Sentenze recenti rumori molesti

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 761 del 2021, proposto da -OMISSIS-., rappresentata e difesa dagli avv. An. Es. e An. Ba., con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del primo difensore in Ge., (…); contro Comune di (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Lu. De Pa. e Ni. Ro., con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso l’Ufficio Legale del Comune in (Omissis), (…); per l’annullamento della nota del Comune di (Omissis) prot. n. -OMISSIS- +-OMISSIS-, notificata in pari data, con cui è stato ingiunto al sig. -OMISSIS-, in qualità di legale rappresentante della -OMISSIS-., di porre immediatamente in atto le opportune cautele onde far cessare le presunte cause di disturbo dovute alla rumorosità provocata dal vociare degli avventori esterni del pubblico esercizio “-OMISSIS-”, sito in -OMISSIS-, nonché di presentare entro giorni trenta un’istanza, corredata dalla valutazione dell’intera attività completa dalla bonifica effettuata, al fine di ottenere un nuovo nulla osta acustico in sostituzione del precedente, ritenuto non più valido; di ogni ulteriore atto presupposto, consequenziale o connesso, tra i quali: a) il richiamato rapporto prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, redatto dal Distretto II della Polizia Locale, dal quale, sulla base dei valori rilevati fonometricamente in data -OMISSIS-, sarebbe emersa la necessità di provvedere all’emissione del provvedimento ingiuntivo in oggetto; b) le note del Comune di (Omissis) prot. n. -OMISSIS-+ -OMISSIS-+-OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2024 il dott. Richard Goso e udito il difensore intervenuto per la ricorrente, come specificato nel verbale; Vista l’istanza di passaggio in decisione della causa senza discussione orale presentata dal Comune di (Omissis); Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La Società ricorrente gestisce l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande all’insegna “-OMISSIS-” sito in Ge., -OMISSIS-. Con il ricorso in trattazione, notificato il -OMISSIS- e depositato il successivo -OMISSIS-, essa impugna la nota/provvedimento del -OMISSIS- con cui il Comune di (Omissis) le ha ingiunto di “porre immediatamente in atto le opportune cautele onde far cessare le cause di disturbo” provocate dal vociare degli avventori del pubblico esercizio. Più in dettaglio, è stato ordinato al legale rappresentante della Società ricorrente di porre in essere i seguenti interventi: a) provvedere, entro trenta giorni dalla notifica dell’atto, “all’adozione di tutti i possibili accorgimenti offerti dalla tecnica necessari per eliminare l’inconveniente evidenziato”, riportando il livello differenziale di immissione sonora entro i limiti previsti dalla legge; b) presentare, entro lo stesso termine, idonea documentazione sottoscritta da un tecnico competente in acustica ambientale “contenente la descrizione degli accorgimenti adottati e i rilievi fonometrici atti a dimostrare il rispetto dei limiti di rumorosità”; c) chiedere il rilascio di un nuovo nulla osta acustico, allegando una valutazione di impatto acustico dell’intera attività completa della bonifica effettuata; d) “mantenere in opera gli interventi e gli accorgimenti adottati”. L’atto impugnato richiama gli accertamenti della polizia municipale e le risultanze dei rilievi fonometrici eseguiti presso un alloggio ubicato nella limitrofa -OMISSIS-che avevano fatto registrare immissioni sonore superiori alla soglia massima prevista per la fascia oraria notturna. Parte ricorrente deduce i seguenti motivi di gravame: I) “Violazione e/o falsa applicazione della l. n. 447/1995. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 1/3/1991. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 14/11/1997 e del d.m. 16/3/1998. Violazione e/o falsa applicazione della l.r. n. 12/1998. Violazione e/o falsa applicazione del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 21 quater della l. n. 241/1990. Carenza di motivazione per insufficienza e contraddittorietà. Eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto e conseguente travisamento della norma violata, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta. Violazione del principio di proporzionalità. Annullabilità dell’intero procedimento”. Posto che i rumori molesti non provengono dall’interno del locale della ricorrente né dalla zona immediatamente antistante, nessun elemento consentirebbe di ricondurre tale fenomeno alla responsabilità del gestore dello specifico esercizio, anche in ragione del fatto che nella zona sono presenti molte attività analoghe. II) “Violazione e/o falsa applicazione della l. n. 447/1995. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 1/3/1991. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 14/11/1997 e del d.m. 16/3/1998. Violazione e/o falsa applicazione della l.r. n. 12/1998. Violazione e/o falsa applicazione del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 21 quater della l. n. 241/1990. Carenza di motivazione per insufficienza e contraddittorietà. Eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto e conseguente travisamento della norma violata, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta. Violazione del principio di proporzionalità. Annullabilità dell’intero procedimento”. Non essendo chiaro come sia stato determinato il valore di rumore residuo nel caso di chiusura del locale, le risultanze dei rilievi fonometrici eseguiti dal Comune di (Omissis) sarebbero inattendibili. III) “Violazione e/o falsa applicazione della l. n. 447/1995. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 1/3/1991. Violazione e/o falsa applicazione del d.P.C.M. 14/11/1997 e del d.m. 16/3/1998. Violazione e/o falsa applicazione della l.r. n. 12/1998. Violazione e/o falsa applicazione del regolamento comunale in materia di inquinamento acustico. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 21 quater della l. n. 241/1990. Carenza di motivazione per insufficienza e contraddittorietà. Eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto e conseguente travisamento della norma violata, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta. Violazione del principio di proporzionalità. Annullabilità dell’intero procedimento”. Gli stessi vizi denunciati con i precedenti motivi inficerebbero le note interlocutorie del -OMISSIS-. Costituitosi in resistenza, il Comune di (Omissis) eccepisce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse e, nel merito, argomenta per l’infondatezza del gravame. Previo deposito di memorie difensive e di replica, il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 26 giugno 2024 e trattenuto in decisione. DIRITTO In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa comunale la quale rileva che, in assenza di un provvedimento di revoca del nulla osta acustico, non sarebbe ravvisabile un interesse concreto e attuale all’impugnazione di un atto che non preclude lo svolgimento dell’attività commerciale della ricorrente. È pur vero, infatti, che non constano effettive conseguenze pregiudizievoli dell’impugnato provvedimento, ma ciò non esclude che lo stesso manifesti immediata attitudine lesiva degli interessi della ricorrente in quanto si tratta di un ordine, non rimosso in autotutela e tuttora efficace, con il quale sono stati imposti obblighi di fare il cui inadempimento può determinare la sospensione dell’attività. Nel merito, è pacifico che la contestazione amministrativa non fa riferimento alle immissioni sonore provenienti dall’interno del locale della ricorrente o da eventuali spazi esterni di pertinenza del locale medesimo che è privo di dehors e non effettua somministrazione di bevande all’esterno: come precisato nel rapporto della polizia municipale, i rumori molesti sono provocati dagli avventori che, dopo aver acquistato le bevande all’interno del pubblico esercizio, si trattengono nei suoi pressi per consumarle. Non è stata neppure contestata l’omessa sorveglianza sulla clientela per evitare che vengano prodotti rumori molesti all’entrata e all’uscita dal locale; anzi, la ricorrente dimostra di aver impiegato operatori di vigilanza privata con il compito, tra gli altri, di regolare l’afflusso dei frequentatori ed evitare schiamazzi nelle ore notturne. Le criticità riscontrate, dunque, hanno origine nella pubblica via, ossia in un contesto spaziale sottratto al dovere di sorveglianza del gestore del pubblico esercizio al quale, non vigendo alcun divieto di asporto delle bevande, non sono possono essere ascritti profili di responsabilità collegati alla condotta delle persone che provengono dal suo locale. Peraltro, non è neppure chiaro (né il Comune lo ha spiegato) quali siano gli “accorgimenti offerti dalla tecnica” cui potrebbe farsi ricorso per ridurre il rumore provocato dagli assembramenti di persone vocianti che stazionano negli spazi pubblici. Per tali ragioni, non sussistevano nella fattispecie i presupposti per l’adozione delle contestate misure, sicché, in accoglimento del primo motivo di ricorso, l’impugnato provvedimento dirigenziale del -OMISSIS- è illegittimo e, con assorbimento delle altre censure dedotte, deve essere annullato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono equitativamente liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento principalmente impugnato. Condanna il Comune di (Omissis) al pagamento delle spese di giudizio che liquida in favore della ricorrente nell’importo complessivo di € 3.000,00 (tremila euro), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati: Luca Morbelli, Presidente Angelo Vitali, Consigliere Richard Goso, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. VERGINE Cinzia - Relatore Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. AMOROSO Maria Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sull'appello proposto da Co.Sa., nato a M il (Omissis); avverso la sentenza del Tribunale di Barcellona P.G., in composizione monocratica, del 4/05/2023, trasmesso a questa Corte di Cassazione con provvedimento, ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen., della Corte di Appello di Messina, in quanto inappellabile ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen.; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ci.Ve.; lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale dott. Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per morte dell'imputato. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza del 4 maggio 2023 il Tribunale di Barcellona P.G., in composizione monocratica, in esito al dibattimento celebrato con la presenza della parte civile, ha dichiarato Co.Sa. colpevole del reato di cui all'art. 659 cod. pen. a lui ascritto come in rubrica, e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 250,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile - da liquidarsi in separata sede - nonché al pagamento delle spese di costituzione di parte civile, liquidate come in dispositivo. 2. Con atto del 17 novembre 2023 Co.Sa., a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto appello, affidandolo a quattro motivi. Col primo ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di omessa e/o manifesta contraddittorietà della motivazione, invocando assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato o perché non costituisce reato (non avrebbe - il Pubblico Ministero prima e poi il Tribunale - specificato la fattispecie imputata, se quella di cui al primo o quella di cui al secondo comma dell'art. 659 cod. pen., omettendo di investigare sulla esistenza e violazione di eventuali prescrizioni attinenti al contenimento della rumorosità in ragione della attività lavorativa-professionale svolta dall'imputato, informando apoditticamente il proprio criterio decisorio al presunto superamento della normale tollerabilità ed al conseguente disturbo delle occupazioni o del riposo di cui alla fattispecie del comma 1 dell'art. 659 cod. pen.); col secondo motivo ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 192 e segg. cod. proc. pen., per travisamento delle prove acquisite e per manifesta illogicità della motivazione, invocando assoluzione perché il fatto non sussiste (non sarebbe stata raggiunta la prova della produzione di rumori oggettivamente molesti ed esorbitanti, nè la prova del disturbo della pubblica tranquillità emergendo, anzi, quella contraria in ragione della carenza di qualsiasi lagnanza da parte di terzi); col terzo motivo ha dedotto l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. l3l-bis cod. pen., attesa la dedotta episodicità delle condotte, la nullità del pericolo e la esiguità del danno; col quarto motivo ha lamentato la violazione degli artt. 132, 133 e 133-bis cod. pen. e plurimi vizi di difetto assoluto di motivazione in merito alla misura della pena. 3. Con provvedimento dell'8 gennaio 2024 la Corte di Appello di Messina, rilevato che trattasi di condanna alla sola pena dell'ammenda, dunque inappellabile ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., ha trasmesso, a mente dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen. gli atti a questa Corte di Cassazione. 4. Il ricorrente è deceduto nelle more della fissazione dell'odierna udienza pubblica. È in atti il certificato di morte, trasmesso dal difensore di fiducia del ricorrente con nota del 15 maggio 2024, attestante il decesso di Co.Sa., in M, il (Omissis). 5. Osserva il Collegio: 5.1. la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il ricorrente è deceduto il 19 febbraio 2024; 5.2. vanno conseguentemente revocate le statuizioni civili di condanna; 5.3. la morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto processuale penale, che del rapporto processuale civile nel processo penale, e determina, di conseguenza, anche il venir meno delle eventuali statuizioni civilistiche senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del Giudice penale. L'esistenza e permanenza in vita dell'imputato, difatti, funge da presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale, anche civilistico (Sez. 3, n. 47894 del 23/03/2017, Modica, Rv. 271160-01; Sez. 3, n. 5870 del 02/12/2011, F., Rv. 251981-01; Sez. 2, n. 11073 del 17/02/2(109, Leonardi, Rv.243865-01; Sez. 4, n. 44663 del 14/10/2005, Merotto, Rv. 232620-01; Sez. 4, n. 49457 del 08/01/2003, Paolillo, Rv. 227069-01, secondo cui la morte dell'imputato, se determina il difetto di legittimazione del difensore a proporre impugnazione, determina anche il venir meno delle eventuali statuizioni civilistiche e, quindi, il venir me.no sia dell'interesse degli eredi dell'imputato a farle eliminare, sia l'interesse della parte civile a vederle riaffermate; 5.4. è stato condivisibilmente affermato (e deve essere qui ribadito) che deve ritenersi che la morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporti la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civilistiche restano caducate "ex lege" senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del Giudice penale. Ne deriva che, in tale ipotesi, è preclusa agli eredi dell'imputato la possibilità di impugnare, in luogo del "de cuius", le suddette statuizioni, non potendo essi avvalersi del disposto di cui all'art. 574 cod. proc. pen. (il quale riserva la possibilità di impugnazione al solo imputato), e neppure potendo trovare applicazione in loro favore l'art. 578 cod. proc. pen. riferendosi questo soltanto all'eventualità di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione. Tale disciplina manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, lasciando essa aperta la possibilità per gli eredi dell'imputato, di far comunque valere le proprie ragioni nella sede civilistica, ove in tale sede venga rinnovata la pretesa risarcitoria da parte dei danneggiati dal reato (Sez. 4, n. 58 del 08/11/2000, Pitruzzella, Rv. 219149-01). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per morte dell'imputato. Revoca le statuizioni civili. Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna - Presidente Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao - Consigliere Dott. OCCHIPINTI Andreina Maria Angela - Consigliere Dott. PISTORELLI LUCA - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti dalle parti civili: Gi.Br. nato a S il (Omissis) Do.Pi. nato a M il (Omissis) nel procedimento a carico di: Ga.Cl. nato a P il (Omissis) Ca.Iv. nato a P. il (Omissis) avverso la sentenza del 07/12/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere ROSARIA GIORDANO; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, ALDO CENICCOLA, che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi; udito per le ricorrenti l'avv. CA.FL., il quale ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi e dei motivi aggiunti e ha depositato conclusioni e nota spese; udito per le imputate l'avv. GI.ST. che, riportandosi alle conclusioni scritte in atti, ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia confermava la pronuncia assolutoria, resa dal GUP di Bergamo, di Ga.Cl. e Ca.Iv. dal delitto di atti persecutori, in danno delle ricorrenti, nell'ambito di rapporti di vicinato. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Brescia le parti civili hanno proposto ricorsi per cassazione di identico tenore, mediante il difensore di fiducia, avv. Ca.Fl., articolando tre motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., violazione e vizio di motivazione rispetto agli artt. 391-bis e 438 del medesimo codice, poiché, a fronte dell'irrituale acquisizione da parte delle imputate in sede di investigazioni difensive delle dichiarazioni di Ma.Iv., coniuge di una delle due, le stesse sarebbero state comunque considerate, in maniera decisiva, dalla pronuncia impugnata sull'erroneo presupposto della "sanatoria", stante lo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato. 2.2. Mediante il secondo motivo le parti civili lamentano vizio di motivazione per l'omessa considerazione da parte della Corte territoriale dei motivi di appello dal primo al quarto, nonché del settimo e del tredicesimo e, ulteriormente, per travisamento della prova per omessa valutazione delle dichiarazioni di Ca.Lu. 2.2.1. Quanto al secondo motivo di gravame, si contesta la mancata considerazione da parte della decisione impugnata del "mendacio" del teste Ma.Iv., quando aveva negato che la moglie Ca.Iv. si era recata in orari anomali presso la vecchia abitazione situata nel medesimo stabile dove abitavano le persone offese, al fine di arrecare alle stesse disturbo con rumori molesti. Ciò nonostante la contraddizione sussistesse tra dette dichiarazioni e la documentazione fotografica in atti, nonché con i fotogrammi delle analoghe dichiarazioni rese dall'imputata Ca.Iv. 2.2.2. Quanto alla pretermissione del terzo motivo di gravame, viene rappresentato che, rispetto alle condotte della Ga.Cl., costituite da smorfie, occhiatacce e gesti poco consoni nei confronti delle parti civili, la sentenza di appello si sarebbe limitata a confermare quella del GUP fondata sulle dichiarazioni del solo Ma.Iv., per le quali la suocera era affetta da cataratta, omettendo di vagliare le dichiarazioni contrarie rese dai testi Ca.Lu. ed An.Em. 2.2.3. Le ricorrenti lamentano, inoltre, l'omessa considerazione del quarto motivo di appello sull'erronea valutazione del trasferimento dell'imputata Ca.Iv. che sarebbe stato correlato agli attriti tra i familiari iniziati alcuni anni prima, avendo riguardo alle dichiarazioni del Ma.Iv. che, tuttavia, sarebbero state prive di riscontri, a fronte della costruzione di un immobile che si era documentato essere iniziata già nell'anno 2016. 2.2.4. Ancora, le parti civili denunciano la totale pretermissione del settimo motivo di appello sull'irrilevante, erronea ed infondata valutazione delle dichiarazioni del Ma.Iv. in ordine al preventivo per il tetto, laddove era stato evidenziato che non era stato chiarito il momento nel quale detto preventivo era pervenuto. 2.2.5. Deducono inoltre le ricorrenti l'omessa considerazione del tredicesimo motivo di appello e travisamento della prova rispetto alle dichiarazioni di Ca.Lu., che aveva confermato sia le condotte ascritte alle imputate che i conseguenti danni delle parti civili. 2.3. Mediante il terzo motivo Gi.Br. e Do.Pi. assumono motivazione apparente, illogica e contraddittoria con riferimento al sesto, ottavo, undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo motivo di appello e travisamento probatorio per omessa o parziale valutazione delle dichiarazioni di An.Em., nonché della valutazione medico psichiatrica del dottor Ta.. 2.3.1. Quanto al sesto motivo di gravame la Corte territoriale non avrebbe compreso, anche a voler considerare la rilevanza della controversia civilistica tra le parti, il rapporto tra le stesse, atteso che tale controversia era iniziata molto tempo dopo le condotte contestate alle imputate. 2.3.2. Le parti civili denunciano omessa, erronea e incompleta valutazione delle informazioni assunte con la teste An.Em., laddove la Corte territoriale avrebbe escluso che la stessa aveva fatto riferimento a minacce nei confronti delle persone offese, così trascurando di considerare, nel complesso, la portata delle relative dichiarazioni. 2.3.3. Sotto un primo aspetto, con riferimento all'undicesimo motivo di appello, le ricorrenti deducono che, rispetto ai dieci episodi descritti nella querela ed ai ventisette filmati prodotti, la Corte territoriale ne avrebbe esaminati solo sette. Quanto al dodicesimo motivo, erroneamente sarebbe stata ritenuta attendibile la dichiarazione resa dall'imputata Ca.Iv. nel corso dell'interrogatorio circa i rumori provenienti dall'esterno dello stabile, smentiti dalla documentazione fotografica e dalle immagini aeree del quartiere residenziale dove è situata l'abitazione. 2.3.4. Con riferimento al vizio motivazionale che investirebbe il nono, il decimo e il quattordicesimo motivo di appello, le parti civili lamentano, in sostanza, omessa ed erronea considerazione da parte della decisione impugnata dell'ampia documentazione medica prodotta in ordine ai pregiudizi psichici subiti per effetto delle condotte delle imputate. 3. La difesa delle ricorrenti ha depositato, inoltre, memoria contenente motivi aggiunti relativi, quanto alla violazione dell'art. 612-bis cod. pen., all'individuazione degli elementi costitutivi del reato e all'inesistenza di scriminanti con riguardo al numero e alla natura delle condotte, alla conflittualità erroneamente intesa quale causa di esclusione dal reato e del danno nonché rispetto al vizio di motivazione quanto all'utilizzo dell'appartamento disabitato e agli atti continuativi e ripetuti posti in essere dalle imputate. CONSIDERATO IN DIRITTO Entrambi i ricorsi non meritano accoglimento. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio per il quale, in tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in sede stragiudiziale, ancorché non siano state assunte con le forme previste dall'art. 391-bis cod. proc. pen., trattandosi di documenti acquisiti al di fuori delle indagini difensive, che assumono valore probatorio per effetto della richiesta di celebrazione del processo nelle forme del rito alternativo (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 5218 del 12/06/2019, dep. 2020, Florian, Rv. 278339 - 01). 2. Prima di esaminare gli altri motivi di ricorso si rendono opportune alcune premesse. 2.1. Occorre considerare, innanzi tutto, che le due decisioni di merito che hanno assolto le imputate costituiscono una c.d. doppia conforme, con la conseguenza che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, le due sentenze possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale (v., ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01). 2.2. Per altro aspetto, l'assoluzione delle imputate dall'ascritto delitto aggravato di atti persecutori è stata argomentata, essenzialmente, in tali decisioni poiché dall'istruttoria era emersa una risalente conflittualità, anche per ragioni patrimoniali, tra le stesse e le parti civili, cui erano legate da rapporti di parentela, per lavori relativi allo stabile nel quale tutte abitavano. Di conseguenza, già nel giudizio di primo grado, si è concluso circa l'esistenza di un ragionevole dubbio nel senso che, nel perpetuarsi di una conflittualità personale ed economica, le parti civili avevano vissuto come moleste condotte prive di connotazioni delittuose e che avrebbero, esse stesse, ad ogni modo personalmente contribuito ad alimentare un clima di scontro, in contrasto con la ratio legis dell'art. 612-bis cod. pen., che mira a tutelare le vittime di atti persecutori e non persone che alimentano reciprocamente uno stato di continuo conflitto, anche per motivi patrimoniali. Per sua parte, la Corte d'Appello di Brescia ha ritenuto che i motivi di appello non fossero idonei a scalfire le argomentazioni sottese alla sentenza impugnata, almeno per poter superare la decisione assolutoria, ossia in forza di una motivazione c.d. rafforzata. Invero, la circostanza che la sentenza di primo grado aveva assolto le imputate avrebbe consentito alla Corte territoriale di condannare le stesse esclusivamente attraverso una motivazione c.d. rafforzata, ossia che si compendia nel dovere del giudice di secondo grado di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 - 01). 2.3. Infine, va precisato che i "motivi aggiunti", presentati dalla difesa delle ricorrenti, non costituiscono che una più dettagliata esplicazione di alcune delle già numerose censure formulate contro la decisione impugnata e saranno dunque vagliati unitamente alle stesse. 3. Il secondo motivo, nelle diverse parti in cui si articola, non è nel complesso fondato. 3.1. Innanzi tutto, quanto alla prima doglianza, occorre rilevare che la responsabilità delle imputate non è stata esclusa, come assumono le ricorrenti, perché i rumori non vi erano ma in quanto le pronunce di merito hanno ritenuto si trattasse di rumori normalmente correlati all'utilizzo delle proprie abitazioni, anche in ragione, quanto alla Ga.Cl. dell'età avanzata. In questo contesto, non spiegano le ricorrenti quale rilevanza decisiva potrebbe avere la circostanza che la Ca.Iv. si sia recata in orari "non consoni" presso la precedente abitazione sita nello stabile comune, con conseguente inammissibilità della censura; ciò che rende privo di rilievo il fatto che su di essa la decisione impugnata non si è pronunciata. 3.2. Quanto all'omessa valutazione del terzo motivo di appello, in realtà, a differenza di quanto prospettato dalle ricorrenti, nella sentenza della Corte territoriale non si fa mai riferimento ad un problema di cataratta della Ga.Cl. bensì ai consueti problemi di vista che presentano soggetti in età avanzata. D'altra parte, non vi è alcuna decisività - e neppure la difesa delle ricorrenti adduce elementi concreti in tale direzione - nell'omessa considerazione in parte qua delle propalazioni di Ca.Lu. e della badante An.Em.. atteso che la ricostruzione operata dai giudici di merito non nega condotte moleste delle imputate nei confronti del gruppo familiare contrapposto ma le colloca in un più ampio e risalente conflitto tra le parti, che esula dal delitto di atti persecutori. Con questa fondamentale ratio decidendi detta parte del motivo non si confronta, con conseguente carenza di specificità delle relative censure (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822 - 01). 3.3. Con riferimento all'omessa considerazione del quarto motivo di appello (fondato sull'erronea valutazione del trasferimento dell'imputata Ca.Iv., che sarebbe stato correlato agli attriti tra i familiari iniziati alcuni anni prima avendo riguardo alle dichiarazioni del Ma.Iv. che, tuttavia, sarebbero state prive di riscontri, a fronte della costruzione di un immobile che si era documentato essere iniziata già nell'anno 2016), giova evidenziare che, proprio alla luce della evidenziata ratio decidendi che sottende le pronunce di primo e di secondo grado, detta circostanza va a corroborare la stessa, confermando una conflittualità risalente tra i due gruppi familiari che ha, infine, indotto alcuni di loro a trasferirsi presso altre abitazioni. 3.4. Quanto all'omesso vaglio del settimo motivo di gravame, afferente la data del preventivo per il rifacimento delle spese del tetto dello stabile, non se ne comprende la portata né la decisività rispetto ai fatti oggetto del giudizio in esame. 3.5. Con riferimento all'assunto travisamento per omissione delle dichiarazioni di Ca.Lu.. in realtà le stesse, come si evince già dalla motivazione della decisione di primo grado, non sono state considerate attendibili per la ricostruzione dei fatti, poiché egli era il coniuge di una delle parti civili e quindi un soggetto "intraneo" alla logica dei due gruppi familiari contrapposti. 4. Il terzo motivo è, per alcuni profili, generico e, per altri, manifestamente infondato. 4.1. Con riguardo al dedotto vizio di motivazione che investirebbe la pronuncia impugnata rispetto al sesto motivo di appello, la censura si palesa generica, poiché le considerazioni compiute dalla stessa sulla controversia civilistica valgono a corroborare il clima di esacerbata e reciproca conflittualità tra i due gruppi familiari e di qui non assume rilievo quale dei due processi sia iniziato prima. 4.2. Con riferimento al vaglio delle dichiarazioni della teste An.Em., la sentenza impugnata, a pag. 13, ha congruamente osservato che ella non ha riferito di minacce, bensì di discussioni per motivi economici e ha fatto riferimento a generici rumori. Si viene dunque a richiedere una differente valutazione delle prove, preclusa, a fronte di argomentazioni congrue, in sede di legittimità (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01). 4.3. Quanto ai filmati, poi, le doglianze del ricorrente ancora una volta non si confrontano realmente con le argomentazioni spese dalle decisioni di merito quanto sia alla provenienza dei rumori dall'esterno sia alle modalità di registrazione dei filmati avvenute "senza alcun crisma di scientificità" (pag. 13). 4.4. La doglianza circa il mancato riconoscimento del risarcimento del danno richiesto dalle persone offese è anch'essa manifestamente infondata, atteso che non si riesce neppure a comprendere come, a fronte della ritenuta insussistenza di un fatto di reato, l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto riconoscere un diritto conseguente, all'opposto, al solo accertamento di tale fatto. 5. I ricorsi devono dunque essere complessivamente rigettati, con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 6. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge, considerati i rapporti di parentela tra le parti. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 30 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente - Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio Augusto - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Relatore - ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1) PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MESSINA nel procedimento a carico di: Da.Gi. nato a M il Omissis e da 2) Mo.Pi. nato a M il Omissis 3) Gr.Ro. nato a M il Omissis avverso la sentenza del 18/09/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO; udito il PG, ROBERTO ANIELLO, che ha chiesto Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7 novembre 2022 il Tribunale di Messina ha condannato Rosario Gr.Ro. per il reato di tentato omicidio di Mo.Pi., aggravato dalla premeditazione, dall'aver profittato di circostanze di minorata difesa e dal metodo mafioso (capo A), e per quelli di porto in luogo pubblico di arma comune da sparo (capo B) e di detenzione illegale di arma comune da sparo (capo C) alla pena di 16 anni di reclusione, ha condannato Da.Gi. per i medesimi reati alla pena di 14 anni di reclusione, ha condannato Mo.Pi. per il reato di favoreggiamento personale (capo D). I fatti sono avvenuti a Messina il 21 settembre 2019 (capi A, B, C) e 22 settembre 2019 (capo D). Con sentenza del 18 settembre 2023 la Corte d'appello di Messina ha assolto Da.Gi. per non aver commesso il fatto, ridotto la pena a Gr.Ro., per effetto dell'esclusione dell'aggravante del metodo mafioso, a 14 anni e 6 mesi di reclusione, e confermato la condanna per Mo.Pi.. Secondo la ricostruzione dei giudici del merito, la sera del 21 settembre 2019 verso le ore 19.30 Gr.Ro. era sceso in strada dalla sua abitazione ed aveva rimproverato Ca.Ga., un ragazzo quindicenne, nipote di Mo.Pi., per dei rumori molesti che stava facendo in strada; Gr.Ro. aveva schiaffeggiato il ragazzo, che, in risposta, lo aveva riempito di pugni. Prima che cominciasse l'aggressione, Gr.Ro., che è una persona considerata di spessore criminale nel rione Mangialupi ed è stato già condannato per omicidio, aveva chiesto al ragazzo a chi appartenesse, e Ca.Ga. gli aveva risposto di essere nipote di Mo.Pi.. Quella stessa sera verso le 23.40 due persone in motorino avevano raggiunto l'abitazione di Mo.Pi., uno di loro gli aveva sparato nove colpi di pistola, più esattamente prima due colpi, poi la pistola si era inceppata e, mentre Mo.Pi. si era mosso per cercare di scappare, altri sette colpi, di cui uno aveva colpito Mo.Pi. all'inguine. In imputazione era stato contestato che l'obiettivo della spedizione punitiva fosse Ca.Ga., che occasionalmente si recava all'epoca dei fatti presso l'abitazione dello zio, e che per errore era stato colpito Mo.Pi.; i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto, invece, che l'obiettivo dell'azione fosse proprio Mo.Pi.. La Corte d'appello ha respinto l'eccezione dell'essere stato ritenuto in sentenza un fatto diverso da quello contestato, in quanto non vi sarebbe stata alcuna modifica sostanziale dell'accusa, atteso che il fatto è lo stesso, ed anche il movente (il litigio tra Gr.Ro. e Ca.Ga.) resterebbe fermo. La Corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado sulla responsabilità di Gr.Ro. come mandante della spedizione punitiva, le prove sono state rinvenute essenzialmente nell'indagine privata che Mo.Pi. in prima persona, e con lui la sua famiglia, avevano effettuato sia nelle ore intercorse tra la lite tra Ca.Ga. e lo sconosciuto ("il fatto di Ca.Ga.") e la spedizione punitiva, sia nei giorni successivi alla spedizione punitiva. Era stato accertato che Gr.Ro. abitava di fronte al negozio di parrucchiera dove lavorava la fidanzata di Ca.Ga. e dove i due ragazzi avevano litigato, circostanza desunta dagli orari della telefonata della fidanzata a Ca.Ga. (19.32) e della prima telefonata di Ca.Ga. al padre da cui comincia l'indagine privata sull'episodio (19.36). Nelle conversazioni intercettate della indagine privata di Mo.Pi., Gr.Ro. viene identificato come lo "zio"; si tratterebbe, in particolare, dello zio di Portogallo, una delle persone cui si rivolge Mo.Pi. per accertare i fatti ("è mio zio"); inoltre viene indicato come soggetto che ha ucciso qualcuno, e Gr.Ro. ha una condanna per omicidio. La Corte d'appello ha escluso la responsabilità di Da.Gi., individuato come la persona che aveva guidato il motorino, e condannato nella sentenza di primo grado; la sentenza di appello ritiene, in particolare, che Da.Gi. fosse verosimilmente presente al litigio tra Gr.Ro. e Ca.Ga., e che Mo.Pi. fosse, in realtà, convinto che sia stato Da.Gi. ad indicare a Gr.Ro. la casa dove effettuare il tentato omicidio, perché Mo.Pi. vi si era trasferito da poco; però, la Corte d'appello ha ritenuto non noto come Mo.Pi. abbia identificato Da.Gi. come colui che aveva accompagnato con il motorino colui che ha sparato, in quanto per certo non l'aveva visto in volto, nè vi sono elementi che collegano Da.Gi. a Gr.Ro.; in definitiva, secondo la sentenza di appello, non si conosce la fonte dell'informazione sulla base della quale Mo.Pi. si era convinto della colpevolezza di Da.Gi.. La sentenza di appello ha confermato anche la condanna di Mo.Pi. per favoreggiamento, in quanto egli, sentito dai Carabinieri, aveva riferito di non sapere chi fossero gli attentatori, e di non conoscere le ragioni dell'attentato, quando in realtà, come risulta dalle intercettazioni e dai tabulati, aveva fatto una indagine privata e ricostruito tutta la vicenda. Con riferimento a Gr.Ro., la Corte ha escluso l'aggravante mafiosa, riconosciuta in primo grado, ma confermato quella della minorata difesa (il fatto è accaduto alle 23.40, tempo di notte che ha impedito l'identificazione degli autori) e la premeditazione per il lasso temporale della pianificazione della spedizione che avrebbe consentito il recesso, ed ha escluso la possibilità di riconoscere la attenuante della provocazione e le attenuanti generiche. 2. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso gli imputati Gr.Ro. e Mo.Pi. ed il Procuratore generale di Messina, con riferimento alla posizione Da.Gi. 2.1. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina Con unico motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perchè l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato che Mo.Pi. aveva visto e riconosciuto Da.Gi. come colui che aveva accompagnato con il motorino colui che aveva sparato; non lo aveva riconosciuto nell'immediatezza e nella concitazione del fatto, ma lo ha riconosciuto dopo avere visto le riprese delle telecamere di sorveglianza. L'elemento probatorio è certo, ed è riassumibile in una frase ("Picchi io u vidia, iddu era sulu") nonché nel certo riconoscimento del motorino ("con quel motorino là, sì lo stesso era") che si ricavano dalla conversazione ambientale progressivo n. 28 del 22 settembre 2021, nonché nella circostanza che emerge dagli atti che solo Da.Gi. sapesse del recentissimo trasferimento di Mo.Pi. nell'abitazione datagli in uso da Ca.Lo., padre di Ca.Ga.. 2.2. Ricorso di Gr.Ro. 2.2.1. Primo atto di ricorso (avv. Si.) Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., in quanto il fatto di cui l'imputato è stato ritenuto responsabile è diverso da quello contestato, atteso che ai fini dell'esercizio del diritto di difesa non è indifferente che Gr.Ro. volesse uccidere Mo.Pi. o Ca.Ga., la modifica del soggetto passivo del reato costituisce modifica dell'imputazione, la modifica è avvenuta a sorpresa solo con la lettura della motivazione della sentenza di primo grado. Con il secondo motivo deduce violazione di legge sull'individuazione di Gr.Ro. come autore del reato in quanto la formulazione del giudizio di responsabilità muove dal presupposto che la spedizione punitiva costituisca la reazione ad un affronto subito da Gr.Ro. da parte del nipote di Mo.Pi., ma in realtà non è Gr.Ro. il soggetto che ha avuto uno scontro fisico con il nipote di Mo.Pi.; è vero che l'indagine privata effettuata dalla famiglia di Mo.Pi. ha individuato in Gr.Ro. tale persona, però non si comprende perché la sentenza d'appello abbia ritenuto l'indagine privata insufficiente nei confronti di Da.Gi. e sufficiente nei confronti di Gr.Ro.; in realtà, vi è innanzitutto un errore dei giudici del merito nel collocare la lite tra Ca.Ga. Ca.Ga. ed un soggetto non identificato nella strada antistante l'abitazione di Gr.Ro., atteso che nella conversazione progressivo n. 507 del 27 settembre Mo.Pi. rimprovera esplicitamente il nipote di aver litigato con la fidanzata "a Mangialupi in piazzetta", elemento di prova che in modo illogico la pronuncia d'appello ritiene di superare sostenendo che parlasse di un ulteriore litigio; poi vi è un secondo travisamento della prova nell'interpretare la conversazione progressivo n. 28 in cui Mo.Pi. riferisce alla madre del ragazzo quanto appreso da Portogallo cui si era rivolto per sapere chi fosse la persona con cui aveva litigato il nipote, e questi gli avrebbe risposto "vidi chi non è Rosario", dato incontestabile alla luce del quale deve essere letto anche l'ulteriore elemento probatorio della conversazione progressivo n. 10 in cui Mo.Pi. riferisce alla sorella di aver appreso da Portogallo che questi gli avevo detto che allora non era stato suo cugino ma suo zio; è vero che Gr.Ro. è uno zio di Portogallo ma il riferimento generico ad uno zio non è univocamente individuabile nel ricorrente, nè l'individuazione può essere ricavata dalla circostanza che alle 19.55 dello stesso giorno Portogallo abbia contattato l'utenza che si assuma essere in uso a Gr.Ro. per una conversazione di soli 17 secondi; inoltre, non è stata valutata adeguatamente la conversazione n. 34 in cui Mo.Pi. parlando con altra persona dice che il nipote nel corso della lite avrebbe aperto il contendente, l'uso del verbo "aprire" è sintomo di una lacerazione tale che avrebbe dovuto essere visibile sul volto del contendente, e dagli atti emerge con evidenza che la sera del fatto Gr.Ro. è dovuto rientrare nel carcere in cui scontava la semilibertà e al suo rientro non è stato constatato alcun segno di percosse sul volto; inoltre, un'ulteriore circostanza pretermessa è che nella conversazione progressivo n. 110 la sorella di Mo.Pi. riferisce ad altra persona che il soggetto con cui ha litigato il figlio si era lamentato che il frastuono cagionato da Ca.Ga. aveva svegliato il suo bambino che dormiva, ma Gr.Ro. non ha figli piccoli, l'elemento è stato ingiustamente svalutato in sentenza affermando che la madre di Ca.Ga. stavo facendo solo un discorso di tipo generale e non si riferiva al fatto concreto; inoltre, vi è un ulteriore errore nell'avere escluso la possibilità che la spedizione punitiva potesse provenire da soggetti diversi da quello che era stato coinvolto nella lite con Ca.Ga., atteso che a circa un anno di distanza dai fatti Mo.Pi. ha effettuato un agguato con arma da fuoco in danno di Co.Cl. per cui non può escludersi che il ferimento di Co.Cl. sia stata la risposta di Mo.Pi. all'aggressione subita un anno prima; inoltre, vi è un ulteriore errore nel non aver considerato rilevante la dichiarazione resa in interrogatorio dal collaboratore di giustizia Bo. il 10 maggio 2021 che ha sostenuto che della gambizzazione di Mo.Pi. fosse ritenuto responsabile negli ambienti di criminalità organizzata tale Nu. e che il motivo dell'agguato andasse ricercato nel fatto che Mo.Pi. era dedito a furti in appartamento e lo stesso si era introdotto in un'abitazione in cui non doveva introdursi, dichiarazione ingiustamente svalutata dal Tribunale sulla base dell'errore del collaboratore di giustizia nella indicazione del momento in cui sarebbe avvenuto il fatto. Inoltre, pur volendo ritenere provato che Gr.Ro. sia il soggetto che sarebbe stato preso a pugni da Ca.Ga., non c'è prova del rilascio del mandato, esiste soltanto una potenziale causale ma dove e quando Gr.Ro. avrebbe conferito il mandato ad agire non risulta da alcuna parte; nella sentenza di primo grado viene valorizzata a tal fine la circostanza che un componente della famiglia nella conversazione progressivo n. 185 dice di far sapere a Mo.Pi., che era ancora in ospedale, che per quel lavoro era tutto a posto, avevano fatto la muratura, ed avevano parlato con il principale, ma ciò non spiega perché debba essere individuata in Gr.Ro. questa persona perché comunque l'espressione "tutto a posto" poteva essere intesa anche in altro modo, ovvero come la prova che a seguito del colloquio si fosse chiarito che non era Gr.Ro. la persona interessata. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione della condotta come tentato omicidio, in quanto i colpi sono stati sparati verso il basso, quindi per gambizzare e non per uccidere; se il killer avesse spostato la tenda, Mo.Pi. afferma che lo avrebbe potuto uccidere, ma la tenda non è stata spostata, al più vi sarebbe un dolo eventuale nell'aver accettato il rischio che qualcuno potesse essere colpito, che però è incompatibile con il tentativo. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla aggravante della premeditazione, in quanto, anche a voler accettare l'idea che sia stato Gr.Ro., offeso nell'onore ad ordinare la spedizione punitiva, si sarebbe trattato di una immediata e scoordinata risposta di Gr.Ro. all'affronto subito. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla aggravante della minorata difesa, perché il fatto è avvenuto in tempo di notte. Non è sufficiente, per ritenere l'aggravante, l'orario notturno né è provato che il buio abbia favorito la mancata identificazione degli autori nonostante la presenza di telecamere di sorveglianza. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione, che la sentenza d'appello esclude definendo banale la lite che ha interessato l'odierno ricorrente quando si trattava invece di una aggressione con pugni al viso o al corpo, non si riesce a capire neanche perché la Corte ha ritenuto di scrivere che gli autori del reato hanno ritenuto di colpire Mo.Pi., più pericoloso del nipote, perché a sua volta avrebbe potuto cercare vendetta, affermazione senza senso atteso che non si capisce di cosa si sarebbe dovuto vendicare Mo.Pi.. Con il settimo motivo deduce violazioni di legge e vizio di motivazione con riferimento all'aumento per la recidiva che in primo grado era stata riconosciuta senza, però, procedere all'aumento di pena; in secondo grado viene aggiunto anche l'aumento, in realtà la Corte d'appello avrebbe dovuto prendere atto della mancata valutazione della recidiva ad opera del giudice di primo grado in termini di quantificazione della pena. 2.2.2. Secondo atto di ricorso (avv. Ce.) Con il primo motivo deduce violazioni di legge e vizio di motivazione in ordine all'individuazione di Gr.Ro. come mandante del tentato omicidio, atteso che la descrizione del soggetto che ha avuto la lite con Ca.Ga. non è minimamente individualizzante, l'interpretazione proposta dalla Corte sul fatto che il Portogallo avrebbe detto che si trattava di suo zio Rosario non è conciliabile con gli altri dati probatori, ed in particolare con una conversazione ambientale; non sono state valutate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bo. che ha individuato un diverso mandante della spedizione punitiva, la Corte d'appello ha finito per far assurgere al rango di piena prova l'indagine privata svolta dalla famiglia di Bologna mentre invece l'azione criminosa potrebbe avere una causale differente rispetto al "fatto di Ca.Ga.". Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di qualificazione giuridica del fatto, perché il giudice appello ritiene che l'assalitore avesse sparato attraverso la tenda ben conscio della presenza di un soggetto all'interno dell'abitazione sconfessando quindi la deposizione del testimone Ga.. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza dell'aggravante della premeditazione, in quanto non emergono elementi per sostenere che l'agguato fu programmato e pianificato, nè sono stati menzionati nella sentenza; peraltro, la assoluzione in secondo grado dell'autore materiale comporta anche che manca ogni riferimento ai contatti necessariamente intercorsi tra il mandante e il soggetto non identificato che ha eseguito l'agguato. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto sussistenza della gravità della recidiva, in sede di appello era stata chiesta l'esclusione il giudice ha ritenuto l'aggravante sussistente con una clausola di stile e ha proceduto anche all'aumento della pena Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, negate con una clausola di stile, avrebbero dovuto essere riconosciute, invece, per attribuire al fatto una pena più mite. 2.3. Ricorso Mo.Pi. Con il primo motivo deduce violazioni di legge e vizio di motivazione perché l'imputazione è formulata su ciò che l'imputato avrebbe visto nell'immediatezza dei fatti, non si fa cenno né al mandato né al soggetto eventualmente riconosciuto come esecutore, e nell'immediatezza dei fatti Mo.Pi. non ha visto nulla come emerge da tutte le conversazioni intercettate. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione perché quando è stato interrogato dai Carabinieri all'1.45 del 22 settembre Mo.Pi. non sapeva nulla sul mandato ad uccidere, come prova della sua conoscenza è stata assunta una conversazione progressivo n. 10 che è avvenuta però alle 15.20 del 22 settembre, ovvero 14 ore dopo rispetto al verbale in cui sarebbe stato commesso il reato, peraltro anche in quella vengono fatte delle ipotesi e nessuno si sbilancia in termini di certezza ad attribuire la responsabilità ad alcuno. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non essere riconosciuta la causa di non punibilità di cui all'art. 384 cod. pen., atteso che Gr.Ro. è una persona gravata da precedenti penali anche per omicidio noti al ricorrente per cui indicarlo come autore del reato lo avrebbe esposto ritorsioni. Con il quarto motivo deduce violazioni di legge e di motivazione perché è stata inflitta pena superiore al minimo edittale ed, essendo stata esclusa in appello la aggravante mafiosa, la Corte avrebbe dovuto motivare sull'entità della pena. 3. Con memoria scritta il difensore di Da.Gi., avv. Ma.Bi., ha preso posizione sul motivo di ricorso presentato dal Procuratore generale di Messina nei suoi confronti, evidenziando che il ricorso chiede una rilettura degli atti processuali, e chiedendo sia dichiarato inammissibile. 4. La difesa dell'imputato Gr.Ro. ha chiesto la discussione orale. Con requisitoria orale il Procuratore generale, Roberto Aniello, ha concluso per l'accoglimento del ricorso di Gr.Ro. relativamente all'aggravante della premeditazione ed il rigetto nel resto, per l'inammissibilità del ricorso di Mo.Pi., per l'accoglimento del ricorso del Procuratore generale di Messina. I difensori dell'imputato Gr.Ro., avv. Sa.Si. e Ti.Ce., hanno insistito per l'accoglimento del proprio ricorso. II difensore dell'imputato Mo.Pi., avv. An.Sc., ha insistito per l'accoglimento del proprio ricorso. Il difensore dell'imputato Da.Gi., avv. Ma.Bi., ha insistito per l'inammissibilità del ricorso del P.G. Considerato in diritto Il ricorso del Procuratore generale di Messina è infondato; i ricorsi di Gr.Ro. e Mo.Pi. sono fondati, nei limiti di quanto si precisa di seguito. 1. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Messina Il ricorso è infondato. L'unico motivo di ricorso deduce anzitutto che la sentenza impugnata ha omesso di considerare che, nella conversazione intercettata, Mo.Pi. afferma esplicitamente di aver visto e riconosciuto Da.Gi. come colui che aveva accompagnato con il motorino la persona che aveva sparato nei suoi confronti; non lo aveva riconosciuto nell'immediatezza e nella concitazione del fatto, ma lo aveva riconosciuto dopo avere visto le riprese della telecamera di sorveglianza che ha ripreso una parte della scena. L'argomento è infondato, perché per dedurre, in sede di legittimità, un travisamento della prova per omissione occorre che la prova non sia stata valutata nella sentenza del giudice del merito, mentre nel caso in esame la prova in esame - la conversazione intercettata del 22 settembre in cui Mo.Pi. riferisce al suo interlocutore in modo esplicito di aver visto Da.Gi. sulla scena del delitto ("Picchi io u vidia, iddu era sulu") - è stata valutata dalla sentenza impugnata a pagina 17 della sentenza; il giudice del merito non ha attribuito ad essa rilievo decisivo in quanto ha ritenuto che, in realtà, non sia possibile che Mo.Pi. abbia visto Da.Gi. la sera stessa del fatto, né sia possibile l'abbia visto quando gli sono state mostrate le immagini della telecamera di videosorveglianza, atteso che in esse non si riescono a vedere le sagome delle persone che scendono dal motorino, come, in effetti, riferito dal teste di polizia giudiziaria all'udienza del 21 aprile 2022. Ne consegue che, con riferimento alla censura rivolta alla sentenza impugnata di illogicità della motivazione per non aver valutato che Mo.Pi. riferisce in modo esplicito di aver visto Da.Gi. sulla scena del delitto, non vi è mancata valutazione di una prova, ma richiesta di rivalutazione di una prova già valutata dal giudice del merito in modo non illogico, e congruente con le risultanze dell'istruttoria, richiesta che, quindi, non è ammissibile in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519). Il ricorso deduce anche che l'individuazione di Da.Gi. come uno degli autori materiali del reato è confortato anche dal riconoscimento certo da parte di Mo.Pi. del motorino con cui sono arrivati a casa sua gli autori del reato ("con quel motorino là, sì lo stesso era"), che si ricava sempre dalla conversazione ambientale progressivo n. 28 del 22 settembre 2021. L'argomento è infondato, perché la possibilità di attribuire il fatto a Da.Gi. per effetto del riconoscimento del motorino è stata a sua volta valutata dalla sentenza impugnata, che sempre a pag. 17 ha tratto la conclusione della non decisività di tale elemento di prova, che peraltro, in difetto di possibilità di lettura della targa, riguarda al più un motorino della stessa tipologia di quello attribuito a Da.Gi. da Mo.Pi.. La motivazione non è manifestamente illogica posto che la sera del delitto Mo.Pi. non può proprio aver visto il motorino che si era fermato a distanza dal cancello della sua abitazione; nelle immagini della telecamera di sicurezza può averlo visto, ma, atteso che il teste di polizia giudiziaria ha riferito in giudizio che le immagini della videocamera sono sgranate, la certezza del riconoscimento potrebbe riguardare, al più, un motorino della stessa tipologia di quello attribuito a Da.Gi., limitando, quindi, la efficacia dimostrativa dell'elemento di prova. Il ricorso deduce ancora che nella sentenza impugnata non è stato valutato che dagli atti emerge che soltanto Da.Gi. sapesse del recentissimo trasferimento di Mo.Pi. nell'abitazione datagli in uso da Ca.Lo., padre di Ca.Ga.. L'argomento è infondato. Anch'esso, infatti, è stato valutato dalla sentenza impugnata a pag. 16, ove si dice che Mo.Pi. riteneva che Da.Gi. avesse insegnato la casa a colui che ha materialmente sparato, ma questo indizio, che in effetti farebbe convergere verso Da.Gi. la responsabilità per il tentato omicidio, è stato ritenuto non sufficiente con una motivazione non manifestamente illogica, ovvero che questa circostanza non dovesse ritenersi provata sia perché non si comprende da dove Mo.Pi. potrebbe aver tratto l'informazione che Da.Gi. sapesse del suo trasferimento, posto che i due non si parlavano più, sia in quanto dagli atti emerge anche il dato probatorio di segno esattamente opposto, ovvero che il trasferimento di Mo.Pi. fosse, in realtà, piuttosto noto nel quartiere. In definitiva, il ricorso si limita ad evidenziare non delle illogicità manifeste della motivazione, ma la non corretta valutazione degli indizi a carico di Da.Gi.. Ma nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova è molto ristretto, perchè non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori. Il ricorso è, pertanto, infondato. 2. Ricorso Gr.Ro. 2.1. Il primo motivo del ricorso di Gr.Ro. (atto di ricorso avv. Si.) è infondato. In esso si deduce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., in quanto il fatto per cui Gr.Ro. è stato condannato è diverso da quello contestato, atteso che in imputazione era contestato che Gr.Ro. fosse il mandante di una spedizione punitiva nei confronti di Ca.Ga. che aveva colpito Mo.Pi. per aberratio ictus, e in entrambe le sentenze dei giudici di merito era stato ritenuto, invece, che l'obiettivo della spedizione fosse proprio Mo.Pi.; in ricorso si deduce che ai fini dell'esercizio del diritto di difesa non è indifferente che Gr.Ro. volesse uccidere l'una o l'altra persona, la modifica del soggetto passivo del reato costituisce modifica dell'imputazione, e che la modifica è avvenuta a sorpresa solo con la lettura della motivazione della sentenza di primo grado. Il motivo è infondato. La sistematica della correlazione tra accusa e sentenza nel processo penale è stata fissata nella pronuncia di Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619, secondo cui "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (conforme Sez. (J, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). La "trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta" che comporta la violazione del principio di correlazione è stato ritenuto esservi quando "il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito" (Sez. 3, Sentenza n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245), ovvero "quando tra il fatto descritto e quello ritenuto in sentenza non si rinviene un nucleo comune, identificato dalla condotta, e si instauri quindi un rapporto non di continenza, ma di incompatibilità ed eterogeneità" (Sez. 5, Sentenza n. 500 del 10/12/1998, dep. 1999, Cicogna, Rv. 212154; v. anche Sez. 6, Sentenza n. 81 del 06/11/2008, dep. 2009 , Zecca, Rv. 242368; Sez. 3, Sentenza n. 35225 del 28/06/2007, Di Martino, Rv. 237517). La circostanza che il "nucleo comune" debba rinvenirsi nella condotta contestata torna poi anche in pronunce successive (Sez. 4, Sentenza n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727), mentre altre hanno parlato più genericamente di necessità di comunanza di un "fatto, inteso come episodio della vita umana" (Sez. 4, Sentenza n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423). Nel caso in esame, la differenza tra il fatto contestato e quello realizzato si limita ad un solo elemento complessivo del fatto-reato attribuito all'imputato, che si colloca all'interno della condotta asseritamente tenuta dall'imputato, ed in particolare alla parte della condotta che descrive il soggetto passivo del mandato ad uccidere (non quindi il soggetto passivo dell'evento di danno, che resta identico nella contestazione e nel giudizio di responsabilità, ma il soggetto passivo del mandato ad uccidere), in quanto nella contestazione la condotta attribuita a Gr.Ro. era aver conferito un mandato ad uccidere Ca.Ga., mentre nel giudizio di responsabilità è stato ritenuto che Gr.Ro. avesse conferito un mandato ad uccidere Mo.Pi.. Ma nell'aberratio ictus, che si caratterizza per la divergenza tra voluto e realizzato determinata da un errore nella fase esecutiva del reato, la identità del soggetto passivo è normativamente irrilevante, giusta la disposizione generale dell'art. 82, comma 1, cod. pen. Dalla indifferenza normativa del soggetto passivo nei fenomeni di aberratio è stata ricavata interpretativamente anche la ammissibilità del concorso morale nel reato aberrante (Sez. 1, Sentenza n. 38549 del 08/07/2014, PC in proc. Bellone, Rv. 260797: è configurabile la partecipazione, a titolo di concorso morale, nell'omicidio di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, in quanto l'errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull'elemento soggettivo del partecipe morale, essendosi comunque realizzata l'azione concordata con l'autore materiale, il cui esito aberrante è privo di ogni rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo). Alla indifferenza del soggetto passivo nei fenomeni di aberratio consegue anche la irrilevanza, ai fini del rispetto dei principi di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., della presenza o meno del riferimento nella contestazione all'errore nell'esecuzione, atteso che la sua presenza non determina quella "trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito" (sentenza Angelini cit.) che comporta la violazione del principio di correlazione. D'altronde, la identità del soggetto passivo è stata ritenuta irrilevante, ai fini della eventuale violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l'accusa contestata, finanche in una contestazione che non contempla alcun tipo di errore nella fase esecutiva del reato, sul presupposto che la identità di esso non incide sull'imputazione (Sez. 6, Sentenza n. 4931 del 07/12/2006, dep. 2007, Frescura, Rv. 236063: In tema di maltrattamenti in famiglia, non comporta violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l'accusa contestata, perché non incide sull'imputazione e non comporta alcun pregiudizio per la difesa, il ritenere la condotta criminosa commessa nei confronti di altro familiare. Nella fattispecie, i giudici di merito avevano accertato che la condotta, consistita nello spegnere una sigaretta sul viso di una sorella, si era svolta in effetti nei confronti di altra sorella), pertanto a maggior ragione la identità di esso non incide sull'imputazione in una contestazione che ipotizza l'errore nell'esecuzione del reato. Ed ancora va aggiunto che nella sistematica dell'errore, sia pure in quello che cade nella fase del processo formativo della volontà, e non in quello dell'esecuzione del reato, è stato già ritenuto che "non dà luogo a violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.) ed è quindi legittima la riqualificazione giuridica del fatto, originariamente contestato all'imputato per avere tratto in inganno e indotto in errore gli autori della condotta di falso, (art. 48 e 479 cod. pen.), ai sensi invece dell'art. 110 cod, pen., ossia come commesso a titolo di concorso personale con gli stessi autori" (Sez. 5, Sentenza n. 27133 del 15/06/2006, PM in proc. Mercurio, Rv. 235010). L'irrilevanza dell'errore, ai fini del rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza, va affermata, pertanto, non soltanto per quello che cade nella fase del processo formativo della volontà, ma anche per quello che cade nella fase dell'esecuzione del reato, quantomeno con riferimento a casi come quello oggetto del giudizio in esame. Il motivo è, pertanto, infondato. 2.2. E' fondato, invece, il secondo motivo dell'atto di ricorso presentato dall'avv. Si. e primo motivo dell'atto di ricorso presentato dall'avv. Ce. In esso si contesta l'affermazione di responsabilità con riferimento alla individuazione di Gr.Ro. come mandante della spedizione criminosa. Nella prima parte del motivo del ricorso si sostiene che non vi è prova che sia stato Gr.Ro. la persona che è stata presa a pugni da Ca.Ga. alle 19.35 del giorno del fatto, ma in questa parte la sentenza resiste alle censure che le vengono rivolte. Non è illogica, infatti, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che la conversazione ambientale che cita la lite tra Ca.Ga. e la fidanzata come avvenuta "a Mangialupi in piazzetta" non sia quella delle 19.35 del giorno del fatto, perché la lettura della stessa consente di apprezzare che, come rileva correttamente la Corte di appello a pag. 11 della sentenza impugnata, essa aveva ad oggetto una contestazione più di carattere generale, rivolta a Ca.Ga. dalla madre e dallo zio, in cui gli stessi lo rimproverano non per un episodio in particolare ma per il complessivo comportamento che stava tenendo nei confronti della fidanzata, che era stato riferito ai congiunti da più persone (Mo.Pi. parla, sicuramente esagerando, di trecento - quattrocento persone che gli avrebbero detto che il ragazzo si comportava male, e tale pletora di persone non può essere logicamente attribuita al solo episodio delle 19.35 del giorno del reato). Non è manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata neanche nella parte in cui non ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che la persona che ha litigato con Ca.Ga. si fosse lamentata che le urla dello stesso avessero svegliato un figlio, perché non vi è una tale precisione di riferimenti nella conversazione intercettata da far ritenere che la frase in questione si riferisse proprio a quella lite, che, come ricorda la sentenza impugnata a pag. 13, si è verificata alle 19.35, ovvero un orario che non è normalmente dedicato al sonno ed in cui è improbabile che qualcuno si possa lamentare di rumori molesti provenienti dalla strada. Non è manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata neanche nella parte in cui non ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che nella conversazione intercettata Mo.Pi. avesse affermato che il nipote aveva aperto il suo contendente, e che Gr.Ro. non avesse riportato dalla lite segni sul viso, perché la asserita illogicità poggia su un elemento troppo labile (l'utilizzo in senso gergale del verbo "aprire" da parte di una persona che non era presente al fatto, ma che riferisce quello che gli ha riferito il nipote), che non è illogico sia stato ritenuto essere una espressione non sufficiente a far acquisire certezza sui danni fisici evidenti che può aver riportato il contendente nella lite. Non è manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata neanche nella parte in cui ritiene che l'esito della indagine privata che Mo.Pi. ed i suoi familiari hanno effettuato pochi minuti dopo l'episodio delle 19.35 abbia condotto ad individuare in Gr.Ro. la persona presa a pugni da Ca.Ga.. Pur essendo vero che nelle conversazioni intercettate Gr.Ro. non è mai citato per nome, ma solo con una serie di riferimenti alla sua persona, però la conclusione in termini di certezza raggiunta dalla sentenza impugnata a pag. 13, sul soggetto con cui aveva litigato il ragazzo, poggia su elementi indiziari (l'essersi il nipote sciamato con una persona che si chiamava Gr.Ro.; l'essere stato individuato il contendente in uno zio di Portogallo; l'essere il contendente una persona condannata per omicidio; l'essere avvenuta la lite nei pressi dell'abitazione di Gr.Ro., circostanza che, a sua volta, poggia in modo non illogico sugli esiti dell'istruttoria, posto che la lite è sicuramente avvenuta tra le 19.32, orario della chiamata di 10" ricevuta da Ca.Ga. dalla sua fidanzata al termine del lavoro nel salone da parrucchiera in cui lavorava, e le 19.36, orario della prima chiamata di Ca.Ga. al padre, e quindi deve essere avvenuta appena la ragazza è uscita dal locale, ovvero in luogo prossimo al salone) che hanno condotto a formulare in modo non illogico una conclusione in termini di certezza sulla circostanza che fosse Gr.Ro. la persona cui si riferiva Portogallo. Nella seconda parte del motivo si aggiunge, però, che, anche qualora si dovesse ritenere sia stato Gr.Ro. la persona che ha litigato con Ca.Ga. la sera del fatto, non vi è prova che egli sia la persona che ha dato agli esecutori materiali il mandato omicidiario. In questa parte il motivo è fondato. La sentenza impugnata, infatti, non approfondisce in modo adeguato la questione del rapporto tra l'episodio delle 19.35 e quello delle 23.40 dello stesso giorno, anzi ragiona dando per scontato che questo rapporto debba necessariamente esistere, perché, prima ancora di individuare chi fosse la persona che aveva litigato con Ca.Ga., afferma in modo assertivo che il tentativo di omicidio delle 23.40 fosse da ricercarsi in quello che era accaduto qualche ora prima ("Non vi è dubbio in primo luogo che l'azione delittuosa di cui si discute sia scaturita da una lite che Gr.Ro. aveva avuto con Ca.Ga., nipote di Mo.Pi., nel pomeriggio del giorno del fatto"). Nelle righe successiva la sentenza impugnata spiega perché "non vi è dubbio" che l'uno episodio sia conseguenza dell'altro, ma poggia questa consequenzialità su base non sorretta da un adeguato percorso logico, argomentando dal senso di colpa di Ca.Ga. per quanto era accaduto allo zio poche ore dopo o dalla convinzione della famiglia Mo.Pi. che quanto accaduto la notte derivasse dal "fatto di Ca.Ga.". Considerando indubbio il collegamento tra i due episodi accaduti quella sera, la sentenza impugnata omette di confrontarsi adeguatamente con la causale alternativa introdotta nel corso del giudizio, ovvero che il ferimento di Mo.Pi. fosse da ricercare in una vendetta per un furto effettuato da questi in danno di persone che non doveva toccare, come riferito dal collaboratore di giustizia Bo., causale alternativa che sconta senz'altro la difficoltà logica di non essere così vicina sul piano temporale all'agguato come l'episodio delle 19.35, ma che comunque non è stata approfondita in modo adeguato dalla sentenza impugnata, che si limita a dire che non risulta essere stato accusato Nu. della gambizzazione e che il ricordo del collaboratore è indiretto e non è preciso nelle date. Peraltro, come nota correttamente il ricorso, anche a voler ritenere che vi sia una consequenzialità necessaria tra l'episodio delle 19.35 e quello delle 23.40, la sentenza impugnata tace sulla indicazione delle ragioni per cui il mandato alla spedizione punitiva dovrebbe essere stato dato proprio da Gr.Ro., e non da altri che potessero aver ritenuto di ristorare, in sua vece, l'onore che era stato leso dal crimine compiuto in suo danno dal nipote di Mo.Pi.. Pur essendo vero, infatti, che il movente acquista particolare valore nei confronti del mandante (Sez. 1, Sentenza n. 10841 del 24/09/1992, Scupola, Rv. 192865), la sentenza impugnata non si preoccupa di spiegare attraverso quali passaggi logici dalla esistenza del movente, individualizzante nei confronti di Gr.Ro., abbia ricavato anche l'esistenza del mandato rilasciato da questi. Poiché la responsabilità di Gr.Ro. nella ricostruzione del fatto poggia proprio sul suo ruolo di "mandante", individuato come tale sia nel capo di imputazione che nella motivazione della sentenza impugnata, ne consegue che, con riferimento alla posizione di Gr.Ro., la sentenza impugnata non resiste alle censure che le sono state rivolte, e deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio su tale punto, nonché sugli ulteriori punti (dal terzo al settimo motivo dell'atto di ricorso dell'avv. Si., dal secondo al quinto motivo dell'atto di ricorso avv. Ce.) che restano assorbiti. 3. Ricorso di Mo.Pi., L'annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di Gr.Ro. comporta anche l'annullamento della sentenza anche nella parte in cui valuta la posizione di Mo.Pi.. Nel percorso logico della sentenza impugnata (in particolare, pag. 18), infatti, l'accertamento di responsabilità di Mo.Pi. per il reato di favoreggiamento personale discende dalla circostanza che egli, alle ore 1.45 della notte, quando viene sentito dai Carabinieri, avesse contezza di quanto era accaduto la sera prima al nipote Ca.Ga. e della persona con cui questa aveva litigato, ma non abbia voluto riferirlo, aiutando in questo modo Gr.Ro. e gli esecutori materiali da lui incaricati, a sottrarsi alle investigazioni dell'autorità. Nel momento in cui, però, viene meno l'accertamento giudiziario sulla causale dell'aggressione in danno di Mo.Pi., e resta processualmente aperta la possibilità di causali alternative dell'episodio criminoso, anche l'accertamento di responsabilità nei confronti di Mo.Pi. viene compromesso, atteso che quel tentativo di eludere le investigazioni dell'autorità che Mo.Pi. avrebbe commesso omettendo di riferire circa l'episodio delle 19.35 potrebbe essere del tutto sganciato da quanto avvenne. Pur essendo vero, infatti, che la conoscenza dell'autore del reato presupposto è neutra ai fini della esistenza del reato, in quanto, come recita un vecchio insegnamento, "il delitto di favoreggiamento non è configurabile se manca del tutto o è dubbia la prova della sussistenza obiettiva del reato presupposto, ma quando il dubbio cade soltanto sull'autore di questo reato (...) è configurabile il reato di favoreggiamento nei confronti di chi, con il suo comportamento, abbia intralciato il corso dell'attività giudiziaria" (Sez. 6, Sentenza n. 7285 del 10/04/1986, Cariolo, Rv. 173376), però è anche vero che, qualora l'attentato in danno di Mo.Pi. fosse del tutto sganciato da quanto accaduto alle 19.35 della sera del fatto, delle dichiarazioni obiettivamente reticenti rilasciate dallo stesso a verbale, efficacemente riportate a pag. 43 della sentenza di primo grado ("non ho litigato con nessuno e pertanto non mi spiego del gesto ricevuto"), avrebbe dovuto essere valutata anche la idoneità ad eludere le investigazioni in corso, accertamento che manca del tutto nella sentenza impugnata (Sez. 6, Sentenza n. 18125 del 22/10/2019 dep. 2020, Bolla, Rv. 279555: non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta che, non determinando alcuna alterazione del contesto fattuale e non turbando le attività di ricerca ed acquisizione della prova, risulti priva di obiettiva idoneità a sviare le investigazioni in corso). La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con riferimento all'accertamento di responsabilità di Mo.Pi. con rinvio per nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Mo.Pi. e Gr.Ro., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Rigetta il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina. Così deciso il 17 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9713 del 2023, proposto da Ba. Fl. di Ma. Me. e An. Se. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché Ma. Me. e An. Se., rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima n. 00874/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cagliari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha respinto il ricorso proposto dal Bar Fl. di Ma. Me. e An. Se. s.n. c. nei confronti del Comune di Cagliari, per l'annullamento: - della determinazione prot. n. 3467 del 9.6.2023, adottata dal dirigente del Servizio SUAPE, notificata in pari data, con la quale è stata applicata alla ricorrente la sanzione "ai sensi del comma 6 dell'art. 18 del Regolamento" ed è stato disposto che la sospensione della concessione di suolo pubblico avesse la durata "di n. 30 (trenta) giorni consecutivi a partire dal 16 giugno 2023 al 15 luglio 2023 compresi", stabilendo altresì che "nel periodo di sanzione il concessionario rimuova dallo spazio concesso tutti gli arredi e che non occupi in alcun modo né direttamente né tramite i propri avventori lo spazio medesimo"; nonché per l'annullamento della relativa comunicazione di avvio di procedimento; - del verbale di polizia locale n. 25578 del 5.5.2023, recante accertamento dell'utilizzo di un impianto elettroacustico di amplificazione e diffusione sonora di brani musicali, gestito da dj, in assenza di valido titolo abilitativo; - in via subordinata, e solo ove occorra: del provvedimento di concessione prot. n. 2215 del 17.4.2023, limitatamente alla prescrizione sub art. 4, lett. h). 1.1.I fatti allegati dalla società ricorrente sono sintetizzati come segue nella sentenza gravata: - il Bar Fl. è un esercizio commerciale destinato alla vendita e alla somministrazione di alimenti e bevande, la cui attività è esercitata in via (omissis), nel cuore del quartiere di (omissis), (omissis) e di riferimento culturale della città di Cagliari; - i tavoli a disposizione degli avventori del locale sono collocati sia nello spazio interno di proprietà privata, sia su una parte della antistante piazza (omissis), data in concessione dal Comune con determinazione n. 2215 del 17/04/2023, per un totale di 29,28 metri quadri, quantificando l'affluenza massima in n. 24 posti a sedere, tramite il posizionamento di tavoli, sedie, ombrelloni e frangivento; - in data 5 maggio 2023, nell'ambito di alcuni controlli svolti nei locali presenti nella piazza (omissis), il corpo di Polizia Municipale di Cagliari, con "verbale di accertamento per violazione di norme amministrative" n. 25578, ha riscontrato che il "titolare/gestore dell'esercizio pubblico denominato bar Fl. (...) in assenza di titolo autorizzativo (relazione fonometrica) consentiva l'utilizzo di un impianto elettroacustico di amplificazione e diffusione sonora di brani musicali" tramite strumentazione installata all'interno del locale; - gli agenti di polizia locale hanno poi affermato che la musica veniva propagata dall'interno verso l'esterno, ed era udibile nella pubblica via in quanto la porta di ingresso era tenuta aperta, in violazione delle disposizioni degli art. 8, 10, 3, 11 L. 447/95 e s.s.m.m. DPCM 215/99; - il verbale è stato notificato agli interessati in data 15.05.2023 e, dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 18 comma 6, 11 e 14 del Regolamento per le concessioni del suolo pubblico per l'esercizio dell'attività di ristoro all'aperto approvato con Deliberazione C.C. n. 72/2018, nonostante le difese del Bar Fl., l'Ente ha emesso il provvedimento impugnato, contestando una pluralità di violazioni al Regolamento e alla concessione di suolo pubblico in essere, avendo in particolare la società utilizzato l'area in concessione per attività diverse dall'unica consentita (attività di ristoro all'aperto), diffondendo all'esterno musica nonostante ciò fosse vietato dalla concessione, a prescindere dai livelli delle emissioni sonore. 1.2. Il tribunale ha respinto i due motivi di ricorso relativi all'applicazione della sanzione, nonché il motivo subordinato relativo alla prescrizione di cui all'art. 4, lettera h) della concessione prot. 2215 del 17 aprile 2023. 1.3. Le spese di lite sono state compensate per giusti motivi. 2. Ma. Me. e An. Se., anche nella loro qualità di amministratori e legali rappresentanti della Bar Fl. di Ma. Me. e An. Se. s.n. c. hanno proposto appello con due motivi articolati in più censure. 2.1. Il Comune di Cagliari ha resistito all'appello. 2.2. Con ordinanza cautelare del 12 gennaio 2024, n. 54 è stata sospesa l'esecutività della sentenza appellata, confermando la sospensione cautelare già concessa con decreto monocratico, dando preminenza al periculum in mora. 2.3. All'udienza del 21 marzo 2024, fissata col provvedimento cautelare, la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memorie di entrambe le parti. 3. Esposti i fatti in termini coincidenti con quelli sopra sintetizzati, l'appellante richiama e ripropone i motivi del ricorso di primo grado e - riassunti i punti della sentenza oggetto di appello - prospetta le seguenti due questioni sottese al ricorso: a) il livello di garanzie necessarie per i consociati a fronte della previsione di un potere sanzionatorio tale da incidere sulla libertà di iniziativa economica, sulla tutela dei posti di lavoro e sulla promozione della socialità e del turismo; b) l'individuazione dello strumento corretto, di "governo del territorio", per fronteggiare il problema del bilanciamento tra le esigenze economiche, sociali, produttive e quelle della quiete dei residenti dei centri storici con vocazione turistica. 4. Le censure del primo motivo si riferiscono ad entrambe tali questioni, secondo quanto appresso. 4.1. In primo luogo (sub D.1, "errori su risultanze fattuali e valore probatorio dei verbali") si critica la sentenza per avere ritenuto accertato che: 1) il Bar Fl. diffondesse la musica in assenza di un valido titolo; 2) la musica si sentisse nell'area in concessione; 3) la musica fosse "udibile" al di fuori del locale. 4.2. Con altro ordine di censure dello stesso primo motivo (sub D.2, "il cuore delle questioni dedotte in primo grado"), si sostiene quanto segue: 1) con la precedente concessione il Bar Fl. poteva (e, in assenza di concessione, potrebbe tuttora) diffondere liberamente musica, attraverso le proprie apparecchiature, anche con le porte aperte, nel rispetto del Regolamento acustico del Comune di Cagliari e in virtù della relazione asseverata del proprio tecnico; si chiede quindi una verificazione o una c.t.u. per valutare se la musica diffusa secondo le prescrizioni della relazione tecnica asseverata -anche eventualmente con la porta aperta - rechi disturbo alla quiete pubblica; 2) le disposizioni contenute nella concessione di suolo pubblico, le quali, secondo l'art. 2 dell'apposito Regolamento, dovrebbero conformarsi ai principi generali di riqualificazione dell'ambiente urbano, di sviluppo economico e di promozione turistica, si dovrebbero interpretare tenendo conto del quadro disciplinare più complessivo, comprensivo del Regolamento Acustico, dei limiti ivi previsti e dei titoli abilitativi già posseduti; 3) in subordine, dovrebbe essere dichiarata illegittima la clausola della concessione di cui al punto 4, lett. h), poiché si tratterebbe di una disposizione totalmente irragionevole, contraria al Regolamento acustico comunale, in contrasto con i principi che ispirano il Regolamento per le concessioni di suolo pubblico, sproporzionata perché presuntivamente grave, assoluta e non gradata. Inoltre la sanzione per la violazione della disposizione non potrebbe essere ancorata al concetto indeterminato e non misurabile, quale quello della "udibilità " delle emissioni acustiche; l'unico modo per rendere oggettiva la percepibilità sarebbe quello di misurarla con gli strumenti conosciuti dalla tecnica e secondo i parametri di riferimento della scienza. In conclusione, sarebbe illegittima la disposizione inserita nei provvedimenti concessori rilasciati dal Comune in modo disorganico, slegata dai principi generali e che produrrebbe effetti sproporzionati sulla scorta di un'individuazione del tutto indefinita e incerta dei presupposti applicativi, trattandosi di una manifestazione del vizio di eccesso di potere. D'altronde, ad avviso dell'appellante, "il reale intento dell'Amministrazione" di "regolamentazione generale" di contrasto a quella che viene definita "mala movida" emergerebbe dalla relazione depositata in giudizio dall'amministrazione comunale a seguito di richiesta istruttoria da parte del giudice di primo grado: si tratterebbe di un modus operandi illegittimo poiché il compito di bilanciare interessi contrapposti dovrebbe essere rimesso al consiglio comunale nell'adozione di norme regolamentari, non potendo invece essere svolto utilizzando, con esercizio "sviato", il "potere concessorio" nei confronti del singolo esercizio commerciale. 5. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. In via preliminare, occorre delimitare il thema decidendum del giudizio. Il provvedimento sanzionatorio impugnato richiama il Regolamento per la concessione del suolo pubblico per l'esercizio dell'attività di ristoro all'aperto approvato con Deliberazione C.C. n. 72/2018 (d'ora innanzi "Regolamento", anche al fine di distinguerlo dal "Regolamento acustico comunale", così sempre menzionato), e precisamente i seguenti articoli: - l'art. 13 comma 1 lettera e), che impone di rispettare i limiti di emissioni sonore individuati negli atti di pianificazione settoriali, con adozione delle misure idonee a impedire la propagazione dei suoni all'esterno dei locali; - l'art. 16, che stabilisce alcuni obblighi a carico del titolare della concessione, in particolare la lettera h), che impone di "rispettare le norme igienico-sanitarie, di sicurezza e di tutela dall'inquinamento acustico e adottare tutte le misure necessarie per non arrecare disturbo alla quiete pubblica. Se all'interno della concessione sono posizionati impianti video, di riproduzione musicale e/o amplificazione gli stessi sono tarati in maniera tale da non superare i limiti acustici di zona" e la lettera l), che impone di "osservare tutte le disposizioni legislative e regolamentari inerenti all'attività svolta sulle aree stesse"; - l'art. 18, che detta le sanzioni applicabili in caso di "occupazione del suolo in difformità rispetto alle disposizioni dell'atto di concessione" (comma 1); in particolare è richiamato il comma 6, secondo cui "L'effettuazione di spettacoli o intrattenimenti non autorizzati o comunque di attività differenti da quelle per cui la concessione è stata rilasciata e/o il posizionamento o mantenimento di allestimenti non quotidianamente e facilmente amovibili e/o l'alterazione degli elementi di delimitazione dei confini della concessione e/o il mancato rispetto del progetto di occupazione degli stalli di sosta di cui all'art. 3, comma 4. bis, del presente regolamento e/o la violazione di cui all'articolo 19, comma 3, e/o la violazione di prescrizioni espressamente definite gravi nell'atto di concessione comportano la sanzione della sospensione della concessione per trenta giorni, con obbligo di rimozione degli allestimenti presenti". La determinazione impugnata prot. n. 3467 del 9 giugno 2023 richiama poi alcune prescrizioni del provvedimento di concessione prot. n. 2215 del 17 aprile 2023 che l'amministrazione ha ritenuto specificamente violate e comportanti "violazione grave" ai sensi dell'art. 18, comma 6, del Regolamento: si tratta delle prescrizioni di cui all'art. 4, lettere g), h), i), j). Tuttavia, nel rispondere alle osservazioni procedimentali della società, lo stesso provvedimento concentra le contestazioni dell'amministrazione comunale nei confronti della concessionaria alle violazioni delle lettere: g) secondo cui "non è mai ammessa nell'area in concessione, in assenza di specifico ed espresso titolo, acquisito secondo l'iter abilitativo corretto, alcuna attività che comporti la riproduzione o anche mera diffusione di musica, immagini o suoni, o che, in generale, sia tale da incidere sui livelli di suoni emessi e/o immessi nell'area urbana in cui insiste la concessione e questo indipendentemente dalla circostanza che si tratti o meno di attività riconducibile alla nozione di pubblico spettacolo e/o che sia stato accertato il superamento dei limiti acustici di zona. La violazione delle prescrizioni di cui al presente punto è considerata violazione grave, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 18, comma 6 del vigente Regolamento"; h) secondo cui è obbligo del concessionario "non consentire mai la propagazione di musica dall'interno all'esterno dei locali e questo indipendentemente dall'accertamento del superamento dei limiti acustici di zona. La violazione di tale prescrizione è considerata violazione grave, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 18, comma 6 del vigente Regolamento.". Ne è conseguita la rilevanza assorbente di tali due violazioni, tenuto conto di quanto precisato ai punti 6 e seguenti del provvedimento impugnato (laddove replica alle osservazioni procedimentali della ricorrente). Pertanto delle molteplici contestazioni mosse col primo motivo di ricorso all'intero contenuto del verbale di accertamento n. 25578 del 2023 rilevano soltanto quelle dirette a contestare i fatti ivi esposti come accertati che sono rilevanti ai fini delle due specifiche violazioni degli obblighi concessori sopra indicate (art. 4, lett. g e h, del provvedimento di concessione). In particolare, non rilevano nel presente giudizio (quindi l'appellante non ha un interesse giuridicamente apprezzabile alla relativa contestazione, pure svolta negli scritti processuali) le questioni riguardanti le verifiche fonometriche e l'utilizzo della strumentazione musicale per la diffusione di suoni all'interno dei locali, in quanto il provvedimento sanzionatorio adottato con la determinazione n. 3467 del 9 giugno 2023 è basato, non sul superamento dei limiti acustici, bensì sulla violazione delle dette prescrizioni della concessione di suolo pubblico. 5.1. Dato ciò, sebbene il verbale del 5 maggio 2023 abbia riguardato anche il titolo abilitativo alla diffusione dei suoni all'interno del locale ed abbia rilevato anche la possibile violazione di norme in tema di inquinamento acustico (cui ha fatto seguito un separato procedimento amministrativo nei confronti della società ), il riferimento fatto in sentenza alla "assenza di titolo autorizzativo" non riguarda l'uso dell'impianto elettroacustico nel rispetto di dette norme e del Regolamento acustico comunale, ma tutt'al più la prescrizione della lettera g) del provvedimento di concessione che vieta la diffusione di suoni e musica "nell'area in concessione, in assenza di specifico ed espresso titolo, acquisito secondo l'iter abilitativo corretto". Invero, la sentenza di primo grado ha correttamente delimitato il tema oggetto di giudizio, precisando che il Comune ha inteso sanzionare "la mera condotta consistita nell'aver propagato all'esterno musica, benché proveniente dall'interno del locale, senza autorizzazione, così da realizzare un uso non consentito della concessione". Tale diffusione era vietata, oltre che dalla prescrizione dell'art. 4, lett. g), anche da quella della successiva lett. h). 5.1.1. In riferimento ad entrambe rilevano poi gli altri fatti che il tribunale ha ritenuto accertati dai verbalizzanti; e segnatamente: che la musica si sentisse nell'area in concessione e che il suono proveniente dall'interno fosse "udibile" all'esterno perché la porta d'ingresso era tenuta aperta. L'assunto dell'appellante secondo cui né l'uno né l'altro di tali accertamenti sarebbe contenuto nel verbale n. 25578 del 5 maggio 2023 è smentito dalla seguente testuale verbalizzazione: "La musica veniva propagata dall'interno verso l'esterno, udibile nella pubblica via, in quanto la porta d'ingresso era permanentemente aperta". Questa attestazione da parte dei pubblici ufficiali verbalizzanti non può essere intesa altrimenti che nel senso, letterale e logico, che gli apparecchi acustici descritti nello stesso verbale propagavano il suono anche all'esterno, dove poteva essere udito da coloro che si trovavano nell'area data in concessione. Il verbale contiene quindi gli accertamenti dei quali è detto in sentenza e per i quali rileva il comma 19 dello stesso art. 18 del Regolamento, pure correttamente richiamato, secondo cui: "Le sanzioni di cui al presente articolo, pur potendo trarre origine da violazioni accertate da qualunque autorità preposta alla vigilanza e al controllo, sono indipendenti dalle prime e hanno corso autonomo rispetto a queste, indipendentemente dall'esito amministrativo o giudiziale delle stesse. L'applicazione della sanzione è sospesa nel solo caso in cui contro il verbale di accertamento sia proposta querela di falso...". Nel caso di specie, non è contestata la mancata presentazione della querela di falso. 5.1.2. Va altresì confutato l'ulteriore assunto dell'appellante secondo cui l'attestazione contenuta nel verbale non riguarderebbe "fatti" avvenuti alla presenza dei pubblici ufficiali verbalizzanti, ma mere "sensazioni" o percezioni del tutto soggettive. L'attività di verifica compiuta in loco dagli agenti del Corpo di Polizia Municipale di Cagliari è oggettiva e diretta, documentata anche mediante ripresa video (per quanto si legge nel verbale) e fotografie (prodotte in giudizio dal Comune di Cagliari) e l'esito di tale attività è, tra l'altro, consistito nell'accertamento del fatto che la musica potesse essere udita all'esterno del locale, con conseguente esercizio dell'attività da parte della concessionaria in modo vietato dal provvedimento di concessione del suolo pubblico antistante. L'ulteriore critica secondo cui si sarebbe trattato comunque di accertamenti privi di un sostrato materiale scientificamente misurabile, non tiene nel debito conto il tenore di entrambe le prescrizioni del provvedimento di concessione che risultano violate: l'una e l'altra precisano infatti che i divieti ivi comminati operano "indipendentemente dall'accertamento del superamento dei limiti acustici di zona". Di qui la correttezza della conclusione raggiunta sul punto dalla sentenza gravata secondo cui "nessun accertamento circa il predetto superamento dei parametri acustici andava effettuato da parte dell'Amministrazione, bastando come detto il mero rilievo da parte dei verbalizzanti dell'avvenuta propagazione non consentita della musica fuori dal locale nelle aree in concessione, in violazione dell'art. 16 comma 1 lett. l) del Regolamento che impone al concessionario di osservare tutte le disposizioni inerenti l'attività svolta sulle aree oggetto della concessione, compresi quindi i punti della concessione richiamati nel provvedimento impugnato, che imponevano al Bar Fl. di destinare le aree concesse unicamente all'attività espressamente prevista dall'atto di concessione (attività di ristoro all'aperto), e stabilivano in ogni caso il divieto per la stessa di propagare musica sulle stesse, a prescindere dal superamento dei limiti acustici di zona, prevedendo che l'eventuale violazione di tali prescrizioni sarebbe stata considerata grave ex art. 18 comma 6 del Regolamento. (...) ai fini dell'applicabilità della sanzione stabilita nel citato art. 18, ciò che rileva nel caso in discussione è la mera udibilità all'esterno e nelle aree in concessione della musica, a prescindere dai livelli acustici riscontrabili, nonché dalle ragioni per le quali la stessa si è verificata, e pur essendo la strumentazione posta all'interno dell'esercizio". 5.1.3. Il fatto accertato dai verbalizzanti che la musica era "udibile nella pubblica via in quanto la porta d'ingresso era permanentemente aperta" smentisce -come pure detto in sentenza - l'assunto della ricorrente di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire la propagazione dei suoni all'esterno, senza che, all'opposto, sia stato provato dalla società che l'apertura della porta fosse del tutto occasionale, eccezionalmente verificatasi in coincidenza con la presenza sul posto dei verbalizzanti. E' inoltre da escludere che la constatazione della porta aperta sia una mera "considerazione logica" e, men che meno un apprezzamento o una valutazione, trattandosi all'evidenza di un "fatto" rispetto al quale opera la fede privilegiata dell'art. 2700 cod. civ. 5.2. Consegue a quanto detto a proposito della portata dei divieti contenuti nella concessione l'irrilevanza dell'accertamento richiesto - con le ulteriori censure di parte appellante - in merito al disturbo alla quiete pubblica arrecato dalla musica diffusa dall'interno all'esterno. Accertata infatti la diffusione di suoni nell'area in concessione, dall'interno all'esterno, le violazioni contestate dall'amministrazione comunale si configurano indipendentemente dal fatto che si determini un aumento del rumore percepibile o che lo stesso si confonda col rumore della piazza. 5.2.1. Né le prescrizioni dell'art. 4, lett. g) e h), della concessione sono interpretabili, come sostiene l'appellante, tenendo conto del quadro disciplinare complessivo, comprensivo in particolare del Regolamento acustico comunale e dei titoli abilitativi rilasciati in passato alla stessa società che gestisce il Bar Fl.. Quanto al primo, l'ordinamento consente la coesistenza di più discipline regolamentari, quando ne siano diversi l'oggetto e le finalità, come appunto nel caso di regolamenti destinati, l'uno, a fissare i limiti di inquinamento acustico delle zone comunali, e l'altro, a regolare i vincoli cui subordinare la concessione di suolo pubblico. Di questi ultimi, il vincolo diretto ad evitare la diffusione in via diretta e la propagazione dall'interno di musica nell'area in concessione ben può essere indipendente dal fatto che il rumore non superi i limiti acustici di zona: invero, con questo vincolo non si impedisce né si rende più difficoltoso l'esercizio dell'attività di somministrazione e bevande cui la concessione di suolo pubblico è strumentale, ma si regolamenta l'occupazione del suolo pubblico asservito, secondo legittime scelte discrezionali dell'amministrazione concedente. Sono riservate alle scelte dell'amministrazione sia l'an che il quomodo della concessione di occupazione di suolo pubblico, notoriamente rientrante tra i provvedimenti maggiormente connotati da profili di discrezionalità amministrativa, sia quanto al rilascio che quanto alle modalità attuative. La medesima discrezionalità connota il rinnovo del titolo abilitativo nei confronti del medesimo soggetto dopo la scadenza del precedente, sicché - in disparte le contrapposte posizioni delle parti sulla portata della concessione per o.s.p. rilasciata nel passato in favore del Bar Fl. - la concessione per occupazione di suolo pubblico da ultimo rilasciata col provvedimento n. 2215 del 17 aprile 2023 legittimamente potrebbe vietare condotte prima consentite. 5.2.2. In ragione di quanto appena esposto, va respinta, così come è stata respinta in primo grado, la censura subordinata di illegittimità della clausola di cui alla lettera h) dell'art. 4 della concessione. Non si riscontra il vizio di eccesso di potere considerato che la previsione: i) non è irragionevole, per il motivo già ritenuto in sentenza riferito alla ratio "di limitare le emissioni sonore complessive di zona all'esterno dei locali di Cagliari, al fine di garantire il rispetto della quiete pubblica"; ii) non è in rapporto di contrapposizione, ma tutt'al più di complementarietà con il Regolamento acustico comunale; iii) non è in violazione dei principi ispiratori del Regolamento per le concessioni di suolo pubblico, essendo funzionale alla riqualificazione dell'ambiente urbano e non contraria allo sviluppo economico e alla promozione turistica della città, non essendo impedita l'attività economica di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ma solo limitati gli effetti all'esterno di un'attività accessoria, pur consentita all'interno dei locali; iv) non è ancorata ad un "concetto" indeterminato, bensì al "fatto" oggettivamente accertabile della propagazione della musica dall'interno all'esterno dei locali; v) non è in sé sproporzionata poiché vi corrisponde la sanzione ad effetti temporanei della sospensione dell'attività per trenta giorni. Esulano invero dall'oggetto del presente giudizio le vicende successive concernenti la reiterazione delle violazioni e la comminatoria di decadenza. 5.2.3. Da ultimo, la finalità rappresentata dal Comune, sia nel provvedimento impugnato che nella relazione istruttoria, di limitare "la c.d. malamovida ed i rumori molesti notturni... problema di molte città e...oggetto di numerosi contenziosi e tensione sociale", non appare espressione di uno sviamento di potere, anche a voler considerare la ragione del divieto nei confronti del singolo concessionario, spiegata dallo stesso Comune nei seguenti, non irragionevoli, termini: "(...)Un singolo locale isolato che emette onde sonore musicali all'interno rispettando i limiti acustici non supera tali soglie (n. d.r. le soglie previste dai piani di risanamento acustico); più locali che emettono onde sonore musicali dall'interno verso l'esterno, con tavolini ed utenti che chiacchierano all'esterno, certamente sì . (...) se in una strada vi sono più locali, e nelle strade della "movida" si tratta di decine di locali, diversi dei quali producono suoni dall'interno verso l'esterno pur restando sotto la soglia consentita, va da sé che la loro sommatoria produce un grado di rumore di gran lunga superiore ai limiti consentiti". 5.2.4. La clausola del provvedimento di concessione, peraltro accettata dalla società concessionaria, pur se unilateralmente predisposta dall'amministrazione, non è affetta dal vizio denunciato, né riconducibile a fattispecie di nullità a rilevanza civilistica inter partes. 5.3. Le censure del primo motivo di appello di cui si è fin qui detto vanno quindi complessivamente respinte. 6. Con altro articolato motivo (sub E) si ripropongono ulteriori censure, che l'appellante assume non essere state esaminate dal primo giudice; e precisamente: i) assenza di violazione dell'art. 13, comma 1, lett. e) del vigente Regolamento, dato che il bar Fl. si sarebbe dotato di tutte le misure idonee ad impedire la propagazione della musica all'esterno dei locali; ii) assenza di violazione dell'art. 16, comma 1, lett. h) del vigente Regolamento, dato che il bar Fl. non avrebbe arrecato alcun disturbo alla quiete pubblica; iii) assenza di violazione dell'art. 16, comma 1, lett. l) del Regolamento, dato che il bar Fl. avrebbe osservato tutte le disposizioni legislative e regolamentari inerenti l'attività svolta sulle aree oggetto di concessione; iv) assenza della violazione della prescrizione di destinare le aree concesse unicamente all'attività "per il solo esercizio dell'attività di ristoro all'aperto" di cui all'art. 4 lett. g) della concessione; v) assenza della violazione della prescrizione, imposta con la concessione, di non consentire mai la propagazione di musica dall'interno all'esterno dei locali di cui all'art. 4 lett. h) della concessione; vi) assenza della violazione della prescrizione imposta dalla concessione di garantire il massimo rispetto della normativa in materia di tutela dall'inquinamento acustico, tra cui il Regolamento acustico comunale, di cui all'art. 4 lett. i) della concessione; vii) assenza della violazione della prescrizione di cui alla concessione di utilizzare, nell'area in concessione, unicamente le attrezzature autorizzate, di cui all'art. 4, lett. l) della concessione. 7. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Esso è infondato nella parte in cui lamenta l'assenza di violazione delle prescrizioni di cui all'art. 4 lett. g) e i) del provvedimento di concessione, per le ragioni esposte sopra. E' inammissibile per carenza di interesse laddove lamenta la mancanza di violazione di altre prescrizioni regolamentari o della concessione, sia per la portata dirimente attribuita alle violazioni predette nel contesto motivazionale del provvedimento impugnato (di cui si è detto nella parte iniziale della presente decisione), sia perché - ove si ritenga che il provvedimento impugnato sia basato anche sulla violazione di altre prescrizioni regolamentari e/o della concessione - va applicato il principio in base al quale in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale, sicché il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. IV, 30 marzo 2018, n. 2019; sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190, richiamate da Cons. Stato, VI, 31 luglio 2020, n. 4866). 8. L'appello va quindi respinto. 8.1. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del grado di appello per la peculiarità delle vicende oggetto di contenzioso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1000 del 2024, proposto dal Condominio di Corso (omissis), Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Vr. e Ga. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ba., Gi. Le. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti del Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); delle società La Fo. s.r.l. ed altre, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avvocato Cl. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; delle società Am. Fr. s.r.l. ed altre, non costituitisi in giudizio; dell'Arpa Lombardia - Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Lombardia, e della Regione Lombardia, non costituitesi in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione prima n. 02539/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano, del Ministero dell'Interno e delle società La Fo. s.r.l. e consorti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 la consigliera Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con istanza del 15 marzo 2018 il Condominio di Corso (omissis), in Milano, unitamente ad alcuni condomini, chiedeva alla civica Amministrazione e ad altri soggetti pubblici, anch'essi destinatari dell'istanza, "l'adozione di urgenti provvedimenti per la tutela della salute, della quiete, della sicurezza urbana, dell'ordine pubblico, della viabilità con riferimento all'area circostante al fabbricato di Corso (omissis)". In assenza di riscontro il Condominio, in data 25 ottobre 2018, notificava al Comune di Milano ricorso ai sensi dell'articolo 117 c.p.a. 1.1. Con sentenza n. 1979 del 2019, la I^ sezione del T.a.r. per la Lombardia accoglieva il ricorso, ordinando al Comune di Milano di provvedere sull'istanza presentata dal Condominio ricorrente entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, della sentenza. 1.2. Con ordinanza in data 12 novembre 2020, il Sindaco di Milano prescriveva "a tutte le tipologie di esercizi pubblici, esercizi di vicinato, attività artigianali di asporto e distributori automatici, nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis)" il divieto "della vendita e somministrazione per asporto di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione dalle ore 00.00 alle ore 06.00, "nelle notti tra il venerdì e sabato e tra il sabato e la domenica "ovvero nelle giornate prefestive e festive"" e, negli stessi giorni e con i medesimi orari, disponeva nei confronti di "tutti i concessionari di plateatici per somministrazione assistita (pubblici esercizi) e non assistita (attività artigianali alimentari) di alimenti e bevande, nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis)" il divieto "di utilizzare il plateatico per qualunque attività ". 1.3. L'ordinanza sindacale del 12 novembre 2020 veniva impugnata dal Condominio di Corso (omissis) che presentava ricorso per motivi aggiunti accolto dal T.a.r. con sentenza n. 1214 del 2021, con la quale veniva ordinato al Comune di Milano di provvedere nuovamente adottando, entro quindici giorni dalla comunicazione della sentenza, i provvedimenti necessari per ricondurre le immissioni sonore nei limiti massimi consentiti. 1.4. Il Comune adottava quindi l'ordinanza sindacale n. 41/2021 del 4 giugno 2021 disponendo - nei confronti di "tutte le tipologie di esercizi pubblici, esercizi di vicinato, attività artigianali di asporto e distributori automatici, nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis)" il divieto "della vendita e della somministrazione per asporto di alimenti e bevande, di qualunque tipo, alcoliche ed analcoliche, dalle ore 22.00 alle ore 06.00 del giorno seguente"; - nei confronti di tutti "i concessionari di plateatici per somministrazione assistita (pubblici esercizi) e non assistita (attività artigianali alimentari) di alimenti e bevande, nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis)" il divieto "di utilizzare il plateatico per qualunque attività dalle ore 00.00 alle ore 06.00". 1.5. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 11 giugno 2021, il Condominio di Corso (omissis) impugnava anche l'ordinanza sindacale n. 41 del 2021. 1.6. Con la sentenza, non definitiva, n. 757 del 2022, il T.a.r. respingeva il ricorso per motivi aggiunti avverso la suddetta ordinanza. 1.7. Con memoria del 27 ottobre 2022, notificata anche al Comune di Milano, domandava che il T.a.r. assumesse tutti gli atti ritenuti necessari per la concreta esecuzione del giudicato di cui alla sentenza n. 1079/2019, in particolare garantendo l'esecuzione dell'ordinanza sindacale n. 41/2021, ivi compresa la nomina di un Commissario ad acta. 1.8. Con ordinanza n. 748 del 27 marzo 2023, il T.a.r. disponeva una verificazione, affidando al Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Milano il compito di accertare: - "se ed in quale misura presso gli esercizi pubblici, esercizi di vicinato, attività artigianali di asporto e distributori automatici, compresi nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis), cui si riferisce l'ordinanza del Sindaco del Comune di Milano n. 41, datata 4 giugno 2021, si verifichi la vendita e la somministrazione per asporto di alimenti e bevande, di qualunque tipo, alcoliche ed analcoliche, dalle ore 22.00 alle ore 06.00 del giorno seguente"; "se ed in quale misura presso i concessionari di plateatici per somministrazione assistita (pubblici esercizi) e non assistita (attività artigianali alimentari) di alimenti e bevande, nell'area di Corso (omissis) (nel tratto compreso tra Via (omissis) e Via (omissis)) e in Largo (omissis), si verifichi l'utilizzazione del plateatico per qualunque attività dalle ore 00.00 alle ore 06.00". 2. Con la sentenza definitiva oggetto dell'odierna impugnativa il T.a.r.: - ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse in relazione al primo ricorso per motivi aggiunti; - ha respinto l'azione di ottemperanza proposta con il ricorso introduttivo. 2.1. Nello specifico, il primo giudice: - ha dichiarato improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti "per sopravvenuta carenza di interesse nella parte in cui contesta la sentenza resa dal TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 2 novembre 2020, n. 2054 a seguito del suo annullamento con la sentenza del Tar Lombardia, Milano, sez. II, 06/08/2021 n. 1894"; - ha dichiarato improcedibile "l'azione per la nullità della nota adottata dal Comune di Milano in data 22 novembre 2019, avente ad oggetto "riscontro all'istanza presentata in data 15 marzo 2018 dal Condominio di Corso (omissis), in esecuzione della sentenza del TAR Lombardia n. 1979/2019", in quanto "l'atto di rifiuto di emanazione di un'ordinanza in materia è stato superato dalla successiva emanazione dell'ordinanza comunale n. 41 del 4 giugno 2021 sulla quale si è trasferito l'oggetto del giudizio"; - ha respinto l'azione di ottemperanza della sentenza n. 1979/2019, in ragione dell'adozione dell'ordinanza sindacale n. 41/2021; - ha sostanzialmente riqualificato l'ulteriore istanza del Condominio volta a far accertare l'inottemperanza della sentenza sotto il profilo della mancata esecuzione dell'ordinanza sindacale n. 41/2021 come azione avverso il silenzio, ex art. 117, c.p.a.; - ha ritenuto comunque inammissibile tale domanda poiché rispetto alla situazione di mancato o insufficiente esercizio della potestà sanzionatoria in materia di commercio e di occupazione di suolo pubblico, il Condominio ha solo un potere di denuncia al quale non corrisponde una posizione differenziata e qualificata rispetto agli altri cittadini. 3. Il Condominio ha affidato il proprio appello ai seguenti motivi: I. Errata individuazione del thema decidendum nonché violazione del principio del ne bis in idem e del giudicato interno. Assume il Condominio che il T.a.r. sarebbe incorso nella violazione del principio del giudicato interno, in quanto: (i) il ricorso introduttivo e il primo ricorso per motivi aggiunti erano già stati decisi, rispettivamente, dalla sentenza n. 2054/2020 e dalla sentenza n. 1214 del 2021; (ii) restava da decidere solo l'ulteriore domanda di ottemperanza formulata dal Condominio con la memoria notificata il 27 ottobre 2022; L'errore del T.a.r. avrebbe inciso sulla liquidazione delle spese processuali, nonché in merito alla domanda di ottemperanza da ultimo formulata. II. Errata declaratoria di inammissibilità della domanda di ottemperanza formulata con la memoria notificata del 27 ottobre 2022. Il Condominio ribadisce che la pronuncia che ordina l'assunzione di un provvedimento non può dirsi ottemperata se il provvedimento è solo emesso ma non eseguito. Esso ha chiesto l'assunzione di tutti gli atti ritenuti necessari per la concreta esecuzione del giudicato per il tramite dell'esecuzione dell'ordinanza sindacale n. 41/2021, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta. Ad ogni buon conto, la declaratoria di inammissibilità della domanda anche laddove riqualificata come azione avverso il silenzio sarebbe errata. Il Condominio ha individuato, tra gli strumenti per garantire l'esecuzione dell'ordinanza n. 41/2021, specifici provvedimenti amministrativi di natura sanzionatoria, in particolare la sospensione e la decadenza dell'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico nonché la sospensione e la revoca dei titoli abilitativi allo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande previste dagli artt. 80 della l.r. Lombardia n. 6/2010 nonché 9, 10 e 17-ter del T.U.L.P.S. Pure errate sarebbe le affermazioni contenute al par. § 12.3.1 laddove si sostiene che "l'inadempimento dell'ordinanza n. 41/2021 non è causa del superamento dei limiti in quanto non vi è prova che il suo rispetto costituisca mezzo necessario e sufficiente per eliminare i rumori che superano la normale tollerabilità ". Una simile affermazione costituirebbe violazione del giudicato interno già formatosi per effetto delle sentenze nn. 1214/2021 e 757/2022. III. Fondatezza della domanda di ottemperanza formulata con la memoria notificata del 27.10.2022, non esaminata nel merito dalla pronuncia impugnata. Con tal motivo è stato chiesto l'esame nel merito della domanda di ottemperanza formulata con la memoria notificata del 27 ottobre 2022. Il Condominio, al riguardo, ha richiamato le risultanze degli accertamenti disposti dalla Guardia di Finanza incaricata per la verificazione, dalla quale risulta la costante violazione dell'ordinanza sindacale. Solo all'esito di tale verifica l'Amministrazione si sarebbe peraltro decisa ad assumere concrete iniziative sanzionatorie le quali, tuttavia, non costituirebbero valida ottemperanza della sentenza n. 1979/2019. Il potere sanzionatorio sarebbe stato esercitato dal Comune in maniera elusiva e comunque del tutto insufficiente a garantire il rispetto delle decisioni giurisdizionali intervenute. IV. Riproposizione della domanda di penalità di mora non esaminata in primo grado. V. Errata decisione sulle spese di lite. La pronuncia impugnata non avrebbe considerato le sentenze non definitive intervenute favorevoli al Condominio. 4. Si sono costituiti, per resistere, il Comune di Milano e alcune delle società intimate. 5. Sono state depositate memorie conclusionali e di replica. 6. L'appello è stato trattenuto per la decisione alla camera di consiglio del 27 marzo 2024. 7. L'appello è infondato e deve essere respinto. Al riguardo, si osserva quanto segue. 8. Il primo gruppo di censure riguarda la pretesa violazione del giudicato interno derivante dalle sentenze parziali emesse nel corso del giudizio di ottemperanza. L'esame della pronuncia definitiva consente tuttavia di apprezzare che il primo giudice non ha affatto contraddetto tali sentenze. 8.1. In primo luogo, con riferimento ai primi motivi aggiunti, nella parte relativa alla domanda di ottemperanza della sentenza n. 2054 del 2020, il T.a.r. ne ha correttamente evidenziato l'improcedibilità in ragione dell'accoglimento, con sentenza dello stesso T.a.r. n. 1894 del 2021, dell'opposizione di terzo proposta dalle società La Fo. s.r.l. ed altre. Al riguardo, va precisato che il giudizio riassunto è stato poi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con sentenza n. 2801 del 2022. 8.2. Relativamente al ricorso introduttivo, il T.a.r. ha anzitutto richiamato il contenuto della sentenza n. n. 1979 del 2019, oggetto di ottemperanza, la quale ha statuito: a) in merito alla sussistenza dei presupposti di adozione di ordinanze contingibili ed urgenti "nulla esclude che l'amministrazione ritenga insussistenti i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti sollecitate dai ricorrenti, ma, allora, deve adottare un provvedimento espresso e motivato, in relazione a tale specifico oggetto, provvedimento che non è integrato dalla laconica affermazione che un'ordinanza contingibile ed urgente non sarebbe risolutiva nel caso di specie"; b) con riferimento al procedimento diretto a verificare la consistenza delle immissioni acustiche lamentate dai ricorrenti: "deve essere dichiarato l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, adottando le determinazioni conseguenti, ossia concludendolo con un provvedimento espresso, atteso che, anche in tale caso, risulta trascorso il termine procedimentale decorrente dalla presentazione dell'istanza, spedita all'amministrazione in data 28 marzo 2018"; c) in via generale: "per contro non sussistono le condizioni per ordinare al Comune di provvedere in un senso o nell'altro, in quanto i poteri sottesi alle determinazioni inerenti al caso di specie sono ampiamente discrezionali, sul piano tecnico e sul piano amministrativo, sicché devono essere esercitati dall'amministrazione comunale". 8.3. In ragione del contenuto di accertamento della sentenza n. 1979 del 2019, il T.a.r. ha anzitutto ritenuto come ottemperato il punto a), per effetto dell'adozione dell'ordinanza n. 41 del 2021, la cui legittimità era stato peraltro già sancita dalla sentenza non definitiva n. 757 del 2022. Il primo giudice si è quindi soffermato sul punto b) della sentenza n. 1079/2019 e sulla censura del Condominio secondo cui l'ordinanza comunale n. 41 del 4 giugno 2021 non sarebbe stata eseguita dall'Amministrazione, in ragione delle violazioni perpetrate dalle imprese di ristorazione e dagli avventori. Il primo giudice, in sostanza, ha ben compreso che l'interesse dell'appellante era ormai concentrato sull'esecuzione dell'ordinanza da ultimo citata. 9. Il Collegio condivide peraltro la declaratoria di inammissibilità fondata sul rilievo che la sentenza ottemperanda n. 1979 del 2019 si è limitata a sancire un obbligo di risposta nei confronti del Condominio appellante, riconoscendo "il potere discrezionale dell'amministrazione nell'individuare gli strumenti più idonei per affrontare una situazione di cui la stessa non ha prefigurato né le cause specifiche (se non, chiaramente, l'elevata antropizzazione dei luoghi) né i rimedi". Come già fatto rilevare da questo Consiglio in una controversia collegata a quella in esame (sentenza n. 8565 del 2022, che ha dichiarato inammissibile l'appello avverso la sentenza del T.a.r. n. 1894 del 2021), l'ordinanza n. 41 del 2021, pur rappresentando lo "stato dell'arte del giudicato a formazione progressiva", non è stata adottata dal Comune in mera esecuzione di quanto disposto dal T.a.r., bensì attraverso "il rinnovato esercizio delle potestà discrezionali che costituiscono il proprium dell'attività amministrativa". L'ottemperanza alla sentenza n. 1979 del 2019 si è pertanto esaurita con la scelta, da parte dell'Amministrazione, di una delle opzioni possibili per affrontare la problematica sollevata dal Condominio. Ne deriva che, con la memoria notificata il 27 ottobre 2022, l'appellante ha interposto sostanzialmente una nuova azione contestando il preteso inadempimento dell'Amministrazione nell'esercizio dell'attività di vigilanza sull'osservanza dell'ordinanza sindacale n. 41 del 2021. Quest'ultima, nel disporre limitazioni e divieti alla vendita e somministrazione di alimenti e bevande per asporto e all'utilizzo dei plateatici nelle ore notturne, è stata esplicitamente adottata al fine di assicurare "la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività degli esercizi commerciali e artigianali alimentari, di somministrazione di alimenti e bevande e di svago, attraverso il contemperamento degli interessi pubblici e privati e di tutela dell'ambiente e del decoro urbano". A fronte di un provvedimento adottato nell'interesse generale della collettività (e non del solo Condominio), non si erge tuttavia una pretesa erogativa individuale. Ne consegue che il Condominio non può vantare una posizione differenziata e qualificata rispetto all'esercizio dei poteri sanzionatori amministrativi o, quantomeno, non può imporre all'Amministrazione il contenuto delle misure necessarie ad assicurare l'osservanza delle proprie determinazioni. 9.2. A non diversa conclusione deve giungersi per quanto concerne la tematica delle immissioni acustiche, pura sollevata dal Condominio. Anche in questo caso, l'ordinanza è stata infatti adottata nell'interesse generale dei residenti (nel bilanciamento con l'interesse delle imprese che operano sul territorio), sicché non possono ritenersi sussistenti i presupposti dell'azione avverso il silenzio. Quest'ultima è infatti impraticabile laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell'azione amministrativa (così in termini, Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351). 9.3. Resta fermo che, per quanto riguarda la tutela contro le immissioni acustiche, il Condominio potrà esercitare le pertinenti azioni civili a tutela dei propri diritti soggettivi nei confronti degli esercizi pubblici, o comunque dei titolari delle attività che producono i rumori molesti. 10. La domanda volta all'applicazione della cosiddetta penalità di mora deve essere respinta. Si è già rilevato che il Comune di Milano ha adempiuto alla sentenza n. 1979 del 2019 adottando una serie di misure e interventi volti a affrontare e gestire le criticità segnalate dal Condominio appellante, nel tentativo di perseguire il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti. 11. Per quanto riguarda la statuizione sulle spese, giova ricordare che il giudice amministrativo ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, degli eccezionali motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite del divieto di condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio. Tale discrezionalità è sindacabile in sede di appello solo nei limiti in cui la relativa statuizione possa ritenersi aberrante, alla stregua dell'eventuale motivazione adottata (Cons. Stato, sez. IV, 4 novembre 2020, n. 6809). Nel caso in esame, nel disporre la compensazione, il T.a.r. ha correttamente richiamato le alterne vicende del giudizio che ha visto ora prevalere le ragioni del Condominio, ora quelle del Comune. La statuizione relativa alle spese non presenta pertanto alcun profilo di irrazionalità . 12. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l'appello deve essere respinto. Le spese del grado seguono la soccombenza nei rapporti tra il Condominio, il Comune di Milano e le società controinteressate, mentre sussistono i presupposti di legge per la compensazione nei confronti del Ministero dell'Interno. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 1000 del 2024, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di Milano e delle società controinteressate costituite, liquidandole per ciascuna parte in euro 2.000,00 (duemila/00) e quindi per complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge. Compensa le spese nei confronti del Ministero dell'Interno. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI sesta sezione civile Il Giudice, dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N.R.G. (...)/2020 avente ad oggetto: giudizio di merito a seguito di giudizio possessorio, vertente TRA (...) nato a (...) l'(...), c.f. (...), e (...) nata a (...) il (...), c.f. (...), entrambi elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) c.f. (...), che li rappresenta e difende, indirizzo di posta elettronica: (...), Attori E (...) (cod. fisc. (...)), nata a (...)