzetti e degli sfiati delle colonne di scarico; - innesto diretto del pluviale nel tratto di fognatura. Come noto, l'appaltatore è tenuto non solo a eseguire a regola d'arte il progetto, ma anche a controllare, in base alla diligenza richiesta dal caso concreto nei limiti delle cognizioni tecniche acquisite, la congruità e la completezza del progetto medesimo. Come efficacemente illustrato dal CTU, le carenze rilevate a carico della copertura dell'edificio erano riconducibili, per un verso, alla lacunosa progettazione e, per altro verso, a modalità errate di esecuzione e al mancato controllo in sede esecutiva da parte della direzione lavori. Di qui la responsabilità solidale verso gli acquirenti dell'Impresa (...) e dell'arch. (...), che va equamente ripartita nei rapporti interni per la difettosa realizzazione. In merito all'ambito della responsabilità, gli appellanti hanno sostenuto come l'art. 1669 c.c. non sia applicabile nel caso in cui il vizio non incida su elementi essenziali dell'opera. Deve considerarsi al riguardo che, come reiteratamente affermato dal Supremo Collegio, costituiscono gravi difetti quelli che incidono sulla sostanza (struttura) e stabilità dell'opera, anche senza minaccia di crollo immediato o pericolo di rovina, nonché quelle alterazioni che in modo apprezzabile riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale fruibilità e utilizzazione. Gli orientamenti più recenti derivano dall'assunzione di una posizione non rigida e chiusa, ma aperta, da pare delle Sezioni Unite che, con la pronuncia n. 7756/2017, soffermandosi sui "gravi difetti", ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1669 cod. civ., hanno ritenuto di dover ricondurre a tale locuzione anche opere limitate, addirittura prescindendo dalla necessità logica di un'edificazione ab imo o di una costruzione ex novo: erano stati inquadrati nell'ambito della norma in oggetto i gravi difetti riguardanti la pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione (sentenza n. 2238/12); opere di pavimentazione e di impiantistica (Cass. n. 1608/00); infiltrazioni d'acqua, umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti d'impermeabilizzazione (Cass. nn. 84/13, 21351/05, 117/00, 4692/99, 2260/98, 2775/97, 3301/96, 10218/94, 13112/92, 9081/92, 9082/91, 2431/86, 1427/84, 6741/83, 2858/83, 3971/81, 3482/81, 6298/80, 4356/80, 206/79, 2321/77, 1606/76 e 1622/72); un ascensore panoramico esterno ad un edificio (Cass. n. 20307/11); l'inefficienza di un impianto idrico (Cass. n. 3752/07); l'inadeguatezza recettiva d'una fossa biologica (Cass. n. 13106/95); l'impianto centralizzato di riscaldamento (Cass. nn.5002/94, 7924/92, 5252/86 e 2763/84); il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell'edificio (Cass. nn. 6585/86, 4369/82 e 3002/81, 1426/76); il collegamento diretto degli scarichi di acque bianche e dei pluviali discendenti con la condotta fognaria (Cass. n. 5147/87); infiltrazioni di acque luride (Cass. n. 2070/ 78). In tutte le ipotesi sopra indicate, le Sezioni Unite hanno altresì sottolineato il superamento della originaria visione dell'art. 1669 c.c. come norma di protezione dell'incolumità pubblica, valorizzando la non meno avvertita esigenza che l'immobile possa essere goduto ed utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione. Deve essere quindi chiaro che ciò che fonda il discrimine tra la disciplina ex art. 1669 cod. civ., comportante la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore (e degli altri soggetti che, come il progettista e il direttore dei lavori hanno concorso alla realizzazione dell'opera) e la responsabilità posta dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. in tema di garanzia per vizi dell'opera è, in sintesi, la tipologia dei difetti che, se tale da pregiudicare il normale godimento dell'immobile, ricade nell'applicazione dell'art. 1669 cod. civ.. Si tratta quindi di considerare quali siano i vizi effettivamente accertati e quali abbiano un'incidenza sul normale godimento dell'immobile. In merito agli oneri probatori, si rileva come a carico del committente o del terzo danneggiato - che invoca a suo favore l'applicazione dell'art. 1669 cod. civ. gravi solo l'onere di dimostrare la sussistenza dei vizi e il nesso di causalità tra gli stessi e l'evento dannoso. All'esito dell'esperita CTU, sono state accertate deficienze costruttive implicanti notevoli pregiudizi in ordine al normale godimento dell'immobile. Tali accertamenti sono stati sottoposti a una critica di ordine generale da parte degli appellanti, i quali hanno lamentato come il primo giudice non abbia considerato - e quindi pretesamente rigettato senza adeguata motivazione - le osservazioni svolte dal CTP, né abbia considerato le argomentazioni svolte in conclusionale sulle norme da applicare al fono-isolamento della facciata, né abbia tenuto contro della necessità di dover esaminare i difetti e vizi singolarmente e non globalmente. La prima doglianza è infondata, avendo il CTU preso in esame e risposto adeguatamente alle osservazioni del CTP (cfr. pp. 20-21, riguardo a quelle del punto 1, relativo all'errata pendenza del tetto; punto 5, relativo alla mancanza di isolamento del pavimento a pp. 26 e ss; punto 6, mancato isolamento del tetto, p. 30). Dalle risposte del CTU, resta esclusa quella relativa alla doglianza concernente la mancata posa dei pozzetti, rispetto alla quale il CTP ha osservato come l'opera non fosse stata commissionata. Il punto sarà esaminato a breve in modo specifico (v. infra), così pure quello relativo alla questione del fonoisolamento della facciata dell'immobile oggetto di causa. Prendendo quindi in esame l'ultima doglianza, si rileva come la semplice lettura della complessiva elencazione dei vizi e difetti, dianzi riferita testualmente, ciascuno dei quali non negato da parti appellanti (se non per quanto attiene a qualche profilo, di cui si dirà, v. infra), dimostra di per sé l'infondatezza della doglianza. Gli appellanti si soffermano su di una valutazione atomistica di ciascun vizio, quasiché ciascuno di essi non componesse un quadro complessivo di degrado e disfunzionalità tale da incidere nella previsione di cui all'art. 1669 c.c., laddove secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte: "Il "difetto di costruzione" che, a norma dell'art. 1669 cod. civ., legittima il committente all'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'appaltatore, come del progettista, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la "rovina" o il "pericolo di rovina"), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo" (così Cass. Civ., Sez. II, 4 ottobre 2011, n. 20307; conformi sin da Cass. Civ., Sez. III, 12 maggio 1999, n. 4692; Id, sez. II, 7 gennaio 2000, n. 81; Id., sez. II, 26 maggio 2000, n. 6997; Id., sez. II, 19 agosto 2002, 12231; Id., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8140; Id., sez. II, 4 novembre 2005, n. 21351; Id., sez. II, 20 novembre 2007, n. 24143; Id., sez. II, 15 settembre 2009, n. 19868). Se si tiene fermo l'elenco dei vizi accuratamente enunciati e selezionati secondo convenienza dagli appellanti e quindi escludendo quelli pure accertati (ma estranei alle doglianze svolte con l'atto di citazione), si può ben cogliere un quadro di grave incidenza sulla normale fruibilità dell'immobile, in relazione alla presenza sia di vizi che massivamente incidono (quali, ad es., l'erronea pendenza del tetto e l'assenza di isolamento del sottotetto e del pavimento) ad altri, "minori", come, ad. es., le esalazioni maleodoranti provenienti dagli scarichi del bagno, si ottiene un quadro di grave incidenza sulla normale fruibilità dell'immobile, pur se integrato anche da vizi minori. Appare chiaro come il quadro fattuale dei vizi complessivamente considerati non consenta - secondo una prospettazione di buonafede - di ritenerlo di minima rilevanza, tanto da incidere nella previsione di cui all'art. 1667 c.c. La cui fattispecie sussiste solo quando i vizi accertati e complessivamente valutati non configurino una negativa e considerevole incisione sul godimento dell'immobile considerato, com'è nel caso. Tanto premesso, si tratta quindi di esaminare i vizi rilevati e le doglianze che gli appellanti hanno sollevato in ordine alla sussistenza ed addebitabilità degli stessi, in relazione all'attività svolta. Quanto alla errata pendenza del tetto, si rileva i signori (...)-(...) ebbero a lamentare l'irregolare deflusso delle acque piovane sopra il manto di copertura del tetto, da cui originavano condizioni di ristagno e rigurgito, con conseguenti infiltrazioni all'interno dell'abitazione; in ordine all'eziologia, il problema era fatto risalire a una pendenza inadeguata e comunque inferiore a quella indicata nelle schede tecniche fornite dalla ditta (...) e dai manuali tecnici dei produttori (...). Il CTU, nel corso delle operazioni peritali, in data 6.10.2017, ha misurato la pendenza e verificato come la stessa si attesti su due diversi valori per ogni falda di copertura, pari, rispettivamente a p=20,7% lato nord-est e p= 19,6% lato sud-ovest, misure date dal rapporto tra il dislivello compreso tra la linea di gronda e il colmo e la loro distanza in proiezione ortogonale. Di qui la conclusione per la quale la pendenza misurata è indubbiamente inferiore alla soglia del 30% indicata dal fornitore delle tegole (p.19 e 20 elab. CTU). L'ing. (...) ha inoltre osservato come, nella specie, ci si trovi in presenza di una copertura detta "discontinua", per la quale la tenuta dell'acqua è proprio garantita, dalla pendenza della falda, e nello specifico dalle tegole di finitura e del modo in cui le stesse sono collegate. La tipologia di copertura prescelta nel caso di specie è quella di tegole "a coppi agganciati" che hanno la particolarità di assomigliare molto alla "tegole portoghesi" avendo le stesse, a differenza dei coppi "piemontesi", un doppio incastro e un canale di ruscellamento laterale. La buona tecnica, nel caso di copertura "discontinua" con "coppi" del tipo "agganciati" prevede che gli stessi siano montati su coperture con pendenze pari o superiori al 30%. Il vizio è stato riscontrato quale vizio reale e tale da comportare le lamentate copiose infiltrazioni, la cui presenza non può essere imputata ad altre cause (come quella di danneggiamenti singoli recati nella posa di pannelli fotovoltaici (cfr. p. 20 CTU). La tesi sostenuta dalla difesa appellante secondo la quale l'indicazione della misura del 30% di pendenza fosse solo precauzionale e non normativa non ha pregio ai fini della censura svolta. Da un lato, l'appaltatore, come già evidenziato in sede di legittimità, sia tenuto a eseguire l'opera secondo quanto stabilito in sede di progetto, ma anche a controllare che l'opera risulti eseguita a regola d'arte e quindi ad applicare la diligenza richiesta nel caso concreto e controllare, nei limiti delle cognizioni tecniche, la congruità e completezza della stessa; dall'altro, il direttore dei lavori non può sostenere che l'opera sia conforme a progetto e che le difformità non sussistano quando il medesimo, nella propria nella propria Relazione illustrativa tecnica aveva contemplato una copertura a falde con pendenza del 30% (cfr. all. F); la circostanza che, nella specie, sia stata realizzata una copertura con pendenza inferiore non può che costituire l'effetto dell'omesso controllo in sede di realizzazione da parte dell'arch. (...). Il secondo nucleo di vizi è costituito dalla presenza di esalazioni maleodoranti, provenienti dagli scarichi del bagno a causa di una ventilazione insufficiente. La coppia (...)-(...) ha lamentato l'assenza di adeguati sfiati dalle colonne di scarico e imputato a ciò la causa del ristagno e fuoriuscita di cattivi odori dai sanitari. Sul punto, gli appellanti hanno convenuto sull'assenza di adeguati sfiati. Il CTU ha preso atto dell'assenza di un adeguato sistema di ventilazione del sistema fognario dell'unità immobiliare che, a regola d'arte e in applicazione della norma UNI EN 12056:2001, avrebbe imposto la realizzazione mediante colonne di sfiato autonome e prolungate a quota superiore rispetto alla diramazione più alta, con estremità aperta, posizionata all'esterno della struttura. Di qui la rilevata necessità di realizzazione ed esborso della somma relativa al costo. Il terzo gruppo di vizi concerne il pluviale e la gronda, di cui gli odierni appellati hanno lamentato la corrosione nel punto di innesto con la fogna. Il CTU ha osservato come "la corrosione sia direttamente correlata ai vapori provenienti dalla fognatura e quindi all'assenza di sfiati rispetto al punto precedentemente trattato". La parte convenuta (odierna appellante) ha aderito alle risultanze dell'accertamento del CTU. "Il CTU, prendendo atto che i pluviali e la gronda corrosa sono già stati sostituiti con il relativo costo indicato alla fattura n. (...) dell'11.11.2015 (all. H) concorda anch'esso con la tesi di parte attorea ((...)-(...)) e ritiene che risolvendo il problema degli sfiati di cui al punto 2) si porrà fine anche a questo fenomeno". L'altra doglianza sollevata dai signori (...)-(...) concerne la mancanza dei pozzetti di ispezione che, secondo loro, sarebbero stati previsti nel progetto e la mancanza dei quali impedirebbe "ai proprietari di ispezionare anche parzialmente la fognatura in caso di guasto". Il CTU, anche a seguito della consegna di documentazione fotografica da parte dell'arch. (...), CTP di (...) e arch. (...), ha rilevato l'assenza dei pozzetti di ispezione, considerando come le riprese fotografiche effettuate mostrino effettivamente la presenza di sifoni orizzontali in PVC colore arancio, ispezionabili, ma non testimonino la presenza di pozzetti da realizzare in corrispondenza dei punti singolari della rete fognaria (di confluenza o incrocio, o deviazione); di qui la considerazione finale dell'assenza degli stessi, nelle more realizzati dai signori (...)-(...). Deve rilevarsi come, da un lato, non sia stata fornita la prova della previsione in progetto dei pozzetti di ispezione e, dall'altro, come quella in questione non sia opera strettamente correlata alla normale fruibilità e godimento dell'immobile acquistato. Da ciò consegue che, pur assenti, i pozzetti in questione non potevano essere oggetto di addebito in capo all'impresa e al direttore dei lavori perché non commissionati. Dall'importo addebitato deve quindi essere sottratta la somma indicata quale costo per la realizzazione degli stessi (pari alla capital somma di Euro 4.685,00). Strettamente correlato al normale godimento dell'immobile è l'isolamento del pavimento. Sul punto ne è stata rilevata l'assenza dal CTU con riguardo specifico all'isolamento del solaio di calpestìo, rispetto al quale era stato previsto, nell'elaborato depositato al Comune di Strevi dall'arch. (...) (cfr. scheda in all. G) in funzione del contenimento energetico (L. n. 10 del 1991) e dichiarato nella Relazione tecnica illustrativa dell'arch. (...) (all. F), uno strato di isolamento di 70 mm. di polistirene espanso sinterizzato in lastre ricavate d blocchi. Il CTU ha considerato come la lavorazione del solaio in questione fosse stata subappaltata e come, nella relazione di contenimento energetico a firma dell'arch. (...), fosse citato un progetto di isolamento termico dell'arch. (...), progetto che il CTU non era riuscito a reperire presso la documentazione tecnica depositata all'ufficio tecnico del Comune di Strevi, né nel corso dell'esecuzione delle operazioni peritali. Dal carotaggio eseguito e dall'ampia documentazione fotografica relativa alla stratigrafia osservata a seguito del prelievo di una carota da parte del CTP attoreo, Berruti, risultava parimenti fondata la tesi dei signori (...)-(...). Le osservazioni svolte dal CTP (...) sono state efficacemente avversate dal CTU, il quale ha osservato come i risultati raggiunti dai calcoli elaborati su un modello teorico dal primo non fossero risolutivi, né giovassero a risolvere il problema di un insufficiente comfort termico, praticamente non percepito e tale da indurre i suddetti signori (...)-(...) a integrare il riscaldamento con altre fonti (pagg. 25 e ss. elab. CTU). Gli attori-odierni appellati hanno lamentato l'omesso isolamento del sottotetto e l'impossibilità di uso dello stesso quale locale deposito. La doglianza è stata sollevata con riguardo al fatto che, in fase progettuale e nella relazione di contenimento energetico a firma dell'arch. (...), era indicata la presenza di 70 mm. di polisterene espanso sinterizzato e di un massetto sovrastante di 50 mm. da realizzarsi con malta cementizia (all. SL1, rel. cit.). Il CTU ha rilevato come il vaglio dello stato dei luoghi avesse condotto a evidenziare l'assenza dell'isolamento della soletta di copertura nei termini indicati in progetto. La circostanza è stata contestata malamente. Il fatto che la difesa appellante ammetta la realizzazione dell'isolamento in modo difforme da quanto progettato, non vale a escludere la presenza del difetto. La circostanza che lo stesso sia emerso a distanza di molto tempo non giova alla parte ai fini della decadenza dall'azione, trattandosi di vizio occulto, pur se di non difficile risoluzione. Rimane, infine, la questione relativa al difetto di fonoisolamento della facciata. Giova evidenziare al riguardo come nell'impugnata sentenza il primo giudice aderisca alle conclusioni del CTU, il quale ha motivato in ordine a esistenza e gravità del vizio in relazione al fatto che il tecnico specializzato in acustica ambientale ha riscontrato scostamenti significativi rispetto al livello normativo, soprattutto riguardo ai serramenti, alla porta di ingresso e ai fori passanti di ventilazione. La doglianza sollevata dagli appellanti si incentra sulla considerazione per la quale il giudizio espresso dal CTU e anche la motivazione della stessa sentenza sarebbero errati perché frutto della parametrazione del difetto a livello normativo, quando la realtà normativa presa in esame non sarebbe esistente e/o comunque applicabile. Si assume, al riguardo, come il disposto di cui all'art. 11, comma 5 della L. 7 luglio 2009, n. 88, non trovi applicazione tra privati e in particolare nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti dopo l'entrata in vigore della legge. Deducono e sostengono gli appellanti non essere più necessaria la dichiarazione del tecnico abilitato, né più applicabile il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, con la conseguenza che i limiti dell'isolamento dei rumori nelle abitazioni sarebbero indeterminati, non potendo essere individuati nemmeno attraverso l'applicazione delle regole dell'arte. In una siffatta incertezza, trattandosi di fabbricato sorto dopo l'entrata in vigore della L. 26 ottobre 1995, n. 447 (rif. alla fine lavori allì 19.10.2009, associata al rilascio del certificato di regolare esecuzione del 23.10.2009) l'osservanza delle regole dell'arte si sarebbe dovuta ritenere realizzata dal Direttore dei lavori e dall'Impresa (...) di (...) con l'impiego da parte della seconda, sotto il controllo del primo, di materiali fonoisolanti, così come definiti nelle schede del produttore. La stratigrafia era stata verificata dal geom. (...): essa era composta da un intonaco esterno, da poroton portante esterno, da contromuro interno con interposto isolante intonaco interno. Gli appellanti assumono infine come i vizi siano stati definiti gravi dal CTU soltanto in relazione all'avvenuta definizione di opera unitaria e della valutazione dei difetti con riguardo all'opera nel suo complesso. Su quest'ultimo punto valgono le considerazioni già svolte in precedenza (cfr. p. 11), da intendersi qui richiamate. Questa Corte ritiene che il motivo, così come dedotto, sia infondato. Le leggi comunitarie 2008 e 2009 hanno indotto modifiche alla legislazione nazionale sull'acustica e in particolare al D.P.C.M. 5 dicembre 1997, mediante la sospensione degli effetti nei rapporti tra privati e ponendo le basi per la riscrittura della legislazione nazionale in tema di acustica edilizia. Tuttavia, non essendo stato emanato alcun nuovo documento legislativo, il D.P.C.M. 5 dicembre 1997 è attualmente in vigore e di conseguenza gli edifici di nuova realizzazione debbono essere costruiti nel rispetto dei limiti in esso stabiliti. In base alle specifiche e puntuali rilevazioni operate dall'ausiliario del CTU, è emerso che la facciata dell'immobile di proprietà dei signori (...)-(...) non rispetti i parametri di fonoassorbenza stabiliti dalla normativa speciale sopra citata. In sede di legittimità il Supremo Collegio (cfr. Cass. n. 16074 del 2016) ha ritenuto opportuno, per ragioni di nomofilachia, precisare che l'assunto secondo cui il rispetto dei limiti fissati dalla disciplina di settore (nella specie, dal D.P.R. n. 142 del 2004, esecutivo dell'articolo 11 L. n. 447 del 1995) precluderebbe qualunque ulteriore vaglio di tollerabilità ex art. 844 c.c. è giuridicamente errato, perché, come la stessa Corte ha più volte affermato, in materia di immissioni, mentre è senz'altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l'eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all'art. 844 c.c., tenendo presente, fra l'altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni. Ciò si è affermato in ragione del fatto che i parametri fissati dalle norme speciali a protezione dell'ambiente e delle esigenze della collettività, pur potendo esser considerati quali criteri minimali, non sono ritenuti vincolanti per il giudice civile che può eventualmente pervenire al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 cod. civ., delle immissioni ancorché contenute in detti parametri. Ciò val quanto dire che, dovendo essere valutati quali parametri minimi, quelli indicati dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, sono certamente operanti: l'osservanza degli stessi, tuttavia, non esclude che nel giudizio di tollerabilità delle immissioni non possa riscontrarsi in concreto la violazione dell'art. 844 c.c.. Di conseguenza, è chiaro come l'inosservanza dei parametri dettati dalle norme speciali, sia oltremodo indicativa di una situazione non conforme a legge. Di qui, l'infondatezza della doglianza. In base alle esposte motivazioni l'appello proposto merita di essere accolto soltanto in ragione del profilo inerente i pozzetti di ispezione della fognatura. Di conseguenza la sentenza deve essere riformata in questi stretti limiti, con l'effetto di sottrarre dal risarcimento indicato nella somma capitale di Euro 69.490,00, l'importo di Euro 4.685,00. Di conseguenza, gli appellanti devono essere condannati in solido al pagamento della somma capitale di Euro 64.805,00, oltre agli interessi legali con la decorrenza indicata dal Tribunale (dall'acquisto al saldo). 6. Spese. Le spese seguono la soccombenza. Avuto riguardo a quanto sopra esposto gli appellanti, pur avendo ottenuto l'accoglimento dell'appello nei ristretti limiti sopra indicati (stimati in ragione di 1/10 dell'importo liquidato) sono sostanzialmente soccombenti. Avuto riguardo alla modestia della misura di accoglimento della domanda avanzata dagli appellanti, (...) di (...) e arch. (...), si reputa corretto compensare le spese del primo grado e del gravame in ragione della quota corrispondente e quindi di porre a carico degli appellanti in solido tra loro, la parte restante delle spese del giudizio (9/10). Per la quantificazione, la Corte ritiene di dover liquidare le spese seguendo i parametri indicati dalla novella di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Riguardo alla loro liquidazione, poiché il credito per le spese di lite sorge al momento della liquidazione delle stesse a opera del giudice (nella specie, con la deliberazione della presente sentenza, nella data indicata in calce) essa deve avvenire alla stregua della norma in tal momento vigente ed, in particolare, sulla base del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla G.U. 2.4.2014, n. 77, le cui disposizioni si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Di conseguenza, in applicazione dei parametri medi ridotti in ragione della bassa complessità della lite, avuto allo scaglione della lite, le spese si liquidano come segue: a) per il primo grado: a. fase di studio: Euro 1710,00; b. fase introduttiva: Euro 930,00; c. fase istruttoria: Euro 2.700,00; d. fase decisoria: Euro 2.430,00; e così per Euro 7.761,00 nell'intero; a) per il grado di appello: a. fase di studio: Euro 1984,50; b. fase introduttiva: Euro 1.274,000; c. fase decisoria: Euro 3.402,00; e così per Euro 6.660,50 nell'intero. Su ciascuna delle liquidazioni devono essere corrisposti inoltre C.P.A. ex art. 11 L. 20 settembre 1980, n. 576 e I.V.A. se non detraibile dalla parte vittoriosa, oltre rimborso forfetario ex art. 2, co. 2 D.M. 2014, n. 55, nei limiti del 15% e anche le spese aggiuntive occorrende. P.Q.M. La Corte d'Appello di Torino Sezione Seconda Civile Visto l'art. 352 c.p.c., definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza respinta, sull'appello proposto dagli appellanti, (...), titolare dell'Impresa (...) e l'arch. (...), contro gli appellati (...) e (...), avverso la sentenza n. 458/2019 emessa dal Tribunale di Alessandria, pubblicata in data 10.6.2019, provvede come segue: - in parziale accoglimento dell'appello e in riforma dell'impugnata sentenza, dichiara tenuti e condanna in solido tra loro gli appellanti (...), titolare dell'Impresa (...) e l'arch. (...), al pagamento in favore degli appellati suddetti, signori (...) e (...), della somma di Euro 64.805,00 oltre interessi legali dall'acquisto al saldo effettivo; Visto l'art. 91 c.p.c., dichiara tenuti e condanna gli appellanti suddetti in solido tra loro alla rifusione delle spese del giudizio in favore degli appellati in solido, spese che liquida, dedotta la quota compensata, in Euro 6.984,90 per il primo grado e in Euro 5.994,45 per il gravame, oltre, su ciascuna delle liquidazioni, a C.P.A. ex art. 11 L. 20 settembre 1980, n. 576 e I.V.A. se non detraibile dalla parte vittoriosa, oltre rimborso forfetario ex art. 2, co. 2 D.M. 2014, n. 55, nei limiti del 15% ed anche le spese aggiuntive occorrende; conferma nel resto l'impugnata sentenza. Così deciso in Torino il 18 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI MILANO - Quarta sezione civile - La Corte composta dai magistrati dr.ssa Marina Marchetti - Presidente dr. Francesco Distefano - Consigliere rel dr.ssa Francesca Vullo - Consigliere ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.1955/2018 R.G. promossa DA Fallimento (...) s.r.l. in liquidazione (p.iva: (...)), con sede legale in M., via (...), in persona del curatore pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. Ch.Ga. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, giusta procura in atti. - appellante - CONTRO (...) s.p.a. (c.f.(...)), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Milano presso lo studio dell'avv. Co.Al. Abbondi che la rappresenta e difende come da procura in atti - appellata- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La (...) s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la (...) s.p.a. chiedendo che fosse accertato l'avvenuto rinnovo tacito tra le parti del contratto - avente ad oggetto servizio di screening e riparazione apparati EFT-POS di proprietà della convenuta - per il periodo 31.12.2012 - 31.12.2014, e dunque l'illegittimità del recesso operato dalla (...) in data 5.3.2012, con condanna della stessa al risarcimento dei danni, quantificati nell'incremento patrimoniale che l'attrice avrebbe ottenuto per effetto del corretto adempimento al contratto, pari ad Euro 514.571,79; inoltre che fosse accertato e dichiarato l'inadempimento contrattuale della controparte consistente nella consegna di un numero di pezzi e dispositivi inferiore a quanto convenzionalmente pattuito e in relazione al ritardo nella consegna dei medesimi beni (quantificato in 97.922,27 Euro); in via subordinata, che fosse accertata la violazione da parte della convenuta del legittimo affidamento sul rinnovo contrattuale anche ai sensi degli artt. 1337, 1175, 1375 c.c. e ex art. 9 L. n. 192 del 1998, con condanna della stessa al risarcimento del danno subito, corrispondente al mancato incremento patrimoniale, pari alla cifra sopra indicata di 514.571,79 Euro, oltre interessi e con vittoria di spese di lite. Deduceva in particolare che le parti avevano stipulato un primo contratto il 20.11.2006 con durata annuale, sino al 31.12.2007 che in data 31.12.2008 veniva rinnovato con durata biennale, sino al 31.12.2010 e poi sino al 31.12.2012 ; che per prassi le parti procedevano al rinnovo successivamente alla scadenza del contratto, senza soluzione di continuità nell'attività: invero il rinnovo del 31.12.2007 veniva sottoscritto il 4.3.2008, quello del 31.12.2008 (sino al 31.12.2010) veniva sottoscritto il 23.2.2009, l'ultimo rinnovo (31.12.2010-31.12.2012) veniva sottoscritto dalle parti nel febbraio 2010 con retrodatazione del documento al 1.1.2011; in tale ultima occasione le parti concordavano altresì di aumentare la quantità di prodotti consegnati ai fini della riparazione, da 6.000 pezzi al mese a 7.500 terminali pos al mese; in data 1.1.2012 a seguito di cessione di ramo d'azienda (...) subentrava in luogo di (...) nel contratto con (...) e dopo la scadenza dell'ultimo contratto, sottoscritto in data 31.12.2012, il rapporto, come di consuetudine, proseguiva di fatto, in attesa della formalizzazione del rinnovo; invero (...) continuava a consegnare beni da riparare e pezzi di ricambio nei mesi di gennaio - febbraio - marzo 2013, fino a che, con mail del 5.3.2013, (...) ex abrupto manifestava la volontà di recedere dal contratto con effetto immediato e senza preavviso. Tenuto conto del vincolo di esclusiva che legava le parti, del rapporto contrattuale durato oltre sette anni, l'attrice lamentava gravi danni nella propria sfera giuridica, tenuto conto dell'abuso dello stato di dipendenza economica da parte della convenuta e, comunque, di gravi inadempimenti dei quali la stessa si era resa responsabile in corso di rapporto; che, invero, il contratto doveva intendersi tacitamente rinnovato fino al 31.12.2014; in ogni caso la convenuta doveva ritenersi tenuta in considerazione dei predetti ripetuti e gravi inadempimenti posti in essere nei suoi confronti. Si costituiva la rilevando come, al contrario, le parti avessero programmato un piano di dismissione progressiva delle forniture dei pezzi in riparazione da (...) a (...), che avrebbe permesso a quest'ultima un riposizionamento sul mercato; che, in ogni caso, non v'era alcun vincolo di esclusiva in favore di (...) ma l'art. 1.2. del contratto comportava solo un impegno del fornitore a non effettuare in Italia servizi di riparazione per prodotti analoghi (determinati terminali di pagamento Pos); che il rapporto contrattuale con la controparte si evolveva anche con la costante diminuzione dei pezzi in riparazione a causa del progressivo ritiro dei dispositivi, ormai obsoleti, dal 2011 in avanti; invero già del 2011 la (...) aveva impostato la sua riorganizzazione anche in vista del ritiro dal mercato dei modelli dei dispositivi (...); che tale processo proseguiva sino all'agosto 2012 senza particolari intoppi, con l'incrementale riduzione dei dispositivi in riparazione anche a seguito della concordata creazione di un apposito dipartimento interno di (...) dedicato alla riparazione dei dispositivi di nuova generazione e senza contestazione alcuna da parte dell'attrice; che, nel mese di agosto 2012, i rispettivi amministratori delegati delle due parti si incontravano per discutere il termine del rapporto alla scadenza naturale del contratto, cui seguiva la richiesta di (...) di un ulteriore trimestre per permettere la riorganizzazione della struttura e della forza lavoro su altre committenze, peraltro con la speranza, pienamente manifestata, di rientrare nei rapporti con (...) tramite la prestazione di altri servizi quali quello di call center; che, pertanto, l'attrice era a conoscenza sin dal gennaio 2011 che il rapporto sarebbe andato a terminare per effetto dell'uscita dal mercato, dal 2011 in avanti, dei dispositivi di vecchia generazione, quali quelli unicamente affidati in riparazione ad essa e anche in vista di tanti, nel dicembre 2011, era stata costituita la nuova società (...) s.r.l. cui era stato trasferito in affitto il ramo d'azienda cui era affidato il cliente (...), al fine di evitare la compromissione della più efficiente struttura di (...) s.r.l.; tenuto conto della corretta e reale evoluzione storica del rapporto, le clausole rilevanti per l'assetto economico -giuridico del contratto dovevano essere correttamente interpretate; invero la corrispondenza intercorsa tra le parti (doc. 13-15) provava l'intesa della prosecuzione del rapporto sino al marzo 2013 al solo ed esclusivo fine di permettere a (...) di meglio organizzare la dismissione dell'attività di (...); in ogni caso, in punto di diritto, la naturale scadenza del contratto, per volontà delle parti era stata fissata al 31.3.2013, pertanto il comportamento di (...) era assolutamente legittimo; né poteva individuarsi alcun estremo per l'applicazione dell'art. 9 L. n. 192 del 1998, nè si erano verificati i presunti asseriti inadempimenti, tenuto conto che, in corso di rapporto, mai l'attrice aveva alcunché lamentato o contestato in merito alla consegna di pezzi in numero inferiore a quello concordato, né ad eventuali ritardi nella consegna dei pezzi di ricambio, né alla difettosità degli stessi; in ogni caso, laddove provato l'inadempimento, la quantificazione del danno avrebbe dovuto ritenersi del tutto errata, da un lato non essendovi obbligo alcuno di fatturato che (...) avrebbe garantito all'attrice, dall'altro perché il fatturato non avrebbe potuto essere utilizzato quale parametro di riferimento per il risarcimento difettando in esso il dato dell'effettivo margine di profitto dell'attrice. Istruita la causa mediante prova per testi con sentenza n. 3489/2018 resa in data 26.3.2018 il Tribunale rigettava tutte le domande. Avverso tale sentenza ha proposto appello la (...) s.r.l chiedendone la riforma per i motivi in seguito esposti Si è costituita la (...) s.p.a. insistendo per il rigetto del gravame. Quindi la causa, interrotta per il fallimento dell'appellante (dichiarato in data 26.11.2019) e riassunta in prosecuzione dalla curatela, precisate le conclusioni, all'udienza del 5.11.2020 è stata posta in decisione con l'assegnazione termini per il deposito di memorie conclusionali e repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale nel rigettare la domanda ha affermato - sul presupposto che ai fini del rinnovo nella regolamentazione contrattuale risultava necessaria la "rinnovazione del consenso" e una nuova manifestazione di volontà alla scadenza del contratto precedente (non essendo prevista alcuna clausola di rinnovo automatico in caso di mancata disdetta) - che "la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza naturale del contratto non può essere interpretata come una inequivoca manifestazione della volontà di rinnovo del contratto, addirittura per il biennio successivo", bensì, alla luce della documentazione allegata e della prova per testi quella "di instaurare un nuovo vincolo contrattuale avente durata molto limitata, fino al primo trimestre del 2012, ai fini di una progressiva dismissione delle commesse." per cui "il rapporto contrattuale si è effettivamente interrotto al termine del mese di marzo 2012 ...per naturale scadenza". Ha altresì escluso che vi sia stata "alcuna violazione del canone della buona fede ex art. 1337 c.c." in quanto l'attrice "era a conoscenza della volontà della convenuta di non procedere al rinnovo. Il mancato rinnovo contrattuale è stato tenuto in conto da entrambe le parti nell'assetto economico giuridico del rapporto tra le stesse intercorso, come reso palese dalla comunicazioni tra le stesse". Ha poi ritenuto che "altrettanto infondata appare la domanda attorea di accertamento dell'abuso di dipendenza economica, ex art. 9 L. n. 192 del 1998" in ragione della "progressiva dismissione dell'attività della convenuta nell'affidamento delle commesse all'attrice, della quale entrambe le parti erano pienamente consapevoli" Quanto poi al presunto inadempimento consistente nella consegna in riparazione da parte della convenuta di un numero inferiore di dispositivi rispetto a quelli pattuiti nel contratto, il Tribunale ha ritenuto che "non vi fosse alcun obbligo di fornitura minima contrattualmente assunto". Infine, con riferimento all'asserito inadempimento consistente nel ritardo nella consegna dei pezzi di ricambio dei beni e nella consegna di pezzi difettosi, ha affermato "come nel contratto non si riscontri alcun obbligo temporale a carico della convenuta e come i presunti difetti non siano stati mai denunciati, né peraltro già solo evidenziati, dall'attrice". L'appellante censura siffatta decisione sostenendo che ha errato il primo giudice a non tenere in considerazione : che era, consuetudine tra le parti proseguire l'attività contrattualmente prefissata e formalizzare ad anno in corso il rinnovo e che nei contratti di durata se dopo la scadenza del contratto le parti continuano l'esecuzione, ciò determina tacita rinnovazione, non espressamente esclusa; che non è mai intercorsa tra le parti alcuna mail o telefonata, neppure di cortesia fra i responsabili tecnici (dopo 7 anni di lavoro quotidiano), dalla quale si potesse ricavare l'intenzione di (...) di voler concludere il rapporto contrattuale o di organizzare le attività di fine lavoro, nè vi è alcuna prova documentale che dimostri la conclusione di un accordo tra le parti per una posticipazione della data di scadenza al 31.03.2013 anziché al 31.12.2012 ovvero per l'instaurazione di un nuovo vincolo con durata limitata al primo trimestre 2013. Deduce inoltre che è erronea la valutazione della testimonianza del sig. (...) definita dal giudice di prime cure determinante, quando la stessa doveva essere considerata nulla, trattandosi di testimonianza de relato e che in ogni caso, il teste si è rivelato inattendibile sostenendo di essere presente agli incontri tra il dott. (...) e l'ing. C. nonostante la stessa controparte abbia negato tale circostanza; che in realtà dagli atti di causa non risulta alcuna concordata conclusione contrattuale né tantomeno un riposizionamento sul mercato di (...) e anzi la documentazione attesta la consegna del materiale da parte di (...) dei beni da riparare nonché dei pezzi di ricambio nei mesi di gennaio - febbraio - marzo 2013 e la successiva consegna da parte di (...) dei prodotti lavorati quando (...) non avrebbe certo consegnato ulteriore materiale a (...) per la lavorazione (e l'attività si sarebbe dovuta limitare alla lavorazione dei prodotti consegnati antecedentemente alla scadenza contrattuale). Aggiunge l'appellante che ha errato comunque il Tribunale a non riconoscere in subordine la responsabilità prevista dall'art.1337 c.c., la quale, oltre che in caso di rottura ingiustificata delle trattative, può derivare anche dalla violazione dell'obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità di osservare il dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto e che diversamente da quanto argomentato della sentenza impugnata la volontà di porre fine al vincolo contrattuale è stata immediata, senza congruo preavviso ed esercitata in modo non conforme ai principi di buona fede e correttezza, che impongono di non arrecare pregiudizio ovvero danno ingiusto all'altro contraente. Sostiene altresì che per le medesime considerazioni vi è da ritenere che (...), con la propria condotta, abbia violato l'art. 9 della L. 18 giugno 1998, n. 192, considerando che la committente è una multinazionale leader nel settore mentre l'appaltatore è una società che dipende economicamente dalla committente ( 66% del fatturato) e che in forza dell'art. 1.2 del contratto (...) lavorava in esclusiva per controparte. Quanto ai profili di inadempimento, e in specie alla mancata fornitura dei pezzi minimi contrattualmente pattuiti, denuncia l'erronea e carente motivazione atteso che in realtà l'art. 1.5 "volumi" avrebbe dovuto essere interpretato partendo dal tenore della clausola contrattuale in correlazione all'assoluta dipendenza economica del Fornitore da (...), del vincolo di esclusiva e del tenore dei rinnovi contrattuali nel corso dei quali le quantità minime di pezzi venivano in seguito aumentate Censura inoltre la sentenza di primo grado nella parte di cui rigetta la domanda di accertamento del ritardo di (...) nella consegna e della difettosità dei pezzi di ricambio, atteso che seppur l'art. 1.7 del contratto non prevedesse alcun obbligo temporale per la consegna dei pezzi di ricambio, come sostenuto dal giudice di prime cure, ciò ha provocato un pregiudizio di natura economica alla società attrice la quale si vedeva costretta a svolgere dell'attività superflua e successivamente a rilavorare il prodotto.,costringendo il tecnico di laboratorio a sospendere l'attività di riparazione e a riassemblare sommariamente l'apparato per evitare la perdita delle parti più piccole e per essere in grado di inserirlo nella scatola di imballaggio codificata. In sede di precisazione finali ha, peraltro, così concluso :"accertare e dichiarare il rinnovo tacito del contratto per screening e riparazione apparati EFT-POS (...) sino al 31.12.2014 e il recesso unilaterale ovvero l'illegittima risoluzione del contratto da parte di (...) con mail del 05.03.2013, e, per l'effetto, condannare (...) S.p.A. al pagamento dell'indennizzo ex art. 1671 cod. civ. ovvero al risarcimento del danno quantificato nell'incremento patrimoniale che (...) S.r.l. avrebbe conseguito mediante l'esatta esecuzione del contratto quantificato, come da perizia della dott.ssa (...) (cfr. doc. 18 fascicolo di primo grado), nella forbice tra Euro 100.592 ed Euro 61.124 o nella minore o maggiore somma stabilita dal Giudice. L'appello, ritualmente proposto ex art. 342 c.p.c. per le puntuali critiche alla sentenza impugnata, nel merito è parzialmente fondato. Anzitutto va puntualizzato che la curatela, subentrata nel corso del giudizio, per come esplicitato anche nella comparsa conclusionale, ha abbandonato i motivi di appello diversi da quelli riguardanti la domanda volta all'accertamento del rinnovo tacito del contratto e conseguente diritto all'indennità per il recesso anticipato - peraltro "ricalcolata con criteri ritenuti più congrui così da ridurre il quantum della pretesa ad Euro 100.592,00" - appunto "ritenendo non opportuno insistere per l'accoglimento delle altre domande formulate con l'appello che, infatti, non sono state reiterate nel foglio di precisazione delle conclusioni depositato dal Fallimento in data 29.10.2020, così, implicitamente, rinunciandovi, come da autorizzazione del GD in data 30.9.2020 versata agli atti". Nel merito, osserva il collegio che, in line di principio, vale il principio per cui in un contratto di durata-quale quello di appalto continuativo di servizi in oggetto- ove non sia previsto un pactum renovandi (cioè di rinnovo tacito in mancanza di disdetta nel termine previsto) e "ciò nonostante le parti, dopo la scadenza, manifestano per fatti concludenti la volontà di continuare il rapporto, questo prosegue per tacito accordo, secondo il principio generale, codificato negli artt. 1597, 1677, 1899 cod. civ. e nell'art. 2097 cod. civ. previgente, per cui, in mancanza di espresso patto contrario, i contratti di durata, se non disdettati in tempo utile, si rinnovano tacitamente per il tempo previsto nel contratto stesso o dagli usi, oppure a tempo indeterminato, ed il nuovo rapporto è regolato dalle stesse clausole contenute nell'originaria convenzione, salvo quelle escluse dalla volontà espressa delle parti o dalla legge, o per incompatibilità o per esaurimento della loro funzione". (in tal senso Cass. n. 15797 del 28/07/2005, la quale puntualizza che "il principio espresso nell'art. 1597 cod. civ., secondo comma - "La nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente"- è di valore normativo generale e perciò la rinnovazione tacita di un contratto di durata implica che il nuovo contratto sia regolato dalle stesse clausole contenute nell'originaria convenzione."). Nella specie, dalla documentazione versata in atti e dalla istruttoria espletata in primo grado emerge, per fatti concludenti, a parere del collegio - e diversamente da quanto diversamente da quanto asserito dal Tribunale - la volontà delle parti di continuare il rapporto. Infatti non risponde al vero che la committente, dopo la scadenza naturale, si sia limitata a gestire lo smaltimento del pregresso, ma, al contrario, si è positivamente attivata nella (ordinaria) prosecuzione del rapporto, senza soluzione di continuità, mediante la consegna di nuovo materiale da riparare e dei relativi pezzi di ricambio, nei mesi di gennaio - febbraio - marzo 2013. Il tutto non accompagnato da manifestazioni eventualmente attestanti la sola volontà di posticipare la scadenza al primo trimestre 2013, come da essa sostenuto. Volontà che non può invero evincersi dallo scambio di corrispondenza allegato dalla stessa (...). la quale si è limitata a preannunciare, nell'estate 2012, un programma di internalizzazione delle attività di riparazione per cui i rapporti esterni si sarebbero ridotti ("prevedo una nuova spinta verso il rafforzamento delle capacità interne, non ci sono dubbi" ..."Onestamente dopo l'estate non sono per nulla ottimista sul numero di pezzi che daremo all'esterno"), ma senza affatto precisare che sarebbero, al più proseguiti, sino al 31.3.2013 (del tutto neutra è la generica mail del legale rappresentante di (...) :"la ringrazio per il cordiale incontro concessomi e per l'impegno che impiegherà nell'agevolarmi circa i temi discussi", restando dalla sua lettura oscuri i temi discussi) così come neutra rispetto al tema in discussione è la risposta del 10 agosto 2012 da parte di (...) ("ho atteso un paio di giorni per risponderle, giorni impiegati a ricercare un po' di serenità dopo le anticipazioni, per me a dir poco devastanti per il contenuto prospettico negativo") che si rammaricava per la probabile riduzione di lavoro in termini quantativi. E comunque anche ove la (...) avesse ribadito, prima della scadenza naturale, che quest'ultima stessa sarebbe stata rispettata (per terminare dunque con la fine d'anno), ciò non significa affatto, come logico, che un diverso, successivo, comportamento concludente, prevalga quale nuova e rinnovata manifestazione di volontà. Sicché, non ha neanche decisivo rilievo la dibattuta testimonianza del teste (...), che avrebbe assistito ad incontri tra il sig. (...) e l'ing. (...) in cui quest'ultimo avrebbe manifestato la volontà di terminare il rapporto contrattuale in data 31.12.2012, perché in ogni caso riferisce di un intento antecedente al 31.12.2012, ben suscettibile di successivo mutamento. Né ha fondamento la tesi di (...) secondo cui il rinnovo avrebbe dovuto rivestire la forma scritta perché così sempre in precedenza era stata fatto, posto che il contratto rimane a forma libera e mai è stato espressamente o implicitamente pattuito un vincolo di forma per il rinnovo. Così come rimane indifferente la circostanza che in data 1.1.2012 a seguito della cessione di ramo d'azienda, (...) sia subentrata a (...) nel contratto con (...), che invero rimaneva intatto, né potendo tale cessione di per sé costituire decisivo sintomo di una dismissione del rapporto. La condotta tenuta dopo il 31.12.2012 dalle parti denota, pertanto, la consapevole volontà di prosecuzione, magari con minor quantitativi, ma pur sempre prosecuzione, non accompagnata da eventuale contestuale condotta (o scambi di corrispondenza) da cui potersi, al contrario, ricavare l'intenzione di (...) di voler concludere quel rapporto. Secondo il ricordato principio la rinnovazione ha la stessa durata del pregresso rapporto rinnovato e congrua appare la quantificazione operata in sede di precisazione delle conclusioni dall'appellante che ai sensi dell'art.1671 c.c. ha correttamente limitato la pretesa al mancato utile (rappresentato da quello che l'appaltatore avrebbe effettivamente conseguito se avesse portato a termine i lavori, pari alla differenza tra il prezzo pattuito e il costo della commessa) che (...) avrebbe conseguito mediante l'esecuzione del contratto negli anni 2013 e 2014, da determinarsi sulla scorta dell'utile dell'ultimo anno. Quindi alla luce della c.t. di parte appellante (doc. 18 fascicolo primo grado (...)) non specificamente smentita, in cui sono analiticamente indicati i ricavi e i costi operativi, la somma dovuta per il biennio, prendendo in considerazione la voce "risultato della commessa" al netto di ogni onere, è pari ad Euro 61.124,00 (Euro 30.562,00x2) - indicata nel minimo nella forbice proposta dalla stessa appellante ( preferibile anche in ragione delle presumibile diminuzione delle commesse) - oltre interessi dalla domanda al soddisfo. Restano come detto abbandonate le altre pretese. Le spese del doppio grado atteso l'esito complessivo del giudizio ed il solo parziale accoglimento della domanda rispetto alla iniziale pretesa, vanno compensate per la metà e per la restante parte poste a carico della (...). P.Q.M. La Corte, definitivamente decidendo, in parziale accoglimento dell'appello proposto da Fallimento (...) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza n. 3489/2018 resa in data 26.3.2018 dal Tribunale di Milano, condanna l'appellata (...) s.p.a al pagamento della complessiva somma di Euro 61.124,00, oltre interessi dalla domanda al soddisfo. Condanna la (...) s.p.a. al pagamento del 50% delle spese del doppio grado di giudizio che in tal misura liquida, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, per il primo grado in una somma pari alla metà di quella già liquidata dal Tribunale; per il presente grado in complessivi Euro 8.700,00; per entrambi oltre rimborso spese contributo unificato, IVA e CPA e rimborso spese forfettarie ex art. 1, comma 2 stesso decreto nella percentuale del 15%, del compenso totale per la prestazione. Così deciso in Milano il 9 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. MICHELI Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: - (OMISSIS), nato a (OMISSIS); - (OMISSIS), nato a (OMISSIS); - (OMISSIS), nato a (OMISSIS); - (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma emessa in data 09/11/2018; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dai Consiglieri Rossella Catena e Paolo Micheli; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DI LEO Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi e l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in riferimento alle pene accessorie fallimentari; uditi i difensori delle parti civili appresso indicate, i quali hanno depositato conclusioni e note spese: Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., che si e' riportata anche alla memoria gia' depositata in data 24/09/2020; - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); - - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) + altri; - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) + altri; - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) + altri; - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) + altri, che si e' riportato anche alla memoria gia' depositata in data 29/09/2020; Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che si e' riportato anche alla memoria depositata in Cancelleria; - Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) + altri; - Avv. (OMISSIS), per il Codacons, nonche' per (OMISSIS) + altri, che ha depositato anche copia del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello stato per Codacons; uditi i difensori degli imputati: - per (OMISSIS), Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS); - per (OMISSIS), Avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS); - per (OMISSIS), Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS); - per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS); - i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi e l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 28/09/2015 il Tribunale di Roma condannava (OMISSIS) alla pena di anni 8 mesi 8 di reclusione ed Euro 240.000,00 di multa per i reati di cui ai capi Al), A2), A3), A6), C); (OMISSIS) alla pena di anni 5 di reclusione per il reato di cui al capo A4); (OMISSIS) alla pena di anni 6 di reclusione per i reati di cui ai capi A2) e A3), ritenuta la continuazione tra gli stessi; (OMISSIS) alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui ai capi A2), A3), A4), ritenuta la continuazione tra gli stessi; oltre che, tutti, alle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., ed all'articolo 32 c.p., e, il solo (OMISSIS), alle sanzioni accessorie di cui all'articolo 186 T.U.F.; tutti, inoltre, al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili. Il procedimento in esame ha per oggetto le vicende del gruppo Alitalia, la cui capogruppo, Alitalia - Linee Aeree Italiane s.p.a., era stata posta in amministrazione straordinaria con d.P.C.M. del 29/08/2008, ai sensi del Decreto Legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi, convertito in L. 27 ottobre 2008, n. 166 e, quindi, era stata oggetto di dichiarazione di stato di insolvenza da parte del Tribunale di Roma in data 05/09/2008. In particolare, venivano contestate plurime condotte di bancarotta fraudolenta per dissipazione e per distrazione, ai sensi della L. Fall., articolo 223, comma 1, articolo 216, comma 1, n. 1, articolo 219, in riferimento al Decreto Legge n. 347 del 2005, articolo 4, comma 1, e Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 95, comma 1, ascritte agli imputati nelle rispettive qualita', di seguito indicate: (OMISSIS), amministratore delegato di (OMISSIS) s.p.a. dal 09/02/2001 al 27/02/2004; (OMISSIS), presidente ed amministratore delegato della predetta societa' dal 06/05/2004 al 22/02/2007; (OMISSIS), direttore centrale del settore Amministratore e Finanza; (OMISSIS), responsabile del settore Finanza Straordinaria. I capi di imputazione descrivono articolate e complesse vicende societarie, individuando la responsabilita' del (OMISSIS) in riferimento alla gestione del settore Cargo - qualificata al capo Al) come bancarotta fraudolenta per dissipazione -, ritenuta economicamente abnorme sia in ragione del numero esorbitante del personale di volo, sia per la carenza di ogni intervento di riorganizzazione e razionalizzazione volto a fronteggiare le ingenti e costanti perdite sistematiche, crescenti ed ingentissime, di importo complessivo non inferiore ad Euro 398.403.000,00. Altra condotta nevralgica di bancarotta fraudolenta per dissipazione e per distrazione, ascritta con la sentenza di primo grado al (OMISSIS), al (OMISSIS) ed allo (OMISSIS), descritta al capo A2), risulta incentrata sull'operazione straordinaria di scorporo, attuata nel contesto di una profonda crisi economica e finanziaria e consistente nel conferimento di cinque rami di azienda (manutenzione aereonautica, assistenza aereoportuale, servizi condivisi, servizi cali center, information technology), ad una nuova societa' denominata (OMISSIS) s.p.a. e nella creazione di due distinti gruppi societari, il (OMISSIS) (tra cui (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., e, dal 2006, (OMISSIS) s.p.a.) ed il (OMISSIS) (tra cui (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) s.p.a.). Tale operazione veniva realizzata attraverso un complesso accordo economico con la societa' a partecipazione statale (OMISSIS), che prevedeva, tra l'altro: a) l'accantonamento nel bilancio 2004 di (OMISSIS) s.p.a. di un apposito fondo del passivo, riguardante oneri di ristrutturazione di natura straordinaria, di cui 122 milioni di Euro direttamente finalizzati a fronteggiare le cosi' dette "diseconomie" relative ai rami aziendali oggetto del previsto conferimento in (OMISSIS), da efficientare nell'arco del piano industriale 2005-2008; b) la stipula di un contratto di servizio tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), che prevedeva tariffe mediamente piu' alte rispetto al mercato di riferimento ed idonee a determinare, nell'arco temporale previsto dal piano industriale 20052008, immediati maggiori ricavi per 110 milioni di Euro, a fronte dei quali era previsto un meccanismo di retrocessione di fondi al (OMISSIS) sotto forma di "premi", subordinato all'effettivo conseguimento degli obiettivi di efficienza previsti dal piano industriale; c) l'obbligo del (OMISSIS) di approvvigionarsi dei servizi esclusivamente presso (OMISSIS) e sue controllate. Tale operazione era qualificata come priva di intrinseche giustificazioni economiche per il (OMISSIS), in quanto fondata sulla immediata assunzione di gravosi oneri contrattuali e di vincoli pluriennali a fronte di retrocessioni future ed aleatorie, in quanto legate alla realizzazione di obiettivi di efficienza da parte di un soggetto terzo, che aveva avuto l'effetto di trasferire in capo al (OMISSIS) i rischi economici connessi alle attivita' del (OMISSIS) ed era, in realta', diretta a dissimulare il mancato risanamento di (OMISSIS) ed aveva determinato una ingente distrazione di risorse del (OMISSIS) a favore del (OMISSIS) e del socio Fintecna. Ai predetti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) veniva ascritta in primo grado, inoltre, la condotta di cui al capo A3), di bancarotta fraudolenta per dissipazione e distrazione, consistita nell'operazione di acquisizione, da parte di (OMISSIS) s.p.a. del complesso aziendale delle societa' in a.s. (OMISSIS), (OMISSIS) ed Air Europe, per un corrispettivo di 38 milioni di Euro, prestando contestualmente la garanzia occupazionale della durata minima di 24 mesi riferita a 707 dipendenti delle societa' acquisite. Tale prezzo era stato valutato come incongruo ed irragionevole anche in quanto superiore di circa 9 milioni di Euro alla seconda offerta di acquisto, formulata dalla societa' (OMISSIS), oltre che in relazione alla situazione economico-finanziaria di (OMISSIS) s.p.a.; inoltre si considerava che la stima da parte del management di (OMISSIS) s.p.a. del valore delle sinergie potenzialmente ricavabili dall'integrazione di (OMISSIS) con (OMISSIS) era stata effettuata senza alcuna analitica indicazione relativa alle modalita' ed ai risultati dell'integrazione e senza alcuna coerente inclusione della nuova acquisizione nell'appena varato piano industriale 2005-2008, assumendo di conseguenza integralmente il rischio del mancato conseguimento dei vantaggi sinergici; infine, non era stata affatto quantificato il rischio di applicazione di disposizioni sanzionatorie da parte dell'Antitrust a seguito dell'integrazione. Al capo A4) veniva individuata un'ulteriore fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione, ascritta dalla sentenza di primo grado al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), fondata sulla cessione, da parte di (OMISSIS) s.p.a., dell'intera partecipazione nella (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) s.a. (fondo lussemburghese (OMISSIS) di (OMISSIS)) per il prezzo complessivo di Euro 13.389.697,40, ritenuto incongruo ed irragionevole in quanto, nella valutazione del valore della partecipazione ceduta, erano state deliberatamente omesse la considerazione: della recentissima ed onerosa ricapitalizzazione per 5 milioni di Euro di (OMISSIS) s.p.a.; della contestuale operazione in forza della quale (OMISSIS) acquistava crediti (OMISSIS) e si accollava debiti della stessa nei confronti dei fornitori con un saldo negativo elevatissimo, a causa della inesigibilita' dei crediti acquistati e del rilevante importo dei debiti oggetto dell'accollo; della cessione ad (OMISSIS) s.p.a. di diritti di opzione relativi all'acquisto di 13 aeromobili da esercitarsi al prezzo di 1,9 milioni di USD ciascuno, prezzo inspiegabilmente difforme e complessivamente inferiore a quello di 1,9 milioni di Euro ciascuno, convenuto in esito alle trattative preliminari ed espresso nella lettera dell'advisor (OMISSIS) del 29/07/2003. Al solo (OMISSIS) era ascritto il capo A6), fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione, fondata sul conferimento alla societa' (OMISSIS) di una consulenza straordinaria protrattasi per un triennio, risultata dal costo complessivo di Euro 50.882.750,00, connotata, oltre che da elevata onerosita', dalla carenza di una preventiva valutazione dei prevedibili oneri economici complessivi a carico della societa' committente; dall'assenza di una preventiva ricognizione del mercato e di adeguata comparazione tra diverse possibili offerte; dall'estrema indeterminatezza di fondamentali elementi qualificanti delle prestazioni da fornire da parte della societa' (OMISSIS) relativi alla quantita' e qualita' delle risorse umane coinvolte nell'opera di consulenza; dalla mancata previsione ed attuazione nell'intera fase di esecuzione di controlli effettivi e - costanti da parte degli organi della committente sulle prestazioni realmente rese dalla societa' di consulenza; dalla sostanziale sovrapposizione, in una pluralita' di settori, tra le prestazioni rese dai consulenti e le prestazioni professionali rese dai dirigenti di settore. Tale consulenza, infine, non aveva prodotto risultati apprezzabili in termini di razionalizzazione operativa delle strutture e di riduzione dei costi di esercizio. Le predette condotte erano state considerate aggravate ai sensi della L. Fall., articolo 219, sia in riferimento alla pluralita' di fatti di bancarotta, sia per aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravita'. Infine, il solo (OMISSIS) era stato ritenuto colpevole anche del reato di cui al capo C), di cui all'articolo 185 Decreto Legislativo n. 24/02/1998, n. 58 perche' diffondeva notizie false concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori del titolo (OMISSIS) - (OMISSIS) s.p.a. quotato sui mercati finanziari, in riferimento a plurime condotte: dapprima deliberatamente ometteva di comunicare al pubblico qualsiasi informazione in ordine alla manifestazione di interesse presentata in data 18/11/2005 per l'acquisto del complesso aziendale delle societa' in a.s. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' in ordine alla successiva presentazione, in data 28/12/2005, di un'offerta vincolante per il suddetto acquisto; successivamente, allorquando con il comunicato in data 28/01/2006 - emesso su richiesta della Consob intervenuta ai sensi dell'articolo 114 TUF - forniva una informazione al pubblico, lo faceva in termini gravemente carenti e reticenti su oggettive criticita' dell'operazione di cui era pienamente consapevole. Criticita' che derivavano: dall'esistenza dell'ordinanza del 27/01/2006 del Tribunale di Roma che inibiva ad (OMISSIS) la partecipazione alla gara per la cessione del complesso aziendale (OMISSIS), le negative valutazioni dei vertici di (OMISSIS) sul deterioramento della situazione economico-finanziaria del complesso aziendale (OMISSIS) per effetto dello slittamento dei termini dell'aggiudicazione; dall'impatto, nei bilanci consolidati 2006-2007 di (OMISSIS), delle negative previsioni sull'andamento di (OMISSIS) nel suddetto biennio, nonche' degli inevitabili esborsi di (OMISSIS) per il riavvio delle attivita' di (OMISSIS); dagli interventi, oggettivamente prevedibili, dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato conseguenti alla acquisizione da parte della societa' (OMISSIS) degli - slots riconducibili al menzionato complesso imprenditoriale (OMISSIS). In tal modo offriva al mercato informazioni artificiosamente manipolate, false ed ingannevoli, idonee a determinare sensibili alterazioni del prezzo delle azioni di (OMISSIS) sulla suddetta operazione, che peraltro non era contemplata nel piano industriale 2005-2008 e risultava in contraddizione con le sue linee, non era stata menzionata nel Prospetto Informativo relativo all'aumento del capitale sociale (OMISSIS) di 100 milioni di Euro ed era evidentemente destinata ad incidere significativamente sull'andamento economico di (OMISSIS). 2. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza oggi impugnata, assolveva (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui al capo A3) a loro ascritto, per non aver commesso il fatto, e dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in relazione all'addebito di cui al capo C), limitatamente alle condotte commesse in epoca anteriore al 12/01/2006, per essere il reato estinto per prescrizione. Riduceva, quindi, la pena nei confronti dei predetti imputati in, rispettivamente, anni 8 mesi 2 di reclusione ed Euro 180.000,00 di multa per il (OMISSIS), anni 4 di reclusione per lo (OMISSIS), anni 4 mesi 2 di reclusione per il (OMISSIS); riduceva, poi, la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni 4 mesi 6 di reclusione, con conseguenti pronunce in tema di pene accessorie; revocava infine i provvedimenti di liquidazione del danno in relazione al reato di cui al capo C). In accoglimento degli appelli proposti dalle parti civili (OMISSIS) + altri, (OMISSIS) + altri, (OMISSIS), (OMISSIS) + altri, (OMISSIS) + altri, (OMISSIS) + altri, individuava poi il periodo di riferimento fino alla data della dichiarazione di insolvenza per il reato sub A) e fino al 06/06/2008 per il reato sub C), ed estendeva per le parti civili (OMISSIS) + altri il risarcimento dei danni con riferimento alle medesime date indicate in relazione ai reati sub A) e C); accoglieva parzialmente l'appello delle parti civili (OMISSIS) + altri e rigettava gli ulteriori atti e profili di impugnazione delle parti civili. Confermava, nel resto, la sentenza di primo grado. 3. Una piu' chiara comprensione degli approfonditi motivi di ricorso esige, a questo punto, l'esposizione - seppure sintetica - delle principali articolazioni argomentative della sentenza impugnata, ivi inclusi alcuni necessari richiami alla sentenza di primo grado, peraltro richiamata per relationem dalla Corte territoriale. 3.1. Va ricordato che la sentenza della Corte territoriale, oggetto di ricorso, dopo aver sintetizzato le motivazioni del primo giudice ed aver illustrato i motivi di gravame, ha esordito il proprio percorso motivazionale chiarendo come (OMISSIS) s.p.a. fosse, senza dubbio alcuno, una societa' di capitali, strutturata ed operante come societa' di diritto privato, e come tale indiscutibilmente sottratta al regime giuridico degli enti pubblici, come chiaramente dimostrato, tra l'altro, dalla relazione finale del commissario straordinario (OMISSIS) sull'esecuzione del programma della procedura di amministrazione straordinaria. Sulla scorta di tale inquadramento, pertanto, la Corte territoriale ha escluso qualsivoglia ricostruzione di eterodirezione della compagnia, sottolineando, altresi', come i vertici della stessa erano stati nominati proprio per il loro elevato profilo professionale e con piena effettivita' dei rispettivi ruoli. La sentenza impugnata ha, quindi, delineato l'inquadramento giurisprudenziale delle fattispecie di reato contestate agli imputati in riferimento alla dedotta applicazione della business judgment rute, chiarendo come l'insindacabilita' delle scelte imprenditoriali sotto l'aspetto della ragionevolezza impedisce il sindacato del giudice penale qualora la condotta si sia rivelata, ex post, inefficace, ma, al contrario, non esclude affatto - come nel caso in esame - la valutazione ex ante di condotte assolutamente irrazionali, secondo il parametro ermeneutico elaborato dai canoni di legittimita' in riferimento alle condotte di bancarotta fraudolenta. 3.2. Venendo, poi, ad individuare i singoli ruoli rivestiti dagli imputati, la sentenza in esame ha ricordato come il (OMISSIS) fosse stato amministratore delegato di (OMISSIS) dal 09/02/2001 al 27/02/2004; il (OMISSIS) avesse rivestito il ruolo di presidente e di amministratore delegato della compagnia dal 06/05/2004 al 22702/2007; il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) avessero rivestito il ruolo, rispettivamente, di responsabile del settore Finanza straordinaria il primo, e di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza il secondo. Quanto al (OMISSIS) ed allo (OMISSIS), in particolare, la Corte territoriale ha rilevato che - sebbene l'articolazione organizzativa di (OMISSIS) non prevedesse la figura del direttore generale, ma solo quella di dirigenti con ruoli a riporto del presidente - amministratore delegato - gli imputati, nondimeno, rivestivano ruoli di rilievo apicale nelle rispettive funzioni tecniche, sicche' le funzioni effettive dai predetti svolte dovessero essere considerate quelle di direttore generale, alla luce dei principi giurisprudenziali elaborati in tema di esercizio di fatto delle funzioni; con la conseguenza che il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) dovessero considerarsi destinatari della norma di cui alla L. Fall., articolo 223. 3.3. Passando all'esame dei singoli capi di imputazione, la Corte territoriale, in riferimento al capo di imputazione sub A1), ha ricordato come l'istruttoria dibattimentale, nel corso del giudizio di primo grado, avesse delineato un quadro desolante circa le inefficienze del settore Cargo, le cui perdite si erano man mano aggravate nel periodo di gestione del (OMISSIS); in particolare, era stata evidenziata la presenza di un numero esorbitante di piloti, con maggiore anzianita' e maggiore retribuzione, nel settore con minore incidenza di operativita' dei voli, nonche' i rilievi del giugno 2004 da parte della societa' di revisione Deloitte & Touche, che aveva prospettato ipotesi liquidatorie. Pertanto la gestione del (OMISSIS), proseguita negli anni pur a fronte di evidenze di indiscutibile gravita', era da qualificare senza alcun dubbio dissipativa, come dimostrato, altresi', dal fatto che il settore non era mai risultato appetibile, ne' per Air France prima, ne' per CAI dopo, mentre l'ipotesi di una gestione attraverso la partnership con (OMISSIS) era stata ben presto abbandonata, pur essendo stati, nel frattempo, del tutto inspiegabilmente aumentati gli aerei destinati al settore. 3.4. Quanto al capo A2), la sentenza impugnata ha evidenziato come, sin dal 26/03/2004, Mediobanca, advisor di (OMISSIS), nel corso di un incontro con il management della compagnia, avesse prospettato l'ipotesi di una separazione dei settori, con creazione di una good company, che avrebbe accolto le attivita' di volo, e di una bad company, che avrebbe accolto le attivita' dei servizi; la good company, inoltre, avrebbe dovuto essere ricapitalizzata con l'ingresso di nuovi soci e, quindi, ceduta sul mercato. Mediobanca aveva individuato le condizioni alle quali subordinare la buona riuscita del piano: il supporto da parte del Governo, sia ai fini dell'ottenimento di un prestito ponte/aumento di capitale, sia per l'individuazione di un soggetto pubblico che investisse in (OMISSIS); l'approvazione da parte dei sindacati delle linee guida del piano; l'autorizzazione della Commissione Europea al processo di ristrutturazione. Era, quindi, intervenuta, il 20/05/2004, una prima lettera di intenti tra (OMISSIS), per (OMISSIS) s.p.a., e (OMISSIS), per (OMISSIS) s.p.a., soggetto pubblico, in base alla quale essi si impegnavano a negoziare un contratto avente per oggetto l'ingresso di (OMISSIS), quale socio di maggioranza, nelle entita' societarie destinate allo svolgimento di attivita' strumentali al trasporto aereo che sarebbero emerse dal nuovo assetto organizzativo e societario del gruppo (OMISSIS), impegnandosi, altresi', a sottoscrivere detto contratto entro il successivo 15/11/2004. Il piano, illustrato dal (OMISSIS) al CdA - che aveva fornito l'assenso, considerando plausibile il percorso indicato - prevedeva, tra gli interventi, la separazione delle attivita' di volo dalle attivita' di servizi/supporto, articolando due fasi distinte: una prima fase di risanamento, collocata tra il 2005 ed il 2006, caratterizzata dalla separazione fra le attivita' di trasporto aereo e quelle operative di supporto, oltre che da incisivi interventi sull'area del personale, essendo stati previsti circa 3.700 esuberi, con risparmi, in relazione al costo del lavoro, di circa 280 milioni di Euro, oltre che una drastica riduzione dei costi di acquisto dei beni e dei servizi ed un forte rilancio e ristrutturazione commerciale, attraverso interventi sul network, sulla flotta, sul prodotto; una successiva fase di rilancio, negli anni 2007 e 2008, che prevedeva un riavvio degli investimenti in nuova capacita', con l'acquisto di nuova flotta a lungo raggio e regionale, un rafforzamento del posizionamento competitivo, attraverso l'adozione di un modello di network carrier altamente efficiente, nonche' l'apertura di nuove destinazioni ed un ulteriore aumento dell'attivita' di volo per maggiore efficienza. Era previsto, in tal modo, il raggiungimento di una redditivita' operativa pari circa al 5,S% nel 2008 e, in particolare, un beneficio in termini di minori costi per (OMISSIS), derivanti dai contratti stipulati con (OMISSIS), stimato nell'ordine di 110 milioni complessivi all'anno. Tale beneficio era stato calcolato in funzione del riconoscimento dei premi che (OMISSIS) era tenuta a corrispondere ad (OMISSIS) in ragione del grado di raggiungimento degli obiettivi di efficientamento previsti. Dagli accordi intercorsi con (OMISSIS) s.p.a. tra l'altro, si evince che le parti avessero valutato il valore di patrimonio netto da attribuire ad (OMISSIS) mediante sottrazione, dal valore complessivo dei beni conferiti, di un importo determinato tenendo conto degli oneri di ristrutturazione, comprensivi degli oneri derivanti dagli accordi sindacali per la gestione degli esuberi e, piu' in generale, dell'avviamento negativo. In concreto, quindi, detti valori erano stati cosi' determinati: Euro 307 milioni per il patrimonio delle attivita' conferite, Euro 210 milioni per il complesso dei fondi di ristrutturazione e di avviamento negativo, quindi Euro 97 milioni per il valore al netto conferito. Inoltre, veniva concordato che (OMISSIS) avesse diritto, a titolo di premio per il contributo dato al perseguimento dello stesso programma, al riconoscimento, da parte di (OMISSIS) s.p.a., di una somma da determinarsi secondo criteri da concordarsi fra le parti in funzione del grado di raggiungimento degli obiettivi al termine del programma di efficientamento. In ogni caso, le parti avevano concordato che (OMISSIS) avrebbe fornito i servizi ad (OMISSIS) a condizioni di mercato, in base a contratti di appalto contenenti clausole di revisione del prezzo, nonche' l'esclusiva per le attivita' previste nel Piano Industriale, a favore di (OMISSIS) per una durata minima garantita, in favore di entrambe le parti, pari a sette anni. Infine, all'esito delle dismissioni, (OMISSIS) avrebbe avuto diritto ad una quota dell'eventuale plusvalenza netta complessivamente realizzata da (OMISSIS), secondo criteri da convenire. A fronte di detti accordi, la sentenza di primo grado - richiamata per relationem dalla pronuncia impugnata - aveva evidenziato la presenza di criticita', costituite dal fatto che l'operazione di spin-off, secondo l'advisor (OMISSIS), avrebbe comportato il default di una serie di titoli azionari e obbligazionari, con conseguente aumento del debito dello Stato italiano. All'esito dello scorporo, in ogni caso, si era verificato un immediato calo dei ricavi di (OMISSIS) verso soggetti terzi, in netta ed immediata controtendenza rispetto all'intento di apertura verso il mercato: in particolare, mentre nel 2005 i ricavi verso terzi erano pari al 20% del fatturato, nel 2007 erano risultati pari al 15%. Parallelamente, quello che e' stato definito il "cordone ombelicale" tra (OMISSIS) ed (OMISSIS), che continuava ad essere il committente prevalente della societa' scorporata, faceva si' che (OMISSIS) continuasse a sostenerne quasi integralmente i costi. Cio', tra l'altro, derivava dal fatto che i prezzi dei servizi forniti da (OMISSIS) erano stati determinati sulla base di tariffe indicate come di mercato, ma piu' elevate rispetto a quelle inizialmente previste, tanto per riflettere l'accordo raggiunto tra (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., con lo scopo di fornire a quest'ultima un elemento di protezione dell'investimento rispetto all'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi previsti. In questo senso i giudici di merito hanno rilevato come apparisse evidente la sussistenza di un criterio di maggiorazione dei prezzi, estraneo alle logiche del mercato, a fronte del quale era previsto, a favore di (OMISSIS), il meccanismo dei premi, mediante il quale si sarebbe verificata la retrocessione delle maggiorazioni di costo pagate in caso di pieno raggiungimento dei risultati del piano in termini di efficienze. In definitiva, come evidenziato dalla motivazione di merito, su (OMISSIS) si concentrava l'intero rischio di attuazione del Piano Industriale, posto che soltanto in caso di completa realizzazione delle efficienze circostanza ritenuta improbabile dai giudici di merito - ad (OMISSIS) sarebbe stato retrocesso, grazie al meccanismo dei premi, quanto precedentemente pagato in piu', in riferimento alla maggiorazione dei costi per servizi; al contrario, in caso di mancata realizzazione dell'efficientamento, il maggior costo sarebbe rimasto a carico di (OMISSIS), come in concreto verificatosi. Il Collegio di primo grado aveva ricordato come, in ogni caso, al 31/12/2005 fosse intervenuta la ricapitalizzazione della capogruppo per un ammontare di 1.006 milioni di Euro, avendo peraltro il (OMISSIS), nell'illustrare il Piano Industriale 2005-2008 in sede di approvazione definitiva, indicato che tra i requisiti dello stesso fosse prevista, tra l'altro, la separazione fra attivita' di volo ( (OMISSIS)) ed attivita' di supporto ( (OMISSIS)), ribadendo che la fase di rilancio avrebbe potuto iniziare solo una volta portate(a termine il risanamento; detta fase - anche in base a quanto ricordato dallo (OMISSIS) - sarebbe dovuta intervenire con l'approvazione del piano entro il 20/09/2004. Nonostante il suddetto aumento di capitale, realizzato nel dicembre 2005, la realizzazione dei progetti di efficientamento era venuta meno e la fase di risanamento, avviata nel 2005, non si era conclusa; secondo i giudici di merito "l'operazione di conferimento da parte di (OMISSIS) del ramo di azienda in (OMISSIS) risulta decontestualizzata, per cui, non solo non si e' realizzato il processo di efficientamento programmato, ma il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel frattempo controllata da (OMISSIS) S.p.A., e' rimasto - fino al 31 dicembre 2007 regolato da un contratto di servizio che prevedeva tariffe dichiaratamente piu' elevate rispetto a quelle di mercato". Non a caso, "rispetto all'ultimo aggiornamento del Piano Industriale, il consuntivo dell'esercizio 2005 registra un peggioramento dovuto essenzialmente ad una riduzione dei proventi del traffico e ad un incremento di costi non in linea con quanto preventivato". Oltre all'incremento dei costi derivante dalla duplicazione delle strutture che aveva cagionato inefficienze produttive, duplicazioni di funzioni di controllo, conflittualita' interna, carenze nei flussi informativi -, i benefici in termini di efficienza, flessibilita' operativa e allineamento dei prezzi al mercato, declinati nei piani, erano fin dall'inizio solo apparenti; i contratti, infatti, prevedevano che (OMISSIS) acquistasse in esclusiva i servizi da (OMISSIS) e che i prezzi di trasferimento fossero determinati sulla base di fonti informative di mercato (studi di settore, riviste specializzate), di prezzi praticati da terzi ad (OMISSIS) e dei prezzi praticati da (OMISSIS) a terzi, che consideravano implicitamente la struttura di costo di (OMISSIS). I prezzi praticati da (OMISSIS), pertanto, tendevano ad essere superiori a quelli di mercato, perche' basati significativamente sulla struttura di costo esistente di (OMISSIS), fornitore esclusivo obbligatorio, e non erano del tutto flessibili in ragione delle maggiorazioni di costo che trasferivano il rischio su (OMISSIS), al fine di proteggere il rendimento dell'investimento per (OMISSIS) s.p.a.. Inoltre, sul punto, benche' il consulente di parte avesse sottolineato come l'obbligo di (OMISSIS) di rivolgersi esclusivamente ad (OMISSIS) fosse limitato ai soli aeromobili in esercizio al momento della sottoscrizione dei contratti e, quindi, in caso di rinnovo della flotta da parte della compagnia, (OMISSIS) avrebbe solo avuto un diritto di prelazione rispetto ad altre offerte provenienti dal mercato, le sentenze di merito hanno osservato come il rinnovo della flotta di una compagnia aerea e' notoriamente un processo lento, per cui (OMISSIS) sarebbe stata obbligata a lungo ad acquistare i servizi di manutenzione in via esclusiva da (OMISSIS), il che costituiva un ostacolo sul percorso di efficientamento di costi che, al contrario, avrebbe potuto essere raggiunto se (OMISSIS) avesse potuto rivolgersi liberamente agli operatori di mercato di volta in volta piu' concorrenziali. Peraltro, il Piano Industriale 2005-2008 prevedeva la revisione della flotta nella fase di rilancio e, dunque, solo a partire dall'anno 2007, con tempi ancora piu' dilatati: "conseguentemente, cio' che emerge e' un'ingente, voluta e deliberata distrazione di risorse del (OMISSIS) a favore del (OMISSIS) (e del socio entrante (OMISSIS)) a causa dei prezzi superiori a quelli di mercato. Un'ingente, voluta e deliberata distrazione di risorse dal (OMISSIS) a (OMISSIS) laddove, stipulato un contratto di conferimento con clausole di esclusiva legate al cambiamento della flotta, contemporaneamente si scriveva nero su bianco che la flotta sino a tutto il 2007 sarebbe rimasta immutata Non va dimenticato che il contratto di servizio, quanto alle "tariffe mediamente piu' alte" dell'ipotesi accusatoria di cui al capo A2), stimava, nella versione iniziale del Piano Industriale, tale maggiorazione in Euro 110 milioni. Ma poi, nella versione definitiva, tale maggiorazione dei ricavi di (OMISSIS) veniva determinata in complessivi Euro 179 milioni, per l'intero orizzonte di piano. A fronte di detta maggiorazione di costo, il meccanismo dei premi avrebbe ridotto il costo sostenuto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) ma solo in proporzione all'attuazione del piano di efficientamento (ex post, i premi retrocessi sono stati soltanto 49 milioni di Euro). Pertanto, vi era un pieno coinvolgimento residuo di (OMISSIS) nei rischi del ramo servizi, senza, tuttavia, che (OMISSIS) avesse il controllo di tali rischi". Alla luce di detto quadro - sinteticamente riassunto - i giudici di merito hanno ritenuto che fosse del tutto prevedibile l'incremento dei costi e la loro incidenza notevolmente maggiore rispetto ai premi retrocessi ad (OMISSIS), il che rendeva evidente come i manager della compagnia non avessero in alcun modo seriamente perseguito gli obiettivi posti alla base del Piano Industriale e dell'operazione di spin-off. Si legge, ancora, nella sentenza di primo grado che "da un punto di vista strettamente economico-industriale, non ha avuto luogo l'auspicato incremento della flotta e delle rotte di (OMISSIS), con conseguente mancato raggiungimento degli obiettivi di crescita e sinergia dei servizi di terra, necessariamente connessi all'attivita' di trasporto aereo. Ne' (OMISSIS) ha dato seguito agli impegni assunti nel Piano Industriale (nonche' nei confronti dell'altro socio (OMISSIS)) in merito alla riduzione dei costi del personale tramite i programmati esuberi e interventi sulle retribuzioni. La notevole incidenza di tali costi sulle attivita' di (OMISSIS) ha costituito uno dei principali motivi del fallimento del piano di risanamento delle unita' aziendali relative ai servizi di terra. Infine, non hanno avuto luogo le prospettate dismissioni delle unita' aziendali di titolarita' di (OMISSIS) e delle controllate di quest'ultima. Infatti, in spregio a quanto previsto dal Piano Industriale e dagli accordi con (OMISSIS), (OMISSIS) ha sempre osteggiato e bloccato i processi avviati nel periodo 2006/2007 per la cessione delle unita' aziendali relativi ai servizi di terra, determinando la fuga di potenziali acquirenti e interrompendo anche le relative procedure di consultazione sindacale gia' intraprese. La riprova dell'atteggiamento schizofrenico del management di (OMISSIS) si ha nelle plurime rassicurazioni date ai sindacati che, nonostante lo scorporo, (OMISSIS) sarebbe sempre rimasta parte di (OMISSIS). Tale condotta ha determinato gravissimi danni per (OMISSIS). Il valore delle unita' aziendali relative ai servizi di terra e' stato, infatti, completamente distrutto. Le unita' aziendali, anziche' essere valorizzate e cedute a terzi, sono rimaste penalizzate dalla gestione del gruppo (OMISSIS), conclusosi con la dichiarazione d'insolvenza di (OMISSIS), Ma vero obiettivo per il management (OMISSIS) era quello di assicurarsi la fattibilita' del prospettato aumento di capitale e, dunque, la sua stessa sopravvivenza. Per continuare a navigare. In effetti, grazie all'operazione, il gruppo (OMISSIS) (inclusa (OMISSIS) di cui (OMISSIS) era il principale cliente) ha potuto sopravvivere per altri due anni introitando complessivamente risorse a titolo di capitale per oltre Euro 1,2 miliardi (se si considerano anche gli aumenti di capitale di (OMISSIS) in (OMISSIS)) di cui oltre Euro 600 milioni utilizzati a copertura dei flussi negativi di gestione generati nei due anni da (OMISSIS) e (OMISSIS) e, il resto, portato a riduzione dell'indebitamento. Come gia' detto, l'ammontare dell'indebitamento netto del gruppo da Euro 754 milioni (a fine 2C)05) ad Euro 1.164 milioni (a fine 2007), rende palese e costituisce la prova certa delle reali finalita' dell'operazione di scorporo". La Corte di Appello, a sua volta, in riferimento alla configurazione del reato, ha specificato che la contestazione non riguarda la scelta in se' dell'operazione di scorporo, ma le modalita' di attuazione della stessa, insistendo, in particolare, sulla scelta di non perseguire l'operazione di scorporo nella forma dell'amministrazione straordinaria, come suggerito dall'advisor (OMISSIS), il che aveva fatto si' che l'operazione, in concreto, si fosse risolta in un "maquillage finanziario", sia perche' non era stata seguita la procedura di amministrazione straordinaria in un contesto di sostanziale decozione, sia perche' il conferimento in (OMISSIS) di cinque rami d'azienda era stato regolato da un contratto pluriennale che aveva comportato gravosi oneri e vincoli pluriennali a fronte di retrocessioni del tutto aleatorie, garantendo la sopravvivenza del gruppo per ancora due anni, al costo di circa 1,2 miliardi di Euro, senza alcun rilancio effettivo. 3.5. In riferimento alla vicenda di cui al capo A3), come si evince dalla sentenza impugnata, integrata nella ricostruzione della vicenda dalla pronuncia di primo grado, la contestazione si era concretata nel reato di bancarotta per dissipazione, per quanto concerne l'acquisto del Gruppo (OMISSIS), perfezionatosi il 13/04/2006, ed in bancarotta per distrazione per gli esborsi successivi resi necessari da tale acquisto, fino al settembre 2008. La sentenza di primo grado ha evidenziato come il memorandum redatto per (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.p.a. nel giugno 2004 avesse indicato, alla luce delle condizioni economico-finanziarie della compagnia, due linee direttive: la prima volta al radicale ridisegno della flotta (con incremento delle tratte intercontinentali, la crescita sul mercato regionale, il rafforzamento delle alleanze con altri vettori Europei), indicando, tra le misure strategiche da adottare, il potenziamento degli aeromobili 767 e 777 e l'acquisizione, per il traffico regionale, di aeromobili ER90, con corrispondente riduzione degli MD80 ed MD82; la seconda misura consisteva nel ridimensionamento del personale, individuando esuberi superiori al personale pensionabile, pari a 1.500 unita' per l'anno 2007. Evidentemente, dette misure avrebbero riguardato unicamente (OMISSIS), essendo intervenute in una fase in cui si era gia' realizzata l'operazione di scorporo in precedenza analizzata. Le misure medesime devono essere lette in correlazione con quanto previsto dal Piano Industriale adottato per il 2005-2008, di cui si e' diffusamente detto in precedenza. Tale piano era stato soggetto ad aggiornamenti successivi e, tuttavia, come osserva la sentenza di primo grado, i capisaldi fondamentali aderivano all'impianto del memorandum (OMISSIS), soprattutto in riferimento alla necessita' di ridimensionare il personale, requisito indicato come prioritario dallo stesso (OMISSIS) nel CdA del 20/09/2004, ed alla revisione della flotta. Altro tassello, considerato essenziale nella ricostruzione della vicenda, e' che il Gruppo (OMISSIS) - che si occupava essenzialmente di voli a corto e medio raggio, essendo destinata la sola (OMISSIS) a voli a lungo raggio - risultava gia' in crisi dal 2001, tanto e' vero che, dopo una breve parentesi di ripresa, nel 2004 aveva sospeso sia i voli che la vendita dei biglietti; in data 30/11/2004, pertanto, era stato ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria e presentava un dissesto di oltre 346 milioni di Euro, oltre ad avere 700 dipendenti, molti dei quali in cassa integrazione. Allorquando era stato pubblicato il bando di gara per l'acquisizione del predetto gruppo, in data 28/10/2005, quindi, (OMISSIS) aveva appena approvato l'aggiornamento del Piano Industriale; rispetto alle predette fasi del piano, secondo i giudici di merito, l'acquisizione del gruppo appariva doppiamente incoerente, oltre a non essere in linea con il memorandum (OMISSIS), sia in quanto obbligava (OMISSIS) ad assumersi l'onere degli oltre 700 dipendenti per due anni, sia perche', in ogni caso, il prezzo di acquisto comportava un esborso iniziale di 38 milioni di Euro, a cui avrebbe dovuto essere aggiunto, in prospettiva, l'aggravio costituito dagli ulteriori costi del personale. Il medesimo Piano Industriale, inoltre, prevedeva solo per la successiva fase di rilancio - prevista a partire dal 2007 - il rinnovamento della flotta e la riduzione dei costi nelle rotte regionali, nell'ottica di implementare (OMISSIS) nel senso di un network carrier - ossia un operatore che offre servizi completi ed applica una logica di rete - piuttosto che un vettore low cost, accrescendo le connessioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), mentre l'acquisizione del gruppo si collocava nel 2005, primo anno del Piano Industriale, destinato alla sola fase di risanamento. Senza contare che il pagamento del prezzo di acquisto, nel 2006, aveva poi coinciso con l'anno in cui il consuntivo di (OMISSIS) aveva registrato 466 milioni di perdite. Infine, il gruppo acquistato non possedeva propri aerei, avendo in locazione finanziaria quattro Airbus 320 ed un solo Boeing per le rotte internazionali, aerei di tipo diverso da quelli indicati dal memorandum (OMISSIS). L'unico elemento di forte positivita' era, quindi, costituito dai 28 slots di cui il gruppo disponeva su Linate (diritti di possesso temporaneo riferibili all'esclusiva possibilita', per un vettore, di atterrare e decollare, in una determinata fascia oraria, in relazione ad un determinato aeroporto). Altro elemento di palese incongruita' rilevato dalle sentenze di merito e' che il Gruppo (OMISSIS) era stato valutato dal proprio advisor Ernest & Young, e messo sul mercato, al prezzo di 16,4 milioni di Euro, mentre il prezzo offerto da (OMISSIS) era stato di 38 milioni di Euro, sensibilmente superiore anche al prezzo di 29 milioni di Euro offerto dal secondo potenziale acquirente, (OMISSIS). Tra gli altri profili di irrazionalita' evidenziati si colloca anche l'omessa istruttoria circa il profilo relativo all'autorizzazione dell'Antitrust, nonche' circa la valutazione delle potenziali sinergie operative con riferimento al potenziale danno derivante dall'acquisizione del ramo da parte di un concorrente, oltre alla non completa informazione al CdA. 3.6. In relazione alla vicenda di cui al capo A4), la sentenza impugnata si e' fondata sulla incongruita' del prezzo di cessione, macroscopicamente incongruo e svantaggioso per il gruppo (OMISSIS), concordato in base a logiche diverse da quelle di un'economia di mercato, come dimostrato dall'iter di dismissione, descritto sin dalla costituzione, nel 1989, di (OMISSIS) s.p.a., sino alla cessione della stessa al fondo (OMISSIS) s.a. nel 2003. In particolare, e' stata evidenziata la sospensione della precedente trattativa con il gruppo (OMISSIS), che aveva offerto un prezzo maggiore, ed altresi' il prezzo maggiore offerto dalla famiglia Rusconi; cio' nondimeno, (OMISSIS) s.p.a. era stata ceduta ad un prezzo inferiore alla (OMISSIS), che aveva poi nominato l'acquirente, ossia il fondo (OMISSIS) s.a., a brevissima distanza dalla sospensione della precedente trattativa con (OMISSIS) e nonostante i segnali di ripresa mostrati da (OMISSIS) s.p.a. in seguito all'attuazione del piano di sviluppo elaborato dal suo management, dati di cui, del tutto inspiegabilmente, non si era tenuto conto nella determinazione del prezzo di cessione. Tale operazione, quindi, si era concretata nella dismissione di una partecipazione azionaria, peraltro appena consolidata attraverso una ricapitalizzazione dell'importo di cinque milioni di Euro, di carattere dissipativo. 3.7. Parimenti dissipativa e' stata considerata la consulenza conferita alla societa' (OMISSIS), di cui al capo di imputazione A6), alla luce di precise circostanze: anzitutto l'importo, pari ad oltre cinquanta milioni di Euro, sborsato nell'arco di un triennio; quindi, la piena autonomia con cui l'incarico era stato conferito da parte del (OMISSIS); inoltre, la contemporanea presenza della consulenza di cui era stata gia' incaricata la (OMISSIS) Inc.; infine, l'immotivata esternalizzazione di incarichi e compiti comunque formalmente attribuiti ai vertici aziendali. La Corte di merito, in particolare, si e' soffermata sulle modalita' di affidamento dell'incarico, che non avevano in alcun modo coinvolto il CdA ne' implicato operazioni comparative con i competitors di (OMISSIS), in assenza, altresi', di un contratto quadro; sull'assenza di controlli sulle prestazioni effettuate dai funzionari di (OMISSIS) e sulla sostanziale carenza di documentazione dimostrativa della tipologia di tali prestazioni e, in ultima analisi, sulla mancanza di risultati apprezzabili di detta attivita' di consulenza, soprattutto se valutata alla luce dell'onerosita' della stessa. 3.8. Infine, la Corte ha analizzato la condotta di cui al capo C), consistente al netto delle vicende rispetto alle quali e' stata pronunciata sentenza di proscioglimento per prescrizione - nella condotta, posteriore al 12/01/2006, data di entrata in vigore della L. n. 262 del 2005, che ha riformato il Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 185, elevando le pene per il predetto reato. La Corte territoriale, dopo aver ripercorso la struttura del reato di manipolazione del mercato, ha individuato la condotta dell'imputato come una sintesi di azioni ed omissioni, collegate alle informative dovute in riferimento all'operazione di acquisizione del gruppo (OMISSIS) di cui al capo A3). 4. In data 21/06/2019 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), articolando dieci motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 4.1 Vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alle condizioni economico-finanziarie di (OMISSIS) ed all'eterodirezione della stessa da parte dell'azionista pubblico durante il periodo in cui il (OMISSIS) aveva svolto il proprio ruolo di a.d.. La difesa, in particolare, lamenta, anzitutto, l'omessa considerazione, da parte della Corte territoriale, di una serie di elementi, evidenziati nell'atto di gravame ed idonei a dimostrare l'erronea ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale: nella stessa data, 06/05/2004, in cui il (OMISSIS) veniva nominato a.d. della societa', era stato sottoscritto un verbale di accordo tra Governo, organizzazioni sindacali ed associazioni professionali del comparto aereo, dimostrativo della volonta' di proseguire nell'attivita' di impresa, senza ricorrere a procedure liquidatorie, ed in tale ottica deve essere inquadrata la nomina del (OMISSIS), come confermato anche dalla corrispondenza intercorsa tra questi ed il Ministero del Tesoro, azionista di controllo di (OMISSIS) (allegati 1 e 2 al ricorso); peraltro, la stessa relazione della societa' di revisione Deloitte & Touche del 30/10/2004 (allegato 3 al ricorso) dava atto che "la completa e tempestiva realizzazione di tutti i presupposti del Piano Industriale ed in particolare la realizzazione, in tempi compatibili con le esigenze finanziarie della societa', della prospettata operazione di ricapitalizzazione, rappresenta la condizione essenziale per assicurare il raggiungimento dell'equilibrio patrimoniale, economico e finanziario di (OMISSIS)", a dimostrazione del fatto che nel 2004 (OMISSIS) non versasse affatto in uno stato irreversibile di crisi, tanto e' vero che la relazione del 10/06/2004 della medesima societa' di revisione prospettava soluzioni "anche liquidatorie" solo come alternativa al rilancio della societa'. Non a caso, quindi, a fronte del Piano Industriale 2005-2008, si era proceduto ad un aumento di capitale che, nel dicembre 2005, veniva sottoscritto per oltre 515 milioni di Euro da investitori professionali diversi dallo Stato italiano, il cui Ministero dell'Economia e Finanze sottoscriveva, in particolare, il 48,62% dell'aumento di capitale, riducendo, in tal modo, la propria partecipazione in (OMISSIS) al 49,90%; inoltre, come si evince dal bilancio consolidato del 2005 (allegato 5 al ricorso), il risultato operativo di (OMISSIS) migliorava, atteso che, a fronte di una perdita nel 2004 pari ad Euro 753.524.000,00, nel 2005 la perdita operativa si attestava su Euro 47.493.000,00, a dimostrazione di come la tentata ristrutturazione non fosse stata affatto un'operazione di mera facciata. Tuttavia, in data 09/11/2006, il (OMISSIS) inviava al Ministro dell'Economia una missiva in cui rappresentava che il Piano Industriale redatto sin dal 26/09/2006, secondo le indicazioni ricevute dall'azionista, era stato inopinatamente bloccato a seguito di accordi intercorsi tra il Presidente del Consiglio ed i sindacati, all'insaputa dell'a.d., in tal modo essendo stato egli messo nell'impossibilita' di poter operare, il che dimostra come il buon esito del Piano Industriale era stato vanificato da scelte politiche non gestionali, tanto e' vero che nel febbraio 2007 il (OMISSIS) aveva rassegnato le dimissioni. Cio' nondimeno, il 15/03/2008, un anno dopo il termine della gestione del (OMISSIS), il CdA di (OMISSIS) approvava all'unanimita' la proposta vincolante formulata da (OMISSIS) nei termini di cui all'allegato 7 del ricorso, a dimostrazione del fatto che (OMISSIS) fosse ancora in bonis e destinataria di una seria proposta di acquisizione da parte di una delle maggiori compagnie aeree operativa sul mercato. Tutte dette circostanze sono state completamente omesse o, comunque, sottovalutate in entrambi i gradi di merito. Si sottolinea, inoltre, la svalutazione della relazione della societa' di revisione (OMISSIS) del 30/10/2004 ed il travisamento del bilancio consolidato al 31/12/2005, da cui emerge evidente come il risultato operativo del 2005 fosse decisamente migliorato rispetto a quello dell'anno precedente, a differenza di quanto affermato dalla Corte di merito, che ha errato nel considerare come le cifre del bilancio dovessero essere lette come negative e non positive, non essendo, quindi, stata considerata la circostanza che nel 2005 le perdite erano state ridotte per 700 milioni di Euro (allegato 5 al ricorso), a riprova della validita' delle scelte strategiche operate dal (OMISSIS). Errata risulta anche l'interpretazione del documento di (OMISSIS) del marzo 2004, in cui l'ipotesi di una ristrutturazione della compagnia tramite il ricorso all'amministrazione straordinaria non era affatto suggerita, ma rappresentata anche nelle sue implicazioni estremamente negative, come poi ribadito in altri documenti dei successivi mesi di aprile e maggio del medesimo advisor (allegati 8a, 8b e 8c al ricorso). La Corte di merito, inoltre, ha del tutto omesso di considerare come proprio le condizioni indicate dal predetto advisor fossero state puntualmente realizzate dal (OMISSIS), che aveva individuato in (OMISSIS) il soggetto pubblico che poteva investire in (OMISSIS) (allegato 9 al ricorso), aveva ottenuto dal Ministero del Tesoro la garanzia sul prestito-ponte di 400 milioni di Euro concesso ad (OMISSIS) da (OMISSIS) e aveva ottenuto il placet delle organizzazioni sindacali al piano di ristrutturazione approvato dal CdA di (OMISSIS), oltre che il parere positivo della Commissione Europea, tant'e' che alla fine del 2005 veniva interamente sottoscritto l'aumento di capitale della compagnia per oltre 1 miliardo di Euro; cosi' come sia Deloitte che (OMISSIS) avevano valutato positivamente le prospettive di riprese di (OMISSIS) attraverso una ristrutturazione straordinaria, anche il memorandum (OMISSIS) - anch'esso sostanzialmente travisato dalla Corte di merito - aveva suggerito il ricorso all'amministrazione controllata solo "in condizioni ordinarie", evidenziando, quindi, alla luce delle condizioni rilevate al primo semestre del 2004, come incisivi ed adeguati provvedimenti ed operazioni di ristrutturazione straordinaria avrebbero potuto sortire effetti positivi. Cio' a dimostrazione delle scelte del tutto lecite del (OMISSIS), che aveva operato proprio in detta direzione, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di merito che hanno effettuato una valutazione ex post, basata su veri e propri travisamenti documentali, evitando di considerare i miglioramenti della situazione finanziaria di (OMISSIS) evidenziati dal bilancio consolidato al 31/12/2005 ed il sensibile aumento dei ricavi legati al traffico aereo - oltre il 13% - registrato tra il 2004 ed il 2006, nonostante l'aumento dei costi del carburante nel medesimo periodo e, quindi, in controtendenza rispetto all'andamento del mercato, come, peraltro, riconosciuto dallo stesso consulente della parte civile, Prof. Musaio, e dall'interessamento concreto di (OMISSIS) per l'acquisizione della societa', elementi tutti inconciliabili con una attivita' di dissipazione. Quanto al profilo dell'eterodirezione di (OMISSIS), puntualmente dedotto in appello e del tutto travisato dalla Corte di merito, si osserva che la difesa aveva dimostrato come il Governo - che nel 2006 aveva mutato composizione politica rispetto a quello in carica al momento della nomina del (OMISSIS) - disattendendo gli accordi raggiunti, aveva fatto mancare il proprio sostegno alla strategia elaborata con il Piano Industriale, scavalcando l'a.d. nei rapporti con i sindacati e rendendogli, in tal modo, impossibile portare a termine la prevista strategia aziendale. Cio' era emerso chiaramente non solo dalla gia' richiamata missiva, di cui all'allegato 6 al ricorso, ma anche dalle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui dichiarazioni erano state riportate nell'atto di appello allo scopo di dimostrare come non avesse avuto alcun senso, da parte del primo giudice, attribuire all'imputato fantomatici interessi coincidenti con il potere politico, posto che, tra l'altro, proprio la parte politica che aveva nominato il (OMISSIS) nel 2004 infliggeva il definitivo colpo di grazia alla strategia dallo stesso elaborata, impedendo, nel 2008, il perfezionamento delle trattative con (OMISSIS). Cio' nonostante, la Corte territoriale ometteva di considerare le evidenze documentali, fornendo una motivazione apodittica, che non tiene in alcun conto la circostanza che, in realta', il Piano Industriale era stato redatto secondo le indicazioni ricevute dall'azionista pubblico - come dimostrato dalla missiva di cui all'allegato 6 del ricorso -, il quale aveva concordato la strategia imprenditoriale con il management dell'azienda, a cui, per ragioni politico-elettorali, faceva mancare il proprio appoggio nell'autunno del 2006, determinando, quindi, le dimissioni immediate del (OMISSIS); non si comprende, quindi, in quale precedente momento il (OMISSIS) avrebbe dovuto inviare la piu' volte citata missiva, senza considerare, poi, che la difesa non aveva affatto sostenuto - come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata - che l'eterodirezione dell'azionista pubblico avesse privato giuridicamente, ex articolo 2497 c.c., l'a.d. di (OMISSIS) delle proprie responsabilita' funzionali, come se si trattasse di una mera testa di legno, non essendo mai stata prospettata dalla difesa l'incidenza di alcuna scriminante e/o causa di giustificazione, atteso che, invece, la condotta del Governo negli ultimi mesi del 2006 ha operato sul piano della causalita', ossia come causa susseguente da sola sufficiente a determinare l'evento, in modo da escludere la punibilita' dell'imputato ai sensi dell'articolo 41 c.p., comma 2. In tal senso, quindi, il riferimento della Corte di merito alla natura privatistica di (OMISSIS) ed all'impossibilita' di rilevare, in capo allo Stato, l'esercizio di un'attivita' di direzione e coordinamento, appare del tutto inconsistente, se solo si considera che nella relazione del Commissario straordinario si riconosceva il ruolo dello Stato quale soggetto di controllo di (OMISSIS), mentre, ai fini della risoluzione della questione prospettata, era decisiva la norma di interpretazione autentica dell'articolo 2497 c.c., comma 1, fornita dal Decreto Legge n. 78 del 2009, con cui si chiariva che gli enti menzionati dalla citata norma erano solo i soggetti giuridici collettivi diversi dallo Stato. In sostanza, quindi, appare del tutto erroneo aver attribuito al (OMISSIS) non la paternita' delle scelte operate, ma i risultati delle stesse, derivanti, al contrario, non da un'errata valutazione a monte da parte del CdA, bensi' da un intervento a valle con cui il Governo in carica decideva di scavalcarlo, impedendo il completamento del Piano Industriale. 4.2 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ricostruzione giuridica della business judgment rule e degli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione. In particolare, la difesa sottolinea come i giudizi ex ante formulati dai giudici di merito, in riferimento alle decisioni assunte dall'a.d., siano stati influenzati, in realta', da inammissibili valutazioni a posteriori, concretatesi in un sindacato di opportunita' aziendale, precluso in base alla business judgment ru/e. La sentenza impugnata, quindi, risulta affetta da un completo travisamento della regula iuris sottesa alla bjr - canone ermeneutico che preclude ai giudici di esprimere valutazioni sulla diligenza degli amministratori attraverso i parametri dell'opportunita' aziendale, limitando il sindacato giurisdizionale alla sola verifica circa l'adozione, da parte del manager, delle cautele necessarie per addivenire in maniera consapevole alla propria decisione, con la conseguenza che, una volta verificato cio', ogni sindacato sulle modalita' attuative delle scelte gestionali resta precluso, come ribadito dalla giurisprudenza delle Sezioni civili della Cassazione, con pronunce richiamate in ricorso - posto che la Corte territoriale ha impropriamente esteso il proprio sindacato alla verifica della "razionalita'" delle scelte e della diligenza nell'attuazione delle stesse, ben al di la', quindi, della sola fase istruttoria, alla quale e' circoscritto il sindacato giurisdizionale, secondo le sentenze di legittimita' citate. Paradigmatico del travisamento della bjr appaiono, infatti, i passaggi motivazionali in cui la Corte territoriale esclude che la citata regola possa operare in caso di scelte palesemente estranee agli interessi societari rispetto ad una "sana gestione imprenditoriale", atteso che detti parametri, semplicemente, non esistono, il che, pertanto, preclude il sindacato, da parte del giudice, della discrezionalita' amministrativa posta a base delle scelte di gestione aziendale; peraltro, le sentenze di merito non hanno affatto chiarito quali dovrebbero essere i principi economici da seguire ed i limiti ad essi, a meno di non voler legittimare, in tema di reati fallimentari, principi puramente arbitrari, come operato dal primo giudice, nel caso di specie, nella misura in cui ha affermato che la gestione di una compagnia quale (OMISSIS) avrebbe dovuto essere improntata ad un approccio "di tipo conservativo", il che, a tacere d'altro, contrasta palesemente con la valutazione operata da (OMISSIS) sui rischi di un approccio di tale tipo (allegato 8b al ricorso). Proprio le valutazioni poste a fondamento delle decisioni di merito, quindi, dimostrano come, al piu', le scelte del (OMISSIS) avrebbero potuto essere connotate da un'incoerenza "relativa", il che avrebbe dovuto indurre ad un ripensamento delle condotte in riferimento alla fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 217, piuttosto che ai sensi dell'articolo 216 stessa legge, atteso che, alla luce della giurisprudenza di legittimita', pacificamente la dissipazione integrante il delitto di bancarotta fraudolenta e' ravvisabile in operazioni che esulano da qualsiasi funzionalita' rispetto agli scopi dell'impresa, incoerenti in senso assoluto rispetto all'attivita' aziendale e sorrette dalla consapevolezza di diminuire il patrimonio dell'impresa per finalita' estranee alla medesima, unitamente alla volonta' di sottrarre i beni aziendali alla loro naturale funzione di garanzia. Alla luce di detti principi, pertanto, la motivazione addotta dalla Corte di merito appare aver confuso i concetti di operazioni prive di ragioni economiche ed operazioni inopportune dal punto di vista aziendale, confondendo l'incoerenza assoluta con l'incoerenza relativa, come dimostrato da numerosi passaggi della sentenza impugnata, citati in ricorso. D'altro canto, se le scelte gestionali del (OMISSIS) fossero state connotate da assoluta incoerenza, non si comprende come nessun componente del CdA, ne' il Collegio sindacale, ne' i dirigenti aziendali, ne' la societa' di revisione, ne' gli advisor, ne' gli azionisti, tra cui il Ministero dell'Economia e Finanze, ne' la Commissione Europea se ne sarebbero accorti. Del tutto carente risulta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla configurazione dell'elemento soggettivo del reato, basato unicamente sulla gravissima crisi finanziaria del gruppo al giugno 2004, senza indicare quali sarebbero stati gli scopi del tutto estranei all'impresa, pure evocati in motivazione, limitandosi ad inconferenti richiami giurisprudenziali, omettendo di valutare come - alla luce della documentazione in atti - tutti gli advisor coinvolti avessero concordato sulla possibilita' di risanare la societa' mediante l'adozione di operazioni di natura straordinaria e che, in ogni caso, la scelta di non ricorrere a procedure liquidatorie era gia' stata presa a monte della nomina del (OMISSIS) dall'azionista pubblico, come dimostrato dall'allegato 1 al ricorso, a conferma della fiducia nella possibilita' di risanamento dell'azienda e, quindi, della giustificata convinzione del (OMISSIS) della bonta' del Piano Industriale 2005-2008, con esclusione, in definitiva, dell'asserita prevedibilita' ex ante di ogni esito infausto. Infine, va considerato che il tentativo di rilancio di un'impresa non puo' mai essere considerato del tutto estraneo alla finalita' dell'impresa stessa, a prescindere dalla gravita' delle condizioni di decozione, posto che, in caso di irrecuperabilita' della societa', si potrebbe, al piu', configurare un'operazione di grave imprudenza per evitare il fallimento, ai sensi della L. Fall., articolo 217, in quanto una decisione posta gin essere per uno scopo del tutto estraneo all'impresa rimane tale, a prescindere dalla situazione patrimoniale della societa'; cio' a dimostrazione del totale fraintendimento, da parte dei giudici di merito, del concetto di "totale estraneita'" posto alla base dell'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta per dissipazione. 4.3 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ricostruzione fattuale e giuridica delle imputazioni di cui al capo A1). In particolare si sottolinea che la decisione di valorizzare il settore Cargo, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, rappresentava un'iniziativa imprenditoriale frutto di scelte strategiche che aveva lo scopo di incrementare la capacita' operativa del settore in conformita' con il Piano Industriale, attraverso alleanze commerciali con altri vettori, circostanza effettivamente verificatasi attraverso l'accordo stipulato con il vettore (OMISSIS), uno dei leader mondiali nel settore, come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata. A riguardo, durante l'istruttoria dibattimentale, era stato documentalmente dimostrato che tale progetto prevedeva la costituzione di una NewCo partecipata da (OMISSIS) al 50%, lo sfruttamento delle sinergie legate all'integrazione di differenti flotte, il conferimento alla NewCo della flotta (OMISSIS) del personale navigante e dell'intera struttura della divisione Cargo, con conseguenti effetti benefici per (OMISSIS); detta operazione, peraltro, era fallita a causa dell'opposizione delle organizzazioni sindacali ed al piu' generale insuccesso del Piano Industriale in seguito all'intromissione del Governo nelle politiche aziendali, laddove la Corte territoriale basa la propria motivazione su di una valutazione economico-aziendale formulata ex post sulla scorta del solo insuccesso dell'operazione stessa ed in evidente spregio della bjr. In particolare, la motivazione della sentenza ha travisato la consecutio temporum dell'operazione di partnership con (OMISSIS) (a differenza di quanto affermato dalla sentenza impugnata alla pag. 30, i documenti in atti dimostrano che l'implementazione della flotta cargo avveniva nel biennio 2004-2005, mentre l'accordo con (OMISSIS) era formalizzato solo nel febbraio 2006); ha imputato al (OMISSIS) la mancata dismissione del settore Cargo come operazione percorribile, salvo, poi, riconoscerne le notevoli difficolta' di realizzazione da parte della stessa amministrazione straordinaria, senza dare rilievo alle dichiarazioni del teste (OMISSIS) che, sul punto, aveva riferito delle fortissime resistenze sindacali; ha pretermesso l'esame dei rilievi difensivi circa la coerenza delle scelte di riconvertire gli aerei MD-11 al trasporto merci ed alla congruita' del numero dei piloti rispetto a quello degli aerei (omettendo di considerare che durante la gestione del (OMISSIS) il numero dei piloti era aumentato in conseguenza della decisione del Piano Industriale di incrementare la capacita' commerciale del settore e che la scelta industriale di riconvertire gli MD-11 alla funzione cargo e' stata immotivatamente ritenuta inadeguata dalla sentenza impugnata non solo senza considerare importanti aspetti tecnici in materia di network delle tratte, ma anche in quanto gli stessi aerei venivano utilizzati per il settore cargo anche da altre primarie compagnie internazionali, senza contare l'incomprensibile assoluzione del (OMISSIS), alla luce del fatto che durante la gestione di questi il rapporto tra il numero dei piloti ed il numero degli aerei risultava ancor piu' svantaggiosa); ha travisato i dati economici del Cargo, esaminando solo quelli del settore full-freighter ed ignorando quelli del settore belly (attraverso un frettoloso richiamo alla tesi del consulente della parte civile, prof. (OMISSIS), benche' dalla stessa documentazione prodotta dal pubblico ministero fosse emerso che il settore nella sua interezza aveva registrato, nel periodo 20012007, risultati positivi, concorrendo a coprire i costi di (OMISSIS) con un saldo attivo di oltre 300 milioni di Euro, laddove il mancato interessamento della (OMISSIS) era dipeso solo dal fatto che detta compagnia non aveva alcuno specifico interesse all'acquisto del settore, vantando gia' una posizione di leader nel full-freighter, come dimostrato anche dalle deposizione del teste (OMISSIS), all'epoca direttore di (OMISSIS)). In conclusione, nella motivazione della sentenza impugnata si ravvisa l'assoluta carenza dei tratti tipici della bancarotta dissipativa, essendo state le scelte nel settore Cargo funzionali all'attivita' di (OMISSIS) e sorrette dalla volonta' di rilancio della stessa. 4.4 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ricostruzione fattuale e giuridica delle imputazioni di cui al capo A2). Anche in tal caso la motivazione della sentenza impugnata omette di considerare, ovvero travisa del tutto, specifici elementi documentali: la nota del 26/02/2004 di (OMISSIS) (allegato 8a al ricorso), in cui l'ipotesi di ristrutturazione mediante ricorso alla procedura straordinaria non era affatto suggerita, ma prevista come alternativa di cui si mettevano in risalto anche le conseguenze negative; la realizzazione, nel corso della gestione (OMISSIS), di tutte le condizioni indicate da (OMISSIS) nelle note del maggio 2004, come piu' ampiamente illustrato gia' nel primo motivo di ricorso, con richiamo alla documentazione allegata, per cui non si comprende come dette condizioni possano essere considerate negativamente dalla sentenza impugnata; la regolazione dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) era stata prevista sin dagli iniziali intenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (allegato 9 al ricorso); l'attuazione del Piano Industriale 2005-2008 aveva prodotto una crescita dei ricavi pari al 13%, oltre che un miglioramento del risultato operativo che, durante l'esercizio 2005, aumentava di oltre 700 milioni di Euro (allegato 5 al ricorso). L'insuccesso dell'operazione, quindi, non era affatto prevedibile ex ante, atteso che, come gia' illustrato nel primo motivo di ricorso, il mancato completamento del Piano Industriale era stato causato dall'intervento del Governo nell'autunno 2006, scavalcando l'a.d. di (OMISSIS) nel suo rapporto con i sindacati, osservandosi, quanto alla prevedibilita' di detta situazione, come poco piu' di un mese prima l'azionista pubblico avesse rinnovato il proprio impegno. In sostanza, i giudici di merito hanno perso di vista il senso complessivo dell'operazione contestata al (OMISSIS), che aveva la finalita' di scorporare da (OMISSIS) quei rami aziendali dedicati ai servizi di terra, sui quali si concentravano le maggiori inefficienze, per conferirle in una societa' terza - (OMISSIS) - partecipata e controllata da un nuovo socio pubblico, (OMISSIS), perfettamente in grado di gestire e valorizzare tali asset in vista dello loro successiva vendita sul mercato; la Corte di merito, sul punto, quindi, ha del tutto omesso di considerare che i rami d'azienda confluiti in (OMISSIS) Service erano interamente detenuti dalla compagnia, per cui, in assenza dell'operazione di scorporo, la totalita' ed i rischi ad essi correlati sarebbero comunque rimasti a carico di (OMISSIS), cosi' come e' stata del tutto omessa la valutazione del fatto che, nei due anni successivi allo scorporo, (OMISSIS) aveva effettuato a favore di (OMISSIS) oltre 216 milioni di Euro di aumento di capitale, somme che avrebbero dovuto essere coperte interamente da (OMISSIS) in mancanza dell'operazione. Per cui, al limite, avrebbe potuto ipotizzarsi una distrazione in danno di (OMISSIS), come, non a caso, inizialmente ipotizzato dal pubblico ministero negli inviti notificati, ex articolo 375 c.p.p., nel 2009. Tutto cio' senza neanche considerare, come gia' detto, come le modalita' attuative dello scorporo fossero state passate al vaglio di numerosi advisor della compagnia, di (OMISSIS), degli investitori professionali del Ministero dell'Economia e Finanze e della Commissione Europea. Quanto all'individuazione delle tariffe dei servizi resi da (OMISSIS), in valori superiori a quelli di mercato, la Corte di merito non ha considerato che si trattava, in ogni caso, di prezzi di mercato, seppure in un range alto, e che la logica dell'operazione mirava a garantire un iniziale avviamento alla neocostituita (OMISSIS), che avrebbe, poi, restituito il surplus tariffario ad (OMISSIS) una volta raggiunti gli obiettivi di efficientamento, come effettivamente verificatosi nel biennio 2005-2007, allorquando erano stati retrocessi oltre 62 milioni di Euro ad (OMISSIS), mentre nel 2008 era stata attuata una revisione al ribasso delle tariffe di tutti i servizi all'8%, con risparmio per (OMISSIS) di svariate decine di milioni di Euro, dimostrando come, in tal modo, fosse stata realizzata la finalita' di trasformare un costo interno fisso in un prezzo esterno variabile. Seppure si volesse ritenere, come secondo la Corte di merito, che la somma di 110 milioni di Euro rappresentasse un ingiustificato costo aggiuntivo per (OMISSIS), si dovrebbe diminuire detta somma dei 62 milioni di Euro retrocessi ad (OMISSIS) a titolo di premi di efficientamento, comparando, poi, la differenza di 48 milioni di Euro con quella di 216 milioni di Euro pari ai versamenti effettuati da (OMISSIS) ad (OMISSIS); somme che, in difetto dell'operazione, sarebbero rimaste a carico dell'azienda, con evidente saldo positivo dell'operazione di scorporo. In ogni caso, a riprova della congruita' delle tariffe, deve ricordarsi come le relative condizioni economiche erano state stabilite alla luce di un'attivita' di benchmarking effettuata dall'advisor (OMISSIS) con l'ausilio della (OMISSIS), oltre che di un'analitica istruttoria della Commissione Europea che si era avvalsa della Ernest & Young, concludendo per l'accertata congruita' delle tariffe e, quindi, per l'insussistenza di aiuti di stato; si aggiunge, inoltre, come fosse stato travisato il contenuto, da parte della Corte territoriale, della nota informativa redatta dall'advisor (OMISSIS) per (OMISSIS) in data 12/10/2004 (allegato 12 al ricorso). Ne' si comprende l'inquadramento in una condotta dissipativa dell'accantonamento al bilancio consolidato relativo all'esercizio 2004 di un fondo rischi ed oneri, finalizzato ad escludere dal valore del ramo aziendale da conferire in (OMISSIS) gli oneri relativi alle inefficienze che connotavano il ramo stesso, in applicazione del principio contabile del disavviamento, la cui correttezza e' stata riconosciuta anche dalla Dott.ssa Tondelli, consulente del pubblico ministero; senza contare che i bilanci hanno confermato la correttezza sostanziale dell'operazione e che, in assenza dello scorporo, i costi per gestire le diseconomie sarebbero gravati su (OMISSIS). Del tutto fisiologica avrebbe dovuto essere considerata la duplicazione delle strutture a seguito dello scorporo, che aveva dato vita ad una nuova entita' societaria, cosi' come altrettanto fisiologica risulta la circostanza che in (OMISSIS) venissero mantenute delle attivita' di pianificazione e coordinamento, come riconosciuto dallo stesso consulente della parte civile, Prof. (OMISSIS), ne' si comprende quale influenza possano avere i risultati operativi di (OMISSIS) ai fini dell'accertamento delle condotte dissipative in danno di (OMISSIS), trattandosi di dati estranei alla contestazione, costituenti meri risultati di gestione di cui non si potrebbe rispondere penalmente. Cio' senza considerare l'incremento dei ricavi verso terzi nell'arco del triennio, come dimostrato dalla consulenza del Prof. (OMISSIS), laddove le percentuali in diminuzione indicano solo che i ricavi verso i terzi erano cresciuti meno di quanto fossero cresciuti i ricavi per le prestazioni di servizi verso (OMISSIS), dovendosi, ancora una volta, ricordare che l'intervento con cui il Governo aveva interrotto l'attuazione dello spin-off traeva origine proprio dalla protesta sindacale volta ad impedire gli accordi di vendita a privati dei rami aziendali scorporati. 4.5 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ricostruzione fattuale e giuridica delle imputazioni di cui al capo A3). In particolare, la Corte di merito ha sottolineato come i profili dissipativi dell'operazione sarebbero da individuarsi nell'esosita' dell'offerta di acquisto e nelle condizioni in cui (OMISSIS) versava all'epoca, e non nell'operazione in se', implicitamente ammettendo che se l'acquisizione di (OMISSIS) fosse stata conclusa ad un prezzo inferiore, ovvero in un momento di maggiore solidita' finanziaria, avrebbe configurato un'operazione pienamente legittima; detto ragionamento, quindi, si sostanzia in una violazione della bjr, consistendo in una mera critica sull'opportunita' economico-aziendale dell'operazione, esulando dal contesto di una bancarotta per dissipazione. In ogni caso, la Corte territoriale non ha affatto considerato che al 28/12/2005, data in cui era stata presentata l'offerta per l'acquisto di (OMISSIS), (OMISSIS) aveva chiuso l'esercizio 2005 con un miglioramento del risultato operativo di oltre 700 milioni di Euro, essendo stato, peraltro, appena posto in essere un aumento di capitale di oltre un miliardo di Euro (allegati 4 e 5 al ricorso); l'acquisizione di (OMISSIS) risultava coerente, quindi, con la strategia aziendale, considerato che le linee guida del piano industriale 2004-2006 prevedevano la massimizzazione del posizionamento di (OMISSIS) su (OMISSIS), come confermato anche dal successivo piano industriale, laddove al complesso aziendale di (OMISSIS) appartenevano anche 12 coppie di slot sulla tratta di (OMISSIS), la piu' redditizia d'Italia, come tale da salvaguardare, evitando che fossero acquistate da concorrenti, come poi evidenziato dalla battaglia legale intrapresa da (OMISSIS), giunta seconda alla gara di aggiudicazione. Cio' in base a quanto affermato dal teste (OMISSIS) e dallo stesso Commissario straordinario, il quale aveva sottolineato come l'acquisizione di (OMISSIS) rispondesse alla direttiva di valorizzare il segmento del low-cost del piano industriale 2005-2008, essendo a tale proposito del tutto improprio, da parte della Corte territoriale, evocare la cessione di (OMISSIS), che operava nel settore dei charter; la critica sull'omessa istruttoria appare, inoltre, contraddetta dalle evidenze documentali, pretermesse dalla Corte di merito (parere legale dello studio (OMISSIS) sui rischi antitrust dell'operazione, report da parte dell'advisor (OMISSIS), di cui agli allegati 13a, 13b, 14a, 14b, 14c al ricorso), che non ha neanche considerato i chiarimenti forniti sul punto della consulente del pubblico ministero, Dott.ssa Tondelli, all'udienza del 23/10/2014, ne' la circostanza che le dichiarazioni del Prof. (OMISSIS) fossero contrastanti con il provvedimento del 25/06/2008, con cui l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato consentiva ad (OMISSIS) di mantenere la titolarita' delle 12 coppie di slot in via definitiva (allegato 13b al ricorso). Ne' e' stato valutato che tutti i report elaborati in riferimento all'operazione fossero stati esaminati compiutamente dal CdA di (OMISSIS) in data 23/12/2005, non comprendendosi da quale dato sarebbe emersa la circostanza secondo la quale le schede di presentazione distribuite ai consiglieri contenevano un diverso, ed inferiore, valore complessivo di valutazione di (OMISSIS), che si aggirava, cioe', in un range tra i 37 ed i 41 milioni di Euro, importo peraltro superiore al prezzo poi offerto da (OMISSIS). Inoltre, la Corte di merito ha confuso il valore corrente teorico, determinato dall'advisor (OMISSIS) in 16,4 milioni di Euro, con il possibile prezzo di cessione, che lo stesso advisor indicava come suscettibile di essere influenzato da molteplici fattori, ne' si e' tenuto conto che il meccanismo tipico di un'aggiudicazione per asta a primo prezzo con offerta in busta chiusa creava un'assoluta incertezza circa i valori delle possibili altre offerte, tanto e' vero che la differenza di punteggio, assegnato alle due offerte dal Commissario straordinario in base ai criteri previsti nel bando di gara, si rivelava minima; dal che si desume che se (OMISSIS) avesse offerto una cifra inferiore sarebbe risultata perdente, con tutte le conseguenze negative in termini di competitivita', come dimostrato dal fatto che il Commissario straordinario di (OMISSIS) ha, poi, valutato in 33 milioni di Euro il complesso aziendale (OMISSIS), interamente corrisposto dall'acquirente CAI solo due anni dopo. Sulla scorta di tali considerazioni, quindi, non solo verrebbe meno l'ipotesi dissipativa, ma anche quella distrattiva, atteso che per l'anno 2006 gli apporti finanziari erogati da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) erano gia' stati preventivati nei business plan predisposti, con l'ausilio dei consulenti, anticipatamente rispetto alla formulazione dell'offerta, per cui i richiami in sentenza agli esercizi successivi al 2006 non hanno ragion d'essere, atteso che i loro risultati negativi erano dovuti principalmente alla crescita del prezzo del carburante e, comunque, verificatisi in epoca successiva all'uscita di scena del (OMISSIS), peraltro a seguito della scelta del socio pubblico di porre (OMISSIS) in una situazione di stallo industriale in attesa della sua cessione, con ricadute negative in termini di efficienza e ricavi. Del tutto evidente, infine, la finalita' sottesa all'acquisizione di (OMISSIS), consistente nell'esigenza di tutelare (OMISSIS) dalle aggressioni dei competitors, non riuscendo a comprendersi l'affermata "propensione a spendere in modo smisurato le risorse faticosamente ottenute con pubbliche sottoscrizioni di capitale" affermate dalla sentenza impugnata. 4.6 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ricostruzione fattuale e giuridica delle imputazioni di cui al capo A6) e della mancata riqualificazione delle stesse come fatti di bancarotta preferenziale. Anche in riferimento all'incarico di consulenza conferito alla societa' (OMISSIS), la Corte territoriale ha fondato l'accertamento del reato non sulla sostanza dell'operazione - espressione di una prassi imprenditoriale del tutto ordinaria, come riconosciuto anche dal consulente della parte civile, Prof. (OMISSIS), all'udienza del 17/02/2015 - ma su elementi accessori che, al piu', configurerebbero un'incoerenza relativa dell'operazione; in particolare, il ricorso ad una societa' primaria come (OMISSIS), leader mondiale nel settore delle consulenze strategiche ed industriali (come dimostrato anche a pag. 134 della relazione di consulenza tecnica delle Dott.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), consulenti del pubblico ministero), si era resa necessaria in una fase in cui, al momento della nomina del (OMISSIS), le difficolta' dell'azienda erano tali che, per superare l'incertezza circa la continuita' aziendale, era necessario avviare un percorso di ristrutturazione, predisponendo un Piano Industriale di estrema complessita', con l'ausilio di un advisor di eccellenza a livello mondiale, per ragioni, quindi, che nulla avevano a che fare con la "sostanziale mancanza di competenze dei dirigenti" interni di (OMISSIS), come affermato nella sentenza di primo grado. L'individuazione dell'advisor, quindi, rientrava nei pieni poteri dell'a.d., come ammesso dalla stessa consulente del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS) (relazione depositata all'udienza del 23/10/2014, pag. 29), anche considerando l'incompatibilita' dell'altra societa' specializzata nel settore, la (OMISSIS), che aveva svolto attivita' di consulenza per i sindacati in occasione di un tavolo tecnico; ne' il dato testimoniale, richiamato dalla sentenza impugnata, appare esaustivo, sia perche' non tiene in considerazione come la presenza del personale della (OMISSIS) fosse stata vissuta male da parte della dirigenza interna di (OMISSIS), che vedeva criticato il proprio lavoro, sia perche' la Corte di merito ha del tutto omesso anche solo di considerare le numerose testimonianze che avevano, al contrario, attestato in termini di efficienza aziendale e redditivita' i progetti della (OMISSIS) (dichiarazioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), indicati specificamente nell'atto di gravame, alle note 107, 108 e 109 delle pagg. 137-139). Del tutto travisato risulta, inoltre, da parte della sentenza impugnata, il dato dell'assenza di controlli interni sulla societa' di consulenza, posto che persino i piu' ostili tra i testimoni - ad esempio il teste (OMISSIS) all'udienza del 19/03/2015 ed il teste (OMISSIS) all'udienza del 03/07/2014, richiamati nell'atto di appello - avevano affermato che il sistema di controllo istituito presso (OMISSIS), denominato "torre di controllo", forniva quotidianamente un reporting, il che costituiva un sistema per verificare se l'intervento di (OMISSIS) nei processi operativi aziendali avesse o meno sortito effetto. Anche l'asserita carenza di documenti attestanti i controlli, evidenziata dalla consulente del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS), veniva, poi, superata da una lunga serie di allegazioni documentali in dibattimento, posto che la relazione di consulenza tecnica della citata consulente era stata depositata nel febbraio 2011, ben prima che la G. di F. iniziasse l'attivita' di acquisizione documentale riferita alla consulenza (OMISSIS), il cui solo esame e' durato mesi, come affermato dal teste (OMISSIS) all'udienza del 03/06/2014, e come, poi, riconosciuto dalla stessa consulente del pubblico ministero all'udienza del 23/10/2014. Quanto al tema dell'asserita mancanza di risultati apprezzabili della consulenza (OMISSIS), anzitutto va considerato che la consulenza e' un'obbligazione di mezzi e non di risultato, ma, in ogni caso, la semplice analisi contabile dei bilanci di (OMISSIS) dimostra come l'attuazione del Piano Industriale 2005-2008 aveva prodotto, nella seconda meta' del 2006, una crescita dei ricavi pari al 13% ed un miglioramento del risultato operativo che, durante l'esercizio 2005, era aumentato di oltre 700 milioni di Euro; in tal senso, la sentenza impugnata, nel richiamo alla tabella contenuta nella consulenza della parte civile, non solo non ha considerato come il miglioramento di efficienza di un'azienda possa avvenire solo su lungo periodo, ma ha omesso di valutare anche la positiva diminuzione dello 0,7% dell'incidenza dei costi per servizi e personale sui ricavi del traffico, durante il biennio della gestione (OMISSIS), mentre il significativo peggioramento di tale indice si registrava solo nel 2007, quando il (OMISSIS) si era ormai dimesso ed il Governo aveva impedito il perfezionamento del piano industriale. Errato, in piu', appare il calcolo dell'onerosita' della consulenza (OMISSIS), basato unicamente sulla consulenza della parte civile, utilizzando dati inconferenti, come dimostrato non solo dalla consulenza di parte della difesa, ma anche dalla circostanza che nessuna delle 14 societa' italiane utilizzate nel confronto dal consulente della parte civile avrebbero potuto svolgere l'attivita' compiuta dalla (OMISSIS), cosi' come sono stati del tutto omessi i dati, emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, circa la congruita' delle tariffe praticate da (OMISSIS), come dimostrato dal consulente della difesa e come riconosciuto dalla stessa Dott.ssa (OMISSIS), consulente del pubblico ministero, nell'elaborato depositato all'udienza del 23/10/2014. Con l'atto di appello, infine, si era criticata la motivazione del primo giudice, che aveva descritto i caratteri dell'operazione attraverso uno schema riconducibile alla bancarotta preferenziale, avendo, pertanto, la difesa chiesto la riqualificazione della condotta; a fronte di cio', la motivazione della Corte territoriale, oltre che risultare del tutto antitetica con la business judgment rute e con gli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta, ha omesso di fornire ogni risposta in riferimento alla dedotta qualificazione della condotta come bancarotta preferenziale. 4.7 Violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento alla mancata riqualificazione dei fatti in bancarotta semplice, atteso che le operazioni contestate avevano tratto origine da scelte di natura imprenditoriale, come dimostrato dalle argomentazioni poste a fondamento dei precedenti motivi di ricorso, con la conseguenza che le stesse possono essere censurate, seppure nei limiti della bjr, ma in nessun caso potrebbe esserne cancellata la natura di opzioni ancorate alla lecita gestione aziendale, come tali al piu' rilevanti ai sensi della L. Fall., articolo 217. Entrambe le sentenze di merito, al contrario, hanno rivolto critiche non al merito in se' delle scelte, ma solo al momento in cui le stesse erano state adottate, ovvero alle modalita' attuative, il che involge, all'evidenza, una valutazione di imprudenza; tanto si evince chiaramente da plurimi passaggi motivazionali delle sentenze medesime, in cui le scelte imprenditoriali sono state valutate come imprudenti ed irragionevoli alla luce delle condizioni economiche di (OMISSIS), senza considerare quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita' citata in ricorso. E' ovvio, peraltro, che il concetto di "estraneita' assoluta alle finalita' aziendali" non appare limitativo del perimetro della bancarotta per dissipazione, essendo sufficiente, per qualificare un'operazione in termini di totale incompatibilita' con l'attivita' di impresa, dimostrare come essa sia del tutto irrazionale, a prescindere dalla cornice aziendale in cui si colloca ed a prescindere dalle contingenze economiche in cui opera l'impresa, come dimostrato dal percorso ermeneutico delle pronunce della Cassazione; in altre parole, il fatto che i giudici di merito, per ricostruire la condotta dissipativa, siano dovuti entrare nel merito delle scelte aziendali, censurandole alla luce delle condizioni economiche di (OMISSIS) ed anche dei risultati conseguiti ex post, rappresenta la miglior riprova del fatto che si fosse al di fuori del perimetro penalmente rilevante della dissipazione. Anche sotto il profilo soggettivo, le sentenze di merito sono spesso tornate sulla irrecuperabilita' della situazione patrimoniale in cui si era trovata (OMISSIS) all'epoca della nomina del (OMISSIS), sottolineando come le operazioni - con particolare riferimento a quella sub A2), ma anche in riferimento a quella sub A6) - fossero finalizzate a guadagnare tempo e denaro, con lo scopo di non far perdere al Circoli i propri emolumenti. Detto percorso motivazionale appare palesemente semplicistico, laddove non spiega per quale ragione, allora, il (OMISSIS) si fosse immediatamente dimesso non appena il Piano Industriale 2005-2008 veniva bloccato dal Governo; ma, soprattutto, evidenzia come lo scopo di ritardare il piu' possibile la dichiarazione di fallimento sia del tutto inconciliabile con una condotta dissipativa che, come tale, accelera il dissesto, mentre appare perfettamente compatibile con la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 3. 4.8 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento all'insussistenza della manipolazione del mercato ed alla violazione del principio del ne bis in idem. In particolare, si rileva come, a seguito della declaratoria di prescrizione per i fatti commessi in epoca anteriore al 12/01/2006, la condotta per la quale e' stata confermata la sentenza di primo grado riguarda unicamente l'emissione del comunicato stampa del 28/01/2006, relativo alla contestazione sub C), in ottemperanza ad una richiesta della Consob formulata ex articolo 114, comma 5, TUF, sollecitata dal Ministero delle Attivita' Produttive, tesa a verificare se l'emittente (OMISSIS) avesse reso un'adeguata informativa al mercato circa l'operazione di acquisizione di (OMISSIS). Con i motivi di gravame la difesa aveva sottolineato come, a seguito della pubblicazione dell'informativa, la Consob l'avesse giudicata pienamente congrua ed esaustiva, tanto che non aveva avviato alcun procedimento sanzionatorio, come emerso proprio dalla deposizione della consulente del pubblico ministero, Dott.ssa (OMISSIS), all'udienza del 23/10/2014, il che rendeva evidente l'insussistenza del reato ascritto al (OMISSIS). Detto rilievo difensivo veniva del tutto omesso dalla Corte territoriale, la quale si limitava, genericamente, a richiamare il principio del ne bis in idem. La sentenza di primo grado aveva affermato che il documento informativo fosse "a contenuto necessario indicato dalla Consob" (pag. 354 della sentenza di primo grado), il che significava ammettere che (OMISSIS) non avrebbe potuto tenere una condotta reticente, posto che la societa' si era limitata a rispettare le indicazioni fornite dalla Consob, a meno di voler ritenere che il comunicato avrebbe dovuto ampliare la comunicazione includendo tematiche non richieste dalla Consob; cio' senza contare che il reato contestato non puo' essere realizzato mediante una condotta meramente omissiva, come affermato dalla giurisprudenza anche di legittimita'. In ogni caso, posto che nel comunicato del 28/01/2006 venivano esplicitate tutte le informazioni price sensitive, per come individuate dalla Consob, l'assoluta modestia di quanto si sarebbe omesso di comunicare rende, di per se', impossibile ravvisare un'idoneita' a determinare effetti distorsivi sul mercato. Non a caso, infatti, lo stesso Tribunale aveva ammesso che, in riferimento alla prima delle notizie asseritamente celate al mercato (l'esito negativo del contenzioso dinanzi al Tribunale di Roma), non vi fosse prova che (OMISSIS) ne fosse a conoscenza al momento del comunicato; quanto al mancato inserimento nel comunicato delle informazioni circa il possibile deterioramento della situazione di (OMISSIS), (OMISSIS) si era limitata a riportare quanto affermato dal Commissario di (OMISSIS) ad un tavolo sindacale tenutosi il precedente 05/01/2006, parole riprese immediatamente da articoli di stampa, come dimostrato dalla consulenza tecnica della difesa, il che esclude che potesse trattarsi di informazioni privilegiate. In ordine all'assenza di riferimenti circa l'impatto che l'acquisizione di (OMISSIS) avrebbe potuto avere sui bilanci (OMISSIS) 2006-2007, l'infondatezza di tale censura non solo e' dimostrata dalla consulenza della difesa, depositata all'udienza del 12/05/2015, ma anche dal fatto che neanche la Consob avesse richiesto l'inserimento nel comunicato di tale informazione; stesse considerazioni vanno ripetute per il profilo del rischio antitrust, parimenti non richiesto dalla Consob e parimenti smentito dalla consulenza della difesa. In ogni caso, anche volendo prescindere dal totale silenzio su dette argomentazioni da parte della Corte di merito, va detto che le considerazioni circa l'insussistenza del reato di cui al capo A3) non possono che riverberarsi sulla fattispecie in esame. Inoltre, con i motivi di appello si era evidenziato come le conclusioni della sentenza di primo grado confliggessero, giuridicamente, con il diritto ad un equo processo, di cui all'articolo 6 p. 1, CEDU, nonche' con il principio del ne bis in idem, di cui all'articolo 4 del protocollo n. 7 della predetta CEDU; la motivazione della Corte di merito ha operato un richiamo alla giurisprudenza di legittimita' del tutto improprio, posto che, nel caso in esame, la violazione del principio del ne bis in idem non era affatto riferita ad un problema di cumulo di pene, ma alle conclusioni radicalmente opposte a cui perveniva il procedimento penale rispetto a quello amministrativo. La stessa giurisprudenza della Corte EDU, tra l'altro con una recente pronuncia del giugno 2019, Nodet c. Francia, ha ritenuto sussistente la violazione dei richiamati principi ancorche' nel processo penale si fosse tenuto conto della sanzione pecuniaria irrogata in sede amministrativa. In conclusione, quindi, sarebbe del tutto insensato non ravvisare la violazione dei principi citati nel caso di specie, in cui l'autorita' amministrativa ha ritenuto insussistente l'illecito amministrativo in maniera evidente, non avendo neanche ritenuto necessario avviare il relativo procedimento, laddove nel processo penale si perveniva ad una pronuncia di condanna. 4.9 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento all'erronea determinazione della pena principale e delle pene accessorie, evidenziandosi l'irragionevolezza argomentativa che si fonda su vicende che hanno interessato (OMISSIS) non solo in epoca successiva ai fatti per cui e' processo, ma soprattutto completamente sganciate dalle operazioni societarie ascritte al (OMISSIS), il quale ha gestito l'azienda per soli due anni. La Corte di merito ha del tutto omesso di valutare le doglianze difensive sul punto, considerando, tra l'altro, che, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la pena complessiva risulta superiore a quella richiesta dal pubblico ministero, senza neanche applicare l'indulto. In ogni caso, la determinazione della pena appare del tutto erronea, anche alla luce dell'intervenuta prescrizione delle condotte di manipolazione del mercato realizzate in epoca antecedente al 12/01/2006, con la conseguente rilevanza della sola condotta riferita al comunicato stampa del 28/01/2006; cio' nonostante, la pena inflitta in primo grado risulta diminuita, per effetto dell'intervenuta prescrizione, solo di un dodicesimo, ossia di sei mesi a fronte di anni sei di reclusione. E la stessa individuazione della pena in un ammontare di anni sei di reclusione, in riferimento ad una condotta esauritasi appena sedici giorni dopo l'entrata in vigore della L. n. 262 del 2005, appare contrastante con i criteri di cui all'articolo 133 c.p., anche alla luce della piu' volte citata inattivita' dell'Autorita' di vigilanza. A cio' si deve aggiungere la palese violazione dell'istituto della continuazione fallimentare, avendo i giudici di merito applicato un aumento di pena per ciascuna delle ravvisate violazioni alla normativa fallimentare, nonostante con il giudizio di bilanciamento, ex articolo 69 c.p., le circostanze attenuanti generiche fossero state valutate prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti; ne consegue la radicale illegalita' della pena, come sancito anche dalla giurisprudenza di legittimita' citata in ricorso. Parimenti illegale e' la determinazione delle pene accessorie di cui alla legge fallimentare. 4.10 Inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita' e decadenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), in riferimento all'erronea liquidazione del risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili. Con il gravame ci si era doluti che il primo giudice avesse disposto la liquidazione in via definitiva dei danni in favore di tutte le parti civili in maniera del tutto incerta, in relazione ai criteri utilizzati e fondati su profili di equita'. La Corte di merito, sul punto, ha fornito una motivazione carente e del tutto contraddittoria, avendo, da un lato, affermato l'accertamento di un danno risarcibile, attraverso l'onere probatorio assolto dai danneggiati e, dall'altro, asserito l'impossibilita' oggettiva di pervenire ad una stima esaustiva del danno. A prescindere da cio', in ogni caso, la sentenza impugnata ha del tutto omesso di rispettare i presupposti giuridici della liquidazione equitativa, come indicati dalla giurisprudenza delle Sezioni civili della Cassazione, citate in ricorso. Infine, i giudici di appello, nel riformare la sentenza di primo grado (pagg. 72 ed 83 della sentenza impugnata), hanno esteso il periodo di riferimento per il risarcimento del danno sino alla data di dichiarazione dello stato di insolvenza, quanto al capo A), e fino alla data di sospensione del titolo in Borsa, quanto al capo C), apparendo del tutto evidente come non si possa commisurare l'ammontare del danno in base a vicende che non solo hanno interessato (OMISSIS) successivamente ai fatti per cui e' processo, ma che risultano del tutto sganciate dalle operazioni societarie per le quali e' stato imputato il (OMISSIS), che, come detto, ha amministrato l'azienda per soli due anni. 5. Propone ricorso, con atto del 20/06/2019, anche la difesa di (OMISSIS) (avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS)), deducendo quattro motivi di doglianza. 5.1 Con il primo, si lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riguardo alla ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta per dissipazione. Nell'interesse del (OMISSIS) si fa presente innanzi tutto che le osservazioni della Corte territoriale sulla ravvisabilita' di tratti comuni alle diverse fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale risultano non conferenti alla posizione del ricorrente, condannato a pena ritenuta di giustizia in ordine ad una contestazione di bancarotta dissipativa, senza che vi siano mai stati dubbi sulla qualificazione giuridica del fatto od in punto di correlazione fra la rubrica e la condotta che si assume concretamente accertata. Tanto premesso, i difensori dell'imputato evidenziano che la Corte di appello, cosi' come il Tribunale, risultano aver correttamente richiamato l'elaborazione giurisprudenziale in tema di bancarotta per dissipazione, fattispecie che presuppone il verificarsi di una condotta incoerente rispetto alle esigenze aziendali, tanto da risolversi in un'attivita' gestionale che disperda risorse perche' strumentale al perseguimento di finalita' estranee a quelle dell'impresa. Deve pertanto escludersi che gli elementi caratterizzanti l'ipotesi criminosa si possano desumere "attraverso un percorso critico sull'operato dell'imputato per le scelte imprenditoriali fatte, anche qualora queste siano giudicate (...) imprudenti o frutto di incapacita' gestionale. Cio' che non puo' essere valutato, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato in scrutinio, e' l'esito dell'operazione fatta nell'ottica della dinamica imprenditoriale". Il giudizio, in definitiva, deve essere formulato ex ante ed alla luce della obiettiva verifica se la presunta operazione dissipativa fosse o meno coerente con l'oggetto sociale: in caso di risposta affermativa, anche al cospetto di condotte manifestamente imprudenti e rischiose, il reato non puo' configurarsi. L'incoerenza rispetto agli scopi dell'impresa deve avere carattere assoluto, e non puo' derivare dalla mera qualificazione dell'operazione come sbagliata o priva di razionalita' economica (la difesa richiama, a riguardo, una pronuncia di questa Sezione secondo cui non possono sussistere gli estremi di una bancarotta per dissipazione nel caso di vendita di merce sottocosto). A dispetto della correttezza dei principi enunciati, tuttavia, i giudici di merito avrebbero dimostrato di non farli propri, giungendo a conclusioni non coerenti con gli stessi: cio' in quanto le scelte gestionali sottese alla condotta contestata all'imputato risultano valutate solo in termini di opportunita' economica, muovendo da quelli che ne furono - ex post - gli effetti. Anche le argomentazioni spese dalla Corte territoriale per confutare le censure mosse dalle difese degli odierni ricorrenti nei rispettivi atti di appello risultano indicative della sostanziale elusione del problema giuridico che gia' in quella sede era stato sollevato: nella motivazione della pronuncia in epigrafe, infatti, si legge che quelle censure avrebbero riguardato la dedotta violazione dei principi della business judgment rute, un presunto difetto di correlazione tra i fatti contestati e quelli ritenuti nella sentenza di primo grado e l'omessa derubricazione degli addebiti in ipotesi di bancarotta semplice, ma si tratta di tesi che la difesa del (OMISSIS) non aveva mai prospettato. Il rilievo formulato impugnando la sentenza del Tribunale riguardava invece, ancora a monte, l'individuazione dell'angolo visuale da cui il primo giudice aveva inteso valutare l'operazione in rubrica: analizzando la stessa, in particolare, se ne era sindacata l'appropriatezza rispetto alle esigenze economiche della societa', sottoponendo cosi' a verifica le modalita' di gestione dell'impresa. A rivelare manifestamente tale erroneita' di approccio, era stata evidenziata dalla difesa un'osservazione contenuta nella motivazione della pronuncia appellata, secondo la quale risultava determinante, in chiave accusatoria, la presa d'atto della "situazione di estrema difficolta' in cui versava (OMISSIS) ogni qualvolta il management ha operato le scelte oggetto del presente processo, difficolta' che imponevano di per se' una gestione di tipo conservativo, tanto piu' che si stava gestendo un'attivita' economica di rilevanza pubblica". In definitiva, i giudici di merito (ivi compresa la Corte territoriale, ignorando le censure difensive) avrebbero aderito ad una interpretazione aberrante del concetto di dissipazione, quasi facendone un sinonimo di danno per il patrimonio sociale: al contrario, si fa rilevare con l'odierno ricorso che "l'avere determinato con le proprie scelte imprenditoriali minori vantaggi economici rispetto a scelte gestionali alternative che si pretendono (con il senno di poi) piu' vantaggiose non puo' costituire un comportamento sussumibile sotto l'alveo della condotta di bancarotta fraudolenta per dissipazione". In definitiva, la difesa osserva che la corretta ricostruzione della figura criminosa in esame "impone un giudizio in termini di normalita' o abnormita' delle condotte rispetto all'oggetto sociale ed ai fini aziendali; diversamente opinando, qualunque attivita' che ha comportato una perdita sarebbe idonea ad integrare la condotta tipica del reato in contestazione". Ne' puo' assumere valenza alcuna la precisazione della Corte di appello, in base alla quale non verrebbero in discussione le singole decisioni di cedere od acquisire rami di azienda, bensi' le "irrazionali modalita' attuative attraverso le quali tali decisioni sono state poste in essere nella situazione data": anche nella prospettiva cosi' descritta, si continua a rimanere nell'ambito del sindacato delle scelte imprenditoriali, lasciando intendere che potrebbero ritenersi dissipative anche "quelle condotte che, pur mirate a realizzare lo scopo sociale, siano state in concreto realizzate in maniera tale da danneggiare il patrimonio". Quanto alle modalita' attuative, del resto, e' proprio l'operazione della cessione di (OMISSIS) - contestata al (OMISSIS) - a risultare chiaramente valutata nell'erronea prospettiva anzidetta, laddove ad esempio si pone l'accento sulla sostituzione dello schema inizialmente ipotizzato con un potenziale acquirente (la societa' (OMISSIS)), con altro meno favorevole per (OMISSIS) (attraverso la censurata vendita ad (OMISSIS), dietro un corrispettivo segnalato come largamente inferiore): appare evidente, in sostanza, come non sia in discussione la compatibilita' dell'operazione con la logica dell'attivita' imprenditoriale (il profilo dell'incoerenza, unico che dovrebbe essere oggetto di verifica), ma si voglia porre l'accento sul rilievo che quella operazione sarebbe priva di ragione economica alla luce dell'esito avuto dalla stessa, perche' avrebbe comportato una diminuzione della garanzia patrimoniale posta a tutela dei creditori di (OMISSIS) (profilo dell'inopportunita'). 