# il (...) ed ivi residente (...), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio degli avv.ti (...) (cod. fis. (...)) e (...) (cod. fisc. (...)) che la rappresentano e difendono, p.e.c.: (...) Convenuta Conclusioni: le parti concludevano come da note scritte con note ex art. 127 ter cpc in sostituzione dell'udienza del 1 dicembre 2023, da intendersi qui richiamate e trascritte. FATTO E MOTIVI DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 703 c.p.c. depositato il 18 settembre 2020 e ritualmente notificato unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di comparizione delle parti, gli istanti, in epigrafe indicati, esponevano: a) che il sig. (...) era proprietario e possessore dal 2001 di un fabbricato per civile abitazione sito in (...) alla via (...) n. (...), cat. Fl.3 p.lla 105, sub 9; b) che la signora (...) era usufruttuaria dell'appartamento adiacente a quello del (...) cat. Fl.3, p.lla 105, sub 8, il cui nudo proprietario era (...) c) che entrambi gli immobili sub a e b, facenti parte del più ampio complesso "(...) Merlato", erano confinanti con la proprietà di (...) cat. Fl. 3, p.lla 61, sub 16, p.lla 476, sub 10; d) che nel corso di un intervento di trasformazione urbanistico edilizia sulla sua proprietà, la (...) adibiva il lastrico solare a terrazzo mediante la realizzazione di un parapetto e di una pavimentazione calpestabile nonché di una scala conducente a tale terrazzo con apertura di un vano di accesso; e) che sempre nello stesso contesto la (...) aveva realizzato una finestra ex novo a confine con la proprietà (...) con comodo affaccio in appiombo, obliquo e laterale sulla proprietà dei ricorrenti, nonché un soppalco interno all'appartamento. Ciò premesso, i ricorrenti denunziavano che la (...) aveva formato nuove vedute ed affacci con conseguenti creazione ex novo di una servitù e perdita di riservatezza, aveva violato le distanze legali, aveva compromesso la staticità delle loro abitazioni, aveva danneggiato i ricorrenti mediante immissioni di rumori molesti dal terrazzo, non essendovi alcuna opera di insonorizzazione. Pertanto, dedotta la ricorrenza di un'ipotesi di turbativa del possesso, chiedevano ex artt. 1168 e 1170 c.c. che venisse ordinato a (...) di ripristinare lo status quo ante e a cessare ogni turbativa del possesso degli attori. Si costituiva la convenuta, che affermava che i lavori eseguiti dalla (...) non avevano determinato l'apertura di nuove vedute, né la violazione di distanze legali e si erano in realtà limitati: 1) alla pavimentazione e recinzione con ringhiera in ferro del preesistente lastrico adiacente, terrazzo che, peraltro, oltre ad essere dotato di apposita rete supportata da paletti metallici installata sul parapetto e volta ad impedire l'affaccio verso la proprietà dei ricorrenti, nemmeno si poneva nella verticale della stessa; 2) alla realizzazione di un'apertura a confine con il complesso immobiliare adiacente, la quale non dà luogo ad alcuna veduta, siccome tagliata esattamente a metà dal soppalco realizzato all'interno, di modo da determinare due distinte luci, l'una posta immediatamente al di sotto del soppalco e l'altra al di sopra, in corrispondenza del piano di calpestio dello stesso. Negava, invero, la convenuta che la recinzione installata sul versante in cui il terrazzo confina con la proprietà dei ricorrenti consentisse una comoda prospectio utile all'esercizio di una veduta sul fondo altrui; negava, altresì, che la finestra antistante il lastrico condominiale consentisse alcuna possibilità di inspicere e prospicere sul fondo altrui. Ciò premesso, dedotta l'inapplicabilità della disciplina di cui al DM 1444/1968, dedotto che da sempre la convenuta godeva comunque di agevole possibilità di affaccio sulle confinanti proprietà dal ballatoio alla sommità della scala condominiale, dedotta l'assenza di pregiudizi alla staticità del fabbricato, comunque da far valere in via nunciatoria, chiedeva il rigetto della domanda. Con ordinanza del 28 settembre 2021 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda. Con ricorso per la prosecuzione del giudizio di merito depositato il 25 novembre 2021 gli originari ricorrenti reiteravano le conclusioni di cui alla fase interdittale, precisamente: "1) - previa revoca dell'ordinanza resa il 28 settembre 2021, depositata e comunicata il 29 settembre 2021, riconoscersi e dichiararsi la illiceità del comportamento posto in essere dalla resistente (...) e di qualunque altra persona che abbia concorso sul piano morale e materiale alla consumazione dell'illecito, con condanna della stessa all'integrale ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni, patrimoniali, non patrimoniali, morali e biologici subiti dagli attori nella misura che sarà accertata in corso di causa, eventualmente a mezzo di (...) nonché interessi legali; 2) - condannare la convenuta al pagamento di spese e compensi sia della fase sommaria che di merito con attribuzione al sottoscritto difensore antistatario". Anche in sede di merito resisteva alla domanda la (...) Il Tribunale osserva (...) costante orientamento della giurisprudenza, affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale. Ciò premesso, nella fase sommaria il Tribunale disponeva, in ragione della natura della maggior parte delle questioni discusse tra le parti, bisognevoli di apprezzamento mediante specifiche cognizioni di tipo tecnico, una CTU di tipo percipiente sulla scorta della documentazione in atti nonché di quella necessaria all'espletamento dell'incarico, per le verifiche e gli accertamenti di cui al seguente quesito: "(...) gli atti, sentite le parti ed i loro eventuali consulenti tecnici, visitati i luoghi ed espletata ogni altra opportuna indagine (eventualmente anche verso terzi, pubblici uffici, registri immobiliari): 1) descriva il CTU lo stato dei luoghi, provvedendo, se necessario, a redigere sommario schizzo planimetrico ed, in ogni caso, a trarre documentazione fotografica degli stessi; 2) accerti e descriva, quindi, le opere realizzate dalla parte convenuta e oggetto del ricorso attoreo; 3) accerti se da dette opere derivino le violazioni alla normativa vigente così come riportate in ricorso, ed in particolare a quella riferita alle distanze tra le costruzioni e le vedute, indicandone altresì i riferimenti normativi previsti in materia di distanze sia dalle norme del codice civile che dagli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione delle dette opere, acquisendo eventualmente presso gli (...) la detta normativa che dovrà essere allegata alla relazione; 4) in particolare verifichi se mediante i lavori di ristrutturazione la (...) abbia creato ex novo un'agevole possibilità di inspectio e prospectio in alienum, se abbia quindi realizzato un affaccio in appiombo, obliquo o laterale sulla proprietà dei ricorrenti in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza, confrontando altresì la situazione attuale con la situazione preesistente a detti lavori; 5) in caso di risposta affermativa al quesito accerti ancora le opere necessarie - ed il relativo onere economico - per l'eventuale eliminazione delle violazioni e per il ripristino dello stato dei luoghi conseguente alla accertata violazione, anche mediante computo metrico-estimativo; 6) tenti la conciliazione della lite e riferisca le posizioni delle parti e dei loro ctp in ordine alla proposta di soluzione conciliativa del ctu; 7) fornisca ogni altro utile elemento ai fini della decisione". Con ulteriore ordinanza del 19 gennaio 2021 veniva assegnato, su istanza di parte ricorrente, al ctu l'ulteriore incarico di verificare se "la realizzazione di opere incidenti sulle strutture portanti del compendio immobiliare della sig.ra (...) (in particolare, il soppalco) abbiano generato la compromissione della staticità dell'insieme e un pericolo concreto e attuale anche alle abitazioni dei ricorrenti". Il ctu designato, ing. (...) depositava tempestivamente il suo elaborato in data 5 agosto 2021, confermando in parte la ricostruzione di parte convenuta in ordine alla portata dei lavori di ristrutturazione eseguiti. In particolare, il ctu descriveva le opere realizzate dalla convenuta: 1) Realizzazione di un soppalco all'interno dell'ambiente voltato di dimensioni in pianta pari a ml 3.64 4.67.... realizzazione ...... di una scala che consente l'accesso al piano superiore. A detto piano si riscontra la presenza di un ambiente di altezza massima interna pari a ml 2.23 e di dimensioni pari a ml 2.70*2.27. Nella muratura perimetrale di detto ambiente, prospettante tra l'altro sulla aliena proprietà ricorrente, si riscontra la presenza di una finestra/vano luce con apertura a vasistas e ad anta e ribalta di dimensioni pari a ml 0.90*0.93 posta a quota calpestio e protetta esternamente da una grata in ferro e da zanzariera. Anche nell'ambiente posto al piano terra (sotto soppalco) si rinviene la presenza di una finestra/vano luce di dimensione pari a ml 0.96*0.54 e posta a ml 2.01 da terra; anche tale finestra/vano luce è protetto da grata metallica e zanzariera. Tali due aperture, allineate in verticale tra loro, costituiscono dal lato esterno un'unica apertura prospettante sull'alieno corpo di fabbrica in cui è inserita l'unità immobiliare di proprietà ricorrente; 2) Realizzazione di un abbaino che consente l'accesso - dall'interno dell'unità immobiliare - al terrazzo (ex lastrico), attualmente pavimentato, di dimensioni in pianta pari all'incirca a ml 13.40*4.15. Su tale terrazzo si è rinvenuta la presenza, lungo il lato ovest prospettante sull'adiacente e ribassato corpo di fabbrica in cui è inserita l'unità immobiliare di proprietà ricorrente, di un parapetto in muratura di altezza da terra pari a ml 0.97 sormontato da rete metallica di maglia pari a cm 4*6 alta complessivamente ml 0.97 e sostenuta da n. 4 piantoni verticali ad interasse di circa ml 1.27. Tale rete e relativo piantone risultano arretrati rispetto all'estensione del parapetto di circa 25 cm. Sul lato prospettante, invece, sulla (...) si registra la presenza di un piccolo "parapetto (...)" di altezza pari a circa cm 10 sormontato da ringhiera metallica di altezza pari a ml 0.75 (vedi foto n. 6-7-8-9-10 di seguito riportate). Ciò premesso, il ctu ravvisava che le aperture realizzate - per la loro conformazione ed ubicazione - non davano la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino. Correttamente, quindi, l'apertura deve essere qualificata luce, rimanendo invero impedito l'esercizio di una visione mobile e globale sul fondo alieno ("luce irregolare" non rispettando i dettami previsti dall'art. 901 c.c.). (...) le indagini del ctu anche l'apertura dell'ambiente soppalco non consente un'agevole possibilità di prospectio essendo la stessa posta a quota calpestio. Non risultando oggetto di doglianza la luce irregolare, bensì solo la veduta, la domanda, così come articolata, va in parte qua rigettata. Si precisa, poi, che risulta estranea alla cognizione di questo giudice l'asserita illegittimità delle opere realizzato in ordine alla normativa antisismica o urbanistica : invero detta denunzia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato sotto l'aspetto formale dell'attività costruttiva, senza estendersi ai rapporti tra privati; l'aver eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sé la violazione di tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali e quindi il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni, così come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia allorquando la costruzione risponda oggettivamente a dette prescrizioni senza ledere alcun diritto del vicino (cfr. Cass. 7563/2006; 17286/2011; n. 20848/2013). A diversa conclusione deve addivenirsi per quanto concerne il terrazzo realizzato dalla convenuta. Invero, in tale ambito, il ctu ha ravvisato che la realizzazione di un parapetto di altezza pari a cm 97 da terra e sovrastante recinzione, prima inesistenti, consenta la possibilità di esercitare dalla proprietà resistente un'agevole veduta diretta e/o obliqua verso la proprietà della controparte. Inoltre, il ctu ha riferito che - poiché nella porzione terminale del parapetto (estensione di circa 25 cm) la recinzione metallica e relativo piantone si arrestano prima del suo termine, con riferimento a tale porzione, sussiste possibilità di comodo affaccio nella proprietà ricorrente. Non vi è dubbio che in questo modo sussiste nel caso di specie una violazione in termine di vedute limitatamente alla nuova prospectio ed inspectio esercitabile dall'attuale terrazzo (ex lastrico) di proprietà resistente: entro suddetto ambito, la domanda va accolta e va ordinato alla parte convenuta di eseguire gli interventi necessari ad eliminare tale esercizio di veduta diretta così come descritti dal ctu in risposta al quesito 5 ("(...) si dovrà provvedere pertanto in corrispondenza del parapetto attualmente esistente sul terrazzo ad un suo prolungamento in altezza, per tutta l'estensione, fino ad un'altezza minima di ml 1.80 o di una struttura fissa equipollente in grado di non consentire alcuna veduta nella proprietà ricorrente. Si ritiene che il costo di tale attività possa essere forfettariamente stabilito in Euro 900,00"). La doglianza inerente un pregiudizio alla statica del fabbricato è estranea alla cornice del giudizio possessorio; in ogni caso, risulta generica e smentita per tabulas dalla documentazione prodotta da parte resistente anche in sede di merito. Infine, la doglianza sulle immissioni sonore e sulla privacy non è stata reiterata in sede di prosecuzione del giudizio. La domanda risarcitoria risulta apodittica e non suffragata da sufficiente allegazione e da adeguato sostrato probatorio. Alla luce delle precedenti considerazioni, a integrale conferma dell'ordinanza del 28 settembre 2021, la domanda attorea va accolta nei limiti di quanto sopra indicato. Per l'esito globale anche della presente fase, le spese di lite sono compensate. PQM Il Tribunale: 1) A conferma dell'ordinanza resa da questo Tribunale nella fase sommaria, ordina alla parte resistente di procedere alla eliminazione della nuova veduta aperta sul fondo del vicino mediante l'esecuzione delle opere individuate dal ctu, in particolare ad eseguire in corrispondenza del parapetto attualmente esistente sul terrazzo un suo prolungamento in altezza, per tutta l'estensione, fino ad un'altezza minima di ml 1.80 o di una struttura fissa equipollente in grado di non consentire alcuna veduta nella proprietà ricorrente; 2) Rigetta ogni altra domanda; 3) Compensa le spese di lite.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI VICENZA - Sezione Penale in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Giulia Poi alla pubblica udienza del 24/11/2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA (art. 544 3 comma c.p.p.) nel procedimento a carico di: Pa.Re. nato a M. (P.) il (...) residente a V. in via L. al n. 10, libero - già presente Da.Re. nata a V. (V.) il (...) residente a V. in via L. al n. 10 libera - già presente entrambi con difensore di fiducia avv. An.Za. del Foro di Vicenza PARTE CIVILE: De.Gi. nato a F. (T.) il (...) e Da.El. nata ad A. (V.) il (...) in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale dei figli minori Da.Ri. nato a V. il (...) e Da.Al. nato a V. il (...), assistiti entrambi dall'avv. An.Ma. del Foro di Vicenza Imputati del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 612 bis c.p., perché con condotte reiterate minacciavano, ingiuriavano e molestavano, quasi quotidianamente, i vicini di casa Da.El. e De.Gi. con vari comportamenti svilenti, umilianti, offensive e sprezzanti; in particolare Pa.Re. con numerose condotte, tra cui a titolo esemplificativo: - attendendone l'uscita per poi, alla loro vista, grugnire facendo il verso del maiale o di altri animali, mormorare frasi di schema incomprensibili e parole offensive come coglione" all'indirizzo del Sig. De. e "l'hai vista? cinema cinema" all'indirizzo della Sig.ra Da., oppure battendo alla finestra, emettendo strani suoni ed urli alloro indirizzo - minacciando entrambe le persone offese mimando il gesto di tagliare la gola, ponendosi il dito indice della mano sulla stessa; - ponendo in essere comportamenti dispettosi, al solo scopo di svegliare i figli minori della coppia, attualmente di 5 e 10 anni, tutte le volte in cui gli stessi si fossero addormentati in auto - battendo sul vetro o sulla persiana al solo scopo di infastidire od impaurire le persone offese - impaurendo una volta il Sig. De., mentre era in compagnia del figlio ed una volta la Sig.ra Da., in compagnia anch'essa del figlio, avvicinandosi a bordo della propria auto con manovre repentine, accelerando in modo esagerato, così ingenerando il timore nelle persone offese di essere investiti, per poi abbassare il finestrino e deriderli; - ridendo all'indirizzo della Sig.ra Da. mentre gli passava vicino in compagnia del figlio più piccolo, nonché alzando la gamba ed emettendo una rumorosa flatulenza nei suoi confronti; - impedendogli di entrare e di uscire serenamente dal cancello quando sono a bordo dell'auto, ritardando tale azione o rendendola estremamente difficoltosa, effettuando una serie manovre con la propria auto, pretestuosamente e senza motivo avanti ed indietro, al solo scopo di infastidire in particolare la Sig.ra Da.; - oppure battendo per ore il martello e facendo cadere di proposito una sbarra di alluminio provocando un gran frastuono (fatti per i quali il Sig. Pa.Re. ed il figlio Pa. sono già stati già indagati per artt. 659 e 660 c.p. RGNR 6681/2010 conclusosi con oblazione in data 7.5.2014); in particolare Da.Re., moglie del Pa.Re., molestando le persone offese con condotte simili a quelle del marito umiliandoli, a titolo esemplificativo: - indirizzando loro, in presenza dei figli minori, parole quali ecco le bestie" ed altre frasi incomprensibili; - facendo nei confronti della Sig.ra Da., in un luogo aperto al pubblico ed in presenza di terze persone, una serie di boccacce tirando fuori la lingua ed emettendo un verso; cosi cagionando alle persone offese un perdurante e grave stato d'ansia o di paura ed ingenerando nei medesimi un fondato timore per la propria incolumità e quella dei figli minori, angoscia aumentata dalla conoscenza del fatto che il Sig. Pa. detiene un arma da caccia, nonché costringendoli a mutare le proprie abitudini di vita, in particolare: - costringendoli a non rientrare a casa in auto, per timore di essere minacciati ed apostrofati - a non invitare ospiti, essendo abitudine del Sig. Pa. porre in essere le medesime condotte molestatrici anche nei confronti dei parenti che vanno a trovare le persone offese - a non far giocare fuori i figli e a non recarsi nella parte esterna dell'abitazione per non essere oggetto di scherno davanti ai figli minoria limitare di recarsi nelle parti dell'abitazione che confina con il Sig. Pa.; In Vicenza, Pa.Re. dal 2006 tutt'ora in corso - Da.Re. da marzo 2015 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 8.3.2017 il GUP ha disposto il giudizio di Pa.Re. e Da.Re. dinnanzi a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato indicato in epigrafe, All'udienza del 12.4.2017 il Giudice, dichiarati assenti gli imputati, ha rinviato per l'adesione dei difensori all'astensione dall'udienza proclamata dall'Unione delle Camere Penali. All'udienza del 2.11.2017 il Giudice ha aperto il dibattimento e ammesso le istanze istruttorie formulate dalle parti. All'udienza del 7.6,2018 è stato sentito il teste De.Gi.. All'udienza del 24.2.2020 è stato sentito il teste Da.El.. All'udienza del 6.7.2020 è stato sentita la teste Go.Ro. e sono state acquisiste le sit di Da.Al., padre della Parte Civile Da.El.. All'udienza del 4.3.2021 sono stati sentiti i testi Go.Cr. e S.R.. All'udienza del 22.6.2021 sono stati sentiti i testi Ca.Wa., Pa. S., Ga.Ga. e gli imputati hanno reso l'esame. All'udienza del 7.4.2022 è stato sentito il teste Le.An. e il Giudice ha rinviato per conclusione istruttoria e discussione, All'udienza odierna è stata sentita la teste Pa.El.; il Giudice ha dichiarato chiusa l'istruttoria dibattimentale e, sentite le conclusioni delle parti, dopo essersi ritirato in Camera di Consiglio, ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo. RISULTATI DELL'ISTRUTTORIA All'esito dell'istruttoria questo Tribunale ritiene provata oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato loro ascritto. 11 presente procedimento ha avuto inizio a seguito dei plurimi atti di denuncia-querela sporti dalle persone offese De.Gi. e Da.El. a decorrere dall'anno 2006 per comportamenti molesti e persecutori posti in essere dagli odierni imputati, vicini di casa, nei loro confronti. In particolare, le persone offese hanno riferito di aver cominciato ad abitare a decorrere dal mese di aprite 2006 a V. in via L. n. 14, in un immobile costituto da due appartamenti posti su due piani distinti: inizialmente hanno abitato nell'appartamento al piano secondo, mentre al primo piano vi abitava il figlio degli imputati, Pa. S., appartamento tuttavia successivamente acquistato proprio da De. e da Da.; tale immobile, dotato di un proprio giardino di circa 3 metri quadrati, è situato a breve distanza dall'abitazione degli imputati, anch'essa dotata di un proprio giardino di circa 3 metri quadrati; i due immobili sono separati da una rete e la distanza tra i 2 immobili è stata quantificata in circa 6 metri dal teste De. (cfr test. All'udienza del 7.6,2018 - pag. 4; cfr. al riguardo anche le fotografie sullo stato dei luoghi acquisite al procedimento). Entrambi hanno riferito che sin dal primo momento in cui si sono trasferiti nell'immobile di via L. 14 nel 2006 insieme ai due figli minori, i rapporti con i vicini Pa. e D.B. sono stati molto tesi, e ciò in ragione dei lavori di ristrutturazione che le stesse avevano svolto sulla propria abitazione a decorrere dall'anno 2005, pur essendo, secondo gli stessi, tali lavori svolti regolarmente e nel rispetto dell'altrui proprietà confinante (cfr. pagg. 4 e ss trascrizione udienza del 24.2.2020, teste Da.); in particolare hanno riferito che tali problematiche fossero emerse con l'edificazione di un lampeggiante e di un antenna del cancello della propria casa, che secondo l'imputato Pa. avrebbe invaso la propria abitazione. Da.El. e De.Gi. hanno riferito altresì che Pa. aveva proceduto alia demolizione dell'opera di sua iniziativa e senza alcuna autorizzazione da parte dei proprietari, (cfr. anche test. Mar. S. sentito all'udienza del 4.3.202 pag. 20 - DIFESA, AVV. ZANINI " Va Lei sa per caso se c'era un motivo che aveva dato l'arsura a questa chiamiamola così, guerra tra i vicini e se si quale? TESTIMONE S.: Allora se non ricorso male il signor Pa. mi ha detto che il problema era una ... il pilastro del cancello che non era nella sua posizione giusta", circostanza questa confermata anche dall'imputata D.B. (cfr. esame imputata D.B. all'udienza del 22.6.2021 pag. 9 - "DIFESA, AVV. Z.; Ci sono stati problemi inizialmente coi suoi vicini? IMPUTATA D.B. - si, perché loro hanno buttalo giù un palone che divideva la nostra proprietà, metà nostro e metà suo di loro"); analogamente esame imputato Pa. pag. 22.23 sentito all'udienza del 22.6.2021) Peraltro, hanno riferito come i comportamenti molesti da parte dei vicini fossero già stati oggetto di un procedimento penale a carico del solo odierno imputato Pa.Re. (e del di lui figlio S.), procedimento che si è concluso con l'oblazione da parte di quest'ultimo; ma che tuttavia le condotte moleste, peraltro molto frequenti anche con cadenza quotidiana, sono proseguite anche successivamente alla conclusione di tale procedimento e peraltro sono tutt'ora in corso (cfr. testimonianza De. all'udienza del 7.6.2018; testimonianza Da.El. pag. 4 ss.) Le persone offese hanno altresì riferito di aver videoregistrato con apposita telecamera le molestie subite e tali registrazioni sono state oggetto di apposita produzione nel corso del processo e ritualmente acquisite. A ulteriore conferma dei rapporti tesi tra le due famiglie confinanti e del clima di reciproche denunce e recriminazioni risulta che l'odierna imputata Da.Re. avesse denunciato Da.El. per il delitto di cui all'art. 582 co, 2 c.p.p. "perché, mediante torsione del braccio sx, cagionava a Da.Re., lesioni personali diagnosticate in Trauma distorsivo gomito e spalla sx", come da referto medico del P.S. della U. n. 6 di V., datato 23.5.2006, da cui deriva una malattia giudicata guaribile in gg. 7 s.c.; in Vicenza il 23.5.2006 ", ma che tale procedimento si sia concluso con l'assoluzione della Da. (cfr sent. Giudice di Pace di Vicenza n. 311/2013 del 20.12.2013; sent. d'appello del Trib. Vicenza n. 40/2015 del 14.10.2015) In particolare, le condotte moleste di Pa.Re. sono consistite: - nell'aver battuto per ore il martello; nel fare cadere di proposito una barra di alluminio provocando enorme rumore; nell'aver preso a calci un bidone facendo rumore nel giardino della propria casa; nel battere sui muri della propria abitazione (fatti per i quali Pa. è stato già sottoposto a procedimento penale definito con oblazione - sentenza del Gip di Vicenza n. 220/2014 irrevocabile l'11.6.2014) (cfr testimonianza De. all'udienza del 7.6.2018; test. Da. pag. 7 ss), In particolare. De. e Da. hanno riferito che Pa. era solito battere nel proprio garage con un martello su un'incudine, continuamente, dal mattino alla sera, e di averlo visto personalmente compiere tali azioni in ripetute occasioni (cfr test. De. pag. 15; test. Da. pag. 7-8-9 ss), condotte che si sono arrestate soltanto con P intervento delle forze di polizia che hanno proceduto al sequestro della barra di alluminio e dell'incudine (test. De. pag. 17; test. Da. pag, 8; test. Maresciallo S.R. sentito all'udienza del 4.3.2021 - pagg. 8-9-12-13). Nell'aver apostrofato in particolare la p.o. De. con epiteti offensivi e ingiuriosi, quali ad esempio nonché rivolgendo anche alla moglie e ai figli "insulti, parolacce, volgarità, derisioni" (in particolare De. ha riferito che entrambi gli imputati rivolgevano alia di lui moglie epiteti quali 'stupida ", "cretina", o frasi canzonatorie del tipo non la smetti di fare la scema". La teste Da. ha riferito che il Pa. aveva pronunciato parole senza senso a voce alta, tipo: "Chino chino dag da magnare alle bestie, dag da mangiare alle bestie"; cioè cose che non avevano senso ma che erano rivolte a noi " (cfr test. Da. pag. 9-10). - Nell'aver provocato rumori molesti, chiaramente udibili dalle persone offese vista la poca distanza che separa le due abitazioni, quali battere alla finestra o sulle persiane della propria casa, emettendo suoni o urli, svegliando anche i figli piccoli dei coniugi. Da. ha riferito che tali episodi sono avvenuti ripetutamente e in particolare ha ricordato l'episodio del 13.5.2015 alle ore 23.00, quanto è tornata dal Pronto Soccorso dove si era recata col figlio. - Nell'aver imitato il verso di animali, in particolare del maiale, dell'asino, del cavallo all'indirizzo dei coniugi De., oltreché nell'aver minacciato entrambe le persone offese di morte mimando il gesto di tagliare la gola, oppure rivolgendo loro frasi del tipo "Ti ammazzo (cfr. testimonianza del De. pag. 9) o le parole "Morte, Morte" (cfr test. Da. pag. 12). - Nell'aver accelerato con l'automobile in maniera repentina e senza alcun motivo e avvicinandosi pericolosamente a entrambe le p.o. e ai loro figli, con ciò ingenerando nelle stesse il fondato timore di essere investite (cfr testimonianza del De. pag. 9; cfr test. Da. pag. 15). - Nell'aver deriso in particolare la p.o. Da., peraltro anche in compagnia di un'amica di quest'ultima, e emettendo nei suoi confronti una fragorosa flatulenza, fatto accaduto P 8.3.2015 (cfr. test. Da.). - Nell'aver reso difficoltoso o addirittura impedito con la propria autovettura l'accesso all'abitazione dei coniugi De. e Da.. Per quanto attiene l'imputata D.B., in particolare dal 2015 in poi le persone offese hanno riferito: - di essere state apostrofate con le parole "ecco le bestie" anche in presenza dei figli minori" o di aver ricevuto insulti e parolacce quali "stupidi, cretini " (cfr test. De. pag. 25; test. Da. pag. 16 "La sig.ra D.B. mi ha dello ... mi ha chiamato stupida e si è messa a ridere anche lei ") - di aver subito una serie di boccacce e versi, fatto questo accaduto il 273.2015" anche in presenza di colleghi di lavoro della stessa Da.; - di non aver potuto accedere con la propria auto liberamente alla propria abitazione in quanto anche l'imputata D.B. si comportava come il marito; - di essere stati costretti a non invitare nella propria abitazione ospiti, parenti o amici, sia propri sia dei propri figli, per il timore dei comportamenti degli odierni imputati; De. e Da. hanno riferito anche che tali comportamenti, esemplificando, sono stati rivolti nei confronti dei genitori degli imputati (Go.Ro. e Da.Al. e anche nei confronti della madre del De., la quale ha vissuto con il figlio per un certo periodo di tempo a seguito di una grave malattia che l'aveva colpita; si veda al riguardo il verbale di sit di Go.Ro. del 21.10.2015 la quale ha peraltro riferito che in data 14 ottobre 2015 P A V. ha pronunciato le frasi "Morteli Morte!! seguite da una risata di scherno nei suoi confronti e della figlia Da.El.); - di essere stati costretti a non fare uscire i figli minori per giocare all'aperto nel cortile di casa e in generale limitando la loro libertà di autodeterminazione nel muoversi nel territorio e pertinenze della propria casa; hanno riferito infatti di evitare di recarsi nella zona di confine tra le due abitazioni e di aver modificato il percorso di accesso alla propria abitazione (cfr test. Da. pag. 18). Tutte queste condotte hanno ingenerato nei coniugi e nei figli minori, in particolare nel maggiore dei due R., un perdurante stato di ansia e paura per la propria incolumità e quella dei figli, alterando le proprie abitudini di vita (test. Da. pag. 19-22-23). In particolare, il figlio minore R. ha cominciato a manifestare strani comportamenti consistenti in smorfie, tic e simili, a non voler più dormire nel proprio letto e di aver iniziato un percorso con uno psicologo (cfr. testimonianza di De. all'udienza del 7.6.2018; test. Da. pag. 25-26). Quanto alla frequenza, le persone offese hanno riferito che tali episodi a decorrere dall'anno 2014 sono accaduti anche con frequenza quotidiana e in svariati orari del giorno, la mattina presto, il pomeriggio e la sera, essendo peraltro gli odierni imputati pensionati: ad esempio, da fine febbraio ai primi giorni di giugno dell'anno 2015 tali comportamenti sono avvenuti almeno 90 volte (cfr. pag. 22 trascrizione udienza del 24.2.2020, teste Da.). LA RESPONSABILITA DEGLI IMPUTATI I fatti così descritti dai coniugi De. e Da. hanno trovato conferma in plurime prove acquisiste nel corso del procedimento: in primis dalle dichiarazioni testimoniali delle persone offese, il cui vaglio di attendibilità intrinseca è superato, avendo entrambi fornito versioni complete, coerenti, scevre da contraddizioni. I fatti da loro descritti hanno trovato conferma anche nelle testimonianze rese dalla teste Go.Ro., madre della p.o, Da.El., la quale ha riferito come "da tanto tempo che continuano le molestie. Anche con me l'hanno fatto" (test. G. all'udienza del 6.7.2020 - pag. 4), descrivendo in analogia alle testimonianze delle persone offese i comportamenti tenuti dagli imputati; in particolare la teste ha riferito delle minacce di morte e del gesto del taglio della gola (pag. 4-5-10), delle boccacce e versi rivolte ai nipoti (pag. 5-12-13-18), delle accellerate repentine in macchina (pag. 7), delle offese rivolte a De. (pag. 8 - a domanda di questo Giudice la teste rispondeva "Si, quando arrivava a casa dal lavoro diceva: "C.T., coglione ", della limitazione alla possibilità di invitare ospiti e amici (pag. 9). Anche la teste Go.Cr., sentita all'udienza del 4.32021, ha confermato l'episodio, già descritto dalla p.o. Da., in merito alle derisioni, gesti, boccacce, illazioni rivolti a quest'ultima in una pubblica via da parte dell'imputato Pa. (pag. 4 ss), fatto avvenuto il 27 marzo 2015. 11 teste Ca.Wa., che abita di fronte ai coniugi De.-Da. e a fianco agli imputati, ha confermato di aver visto in alcune occasioni Pa. nell'atto di battere la finestra e fare rumori, nonché di rivolgere al minore R., figlio delle p.o., boccacce, fatti questi che sarebbero accaduti dopo il 2015 (cfr. test. D.C. pagg. 4-8 - in particolare il teste ha riferito che "il Signor Pa. era lì alla finestra che batteva la finestra, gli faceva boccacce e li guardava con occhi un po'spiritati e il ragazzo (il minore R. nd) scappava via " pag. 5). Peraltro, conferma dei comportamenti ostili da parte degli imputati nei confronti delle p.o. si rinviene anche nell'esame dell'imputala stessa D.B., la quale ha riferito "IMPUTATA D.B. - ... noi abbiamo fatto quello che hanno fatto loro, abbiamo risposto. " (cfr esame imp. D.B. sentita all'udienza del 22.6.2021 pag. 10) e ancora "DIFESA, AVV. Z. - Però hanno raccontato di episodi, come dire specifici nel senso di brutte parole, grugniti, per esempio digrignare i denti quando suo marito vedeva i ragazzi? IMPUTATA D.B. - Mio marito bussava alla fine i vetri per far vedere ai nostri nipoti ... DIFESA, AVV. Z. - Allora è vera questa cosa? Si, perché se avevamo i bambini giù in cortile gli dicevamo: "Andate dall'altra parte a giocare" (PAG. 14); con riferimento ai rumori molesti l'imputata ha riferito "DIFESA. AVV. Z. - Le chiedo signora: è vero che c'è stato un periodo in cui suo marito e suo figlio .... Hanno preso a fare dei rumori molesti? IMPUTA TA D.B.: Si, noi avevamo una sbarra che dovevamo finire una pompeiana e non l'abbiamo finita. DIFESA, AVV. Z. - Ma c'è stato un periodo in cui questi rumori sono stati fatti ... IMPUTA TA D.B. - Si, li abbiamo fatti.... " (pag. 17). Anche l'esame dell'imputato Pa. ha confermato i com portamenti molesti posti dallo stesso in essere, con riferimento specificatamente ai rumori (pag. 27 sentito all'udienza del 22.6.2021 - "DIFESA AVV. Z. - Ma questa cosa qua dei rumori, di martellamenti ... IMPUTATO P.V.R. - Ho fatto, ho reagito secondo quello che facevano loro, alla risposta ... DIFESA AVV Z.: Quindi lei ammette che questa cosa c'è stata? I.Pa.Re.: - Si, si e ancora: "DIFESA AVV Z.-Avete mai detto di fronte a loro: "C., cinema "? I.Pa.Re. Si" (pag. 28); l'imputato peraltro ha anche ammesso gli episodi del gesto del taglio alla gola (pag. 30 - "DIFESA AVV. Z.- L'hanno anche accusata di avere fatto questo gesto, cioè il gesto del taglio alla gola, il gesto del taglio alla gola. IMPUTATO Pa. - L'avrò, fatto ...") La versione fornita dagli imputati innanzitutto non ha trovato riscontro processuale visto che la denuncia di D.B. ha portalo ad una assoluzione della Da.. Inoltre, vi è da rilevare che gli imputati hanno parzialmente ammesso le condotte (il fare rumore con la spranga, il dire frasi tipo "cinema, cinema", il partire improvvisamente con la macchina mentre si trovavano vicini alle po), salvo inquadrarle in comportamenti di risposta e "difesa" ai comportamenti di Da. e De., Ma se da un lato le riferite condotte delle persone offese non sono state provate in questo processo e sono anche state oggetto di archiviazione, dall'altro vi è da rilevare che in ogni caso non costituirebbero una scriminante delle condotte degli imputati, posto che nel nostro ordinamento vige il divieto di farsi giustizia da sé, Sul punto si richiama Cass. pen. sent. n. 17698/2010 secondo cui "la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita". La testimonianza del figlio degli imputati appare poco oggettiva, anche posta in relazione con quanto dichiarato dal vicino di casa delle parti, il quale ha visto proprio S. Pa. a volte fare i rumori con la spranga. La testimonianza dell'avv. Le. a difesa non è dirimente perché è teste de relato e i fatti riferiti dal teste gli sono tutti stati riferiti dagli imputati. Dei singoli episodi riferitigli dagli imputati non gli sono mai stati indicati testimoni terzi che potessero aver assistito ai fatti denunciati dalla D.B.. Anche la testimonianza della figlia degli imputati assume un'importanza relativa perché la stessa non abitava con i genitori e pertanto ha potuto riferire solo in relazione ai momenti in cui era presente in casa dei genitori e limitatamente a quei momenti ha riferito di non aver mai assistito a offese o minacce da parte dei genitori, senza che ciò rappresenti la prova che in assoluto tali condotte siano state poste in essere nei momenti in cui non era presente. Anche i comportamenti attribuiti dalla teste alle persone offese non forniscono una prova contraria delle condotte degli imputati. Peraltro, anche la teste ha confermato gli episodi della spranga di ferro e dell'incudine. Le condotte sono state provate fino al 2018. L'evento è provato dalle dichiarazioni dei testi, che hanno notevolmente limitato le proprie abitudini di vita a causa delle condotte degli imputati. Seppur suggestiva, la prova offerta dalla difesa relativa al ritiro del libretto personale per licenza di porto di armi non è dirimente rispetto alla condotta in contestazione, posto che ciò che viene contestato è la detenzione di un'arma, mentre ciò che è stata fornita è la prova del ritiro della licenza, che non incide però sulla detenzione dell'arma, che non risulta essere stata sequestrata. Pertanto, seppure privo di licenza, Pa. è rimasto nella materiale disponibilità dell'arma. LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO Deve preliminarmente affrontarsi la questione sollevata dalla difesa degli imputati relativa al principio del ne bis in idem: è stata prodotta sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GIP di Vicenza in data 7.5.2014 nell'ambito del procedimento R. 6681/2021, imputati Pa.Re. e P.S., avente ad oggetto il reato di cui agli artt. 81, 110, 569 co 1 c.p. commesso in Vicenza dal settembre 2009 per essersi il reato estinto per intervenuta oblazione. Peraltro, è opportuno rilevare come lo stesso capo d'imputazione faccia richiamo al predetto procedimento relativamente alle condotte attribuite a Pa. del battere il martello e della sbarra di alluminio. La richiesta della difesa di pronunciarsi sentenza di non doversi procedere per divieto di bis in idem fondato su tale pronuncia del GIP non può trovare accoglimento in quanto presupposto necessario di tale pronuncia è l'esatta identità del fatto storico, requisito che non ricorre nel caso di specie in quanto nel procedimento di cui all'RGNR 6681/2010 erano contestate condotte di disturbo del riposo mediante la provocazione di rumori molesti, mentre nel procedimento che qui interessa tali condotte sono esclusivamente una porzione della condotta, che si sostanzia anche in altre ulteriori condotte di minaccia, ingiurie e molestie attuate con modalità differenti (sul punto si veda da ultimo Cass. Sez. V, Sent. n. 7825/2023). Quanto alla questione relativa alla contestazione in forma aperta ed al perimetro di accertamento del reato, giova richiamare l'orientamento di legittimità in base al quale "Nel delitto previsto dall'art. 612 bis cod. pen., che è reato abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, cosicché non si configura violazione del principio del "ne bis in idem" in caso di nuova condanna per finti successivi alla data della prima pronuncia" (così Cass. Pen. n. 22210/2017). Nel merito, corretta appare la qualificazione giuridica del fatto. Le condotte contestate a Pa.Re. e Da.Re. integrano gli estremi del reato previsto dall'articolo 612 bis c.p., essendo pienamente provati tutti i suoi elementi costitutivi. Sotto il profilo oggettivo, le condotte accertate integrano il reato sotto due profili. Da un punto di vista qualitativo, queste consistono precisamente nelle "minacce o molestie" richieste dalla norma per il configurarsi del reato in questione. La circostanza che tali molestie siano state idonee a cagionare nelle vittime un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita le eleva a elementi costitutivi del reato di atti persecutori, mentre sussiste il reato di cui al Part. (...) cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (così da ultimo Cass. Pen. Sez. V, 9/2/2021, sent. n. 15625). Sotto il diverso punto di vista temporale, la circostanza che tali offese e minacce si siano reiterate in un arco di tempo notevolmente lungo, dal 2006 al 2018, e con elevata frequenza, attribuisce pienamente alle condotte degli imputati il carattere di abitualità che connota il delitto di atti persecutori. Sotto il profilo soggettivo, la norma richiede un dolo generico, "il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e nell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione" (così Cass. Pen., Sez. V, 12/12/2022, n. 7215; cfr. anche Cass. Pen., Sez. V, 15/5/2013 n. 20993 ). Calando l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità nel caso di specie, la condotta degli imputati è pacificamente dolosa, sulla base di indici oggettivi riferibili alla concreta modalità di attuazione della condotta. Il notevole lasso temporale in cui si sono estrinsecate le condotte persecutorie, le concrete modalità di attuazione, consistenti in causare rumori molesti, compiere manovre repentine e pericolose con l'auto vicino alle persone offese, ostruendo l'ingresso dei vicini al cancello di casa, addirittura arrivando ad emettere flatulenze sono indice di un elemento psicologico di rilevante intensità. Quanto all'evento del reato, dalle testimonianze di Da.El. e De.Gi. è emerso come gli stessi vivessero in un costante clima di tensione e paura (cfr. pag. 22 trascrizione udienza del 242.2020, teste Da.: "Quindi non era mai una vita serena, era una vita che quando uscivamo dovevamo stare attenti: "stai attento"; quando tornavamo a casa dovevamo segnare quello che era successo durante il giorno") e avessero modificato le proprie abitudini di vita (cfr, pag. 23 trascrizione udienza del 2422020, teste Da.: "PM- Ha modificato in qualche modo le condizioni di vita, le abitudini vostre, di suo marito, dei vostri figli? E se si in che modo? TESTE Da. - Beh le nostre abitudini come famiglia in generale si, nel senso che se loro erano fuori noi non parcheggiamo più la macchina dentro, la parcheggiavano in strada ed entravamo dall'altra parte, per non vederli (...) per un periodo io ho dormito in camera del piccolo e viceversa perché il bambino non poteva... non voleva più dormire nella camera vicino alla casa dei pavelli, quindi il bambino ha voluto dormire a letto col papa nella sua camera ed io sono andato a dormire nella camera del bambino (...) noi invitavamo persone il meno possibile") Come chiarito dalla Suprema Corte, tali mutamenti integrano pacificamente l'alterazione delle proprie abitudini di vita richiesta dall'articolo 612 bis c.p., posto che ciò "si verifica ogni qual volta si sia in presenza di un mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell'ordinaria gestione della vita quotidiana, quale può riconoscersi, ad esempio, nell'avvertita necessità, da parte della vittima, di utilizzare per i propri spostamenti percorsi diversi da quelli abituali" (cfr. Cassazione Penale, Sez. V, 15/5/2013 n. 20993). Non merita accoglimento l'impostazione difensiva secondo la quale difetterebbe l'abitualità del reato, posto che ci sarebbe un primo troncone di condotte dal 2006 al 2010 (e questo reato sarebbe prescritto), ed un secondo filone relativo al periodo 2014/2015: dalle testimonianze delle persone offese non si evince un'interruzione né una recisione netta delle condotte degli imputati nel 2010, che invece sono emerse in tutta la loro quotidianità e, pertanto, nella loro abitualità, a prescindere da periodi nei quali si sono acutizzate ed altri in cui sono state meno frequenti (cfr. pag. 24 trascrizione udienza del 7.6.2019, teste De.). IL TRATTAMENTO S. Passando al trattamento sanzionatorio, innanzitutto è necessario chiarire che si configurano due distinti reati, uno commesso ai danni di De.Gi. e uno di Da.El.. Sul punto si richiama la recente sentenza della Cass. Sez. V sent, n. 2443/2021 secondo cui "in tema di atti persecutori posti in essere nei confronti di più soggetti passivi, si configura una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione, atteso che le condotte determinano differenti eventi e offendono distinte vittime". Nel caso di specie è emerso chiaramente il medesimo disegno criminoso degli imputati, molto probabilmente volto a indurre Liniero nucleo familiare che occupava la casa adiacente quella degli imputati ad andarsene, anche a seguito degli screzi nati fin da quando le persone offese si erano trasferite lì. Non possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche: al riguardo si ritiene ostativo il comportamento tenuto da entrambi gli imputati che, alla luce di attenta valutazione, non è caratterizzato da alcun elemento positivo, apprezzabile al fine di riconoscere la circostanza attenuante di cui al l'art. 62 6/5 c.p. (al riguardo si veda Cass. Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, che subordina il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all'apprezzamento di elementi positivi a favore dell'imputato, a patto che questi non si risolvano unicamente nell'incensuratezza dell'imputato). Pertanto, per Pa., valutati i criteri previsti dall'art. 133 c.p., si stima conforme a giustizia la pena così calcolata: pena base anni 1 mesi 6 di reclusione (si ritiene più grave il reato commesso ai danni di De.Gi. per le concrete modalità della condotta, discostandosi notevolmente dalla minima di 6 mesi in vigore all'epoca del fatto in ragione della durata del reato, dal 2006 al 2018 e dell'intensità del dolo manifestata dalle condotte di Pa. e dai motivi a delinquere, rappresentati dalla finalità di ottenere il trasferimento dei vicini di casa), aumentata per la continuazione interna (gli atti persecutori commessi nei confronti di Da.El.) alla pena finale di anni 1 mesi 7 di reclusione. Per Da.Re., valutati i criteri previsti dall'art. 133 c.p., si stima conforme a giustizia la pena così calcolata: pena base mesi 6 di reclusione (ci si attesta sulla minima in vigore all'epoca dei fatti in relazione al reato più grave nei confronti di De.), aumentata per la continuazione con gli atti persecutori nei confronti di Da. alla pena finale di mesi 7 di reclusione. La pena è differenziata in ragione del minore arco di tempo delle condotte della D.B. e della minore offensività delle condotte di D.B. (boccacce e versi, ma non ha mai fatto minacce di morte o battuto con la spranga di ferro). Per entrambi non può essere formulata una prognosi favorevole di astensione, fondata sul fatto che gli imputati hanno continuato a porre in essere condotte moleste e persecutorie anche successivamente all'instaurazione del processo e anche durante il di battimento, segno di una mancata resipiscenza e presa di coscienza del disvalore delle condotte. Per le medesime ragioni non si è ritenuto opportuno dare gli avvisi di cui all'art. 545 bis c.p.p. All'accertamento della penale responsabilità consegue per legge la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. LE STATUIZIONI CIVILI Provata la sussistenza del reato, ad esso devono esservi ricondotte le conseguenze del danno (c.d. danno conseguenza) mediante il nesso di causalità giuridica ai sensi del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2043 c.c. Provato il danno non patrimoniale nelle voci del danno morale (le sofferenze patite) e del danno esistenziale (le modifiche alle abitudini di vita), in via equitativa si stima conforme a giustizia la quantificazione in curo 6.000,00 (tenuto conto il notevole lasso di tempo in cui si sono protratte le condotte, considerati Euro 500,00 per ogni anno, per un totale di 12 anni visto che le condotte sono cessate nel 2018) per ciascuna parte civile costituita (Da.El. e De.Gi. in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale, pertanto anche a favore dei figli minori R. e A., i quali, per ciò che si è accertato, non rappresentano solo dei danneggiati dal reato, ma sono loro stessi persone offese e soggetti passivi del reato; così per un totale di Euro 24.000,00), oltre interessi sulla somma devalutata al 2006 e rivalutata annualmente fino alla presente sentenza, trattandosi di debito di valore. In ordine al calcolo di interessi, si richiama il pacifico orientamento del Giudice di legittimità a mente del quale "gli interessi, determinati nei loro ammontare dal giudice, vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria" (Cass. civile, Sez. Un., sentenza n. 171217 febbraio 1995). Infine, si condannano gli imputati alla rifusione delle spese di costituzione e difesa delle parti civili costituite che si liquidano in Euro 3.592,00 prendendo i valori medi di tutte e quattro le fasi del Da. n. 55 del 2012 aggiornate al Da. n. 147 del 2022, oltre agli accessori di legge come da dispositivo. Stante il carico monocratico e collegiale, la motivazione è stata riservata in novanta giorni. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. DICHIARA Pa.Re. e Da.Re. responsabile dei reati loro ascritti e CONDANNA Pa.Re. alla pena di anni 1 mesi 7 di reclusione e Da.Re. alla pena di mesi 7 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli art. 163, 164, 175 c.p. CONCEDE agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale. Visto l'art. 538 c.p.p. CONDANNA gli imputati in solido tra loro ai risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite De.Gi. e Da.El., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori Da.Ri. e Da.Al., che liquida, definitivamente pronunciando, in Euro 6.000,00 per ciascuna parte civile De.Gi., Da.El., Da.Ri. e Da.Al., oltre agli interessi sulla somma de-valutata al 2006 e rivalutata annualmente fino alla data della presente sentenza, ed oltre alia rifusione delle spese processuali di costituzione e difesa del grado, che liquida in 3.592,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva, Cpa e altri oneri di legge, se dovuti. Motivazione riservata in novanta giorni. Così deciso in Vicenza il 24 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Daniela Nunno ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 15508/2020 promossa da: Le.Cl. (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. Gi.Ca. e dell'avv. Gi.Co.; elettivamente domiciliato in Bologna, Via (...), presso il difensore avv. Gi.Ca. ATTORE contro Ci. S.R.L. (C.F. (...) ), Im. S.R.L. SOCIETÀ SPORTIVA DILETTANTISTICA SENZA FINI DI LUCRO (C.F. (...)), entrambe con il patrocinio dell'avv. An.Fr., elettivamente domiciliate in Bologna, Via (...), presso il difensore CONVENUTE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione regolarmente notificato alle parti convenute, Le.Cl. agiva in giudizio, premettendo, in fatto, di occupare un appartamento della Ta. s.r.l. sito in B., via P. n. 9, sovrastante l'unità immobiliare di proprietà della "Ci. s.r.l.", nella disponibilità della "Im. S.R.L. società sportiva dilettantistica senza fini di lucro", che ivi vi esercita l'attività di scuola di ballo. L'attore lamentava che dal 2017, quasi tutti i giorni della settimana, dalle 16:00 alle 20:30, nei festivi e nei fine settimana anche fino a notte inoltrata, dall'immobile de quo provenivano rumori assordanti di musica ad alto volume, di calpestio e urla. A causa di tali rumori molesti aveva sporto denuncia-querela in data 18.11.2019 presso i Carabinieri di Bologna Mazzini e contattato il Comune di Bologna per far cessare le suddette immissioni sonore, ma senza alcun esito. In data 20.11.2019 il reparto di Polizia Commerciale del Comune di Bologna aveva comunicato all'attore che, in seguito al sopralluogo presso i locali della scuola di ballo, erano state accertate violazioni per cui erano state erogate delle sanzioni. L'attore allegava che, a causa di queste immissioni sonore, aveva patito una grave compromissione della propria serenità quotidiana e quindi della propria salute, come da certificati medici attestanti i disturbi lamentati. Allegava altresì due relazioni mediche a firma del Prof. Ma.Ce. e del Dott. An.Ca., che avevano accertato il nesso causale tra il disturbo del sonno patito dall'attore e l'inquinamento acustico subito all'interno dell'abitazione di residenza, con conseguenti effetti negativi sul suo stile di vita e sui suoi livelli di funzionamento biologico. In particolare, il dott. Ca. aveva stimato il danno biologico patito nella misura del 16%. Alla luce di quanto esposto, l'attore chiedeva di accertare che le immissioni provenienti dai locali delle convenute superavano ogni soglia di tollerabilità, con conseguente condanna delle società alla cessazione delle immissioni o all'adozione di misure atte a ridurne l'entità, nonché al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non. In via subordinata, chiedeva la corresponsione di un equo indennizzo. Si costituivano le convenute, che contestavano del tutto l'atto introduttivo del giudizio, facendo rilevare come lo stesso attore, in qualità di legale rappresentante della società Ex. s.r.l., aveva concesso ad Im. s.r.l., a partire dall'1.10.2011, il godimento di un'ampia porzione del piano terra dell'edificio e sin da allora nei predetti locali era stata esercitata la medesima attività di ballo, anche dopo che la Ex. s.r.l. (e dunque Le.Cl. per essa) aveva ceduto la proprietà dell'intero piano terra dell'edificio alla Ci. s.r.l.. Prima di tale cessione, tuttavia, mai prima il L. si era lamentato delle immissioni rumorose. Le prime doglianze erano significativamente cominciate, in tesi di parte convenuta, in coincidenza con l'insorta conflittualità tra il L., legale rappresentante della Ta. s.r.l., proprietaria di parte dell'edificio, e l'amministratore di Ci. s.r.l., Pa.Pe.. Evidenziavano, inoltre, le convenute, come i locali erano insonorizzati e che l'attività era stata sospesa a partire dal mese di febbraio 2020, in coincidenza con l'inizio dell'emergenza pandemica. Inoltre, contestavano che i rumori lamentati fossero riconducibili solo all'attività di danza praticata nei locali a loro disposizione, tanto più che l'edificio era anche, in parte, adibito ad attività di ristorazione e, in altra parte, in uso ad un'associazione che organizzava eventi e feste. Concludevano chiedendo il rigetto della domanda attorea in quanto infondata. La causa veniva istruita mediante prova per testi ed espletamento di CTU fonometrica e medico-legale e all'udienza del 13.7.2023 veniva posta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. Le domande attoree sono fondate e meritano accoglimento per le ragioni che si passa ad esporre. L'attore lamenta che da anni, tutti i giorni della settimana, in determinate fasce orarie (pomeridiane, serali e, nei fine settimana, anche notturne), è costretto a subire immissioni rumorose provenienti dai locali sottostanti all'appartamento a lui in uso, ove si svolge attività di ballo. Chiede, dunque, in via principale, accertato il superamento della soglia della normale tollerabilità dei rumori, che le convenute siano condannate a cessare ogni attività rumorosa eccedente il predetto limite e/o ad adottare le misure idonee ad eliminare le propagazioni sonore. In ogni caso, chiede il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti in seguito alle esposizioni sonore. In via subordinata, chiede che venga riconosciuto un equo indennizzo per la diminuzione di godimento della sua abitazione, nonché per le lesioni arrecate alla sua salute ed alla sua qualità di vita. Preliminarmente all'esame del merito delle domande attoree, si ritiene utile una premessa circa il criterio che deve essere utilizzato al fine di stabilire se i rumori superino la soglia della normale tollerabilità, secondo i criteri elaborati dalla Suprema Corte. Orbene, secondo l'orientamento di legittimità ormai consolidato, l'eccedenza delle immissioni rispetto alla normale tollerabilità non va rilevata tenuto conto dei limiti massimi dettati dalla legge quadro sull'inquinamento acustico (L. n. 447 del 1995) e dalle annesse disposizioni del D.P.C.M. datato 1 marzo 1991 e del D.P.C.M. del 1997, in quanto tali provvedimenti normativi, fissando i limiti oltre i quali la fonte rumorosa è da considerarsi di per sé illecita, contengono norme volte a tutelare l'interesse pubblico ambientale e non già a regolamentare i rapporti tra i privati. L'indagine per l'individuazione della soglia di normale tollerabilità va, invece, effettuata alla stregua dei principi ricavabili dall'art. 844 c.c. (Cass. sent. n. 1418/2006, costantemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità e di merito successiva). In altri termini, alla materia delle immissioni sonore atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione non è applicabile la L. 26 ottobre 1995, n. 447 sull'inquinamento acustico, poiché tale normativa come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici, disciplinando, in via generale ed assoluta, e solo nei rapporti c.d. verticali fra privati e la p.a., i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. La disciplina delle immissioni moleste nei rapporti fra privati va rinvenuta, dunque, nell'art. 844 c.c., alla cui stregua, anche laddove dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarità della situazione concreta. Il D.P.C.M. datato 1 marzo 1991, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell'attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno. La Suprema Corte ha statuito che se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. nei rapporti tra privati e, pertanto, ritenersi illecite anche sotto il profilo civilistico. Di converso, l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può fare ritenere senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere formulato in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono a sovrapporsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo). In buona sostanza, la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restano compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio, e, dall'altro lato, alla situazione locale. La Suprema Corte, basandosi anche su nozioni di comune esperienza, ha ritenuto che nei rapporti tra privati, la soglia di tollerabilità sia superata allorché il rumore stesso sia di intensità doppia rispetto al rumore di fondo, come sopra definito. In termini di misure scientifiche, ha specificato che l'uomo è già in grado di percepire variazioni di un solo decibel e che, tenuto conto che la misurazione in decibel si basa su una scala logoritmica, un aumento di 3 decibel corrisponde già ad un raddoppio dell'intensità del suono. Ne deriva che il limite di tollerabilità cui far riferimento è dato da un aumento di 3 decibel rispetto al rumore di fondo anche nelle ore diurne (criterio di matrice giurisprudenziale, costantemente seguito a partire dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 4848 del 2013). Con particolare riferimento alla disciplina delle immissioni connesse all'espletamento di attività produttive, la giurisprudenza ha ritenuto che "La norma sulla disciplina delle immissioni di cui all'art. 844 cod. civ., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da considerarsi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva del prolungamento di un'attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze dell'attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorché iniziata anteriormente all'edificazione dell'immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l'inquinamento atmosferico" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8420 del 11/04/2006 ed in termini successivamente vedasi Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5564 del 08/03/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 939 del 17/01/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20927 del 16/10/2015; Sez. 2, Sentenza n. 1606 del 20/01/2017). Tanto detto, il consulente tecnico, nel caso di specie, ha accertato (pag. 7 relazione) che "In riferimento al parametro comparativo, sottraendo al rumore ambientale il valore dei residui misurati nella stessa giornata, si hanno invece valori superiori ai 3 dBA: (LAeq M3 - LAeq M1) = 32.0 - 27.8 = 4.2 dBA (LAeq M3 - LAeq M4) = 32.0 - 26.3 = 5.7 dBA Dove: - LAeq M3 (come detto) è la misura rappresentativa del rumore ambientale rilevato dalle 18 e 29 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 16 minuti, in camera del sig.L. durante la lezione di Popping in corso nella sala D; - LAeq M1 è la misura rappresentativa del rumore residuo rilevato dalle 17 e 22 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 15 minuti, in camera del sig.L. senza nessuna attività nella scuola di ballo; - LAeq M4 è la misura rappresentativa del rumore residuo rilevato dalle 19 e 20 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 10 minuti, in camera del sig.L. senza nessuna attività nella scuola di ballo". Come rilevato dallo stesso CTU, anche nelle misurazioni effettuate in altri giorni e non presidiate i valori registrati non si sono discostati da quelli appena sopra indicati. Pertanto, applicando il criterio comparativo, il CTU ha accertato il valore differenziale superiore ai 3 decibel. La successiva attività di accertamenti integrativi condotti dal CTU al fine di rilevare la realizzazione di opere insonorizzanti nei locali delle convenute ha consentito di appurare come effettivamente i locali siano stati insonorizzati mediante l'apposizione di panelli, che i CTU, con l'ausilio di un esperto, hanno indicato come realizzata circa quattro anni prima (dunque prima dell'inizio delle operazioni peritali). Alle osservazioni avanzate sul punto dal CTP di parte attrice, i CTU hanno fornito risposte coerenti e condivisibili sul piano tecnico. Pertanto, deve ritenersi che tali opere non abbiano influito sulle risultanze delle indagini tecniche condotte in sede di consulenza, che in ogni caso hanno evidenziato il superamento del limite di tollerabilità delle immissioni sonore. Le risultanze della CTU confortano e sono coerenti con gli altri elementi istruttori acquisiti. Ci si riferisce alla documentazione prodotta da parte attrice, attestante le diverse segnalazioni rivolte dal L. al Comune di Bologna (doc. 6 parte attrice) o direttamente alle controparti (docc. 7, 8, 9, 10 parte attrice). Inoltre, sono stati documentati sopralluoghi effettuati dalla Polizia Locale di Bologna su richiesta dell'attore a causa dei rumori (docc. 23 e 24 di parte attrice). Sul punto è stato escusso il teste Isp. G.D.N., responsabile del reparto di Polizia Commerciale di Bologna, che ha confermato che a novembre 2019, una pattuglia si era recata sul posto su segnalazione dello stesso attore relativa a rumori molesti e aveva applicato una sanzione, pur non ricordando quale sia stata la violazione contestata. A riprova della perdurante situazione di immissioni sonore intollerabili provenienti dal piano terra, l'attore ha altresì prodotto (doc. 15) la disdetta del contratto di locazione dell'immobile sito al piano primo dello stabile (doc. 14), locato dalla società L. s.r.l., giustificata, tra l'altro, anche dal "perdurare negli anni della situazione di rumore, causata da livelli alti di musica provenienti dai locali posti al piano terreno, a tutte le ore del giorno e fino a tarda notte che disturba il normale svolgimento delle attività lavorative d'ufficio". Alla luce del suddetto quadro istruttorio devono ritenersi provate le doglianze attoree circa le immissioni sonore provenienti dai locali, rispettivamente, di proprietà e in uso alle convenute. Tali immissioni acustiche devono essere considerate, secondo i criteri previsti dall'art. 844 c.c., eccedenti la normale tollerabilità per gli occupanti degli immobili attigui. A tal fine si deve considerare che i locali da cui provengono i rumori si trovano al piano terra di un edificio occupato dall'attore (che vi ha stabilito la sua residenza) e da altre attività commerciali, come si desume da quanto asserito dall'attore e non contestato dalle controparti. Considerato, pertanto, lo stato dei luoghi e l'uso a cui le parti hanno destinato gli immobili da loro occupati, deve ritenersi che, quanto ai criteri previsti dall'art. 844 c.c., e in particolare quanto alla necessità di contemperare le esigenze dell'esercizio dell'attività esercitata con le ragioni del proprietario attore, seguendo i principi espressi dalla giurisprudenza sopra richiamata, le immissioni acustiche devono ritenersi illecite, avuto riguardo ai valori raggiunti ed ai possibili effetti dannosi per la salute (in applicazione dell'art. 32 Cost.); bene, quest'ultimo, da considerarsi valore prevalente rispetto alle esigenze delle attività produttive. Il superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni si desume, in particolare, non solo e non tanto dagli accertamenti tecnici condotti (che comunque hanno accertato il superamento del limite di tollerabilità come sopra individuato, rilevante ai sensi dell'art. 844 c.c.), ma anche dal resto delle risultanze istruttorie, comprovanti il perdurare di una situazione in cui l'attore è stato costretto a subire rumori molesti causati proprio dall'attività di ballo esercitata nei locali delle convenute. Tali rumori si sono protratti per diverse ore al giorno, talvolta fino a notte, con assidua frequenza settimanale, disturbando il normale svolgimento della vita quotidiana dell'attore e minando la sua serenità, fino a ripercuotersi sul suo stato di salute. Per effetto di tali immissioni si è verificata una rilevante compressione di diritti fondamentali di parte attrice, quali il diritto alla piena e soddisfacente fruizione della proprietà privata della propria abitazione, ed altresì dei diritti della personalità, ovvero al godimento del riposo, con conseguente rilevante peggioramento delle sue condizioni ed abitudini di vita quotidiane. Pertanto, può trovare accoglimento la domanda volta all'adozione di misure necessarie a ridurre le immissioni sonore ed a ricondurle sotto la soglia di tollerabilità; misure che consentano di contemperare l'esigenza di prosecuzione delle attività svolte nei locali adibiti a scuola di ballo e le esigenze dell'attore di godere pienamente della propria abitazione senza subire immissioni moleste e ad una libera esplicazione delle proprie abitudini di vita. Sul punto, nel rispondere al quesito in ordine alle misure più idonee da adottare per ricondurre le immissioni entro i livelli di normale tollerabilità, il CTU (pag. 9 relazione) ha evidenziato come l'unica possibilità sia quella di evitare l'utilizzo della sala D per "attività con balli e diffusione di musica, e riservandola esclusivamente per corsi che possono essere svolti sia senza passi e salti sul pavimento, sia senza necessariamente la diffusione di musica"; ciò in considerazione del fatto che la predetta sala risulta essere già insonorizzata e che pertanto residuano pochi margini per migliorare le prestazioni di contrasto alla trasmissione del rumore. Non involgendo modifiche strutturali dei locali ma unicamente le modalità del loro utilizzo, detta misura può essere imposta anche alla conduttrice dei locali. Devono altresì trovare ristoro i pregiudizi patiti, in ossequio all'orientamento della Suprema Corte che, proprio in riferimento alle immissioni di rumore, ha affermato che: " Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. "comunitarizzazione" della Cedu (Cass. n. 20927 del 16/10/2015)". Nel caso di specie è stato peraltro accertato il danno biologico lamentato dall'attore: va rammentato a tal proposito l'orientamento espresso dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo il quale è sempre necessario provare che le immissioni rumorose abbiano effettivamente causato un danno alla salute, non potendosi presumere che le stesse provochino in ogni caso un danno da stress (Cass., 18.01.2006, n. 828; Cass Sez. 3, Sentenza n. 25820 del 10/12/2009; in termini Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4394 del 20/03/2012; Cass. Sez. U., Sentenza n. 2611 del 01/02/2017). La CTU medico-legale espletata ha sul punto così concluso all'esito degli accertamenti svolti (pagg. 25-26 relazione): "in base ai dati attualmente ostensibili ed alla luce delle risultanze della consulenza psichiatrica espletata dal Prof. F., sussiste la prevalente probabilità che la prolungata esposizione alle immissioni rumorose abbia cagionato lo sviluppo di disturbi del sonno, che hanno a loro volta determinato la patologia psichiatrica diagnosticata dal Prof. F., ossia un Disturbo dell'Adattamento a componente prevalentemente ansiosa di gravità moderata, che configura un danno biologico dell'8%". Il CTU ha pertanto ravvisato un nesso causale tra l'esposizione prolungata alle immissioni rumorose del periziato ed i disturbi del sonno, fonte a loro volta del disturbo dell'adattamento a componente prevalentemente ansiosa. In particolare, il CTU ha ritenuto soddisfatta, alla luce del parere specialistico redatto dal Prof. F., "un'adeguata efficienza lesiva tra la prolungata esposizione alle immissioni rumorose e lo sviluppo disturbi del sonno e stati ansiosi-depressivi". Ha poi ritenuto rispettati i restanti criteri tradizionalmente elaborati dalla dottrina per affermare la sussistenza del nesso causale nella causazione di uno stato patologico (quali il criterio il criterio cronologico, il criterio topografico, il criterio della continuità fenomenica, il criterio della esclusione delle altre cause, il criterio della ammissibilità o possibilità scientifica, il criterio statistico-epidemiologico, il criterio anatomo-patologico), "per lo meno con riferimento ad un criterio di prevalente probabilità" (pag. 21 relazione). Le risultanze del CTU appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina della documentazione prodotta dalla parte e dei fatti in contestazione e si presentano acquisite con criteri corretti e con iter logico ineccepibile, non inficiato dalle osservazioni dei CTP a cui il CTU ha fornito adeguata e convincente replica. Esse possono pertanto essere pienamente condivise e fatte proprie da questo Giudice ai fini delle valutazioni da assumere nel giudizio de quo. Alla luce di tali risultanze, può pertanto essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute lamentato, essendo emerso che il disturbo accertato è causalmente riconducibile all'esposizione alla fonte di rumori che superano la soglia di tollerabilità. Del risarcimento devono essere chiamate a rispondere entrambe le convenute, l'una quale conduttrice dei locali, esercente l'attività di ballo, l'altra quale proprietaria dell'immobile. A tale ultimo proposito, si richiama l'orientamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 4908/2018 e Cass. n. 29784/2023), secondo cui "la responsabilità ex art. 2043 c.c. per i danni derivanti dalle immissioni può essere inoltre affermata nei confronti del proprietario, locatore del bene, soltanto quando si accerti in concreto che, al momento della stipula del contratto di locazione, il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi, impiegando la diligenza di cui all'art. 1176 c.c., che il conduttore avrebbe certamente recato danni a terzi con la propria attività". Nel caso di specie, la proprietaria Ci. s.r.l. era assolutamente in grado di prefigurarsi che l'attività esercitata dalla conduttrice provocava danni o disturbo ai terzi occupanti gli immobili attigui, anche alla luce delle diverse mail inoltrate alla predetta convenuta con cui l'attore lamentava il disturbo arrecato dai rumori provenienti dai locali nel corso delle attività ivi svolte (v. docc. 7 - 10 attore); problematiche già peraltro rappresentate nel 2014 dal conduttore dei locali del seminterrato (M.M.I. s.p.a. - v. docc. 20 -21), prima che, con l'acquisto da parte della Ci. s.r.l. dell'intero piano terra, l'attività di ballo fosse esercitata anche nella zona direttamente sottostante all'appartamento in uso al L.. Passando alla quantificazione del risarcimento, in applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (edizione 2021), considerata l'età dell'attore al momento dei fatti (anni 62) e la misura del danno biologico accertato dal CTU (8%), si ritiene congruo liquidare l'importo di Euro 10.831,00 per i danni non patrimoniali richiesti da parte attrice (biologico/dinamico-relazionale). La somma come sopra determinata sulla base delle tabelle attualmente in vigore deve essere previamente devalutata, in base agli indici ISTAT del costo della vita, alla data del sinistro, che nel caso di specie, essendo ancora in corso le immissioni al momento della domanda, si fa coincidere con la data della stessa, ossia il 15.12.2020. In applicazione del criterio messo a punto nella sentenza delle Sezioni Unite del 17.2.1995 n. 1712, occorre poi calcolare gli interessi compensativi, al tasso legale, su tale somma progressivamente rivalutata anno per anno fino alla pronuncia odierna, da cui cominceranno a decorrere i soli interessi legali. Parte attrice ha chiesto anche la refusione dei costi delle consulenze elaborate prima dell'instaurazione del giudizio (come da fattura del Dott. Ca. del 24.9.2020 e del Prof. Ca. del 6.10.2020). Tuttavia, tale domanda non può essere accolta in quanto, trattandosi di voce di danno patrimoniale, doveva essere provato nei limiti delle preclusioni processuali, mentre le fatture delle spese sostenute sono state prodotte tardivamente. Discorso diverso deve farsi per le spese di CTP, su cui si provvede come di seguito. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione dell'importo liquidato. Stante l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell'attore con delibera di ammissione del 14.4.2023, su domanda dell'1.2.2023, le spese per la fase successiva alla domanda di ammissione e pertanto relative alla sola fase decisionale (dimezzate ai sensi dell'art. 130 D.P.R. n. 115 del 2002), vanno versate in favore dell'Ex.. Le spese di CTU, come già liquidate, sono poste definitivamente a carico delle parti convenute in solido, con conseguente onere di rimborso delle spese eventualmente anticipate da parte attrice. A quest'ultima vanno altresì refuse le spese sostenute per CTP nel corso del giudizio, per l'ammontare di Euro 610,00 (dott. Ca.) ed Euro 732,00 (Prof. Ca.). Non possono essere riconosciute le spese sostenute e fatturate alla Ta. s.r.l., parte estranea al presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: - condanna le convenute ad attuare le misure idonee a ricondurre le immissioni sonore nei limiti di tollerabilità, come individuate in sede di CTU ed indicate in parte motiva; - condanna le convenute in solido a versare a parte attrice, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di Euro 10.831,00, oltre rivalutazione ed interessi come in parte motiva; - condanna le parti convenute in solido a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in Euro 786,00 + 610,00 + 732,00 per spese, nonché Euro 3.376 per compensi, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A., se dovuti e nelle aliquote legali in favore della parte, ed a versare la somma di Euro 850,50, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. in favore dell'Ex.; - pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti convenute in solido, con condanna al rimborso di quelle eventualmente anticipate da parte attrice. Così deciso in Bologna l'11 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 12.12.2023, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Fi.Da., nato a P. il data (...), residente in Corso U. n. 314 M. (P.), con domicilio eletto ai sensi dell'art. 161 c.p.p. presso Avv. Ce.Bo. del Foro di Pescara Via (...) Pescara LIBERO/ASSENTE Difensore di fiducia: Avv.to Ce.Bo. del Foro di Pescara IMPUTATO: A) Del delitto p. e p. dall'art. 612 bis c.p., poiché, quale locatario, in Montesilvano, di un appartamento posto nel condominio "Al." di C.so (...), incideva, con un arnese appuntito, sulla parete interna dell'ascensore condominiale, in reiterate occasioni ( e nonostante i continui intervento di ripristino deposti dall'amministratore condominiale), scritte ingiuriose ed offensive nei confronti del condomino De.Pa. (quali "De.Po.", "De.Fi.", "De.Fi.", "De.Ma." e similari), e tale condotta persecutoria (attuata nella convinzione di poter rimanere anonimo) procurava al malcapitato ( ivi abitante dal 1987, senzaaver avuto mai problemi, e divenuto all'improvviso vittima, sempre nell'ambito condominiale, di altri atti vandalici ai danni della propria autovettura e della porta dell'abitazione, nonché destinatario di un foglio, con sopra stampata la foto di una pistola con proiettili, rinvenuto all'interno della cassetta postale) un perdurante e grave stato di ansia e di paura (convinto di essere spiato e controllato), dimostrandosi, peraltro, il Fi. ben poco collaborativo quando il De. lamentava le infiltrazioni d'acqua provenienti dal suo appartamento ( che venivano riparate con difficoltà e scarsa collaborazione). In Montesilvano, dal 03.12.2018 al 24.09.2020 (querele dal 24.12.2018 al 10.09.2020) Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale PARTE CIVILE: De.Pa., nato a V. il (...), residente in Corso U. n. 314 M. (P.), difeso dall'Avv.to Ro.Au. del Foro di Pescara; MOTIVI DELLA DECISIONE Il G.U.P. disponeva il rinvio a giudizio di Fi.Da. in relazione al fatto di reato riportato in epigrafe; si costituiva parte civile De.Pa.. Veniva disposta la rinnovazione degli atti, per essere mutato il Giudicante, e, all'udienza del 12.12.2023, espletata l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come da verbale. Osserva il Giudicante che, alla luce di tutte le risultanze dibattimentali, risulta incontestabilmente dimostrata la penale responsabilità del prevenuto. Occorre premettere che la vicenda può essere ricostruita compiutamente attraverso l'esame delle dichiarazioni rese dai testi escussi e della documentazione acquisita. Il teste De.Pa. riferisce che il prevenuto, dal mese di marzo dell'anno 2018, aveva posto in essere nei suoi confronti reiterate condotte persecutorie tali da creargli ansia e turbamento. Il teste asserisce di aver dovuto riparare varie volte lo sportello della propria cassetta postale, in quanto quest'ultima veniva danneggiata ripetutamente. Il teste asserisce di aver rinvenuto all'interno della propria cassetta postale un foglio (...) su cui era stampata la fotografia di una pistola con dei proiettili. Il teste allega di aver subito dei danni alle proprie autovetture, in quanto, in distinte occasioni, le gomme della propria Fiat 600 erano state tagliate. Il teste precisa che, reiteratamente, all'interno dell'ascensore condominiale venivano scritte delle frasi ingiuriose e diffamatorie del seguente tenore: "De.Ma.". Il teste adduce che il malfattore, nonostante l'amministratore del condominio si attivava per rimuovere le scritte, le riproduceva reieteratamente. Il teste asserisce che, nel mese di settembre dell'anno 2018, veniva scagliato contro la porta del proprio appartamento un pezzo di metallo. Il teste precisa che, in orario notturno, dall'appartamento sovrastante, in cui abitava l'imputato, provenivano infiltrazioni d'acqua; parimenti si udivano colpi ripetuti sul soffitto del palazzo che provocavano uno stato di timore in tutti i condomini. Il teste asserisce che le condotte persecutorie determinavano in danno del proprio nucleo familiare ansia e paura: tali per cui il teste impediva ai propri figli di uscire da soli. Il teste To.Mu., amministratore del condominio sito in M. C.so (...), riferisce di aver dovuto più volte incaricare una ditta manutentrice per rimuovere le scritte ingiuriose, apparse all'interno dell'ascensore del condominio, riferite al Sig. De.Pa.. Il teste asserisce che, dall'appartamento sovrastante a quello del Sig. De., occupato dal prevenuto, provenivano infiltrazioni d'acqua. Il teste precisa che tali infiltrazioni furono eliminate attraverso l'intervento dell'agente immobiliare che si occupava della gestione di tale appartamento, in quanto il Sig. Fi. si era mostrato poco collaborativo. Il teste Brigadiere Fr.So., in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Montesilvano, riferisce di aver visionato, a seguito della querela presentata dal Sig. De., i filmati effettuati dalle telecamere istallate all'interno dell'ascensore e nel condominio e di aver constatato che Fi.Da. era il soggetto che, utilizzando, un corpo contundente, vergava le frasi diffamatorie sulle pareti. Il consulente del P.M. Al.Go., per mezzo del filmato indicato dal teste So., dopo aver esaminato le modalità grafiche in cui l'imputato aveva vergato le frasi ingiuriose in danno del querelante, poteva certificare che il Fi. era il soggetto che aveva scritto tutte le frasi apparse nell'arco temporale che andava dal 2018 al 2020. Per completezza, si segnala che in atti veniva acquisita la consulenza tecnografica eseguita dalla D.ssa Al.Go., unitariamente all'allegata documentazione fotografia costituita dalle manoscritture vergate sulle pareti dell'ascensore condominiale. La certificazione sanitaria attesta che, nel periodo in oggetto, il querelante si era affidato alle cure del Dr. Lu.Ci., il quale gli aveva prescritto una visita psichiatrica ed una cura farmacologica. Così compendiate le risultanze dibattimentali, è buona regola precisare che, anche nel nuovo rito processuale, le persone offese o danneggiate dal reato assumono, quando invochino in sede penale l'accertamento del fatto costitutivo del loro diritto al risarcimento o alle restituzioni, la qualità di testimoni con modalità e contenuti che non si differenziano dal ruolo delle deposizioni rese da persone estranee agli interessi coinvolti nel processo penale. Pertanto, in forza del principio del libero convincimento del Giudicante, si segnala che anche le dichiarazioni della persona offesa (perfino se costituitasi parte civile) possono concorrere alla decisione, purché ne vengano valutate la credibilità e la fondatezza (Cfr. Cass. n. 766/97). Ciò posto, deve ribadirsi che, in tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa (Cfr. Cass. Sez. V, Sentenza n. 21135 del 26/03/2019) costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione. Sul punto, si rileva che la persona offesa De.Pa. ha descritto le condotte persecutorie poste in essere dal prevenuto in maniera genuina e precisa. Peraltro, occorre considerare che quanto addotto dalla querelante ha trovato esaustivi elementi di riscontro nelle dichiarazioni concordanti di tutti i testi escussi e dalle risultanze dei filmati indicati, che attestano come il prevenuto reiterava la scrittura di frasi diffamatorie (vergate nell'ascensore) in danno della parte offesa. Ciò posto è incontestabile che il Fi., nell'arco temporale indicato nell'imputazione, perseguitava il querelante reiterando, quasi senza soluzione di continuità, la scrittura di frasi diffamatorie negli ambienti condominiali e producendo rumori molesti in orario notturno. Con riguardo al delitto si cui all'art. 612 bis c.p., va osservato che tale ipotesi delittuosa sanziona chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Con tale reato, dunque, vengono ritenuti penalmente rilevanti e meritevoli di sanzione i comportamenti che consistono in un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati che inducono nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore. Ebbene, il comportamento assunto nella specie dal Fi. rientra certamente a pieno in tale previsione normativa, avendo assunto reiteratamente una serie di comportamenti con i quali ha provocato alla querelante stati di afflizione, mediante ripetuti atti persecutori (in diritto, preme ricordare che integrano il reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis cp anche due sole condotte, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalle norme incriminatrici: Cfr. Cass. n. 46331/13), comportamenti questi tali da ingenerare nella parte offesa evidenti condizioni di disagio, ansia e di timore per la propria incolumità, tali da condizionarne il proprio stile di vita e quello dei propri familiari (Cass. Pen. Sez. VI, n.3795/2021). Le ripetute condotte persecutorie hanno certamente influito negativamente sulle scelte di vita della persona offesa che si vedeva costretta, inopportunamente, ad affrontare le problematiche esistenziali create dall'imputato, così da non poter esprimere liberamente le proprie determinazioni ed affrontare con serenità ed autonomia le vicende della vita: ciò imponeva di mutare il proprio atteggiamento comportamentale per il timore di essere perseguitato dalla controparte. In sostanza, l'esistenza degli atti persecutori viene provata da una serie di elementi indiscutibili e da indizi gravi, precisi e concordanti. Nella determinazione della sanzione occorre considerare che a carico del prevenuto risultano iscritti, nel certificato penale, numerosi precedenti: circostanza che è di ostacolo alla concessione di qualsivoglia beneficio di legge. Peraltro, poiché i precedenti sono risalenti nel tempo, può disapplicarsi la recidiva contestata. Fatte queste premesse e visto l'art. 133 c.p., pena equa per Fi.Da. è anni uno di reclusione, a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali. L'accertamento della penale responsabilità impone la condanna del prevenuto al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile nella misura che verrà determinata in separata sede. Le spese dell'azione civile, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico esclusivo dell'imputato. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Fi.Da. colpevole del reato lui ascritto e lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 538 c.p.p., condanna Fi.Da. al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile De.Pa. nella misura che verrà liquidata in separata sede; Visto l'art. 541 c.p.p., condanna Fi.Da. alla refusione delle spese di lite in favore della costituita parte civile De.Pa. che si liquidano in Euro 2.827,00, di cui Euro 27,00 per spese e la restante parte per competenze, oltre IVA e CAP come per legge e rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% sulle competenze. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 12 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE SENTENZA Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Anna Battaglia ha pronunciato all'udienza del 13 ottobre 2023 la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di: Be.Fr., nato a P. E. il (...), residente a U. in via St. n. 6, con domicilio eletto a P. degli A., via Ma. n. 13 - già presente, sottoposto alla misura cautelare ex artt. 282 bis e ter c.p.p. - assistito di fiducia dai difensori avv.ti Sara Baiano del Foro di Trieste e Francesco Caratozzolo del Foro di Termini Imerese; IMPUTATO Per i seguenti reati: a) il delitto p. e p. dall'art. 572, perché maltrattava abitualmente la propria moglie, St.Ro., insultandola, con frequenza almeno bisettimanale dal gennaio 2020, con termini quali "troia, puttana, non sei degna di avere una famiglia e di essere venuta al mondo, zingara, è per colpa del tuo carattere di merda che tua madre non vuole vederti, non capisci niente, sei un'oca, sei una lesbica, non vali niente", denigrando la sua famiglia di origine e minacciandola con espressioni quali: "la prossima volta ti distruggo", nonché, con frequenza pari ad almeno quattro-cinque volte all'anno dal 2016, rompendo gli arredi dell'abitazione familiare, gettandoli a terra e lanciando i coltelli ed i pesi del bilanciere contro le porte dell'abitazione familiare, nonché percuotendola con spinte e, da ultimo, a partire dall'ottobre 2020, controllandole d'imperio il telefono cellulare contro la sua volontà per leggere i messaggi e pretendendo di conoscere in anticipo tutti i suoi spostamenti e, quindi, in un'occasione, scagliandole addosso tutti gli oggetti che aveva trovato in cucina, cercando di colpirla, poi, nel novembre 2020, dopo che la donna era rientrata a casa dal parrucchiere, apostrofandola con le seguenti frasi: "che cazzo sei andata a fare in giro da stamattina alle sette e mezza, sei andata a scopare in giro? Brutta troia, vai con più uomini contemporaneamente, sei una suca cazzi", gettandole contro delle ciotole di ceramica contenenti il cibo che ella aveva preparato e spingendola violentemente e così facendole sbattere la testa contro il muro e picchiandola con pugni e calci all'addome ed alle gambe, nonché, in data 1.12.2020, spingendola contro il muro e facendole colà sbattere la nuca, colpendola con pugni in viarie parti del corpo, afferrandola per i capelli e tirandole la testa verso il pavimento, cosi cagionandole contusioni multiple al rachide cervicale, alla spalla sinistra, alla caviglia destra, giudicate guaribili in dieci giorni, dopo averla ripetutamente minacciata anche di morte con un martello e dopo avere danneggiato innumerevoli oggetti presenti all'interno dell'abitazione familiare, e, quindi, dopo essersi successivamente allontanato da casa in seguito all'intervento delle forze dell'ordine avvenuto in tale occasione, contattandola mediante messaggi whatsapp e telefonate, così costringendola a bloccare il suo contatto e, poi, presentandosi presso la sua abitazione e suonando il campanello sia in data 5.1.2021, sia in data 7.1.2021, cosi costringendola a richiedere l'ennesimo intervento delle forze dell'ordine In Trieste, presso l'abitazione familiare, dall'anno 2016 in attuale permanenza b) il delitto p. e p. dagli artt. 582, 585, 576, comma 1, n. 1 in relazione all'art. 61, comma 1, n. 2 e/o 576, comma 1, n. 5 e 61, comma 1, n. 11 quinquies c.p., perché cagionava alla propria moglie convivente, St.Ro., contusioni multiple al rachide cervicale, alla spalla sinistra, alla caviglia destra, giudicate guaribili in dieci giorni, spingendola contro il muro e facendole colà sbattere la nuca, colpendola con pugni in viarie parti del corpo, afferrandola per i capelli e tirandole la testa verso il pavimento, dopo averla ripetutamente minacciata anche di morte con un martello e dopo avere danneggiato innumerevoli oggetti presenti all'interno dell'abitazione familiare. Con le aggravanti dell'avere commesso il fatto in danno del coniuge e per eseguire il reato di cui al summenzionato capo a). In Trieste, il 1 dicembre 2020 c) il delitto p. e p. dall'art. 612bis, comma 2, c.p., perché reiteratamente molestava la propria moglie convivente, St.Ro., in modo da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia o paura e/o da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità e ciò faceva, in particolare, dopo avere posto in essere le condotte di cui ai summenzionati capi a) e b) e, quindi, essersi allontanato dall'abitazione familiare in seguito all'intervento delle forze dell'ordine in data 1-2.12.2020, contattandola mediante messaggi whatsapp e telefonate, così costringendola a bloccare il contatto del prevenuto e, poi, presentandosi presso la sua abitazione e suonando il campanello sia in data 5.1.2021, sia in data 7.1.2021, cosi costringendola a richiedere l'ennesimo intervento delle forze dell'ordine. Con 1'aggravante dell'essere il fatto stato commesso da soggetto (già) legato da relazione affettiva alla persona offesa. In Trieste, dal 1 dicembre 2020 in attuale permanenza (reato procedibile d'ufficio in quanto connesso con il delitto di cui al summenzionato capo a) d) il delitto p. e p. dall'art. 387bis c.p., perché essendo sottoposto alla misura cautelare di cui all'art. 282bis c.p.p. e dall'artt. 282ter c.p.p. giusta ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale Ordinario di Trieste emessa per questa causa in data 23.1.2021, si recava nei pressi dell'abitazione della persona offesa St.Ro., dove veniva rintracciato, nei pressi del portone del relativo stabile, dal personale in servizio presso la Squadra Mobile di Trieste. In Trieste, il 1 marzo 2021 e) la contravvenzione p. e p. dall'art. 658 c.p., perché, effettuando una chiamata al servizio 113 della Guardia di Finanza di Gorizia con la quale segnalava falsamente che la propria moglie St.Ro. aveva subito una rapina all'interno della propria abitazione sita a T. in viale X. St. n. 24 e cosi annunziando un pericolo inesistente, suscitava allarme presso la pubblica autorità. In Trieste, il 1 "marzo 2021 Recidiva reiterata specifica infraquinquennale ex art. 99. comma 4, c.p. Parte civile: St.Ro., nata a T. il (...); difesa dall'avv. Gi.Br. del Foro di Trieste; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione a giudizio emesso dal G.u.p. Be.Fr. era tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui alla rubrica. Fatti per i quali, con ordinanza del G.i.p. dd. 23.1.2021, venivano applicate le misure cautelari di cui agli artt. 282 bis e ter c.p.p. (successivamente aggravate con la misura degli arresti domiciliari e poi ripristinate con ordinanza del 15.5.2021). All'udienza del 4.3.2022, stante la regolarità della notifica e la nomina fiduciaria, il Giudice ordinava procedersi in assenza dell'imputato. Il difensore, in via preliminare, avanzava istanza di perizia psichiatrica volta ad accertare la capacità dell'imputato (anche a partecipare al processo) e depositava documentazione a supporto della richiesta (comprensiva di un file video depositato su chiavetta USB); istanza rispetto alla quale il P.m. e il difensore di parte civile si opponevano. Il Giudice, considerata la corposità della documentazione, si riservava la valutazione all'esito dell'esame della stessa e rinviava all'udienza successiva. All'udienza del 25.3.2022, preso atto della documentazione video e medica prodotta (e integrata dalla difesa e dalla parte civile all'udienza), ritenuto necessario l'accertamento tecnico richiesto, disponeva perizia psichiatrica dell'imputato riservando l'individuazione del perito. All'udienza del 13.5.2022 si procedeva al conferimento dell'incarico nei confronti del medico psichiatra dott. St., il quale successivamente comunicava di non aver potuto espletare l'incarico stante l'impossibilità di esaminare l'imputato che, essendo domiciliato in Sicilia, non si era presentato alle operazioni peritali adducendo e documentando problematiche di salute. All'udienza del 14.10.2022, sentite le parti e tenuto conto della documentazione medica depositata dalla difesa attestante le precarie condizioni di salute dell'imputato che ne impedivano gli spostamenti dal domicilio, veniva disposta la sostituzione del perito per causa a lui non imputabile ma per ragioni di necessaria opportunità e vicinanza. Le parti prestavano il consenso al conferimento dell'incarico e al successivo esame del perito a mezzo collegamento teams. All'udienza del 18.11.2022 veniva conferito incarico peritale al dott. Ma.Ma., presente mediante collegamento da remoto, al quale veniva concesso termine di giorni quaranta per l'espletamento dell'incarico. All'udienza del 3.2.2023, con il consenso delle parti, non si dava corso all'esame del perito e veniva acquisita la relazione da questo redatta; preso atto delle conclusioni del perito che confermava la capacità dell'imputato a partecipare coscientemente al processo, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove come richieste dalle parti (escludendo i testimoni indicati dalla difesa da nn. 1 a 4 della lista poiché indicati su temi di prova già vagliati mediante la perizia). All'udienza del 24.3.2023, preliminarmente, l'avv. Iu.Em. dichiarava di rinunciare al mandato difensivo e l'imputato, presente personalmente (e del quale veniva revocata la dichiarazione di assenza), nominava in uno con l'avv. Sara Baiano del Foro di Trieste, l'avv. Francesco Caratozzolo del Foro di Termini Imerese, presente in udienza. Si dava, dunque, corso all'esame dei testimoni di p.g. G.G., F.F., R.V., T.L., B.S. e C.A.. Con il consenso delle parti veniva acquisita: l'annotazione di p.g. dd. 1.3.2021, le trascrizioni aff. da 127 a 130, le annotazioni aff. da 165 a 170 con gli allegati tabulati. La parte civile dichiarava di rinunciare agli esami nn. 1, 3, 8 (G.), 9 (P.) e 10 (T.) della propria lista e il Giudice, nulla osservando le altre parti, ne revocava l'ammissione. L'udienza del 7.4.2023 veniva rinviata stante un legittimo impedimento dell'imputato, come da documentazione medica trasmessa dalla difesa. All'udienza del 5.5.2023, acquisita documentazione integrativa concernente l'impedimento dell'imputato alla precedente udienza, si dava corso all'esame dei testimoni Be.Da., M.T. e B.M.. Nulla opponendo le parti veniva acquisita documentazione prodotta dal difensore di parte civile e la difesa confermava il consenso (già anticipato) all'inversione dell'ordine di assunzione delle prove per la successiva udienza. All'udienza del 16.6.2023 venivano escussi la testimone F.M. e il consulente di parte civile Sa.Ba.; veniva, dunque, acquisita agli atti la relazione da quest'ultimo redatta. All'udienza del 30.6.2023, con il consenso delle parti, venivano acquisite le dichiarazioni precedentemente rese dalla persona offesa (aff. 19-21; 86-91; 97-98; 159-160), la quale veniva escussa (mediante l'ausilio del paravento) con domande a chiarimento delle parti. Venivano acquisiti i documenti n. 21 e 22 dell'elenco della difesa (ossia conversazioni whatsapp e una chiavetta USB contenente file audio) e la difesa dichiarava di rinunciare ai testimoni B.R. e B.G.; nulla osservando le parti il Giudice ne revocava l'ammissione. All'udienza del 14.7.2023 venivano escussi i testimoni indicati dalla difesa S.A.F. e T.M.. Il Giudice, nulla opponendo le parti, acquisiva la documentazione prodotta dalla difesa, la quale chiedeva, inoltre, l'ascolto in aula del file audio dd. 5.2.2019 ore 16.05.44; richiesta che veniva rigettata costituendo il file stesso fonte di prova e non essendo previsto né necessario l'ascolto dello stesso nel contraddittorio tra le parti. La difesa, a questo punto, avanzava richiesta di escussione ai sensi dell'art. 507 c.p.p. del testimone dott. M.F. in relazione agli accertamenti da questo eseguiti sull'imputato nonché nuova audizione della persona offesa St. in relazione al video dd. 18.3.2021 e alle fotografie delle valige prodotte in udienza. Il Giudice, rilevata l'insussistenza dei presupposti di assoluta necessità, rigettava l'istanza della difesa tenuto anche conto che le relazioni del dott. F. venivano acquisite agli atti con il consenso delle parti e che la St. non sarebbe stata chiamata a deporre su circostanze nuove e/o sopravvenute rispetto al suo precedente esame. Dichiarata, dunque, chiusa l'istruttoria dibattimentale, si disponeva un rinvio per la discussione. All'udienza del 15.9.2023 si dava corso alla discussione delle parti, la quale veniva completata alla successiva udienza del 29.9.2023. Il Giudice disponeva, pertanto, un rinvio per eventuali repliche. All'udienza del 13.10.2023 il P.m. dichiarava di non formulare repliche e, pertanto, il Giudice, all'esito della camera di consiglio, decideva dando lettura di separato dispositivo in udienza e riservava il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Successivamente alla pronuncia il Giudice avvertiva dell'astratta sussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p. Stante la mancata comparizione dell'imputato e non avendo formulato alcuna richiesta il difensore, il Giudice confermava il dispositivo pronunciato. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito del giudizio, celebrato nelle forme del rito ordinario, deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato Be.Fr. in ordine ai reati a lui ascritti per le ragioni di fatto e di diritto di seguito indicate. Il materiale istruttorio a fondamento delle accuse in esame si sostanzia, per lo più, nel racconto reso (nella denuncia querela dd. 2.12.2020, nelle s.i.t. dd. 5.12.2020, 7.1.2020 e 18.2.2021 e nella deposizione resa all'udienza del 30.6.2023) dalla persona offesa e parte civile costituita St.Ro., in merito al quale vanno da subito evidenziate la coerenza nella descrizione dei fatti, l'assenza di contraddizioni di rilievo e infine la circostanza che nel corso della narrazione la vittima non abbia mai trasmodato in attacchi o palesato eccessi di risentimento nei confronti dell'imputato; che, anzi, il racconto è stato reso in modo pacato, lasciando piuttosto trasparire il sentimento di grande timore e delusione della persona offesa per le conseguenze che le condotte dell'imputato e le vicende che ne sono seguite hanno determinato sull'unità familiare, nonostante i suoi sforzi tesi alla ricostituzione del rapporto e le occasioni offerte al coniuge per la ripresa della vita di coppia e familiare. È evidente, pertanto, come particolare rilievo assuma il contributo narrativo della vittima, nella disamina, appunto, del sostrato probatorio che regge l'accusa. Venendo, ora, alla vicenda oggetto dell'odierno processo, St.Ro. ha riferito di essere coniugata con Be.Fr. dal 2006; da circa cinque anni (n.d.e. e dunque dal 2015/2016, tenuto conto della data nella quale veniva sporta querela), anche dopo che era stata diagnosticata al marito una patologia bipolare avvenuta nel 2010, erano sorti alcuni problemi con progressivo aggravamento delle violenze poste in essere dall'imputato nei suoi confronti. Il primo episodio di violenza veniva collocato dalla persona offesa circa ventisei anni prima quando, il marito l'aveva presa per le spalle e l'aveva spinta contro il muro dove aveva violentemente sbattuto la testa contro le piastrelle; questo l'aveva determinata a prendere con sé il figlioletto D. e ad allontanarsi di casa per trovare rifugio a Trieste presso suo padre. Dopo quel fatto, per molto tempo, non si era più verificato alcun atteggiamento violento, ciononostante "da sempre" (cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 3) il Be. era solito rivolgersi a lei con l'epiteto troia o dandole della zingara, dicendole "non sei degna di avere una famiglia, di essere venuta al mondo'" o, seppur consapevole che questo era motivo di sofferenza per la moglie, sostenendo che era colpa del suo "carattere di merda" se la madre di lei non voleva vederla. La situazione peggiorava sino al 2018 quando la St. decideva di allontanarsi dalla casa familiare e trovava rifugio presso l'amica M.B. per poi decidere di fare rientro poiché il Be. aveva iniziato a rivolgere minacce anche all'amica. La persona offesa, da un lato, non trovava giusto che la Be. si accollasse anche i suoi problemi e, dall'altro, si convinceva di fare un ennesimo tentativo di "salvare il salvabile" al fine di evitare la loro separazione. In epoca più recente ("fino a 7/8 anni fa circa" cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 3) la coppia si trovava ad affrontare numerosi litigi, caratterizzati solo da violenza verbale, successivamente però l'imputato aveva iniziato a minacciarla con frasi del tipo "la prossima volta ti distruggo" e ad essere fisicamente aggressivo: sfogandosi su qualsivoglia oggetto gli capitasse a tiro "rompendo tavoli, televisore e tutto quello che capitava, buttando le sedie per aria, tagliando le porte con il coltelli che gli lanciava contro"', lanciando, oltre ai coltelli, i pesi del bilanciare contro le porte o per terra"', sbattendo le porte tanto da scardinarle e non riuscire più a chiuderle correttamente; il tutto era sempre corredato da plurimi insulti nei confronti della moglie quali "puttana" e "troia". La frequenza di tali comportamenti andava via via intensificandosi con il passare degli anni: se inizialmente questo accadeva una o due volte l'anno, dal 2016/2017 divenivano quattro o cinque. Secondo raccontato dalla St., a partire dal 2020 la situazione era degenerata ("da gennaio di quest'anno invece è stato un disastro" cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 4) e i comportamenti descritti venivano posti in essere dal Be. circa due volte al mese, oltre ad essere continuamente aggressivo verbalmente con frasi del tipo: "che cazzo fai, non capisci niente, sei un'oca, sei lesbica, non vali niente" che ferivano la moglie ("queste continue parole mi facevano star male, erano come uno stillicidio quotidiano" cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 4). Nel tempo l'imputato aveva anche iniziato a rivolgerle alcune spinte ("con una frequenza di tre o quattro volte l'anno" cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 4) oltre alle accuse di essere una ninfomane e di tradirlo con molti altri uomini. La St. dichiarava di vivere costantemente nel timore di disturbarlo, tanto che temeva anche di rispondere al telefono alle chiamate delle sue amiche; il Be., inoltre, pretendeva di rimanere in casa al buio con la sua compagnia silenziosa, limitando così la libertà di movimento della moglie anche all'interno della loro abitazione. Circa un paio di mesi prima della sua escussione del 5.12.2020, la persona offesa ricordava che il Be., per ragioni di gelosia, aveva cominciato a lanciare gli oggetti presenti in cucina (ivi compresa la caffettiera con ancora il caffè al suo interno) mirando poi a lei con i contenitori di plastica dello zucchero e del sale; analogamente faceva con un bicchiere che però la donna riusciva prontamente a schivare e con una scatola di legno prima che lei riuscisse a ripararsi in camera. All'esito di quell'episodio la St., per timore delle possibili reazioni del marito, aveva deciso di nascondere il ceppo porta coltelli che si trovava sul ripiano della cucina (tra la colonna del frigo e la lavastoviglie). Altra aggressione si verificava poco dopo, quando il marito, sempre per motivi di gelosia, al suo rientro a casa dopo essere stata dalla parrucchiera, iniziava a dirle: "che cazzo sei stata a fare in giro da stamattina alle sette e mezza, sei andata a scopare in giro? Brutta troia, vai con più uomini contemporaneamente, sei una suca cazzi". LLa sera, fintante che la moglie era in cucina e aveva preparato delle ciotole di cibo da riporre in frigorifero, il Be. cominciava a sbattere gli stipetti della cucina e a gettare a terra le sedie per poi prendere una delle ciotole e gettargliela addosso, colpendola a livello del costato. La moglie reagiva cercando di giustificarsi e riconducendo i suoi sospetti al frutto della sua invenzione ma l'imputato, per tutta risposta, continuava a lanciarle oggetti per poi andarle addosso e spingerla violentemente contro il muro dove sbatteva la testa. A quel punto il Be. iniziava a colpirla con pugni al tronco. Nonostante la St. tentasse di difendersi torcendogli il braccio, l'imputato non smetteva di sferrarle pugni con l'altro e a calciarla sulle gambe e sulle caviglie tanto da farla poi zoppicare, questo sempre offèndendola con i soliti epiteti "troia, bastarda, zingara". Ennesima aggressione si verificava in data 1.12.2020 quando, intorno alle ore 21.00, il Be. si alzava dal divano dove stava dormendo e si portava prima in cucina, probabilmente per recuperare un coltello, dirigendosi poi in ripostiglio dove prendeva un martello e andava dalla moglie rivolgendosi a lei affermando che questa gli avrebbe fatto fare delle figuracce accusandola di tradimento. La St., impaurita, decideva di rifugiarsi nella cameretta che era stata del figlio, dalla quale riusciva a sentire rumori provenire dal resto della casa: il Be., continuando a ripetere che la moglie era stata con altri uomini e senza smettere di insultarla, era intento a rompere vari oggetti. Successivamente l'imputato si recava nella cameretta alla ricerca della moglie, prendendo a martellate l'anta della porta (nella quale provocava dei buchi), per poi utilizzare le chiavi per chiuderla all'interno della stanza; la donna andava nel panico soffrendo di claustrofobia e inviava al figlio un messaggio vocale tramite whatsapp (che veniva ascoltato dagli operanti di p.g. nel corso dell'assunzione delle s.i.t. dd. 5.12.2020 e testualmente riportato nel verbale) chiedendogli di raggiungerla. Dopo circa una decina di minuti Be., a seguito delle implorazioni della moglie e accortosi che il cane era rimasto nel soggiorno, le apriva la porta rivolgendole una frase del tipo: "vieni a prenderti il cane, altrimenti ammazzo anche lui"; momento del quale la St. approfittava per nascondere la chiave della camera nella tasca. L'uomo, che rientrava nella stanza, si scagliava contro la scrivania in vetro, colpendola e mandandola in frantumi per poi rompere un ripiano di vetro della libreria, la stampante, il computer e il monitor che si trovavano lì. L'imputato si rivolgeva, a questo punto, nei confronti della moglie che si trovava sul letto scagliandole contro i vetri che si erano cumulati sopra alla sedia, costringendola a ripararsi con le braccia e la felpa che indossava, per poi sollevare il martello e minacciarla dapprima di colpirla in testa e poi, poggiandoglielo sul ginocchio, di colpirla sul quel punto del corpo ("appena ti muovi te lo sfascio, te lo disfo" cfr. verb. ud. 30.6.2023 pag. 7), ben consapevole che una settimana/quindici giorni prima la donna era stata ivi sottoposta ad un intervento chirurgico. L'imputato recuperava, dunque, delle forbici, sollevava il piumino e diceva "adesso taglio tutto, il copripiumino e tutto quello che c'è"-, la moglie cercava di togliergli il copripiumino dalle mani e lui, agitando le forbici all'altezza del suo tronco, le diceva "se ti muovi ti prendo, ti faccio male!". Il Be. continuava a rompere qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro per poi dirigersi in bagno dove svuotava due cassette degli attrezzi, proseguendo la sua opera di distruzione. Di tanto in tanto tornava nella stanzetta e, sempre con il martello in mano, diceva alla moglie "adesso si ricomincia, non pensare che finisce qua!". L'uomo prendeva delle valige riposte vicino al letto, ne colpiva una con il martello per poi sollevarla e scagliarla contro la St. che veniva così colpita tra la spalla e il petto; prelevava dei borselli da sopra la cassettiera e lanciava anche quelli addosso alla moglie. Successivamente l'imputato si portava in cucina dove, aperta la valvola centrale del gas (che veniva chiusa dalla moglie ogniqualvolta non doveva cucinare) attivava tutte le manopole presenti sul piano cottura bloccandole con del nastro telato; la St. accortasi di quanto stava accadendo riusciva a togliergli di mano il nastro adesivo e a chiudere tutte le valvole evitando così la perdita di gas. L'uomo, per tutta risposta, scollegava uno ad uno gli interruttori, ivi compreso quello generale, dal quadro elettrico lasciando la casa nel buio più totale e rivolgendosi alla moglie, che nel frattempo era tornata a rifugiarsi in cameretta, con una frase del tipo "non pensare di dormire perché non è finita qui". Dopo alcune ore, durante le quali la St., bloccata dal terrore, era rimasta immobile sul letto e l'imputato probabilmente si era addormentato, intorno alle 5.15 la St. riusciva a riattivare la luce e faceva per andare in bagno; in quel momento il marito la prendeva per le spalle e la spingeva contro il muro facendole sbattere la nuca. La donna, intimorita di quanto stava accadendo e, memore di un altro episodio accaduto un mese prima quando il marito le aveva sbattuto la testa contro il muro, riusciva a reagire spingendolo via. Il Be. però si riavvicinava colpendola con pugni in varie parti del corpo per poi prenderla per i capelli e tirarle la testa verso il pavimento fintanto che con l'altra mano continuava a sferrarle pugni alla schiena. La persona offesa iniziava ad urlare sperando di essere sentita da qualche vicino di casa, si divincolava e correva verso la porta d'ingresso fintante che il marito continuava ad inveire nei suoi confronti; nel timore di rimanere chiusa fuori la St. prelevava il borsello del marito, convinta che contenesse una copia delle chiavi, scappando all'esterno dell'appartamento dal quale sentiva altri rumori. La donna, convinta che se lui l'avesse seguita l'avrebbe fatto verso l'esterno dell'edificio, al fine di deviarlo, decideva di andare dalla parte opposta e di salire di un paio di piani dove trovava anche il proprio cagnolino che era ruscito a scappare poco prima di lei. A quel punto Be., uscito dalla porta di casa e accortosi di dov'era la moglie, notandola tramite le inferiate della scala, mormorava nei suoi confronti "se vengo su ti ammazzo" sicché la St. si decideva a chiamare il 112. Una pattuglia della Polizia di Stato interveniva pochi minuti dopo e lei li aspettava all'ingresso dell'edificio, salendo in casa solamente accompagnata dagli agenti. Superata l'adrenalina e iniziando a tranquillizzarsi per la presenza delle forze dell'ordine che stavano riportando la calma, la donna iniziava ad avvertire una sensazione di dolore per i colpi ricevuti, ragion per cui i poliziotti richiedevano l'intervento dei sanitari del 118 che la trasportavano presso l'Ospedale di Cattinara a Trieste. La Polizia provvedeva ad allontanare il Be. dall'abitazione. La St., in occasione delle s.i.t. rese il 5.12.2020 spiegava che negli ultimi due mesi di convivenza il marito aveva preteso di verificarle il telefono e che lei gli preannunciasse ogni suo spostamento tenendo un comportamento controllante ("se non lo facevo oppure non se ne ricordava succedeva un putiferio, iniziava a farmi mille domande, per quale motivo ero uscita, chi avevo visto e per quanto tempo ero stata fuori" cfr. s.i.t. dd. 5.12.2020 pag. 5). La persona offesa riferiva che il figlio, pur avendo sentito le offese a lei rivolte, non aveva mai assistito ad atti di violenza posti in essere dal padre nei suoi confronti; lo stesso aveva però certamente visto gli esiti, tanto che sospettava si fosse allontanato da casa loro proprio per quella ragione. Quanto alla condizione del marito la St. spiegava di averlo conosciuto 34 anni prima, quando era appena uscito da una dipendenza da sostanze stupefacenti mentre di recente l'uomo era uso bere due o tre bicchierini di grappa; circa una decina di anni prima gli era stato diagnosticato il bipolarismo ed era in cura presso il Sert con l'utilizzo di metadone. Successivamente a quanto accaduto la notte tra 1'1 e il 2 dicembre 2020, e dunque dal suo allontanamento dalla casa familiare, in data 7.1.2021 la St. veniva nuovamente escussa dalla Questura di Trieste; occasione nella quale riferiva che il Be. aveva più volte cercato di contattarla inviandole messaggi tramite whatsapp e telefonandole, costringendola a bloccarlo. In data 5.1.2021 l'imputato, dopo aver incontrato il figlio, si era inoltre recato sotto l'abitazione della moglie, la quale, affacciatasi dalla finestra, lo notava sostare insieme al figlio B.G. (nato da precedente relazione del marito) all'angolo tra viale X. St. e via P., sicché decideva di contattare immediatamente il 112. Tramite un amico la persona offesa aveva poi saputo che l'autovettura tg. (...) (di sua proprietà ma in uso al marito) era parcheggiata in via C. e in data 7.1.2021 l'imputato suonava ripetutamente al campanello della moglie, che allertava subito le forze dell'ordine. Con specifico riguardo ai fatti di cui al capo d) ed e) la persona offesa, nel corso del suo esame testimoniale, precisava che dopo il 2.12.2020 non aveva più incontrato il marito, il quale si era però presentato sotto casa due volte tanto da indurla a richiedere l'intervento delle forze dell'ordine. Il marito l'aveva, inoltre, cercata inviandole delle email. In data 1.3.2021, invece, la Polizia si presentava presso la sua abitazione riferendo di aver ricevuto una telefonata da Gorizia con la quale il Be. aveva segnalato alla Guardia di Finanza che la moglie stava subendo una rapina; fatto non vero come, peraltro, constatavano le forze dell'ordine dopo aver controllato l'intero appartamento. In conseguenza dei fatti per i quali si procede la donna spiegava di essersi affidata al GOAP, associazione presso la quale aveva peraltro alloggiato per una decina di giorni e intrapreso un percorso terapeutico che proseguiva anche al momento delia sua deposizione. Orbene, poiché la ricostruzione dei fatti per cui è processo è, come anticipato, fondata sul contributo narrativo della vittima, pare opportuno richiamare i pur noti e consolidati principi in tema di valutazione delle dichiarazioni delle parti lese; in particolare, il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la deposizione della persona offesa, anche qualora essa invochi nel processo penale il ristoro del pregiudizio patito per il fatto dell'imputato - circostanza verificatasi nell'odierno processo - non si differenzi, sotto il profilo qualitativo, dalle deposizioni rese dai testimoni estranei agli interessi coinvolti in quel processo. Le dichiarazioni rese dalle vittime dei reati possono essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova senza necessità di riscontri esterni, purché vengano sottoposte ad indagine positiva circa la loro attendibilità soggettiva ed oggettiva, essendo il ricorso ai riscontri esterni funzionale soltanto al vaglio di credibilità (Cass. Sez. II, 24.9.2015 n. 43278, conformi, ex plurimis, Cass. Sez. III, 23 maggio 2003, n. 22848; Sez. II, 24 gennaio 2000, n. 694; Sez. III, 22 gennaio 1998, n. 766; Sez. III, 17 marzo 1997, n. 2540; conformi, Sez. VI, 19 aprile 1995, n. 4147; Sez. I, 18 marzo 1992, 3220). Ed invero, alle dichiarazioni indizianti della persona offesa non si applicano le regole di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p., che postulano la presenza di riscontri esterni (Cass. Sez. Un., 19.7.2012 n. 41461 del 19.07.2012; Cass. Sez. I, 24.9.1997 n. 8606; Sez. IV, 5.2.1997 n. 1027; Sez. III, 15.10.1999, A. ed altro; Sez. V, 1.06.1999, Ma. e altro; Sez. I, 8.02.1999, K.; Sez. III, 22.01.1998, C.; Sez. II, 27.06.1998, D.S.). Tuttavia, atteso l'interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice, il controllo sulle sue dichiarazioni deve essere assai più rigoroso rispetto al generico vaglio di credibilità cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone, verificandone la sincerità con ogni possibile cautela e con un esame penetrante e rigoroso di tutti gli altri elementi probatori di cui eventualmente si dispone. Occorre poi verificare la sua credibilità, esaminando il modo con cui il dichiarante ha vissuto e ha rielaborato la vicenda, in modo da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna; operazione questa che attiene alla più ampia valutazione circa l'attendibilità della prova medesima, e che esige di tenere adeguatamente conto di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale valutazione (Cass. Sez. 3, 20.6.2007, n. 35397; n. 4069 del 17.10.2007, n. 11095 del 23.03.2010). Alla stregua dei principi evidenziati, regge solidamente al vaglio di attendibilità la deposizione resa in dibattimento dalla St.. È indubbio indice di credibilità la circostanza secondo cui il racconto della vittima è stato fatto in modo sempre coerente, anche con riguardo alla successione storica degli avvenimenti; e, ancora, l'uso di un linguaggio esente da toni di astio nei confronti del prevenuto. L'assenza di rilevanti contraddizioni, che attengano al nucleo essenziale degli avvenimenti, nonché di esasperazioni e, soprattutto, di toni che svelino risentimento nella narrazione della persona offesa, è poi indice del fatto che il racconto non risulta, alla luce delle evidenze in atti, di natura strumentale o finalizzato ad ottenere vantaggi. La narrazione della vittima, di per sé affidabile, ha anche trovato riscontro, seppur sotto certi profili de relato, anche nelle altre prove dichiarative assunte in dibattimento. L'A.G.G., in servizio presso la Questura di Trieste, riferiva di un intervenuto eseguito il giorno 2.12.2020 presso l'abitazione di viale X. St. su segnalazione dell'odierna persona offesa che li aspettava in strada. La donna, secondo quanto constatato dal testimone di p.g., era spaventata e in evidente stato di agitazione, tanto che a tratti tremava. Con riguardo, invece, allo stato dei luoghi G. spiegava che l'appartamento "era totalmente a soqquadro"', più precisamente così riferiva: "messo abbastanza male, suppellettili distrutti, vetri infranti, se non ricordo male una scrivania di vetro, qualcosa del genere, era proprio distrutta, c 'era una porta con dei fori che erano riconducibili a martellate date, inferte sulla porta, c 'erano, le ripeto, suppellettili rotti, bicchieri, il bagno totalmente a soqquadro ..." (vds. verb. ud. 24.3.2023 pag. 4). Ciò posto, il Be., che era presente in casa, veniva allontanato dall'abitazione e invitato a fare rientro a Udine (luogo di sua residenza, benché di fatto vivesse a Trieste con la moglie); considerato che la St. invece lamentava un dolore al trapezio, dove aveva "un leggero segno rosso", veniva richiesto l'intervento del 118. L'agente F.F., in servizio presso l'UPGSP della Questura di Trieste, riferiva, invece, dell'intervento eseguito (unitamente alla collega P.) in data 7.1.2021 presso l'abitazione della persona offesa. Più precisamente, il testimone di p.g. spiegava di essere stata inviata intorno alle ore 19.20 in viale X. St. n. 24 a T. per una segnalazione pervenuta dalla St. che lamentava la presenza del marito davanti alla sua abitazione, intento a suonare insistentemente il campanello. Giunti sul posto gli operanti verificavano se fosse ancora presente l'uomo, del quale avevano ricevuto una descrizione fìsica; questo però non veniva rintracciato né davanti all'abitazione né nelle vie limitrofe. Gli agenti raggiungevano, dunque, la St. all'interno del suo appartamento, trovandola visibilmente scossa tanto da avere una crisi di pianto ed essere costretta a sdraiarsi per evitare di essere colta da un malore; non si rendeva però necessario l'intervento dei sanitari poiché la St. veniva tranquillizzata e le veniva somministrata una soluzione di acqua e zucchero per aiutarla a riprendersi. La F. riferiva che, nel corso della verbalizzazione delle sommarie informazioni da questa rese, la St. riceveva numerose chiamate dal marito alle quali non rispondeva; circostanza che veniva appurata direttamente dagli operanti che vedevano comparire il numero (...), indicato come riconducibile all'imputato, sullo schermo del telefono del lavoro della donna. Constatato che la persona offesa aveva già preso contatti con il GOAP, gli operanti, terminata la verbalizzazione (nel corso della quale uno di questi monitorava la strada dalla finestra per verificare che l'uomo non tornasse), si allontanavano effettuando una ulteriore verifica dell'area adiacente l'abitazione per controllare che non fosse presente il Be.. Con riferimento all'intervento del 1.3.2021 riferiva, invece, l'Agente Se. R.V., in servizio presso l'UPGSP della Questura di Trieste, il quale, in veste di operatore della sala operativa, intorno alle ore 17.00/17.05 rispondeva alla chiamata trasmessa dalla Guardia di Finanza di Gorizia in merito ad una segnalazione giunta da Be.Fr. (con il numero (...)) che, pur trovandosi a Gorizia, segnalava una rapina in corso ai danni della moglie presso la sua abitazione sita a T. in viale X. St. n. 24; fatto che dichiarava di aver appreso dalla St. stessa. L'uomo, ricontattato dal testimone, confermava la segnalazione già effettuata alla Guardia di Finanza, precisando che nella rapina era stata utilizzata anche una pistola. Gli operanti inviavano, dunque, delle volanti per verificare. Rispetto all'intervento eseguito a seguito della segnalazione del 1.3.2021 veniva escusso il Sovr. C. T.L., in servizio presso la Squadra Mobile di Trieste, il quale riferiva di essersi occupato delle trascrizioni relative alle chiamate intercorse tra sala operativa della Guardia di Finanza e della Questura di Trieste, oltre che quella tra la Questura di Trieste e Be.Fr.; trascrizioni che venivano acquisite agli atti con il consenso delle parti (aff. da 127 a 130). Parimenti il testimone di p.g., Ass. C.C. B.S., spiegava di essere intervenuto in viale X. St. n. 24 a T. a seguito della predetta segnalazione. Sul posto veniva identificata la persona offesa, la quale er sorpresa rispetto all'intervenuto e manifestava malessere e stress derivante dal rapporto con il marito. Gli operanti constatavano, sia da colloquio con la donna che dalla verifica all'interno della casa (che non recava alcun segno di effrazione), che non era in corso alcuna rapina. Una volta usciti dall'abitazione della St. gli operanti rintracciavano il Be. che, nonostante l'applicazione di un provvedimento cautelare che gli impediva di avvicinarsi alla moglie (circostanza appresa visionando la documentazione giudiziaria da quest'ultima esibita), si trovava nei pressi del portone di viale X. St. n. 24, a circa 40 metri. Rispetto all'attività svolta dal testimone di p.g. C.A. venivano acquisiti, con il consenso delle parti, i tabulati telefonici (aff. da 165 a 170) rispetto ai quali l'operante precisava essere non comprensivi dei contatti avvenuti tramite piattaforme telematiche come whatsapp e facebook; la documentazione acquisita consentiva di confermare le dichiarazioni della persona offesa che tra il 1.12.2020 e il 2.12.2020 aveva contattato il figlio Be.Da. e poi il 112 mentre il giorno seguente aveva telefonato all'amica M.T.. Le dichiarazioni della persona offesa venivano riscontrate anche da quanto riferito dalle testimoni M.T. e B.M., amiche della persona offesa. In particolare, la Ma. riferiva che, pur essendo la St. una persona molto riservata, negli ultimi otto anni si era confidata con lei raccontandole (anche di volta in volta, vendendosi spesso) che "il suo rapporto matrimoniale era abbastanza pesante" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 24). La testimone riferiva di aver potuto direttamente constatare, presso l'abitazione dell'amica, la presenza di "buchi nei muri, muri rotti, cristalli rotti, porte rotte" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 24) che costituivano gli esiti di violenze e pesanti litigi che si verificavano quando il Be. era a casa a Trieste; una delle ragioni era la gelosia del marito che temeva lei potesse avere degli amanti. La Ma. spiegava, inoltre, che era solita frequentare la St. solamente quando suo marito non era a casa, poiché quando l'imputato era a Trieste la persona offesa "si chiudeva a casa" e "succedevano ste cose" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 24). Solo in un paio di occasioni era uscita con la coppia B.