5.2 Con un secondo motivo, i difensori del (OMISSIS) lamentano la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al rigetto di una richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, con cui era stato sollecitato l'esperimento di una perizia sugli aspetti tecnici sottesi all'operazione di cessione della partecipazione azionaria di (OMISSIS) in (OMISSIS). Tale istanza, infatti, risulta essere stata disattesa su basi apodittiche, evidenziando la Corte romana come l'approfondimento richiesto non fosse necessario e come il giudizio di primo grado avesse dato ampio spazio ai consulenti di tutte le parti. Secondo la difesa dell'imputato, un conto e' la ricostruzione in fatto e la scansione cronologica degli eventi che portarono alla cessione e ne determinarono le modalita' (aspetto, questo, certamente non meritevole di indagini ulteriori), altra cosa e' valutare la portata dei singoli eventi di quella scansione ai fini - tra l'altro - della verifica della congruita' o meno del prezzo della cessione medesima, compito che presuppone competenze tecniche specifiche: e, nel caso in esame, il Tribunale aveva senza dubbio disatteso alcuni rilievi dei consulenti (ivi compresi quelli dell'accusa, pubblica e privata) sostituendo una propria scienza privata ai contributi versati in atti dagli esperti. A titolo esemplificativo, si rappresenta che - ad avviso del primo giudice - il prezzo avrebbe dovuto tenere conto della ricapitalizzazione di (OMISSIS), cui (OMISSIS) aveva dato corso ad aprile 2003 per un ammontare di 5 milioni di Euro: ma quell'importo, sul piano tecnico, non doveva costituire un valore aggiunto della partecipazione oggetto di cessione, perche' la ricapitalizzazione avvenne a copertura di perdite pregresse, tanto che lo stesso consulente delle parti civili (Prof. (OMISSIS)) aveva sottolineato la neutralita' della ricapitalizzazione ai fini della determinazione del prezzo. L'equivoco appare evidente leggendo i passi della motivazione della sentenza di primo grado - sul punto, richiamata da quella oggetto dell'odierno ricorso - dove si rappresenta che (OMISSIS) aveva versato i 5 milioni anzidetti al fine di sostenere un nuovo piano industriale, tanto che, in esito, i successivi risultati di (OMISSIS) sarebbero stati assai positivi: ma viene cosi' confuso quello che era stato un versamento dovuto, per ripianare perdite, con un discrezionale investimento di risorse. Addirittura, la Corte di appello giunge a ritenere ultronea la perizia de qua facendo presente che, rispetto alla ricostruzione difensiva, sarebbero da preferire le contrarie conclusioni dei consulenti del p.m. e delle parti civili, non considerando pero' che - a riguardo - gli esperti dell'accusa non avevano affatto manifestato un avviso opposto, segnalando che il prezzo di cessione non poteva comunque essere disancorato dal valore totale dei crediti e dei debiti e precisando financo che il prezzo della vendita ad (OMISSIS) fu sostanzialmente congruo (negli stessi termini si era espressa a suo tempo la societa' di revisione Price Waterhouse, su mandato dell'advisor). 5.3 Analoghi vizi motivazionali vengono denunciati con il terzo motivo, che prende le mosse dall'osservazione della Corte territoriale secondo cui le difese degli imputati (ivi compresa quella del (OMISSIS), la cui posizione non era stata oggetto di trattazione ad hoc) avevano censurato le determinazioni del Tribunale in punto di omessa valutazione del contributo del consulente del p.m., delle prospettazioni dell'advisor (OMISSIS), incaricato di assistere (OMISSIS) nell'operazione sub A4), e delle dichiarazioni di piu' testimoni. La realta', pero', e' che le doglianze esposte con i motivi di gravame erano state ben piu' ampie e numerose, a partire dalla gia' ricordata circostanza che l'advisor aveva richiesto ad una societa' terza (la suddetta Price Waterhouse, fra le piu' qualificate del settore) di verificare se il prezzo fosse congruo, ottenendo risposta affermativa. Il dato, dunque, appare supportato da base documentale e risulta acclarato gia' da epoca contestuale all'operazione: non di meno, i giudici di merito tacciono sul punto. La presunta, omessa analisi delle conclusioni del c.t. del pubblico ministero (Dott.ssa (OMISSIS)) viene poi giustificata dalla Corte di appello con l'altrettanto assertiva indicazione secondo cui lo stesso consulente non si era limitato a riferire che il prezzo potesse considerarsi adeguato, ponendo invece in risalto una "miriade di anomalie" nel processo che aveva portato alla determinazione del prezzo medesimo: ma si continua ad ignorare che, sia pure sulla base delle presunte anomalie (peraltro confutate dal consulente degli imputati, con argomenti del tutto pretermessi dai giudici di merito), il valore restava congruo, come confermato dalla Dott.ssa (OMISSIS) nel corso della sua deposizione. Ergo, se non vi fu alcuna diminuzione patrimoniale, non si vede dove possano rinvenirsi gli estremi di una condotta rilevante L. Fall., ex articolo 216: una operazione, per quanto anomala o viziata nell'iter, dalla quale non consegua un pregiudizio per la garanzia apprestata a tutela dei creditori, non potra' mai costituire bancarotta. Del tutto ignorate erano state anche le indicazioni offerte dal teste (OMISSIS) (managing director di (OMISSIS)) sull'entita' dei crediti e dei debiti di (OMISSIS), da valutare ai fini della cessione: vero e' che alcuni di quei crediti, verso vari tour operator, si rivelarono poi inesigibili, ma rispondeva a normale pratica commerciale che la societa' venditrice - appunto, (OMISSIS) - rimanesse obbligata ad accollarsi i debiti ed a garantire l'esigibilita' dei crediti. Anche sotto questo profilo, cosi' come a proposito della gia' illustrata ricapitalizzazione, nessuno dei consulenti aveva considerato scorretta tale impostazione, seguita del resto anche per attivita' di dismissione ulteriori da quella di (OMISSIS): non di meno, la Corte territoriale da' nuovamente contezza di presunte "contrarie conclusioni dei consulenti (OMISSIS) e (OMISSIS)", in realta' del tutto inesistenti. Inoltre, la Corte di merito incorre nell'ennesimo travisamento delle deduzioni difensive nella parte in cui sostiene che la doglianza degli appellanti sull'impossibilita' di comparare l'offerta di acquisto di (OMISSIS) con quelle precedenti, economicamente piu' vantaggiose, era fondata sul rilievo che le prime non avrebbero garantito la salvaguardia dei livelli occupazionali. Tale aspetto non era stato in alcun modo sottolineato nei motivi di appello, dove si era invece posto l'accento sul dato - riferito dal suddetto teste (OMISSIS) - che lo scopo perseguito da (OMISSIS) con la cessione de qua era quello di ottenere liquidita' da reinvestire nel settore principale di attivita', tagliando i vari "rami secchi": percio', l'offerta del gruppo (OMISSIS) non risultava appetibile perche' il corrispettivo, per quanto superiore, sarebbe consistito non in denaro ma in partecipazioni azionarie; analogamente, una diversa offerta del gruppo Rusconi era stata formulata in termini tali da rendere concreto per (OMISSIS) - attraverso il mantenimento di rapporti contrattuali, forniture di servizi ed attivita' presso l'aeroporto di (OMISSIS) - il rischio di continuare a farsi carico della partecipata. Non a caso, ed ancora una volta, erano stati gli stessi consulenti del p.m. e delle parti civili a valutare non comparabili le diverse offerte. Da ultimo, in punto di dolo, le argomentazioni della Corte territoriale si rivelano contraddittorie: da un lato, i giudici di appello evidenziano che la decozione in cui versava (OMISSIS) era ben nota agli imputati, dovendosi collocare alla data del giugno 2004 l'epoca in cui lo stato di gravissima crisi finanziaria del gruppo assunse carattere conclamato; dall'altro, si sottolinea espressamente che proprio la condotta ascrivibile al (OMISSIS) fu anteriore alla data suddetta, visto che l'imputato lascio' il proprio incarico nel febbraio precedente. In ogni caso, l'istruttoria dibattimentale aveva chiarito che il consiglio di amministrazione fu compiutamente informato su tutti gli aspetti della trattativa con l'acquirente, come confermato dalle testimonianze (fra queste, viene ricordata la deposizione di Jean Cyril (OMISSIS)): il fatto che non vi furono discussioni, diversamente da quanto accaduto all'atto dell'esame delle prime offerte, dipese solo dalla circostanza che la proposta incontro' l'assenso di tutti i componenti dell'organo amministrativo. 5.4 L'ultimo motivo di ricorso e' dedicato alle statuizioni civilistiche. La difesa deduce la violazione dell'articolo 539 del codice di rito e carenze motivazionali, lamentando che: - risulta essere stato liquidato, sulla base di criteri equitativi, il presunto danno patrimoniale subito dalle societa' in amministrazione straordinaria ( (OMISSIS) s.p.a. ed altre, in persona dei rispettivi commissari) costituitesi parti civili, malgrado gli stessi giudici di merito avessero dato atto che il solo danno morale sarebbe stato suscettibile di liquidazione con tali modalita'; - il presupposto della liquidazione equitativa dei danni patrimoniali dovrebbe rinvenirsi, secondo la Corte romana, nella estrema complessita' delle vicende in rubrica, tali da non consentire (a fronte della difficolta' di pervenire ad una stima esatta) il ricorso a criteri oggettivi per la determinazione del quantum, ma cio' non si traduce nell'affermazione dell'impossibilita' di una quantificazione, con la conseguente necessita', a quel punto, di pronunciare condanna generica con rimessione delle parti dinanzi al giudice civile competente; - secondo il Tribunale, con argomenti fatti propri anche dal giudice dell'impugnazione, le condotte degli imputati avrebbero "parimenti" contribuito ad aggravare il dissesto della societa', senza tuttavia che risulti analizzata l'incidenza causale dei singoli comportamenti ascrivibili a ciascuno, se non altro alla luce della portata e delle conseguenze delle varie operazioni; - il ricorrente e' stato condannato a risarcire i danni subiti anche da coloro che ebbero ad acquistare azioni (OMISSIS) in epoca successiva alla cessione di (OMISSIS) (luglio 2003) e alle stesse dimissioni del (OMISSIS) (febbraio 2004), e se va ricordata la giurisprudenza secondo cui gli effetti pregiudizievoli di un illecito ben possono prodursi a distanza di tempo dalla commissione del fatto (avuto riguardo, nello specifico, alla data in cui intervenne la dichiarazione di insolvenza quale ipotizzata consumazione), deve nel contempo tenersi presente che almeno "il danno non patrimoniale, quale sofferenza patita in conseguenza di un fatto illecito incidente sulla sfera psichica e morale della persona, si realizza nel momento stesso in cui si verifica l'evento dannoso". 6. Lo stesso avv. (OMISSIS) propone ricorso nell'interesse di (OMISSIS), da lui parimenti assistito; l'atto di impugnazione, che reca a sua volta la data del 20/06/2019, e' articolato in sei motivi. 6.1 Il primo profilo di doglianza riguarda l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonche' la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata, a proposito della qualifica di "direttore generale di fatto" attribuita all'imputato. La difesa segnala che il (OMISSIS) - responsabile del settore Finanza Straordinaria di (OMISSIS) - era stato chiamato a rispondere degli addebiti in rubrica quale concorrente extraneus nei reati propri degli amministratori; non di meno, il Tribunale aveva reputato che egli dovesse rispondere direttamente delle contestazioni de quibus, essendo emerso in concreto l'esercizio da parte sua (nonche' del coimputato (OMISSIS)) dei poteri di un direttore generale, figura rientrante ex se fra quelle contemplate dalla L. Fall., articolo 223. A tale ricostruzione era stato obiettato, nei motivi di appello, che il difetto di indicazioni normative sul contenuto delle funzioni di un direttore generale, e su come debbano esplicitarsi i relativi poteri, impone di riconoscere rilevanza soltanto a una nomina formale (diversamente da quel che puo' ritenersi circa la nozione di amministratore); inoltre, ed in ogni caso, il (OMISSIS) non aveva certamente mai esercitato prerogative assimilabili a quelle di un direttore generale, men che meno con carattere di continuita'. In vero, a fronte di un indirizzo giurisprudenziale - richiamato anche dalla sentenza in epigrafe - secondo cui i destinatari delle norme L. Fall., ex articoli 216 e 223, vanno individuati sulla base delle funzioni concretamente esercitate e al di la' delle qualifiche formali, deve osservarsi che l'effettiva elaborazione di tale principio non e' mai avvenuta attraverso decisioni che riguardassero presunti direttori generali di fatto: e cio' dipende, secondo la difesa del ricorrente, proprio dall'impossibilita' di ricavare dal quadro di riferimento normativo quali dovrebbero essere le funzioni tipiche di un direttore generale (a riguardo vengono richiamate pronunce della Prima Sezione civile di questa Corte), con conseguenze di immediata rilevanza in punto di violazione dei canoni di tassativita' e sufficiente determinatezza della fattispecie penale. Appare emblematico, del resto, prendere atto che la Corte territoriale, dinanzi alla questione in diritto ora illustrata e gia' sollevata nei motivi di appello, ha non solo ignorato la censura, ma - ancora a monte - ha omesso di procedere ad una ricostruzione dei poteri tipici di un direttore generale, evitando cosi' di affrontare il problema se il (OMISSIS) li avesse effettivamente e piu' o meno continuativamente esercitati. L'unico elemento valorizzato, al fine qui di interesse, risulta un documento contenente l'articolazione organizzativa di (OMISSIS), prodotto dalla difesa dello (OMISSIS) e da cui si dovrebbe evincere che i due dirigenti svolgevano le proprie mansioni a diretto contatto con gli amministratori: tuttavia, da un lato si tratta di un rilievo di valenza neutra, e dall'altro occorre sottolineare che l'organigramma in questione risale al 2005 (ergo, quanto all'operazione relativa alla cessione di (OMISSIS) conclusa nel 2003, non idoneo a dimostrare alcunche'). In senso opposto, invece, il teste (OMISSIS) - vicedirettore generale di (OMISSIS) proprio nel 2003 - aveva riferito su quelli che erano stati i propri ambiti di competenza e quelli del (OMISSIS), precisando che quest'ultimo non aveva mai avuto una autonomia decisionale e gestionale comparabile alla sua: analogamente, i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) - colleghi dell'imputato, addetti al medesimo settore - avevano chiarito che il settore Finanza Straordinaria fungeva si' da supporto al consiglio di amministrazione per le operazioni non di routine, ma solo per raccordarsi con banche e consulenti legali e sempre nell'ambito dello specifico mandato che, volta a volta, veniva conferito dal consiglio stesso. La piena subordinazione del (OMISSIS) rispetto alle decisioni dell'organo amministrativo, che egli non concorreva in alcun modo a formare, era stata ribadita anche dal teste (OMISSIS). Inoltre, e soprattutto, i giudici di merito non avrebbero considerato che, all'epoca dell'operazione (OMISSIS), non vi era alcun bisogno di individuare un direttore generale di fatto, visto che ne esisteva uno con tanto di investitura formale, coadiuvato da due vicedirettori. Ne' e' stato mai allegato da chicchessia che il (OMISSIS), con le proprie condotte, avrebbe esautorato i superiori. In ordine all'operazione di scorporo in (OMISSIS), la Corte territoriale si limita poi ad osservare in termini apodittici che sia il ricorrente sia il coimputato (OMISSIS) diedero un significativo apporto causale alla vicenda, come gli stessi avrebbero ammesso con le rispettive dichiarazioni: il dato e' del tutto assertivo, visto che il (OMISSIS) sostenne soltanto che quella operazione rientrava nella sua area di competenza, ma nulla disse circa il proprio coinvolgimento, e men che meno circa il suo essersi attribuito o l'avere esercitato poteri fuori dall'area anzidetta. E se per l'operazione (OMISSIS) si dovrebbe ammettere l'esistenza di un direttore generale di fatto (ma, come ricordato, contemporaneamente a un direttore generale ed a piu' vice di costui), per quella di (OMISSIS) la situazione appare ancor piu' assurda, atteso che i direttori generali di fatto divengono addirittura due. 6.2 Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente sviluppa le stesse censure esposte nell'interesse del (OMISSIS) in punto di inquadramento della fattispecie criminosa di bancarotta fraudolenta per dissipazione (e per cui si rimanda al p.3.1). Viene parimenti ribadito che, anche con riguardo all'atto di appello a suo tempo presentato, la Corte territoriale non avrebbe in alcun modo analizzato le effettive doglianze ivi contenute, sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui ai motivi di gravame avanzati dagli altri imputati avverso la decisione di primo grado. 6.3 Anche il terzo motivo di ricorso risulta omologo ad uno dei profili di doglianza gia' spiegati nel ricorso precedentemente illustrato (in tema di omesso accertamento peritale: v. sub 3.2). Con riguardo all'operazione (OMISSIS), estranea all'oggetto degli addebiti mossi al (OMISSIS), la difesa del (OMISSIS) fa notare che il Tribunale - con valutazione acriticamente recepita dai giudici di secondo grado - aveva concluso per la distrazione della parte del prezzo superiore ai valori di mercato che sarebbe stata pagata da (OMISSIS), ma anche in questo caso manifestando contrario avviso rispetto a chiare risultanze processuali (in primis, il giudizio formulato dai tecnici della Commissione Europea, oltre alle opinioni espresse dai vari consulenti). 6.4 Con il quarto motivo, il difensore dell'imputato si sofferma sulle carenze motivazionali della sentenza impugnata relativamente alla operazione (OMISSIS), ribadendo quanto gia' evidenziato nel terzo motivo del ricorso del (OMISSIS) (v. p. 3.3). Analizzando la specifica posizione del (OMISSIS), viene evidenziato come egli non avesse comunque compiuto condotte di penale rilievo, essendosi limitato all'adempimento dei propri compiti in conformita' alla funzione rivestita ed all'area di sua competenza: non di meno, i giudici di merito hanno inteso ribadire l'affermazione di responsabilita', escludendo che il ricorrente dovesse ritenersi un extraneus. Si legge nel ricorso, in proposito, che "chiamare a rispondere l'imputato del fatto proprio, piuttosto che del concorso con l'agente, non puo' in ogni caso esimere il giudicante dal dar conto della condotta integrante tutti gli elementi costitutivi del reato contestato, soprattutto in un contesto fattuale ove - come riconosciuto anche nel provvedimento impugnato - l'operazione era stata deliberata dal consiglio di amministrazione e realizzata dall'amministratore delegato, ed erano presenti in azienda un direttore generale e due vicedirettori generali". 6.5 Analoghi vizi vengono lamentati nell'interesse del (OMISSIS) con riferimento all'addebito di cui al capo A2), inerente l'operazione di scorporo di (OMISSIS); sul punto, la difesa dell'imputato reputa che la motivazione licenziata dalla Corte romana sia meramente apparente. I giudici di appello, infatti, si sarebbero limitati a ripercorrere le argomentazioni spese dal Tribunale per affermare la rilevanza penale dei fatti in rubrica e la necessita' di ascriverli a coloro per cui era intervenuta sentenza di condanna, senza distinguere le varie posizioni e soprattutto senza affrontare le specifiche censure mosse nei rispettivi gravami: in termini laconici ed assertivi, la Corte territoriale non fa che ribadire la presunta maggiore pregnanza delle "risultanze tecniche" versate in atti rispetto a "eventuali, singole deposizioni testimoniali di segno diverso". In tal modo, non e' stato neppure considerato che alcune delle doglianze formulate in sede di impugnazione non erano state oggetto di disamina in primo grado, visto che si erano rese necessarie proprio in esito alle osservazioni del Tribunale, espresse con la motivazione della pronuncia appellata: il metodo seguito dalla Corte per disattendere tali doglianze, pertanto, si rivela ictu oculi illegittimo. In ogni caso, anche quanto allo scorporo di (OMISSIS) non e' dato individuare quale contributo, secondo i giudici di merito, avrebbe arrecato il ricorrente, a carico del quale "sembrerebbe postularsi una sorta di responsabilita' da posizione qualificata": scorrendo le pagine di entrambe le sentenze, non vi si leggono richiami di sorta ad attivita' da lui poste in essere. Tanto piu' che l'operazione non dipese da iniziative promosse od arbitrariamente condivise dall'imputato, rientrando invece nel piano industriale previsto per le annualita' 2004-2006 (in cui era considerata come necessaria, sia per concentrare le risorse finanziarie e manageriali di (OMISSIS) nel trasporto aereo, che per trasformare costi interni in prezzi da formare all'esterno, a verosimili e piu' convenienti valori di mercato). Vari testimoni - (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e Laghi - avevano del resto riferito che il (OMISSIS) non era stato in alcun modo coinvolto, essendo quell'operazione stata decisa ed attuata in sede di consiglio di amministrazione: ne' e' pensabile che, data la complessita' della stessa, un dirigente del livello del ricorrente potesse concretamente influenzarne il processo, neppure nei numerosi ed altamente specializzati aspetti esecutivi. A fortiori, nulla emerge quanto alla prova del dolo in capo al (OMISSIS), non potendo egli in alcun modo percepire sotto quali profili un'operazione deliberata dai vertici aziendali dovesse ritenersi pianificata per fini estranei all'attivita' imprenditoriale o funzionale a un depauperamento di risorse. La realta' e' che tutti coloro che avevano avuto un ruolo nell'operazione in parola hanno dichiarato che gli obiettivi prefigurati erano stati conseguiti, salvo che per un ultimo passaggio (il cui fallimento era da imputarsi all'opposizione delle parti sociali): una vicenda, pertanto, del tutto fisiologica nelle dinamiche aziendali, che ancora una volta la Corte territoriale ha inteso valutare ex post e solo sulla base di ragioni di presunta inopportunita' economica. 6.6 Con il sesto ed ultimo motivo, il difensore del (OMISSIS) si duole delle statuizioni civili negli stessi termini gia' illustrati analizzando il quarto motivo del ricorso presentato nell'interesse del (OMISSIS) (v. sub 3.4). Con riguardo alla specifica posizione dell'imputato, si ribadisce in particolare come la mancata differenziazione dell'incisivita' delle varie condotte sulla produzione dei presunti danni risarcibili assuma piu' evidente rilievo per chi - come il (OMISSIS), sia pure con funzioni dirigenziali - era chiamato a svolgere compiti meramente esecutivi; si fa presente anche in questo caso l'impossibilita' di ritenere imputabili al ricorrente ipotesi di danno che si sarebbero prodotte in pregiudizio di chi ne acquisi' il titolo in epoca successiva alle operazioni ascritte al ricorrente (non posteriori al 2006). 7. In data 21/06/2019 (OMISSIS) ricorre a sua volta avverso la decisione in epigrafe (a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS)), articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 7.1 Violazione di legge, in riferimento alla L. Fall., articoli 216, 217, 223 e 224, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento al reato di cui al capo A2) ascritto allo (OMISSIS). In particolare, con i motivi di appello era stato sottolineato come l'imputato avesse assunto la funzione di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza - e non di direttore generale - solo il 22/11/2004, epoca in cui era gia' stata adottata la scelta di scorporare (OMISSIS), essendo intervenuta la decisione del CdA il 13/10/2004; conseguentemente, non si comprende quale sarebbe stato il contributo causale dell'imputato al fatto contestatogli, come articolatamente ricostruito con i motivi di gravame. A tale doglianza la sentenza impugnata non ha fornito alcuna risposta, evidentemente attribuendo al ricorrente un ruolo partecipativo sulla scorta della sola qualita' ascrittagli di direttore generale, anche prescindendo del tutto da prove, in tal senso, del contributo partecipativo e dell'elemento soggettivo richiesto, rispetto al quale maggiore avrebbe dovuto essere l'onere motivazionale considerata la fase finale dell'operazione in cui era intervenuto lo (OMISSIS), come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita' sul contributo dell'extraneus nel reato proprio; va considerato, altresi', che la difesa aveva documentato come lo (OMISSIS), dopo la sua nomina, aveva preso parte solo a due consigli di amministrazione, in cui non era stato neanche sfiorato il tema dello scorporo. La motivazione della sentenza impugnata, quindi, si basa unicamente sul travisamento delle dichiarazioni rese dal medesimo imputato, che si era limitato ad assistere i periti nel reperimento della documentazione necessaria alla valutazione del ramo d'azienda, svolgendo quindi una funzione meramente esecutiva. 7.2 Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ritenuta qualita' di direttore generale dello (OMISSIS), ruolo mai da questi ricoperto, considerato che l'organigramma della societa' non prevedeva affatto detto ruolo e che lo stesso capo d'imputazione attribuisce al ricorrente il ruolo di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza. In realta', la sentenza impugnata ritiene che il ruolo dello (OMISSIS) sia desumibile dalle funzioni da questi esercitate di fatto, senza considerare che il ruolo di direttore generale ha natura formale e si acquisisce secondo le forme previste dal codice civile e dallo statuto della societa'; nel caso in esame nessuna nomina formale risulta mai intervenuta, come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, laddove dallo statuto di (OMISSIS) emerge in maniera incontrovertibile - come riportato dal prospetto riprodotto a pag. 8 dei motivi di appello - che il direttore centrale operi secondo le linee dettate dall'amministratore delegato e che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere provata l'attivita' in concreto svolta dall'imputato in riferimento al capo A2) ascrittogli. La tesi della Corte di merito - secondo cui la figura del direttore generale sarebbe sostituita da ruoli dirigenziali "a riporto del presidente amministratore delegato" - e', quindi, erronea in diritto, come dimostrato dalla giurisprudenza di legittimita' citata nei motivi di appello, operando una inammissibile parificazione tra il direttore generale ed il direttore centrale, laddove l'organizzazione di (OMISSIS) non prevede la figura del direttore generale e statuisce che il presidente-amministratore delegato si avvale di dirigenti che a lui si riportano. 7.3 Violazione di legge, in riferimento alla L. Fall., articoli 216 e 223, articoli 2396 e 2639 c.c., nonche' vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento al ruolo di direttore generale di fatto, avversata dalla giurisprudenza e dalla dottrina sulla scorta della circostanza che, a differenza di quanto previsto per le altre figure societarie - per le quali e' applicabile la clausola di equiparabilita' di cui all'articolo 2639 c.c. -, non e' rinvenibile nel sistema una disposizione normativa che definisca il ruolo e le mansioni di tale soggetto, avendo il legislatore optato di demandare alle singole societa' una previsione statutaria o una delibera assembleare che definisca, di volta in volta, il ruolo ed i poteri del direttore generale. Da tale inquadramento discende, quindi, l'impossibilita' di fare ricorso all'articolo 2639 c.c., come affermato dalla giurisprudenza della cassazione civile citata in ricorso, mancando, in ogni caso, nella motivazione dei giudici di merito, una valutazione della ricorrenza degli estremi quantitativi e qualitativi richiesti dal citato articolo 2639 per la ricorrenza del ruolo di amministratore di fatto. 7.4 Violazione di norme sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), in riferimento all'articolo 521 c.p.p., considerato che lo (OMISSIS) e' stato individuato, nel capo di imputazione, quale direttore centrale del settore amministrativo e finanziario, mentre dalle sentenze di merito e' stato qualificato direttore generale, con evidente mancata correlazione tra l'accusa contestata e quanto ritenuto in sentenza, essendo la qualita' soggettiva elemento costitutivo del fatto di reato e considerato che l'articolo 223 legge fallimentare non indica, tra i soggetti del reato proprio, i direttori centrali, ma solo i direttori generali. 7.5 Violazione di legge, in riferimento alla L. Fall., articolo 216, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alla ritenuta dissipazione che sarebbe stata realizzata con l'operazione di scorporo. I giudici di merito hanno valutato solo gli esiti negativi dell'operazione medesima con giudizio ex post, omettendo di considerare non solo la giurisprudenza di legittimita' sulle operazioni dissipative, ma anche la circostanza che lo (OMISSIS), nominato nel novembre 2004, non avrebbe potuto immediatamente comprendere la natura dell'operazione, giunta alle sue ultime battute; in ogni caso, si sottolinea la totale pretermissione dei motivi di gravame in ordine alla qualificazione della condotta ai sensi della L. Fall., articolo 217. 7.6 Vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alle statuizioni civili, atteso che, nonostante l'intervenuta assoluzione dello (OMISSIS) dall'imputazione sub A3), la Corte di merito, senza alcuna motivazione sul punto, ha confermato le statuizioni civili del primo giudice, peraltro condannando l'imputato in solido al pagamento dell'intero ammontare delle spese di costituzione delle parti civili, laddove il principio di solidarieta' avrebbe dovuto essere limitato al solo capo A2), l'unico per il quale si e' addivenuti ad un'affermazione di responsabilita' in sede penale. 8. In data 22/09/2020 e' stata trasmessa, a mezzo pec, memoria difensiva delle parti civili (OMISSIS) + 538, rappresentate dall'avv. (OMISSIS), con cui si chiede il rigetto del sesto motivo del ricorso nell'interesse dello (OMISSIS) e del decimo motivo del ricorso nell'interesse del (OMISSIS). 9. In data 24/09/2020 e' stata presentata memoria difensiva nell'interesse delle parti civili Stefano Amb(OMISSIS)ni, Giovanni Fiori, Gianluca Brancadoro, commissari straordinari delle procedure (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., tutte in amministrazione straordinaria, rappresentate dall'avv. (OMISSIS), con cui si illustrano le ragioni di inammissibilita' o, in subordine, di rigetto dei ricorsi degli imputati. 10. In data 29/09/2020 sono state depositate conclusioni scritte e nota spese delle parti civili (OMISSIS) + 18, rappresentante dall'avv. (OMISSIS). 11. In data 09/10/2020 e' stata depositata memoria con allegati, nell'interesse di (OMISSIS), con particolare riferimento al reato di cui all'articolo 185 TUF ed al trattamento sanzionatorio" a firma dei difensori di fiducia. CONSIDERATO IN DIRITTO Prima di passare all'esame dei singoli ricorsi, appare opportuno dare conto di una concisa premessa metodologica, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. La innegabile complessita' della vicenda, sia da un punto di vista descrittivo che in riferimento al coinvolgimento di plurimi aspetti, non solo giuridici ma anche tecnici ed economici, e' stata affrontata dalle sentenze di merito con un diverso approccio, peraltro direttamente funzionale alla tipologia, rispettivamente, del giudizio di primo grado e di quello di appello. La sentenza di primo grado e' estremamente analitica, dando conto - spesso ricorrendo alla tecnica della citazione integrale - delle opinioni e delle conclusioni dei tecnici, la cui attivita' di consulenti e periti ha costituito uno snodo essenziale dell'evoluzione probatoria; la sentenza di appello, oggetto di impugnazione nella presente sede processuale, dovendosi confrontare con specifici motivi di gravame, risulta per certi versi molto piu' sintetica nella sua impostazione, avendo, nondimeno, fatto precedere all'esame dei motivi di gravame una sintesi della motivazione del primo giudice e richiamando, all'occorrenza, interi passaggi argomentativi della pronuncia di primo grado, anche attraverso la tecnica della motivazione per relationem, peraltro estesa anche ad elaborati tecnici ed a contributi testimoniali. Trattasi, all'evidenza, di metodologia assolutamente ammessa oltre che, per certi versi, del tutto necessaria, tenuto conto dell'articolazione della vicenda processuale, come ribadito pacificamente dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Nel caso di specie, infatti, ci si trova in presenza, essenzialmente, di una cosi' detta "doppia conforme", per cui la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito si salda in base all'omogeneita' dei criteri di valutazione delle prove utilizzati, avendo i giudici del gravame concordato con quelli del primo grado nell'analisi dei temi di prova prospettati ed affrontati in entrambi i gradi di merito (Sez. 2, sentenza n. 37295 del:L2/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, sentenza n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, V&erio, Rv. 252615). Ne discende che anche il Collegio, nell'affrontare le tematiche sottoposte al suo esame con i motivi di ricorso e nell'individuare il proprio orizzonte esegetico, non potra' prescindere da un'analisi congiunta delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito. In tale contesto, quindi, va anticipata una precisazione indispensabile, considerato che plurimi snodi argomentativi su cui si fondano i motivi di ricorso deducono il travisamento della prova e che, per evitare di dover reiterare le osservazioni a riguardo, va detto che il dedotto vizio - come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimita' - e' ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilita' della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, sentenza n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, sentenza n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio ed altri, Rv. 258774; Sez. 4, sentenza n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine ed altri, Rv. 256837; Sez. 1, sentenza n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207). Orbene, nei casi dedotti si puo' anticipare come - sebbene in effetti, almeno in un caso specifico, come si dira', la Corte di merito abbia del tutto travisato il contenuto di un documento tecnico richiamato dalla difesa - non risulta mai realizzata la condizione secondo la quale l'intervenuto travisamento possa considerarsi determinante nel senso del travolgimento radicale del ragionamento probatorio nel suo complesso. Cio' chiarito, vanno analizzati i ricorsi degli imputati. RICORSO di (OMISSIS). 1. Quanto al primo motivo di ricorso, va rilevato che la difesa, articolando un'accurata analisi di molteplici documenti venuti in rilievo nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ha inteso dimostrare che, all'epoca in cui il (OMISSIS) aveva assunto il proprio incarico, sussistesse una concorde volonta' del Governo, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni professionali del comparto aereo di proseguire nell'attivita' di impresa, senza ricorrere a procedure liquidatorie e che, inoltre, la compagnia non versasse affatto in uno stato irreversibile di crisi. In particolare, come anticipato nella sintesi del motivo di ricorso, la difesa ha ricordato che, a fronte del Piano Industriale 2005-2008, si era proceduto ad un aumento di capitale sottoscritto, nel dicembre 2005, per oltre 515 milioni di Euro da investitori professionali diversi dallo Stato italiano, il cui Ministero dell'Economia e Finanze sottoscriveva, in particolare, il 48,62% di tale aumento, riducendo, in tal modo, la propria partecipazione in (OMISSIS) al 49,90%; inoltre, come dimostrato dal bilancio consolidato del 2005, il risultato operativo di (OMISSIS) era migliorato, atteso che, a fronte di una perdita nel 2004 pari ad Euro 753.524.000,00, nel 2005 la perdita operativa si attestava su Euro 47.493.000,00, a dimostrazione di come la tentata ristrutturazione non fosse stata affatto un'operazione di mera facciata. Tuttavia, in data 09/11/2006, il (OMISSIS) inviava al Ministro dell'Economia una missiva in cui rappresentava che il Piano Industriale, redatto sin dal 26/09/2006 secondo le indicazioni ricevute dall'azionista pubblico, era stato inopinatamente bloccato a seguito di accordi intercorsi tra il Presidente del Consiglio ed i sindacati, all'insaputa dell'amministratore delegato, in tal modo essendo stato egli messo nell'impossibilita' di poter operare. Cio' a dimostrazione del fatto che il buon esito del predetto Piano Industriale era stato vanificato da scelte politiche non gestionali, tanto e' vero che nel febbraio 2007 il (OMISSIS) aveva rassegnato le dimissioni. 1.1 Su detto aspetto va ricordato che la sentenza di primo grado - per quanto rileva ai fini della presente motivazione - aveva evidenziato come il Piano Industriale di ristrutturazione per gli anni 2005-2008 avesse l'obiettivo di consentire ad (OMISSIS) di posizionarsi come vettore a rete altamente efficiente, prevedendo due distinte fasi, cronologicamente successive; la prima finalizzata al risanamento, nel biennio 2005-2006, e la seconda al rilancio, nel biennio 20072008. Detto piano industriale si basava, inoltre, su varie condizioni, tra cui: l'aumento del capitale entro la fine del 2005, in ipotesi di 1.000 milioni di Euro; il posticipo del rimborso del prestito obbligazionario convertibile dal 2005 al luglio 2010; il rimborso entro la fine del 2005 del prestito ponte di 400 milioni di Euro ottenuto tra la fine del 2004 e la prima parte del 2005; l'anticipo dal marzo 2006 al dicembre 2005 dell'accensione di nuovi finanziamenti a lungo termine per 388 milioni di Euro. Tuttavia, come era emerso dalla relazione del commissario straordinario (OMISSIS), malgrado il buon esito dell'aumento di capitale verificatosi nel dicembre 2005 e la tenuta dei ricavi complessivi nel 2006, i progetti di efficientamento non erano stati realizzati, per cui la fase di risanamento avviata nel 2005 non veniva conclusa. Nel frattempo, pero', (OMISSIS) aveva portato a termine l'operazione di scorporo, conferendo nella nuova societa' il ramo dei servizi, operazione che, pertanto, era risultata decontestualizzata perche' avulsa dalla cornice di riferimento. A partire dall'ottobre 2006, quindi, (OMISSIS) era rimasta priva di Piano Industriale, ed il Consiglio di Amministrazione, in data 19 ottobre 2006, aveva conferito mandato al presidente-amministratore delegato (OMISSIS) di avviare l'esame di un'opzione d'intesa strutturale con altro vettore, finalizzata alla generazione di sinergie industriali ed alla massimizzazione della redditivita' della compagnia, adeguando, quindi, il Piano Industriale per tener conto di tali opzioni strategiche. Il che, tuttavia, non era stato realizzato, in quanto era stata, invece, avviata una procedura finalizzata alla privatizzazione di (OMISSIS), tramite la cessione della quota di controllo detenuta dal MEF, ed il Piano Industriale era stato adottato come piano di emergenza solo il 30 agosto 2007. Alla luce di detta sequenza di avvenimenti il primo giudice aveva ritenuto che gia' negli anni 2002-2003 (OMISSIS) fosse in una situazione gravemente compromessa, che avrebbe dovuto portare nel 2004, quando il (OMISSIS) aveva rassegnato le dimissioni, a dare atto dello stato di insolvenza anziche' continuare a far "navigare" (OMISSIS), priva di obiettivi plausibili ed effettivi, sino alla ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria in data 29/08/2008, cui aveva fatto seguito la dichiarazione dello stato di insolvenza, il 05/09/2008. Tuttavia, ha ritenuto il primo giudice, "cosi' non e' stato, perseguendo gli imputati finalita' del tutto estranee agli interessi aziendali, ed anzi procrastinando nel tempo il destino ineluttabile di (OMISSIS) con il suo fallimento. Emblematico il documento acquisito all'udienza del 4 giugno 2015 a firma del Dottor (OMISSIS) e destinato all'Ingegner (OMISSIS) (ed inviato il successivo 23 luglio 2004 anche a (OMISSIS)), in occasione dell'incontro che (OMISSIS) ebbe con l'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (OMISSIS) il 21 luglio 2004: "il fatto che le ineludibili esigenze di ristrutturazione di (OMISSIS) abbiano ormai accumulato un lunghissimo ritardo nella loro realizzazione, rende oggi il percorso da compiere ancora piu' urgente, impegnativo e rischioso. Basti pensare che solo un anno fa la societa' disponeva ancora di consistenti riserve di liquidita' e di patrimonio netto nonche' di un merito di credito sui mercati finanziari ed in una situazione competitiva comparativamente molto piu' solida, mentre oggi deve fronteggiare un programma di emergenza facendo ricorso a breve ad ulteriore indebitamento (prestito ponte) con un patrimonio netto gia' fortemente inciso dalle perdite e con sistema di rapporti con i fornitori, con i potenziali finanziatori/investitori e con la clientela pesantemente pregiudicati... L'evoluzione dell'impegnativo percorso descritto continuera' ad essere oggetto di attento e costante monitoraggio da parte del Cda e degli organi di controllo della societa'. Eventuali ostacoli o ritardi di rilievo - registrati o anche solo realisticamente previsti - nella sua concreta attuazione renderebbero non piu' ragionevole perseguire la gestione in bonis della crisi della societa' richiamata in premessa, ponendo in capo agli amministratori l'obbligo di trarne senza indugio le conseguenze (richiesta di ricorso ad amministrazione straordinaria)". Questa la lettura oggettiva della cronologia dei fatti che contrasta nettamente con quanto sostenuto dalla difesa, che ancora in sede di arringhe difensive ha sostenuto che (OMISSIS) era in bonis, poiche' il capitale sociale veniva di volta in volta rifinanziato o dallo Stato o dai risparmiatori, e che e' rimasta in bonis per tutta la gestione (OMISSIS), negando l'evidenza dei fatti" (pagg. 36-38 della sentenza di primo grado). 1.2 Sin dai motivi di appello la difesa aveva contestato che, nel maggio 2004, periodo in cui il (OMISSIS) aveva ricevuto l'incarico di presidente ed amministratore delegato di (OMISSIS) s.p.a., le condizioni della societa' fossero gia' sostanzialmente compromesse, e che tutta la successiva attivita' del ricorrente fosse stata diretta a mantenere in vita la compagnia per non meglio individuate ragioni politiche, con iniziative imprenditoriali che avevano, nella sostanza, aggravato le condizioni pregresse gia' compromesse. In sostanza la difesa, riprendendo le doglianze gia' esposte con il gravame, sostiene in ricorso che le ingerenze del governo nelle relazioni con i sindacati, alla fine del 2006, avevano impedito al (OMISSIS) di portare a termine il Piano Industriale in una fase in cui, peraltro, si stavano gia' conseguendo positivi risultati. La sentenza impugnata ha affrontato detta specifica tematica a pag. 16, citando la giurisprudenza di legittimita' delle Sezioni civili e la relazione sul punto del commissario straordinario di (OMISSIS), (OMISSIS), il quale aveva escluso la possibilita' di esercitare un'azione di responsabilita' verso il Ministero dell'Economia e delle Finanze ex articolo 2497 c.c., fondata sull'assunto che, quanto meno dal 30/06/2006, il detto Ministero avesse artificiosamente tenuto in vita una societa' in crisi, per motivi estranei all'interesse della stessa, con conseguente aggravamento del dissesto. La sentenza di secondo grado afferma, in particolare, che non puo' essere confuso il piano tecnico-giuridico - che involge la valutazione dei compiti e degli obblighi dell'amministratore - con le contingenze storiche, connotate dall'ingombrante presenza dell'azionista pubblico, in quanto cio' non configura affatto una circostanza attenuante ne' una scriminante, dimostrando, al contrario, come proprio i vertici della compagnia avessero, evidentemente, condiviso lusinghe ed influenze della politica, al di fuori di una corretta logica imprenditoriale, a maggior ragione in considerazione dell'elevato livello professionale dei manager coinvolti. 1.3 Osserva il Collegio che la ricostruzione illustrata dalla sentenza impugnata va - in sede di valutazione di legittimita' - epurata da ogni considerazione di stampo valutativo che manifesta il punto di vista etico della Corte di merito, sicuramente non necessario ne' rilevante, pur tenuto conto dell'esigenza ricostruttiva di inquadramento storico dei fatti. Singolare, infatti, appare il soffermarsi della Corte di merito - in assenza di ogni chiarimento sulle fonti e sulle prove da cui desumere detta affermazione - su considerazioni metagiuridiche - quali la sensibilita', da parte prima del (OMISSIS) e poi del (OMISSIS), ad influenze e lusinghe delle componenti politiche governative, del tutto estranee ad una fisiologica e corretta dinamica di impresa -: cio' ha fatto si' che l'impostazione dialettica tra le parti si sia eccessivamente spostata su di un piano del tutto disfunzionale, mirante a dimostrare che l'operato del (OMISSIS) non avesse affatto aggravato le condizioni della compagnia per finalita' estranee ad una corretta logica imprenditoriale, ma che, al contrario, solo il "tradimento" della politica avesse impedito la realizzazione degli effetti positivi, nell'ottica condivisa del risanamento, scaturenti dalle scelte adottate dal (OMISSIS) stesso. A ben guardare, neanche la difesa ha mai messo in dubbio che storicamente la compagnia avesse attraversato una profonda crisi strutturale, che richiedeva l'adozione di una programmazione aziendale teso a renderla piu' competitiva sul mercato internazionale, e che in detta fase si colloca la designazione del (OMISSIS). Detta considerazione appare opportuna ai fini di una contestualizzazione della vicenda, ma non muta certamente la struttura del reato contestato, ossia la bancarotta fraudolenta, la cui integrazione non richiede ne' un aggravamento del dissesto ne' un nesso causale tra la condotta dell'agente e la dichiarazione di fallimento o, come nel caso in esame, la dichiarazione dello stato di insolvenza, ne', tanto meno un dolo specifico, come sara' in seguito approfondito nell'esame del secondo motivo di ricorso. In sostanza, quindi, i passaggi motivazionali che sono ispirati, sia in primo che in secondo grado, da un evidente affiato ricostruttivo di tipo storico e sociopolitico, appaiono - nell'ottica del Collegio di legittimita' - del tutto ininfluenti ai fini della corretta individuazione delle tematiche rilevanti sul piano giurisdizionale e, quindi, di nessuno spessore in termini di rilevanza argomentativa. Cio' che, invece, conta in termini di funzionalita' motivazionale e' il passaggio in cui la sentenza impugnata ha evidenziato l'enorme potere riconosciuto al (OMISSIS) nel suo ruolo di presidente ed amministratore delegato e, soprattutto, la piena effettivita' di detto ruolo, oltre che la carenza di elementi di prova idonei a definire una chiara e determinante influenza del potere politico nella fase genetica delle scelte decisionali del ricorrente; si sottolinea, inoltre, come le lettere citate si pongano alla fine del percorso dirigenziale, allorquando il (OMISSIS) stava per dimettersi e che, sotto altro aspetto, tutta la normativa in tema di grandi imprese in crisi dimostra come, anche dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza, debba essere sempre privilegiato, ove possibile, il tentativo di garantire la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa ed il valore complessivo della stessa. Tali ultime argomentazioni appaiono sicuramente piu' pertinenti, anche perche' cio' che va rilevato, nella presente sede processuale, e' come dalla motivazione di entrambe le sentenze di merito non risulti la sussistenza di alcun elemento dimostrativo del fatto che l'azione dello Stato avesse ostacolato, piu' o meno intensamente, l'attivita' dell'amministratore delegato. In realta', lo stesso documento piu' volte richiamato dalla difesa - la missiva del (OMISSIS) del novembre 2006 al Ministero dell'Economia -, collocandosi solo in una fase ulteriore, rispetto a decisioni gia' assunte, attesta semplicemente la rottura verificatasi tra l'amministratore delegato ed il Governo, a seguito della scelta di quest'ultimo di procedere alla consultazione autonoma dei sindacati, in tal modo bypassando l'operato del (OMISSIS). Non si puo', infatti, non concordare con la pertinenza e la logica della considerazione secondo cui il rilievo professionale del (OMISSIS) gli consentiva sicuramente di valutare, in prospettiva, quale avrebbe potuto essere la condotta dei sindacati, proprio perche' - come sostiene anche l'atto di appello, ricordando, sul punto, le deposizioni di numerosi testi ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) - anche nel caso di specie si era verificato quello che storicamente si era sempre ripetuto: la negoziazione tra sindacati ed azienda era sempre proseguita fino al momento in cui i sindacati raggiungevano le loro finalita' e, qualora cio' non avveniva, le stesse organizzazioni si rivolgevano direttamente al Governo in carica, chiedendo la testa dell'amministratore delegato, come dimostrato dal fatto che sino al 2008, andando a ritroso nei precedenti quindici o sedici anni, si erano succeduti in (OMISSIS) circa quindici diversi amministratori delegati, a differenza di quanto verificatosi nelle altre compagnie aeree Europee. Sulla scorta, quindi, delle stesse emergenze dibattimentali sottolineate dalla difesa, non puo' non condividersi la logica seguita dalla Corte territoriale, che ha descritto il (OMISSIS) come un soggetto esperto e consapevole del quadro aziendale ed istituzionale in cui operava, perfettamente in grado, quindi, di valutare anche gli ostacoli che avrebbero potuto opporsi alle sue scelte e di poterli calibrare e prevenire in riferimento ad esse. 1.4 Inoltre, va considerato che il (OMISSIS) risponde, in sede penale, per l'effetto di decisioni consapevolmente adottate in riferimento a specifiche operazioni, mentre la difesa, in realta', articola le proprie deduzioni fondandosi sulla prospettazione dell'esito, meramente ipotizzato e, come tale, non verificabile, che sarebbe scaturito dalle scelte adottate dal (OMISSIS), se egli fosse riuscito a perseguirle completamente. Tale prospettiva, evidentemente, non puo' essere condivisa, perche' si pone su di un piano di ricostruzione storico-politica, esulando dalla logica del processo; al contrario, le contestazioni di cui e' chiamato a rispondere l'imputato si basano sui risultati che - in base ad una valutazione ex ante, contestualizzata in riferimento alle condizioni della societa' (OMISSIS) - egli avrebbe potuto e dovuto prospettarsi, in un'ottica non solo di rilancio della compagnia ma anche di tutela del patrimonio aziendale. Con le argomentazioni piu' volte ricordate, in realta', la difesa sposta in avanti il piano valutativo delle scelte aziendali, laddove avrebbe dovuto dimostrare, in concreto, l'interruzione di un rapporto di conseguenzialita' tra le scelte imprenditoriali adottate, la loro attuazione ed i risultati prodottisi, a causa della presunta eterodirezione. Nessuna scelta, al contrario, sembra essere stata adottata dal (OMISSIS) in quanto impostagli dallo Stato, dal Governo o dai sindacati. Al contrario, cio' che emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, e' il riconoscimento all'imputato di ampi poteri gestionali, funzionali alle necessita' contingenti di risanamento da fronteggiare; tali poteri - secondo la Corte di merito - sono stati ampiamente esercitati dal (OMISSIS), come dimostrato dall'adozione di strategiche scelte operative, peraltro poste a base dei capi di imputazione, in un contesto le cui coordinate gli erano non solo ampiamente note, ma le cui implicazioni egli era - per caratura professionale - perfettamente in grado di valutare. In tal senso, peraltro, non sembra che la difesa abbia mai sostenuto il contrario. Fra tali circostanze, quindi, vi era sicuramente la possibile incidenza dell'attivita' sindacale che, storicamente, aveva sempre influito, spesso in maniera determinante, sull'esito delle politiche aziendali. In altre parole, la variabile sindacale era una componente ben nota al (OMISSIS), che aveva tutta la possibilita', tra le altre variabili, di considerarne l'incidenza al momento dell'adozione di determinate scelte gestionali, ponendola in comparazione con le altre componenti da considerare nel suo percorso valutativo e decisionale. Cio', come detto, emerge, tra l'altro, dalle stesse considerazioni poste a base dell'impugnazione del ricorrente. 1.5 Tanto premesso, va rilevato che, in tema di partecipazione dello Stato in (OMISSIS), l'inquadramento giuridico appare del tutto chiaro alla luce di molteplici pronunce delle Sezioni Unite Civili di questa Corte. In particolare, va ricordato che "il danno al patrimonio di una societa' a partecipazione pubblica conseguente a mala gestio da parte degli amministratori (o componenti dell'organo di controllo) e dei dipendenti, non e' qualificabile in termini di danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della detta societa' sia socio, atteso che la distinzione tra la societa' di capitali e i singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente, ne' di configurare un rapporto di servizio tra l'ente medesimo e l'agente; con il corollario che la domanda con la quale si fa valere la responsabilita' degli organi sociali resta generalmente devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (Sez. U, ordinanza n. 22712 del 11/09/2019, Rv. 655114; in termini: Sez. U, sentenza n. 16741 del 21/06/2019, Rv. 654581; Sez. U, ordinanza n. 22409 del 13/09/2018, Rv. 650605; Sez. U, ordinanza n. 30978 del 27/12/2017, Rv. 646737). Ne discende che la trattazione dei temi rilevanti per la configurazione dei reati contestati all'amministratore della societa' per azioni a partecipazione pubblica, non subisce alterazioni di sorta rispetto al binario tracciato in via ordinaria dalla L. Fall., articoli 216 e 223. Il panorama giurisprudenziale deve essere necessariamente completato ricordando come della vicenda (OMISSIS) si fossero occupate specificamente proprio le Sezioni Unite civili - a seguito dell'azione di responsabilita', esercitata dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti della regione Lazio, nei confronti di numerosi soggetti che avevano rivestito la carica di dirigenti apicali ed amministratori di (OMISSIS) s.p.a., tra cui anche il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) - che, con l'ordinanza n. 23306 del 13/11/2015, Rv. 637293, avevano ribadito come "l'azione di risarcimento dei danni subiti da (OMISSIS) s.p.a. - societa' a partecipazione pubblica, svolgente attivita' economica e commerciale in regime di libero mercato - per effetto di condotte illecite dei suoi presidenti, amministratori e dirigenti apicali, spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto l'autonomia patrimoniale di essa esclude ogni rapporto di servizio tra agente ed ente pubblico danneggiato ed impedisce di configurare come erariali le perdite che restano esclusivamente della societa', regolata, nel caso, come ogni altro soggetto sovrapersonale di diritto privato". In detto contesto - basato sulla prospettazione secondo la quale i soggetti convenuti avessero causato per mala gestio, tra il 2002 ed il 2008, ingenti perdite alla societa' amministrata, provocandone lo stato di insolvenza - era stato proposto regolamento preventivo di giurisdizione, relativamente al quale era stato affermato che la giurisdizione dovesse essere attribuita al giudice ordinario, avuto riguardo alla natura di ente privato della societa' ed all'autonomia giuridica e patrimoniale di essa rispetto al socio pubblico, non essendo configurabile ne' un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, ne' un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. In questa ottica, quindi, erano emersi alcuni indici significativi - quali il processo di liberalizzazione del settore del trasporto aereo, iniziato sin dagli anni ‘80 e compiuto nel 1997, con la liberta' di fissare le tariffe secondo valutazioni discrezionali di carattere economico; la conseguente esclusione, in caso di erogazione da parte dei soci pubblici, di aiuti di stato nei confronti di (OMISSIS), configurando questi quali conferimenti di capitali - che consentono di affermare che il ruolo di (OMISSIS) si fosse uniformato a quello di un'impresa che svolge la sua attivita' in regime concorrenziale di libero mercato nazionale ed internazionale, avendo ormai perso la fisionomia di "compagnia di bandiera", per cui i finanziamenti erogati nel tempo dal socio pubblico rientravano nel normale procedimento privatistico, quali forme di partecipazione al capitale sociale nel quale sono confluiti, anche ai fini degli aumenti dello stesso. Conclusivamente, quindi, negli anni di riferimento, la societa' svolgeva un'attivita' economica e commerciale in regime di mercato libero e la sua veste giuridica non rappresentava un mero schermo di copertura di una struttura amministrativa pubblica, come peraltro confermato anche dalle emergenze dibattimentali nell'ambito del presente procedimento. Sicche' non puo' che concludersi come la prospettazione difensiva appaia sconfessata da diverse angolazioni, ne' sembra possibile dimenticare come le stesse considerazioni difensive risultino intrinsecamente contraddittorie, in quanto, da un lato, ci si duole dell'invasione di campo da parte del giudice penale in riferimento alle scelte aziendali effettuate, che si assumono discrezionali, mentre, sotto altro profilo, ci si riferisce ad un accordo intervenuto tra il Governo e le sigle sindacali in una fase cronologicamente posta a valle dell'adozione delle predette scelte, qualificate come distrattive e dissipative, ossia in una fase in cui dette scelte avevano gia' prodotto i loro effetti in termini economico-finanziari, con conseguente cristallizzazione della rilevanza penale delle condotte. 2. L'analisi del secondo motivo di ricorso richiede un breve excursus dell'istituto della business judgment rute, la cui doverosa applicazione, a detta della difesa, sarebbe stata, nel caso in esame, travalicata e travolta dai giudici di merito. Detta regola, in estrema sintesi, discende dall'elaborazione della dottrina statunitense del diciannovesimo secolo, in seguito alle prime azioni di responsabilita' contro gli amministratori di societa' di capitali; le vicende di cui si era occupata la giurisprudenza dello Stato del Delaware (anche se il primo principio giurisprudenziale americano viene ricondotto ad una decisione della Corte Suprema della Louisiana del 1829), riguardavano, essenzialmente, azioni intese a contestare le valutazioni, effettuate dal CdA, di assets societari durante operazioni di fusione societaria e, in tale contesto, ci si era posto il problema circa la necessita' di verificare se i danni occorsi alla societa' fossero addebitabili a carenze da parte del CdA nell'adempimento dei propri compiti, con le conseguenze sull'operativita' di detta regola in ambito processuale. Piu' precisamente, la regola consiste in una presunzione secondo cui gli amministratori agiscono su base informata, in buona fede e nell'interesse della societa', con la conseguenza di esonerare da responsabilita' il board of directors purche' abbia assunto decisioni corrette, valutate attraverso una serie di fiduciary duties quali: the duty of care; the duty to monitor; the duty to inquiry; the duty of loyalty. Nei casi in cui gli amministratori abbiano assunto una decisione qualificabile come ragionevole/razionale, al verificarsi di risultati negativi essi saranno affrancati da eventuali responsabilita', poiche' titolari di una certa discrezionalita' nel decidere sull'opportunita' di un progetto. Cio' in quanto la gestione dell'attivita' di impresa comporta dei rischi, per cui estendere la cognizione del giudice anche al merito della decisione deprimerebbe l'attivita' di gestione, rallentando e compromettendo il processo decisionale, anche in riferimento a scelte corrette a livello procedurale - per qualita' e quantita' di informazioni acquisite - e sostanziale - in riferimento alla ragionevolezza al momento della deliberazione -, che verrebbero compromesse pur di evitare risultati negativi. 2.1 Come noto, tale tematica ha fatto si' che la dottrina abbia approfondito l'aspetto sotto l'angolatura della differenza tra discrezionalita' amministrativa e discrezionalita' tecnica, giungendo alla conclusione che - laddove la prima consiste nella scelta di un'opzione tra le diverse possibili, mentre la seconda utilizza determinate cognizioni tecniche, tali da pervenire a risultati prestabiliti sarebbero insindacabili le scelte frutto di discrezionalita' imprenditoriale, mentre sarebbero, al contrario, sindacabili le scelte discrezionali meramente tecniche, specie se prive di ragionevolezza o di buon senso. Il nostro ordinamento ha valutato l'applicabilita' della regola della business judgment rule in tema di responsabilita' dell'amministratore per le scelte operate; trattasi, come noto, di responsabilita' contrattuale, ex articolo 2932 c.c., Per la verita', va ricordato che, anche a prescindere dalla business judgment rule, la giurisprudenza delle Sezioni civili era gia' approdata alla conclusione secondo la quale "all'amministratore di una societa' non puo' essere imputato a titolo di responsabilita', ex articolo 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalita' imprenditoriale e puo' pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilita' contrattuale nei confronti della societa'. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non puo' mai investire le scelte di gestione (o le modalita' e circostanze di tali scelte), ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalita'" (Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 3652 del 28/04/1997, Rv. 503948). In ogni caso, alla business judgment rule fa espresso riferimento sempre la medesima Sez. 1 (sentenza n. 3409 del 12/02/2013, Rv. 625022; sentenza n. 17441 del 31/08/2016, Rv. 641164; nonche' sentenza n. 15470 del 22/06/2017, Rv. 644464), in tema di responsabilita' contrattuale per i danni cagionati alla societa' dagli amministratori, i quali, in riferimento al testo dell'articolo 2932 c.c., come modificato all'esito della riforma dell 2003, - ferma l'applicazione della business judgment rule, secondo cui le loro scelte sono insindacabili a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti rispondono non gia' con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell'articolo 2392 c.c., ma in virtu' della diligenza professionale esigibile ex articolo 1176 c.c., comma 2. In sostanza, quindi, deve ritenersi pacifico che all'amministratore di una societa' non possa essere imputato a titolo di responsabilita', ex articolo 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, poiche' tale valutazione attiene alla discrezionalita' imprenditoriale e puo', eventualmente, rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilita' contrattuale nei confronti della societa'; tuttavia, seppure il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non puo' mai investire le scelte di gestione, ne' le modalita' e le circostanze di tali scelte, anche se di rilevante alea economica, e' pur vero che, in tale giudizio, puo' ben sindacarsi l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalita', il che implica la valutazione della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere. 2.2 Tanto premesso, appare evidente come l'assetto raggiunto dall'ermeneusi civilistica, sul tema della business judgment rule, non possa essere automaticamente traslato nel campo della valutazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi di un reato, quale la bancarotta fraudolenta patrimoniale, che puo' involgere la considerazione di scelte imprenditoriali. Cio' che appare necessario chiarire, infatti, e' come il concetto di fondo della business judgment rule sia connotato geneticamente dalla sua elaborazione in un contesto risarcitorio, tipicamente civilistico, il che, pertanto, non ne consente l'automatica applicazione in riferimento alla struttura di un reato, la cui configurazione non solo non si arresta sulla soglia della valutazione ex ante della scelta imprenditoriale, ma postula, altresi', l'accertamento di una esposizione a rischio del patrimonio sociale, in dipendenza da quella scelta. In tal senso appare al Collegio come l'impostazione difensiva risenta di un errore metodologico di fondo, nella misura in cui non sembra considerare come ai fini della valutazione della sussistenza della fattispecie di bancarotta fraudolenta quale reato di pericolo concreto - l'interprete debba certamente porsi nell'ottica del soggetto agente nella fase in cui egli aveva operato la scelta imprenditoriale, ma deve, altresi', considerare l'effetto che tale scelta ha, in concreto, determinato sull'assetto patrimoniale una volta intervenuto il fallimento (o la dichiarazione di stato di insolvenza). Ed in tale contesto ermeneutico, in realta', si deve operare ben al di la' della semplice valutazione di scelte discrezionali dell'imprenditore (e di tutte le conseguenti disquisizioni sui criteri ed i limiti di tale possibile valutazione), posto che non ci si trova affatto in presenza di fattispecie punita a titolo di colpa, bensi' di fattispecie il cui elemento soggettivo e' costituito dal dolo. Sicche' la peculiarita' dell'operazione interpretativa sta nella verifica, che si compie allorquando si e' gia' determinata una vicenda dannosa per la garanzia dei creditori, di cui occorre accertare se l'agente si fosse fatto carico, in prospettiva, nel momento in cui aveva adottato una certa opzione; in realta', tale valutazione ex ante non prende affatto in considerazione la scelta in se', puramente e semplicemente, sotto la lente della ragionevolezza, ma va ben al di la' di un sindacato avente ad oggetto scelte discrezionali, dovendo, cioe', farsi carico di un accertamento ben piu' complesso ed articolato, consistente nel verificare se l'agente avesse previsto come possibili determinati esiti e conseguenze della propria scelta e della propria conseguente condotta, accettando la loro verificazione, anche nella consapevolezza del danno che le stesse possono arrecare alla garanzia dei creditori e abbia, cio' nondimeno, agito. Sicche' cio' che rileva, nel quadro ricostruttivo del giudice penale, non e' una scelta irragionevole, ma una scelta del tutto macroscopica ed abnorme, ossia manifestamente configgente ed incoerente con la tutela del ceto creditorio e con la logica di impresa, tenuto conto del concreto contesto di riferimento sottoposto al giudicante. 2.3 Sicuramente il limite applicativo puo' risultare apparentemente piu' problematico in riferimento a specifiche forme di manifestazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale, quale, appunto, la dissipazione, che rileva nella presente sede, e cio' per la stessa connotazione strutturale della fattispecie. Non vi e' dubbio, infatti, che la bancarotta per dissipazione, tra le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, possa dirsi connotata da una certa fragilita' applicativa, che si riflette, conseguentemente, anche sul piano ermeneutico, a fronte della robusta evoluzione interpretativa di cui e' stata oggetto la bancarotta patrimoniale per distrazione. La condotta dissipativa pacificamente implica una diminuzione effettiva del patrimonio in danno dei creditori, a differenza delle forme di manifestazione della distrazione, dell'occultamento e della dissimulazione, nonche' del riconoscimento di passivita' inesistenti, in cui la diminuzione del patrimonio puo' anche essere simulata. Cio' che appare indiscutibile e' che la bancarotta per dissipazione risente di una minor incidenza applicativa e, quindi, di una ridotta elaborazione giurisprudenziale rispetto alla bancarotta per distrazione; come noto, la piu' risalente giurisprudenza individuava il concetto di dissipazione nello sciupare, distruggere, consumare e scialacquare il patrimonio, individuando emblematicamente nel gioco la tipica e piu' ricorrente manifestazione di tale condotta (Sez. 5, sentenza n. 239 del 03/02/1967, Anselmo, Rv. 103662). Si era altresi' individuata una condotta caratterizzata dalla dispersione dei beni attraverso spese inconsiderate e meramente voluttuarie, o atti di prodigalita' inconsulta (Sez. 5, sentenza n. 834 del 23/05/1967, Giannuzzi, Rv. 105174). Ovviamente trattasi di concetti che assumono una fisionomia piu' precisa nel quadro del caso concreto (ad es., Sez. 5, sentenza n. 894 del 22/06/1971, Bruno, Rv. 119090, in cui le spese non necessarie e, come tali, dissipative, sono state individuate in quelle "fatte dall'imprenditore a scopo voluttuario ovvero per soddisfare le esigenze di una vita viziosa o la propria vanita'"), per cui l'elaborazione giurisprudenziale piu' recente ha optato per una individuazione dei connotati di tale condotta essenzialmente quale risultante dalla comparazione con la fattispecie di bancarotta semplice, individuandone il discrimine in riferimento alla finalita' delle operazioni. Si e', pertanto, affermato che nella dissipazione la consumazione del patrimonio non ha la sua causa nella vita economica dell'azienda, mentre nelle operazioni di pura sorte si arrischia una parte del patrimonio per una finalita' avente la sua base nella suddetta vita economica (Sez. 5, sentenza n. 1303 del 12/12/1972, dep. 14/02/1973, Leorato, Rv.:123212), accentuando la differenza nella connotazione di razionalita' che, quanto meno in astratto ed in riferimento alle esigenze dell'impresa, deve connotare le operazioni manifestamente o gravemente imprudenti, le quali, tuttavia, si concretano in un errore di valutazione, laddove detto errore deve essere escluso a priori in una condotta preordinata e sistematica di dissipazione, connotata da "eccessivita'", e, ovviamente, caratterizzata dall'elemento soggettivo del dolo (Sez. 5, sentenza n. 5850 del 21/03/1979, Gilli, Rv. 142346, in riferimento a vendite sottocosto; Sez. 5, sentenza n. 455 del 06/03/1967, Marchetti, Rv. 104565). Sotto detto ultimo aspetto si e', inoltre, specificato che, mentre nel caso di bancarotta fraudolenta per dissipazione si richiede un cosciente e volontario atto di dispersione del patrimonio, nel caso di bancarotta semplice e' sufficiente una iniziativa imprudente ed avventata, ossia caratterizzata da un riscontrabile errore di valutazione (Sez. 5, sentenza n. 10523 del 16/07/1981, Alecce, Rv. 151089; Sez. 5, sentenza n. 12874 del 07/03/1989, Bruzzese, Rv. 182141; Sez. 5, sentenza n. 2876 del 10/06/1998, dep. 03/03/1999, Vichi W., Rv. 212608; Sez. 5, sentenza n. 38835 del 23/10/2002, Galluccio, Rv. 225398, secondo cui "l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per dissipazione si differenzia dalla fattispecie della consumazione di una notevole parte del patrimonio dell'imprenditore per effetto di operazioni manifestamente imprudenti, punita a titolo di bancarotta semplice, sia sul piano soggettivo, in quanto esige la coscienza e la volonta' dell'agente di diminuire detto patrimonio per scopi del tutto estranei all'impresa, sia sul piano oggettivo, in quanto l'operazione fraudolenta e' priva del pur minimo profilo di coerenza con le esigenze dell'impresa stessa. Ne consegue che il giudice puo' ritenere integrata a fortiori l'ipotesi di bancarotta semplice, qualora non sia raggiunta la prova del dolo tipico della dissipazione, anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alle esigenze di conduzione dell'impresa"). E' chiaro che l'attuale complessita' delle strutture societarie, spesso articolate in gruppi societari, rende ancor piu' nevralgico il discrimine tra le indicate fattispecie, in quanto le vicende concrete richiedono l'esame di condotte imprenditoriali che, molto spesso, appaiono difficilmente riconducibili ai prototipi della dissipazione enucleati dalla giurisprudenza negli anni passati. Altrettanto palesemente la nozione di dissipazione e' apparsa sempre piu' destinata ad essere apprezzata in forma residuale rispetto alla bancarotta fraudolenta per distrazione, da un lato, ed alla bancarotta semplice per operazioni aleatorie o imprudenti, sicche' nella giurisprudenza di legittimita', progressivamente, si e' manifestata l'esigenza di qualificare la condotta dissipativa in maniera piu' precisa ed appropriata (Sez. 5, sentenza n. 47040 del 19/11/2011, Presutti, Rv. 251218; Sez. 5, sentenza n. 34836 del 30/05/2017, Gironi, Rv. 270784, che hanno sottolineato come la distinzione fra le due ipotesi si basi su elementi di carattere sia oggettivo che soggettivo, in quanto, sotto il primo profilo, le operazioni contestate, per essere ascritte alla fattispecie della bancarotta semplice, devono presentare un minimo carattere di coerenza e razionalita' nella prospettiva delle esigenze dell'impresa, laddove la fattispecie fraudolenta si realizza in presenza di operazioni incoerenti con le esigenze dell'impresa, tali da ridurne il patrimonio; mentre, per l'aspetto soggettivo, la configurabilita' dell'ipotesi della bancarotta fraudolenta richiede comunque la prova del dolo tipico della distrazione o della dissipazione, ossia della consapevolezza dell'imputato di diminuire il patrimonio per scopi del tutto estranei all'impresa). Nella motivazione della sentenza Gironi del 2017, sopra richiamata, si legge in particolare che, posto che la fattispecie delittuosa della bancarotta per dissipazione "si configura in presenza di operazioni incoerenti con le esigenze dell'impresa, che ne riducono il patrimonio", la condotta contestata in quella fattispecie concreta (mancato versamento di contributi previdenziali) non appariva ex se riconducibile al paradigma normativo: "la stessa, infatti, pur potendo espressamente essere qualificata come un'operazione, o per meglio dire una serie di operazioni, incoerenti con il legittimo esercizio dell'attivita' di impresa, non incide direttamente sulla consistenza patrimoniale dell'impresa stessa, viceversa esponendo quest'ultima all'eventuale insorgenza di un obbligo sanzionatorio nei confronti dell'erario. A diverse conclusioni potrebbe giungersi laddove la condotta addebitata fosse delineata nella spendita ad altri fini di risorse destinate al pagamento dei contributi, o la cui uscita sia comunque contabilmente giustificata in questi termini; situazione nella quale, e solo nella quale, troverebbe peraltro applicazione l'ipotesi della bancarotta per distrazione". Cio' che, quindi, viene in rilievo, ai fini della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale dissipativa, e' la connotazione di originaria ed inequivocabile incoerenza della condotta, la quale deve essere non solo tale da determinare quantomeno il pericolo di una effettiva diminuzione della garanzia patrimoniale, ma, nel contempo, non deve trovare alcuna giustificazione in una scelta gestionale che sia compatibile con la logica d'impresa. 2.4 Detta affermazione sembrerebbe, quindi, legittimare il richiamo ad un sindacato incentrato sulle scelte imprenditorian, nel senso evocato dalla difesa; tuttavia occorre intendersi sul significato del sindacato giurisdizionale, che non puo' prescindere dalla struttura del reato in esame, per quanto la complessita' delle possibili manifestazioni di bancarotta per dissipazione possa prestarsi ad equivoci ermeneutici. Un primo aspetto che occorre esaminare e' quello concernente il nesso di causalita' tra la condotta dissipativa ed il dissesto dell'impresa. Come noto, del tutto pacificamente - a parte una pronuncia isolata rimasta priva di successive conferme (Sez. 5, sentenza n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493) non vi e' alcun dubbio che, in tema di bancarotta per distrazione, la condotta sanzionata dalla L. Fall., articolo 216, e, per le societa', dall'articolo 223, comma 1, stessa legge, non e' quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensi' quella di depauperamento dell'impresa, consistente nell'averne destinato le risorse ad impieghi estranei all'attivita' dell'impresa medesima (Sez. 5, sentenza n. 232 del 09/10/2012, Sistro, Rv. 254061; Sez. 5, n. 7545 del 25/10/2012, Lanciotti, Rv 254634; Sez. 5, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv 246879; Sez. 5, n. 11739 del 05/12/2013 dep. 11/03/2014, Marafioti, Rv. 260199; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262741; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261942; Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260690). Evidentemente anche nella condotta di bancarotta fraudolenta dissipativa non e' richiesto alcun nesso causale tra la condotta e lo stato di insolvenza. Ed infatti tutte le ipotesi alternative, previste dalla norma di cui alla L. Fall., articolo 216, a prescindere dalla specifica connotazione del caso concreto, si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori: per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell'autore ed il dissesto dell'impresa, sicche' ne' la previsione dell'insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell'atto dispositivo, ne' la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell'atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell'antigiuridicita' penale della condotta. Gia' detta connotazione morfologica del reato rende evidente come il sindacato delle scelte imprenditoriali appaia sicuramente non essenziale ne' richiesto, nei termini delineati dalla difesa, come al contrario sarebbe, molto piu' verosimilmente, necessario qualora la condotta penalmente rilevante fosse collegata da un nesso di causalita' con il dissesto e con il fallimento dell'impresa. Cio', pero', non significa affatto che le scelte imprenditoriali non debbano essere valutate dal giudice di merito; al contrario, proprio la natura del reato rende, in concreto, nevralgico l'accertamento inerente la scelta imprenditoriale, in un'ottica, tuttavia, assolutamente delimitata: alla luce delle piu' o meno complesse situazioni aziendali, infatti, il giudice dovra' considerare, caso per caso, se la condotta si fondi o meno su una ponderazione di tutte le circostanze e le variabili specificamente determinanti; la valutazione ex ante, in altri termini, richiede di verificare se il soggetto agente abbia ponderato tutte le possibili conseguenze che l'opzione adottata, in uno specifico contesto economico ed imprenditoriale, avrebbe potuto determinare, nella prospettiva di accertare se fosse, quindi, prevedibile che la soluzione adottata potesse effettivamente mettere a repentaglio la conservazione della garanzia patrimoniale dell'impresa poi fallita. Non bisogna, infatti, dimenticare che i confini del sindacato sulla gestione dell'impresa sono piu' che determinati ed individuati dall'oggetto della tutela, costituito dall'interesse dei creditori alla conservazione della garanzia, e contemporaneamente dalle stesse modalita' di aggressione normativamente tipizzate e selezionate per l'incriminazione (Sez. 5, sentenza n. 34812 del 20/05/2019, Centra, Rv. 276775; Sez. 5, sentenza n. 44103 del 27/06/2016, Ferlaino ed altro, Rv. 268206). Deve percio' convenirsi con la lettura del quadro normativo - anche alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale in subiecta materia - proposta dalle difese delle parti civili " (OMISSIS)", " (OMISSIS)", " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)" (tutte s.p.a. in a.s.) nella memoria depositata in vista dell'odierna udienza. Si legge in particolare, nello scritto ora menzionato, che secondo i difensori dei ricorrenti "potrebbero considerarsi dissipative solo le attivita' imprenditoriali incoerenti "in senso assoluto" rispetto all'oggetto sociale dell'impresa", con il risultato di non poter valutare tali le operazioni in rubrica (rivelatesi di fatto inopportune od imprudenti, ma sulla base degli effetti che ne derivarono in concreto e non a seguito di verifica ex ante); cio' perche', anche in base alla business judgment rute, che si vorrebbe di automatica applicazione nell'ordinamento italiano, "non sarebbe consentito al giudice penale esprimere giudizi postumi sull'opportunita' economica delle scelte degli amministratori di un'azienda, sia perche' tali giudizi sarebbero connotati da eccessiva discrezionalita', sia perche' un simile modus operandi si tradurrebbe, di fatto, in una indebita ingerenza del potere giudiziario nella sfera di liberta' dell'iniziativa economica privata". Al contrario, come gia' segnalato, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo fatto rientrare nella nozione di attivita' dissipative non solo quelle completamente estranee all'oggetto sociale, ma anche quelle che si dimostrino "incoerenti con le esigenze economiche dell'azienda. Sotto il profilo dell'elemento oggettivo, quindi, la bancarotta per dissipazione ha una portata applicativa maggiore rispetto a quella pretesa dai ricorrenti, rientrandovi anche le attivita' che si pongono in termini di incoerenza "relativa" rispetto alle necessita' imprenditoriali". In tale prospettiva, come parimenti chiarito da varie pronunce di legittimita', assumono particolare significativita' le condizioni economico-patrimoniali dell'impresa: ed ecco perche' il contesto societario di (OMISSIS), connotato da oggettiva e grave condizione di sofferenza economica, assurge a dato di assoluta importanza. Del resto, se la bancarotta patrimoniale deve intendersi reato di pericolo concreto, non e' affatto dato neutro che eventuali condotte di depauperamento dell'impresa vengano poste in essere in una situazione sostanzialmente gia' prefallimentare, il che "rende assai piu' probabile l'impatto negativo sul patrimonio sociale delle operazioni in esame". In definitiva, ci si trova al cospetto di operazioni che, fossero o meno compatibili con il tipo di attivita' descritta nell'oggetto sociale, erano - per come descritte nei vari capi d'imputazione, ma con le precisazioni che di seguito dovranno essere specificamente evidenziate dal Collegio - "strutturate ed attuate in modo di per se' antieconomico" e "si ponevano in totale contrasto con gli interessi contingenti dell'azienda". 2.5 Le osservazioni della difesa delle parti civili colgono nel segno anche sotto un diverso profilo, facendo rilevare come i comportamenti descritti in rubrica siano comunque idonei ad assumere valenza anche distrattiva (talora, espressamente sottolineata nel capo d'imputazione). Premesso che, nell'ambito della fattispecie incriminatrice, le condotte di occultamento, dissimulazione, distrazione e dissipazione appaiono equivalenti, senza che possano porsi questioni di correlazione tra fatto contestato e fatto diverso eventualmente ritenuto, la memoria in esame ricorda correttamente come un'ipotesi distrattiva ricorra "ogni qual volta un atto di disposizione patrimoniale si ponga in contrasto con la funzionalita' o lo scopo sociale dell'impresa", sottraendone i beni alla essenziale funzione di garanzia patrimoniale a tutela dei creditori. Ergo, e' indubbio che le condotte qui contestate possano essere (e siano state in concreto) qualificate indifferentemente come dissipazioni o distrazioni: cio' che conta e' la doverosa verifica che le stesse abbiano provocato "anche solo il pericolo di una effettiva diminuzione della garanzia patrimoniale, che non trovi una sua giustificazione in una scelta gestionale compatibile con la logica d'impresa". A rendere evidente la prossimita' concettuale delle categorie giuridiche della dissipazione e della distrazione, peraltro, sono le stesse pronunce richiamate nell'interesse dei ricorrenti in tema di vendite sottocosto. Vero e', ad esempio, che e' stato affermato il principio secondo cui "in tema di reati fallimentari, non sussistono gli estremi costitutivi della bancarotta per dissipazione nel caso di vendita di merce sottocosto, la quale richiede, sotto il profilo oggettivo, l'incoerenza assoluta, nella prospettiva delle esigenze dell'impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza dell'autore della condotta di diminuirne il patrimonio per scopi ad essa estranei" (Sez. 5, n. 5317 del 17/09/2014, dep. 04/02/2015, Franzoni, Rv. 262225); ma lo sviluppo motivazionale della pronuncia chiarisce come debba essere affrontato il problema dell'eventuale valenza distrattiva della medesima condotta. Muovendo dal presupposto che per aversi l'ipotesi della bancarotta fraudolenta per dissipazione sono necessari i requisiti indicati nella massima anzidetta, questa Corte segnalo' che, nel caso allora in esame, la presunta condotta dissipativa, consistente nella vendita di merce sottocosto, aveva pur sempre realizzato "scopi funzionali all'attivita' della societa' attraverso operazioni economiche, comunque, coerenti con l'attivita' commerciale svolta dagli imputati nel settore dell'abbigliamento"; non di meno, la fattispecie concreta ben avrebbe potuto qualificarsi come distrazione, in vista della quale, tuttavia, sarebbe stato necessario dimostrare che le vendite sottocosto avessero avuto i caratteri della preordinazione e della sistematicita'. Alle stesse conclusioni porta, in vero, un altro precedente di legittimita' in solo apparente distonia, la cui massima ufficiale recita che "in tema di reati fallimentari, integra il delitto di bancarotta per dissipazione la sistematica vendita di merce sottocosto, qualora tale prassi sia inconciliabile con il raggiungimento dello scopo sociale e incoerente con il soddisfacimento delle esigenze dell'impresa, e sia dimostrata la consapevolezza dell'agente di diminuire il patrimonio societario per scopi estranei all'oggetto sociale" (Sez. 5, n. 38707 del 03/05/2019, Ceravolo, Rv. 277318); analizzando la motivazione, si rileva come la fattispecie concreta riguardasse un caso in cui i giudici di merito avevano "plausibilmente ritenuto dimostrato che il corrispettivo delle vendite era stato intascato dal ricorrente, che pertanto aveva in tal modo perseguito solo il suo personale arricchimento". Risultava pacificamente ravvisabile, pertanto, una condotta di rilievo penale pure in termini di obiettiva distrazione. Da ultimo, e' stata parimenti qualificata come dissipativa una ipotesi di cessione infragruppo rimasta priva di adeguato ristoro, con concentrazione del debito erariale sulla disponente (Sez. 5, n. 1556 del 06/12/2019, dep. 16/01/2020, Bellin, n. m.): la pronuncia ora richiamata chiarisce che integra il reato L. Fall., ex articolo 216, "la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale (..). Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sussiste, difatti, anche in presenza di un'iniziativa economica in se' legittima, che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori (...) e, nel caso in disamina, l'iniziativa economica e' consistita nella cessione di un ramo di azienda di un'impresa in stato fallimentare, effettuata per un prezzo solo in minima parte corrisposto e che ha, pertanto, reso la cedente priva di beni e della possibilita' di proseguire utilmente l'attivita', con conseguente sottrazione di ogni garanzia per i crediti non compresi nel trasferimento (...). La bancarotta fraudolenta per dissipazione ha, infatti, natura di reato di pericolo concreto a dolo generico. In relazione a tale reato non ha, pertanto, incidenza ne' la finalita' perseguita in via contingente dal soggetto ne' si richiede uno specifico intento di arrecare un pregiudizio economico ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilita' di danno che possa derivare alle ragioni creditorie. L'argomentazione rassegnata al riguardo appare del tutto rispondente agli indicatori declinati dalla giurisprudenza piu' recente (...) ai fini della delibazione tanto della concreta pericolosita' della condotta dissipativa che riguardo alla consapevolezza di siffatta pericolosita': si tratta di indici dotati di immediata evidenza dimostrativa, al di fuori di qualsiasi logica presuntiva, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'agente ha operato, avuto riguardo alla continuita' soggettiva delle parti; nella irriducibile estraneita' del fatto generatore dello squilibrio tra cessione e realizzo rispetto ai canoni di ragionevolezza imprenditoriale, rilevanti anche nella fase liquidatoria, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrita' del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori e, nella specie, la liquidazione, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volonta' della condotta in concreto pericolosa. Di guisa che la condotta ascritta agli imputati, per come ricostruita nelle sentenze di merito, appare caratterizzata da plurimi indici di fraudolenza (...) e da un'indubbia idoneita' depressiva della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c.". In definitiva, quindi, cio' che connota la condotta dissipativa e' una radicale incongruita' dell'opzione imprenditoriale, che non puo' essere apprezzata se non in relazione alle dimensioni ed alla complessita' dell'impresa, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti al momento in cui detta opzione e' stata adottata; cio', in altri termini, consente di chiarire come oggetto di rimprovero - in riferimento alla bancarotta patrimoniale per dissipazione - non sono le scelte imprenditoriali dannose in se' (queste ultime eventualmente rilevanti, in determinati casi, ai sensi della L. Fall., articolo 217), bensi' quelle che si risolvono in una ingiustificata e volontaria sottrazione dei beni dell'impresa alla loro naturale funzione di garanzia delle passivita' della medesima. 2.6 Proprio detto inquadramento rende evidente come il ricorso alla business judgment rute costituisca una vera e propria superfetazione, nel caso di specie, ossia in riferimento alla bancarotta patrimoniale dissipativa; in relazione a tali condotte, infatti, non viene coinvolto un livello valutativo che ponga in discussione scelte imprenditoriali discrezionali, con conseguente ingerenza del sindacato penale nella dimensione decisionale che opera sul piano tecnico-economico, apparendo pacifico che gli amministratori di societa' non garantiscono affatto il successo finanziario dell'impresa. In tal senso occorre chiarire, quindi, come non si possa certamente individuare, in capo al giudice penale, alcun compito di sindacare scelte imprenditoriali che si basano su valutazioni di carattere tecnico, economico e/o finanziario; e cio' non solo per le difficolta' ricostruttive che dette operazioni possono comportare, ma soprattutto perche' cio' esula del tutto dalla struttura normativa della fattispecie. Il parametro valutativo che accomuna tutte le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e' costituito dalla misura del divario originario che si crea tra la condotta, manifestazione di determinate scelte imprenditoriali, e la garanzia dei creditori; tale operazione deve essere sviluppata ponendosi nell'ottica del soggetto agente, di cui va considerata la consapevolezza, anche in relazione alle condizioni economico-finanziarie dell'impresa, e, quindi, la conseguente capacita' predittiva circa l'incidenza delle sue scelte sulla tenuta del patrimonio aziendale in funzione di garanzia. Cio' rende palese come nessuna valutazione di opportunita' tecnica sia richiesta in riferimento alla tipologia di scelte operate dall'imprenditore, in quanto una scelta notevolmente rischiosa in termini economici puo' senz'altro risultare penalmente irrilevante in riferimento a condizioni strutturali dell'azienda del tutto tranquillizzanti e prive di segnali di crisi al momento in cui la scelta stessa e' stata adottata; cio', in altri termini, implica, da parte del giudicante, la valutazione non della scelta in se', ma della prospettazione, da parte dell'imprenditore, delle conseguenze di detta scelta in riferimento anche alle condizioni dell'azienda. Il che, in altri termini, rende evidente come si sia del tutto al di fuori della presunta operativita' della business judgment rule. E' chiaro, come gia' detto, che l'elaborazione giurisprudenziale potra' valutare l'incidenza della richiamata regola in riferimento ad altre fattispecie - quali, ad esempio, la stessa bancarotta semplice per operazioni imprudenti o aleatorie ma cio' solo in coerenza con la struttura di una fattispecie incriminatrice penale rispetto alla quale dovra' essere valutata l'applicazione di un principio la cui genesi e' assolutamente eccentrica rispetto alla dimensione penale. Pertanto, detta regola non rileva certamente nel caso di specie, in cui la natura macroscopica della condotta dissipativa si pone come limite negativo di applicazione della business judgment rule, in quanto non puo' che esulare da ogni valutazione di discrezionalita' ed opportunita' quella condotta che, con giudizio ex ante, si ponga in drastico ed irrimediabile conflitto con la funzione di garanzia patrimoniale dei beni dell'impresa, unica ottica rispetto alla quale il giudice penale puo' e deve valutare la coerenza delle scelte imprenditoriali con le finalita' dell'impresa. Tale principio esegetico-ricostruttivo esclude il rischio che, in caso contrario, si verificherebbe, non essendo affatto codificate le finalita', rilevanti sul piano economico, produttivo ed imprenditoriale, a cui puo' ispirarsi l'imprenditore, soprattutto in considerazione delle complesse ed articolate realta' aziendali che operano sul mercato e sulla pacifica insindacabilita' delle scelte che possono comportare anche rischi finanziari. 2.7 In questo senso appare opportuno effettuare una precisazione in riferimento alla diversita' tra la bancarotta fraudolenta distrattiva e quella dissipativa: nella prima, che si concreta in un distacco dal patrimonio dell'imprenditore di beni destinati alla garanzia dei creditori vanno richiamati i principi ribaditi da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, secondo cui, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli delle ragioni dei creditori assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, quando ne abbiano messo in pericolo la soddisfazione (Sez. U., sentenza n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804). La distrazione, quindi, assume rilevanza penale in qualsiasi momento sia stata commessa, quindi anche se la condotta si e' realizzata allorquando l'impresa non versava in condizioni di insolvenza, purche' sia sorretta dalla consapevole volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Anche nella bancarotta dissipativa l'evento storico naturalistico va ravvisato nella diminuzione patrimoniale, eziologicamente connessa alla condotta, mentre l'evento normativo e' rappresentato dalla lesione degli interessi della massa dei creditoria. Tuttavia non puo' non considerarsi - anche alla luce dell'evoluzione dell'attivita' imprenditoriale e dai livelli di complessita' raggiunti - la peculiare connotazione della condotta: in questo caso, infatti, cio' che rileva non e' il distacco di beni dalla struttura patrimoniale dell'impresa, bensi' il loro impiego in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla funzione di garanzia patrimoniale per effetto di consapevoli scelte imprenditoriali. Tale connotazione, quindi, rende sicuramente piu' pregnante - rispetto alla bancarotta distrattiva - la focalizzazione della completa e consapevole accettazione dei rischi di determinate scelte imprenditoriali, che tengano conto delle specifiche condizioni economiche e finanziarie dell'impresa al momento della loro adozione. Innegabilmente, quindi, in tal senso, la bancarotta dissipativa pone al centro del fuoco ricostruttivo del giudice penale non solo e non tanto il bene - come nella bancarotta per distrazione - ma, soprattutto, la scelta dell'imprenditore, sotto il profilo della ponderata prospettazione di tutte le possibili conseguenze e ricadute, sebbene sempre nell'ottica della garanzia patrimoniale, come sin qui specificato. Sotto tale profilo non puo' che concordarsi con la difesa, che ha sottolineato l'evanescenza dei criteri indicati in alcuni passaggi motivazionali delle sentenze di merito. In tal senso, ad esempio, va ricordato che la sentenza di primo grado aveva inquadrato la vicenda in esame in un'ottica rivelatrice di criteri ermeneutici estranei alla funzione della norma incriminatrice, laddove e' stato considerato che "quanto maggiori sono le dimensioni dell'impresa e gli interessi pubblici coinvolti, anche tenuto conto di una situazione di crisi, tanto maggiore deve essere la prudenza con cui devono operare gli amministratori, che non devono farsi influenzare da interessi di tipo politico". Non si comprende bene a quali interessi di "tipo politico" si riferisca la sentenza, posto che, sul punto, la motivazione non offre alcuna delucidazione. Tuttavia, a prescindere da queste "cadute" motivazionali, non emerge, nel complesso, che l'impianto argomentativo delle sentenze di merito si sia discostato dall'assetto giurisprudenziale di legittimita' e dalla natura di reato di pericolo concreto della bancarotta fraudolenta patrimoniale. 2.8 Il delitto di bancarotta fraudolenta, come noto, e' reato di pericolo, e, pacificamente, risulta del tutto irrilevante che al momento della consumazione l'agente non avesse consapevolezza dello stato d'insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato. Cio' rende sicuramente meno nevralgico lo snodo, piu' volte sottolineato dalla difesa, secondo cui non corrisponde affatto alla realta' dei fatti che (OMISSIS) s.p.a. - come sottolineato dai giudici di merito - si trovasse, nel corso della gestione del (OMISSIS), in una condizione di sostanziale insolvenza, avendo l'imputato dovuto propendere per una procedura di tipo liquidatorio. A differenza, infatti, delle fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 1) e 2), - in cui la condotta rileva nella misura in cui abbia, rispettivamente, cagionato o concorso a cagionare il dissesto, nel caso di cui al n. 1) della disposizione citata, o cagionato il fallimento, nel caso di cui al n. 2) l'offesa penalmente rilevante, nella fattispecie che viene in rilievo nel caso in esame, e' conseguente anche alla sola esposizione dell'interesse protetto alla probabilita' di lesione. Sicche' la penale responsabilita' sussiste non soltanto in presenza di un danno attuale ai creditori, ma anche nella situazione di messa in pericolo dei loro interessi: percio', il delitto di cui alla L. Fall., articolo 216, non impone alcuna contestualita' tra l'azione antidoverosa ed il pregiudizio che ne deriva, ma ammette anche uno sfasamento temporale, se esso non elide il portato dannoso dell'azione. La tutela penale, in altri termini, dispiega la sua efficacia retroattivamente, risalendo dalla dichiarazione di fallimento, ovvero dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, rivisitando i passaggi della gestione dell'impresa nel pregiudizio che viene accertato al momento della verifica delle passivita' gravanti sulla stessa (Sez. 5, sentenza n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437; Sez. 5, sentenza n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, R.v. 251214; Sez. 5, sentenza n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214860). La fattispecie, quindi, e' delineata come reato di pericolo concreto, il che significa che l'imprenditore deve considerarsi sempre tenuto ad evitare l'assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel senso di doversi astenere da comportamenti che abbiano in se' margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella gestione dell'impresa (Sez. 5, sentenza n. 18517 del 22/02/2018, Lapis ed altri, Rv. 273073; Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378; e, per un'ampia disamina del problema, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella e altro, Rv. 27076301). Appare evidente, quindi, come le concrete condizioni economiche e finanziarie in cui l'imprenditore operi, di volta in volta, appaiano rilevanti in riferimento alla prova della sussistenza del reato, con particolare riferimento all'elemento soggettivo; quanto piu' critiche siano le condizioni dell'impresa, infatti, tanto piu' rilevante sotto l'aspetto penale potra' apparire l'assunzione di condotte fortemente rischiose che, nel contempo, non appaiano in linea con la gestione dell'impresa. Si tratta, all'evidenza, di una valutazione che compete al giudice di merito e che, nella misura in cui appaia coerente con le risultanze processuali ed immune da vizi logici, e' esente da qualsivoglia sindacato di legittimita'. Cio' nondimeno, appare necessario sottolineare come, al di la' di condotte manifestamente orientate nel senso della spoliazione dell'impresa, vi sono situazioni processuali nelle quali maggiormente delicata e' l'individuazione del connotato di "fraudolenza" della condotta, come ad esempio, in complesse realta' aziendali, le cui implicazioni appaiono difficilmente riconducibili ad un unico parametro valutativo, come nel caso in esame. Senza alcuna pretesa di esaustivita', quindi, cio' che nella presente sede puo' essere ricordato e' come possano essere individuati, volta per volta, una serie di parametri utili per orientare la ricostruzione della concreta fattispecie penalmente rilevante. Ad esempio, la sussistenza di condotte seriali scaturenti da scelte imprenditoriali complessivamente confliggenti con la tutela del ceto creditorio; la volonta' di privilegiare finalita' estranee alla gestione dell'impresa o concretamente configgenti con la stessa; l'estremo livello di rischio di determinate operazioni in riferimento alle condizioni patrimoniali dell'impresa, che si ponga, quindi, al di la' del rischio fisiologico, dimostrabile attraverso la presenza di elementi anomali di natura oggettiva; l'adozione di dette scelte in fasi in cui lo stato di crisi si era o meno manifestato ed era o meno conosciuto dall'agente. 2.9 Al di la' di quanto si dira' in seguito, in riferimento ai singoli aspetti della vicenda, cio' che occorre rilevare e' come, nel caso di specie, le sentenze di merito abbiano, nel complesso, piu' che compiutamente descritto la perduranza da anni della situazione in cui versava (OMISSIS) s.p.a., connotata da aspetti di forte criticita', che avevano, non a caso, richiesto l'adozione di un Piano Industriale orientato verso una netta inversione di tendenza rispetto alle politiche aziendali sino a quel momento perseguite; altrettanto evidentemente e' stato sottolineato come dette politiche avrebbero reso necessario il superamento di mentalita' desuete e di metodologie di confronto con le parti coinvolte che garantissero maggiore agilita' ed autonomia decisionale. Non a caso, infatti, la nomina del (OMISSIS) andava proprio in questo senso, nella misura in cui era stata individuata una persona di spessore, competenza ed esperienza professionale, sicuramente in grado di valutare la presenza di segnali d'allarme piu' che manifesti circa le condizioni di salute della compagnia, al quale era stato attribuito un ruolo che prevedeva la concentrazione di un potere pressoche' assoluto da un punto di vista decisionale. Pertanto, sicuramente coerente con detta impostazione, oltre che di rilevante spessore probatorio, appare la metodologia di fondo della sentenza impugnata, che ha dato rilievo all'apprezzamento di uno stato di crisi, conosciuto all'agente, e destinato ad orientare la lettura di ogni sua iniziativa nel contesto esaminato, alla luce di ulteriori indici significativi. La difesa ha variamente contestato il dato, sotto molteplici aspetti, al fine di dimostrare la condivisibilita' in termini economici delle scelte adottate dal (OMISSIS). Sotto tale aspetto, oltre a quanto gia' detto in termini di effettiva portata circa la sussistenza di uno stato di crisi economica al momento in cui viene posta in essere una condotta di bancarotta fraudolenta, e la rilevanza della stessa, in termini di individuazione degli "indici di fraudolenza", va ricordato che la situazione economica di (OMISSIS) nel luglio 2004 - secondo la decisione della Commissione Europea del 07/06/2005 relativa al piano di ristrutturazione, di cui si dira' piu' diffusamente in relazione al capo di imputazione sub A2) - partiva dalla constatazione di un forte degrado subito dalla compagnia dopo il 2003, come rivelato da un aggravamento delle perdite in bilancio pari ad Euro 379,5 milioni di Euro, laddove le perdite nell'esercizio precedente erano state di 118,5 milioni di Euro; inoltre, nel 2004 il fatturato aveva fatto registrare una flessione del 6% rispetto al 2003, per cui il risultato netto previsto per l'intero esercizio 2004 si prevedeva in perdita per 850 milioni di Euro. Il risultato del quarto trimestre 2004, in ogni caso, risultava migliore di quello del 2003 e, in tale contesto, il 20/07/2004, la Commissione aveva approvato un aiuto al salvataggio con decisione per un massimo di 400 milioni di Euro rappresentati da una garanzia di Stato su crediti di tesoreria, concessa all'interesse del 4,43% l'anno e rimborsabile, al massimo, in dodici mesi dopo l'ultima erogazione dei finanziamenti. Secondo la relazione sui conti della societa', alla data del 30 giugno 2004, presentata dagli amministratori di (OMISSIS), il prestito doveva servire a fronteggiare le esigenze finanziarie della societa' fino al marzo 2005. Difficilmente, quindi, si puo' ritenere che detto quadro - ufficialmente cristallizzato dalla decisione della Commissione Europea - possa definire una situazione economicamente florida. Al contrario, essa sicuramente poteva e doveva essere considerata come un indiscutibile segnale d'allarme, ossia uno dei dati da cui desumere quanto meno il rischio per il verificarsi di un evento pregiudizievole per l'impresa. In tal senso appare opportuno richiamare il preciso indirizzo esegetico di questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella ed altro, Rv. 270763 e giurisprudenza ivi ampiamente citata) in riferimento all'accertamento del fatto distrattivo - con considerazioni parimenti valide per il fatto dissipativo laddove e' stata sottolineata l'irriducibile estraneita' del fatto generatore dello squilibrio tra attivita' e passivita' rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrita' del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volonta' della condotta in concreto pericolosa. In particolare, va ricordato che "nella medesima linea interpretativa, si e' affermato che la bancarotta fraudolenta patrimoniale e' reato di pericolo concreto (...), rispetto al quale l'esito concorsuale va inteso come "come prospettiva nella quale deve essere valutata l'effettiva offensivita' della condotta" (...): prospettiva, questa, che, per non svilire la capacita' selettiva della configurazione della fattispecie come reato di pericolo concreto, non puo' prescindere dalla valutazione dell'attitudine del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce della specifica, complessiva condizione in cui versa l'impresa su un piano generale, infatti, "per integrare l'elemento psicologico del delitto in questione non occorre che l'impresa sia in stato di dissesto e che di tale stato sia consapevole l'agente" (...). Fuori dall'ipotesi di esposizione o riconoscimento di passivita' inesistenti, dunque, l'elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale va ravvisato nel "dolo generico, cioe' nella consapevole volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalita' dell'impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori", consapevolezza che "deve essere desunta da tutti gli elementi che caratterizzano la condotta dell'imputato con una analisi puntuale degli stessi"". La sentenza Sgaramella citata, inoltre, appare in questa sede utile e funzionale nella misura in cui essa ha passato in rassegna tutta una serie di decisioni di legittimita' - per le quali si rinvia alla motivazione della medesima pronuncia - che danno conto "in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della "fraudolenza" del fatto di bancarotta patrimoniale e, dunque, non solo dell'elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame". Nel caso oggi sub judice puo' dirsi, in linea generale, che, in riferimento ad alcune delle fattispecie esaminate - come sara' di seguito meglio specificato - le decisioni di merito abbiano dato conto di puntuali indici di fraudolenza, inquadrando le condotte in maniera non astrattizzante, in un contesto, quale quello descritto dal documento della Commissione Europea, che, gia' di per se', costituiva un indiscutibile campanello di allarme; nella congiunta valutazione degli altri, parimenti significativi elementi - che verranno appresso indicati - il contesto esaminato e' apparso del tutto idoneo a fondare la prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrita' del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori, nonche' alla proiezione soggettiva di tale concreta messa in pericolo. Cio' prescinde, quindi, da ogni sindacato sull'opportunita' delle scelte discrezionali dell'imprenditore, ammesso in limiti ben circoscritti dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, come visto; cosa ben diversa, tuttavia, risulta la considerazione dell'elevato grado di incoerenza di una scelta imprenditoriale in comparazione con le esigenze dell'impresa e con lo scopo sociale, che ben puo' essere considerato sintomo della dissipazione, purche' inserito in quadro di significativita' sorretto da adeguata motivazione. Diversamente opinando, infatti, sarebbe del tutto impossibile, in concreto, distinguere la bancarotta per dissipazione dalla bancarotta semplice, data la loro affinita' oggettiva, finendo per disapplicare del tutto la bancarotta per dissipazione, che resterebbe limitata ai casi, ormai di scuola, individuati dalla piu' risalente giurisprudenza di legittimita' e, soprattutto, sarebbe esclusa, quanto a potenzialita' applicative, dal settore rappresentato dai gruppi societari e dalle grandi imprese, in cui, al contrario, di ben piu' rilevante portata appaiono i fenomeni di distruzione giuridica del patrimonio societario in cui, in ultima analisi, si concreta la dissipazione. 3. Il terzo motivo di ricorso e' incentrato sulla fattispecie di cui al capo Al), la gestione del settore Cargo. Tale vicenda - che viene affrontata dalla sentenza di primo grado alle pagg. 39-56 - si incentra su di una gestione caratterizzata da perdite sistematiche ed ingenti, complessivamente pari ad Euro 398.403.000,00, e che, dopo una flessione registrata tra il 2001 ed il 2003, erano risultate man mano crescenti tra il 2003 ed il 2007, con una leggera diminuzione nel 2007 in cui, in ogni caso, si erano attestate sulla cifra di Euro 85.342.000,00. La sentenza di appello se ne occupa alle pagg. 26-31, dapprima sintetizzando le motivazioni del primo giudice, quindi ripercorrendo alcune delle deposizioni testimoniali ritenute rilevanti in riferimento all'imputazione, infine affrontando i motivi di appello. Su detto aspetto specifico la Corte territoriale ha ricordato come le deposizioni testimoniali fossero risultate del tutto coincidenti con le indagini della G. di F. in riferimento ai profili di: eccedenza dei piloti, peraltro in crescita con gli anni; improprio uso nel settore di aerei MD-11, riadattati per il servizio cargo; utilizzazione di piloti a fine carriera, retribuiti con stipendi piu' alti; costo elevato del trasporto merci e scarsa funzionalita' del posizionamento dell'attivita' manutentiva. Ha, poi, confutato le argomentazioni difensive in riferimento alle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS); in particolare, in riferimento a quest'ultimo, ha osservato che le dichiarazioni testimoniali risultavano palesemente smentite dalle diverse valutazioni che il teste medesimo aveva operato in qualita' di Presidente di (OMISSIS)-KLM. Quindi, e' stato confutato il metodo del Prof. (OMISSIS), consulente della difesa, sintetizzando quanto gia' osservato piu' articolatamente dal primo giudice. Sul punto, vale la pena di ricordare come lo stesso consulente della difesa avesse evidenziato che il settore full-cargo aveva accumulato perdite nel corso degli anni, passando da un margine di contribuzione pari a -40,961 ad un margine di contribuzione pari a -85,342 del 2007 (pag. 50 della sentenza di primo grado). Inoltre, era stata evidenziata la diversa impostazione metodologica tra il consulente della parte civile, Prof. (OMISSIS) - secondo cui, per una corretta valutazione dell'efficienza produttiva di un settore, occorreva considerare sia i costi diretti (relativi ai fattori produttivi specificamente utilizzati per il prodotto determinato) che i costi indiretti (relativi ai fattori produttivi usati congiuntamente ed indistintamente per piu' prodotti) - ed il consulente della difesa, Prof. (OMISSIS), di parere opposto; cio' nondimeno, gia' la sentenza di primo grado aveva sottolineato che il prospetto elaborato dalla G. di F., in riferimento alle perdite del settore Cargo, aveva estrapolato i soli costi indiretti, aderendo, quindi, alla metodologia condivisa dal consulente della difesa che, sul punto, nulla aveva eccepito. Conseguentemente, la perdita complessiva, indicata dal consulente della difesa in 398 milioni di Euro nell'arco temporale compreso tra il 2002 ed il 2007, andava accresciuta - sempre secondo il primo giudice - alla luce anche dei costi indiretti, secondo la metodologia del consulente della parte civile, pervenendo, quindi, alla individuazione di perdite di gran lunga piu' sensibili. A differenza di quanto osservato dalla difesa, inoltre, la Corte di merito ha evidenziato la deposizione del teste (OMISSIS), rilevando come questi avesse individuato la mancata dismissione del settore Cargo nelle resistenze sindacali, chiarendo che detto settore era divenuto una sorta di area di parcheggio per i piloti a fine carriera, con costi elevatissimi. Quanto alla questione dell'accordo con (OMISSIS), la Corte territoriale ne ha illustrato il contenuto aggiungendo, pero', che il piano fu presto abbandonato e che vennero addirittura raddoppiati gli aerei destinati al settore, con conseguenze ulteriormente devastanti, come dimostrato dal Prof. (OMISSIS), che aveva descritto le enormi difficolta' incontrate dall'amministrazione straordinaria nel trovare un acquirente che si facesse carico di un settore che aveva accumulato 400 milioni di perdite in sei anni. Si richiama inoltre, da parte della Corte territoriale, la motivazione svolta nella parte generale della sentenza, in riferimento al condizionamento della gestione (OMISSIS) da parte dell'azionista pubblico; si rigetta la richiesta qualificazione del fatto L. Fall., ex articolo 217, evidenziando come, pur a fronte della nota del 27/06/2004 inviata al (OMISSIS) dalla societa' (OMISSIS) e dell'analisi della societa' di revisione (OMISSIS), che suggerivano il ricorso all'amministrazione controllata - il che avrebbe permesso anche di lanciare tutte le iniziative volte a garantire il non deperimento del valore aziendale -, la gestione era stata proseguita con modalita' immutate e, evidentemente, con consapevolezza, da parte del (OMISSIS), della prevedibilita' dell'esito infausto, condividendosi le argomentazioni sul punto del primo giudice. 3.1 Cio' posto, il motivo di ricorso sembra essenzialmente articolato in fatto, basandosi sul contenuto dell'accordo del febbraio 2006 con (OMISSIS) - allegato al ricorso, documento 11 - che, comunque, era rimasto lettera morta. Detta mancata realizzazione dell'accordo con (OMISSIS), peraltro, va letta congiuntamente ad alcune peculiarita': anzitutto, la circostanza che, nonostante le criticita' del settore, il numero degli aerei fosse aumentato nel corso degli anni, cosi' come il numero dei piloti; la particolare circostanza, inoltre, che il settore fosse stato utilizzato come area di prepensionamento dei piloti a fine carriera, con un conseguente aumento dei costi, aspetti con cui il ricorso non sembra adeguatamente confrontarsi. Risulta, infatti, chiaramente emerso dalle motivazioni di merito che le perdite del settore Cargo - peraltro quantificate dal capo di imputazione in complessivi Euro 398.403,000,00, cifra coincidente con la stima operata anche dal consulente della difesa - derivavano esclusivamente dagli elevati costi diretti, ossia l'aumento degli aerei e del personale, oltre che dall'aumento del costo del carburante; tra il 2002 ed il 2007, infatti, l'incremento degli aerei destinati al settore full cargo era stato pari al 150%, l'aumento dei piloti era stato pari al 90%, a fronte di un aumento dei ricavi pari solo al 4%. Vanno ricordati, per meglio chiarire l'andamento logico della motivazione, due passaggi significativi della motivazione del primo giudice sul punto, richiamati, per relationem, dalla sentenza impugnata. In primo luogo: "ponendo la questione in termini di stretta economia, appare palesemente antieconomica la gestione del "problema Cargo" nel corso degli anni da parte del management (OMISSIS), poiche' proprio effettuando un raffronto con le altre compagnie aeree similari, nulla puo' giustificare il perdurare di un business gestito in perdita: non si puo' parlare neanche di stagnazione della perdita, laddove invece vi e' un progressivo aumento di anno in anno della stessa. Cio' che balza agli occhi e' la circostanza relativa al numero degli aerei dedicati di un settore in perdita: invece di ridursi il numero o di rimanere stabile, gli aerei aumentano, come riferito dal teste (OMISSIS) e come ammesso dallo stesso imputato (OMISSIS) e indirettamente dallo stesso (OMISSIS) in sede di dichiarazioni spontanee (...). Dunque una falla che andava inesorabilmente ad allargarsi sempre piu'. E infatti l'eccedenza col trascorrere degli anni anch'essa andava ad aumentare (...). Inoltre non va dimenticato che uno degli aerei rimaneva sempre a terra per manutenzione". Ed ancora: "il successivo Piano Industriale, o meglio il "piano di ristrutturazione 2005-2008" adottato dalla gestione (OMISSIS) ed approvato ad ottobre 2004, prevedeva l'ipotesi di attivare una gestione Cargo in autonomia, attraverso la partnership (OMISSIS) con spostamento a (OMISSIS). Fra le strategie generali, si diceva di puntare ad una significativa crescita dimensionale in termini di capacita' di offerta e di posizionamento commerciale sui mercati strategici. Sappiamo pero' che il piano fu presto abbandonato e che il biennio di risanamento da esso previsto non venne neanche cominciato. Nessuna iniziativa venne in concreto presa per il settore Cargo. Anche i proclami relativi alla ricerca di lucrose alleanze strategiche di settore o relativi alla ricerca di investitori o di acquirenti rimasero lettera morta". 3.2 La difesa contesta, essenzialmente, una illogica ricostruzione della vicenda, osservando che proprio l'implementazione della flotta, con la riconversione degli MD-11 destinati al trasporto merci, con il conseguente adeguamento del numero dei piloti, avrebbe costituito la premessa per l'alleanza commerciale con (OMISSIS), formalizzata nel febbraio 2006; si duole, inoltre, della critica operata dalla Corte di merito che, in base a non meglio specifiche competenze, aveva censurato la scelta industriale di riconvertire gli MD-11 presenti nella flotta (OMISSIS) alla funzione cargo, cosi' come operato anche da altre primarie compagnie aeree. In realta' la critica difensiva appare focalizzata su singoli aspetti della vicenda, omettendo, pero', di considerarli nel loro complesso. Il punto evidenziato dalla motivazione della sentenza impugnata e' che la gestione del (OMISSIS) - come dimostrato dai risultati ottenuti nel corso degli esercizi - si era tradotta in un costante aumento dei costi, a cui non si era accompagnato alcun aumento di ricavi; contestualmente, le modalita' operative adottate, in riferimento all'incremento del numero dei velivoli e, soprattutto, del numero dei piloti - peraltro a fine carriera, il che aveva implicato un ulteriore aumento dei costi in ragione della loro retribuzione piu' elevata - aveva rappresentato l'unica politica aziendale. Cio' senza contare la grave diseconomia rappresentata dalla modalita' di trasferimento degli equipaggi da Roma a (OMISSIS), dove operava la filiera Cargo, mentre la manutenzione degli aerei veniva effettuata a Roma, con la conseguenza che ogni processo di manutenzione necessitava il trasferimento del velivolo da (OMISSIS) a Roma, con ulteriore aumento dei costi. Rispetto a detto contesto pare evidente - ne', peraltro, la difesa sostiene il contrario - come il sistematico aumento dei costi - imputabile a circostanze chiaramente delineate - avrebbe dovuto costituire un elemento concreto di forte impatto sulla scelta di perseguire nelle medesime politiche aziendali ovvero di adottare altre opzioni operative. Al contrario, la scelta era stata quella di proseguire con modalita' che avevano determinato un ulteriore incremento dei costi medesimi e che non avevano consentito di definire, in maniera operativa, l'accordo con (OMISSIS) che era, indiscutibilmente, rimasto lettera morta. 3.3 In sostanza, le sentenze di merito hanno delineato una politica di tipo inerziale da parte del (OMISSIS) che - come evidenziato dal precipitato testimoniale - corrispondevano a logiche condizionate dalle fortissime resistenze sindacali, posto che il settore Cargo era utilizzato come area di prepensionamento per i piloti a fine carriera, a costi elevatissimi. La condotta, quindi, sul piano oggettivo, risulta chiaramente delineata come concretatasi in uno sperpero ingiustificato, consapevolmente attuato dal (OMISSIS) nel corso della sua gestione; quest'ultima si era tradotta in un aumento indiscutibile dei costi a fronte di una totale carenza di efficientamento del settore, come dimostrato dalla descrizione di scelte sulla cui irrazionalita' le sentenze di merito appaiono ineccepibili. Come cio' fosse ispirato a logiche del tutto incoerenti con le esigenze di tutela delle ragioni del ceto creditorio, e' emerso chiaramente nella parte in cui la Corte di merito ha evidenziato la prevalenza delle logiche sindacali a cui il (OMISSIS) ha consapevolmente ritenuto di aderire, quanto meno accettando il rischio concreto della perdita patrimoniale, tanto piu' che la perduranza nel tempo della gestione in perdita, senza alcuna correzione strutturale, si colloca in diretta proporzione con l'accrescimento della consapevolezza, da parte dell'imputato, circa le conseguenze delle prassi invalse. Ne', come detto in precedenza, risultano emersi o dedotti elementi specificamente significativi che possano indurre a ritenere come il (OMISSIS) sia stato in alcun modo impedito dal formulare una ponderata previsione delle conseguenze di tali politiche inerziali, avendo egli, quindi, consapevolmente scelto - come indicato dalla Corte di merito - di privilegiare delle logiche di pace o di tregua sindacale, accettando consapevolmente il rischio di significativo deperimento del valore aziendale del settore Cargo. 4. Il quarto motivo di ricorso riguarda il capo A2), con cui sono state contestate al (OMISSIS) condotte di dissipazione e distrazione relative all'operazione di scorporo di cinque rami di azienda, conferiti nella nuova compagine, (OMISSIS), operazione attuata mediante l'accordo con (OMISSIS) s.p.a.. Premesso che l'iter argomentativo da parte dei giudici di merito e' stato illustrato nella premessa della presente motivazione, va detto che la sentenza impugnata si presta a molteplici critiche sotto gli aspetti sia della completezza che della logica e della chiarezza motivazionale, anche in riferimento all'analisi delle argomentazioni su cui si fondano le deduzioni difensive. All'esito di un'attenta lettura della motivazione del primo giudice, richiamata dalla sentenza impugnata, ritiene il Collegio che la vicenda sia stata descritta e qualificata sia per gli aspetti ritenuti dissipativi, sia in considerazione di un nucleo identificabile in un'operazione infragruppo non connotata da aspetti remunerativi e, come tale, di portata distrattiva, come peraltro evidenziato al p. 2.2.5 della sentenza di primo grado. Occorre, quindi, occuparsi del profilo distrattivo, come esso emerge da una lettura, per la verita' non sempre agevole, essenzialmente della sentenza di primo grado, richiamata dalla pronuncia impugnata. 4.1 Va premesso come non vi sia alcun dubbio che, nell'ambito dei rapporti tra societa' dello stesso gruppo, l'operazione di scorporo, in se' considerata dal punto di vista astratto, abbia una valenza neutra, non potendo che essere considerate ed esaminate le concrete modalita' di previsione ed attuazione dell'operazione nel caso concreto (Sez. 5, sentenza n. 42272 del 13/06/2014, Alfano e altri, Rv. 260393; Sez. 5, sentenza n. 10201 del 18/01/2013, P.G. e p.c. in proc. Marzona ed altri, Rv. 254788, relativa ad ipotesi di bancarotta impropria, ma con principi senz'altro riferibili anche ai casi di bancarotta di cui alla L. Fall., articolo 216). Altrettanto inequivoca appare la circostanza che, nel caso di specie, l'operazione fosse connotata dalla peculiarita' che essa, nell'ambito dell'originario gruppo (OMISSIS) s.p.a., aveva determinato la costituzione di due distinti ed autonomi gruppi, risultanti dall'operazione di spin-off - (OMISSIS) (composto da: (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS): s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) Maintenance System s.p.a., (OMISSIS), s.p.a.) e (OMISSIS) (composto da: (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e, dal 2006, (OMISSIS) s.p.a.) - i quali, peraltro, risultavano collegati tra loro, sia alla luce delle connotazioni dell'operazione come sopra descritta, sia considerando la partecipazione di (OMISSIS) in (OMISSIS), benche' (OMISSIS) s.p.a. fosse socio di maggioranza, al 51%, delle entita' societarie destinate allo svolgimento delle attivita' strumentali al trasporto aereo. Pacificamente, la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ritiene che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo non e' sufficiente richiamare l'esistenza di un vantaggio per la societa' controllante, dovendo invece l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la societa' depauperata. Per tale ragione, quindi, si sostiene che la natura distrattiva di un'operazione infragruppo possa essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la societa' fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori socialli (Sez. 5, sentenza n. 16206 del 02/03/2017, Magno, Rv. 269702; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268675; Sez. 5, sentenza n. 49787 del 05/06/2013, Bellemans, Rv. 257562; Sez. 5, sentenza n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua ed altri, Rv. 234606). Il percorso ermeneutico seguito da questa Corte nelle sue pronunce sul tema si basa sulla constatazione che, nell'ambito del medesimo gruppo, le societa' restano, pur sempre, persone giuridiche differenti, in quanto il concetto di gruppo societario opera su di un piano di programmazione finanziaria, lasciando, peraltro, intatta la distinzione giuridico-patrimoniale tra le diverse societa', con la conseguenza che la garanzia dei creditori e' data dal patrimonio sociale, che viene depauperato allorche' vengano effettuati trasferimenti di beni ad altra societa', con conseguente diminuzione della garanzia. Evidentemente tale impostazione deve essere condivisa anche quando, come verificatosi nel caso in esame, dall'operazione discendano aumenti di costi che, parimenti, incidono sulla garanzia patrimoniale, atteso che l'aumento di costi prolungato nel tempo in concreto mina la tenuta del patrimonio aziendale, accrescendone il saldo negativo. Inoltre, e' stato affermato come l'inscriversi di operazioni di trasferimento infragruppo in un contesto di difficolta' economiche, da parte sia della societa' cedente che di quella cessionaria, costituisce una condizione che impedisce qualsivoglia esito fausto dell'operazione (Sez. 5, sentenza n. 36595 del 16/04/2009, Bossio ed altri, Rv. 245136; Sez. 5, sentenza n. 4410 del 04/12/2007, dep. 29/01/2008, Spedicati, Rv. 238237; Sez. 5, sentenza n. 6326 del 08/11/2007, dep. 15/02/2008, Bellerio, Rv. 239108). Nel caso in esame, come detto, la vicenda riguarda non tanto un'operazione posta in essere tra societa' appartenenti al medesimo gruppo societario o, comunque, collegate, bensi' un'operazione che aveva determinato la creazione, rispetto all'originaria compagine, di due distinti gruppi societari, tra i quali, nondimeno, erano sussistenti evidenti ed incontestati vincoli di collegamento, derivanti proprio dalle modalita' dell'operazione di scorporo, di cui costituivano altrettanti specifici contenuti contrattuali. Tali condizioni, quindi, consentono di declinare la dimensione ricostruttiva della vicenda seguendo l'orientamento ermeneutico scaturente dai principi appena illustrati. Come noto, l'elaborazione giurisprudenziale immediatamente successiva alla riforma del diritto societario, con particolare riferimento all'introduzione dell'articolo 2634 c.c., comma 3, in realta', ha sottolineato come nei trasferimenti infragruppo il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione resta escluso soltanto se, con valutazione ex ante, i benefici indiretti per la societa' fallita - cui va equiparata quella in stato di insolvenza - si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi, si' da rendere l'operazione incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della societa', il che implica - v. gia' Sez. 5, sentenza n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214861 - come il ritenere legittimo e non punibile un trasferimento di capitali, o di altre attivita', da una societa' all'altra, richieda l'analisi del rapporto obbligatorio, di cui va verificata la correttezza, alla luce della previsione di un'adeguata contropartita e della sussistenza di garanzie idonee a salvaguardare gli interessi tutelati dalla norma contenuta nella L. Fall., articolo 216. Orbene, nel caso in esame non possono sussistere dubbi sul fatto che la logica dell'operazione di scorporo - come evidenziato dalla motivazione dei giudici di merito in precedenza sintetizzata - derivasse dalla necessita' di separare i rami piu' improduttivi della compagnia, enucleando, quindi, e poi scorporandola, una bad company; cio' evidenzia, in maniera non seriamente contestabile, che i rami aziendali scorporati costituissero la componente che versava in condizioni di maggiore criticita' economica, in un contesto aziendale che, complessivamente, appariva in forte difficolta'. 4.2 La difesa ha evidenziato come l'ipotesi di ristrutturazione della compagnia da parte di (OMISSIS) tramite il ricorso all'amministrazione straordinaria non fosse affatto indicata come opzione necessaria, ma solo come possibile; inoltre, ha sottolineato come nel 2005 il risultato operativo fosse aumentato di circa 700 milioni di Euro, dato del tutto travisato dalla Corte di merito; come, altresi', i rami scorporati sarebbero, comunque, rimasti totalmente a carico di (OMISSIS), in assenza dell'operazione, per cui tutti gli oneri ed i rischi avrebbero comunque gravato sulla compagnia; che, in ogni caso, (OMISSIS) s.p.a., nei due anni successivi, aveva effettuato aumenti di capitale per 194 milioni di Euro e finanziamenti per oltre 22 milioni di Euro; che, infine, le modalita' dell'operazione avevano positivamente superato il vaglio degli advisor, del Ministero dell'Economia e della Commissione Europea. Queste considerazioni difensive sono in parte condivisibili, anche se sotto il diverso aspetto della bancarotta per dissipazione, che sara' trattato in seguito; mentre, sotto il profilo della distrazione, occorre fare alcune precisazioni. Anzitutto, per quanto riguarda il finanziamento della (OMISSIS) s.p.a., quantificato dalla difesa in 22 milioni di Euro, va osservato che, da un punto di vista economico e contabile, i finanziamenti soci si qualificano come capitale di credito e rappresentano un debito per la societa'; essi, in altre parole, non differiscono da qualsiasi prestito o mutuo erogato da terzi e, infatti, rappresentano contabilmente dei debiti, tanto e' vero che, secondo lo schema di bilancio previsto dall'articolo 2424 c.c., devono essere contabilizzati alla voce "debiti verso soci per finanziamenti dello Stato patrimoniale", dovendo essere rimborsati, con o senza interessi, a seconda degli accordi tra le parti. In tal senso, quindi, non appare affatto condivisibile l'argomentazione difensiva che ha accomunato indistintamente, nel calcolo di 216 milioni di Euro versati da (OMISSIS) s.p.a., la cifra dei finanziamenti, considerandola, in sostanza, come un saldo positivo in favore della compagnia, laddove, in realta', detta cifra contabilmente andava, senza alcun dubbio, ad accrescere i debiti. Sicuramente, invece, va rilevata l'erronea valutazione, da parte della Corte di merito, del risultato operativo evincibile dal bilancio consolidato al 31/12/2005, di cui all'allegato 5 al ricorso. Dall'analisi del detto documento emerge che tale risultato, per l'anno 2005, e' pari ad Euro 47.494, a fronte della somma di Euro 753.425 dell'anno precedente; in particolare, nel corso del 2005, risultano aumentati i ricavi del traffico (che passano da 3.763.537 nel 2004 a 4.216.662 nel 2005) in seguito all'espansione dell'attivita'. Tuttavia, dal medesimo bilancio consolidato si evincono anche: una diminuzione dei ricavi operativi per le minori attivita' manutentive effettuate verso terzi (da Euro 103.981 nel 2004 ad Euro 67.870 del 2005), una riduzione dei noleggi attivi (da Euro 11.420 nel 2004 ad Euro 2.655 nel 2005) e dell'handling (pari ad Euro 40.468 nel 2004 e pari ad Euro 31.93 nel 2005). Quanto ai consumi ed alle spese, oltre ad un aumento di consumi di carburante, le spese risultano aumentate di 111.985, pervenendo, nel 2005, a 2.408.273 milioni di Euro a fronte dei 2.296.288 milioni di Euro del precedente esercizio. 4.3 Tali dati, evidentemente, non possono costituire il punto di partenza per una piu' approfondita analisi - che costituisce appannaggio dei giudici di merito -, ma la loro illustrazione e' funzionale ad evidenziare un profilo di tipo metodologico, rappresentato dalla necessita' di valutare complessivamente, al fine di individuare la sussistenza o meno di profili distrattivi, tutte le componenti della vicenda, non potendo, al contrario, sottoporre i singoli dati ad un'analisi parcellizzata; i singoli aspetti della complessa operazione economica, infatti, possono anche essere stati oggetto di una non corretta interpretazione della Corte territoriale, ma cio' non significa necessariamente che l'erroneo inquadramento di un singolo dato contabile abbia inficiato radicalmente la ricostruzione del fatto. Ne discende che, in assenza della dimostrazione di tale incidenza, la critica fondata sulla valutazione atomistica dei singoli aspetti economici, avulsi dalla loro considerazione paritetica, finisce per risultare inutilmente fuorviante. Certamente, quindi, la valutazione del risultato per l'anno 2005, da parte della Corte di merito, risulta frutto di una erronea valutazione, tuttavia non si comprende come tale elemento sia risultato decisivo ai fini dell'inquadramento della condotta distrattiva, nella misura in cui proprio gli stessi dati del bilancio consolidato consentono di verificare nel dettaglio, per l'anno 2005, una diminuzione dei ricavi operativi ed un incremento di spesa collegato proprio al settore dei servizi. In ogni caso, l'illustrata analisi riguarda unicamente il raffronto tra il 2004 ed il 2005, laddove i giudici di merito hanno evidenziato, sotto altro profilo, come il mancato intervento sul costo del personale avesse comportato un incremento della relativa voce di costo, passata dal 2 3 % al 24% nel 2006 e al 26,8% nel 2007, e cio' come conseguenza della mancata attuazione di ogni politica di riduzione del personale, atteso che - come detto - non era stata data alcuna attuazione agli impegni assunti con il Piano Industriale circa l'attuazione di piani di esubero e di intervento sulle retribuzioni, nonostante gli accordi intervenuti con (OMISSIS) s.p.a. su tali aspetti. 4.4 Ne' puo' essere considerata appagante la osservazione difensiva, secondo cui, in ogni caso, anche senza l'operazione di scorporo, detti costi sarebbero stati comunque sopportati da (OMISSIS); cio' e' sicuramente vero, ma proprio detta circostanza, valutata congiuntamente al fatto che, storicamente, l'operazione di scorporo fosse intervenuta, dimostra in maniera lampante come il management di (OMISSIS) avesse avuto chiara, in quel determinato contesto storico e finanziario, la necessita' di intervenire con urgenza mediante l'adozione di politiche di riduzione dei costi e di ristrutturazione della compagine, operando nel senso della riduzione dei settori a piu' alta valenza di criticita'. In tal senso, quindi, l'approccio della ricostruzione giuridica non puo' essere orientata a verificare cosa sarebbe accaduto se determinate decisioni non fossero state adottate; quest'ultima, infatti, e' una opzione che si dipana sul versante delle ipotesi ricostruttive storico-economiche, mentre la valutazione della sussistenza del reato necessita dell'analisi stringente della condotta concretamente opzionata, tralasciando del tutto le altre possibili, dovendo essere, invece, orientata alla verifica della consapevole valutazione, da parte del soggetto agente, delle conseguenze che da tale scelta sarebbero potute plausibilmente scaturire, dopo un'attenta ponderazione di tutti gli aspetti ed i risvolti della situazione concreta. 4.5 Il punto nevralgico da considerare, inoltre, appare, nel caso in esame, anche il meccanismo di retrocessione dei premi che, senza alcun dubbio, nella complessiva metodologia degli accordi, aveva costituito uno snodo essenziale. Tale meccanismo, infatti, e' stato valutato in collegamento con la circostanza che (OMISSIS), in ogni caso, aveva corrisposto ad (OMISSIS) delle somme pacificamente piu' elevate rispetto a quelle di mercato; cio' che, quindi, rileva non e' tanto la quantificazione della maggiorazione rispetto ai prezzi di mercato - se di poco, come sostenuto dalla difesa, o di molto, come rilevato dai giudici di merito - ma la programmazione della specifica clausola, alla luce degli effetti concreti che essa ha prodotto, in un'ottica di paritetica considerazione delle altre rilevanti circostanze. In questo senso non puo' che ricordarsi, ancora una volta, come la bancarotta distrattiva contestata sia un reato di pericolo concreto, il che significa che detto pericolo va valutato alla stregua degli effetti che la condotta ha prodotto, ferma restando la valutazione di prevedibilita' ex ante di detta verificazione. Cio' che rileva, infatti, e' che una determinata operazione, anche astrattamente riconducibile ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento (tra cui lo scorporo di rami aziendali), per le modalita' con le quali e' stata realizzata, si manifesta come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio ed in prospettiva pregiudizievoli per i creditori, laddove si addivenga ad una procedura concorsuale; ai fini del giudizio sulla ravvisabilita' del reato, dunque, e' necessaria una valutazione in concreto, che tenga conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la societa' al momento della scissione, alla luce della successiva declaratoria di insolvenza. La scissione, in concreto, come evidenziato dai giudici di merito, e' intervenuta in una fase di sicura crisi strutturale della compagnia, con lo scorporo dei rami aziendali maggiormente deficitari, dai quali, tuttavia, (OMISSIS), secondo gli accordi contrattuali, avrebbe continuato ad acquistare numerosi ed essenziali servizi, con clausola di esclusiva ed a prezzi maggiorati rispetto a quelli di mercato. In particolare, come gia' evidenziato, non erano stati previsti efficaci meccanismi per garantire la maggiore flessibilita', che avrebbe costituito la lecita finalita' dell'operazione, in quanto l'obbligo per (OMISSIS) di rivolgersi unicamente ad (OMISSIS) era condizionato alla manutenzione degli aeromobili in esercizio al momento della conclusione dei contratti, con individuazione del diritto di prelazione solo in casi di rinnovo della flotta; tale meccanismo, tuttavia, avrebbe richiesto, indiscutibilmente, tempi lunghi, obbligando intanto (OMISSIS) ad acquistare i servizi in esclusiva da (OMISSIS), in tal modo impedendo alla compagnia di raggiungere le efficienze di costi che avrebbe potuto conseguire rivolgendosi ad operatori piu' concorrenziali. Parallelamente, il meccanismo di retrocessione dei premi, peraltro subordinato al'effettivo conseguimento degli obiettivi di efficienza previsti dal Piano Industriale, prevedeva una maggiorazione iniziale di Euro 110 milioni, successivamente incrementata ad Euro 179 milioni; a fronte delle percentuali di premio e dei volumi di ricavi di (OMISSIS), pertanto, nel periodo tra il 2005 ed il 2007 i maggiori costi sostenuti erano stati valutati in 120 milioni di Euro, a fronte delle retrocessione di soli 62 milioni di Euro. Tale dato appare piu' che sufficiente ad integrare la condotta di distrazione. Sotto questo aspetto, peraltro, la stessa difesa del (OMISSIS) non contesta detta ricostruzione, affermando che, seppure i 110 milioni di Euro fossero stati un costo aggiuntivo, avrebbero dovuto essere sottratti comunque i 62 milioni retrocessi a titolo di premi di efficientamento e, pertanto, confrontare i residui 48 milioni con i 216, corrispondenti ai versamenti di (OMISSIS) s.p.a. in (OMISSIS). In realta', quindi, le rispettive conclusioni finiscono per convergere, salvo nella individuazione della somma finale che, nel caso della difesa, non ha considerato, da un lato, l'ammontare della maggiorazione in Euro 179 milioni, come successivamente aggiornata rispetto ai 110 iniziali e, dall'altro, la impropria assimilazione dei finanziamenti all'aumento di capitale, come in precedenza rilevato. In altri termini, nonostante l'aumento di capitale da parte di (OMISSIS) s.p.a. in (OMISSIS), tra il 2006 ed il 2007 era stato registrato un incremento dei corrispettivi per servizi pagato da (OMISSIS) ad (OMISSIS), mentre, parallelamente, i ricavi verso terzi di quest'ultima erano calati significativamente, dal 20% del fatturato nel 2005 al 15% nel 2007, il che manifesta il fallimento della diversificazione della clientela terza da parte di (OMISSIS), di cui (OMISSIS) continuava ad essere il committente prevalente, sostenendone, quindi, i costi in maniera pressoche' integrale, con sostanziale accollo del rischio di minor efficientamento, processo, quest'ultimo, sul quale (OMISSIS) non aveva, contrattualmente, alcun tipo di controllo. Non a caso, come evidenziato dalla sentenza impugnata, il meccanismo di premi - che avrebbe dovuto consentire la retrocessione ad (OMISSIS) delle maggiorazioni di costo - era sottoposta alla condizione, meramente eventuale, del pieno raggiungimento dei risultati del piano in termini di efficienza: "in definitiva, su (OMISSIS) gravava l'intero rischio di attuazione del piano, poiche' soltanto in caso di completa realizzazione delle efficienze (OMISSIS) avrebbe avuto retrocesso (grazie ai premi) quanto precedentemente pagato in piu' (in termini di maggiorazione dei costi per i servizi), mentre nella misura della mancata attuazione il maggior costo sarebbe rimasto a carico di (OMISSIS)". La riconducibilita' all'operazione di scissione di effetti immediatamente depauperativi del patrimonio e, quindi, pregiudizievoli per i creditori, trova percio' una piena e coerente giustificazione alla luce dell'iter argomentativo sin qui declinato. 4.6 Conclusivamente, appare opportuno ricordare le considerazioni, estremamente significative in detto contesto, di una recente pronuncia sul tema: "questa Corte ha gia' avuto modo di affermare come qualunque negozio dispositivo (Sez. 5, sentenza n. 34464 del 14/05/2018, Innocenti, Rv. 273644, in tema di cessione di ramo d'azienda; Sez. 5, sentenza n. 16748 del 13/02/2018, Morelli, Rv. 272841, in materia di affitto di beni aziendali; Sez. 5, sentenza n. 30212 del 11/04/2017, Donati, Rv. 270872, in merito a concessione di pegno in favore di societa' infragruppo; Sez. 5, sentenza n. 12748 del 03/03/2020, Antano, Rv. 279198, in fattispecie relativa a contratto di sale and lease back) e qualunque operazione societaria (Sez. 5, sentenza n. 1984 del 13/11/2018 - dep. 2109, Spiller, non massimata; Sez. 5, sentenza n. 20370 del 10/04/2015, Piscedda, Rv. 264078 in materia di scissione; Sez. 5, sentenza n. 9398 del 18/12/2019 - dep. 2020, Di Grazia, Rv. 278323, sempre in tema di scissione) puo' assumere valenza distrattiva o dissipativa, e cio' tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente (Sez. 5, sentenza n. 44891 del 9/10/2008, p.m. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto in quello in cui l'operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilita' dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, sentenza n. 46508 del 27/11/2008, Scire' e altri, Rv. 242614; Sez. 5, sentenza n. 3:302 del 28/01/1998, Martinel, Rv. 209947; Sez. 5, sentenza n. 11207 del 29/10/1993, Locatelli ed altri, Rv. 196456). In siffatte ipotesi, e' stato rimarcato - come dato coessenziale alla perseguibilita' dei reati commessi dall'imprenditore (ovvero, negli organismi collettivi, dai suoi amministratori e dagli altri soggetti indicati nella L. Fall., articolo 223) - il rilievo conferito ad operazioni rischiose che, una volta dichiarato il fallimento, attualizzano l'offesa all'interesse tutelato dalle norme penali fallimentari, realizzando la condizione cui e', per legge, subordinata la punibilita' del trasgressore. Ed a tale dato formale si aggiunge, peraltro, l'esigenza di assicurare la punibilita' di condotte che realizzano il paradigma normativo dei reati in questione e di impedire - attraverso operazioni di spin-off o di trasformazione societaria - facili elusioni della normativa fallimentare, particolarmente agevole nei gruppi di societa' e in quelli caratterizzati da rapporti interpersonali tra i suoi membri" (Sez. 5, sentenza n. 27930 del 01/07/2020, P.g. c. Abete Stefano, Rv. 279636). Sotto il profilo della sussistenza della condotta di bancarotta fraudolenta distrattiva, quindi, il motivo di ricorso va rigettato. 4.7 Al contrario, il Collegio rileva come sussistano sensibili e determinanti perplessita' circa la tenuta dell'impianto motivazionale delle sentenze di merito, nel loro reciproco integrarsi, quanto alla ricostruzione della componente dissipativa della bancarotta fraudolenta contestata al capo A2) dell'imputazione. Il giudice di primo grado aveva affermato come fossero ravvisabili profili di astratta coerenza dell'operazione con il contenuto del Piano Industriale 20052008, rilevando che, tuttavia, l'operazione era stata gestita dal management di (OMISSIS) in contrasto con gli interessi della compagnia, con dissipazione dei capitali, il che aveva condotto all'amministrazione straordinaria: "l'operazione contestata in imputazione, pur coerente con l'oggetto sociale (trasporto aereo) e astrattamente con il piano industriale, appare talmente incoerente dal punto di vista economico-aziendale nella sua effettiva realizzazione, da porsi al di fuori di principi economici aziendali perseguibili, divenendo, quindi, operazione priva di ragioni economiche congrue e in ultima analisi, lecite. Non e' stata vera operazione di outsourcing. E' stata un'operazione di facciata con la quale ottenere tempo e denaro. In quest'ottica, la distrazione di risorse del (OMISSIS) a favore del (OMISSIS) (e del socio (OMISSIS), cui veniva garantito ex ante un ritorno pari al 25% annuo composto del proprio investimento), come sopra illustrato, si e' tradotto nella sostanziale dissipazione delle scarse risorse residue di (OMISSIS)". 4.8 Tanto premesso, occorre ricordare come i fatti di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione e dissipazione previsti dalla L. Fall., articolo 216, n. 1, ledono un solo bene giuridico e costituiscono ipotesi non cumulabili quoad poenam, bensi' fungibili anche se realizzate congiuntamente, consistendo tutti in atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto (Sez. 5, sentenza n. 24051 del 15/05/2014, Lorenzini ed altro, Rv. 260142; Sez. 5, sentenza n. 17978 del 17/02/2010, Pagnotta ed altri, Rv. 247247). Da cio' discende, pertanto, che nell'ambito della stessa vicenda fallimentare possano senza alcun dubbio coesistere vicende distrattive e vicende dissipative, il che, tuttavia, non esclude la necessita' che esse siano delineate con specificita' e chiarezza dai giudici di merito, posto che, in ogni caso, la pluralita' dei detti profili rileva ai fini della L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, e, prima ancora ai fini della specificita' dell'imputazione, in funzione dell'esercizio dei diritti di difesa. In tal senso, quindi, gia' la motivazione della sentenza di primo grado come evincibile dalle considerazioni sopra citate, oltre che dall'impianto argomentativo nel complesso - non consentiva di distinguere in maniera chiara il profilo dissipativo, al netto della condotta di distrazione in precedenza descritta. La lettura della motivazione della sentenza impugnata, alla luce dei motivi di gravame, evidenzia, poi, ulteriori aspetti critici: con l'appello, la difesa aveva sottolineato, ai fini della contestazione della sussistenza della condotta dissipativa ascritta al (OMISSIS), alcuni specifici profili: la mancata considerazione dell'apporto finanziario da parte di (OMISSIS) s.p.a.; la positiva valutazione da parte della Commissione Europea della struttura dell'operazione; la coerenza della detta operazione con le finalita' aziendali, anche nell'ottica di qualificare la condotta, in linea gradata, ai sensi della L. Fall., articolo 217. 4.9 La sentenza della Corte territoriale, nell'affrontare dette tematiche e, piu' in generale, la verifica della sussistenza della fattispecie dissipativa, appare affetta da lacune motivazionali e da aporie logiche del tutto evidenti. Va, anzitutto, chiarito che, come in precedenza affermato, l'operazione di scorporo in se' e' del tutto neutra e, nel caso in esame, la sua concreta operativita' e' gia' stata analizzata in riferimento al nucleo distrattivo dell'operazione; ne deriva, pertanto, che gli stessi profili fattuali non possono essere posti a fondamento della presunta condotta dissipativa, proprio per quanto detto in relazione all'identita' del bene giuridico leso da tutte le condotte alternativamente previste dalla L. Fall., articolo 216, n. 1. In altri termini, diversamente opinando, si verificherebbe una violazione del "ne bis in idem sostanziale", considerato che, come detto, la medesima condotta sarebbe posta a fondamento di due aspetti entrambi penalmente rilevanti in funzione della tutela del medesimo bene giuridico, rappresentando, quindi, una sostanziale duplicazione, rilevante ai sensi del trattamento sanzionatorio, con evidente incidenza sul profilo della proporzionalita' della pena. 4.10 Sotto altro aspetto la Corte di merito non sembra affatto essersi confrontata con una circostanza del tutto chiaramente emersa dall'istruttoria dibattimentale, ossia la correttezza dell'appostazione in bilancio del fondo ristrutturazione. La difesa, nei motivi di appello, aveva espressamente richiamato l'elaborato della Dott.ssa (OMISSIS), consulente tecnico del pubblico ministero, nonche' le affermazioni dei periti del Tribunale, proff. (OMISSIS) e Staffa che, concordemente, avevano ritenuto quella appostazione del tutto coerente con le caratteristiche dell'operazione, anche considerata la natura di aree di operativita' non efficienti oggetto di conferimento. D'altra parte, e' del tutto pacifico che l'appostazione del fondo nel passivo del bilancio costituisca una posta ideale, la cui funzione e' prudenziale e, nel caso di specie, in linea con la tipologia di operazione e corretta dal punto di vista contabile. La Corte di merito ha osservato sul punto che, sebbene il consulente del pubblico ministero avesse precisato che l'appostazione del fondo di ristrutturazione fosse formalmente conforme al principio contabile 19 del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e del Consiglio nazionale dei ragionieri, esso presentava criticita' sostanziali, in quanto rappresentava l'assunzione, da parte di (OMISSIS), di tutti i rischi derivanti dallo scorporo, incluse le diseconomie che avrebbero dovuto gravare solo su (OMISSIS) (pag. 40 della sentenza impugnata). A parte la considerazione che, come gia' detto, tale snodo motivazionale dimostra la sovrapposizione tra il profilo distrattivo e quello dissipativo - nella misura in cui considera nuovamente l'assunzione del rischio, da parte di (OMISSIS), aspetto gia' posta a base della distrazione -, vale la pena di ricordare che l'articolo 2423 c.c., comma 2, prevede che "il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della societa' ed il risultato economico dell'esercizio"; l'articolo 2424 bis c.c., comma 3, specifica ulteriormente che "gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell'esercizio sono indeterminati o l'ammontare o la data di sopravvenienza". Nell'ambito della valutazione delle poste che compongono il bilancio d'esercizio, occorre, quindi, verificare la necessita' di rilevare delle passivita' potenziali, attraverso lo stanziamento di un fondo per rischi ed oneri, sulla base di precisi requisiti: l'identificazione dei fattori discriminanti per cui e' possibile stabilire quando una possibilita' puo' definirsi "probabile", "possibile", o "remota"; la determinazione del valore da attribuire a questa attivita' (probabile o possibile) per l'appostazione del fondo rischi e/o nella nota integrativa. Nello specifico, secondo il principio contabile OIC 31, le passivita' di scadenza o ammontare incerto possono essere classificate, in base alle relative caratteristiche, tra i fondi per oneri ovvero tra i fondi per rischi; i fondi per oneri accolgono le passivita' di natura determinata ed esistenza certa, in quanto relative a obbligazioni gia' assunte alla data di bilancio, ma incerte nell'ammontare o nel momento di realizzazione, mentre i fondi rischi accolgono le passivita' potenziali, ovvero quelle che sono connesse a situazioni gia' esistenti alla data di bilancio, ma che si caratterizzano da uno stato d'incertezza per quanto riguarda il momento di realizzazione e/o nell'ammontare, e il cui esito dipende dal verificarsi o meno di uno o piu' eventi futuri. In tal senso, quindi, appare del tutto ingiustificabile ed incomprensibile considerando la necessita' di inquadrare la condotta penalmente rilevante tenendo doverosamente conto di regole elementari circa la redazione di un bilancio - come un'appostazione contabile - che, si ripete, e' notoriamente una posta ideale - possa integrare parte di una condotta dissipativa. 4.11 Parimenti superficiale ed incongrua appare la motivazione circa il profilo rappresentato dalla valutazione della Commissione Europea, la quale aveva dato il via libera all'operazione di scorporo, rilevando che, nello specifico, non si sarebbe realizzata un'ipotesi di "aiuti di Stato" da parte di (OMISSIS) s.p.a. in favore di (OMISSIS). Sul punto, per la verita', la Corte di merito non ha effettuato alcuna valutazione, il che evidenzia un richiamo, ancorche' implicito, alla motivazione del primo giudice, che aveva ritenuto quella della Commissione Europea una decisione esclusivamente politica, non basata su dati economici. Appare evidente al Collegio come detta affermazione risulti assolutamente apodittica, risolvendosi in un profilo di motivazione del tutto apparente, posto che la decisione di natura politica non puo', in tal caso, che discendere dalla valutazione degli aspetti economico-finanziari della vicenda, non comprendendosi, altrimenti, quali sarebbero stati gli elementi considerati dalla Commissione Europea. D'altra parte, risulta dalla stessa motivazione di merito che la Commissione Europea, ai fini della formulazione del parere, si fosse fatta assistere, quale advisor, da (OMISSIS), network mondiale di servizi professionali di consulenza direzionale, revisione contabile, fiscalita', transaction e formazione. Cio' senza contare il meccanismo previsto dal Trattato CE, che certamente chiarisce la valenza anche tecnica dei dati su cui si basano le decisioni ed i controlli svolti: in particolare l'articolo 87, p.1, del trattato CE detta il principio secondo cui sono vietati gli aiuti di Stato che, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, falsino o minaccino di falsare la concorrenza; il comma 3 contempla, pero', una serie di eccezioni al divieto generale di concedere aiuti di Stato qualora questi ultimi siano intesi al raggiungimento dei suddetti obiettivi di interesse comune. Pertanto, una volta stabilito che una misura rientra nel campo di applicazione dell'articolo 87, p.1, la Commissione Europea ha il compito di stabilirne la compatibilita' ai sensi dell'articolo 87, p.3. Lo svolgimento di questo compito comporta, per la Commissione, la valutazione di un'ampia gamma di misure d'aiuto tramite le quali gli Stati membri intendono realizzare obiettivi di interesse comune per lo sviluppo economico e sociale. Sin dalle prime applicazioni della disciplina, la Commissione ha sempre sottolineato la necessita' che tale valutazione si svolgesse applicando solidi principi economici, ricorrendo, essenzialmente, ad un approccio incentrato sulla valutazione comparata, come, ad esempio, chiaramente rilevabile dal p. 22 del Piano di Azione nel settore degli aiuti di stato, COM (2005) 107, definitivo dal 7.6.2005, secondo cui "il maggiore ricorso ad un approccio economico piu' preciso consente una valutazione corretta e piu' trasparente delle distorsioni della concorrenza e degli scambi determinate dalle misure di aiuto. Questo approccio permette anche di analizzare le cause dell'incapacita' del mercato di conseguire da solo gli obiettivi di comune interesse auspicati e di valutare quindi i vantaggi offerti dagli aiuti di Stato per il loro conseguimento". 4.12 Altra considerazione che il Collegio ritiene di dover svolgere, alla luce del'inquadramento della fattispecie di bancarotta per dissipazione di cui al precedente punto 2, riguarda il profilo inerente la finalita' dell'operazione. Posto che, come visto, la condotta dissipativa non puo' che essere connotata da un aspetto irrimediabile di eccentricita' delle finalita' perseguite, rispetto al fisiologico perseguimento di finalita' aziendali, va osservato come gia' la sentenza di primo grado - in piu' di un passaggio motivazionale - avesse rilevato come l'operazione di scorporo apparisse in linea con le finalita' di recupero della compagnia, come contenute anche nel Piano Industriale 2005-2008, finendo, tuttavia, per affermare come la realizzazione di detta operazione si fosse tradotto in un "maquillage finanziario" che aveva consentito alla compagnia di realizzare un aumento di capitale di 1,2 miliardi di Euro e sopravvivere per altri due anni. Detta motivazione, quindi, e' stata condivisa anche dalla Corte territoriale (pag. 40 della sentenza impugnata). In realta', a parere del Collegio, sotto l'angolatura della bancarotta dissipativa, appare veramente illogico ritenere che un imprenditore, il quale si adoperi per proseguire nella propria attivita', riuscendo a procurarsi un cospicuo aumento di capitale, piuttosto che portare i libri in Tribunale, agisca in attuazione di una finalita' eccentrica da quella che dovrebbe orientare l'attivita' di impresa. Sotto tale aspetto la logica, prima ancora che le categorie giuridiche, impongono di censurare la sentenza impugnata. Che le modalita' concrete con cui la finalita' di perseguire nell'attivita' imprenditoriale possano, poi, rilevare sul piano di condotte penalmente rilevanti, e', ovviamente, un'eventualita' che puo' sicuramente verificarsi, ma cio' opera, anche dal punto di vista della ragionevolezza epistemologica, su di un piano ulteriore e diverso. L'aspetto che occupa specificamente in questo caso, invece, riguarda cosa debba intendersi per finalita' lecite nello svolgimento dell'attivita' di impresa, non potendo certamente far coincidere il perimetro dell'illiceita' penale con quello del rischio di impresa, in quanto apparirebbe veramente distonico - per non dire abnorme - affermare che un imprenditore che operi delle scelte rischiose e dall'esito incerto, pur di proseguire nella propria attivita', risponda, per cio' solo, di bancarotta dissipativa. Nel caso in esame - al di la' della difficolta' di individuare, nella condotta del (OMISSIS), gli estremi della scelta dissipativa, alla luce dei connotati fattuali dell'operazione, ivi incluso l'aumento di capitale conseguito nella misura di 1,2 milioni di Euro - la Corte territoriale (e, prima ancora, il Tribunale) non ha affatto chiarito perche' la volonta' di proseguire nell'attivita' di impresa, consentendo alla compagnia di operare ancora per due anni, sia una scelta dissipativa, non avendo individuato la finalita' eccentrica che avrebbe ispirato il ricorrente. Cio', come detto, a prescindere dal rilievo sul piano della distrazione che le condotte abbiano avuto. In realta' la sentenza impugnata, reiterando lo svolgimento sul punto estremamente confuso del primo giudice, ha proseguito in un'ottica di elusione motivazionale, sovrapponendo profili distrattivi - in relazione all'imputazione di cui al capo A2) - con aspetti dissipativi non autonomamente chiariti. Tale mancanza di logica motivazione rileva non solo sul piano delle concrete modalita' di manifestazione della dissipazione, anche, come visto, in relazione alla totalmente omessa individuazione di una finalita' eccentrica rispetto alla logica aziendale, ma incide anche sul piano delle ragioni circa la sussistenza dell'elemento psicologico del reato. 4.13 Non puo' essere, infatti, dimenticato, come, ai fini della configurazione del reato, un ruolo fondamentale sia riservato all'elemento soggettivo, in particolare sotto l'aspetto della funzione selettiva del dolo. Anche la bancarotta per dissipazione e' reato di pericolo concreto, il che richiede la pericolosita' della condotta, da intendersi come probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa e' in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice. Come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte - in precedenza illustrata al punto 2 della presente trattazione -, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosita' del fatto dissipativo - non diversamente da quanto si verifica con la distrazione - e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza". Fra tali indici, alla luce dei quali declinare la verifica della condotta dell'agente, assume valenza sicuramente significativa la condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda; parimenti rilevanti appaiono le cointeressenze dell'amministratore in altre attivita', estranee e configgenti con quelle dell'impresa; altro indice rilevante e' rappresentato dalla irriducibile estraneita' del fatto generatore dello squilibrio tra attivita' e passivita' rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrita' del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volonta' della condotta in concreto pericolosa. Trattasi, dunque, dell'enunciazione di un metodo valutativo dell'elemento soggettivo del reato quanto piu' aderente alle specifiche circostanze del caso concreto, che, nel caso in esame, appare anch'esso sostanzialmente omesso. Ne discende, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, quanto alla sussistenza della bancarotta fraudolenta per dissipazione, in relazione alla contestazione di cui al capo A2) dell'imputazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che, alla luce dei principi epistemologici sin qui illustrati, ne verifichera', nel caso di specie, la sussistenza dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo, individuando, altresi', i connotati della condotta dissipativa in maniera autonoma rispetto alla condotta di distrazione. 5. Il quinto motivo di ricorso affronta la tematica concernente l'operazione di acquisizione del complesso aziendale costituito dalle societa', in amministrazione straordinaria, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), di cui al capo A3). Anche detta condotta e' stata inscritta in un quadro distrattivo-dissipativo, alla luce delle concrete modalita' di realizzazione, come descritte nella sintesi della sentenza impugnata, in premessa illustrata. 5.1 La difesa, come visto nella sintesi dei motivi di ricorso, ha contestato la valutazione di irrazionalita' dell'operazione, rilevando che nel 2005 (OMISSIS) aveva conseguito non solo un risultato operativo di oltre 700 milioni di Euro, ma anche un aumento di capitale di un miliardo di Euro, laddove proprio l'acquisto del Gruppo (OMISSIS) consentiva la massimizzazione su (OMISSIS), prevista dal Piano Industriale. Inoltre, a differenza di quanto ritenuto dalle sentenze di merito, non vi sarebbe stata alcuna carenza istruttoria, essendo stati specificamente valutati i rischi antitrust dell'operazione, come dimostrato dal fatto che in data 25/06/2008 si era conclusa definitivamente l'istruttoria antitrust con un provvedimento dell'AGCM che consentiva ad (OMISSIS) di mantenere la piena titolarita' delle coppie di slots; lo stesso valore di 16,4 milioni di Euro, inoltre, faceva riferimento alla sola valutazione stand-alone del capitale economico, mentre non rifletteva il potenziale valore delle sinergie che si riteneva di conseguire dall'operazione. Peraltro, la difesa ha rilevato l'omessa considerazione di decisiva documentazione, tra cui il parere dello studio Cleary Gottlieb, contestando anche la circostanza che il CdA non fosse stato adeguatamente informato. 5.2 Cio' posto, va rilevato - secondo quanto osservato dalla Corte territoriale - come le deduzioni difensive fossero gia' state oggetto di analisi da parte della sentenza di primo grado, che, in particolare, aveva evidenziato specifici indici alla stregua dei quali considerare la natura dissipativa dell'operazione. Gia' si e' detto della contrarieta' al Piano Industriale e della crisi di (OMISSIS) e dello stesso Gruppo (OMISSIS), cosi' come degli oneri aggiuntivi in termini di numero di dipendenti del gruppo che avrebbero dovuto essere riassorbiti da (OMISSIS), con tutte le conseguenze in termini salariali e di accantonamenti, secondo una previsione di circa 6 milioni di Euro per 707 dipendenti, nonostante il piano di esuberi stabilito da (OMISSIS). A cio' va aggiunta la contrarieta' della politica low cost, a cui era funzionale l'acquisto del Gruppo (OMISSIS), in quanto il Piano Industriale del predetto gruppo prevedeva per un biennio l'abbandono di tale pratica per portarsi ad un livello di prezzo medio, mentre lo stesso Piano Industriale di (OMISSIS) prevedeva, a sua volta, l'evoluzione verso un network carrier ad alta efficienza, per cui sarebbe venuta a mancare la complementarieta' tra le due linee commerciali. Essenziale appare, poi, la circostanza che, con l'acquisto, (OMISSIS) si era onerata dei costi per i cinque aerei che il Gruppo (OMISSIS) deteneva in leasing, oltre ad aver assunto l'impegno, previsto dal Piano Industriale del Gruppo (OMISSIS), di portare a dieci il numero dei velivoli, senza aver neanche programmato l'ammontare di tale esborso, il quale risultava in aperto contrato con il Piano Industriale di (OMISSIS) stessa, che escludeva un prossimo acquisto di apparecchi. Inoltre, (OMISSIS) restava onerata anche del costo necessario per costituire la societa' veicolo, (OMISSIS) s.p.a., che veniva dotata di 40 milioni di Euro di capitale sociale, mentre, su altro versante, per il Gruppo (OMISSIS) erano previste, almeno per il 2006, perdite stimate in 12 milioni di Euro, da finanziare con indebitamento a breve termine. Altro elemento evidenziato dalla sentenza di primo grado consiste nel fatto che (OMISSIS) non aveva affatto chiesto, in ambito contrattuale, alcuna garanzia, ne' l'inserimento di alcuna condizione sospensiva, in riferimento alle decisione dell'Autorita' Garante per il Mercato, nonostante si trattasse di pratiche abituali nel settore; non a caso, infatti, il rischio per i rimedi antitrust, dapprima valutato in 30 milioni di Euro, era poi stato quantificato in 35 milioni di Euro all'esito del parere fornito dal consulente (OMISSIS) e, cio' nonostante, tale rischio non era rientrato affatto nella valutazione del prezzo da offrire, ne' era stato previsto uno specifico accantonamento. Inoltre, le informazioni fornite dalla controparte su detto aspetto erano ancorate all'agosto 2005 e prive di attendibilita' - come specificato dallo stesso commissario del Gruppo (OMISSIS), (OMISSIS), e come emerso dalla perizia valutativa dell'advisor (OMISSIS) per conto di (OMISSIS) -, per cui le presunte perdite di 16 milioni di Euro, che si sarebbero verificate se non fossero state acquisite le coppie di slots su Linate, risultano, in sostanza, non adeguatamente calcolate. Parimenti inadeguato risultava il calcolo delle sinergie, componente fondamentale del prezzo di acquisto offerto: tale prezzo, infatti, prima della presentazione dell'offerta irrevocabile di acquisto, oscillava tra i 31 ed i 32 milioni di Euro, secondo le elaborazioni della dirigenza di (OMISSIS) e di (OMISSIS), benche' l'advisor (OMISSIS) non avesse avuto alcun accesso ai dati per poterli verificare; non a caso il predetto advisor, nel gennaio 2006, dopo l'offerta irrevocabile di acquisto, aveva ridotto il valore delle sinergie a 16 milioni di Euro, introducendo, pero', una voce, "considerazioni strategiche" - ossia il valore incrementale stimato da (OMISSIS) in base all'analisi del potenziale danno per la mancata aggiudicazione - per giungere al prezzo di 38 milioni di Euro, oggetto dell'offerta irrevocabile di acquisto. In ogni caso, le sentenze di merito hanno evidenziato come, a fronte di un valore stand alone calcolato in 16,4 milioni di Euro dall'advisor del Gruppo (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) avesse scelto di operare un calcolo autonomo di tale valore, attestandosi tra i 19,2 - 20 milioni di Euro. Peraltro, gia' la sentenza di primo grado aveva chiaramente indicato come il valore stand alone rappresentasse semplicemente l'autovalutazione dell'advisor del Gruppo (OMISSIS), ma non certamente il prezzo di vendita, che dipendeva da autonoma valutazione dell'acquirente, prevedendosi, ovviamente, che detto prezzo sarebbe stato maggiore; tanto e' vero che la stessa base d'asta era stata superiore alla valutazione di (OMISSIS), essendosi attestata su un prezzo iniziale di 19 milioni di Euro. In tal senso, quindi, appare evidente come gia' la sentenza di primo grado, anche alla luce del fatto che la gara sarebbe avvenuta secondo il sistema della busta chiusa, aveva preso atto come fosse del tutto fisiologico che dal valore stand alone si pervenisse ad un investment value decisamente maggiore, inclusivo delle altre componenti di prezzo considerate. A tale proposito, infatti, la sentenza di primo grado aveva richiamato le considerazioni del consulente della parte civile, prof. (OMISSIS), il quale aveva osservato come la valutazione della congruita' del prezzo di acquisizione di un'azienda costituisca sempre un'operazione estremamente difficile, incerta e rimessa alla discrezionalita' tecnica che contraddistingue ogni elaborazione di questo tipo, con evidente incidenza sulla determinazione del prezzo. Cio' nondimeno, l'operazione di acquisizione di azienda non puo' essere, evidentemente, frutto di mero arbitrio, per cui - come lo stesso prof. (OMISSIS) aveva evidenziato - in funzione della tutela del patrimonio aziendale e' possibile verificare la correttezza sostanziale della valutazione nel caso concreto, alla luce di specifici criteri tecnici. In tal senso, il consulente aveva chiarito come considerata la differenza tra fair value o valore stand alone (ossia il valore a cui l'azienda, autonomamente considerata, puo' essere offerta in vendita in normali condizioni di mercato ad un generico investitore razionale) ed investment value (ossia il valore che uno specifico investitore e' disposto a pagare per l'azienda, anche in considerazione dei benefici aggiuntivi, ossia le sinergie che pensa di poterne ricavare) - nel caso in esame la stima del venditore - gia' di gran lunga inferiore a quella effettuata dall'acquirente -, secondo l'advisor dell'acquirente stesso, (OMISSIS), era verosimilmente sovrastimata. In particolare, pur non avendo potuto compiere alcune verifiche, (OMISSIS) aveva rilevato che la valutazione non era stata improntata ad un approccio conservativo, non essendo stata, ad esempio, considerata alcuna componente di rischio ulteriore rispetto al tasso di sconto, pari al 9%; sicche' lo stesso advisor aveva suggerito di introdurre tale rischio nella misura del 3%, cosi' come indicato anche da (OMISSIS), in tal modo incidendo sul valore del prezzo di acquisto, che avrebbe dovuto aggirarsi intorno ai 13 milioni di Euro, a fronte dei 19,2 milioni di Euro, indicati inizialmente. La stessa (OMISSIS), peraltro, aveva considerato il meccanismo di valutazione del beneficio di cassa - derivante dall'allineamento dei giorni di pagamento dei fornitori ai livelli di (OMISSIS) - per i primi anni del Piano Industriale, quantificato in 20 milioni di Euro, evidenziando come, in tal modo, ci si apprestava a pagare la cassa che sarebbe stata generata da dilazioni di pagamento ai fornitori, dei quali il Gruppo (OMISSIS) sarebbe comunque rimasto debitore. Cio' in quanto la gestione di una compagnia aerea genera un capitale circolante netto negativo, poiche' i pagamenti ai fornitori vengono posti in essere mediamente dopo aver incassato i corrispettivi dei biglietti emessi. Nel caso in esame il gruppo acquisito era privo di debiti commerciali e di ricavi anticipati per biglietti non volati, con la conseguenza che, per i primi mesi di operativita', l'azienda avrebbe cominciato ad incassare i ricavi del traffico aereo senza pagare le forniture, cio' grazie alle lunghe dilazioni di cui (OMISSIS) poteva beneficiare. Tale meccanismo generatore di cassa, quindi, non corrispondeva ad un aumento dei profitti, a fronte dei debiti commerciali, sicche' esso si traduceva in un finanziamento ottenuto dai fornitori. L'aspetto critico evidenziato era che, nel caso in esame, la generazione di cassa cosi' definita corrispondeva all'intero valore stand alone, incidendo, quindi, in maniera determinante sulla stima del prezzo di acquisto. Infine, i flussi di cassa erano stati elaborati per il triennio successivo come proiezioni delle stime del periodo precedente, in tal modo introducendo crescite aggiuntive, senza le quali il valore stand alone sarebbe stato pari a soli 5,8 milioni di Euro, in quanto il ramo d'azienda di (OMISSIS), valutato a regime ed in base alle ipotesi del Piano Industriale, aveva una capacita' di generare flussi di cassa pari a soli 0,7 milioni di Euro annui. A tali criticita' le sentenze di merito hanno accompagnato la descrizione della poco chiara modalita' di informativa nei confronti del CdA, non messo a conoscenza delle maggiori carenze dell'operazione, il che, come detto, e' stato contestato dalla difesa. In particolare, i giudici di merito hanno sottolineato come non fossero stati sottoposti al CdA del 23/12/2005 i due distinti documenti di (OMISSIS) - quello indicante un prezzo di offerta di 17-23 milioni di Euro e quello indicante il prezzo di offerta di 33-36 milioni di Euro -, ma solo quello contenente il prezzo piu' basso. Anche la modalita' della gara, secondo il sistema della busta chiusa, quindi, non autorizzava un'offerta cosi' esorbitante, considerato che l'offerta del secondo potenziale acquirente, (OMISSIS), era stata di 29 milioni di Euro, quindi inferiore di 9 milioni di Euro rispetto all'offerta di (OMISSIS). Nel caso in esame, pertanto, le sentenze di merito hanno ravvisato un depauperamento di tipo dissipativo dell'operazione nel suo complesso, attese le connotazioni di costosita' estrema, incongruenza, prevedibilita' di forte indebitamento, contrarieta' al Piano Industriale, oltre che agli interessi dei creditori; detta operazione, inoltre, risultava palesemente mal congegnata, in quanto tutte le sopravvenienze negative erano a carico dell'acquirente, senza alcuna garanzia da parte del venditore. In tal modo, quindi, erano state spese irrazionalmente proprio quelle risorse faticosamente ottenute tramite pubbliche sottoscrizioni di capitale, con dissipazione delle stesse in riferimento ai descritti connotati dell'operazione, ed alla successiva distrazione delle somme pagate. 5.3. La complessiva motivazione dei giudici di merito appare, a parere del Collegio, assolutamente congrua ed in linea con le numerose prove illustrate nella loro reciproca integrazione. La vicenda, per come descritta, appare connotata da indubbi profili di incongruenza dissipativa, alla luce delle specifiche condizioni della compagnia acquirente, oltre che da un autonomo e ben individuato aspetto distrattivo, in quanto il prezzo offerto risulta interamente pagato ad aprile 2006. Tale connotazione non appare scalfita dalle argomentazioni difensive che tendono, piuttosto, ad una rivisitazione parcellizzata di alcuni aspetti della vicenda, analizzati in chiave diversamente interpretativa; il che, all'evidenza, sconfina nel merito. In particolare, la conclusione dell'operazione di scorporo con esito positivo ed il miglioramento del risultato operativo di (OMISSIS) nel 2005 costituiscono solo elementi della piu' ampia valutazione delle condizioni economico-finanziarie della compagnia che - alla luce della situazione descritta dalla Commissione Europea, in precedenza richiamata, ed alla luce delle stesse criticita' manifestate sin dai primi, immediati esiti dell'operazione di scorporo - certamente non consentono affatto di ritenere che (OMISSIS) si trovasse in una indiscutibile situazione di floridita'. Come gia' in precedenza considerato, tuttavia, cio' non significa che un imprenditore debba necessariamente astenersi da un'operazione rischiosa, anche in una situazione di crisi economica, ma significa semplicemente che deve essere in grado di ponderare accuratamente il calcolo rischi-benefici in funzione della tenuta della garanzia patrimoniale. Sicche', anche a voler seguire il ragionamento difensivo - che ha sottolineato l'intervenuto aumento di capitale di oltre un miliardo di Euro alla fine del 2005 ed il risultato operativo positivo conseguito al 31/12/2005 rispetto a quello dell'anno precedente -, cio' non significa omettere di valutare anche altri aspetti, dimostrativi del trend piu' generale della compagnia, come ad esempio - per citare uno dei documenti prodotti dalla difesa del (OMISSIS) - la relazione della societa' di revisione (OMISSIS) s.p.a. al 30/06/2004 che, nero su bianco, indicava come gia' nel primo semestre 2004 la situazione finanziaria di (OMISSIS) coincideva con quanto previsto dall'articolo 2446 c.c., e, proprio per questa ragione, rilevava come l'operazione di ricapitalizzazione prospettata dovesse essere effettuata nella misura e nei tempi compatibili con le pressanti esigenze finanziarie della societa' e, comunque, entro i primi mesi del 2005. Detta relazione - che in questa sede viene citata in quanto piu' volte richiamata dalle sentenze di merito - menzionava il Piano Industriale ed il processo di ristrutturazione che si sarebbe, poi, realizzato con l'operazione di scorporo in precedenza descritta, richiamando il pronunciamento di compatibilita' della Commissione Europea, ma conteneva anche il richiamo alla circostanza che, proprio al fine di sostenere l'operativita' aziendale durante il periodo necessario al perfezionamento del Piano Industriale, (OMISSIS) era ricorsa ad un finanziamento di 400 milioni di Euro, da rimborsare entro dodici mesi dal loro utilizzo, ma poi anticipatamente restituita, circostanza, quest'ultima, anch'essa specificamente valutata dal primo giudice. In tal senso, infatti, il paragrafo 2.3.2 della sentenza di primo grado ricorda come tale prestito, garantito dallo Stato italiano, fosse stato concesso da (OMISSIS) e fosse stato utilizzato tra il dicembre 2003 ed il marzo 2005, in un contesto in cui alcuni fornitori avevano chiesto il pagamento immediato ed altri avevano intrapreso azioni di recupero dei crediti, evidenziando come il rimborso di tale somma fosse inizialmente previsto entro dodici mesi, ma che (OMISSIS) si era impegnata a completarne la restituzione entro il 2005, nell'ambito delle decisioni della Commissione Europea relativa all'ingresso di (OMISSIS) s.p.a. in (OMISSIS). Dalla relazione introduttiva al bilancio 2005, inoltre, emergeva - sempre alla luce della motivazione del primo giudice - che per estinguere il prestito/ponte era stato contratto, nel dicembre 2005, un ulteriore finanziamento di 377 milioni di Euro, assistito da garanzia ipotecaria su ventotto aeromobili in favore del GE Corporate Banking Europe; considerate le condizioni di cui all'articolo 2446 c.c., inoltre, il capitale sociale era stato ridotto, nel luglio 2005, quindi, nel novembre dello stesso anno era stato deliberato l'aumento di capitale sociale, collocando le azioni sul mercato, in parte sottoscritte dal Ministero del'Economa che, in base a detta sottoscrizione, riduceva la propria partecipazione al 49,9% e, infine, il prestito obbligazionario veniva ristrutturato spostando in avanti di tre anni il termine di restituzione, con aumento del tasso di interesse annuo. Tuttavia, come osserva la sentenza di primo grado, la relazione della societa' di revisione aveva segnalato che nel 2005 non erano stati conseguiti gli obiettivi prefissati, in seguito alla riduzione dei proventi del traffico ed all'aumento dei costi, tra cui il carburante, evidenziando che le perdite erano state ingenti e che il 2006 rappresentava l'esercizio di riferimento per verificare l'efficacia delle azioni di risanamento intraprese e propedeutiche all'avvio della successiva fase di rilancio prevista dal Piano Industriale. La societa' di revisione (OMISSIS), nella relazione al bilancio 2006, datata 11/06/2007, aveva, pertanto, sottolineato che (OMISSIS) "si trova da tempo in una situazione di squilibrio economico strutturale che ha comportato la rilevazione di significative perdite nel bilancio d'esercizio al 31 dicembre 2006 e nei bilanci degli esercizi precedenti, nonche' il realizzarsi di ingenti assorbimenti di liquidita'. Inoltre, a seguito della presentazione dei risultati del primo trimestre 2007 e delle risultanze del progetto di bilancio dell'esercizio 2006, la Societa' si trova, di fatto, nella situazione prevista dall'articolo 2446 c.c. (capitale ridottosi di oltre un terzo in conseguenza di perdite)", dando atto che era in corso la procedura di vendita della societa' e la ricerca di un nuovo azionista di maggioranza. Quanto all'operazione (OMISSIS), la societa' di revisione si limitava ad allegare il contenzioso giudiziario in atto, caratterizzato da "incertezza". 5.4 La citazione sommaria dei dati emersidalla documentazione, piu' volte richiamata dalla difesa e dalle stesse sentenze di merito, appare funzionale, in questa sede, a dimostrare come l'allegazione di singoli dati - estrapolati dalla valutazione complessiva del contesto generale in cui si collocano e, quindi, descritti senza considerare anche i dati coessenziali di segno contrario - non possa costituire un metodo efficace ai fini della ricostruzione di una situazione aziendale nel suo complesso, soprattutto quando essa appaia assai articolata, come nel caso in esame; ma ancor prima ed in generale da un punto di vista metodologico, perche' cio' contrasta con le strutture fondamentali di una seria analisi economica. Quanto in precedenza evidenziato e' che la percezione del livello economico non necessariamente coincide con la valutazione giuridica, posto che le due categorie valutative non si sovrappongono automaticamente, potendo, tuttavia, interagire per esigenze funzionali; proprio per tale ragione appare, in un certo senso, superfluo il tentativo di contrastare con dati puramente economici la valutazione operata dai giudici di merito, sia perche' non e' questa la sede per effettuare tale tipo di analisi - i cui strumenti e metodologie sono anche, in parte, non sempre noti e, comunque, eccentrici rispetto alle categorie giuridiche (la valutazione dell'economista, in termini di previsione di risultati, si basa sulla considerazione di un arco temporale necessariamente articolato in termini di anni, mentre la valutazione giuridica si limita alla considerazione di un singolo fatto storico gia' verificatosi che, nel caso di specie, assume la sua rilevanza penale in base ad un giudizio formulato ex ante) -, ma, soprattutto, perche' tale analisi non puo' che definirsi fisiologicamente parziale e, quindi, non utile, oltre che risolversi in una evidenziazione di aspetti ritenuti maggiormente rilevanti in base ad una considerazione tipica del giudizio di merito. In tal senso, quindi, non sembra che la difesa - oltre a sottolineare aspetti economici che, ad un'approfondita valutazione delle sentenze di merito, non puo' dirsi che siano stati omessi - abbia seriamente contrastato la circostanza che l'operazione, per come congegnata, apparisse incongrua rispetto ai tempi del Piano Industriale che la stessa (OMISSIS) si era data, sotto l'aspetto della tempistica e delle dichiarate finalita' in termini di riduzione di personale, riduzione di costi e rinnovamento della flotta. Cio' in un contesto contrattuale in cui l'offerente si impegnava a proseguire le attivita' imprenditoriali acquisite per un biennio, mantenendo i livelli occupazionali per lo stesso arco temporale. 5.5 Anche l'ottica di far risaltare l'aspetto rilevante dell'acquisizione degli slots, con conseguente danno economico, per (OMISSIS), qualora altra compagnia fosse riuscita ad aggiudicarseli, e' stata accuratamente esaminata dalle sentenze di merito. Su detto aspetto, infatti, risulta anzitutto che dal luglio 2002 al maggio 2005 era vigente un accordo di code-sharing tra il Gruppo (OMISSIS) ed (OMISSIS), in base al quale sei slots su (OMISSIS)-Linate erano gia' utilizzati da (OMISSIS). In cio' era stata ravvisata una "intesa di imprese", rilevante ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 2, da parte dell'AGCM, con delibera del 10/07/2003; in particolare, la predetta autorita', pur prendendo atto del fatto che intanto cinque rotte nazionali non erano piu' condivise, riteneva, pur tuttavia, l'accordo fonte di concentrazione contrario alla normativa sulla concorrenza per altre nove rotte nazionali, adottando i conseguenti provvedimenti per porre fine all'infrazione. Nella perizia valutativa di (OMISSIS) per il Gruppo (OMISSIS), inoltre, si dava atto che durante l'espletamento della gara il numero di 28 slots avrebbe potuto diminuire per la sopravvenienza di revoche da parte della competete autorita', il che avrebbe comportato una revisione della stima; cio' nondimeno nessuna garanzia era prevista da parte del venditore (salvo quella per evizione), mentre era a carico dell'offerente l'ottenimento di eventuali autorizzazione delle competenti autorita' necessarie per la conclusione del contratto, ivi inclusi i nullaosta ai sensi della normativa antitrust, dovendo egli sopportare anche il rischio collegato all'eventuale mancato, non tempestivo o condizionato rilascio. Non a caso (OMISSIS), dopo aver costituito la societa' veicolo (OMISSIS) s.p.a., con capitale sociale di 40 milioni di Euro, dopo aver pagato il prezzo di 38 milioni di Euro per il gruppo, ed avendo iniziato a gestirlo facendo fronte alle sue ingenti perdite, incorreva nella decisione dell'Antitrust che, con delibera del 05/07/2006, imponeva il rilascio di ben due coppie di slots da Linate sulla rotta (OMISSIS)-(OMISSIS), di una coppia sulla rotta (OMISSIS)-(OMISSIS), di una coppia sulla rotta (OMISSIS)-(OMISSIS) per eccesso di concentrazione. Contemporaneamente, (OMISSIS), seconda offerente, impugnava l'aggiudicazione della gara; il giudizio si concludeva con decisione del Consiglio di Stato in data 26/02/2008, che ordinava al commissario straordinario di (OMISSIS) di ripetere la gara, cosa poi non verificatasi per il sopravvenuto stato di dissesto. 5.6 Le sentenze di merito hanno, quindi, correttamente e logicamente evidenziato come risultasse del tutto incomprensibile l'assunzione totale, da parte di (OMISSIS), del rischio circa i possibili provvedimenti della competente autorita' in tema di concorrenza, senza la copertura di alcun tipo di garanzia in sede contrattuale; cio' risulta, in termini di politica aziendale, ancor piu' incomprensibile, considerato che (OMISSIS) gia' da tempo conosceva il Gruppo (OMISSIS), avendo, tra l'altro, intavolato accordi di code-sharing tra il 2002 ed il 2005, elaborando i relativi business plans; peraltro - come evidenziato dalla sentenza di primo grado, in contrasto con quanto ritenuto dalla difesa sul punto il 16/12/2005 lo studio (OMISSIS), con un memorandum riservato e confidenziale, aveva specificato che, in caso di acquisizione del Gruppo (OMISSIS), l'Autorita' Garante avrebbe avuto tutti gli elementi per presumere che la posizione fosse dominante, indicando, pertanto, specifiche linee difensive prospettabili e rappresentando, in ogni caso, il rischio concreto che (OMISSIS) fosse obbligata a cedere parte degli slots; invitava, quindi, a valutare tale rischio all'atto di decidere se presentare un'eventuale offerta ovvero nella definizione dei contenuti della stessa. Dal complesso di tali circostanze, con specifico riferimento soprattutto a quelle da ultimo indicate, emerge la consapevolezza, da parte del (OMISSIS), degli specifici rischi che, in concreto, l'operazione presentava, in relazione al quadro economico di (OMISSIS). In tal senso, a prescindere dalla completezza o meno dell'informazione al CdA della compagnia, il connotato gia' incongruo dell'operazione, in termini di coerenza e tempistica con le politiche del Piano Industriale, appare ulteriormente in discontinuita' alla luce del profilo, da ultimo evidenziato, di ponderata valutazione delle conseguenze che la concentrazione degli slots avrebbe potuto implicare, pur nell'ottica di una vantaggiosa acquisizione degli stessi. Di tali rischi, alla luce delle circostanze note sin dal momento della contrattazione, il (OMISSIS) era ben consapevole, non potendosi valutare come coerente la sua condotta - come suggerisce la difesa - alla luce della delibera dell'AGCM del 25/06/2008, che aveva rivisto e sostituito le misure adottate con provvedimento del 05/06/2006; la delibera del 2008, infatti, aveva dato atto che sulle rotte precedentemente indicate era intervenuta una modifica delle condizioni concorrenziali, concludendo, in ogni caso, per la necessita' di riallocare, da parte di (OMISSIS), gli slots sulle rotte da (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS). Il che, in sostanza, evidenzia come detto rischio avesse, sin dalla meta' del 2006, prodotto degli effetti immediati, che avevano richiesto l'adozione di adeguate misure finalizzate alla correzione della situazione che, a tutto concedere, nel 2008 persisteva ancora in parte in termini di criticita'. Ancor piu' incongrua, quindi, si manifesta l'operazione alla luce del prezzo offerto da (OMISSIS); come evidenziato dalla sentenza di secondo grado, infatti, all'esito della conclusione dell'operazione, il confronto tra il Piano Industriale ed il consuntivo del primo semestre aveva mostrato uno scostamento negativo di 195 milioni di Euro, laddove, se in tale fase fosse intervenuto un recesso, le conseguenze economiche dell'inadempimento sarebbero state pari al deposito cauzionale gia' versato (3,8 milioni di Euro, ossia il 10% del prezzo finale), a fronte del costo affrontato da (OMISSIS) nella sola fase di acquisizione (pari a 38 milioni di Euro per l'acquisto e 12 milioni di Euro a titolo di finanziamento iniziale del circolante) e del costo per la copertura delle perdite della partecipata, successivamente lievitate a 100 milioni di Euro. Alla luce degli aspetti analizzati, come illustrati dalle sentenze di merito e contrastati dalle argomentazioni difensive, il ricorso sul punto va rigettato. 6. Il sesto motivo di ricorso e' focalizzato sulla vicenda della consulenza (OMISSIS), descritta a capo di imputazione sub A6), ritenuta eccessivamente gravosa per la compagnia, alla stregua delle condizioni economiche in cui essa versava, alla luce del costo della consulenza stessa, pari ad oltre 50 milioni di Euro nell'arco di un triennio; la condotta, quindi, e' stata inquadrata nella fattispecie di bancarotta per dissipazione. Come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, tale consulenza, di cui era stata incaricata una societa' leader mondiale nel settore, era stata funzionale alla redazione del Piano Industriale piu' volte citato. Gia' con i motivi di appello la difesa aveva sottolineato come, nella sostanza, le conclusioni dei consulenti di parte avessero trovato un punto di convergenza circa il fatto che la consulenza strategica fosse una metodologia condivisa dalle grandi aziende, soprattutto allorquando, come nel caso in esame, era necessario attuare una fase di risanamento che fosse in grado anche di operare il superamento delle resistenze al cambiamento insite in una societa', quale (OMISSIS), con elevato grado di sindacalizzazione; il che, quindi, rendeva imprescindibile affiancare il management interno, non in grado di operare dette scelte innovative. La difesa aveva, inoltre, sottolineato come lo stesso consulente della pubblica accusa avesse convenuto sul fatto che il (OMISSIS), a differenza dei suoi predecessori, aveva poteri operativi estremamente estesi, il che non rendeva affatto necessario il ricorso ad una previa autorizzazione degli organi amministrativi della societa' per il conferimento dell'incarico, la cui scelta, peraltro, era di fatto obbligata, in quanto l'unica altra azienda leader nel settore, la (OMISSIS), non avrebbe potuto ricoprire l'incarico in quanto in precedenza aveva svolto attivita' di consulenza in favore delle organizzazioni sindacali in occasione di un tavolo tecnico azienda/sindacati istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Inoltre, con i motivi di appello la difesa aveva specificamente indicato quali fossero stati i dipendenti di (OMISSIS) che, escussi come testi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, avevano indicato specificamente i rilevanti vantaggi conseguiti all'esito dei progetti elaborati da (OMISSIS) (si tratta dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), di cui la difesa aveva indicato le udienze in cui erano stati escussi, riportando stralci significativi delle rispettive deposizioni). 6.1 Va osservato che la sentenza di primo grado aveva ricordato come tra il 2003 ed il 2007 fossero stati affidati incarichi esterni per oltre 75 milioni di Euro, in quanto gia' il (OMISSIS) aveva affidato un incarico alla Turn Works Inc. per 5 milioni di dollari nell'arco di un biennio, revocando analoga consulenza in precedenza conferita alla KPMG; il (OMISSIS), a sua volta, fermo restando l'incarico alla Turn Works Inc., aveva conferito ulteriore incarico alla (OMISSIS), avente il medesimo oggetto (profitability turnaround). La sentenza di primo grado, inoltre, aveva evidenziato come (OMISSIS) avesse speso complessivamente, per le consulenze attive, 7 milioni di Euro nel 2001; 12,6 milioni di Euro nel 2002; 18 milioni di Euro nel 2003. Alla sola (OMISSIS), pertanto, sarebbero stati pagati 24 milioni di Euro nel 2004, pari al 45% del costo totale delle consulenze; 25 milioni di Euro nel 2005, pari al 57% delle consulenze in totale; 3 milioni di Euro nel 2006, anno in cui il rapporto era cessato, pari al 30% del costo totale delle consulenze. Sul punto la difesa aveva specificamente evidenziato che la contestazione si fosse basata, essenzialmente, su una valutazione di tipo tecnico, effettuata dal consulente Dott.ssa (OMISSIS), la quale, nel suo elaborato, aveva evidenziato come ella avesse avuto a disposizione documentazione solo parziale in riferimento ai rapporti intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS); cio' era dipeso dal fatto che l'elaborato tecnico del consulente era stato depositato agli atti del procedimento nel febbraio 2011, prima, cioe', che la Guardia di Finanza iniziasse la propria attivita' di acquisizione documentale in relazione alla vicenda. Lo stesso organo investigativo aveva depositato un'informativa nel maggio 2011 in cui dava conto della documentazione acquisita, consentendo alla Dott.ssa (OMISSIS) di correggere il tiro in riferimento alle conclusioni rassegnate nell'elaborato scritto, come da lei precisato all'udienza dibattimentale del 23/10/2014. Tanto anche in riferimento alla definizione del prezzo in funzione delle risorse effettivamente utilizzate nel corso dello svolgimento degli incarichi conferiti. La sentenza di primo grado, essenzialmente, ha fondato la propria valutazione sulla deposizione del teste (OMISSIS), su cui pure la difesa aveva formulato specifiche contestazioni. Inoltre, il Tribunale aveva evidenziato l'evanescenza descrittiva dei singoli progetti elaborati da (OMISSIS) e l'estrema onerosita' della consulenza, sebbene gli stessi giudici avessero affermato come il Piano Industriale 2005-2008 fosse stato, in sostanza, elaborato da (OMISSIS); sul punto, infatti, la stessa sentenza di primo grado afferma che le due operazioni straordinarie - quella di scorporo di (OMISSIS) e quella dell'acquisizione del Gruppo (OMISSIS) - elaborate da (OMISSIS) si fossero rivelate anch'esse un mero sperpero di denaro. 6.2 Tanto premesso, va rilevato che la sentenza impugnata non appare aver adeguatamente e compiutamente motivato in relazione agli specifici aspetti evidenziati dalla difesa. La sentenza della Corte di merito, infatti, sembra, come peraltro quella di primo grado, essenzialmente concentrata sull'importo della consulenza, ma non ha affatto approfondito alcuni aspetti funzionali a detta valutazione: anzitutto, in piu' di un passaggio, si sottolinea la mancanza dei controlli nell'affidamento della consulenza (OMISSIS), senza, tuttavia, individuare se cio' avesse costituito la specifica violazione di una regola ovvero se come sostenuto dalla difesa - il (OMISSIS) fosse munito di poteri tali da poter procedere al conferimento dell'incarico senza doversi necessariamente consultarsi con altri organi aziendali. Cio' appare tanto piu' incongruo nella misura in cui, in riferimento ad altre vicende processuali, le medesime sentenze abbiano piu' volte sottolineato gli amplissimi poteri di gestione di cui l'amministratore disponeva, in riferimento alla specifica persona del (OMISSIS). In secondo luogo, non si comprende quale parametro valutativo sia stato effettivamente utilizzato, ne' a quale dato probatorio sia stato ancorato, nella misura in cui la Corte territoriale sembra avere del tutto omesso di valutare le deposizioni testimoniali che avevano positivamente ricostruito l'apporto della consulenza (OMISSIS); parimenti non sembra che siano stati minimamente considerati i chiarimenti forniti dalla Dott.ssa (OMISSIS), all'esito dell'analisi della documentazione resasi disponibile dopo il deposito della relazione a sua firma. Trattasi, all'evidenza, di elementi valutativi che - a parere del Collegio avrebbero meritato una specifica considerazione in quanto astrattamente in grado di incidere sulle conclusioni dei giudici di merito, per cui la loro omissione concreta un vizio motivazionale. E cio' soprattutto se si considera che proprio le sentenze di merito non sembra si siano poste in una corretta prospettiva, ossia quella secondo cui quella della societa' (OMISSIS) costituiva un'obbligazione di mezzi e non certamente di risultato; il che appare tanto piu' contraddittorio se si pone mente alla circostanza che - come ricordato nel ripercorrere la vicenda dell'acquisizione del Gruppo (OMISSIS) - le sentenze di merito avevano sottolineato come detta operazione si fosse posta in contrasto con il memorandum (OMISSIS) che, a sua volta, coincideva con il Piano Industriale, la cui redazione si basava parimenti sull'operato di (OMISSIS). Appare, quindi, quanto meno contraddittorio - in riferimento alla condotta di cui al capo A6) - svolgere affermazioni che risentono di palese apoditticita', quale quella secondo cui l'operato di (OMISSIS) aveva prodotto due operazioni del tutto discutibili - ossia l'operazione di scorporo e l'acquisizione del Gruppo (OMISSIS) senza porsi effettivamente il problema di cosa avesse previsto la consulenza su detti aspetti e come gli stessi, poi, fossero stati interpretati ed utilizzati dalla dirigenza dell'azienda. Senza considerare, infine, che - nella prospettiva di una valutazione della vicenda in tutti i suoi aspetti, contestualizzati alle dimensioni dell'impresa - avrebbe dovuto essere considerato anche il profilo concernente l'indiscusso ricorso ad attivita' di consulenze esterne, da parte di (OMISSIS). Tale prassi era, infatti, invalsa anche durante la precedente amministrazione, alla quale, tuttavia, sotto detto aspetto, non sembra sia stato rimproverato alcunche', ne', peraltro, allo stesso (OMISSIS) sono state mosse contestazioni circa le altre consulenze conferite nel corso dello svolgimento del suo mandato, non comprendendosi, quindi, come possa essere valutata la rilevanza penale di una condotta che prescinda dalla comparazione con una prassi aziendale consolidata. Invero, in realta' complesse come quella in esame non e' certamente il criterio del costo della consulenza - per quanto elevato esso appaia - a poter costituire l'elemento intrinsecamente decisivo circa la rilevanza penale di una scelta imprenditoriale altrimenti non ritenuta in alcun modo discutibile in riferimento ad altri, analoghi incarichi. Ne consegue, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, in riferimento al capo A6), con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che, nella libera valutazione degli elementi di prova, si adeguera' ai principi sin qui illustrati, motivando specificamente in riferimento alle indicate lacune argomentative rilevate. 7. In relazione al settimo motivo di ricorso, non possono che richiamarsi le considerazioni gia' in precedenza effettuate, al punto 2 della presente trattazione, in riferimento ai caratteri della bancarotta fraudolenta per dissipazione, ai quali il Collegio si e' ispirato nella individuazione del percorso logico che ha costituito il comune denominatore delle fattispecie dissipative delineate dalle sentenze di merito; cio' al netto delle condotte per le quali si e' ritenuto di annullare con rinvio l'impugnata sentenza ed al netto, altresi', di alcune affermazioni, contenute nelle sentenze di merito, sicuramente distoniche ed inappropriate rispetto al percorso motivazionale, benche' non incidenti sull'impianto ricostruttivo di fondo. Tanto premesso, proprio alla luce della giurisprudenza di questa Corte regolatrice, integrando le precedenti considerazioni, non appare possibile ritenere che, in riferimento alle condotte per le quali i motivi di ricorso sono stati rigettati, sia possibile individuare gli estremi di una bancarotta semplice, ai sensi della L. Fall., articolo 217. La differenza tra le due fattispecie sta nella connotazione della bancarotta fraudolenta sia sul piano oggettivo - caratterizzato dalla natura dell'operazione, del tutto priva di ogni profilo di coerenza con le esigenze dell'impresa - che soggettivo - individuato dalla coscienza e la volonta' dell'agente di diminuire il patrimonio per scopi del tutto estranei all'impresa -, laddove le operazioni manifestamente imprudenti, di cui alla L. Fall., articolo 217, n. 3, devono presentare, in astratto, un elemento di razionalita' nell'ottica delle esigenze dell'impresa, cosicche' il risultato negativo sia frutto di un mero e riscontrabile errore di valutazione. Sicche', nel caso di operazioni che comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la societa', l'operazione sara' attratta nella sfera della bancarotta fraudolenta per dissipazione, apparendo peraltro evidente come l'elemento soggettivo costituisca la cartina al tornasole anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alle esigenze di conduzione dell'impresa (Sez. 5, sentenza n. 342929 del 02/10/2020, Olivieri Elmo, Rv. 279973; Sez. 5, sentenza n. 47040 del 19/10/2011, Presutti, Rv. 225398; Sez. 5, sentenza n. 6462 del 04/11/2004, dep. 22/02/2005, Garattoni ed altri, Rv. 231394; Sez. 5, sentenza n. 38835 del 23/10/2002, Galluccio, Rv. 225398; Sez. 5, sentenza n. 2876 del 10/06/1998, dep. 03/03/1999, Vichi W., Rv. 212608). Senza ripercorrere le argomentazioni gia' in precedenza illustrate, va ribadito che, a differenza di quanto ritenuto dalla difesa, ai fini dell'inquadramento della condotta nell'una piuttosto che nell'altra fattispecie, non e' affatto necessario che l'impresa si trovi sull'orlo del fallimento o della dichiarazione dello stato di insolvenza, posto che tale evento condiziona il perfezionamento del reato, ma non e' collegato da alcun nesso di causalita' necessaria con la condotta. La struttura del reato richiede semplicemente che l'agente si prospetti detta eventualita' anche come probabile, posto che l'elemento soggettivo puo' manifestarsi sotto la forma del dolo eventuale. Il punto, piuttosto, e' quello di valutare se - chiarite le specifiche condizioni economico-finanziarie dell'impresa - quella specifica condotta presenti o meno una ragionevolezza in chiave di razionalita' concreta ovvero costituisca una scelta manifestamente azzardata, il cui esito positivo appaia del tutto irrealizzabile. Va da se' che cio' implica - ponendosi nell'ottica del soggetto agente - una valutazione di tutti gli aspetti della situazione aziendale, non solo in termini economici, ma anche sotto altri profili, tra cui, ad esempio, la storica situazione di conflittualita' sindacale che caratterizzava (OMISSIS) nella sua storia anche recente - come evidenziato anche dalla difesa -, per cui un amministratore consapevole ed esperto, quale risulta fosse il (OMISSIS), certamente aveva ponderato l'incidenza di detto fattore e lo aveva previsto in funzione delle scelte che stava per effettuare, anche in chiave preventiva. In tal senso le argomentazioni fornite dalla sentenza impugnata sono coerenti e precise nel delineare il (OMISSIS) come soggetto il cui profilo professionale e tecnico era assolutamente coerente con il massimo livello di capacita' manageriale e valutativa spendibile in quella specifica situazione congiunturale; ferma restando l'assenza di ragionevoli elementi per ritenere che l'esito delle operazioni sarebbe stato diverso in assenza di accordi tra i sindacati ed il Governo, come illustrato dalla difesa. Le operazioni ritenute dissipative, infatti, hanno manifestato sin dalle prime fasi della loro attuazione un esito fortemente infausto, dovendosi in questa sede sottolineare come, in riferimento ad un reato di pericolo concreto quale la bancarotta fraudolenta, certamente non puo' evitarsi di considerare l'esito delle operazioni medesime, in cui si concreta, per l'appunto, il danno. 7.1 E' altrettanto ovvio - come in precedenza indicato - che non esistono criteri automaticamente applicabili per discernere l'inquadramento di un'operazione in una piuttosto che nell'altra di una delle due fattispecie di reato indicate, ed in tal senso, in presenza di situazioni estremamente delicate e complesse, l'elemento soggettivo puo' costituire l'elemento decisivo. Non si puo' ritenere che, in astratto ragionando, determinate operazioni possano apparire dissipative semplicemente perche' rischiose in riferimento alle sole condizioni economico-finanziare di impresa, dovendo, invece, alla luce di tutta una serie di elementi afferenti alla specifica vicenda concreta, considerare se il soggetto agente - le cui cognizioni e la cui esperienza individuali appaiono, senza alcun dubbio, determinanti - abbia preso in considerazione la ragionevole possibilita' di fallimento dell'operazione, con conseguente danno per l'integrita' del patrimonio, accettandone il rischio come evoluzione plausibile. Questa Corte, infatti, da tempo ritiene che, per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale, sia necessaria la rappresentazione da parte dell'agente della pericolosita' della condotta, da intendersi come probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa e' in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, sentenza n. 15613/15 del 05/12/2014, dep. 15/04/2015, Geronzi, Rv. 263800-263805), per cui tale elemento soggettivo non si esaurisce affatto nella rappresentazione e nella volizione del fatto distrattivo o dissipativo, investendo anche la pericolosita' di tali fatti rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori; in cio', per l'appunto, consistendo la fraudolenza, connotato interno alla condotta, che involge la consapevolezza, da parte del soggetto agente, del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attivita', idonee a cagionare danno ai creditori, pur non essendo richiesto dalla norma alcun fine specifico di arrecare pregiudizio ai creditori. Cio' che, quindi, e' richiesto e' che l'agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo, anche remoto ma concreto. Come gia' argomentato nella motivazione della sentenza Sgaramella, ricordata in precedenza, "mette conto sottolineare che, al di la' di qualsiasi esemplificazione casistica (inevitabilmente esposta al rischio di accreditare, come si e' detto, impropri approcci astrattizzanti), l'onere motivazionale relativo alla sussistenza del dolo generico di bancarotta fraudolenta patrimoniale e', nella sua essenza, del tutto analogo a quello che, in generale, e' imposto al giudice penale nell'accertamento del dolo, accertamento che, per sua natura, deve far leva su dati esteriori e obiettivi, valutati, nella loro valenza dimostrativa, sulla base di massime di esperienza: ossia, su un modus procedendi che "consiste nell'inferire da circostanze esteriori significative di un atteggiamento psichico l'esistenza di una rappresentazione e di una volizione, sulla base di regole di esperienza (...), di cui la motivazione deve render ragione restando "saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza, al nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro probatorio" (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro). Al richiamo ai consolidati canoni argomentativi e motivazionali in tema di accertamento del dolo, deve solo aggiungersi l'ulteriore puntualizzazione che, con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, la base conoscitiva costituita dai dati esteriori sui quali deve incentrarsi l'indicato modus procedendi deve essere orientata, come si e' detto, alla ricerca dei possibili "indici di fraudolenza" espressivi della consapevolezza della concreta pericolosita', rispetto alle ragioni creditorie, del fatto di bancarotta, sicche' l'ampiezza di tale base deve essere inevitabilmente commisurata al grado di significativita' di detti indici". In tal senso, quindi, occorre chiarire che non e' necessario individuare una specifica finalita' della condotta che sia eccentrica rispetto alle finalita' dell'azienda, ovvero uno scopo della condotta con esse configgente, proprio perche', come piu' volte ribadito, siamo in presenza di un reato a dolo generico; cio' che appare essenziale e' che, sin dalla fase decisionale e programmatica, la condotta appaia manifestamente azzardata ed ingiustificatamente configgente con le condizioni effettive dell'impresa, risultando detto iniziale e radicale contrasto gia' sufficiente ad individuare l'estraneita' dell'opzione rispetto alle finalita' dell'impresa. 7.2 Per tale ragione le considerazioni, contenute nelle sentenze di merito, sugli scopi individuali del (OMISSIS) sono apparse del tutto superflue, oltre che inconsistenti dal punto di vista del riscontro probatorio, essendo sufficiente, al contrario, l'accertamento, anche alla luce della specifica caratura professionale del predetto, della connotazione intrinsecamente dissipativa delle operazioni di cui ai capi Al) e A3), cio' per la loro irragionevolezza complessiva in riferimento alla specifica situazione aziendale, rispetto alla quale non e' stato possibile individuare concreti elementi che potessero razionalmente far prevedere, una volta ponderate tutte le componenti in gioco, la presenza di una accettabile previsione di riuscita, posto che anche l'operazione in se' imprudente deve, pur tuttavia, fondarsi su un margine ragionevole di riuscita, in cio' consistendo, quindi, il criterio per discernere l'imprudenza dal totale azzardo. Tale valutazione, ovviamente, compete alla sfera del merito, rilevando, in questa sede, la verifica circa la sussistenza di un percorso logico-argomentativo che - a prescindere dalle aporie e dalle cadute di stile motivazionale - e' apparso, nei suoi elementi portanti, indiscutibilmente congruo in riferimento alle fattispecie dissipative in precedenza indicate. 8. Quanto alla fattispecie di cui al capo C), occorre ricordare che l'esame del motivo di ricorso e' circoscritto alla sola condotta basata sul comunicato stampa del gennaio 2006, unica vicenda da valutare all'esito della declaratoria di intervenuta prescrizione delle condotte di cui al medesimo capo C), nonche' del precedente capo B), in riferimento alle contestate fattispecie di manipolazione del mercato. La fattispecie residua, quindi, presuppone l'esame della vicenda relativa all'acquisizione del Gruppo (OMISSIS), gia' esaminata al punto 5, in riferimento alla fattispecie di bancarotta dissipativa, atteso che il comunicato stampa emesso dal (OMISSIS) aveva ad oggetto specifici aspetti della detta acquisizione. 8.1 Venendo all'esame dello specifico motivo di ricorso, va, anzitutto, chiarito un equivoco di fondo che sembra delinearsi in riferimento alla struttura del reato di manipolazione del mercato, di cui all'articolo 185 T.U.F.. Piu' volte la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito come il reato in esame sia una fattispecie rientrante nella categoria del reato di pericolo concreto e di mera condotta (da ultimo, Sez. 5, sentenza n. 53437 del 19/10/2018, Baldassarre, Rv. 275134, con ampio ed esaustivo resoconto della precedente giurisprudenza di legittimita'), il che significa che la concreta idoneita' della condotta debba essere accertata sulla base del criterio della prognosi postuma, volto a verificare se, in riferimento all'intera platea degli investitori ed alla complessiva situazione di mercato, nonche' valutando le iniziative sollecitatorie della Consob a norma dell'articolo 114 T.U.F,,, gli effetti decettivi dei fatti comunicativi, prevedibili in concreto ed ex ante quali conseguenze della condotta dell'agente, siano stati potenzialmente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di mercato del titolo rispetto a quello determinato in un corretto processo di formazione dello stesso. La puntualizzazione circa la classificazione del reato come di mera condotta significa semplicemente che esso si consuma nel luogo e nel momento in cui la condotta, ossia la notizia foriera di scompenso valutativo del titolo, viene resa nota o comunicata al mercato borsistico, determinando il pericolo del verificarsi della sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, a nulla rilevando che l'evento naturalistico non si verifichi (Sez. 5, sentenza n. 45829 del 16/07/2018, F., Rv. 274179; Sez. 5, sentenza n. 25450 del 03/04/2014, Ligresti, Rv. 260751; Sez. 5, sentenza n. 40393 del 20/06/2012, Gabetti, Rv. 253361-2; Sez. 5, sentenza n. 28932 del 04/05/2011, Tanzi, Rv. 253754-7). Cio', quindi, non autorizza in alcun modo a circoscrivere alla sola condotta commissiva l'elemento oggettivo del reato, posto che la stessa formulazione normativa - che si riferisce a "chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari" - descrive, all'evidenza, condotte lato sensu artificiose o truffaldine; in particolare, proprio l'individuazione, da parte del legislatore, della categoria di "altri artifici" nell'ambito delle formule descrittive della condotta rende palese come anche una modalita' in se' non illecita possa provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, qualora sia obiettivamente artificiosa, ossia posta in essere con modalita' tali da alterare il normale gioco della domanda e dell'offerta. Il che, sotto altro angolo di visuale, implica che la valutazione distorsiva della falsita' o artificiosita' della notizia renda necessario accertare i contenuti che la comunicazione avrebbe dovuto assumere, se fosse stata rispondente a verita' e completezza. In tal senso, quindi, occorre valutare se l'omissione, totale o parziale, di una notizia o di alcuni aspetti di essa, sia o meno coerente con la delineata struttura normativa. Quest'ultima, come noto, e' stata oggetto di un accresciuto interesse sanzionatorio - per effetto dapprima della L. n. 62 del 2005, adottata in attuazione della Direttiva comunitaria 2003/6/CE in tema di abusi di mercato, quindi della L. n. 262 del 2005, articolo 39, comma 1, - che ha inciso sulla determinazione delle pene di cui all'articolo 185 T.U.F., a dimostrazione della preoccupazione del legislatore a fronte di numerosi gravi scandali finanziari degli ultimi decenni che, coinvolgendo vere e proprie legioni di risparmiatori, hanno dimostrato una potenziale idoneita' a determinare notevolissimi contraccolpi sulla complessiva tenuta dei mercati borsistici. Peraltro, l'interesse protetto dall'articolo 185 T.U.F. va individuato nel regolare andamento del mercato dei titoli quotati, rispetto al quale la trasparenza e la correttezza del meccanismo di determinazione del prezzo risultano fondamentali, come evidenziato dalla Direttiva 2003/6/CE che, in riferimento ai fenomeni di market abuse, si riferisce a tutti quei fatti che "ledono l'integrita' dei mercati finanziari e compromettono la fiducia del pubblico nei valori mobiliari e negli strumenti derivati"; il che, d'altro canto, trova un coerente appiglio nell'articolo 47 Cost., in quanto una tutela efficace del risparmio non puo' prescindere da un presidio anche penalistico del meccanismo corretto della determinazione dei prezzi degli strumenti finanziari. In tal senso, quindi, risulta generica e, come tale, non condivisibile, oltre che incoerente con la giurisprudenza di legittimita', l'affermazione, sostenuta dalla difesa, secondo la quale il reato in esame non possa mai consistere in una condotta omissiva, in quanto, anzitutto, si confonde il concetto di reato omissivo con quello di reato di pura condotta, laddove il primo si riferisce ad una delle manifestazioni del comportamento del soggetto agente - azione od omissione e l'altro alla presenza, necessaria o meno, ai fini dell'integrazione della fattispecie criminosa, dell'evento del reato, non necessario nel primo caso e, al contrario, indispensabile per la realizzazione della fattispecie, nel secondo. Nel reato di cui all'articolo 185 T.U.F., quindi, e' sufficiente che siano poste in essere le cause dirette a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari quotati nelle liste di borsa, senza che sia necessario il verificarsi di questo evento (Sez. 5, sentenza n. 45829 del 16/07/2018, Franconi, Rv. 274179; Sez. 5, sentenza n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272083; Sez. 5, sentenza n. 28932 del 2011, Tanzi, cit.). Ne discende, pertanto, che l'effettivo verificarsi di siffatta alterazione nell'andamento del titolo puo' assumere valenza indiziante dell'idoneita' della condotta, pur essendo ravvisabile il reato anche senza che la variazione del prezzo si sia concretamente realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente l'interesse dell'ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello strumento finanziario; sicche' e' necessaria un'adeguata indagine sulla idoneita' ex ante della condotta manipolativa a produrre una variazione penalmente rilevante, indipendentemente da quella riscontrata ex post (Sez. 5, sentenza n. 4619 del 27/09/2013 - dep. 2014, Compton). 8.2 Secondo quanto emerge dalle sentenze di merito, in particolare dalla ricostruzione della sentenza di primo grado, nel caso in esame la Consob, a sua volta sollecitata dal Ministero delle Attivita' Produttive, aveva richiesto ad (OMISSIS) s.p.a., ai sensi dell'articolo 114, comma 5, T.U.F., di fornire al mercato una dettagliata descrizione del progetto di acquisizione del complesso aziendale (OMISSIS), con particolare riferimento: 1) alle motivazioni economiche dell'operazione alla luce anche delle linee guida del Piano Industriale 2005-2008; 2) alle condizioni essenziali cui era soggetto il contratto di cessione; 3) alle condizioni economiche ed alla provenienza delle risorse finanziarie utilizzate a sostegno dell'operazione; 4) alle indicazioni previsionali qualitative in merito ai riflessi gestionali dell'operazione ed alle modalita' di integrazione della nuova realta' aziendale; 5) ai riflessi contabili di tale operazione, sia sulla struttura dei costi che sull'indebitamento finanziario; 6) allo stato di avanzamento della procedura di acquisizione. Solo a seguito dell'invito della Consob, in data 28/01/2006 (OMISSIS) s.p.a. emetteva il comunicato il cui contenuto e' riportato nel capo di imputazione sub C). In particolare, secondo il primo giudice, alla cui motivazione la Corte di merito fa integrale riferimento - come indicato a pag. 68 della motivazione dell'impugnata sentenza -, (OMISSIS) s.p.a. si era trincerata dietro l'attuazione del Piano Industriale, benche' nessuna acquisizione avrebbe potuto essere effettuata nella fase di risanamento del Piano, ossia nella prima fase in cui ci si trovava. Inoltre, nel comunicato non si menzionava l'assunzione del rischio di provvedimenti negativi da parte dell'Antitrust, non si citavano gli esborsi per costituire la societa' veicolo, ne' le perdite, stimate in 12 milioni di Euro nel 2006, ne' si parlava dei possibili futuri impatti nei bilanci consolidati del 2006-2007 di (OMISSIS) s.p.a., derivanti dal consolidamento dei margini previsionali di (OMISSIS) s.p.a., nonche' dall'assorbimento di cassa prodotto dal fabbisogno stimato per il riavvio delle attivita' del ramo. Nel comunicato, inoltre, non si chiariva lo stato di avanzamento della procedura di acquisizione, ne' la tempistica della gara con aggiudicazione formale prevista per il successivo 01/02/2006, risultando taciute altre criticita' dell'operazione, dalla possibilita' di ricorrere ad eventuali partnership con soggetti terzi in relazione a tutto o a parte del complesso aziendale, all'assenza di garanzie sulla veridicita' dei dati contabili del Gruppo (OMISSIS), al fatto che i costi di gestione sarebbero aumentati in relazione al numero effettivo di aeromobili (che sarebbero stati dieci e non cinque, come scritto nel comunicato); infine, si tacevano anche le difficolta' economiche crescenti di (OMISSIS), a causa dei ritardi nella definizione della gara, posto che, dopo il 15/01/2006, il Gruppo (OMISSIS) si sarebbe trovato privo della liquidita' necessaria a garantire la prosecuzione dell'attivita', con conseguente rischio per la conservazione degli slots. Queste circostanze non sono contestate dalla difesa che, piuttosto, incentra il motivo di ricorso sulla illogicita' motivazionale della sentenza, che ha ritenuto penalmente rilevante una condotta che era consistita nella puntuale risposta alle informazioni richieste dalla Consob ai sensi dell'articolo 114, comma 5, T.U.F., asserendo, come detto, che, in ogni caso, una condotta meramente omissiva non possa configurare la manipolazione del mercato. 8.3 Inoltre, la difesa ha rilevato come - a parte l'esito negativo del contenzioso pendente innanzi al Tribunale di Roma, che con ordinanza del 27/01/2006 inibiva ad (OMISSIS) s.p.a. la partecipazione alla gara per la cessione del complesso aziendale (OMISSIS), circostanza pacificamente non nota ad (OMISSIS) s.p.a. al momento del comunicato del 26/01/2006 - la mancata comunicazione della circostanza del possibile deterioramento della situazione aziendale di (OMISSIS) a causa dello slittamento dei termini per l'aggiudicazione della gara fosse gia' nota, in quanto rappresentata dal Commissario di (OMISSIS) ad un tavolo sindacale del 05/01/2006 e ripresa dalla stampa. Quanto all'assenza di riferimenti circa l'impatto che l'acquisizione di (OMISSIS) avrebbe avuto sui bilanci 2006-2007 di (OMISSIS), trattavasi di circostanza che non era stata considerata rilevante neanche dalla Consob, che non ne aveva fatto oggetto di richiesta e che, inoltre, come rilevato dal consulente della difesa, non era nota neanche alla stessa (OMISSIS), posto che l'acquisizione non si era ancora realizzata e, comunque, non si comprenderebbe perche' l'informazione avrebbe dovuto riguardare solo il biennio 2006-2007, data la previsione di una ripresa di redditivita' di (OMISSIS) a partire dal 2008. Infine, sulla carenza informativa circa il rischio derivante da un provvedimento restrittivo dell'Antitrust, l'informazione risultava dal bando di gara, gia' pubblicato sul sito internet del Gruppo (OMISSIS) e, quindi, si trattava di notizia a sua volta gia' nota, oltre che imprevedibile dal punto di vista della sua evoluzione, come dimostrato dal fatto che l'iter innanzi all'AGCM si era definito dopo ben due anni. 8.4 Sul punto relativo al capo C), inoltre, la difesa ha depositato memoria in data 09/10/2020, le cui argomentazioni, tuttavia, non possono essere prese in considerazione dal Collegio, stante la tardivita' del deposito della memoria stessa, considerato che non risulta rispettato il termine di quindici giorni per il deposito, previsto dall'articolo 611 c.p.p. e pacificamente applicabile anche ai procedimenti in pubblica udienza (Sez. 6, sentenza n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv. 278719; Sez. 2, sentenza n. 10255 del 29/11/2019, dep. 16/03/2020, Fasciani, Rv. 278745; Sez. 6, sentenza n. 18453 del 28/02/2012, Cataldo ed altri, Rv. 252711; Sez. 1, sentenza n. 17308 del 11/03/2004, Madonia, Rv. 228646). 8.5 In ogni caso, al fine di approfondire la problematica relativa alla condotta penalmente rilevante in riferimento al reato in esame, va ricordato che il concetto di "notizia" si riferisce a comunicazioni che vertono su circostanze di fatto, relative a profili commerciali, economici, finanziari, ovvero di carattere politico o sindacale, con esclusione, quindi, delle voci o delle dicerie sprovviste di riferimento oggettivi tali da consentire l'identificazione ed il riscontro di quanto comunicato. Tale criterio, tuttavia, evidenzia come, del tutto fisiologicamente, nella realta' empirica la scelta dei fatti da comunicare sia sempre espressione di un approccio valutativo; sarebbe del tutto avulso dalla realta' fattuale, infatti, considerare "notizia" solo la descrizione ch un fatto storico accaduto o di p (OMISSIS)ma verificazione, soprattutto in riferimento ad un contesto in cui le manovre speculative vengono originate proprio da informazioni e giudizi riferiti ad eventi futuri, quindi caratterizzati da una evidente connotazione valutativa che, proprio in detta dimensione, risultano idonee ad incidere sulle scelte di investimento dei destinatari. In detta cornice ermeneutica, quindi, deve essere considerata la descrizione normativa della fattispecie di cui all'articolo 185 T.U.F., stante l'evoluzione legislativa che, dopo soli tre anni dalla riforma del diritto penale societario di cui al Decreto Legislativo 11 aprile 2002, n. 61, ha introdotto l'articolo 185 T.U.F. con la L. n. 62 del 2005, di attuazione della direttiva 2003/6/CE, scorporando dall'articolo 2637 c.c. una nuova ipotesi di reato che - alla luce di quanto previsto dall'articolo 182, comma 2 e 2-bis, T.U.F. - estende la manipolazione informativa e la manipolazione operativa agli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali e' stata presentata richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri paesi dell'Unione Europea, oppure strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, per i quali l'ammissione e' stata richiesta o autorizzata dall'emittente. Pacificamente, quindi, le categorie concettuali individuate dalla disposizione in esame non possono non risentire dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale riferita alle disposizioni di cui alle fattispecie di: aggiotaggio comune, di cui all'articolo 501 c.p.; manovre speculative su merci, di cui all'articolo 501 bis c.p.; aggiotaggio societario, di cui all'articolo 2637 c.c.. Alla luce della complessiva elaborazione sul tema, quindi, puo' affermarsi che il concetto di "notizia falsa" corrisponde alla notizia difforme dalla realta', ovvero priva del benche' minimo fondamento, nonche' la smentita di una notizia vera, data l'identita' logica tra l'affermazione di un fatto inesistente e la negazione di un fatto esistente; nonostante l'esclusione dalla formulazione normativa delle "notizie esagerate e tendenziose", inoltre, deve ritenersi che la portata precettiva della norma non abbia subito drastiche limitazioni, atteso che le notizie esagerate sono comunque notizie che contengono elementi di falsita' sotto l'aspetto quantitativo, mentre le notizie tendenziose sono quelle che presentano fatti veri in maniera strumentale e surrettizia, inducendo il destinatario delle stesse ad una rappresentazione alterata o artefatta della realta'. In sostanza, quindi, le notizie esagerate e tendenziose rappresentano altrettante manifestazioni di falsita', rientrando, come tali, nel piu' ampio genus di "notizie false"; detta tipologia di notizie potrebbe rientrare, in ogni caso, nella nozione di "altri artifici", individuato dalla norma come clausola di chiusura nella tipizzazione delle condotte. Va sottolineato, ancora, che la norma non richiede in alcun modo che la notizia si fondi su dati riservati, essendo richiesto, quale criterio selettivo, solo il grado di attendibilita' della notizia falsa, ossia la sua attitudine a determinare l'effetto normativamente tipizzato, ossia il condizionamento del prezzo di uno strumento finanziario. Quanto alle "operazioni simulate", queste vanno individuate nelle condotte dotate di valenza ingannatoria mediante la rappresentazione di una situazione di mercato non corrispondente alla realta', sia in termini di simulazione assoluta che di simulazione relativa, ovvero la dissimulazione di una situazione reale. In relazione agli "altri artifici", infine, trattasi, all'evidenza, di una clausola di chiusura, in cui vanno incluse tutte quelle condotte, non necessariamente illecite, ma dotate, comunque, di una componente fraudolenta o decettiva che, in considerazione del contesto specifico, assumono una oggettiva connotazione distorsiva del rapporto tra domanda ed offerta, in grado di ingannare gli operatori e di condizionarne le scelte di investimento. 8.6 Conclusivamente, quindi, la fattispecie va inquadrata come un reato a forma libera, le cui condotte sono connotate dal costante richiamo alla oggettiva valenza ingannatoria delle stesse, prescindendo dall'obiettivo perseguito dal soggetto agente, da valutare, come detto, con giudizio ex ante, prescindendo, quindi, dalle conseguenze effettivamente verificatesi, in cio' risiedendo la qualificazione della fattispecie come reato di pura condotta e di pericolo, piuttosto che illecito di evento. Pertanto, la condotta descritta dalla norma e' gia' apparsa sufficientemente determinata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita', attraverso il chiaro riferimento alla natura necessariamente manipolativa della condotta, oltre che attraverso il richiamo a concetti noti, come quelli che individuano le modalita' "artificiose" delle operazioni ed il pericolo di "alterazione" del mercato che ne discende. Il richiamo alla necessita' che le variazioni del mercato indotte siano "sensibili", inoltre, contribuisce a definire la condotta di alterazione, incidendo in funzione esplicativa sugli elementi costitutivi dell'illiceita'; in tal modo, pertanto, viene evitato il rischio di una eccessiva vaghezza della norma ed il conseguente pericolo di incostituzionalita' della stessa (Sez. 5, sentenza n. 2279 del 07/12/2004, dep. 25/01/2005, Mansi, non massimata). Cosi' individuati i connotati tipici della fattispecie, e' evidente come una condotta meramente omissiva difficilmente potra' avere una rilevanza in termini di artificio, implicando detto concetto una predisposizione di mezzi strutturalmente configgente con il silenzio o con la mera inerzia; non a caso, infatti, la Direttiva 2003/6/CE, in tema di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, elencandone le modalita' all'articolo 1, n. 2, non contiene alcun riferimento a condotte puramente omissive, con la conseguenza che, diversamente opinando, ci si troverebbe in presenza proprio di quei profili problematici che la riforma del diritto penale societario, nel 2002, aveva inteso superare. Tuttavia, dire che la pura e semplice non comunicazione non integri il reato in esame e' cosa ben diversa dal ritenere che l'omissione, intesa come modalita' che concorre a connotare la falsita' della notizia comunicata, sia irrilevante. Ferma restando, infatti, la necessita' di un comportamento comunicativo (il che sgombra il campo dalla rilevanza del semplice silenzio e della pura omissione, in cio' solo concordandosi con la difesa), l'elemento di conoscenza fattuale, rilevante nella formazione del prezzo del titolo, puo' essere determinato anche da una condotta mista, in cui, a fronte di notizie la cui comunicazione e' imposta dalla legge, la notizia venga comunicata in maniera lacunosa e/o parziale rispetto a cio' che il soggetto era tenuto a comunicare, considerato che il non dire, in un contesto che obbliga il soggetto agente a fornire notizie chiare e complete, corrisponde a dire il falso, nella misura in cui egli omette contenuti e/o aspetti significativi dell'informazione. In altri termini, l'omissione, in tali casi, finisce per distorcere l'informazione positivamente diffusa, nella misura in cui la stessa risulti lacunosa ed elusiva e, come tale, distorsiva negli effetti. Ovviamente, anche in tal caso, il comportamento assumera' penale rilevanza qualora risulti concretamente idoneo a provocare in misura sensibile l'alterazione del prezzo degli strumenti finanziari coinvolti, secondo l'indicato schema del reato di pericolo concreto, accertamento che, tra l'altro, rappresenta l'elemento discretivo rispetto alla fattispecie di cui all'articolo 187-ter T.U.F., risultando, altrimenti, difficilmente separabili le fattispecie sotto l'aspetto della sola descrizione della condotta. Appare, quindi, doveroso ribadire come la sentenza di primo grado si sia fatta carico di esaminare detti aspetti, nella misura in cui la motivazione ha evidenziato che la Consob, nella sua interlocuzione con il Ministero delle Attivita' Produttive, aveva affermato che la normativa vigente in tema di aumenti di capitale rendeva dovute "tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell'emittente e degli strumenti finanziari, sono necessarie affinche' gli investitori possano valutare con cognizione di causa la situazione patrimoniale e finanziaria, i risultati economici e le prospettive dell'emittente e degli eventuali garanti, come pure i diritti connessi agli strumenti finanziari (Direttiva n. 2003/71/CE e Regolamento 8009/2004/CE cui fa riferimento il Regolamento Emittenti come da ultimo modificato con delibera Consob n. 15232 del 29.11.2005). Tuttavia, le medesime norme prescrivono che nel prospetto informativo debbano essere inserite informazioni relative ai principali investimenti futuri dell'emittente solo nella misura in cui essi siano gia' stati oggetto di un impegno definitivo da parte dell'organo amministrativo". 8.7 Proseguendo, la sentenza di primo grado, ha ritenuto che "la scelta di Consob di chiedere la diffusione di notizie al Mercato denota indubbiamente l'estrema importanza di dette informazioni per il pubblico degli investitori, ai quali (OMISSIS) si presentava ad ogni apertura di Borsa, e per tutta la durata della giornata borsistica; questo perche' si trattava di informazioni che avrebbero potuto orientare gli investitori, consentendo loro di valutare quantomeno le prospettive della Societa' per azioni". Alla luce di detto inquadramento, quindi, la sentenza di primo grado ha ritenuto che il comunicato stampa del gennaio 2006 fosse a "contenuto necessario" e, cio' nonostante, contenesse omissioni, inesattezze e carenze in rapporto all'operazione nel suo complesso ritenuta di notevole impatto economico-finanziario, "idonea a produrre effetti distorsivi sul mercato finanziario, creando uno stato di pericolo derivante dal falso quadro informativo fornito in ordine allo stato di salute della s.p.a. ed in relazione al reale ed effettivo perseguimento del propugnato risanamento", posto che " (OMISSIS) si pregiava di apparire come una societa' per azioni fortemente impegnata in una oculata "fase di risanamento" per il biennio 2005-2006, per preparare la successiva prudente "fase di rilancio", pure programmata, a partire dall'inizio del 2007 (...). Invece, nel caso in cui fossero state diffuse le informazioni corrette, il pubblico degli investitori avrebbe saputo che (OMISSIS) stava effettuando costose e rischiose acquisizioni espansive, tali da poter incidere significativamente sui suoi bilanci; tale conoscenza innegabilmente si sarebbe riverberata sulle scelte degli investitori". Tale motivazione risulta del tutto in linea con il dettato normativo. Deve, infatti, rilevarsi che il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 114, - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - al comma 5 stabilisce che "la CONSOB puo', anche in via generale, richiedere agli emittenti, ai soggetti che li controllano, agli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine, ai componenti degli organi di amministrazione e controllo e ai dirigenti, nonche' ai soggetti che detengono una partecipazione rilevante ai sensi dell'articolo 120 o che partecipano a un patto previsto dall'articolo 122, che siano resi pubblici, con le modalita' da essa stabilite, notizie e documenti necessari per l'informazione del pubblico. In caso di inottemperanza, la CONSOB provvede direttamente a spese del soggetto inadempiente". L'articolo 193 del medesimo T.U.F, sanziona, poi, la mancata effettuazione delle comunicazioni previste dagli articoli 114 e 115. Tale essendo il quadro normativo di sistema, e' evidente che la richiesta di comunicazione proveniente dalla Consob, ai sensi dell'articolo 114, comma 5, T.U.F., individui un vero e proprio obbligo cui i soggetti destinatari sono tenuti nei confronti dell'autorita' di vigilanza. Sotto il profilo oggettivo, poi, la richiesta di pubblicita' ex articolo 114, comma 5, T.U.F. deve concernere comunque "notizie e documenti necessari per l'informazione del pubblico", nozione che va interpretata nella sua correlazione con gli obblighi di disclosure gia' imposti dal comma 1 dello stesso articolo 114 T.U.F., e quindi anche con l'articolo 181 T.U.F., dovendosi, cioe', trattare di notizie che, se rese pubbliche con sufficiente tempestivita' - in quanto la correttezza dell'informazione va apprezzata alla luce dell'attualita' e completezza dei dati -, potrebbero influire in modo sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari (price sensitive), ovvero influenzare le decisioni degli investitori con riguardo a quel determinato strumento finanziario (Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 8529 del 31/03/2017, Rv. 643540). Appare chiaro, considerato il contenuto delle comunicazioni da rivolgere al pubblico, che il soggetto vincolato - nel caso in esame il (OMISSIS), quale presidente e a.d. di (OMISSIS) s.p.a. -, in caso di richiesta di notizie proveniente dalla Consob, rivestiva una qualifica tale da essere in grado di adempiere ai doveri informativi in maniera del tutto completa ed esaustiva, cosi' garantendo la tutela dell'integrita' dei mercati, nonche' la trasparenza e la veridicita' delle informazioni stesse. Egli, cioe', era il soggetto piu' idoneo ad esaminare la completezza delle notizie da fornire in funzione delle predette finalita', non essendovi alcun dubbio che fosse in condizione da ponderare, sotto un profilo valutativo, quali avrebbero potuto essere gli effetti elusivi di informazioni incomplete che, dietro la formale connotazione di "notizie", in realta' finivano per rappresentare in maniera parziale ed incompleta la realta' aziendale, determinandosi l'effetto distonico proprio grazie alla commistione di informazioni ed omissioni, condotta composita evidenziata dal primo giudice nella richiamata motivazione. In tal senso, quindi, occorre ribadire - come gia' in precedenza ricordato che le informazioni da fornire vanno considerate in funzione della completezza conoscitiva e, pertanto, non devono necessariamente essere connotate da riservatezza, ai fini dell'integrazione della condotta; nel concreto contesto informativo, infatti, ben puo' rilevare anche il mancato inserimento di una notizia gia' altrimenti nota, il cui significato va contestualizzato e, quindi, messo in relazione alle altre componenti conoscitive. Va, pertanto, osservato che il ricorso, in realta', opera un'analisi parcellizzata delle informazioni oggetto del capo di imputazione, aggirando la problematica concernente il complessivo carattere discontinuo e manchevole del comunicato stampa - come illustrato dalle sentenze di merito -, atteso che il globale tenore del documento, nella sua dimensione informativa carente e lacunosa, appare la risultante del collegamento tra le singole componenti che, solo se lette in maniera coordinata tra loro, possono essere inquadrate ai fini di un piu' complessivo giudizio di (in)completezza e (carenza di) chiarezza dell'informazione. 8.8 Ne' puo' convenirsi con le doglianze difensive circa la mancata irrogazione di sanzioni amministrative da parte della Consob, stante la insussistenza di qualsivoglia pregiudiziale amministrativa rispetto all'esercizio dell'azione penale. Cio' che va approfondito, tuttavia, e' l'aspetto concernente il principio del ne bis in idem, del tutto impropriamente e vanamente evocato dalla difesa. L'ampia problematica della compatibilita' tra il piu' volte analizzato "doppio binario sanzionatorio", previsto dall'ordinamento italiano in tema di market abuse, ed il divieto del ne bis in idem, sancito non solo dall'articolo 649 c.p.p., ma anche dall'articolo 4 protocollo 7 CEDU, non puo', infatti, essere utilizzato in maniera assiomatica, avulsa da qualsiasi corretta individuazione della cornice applicativa nell'ambito della quale detta problematica puo' manifestarsi. Come noto, nell'atto di recepire la direttiva 2003/6/CE in tema di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, il legislatore italiano ha optato per la scelta del "doppio binario cumulativo", a differenza di quanto previsto da altri Stati; sotto detto aspetto, infatti, l'articolo 14 della direttiva, pur obbligando i legislatori nazionali ad adottare sanzioni amministrative di carattere efficace, proporzionato e dissuasivo, lasciava loro la facolta' di comminare anche una sanziona penale per quei medesimi comportamenti illeciti; tale opzione risulta confermata anche dalla successiva direttiva 2014/57/CE. La frizione tra le categorie illecite delineate dal legislatore italiano ed il principio del divieto del ne bis in idem ha trovato un primo approdo nella sentenza della CGUE (sez. 3, Spectator Photo Group NV c. CBFA, 23 dicembre 2009, C-45/08), con cui i giudici di Lussemburgo avevano sancito che la presenza di due distinte sanzioni, aventi ad oggetto il medesimo comportamento, non ledesse necessariamente il principio evocato. Piu' noto e' il caso, successivo di pochi anni, deciso dalla Corte EDU (Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014) in relazione ai ricorsi presentati da alcuni cittadini italiani, sanzionati dalla Consob in sede amministrativa ed, altresi', processati in sede penale in relazione alle medesime condotte di manipolazione informativa, i quali lamentavano la violazione sia dell'articolo 6 CEDU in tema di giusto processo, sia dell'articolo 4 protocollo n. 7 CEDU, in riferimento al principio del ne bis in idem. Le argomentazioni elaborate nella sentenza da ultimo citata si fondano sull'analisi del procedimento amministrativo sanzionatorio previsto dall'ordinamento italiano, allo scopo di verificare se lo stesso possa essere ricondotto - sia in riferimento alle sanzioni in astratto comminate dal T.U.F., sia in relazione a quelle applicate nel caso concreto - nell'alveo del concetto di "accusa avente natura penale"; nel caso concreto, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che le sanzioni inflitte dalla Consob non erano funzionali solo a riparare un danno finanziario, ma avevano un obiettivo spiccatamente punitivo, proprio in quanto inflitte dalla Consob in funzione della gravita' della condotta ascritta, sicche' esse - alla luce dei criteri elaborati dalla pronuncia Egel ed altri c. Olanda, atti ad individuare la sanzione sostanzialmente penale, al di la' del nomen juris applicato dal legislatore nazionale - potevano essere fatte rientrare senza dubbio nella materia penale. In tal caso, quindi, era stata ravvisata la violazione del principio di cui all'articolo 4, protocollo n. 7, CEDU, che assicura il diritto a non essere giudicati o punti due volte per lo stesso fatto. Cio' che, quindi, in tale sede rileva e' come sia del tutto evidente - anche alla luce delle ulteriori pronunce del giudice sovranazionale (Menarini Diagnostic c. Italia del 27 settembre 2011; A. e B. c. Norvegia del 18 aprile 2017; Nykanen contro Finlandia del 20 maggio 2014, Lucki Dev contro Svezia del 27 novembre 2014, Kiivari contro Finlandia del 10 febbraio 2015) e di questa Corte regolatrice (Sez. 6, sentenza n. 1645 del 12/11/2019, Montella Ciro, Rv. 278099; Sez. 5, sentenza 38717 del 06/06/2019, Bresciani Claudio, Rv. 277115; Sez. 3, sentenza n. 22033 del 07/02/2019, Palma Giuseppe, Rv.276023; Sez. 5, sentenza n. 39999 del 15/04/2019, Respigo Ruggero Antonio, Rv. 276963; Sez. 5, sentenza n. 5679 del 09/11/2018, Erbetta Emanuele, Rv. 275314) - che in tanto ha senso evocare il principio richiamato dalla difesa, nella misura in cui ci si trovi in presenza dell'instaurazione di un doppio procedimento, prima ancora dell'irrogazione di una doppia sanzione, come peraltro emerge chiaramente da tutte le problematiche che sono state esaminate dalle sentenze indicate, ad esempio in tema di necessita' o meno di un meccanismo di interruzione del secondo procedimento qualora il primo si sia concluso con provvedimento definitivo, oppure in tema di applicazione delle garanzie del processo penale nell'ambito del giudizio innanzi alla Consob. Sicche', nel caso in esame, in cui nessun procedimento amministrativo risulta mai instaurato innanzi alla Consob, appare evidente come il motivo di ricorso si ponga ai limiti dell'inammissibilita', evocando il principio del ne bis in idem in maniera del tutto decontestualizzata ed inappropriata. Alla luce delle illustrate argomentazioni il motivo di ricorso va, conclusivamente, rigettato. 9. Il nono motivo di ricorso, relativo alla determinazione della pena, e' parzialmente fondato. La sentenza impugnata - nel rideterminare la pena a seguito dell'intervenuta prescrizione delle condotte di cui al capo C) in epoca anteriore al 12/01/2016 ha correttamente ritenuto la fattispecie di cui all'articolo 185 T.U.F. come piu' grave, alla luce della pena edittale massima, pari ad anni 12 di reclusione, cosi' determinata per effetto della modifica introdotta dalla L. n. 262 del 2005, che aveva raddoppiato le pene detentive come precedentemente stabilite. Tale individuazione della piu' grave fattispecie da individuare per il calcolo della pena base appare del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimita' in tema di individuazione del piu' grave reato in riferimento a reati in continuazione tra loro (Sez. U, sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti ed altro, Rv. 255347), ne' tale aspetto e' contestato dalla difesa. La pena base per detta fattispecie e' stata, pertanto, fissata in anni 5, mesi 3 di reclusione ed Euro 240.000,00 di multa, ridotta - per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza - alla pena di anni 3, mesi 6 di reclusione ed Euro 160.000,00 di multa. Va osservato che la pena in questione e' stata applicata considerando che la condotta incriminata era stata posta in essere in un arco cronologico in cui la pena edittale per la fattispecie di cui all'articolo 185 T.U.F. era stata gia' modificata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262 - che, all'articolo 39, ha previsto che le pene previste dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 fossero raddoppiate - e che detta legge era gia' entrata in vigore. La doglianza difensiva sul punto, come visto, si incentra sulla violazione dei criteri di cui all'articolo 133 c.p., atteso che la condotta ascritta al (OMISSIS) era stata posta in essere appena sedici giorni dopo l'entrata in vigore della L. n. 262 del 2005. Come piu' volte affermato dal Giudice delle leggi, il principio di irretroattivita' della norma sfavorevole si fonda sul rilievo della preventiva valutabilita' da parte dell'individuo delle conseguenze penali della propria condotta, funzionale a preservare la libera autodeterminazione della persona (Corte costituzionale, sentenze n. 394 del 2006; n. 236 del 2011; n. 230 del 2012). Ne discende che, essendo la condotta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la calcolabilita' delle conseguenze penali in funzione dell'autodeterminazione della persona, appare del tutto ragionevole che nessun rilievo determinante possa essere attribuito, nella determinazione della pena, al trattamento sanzionatorio precedentemente individuato sulla base di criteri rispetto ai quali il legislatore ha modificato la propria valutazione e, conseguentemente, la determinazione dell'impianto sanzionatorio. Sotto tale profilo, quindi, le argomentazioni del ricorso appaiono palesemente infondate. 9.1 Senz'altro fondato, al contrario, appare il rilievo difensivo che ha evidenziato come, nella determinazione degli aumenti per la continuazione con le fattispecie di bancarotta ascritte al (OMISSIS), sia stata violata la disposizione di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1), avendo la Corte territoriale individuato, per le fattispecie di bancarotta cui ai capi Al), A2), A3) e A4), un aumento di anni 1, mesi 2 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa ciascuno. Trattasi di palese e conclamata violazione di legge, posto che "in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita' di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'articolo 81 c.p." (Sez. U, sentenza n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665 che, in motivazione, ha chiarito come l'articolo 219, comma 2, n. 1, citato disciplini un'ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, unificati dal legislatore attraverso il ricorso allo strumento tecnico della circostanza aggravante, sulla base di una scelta chiaramente ispirata dall'esigenza di mitigare le conseguenze sanzionatorie dei reati di bancarotta, la cui pluralita' in un fallimento e' evenienza fisiologica; pertanto la L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, altro non e' che un'ipotesi di concorso di reati, il cui ambito di operativita' coincide con quello dell'articolo 81 c.p., comma 2, rispetto alla quale, tuttavia, il legislatore del 1942, per ragioni di favor rei, ha scelto di fare ricorso alla categoria giuridica della circostanza aggravante, tale solo dal punto di vista funzionale, ma non da quello strutturale, dettando una particolare disciplina della continuazione in tema di reati fallimentari, con l'effetto che i singoli fatti di bancarotta, pur unitariamente considerati quoad poenam, conservano, ove ne ricorrano i presupposti, la loro autonomia sia sul piano ontologico che su quello giuridico). Da cio' deriva che la configurazione formale della cosiddetta "continuazione fallimentare" come circostanza aggravante ne comporta l'assoggettabilita' al giudizio di bilanciamento con le eventuali attenuanti (Sez. 5, sentenza n. 48361 del 17/09/2018, C., Rv. 274182; Sez. 5, sentenza n. 51194 del 12/11/2013, Carrara, Rv. 258675; Sez. 5, sentenza n. 21036 del 17/04/2013, Bossone, Rv. 255146). In tal senso la sentenza impugnata ha del tutto illegittimamente calcolato la pena, nella misura in cui ha applicato la disciplina della continuazione di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, in riferimento alle fattispecie di bancarotta, la cui pena e' stata calcolata in singoli aumenti, a titolo di continuazione, rispetto alla pena base. A cio' deve aggiungersi che la Corte di merito ha confermato la durata delle pene accessorie fallimentari, di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., nella misura di anni 10. Come noto, infatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 05/12/2018 - che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziche': "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni" - le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che "le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, cosi' come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'articolo 133 c.p." (Sez. U., sentenza n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286). La sostituzione della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018 del Giudice delle leggi, determina, pertanto, l'illegalita' delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel "nuovo" parametro, posto che il procedimento di commisurazione e' basato su una norma dichiarata incostituzionale. Detto principio, elaborato in relazione alle pene principali (Sez. U, sentenza n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, sentenza n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857), vale certamente anche per quelle accessorie, "non essendo consentita dall'ordinamento l'esecuzione di una pena (sia essa principale o accessoria) non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalita' della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie" (Sez. U., sentenza n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262328, in motivazione). Ne discende che, tenuto conto dell'indicazione nomofilattica e considerato che la determinazione della durata del trattamento sanzionatorio ai sensi dell'articolo 133 c.p., implica valutazioni di merito che esulano dai limiti cognitivi della Corte di cassazione, la questione non puo' che essere rimessa al giudice di merito. Va aggiunto che le pene accessorie rientrano a tutti gli effetti nel concetto di pena, sicche' esse non possono che risentire dell'applicazione del principio secondo il quale l'illegalita' della pena, dipendente da una statuizione ab origine contraria all'assetto normativo vigente al momento consumativo del reato come quella che si verifica in caso di declaratoria di illegittimita' costituzionale -, e' rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione, nonostante l'inammissibilita' dell'impugnazione, ad eccezione che nel caso di ricorso tardivo (Sez. 5, sentenza n. 27945 del 17/05/2018, Bonavita ed altri, Rv. 273234; Sez. 3, sentenza n. 6997 del 22/11/2017, dep. 14/02/2018, C., Rv. 272090). Ne consegue che, in relazione alla determinazione della pena principale, quanto alla individuazione dei criteri di aumento a titolo di continuazione e alla durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che si adeguera' ai principi di diritto in precedenza enunciati. 10. L'ultimo motivo di ricorso concerne le statuizioni civili. La sentenza in epigrafe, preso atto delle statuizioni civili del primo giudice e delle conseguenti impugnazioni, ha revocato la liquidazione del danno in riferimento al capo C), ed ha esteso la condanna degli imputati al risarcimento del danno fino alla dichiarazione di insolvenza, in riferimento al capo A), e fino alla data di sospensione del titolo, in riferimento al capo C). La Corte territoriale ha ricordato che, con riguardo alle condotte di bancarotta, il primo giudice aveva ribadito la sussistenza, in capo ai soggetti danneggiati, dell'onere di allegare la prova delle condotte lesive, del danno subito e del nesso eziologico tra la condotta ed il danno, ritenendo che - in ordine alle condotte di cui al capo A), in relazione a quanto allegato dalle parti civili - spettasse: il riconoscimento del danno patrimoniale ai creditori diretti, rappresentati dai commissari straordinari; il riconoscimento del danno patrimoniale e del danno morale agli azionisti; il riconoscimento del solo danno morale agli obbligazionisti ed ai lavoratori dipendenti. Quanto alle modalita' di liquidazione, il primo giudice aveva fatto ricorso alla determinazione in via equitativa, in base al principio affermato da questa Corte di legittimita', secondo cui "e' legittimo il ricorso del giudice a criteri equitativi nella quantificazione del danno risarcibile ove in esso non siano rinvenibili componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione" (Sez. 5, sentenza n. 43053 del 30/09/2010, Arena, Rv. 249140). In riferimento al reato di bancarotta, inoltre, il primo giudice aveva rilevato come, nel caso di specie, esso si fosse manifestato come reato di danno, in quanto era stata provata una consistente riduzione della quota di attivo ripartibile tra i creditori, ossia una consistente diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dai fatti di bancarotta, dovendo essere considerata anche la differenza tra attivo e passivo fallimentare. Per cio' che concerne le singole categorie di parti civili, il primo giudice, sempre alla luce delle allegazioni specifiche, aveva escluso il danno morale liquidabile in favore dei commissari straordinari, in quanto la loro posizione, quali sostituti dei creditori diretti dell'impresa fallita, e' strettamente collegata alla garanzia patrimoniale. In riferimento agli azionisti, agli obbligazionisti ed ai lavoratori dipendenti, oltre al danno patrimoniale, era stato riconosciuto anche il danno morale, in funzione, rispettivamente, per gli azionisti e gli obbligazionisti, del capitale investito e della durata dell'investimento e, per i dipendenti, in funzione della perdita di possibilita' lavorative e del patimento d'animo per loro derivante dagli illeciti. La sentenza di secondo grado ha sostanzialmente condiviso tale approccio, rispetto al quale va ricordato che il primo giudice aveva, in piu' di un passaggio motivazionale, fatto riferimento a specifiche allegazioni delle parti civili, che non risultano oggetto di specifiche contestazioni difensive, ne' con i motivi di gravame ne' in sede di ricorso. A cio' deve aggiungersi quanto specificato e piu' volte ribadito da questa Corte regolatrice, secondo cui la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non puo' che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli e' stato determinato l'ammontare del risarcimento (Sez. 6, sentenza n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229; Sez. 4, sentenza n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli ed altro, Rv. 263450). Risulta, pertanto, immune da censure logiche il passaggio motivazionale con il quale la Corte di merito ha affermato che, attesa la complessita' e peculiarita' delle singole posizioni, il giudice di primo grado abbia determinato la liquidazione del danno - in relazione alla bancarotta - in base alle specifiche allegazioni di parte ed in via complessiva secondo equita', sia in caso di riconoscimento del danno morale che nel caso in cui, in concreto, le componenti patrimoniali non fossero suscettibili di precisa determinazione. 10.1 La decisione del giudice di merito di procedere alla liquidazione del danno patrimoniale con criterio equitativo costituisce, senza dubbio, una questione di fatto, per cui non e' censurabile in sede di legittimita' il provvedimento con cui il giudice di merito, nell'impossibilita' di determinare il loro preciso ammontare, effettua una liquidazione equitativa sia dei danni patrimoniali che di quelli non patrimoniali; in tale procedimento, infatti, il giudice di merito opera una valutazione economica, che si avvale di criteri di probabilita' e non di certezza, come tale rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Sez. 4, sentenza n. 10878 del 20/01/2012, Sterio e Min. E. e Finanze, Rv. 252446; Sez. 4, sentenza n. 6732 del 17/02/1983, Saba, Rv. 159967; Sez. 5, sentenza n. 1372 del 06/12/1967, dep. 16/04/1968, Ciaccheri, Rv. 107564; Sez. 6, sentenza n. 7039 del 17/03/1976, Caniato, Rv. 133852). Cio' premesso, non vi e' dubbio che il ricorso al criterio equitativo possa costituire oggetto di ricorso per cassazione, tuttavia il motivo di ricorso deve essere, anche su tale punto, specifico e trovare una propria speculare deduzione nei motivi di appello. Nel caso di specie, al contrario, la difesa, con i motivi di gravame, si era doluta unicamente della legittimazione alla costituzione di parte civile ed alla conseguente richiesta di condanna al risarcimento dei danni in riferimento alle categorie degli azionisti, degli obbligazionisti e dei dipendenti, nonche' della mancanza di prova di un nesso causale tra il delitto di manipolazione del mercato ed i pretesi danni. La doglianza circa i criteri di liquidazione del danno veniva affrontata, in sede di appello, in maniera del tutto generica in riferimento all'adottato criterio di equita'. Con il ricorso per cassazione il profilo della legittimazione degli azionisti, obbligazionisti e dipendenti non e' stato piu' sollevato, mentre e' stata ribadita la critica alla modalita' risarcitoria secondo equita', ritenendo contraddittoria la motivazione, sulla base della citazione di principi della giurisprudenza di legittimita' delle Sezioni civili. In realta' la difesa confonde il livello concernente la prova della sussistenza di un danno con quello della quantificazione dello stesso, omettendo, altresi', di considerare che anche nell'ambito della giurisprudenza civile e' applicato l'istituto della liquidazione in via equitativa, secondo la cosi' detta equita' giudiziale correttiva o integrativa, qualora sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, anche nel caso in cui cio' dipenda dalla parte, in quanto, nell'ambito della liquidazione equitativa, la parte e' onerata dell'allegazione e dimostrazione della sussistenza del danno (Sez. L., ordinanza n. 17607 del 24/08/2020, Rv. 658586; Sez. 2 civ., sentenza n. 05/10/2020, Rv. 659315). 10.2 Quanto al danno derivante dal reato di cui al capo C), come detto, la Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la sola condanna generica, con revoca della determinazione della liquidazione del danno. In ordine alla doglianza circa l'estensione del periodo di riferimento per il risarcimento del danno - fino alla dichiarazione di insolvenza in riferimento al capo A) e fino alla data di sospensione del titolo in borsa, quanto al capo C) - va osservato che l'impianto argomentativo della Corte di merito appare assolutamente ineccepibile, avendo sottolineato come, ai fini della valutazione del danno, fosse necessaria la valutazione del nesso di causalita' con la condotta illecita, anche in termini probabilistici; cio', pertanto, esclude la possibilita' di cristallizzare al momento della commissione della condotta la valutazione del danno, dovendo rilevarsi che, quanto meno in astratto, le condotte poste in essere dall'imputato, aggravando la situazione di dissesto, avessero sortito effetti pregiudizievoli anche dopo che il (OMISSIS) aveva dismesso la carica. A tale argomento, che pare logicamente incontrastabile, va aggiunta la considerazione che la fattispecie di bancarotta fraudolenta, contestata nel caso in esame, si consuma all'atto della dichiarazione dello stato di insolvenza - alla luce del Decreto Legislativo 8 luglio 1999, n. 270, articolo 95, in tema di disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, che prevede espressamente l'equiparazione della dichiarazione di insolvenza a quella di fallimento e la conseguente applicazione delle disposizioni penali di cui al titolo VI, capi I, II e IV, della legge fallimentare - con la conseguenza che la valutazione del danno deve essere fatta in riferimento alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta del soggetto agente al momento della consumazione del reato. Ed infatti, considerato che la valutazione del danno presuppone la commissione di un fatto penalmente rilevante, sarebbe del tutto improponibile una valutazione del danno che prescindesse dalla verificazione del fatto di reato che ne costituisce l'antecedente logico e giuridico. Cio' non esclude, peraltro, che, una volta consumatosi il reato, gli effetti pregiudizievoli non possano prodursi anche in epoca successiva; per tale ragione, del tutto correttamente la Corte territoriale ha considerato che - in riferimento al capo C) - gli investitori, se avessero conosciuto la reale situazione economica di (OMISSIS), avrebbero potuto anche optare per una scelta diversa da quella di acquistarne i titoli. A prescindere, quindi, dalla natura di reato di pericolo della fattispecie sub C), quindi, una corretta informazione del mercato avrebbe potuto giocare in favore degli acquirenti del titolo anche in epoca successiva al 2007, con la conseguenza che non rileva tanto il momento in cui il (OMISSIS) aveva dismesso la carica, ma il momento in cui il pericolo prodotto dal reato e' venuto meno e che, quindi, e' stato fatto logicamente e correttamente coincidere con la data del 06/06/2008, in cui il titolo (OMISSIS) era stato sospeso in Borsa. Il motivo di ricorso, pertanto, va rigettato. RICORSO di (OMISSIS). 11. La declaratoria di penale responsabilita' del (OMISSIS), come sopra ricordato, riguarda il solo capo A4), estraneo agli addebiti sinora analizzati quanto alla posizione del (OMISSIS) (essendo stato il (OMISSIS) amministratore delegato di (OMISSIS) sino al febbraio 2004, ergo in epoca precedente rispetto all'assunzione della stessa carica da parte del suddetto coimputato). 11.1 Quanto all'analisi dell'addebito, che si impone in via preliminare, lo stesso riguarda la presunta cessione a prezzo vile della partecipazione di (OMISSIS) in (OMISSIS) s.p.a.; la pronuncia di primo grado chiarisce che quest'ultima societa' era stata costituita nel 1989, con oggetto l'esercizio di servizi aerei regolari e a domanda per il trasporto di persone e cose in Italia, fra l'Italia e paesi esteri, nonche' fra paesi esteri. (OMISSIS) vi aveva partecipato con una quota iniziale del 45%, ma nel 2000 - a seguito di ricapitalizzazione per copertura di perdite gia' verificatesi - ne era divenuta socio unico: alla data del 31/12/2000, quindi, il capitale sociale di (OMISSIS) risultava riferibile in toto ad (OMISSIS), sottoscritto ed integralmente versato per 7 miliardi e 200 milioni di lire. Proprio dal 2000, quanto alla operativita' in concreto, la partecipata aveva assunto il ruolo di compagnia charter del gruppo. In quel periodo, peraltro, era stata anche richiesta ad una societa' qualificata la stima del capitale economico della stessa (OMISSIS), tenendo conto della situazione al dicembre 1999, del bilancio relativo all'esercizio 2000 e di prospettive previsionali per il quadriennio successivo: il risultato della valutazione era stato di circa 33 miliardi di lire. Nel febbraio 2003, al fine di arginare perdite pregresse, (OMISSIS) aveva poi versato nelle casse di (OMISSIS) l'ulteriore somma di 5 milioni di Euro in conto aumento di capitale. Sempre stando alla ricostruzione operata dal Tribunale, era stato proprio durante l'amministrazione del (OMISSIS) che aveva preso corpo l'idea di vendere la partecipazione de qua: tanto che l'odierno ricorrente, in occasione del cda del 04/10/2001, aveva suggerito di dare incarico all'advisor (OMISSIS) per indagini di mercato volte a verificare le effettive possibilita' di cessione, nell'ambito di un "programma di dismissioni dei settori no core". Dato corso a quella ricerca, (OMISSIS) aveva ricevuto cinque offerte preliminari non vincolanti da altrettanti soggetti, i quali si erano dichiarati disponibili ad acquisti di quote e ad ottenere partecipazioni di maggioranza in misure variabili: i corrispettivi offerti per l'intero capitale sociale di (OMISSIS) erano stati da un minimo di 0,3 ad un massimo di 12,5 milioni di Euro, con pagamenti da versare in contanti (tranne che per il gruppo (OMISSIS), da cui era stata presentata l'offerta piu' alta, in cui il pagamento era stato prospettato sotto forma di scambio di azioni). Il 28/03/2002, il consiglio di amministrazione deliberava di procedere alla dismissione di (OMISSIS), ritenendo pero' le offerte ricevute ancora poco vantaggiose e restringendo il novero dei potenziali acquirenti: sulla base di quelle indicazioni, l'advisor aveva invitato i tre migliori offerenti di cui all'indagine appena svolta a p(OMISSIS)are nuove soluzioni, piu' vicine alle aspettative di (OMISSIS). Le tre nuove offerte pervenivano il 05/06/2002: la prima dalla stessa (OMISSIS), per l'acquisto del capitale azionario di (OMISSIS) nella misura dell'80%, con valutazione dell'intero capitale economico fra 13 e 15 milioni di Euro (tra 10,4 e 12 quanto al suddetto 80%) e pagamento alternativo in contanti o con azioni della stessa offerente; la seconda da Star Venture Management, analoga all'altra (ma con una valutazione del 100% del capitale economico di (OMISSIS) tra gli 8 e i 10 milioni di Euro, e prospettiva di pagamento in contanti o con altre modalita' di comune interesse per ambo le parti; la terza da Cresset s.a., riferibile alla famiglia (OMISSIS), sempre per l'80% delle quote o misura superiore (ma non totalitaria), con valutazione dell'intero capitale economico di (OMISSIS) tra i 10 e i 15 milioni di Euro. Le due ultime offerte richiamavano comunque l'esigenza di una attivita' di due diligence per una piu' compiuta valutazione dell'asset da acquisire. Seguivano successive integrazioni con la formalizzazione di nuove offerte non vincolanti: per (OMISSIS), ancora quanto all'80% del capitale di (OMISSIS), valutandone l'intero capitale economico in 16,5 milioni di Euro; per (OMISSIS), quanto al 100% del capitale azionario, al prezzo complessivo di 13 milioni di Euro; per (OMISSIS), muovendo da una stima del capitale economico pari a 10 milioni. L'advisor (OMISSIS), all'esito, segnalava come la migliore offerta fosse quella proveniente da (OMISSIS), che manteneva l'alternativa fra pagamento in contanti o con azioni, non prevedendo pero' supporti economici alle attivita' conseguenti alla stipula del contratto; quella della famiglia (OMISSIS), invece, indicava il pagamento in contanti ma era condizionata sia alla richiamata due diligence che alla verifica dei risultati di esercizio di (OMISSIS), con eventuali rettifiche al patrimonio netto (oltre a prevedere la costituzione di una newco che avrebbe proceduto all'acquisto, controllata da una societa' lussemburghese a sua volta posseduta da una fiduciaria del gruppo). Ne derivava la decisione del consiglio di amministrazione di concedere una trattativa bimestrale a (OMISSIS), in esclusiva. Il 30/10/2002 quest'ultima societa' faceva pervenire una ulteriore "proposta di estensione dell'offerta non vincolante", dichiarandosi interessata a rilevare il 100% del capitale sociale di (OMISSIS) con tanto di bozza di contratto di compravendita; il prezzo veniva indicato in 19,5 milioni di Euro, con offerta condizionata alla contestuale acquisizione, da parte di (OMISSIS), di una partecipazione in (OMISSIS) (da definirsi quanto all'entita', alla tempistica ed al valore). Il prezzo suddetto era da considerare soggetto ad adeguamento, tenendo conto della chiusura della situazione patrimoniale relativa all'esercizio in corso, nonche' da corrispondere secondo una scansione cronologica correlata. Lo stesso advisor, in ragione delle condizioni rappresentate dall'offerente, proponeva di procedere ad una nuova fase valutativa, rimandando la decisione definitiva sulla cessione: cio' anche a causa di un nuovo piano industriale nel frattempo licenziato dal cda di (OMISSIS), secondo cui la compagnia avrebbe dovuto affiancare all'attivita' dei voli charter quella dei voli low cost (attraverso l'utilizzo di aeromobili in dismissione da parte della partecipante). Il 13/11/2002, in sede di consiglio di amministrazione di (OMISSIS), il (OMISSIS) segnalava da un lato l'esistenza del nuovo progetto curato dal management di (OMISSIS), anche in relazione della possibilita' di collocarvi parte della flotta, e dall'altro la circostanza che la proposta formulata da (OMISSIS) non prevedeva alcunche' in punto di salvaguardia della continuita' occupazionale, come invece era stato sollecitato agli offerenti all'atto dell'invito a formulare nuove proposte. Il consiglio deliberava pertanto la sospensione della procedura volta alla cessione di (OMISSIS), in linea con le indicazioni dell'amministratore delegato: assumeva particolare rilievo, in quel contesto, la prospettiva di rivedere alcune opzioni strategiche alla luce del piano di risanamento della partecipata, che si immaginava strumentale a consentire ad (OMISSIS) di riconquistare quote di mercato nel settore dei voli domestici, anche attraverso possibili operazioni di partnership. Dagli atti del cda emergeva cosi' l'avviso del (OMISSIS) di rinviare la procedura di cessione, pur nella consapevolezza di dovervi comunque dare corso in futuro a causa delle produzioni di continue perdite da parte di (OMISSIS) e dell'andamento assai negativo del settore dei voli charter: il consiglio deliberava in conformita', non accettando la proposta di (OMISSIS) e dichiarando concluso il periodo di trattativa in esclusiva. Malgrado la mancanza di segnali chiari da cui inferire quale sarebbe stata la strategia aziendale di (OMISSIS) nei mesi successivi, se riprendere eventuali contatti con (OMISSIS) o con la famiglia (OMISSIS), ovvero se optare per la conservazione delle quote di (OMISSIS) per un periodo utile a verificare i risultati del piano di risanamento, il 05/05/2003 si registrava un chiaro mutamento di indirizzo, instaurando una nuova trattativa con (OMISSIS); trattativa che, diversamente da quelle sopra ricordate, rifletteva per il proponente l'acquisto una operazione valutata dai giudici di merito come meramente speculativa e finanziaria, intrapresa per persona da nominare (poi indicata in (OMISSIS)). L'ipotesi di prezzo veniva formulata in seguito, per 13,5 milioni di Euro, in relazione all'intero capitale di (OMISSIS): parallelamente, l'intesa avrebbe dovuto prevedere il trasferimento da (OMISSIS) ad (OMISSIS) di opzioni per l'acquisto di piu' aeromobili, sino ad un massimo di 13, secondo condizioni e tempistica diversificate. L'advisor (OMISSIS) dava atto, nell'occasione, che (OMISSIS) aveva prodotto perdite, successivamente al 31/12/2001, per complessivi 8,8 milioni di Euro, tanto da aver determinato (OMISSIS) ad un versamento in conto aumento capitale nel febbraio 2003 (per 5 milioni); anche la posizione finanziaria netta aveva registrato un chiaro decremento, da 24,3 (fine 2001) a 17,3 milioni di Euro (al 31/12/2002). Lo stesso advisor chiariva che l'oggetto di quella operazione risultava piu' ampio rispetto ai termini della trattativa con (OMISSIS), involgendo anche la prospettata cessione di alcuni aerei: con riguardo alle ipotesi di prezzo segnalate, si precisava che le valutazioni erano state espresse dagli uffici di (OMISSIS) sulla base di recenti transazioni su velivoli di tipo corrispondente, nonche' su altri indicatori obiettivi, con l'ulteriore specificazione che il mercato aveva mostrato interesse verso apparecchi di costruzione piu' recente rispetto a quelli per cui sarebbe stata concessa l'opzione, e per quantita' inferiori. Era infine rappresentato da (OMISSIS) che, successivamente alla chiusura della trattativa pregressa, non si erano "manifestati concreti segnali di interesse ne' da parte di altri soggetti, ne' da parte dei soggetti gia' coinvolti nel processo di vendita". La conclusione dell'advisor era percio' quella di valutare conveniente l'offerta di (OMISSIS) (il reale interlocutore, (OMISSIS), era stato esplicitato nel frattempo): in sostanza, malgrado un corrispettivo inferiore rispetto a quello risultante dalle disponibilita' palesate da (OMISSIS) o dal gruppo (OMISSIS) alcuni mesi prima, occorreva tener conto delle perdite che (OMISSIS) aveva continuato ad accumulare. Il 15/07/2003 il (OMISSIS) riferiva al consiglio di amministrazione in ordine ai termini del contratto da stipulare, che venivano approvati con riferimento ad una cessione della partecipazione in (OMISSIS) pari all'80%; contestualmente - altro elemento di novita' rispetto alle trattative dell'anno precedente - (OMISSIS) avrebbe acquistato pro soluto i crediti verso clienti in relazione a fatture anteriori al 30/06/2003, e si sarebbe accollata i debiti della partecipata, desumibili da fatture emesse prima del 30/06/2002. La parte acquirente si sarebbe poi obbligata al mantenimento dei livelli occupazionali, ma solo per dodici mesi, con l'ulteriore impegno biennale, invece, per la parte venditrice, di non svolgere direttamente e non promuovere od iniziare, anche indirettamente, attivita' aventi come oggetto principale il trasporto aereo charter, oltre a mantenere gli stessi rapporti commerciali pregressi con la societa' le cui quote erano oggetto di cessione. Una serie di previsioni, queste, che secondo il c.t. del Pubblico Ministero - con osservazioni recepite dai giudici di merito - erano state formulate come previsioni di acquisto e che (OMISSIS) aveva accettato "supinamente". Il contratto veniva sottoscritto il 31/07/2003: la cessione dell'80% del capitale sociale di (OMISSIS), con opzione per il residuo 20k, era perfezionata con l'indicazione di un corrispettivo pari a 10,8 milioni di Euro, fatturato da (OMISSIS) alla data del successivo 15 settembre. I giudici di primo grado pongono in risalto la circostanza che, il 12/09/2003, (OMISSIS) aveva approvato le linee guida del nuovo piano industriale relativo al triennio 2004-2006, ove si segnalava che la societa' "intende perseguire un percorso di risanamento industriale secondo una logica del proprio posizionamento strategico in un quadro di sostenibilita' economica", puntando ad un "rilancio competitivo del trasporto aereo". Ergo, secondo il Tribunale (v. pag. 224 della motivazione della sentenza di primo grado), (OMISSIS) puntava a "rimanere a tutti gli effetti full service carrier. Sotto questa prospettiva l'operazione (OMISSIS) appare pertanto contraria e non coerente con il piano industriale 2004-2006". Piu' tardi, dopo le dimissioni del (OMISSIS), sarebbero state vendute ad (OMISSIS) anche le quote residue di (OMISSIS), al prezzo di 2.589.697,00 Euro. La ricostruzione offerta dai giudici di merito indica che il valore della partecipazione nell'estate 2003 avrebbe dovuto tenere conto, in positivo, di alcuni fattori strutturali (aumento della flotta e diminuzione dei costi) verificatisi in epoca recente, anche in esito ai progetti di risanamento sopra richiamati e che avevano portato lo stesso cda di (OMISSIS) a sospendere la precedente trattativa; inoltre, l'organo amministrativo della partecipante avrebbe dovuto considerare l'impegno finanziario complessivo sostenuto dalla societa' per (OMISSIS) nel corso degli anni, che a partire dal 1989 era stato tale da sfiorare i 51 milioni di Euro, ivi compresi i 5 milioni versati nel febbraio 2003 in conto aumento di capitale. Al contrario, pero', nel prezzo concordato con (OMISSIS) (per (OMISSIS)) quei fattori non rilevarono in alcun modo, malgrado la stessa scelta di soprassedere alla vendita al gruppo (OMISSIS) fosse stata motivata proprio dalla necessita' di verificare le prospettive di rilancio di (OMISSIS) e la possibilita' di renderne ancor piu' appetibile l'acquisizione per eventuali investitori finanziari. La trattativa con il com (OMISSIS)re, al contrario, rimase ferma sulle condizioni di (OMISSIS), che prevedevano l'ulteriore elemento di novita' - rispetto alle ipotesi di accordo con il pregresso offerente - dell'acquisto di crediti verso clienti al netto dei debiti, per un corrispettivo che sarebbe stato poi fissato in circa 3,9 milioni di Euro; crediti, pero', che (come facilmente ipotizzabile) si rivelarono di ardua esigibilita' perche' risalenti ad oltre un anno addietro. Analogamente, la nuova previsione del diritto di opzione per l'acquisto di 13 aerei ebbe valenza negativa per (OMISSIS), che si impegnava a vendere gli apparecchi a un dato prezzo, nella consapevolezza di dover poi affrontare costi superiori per poterli utilizzare. Sull'altro piatto della bilancia, si veniva a collocare soltanto l'impegno di (OMISSIS) per il mantenimento dei livelli occupazionali, tuttavia limitato ad un solo anno e dunque non decisivo: cio', soprattutto, considerando che poco tempo prima l'assenza di clausole in materia aveva portato (OMISSIS) non gia' a cercare di rinegoziare l'accordo con (OMISSIS), al limite ottenendo un obbligo temporaneo a tutela dei dipendenti dietro una rivisitazione del prezzo al ribasso, bensi' a dismettere tout court la trattativa. Conclusivamente, per il Tribunale la cessione di (OMISSIS) "non puo' essere paragonata alla vendita "sottocosto" di un bene fuori produzione da parte di una societa' che cerca di ricavare il possibile da un qualcosa che presto diventera' privo di valore. E' invece una operazione totalmente e gratuitamente ingiustificata, e' la dismissione a prezzo di saldo di un'azienda che dopo due anni vale sul mercato finanziario il triplo, se non di piu'" (pag. 236). Quei fattori oggettivi di incremento del valore della partecipata, sopra ricordati in sintesi, costituivano "elementi di valutazione che a una dirigenza oculata e ad un management che abbia a cuore la propria azienda non possono sfuggire. Elementi che, se e' giustificabile che sfuggano alla valutazione di un advisor economico quale (OMISSIS), non e' pensabile sfuggano alla dirigenza di (OMISSIS) ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), tanto piu' che lo stesso (OMISSIS), in data 16/06/2003, pur indicando per (OMISSIS) una stima orientativa di perdita, per il primo quadrimestre del 2003, pari a circa Euro 2,8 milioni, sosteneva che molto probabilmente il secondo semestre 2003 sarebbe andato meglio (...). Ed infatti (OMISSIS), gia' nel secondo semestre 2003 migliora i propri standard di rendimento e da' concretezza al piano industriale comunicato in precedenza ai vertici (OMISSIS) (potenziando i voli charter e avviandosi al low cost), iniziando un trend positivo che porta nel dicembre 2005 a quotare la societa' in borsa" (pag. 237). Ancor piu' critici i rilievi del consulente delle parti civili, fatti propri dal Tribunale, secondo cui il trend favorevole per (OMISSIS) era gia' chiaro nel 2003, quando "si evidenzia un incremento del fatturato e un ritorno alla profittabilita': il valore della produzione passa da Euro 152,8 milioni nel 2002 a Euro 180,7 milioni nel 2003; l'E-bit passa da un valore negativo di Euro 7,7 milioni nel 2002 a un valore positivo di Euro 3,8 milioni nel 2003 (...). Il management e l'azionista unico (OMISSIS) erano quindi a conoscenza, o dovevano senz'altro esserlo in ossequio al dovere di assumere decisioni informate, della rapidissima crescita che stava interessando la compagnia sotto il profilo dei fatturati e della profittabilita', nonche' degli investimenti che erano stati fatti negli anni e che erano la premessa per una crescita sostenibile nel futuro" (pag. 240). La conclusione dei giudici di primo grado e' che il prezzo di acquisto proposto da (OMISSIS), accettato senza colpo ferire da (OMISSIS), fu assolutamente incongruo, oltre che determinato con modalita' che non tennero in alcuna considerazione le trattative non definite appena un anno prima (e che avrebbero comportato, se concluse con successo alle condizioni di cui all'ultima offerta non vincolante del gruppo (OMISSIS), introiti sensibilmente superiori per la parte venditrice). Doveva anzi ritenersi che anche un valore di 17 milioni di Euro fosse da ritenere prudenziale, visto che coincideva con la stima effettuata anni prima, in difetto di segnali di ripresa di (OMISSIS); in definitiva, l'operazione di vendita, conclusasi incredibilmente in tempi strettissimi, "appare condotta sulla testa di (OMISSIS) e non nell'interesse dell'azienda: l'azienda perde una parte del proprio patrimonio per interessi altrui (...). E' palesemente un'operazione economicamente disastrosa per (OMISSIS), ancor piu' disastrosa laddove posta in essere in un contesto quale quello di (OMISSIS), gia' in perdita da anni" (pag. 242). Sempre stando alle argomentazioni sviluppate dal Tribunale, erano proprio i soggetti da ritenere responsabili dell'addebito in esame (l'amministratore delegato, (OMISSIS), e il dirigente responsabile del settore, (OMISSIS)) ad essere per primi consapevoli della crisi economica di (OMISSIS); nel contempo, da loro sarebbe dipesa l'accelerazione della procedura di vendita, presentando al cda l'operazione in termini antitetici rispetto a quel che era stato deliberato poco tempo prima. Come si legge alle pagg. 243-244 della motivazione della sentenza di primo grado, "i consiglieri, convinti solamente a novembre 2002 da (OMISSIS) che la dismissione di (OMISSIS) si doveva sospendere, e che si doveva soppesare anche l'opzione di mantenere (OMISSIS) e focalizzare (OMISSIS) anche sul mercato nazionale, si vedono cambiare le carte in tavola dopo pochi mesi, e vengono convinti che la dismissione al prezzo cosi' basso sia un fatto necessario ed ineluttabile. Dai verbali del cda manca qualsivoglia discussione sul punto (e ben diverso era stato l'approccio quando si trattava di soppesare le offerte della famiglia (OMISSIS) o di (OMISSIS)). Ma la strategia di (OMISSIS) e (OMISSIS) assume caratteri di alto professionismo: viene inserita la clausola di salvaguardia per la durata di un anno dei livelli di occupazione (dopo un anno, dei dipendenti di (OMISSIS) non importa piu' niente a nessuno). Si tratta di un contentino per i sindacati e per il cda, che puo' coerentemente approvare la vendita (...1. Unica clausola non presente nell'originaria proposta di (OMISSIS), aggiunta su richiesta di (OMISSIS) al protocollo sottoscritto a giugno 2003; il resto dell'accordo rimane invariato (...). In tal modo viene fatto digerire (al cda ed ai sindacati) un contratto che volatilizza un'intera societa' partecipata a totale capitale (OMISSIS). Viene fatta sparire una risorsa". Di qui l'inquadramento della fattispecie concreta nell'alveo della bancarotta per dissipazione. 11.2 La sentenza di appello ha dedicato un primo riferimento alla vicenda sub A4) a pag. 21, sottolineando - per esemplificare come il sindacato del giudice penale dovesse avere ad oggetto non gia' le scelte imprenditoriali come tali bensi' le irrazionali modalita' attuative delle stesse - che in relazione alla "cessione di (OMISSIS) a prezzo incongruo e' stata essenzialmente valorizzata (...) la circostanza della repentina sostituzione dello schema con cui originariamente tale cessione era stata ipotizzata (cfr. proposta di (OMISSIS)) con altro meno favorevole per la fallita (cfr. cessione ad (OMISSIS))". Trattando piu' diffusamente della contestazione de qua, la Corte territoriale ha innanzi tutto dato atto di condividere e richiamare le argomentazioni del Tribunale, ricostruendo a sua volta le scansioni cronologiche dell'operazione in esame per poi concludere che "la cessione del 100% della partecipazione (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) s.a. (...) avvenne in due tranches successive, per il prezzo complessivo di Euro 13.389.697,40 (...). Solo a novembre 2002 (cfr. verbale cda) era stata sospesa la lunga trattativa con il potenziale acquirente (OMISSIS), rifiutando il prezzo di 19,5 milioni di Euro; a febbraio 2003 comparve la proposta di (OMISSIS), contraente per persona da nominare, che in brevissimo volgere di tempo porto', a luglio 2003, alla cessione ad (OMISSIS) s.a. a prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello rifiutato solo pochi mesi prima; a tale contratto di cessione vennero associati, peraltro, alcuni contratti ancillari, caratterizzati - secondo i consulenti del p.m. - dall'assunzione di gravosissimi oneri e da pluralita' di anomalie" (pag. 52). La pronuncia in epigrafe ha poi ricordato le peculiarita' della sospensione della trattativa con (OMISSIS), facendo presente che la decisione di vendere la partecipazione in (OMISSIS) era maturata gia' nell'ottobre 2001 (quando il (OMISSIS) aveva comunque informato il consiglio di amministrazione che la partecipata stava elaborando un piano di sviluppo dell'attivita'). Rispetto all'excursus tratteggiato nella decisione di primo grado, la Corte territoriale ha comunque sottolineato che: "- nel cda del 31/07/2002, era emersa per la prima volta l'esistenza di un problema legato all'esigenza di mantenere i livelli occupazionali ( (OMISSIS) aveva oltre 400 dipendenti). Lo stesso cda decideva tuttavia di concedere la trattativa in esclusiva per due mesi a (OMISSIS), poi prorogata; - in data 30/10/2002, (OMISSIS) comunicava una proposta di estensione dell'offerta (...) per l'acquisto del 100% del capitale sociale di (OMISSIS), ed allegava una bozza (...) di contratto che confermava di voler sottoscrivere: l'offerta venne condizionata alla contemporanea acquisizione da parte di (OMISSIS) di una partecipazione al capitale sociale di (OMISSIS), in percentuale, tempi e prezzi da stabilirsi; - nel frattempo, (OMISSIS) aveva avviato un tentativo di rilancio dell'azienda, prevedendo di affiancare all'attivita' del charter anche quella del volo low cost, da effettuarsi con aeromobili MD80 in progressiva dismissione da (OMISSIS)". Gli stessi giudici di appello hanno ribadito come la struttura dell'operazione proposta da (OMISSIS) rispondesse ad uno schema di puro investimento finanziario, diversamente da quella cui l'offerta del gruppo (OMISSIS) era stata strumentale, e richiamavano altresi' l'avviso sostanzialmente favorevole di (OMISSIS) (fondato sui rilievi delle perdite di (OMISSIS) dopo il 2001, della inclusione nell'affare della possibilita' di cedere alcuni aeromobili comunque da dismettere e con bassi livelli di domanda, nonche' della mancata emersione di nuovi segnali di interesse da parte di terzi, ivi compresi i soggetti gia' coinvolti nelle trattative precedenti). Quanto alla determinazione del corrispettivo, pero', ne hanno segnalato l'obiettiva sottovalutazione, ritenendo "inconferente la censura di insindacabilita' delle scelte gestionali da parte del giudice penale, posto che nella fattispecie concreta - non e' in alcun modo in contestazione la decisione della cessione (decisione, peraltro, pacificamente gia' prevista nel piano industriale), ma le modalita' di detta cessione e, segnatamente, le irrazionali modalita' di formazione". A tal fine, la parte venditrice avrebbe avuto tutte le ragioni per rivendicare un controvalore ben piu' elevato, stante il recente ritorno alla profittabilita' di (OMISSIS) (che ad aprile 2003, dunque pochi mesi dopo essere stata oggetto di una offerta di acquisto per 19,5 milioni, aveva anche ottenuto l'autorizzazione per operare in aeroporti ulteriori): una situazione, questa, certamente dipendente da fattori verificatisi prima della vendita e senz'altro percepibili dagli organi amministrativi della partecipante. Vero e', si legge nella motivazione della sentenza oggi impugnata, pag. 57, che il c.t. del p.m., Dott.ssa (OMISSIS), riferisce nella propria relazione "che il prezzo potrebbe anche ritenersi sostanzialmente congruo", ma quell'affermazione avrebbe dovuto leggersi "contestualizzata nelle complessive conclusioni rassegnate nell'elaborato scritto, in cui lo stesso c.t. segnala la miriade di anomalie riscontrate nella formazione del prezzo" (oltre ad essere stata comunque chiarita con le dichiarazioni rese in dibattimento). Il riferimento riguarda, percio', "il dato segnalato in ordine all'acquisto di un pacchetto di crediti verso clienti al netto dei debiti, ad un prezzo che sara' stabilito in 3 milioni e 900 mila Euro; trattasi di fatture emesse da (OMISSIS) anteriori al 30/06/2002 e, dunque, risalenti di piu' di un anno, con tutte le prevedibili conseguenze sotto il profilo dell'esigibilita'. In effetti, trattasi di crediti che resteranno poi insoluti e per i quali (OMISSIS) non incassera' alcunche', finendo per azzerarli nel bilancio 2007". Analogamente, la contestuale cessione di diritti di opzione per gli aerei MD80 era stata concordata per un prezzo di 1,9 milione di dollari ciascuno, ma nel giro di breve tempo gli stessi velivoli erano stati poi oggetto di una seconda e talora di una terza vendita, a prezzi di gran lunga superiori (ne' poteva valere la circostanza che a procedere agli acquisti fossero state societa' di leasing). La clausola di salvaguardia a tutela dei lavoratori di (OMISSIS), inoltre, aveva un effetto palesemente limitato, giacche' operante per un arco temporale di soli dodici mesi, dovendosi percio' considerare "meramente suggestiva la tesi difensiva secondo la quale detta clausola renderebbe sostanzialmente non comparabili la proposta di (OMISSIS) con quella (poi accolta) di (OMISSIS)" (pag. 59). La Corte territoriale, sul piano dell'individuazione delle responsabilita', ha infine sottolineato la peculiare "rapidita' della seconda fase della cessione, tanto piu' se raffrontata alle diverse modalita' procedurali attuate nella prima fase della trattativa intercorsa con (OMISSIS)", nonche' la circostanza che il ruolo del consiglio di amministrazione fu comunque secondario, "posto che nei relativi verbali non consta discussione sul punto, a differenza di quanto accaduto in precedenza in relazione alla valutazione delle pregresse offerte di (OMISSIS) e della famiglia (OMISSIS)". Il (OMISSIS), in ogni caso, nulla aveva affermato in ordine alle incongruenze illustrate. 12. Le censure della difesa, con riguardo ai primi tre motivi di ricorso, investono il tema della ravvisabilita' del reato sul piano materiale e dell'elemento psicologico, affrontando innanzi tutto la questione - gia' diffusamente affrontata esaminando la posizione del (OMISSIS), e su cui il Collegio non reputa quindi necessario tornare in termini generali - dei presupposti richiesti per potersi discutere di bancarotta per dissipazione. La premessa delle doglianze mosse nell'interesse del (OMISSIS) e' che in ordine al reato a lui ascritto non si sono mai posti problemi di esatta correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto dai giudici di merito; diversamente da quanto esplicitato apertis verbis (ad esempio) nel capo d'imputazione sub A2), la condotta di cui al capo A4) non risulta qualificata - sia pure alternativamente all'ipotesi dissipativa - come distrattiva, ne' il Tribunale o la Corte di appello l'hanno mai considerata tale. Assume pertanto rilievo, per quanto gia' evidenziato, la prospettiva di valutare intrinsecamente irrazionale ed antieconomico l'atto compiuto, non tanto e non solo perche' estraneo rispetto al fisiologico esercizio dell'impresa, ma perche' congegnato ab initio in modo da produrre giocoforza una dispersione di risorse, e senza che vi possa essere spazio alcuno per attribuire a quello stesso atto - indipendentemente e prescindendo dalle conseguenze negative che ne siano derivate - una valenza comunque gestionale. L'assunto difensivo e' che, nel caso di specie, dell'operazione di vendita della partecipazione di (OMISSIS) in (OMISSIS) sarebbero stati valutati solo gli effetti e con approccio ex post, censurandone profili di mera inopportunita' economica: si tratta di una doglianza non condivisibile, dal momento che i giudici di merito hanno posto adeguatamente in risalto, al contrario, I'inspiegabilita' a monte di un prezzo di particolare favore per (OMISSIS), dal momento che la parte venditrice disponeva gia' di offerte piu' vantaggiose, formalizzate poco tempo prima. Per come ricostruita dal Tribunale e dalla Corte di appello, l'operazione de qua appare dunque avere carattere oggettivamente dissipatorio: se Tizio, sapendo che per un suo bene Caio ha offerto 19,5 milioni di Euro, decide meno di un anno dopo di venderlo a Sempronio per circa 13,4 milioni senza neppure tornare ad interpellare Tizio od altri potenziali interessati, puo' anche fare astratta attivita' d'impresa (visto che gli e' senz'altro consentito disporre di un bene e reinvestire quanto incassato dalla cessione), ma la sta facendo dilapidando risorse senza alcuna giustificazione. Tanto piu' cio' sarebbe vero, qualora il bene si dovesse intendere oggi di valore superiore rispetto al momento dell'offerta da quasi 20 milioni, trattandosi di quote di una societa' in netta ripresa e con maggiori prospettive di creare profitti; e la pregnanza dell'osservazione assumerebbe definitiva conferma se alla vendita si aggiungessero diritti di opzione su altri beni, a loro volta palesemente sottostimati. Infine, a dare connotazione di definitiva negativita' (e di chiara rilevanza penale) alla vicenda potrebbe esservi la presa d'atto che, all'epoca della cessione, Tizio si fosse trovato in conclamata crisi finanziaria, della quale egli per primo non avrebbe potuto che essere pienamente consapevole. Nessuno spazio, in un quadro siffatto, verrebbero ad avere i principi della business judgment rute, od i limiti alla sindacabilita' di scelte gestionali dell'imprenditore da parte del giudice penale. Pur volendo mutuare dalla difesa gli schemi concettuali utilizzati a sostegno delle proprie tesi, infatti, atterrebbe pur sempre ad un profilo di incoerenza rispetto agli schemi logici di qualunque attivita' imprenditoriale, e non gia' di mera inopportunita', la determinazione di vendere un bene ad un prezzo che si sappia largamente inferiore non a quello astrattamente ricavabile dall'alienazione di cui si discuta, ma a quello concretamente offerto da altri, alle stesse condizioni. A risultare fondate, tuttavia, sono le doglianze della difesa che afferiscono alla corretta individuazione del presupposto stesso della dissipazione, e piu' in particolare alla completezza dell'impianto argomentativo della sentenza impugnata in ordine ai motivi di gravame che - avverso la decisione di primo grado - erano stati articolati nell'interesse del (OMISSIS) al fine di sostenere che quel presupposto non esistesse. Ci si riferisce, come chiaramente intuibile, alla valutazione di incongruita' del prezzo praticato per la vendita delle quote di (OMISSIS), dovendosi tenere conto, come appena accennato, dell'ovvia necessita' di comparare le diverse offerte ricevute da (OMISSIS) su un piano di parita' di condizioni. Analizzando i motivi di appello, onde verificare se effettivamente la Corte territoriale abbia fornito risposta a tutti i temi decisivi prospettati nell'interesse del (OMISSIS), si rileva innanzi tutto come i difensori dell'imputato, a pag. 2 del loro atto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, si dolevano che "il collegio giudicante non ha ritenuto di utilizzare in alcun modo i numerosi elementi probatori portati all'attenzione dei giudici di prime cure dai testimoni. Le persone indicate nella lista testimoniale della difesa e sentite nel corso del dibattimento sono citate esclusivamente nelle pagine introduttive, che richiamano lo svolgimento del processo, e il contenuto delle loro dichiarazioni non viene mai citato (foss'anche per ritenere non convincenti o inattendibili le testimonianze rese) ne' utilizzato in alcun modo per la ricostruzione degli accadimenti. Tale modo di procedere, oltre a tradire un vero e proprio pregiudizio che ha animato il Tribunale (che ha portato ad omettere la valutazione di tutti quei dati che non erano coerenti con la logica motivazionale mirata alla giustificazione di una condanna), denuncia una grave devianza rispetto ai criteri che devono guidare il giudice nel momento del difficile compito di verificare la responsabilita' penale degli imputati. Il processo - da momento di esame delle diverse ricostruzioni, anche fattuali, delle vicende oggetto di contestazione - diviene in questo modo una mera verifica della tenuta logica dell'ipotesi accusatoria, che si ritiene gia' accertata quanto meno nei suoi contorni storici". Esempio paradigmatico di tale modus procedendi sarebbe costituito, secondo la difesa allora appellante, proprio dalla ritenuta, palese difformita' del prezzo di vendita di (OMISSIS) rispetto al valore di mercato: a riguardo, si faceva presente che "i consulenti tecnici del pubblico ministero, al contrario, avevano concluso per la congruita' del prezzo di vendita, conformemente a quanto successivamente sostenuto dal consulente delle difese" e che, di tale circostanza, la sentenza di primo grado non aveva dato atto in alcun modo. Ne' era stato adeguatamente valutato che la stima allora commissionata ad una qualificata societa' di revisione, la (OMISSIS), si era a sua volta attestata su indicazioni corrispondenti. Approfondendo la questione, la difesa del (OMISSIS) richiamava le deposizioni di alcuni testi qualificati, che avevano rappresentato come il piano di risanamento predisposto dal management di (OMISSIS) fosse poco realistico, con ben difficili prospettive che la societa' potesse tornare a generare profitti in un tempo ragionevole, per poi riportare le dichiarazioni del Dott. (OMISSIS). Questi - che, per inciso, risulta un soggetto considerato generalmente attendibile dai giudici di merito, anche per una sua riferita o comunque ipotizzata contrarieta' di vedute rispetto alle scelte gestionali degli imputati - aveva indicato proprio in (OMISSIS) una delle societa' costantemente in perdita, che (OMISSIS) si era posta l'obiettivo di alienare; aveva quindi aggiunto che l'operazione venne a concludersi in termini di sostanziale positivita', giacche' "si vendette ad un valore superiore al valore di libro..., quindi fu venduta, furono fermate le perdite, si incasso' della cassa" (pag. 11; lo stesso stralcio della testimonianza appare riprodotto anche alle pagg. 70-71 dell'atto di appello presentato dallo stesso difensore, avv. (OMISSIS), nell'interesse del coimputato (OMISSIS)). In seguito, si dava risalto al contributo offerto dal Dott. Roberto (OMISSIS), managing director della filiale romana di (OMISSIS) (v. pag. 14 appello (OMISSIS) e pag. 74 appello (OMISSIS)): nel richiamare i termini delle offerte pervenute in occasione delle prime trattative, egli aveva riferito che in quella fase "non si procedette ad una vendita, perche' nella sostanza... le due offerte migliori, in realta' erano... una non era un'offerta in contanti, quindi era un'offerta, quella di (OMISSIS), che prevedeva che contestualmente all'acquisto di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) avrebbe dovuto investire in (OMISSIS)... un'altra offerta, quella del gruppo (OMISSIS), in realta' faceva una serie di richieste di mantenimento di rapporti contrattuali, di fornitura di servizi, nonche' soprattutto di mantenimento di un'attivita' sull'aeroporto di (OMISSIS) che, in sostanza, non consentivano ad (OMISSIS) una vendita vera, perche' si correva il rischio di avere trovato un socio, ma... dovere continuare a mantenersi il carico ed il rischio industriale di questa partecipazione". Tanto precisato, sembra allora evidente come le conclusioni della Corte di appello si rivelino in parte apodittiche. In primo luogo, all'osservazione che anche i consulenti dell'accusa (pubblica e privata) si espressero per la congruita' del prezzo la sentenza impugnata replica che la Dott.ssa (OMISSIS) avrebbe comunque sottolineato la "miriade di incongruenze" registrate in occasione della vendita; aggiunge altresi' che la stessa consulente avrebbe in ogni caso chiarito il senso di quanto affermato nell'elaborato scritto, durante l'escussione in dibattimento. Il richiamo alle incongruenze, una o molteplici che fossero, non sembra ex se dirimente: una trattativa contrattuale puo' anche essere irrituale o manifestamente orientata da una parte a favorire l'altra, ma se - alla fine di un pur non lineare percorso - il prezzo risulta congruo, e' impossibile in radice ipotizzare condotte di dissipazione. Cosa poi la Dott.ssa (OMISSIS) avrebbe chiarito, nel rendere le proprie dichiarazioni in contraddittorio, non e' meglio esplicitato: e si deve probabilmente ritenere che i giudici di appello abbiano inteso riferirsi alla esistenza di altre previsioni parallele alla pattuizione principale, delle quali il c.t. aveva dato puntualmente contezza. In altre parole, secondo la Corte territoriale quel prezzo complessivo di 13,4 milioni di Euro o giu' di li' sarebbe stato - ad avviso dei consulenti - astrattamente corrispondente al valore di mercato: ma il giudizio veniva a mutare ove si fosse tenuto presente che (OMISSIS) si era impegnata, nella stessa occasione, a riconoscere all'acquirente diritti di opzione per l'acquisto di 13 aeromobili a prezzo vile, come pure ad acquistare crediti che ben si sapevano inesigibili. Aspetti, questi, che tuttavia si rivelano a loro volta non del tutto esplorati, ove si consideri che la questione del valore degli aerei MD80 e dei prezzi di successiva rivendita degli stessi sembra davvero attenere a profili di opportunita' ed oculatezza delle scelte gestionali, piu' che investire il tema di una dissipazione tout court; guarda caso, infatti, nel successivo capo A5) - oggi non piu' in discussione - l'addebito riguardava l'alienazione di due di quegli apparecchi ad una societa' che aveva acquistato i predetti diritti di opzione, ma la perdita economica valorizzata in rubrica non risulta indicata in ragione del prezzo (sempre pari ad 1,9 milioni di dollari per ciascun aereo), bensi' considerando i diversi canoni di successiva locazione e sublocazione dei velivoli, palesemente svantaggiosi per (OMISSIS). Quanto all'acquisto dei crediti ed all'accollo dei debiti maturati da (OMISSIS) al momento della vendita, il suddetto teste (OMISSIS) aveva sostenuto che la soluzione adottata fu quella "standard" in situazioni siffatte, ovvero "fare in modo che (OMISSIS) li comprasse al valore di bilancio, quindi tenendo conto gia' delle svalutazioni effettuate, e che provasse lei ad incassarli". Ergo, secondo la difesa del (OMISSIS) (pagg. 16-17 dell'atto di appello), " (OMISSIS), anziche' subire, per effetto della garanzia della consistenza del patrimonio, una rettifica del prezzo pari all'importo dei crediti ritenuti di difficile recupero, stabili' di acquistarli proteggendo in tal modo il valore del patrimonio netto sulla base del quale era stato fissato il prezzo di acquisto, e di affidare alla gestione delle proprie strutture il tentativo di recupero di quei crediti. Il contestuale accollo dei debiti nei confronti dei medesimi soggetti consenti' di ridurre l'esborso e permise ad (OMISSIS), ove possibile, la loro compensazione" (anche tali argomentazioni risultano ribadite nell'interesse del (OMISSIS), alle pagg. 76-77 dell'appello a lui relativo). Ed anche in questo caso pare che i consulenti tecnici delle parti civili e del p.m. avessero raggiunto le stesse conclusioni, facendo presente che l'acquisto dei crediti de quibus non aveva influenzato i termini di definizione dell'operazione, trattandosi di circostanza irrilevante ai fini della valutazione del prezzo. In definitiva, sulla determinazione del prezzo della cessione, come valore di riferimento, la sentenza impugnata non sembra essersi confrontata con tutte le censure mosse dalla difesa, ne' aver superato i rilievi dell'appellante - coincidenti con le effettive emergenze processuali - secondo cui quel valore era stato considerato non abnorme (per difetto) in sede di giudizi tecnici, a partire da (OMISSIS) per giungere sino ai consulenti sopra ricordati. Del resto, anche la circostanza del versamento di 5 milioni di Euro da parte di (OMISSIS) nelle casse di (OMISSIS), poco tempo prima, risulta obiettivamente malposta, nell'esame ad essa dedicato dai giudici di merito. Il Tribunale, secondo cui (OMISSIS) aveva effettuato quell'erogazione e che i denari erano da intendersi "destinati al sostegno del nuovo piano industriale di (OMISSIS)", sembra sostenere che si trattasse di una sorta di investimento che - dati i segnali di ripresa della partecipata - aveva financo sortito gli effetti sperati: al contrario, pero', si era al cospetto non di un finanziamento volto a garantire risorse per lo sviluppo di un'attivita' imprenditoriale nascente od in fase di rilancio, bensi', al contrario, di una copertura di perdite gia' maturate. Analogamente, la Corte di appello continua a porre l'accento (anche) su quella somma, come se l'aver impegnato 5 milioni di Euro in quel contesto avesse dovuto imporre un allineamento al rialzo del prezzo, senza invece considerare che il prezzo medesimo avrebbe dovuto pur sempre fissarsi al netto di quella doverosa esposizione. Chi aliena quote di una societa' che ha avuto perdite (a fortiori se si tratta di cedere una partecipazione al 100%) deve in linea di principio provvedere a coprirle, ed e' suo specifico obbligo curare tale incombenza: tanto che, fissato un valore di patrimonio netto come base per una trattativa di vendita, l'omessa copertura delle perdite comporta giocoforza la necessita' di rivedere il corrispettivo fissato su quel presupposto, salva la possibilita' per la parte venditrice di rifondere le perdite in seguito, lasciando inalterato il prezzo. E' un po' come l'enfatizzazione del dato, giuridicamente ed economicamente fuorviante, relativo agli oltre 50 milioni di Euro che, nel corso degli anni, (OMISSIS) si era trovata costretta a sborsare per esigenze correlate alla partecipazione in (OMISSIS): sapere di aver finanziato una societa' con un impegno del genere (nel quale rientravano gli ultimi 5 milioni di versamento in conto aumento capitale, appena menzionati) poteva costituire, per chi si accingeva a vendere, solo un parametro ideale, valido a indicare, sul piano teorico, la cifra sotto cui avrebbe avuto un saldo negativo. Nulla a che vedere, pero', con il valore di mercato, come ben sa qualunque soggetto che intenda vendere una casa e puo' solo sperare di ottenere l'equivalente di quanto speso per comprarla e ristrutturarla. Da ultimo, e soprattutto, la sentenza oggetto dell'odierno ricorso fa risaltare una palese mancanza di motivazione sull'aspetto concernente la reale possibilita' di una comparazione tra le offerte di (OMISSIS) (o della famiglia (OMISSIS)) e di (OMISSIS) per (OMISSIS). Il piu' volte segnalato teste (OMISSIS), e non solo lui, aveva infatti rappresentato che per (OMISSIS) vi era la primaria esigenza di fare liquidita' e di non continuare a farsi carico della gestione della partecipata pure a seguito dell'operazione: ecco dunque che, corretta o meno che fosse tale impostazione sul piano della gestione finanziaria della societa', la parte venditrice non poteva mettere sullo stesso piano le offerte pregresse e quella da ultimo formalizzata. L'assunto su cui la Corte territoriale era stata sollecitata a fornire elementi di valutazione era fondato sul rilievo che l'offerta di (OMISSIS), per quanto ancorata su un corrispettivo maggiore, non prevedeva un pagamento cash, bensi' - quanto meno come opzione alternativa e da riferire ad una parte del prezzo ancora da definire - il passaggio all'alienante di quote dell'acquirente (prospettiva che (OMISSIS) ben poteva ritenere estranea alle strategie aziendali del momento); allo stesso modo, l'offerta della famiglia (OMISSIS), per quanto a sua volta costruita su un valore piu' alto del compendio da cedere, conteneva clausole tali da rendere attuale, per la venditrice, il rischio di doversi fare ancora carico di (OMISSIS), specialmente per le attivita' da svolgere presso le sedi aeroportuali milanesi. Queste, almeno, risultavano le prospettazioni della difesa appellante, che non si era affatto soffermata sul problema della salvaguardia dei livelli occupazionali: ad avviso del Tribunale, quell'aspetto era stato by-passato dalla scelta del (OMISSIS) e del (OMISSIS) di consigliare a (OMISSIS) di impegnarsi a una tutela di facciata, limitata ad un anno. Non di meno, a quella ricostruzione (apodittica, perche' non era stato chiarito chi tra i due si sarebbe fatto promotore del suggerimento, nonche' indicativa di una discutibile tensione moralizzatrice della decisione di primo grado, laddove imputava sarcasticamente ai due imputati di avere agito con "alto professionismo") era stato obiettato che l'angolo visuale avrebbe dovuto spostarsi sulla liquidita' che l'offerta di (OMISSIS), diversamente da quelle formalizzate alcuni mesi prima, avrebbe potuto garantire. E, sul punto, la motivazione della Corte di appello, fermatasi ancora una volta al tema delle presunte ed insufficienti garanzie per i dipendenti di (OMISSIS), non spende rilievi di sorta, incorrendo in una palese, omessa disamina di un profilo di gravame ictu oculi decisivo. Ne deriva la necessita' di annullare la sentenza in epigrafe nei riguardi del (OMISSIS), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma affinche' proceda a nuovo esame in ordine alla configurabilita' del delitto sub A4) - nei termini appena evidenziati - sul piano dell'elemento materiale. 13. Anche in punto di dolo, inoltre, non puo' che convenirsi con le osservazioni della difesa, laddove denunciano la contraddittorieta' della ricostruzione operata dalla Corte di merito. Se infatti, segnatamente in tema di bancarotta per dissipazione, gli indici di fraudolenza su cui ancorare la rilevanza penale della condotta (in base ai riferimenti giurisprudenziali gia' diffusamente ricordati in precedenza) appaiono di piu' immediata chiarezza nel momento in cui l'impresa versi in stato di decozione, nel caso di specie sono proprio i giudici di appello a individuare nel giugno 2004 l'epoca in cui la crisi di (OMISSIS) divenne obiettivamente rilevabile. Ma se e' vero che a quella data risalgono sia la relazione della societa' di revisione (OMISSIS) che la nota confidenziale di (OMISSIS), e' altrettanto inequivoco e documentalmente provato come il (OMISSIS) avesse lasciato il proprio incarico quattro mesi prima. Tale scansione cronologica non era stata oggetto di attenzione da parte della sentenza di primo grado, limitatasi a rilevare che " (OMISSIS) ha, nel corso delle dichiarazioni rese in aula, piu' volte sostenuto la congruita' dell'operazione, ma nulla ha spiegato circa le enormi incongruenze sopra elencate"; e' invece segnalata dalla Corte di appello, che tuttavia pone apertamente in risalto la posteriorita' delle vicende significative di tutti gli episodi contestati in rubrica rispetto a quelle relazioni, "con la sola eccezione delle condotte ascritte all'a.d. (OMISSIS), che lascio' l'incarico il 27 febbraio 2004" (pag. 22). Una volta chiarito il dato, pero', la sentenza oggi impugnata non si perita di trarne le logiche conseguenze, quanto meno sforzandosi di ricavare altrove gli elementi da cui ricavare anche in capo al (OMISSIS), e gia' prima dei coevi scritti di (OMISSIS) o di (OMISSIS), la consapevolezza della crisi in atto e comunque della natura dissipatoria della cessione di (OMISSIS). Del resto, non va trascurato che il (OMISSIS), quando decise di proporre al consiglio di amministrazione di differire la vendita della partecipazione in (OMISSIS) dopo l'offerta del gruppo (OMISSIS), non pose l'accento su una sicura o quanto meno probabile prospettiva di futura acquisizione di maggior valore del compendio oggetto di cessione, descrivendo invece la societa' in termini sostanzialmente negativi, quale fattore di costi. Ne da' contezza la relazione del consulente tecnico del p.m., richiamando le parole dell'imputato, come da stralcio riprodotto nella motivazione della sentenza di primo grado, a pag. 232: "la necessita' di approfondire sia il progetto presentato dal management di (OMISSIS), che le eventuali partnership, porta a consigliare un rinvio in merito alla cessione del capitale di (OMISSIS): fermo restando il fatto che la cessione di quest'ultima resta fondamentale e necessaria, in ragione del fatto che la suddetta societa' continua a produrre perdite ed opera in un mercato, quello dei voli charter, il cui andamento risulta fortemente negativo". Le risultanze documentali, pertanto, indicano l'amministratore delegato dell'epoca come soggetto convinto - a torto od a ragione - della necessita' di tagliare un ramo secco onde contenere i costi: un soggetto per il quale la prospettiva di ricavare liquidita' immediata, in luogo di ulteriori e diverse partecipazioni (sia pure di maggior valore), ben avrebbe potuto intendersi preferibile. Dalle considerazioni che precedono deriva la necessita' di annullare la sentenza impugnata nei confronti del (OMISSIS), anche in ordine alla verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato a lui ascritto. 14. Il motivo di ricorso afferente le statuizioni civilistiche deve ritenersi assorbito. RICORSI di (OMISSIS) e (OMISSIS). 15. Le posizioni degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) meritano di essere trattate unitariamente, in ragione della parziale sovrapponibilita' delle rispettive ragioni di doglianza. Va preliminarmente chiarito che le censure dei ricorrenti in punto di configurabilita' di condotte dissipative, in linea di principio, non possono trovare accoglimento per le ragioni sopra evidenziate analizzando i motivi di ricorso articolati nell'interesse del (OMISSIS) sul piano generale; nel contempo, e sempre in base alle argomentazioni sviluppate in precedenza, deve avvertirsi che si imporrebbe gia' l'annullamento della sentenza impugnata: - nei riguardi dello (OMISSIS) e del (OMISSIS), con riferimento al capo A2), limitatamente alla bancarotta per dissipazione, confermandosi invece la valenza distrattiva della condotta loro contestata (salvo valutare, come si passera' ad illustrare tra breve, il problema della ravvisabilita' di un loro concorso con il (OMISSIS)); - nei riguardi del (OMISSIS), in ordine al capo A4), sotto il profilo della effettiva ravvisabilita' della dissipazione per la ritenuta incongruita' del prezzo della cessione della partecipazione di (OMISSIS) in (OMISSIS), come segnalato nel p. 12, dedicato alla posizione del (OMISSIS). 16. Come si e' evidenziato in precedenza, i difensori di entrambi gli imputati si dolgono della affermazione di penale responsabilita' che ha riguardato i loro assistiti, ritenuti dai giudici di merito "direttori generali di fatto" di (OMISSIS) e dunque rientranti fra i soggetti chiamati a rispondere in linea diretta dei delitti sanzionati ai sensi del combinato disposto della L. Fall., articoli 216 e 223; una declaratoria di colpevolezza, dunque, avvenuta non gia' considerando il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) (come il tenore dei capi d'imputazione avrebbe sembrato suggerire) concorrenti nei reati propri dell'amministratore delegato, nei termini di cui alla responsabilita' dell'extraneus. A tale ricostruzione vengono obiettati un duplice ordine di rilievi: - innanzi tutto, ne' il Tribunale ne' la Corte territoriale hanno specificato quali dovrebbero intendersi i poteri di un direttore generale (vuoi in astratto, vuoi con riferimento alle peculiarita' di (OMISSIS)), non rendendo conseguentemente possibile verificare se l'uno o l'altro degli odierni ricorrenti li esercitarono in forma piu' o meno continuativa; - in secondo luogo, analizzando le singole condotte ascritte al (OMISSIS) e/o allo (OMISSIS), non e' dato comprendere quale contributo essi avrebbero arrecato alle operazioni che (stando all'impianto accusatorio) costituirebbero ipotesi di bancarotta. In altre e piu' semplici parole, secondo i difensori dei ricorrenti non si sa cosa il (OMISSIS) o lo (OMISSIS) avrebbero dovuto fare, per essere considerati soggetti esercenti le funzioni di un direttore generale; ne' si sa cosa davvero fecero in occasione della cessione a (OMISSIS) di (OMISSIS) (il (OMISSIS)) o dello scorporo di (OMISSIS) (entrambi), senza dunque poter valutare se le loro ignote condotte vennero concretamente realizzate atteggiandosi, l'uno e/o l'altro, a direttore generale. 16.1 Punto di partenza dell'analisi deve essere, percio', la presa d'atto di quali poteri spettassero in effetti ai due imputati, che certamente direttori generali non erano, onde chiedersi come - rispetto ai limiti dei poteri di cui erano titolari - essi potessero esorbitare fino ad esercitare funzioni piu' ampie e rilevanti; una verifica, questa, che appare utile anche per capire se i comportamenti dei ricorrenti all'atto delle operazioni richiamate, ammesso che se ne possano individuare, furono o no coerenti alle funzioni loro proprie. Or bene, il (OMISSIS) era il responsabile del settore Finanza Straordinaria di (OMISSIS), operando inizialmente in un organigramma ove un direttore generale era in effetti previsto, con l'aggiunta di due vice-direttori generali (uno dei quali era il gia' ricordato Dott. (OMISSIS)); lo (OMISSIS) assunse invece la veste di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza il 22/11/2004, quando l'organigramma era gia' stato rivisto. Come rileva la sentenza impugnata, alle pagg. 25-26, l'articolazione organizzativa di (OMISSIS) non prevedeva piu' "la figura del direttore generale, ma solo quella di "dirigenti che ricoprono ruoli a riporto del presidente - amministratore delegato, con le funzioni per ciascuno indicate". E' altrettanto vero che trattasi di ruoli di rilievo apicale, nelle rispettive funzioni tecniche, proprio come gli imputati hanno pacificamente riconosciuto nei rispettivi esami dibattimentali, laddove hanno sostanzialmente ammesso di avere dato forma e contributo alle decisioni proprie della funzione piu' squisitamente amministrativa". I dirigenti di cui l'amministratore delegato si avvaleva, con un rapporto di stretta collaborazione, erano appunto i direttori centrali, in numero di 10: e se ne dovrebbe dedurre che, secondo la ricostruzione offerta dalla Corte territoriale, le attivita' compiute dal (OMISSIS) ai fini della vendita della partecipazione in (OMISSIS), nonche' quelle ascrivibili a lui ed allo (OMISSIS) in occasione dello scorporo di (OMISSIS), furono indicative di un contributo a funzioni gestorie vere e proprie. Gia' a questo punto della disamina, tuttavia, si impongono alcune osservazioni critiche. In primis, nessuna distinzione, concettuale o concreta, e' stata compiuta dai giudici di merito tra i fatti anteriori al 2004 (rientrandovi la vicenda della cessione di (OMISSIS)) e quelli successivi: nel 2003, infatti, un direttore generale c'era, coadiuvato da due vice, e sarebbe stato doveroso chiarire come pote' il (OMISSIS) soppiantare tutti e tre, arrivando in pratica ad assumere iniziative che in prima battuta sarebbero spettate ad altri, rimasti - in ipotesi, dato il loro mancato coinvolgimento nelle indagini e nel processo - del tutto inerti. Questione di fatto, che naturalmente non puo' essere il giudice di legittimita' ad affrontare, ma che risulta pacificamente inesplorata sia dal Tribunale che dalla Corte di appello. Inoltre, con riguardo alla seconda operazione qui in rilievo, di cui al capo A2) della rubrica, si dovrebbe ipotizzare che - scomparso un direttore generale e due suoi vice, tutti pieno iure - non uno, ma ben due dirigenti apicali si sarebbero trovati contemporaneamente ad esercitarne le funzioni: cio' senza neppure evidenziare perche', dato che si trattava di svolgere quei compiti in via di fatto e senza investiture formali, si sarebbe reso necessario coinvolgerli entrambi, e per quali specifiche incombenze. Tema parimenti ignorato dalla sentenza impugnata. La Corte territoriale, a ben guardare, affronta il problema solo su un piano generale, non cogliendone le implicazioni che investono la fattispecie concreta in termini di maggiore peculiarita': si limita infatti a far osservare che "la questione che qui rileva non e' di denominazione formale, ma di contenuto effettivo delle funzioni (...) svolte", per poi considerare - richiamando le dichiarazioni rese dagli stessi imputati - "irrilevante che la loro nomina sia o meno intervenuta per statuto o per volonta' dell'assemblea, mentre non puo' negarsi (...) che essi hanno - in concreto - svolto le funzioni di direttore generale, laddove si considerino sia l'ampiezza dei poteri loro riconosciuti, sia la circostanza che non vi fosse alcuna altra posizione intermedia tra gli stessi e l'amministratore delegato. Nella specie devono percio' venire in considerazione i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di esercizio di fatto delle funzioni (...1. E' conseguentemente inconferente il richiamo all'ipotesi di concorso dell'extraneus nel reato commesso dal soggetto munito della qualifica, dovendosi concludere che il problema si sposta unicamente sul piano dell'accertamento di merito, in ordine cioe' alla prova delle funzioni concretamente esercitate". Precisato poi poi che "il tema e' stato prevalentemente affrontato con riferimento alla figura dell'amministratore di fatto, registrandosi in proposito un ormai consolidato e pacifico orientamento giurisprudenziale nel senso qui ritenuto", la disamina si conclude richiamando "il tenore della riforma dei reati societari del 2002, laddove il legislatore ha recepito il criterio funzionalistico o dell'effettivita', posto che ha provveduto a tipizzare, all'articolo 2639 c.c., i tratti caratterizzanti le funzioni di fatto, fissando due parametri in presenza dei quali la funzione di fatto assume rilevanza giuridica: 1) esercizio della funzione in modo continuativo; 2) significativita' degli atti posti in essere". 16.2 Sembra dunque evidente che, stando al percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, il primo nodo da risolvere sia quello dell'esercizio di fatto delle funzioni di un direttore generale, indipendentemente dalla necessita' di dare alle stesse un contenuto ben determinato e di confrontarsi con le possibili modalita' di quell'esercizio (da parte di chi direttore generale non sia, quando ve n'e' uno piu' due vice, ovvero da parte di due soggetti che non lo siano ma vi si atteggino contemporaneamente e nel disbrigo della stessa operazione). Il secondo nodo e' invece quello della prova di quali siano state le funzioni davvero esercitate, a prescindere dalla prospettiva di poterle confrontare con uno schema tipico, piu' o meno normativizzato, dei poteri riservati a un direttore generale. Fermo restando che, per le ragioni appena illustrate, la disamina rimarrebbe in ogni caso carente, e' opportuno seguire l'ordine logico suggerito dalla sentenza impugnata ponendosi il primo quesito, vale a dire se sia possibile attribuire a taluno, in ragione dell'attivita' che egli abbia svolto nella realta' dei fatti, la qualita' di direttore generale, venendolo percio' ad inserire - malgrado un difetto di investitura formale - nel novero dei soggetti a cui sia legittimo addebitare in via diretta una condotta penalmente rilevante quale bancarotta fraudolenta. Come ricordato richiamando in sintesi le ragioni di doglianza, i difensori del (OMISSIS) e dello (OMISSIS) manifestano a riguardo un avviso contrario: citano, in particolare, giurisprudenza della Prima Sezione civile di questa Corte, secondo cui l'indeterminatezza normativa del ruolo di un direttore generale rende necessaria una nomina in base a previsioni statutarie. Ergo, al di fuori di tali casi, non esisterebbero disposizioni normative che consentano di estendere lo speciale ed eccezionale regime di responsabilita' ad altri soggetti che svolgono, di fatto, le medesime funzioni. In tal senso, effettivamente, si e' affermato che "in tema di azione di responsabilita' nei confronti del direttore generale di societa' di capitali, la disciplina prevista per la responsabilita' degli amministratori si applica, ai sensi dell'articolo 2396 c.c., (nel testo vigente prima della riforma societaria di cui al Decreto Legislativo 6 del 2003, che vi ha apportato modifiche non significative), esclusivamente se la posizione apicale di tale soggetto all'interno della societa', sia o meno un lavoratore dipendente, sia desumibile da una nomina formale da parte dell'assemblea o anche del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria; infatti, non avendo il legislatore fornito una nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, non e' configurabile alcuna interpretazione estensiva od analogica che consenta di allargare lo speciale ed eccezionale regime di responsabilita' di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell'amministratore di fatto" (Sez. 1 civ., n. 28819 del 05/12/2008, Rv. 606069; nello stesso senso, v. altresi' Sez. 1 civ., n. 23630 del 18/11/2015, Rv. 637686). Nella motivazione della sentenza del 2008, partendo dal dato normativo - in particolare, dall'articolo 2396 c.c., secondo cui "le disposizioni che regolano la responsabilita' degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati" -, la Prima Sezione civile di questa Corte scriveva che "il legislatore, nell'articolo 2396 c.c., non ha offerto una definizione di direttore generale legata al contenuto intrinseco delle mansioni, ma ha ricollegato la responsabilita' di tale soggetto alla sua posizione apicale all'interno della societa', desunto dal dato formale della nomina da parte dell'assemblea od anche del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria. Al di fuori di queste ipotesi non sussiste un preciso supporto normativo che consenta di estendere lo speciale ed eccezionale regime di responsabilita' proprio della figura nominata di direttore generale ad altre ipotesi vicine a quella considerata dal legislatore. Il tentativo di procedere ad un'interpretazione estensiva od analogica della disciplina di legge urta contro la circostanza che manca il tertium comparationis, perche', come s'e' detto, il legislatore non ha fornito la nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, ed ogni determinazione del contenuto di tali mansioni, in difetto di un sicuro parametro normativo di riferimento, diviene arbitraria". Non sembra al Collegio, tuttavia, che tale linea interpretativa possa assumere decisivita' anche in sede penale, atteso che l'equiparazione fra amministratore e direttore generale statuita dal citato articolo 2396 vale esclusivamente ai fini delle norme disciplinanti la responsabilita' civile e della possibile esperibilita' degli strumenti a cio' demandati (ad esempio, l'azione di responsabilita' ex articolo 2409 c.c.). In ambito penale, la norma di riferimento e' invece quella di cui all'articolo 2639 c.c., secondo cui "per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile e' equiparato sia chi e' tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione". La previsione e' dettata in tema di reati societari, dove si rinvengono - analogamente a quanto stabilito dalla L. Fall., articolo 223 - fattispecie criminose che individuano quali soggetti attivi anche i direttori generali (si pensi agli articoli 2621 e 2622 c.c., che sanzionano diverse ipotesi di false comunicazioni sociali). E, se l'articolo 2639 costituisce il pacifico parametro di riferimento per offrire un disegno e conferire rilevanza, anche in ambito di reati fallimentari, alla figura dell'amministratore di fatto, regole di elementare ragionevolezza impongono di seguire lo stesso percorso ermeneutico anche a proposito del direttore generale di fatto, prescindendo dai vincoli derivanti da nomine ad hoc o da disposizioni statutarie. Alla domanda se si possa ipotizzare, ai fini dell'attribuibilita' ad un soggetto di una condotta qualificata come bancarotta fraudolenta patrimoniale (per distrazione o dissipazione, poco sposta), il suo esercizio di fatto delle funzioni di direttore generale, sembra percio' senz'altro doverosa una risposta affermativa. Ne' assume particolare spessore, in concreto, il tema di quali possano essere dette funzioni. Analizzando i contributi della giurisprudenza di questa Corte, e' innegabile che la quasi totalita' delle pronunce hanno in effetti riguardato la diversa figura dell'amministratore di fatto, ma dettando principi che possono sicuramente essere traslati alla tematica qui in esame: cio' a partire dalla consolidata affermazione in base alla quale, "in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui alla L. Fall., articoli 216 e 223, vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non gia' rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta" (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497). Gia' anni prima, con una pronuncia massimata riportando il medesimo principio di diritto (Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273), si era diffusamente spiegato in motivazione che appariva consolidato, "all'interno della giurisprudenza di legittimita', l'orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se "significativita'" e "continuita'" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. La posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della societa', risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi - rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti - in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare". Questioni identiche, pertanto, ben possono porsi a proposito della figura del direttore generale di fatto, da individuarsi alla luce dei medesimi parametri incidenti sulla concreta gestione dell'attivita' imprenditoriale e dell'assetto organizzativo dell'azienda: tanto che, assai significativamente, si e' affermato non esservi violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza sia quando "un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualita' di socio amministratore di fatto, anziche' quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascrittagli" (Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019, Meoli, Rv. 276779), sia nel diverso caso in cui all'imputato venga contestato il delitto di bancarotta nella veste di direttore generale della societa' fallita, ma egli sia poi condannato quale gestore di fatto della medesima societa' (Sez. 5, n. 1842 del 25/11/1998, dep. 12/02/1999, Pagani, Rv. 212351). In definitiva, si tratta pur sempre di funzioni apicali, che debbono trovare giocoforza svolgimento - con caratteri di continuativita' e significativita' - all'atto di definire (e/o dare esecuzione a) attivita' gestorie, vuoi autonomamente vuoi in un rapporto di diretta collaborazione con chi si trovi in posizione, formale o di fatto, sovraordinata. Un rapporto che nel caso di specie, come segnalato dal Tribunale e dalla Corte di appello, era verosimilmente sussistente sia per il (OMISSIS) (con gli amministratori delegati (OMISSIS), prima, e (OMISSIS), poi) che per lo (OMISSIS) (con il solo (OMISSIS)): ma, come parimenti gia' evidenziato, si trattava di certo di rapporti di contenuto variabile, ove i connotati di continuativita' e significativita' non appaiono sufficientemente chiariti dalle sentenze di merito, neppure in esito alla doverosa presa d'atto che fino al 2004 un direttore generale e due vice-direttori generali erano stati davvero in carica. Anche sostenere che, almeno con riguardo al periodo successivo, esistevano piu' direttori centrali chiamati in via di fatto ad esercitare funzioni apicali si risolve in una affermazione meramente assertiva, non idonea a chiarire come mai - ad esempio, nel disbrigo dell'operazione sub A2) - di direttori generali di fatto ne fossero necessari due: una circostanza, quest'ultima, che rende ragionevolmente plausibile, piuttosto, una ricostruzione secondo cui, a seconda della specifica incombenza da curare, venisse sollecitato l'intervento del dirigente di riferimento per il settore volta a volta interessato. Con l'ulteriore conseguenza di dover intendere quell'intervento sicuramente significativo, ma assai verosimilmente episodico e non continuativo: a meno di non voler ipotizzare che il (OMISSIS) o lo (OMISSIS) fossero divenuti direttori generali di fatto per essersi arrogati competenze riservati a settori diversi dai loro. Il che e' astrattamente possibile, ma non risulta sia stato provato, ne' mai eventualizzato come assunto accusatorio. 16.3 Ma le lacune motivazionali della sentenza impugnata si rivelano ancor piu' evidenti, ove rapportate alle specifiche doglianze a suo tempo articolate dalle difese con i motivi di gravame esposti avverso la decisione di primo grado, in relazione al secondo corno del dilemma, vale a dire quello - pur espressamente avvertito dalla Corte territoriale - della prova del contributo causale di ciascuno degli odierni ricorrenti ai fini della realizzazione delle condotte criminose loro addebitate. Pure ammettendo, infatti, che essi potessero davvero qualificarsi come direttori generali di fatto, rimane in ogni caso indefettibile dimostrare cosa fecero in concreto, palesando attraverso i loro comportamenti l'esercizio di quelle funzioni dirigenziali di vertice o quanto meno una modalita' di partecipazione anche atipica - alla fattispecie delittuosa, costruita e contestata in forma concorsuale. Nella sentenza del Tribunale, riguardo al reato sub A2) e con osservazioni dedicate ad entrambi gli imputati, si legge alle pagg. 154 e segg. che "la circostanza che le operazioni, come ovvio, portassero la "firma" di (OMISSIS), non esautora da responsabilita' i due dirigenti apicali. E peraltro, non solo essi, (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno condiviso le modalita' illecite con cui realizzare l'operazione di outsourcing, ma hanno preso parte al procedimento decisionale, senza il quale le scelte gestionali sullo scorporo non sarebbero state neppure determinate. Si tratta di un procedimento decisionale, appunto, e non di un "ordine" facente capo al solo (OMISSIS). (OMISSIS) e (OMISSIS), parti necessarie di un procedimento decisionale che li ha visti protagonisti assieme a (OMISSIS)". Come si sarebbe palesata, tuttavia, la partecipazione diretta dei due ricorrenti al procedimento decisionale, non e' meglio approfondito. Distinguendo poi le due posizioni, sul conto dello (OMISSIS) i giudici di primo grado ricordano che "egli si e' avvalso della facolta' di non rispondere. Era il "fedele" uomo di (OMISSIS), sin da quando questi aveva assunto la direzione delle Ferrovie dello Stato. Il 22/11/2004 assume il ruolo di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza, che prima aveva ricoperto (OMISSIS), rivestendo tale ruolo quando questi, entrato in disaccordo con (OMISSIS) per non aver condiviso talune decisioni (tra cui l'operazione (OMISSIS)) aveva rassegnato le dimissioni (...). A questo punto, interviene (OMISSIS), il quale, proprio in virtu' del ruolo apicale di collaborazione e istruttoria rivestito, da' forma alle decisioni relative all'operazione, gia' prese da (OMISSIS), cosi' contribuendo alle decisioni stesse ed attuandole, in tal modo divenendo corresponsabile. Egli partecipera' in prima persona ad alcuni cda in cui illustrera' i termini dell'operazione. E senza il suo apporto determinativo nella fase decisionale lo scorporo non avrebbe potuto essere effettuato (e d'altronde il suo predecessore (OMISSIS) se ne era andato da (OMISSIS) anche per questo). Emblematica la funzione di (OMISSIS), utilizzato dai correi, merce l'alta qualifica rivestita in (OMISSIS), come utile strumento per ammansire il cda e il collegio sindacale: sara' a (OMISSIS) che si rivolgera' (inutilmente) il collegio sindacale per avere un prospetto delle consulenze esterne distribuite da (OMISSIS); e sempre a (OMISSIS) si rivolgera' il collegio sindacale per valutare l'asset rappresentato dalla flotta nella operazione di scorporo (e, guarda caso, (OMISSIS) sconsigliera' di rivolgersi ad un esperto esterno per valutare gli asset aziendali per la probabile esosita' della consulenza)". I consigli di amministrazione che avrebbero visto la partecipazione dello (OMISSIS), pero', non appaiono evidenziati, tanto che - nei motivi di appello la difesa dell'imputato aveva rappresentato come egli avesse assunto la carica di direttore centrale del settore Amministrazione e Finanza il 22/11/2004, vale a dire oltre un mese dopo rispetto alla data del cda (13/10/2004) in cui era stata presa la decisione dello scorporo di (OMISSIS). Era stata anche documentata la presenza dell'odierno ricorrente a due consigli di amministrazione, in date ovviamente successive al suo ingresso in (OMISSIS), ma senza che la questione dello scorporo fosse stata in alcun modo discussa. In ordine al (OMISSIS), la sentenza del Tribunale lo individua correttamente come "il responsabile del settore Finanza Straordinaria. In sede d'esame, (OMISSIS) specifica quale fosse stato il suo ruolo apicale, ammettendo la responsabilita' nell'elaborazione e istruttoria delle decisioni prese da (OMISSIS), aggiungendo che "non avrebbe dato luogo a dette decisioni, se avesse pensato che potessero essere dannose per gli azionisti". Dunque, egli partecipo' attivamente alla scelta di implementare il piano industriale con lo scorporo delle aziende e con la vendita dei "servizi", scelta - anche a suo dire - tutta di (OMISSIS). Peraltro, il teste (OMISSIS) ha dichiarato che (OMISSIS) era direttamente responsabile della strategia e delle decisioni da prendere di volta in volta: il cda aveva solo il compito di controllare e poi approvare le sue decisioni, nonche' le modalita' pratiche per l'attuazione delle decisioni stesse". In relazione al reato rubricato al capo A4), la stessa pronuncia di primo grado segnala, a pag. 244, che " (OMISSIS) (...), pur affermando di aver svolto compiti da mero esecutore, ha affermato in sede dibattimentale di aver voluto tra le altre anche l'operazione (OMISSIS), e che diversamente non avrebbe collaborato per la sua realizzazione. In sostanza, ha ammesso trattarsi di una sua creatura". I rilievi del Tribunale appaiono tautologici e travisanti: l'affermazione dell'imputato di aver "voluto" le operazioni per cui si era attivato, precisando che in caso contrario non avrebbe prestato la sua collaborazione per portarle a compimento, significa ictu oculi che egli intese sostenere di aver reputato quelle operazioni lineari ed utili, mentre si sarebbe tirato indietro ove si fosse accorto di qualcosa di poco chiaro. Le dichiarazioni del (OMISSIS), dunque, non valevano affatto a confessare di essere stato l'ispiratore di una o piu' scelte imprenditoriali, rivendicando egli solo - a torto od a ragione, e' altro problema - di aver compiuto attivita' che pensava strumentali al perseguimento dei fini dell'attivita' d'impresa e non pregiudizievoli per gli azionisti. Nulla di ammissivo, pertanto, ma anzi di coerente al ruolo dell'imputato nella veste di dirigente del settore Finanza Straordinaria, con funzioni di supporto del consiglio di amministrazione per dare attuazione alle operazioni diverse da quelle routinarie (per cui venivano coinvolte, invece, le strutture aziendali ordinarie). Sulla base delle oggettive carenze delle argomentazioni della sentenza di primo grado, la sentenza di appello, in vero, risulta essersi limitata - sul capo A2) - a ritenere "infondate le censure - prospettate negli appelli (OMISSIS) e (OMISSIS) - in ordine ad una asserita, omessa indicazione delle condotte ai medesimi ascritte. In vero, le stesse dichiarazioni rese dai medesimi in dibattimento danno la misura del loro ampio apporto causale nella vicenda, avendo essi dato forma - a livello apicale - all'operazione di scorporo. L'apporto causale di (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato fondamentale nell'attuazione dell'operazione" (pag. 40). Se possibile, si tratta di affermazioni ancor piu' tautologiche di quelle del Tribunale, tanto piu' considerando le osservazioni della stessa Corte territoriale sul capo A3), dove sul conto degli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS) si legge, alle pagg. 49-50: "si deve osservare che l'accertamento in fatto in ordine al loro concreto apporto causale nell'operazione in esame non appare di univoca lettura. E' vero che essi hanno partecipato - nelle rispettive qualita' - ad alcuni cda in cui l'acquisizione di (OMISSIS) era all'ordine del giorno, ma e' altrettanto vero che il ruolo del cda nella presente vicenda e' sostanzialmente evanescente e tutt'altro che di primo piano, poiche' l'operazione - per genesi e sviluppo - e' una creazione propria dell'a.d., secondo logiche difficilmente riconducibili a presupposti economicamente convenienti e razionali (...). La disamina degli atti dai quali emerge la loro presenza in alcuni snodi procedurali della vicenda non consente in vero di perimetrare esattamente il loro eventuale contributo causale al reato in esame". E non e' meglio chiarito perche' tali considerazioni, a fronte della generalita' dei dati esposti con riguardo al presunto concorso dei due imputati nell'operazione di scorporo di (OMISSIS), non dovessero valere anche per il capo sub A2). A proposito del capo A4), a pag. 59 della motivazione della pronuncia in epigrafe si legge soltanto che "il Dott. (OMISSIS) - dopo avere asserito il proprio ruolo di mero esecutore - ha parimenti dichiarato la propria adesione all'operazione (OMISSIS), evidenziando di avere contribuito a darle forma. Non puo' omettersi di rimarcare che il contributo causale del Dott. (OMISSIS) fu essenziale, e che non solo non consta alcuna presa di distanza rispetto alle determinazioni dell'a.d., ma risulta al contrario una piena azione concorrente". Ancora una volta, si e' al cospetto di rilievi di palese carattere assertivo, senza alcuna componente di obiettiva valutazione delle reali dichiarazioni dell'imputato e dei motivi di doglianza che erano stati formulati nel suo interesse. Motivi che ponevano in risalto come il (OMISSIS) si fosse limitato solo a far presente che le due operazioni addebitategli rientravano nella sua area di competenza e che provvide a dare esecuzione al deliberato di altri; parimenti evidenziate, ma trascurate in toto dalla Corte di merito, neppure per sottolinearne l'eventuale irrilevanza, erano state alcune deposizioni testimoniali indicate dalla difesa a supporto delle allegazioni dell'imputato. 17. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata anche con riguardo alle posizioni del (OMISSIS) e dello (OMISSIS), affinche' - oltre ai profili di annullamento gia' esposti quanto al capo A2), analizzando il ricorso del (OMISSIS), e quanto al capo A4), in relazione alle doglianze del (OMISSIS) - venga rivalutato il titolo della loro partecipazione concorsuale quali presunti direttori generali di fatto e comunque sul punto concernente la verifica dell'effettivo contributo causale che essi avrebbero arrecato alle condotte criminose oggetto di contestazione (contributo alla luce del quale valutare altresi' la sussistenza dell'elemento psicologico). Anche per il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) debbono intendersi assorbite le censure afferenti le statuizioni civilistiche. E' comunque doveroso segnalare che, essendo stati i due imputati gia' assolti quanto all'addebito sub A3), risulta fondata la censura secondo cui - in caso di eventuale conferma della loro responsabilita' per i capi residui - la liquidazione dei danni in favore delle parti civili dovrebbe essere rideterminata tenendo conto della parziale decisione liberatoria: cio' in ragione della statuizione di condanna al risarcimento del danno, che (contrariamente a quanto osservato dall'Avv. Calvetti per i propri assistiti, nella memoria depositata il 22/09/2020) deve intendersi in solido con i coimputati cui i singoli addebiti appaiono ascritti in concorso. In ordine al trattamento sanzionatorio, deve parimenti rilevarsi che, in caso di conferma del giudizio di colpevolezza, sara' necessario: rivedere per il (OMISSIS) e per lo (OMISSIS) (come pure per il (OMISSIS)) i profili di determinazione della durata delle pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, u.c., all'esito della declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma per effetto della sentenza del Giudice delle leggi n. 222/2018 (v. sub p. 9); provvedere a un diverso computo nei riguardi del (OMISSIS), ove la decisione di condanna continuasse a riguardare sia il reato di cui al capo A2) che quello sub A4), dovendo trovare applicazione - in luogo del regime ex articolo 81 cpv. c.p., cui hanno fatto scorrettamente ricorso i giudici di merito senza neppure tenere conto della concessione all'imputato delle circostanze attenuanti generiche - la speciale disciplina della "continuazione fallimentare", ai sensi della L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, (si rimanda, anche a tal proposito, al p. 9). 18. La soccombenza del (OMISSIS) in punto di statuizioni civilistiche - integrale con riferimento al capo C), e comunque parziale in relazione alle condotte sub A) - ne impone altresi' la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio di legittimita', limitatamente a quelle che hanno formulato rituali conclusioni. L'entita' dei singoli rimborsi viene determinata nelle misure di cui al dispositivo, in ragione del numero delle parti assistite dai rispettivi patrocinatori, ovvero con rimessione al competente giudice di merito per le parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato: a quest'ultimo riguardo, deve trovare applicazione il principio di diritto secondo cui "in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimita', delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 541 c.p.p., e Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 110, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre e' rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 del citato D.P.R." (Sez. U, sentenza n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760). Agli importi indicati in dispositivo debbono intendersi aggiunti, ex lege, quelli corrispondenti a titoli accessori. Deve darsi atto, infine, dell'infondatezza della pretesa dell'Avv. (OMISSIS), avanzata con la memoria del 29/09/2020 nell'interesse delle parti civili rappresentate, volta ad ottenere un risarcimento dei danni morali patiti e patiendi in misura superiore rispetto a quanto gia' liquidato: istanza irritualmente formulata in vista dell'udienza di discussione, senza aver impugnato la sentenza in epigrafe in parte qua. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Annulla la stessa sentenza nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla bancarotta dissipativa di cui al capo A2) ed in ordine al capo A6), nonche' al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, cosi' determinate: Avv. (OMISSIS) Euro 4.000,00; Avv. Calvetti Euro 13.000,00, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; Avv. (OMISSIS) Euro 2.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 4.500,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.400,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.400,00; Avv. (OMISSIS) Euro 6.000,00; Avv.to (OMISSIS), per Codacons, nella misura che sara' determinata dalla Corte di Appello competente; Avv. (OMISSIS), per le altre parti, Euro 7.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 5.000,00; Avv. (OMISSIS) Euro 2.000,00.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dai magistrati: FANTI Dott. Lucia - PRESIDENTE CIMINI Dott. Biagio Roberto - CONSIGLIERE rel. DELL'ERBA Dott. Rosa Maria - CONSIGLIERE riunita nella camera di consiglio ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 6865 R.G. degli affari contenziosi del 2015, trattenuta in decisione all'udienza del 30. 10. 2019 TRA (...) S.P.A., in persona del Dr. (...), n. q. di Presidente del CdA e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Fr., giusta procura speciale allegata all'atto di appello, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via (...) APPELLANTE - APPELLATA INCIDENTALE E UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE, in persona del rettore p.t. Prof. (...), rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dal Prof. Avv. Fe.Te. e dall'Avv. Fa.Ab., giusta delibera del 12.2.2016 e conforme procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed appello incidentale, ed elettivamente domiciliata presso lo studio Te. in Roma, Largo (...) APPELLATA - APPELLANTE INCIDENTALE E AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante p.t. APPELLATA CONTUMACE E MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t. APPELLATO CONTUMACE OGGETTO: Altri contratti atipici - Appello avverso la sentenza n. 7349/2015 del Tribunale di Roma, sezione II civile, del 3. 4. 2015 MOTIVI DELLA DECISIONE Oggetto del presente giudizio è l'appello proposto dall'odierno appellante avverso la sentenza di cui in premessa del Tribunale di Roma, con la quale era stato così statuito: - Dichiara inammissibile la domanda di arricchimento senza causa; - Rigetta le altre domande proposte dall'attrice e la riconvenzionale proposta dalla convenuta Università: - Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio. La decisione del Tribunale riguardava la domanda proposta dall'odierna appellante principale che aveva sostenuto di aver concluso con la Università Cattolica del Sacro Cuore un contratto relativo alla concessione dei lavori per la realizzazione di un complesso immobiliare sul terreno (...) - L. destinato alla Polizia di Stato, o almeno per l'attività processuale di assistenza e consulenza, ed aveva quindi chiesto la condanna della predetta Università all'adempimento ed al risarcimento dei danni per ritardato adempimento, oltre ad altre voci risarcitorie. In subordine aveva chiesto di affermare che: fosse stato concluso con l'Università un preliminare avente ad oggetto l'obbligo di stipulare un contratto definitivo come quello descritto e di dichiararne la risoluzione per inadempimento; fosse dichiarata la responsabilità precontrattuale della Università per recesso ingiustificato dalle trattative; fosse accertata la responsabilità precontrattuale dell'Università, dell'Agenzia del Demanio e del Ministero dell'Interno con riconoscimento del compenso in suo favore in relazione a tutta l'attività progettuale, per l'assistenza e la consulenza prestate dal 2002 al 2008. Al riguardo l'attrice aveva riferito di aver inviato in data 19. 3. 2002 al Ministero dell'Interno, Dipartimento della PS, DG per i servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale, una comunicazione con la quale era stata prospettata la possibilità di realizzare a Milano una struttura unica per accorpare tutti gli uffici ed alloggi della Polizia di Stato, ipotizzando una permuta con la caserma Garibaldi e Calabresi, di proprietà del Demanio, e che a tale comunicazione aveva risposto il Ministero mostrandosi interessato anche alla permuta, restando in attesa della fissazione di un incontro tecnico. L'attrice aveva poi circostanziato i successivi contatti che a suo avviso avrebbero dato luogo all'incontro delle volontà degli enti convenuti con la società per la realizzazione di tale opera o quantomeno per lo svolgimento dell'attività di progettazione. L'Università Cattolica si era costituita eccependo il difetto di giurisdizione dell'AG, nel merito l'infondatezza delle domande, ed in via riconvenzionale che venisse dichiarata la responsabilità dell'attrice per la mancata realizzazione delle opere dedotte in contratto, a causa di errori tecnici nell'attività di progettazione e la condanna della stessa al risarcimento dei danni. Poiché l'attrice, in sede di memorie, ex art. 183, 6 comma, c. p. c., aveva integrato le proprie domande chiedendo in via ulteriormente subordinata di accertare l'arricchimento senza causa delle convenute, l'Università Cattolica aveva eccepito l'inammissibilità di tale domanda assumendo che non costituisse una mera emendatio libelli, ma che concretizzasse una domanda nuova. Nel giudizio di primo grado si costituivano anche l'Agenzia del Demanio ed il Ministero dell'Interno deducendo l'esclusione di ogni loro responsabilità per l'interruzione delle trattative a causa della necessità di seguire procedimenti amministrativi ad evidenza pubblica, sia perché tale procedura era comunque necessaria, sia perché nessuna responsabilità poteva essere loro attribuita. Precisavano che anche a voler riconoscere la natura non pubblica dell'Università si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che dal Protocollo d'(...) siglato tra l'Università, il Ministero e l'Agenzia del Demanio derivava il carattere pubblico della complessa operazione di permuta, comprendente la cessione della caserma Garibaldi all'Ateneo in cambio del terreno su cui avrebbe dovuto essere costruito il nuovo polo ospitante la Polizia di Stato, e che in tale permuta si inseriva l'attività di progettazione che implicava necessariamente il ricorso alle procedure di evidenza pubblica di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, con la conseguenza che la scelta di abbandonare le trattative non poteva essere considerata ingiustificata, ma anzi doverosa. Il Tribunale preliminarmente respingeva l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Università Cattolica assumendo che da una interpretazione non letterale e complessiva della citazione introduttiva oggetto del giudizio doveva ritenersi che oggetto immediato del giudizio non fosse la pronuncia circa la correttezza o meno della scelta dell'Università(dopo lunghe trattative effettuate al di fuori di ogni procedura concorrenziale) di attivare un procedimento amministrativo di valutazione della proposta progettuale relativa all'edificazione di una caserma, ma in primo luogo, la pronuncia dell'avvenuta stipulazione di un contratto(definitivo o preliminare) tra l'Università e la società di costruzioni. Ne conseguiva che nella cognizione della controversia, per quanto atteneva all'azione proposta in via principale(tendente ad ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto che si assumeva stipulato validamente iure privatorum)la valutazione della sussistenza o meno dell'obbligo di osservare la procedura dettata dal codice degli appalti (dopo lunghe trattative effettuate al di fuori di ogni procedura concorrenziale)entrasse in gioco solo in via incidentale, sia rispetto alla vicenda storica negoziale di tale contratto, sia rispetto alla domanda svolta in via subordinata di condanna per la responsabilità precontrattuale, come parte della più ampia valutazione circa la buona fede e la correttezza dell'Università nelle trattative, contestate non solo per l'affermata inapplicabilità delle procedure di evidenza pubblica, ma anche per l'induzione in errore della controparte, ravvisabile ove il soggetto avesse fatto confidare ragionevolmente l'altra parte nella conclusione del contratto, e quindi in relazione ad ipotesi che prescindevano totalmente dall'accertamento dell'illegittimità della procedura amministrativa adottata. Ad avviso del Tribunale, quindi, oggetto del giudizio non poteva ritenersi né la legittimità della procedura di scelta del contraente, mai eseguita dall'amministrazione convenuta, né la legittimità della scelta negoziale della stessa di non concludere un contratto privato sulla base della sua astratta riconducibilità nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, ma la circostanza che il contratto(preliminare o definitivo) fosse stato concluso con l'unico soggetto economico candidato. E tale accertamento incidentale non poteva rendere, ai sensi dell'art. 133, lett. c), n. 1, la controversia relativa a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. Infatti, nel caso di specie le contestazioni non attenevano ad una procedura di affidamento, e la valutazione circa la sussistenza o meno del dovere di osservarla, ossia dell'esistenza del doppio requisito, soggettivo ed oggettivo per l'assoggettamento del contratto alle procedure di evidenza pubblica, per il suo carattere incidentale, esulava dalla previsione di giurisdizione esclusiva della norma in esame, non comportando nessuna possibile commistione di diritti soggettivi con interessi legittimi. Il Tribunale inoltre con specifico riferimento all'azione precontrattuale effettuava una ricognizione giurisprudenziale, all'esito della quale concludeva nel senso di ritenere che le trattative si erano svolte esclusivamente in forma privata e la successiva ritenuta obbligatorietà del ricorso alle procedure di evidenza pubblica aveva inciso nella fattispecie in esame solo come motivo di interruzione immediata delle suddette trattative. Sempre in via preliminare il Tribunale rilevava l'inammissibilità della domanda di arricchimento proposta dalla società attrice. Infatti, tale domanda ex art. 2041 c.c. poteva essere esercitata solo in quanto non fossero esperibili altre azioni, ed avuto riguardo alla sua natura residuale doveva considerarsi autonoma ed eccentrica rispetto alle stesse, essendo finalizzata alla verifica di presupposti totalmente diversi(impoverimento di una parte ed arricchimento dell'altra) ed alla mancanza di estremi per esercitare altre azioni, presupponendo a fondamento della pretesa fatti nuovi e diversi mai dedotti in primo grado, ed introducendo un tema di indagine e decisione completamente nuovo. Ne conseguiva che la proposizione di una domanda nuova, come la predetta azione, non poteva ritenersi consentita nella memoria depositata ex art. 183, 6 comma, n. 1, c.p.c., che autorizzava le parti solo a precisare o modificare le domande già proposte. Nel merito il Tribunale riteneva che tutte le domande fossero infondate. Con le prime domande la società attrice aveva chiesto che fosse dichiarata la stipulazione di un contratto(definitivo o in subordine preliminare)tra la stessa e l'Università del Sacro Cuore, avente ad oggetto la concessione dei lavori per la realizzazione di un complesso immobiliare sul terreno (...) - L., destinato alla Polizia di Stato, o almeno per l'attività processuale di assistenza e consulenza, allegando una serie di lettere e contatti tra l'attrice, il Ministero dell'Interno, l'Agenzia del Demanio e l'Università, che tuttavia il Tribunale non riteneva idonee a dimostrare il raggiungimento di alcun accordo, né per la realizzazione dell'opera in questione, né per la progettazione dell'opera stessa. Il Tribunale riteneva che da tale documentazione poteva evincersi la semplice accettazione, da parte dell'Università, dell'offerta della SIC di effettuare a sue spese e senza impegno un'attività di progettazione di massima, anche finanziaria, per la realizzazione, per il Ministero dell'Interno, di un edificio su un terreno dell'Università e di quest'ultima, previa cessione in permuta di una caserma del demanio. Per effetto di tale iniziativa le convenute avevano stipulato un Protocollo d'(...), non impegnativo nei confronti della società attrice, con il quale si erano accordate reciprocamente a realizzare una permuta tra la caserma e l'area denominata (...) - (...) (nella disponibilità dell'ateneo), previa realizzazione, da parte dell'Università, su tale area, di una nuova struttura. Tale realizzazione avrebbe dovuto passare dalla predisposizione di un progetto preliminare(sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero)e le parti avevano rinviato alla sottoscrizione di un successivo accordo di programma la definizione di tutte le obbligazioni tra le parti. Il protocollo costituiva il primo passo verso la realizzazione dell'iniziativa ideata dalla SIC, ma conteneva impegni programmatici solo tra gli enti pubblici coinvolti, e la SIC era rimasta estranea allo stesso. Il Tribunale riteneva che nel successivo carteggio tra le parti, pur facendosi riferimento a tale accordo, non potesse ravvisarsi nessun incontro di volontà tra le parti e la società in ordine alla realizzazione delle opere progettate, e neanche in ordine all'incarico a titolo oneroso per la progettazione dell'opera. Infatti, nella successiva lettera del 23. 4. 2004 l'Università dopo aver riferito dell'accordo raggiunto con gli altri enti pubblici sulla base del progetto di massima predisposto dalla SIC, aveva invitato quest'ultima ad occuparsi del progetto preliminare necessario per la realizzazione della struttura sul terreno (...). Tale invito era stato accettato con successiva lettera del 6 maggio, con impegno a redigere la progettazione entro il termine di sei mesi, ed in tale contesto la lettera del 28. 2. 2006 della SIC all'Università attestava che al progetto preliminare, poi effettivamente predisposto, non era poi seguito l'accordo di programma, atteso per il 6 marzo successivo. In seguito alla trasmissione, da parte del direttore amministrativo dell'Università Cattolica alla SIC, di un protocollo integrativo al protocollo di (...) e del rinnovo dell'impegno a sottoporre il progetto agli organi centrali dell'Università per la definitiva approvazione, previo incontro con la società per formalizzare gli accordi, la SIC si dichiarava disponibile, e con lettera del 27. 3. 2006 il direttore amministrativo dell'Università aveva comunque ricordato alla SIC che l'intero progetto era subordinato all'approvazione degli organi centrali ed alla stipulazione dell'accordo di programma tra tutti gli enti, ancora non avvenuto. Il Tribunale nel ripercorrere gli ulteriori esiti del carteggio intercorso tra le parti rilevava come da parte della SIC fosse emersa la necessità di formalizzare la definizione dei termini dell'incarico, che nelle more era giunto alla effettuazione di un'attività di assistenza edile ai quattro saggi archeologici autorizzati dalla Soprintendenza per 500 mq, posto che si era sostanzialmente giunti al passaggio da una fase progettuale di massima ad una fase attuativa, con la conseguenza che la SIC aveva subordinato la propria attività preliminare di sondaggio alla disponibilità dell'Università a procedere alla definizione dei termini di tale incarico. Ed in seguito, a fronte della prospettata necessità di far esprimere il Consiglio dei lavori pubblici ai sensi dell'art. 127 del D.Lgs. n. 163 del 2006 il Presidente del CdA della SIC aveva contestato la scelta operata dalla Conferenza dei Servizi, sostenendo che l'opera rientrasse nell'ambito delle previsioni si cui all'art. 32, 1 comma, dello stesso testo normativo, perché avente natura oggettivamente privatistica che non necessitava della procedura di evidenza pubblica. Da tale momento, ad avviso del Tribunale, aveva inizio la fase contenziosa tra le parti nell'ambito del quale non poteva esservi alcun margine di accordo tra i soggetti interessati. In tale contesto l'unico incontro di volontà giuridicamente rilevante e qualificabile come contratto doveva ritenersi il protocollo di (...), che però nei confronti della società attrice, ad esso estranea, non poteva avere alcun valore impegnativo, essendo peraltro condizionato alla definitiva approvazione del progetto ed alla determinazione degli organi centrali. La mancanza di accordo doveva intendersi riferita non solo all'attività di realizzazione, ma anche a quella di progettazione, rispetto alla quale, fin dall'inizio, la società aveva sempre precisato di essere disposta ad offrire la propria collaborazione tecnica gratuitamente e senza impegno per le amministrazioni coinvolte. Infatti, la SIC nella lettera del 19. 3. 2002 dopo aver vantato la realizzazione per il Ministero di molte opere pubbliche con lo strumento del project financing, aveva proposto al Ministero dell'Interno la realizzazione del progetto " Cittadella della Polizia " con la formula della vendita di cosa futura o del leasing, previa cessione in permuta a terzi della Caserma Garibaldi e Calabresi, offrendosi di presentare in brevissimo tempo e " senza alcun impegno da parte vostra " un progetto dettagliato. L'Università doveva ritenersi del tutto estranea rispetto a tale proposta, in quanto aveva risposto il Ministero segnalando l'interessamento per la caserma da parte dell'Università e comunicando di dover attendere un incontro tecnico per esaminare le varie ipotesi. Nella successiva lettera dell'11. 11. 2002, indirizzata al rettore dell'Università Cattolica, rimasta senza riscontro, l'attrice aveva offerto di presentare alla stessa un programma articolato (a suo totale carico) per consentire l'ampliamento delle strutture tramite forme finanziarie dilazionate. In una successiva lettera del 16. 1. 2003, dove si faceva riferimento ad un'attività progettuale realizzata senza altro incarico che quello proposto al Ministero ed all'Agenzia "senza impegni da parte vostra", e comunque non all'Università, la SIC aveva formulato una più articolata proposta progettuale articolata in varie fasi attuative, negoziali, preparatorie, progettuali ed infine di esecuzione dei lavori, precisando espressamente che "in caso di mancata conclusione della permuta tra Ministero dell'Interno ed Università nulla sarà dovuto per oneri per progettazioni ed altri servizi professionali espletati". Ed anche nella successiva lettera di trasmissione del progetto era stata ribadita, sia all'Università ed al Ministero, l'assunzione completa da parte della SIC di ogni onere relativo al progetto. L'Università nel dare riscontro a tale missiva si era limitata a confermare l'esistenza di contatti tra essa ed il Ministero per sondare la possibilità di una permuta ed a concludere nel senso che in caso di successivo accordo tra essa ed il Ministero doveva essere sottoposta ai rispettivi organi centrali la proposta di stipulare un accordo di concessione con la società attrice. Il Tribunale, quindi, nell'esaminare la richiesta di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c. c. osservava che tale disposizione si limitava a richiedere l'osservanza di un comportamento secondo buona fede e che secondo la giurisprudenza di legittimità la responsabilità precontrattuale della PA era configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, avesse compiuto azioni o fosse incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch'esso era tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c. e che in particolare se non era ipotizzabile una responsabilità precontrattuale per violazione del dovere di correttezza di cui all'art. 1337 c.c, rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa era ammissibile con riguardo alla fase successiva alla scelta in cui il recesso dalle trattative dell'ente era sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del neminem laedere, ove lo stesso fosse venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto. In applicazione di tali principi il Tribunale riteneva che esaminando il profilo della possibile induzione per dolo, od anche per leggerezza e ignoranza inescusabile, nella controparte di un ragionevole e legittimo affidamento sulla sicura conclusione del contratto, da parte degli enti pubblici, doveva escludersi che nel caso di specie il comportamento delle amministrazioni convenute avesse potuto indurre la SIC a nutrire l'erronea aspettativa della sicura conclusione del contratto, non essendo risultato che anche sotto altro profilo le stesse si fossero tirate indietro mediante un pretestuoso ed ingiustificato abbandono delle trattative. Al riguardo faceva riferimento alle modalità singolari con cui il rapporto tra l'attrice, l'Università Cattolica e le altre amministrazioni si era instaurato, essendo stata la SIC a proporre, di sua iniziativa, a tre soggetti pubblici una complessa operazione negoziale, finanziaria ed ingegneristica, comportante la realizzazione di alcune ingenti opere civili, destinate a finalità pubbliche, presentando le stesse come accessori di una operazione di permuta, e garantendo nei primi anni il carattere gratuito e non impegnativo dell'attività di ideazione e progettazione della stessa posta a disposizione degli stessi. Dal canto loro gli enti pubblici avevano sempre precisato nelle loro lettere che qualsiasi impegno avrebbe dovuto essere sottoposto alla valutazione e decisione delle autorità competenti, e quindi non poteva essere loro mosso al riguardo alcun addebito. Il Tribunale pur rilevando come l'assenza sin dall'inizio delle trattative della evidenza pubblica potesse essere valutata come un comportamento colpevolmente idoneo ad ingenerare nella controparte aspettative eccessive, riteneva tuttavia che la scelta di instaurare trattative private e senza alcun meccanismo di selezione pubblica del contraente fosse in massima parte imputabile all'attrice e solo di riflesso alle amministrazioni pubbliche coinvolte, che peraltro avevano sempre correttamente avvertito la controparte del carattere non impegnativo delle proprie determinazioni. Al riguardo lo stratagemma di qualificare come vendita di cosa futura la realizzazione dell'edificio sul terreno dell'Università doveva ritenersi imputabile all'attrice, che aveva ideato tale soluzione per aggirare il ricorso ad una procedura pubblica che avrebbe vanificato la propria iniziativa contrattuale. In tale contesto il Tribunale osservava che l'improvviso abbandono delle trattative avrebbe potuto assumere valore negativo in ragione dell'infondatezza della motivazione addotta per la mancata conclusione del contratto, ma che sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo non poteva sussistere alcun dubbio sulla necessità che l'operazione proposta dalla società attrice dovesse transitare per una procedura di evidenza pubblica. Sotto il profilo soggettivo rimarcava la natura di soggetto di diritto pubblico dell'Università Cattolica e quindi obbligata anch'essa all'osservanza delle regole di evidenza pubblica nell'aggiudicazione degli appalti di servizi. Sotto il profilo oggettivo il Tribunale riteneva che ai fini della valutazione della correttezza e della buona fede delle amministrazioni convenute la scelta di sottoporre la vicenda alla valutazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e successivamente di non procedere al perfezionamento dell'accordo cui tendeva la lunga trattativa privata doveva ritenersi corretta. Il Tribunale concludeva quindi che non potesse ravvisarsi alcuna responsabilità precontrattuale della PA verso la controparte dovendosi escludere un atteggiamento di malafede da parte della stessa in quanto: - Sia i rappresentanti del Ministero che quelli dell'Università avevano sempre rappresentato di non avere alcun potere per impegnare l'ente e di dover sottoporre la decisione agli organismi aventi potere decisionale; - La SIC aveva assicurato che la sua attività progettuale sarebbe stata a titolo gratuito e senza impegno; - La necessità del ricorso all'evidenza pubblica non era scontata in ragione della complessità della proposta avanzata dalla stessa attrice, che aveva mascherato l'appalto di opere pubbliche dietro il paravento di una permuta e di una vendita di cosa futura; - La provenienza dell'iniziativa negoziale da parte della SIC faceva sì che fosse quest'ultima a dover verificare la fattibilità del progetto; - La conoscenza della normativa in materia di appalti pubblici non era esigibile solo da parte degli enti pubblici ma anche dai soggetti imprenditoriali che si accostavano ad essi per realizzare le proprie iniziative, con la conseguenza che la mancata previsione della necessità dell'evidenza pubblica non poteva essere addebitata ad uno solo dei contraenti e la responsabilità per il fallimento delle trattative non poteva essere addebitata all'Università ed alle altre amministrazioni convenute. Il Tribunale respingeva anche la domanda di pagamento di compenso parcellizzato delle singole attività progettuali svolte sulla base del rilievo che entrambe le parti avevano accettato che tale attività non comportasse alcun impegno e con oneri a totale carico della SIC. Il Tribunale infine respingeva anche la domanda riconvenzionale, relativa ad asseriti danni subiti, proposta dalla convenuta in conseguenza dell'abbandono delle trattative da parte della società attrice, in quanto non era stato dimostrato in alcun modo che la mancata prosecuzione delle trattative, anche attraverso le procedure di evidenza pubblica, fosse stata determinata da errori tecnici di progettazione. Con atto ritualmente notificato l'odierna appellante principale impugnava detta sentenza per chiedere l'accoglimento di tutte le analitiche domande illustrate nell'atto di appello. L'appellata si costituiva per chiedere in via preliminare l'inammissibilità della domanda in ragione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario; nel merito il rigetto dell'appello proposto perché infondato in fatto e diritto e per spiegare appello incidentale volto ad ottenere l'accoglimento delle richieste analiticamente illustrate nella comparsa di costituzione. Con decreto presidenziale in data 20. 11. 2015 il presente procedimento veniva assegnato all'odierno relatore. All'udienza del 10.6.2016 veniva dichiarata la contumacia del Ministero dell'Interno e dell'Agenzia del Demanio. All'udienza del 30.10.2019 la causa veniva trattenuta in decisione con i termini di cui agli artt. 190 e 352 c.p.c.. APPELLO PRINCIPALE L'appello principale è infondato e deve essere respinto. Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'appellata. L'eccezione deve ritenersi infondata e non merita accoglimento. Infatti, ad avviso dell'Università essendo pacifico il profilo pubblico soggettivo (e cioè la natura dell'Università) non sarebbe corretto (sotto il profilo oggettivo) ritenere avulse ed estranee alla vicenda "le trattative" dal procedimento amministrativo avviato e conclusosi con gli esiti della Conferenza di servizi. Lo schema della "vendita di cosa futura" nel caso in esame sarebbe un mero nomen che non sarebbe idoneo a far venir meno la natura di "appalto" (pubblico), con la conseguenza che ai fini della giurisdizione l'accertamento della ipotetica responsabilità andrebbe ricompresa nella giurisdizione ex art. 6 L. 21 luglio 2000, n. 205, relativa anche alle liti concernenti il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale della p.a. per il mancato rispetto delle norme di correttezza di cui all'art. 1337 c. c. prescritte dal diritto comune, regole la cui violazione si concretizza quando siano venuti meno gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi, che avevano ingenerato affidamenti restati, poi, senza seguito. In altri termini, a prescindere dal nomen attribuito alla operazione da parte della (...), la valutazione dell'operazione proposta dalla stessa, sottoposta al vaglio della Conferenza di Servizi, sarebbe già stata un procedimento amministrativo prodromico alle successive fasi, ancorché non compiute. L'eccezione di difetto di giurisdizione dovrebbe ritenersi fondata sia alla luce della ricostruzione ora illustrata, sia dal riconoscimento dell'appellante circa la natura giuridica dell'Università Cattolica. La SIC fin dall'inizio si sarebbe rivolta ad autorità ed amministrazioni pubbliche, e da esse sarebbe stata indirizzata all'Università Cattolica come esperta di project financing con autorità pubbliche, e tutto il procedimento sarebbe stato di carattere amministrativo, ed in particolare la conferenza dei servizi che avrebbe dato una svolta al tema stabilendo che, in ragione della destinazione del bene, bisognava adottare una procedura pubblica. Al riguardo la Corte non può che rilevare come il Tribunale abbia correttamente respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Università Cattolica sulla base delle considerazioni in precedenza illustrate, che, pienamente condivise dalla Corte, devono qui intendersi integralmente riportate. L'Università dal canto suo si è limitata a riproporre tale eccezione sulla base delle stesse argomentazioni svolte nel giudizio di primo grado, senza formulare critiche puntuali rispetto alle articolazioni del ragionamento svolto dal Tribunale, che ha affermato come oggetto del giudizio non poteva ritenersi né la legittimità della procedura di scelta del contraente, mai eseguita dall'amministrazione convenuta, né la legittimità della scelta negoziale della stessa di non concludere un contratto privato sulla base della sua astratta riconducibilità nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, ma la circostanza che il contratto(preliminare o definitivo) fosse stato concluso con l'unico soggetto economico candidato, e conseguentemente tale accertamento incidentale non poteva comportare la giurisdizione del giudice amministrativo, posto che le contestazioni non attenevano ad una procedura di affidamento, e non comportavano nessuna possibile commistione di diritti soggettivi con interessi legittimi, che doveva quindi ritenersi esclusa in ragione del fatto che le trattative si erano svolte esclusivamente in forma privata e la successiva ritenuta obbligatorietà del ricorso alle procedure di evidenza pubblica aveva inciso nella fattispecie in esame solo come motivo di interruzione immediata di tali trattative private. Conseguentemente l'eccezione sollevata non può essere accolta. L'appellante principale ha proposto cinque motivi di gravame. Con il primo ha lamentato l'erronea ricostruzione del fatto, l'erroneo accertamento della natura e della gratuità delle prestazioni richieste ed espletate dall'appellante ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale e del connesso obbligo risarcitorio a carico dell'Università, nonché della determinazione e liquidazione del compenso e dell'erroneo apprezzamento e valutazione del materiale probatorio, e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 1362 e ss. c.c.. L'appellante ha censurato la ricostruzione dei fatti effettuata dal Tribunale di Roma, ed in particolare le motivazioni della sentenza impugnata nelle quali vi sarebbe stato l'erroneo accertamento, in punto di fatto, relativo alla natura ed alla gratuità delle prestazioni ad essa richieste e dalla stessa espletate, ponendo i fatti, così come erroneamente ricostruiti ed accertati, a fondamento della propria decisione di rigetto delle domande spiegate in via subordinata, ed intese a conseguire: (I) l'accertamento della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA e la sua condanna a risarcire il c.d. interesse negativo; (II) la determinazione e liquidazione del compenso per l'attività progettuale e realizzativa richiesta e svolta dall'odierna concludente. L'appellante ha passato in rassegna diversi passaggi della sentenza impugnata per sostenere che nella parte relativa all'esame delle suddette domande subordinate il Tribunale avrebbe ritenuto unilaterale l'intera iniziativa della (...), all'origine della controversia, nonché gratuite tutte le prestazioni, di volta in volta, richieste dall'UNIVERSITÀ CATTOLICA ed effettuate dalla (...), e che i relativi elementi evidenziati rileverebbero non solo ai fini del rigetto delle domande contrattuali, le cui statuizioni non sono state gravate di appello, ma anche ai fini della statuizione sulle domande subordinate di accertamento della responsabilità precontrattuale e di risarcimento del c. d. interesse negativo e di determinazione e liquidazione del relativo compenso. Il richiamo agli accertamenti effettuati con riguardo alle domande contrattuali, all'unilateralità dell'iniziativa ed alla natura, gratuita e non impegnativa delle prestazioni, costituirebbero elementi fattuali su cui il Tribunale di Roma avrebbe fondato il proprio convincimento nel rigettare le domande subordinate di accertamento della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA e di conseguente risarcimento del c.d. interesse negativo, nonché di determinazione e liquidazione del relativo compenso. Il Tribunale avrebbe erroneamente ricostruito i fatti, in quanto indipendentemente dall'intervenuta conclusione o meno di un rapporto negoziale, definitivo o preliminare, nell'ambito dei rapporti tra la (...) e la UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe dovuto distinguere due fasi, tra loro nettamente separate e caratterizzate da un evidente elemento di cesura. Infatti, la prima fase sarebbe stata connotata da un'iniziale carattere meramente propositivo ed informativo, nella quale l'appellante avrebbe indiscutibilmente reso disponibile la propria organizzazione, esperienza e professionalità, mettendo in contatto i soggetti, a diverso titolo, interessati dalla complessiva operazione, ed approntando il progetto di massima, ossia uno studio di pre-fattibilità con propria valenza economica, ma che avrebbe costituito un impegno limitato in ragione della essenzialità dei suoi contenuti e sarebbe stato diretto a fornire ai soggetti interessati gli elementi essenziali per la verifica preliminare dell'interesse e della fattibilità dell'operazione in vista del successivo approfondimento. Il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto del fatto che tale fase sarebbe terminata con la conclusione, in data 13. 1. 2004, del Protocollo d'(...) tra i soggetti interessati alla complessiva operazione e che, con la conclusione di tale fase, si sarebbe esaurita la gratuità e la non impegnatività del ruolo e delle attività della (...), in quanto successivamente alla conclusione del Protocollo d'(...), risulterebbe documentalmente che sarebbe venuta meno l'unilateralità dell'impulso e della propositività, da parte della (...), come sarebbe dimostrato dalla nota in data 22. 4. 2004, nella quale non sarebbe stata lei a rivolgersi all'UNIVERSITÀ CATTOLICA, ma quest'ultima a notiziare la prima dell'intervenuta stipula del Protocollo d'(...) e della necessità di sottoporre al MINISTERO, entro un termine predeterminato (sei mesi), il "progetto preliminare dell'opera", in luogo del "progetto di larga massima (il detto studio di pre-fattibilità) da Voi predisposto secondo le indicazioni fornite dal Ministero", nonché a richiedere alla (...) la disponibilità a rendere una precisa prestazione, ulteriore e sostanzialmente diversa da quella fino a quel momento assunta a proprio esclusivo carico, ossia "a redigere il progetto preliminare richiesto, entro i termini utili per la presentazione da parte nostra al Ministero", con la precisazione, anch'essa tutt'altro che priva di significato, che detto progetto avrebbe dovuto essere corredato "di ogni indicazione utile per noi per addivenire alla stipula di una Convenzione da sottoporre ai nostri organi per il prosieguo dell'iniziativa". Sulla base di tale ricostruzione discenderebbe che l'impulso alla prosecuzione delle attività non sarebbe stato più ad iniziativa della (...), ma a quest'ultima sarebbe stata richiesta una prestazione diversa e sostanzialmente ulteriore rispetto a quella iniziale, ossia alla sola prestazione assunta a proprio carico, da espletarsi entro un tempo predeterminato. Nella citata corrispondenza non vi sarebbe alcun riferimento alla gratuità ed alla non impegnatività delle prestazioni, ma sarebbe stata la stessa UNIVERSITÀ CATTOLICA a palesare la propria consapevolezza di richiedere una prestazione a titolo oneroso, mediante il riferimento alla stipula di una "convenzione" privata, da sottoporre alla diretta ratifica ed approvazione degli organi deliberanti della UNIVERSITÀ CATTOLICA, così dimostrando all'appellante un'evidenza opposta. Il Tribunale nell'ambito della netta cesura tra la prima e la seconda fase, con motivazione contraddittoria avrebbe mostrato di apprezzare, riferendosi (almeno in una prima parte della motivazione, per poi contraddirsi sul punto, in altra parte della medesima) ai soli "primi anni", la garanzia di gratuità e non impegnatività delle prestazioni (v. pagg. 16 e 18 della impugnata sentenza), ma senza considerare che le successive prestazioni(redazione del progetto preliminare dell'opera, completo della Relazione Illustrativa, del Capitolato Tecnico, del Programma Lavori, delle Soluzioni Distributive, del Documento di Stima dei Lavori, degli Elaborati Grafici e dell'Elenco delle Tavole, e dei suoi successivi aggiornamenti) avrebbe costituito un'opera complessa, comportante un impegno economico ed organizzativo di enorme consistenza. Non sarebbe quindi corretto continuare a parlare di iniziale progettualità, destinata a meri scopi promozionali, perché finalizzata a verificare la possibilità di assumere un'opportunità imprenditoriale, ma piuttosto di una vera e propria prestazione che avrebbe richiesto anche la esternalizzazione ed i correlativi costi, a tariffa, di professionalità specificamente competenti e quotate. In tal senso il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto della lettera in data 7. 3. 2006, con la quale il Rettore dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe informato l'appellante dell'avvenuta sottoscrizione dell'Accordo Integrativo, accludendo il progetto preliminare già redatto da quest'ultima e dichiarando che: "A questo punto e parallelamente all'attivazione del tavolo per raggiungere l'Accordo di Programma con il Comune di Milano e la Regione Lombardia è necessario formalizzare i nostri accordi che dovremo sottoporre, come già comunicatovi, a suo tempo, ai nostri Organi per la definitiva approvazione". Nella seconda fase sarebbe stata proprio l'UNIVERSITÀ CATTOLICA a richiedere all'appellante l'approntamento del progetto definitivo, che costituirebbe un ulteriore ed oneroso step nell'iter di progettazione di un'opera, mentre l'appellante, destinataria della richiesta di una specifica prestazione, si sarebbe resa disponibile, con nota in data 12.7.2006, anche all'esecuzione di tale avanzamento del livello progettuale, confidando nell'esecuzione degli accordi presi, nel corso del 2006, tra il Dott. (...) e l'ing. (...) (suoi rappresentanti), che avevano incontrato il Direttore amministrativo dell'Ateneo, Dott. (...), presso la direzione amministrativa di Roma per definire tutti gli aspetti dell'operazione e, in particolare, il compenso ad essa spettante per la progettazione e la realizzazione, sul terreno (...) - (...), della nuova struttura destinata alla Polizia di Stato di Milano, facendo rinvio ai prezzari della Camera di Commercio di Milano in vigore nell'ottobre del 2005; a differenza di quanto accaduto per lo studio di prefattibilità, la (...) non avrebbe garantito affatto la gratuità della propria opera, ma avrebbe accettato la richiesta dell'Ateneo solo ed unicamente in vista della compiuta realizzazione dell'intero programma, da essa predisposto ed assentito che prevedeva, tra l'altro, la concessione, da parte dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA all'appellante, della progettazione, conduzione e realizzazione, sull'area (...) - (...), della nuova struttura destinata alla Polizia di Stato di Milano, senza alcun espletamento delle procedure di evidenza pubblica. In data 11.9.2006 l'appellante avrebbe reso disponibili anche gli onerosi elaborati concernenti: il Quadro Economico; la Relazione Geotecnica; lo Stato dei Luoghi comprensivo dell'inserimento virtuale degli edifici di progetto; lo Studio di pre-fattibilità ambientale e le prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza, ma senza garantire la gratuità delle sue prestazioni. In tale contesto le Amministrazioni e l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avevano avviato la Conferenza dei Servizi per la definitiva approvazione del progetto, come sarebbe dimostrato dalla nota della (...) in data 5. 11. 2007 relativa alla intervenuta determinazione dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA di conferire "direttamente ed autonomamente", e, quindi senza il previo espletamento delle procedure di selezione ad evidenza pubblica, alcuni incarichi professionali relativi ad attività preliminari, quali i sondaggi archeologici e la bonifica dell'area, dandosi contestualmente atto che all'appellante era stata richiesta, e la stessa si era resa disponibile, a prestare la necessaria assistenza muraria, partecipando anche a queste fasi preliminari. Non vi sarebbe stato alcun cenno alla gratuità delle prestazioni anche in questa fase, come avvenuto invece nella fase dello studio di pre-fattibilità. Nel 2007, poiché con decreto del 5. 6. 2007 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Paesaggistici della Lombardia aveva dichiarato di interesse storico e artistico il bene "ex casa di riposo via (...)", sito nell'area (...)-(...), all'appellante era stato chiesto, con annessa disponibilità, di predisporre una nuova versione del progetto che recepisse le indicazioni dell'autorità pubblica, seguendo un lungo iter procedurale, alla presenza di funzionari dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA, effettuando saggi archeologici con un apposito impianto di cantiere ed ottenendo parere favorevole dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio di Milano e della Commissione Edilizia. Con lettera in data 2. 11. 2007 indirizzata all'UNIVERSITÀ CATTOLICA la (...), nel comunicare la propria disponibilità a partecipare alle fasi preliminari di esecuzione dei sondaggi archeologici preliminari ed alla bonifica di serbatoi di combustibile, insistenti nell'area (...)-(...), richiesti dall'Ateneo, avrebbe nuovamente auspicato, "in qualità di soggetto promotore e attuatore dell'operazione complessiva", che i rapporti con quest'ultimo fossero "ufficializzati". Con nota in data 20. 3. 2008 l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe scritto all'(...) che "al fine di ottemperare alle richieste di indagini archeologiche, volte a verificare la esistenza di depositi archeologici nell'area suddetta", si sarebbe stati lieti di procedere all'affidamento dello "incarico per l'attività di assistenza edile ai quattro saggi archeologici autorizzati dalla competente Sovrintendenza, per complessivi 500 mq circa, come meglio descritto nell'Allegato A e nell'elaborato grafico", con la precisazione che "ci riserviamo di definire al più presto con Voi i termini dell'accordo per tale attività", chiarendo per l'ennesima volta che la prestazione richiesta non sarebbe stata gratuita. Confidando nella correttezza e nella trasparenza dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA, e, quindi, sull'affidamento dato, l'appellante avrebbe manifestato, in data 1.4.2008, la propria disponibilità ad accettare l'incarico, ed in data 25.6.2008, avrebbe inviato all'UNIVERSITÀ CATTOLICA un'ultima versione aggiornata del progetto, insieme alla stima dei costi, auspicando la "formalizzazione definitiva tra (...) e l'Università Cattolica con riguardo alla realizzazione dell'operazione complessiva". Sarebbe quindi evidente che, laddove il Giudice di primo grado avesse correttamente e compiutamente apprezzato le evidenze documentali agli atti, ponendole alla base della ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti, non avrebbe potuto concludere nel senso di ritenere che ogni attività sarebbe stata svolta, dietro impulso unilaterale della (...) e che quest'ultima avrebbe svolto la sua attività, una volta superata la fase iniziale dello studio di prefattibilità, a titolo gratuito e senza impegno da parte della committenza. Con il secondo motivo l'appellante ha lamentato l'erronea ricostruzione del fatto, l'erroneo accertamento, in punto di fatto, dell'assenza, nel comportamento dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, della violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nonché del legittimo affidamento in capo all'appellante circa la conclusione del contratto, ai fini della configurabilità della responsabilità pre-contrattuale e del connesso obbligo risarcitorio a carico di quest'ultima; l'erroneo apprezzamento e valutazione del materiale probatorio e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1362 e ss. c.c. Il Tribunale avrebbe erroneamente ricostruito i fatti di causa, nel senso ora indicato, ponendoli a fondamento della propria decisione di rigetto della domanda subordinata, (...) a conseguire l'accertamento della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA e la condanna della stessa a risarcire il c.d. interesse negativo. Il Tribunale avrebbe individuato correttamente l'oggetto della controversia nella "più ampia valutazione della buona fede e della correttezza dell'Università nelle trattative, correttezza e buona fede che, peraltro, vengono contestate non solo per l'affermata inapplicabilità delle procedure di evidenza pubblica, ma anche per l'induzione in errore della controparte, ravvisabile laddove "il soggetto induca l'altra parte a confidare ragionevolmente sulla conclusione del contratto", ipotesi, che, dunque, prescinde totalmente dall'accertamento dell'illegittimità della procedura amministrativa adottata" v. pag. 5 della sentenza impugnata. L'appellante oltre a quanto già dedotto nell'ambito del primo motivo di gravame ha evidenziato che il Tribunale concludendo nel senso di escludere che il comportamento delle amministrazioni convenute avesse potuto indurre nella SIC l'erronea aspettativa della sicura conclusione del contratto alla stregua delle argomentazioni addotte e che fosse insussistente, nel comportamento dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA, una violazione dei doveri di correttezza e buona fede e del legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contratto sarebbe giunto a conclusioni erronee, perché avrebbe trascurato le evidenze documentali relative all'effettivo svolgimento delle trattative intercorse tra le parti. Il Tribunale non avrebbe considerato che il riferimento fatto dall'UNIVERSITÀ CATTOLICA alla necessità di sottoporre ai propri Organi deliberanti i contenuti delle intese negoziali eventualmente raggiunti con la (...) sarebbe cosa affatto diversa dalla prospettazione, che non vi sarebbe mai stata, dell'impossibilità di procedere ad un affidamento diretto dell'incarico, senza il previo ricorso alle procedure di evidenza pubblica. I due concetti sarebbero fattualmente, prim'ancora che giuridicamente, assolutamente distinti ed addirittura incompatibili tra loro perché non potrebbe farsi luogo a deliberazione interna, da parte degli Organi statutariamente preposti a tale attività, se non vi fosse il presupposto della conclusione del negozio a trattativa privata e secondo un rapporto immediatamente e direttamente intercorso tra le parti. In caso di necessità di procedere ad una selezione del contraente mediante la procedura di evidenza pubblica non ci sarebbe spazio per deliberazioni interne circa i contenuti dell'accordo negoziale con la controparte, ma solo per avviare detta procedura, mediante indizione di gara pubblica. Ed il fatto che all'appellante fossero state richieste le attività e le prestazioni in questione avrebbe posto quest'ultima nella impossibilità di partecipare e qualificarsi come aggiudicataria nella procedura di evidenza pubblica. Pur avendo il Tribunale correttamente fatto riferimento alla circostanza che la rilevanza del ricorso alle procedure di evidenza pubblica, ai fini dell'apprezzamento del ricorrere dei presupposti della responsabilità precontrattuale, entrasse "in gioco solo incidentalmente, come parte della più ampia valutazione della buona fede e della correttezza dell'Università nelle trattative, correttezza e buona fede che, peraltro, vengono contestate non solo per l'affermata inapplicabilità delle procedure di evidenza pubblica, ma anche per l'induzione in errore della controparte, ravvisabile laddove il soggetto induca l'altra parte a confidare ragionevolmente sulla conclusione del contratto", essa sarebbe però stata completamente trascurata nel successivo percorso argomentativo. Il Tribunale invece di verificare se ed in quale misura la (...) fosse stata indotta, nell'affidamento della conclusione del contratto a trattativa privata, avrebbe considerato esclusivamente se, nel comportamento della UNIVERSITÀ CATTOLICA, per un verso vi fosse stata riserva della deliberazione dei propri organi interni e per altro verso, se fosse corretta o meno la scelta, conclusivamente operata, di interrompere la trattativa, stante la ritenuta necessità di ricorrere all'evidenza pubblica. Il Tribunale una volta distinte le due fasi che avevano caratterizzato l'andamento dei rapporti tra l'(...) e l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe dovuto avere riguardo alla nota in data 22. 4. 2004, indirizzata dalla seconda alla prima, nella quale sarebbe stato chiesto all'(...) di rendere una precisa prestazione, ulteriore e sostanzialmente diversa da quella fino a quel momento assunta a proprio esclusivo carico, ossia quella di "redigere il progetto preliminare richiesto, entro i termini utili per la presentazione da parte nostra al Ministero", precisando che detto progetto avrebbe dovuto essere corredato "di ogni indicazione utile per noi per addivenire alla stipula di una Convenzione da sottoporre ai nostri organi per il prosieguo dell'iniziativa". Oltre a richiedersi all'appellante una prestazione diversa e sostanzialmente ulteriore rispetto a quella iniziale, assunta a proprio carico, non sarebbe stato comunicato che l'affidamento avrebbe richiesto una procedura di evidenza pubblica; se così fosse stato la redazione del progetto preliminare avrebbe dovuto essere preceduta dall'espletamento di tale procedura, mentre all'appellante era stata data una evidenza opposta, ossia la stipula di una "convenzione" privata, da sottoporre alla diretta ratifica ed approvazione degli organi deliberanti dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA. Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto considerare che anche nell'atto integrativo del Protocollo d'(...), stipulato in data 6. 3. 2006, tra il MINISTERO, l'UNIVERSITÀ CATTOLICA e l'Agenzia del Demanio, dove sarebbero stati prefigurati, a livello obbligatorio, tutti i comportamenti delle parti non sarebbe stato previsto nulla circa la procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente al quale affidare in concessione, la progettazione e realizzazione dell'opera. Di tale accordo l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe informato l'(...) cui erano state richieste ulteriori prestazioni, implicitamente confermando l'evoluzione dei fatti nel senso della diretta interlocuzione fra i soggetti coinvolti nelle trattative. Il Tribunale non avrebbe adeguatamente tenuto conto, ai fini della corretta ricostruzione dei fatti, delle seguenti circostanze: (i) la nota in data 7. 3. 2006, con la quale il Rettore dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe informato l'appellante dell'avvenuta sottoscrizione dell'Accordo Integrativo, accludendo il progetto preliminare già redatto da quest'ultima, facendo riferimento alla necessità di formalizzare gli accordi da sottoporre, agli Organi competenti per la definitiva approvazione, senza fare alcun riferimento all'esigenza di osservare le procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente, e con nota in data 15. 3. 2006 l'appellante aveva dato la propria disponibilità in tal senso; (ii) la nota in data 27. 3. 2006, con la quale l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe riconosciuto che il progetto era stato interamente realizzato, come da propria richiesta, dall'(...), subordinando l'accordo con quest'ultima, non solo all'approvazione dei propri organi deliberanti, ma anche alla "definitiva sottoscrizione degli accordi con le autorità pubbliche" (ossia dell'Accordo di Programma), ma senza dire ancora una volta nulla circa la necessità di espletare le procedure di evidenza pubblica. In tale contesto all'(...) sarebbe stato richiesto l'approntamento del progetto definitivo, ed in data 12. 7. 2006 sarebbe stato reso disponibile per l'UNIVERSITÀ CATTOLICA anche tale avanzamento del livello progettuale, confidando anche nell'esecuzione degli accordi presi, nel corso del 2006, tra il Dott. (...) e l'Ing. (...) (suoi rappresentanti), che avevano incontrato il Direttore amministrativo dell'Ateneo, Dott. (...), presso la direzione amministrativa di Roma per definire tutti gli aspetti dell'operazione ed il compenso ad essa spettante per la progettazione e la realizzazione della nuova struttura destinata alla Polizia di Stato di Milano. L'appellante aveva chiesto di essere ammessa a provare per testimoni tali circostanze, senza che il Giudice di prime cure si fosse indotto ad ammettere lo specifico mezzo di prova testimoniale articolato; sarebbe comunque evidente che la concessione dall'Ateneo alla (...) della progettazione, conduzione e realizzazione, sull'area (...) - L., della nuova struttura destinata alla Polizia di Stato di Milano, avrebbe dovuto prescindere da qualsiasi riferimento al previo espletamento di procedure di evidenza pubblica, tanto che anche nella nota della (...) in data 11. 9. 2006 il Giudice di prime cure avrebbe dovuto leggere e valorizzare il riferimento alla intervenuta determinazione dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA di conferire "direttamente ed autonomamente", e, dunque, ancora una volta senza il previo espletamento delle procedure di selezione ad evidenza pubblica, alcuni incarichi professionali relativi ad attività preliminari, quali i sondaggi archeologici e la bonifica dell'area e che, all'atto della ricezione di dette comunicazioni e delle prestazioni in riferimento, nessuna diversa prospettazione sarebbe pervenuta dall'UNIVERSITÀ CATTOLICA, nonché nella nota in data 16. 11. 2007, con la quale, l'UNIVERSITÀ CATTOLICA aveva affermato che essa "avrebbe potuto prendere un impegno definitivo ... solo quando sarà compiuto tutto il complesso iter amministrativo che ormai si protrae da lungo tempo", pur costituendo una palese contraddizione del proprio precedente e pluriennale contegno, estrinsecatosi nella reiterata richiesta di prestazioni negoziali, di gravosa responsabilità ed importante contenuto economico, quali la redazione e l'aggiornamento, a più riprese, del progetto preliminare e del progetto definitivo, nonché dell'assistenza alle indagini archeologiche ed alle operazioni di bonifica. Tale situazione avrebbe dovuto essere interpretata, correttamente, nel senso del differimento dell'esito delle trattative al definitivo perfezionamento dell'Accordo di Programma tra Enti ed Amministrazioni, ma senza alcun riferimento alla procedura di evidenza pubblica di selezione del contraente. Ancora nella nota in data 20. 3. 2008, l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe scritto all'(...) che "al fine di ottemperare alle richieste di indagini archeologiche, volte a verificare la esistenza di depositi archeologici nell'area suddetta", si sarebbe stati lieti di procedere all'affidamento dello "incarico per l'attività di assistenza edile ai quattro saggi archeologici autorizzati dalla competente Sovrintendenza, per complessivi 500 mq circa, come meglio descritto nell'Allegato A e nell'elaborato grafico", con la precisazione che "ci riserviamo di definire al più presto con Voi i termini dell'accordo per tale attività". Sarebbe chiara ed indiscussa la rilevanza della diversa ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale rispetto al processo decisionale e motivazionale, in particolare riguardo ai presupposti della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA, il cui accertamento, per le allegate conseguenze risarcitorie, era stato specificamente domandato dall'appellante ed avrebbe dovuto emergere sulla base della corretta ricostruzione dei rapporti inter partes, nell'ambito dei quali sarebbe sempre stata sottaciuta la necessità del previo ricorso alle procedure di evidenza pubblica, ed anzi sarebbe stata sempre assicurata la diretta formalizzazione dell'incarico, una volta conseguite le deliberazioni interne, e che su tale presupposto sarebbero state richieste e ricevute prestazioni progettuali e realizzative di rilevante importanza e valore economico, e la valutazione della lesione degli obblighi di informazione ed affidamento sarebbe dovuta risultare di immediata evidenza. Con il terzo motivo l'appellante ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1338 e 20143 c.c. in punto di interpretazione ed applicazione delle stesse norme e degli inerenti principi ai fatti di causa, così come correttamente ricostruiti, l'erronea qualificazione giuridica dei fatti di causa ed il vizio di motivazione in ordine alla statuizione relativa al risarcimento del danno. L'appellante ha censurato le statuizioni del Tribunale relative al rigetto della domanda di accertamento della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA ritenendo che alla stessa non potesse essere addebitata alcuna responsabilità per il fallimento delle trattative, causato dall'impossibilità di perfezionamento dell'accordo in assenza di una procedura ad evidenza pubblica. In particolare ha censurato il passaggio della sentenza del Tribunale che ha escluso che il comportamento delle amministrazioni convenute avesse potuto indurre nella SIC l'erronea aspettativa della sicura conclusione del contratto(p. 15 e ss. della sentenza impugnata), sostenendo che la gratuità delle prestazioni avrebbe connotato solo la prima fase dei rapporti inter partes e che, durante l'intero corso della trattativa, mai l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe prospettato la necessità che la scelta del contraente avrebbe richiesto il ricorso alle procedure di evidenza pubblica. Il Tribunale avrebbe dovuto verificare, facendo corretta applicazione delle norme di riferimento e dei principi dettati dalla giurisprudenza formatasi al riguardo, se: (I) la richiesta di reiterate attività e prestazioni, di consistente portata e valore economico, nonché (II) l'affidamento circa la conclusione a trattativa privata del negozio, mediante la diretta scelta del contraente, integrassero i presupposti di una responsabilità precontrattuale, tale da supportare la domanda di risarcimento del c.d. interesse negativo. In tema di responsabilità precontrattuale, come evidenziato dal Tribunale, secondo la giurisprudenza non sarebbe ipotizzabile una responsabilità precontrattuale della P.A. prima della fase di scelta del contraente, mentre lo sarebbe dopo tale preferenza, ma (v. pag. 14 della sentenza), la giurisprudenza della Suprema Corte sarebbe costantemente orientata nel ritenerla possibile anche prima dell'aggiudicazione. Inoltre, la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione pubblica nei confronti dei comuni cittadini si fonderebbe sulla distinzione tra norme di relazione, riguardanti la liceità del comportamento, e norme d'azione, che riguarderebbero la legittimità degli atti, e sarebbe riconosciuta anche nel caso di legittimità dell'atto dalla stessa posto in essere. Inoltre, tale tipo di responsabilità sussisterebbe anche nel caso di recesso della PA senza giustificazione dalle trattative e/o, di violazione delle regole di cui agli artt. 1337 e 1338 c. c., che non tutelerebbero la conclusione del contratto, né unicamente quello della legittimità o meno del recesso dalle trattative, o della legittimità dell'azione amministrativa in ipotesi posta in essere, ma la legittima aspettativa di ciascuna parte che le trattative siano condotte con serietà d'intenti, linearità di condotta ed esaustività dell'informazione. Tale aspettativa riguarderebbe i doveri di informazione nel corso delle trattative, posto che la regola posta dall'art. 1337 c. c. non si riferirebbe alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma avrebbe valore di clausola generale, il cui contenuto non potrebbe essere predeterminato in modo preciso ed implicherebbe il dovere, per le parti, di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La violazione di tale regola di condotta determinerebbe la configurazione di una responsabilità precontrattuale indipendente rispetto a quella riconducibile ai canoni fissati dalla pregressa giurisprudenza di legittimità in materia di recesso dalle trattative, e conseguentemente sussisterebbe la violazione della buona fede non solo in caso di recesso ingiustificato dalle trattative, ma anche in caso di mancata osservanza dell'obbligo di completezza informativa circa la reale intenzione della parte di addivenire ad una conclusione del contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a giustificare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative. Nel caso di specie non potrebbe revocarsi in dubbio che all'Università Cattolica dovrebbe essere ascritta una responsabilità precontrattuale, e sulla base di una corretta ricostruzione dei fatti discenderebbe che: (i) l'UNIVERSITÀ CATTOLICA, per almeno cinque anni, non avrebbe mai comunicato alla (...) l'esigenza di fare ricorso alla procedura di evidenza pubblica; al riguardo sarebbe particolarmente significativo il fatto che nell'art. 6 dell'Accordo Integrativo, stipulato in data 7.3.2006, dopo anni dall'invio della proposta della (...) medesima all'Ateneo, si fosse stabilito che: "Le parti si danno reciprocamente atto che provvederanno alla promozione dell'Accordo di Programma, congiuntamente al Comune di Milano e alla Regione Lombardia entro tre mesi dalla sottoscrizione del presente atto integrativo". Tale regola dimostrerebbe che la procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente mediante gara non sarebbe stata reputata necessaria da tutti i soggetti coinvolti nell'operazione, giacché tale procedura era tipica delle opere private, mentre l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe confermato con il suo contegno all'impresa la perseguibilità del suo progetto complessivo e dei singoli atti e delle attività che lo componevano, rafforzando il suo convincimento attraverso il suo concreto comportamento, così acquisendo ed utilizzando, non solo il progetto di massima, offerto gratuitamente dalla (...), nella prospettiva di conclusione dell'operazione nei termini prefigurati ed assentiti, ma richiedendo ed ottenendo da quest'ultima, senza che nulla fosse stato stabilito in merito alla loro gratuità, gli onerosi progetti, preliminare e definitivo, entrambi corredati di tutti i necessari documenti ed elaborati, peraltro, entrambi richiesti e sviluppati in diverse e successive versioni aggiornate, nonché l'assistenza alle attività di sondaggio e di bonifica dell'area preliminari alla fase realizzativa dell'opera. L'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe richiesto ed ottenuto prestazioni, progettuali e realizzative, di importantissimo contenuto economico, che normalmente seguirebbero e non precederebbero la conclusione del contratto che poi aveva negato; e siffatto contegno integrerebbe di per sé gli estremi della responsabilità precontrattuale dell'amministrazione. Il fatto che l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avesse poi reputato necessario solo nel 2007 di effettuare la gara per l'assegnazione, dopo aver confermato e rafforzato l'affidamento di (...) rispetto al fatto che avrebbe eseguito la progettazione e la realizzazione del complesso immobiliare destinato alla Polizia di Stato sull'area (...) - (...) da permutarsi, sulla base di progetti dalla stessa predisposti ed approvati dal MINISTERO e dalla UNIVERSITÀ CATTOLICA, sul presupposto che effettivamente siffatta procedura dovesse legittimamente essere svolta, nulla toglierebbe all'illiceità del suo antecedente contegno illecito, in quanto la responsabilità della PA sussisterebbe anche in caso di legittimità dell'atto o dell'attività conclusiva dalla stessa posta in essere, giacché la liceità del comportamento finale testimonierebbe, come accaduto nel caso di specie, l'illiceità del comportamento precedente. L'appellante ha posto in evidenza il comportamento contraddittorio che sarebbe stato tenuto dall'UNIVERSITÀ CATTOLICA nell'ambito del processo di primo grado, conclusosi con la sentenza impugnata, ed in quello, a cui pure avrebbe partecipato attivamente, conclusosi con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 30. 6. 2014, n. 14742, che, dopo l'instaurazione del giudizio di primo grado, aveva affermato che l'UNIVERSITÀ CATTOLICA rientra tra gli "Enti Pubblici non economici", qualificabili come "amministrazioni aggiudicatrici" ai sensi dell'art. 2, lett. a), del CODICE APPALTI (applicabile al caso di specie ratione temporis), obbligate all'osservanza delle regole di evidenza pubblica. Infatti, mentre nel giudizio di primo grado l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe affermato di essere tenuta all'osservanza della gara, stabilita dal procedimento di evidenza pubblica, nel giudizio di cassazione, da lei stessa promosso, che vedeva coinvolte altre parti, avrebbe proposto ricorso sostenendo esattamente il contrario. Il comportamento dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA tenuto nel corso della vicenda sarebbe connotato da colpa evidente e grave, e potrebbe ricorrere anche un'ipotesi di dolo eventuale, in ragione dell'accettazione del rischio dell'evento dannoso (la mancata stipula del contratto ed il coinvolgimento della controparte in trattative inutili, senza contare che l'UNIVERSITÀ CATTOLICA si sarebbe indebitamente arricchita utilizzando l'attività ed i progetti dell'impresa), che si sarebbe prefigurato molti anni prima. Sarebbe ravvisabile un contegno almeno colposo, in quanto l'UNIVERSITÀ CATTOLICA sarebbe stata consapevole sin dalla instaurazione del giudizio di primo grado del fatto che avrebbe dovuto adottare nel caso di specie le procedure di evidenza pubblica per i lavori di costruzione degli immobili destinati alla Polizia di Stato sull'area (...) - (...) (e la responsabilità extracontrattuale rileverebbe anche nelle ipotesi di culpa levissima ex art.1337 e 1338 c. c., inquadrabili nella responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c. c.), salvo negare, dopo l'instaurazione del giudizio di primo grado e durante il suo svolgimento, di essere tenuta ad effettuare alcuna gara, secondo la procedura di evidenza pubblica. La colpa dell'Università si desumerebbe dal fatto che si sarebbe premunita, nella sua comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, di una ulteriore giustificazione del recesso dalle trattative, individuandola in inesistenti errori di progettazione della (...), dalla stessa posti a fondamento di una sua specifica domanda riconvenzionale contro quest'ultima nel giudizio di primo grado, respinta per assenza di prova al riguardo. Le affermazioni del Tribunale secondo cui la scelta di instaurare trattative private e senza alcun meccanismo di selezione pubblica del contraente sarebbe in massima parte imputabile all'attrice e solo di riflesso alle amministrazioni pubbliche non avrebbero alcun pregio ai sensi dell'art. 1337 c.c., in quanto sarebbero ipotizzabili solo con riguardo alla più ristretta ipotesi contemplata dall'art. 1338 c.c., ed alla luce della ormai superata giurisprudenza, formatasi con riguardo solo a tale ultima norma, che escluderebbe l'esistenza della responsabilità precontrattuale nel caso in cui il danneggiato avesse dovuto conoscere la disposizione di legge imperativa invalidante. Nel caso di specie non essendo stato stipulato alcun contratto invalido o inefficace l'art. 1338 c.c. non potrebbe trovare applicazione, e si dovrebbero applicare le regole che avrebbero imposto all'UNIVERSITÀ CATTOLICA di verificare fin dal 2002, ossia sin dal momento della presentazione della proposta della (...), la necessità del ricorso all'evidenza pubblica. Anche a voler applicare erroneamente al caso di specie l'art. 1338 c.c., le motivazioni addotte dal Tribunale per escludere l'esistenza della responsabilità civile dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA sarebbero errate e contraddette dalla più recente giurisprudenza, in quanto la funzione dell'art. 1338 c.c. sarebbe quella di compensare l'asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sarebbero su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la PA, e ciò non solo perché la procedura di evidenza pubblica sarebbe da essa governata sulla base dell'esercizio di poteri previsti da norme di azione tradotte nella lex specialis della gara, ma anche in ragione dello status professionale e del bagaglio di conoscenze tecniche ed amministrative di cui essa è in possesso. Il principio ignorantia legis non excusat, in materia contrattuale, non avrebbe un valore generale ed assoluto dal quale desumere in modo incondizionato ed aprioristico l'inescusabilità dell'ignoranza dell'invalidità contrattuale che trovi fondamento in norme di legge, e sarebbe necessario indagare caso per caso sulla diligenza e, quindi, sulla scusabilità dell'affidamento del contraente, avendo riguardo non solo (e non tanto) alla conoscibilità astratta della norma, ma anche all'esistenza di interpretazioni univoche della stessa e, soprattutto, alla conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l'invalidità. Il contraente che ignori una norma di legge o intenda sottrarsi alla sua osservanza si troverebbe in una situazione ben diversa dal contraente che, eventualmente in presenza di interpretazioni non univoche della giurisprudenza, affermi di aver creduto che la fattispecie concreta fosse tale da non rientrare nella previsione legale d'invalidità a lui nota. L'astratta conoscenza della norma non sarebbe elemento decisivo per la percezione, rilevante ai fini applicativi dell'art. 1338 c. c., della invalidità o inefficacia del contratto, per la quale spesso si richiede la necessaria cooperazione dell'altro contraente, che sarebbe tenuto a comunicare le circostanze di fatto cui la legge ricollega la invalidità o inefficacia, quando ne sia (o ne debba essere) informato in ragione delle sue qualità professionali o istituzionali e, in mancanza, non può sfuggire alla responsabilità per culpa in contrahendo. L'obbligo di comunicare alle parti tutte le cause di invalidità negoziale di cui abbia o debba avere conoscenza, sarebbe imposto all'Amministrazione non solo nell'ambito del procedimento di formazione del contratto secondo il modulo privatistico della trattativa privata, ma anche nel procedimento di evidenza pubblica, a tutela dell'affidamento delle imprese concorrenti nel rispetto delle prescrizioni della lex specialis. Nel caso di specie l'UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe dovuto informare immediatamente l'(...) della necessità di esperire una gara pubblica, in quanto il contratto, che in ipotesi fosse stato stipulato, sarebbe stato, sulla base di quanto da essa stessa sostenuto nel presente giudizio (ossia della necessità della gara pubblica), invalido per violazione di legge. Ne conseguirebbe che sia ove si reputasse di applicare erroneamente l'art. 1338 c.c., sia, a maggior ragione, ove si pensasse di utilizzare correttamente l'art. 1337 c.c., l'obbligo di chiarezza ed i doveri di informazione che l'UNIVERSITÀ CATTOLICA sarebbe stata tenuta ad adempiere nel corso delle trattative sarebbero stati platealmente dalla stessa disattesi. Alla stregua di tali premesse dovrebbe essere liquidato il danno in favore dell'appellante che avrebbe diritto ad ottenere il rimborso dei danni per tutte le spese sostenute ed il risarcimento dei danni per la perdita di chance, ossia per la perdita di altre occasioni contrattuali che non avrebbe potuto cogliere a causa dell'impegno nell'inutile trattativa, come da documentazione prodotta al riguardo, per un totale di Euro 2.192.391,17 oltre interessi. Circa il danno da perdita di chance nel 2008, quando l'appellante si sarebbe resa conto dell'interruzione delle trattative ed avrebbe rivolto la propria attenzione ad altri progetti, la sede di Milano, che era stata istituita per gestire la trattativa, avrebbe gestito appalti pari al 46,56% del valore totale di produzione della medesima dalla (...) (di Euro 100.519.619,00). Se l'(...) non fosse stata impegnata nell'inutile rapporto con l'UNIVERSITÀ CATTOLICA, e la sede di Milano, con tutta la propria organizzazione, si fosse potuta dedicare, sin dalla sua apertura(nel 2002), ad avviare nuovi rapporti imprenditoriali, avrebbe potuto conseguire e gestire annualmente appalti almeno per la menzionata quota media di produzione, pari al 45,51% del valore totale di produzione della (...). Conseguentemente, l'(...) avrebbe potuto generare, con il contributo della sede di (...), un ulteriore fatturato di Euro 5.445.864,98 nel 2005 - applicando il 12,78% (45,51% - 32,73%) al fatturato complessivo realizzato nel 2005 di Euro 42.612.402,00 - e di Euro 12.419.408,30 nel 2006- applicando il 17,81% (45,51% -27,70%) al fatturato realizzato nel 2006 pari ad Euro 69.732.781,00. Tale mancata quota di fatturato avrebbe determinato per la (...) un danno di marginalità del 10%, e cioè di Euro 1.786.527,33, che costituirebbe il tasso di redditività tipico per società che svolgono attività analoghe e con caratteristiche tipologiche affini, con la conseguenza che il danno subito dall'(...) per perdita di altre occasioni commerciali dovrebbe essere quantificato in Euro 1.786.527,33, oltre agli interessi, cui dovrebbe aggiungersi quello curriculare, da determinarsi con criteri equitativi ai sensi dell'art. 1226 c.c. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi, sono infondati e devono essere respinti. La Corte osserva che secondo la giurisprudenza di legittimità "la responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c.; in particolare, il recesso dalle trattative è sindacabile, ai sensi dell'art. 1337 c.c., ove l'ente predetto sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto, a prescindere dalle ragioni che abbiano indotto il primo ad interrompere le trattative o a rifiutare la conclusione nel contratto" (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 10413 del 27/04/2017). Inoltre, "la responsabilità precontrattuale della P.A. non è responsabilità da provvedimento, ma responsabilità da comportamento, per la quale non rileva la legittimità del provvedimento adottato nella procedura ad evidenza pubblica, ma la correttezza del comportamento tenuto durante le trattative e la formazione del contratto. Pertanto, la P.A. che abbia preteso l'anticipata esecuzione del contratto in attesa dell'approvazione tutoria, poi negata, risponde ex art. 1337 cod. civ., attesa la posizione di garanzia implicita nel suo "status" professionale" (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9636 del 12/05/2015). Ed ancora "la responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, compia azioni o incorra in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza è tenuto già nel procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, ossia nel momento in cui entra in contatto con una pluralità di offerenti, instaurando con ciascuno di essi trattative (multiple o parallele) idonee a determinare la costituzione di rapporti giuridici, nel cui ambito è tenuto al rispetto di principi generali di comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi delle parti. Ne consegue che l'inosservanza di tale precetto, anche prima della conclusione della gara, determina l'insorgere della responsabilità della P.A. per violazione del dovere di correttezza previsto dall'art. 1337 cod. civ., a prescindere dalla prova dell'eventuale diritto all'aggiudicazione del partecipante" (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15260 del 03/07/2014). Infine, "nel giudizio sulla responsabilità precontrattuale di una P.A. (nella specie, di un Comune), devono essere considerate le regole dell'evidenza pubblica, le quali implicano la rilevanza delle sole trattative riferibili agli organi rappresentativi dell'ente o agli organi cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà o, al più, ai funzionari delegati da questi organi, restando irrilevanti gli atti interni alla P.A. (nella specie, delibere della Giunta municipale), sui quali non può fondarsi un incolpevole affidamento dell'altro contraente" (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18932 del 05/11/2012). Alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità ora evidenziati la Corte ritiene di dover condividere la decisione adottata dal Tribunale. Infatti, da un lato è la stessa appellante ad affermare esplicitamente che sino ad un certo punto della trattativa intercorsa tra le parti doveva ritenersi pacifica la gratuità delle prestazioni, che aveva sicuramente connotato la prima fase dei loro rapporti. Occorre quindi affrontare la questione relativa alla possibile insorgenza del carattere oneroso delle prestazioni che sarebbero state effettuate dal momento indicato dall'appellante, indipendentemente dall'intervenuta conclusione o meno di un rapporto negoziale, definitivo o preliminare, nell'ambito dei rapporti tra la (...) e la UNIVERSITÀ CATTOLICA, che secondo la prospettazione dell'appellante si sarebbero sviluppati in due fasi tra loro nettamente separate. Infatti, la prima fase sarebbe stata connotata da un'iniziale carattere meramente propositivo ed informativo, nella quale l'appellante avrebbe reso disponibile la propria organizzazione, esperienza e professionalità per mettere in contatto i soggetti, a diverso titolo, interessati dalla complessiva operazione, e per approntare il progetto di massima, vale a dire uno studio di pre-fattibilità con propria valenza economica, ma che avrebbe costituito un impegno limitato in ragione della essenzialità dei suoi contenuti ed avente mero scopo informativo, diretto a fornire ai soggetti interessati gli elementi essenziali per la verifica preliminare dell'interesse e della fattibilità dell'operazione in vista del successivo approfondimento, e si sarebbe conclusa, in data 13. 1. 2004, con il Protocollo d'(...) intervenuto tra i soggetti interessati alla complessiva operazione, con conseguente cessazione della gratuità e non impegnatività del ruolo e delle attività della (...), come sarebbe dimostrato dalla nota in data 22. 4. 2004, nella quale non sarebbe stata lei a rivolgersi alla UNIVERSITÀ CATTOLICA, ma quest'ultima a notiziare la prima dell'intervenuta stipula del Protocollo d'(...) e della necessità di sottoporre al MINISTERO, entro un termine predeterminato (sei mesi), il "progetto preliminare dell'opera", in luogo del "progetto di larga massima (il detto studio di pre-fattibilità), nonché a richiedere alla (...) la disponibilità a rendere una precisa prestazione, ulteriore e sostanzialmente diversa da quella fino a quel momento assunta a proprio esclusivo carico, ossia la redazione del progetto preliminare, con la precisazione che detto progetto avrebbe dovuto essere corredato "di ogni indicazione utile per noi per addivenire alla stipula di una Convenzione da sottoporre ai nostri organi per il prosieguo dell'iniziativa". L'appellante ha in tal modo prospettato come l'impulso alla prosecuzione delle attività non sarebbe provenuto più dalla (...), ma in realtà ad essa sarebbe stata richiesta una prestazione diversa e sostanzialmente ulteriore rispetto a quella iniziale, senza che nella citata corrispondenza si facesse riferimento alla gratuità ed alla non impegnatività delle prestazioni. Al riguardo la stessa UNIVERSITÀ CATTOLICA avrebbe palesato la propria consapevolezza di richiedere una prestazione a titolo oneroso mediante il riferimento alla stipula di una "convenzione" privata, da sottoporre alla diretta ratifica ed approvazione degli organi deliberanti della UNIVERSITÀ CATTOLICA. Orbene, rispetto a tale prospettazione offerta dall'appellante la Corte ritiene che contrariamente a quanto da essa sostenuto il Tribunale in realtà ha correttamente e condivisibilmente ricostruito lo sviluppo dei rapporti intercorsi tra le parti rilevando come dalla documentazione prodotta era emersa la semplice accettazione, da parte dell'Università, dell'offerta della SIC di effettuare a sue spese e senza impegno un'attività di progettazione di massima, anche finanziaria, per la realizzazione, per il Ministero dell'Interno, di un edificio su un terreno dell'Università e di quest'ultima, previa cessione in permuta di una caserma del demanio, e che le amministrazioni convenute avevano stipulato un Protocollo d'(...) che non poteva ritenersi impegnativo nei confronti della società attrice, dal momento che in futuro la realizzazione di quanto originariamente prospettato tra le parti sarebbe dovuta passare dalla predisposizione di un progetto preliminare(sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero)e dalla sottoscrizione di un successivo accordo di programma per definire tutte le obbligazioni tra le parti, in quanto il protocollo costituiva solo il primo passo verso la realizzazione dell'iniziativa ideata dalla SIC, e conteneva comunque impegni programmatici solo per gli enti pubblici coinvolti. L'appellante in realtà si è limitata ad evidenziare singoli passaggi motivazionali della sentenza impugnata per sostenere la tesi dell'onerosità delle prestazioni da essa eseguite almeno da un certo punto in poi, ma senza considerare che il Tribunale in realtà ha operato una valutazione complessiva della situazione sulla base del carteggio intercorso tra le parti per giungere alla condivisibile conclusione che in primo luogo non poteva ravvisarsi nessun incontro di volontà tra le amministrazioni e la società attrice né circa la realizzazione delle opere progettate, né in ordine all'incarico a titolo oneroso per la progettazione dell'opera, ripercorrendo puntualmente il contenuto delle missive esistenti al riguardo. Deve quindi ritenersi che la successione delle circostanze evidenziate dal Tribunale ha dato esaustivamente conto del fatto che l'intero progetto era subordinato all'approvazione degli organi centrali ed alla stipulazione dell'accordo di programma tra tutti gli enti e che anche quando da parte della SIC era emersa la necessità di formalizzare la definizione dei termini dell'incarico, subordinando la propria attività preliminare di sondaggio alla disponibilità dell'Università a procedere alla definizione dei termini di tale incarico, gli enti pubblici avevano prospettato la necessità di far esprimere il Consiglio dei lavori pubblici ai sensi dell'art. 127 del D.Lgs. n. 163 del 2006, ed in tale contesto l'unico incontro di volontà giuridicamente rilevante e qualificabile come contratto doveva ritenersi il protocollo di (...), che però, come detto, non poteva essere impegnativo nei confronti della società attrice, ad esso estranea, essendo condizionato alla definitiva approvazione del progetto ed alla determinazione da parte degli organi centrali. Va condivisa anche la valutazione relativa alla mancanza di accordo non solo rispetto all'attività di realizzazione, ma anche a quella di progettazione, in ordine alla quale, fin dall'inizio, la società aveva sempre precisato di essere disposta ad offrire la propria collaborazione tecnica gratuitamente e senza impegno per le amministrazioni coinvolte. Al riguardo non può essere condivisa invece la prospettazione dell'appellante che ha focalizzato le proprie censure rispetto alla fase finale del rapporto che a suo avviso avrebbe dovuto comportare l'onerosità delle ulteriori prestazioni da essa rese, ma senza tenere conto del fatto che la società attrice aveva sempre ribadito, sia all'Università ed al Ministero, l'assunzione completa da parte della SIC di ogni onere relativo al progetto. Venendo ad esaminare più specificamente la questione della responsabilità precontrattuale in capo alle amministrazioni convenute deve rilevarsi quanto segue. La Corte ritiene che il Tribunale ha condivisibilmente esaminato la richiesta di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c. c., giungendo alla conclusione che doveva escludersi che nel caso di specie il comportamento delle amministrazioni convenute avesse potuto indurre la SIC a nutrire l'erronea aspettativa della sicura conclusione del contratto, evidenziando al riguardo dapprima le modalità singolari con cui il rapporto tra l'attrice, l'Università Cattolica e le altre amministrazioni si era instaurato, dal momento che la SIC aveva proposto di sua iniziativa a tre soggetti pubblici una complessa operazione negoziale, finanziaria ed ingegneristica, comportante la realizzazione di alcune ingenti opere civili, destinate a finalità pubbliche, presentando le stesse come accessori di una operazione di permuta, e garantendo nei primi anni il carattere gratuito e non impegnativo dell'attività di ideazione e progettazione della stessa posta a disposizione degli stessi, ed al tempo stesso come gli enti pubblici avessero sempre precisato nelle loro lettere che qualsiasi impegno avrebbe dovuto essere sottoposto alla valutazione e decisione delle autorità competenti. In tale contesto deve condividersi il rilievo del Tribunale secondo cui anche se l'assenza, sin dall'inizio delle trattative, della evidenza pubblica poteva essere valutata come un comportamento idoneo ad ingenerare nella controparte aspettative eccessive, tuttavia la scelta di instaurare trattative private e senza alcun meccanismo di selezione pubblica del contraente era in massima parte imputabile all'attrice e solo di riflesso alle amministrazioni pubbliche coinvolte, che dal canto loro avevano sempre correttamente avvertito la controparte circa il carattere non impegnativo delle proprie determinazioni. A fronte di tale situazione obiettiva non può non rilevarsi come la SIC avesse qualificato in termini di vendita di cosa futura la realizzazione dell'edificio sul terreno dell'Università, ideando tale soluzione per cercare di aggirare il ricorso ad una procedura pubblica che avrebbe vanificato la propria iniziativa contrattuale. Sulla base di tali premesse deve ritenersi che l'abbandono delle trattative da parte degli enti pubblici, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, appariva giustificato dalla necessità del ricorso alla procedura di evidenza pubblica, tenuto conto della natura di soggetto di diritto pubblico anche dell'Università Cattolica(obbligata quindi all'osservanza delle regole di evidenza pubblica nell'aggiudicazione degli appalti di servizi) e della scelta di sottoporre la vicenda alla valutazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, cui era seguita la decisione di non procedere al perfezionamento dell'accordo cui tendeva la lunga trattativa tra le parti. Non possono quindi essere condivise le prospettazioni dell'appellante volte a sostenere che il Tribunale escludendo che il comportamento delle amministrazioni convenute avesse potuto indurre nella SIC l'erronea aspettativa della sicura conclusione del contratto alla stregua delle argomentazioni addotte e che fosse insussistente, nel comportamento dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA, una violazione dei doveri di correttezza e buona fede e del legittimo affidamento in ordine alla conclusione del contratto sarebbe giunto a conclusioni erronee perché avrebbe trascurato le evidenze documentali relative all'effettivo svolgimento delle trattative intercorse tra le parti. Le argomentazioni addotte al riguardo dall'appellante non appaiono cogliere nel segno, dal momento che la necessità di sottoporre ai propri Organi deliberanti i contenuti delle intese negoziali eventualmente raggiunti con la (...) da parte dell'Università non poteva certo escludere la necessità di fare ricorso alle procedure di evidenza pubblica, e tale circostanza non poteva certo essere interpretata unicamente nel senso di ritenere che la deliberazione interna, da parte degli Organi statutariamente preposti a tale attività, avrebbe potuto essere riferita solo alla conclusione di un negozio a trattativa privata, posto che tale tipo di valutazione interna deve precedere anche la valutazione finale relativa alla necessità di una selezione del contraente mediante la procedura di evidenza pubblica. Al riguardo la Corte non ritiene che le missive specifiche indicate dall'appellante per sostenere la propria tesi possano essere considerate come indicative della dedotta induzione della SIC a riporre le proprie aspettative nella conclusione del contratto a trattativa privata, alla luce del fatto che gli enti convenuti a prescindere da alcuni passaggi delle suddette missive avevano sempre avvertito la controparte circa la necessità di dover fare riferimento alle delibere conclusive dei propri organi interni, così concretamente dimostrando alla SIC di non essere in grado di poter impegnare direttamente i rispettivi enti. In tale contesto non può essere attribuito rilievo decisivo al fatto che l'appellante ha sostenuto che nella nota in data 22. 4. 2004, indirizzatale dall'Università Cattolica, le sarebbe stata richiesta una precisa prestazione, ulteriore e sostanzialmente diversa da quella fino a quel momento assunta a proprio esclusivo carico, ossia quella di "redigere il progetto preliminare richiesto, entro i termini utili per la presentazione da parte nostra al Ministero", precisando che detto progetto avrebbe dovuto essere corredato "di ogni indicazione utile per noi per addivenire alla stipula di una Convenzione da sottoporre ai nostri organi per il prosieguo dell'iniziativa", posto che a prescindere dalla terminologia utilizzata appariva comunque chiaro che il rapporto tra le parti si trovava ancora in una fase preliminare rispetto alla decisione finale di fare ricorso alla procedura di evidenza pubblica, che sicuramente poteva e doveva prospettarsi in capo all'appellante. Il mancato riferimento specifico a tale procedura, così come prospettato dall'appellante, non può costituire elemento idoneo a fondare un giudizio di addebito di responsabilità in capo agli enti convenuti rispetto alle richieste risarcitorie avanzate dall'appellante, né di una interpretazione della situazione venutasi a determinare tra le parti di semplice differimento dell'esito delle trattative al definitivo perfezionamento dell'Accordo di Programma tra Enti ed Amministrazioni, senza dover fare ricorso alla procedura di evidenza pubblica di selezione del contraente. Ad avviso della Corte rispetto all'analitica indicazione delle missive che dovrebbero supportare la tesi difensiva dell'appellante appare decisivo il costante riferimento da parte dell'Università al fatto che tutti gli accordi avrebbero dovuto essere sottoposti al vaglio degli organi competenti e nel contesto dato non può assumere valenza decisiva il fatto che sarebbe sempre stata sottaciuta la necessità del previo ricorso alle procedure di evidenza pubblica, ed anzi sarebbe stata sempre assicurata la diretta formalizzazione dell'incarico. Venendo agli aspetti più specifici della dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1338 e 2043 c. c., la Corte osserva che le argomentazioni addotte dall'appellante non possono essere condivise alla luce del fatto che anche alla stregua delle considerazioni che precedono deve ritenersi che del tutto condivisibilmente il Tribunale ha respinto la domanda di accertamento della responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA sulla base del rilievo che non potesse esserle addebitata alcuna responsabilità per il fallimento delle trattative in ragione dell'impossibilità di perfezionamento dell'accordo in assenza di una procedura ad evidenza pubblica. Conseguentemente, non possono assumere rilievo le deduzioni sviluppate dall'appellante circa la responsabilità precontrattuale della P. A. anche prima dell'aggiudicazione in considerazione della distinzione tra norme di relazione, relative alla liceità del comportamento, e norme d'azione, che riguarderebbero la legittimità degli atti. Né può assumere rilievo il riferimento ai doveri di informazione nel corso delle trattative, che dovrebbe operare ai sensi dell'art. 1337 c. c., dal momento che avuto riguardo a quanto in precedenza rappresentato non può ritenersi che gli enti pubblici avessero tenuto un comportamento malizioso o reticente nei confronti della SIC, che era sicuramente in grado di rendersi conto della situazione che imponeva il ricorso all'evidenza pubblica; né gli elementi rappresentati al riguardo dall'appellante appaiono idonei a consentire di pervenire a conclusioni diverse da quelle cui è giunto il Tribunale nella sentenza impugnata. Basti osservare al riguardo che l'appellante ha sostanzialmente ammesso che il progetto di massima del progetto era stato offerto gratuitamente dalla (...), precisando che ciò era stato fatto nella prospettiva di conclusione dell'operazione nei termini che essa si era prefigurati e che aveva solo soggettivamente ritenuto assentiti. Da tale premessa discende che anche quelli che sarebbero stati gli ulteriori progetti cui ha fatto riferimento l'appellante rivestivano lo stesso carattere di gratuità, pur in assenza di specifici accordi al riguardo, non potendo seriamente sostenersi che un'impresa come la SIC, che disponeva di un'organizzazione aziendale di prim'ordine ed avvezza a partecipare a gare di aggiudicazione ad evidenza pubblica, non si rendesse chiaramente conto che per realizzare il progetto di cui si discuteva fosse appunto necessario il ricorso all'evidenza pubblica. Né può assumere alcun peso specifico al riguardo l'indicato comportamento contraddittorio che sarebbe stato tenuto dall'UNIVERSITÀ CATTOLICA nell'ambito del processo di primo grado, conclusosi con la sentenza impugnata, ed in quello, a cui pure avrebbe partecipato attivamente, conclusosi con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 30. 6. 2014, n. 14742, che, dopo l'instaurazione del giudizio di primo grado, aveva affermato che l'UNIVERSITÀ CATTOLICA rientra tra gli "Enti Pubblici non economici", qualificabili come "amministrazioni aggiudicatrici" ai sensi dell'art. 2, lett. a), del CODICE APPALTI (applicabile al caso di specie ratione temporis), obbligate all'osservanza delle regole di evidenza pubblica, quale presunto elemento indicatore della sua asserita colpa in relazione al fatto di essere stata consapevole sin dalla instaurazione del giudizio di primo grado del fatto che si sarebbe dovuta adottare nel caso di specie la procedura di evidenza pubblica per l'affidamento dei lavori di costruzione degli immobili destinati alla Polizia di Stato sull'area (...) - (...). Il Tribunale ha quindi correttamente ritenuto che non potesse ravvisarsi alcuna responsabilità precontrattuale della PA verso la controparte escludendo un atteggiamento di malafede da parte della stessa in quanto sia i rappresentanti del Ministero che quelli dell'Università avevano sempre rappresentato di non avere alcun potere per impegnare l'ente e di dover sottoporre la decisione agli organismi aventi potere decisionale, mentre dall'altro lato la SIC aveva assicurato che la sua attività progettuale sarebbe stata a titolo gratuito e senza impegno. Inoltre, la necessità del ricorso all'evidenza pubblica non era scontata in ragione della complessità della proposta avanzata dalla stessa attrice, che aveva sostanzialmente mascherato l'appalto di opere pubbliche dietro lo schermo di una permuta e di una vendita di cosa futura, con la conseguenza che la provenienza dell'iniziativa negoziale da parte della SIC comportava che dovesse essere quest'ultima a dover verificare la fattibilità del progetto, e la conoscenza della normativa in materia di appalti pubblici non era esigibile solo da parte degli enti pubblici ma anche da parte di soggetti imprenditoriali che si accostano ad essi per realizzare le proprie iniziative, con la conseguenza che nel caso in esame alla luce delle concrete modalità di svolgimento del rapporto tra le parti come in precedenza descritto la mancata previsione della necessità dell'evidenza pubblica non può costituire un elemento sintomatico di addebito di colpa e di responsabilità per il fallimento delle trattative in capo all'Università ed alle altre amministrazioni convenute. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte devono ritenersi assorbite le deduzioni esposte dall'appellante in ordine alla ipotesi di cui all'art. 1338 c. c., dal momento che la valutazione operata dal Tribunale, e condivisa da questa Corte, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante non si era limitata a considerare solo la più ristretta ipotesi contemplata appunto dall'art. 1338 c. c., che escluderebbe l'esistenza della responsabilità precontrattuale nel caso in cui il danneggiato avesse dovuto conoscere la disposizione di legge imperativa invalidante, ma ha tenuto conto anche delle altre circostanze in precedenza evidenziate e rilevanti da un punto di vista generale ex art. 1337 c. c. Non essendo stata ravvisata responsabilità in capo alle amministrazioni convenute la Corte non è tenuta a valutare le deduzioni rassegnate dall'appellante in ordine al danno asseritamente sussistente ed alle sue modalità di liquidazione. Alla stregua delle considerazioni che precedono i primi tre motivi di gravame devono ritenersi infondati e devono essere respinti. Con il quarto motivo l'appellante ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'art. 2233 c.c., l'erroneo apprezzamento e valutazione del materiale probatorio, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1362 e ss. c.c., ed i vizi di motivazione, censurando anche la statuizione del Giudice di prime cure con la quale era stata respinta anche la domanda subordinata di pagamento dei compensi comunque dovuti per le attività progettuali richieste ed espletate, quale proposta dalla stessa, in via subordinata, per la eventualità in cui non si fosse ritenuto concluso tra le parti né un contratto definitivo né un contratto preliminare avente ad oggetto l'obbligo di concludere un contratto ed in cumulo con la domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA delle conclusioni spiegate in primo grado, laddove la quantificazione del compenso dovuto era stata effettuata nell'importo di Euro 6.554.117.30, determinata in conformità dei criteri previsti dalle vigenti tariffe, dei compensi spettanti agli ingegneri ed architetti, ovvero nella diversa somma che fosse risultata dovuta in corso di causa, anche in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., con maggiorazione degli interessi maturati e maturandi sino all'effettivo soddisfo. La statuizione in oggetto sarebbe frutto e conseguenza dell'erronea ricostruzione dei fatti di causa in quanto la motivazione si fonda sull'asserita gratuità e non impegnatività delle prestazioni richieste ed espletate dalla (...) a cui totale carico sarebbero rimasti i correlativi oneri. Sarebbe evidente invece che tali prestazioni sarebbero state richieste ed espletate, in particolare nella seconda fase di definizione progettuale (con lo sviluppo del progetto preliminare e definitivo) e di svolgimento delle prestazioni preliminari all'esecuzione dell'opera escludendo la gratuità delle prestazioni richieste, con la conseguenza che il Giudice di prime cure, facendo corretta applicazione del disposto di cui all'art. 2233 c. c., in assenza di specifica deroga tra le parti, avrebbe comunque dovuto procedere alla quantificazione e liquidazione dei compensi spettanti alla (...), una volta ritenuto che non vi fosse accordo o convenzione tra le parti. La giurisprudenza sarebbe pacifica nel ritenere che, ai sensi dell'art. 2233 c. c., la determinazione del compenso per le prestazioni professionali dovrebbe essere effettuata, in assenza di disciplina convenzionale, alla stregua delle norme di natura regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle forme di legge, o, alternativamente, degli usi eventualmente vigenti nella materia, mentre solo subordinatamente alla accertata impossibilità di applicazione di tali criteri potrebbe venire in rilievo la valutazione equitativa del giudice, svincolata dal rispetto dei limiti tariffari. Il quarto motivo è infondato e deve essere respinto. Infatti, a fronte dei rilievi critici dell'appellante la Corte ritiene di dover condividere la valutazione operata dal Tribunale, che ha respinto anche la domanda di pagamento di compenso parcellizzato delle singole attività progettuali svolte sulla base del rilievo che entrambe le parti avevano accettato che tale attività non comportasse alcun impegno e con oneri a totale carico della SIC. Devono peraltro richiamarsi anche le argomentazioni svolte in precedenza quale ulteriore giustificazione del processo decisionale adottato dalla Corte. Alla stregua di quanto sinora esposto il quarto motivo di gravame deve ritenersi infondato e deve essere respinto. Con il quinto motivo l'appellante ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 228 e 244 e ss. c.p.c., nonché degli artt. 2721 e ss. c.c. in punto di giudizio di ammissibilità e rilevanza delle istanze istruttorie ritualmente formulate. Il Tribunale nel corso del giudizio di primo grado con ordinanza resa fuori udienza in data 16.9.2011 aveva rigettato tutte le richieste istruttorie formulate dalla (...), motivando, con riferimento alle prove orali, la ritenuta inammissibilità con il fatto che le stesse sarebbero state "dedotte su circostanze risultanti dalla documentazione prodotta e/o oggetto di prova documentale". Tale giudizio di ammissibilità e rilevanza sarebbe viziato sotto il duplice profilo della violazione e falsa applicazione delle denunciate norme processuali e sostanziali nonché per vizio di motivazione. Infatti, le prove orali non potrebbero intendersi come esclusivamente riferite e rilevanti ai fini della dimostrazione della intervenuta conclusione di un contratto definitivo e/o preliminare, ossia strumentali alle sole domande contrattuali spiegate in prime cure dalla (...), ma anche rispetto alle domande spiegate in via subordinata, le cui statuizioni costituirebbero oggetto dei motivi di censura svolti con l'atto di appello. Sarebbe indiscutibile la rilevanza della prova orale diretta a corroborare, al di là della evidenza documentata agli atti, i fatti e le circostanze relative all'affidamento indotto nella (...) circa la conclusione del contratto ed in particolare, la prova orale (...) a corroborare i contenuti della riunione tenutasi nel mese di maggio 2006, tra il Dott. (...) e l'Ing. (...) (suoi rappresentanti), che avevano incontrato il Direttore amministrativo della "UNIVERSITÀ CATTOLICA", Dott. (...), presso la direzione amministrativa di Roma per definire tutti gli aspetti dell'operazione ed in particolare il compenso ad essa spettante per la progettazione e la realizzazione, sul terreno (...) - (...), della nuova struttura destinata alla Polizia di Stato di Milano. Il compenso sarebbe stato tra loro concordato facendo rinvio ai prezzari della Camera di Commercio di Milano in vigore nell'ottobre del 2005, e la circostanza che un fatto sia documentato non sarebbe ostativo rispetto all'ammissione della prova documentale, senza contare, per altro verso, che le circostanze relative alla dedotta riunione non sarebbero state documentate agli atti, ed avrebbero potuto essere provate con testimoni. Il quinto motivo è infondato e deve essere respinto. Infatti, alla stregua delle conclusioni raggiunte nell'ambito dell'esame dei motivi che precedono, le cui argomentazioni devono qui intendersi richiamate, le doglianze rappresentate in ordine al mancato accoglimento delle istanze istruttorie da parte del Tribunale non possono essere accolte, evidenziando, peraltro, che del tutto correttamente il Tribunale nel corso del giudizio di primo grado con ordinanza resa fuori udienza in data 16. 9. 2011 aveva rigettato tutte le richieste istruttorie formulate dalla (...), ritenendo che le prove orali fossero inammissibili essendo state "dedotte su circostanze risultanti dalla documentazione prodotta e/o oggetto di prova documentale". Alla stregua di quanto sinora esposto il quinto motivo di gravame deve ritenersi infondato e deve essere respinto. APPELLO INCIDENTALE L'Università Cattolica ha concluso testualmente: " nella denegata ipotesi di accoglimento dell'appello proposto accertare e dichiarare in via subordinata la responsabilità della (...) nel ritardo dalla stessa cagionato nella procedura valutativa del progetto preliminare relativo al complesso immobiliare "(...) - L." e per l'effetto condannare la (...) p. a. al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla Università (ivi compreso il danno d'immagine) nella misura di Euro 11.233.599,00. Poiché l'appellata ha condizionato il proprio appello incidentale al caso di accoglimento dell'appello principale alla stregua del mancato accoglimento dell'appello principale l'appello incidentale deve ritenersi assorbito. Alla stregua di quanto sinora evidenziato l'appello principale proposto deve ritenersi infondato e deve essere respinto, mentre l'appello incidentale deve ritenersi assorbito. Le spese processuali del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, a norma delle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della natura dell'affare e dell'attività professionale prestata, in favore dell'Università Cattolica, mentre non va disposto nulla in relazione al Ministero dell'Interno ed all'Agenzia del Demanio, rimasti contumaci. Atteso quanto previsto dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, quale introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante principale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla (...) S.P.A. avverso la sentenza n. 7349/2015 del Tribunale di Roma, sezione II civile, del 3. 4. 2015, così provvede: A) Respinge l'appello principale proposto; B) Dichiara assorbito l'appello incidentale proposto; C) Condanna la (...) S.P.A. al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio in favore dell'UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE che si liquidano d'ufficio in complessivi Euro 10.000,00 a titolo di compenso onnicomprensivo, oltre al rimborso forfettario delle spese, computato secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 2, D.M. della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, ed agli oneri accessori legali, compresi quelli fiscali; D) Nulla sulle spese rispetto al Ministero dell'Interno ed all'Agenzia del Demanio; E) Dà atto della sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 13, comma 1 quater, primo periodo, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Così deciso in Roma il 13 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2021.

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