-S., in quel frangente, il comportamento dell'uomo non aveva destato alcun allarme ("era insospettabile, ecco, insospettabile che potesse agire così nei confronti della moglie" vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 30). La St., oltre a violenze sulle cose, subiva uno "stillicidio continuo verbale" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 28) e le aveva riferito di aver subito anche violenze fisiche come spintoni, tanto da essersi dovuta rivolgere in un'occasione all'ospedale; invero anche anni prima (circa quattro o cinque) la situazione era degenerata tanto che la St. si era allontanata di casa per paura del marito, che l'aveva anche minacciata di morte, e si era rifugiata da un'amica, Ma.Ma.. Con riguardo all'ultimo episodio, nel quale la St. era finita all'ospedale, la Ma. dichiarava di averla vista dopo le dimissioni: la persona offesa si presentava con il collare, era segnata in viso ("aveva delle tumefazioni in faccia") ed era terrorizzata. Tale stato d'animo, secondo quanto riferito dalla testimone, è persistente anche attualmente tanto che la St., che non riesce a dormire la notte e ha palpitazioni, continua ad essere seguita dal centro antiviolenza. Da ultimo, con riguardo a eventuali patologie del Be., la Ma. spiegava che, sulla base del comportamento che le veniva descritto dalla St., aveva dedotto che l'uomo avesse "una situazione mentale malata"-, questa però era una sua deduzione mentre non era a conoscenza di diagnosi vere e proprie rispetto all'imputato. La testimone B.M., a sua volta, confermava di conoscere da una trentina d'anni la St. che aveva per lungo tempo frequentato fino al 2018, epoca nella quale aveva a sua volta denunciato il Be. per minacce. La Be., in effetti, esordiva la propria deposizione manifestando grave preoccupazione poiché, anche nei giorni precedenti l'udienza, aveva ricevuto, tramite suo figlio, gravi minacce (come ad esempio "tua mamma la pagherà") che aveva prontamente denunciato. Già nel 1999, quando la St. si era allontanata di casa ed era stata ospitata dal suocero della Be., il Be. aveva telefonato alla Be. dicendo "vi trovo, mollala da qualche parte perché vi trovo e vi ammazzo tutte e due" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 39). Nel 2018 poi il Be. l'aveva minacciata di nuovo mediante l'invio di messaggi al suo telefono cellulare con i quali diceva che l'avrebbero pagata e avrebbe ammazzato entrambe (ossia la Be. e la St.); i messaggi venivano corredati da foto di donne tagliate a pezzi o pistole e pugnali (messaggi che risultano in atti poiché acquisiti al fascicolo del dibattimento e dei quali riferiva anche la persona offesa nelle s.i.t. rese il 18.2.2021). In ragione delle minacce ricevute, che le avevano provocato un grave stato ansioso ("non riuscivo più a vivere, come anche adesso, che morivo di ansia, c 'ho il terrore quando esco di casa, non dormo di notte" vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 38) e del fatto che la St. non si decideva a denunciare a sua volta il marito, la Be. aveva deciso di interrompere ogni rapporto con l'amica, riprendendoli (seppur non intensi come prima) solo dopo essere stata escussa a s.i.t. e aver appreso dai Carabinieri che la persona offesa era anche finita in ospedale per colpa del marito. Le ragioni dell'astio del Be. nei confronti della Be. erano da ricondursi, secondo quanto sostenuto dalla testimone, nel fatto che questa, nel 2018, aveva dato asilo alla St. quando si era allontanata di casa. La persona offesa le aveva, infatti, raccontato che le cose con il marito non andavano bene, che lui spaccava le cose ed era violento verbalmente; la donna spesso piangendo lamentava di non farcela più a sostenere la situazione familiare. La Be. non aveva mai assistito personalmente ma aveva appreso i fatti direttamente dall'amica che diceva di essere chiamata dal marito con appellativo del tipo "puttana" e "slava", oltre ad essere destinataria di minacce di morte come "io ti ammazzo, tu me la paghi, la finiamo qua, la finiamo tutti, finisco io per me, quindi finite anche voi". La testimone riferiva di aver però visto in prima persona le porte rotte e cose rovinate (la stessa St. talvolta le inviava delle fotografie ritraenti gli oggetti o il mobilio che era stato danneggiato dal marito), le quali lasciavano pensare che il Be. avesse utilizzato un coltello. La St. le aveva, poi, inoltrato dei messaggi ricevuti dal Be. (doc. 4 della produzione di parte civile) nei quali lamentava che la moglie gli aveva distrutto la vita e la minacciava con frasi del tipo "la pagherai anche tu". Con riguardo alle condizioni di salute del Be. la Be. riferiva di essere a conoscenza che l'imputato prendeva delle pastiglie per la depressione e che, secondo l'opinione della St., il marito era bipolare. Veniva escusso in qualità di testimone anche Be.Da., figlio della coppia, il quale aveva convissuto con i genitori sino al 2010/2011 andando poi a trovarli di tanto in tanto. Be.Da. confermava che si verificavano frequenti litigi, per futili motivi, tra i genitori e che il padre era violento verbalmente con la madre che talvolta insultava appellandola "stronza" (nonostante la contestazione formulata dal P.m. negava di aver dichiarato a s.i.t. che il padre chiamasse la St. anche con epiteti del tipo "puttana", "ladra" e "slava"). Il testimone, sempre previa contestazione del P.m., confermava di aver assistito ad azioni violente del padre sempre rivolte ad oggetti ("lui spaccava le vetrine, le sedie, il tavolo, il bagno e la cucina") e mai nei confronti della madre; con riguardo alla frequenza il Be., nonostante la contestazione dalla quale si evinceva una certa frequenza mensile degli episodi descritti, affermava che il fatto si era verificato una sola volta. Il testimone dichiarava di aver appreso dalla madre che il padre "le alzava le mani o che spaccava la casa" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 9); la St. lo informava del fatto che si verificavano numerosi conflitti a casa, "sia verbali o magari di violenza" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 9), che aveva "spaccato i piatti" e aveva "rotto le piastrelle del bagno" con un martello. Il testimone riferiva che, per quanto raccontato da sua madre, con il martello in mano, il Be. aveva anche minacciato di colpirla. In uno degli ultimi episodi Be.Da. era stato chiamato la sera tardi dalla madre che, spaventata, chiedeva di raggiungerla a casa a causa un litigio con il marito che era degenerato ("se potevo venire a casa, perché mio padre stava facendo il matto, cioè nel senso che urlava, stava spaccando cose, e se potevo andare a casa per gestire la situazione"', "mia madre era chiusa in stanza quando mi ha chiamato", "mi ha detto che stava spaccando la casa e che lei si era chiusa in stanza per protezione", "mi disse che ha cercato di alzarle le mani"', P.m.: "le disse se aveva paura in quel momento?", Be.Da.: "Sì", P.m.: "Di cosa?", Be.Da.: "che la picchiasse", P.m.: "anche di qualcosa in più?", Be.Da.: "che ricordi no", P.m.: "perché nel verbale lei dice: "mi ha detto che aveva temuto di essere uccisa"", Be.Da.: "era della sua incolumità"', vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 11-12); il testimone, che in sottofondo poteva udire le grida del padre oltre a cassetti e cose rotte, le aveva però risposto che non se la sentiva di andare e di affrontare la cosa (non voleva prendere posizione e mettersi in mezzo nelle loro questioni) e le aveva suggerito di contattare le forze dell'ordine. Non era la prima volta che la madre lo aveva chiamato per dei litigi con il marito e rappresentando l'esigenza di andare via di casa; il figlio talvolta l'aveva raggiunta mentre in altre occasioni aveva tentato di tranquillizzarla al telefono. La St. era solita chiedere al figlio di raggiungerla perché, quando lui era presente, "le cose non scaturiscono" (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 15). Be.Da. escludeva di aver comunque mai assistito ad atti di violenza fìsica posti in essere dal padre nei confronti della madre, confermava di averlo visto una volta afferrarla per il gomito durante un litigio ma non ricordava che la presa fosse tale da provocarle dolore. Con riguardo alla situazione di salute del padre, il testimone spiegava di non esserne a conoscenza ma di aver sentito dire che questo era bipolare "come forma di affermazione" non come diagnosi (vds. verb. ud. 5.5.2023 pag. 17); in passato (ancor prima della sua nascita) suo padre aveva fatto uso di sostanze stupefacenti tanto da essere attualmente seguito dal SERT con somministrazione di metadone. Per quanto a sua conoscenza Be.Da. affermava che il padre era afflitto da stati depressivi che lo portavano a restare sdraiato sul divano per giorni oppure ad uscire di casa e dormire in macchina, tanto che sua madre era costretta ad andare a cercarlo. Le dichiarazioni della St. venivano, inoltre, corroborate da quanto dichiarato da F.M., operatrice del centro antiviolenza di Trieste che aveva preso in carico la persona offesa (percorso attualmente in permanenza). La testimone riferiva, infatti, di aver conosciuto la persona offesa il 4.12.2020 quando la donna era giunta presso l'albergo convenzionato del GOAP accompagnata dalle forze dell'ordine a seguito di un'aggressione subita il 1.12.2020. La F. riferiva di aver appreso, durante i numerosi colloqui con la persona offesa, che il Be. era affetto da alcune patologie che richiedevano l'assunzione di farmaci ai quali lui associava anche sostanze alcoliche, come accaduto la sera dell'aggressione. Infine, con specifico riguardo agli esiti della situazione rappresentata dalla persona offesa, veniva escusso il consulente nominato dalla parte civile, Sa.Ba., il quale, in qualità di medico legale, aveva avuto incarico di esaminare la St.. Successivamente ad un colloquio, constatata la presenza di problematiche di natura specialistica, il consulente riferiva di averla indirizzata ad una psicologa, la dott.ssa Be., che a sua volta aveva elaborato un proprio parere (acquisito agli atti). Il Serri, preso atto degli esiti dei test (tra i quali Ma., Ma. e SIMS) cui era stata sottoposta la St. e delle deduzioni della Be., aveva concluso (vds. relazione acquisita all'udienza del 16.6.2023) affermando che la donna fosse affetta da un disturbo da stress post traumatico associato a sindrome depressiva, con conseguente danno biologico corrispondente a 20 punti percentuali. Ribadisce, allora, il Tribunale che, alla luce delle risultanze dibattimentali e delle tratteggiate caratteristiche del racconto della persona offesa, quest'ultima superi positivamente il vaglio di credibilità oggettiva e soggettiva, costituendo piena prova della responsabilità dell'imputato per i tutti a lui ascritti; fatti rispetto ai quali né i documenti prodotti dalla difesa né i testimoni indicati a discarico sono stati messi in discussione. Più precisamente, la difesa ha prodotto delle fotografie ritraenti le valigie cui aveva fatto riferimento la persona offesa al fine di contraddire le dichiarazioni della St. sui punto. Ebbene, al di là dell'impossibilità di risalire all'epoca nella quale tali fotografie venivano scattate, mancando queste di qualsivoglia riferimento temporale, occorre osservare come tali documenti non smentiscano minimamente le dichiarazioni della persona offesa ma anzi le corroborano. La St. precisava, infatti, che il Be. si scagliava con il martello rispetto a solamente una di queste, e infatti il danneggiamento compatibile all'utilizzo del predetto utensile si rinviene anche in due delle fotografie ove la valigia reca dei fori. Quanto ai testimoni a discarico si osserva come questi non abbiano fornito un contributo rilevante né determinate sotto il profilo dei fatti. In particolare, la teste S.A.F. (moglie del nipote del Be.) si limitava a riferire della sua frequentazione con la coppia B.- St. nel 1995, negando di aver mai assistito a comportamenti aggressivi da parte dell'imputato. La deposizione deve ritenersi, pertanto, del tutto inconferente considerato che la testimone non li aveva più frequentati dal 1999 e, dunque, non era in grado di riferire nulla di utile in ordine ai fatti in contestazione. Quanto, invece, a T.M., vecchio amico dell'imputato, il testimone, pur negando di aver mai assistito a comportamenti poco commendevoli da parte del Be. nei confronti della moglie, spiegava di aver avuto rapporti con la coppia fino al 2019. Il testimone spiegava che tra il 2018 e il 2019, durante le festività, aveva raggiunto il Be. poiché la moglie se n'era andata lasciandolo solo e senza cibo. Da quel momento e per circa otto mesi si era occupato di accudire l'imputato che non era in condizione di provvedere a sé stesso né di deambulare, poiché sotto terapia di interferone per curare la depressione e metadone. Infine, dall'analisi delle conversazioni whatsapp prodotta dalla difesa non si coglie alcuna discrepanza rispetto alla versione accusatoria. Occorre, infatti, osservare che la maggior parte dei messaggi (dal contenuto evidentemente affettuoso) scambiati dalla coppia risale al periodo intercorrente dal febbraio 2019 al maggio 2019, epoca nella quale la St. aveva già fatto rientro presso la casa coniugale (dopo essere stata ospite dall'amica Be. nel 2018) per - come da lei sostenuto - tentare di "salvare il salvabile" (cfr. verb. ud. 30.6.2023 pag. 18) e dunque di risollevare le sorti della propria relazione coniugale. La persona offesa, infatti, con riguardo alle conversazioni esibitele, coerentemente spiegava: "cercavo di gestire questa cosa al meglio, perché comunque la maggior parte dei giorni erano comunque pesanti. Io comunque la giornata cercavo di iniziarla in maniera "piacevole"" (cfr. verb. ud. 30.6.2023 pag. 19). Nello stesso senso si deve concludere in relazione ai file audio prodotti all'udienza del 30.6.2023. La difesa ha poi prodotto documentazione e relazioni mediche riguardanti l'imputato, concludendo sulla base delle stesse per l'incapacità d'intendere e volere dello stesso. Occorre, tuttavia, evidenziare che nessun dubbio sussiste, all'esito dell'istruttoria dibattimentale esperita, sulla piena e totale capacità di intendere e di volere dell'imputato negli anni in cui si sono svolti i fatti per cui è processo. Prima dell'apertura del dibattimento è stata, infatti, disposta, su richiesta della difesa (sulla scorta della documentazione predetta), perizia psichiatrica volta ad accertare la capacità di intendere e di volere dell'imputato. Nell'elaborato acquisito al fascicolo del dibattimento, il perito ha rilevato che l'imputato risulta affetto da un Disturbo Affettivo Bipolare tipo II insorto in soggetto con pregresso abuso di sostanze oppioidi il quale, però, nel caso di specie non ha compromesso la capacità di intendere e di volere. Il perito, premesso che "tali disturbi sono caratterizzati da un 'alternanza di episodi depressivi e maniacali intervallati da periodi in cui vi è una completa restitutio ad integrum, oppure gli intervalli liberi hanno una durata così esigua che il paziente si trova sempre in fase attiva depressiva o maniacale", evidenziava come il Be. presenti "una storia clinica caratteristica per il disturbo bipolare tipo II, caratterizzato dalla presenza e dalla ricorrenza di episodi depressivi, con in anamnesi almeno un episodio ipomaniacale. In questa forma non si evidenzia mai la presenza di un viraggio maniacale franco. La presenza degli episodi ipomaniacali è stata ricostruita dal racconto anamnestico, e gli stessi non hanno mai necessitato di interventi psichiatrici di urgenza o di ricoveri in ambiente ospedaliero, circostanza che conferma l'assenza nella storia clinica del periziando di episodi maniacali, condizione clinica che il più delle volte necessita di trattanti urgenti e spesso di ricovero". Nello spiegare le manifestazioni del disturbo in esame rilevava, ancora, il perito che "i pazienti affetti da disturbo bipolare corrono più frequentemente il rischio di compiere condotte che rappresentano reato in fase di eccitamento maniacale, quando presentano uno stato di euforia caratterizzato dall'esaltazione dell'umore e dell'affettività, una perdita di controllo sulla volontà, uno spiccato tachipsichismo (accelerazione dei pensieri), una alterazione della capacità di critica e di giudizio. La fase maniacale è una condizione clinica evidente e manifesta che può essere rilevata anche da persone senza competenze specialistiche psichiatriche." Ebbene, posto che "nel caso in esame non vi è alcuna prova scientifica che nel periodo della commissione dei fatti contestati, che si ricorda dovrebbero essere stati commessi nell'arco di diversi anni, il periziando abbia presentato una condizione di scompenso psichico in senso maniacale" e che "il Be. ha quasi sempre manifestato sintomatologia in senso depressivo, condizione che di certo non determina una condizione di infermità penalmente rilevante rispetto ai reati contestati", concludeva il perito per l'assenza di qualsivoglia correlazione causale tra la presenza del disturbo e i reati contestati ("non vi è alcuna relazione, né interdipendenza, tra la patologia da cui è affetto il soggetto e i reati contestati, cosicché si può affermare che all'epoca della commissione dei fatti per i quali si procede, il sig. Be.Fr., non presentava infermità tali da incidere sulla propria capacità di intendere e di volere"). Ciò posto, ritiene il Tribunale di poter integralmente condividere le conclusioni del perito, poiché risultano immuni da vizi logici ed errori materiali nonché frutto di attenta analisi e correttamente motivate: trattandosi di persona qualificata (specialista in psichiatria), non v'è motivo alcuno di dubitare della attendibilità e validità delle considerazioni e valutazioni tecniche dalla stessa effettuate, tenuto conto peraltro che le stesse non sono state oggetto di alcun serio, specifico e scientificamente documentato rilievo critico da parte della difesa. Sotto questo ultimo profilo si osserva, infatti, che la difesa - a dispetto delle conclusioni peritali sopra menzionate - ha invocato l'assoluzione dell'imputato previo riconoscimento di un vizio di mente. Le argomentazioni poste a sostegno delle conclusioni difensive, invero, si scontrano con l'assenza di una tecnica contestazione del percorso logico scientifico descritto nell'elaborato peritale, il quale veniva - di tutta evidenza - recepito dalla stessa difesa che, nel rinunciare all'esame del dott. Ma. con consenso all'acquisizione della relazione, riteneva di non dover richiedere alcun chiarimento rispetto all'elaborato di quest'ultimo. Si osserva, inoltre, che - come si legge a pagina 2 della relazione peritale - neppure nel corso dell'espletamento del l'incarico vi è stata contestazione tecnica alcuna non avendo il dott. L.V., consulente di parte nominato dalla difesa, mai preso contatti con il dott. Ma. e, di conseguenza, essendosi sottratto al contraddittorio specialistico. Si osserva, infine, che la documentazione sanitaria e le relazioni di parte sulle base delle quali la difesa ha inteso invocare il riconoscimento del vizio di mente in capo al Be. sono le medesime messe a disposizione del perito e da questo esaminate (ivi compreso il file video depositato all'udienza del 4.3.2022 nel quale il Be. viene ripreso intento a mangiare pezzi di carta igienica), sicché, partendo dalle precedenti considerazioni in ordine all'elaborato peritale, non mi è ragione alcuna per discostarsi dalle conclusioni cui il dott. Ma. è addivenuto. Del resto non è in discussione che il Be. sia gravato da un disturbo bipolare, ciò che invece il perito nominato dal Tribunale ha escluso è che tale patologia, per le modalità attraverso le quali si è manifestata rispetto all'imputato, sia stata in grado di incidere sulla sua capacità di intendere e volere. Sotto questo profilo le relazioni di parte nulla dicono né smentiscono le argomentazioni poste a fondamento delle conclusioni del perito. In punto di diritto, esaminando il capo a) di rubrica, occorre innanzitutto soffermarsi, brevemente, su alcuni profili costituenti requisiti essenziali della fattispecie di maltrattamenti in famiglia, anche in ragione della richiesta di assoluzione dell'imputato. Come è noto, la norma di cui all'art. 572 c.p., nel reprimere l'abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza, la quale verrebbe compromessa dalla ricorrente sottoposizione della persona offesa a sofferenze psichiche e fisiche e da atteggiamenti di ricorrente prevaricazione da parte del soggetto attivo del reato. I vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, o dalla convivenza more uxorio, collocano la parte lesa in una posizione psicologica subordinata e tale aspetto giustifica, per un verso, la configurazione di una fattispecie incriminatrice autonoma e distinta rispetto a singoli fatti di per sé costituenti reato, nonché il trattamento differenziato dei medesimi fatti con riguardo alle condizioni di procedibilità; e per altro verso, la penale rilevanza di condotte che, isolatamente considerate, potrebbero anche non essere punibili - quali atti di umiliazione generica, di disinteresse rispetto ai bisogni altrui, di vessazione e di recriminazione - ma che acquistano rilievo per effetto della loro reiterazione nel tempo e perché finiscono col rendere la vita di relazione abitualmente dolorosa e avvilente, con conseguente degenerazione del rapporto familiare. Posta tale premessa, si ritiene sussistere, con riguardo ai fatti commessi ai danni della St., il requisito essenziale della ripetitività dei fatti aggressivi della incolumità fisica e morale della vittima, infliggendo a quest'ultima tali sofferenze con abitualità, sì da instaurare consapevolmente un sistema di vita la cui normalità era data dalla sofferenza, dalla mortificazione e dall'avvilimento costantemente provocato dall'imputato. Offendendo, avvilendo e aggredendo anche fisicamente la vittima, avvalendosi quindi della condizione di soggezione di quest'ultima e della sua incapacità di fondo ad opporre efficace resistenza, intuendo e profittando della convinzione della donna di dover "accettare" il comportamento del marito; in tal modo egli ha evidenziato coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e morale, nonché del decoro della persona offesa in modo abituale, e di persistere nell'attività vessatoria. Giova precisare che è principio costantemente affermato in giurisprudenza quello secondo cui integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. (Cass., Sez. III, 22.11.2017 n. 6724, Rv. 272452). Pertanto, il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l'unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (Cass. Sez. VI, 19.3.2014 n. 15147, Rv. 261831). Applicando tali condivisibili principi al caso in esame, può agevolmente concludersi per la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato, il quale deve ritenersi consumato sino al 2.12.2020, data di cessazione della convivenza (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 10626 del 16/02/2022). Da ultimo, diversamente da quanto argomentato dalla difesa, è indubbio che anche la condotta violenta perpetrata sulle cose sia certamente suscettibile di integrare il reato in contestazione; sul punto si richiama la sentenza emessa dalla Corte appello di Taranto, 19/01/2022, n. 981 secondo la quale "integra i reati di maltrattamenti in famiglia e di estorsione il complesso disegno criminoso attuato dal figlio che rivolga pressanti e quotidiane richieste di denaro nei confronti della madre, alfine di acquistare sostanze stupefacenti, agendo con violenza fìsica e verbale, su cose e persone, nonché con minacce, tanto da porre in essere una complessa condotta vessatoria cronicizzata tanto da diventare stile di vita, causando nella vittima forti sofferenze morali, ansia e timori, tanto da rendere insostenibile la convivenza". Del resto è evidente che il comportamento di vera e propria devastazione posto in essere dal Be. contribuiva a creare, in uno con gli altri atteggiamenti offensivi e minacciosi, uno stato di avvilimento, timore e prostrazione della moglie; paura che poi veniva ulteriormente concretizzata laddove la violenza finiva per essere rivolta direttamente nei confronti di lei (come appunto gettandole oggetti e colpendola con essi). Quanto poi all'elemento soggettivo del reato, si rammenta che l'art. 572 c.p. esige la sussistenza del dolo nei termini di "dolo unitario", quale volontà e consapevolezza di porre in essere un comportamento oppressivo e prevaricatorio (Cass. VI, n. 30432/2015). La Suprema Corte ha, peraltro, affermato come il dolo del delitto di maltrattamenti non implichi l'intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (Cass. III, n. 41631/2017). Ebbene, nel caso di specie, partendo dalla premessa di cui sopra in punto di capacità dell'imputato, tenuto conto delle risultanze dibattimentali, deve essere pacificamente confermata la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, che si trae dalle stesse concrete modalità dell'azione. L'imputato va, altresì, riconosciuto responsabile del reato di lesioni personali di cui all'art. 582 c.p. ai danni della St. di cui al capo b) di rubrica. Le lesioni riscontrate sulla persona offesa e certificate nel referto medico in atti (che reca la diagnosi "contusioni multiple da violenza altrui" con prognosi di giorni 10), poiché integranti alterazione anatomica e funzionale dell'organismo, necessitante di un processo di guarigione, costituiscono certamente una malattia ai sensi e per gli effetti dell'art. 582 c.p. (cfr. Cass. Sez. V, 26.4.2010 n. 22781). Sul punto si rammenta, infatti, che può qualificarsi come malattia ai sensi e per gli effetti dell'art. 582 c.p., "qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo e delle condizioni organiche, anche se localizzata, di lieve entità, e non influente sulle condizioni organiche generali" (Cass. 06.06.1984, n. 5258), vale a dire qualsiasi alterazione dell'integrità fisica personale, cui faccia seguito - come appunto nel caso in esame - un processo riabilitativo (Cass. 09.05.1978, n. 11000). Tali lesioni sono certamente riconducibili sul piano causale all'azione del prevenuto, essendo compatibili con la condotta ascritta all'imputato sia sul piano temporale che su quello della dinamica dei fatti, stante anche la chiara deposizione della persona offesa e del testimone di p.g. A.G. che, in occasione del suo intervento, notava un segno in corrispondenza del trapezio della donna. Quanto agli elementi circostanziali del reato, sussiste l'aggravante di cui all'art. 585 c. 1 in riferimento all'art. 576 n. 5 c.p. Ed infatti, il delitto di lesioni per cui si procede è stato posto in essere in occasione della commissione del delitto di cui all'art. 572 c.p. D'altra parte è noto che, per constante e condivisibile giurisprudenza in materia, "il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce (anche gravi), sempre che tali comportamenti siano stati contestati come finalizzati al maltrattamento" in quanto "tali reati costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'art. 572 c.p." (Cass. Sez. VI, 19.06.2003 n. 33091); "la diversa obiettività giuridica del reato di maltrattamenti rispetto a quello di lesioni personali volontarie esclude invece l'assorbimento del secondo nel primo, rendendoli concorrenti tra loro" (Cass. Sez. VI, 11.05.2004 n. 28367). Ricorre parimenti l'aggravante di cui all'art. 585 c.p. (in relazione all'art. 577 n. 1 c.p.; esplicitata nella parte conclusiva dell'imputazione), essendo stato il fatto commesso nei confronti di persona legata all'imputato da un rapporto di coniugio. Deve, invece, essere esclusa la contestata aggravante prevista dall'alt. 61 n. 11 quinquies c.p. poiché, non ricorrendo nel caso di specie la presenza di soggetti minori, deve intendersi mero refuso nell'atto della formulazione del capo d'imputazione. Quanto poi alla procedibilità del delitto di lesioni personali occorre rilevare che, una volta ritenuta la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 585 c. 1 in riferimento all'art. 576 n. 5 c.p., in virtù di tali circostanze il delitto di lesioni personali dolose è perseguibile d'ufficio (cfr. art. 582 cpv c.p.). Tanto accertato in fatto, ritiene il Tribunale che la condotta posta in essere dall'odierno imputato successivamente alla cessazione della condotta (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10626 del 16/02/2022: "In tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, è configuratile il concorso del primo con l'ipotesi aggravata del secondo in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale, nonostante la persistente condivisa genitorialità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il concorso tra i due reati, sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati, ritenendo integrato quello di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori)") integra il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. a lui contestato al capo c) di rubrica. Ed infatti, il Be. ha posto in essere numerose (più di due) condotte di grave molestia nei confronti della moglie. L'invio di plurimi messaggi, le numerose e insistenti chiamate (constatate perfino dagli operanti di p.g. nel corso di un intervento) e la sua presenza sotto l'abitazione della stessa (in una occasione anche suonando ripetutamente al campanello) integrano certamente delle vere e proprie molestie; per molestia dovendosi intendere, ai fini penali, qualunque atteggiamento che - come pacificamente quelli sopra descritti comporti un'invadenza e una intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà (cfr. Cass. 24.11.2011 n. 6908 e di recente, in relazione alla petulante richiesta di riprendere la relazione sentimentale Cass. Sez. 1, sent. n. 34821/2022). Sussiste dunque la condotta materiale del delitto di atti persecutori. Può ritenersi sussistente anche l'evento (giuridico e materiale) del delitto reato. Ed infatti, la norma incriminatrice richiede sul piano dell'elemento materiale che la condotta dell'imputato sia tale da cagionare un perdurante stato d'ansia o di paura, ovvero da ingenerare nella vittima il fondato timore per la propria incolumità, ovvero ancora da costringere la persona offesa a mutare le sue abitudini di vita. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale "il delitto di atti persecutori è reato ad evento di danno" (Cass. Sez. V, 5.6.2012 n. 39519); più precisamente si tratta di un delitto che "prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo" (ID, 19.5.2011 n. 29872). Ai fini della configurabilità del reato è quindi necessaria la prova rigorosa che la condotta dell'imputato abbia determinato uno dei tre eventi alternativi sopra indicati. Applicati tali condivisibili principi giurisprudenziali, nel caso in esame, ritiene il Tribunale che sia stata raggiunta una prova sufficiente dell'esistenza di uno degli eventi del reato previsti dalla norma incriminatrice. Quanto al primo degli eventi di cui all'art. 612 bis c.p. la norma esige che nella vittima insorga uno stato d'ansia e/o di paura che deve presentare altresì i caratteri della perduranza e della gravità; al fine di non dilatare eccessivamente la portata applicativa della norma, il legislatore ha, quindi, previsto che il turbamento psicologico indotto dalla condotta illecita non solo sia costante, nel senso che si protragga nel tempo e si manifesti ininterrottamente, ma anche che sia grave, ossia che presenti intensità ed effetti molto superiori all'analogo sentimento che è fisiologicamente riscontrabile in qualunque persona normale in presenza di rapporti conflittuali con gli altri consociati. In ordine alla prova di tale evento, la Suprema Corte, se da un lato ha affermato che non si richiede l'accertamento (medico legale) di uno stato patologico - considerato che l'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), sicché è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. Sez. V, 10.1.2011 n. 16864) -, dall'altro, ha precisato che la prova dell'evento del delitto "deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (ID, 28.2.2012 n. 14391); si è altresì affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (ID, 9.5.2012 n. 24135). Ciò posto, nel caso in esame, occorre evidenziare che la circostanza che le reiterate molestie poste in essere dell'imputato abbiano ingenerato nella St. un vero e proprio stato di ansia e di paura (grave e perdurante) per la sua incolumità, si ricava non solo dalle dichiarazioni della persona offesa, ma anche dalle deposizioni dei testimoni di p.g. escussi e delle amiche della donna; in particolare della Ma. secondo la quale la St., tutt'ora, è terrorizzata tanto da non dormire la notte e avere palpitazioni. È emerso, peraltro, che, proprio in considerazione delle conseguenze dell'azione del Be., la donna è stata presa in carico dal GOAP di Trieste presso il quale segue tutt' oggi un percorso, affiancata anche da un supporto psicoterapeutico. Le conseguenze sono state poi medicalmente accertate dal dott. St.. Si deve poi considerare che le condotte moleste dell'imputato, tenuto conto della loro ripetitività, della loro intensità, gravità e concreta attuabilità (dovendo anche considerare il comportamento maltrattante e violento tenuto nel corso della convivenza), erano oggettivamente idonee a determinare in qualunque persona normale uno stato di ansia e di preoccupazione notevole e a turbare gravemente la serenità personale. A ciò si aggiunga che, proprio a causa degli episodi di molestia, la persona offesa si è vista costretta a bloccare il numero di telefono del marito. Tanto accertato in ordine all'elemento materiale del reato, in ordine a quello psicologico, occorre premettere il dolo richiesto per la configurabilità del delitto è quello generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima alla propria condotta abitualmente molesta e/o minacciosa e di determinare quindi nella stessa uno stato di ansia e paura. Tale elemento soggettivo, nel caso in esame, emerge in re ipsa dalle stesse circostanze del fatto e dalle stesse modalità della condotta del prevenuto, atteso che costui non poteva certo ignorare che la sistematicità dei propri comportamenti vessatori e molesti stava ingenerando un grave turbamento per la moglie e stava creando per lei un situazione insostenibile. Quanto infine alla procedibilità il reato deve ritenersi - come correttamente evidenziato dal P.m. nella contestazione - connesso al reato sub a) di rubrica (con il quale, peraltro, concorre; come da condivisibile interpretazione giurisprudenziale già richiamata) e, pertanto, deve ritenersi procedibile d'ufficio. Anche con riguardo al capo d) di rubrica, ritiene il Tribunale che i fatti ascritti all'odierno imputato debbano ritenersi provati. La condotta posta in essere dal Be., infatti, è certamente idonea ad integrare l'elemento oggettivo del delitto di "violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa" atteso che questo, in spregio al provvedimento cautelare (che prevedeva anche il divieto di comunicazione con qualsiasi mezzo), in data 1.3.2021 veniva individuato dagli operanti della Questura intervenuti a seguito della segnalazione di una rapina in corso effettuata proprio dall'imputato, a circa quaranta metri dall'ingresso dell'abitazione della persona offesa; fatto che determinava, peraltro, l'aggravamento della misura cautelare originalmente applicata con quella degli arresti domiciliari con ordinanza del G.i.p. dd. 2.3.2021 (poi nuovamente sostituita). Cosi accertata la sussistenza della condotta materiale, quanto all'elemento psicologico del reato, occorre rilevare che l'imputato, essendo stato destinatario della predetta ordinanza, che gli veniva notificata, non poteva certo ignorare il contenuto dell'atto e il significato dei divieti ivi impostigli. Nei fatti come sopra ricostruiti, ricorrono, dunque, tutti gli elementi oggettivi e soggettivi per ritenere sussistente il delitto di cui all'art. 387 bis c.p. Ricorrono parimenti gli elementi costitutivi del reato contravvenzionale di cui all'art. 658 c.p. contestato al Be. al capo e) di rubrica. Dalle deposizioni dei testimoni di p.g. R., T. e Be., dalle trascrizioni della chiamata effettuata dall'imputato alle forze dell'ordine acquisite agli atti e da quanto riferito dalla St. è, infatti, pacificamente emerso che l'imputato, in data 1.3.2021, segnalando falsamente che era in corso una rapina mediante l'uso di una pistola ai danni della moglie, portava a conoscenza dell'autorità false notizie concernenti un pericolo inesistente. La segnalazione era certamente tale da suscitare l'allarme delle forze di polizia che inviavano presso l'abitazione della St. una volante che interpellava la persona offesa e provvedeva a verificare (nel caso di specie con esito negativo) la presenza di effrazione o altri segni concernenti il reato denunciato. Così accertata la sussistenza dell'elemento materiale del reato contestato, sotto il profilo soggettivo, occorre rilevare che il reato contravvenzionale per cui si procede è punibile, indifferentemente, a titolo di dolo o di colpa (cfr art. 42 c. 4 c.p.); nel caso di specie, tenuto conto che il Be. falsamente dichiarava di aver appreso la notizia del reato dalla moglie, con la quale invero non aveva alcun contatto, e che dunque la segnalazione era integralmente frutto della sua invenzione, deve ritenersi sussistente l'elemento soggettivo del dolo che si trae dalle stesse modalità e circostanze del fatto. Dovendosi, pertanto, esprimere un giudizio di colpevolezza nei riguardi dell'odierno imputato in ordine ai reati a lui ascritto, in punto di trattamento sanzionatorio va rilevato quanto segue. La lettura del certificato del casellario in atti consente di affermare che sussiste la recidiva così come contestata dal PM: l'imputato, già dichiarato recidivo, ha riportato plurime condanne per delitto anche per reati della medesima specie (più precisamente reato di minaccia) e nei cinque anni precedenti la commissione dei fatti per cui si procede. Per queste ragioni, ritiene il Tribunale che, nel caso in esame, si giustifichi anche in concreto l'applicazione dell'aumento di pena previsto per tale circostanza inerente alla persona del colpevole, atteso che i fatti contestati nel presente procedimento costituiscono di tutta evidenza una nuova manifestazione di quell'atteggiamento di indifferenza e avversione verso le leggi dell'ordinamento penale che lo stesso ha già più volte manifestato in passato. Si può, dunque, ragionevolmente affermare che i nuovi fatti costituenti reato sono certamente sintomatici di una maggiore capacità a delinquere della colpevole, di una accresciuta pericolosità sociale dello stesso, nonché di una persistente insensibilità all'effetto deterrente delle pene precedentemente inflitte, di talché appare pienamente giustificata la maggiore punizione del reo (cfr. Cass. Sez. IV, 23.04,2009 n. 21523). All'imputato appaiono concedibili le attenuanti generiche in considerazione della corretta e collaborativa condotta processuale consistita nell'aver prestato il consenso all'acquisizione di parte degli atti di indagine, circostanza che ha senza subbio favorito la spedita definizione del presente processo nel rispetto delle ragioni di economia processuale. Le riconosciute circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p. possono essere poste ai sensi dell'art. 69 c.p. in rapporto di equivalenza con la contestata recidiva e delle contestate aggravanti. Stante la contiguità spazio-temporale, il rapporto tra le parti, le modalità della condotta e la tipologia dei reati, i fatti contestati all'imputato possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 81, comma 2, c.p. con conseguente individuazione come più grave il reato di cui all'art. 572 c.p. Pertanto, circa la quantificazione della pena da comminare, letti i parametri di cui all'art. 133 c.p., ritiene il Tribunale equo e conforme a giustizia porre a carico dell'odierno imputato la pena di anni tre, mesi due, giorni venti di reclusione. La pena è così determinata: pena base per il reato di cui all'art. 572 c.p. anni tre di reclusione; escluso l'aumento per la contestata recidiva stante il rapporto di equivalenza con le riconosciute circostanze attenuanti generiche; operato l'aumento per la continuazione con il capo b) alla pena di anni tre, mesi uno di reclusione (aumento corrispondente a mesi uno di reclusione); operato l'aumento per la continuazione con il capo c) alla pena di anni tre, mesi due di reclusione (aumento corrispondente a mesi uno di reclusione); operato l'aumento per la continuazione con il capo d) alla pena di anni tre, mesi due di reclusione, giorni quindici di reclusione (aumento corrispondente a giorni quindici di reclusione); operato l'aumento per la continuazione con il capo e) alla pena di anni tre, mesi due di reclusione, giorni venti di reclusione (aumento corrispondente a giorni cinque di reclusione). Alla condanna consegue per legge l'obbligo del pagamento delle spese processuali. L'entità della pena inflitta non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e, a norma dell'art. 29 c.p., impone l'applicazione della sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Non si procede alla sostituzione della pena detentiva ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p. poiché l'imputato non è comparso e il difensore ha dichiarato di non formulare alcuna richiesta di sostituzione. Quanto alla domanda formulata dalla parte civile con cui si chiede la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni conseguenza delle condotte illecite a lui ascritte, nonché alla rifusione delle spese di lite, la stessa è fondata e deve essere dunque accolta, seppur nei limiti di seguito indicati. La condotta tenuta dall'imputato, come sopra descritta, integra senza dubbio plurimi fatti illeciti fonte di responsabilità civile e di danni risarcibili in virtù del disposto degli artt. 185 c.p., 2043 e 2059 c.c. Agli atti del fascicolo non vi sono sufficienti e idonei spunti che consentano di quantificare esattamente detti danni. Deve seguire, allora, generica condanna dell'imputato al risarcimento di tali danni, i quali andranno più compiutamente determinati in separata sede dal Giudice civile. Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessario che il danneggiato dia prova della loro effettiva sussistenza, ma è sufficiente l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza del nesso di causalità tra l'illecito ed il pregiudizio lamentato. Detta pronuncia, infatti, si concreta in una sentenza meramente dichiarativa da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura, sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione. Su conforme richiesta della parte civile, l'imputato deve essere condannato al pagamento di una provvisionale (immediatamente esecutiva ex art. 540 secondo comma c.p.p., non essendo richiesti dalla legge a tale scopo né lo stato di bisogno né l'esistenza di giustificati motivi), che può essere determinata nella misura di Euro 45.000,00, potendosi ritenere provato un danno non patrimoniale (inteso quale danno morale soggettivo o pretium doloris) subito dalla persona offesa quantomeno pari a tale importo. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., in assenza di giusti motivi di totale o parziale compensazione, l'imputato deve inoltre essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che vengono liquidate, come da dispositivo, alla luce del numero delle udienze e della complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate; tale somma, risultando la St. ammessa al patrocinio dello Stato, dovrà essere distratta in favore dell'erario (decreto di ammissione dd. 10.10.22 relativo alla richiesta depositata il 27.7.2022). Stante la complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate, si stima congruo indicare, ai sensi dell'art. 544, co. 3, c.p.p., il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione della sentenza. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA Be.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti e, esclusa la circostanza aggravante dell'art. 61 n. 11 quinquies c.p. contestata al capo b) di rubrica, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con la recidiva e le contestate aggravanti, lo CONDANNA condanna alla pena di anni 3, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. visto l'art. 29 c.p. APPLICA all'imputato la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5; visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., CONDANNA Be.Fr. al risarcimento danni in favore della costituita parte civile St.Ro. da liquidarsi in separata sede civile, nonché al rimborso delle spese processuali dalla stessa sostenute, che liquida in complessivi Euro 2.016,00, oltre I.V.A., C.P.A., e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell'erario; CONDANNA l'imputato, a titolo di provvisionale, al pagamento della somma di Euro 45.000,00 in favore della parte civile. Motivazione riservata in giorni 90 ex art. 544, co. 3, c.p.p. Così deciso in Trieste il 13 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 6 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI E.V.S. - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PICARDI ANTONIETTA, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 febbraio 2022, la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Pesaro ed in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, dichiarava (OMISSIS) colpevole dei delitti ascrittigli ai sensi degli articoli 612 bis e 635 c.p., entrambi consumati in danno della vicina d'abitazione, (OMISSIS), nel corso dell'anno 2018, irrogando la pena indicata in dispositivo e condannandolo al risarcimento dei danni cagionati alla indicata parte civile. 1.1. In accoglimento dell'appello del pubblico ministero (con le rinnovate deposizioni della persona offesa e dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), la Corte territoriale osservava quanto segue. I dubbi espressi dal Tribunale sulla attendibilita' della persona offesa, per l'astio nutrito nei confronti dell'imputato, erano privi di fondamento. L'attendibilita' della stessa, infatti, era stata dimostrata anche dalla raccolta di plurimi riscontri del suo narrato. La (OMISSIS), zia della persona offesa, aveva riferito di avere personalmente assistito ad un episodio in cui il prevenuto aveva insultato la congiunta, che aveva poi accompagnato in caserma a denunciare il fatto. La (OMISSIS), amica della persona offesa, aveva anch'ella riferito di un altro episodio di ingiurie, rivolte dall'imputato alla persona offesa, e di un disturbo del riposo notturno della medesima, protrattosi per un'intera notte. L'operante (OMISSIS) aveva riferito di avere direttamente assistito, quando era intervenuto sul posto, ad un episodio di rumori molesti provocati dall'imputato a danno della vicina, senza alcuna valida giustificazione. Tutti i predetti episodi, uniti alle altre angherie riferite dalla persona offesa, certamente concretavano il contestato delitto di atti persecutori. Il mutamento delle abitudini di vita, che ne era derivato, era stata la rinuncia della prevenuta a parcheggiare l'auto davanti alla propria autorimessa. Quanto ai danneggiamenti contestati, oltre alla prova logica desunta dai fatti sopradescritti, militava anche l'immediatezza, almeno in una occasione, dell'atto rispetto al passaggio del prevenuto nei pressi dell'autovettura. E le immagini tratte da un filmato della telecamera di videosorveglianza. 2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in cinque motivi. 2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata confutazione, ad opera della Corte d'appello, di tutte le ragioni che avevano indotto il Tribunale ad assolvere l'imputato (l'assenza, pertanto, di una "motivazione rafforzata"). Il Tribunale, infatti, aveva giustificato la propria decisione assolutoria anche considerando le deposizioni dei testi indotti dalla difesa, (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre la Corte ne aveva riformato il giudizio sulla sola scorta delle dichiarazioni della persona offesa, della sua amica (OMISSIS), della sua parente, (OMISSIS), e dell'operante (OMISSIS). Peraltro, nessuna delle deposizioni dei citati testimoni aveva apportato nuovi elementi di giudizio e la stessa parte civile si era limitata ad affermare, quanto all'evento del reato, che le condotte del (OMISSIS) le avevano impedito di portare i propri figli nell'appartamento indicato. 2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione del compendio probatorio ed in particolare delle deposizioni rese dai testi indotti dalla difesa. Testi che avevano concordemente escluso che l'imputato avesse consumato le condotte contestategli in imputazione. Se ne riportavano in ricorso i brani ritenuti piu' salienti. 2.3. Con il terzo, quarto e quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del ricorrente per i delitti ascrittigli. Solo apparente era stata sul punto, come emerge anche dalle argomentazioni relative ai precedenti motivi di ricorso, la motivazione della Corte territoriale che non aveva neppure indicato su quali fonti di prova poggiasse la sua decisione. Ne' se, dalle presunte condotte consumate dal prevenuto, era realmente derivato un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, anche alla luce delle circostanze riferite dai testi della difesa. 3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Antonietta Picardi, ha concluso, con nota scritta, per l'inammissibilita' del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente inviava memoria con la quale argomentava ulteriormente i motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento. 5. Il difensore della parte civile inviava una memoria in cui concludeva per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato merita accoglimento. 1. In tema di riforma di una sentenza assolutoria di prime cure, questa Corte ha ricordato come sia necessario sia procedere ad una nuova escussione delle testimonianze ritenute decisive, come peraltro prevede l'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, (inserito, a decorrere dal 3 agosto 2017, dalla L. n. 103 del 2017, e quindi in data anteriore alla celebrazione del processo d'appello e che cosi' recita: "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale"), sia motivare l'opposta decisione, contrastando con una "motivazione rafforzata" le ragioni che avevano indotto il primo giudice ad assolvere l'imputato. 2. Quanto al primo aspetto - la necessaria rinnovazione delle prove dichiarative che si ritengano decisive per la riforma della sentenza impugnata - si ricorda come le stesse siano state individuate fini della sentenza delle Sezioni unite Dasgupta (che aveva anticipato, in via di interpretativa, la ricordata novita' legislativa) - n. 27620 del 28/04/2016 Rv. 267491 - in cui si era, appunto, precisato che costituiscono prove decisive (al fine della valutazione della necessita' di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese) quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonche' quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna. Un orientamento che ha trovato recente conferma nella sentenza n. 41358 del 29/04/2022, Ciancio, Rv. 283678 secondo cui in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, il giudice di appello che pervenga a una riforma della decisione assolutoria di primo grado, ove sussista contrasto tra due fonti testimoniali incidenti in modo potenzialmente decisivo sulla ricostruzione del fatto, e' obbligato alla riassunzione di entrambe, non potendo privilegiare l'escussione di una sola di esse. 2.1. Nell'odierno caso concreto, la Corte non ha tenuto conto di tali principi di diritto avendo rinnovato l'istruttoria dibattimentale con esclusivo riferimento alle testimonianze della persona offesa e dei testi, d'accusa, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Del tutto trascurando le deposizioni dei testi indicati in ricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS). Testi le cui deposizioni, invece, il Tribunale aveva riportato alle pagine da 6 a 9 della propria sentenza, e che avevano riferito (particolarmente la (OMISSIS)) del comportamento dispotico della persona offesa nei confronti suoi e dell'imputato, e dell'astio fra loro intercorrente, cosi' da indurre il Tribunale stesso a non ritenere raggiunta la prova della penale responsabilita' dell'imputato, per entrambi di delitti a lui contestati, gli atti persecutori ed i danneggiamenti. Era pertanto evidente che il primo giudice aveva ritenuto entrambe le citate testimonianze decisive ai fini del decidere cosi' che anche queste avrebbero dovuto essere rinnovate dal giudice d'appello. 3. La sentenza impugnata difetta anche in ordine alla necessita' di confutare con "motivazione rafforzata" gli argomenti spesi dal primo giudice per ritenere il ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato. Le deposizioni dei due citati testi - (OMISSIS) ed il padre dell'imputato, (OMISSIS) - infatti, non solo non erano state rinnovate, ma non avevano trovato menzione alcuna nel percorso motivazionale seguito dalla Corte d'appello. Neppure per affermarne, qualora ne fosse stata ritenuta, l'inattendibilita'. Si era cosi' deciso per la riforma della sentenza omettendo, del tutto, di considerare una parte del compendio probatorio, una parte che il primo giudice aveva ritenuto decisiva per pervenire all'assoluzione dell'imputato. 4. Per, entrambe, le ragioni teste' esposte la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per il nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, responsabile civile; 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento nei confronti di: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/03/2022 della Corte d'appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato generale Pasquale Fimiani, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; udito, per la parte civile resistente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di sostituto processuale dell'avvocata (OMISSIS), che ha concluso per il rinvio della trattazione del procedimento alla Sezione civile; udito, per il responsabile civile ricorrente (OMISSIS) s.r.l., l'avvocato (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento del ricorso; udito, per l'imputato ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento del ricorso udito, per l'imputato non ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), che, prospettando la possibile estensione dei motivi del ricorso di (OMISSIS), si associa alle conclusioni del Procuratore generale. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 22 marzo 2022, la Corte d'appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Enna, e pronunciando su appello di alcune delle parti civili, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati, tra i quali (OMISSIS), per il reato di cui all'articolo 659, comma 1, c.p., perche' lo stesso e' estinto per prescrizione. L'imputazione ha ad oggetto le condotte degli amministratori della societa' " (OMISSIS) s.r.l.", tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS), consistite nell'aver procurato rumori molesti, allocando alcune torri eoliche in siti diversi da quelli indicati nel progetto autorizzato, le cui turbine, per il loro funzionamento, disturbavano in modo continuo le occupazioni ed il riposto delle persone abitanti nella zona. La sentenza della Corte d'appello ha precisato che il reato, come gia' precisato dal Tribunale, deve ritenersi gia' estinto alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, con conseguente giuridica impossibilita' di statuizioni risarcitorie o di rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto a firma dell'avvocato (OMISSIS), e " (OMISSIS) s.r.l.", citata come responsabile civile, con atto a firma dell'avvocata (OMISSIS). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' articolato in tre motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 597 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., avuto riguardo alla riforma dell'assoluzione dell'imputato in violazione del divieto di reformatio in peius. Si deduce che illegittimamente la Corte d'appello ha riformato la sentenza di assoluzione in sentenza di non doversi procedere per prescrizione, in quanto il gravame e' stato proposto esclusivamente dalla parte civile. Si osserva che, a norma dell'articolo 576 c.p.p., la parte civile e' legittimata a proporre impugnazione esclusivamente agli effetti civili (si citano tra le altre: Sez. 6, n. 43644 del 11/09/2019; Sez. 2, n. 22170 del 24/04/2019, Tonello, Rv. 275589; Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016, Amato, Rv. 268344). 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avuto riguardo alla riforma dell'assoluzione dell'imputato in violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata. Si deduce che la sentenza impugnata e' pervenuta a conclusioni opposte rispetto a quella pronunciata in primo grado, senza un puntuale confronto con le argomentazioni di quest'ultima, limitandosi a riportare una parte delle dichiarazioni dell'unico testimone risentito ex articolo 603 c.p.p., ed omettendo di valutare altri passaggi della medesima deposizione, decisivi in una prospettiva assolutoria. 3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 659 c.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., avuto riguardo alla ritenuta configurabilita' del reato in violazione del principio di offensivita' e della non applicabilita' dei valori limite. Si.deduce che illegittimamente la sentenza impugnata, per affermare la sussistenza del fatto, ha valorizzato le dichiarazioni del teste (OMISSIS), laddove ha riferito del superamento, in alcuni siti, dei c.d. "valori limiti differenziali". Si osserva, in primo luogo, che la disciplina dei "valori limiti differenziali" di cui alla L. n. 447 del 1995, articolo 2, comma 3, lettera b), e di cui al d.P.C.M. 14 novembre 1997, articolo 8 non e' applicabile nella specie, perche' la stessa presuppone la sottoposizione dell'area interessata alla c.d. "zonizzazione acustica", di cui al d.P.C.M. 1 marzo 1991, articolo 6; si aggiunge, inoltre, che gli scostamenti rilevati sono solo due, a fronte di decine di rilevazioni, e che il bene giuridico della pubblica quiete richiede una lesione interessante "un numero indeterminato di persone. Si rileva, in secondo luogo, che, secondo la giurisprudenza, il mero superamento dei limiti di emissione fissati secondo i criteri di cui alla L. n. 447 del 1995 configura solo l'illecito amministrativo di cui all'articolo 10, comma 2, legge cit. (si citano Sez. 3, n. 39454 del 06/04/2017, e Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015). 4. Il ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", citata come responsabile civile, e' articolato in sei motivi, preceduti da una premessa sullo svolgimento del processo. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 538, 576, 591 e 649 c.p.p., a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo riguardo alla legittimita' della pronuncia di accoglimento del gravame da parte della Corte d'appello nonostante l'inammissibilita' dello stesso per la dichiarazione di prescrizione del reato in primo grado. Si deduce che il giudice dell'impugnazione ha il potere di affermare la responsabilita' agli effetti civili solo se tale potere spettava al giudice di primo grado, e che, pero', nella specie, neppure questi avrebbe potuto pronunciarsi, data il decorso del termine di prescrizione, oggetto di puntuale indicazione anche nella sentenza del Tribunale con statuizione ormai irrevocabile, perche' non impugnata ne' dal Pubblico Ministero, ne' dalle parti civili. 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 576 e 597 c.p.p., a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo riguardo alla intangibilita' delle statuizioni penali in ragione della mancata impugnazione del Pubblico Ministero. Si deduce che illegittimamente la Corte d'appello ha messo in discussione l'affermazione di insussistenza della responsabilita' penale degli imputati, posta la mancata proposizione del gravame da parte del Pubblico Ministero. Si rappresenta che l'articolo 576 c.p.p., consente l'impugnazione della parte civile esclusivamente agli effetti civili (si cita Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016). 4.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 659 c.p. e d.P.C.M. 14 novembre 1997, 8, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., avendo riguardo alla ritenuta configurabilita' del reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, in particolare per il superamento dei c.d. "valori limiti differenziali". Si deduce, in primo luogo, che il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone richiede un pregiudizio per la tranquillita' pubblica e per un numero indeterminato di persone (si cita Sez. 3, n. 25424 del 20/06/2016), mentre, nella specie, il funzionamento delle turbine e' stato oggetto di doglianze da parte di un numero circoscritto di persone. Si deduce, in secondo luogo, che illegittimamente, nella specie, si e' data rilevanza al superamento dei c.d. "valori limiti differenziali" di cui al d.P.C.M. 14 novembre 1997, in quanto, da un lato, questi valori, a norma degli articoli 4, comma 1, lettera a), e L. n. 447 del 1995, 6, comma 1, lettera a), e dell'articolo 8 del medesimo d.P.C.M., cit., costituiscono parametri di riferimento esclusivamente per i Comuni il quali abbiano provveduto alla c.d. zonizzazione, e, dall'altro, il Comune di (OMISSIS), nel quale e' stato realizzato il parco eolico da cui proviene il "rumore", no'n ha ancora proceduto alla zonizzazione acustica del suo territorio. 4.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avendo riguardo alla omessa valutazione, da parte della Corte d'appello, delle note scritte depositate nel corso del giudizio di secondo grado. Si deduce che la Corte d'appello ha omesso di esaminare le questioni indicate in tre memorie depositate nel corso del giudizio di appello; in queste memorie si erano prospettate le questioni esposte nei primi tre motivi del presente ricorso, tutte risolutive ai fini della decisione della regiudicanda. 4.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avendo riguardo alla violazione dell'obbligo di c.d. "motivazione rafforzata". Si deduce che la sentenza impugnata ha violato l'obbligo di "motivazione rafforzata", sussistente anche quando l'impugnazione si stata proposta dalla sola parte civile (si cita Sez. U, n. 27620 del 2016). Si osserva che la Corte d'appello non solo si e' limitata all'escussione di un unico teste, (OMISSIS), omettendo di sentire anche il teste (OMISSIS), ma ha valorizzato dichiarazioni generiche, prive di indicazioni sui soggetti i quali avrebbero riportato i pregiudizi dal funzionamento delle turbine del parco eolico gestito dalla societa' chiamata in giudizio come responsabile civile, e non si e' confrontata con le dichiarazioni della pronuncia assolutoria di primo grado, ne' ha evidenziato le criticita' o le implausibilita' di quest'ultima. 4.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 125, c.p.p., e vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c) ed e), c.p.p., avendo riguardo alla totale carenza di motivazione. Si deduce che la sentenza impugnata espone una motivazione apparente. Si evidenzia che la stessa non precisa ne' perche' ritiene provati gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 659 c.p., ne' perche', in ogni caso, non sia configurabile il meno grave illecito amministrativo di cui alla L. n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2, e neppure quali siano i valori limite di immissione, i valori differenziali e le soglie di trascurabilita' di cui ha tenuto conto. 5. Nelle more del di giudizio di cassazione, sono pervenute le revoche della costituzione di parte civile di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito precisati. 2. Occorre innanzitutto precisare che la Corte deve comunque esaminare i ricorsi agli effetti penali, pur essendo il reato in contestazione, previsto dall'articolo 659, comma 1, c.p., divenuto procedibile a querela nelle more del giudizio di cassazione, in forza di quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 3. Non ricorre, infatti, nella specie, il difetto della querela richiesta dal Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 3, perche', in relazione al reato per cui si procede, sono rimaste ferme alcune costituzioni di parte civile e una delle parti civili ha anche presentato le sue conclusioni in udienza. Invero, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, "la sussistenza della volonta' di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, puo' essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione", e, quindi, "puo' essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonche' nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio", con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest'ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio (cosi' Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, in motivazione, § 3.2, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del Decreto Legislativo n. 10 aprile 2018, n. 36, ed ai giudizi pendenti in sede di legittimita'). Va aggiunto che questo principio si collega ad una consolidata elaborazione giurisprudenziale (le Sezioni Unite citano diverse pronunce, tra le quali, in particolare, Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259), ed e' stato ribadito da successive decisioni (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 5193 del 05/12/2019, dep. 2020, Feola, Rv. 277801-01, relativa a fattispecie di condanna per appropriazione indebita aggravata ex articolo 61, n. 11, c.p., delitto divenuto procedibile a querela ex Decreto Legislativo n. 10 aprile 2018, n. 36, articolo 10, comma 1, dopo la sentenza di primo grado, in relazione alla quale la Corte ha rilevato che la sussistenza della condizione di procedibilita' era desumibile dalla riserva di costituzione di parte civile formulata dalla persona offesa nella denunzia). 3. Per ragioni di ordine logico, si esamineranno dapprima le censure esposte nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel secondo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano la legittimita' della riforma agli effetti penali della sentenza di assoluzione di primo grado in sentenza di non doversi procedere, nonostante l'appello sia stato proposto dalle sole parti civili. Si scrutineranno poi le censure formulate nel primo motivo di ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", attinenti alla legittimita' della riforma agli effetti civili della sentenza di assoluzione di primo grado, nonostante l'avvenuta maturazione della prescrizione gia' anteriormente alla pronuncia della sentenza di primo grado. Si valuteranno quindi le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", concernenti la violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata". Si precisera' infine perche' le decisioni sui precedenti motivi implica l'assorbimento delle ulteriori censure, e quali sono gli effetti che seguono a tali decisioni. 4. Fondate, innanzitutto, sono le censure esposte nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la legittimita' della riforma, agli effetti penali, della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti dell'imputato in sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, deducendo che tale statuizione non era consentita in quanto l'appello era stato proposto esclusivamente dalle parti civili. Invero, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita', la parte civile e' si' legittimata a proporre appello avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto al fine di chiedere al giudice dell'impugnazione di affermare la responsabilita' dell'imputato, ma incidentalmente e ai soli fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, ancorche' in mancanza di una precedente statuizione sul punto, sicche' resta ferma, nel caso di appello della sola parte civile, l'intangibilita' delle statuizioni penali (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016, dep. 2017, Sdolzini, Rv. 268894-01, e Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016, Amato, Rv. 268344). Nella specie, come risulta anche dalla sentenza impugnata, con la pronuncia di primo grado gli imputati erano stati assolti con la formula perche' il fatto non sussiste, e gli appelli sono stati proposti esclusivamente dalle parti civili. Di conseguenza, deve ritenersi illegittima la statuizione della Corte d'appello nella parte in cui, agli effetti penali, ha riformato la sentenza di assoluzione perche' il fatto non sussiste in sentenza di non doversi procedere perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione. 5. Inammissibili, invece, sono le censure esposte nel secondo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", sebbene identiche a quelle formulate nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS). Invero, come si desume dalla complessiva disciplina dell'articolo 575 c.p.p., il responsabile civile e' legittimato a proporre impugnazioni esclusivamente agli effetti civili (cfr., in questo senso, Sez. 4, n. 37992 del 09/07/2008, Surigo Compagnia Assicurazioni S.a., Rv. 241026-01, e Sez. 1, n. 31130 del 17/06/2004, Santangelo, Rv. 229154-01). 6. Infondate, poi, sono le censure enunciate nel primo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano la legittimita' della riforma, agli effetti civili, della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, deducendo che tale statuizione non era consentita in quanto la prescrizione, come evidenziato sia dal Tribunale, sia dalla Corte d'appello, era maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado. 6.1. Puo' essere utile osservare che diverse decisioni di legittimita' hanno riconosciuto il diritto della parte civile ad impugnare sentenze di assoluzione pronunciate in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto. In particolare, una decisione ha osservato che e' ammissibile l'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto relativa a un reato gia' prescritto al momento della pronuncia, essendo in tal caso l'oggetto del giudizio costituito dall'accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilita' civile e dall'eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di insussistenza del fatto, con possibilita' di condanna al risarcimento dei danni, in quanto l'articolo 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (cosi' Sez. 6, n. 43644 del 11/09/2019, Murone, Rv. 277375-01). Altra decisione, poi, ha rilevato che la parte civile costituita e' legittimata a proporre impugnazione ai sensi dell'articolo 576 c.p.p. avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato pronunciata ex articolo 129, comma 2, stesso codice, in relazione a reato a quella data gia' prescritto, ma al solo scopo di rimuoverne l'efficacia di giudicato nell'azione di danno nei suoi confronti (cfr. Sez. 1, n. 13941 del 08/01/2015, Ciconte, Rv. 263065-01, la quale ha annullato senza rinvio ai soli effetti civili la sentenza emessa ex articolo 129 comma 2, c.p.p., dopo aver ravvisato nella stessa vizi di motivazione, ed ha conseguentemente dichiarato, sempre limitatamente a tali effetti, estinto il reato per prescrizione). 6.2. La soluzione secondo cui la parte civile e' legittimata ad impugnare sentenze di assoluzione pronunciate in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto risulta in linea con il dato normativo. Occorre premettere che, a norma dell'articolo 576, comma 1, primo periodo, c.p.p., la parte civile puo' proporre impugnazione, oltre che contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, anche, "ai soli effetti della responsabilita' civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio". Va poi rilevato che, a norma dell'articolo 652, comma 1, c.p.p., la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, "ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto e' stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima, nel giudizio civile (...) per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito (...) parte civile (...)". Sulla base di quanto previsto dalle indicate disposizioni, puo' evincersi che la parte civile, in linea di principio, e' legittimata ad impugnare tutte le sentenze di proscioglimento, e che la stessa, inoltre, ha specifico interesse ad impugnare una sentenza di assoluzione perche', se questa diviene irrevocabile, nei suoi confronti "ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto e' stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima, nel giudizio civile (...) per le restituzioni e il risarcimento del danno". Ne discende che deve ritenersi consentito che la parte civile proponga appello avverso una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto per ottenerne la riforma agli effetti Civili in sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e che il giudice, in accoglimento del precisato gravame, decida in conformita' con tale richiesta. 7. Fondate sono le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", concernenti la violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata". Innanzitutto, e' fuori discussione l'obbligo, per il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado, di adottare una motivazione cd. "rafforzata". In questo senso si e' ripetutamente pronunciata la giurisprudenza di legittimita' (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 42868 del 26/09/2019, Miceli, Rv. 277624-01, e Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149-01) e l'adesione a tale principio e' formalmente affermata anche nella sentenza impugnata. Cio' posto, pero', la sentenza impugnata non risulta aver dato corretta applicazione all'obbligo di motivazione cd. "rafforzata". Come precisato anche dalle Sezioni Unite, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cosi' Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01; piu' di recente, tra le tante, Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907-01). Nella specie, la Corte d'appello non solo ha risentito uno solo dei testi esaminati nel giudizio di primo grado, ma non si e' confrontata con le specifiche ragioni poste a fondamento della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado. Invero, anche dal punto di vista grafico ed espositivo, non e' rinvenibile nella sentenza impugnata il benche' minimo esame delle ragioni addotte dal Tribunale a fondamento della pronuncia assolutoria. La Corte di appello, precisamente, per affermare l'ipotizzabilita' della sussistenza della responsabilita' civile degli imputati, si e' limitata a poche righe, nelle quali ha esaminato le dichiarazioni del teste riesaminato, (OMISSIS). Tra l'altro, nella sentenza impugnata, come puntualmente denunciato nel ricorso del responsabile civile, non risulta compiuto alcun confronto con le dichiarazioni del teste (OMISSIS), non riesaminato in appello, ed abbondantemente citato nella sentenza di proscioglimento emessa in primo grado. 8. Assorbite sono le censure esposte nel quarto e nel sesto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano ulteriori vizi di motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte d'appello. Invero, l'annullamento della sentenza di appello per difetto della motivazione c.d. "rafforzata", e la necessita' di un nuovo giudizio di merito, rendono superfluo l'esame di queste ulteriori doglianze. 9. Assorbite sono anche le censure enunciate nel terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel terzo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", che contestano la configurabilita' del reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone sia per la violazione del principio di offensivita', sia per la non applicabilita' dei c.d. "valori limiti differenziali". Il Collegio non intende discostarsi dal principio consolidato secondo cui, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l'esercizio di una attivita' o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma 1 dell'articolo 659, c.p., qualora il mestiere o l'attivita' vengano svolti eccedendo dalle normali modalita' di esercizio, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma 2 dell'articolo 659 c.p., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorita' che regolano l'esercizio del mestiere o della attivita', diverse da quelle relativa ai valori hmite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 447 del 1995 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56430 del 18/07/2017, Vazzana, Rv. 273605-01). Tuttavia, il Collegio, alla luce degli atti legittimamente esaminabili in questa sede, non e' in condizione di escludere che l'attivita' svolta dalla societa' " (OMISSIS) s.r.l.", e dai suoi amministratori, sia stata svolta eccedendo dalle normali modalita' di esercizio di essa, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete. Invero, la sentenza impugnata ha dato atto della produzione di rumore e non ha affermato l'ipotizzabilita' del fatto produttivo di responsabilita' civile solo perche' si era verificato il superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447. 10. In conclusione, la sentenza impugnata, agli effetti penali, in accoglimento del primo motivo del ricorso di (OMISSIS), deve essere annullata senza rinvio, con conseguente riviviscenza, a tali effetti, della pronuncia assolutoria di primo grado perche' il fatto non sussiste. La medesima sentenza impugnata, poi, agli effetti civili, in accoglimento del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e del quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello, a norma di quanto previsto dall'articolo 622 c.p.p.. Deve escludersi, ancora, che, in questa sede, possa procedersi all'estensione degli effetti delle impugnazioni proposte dall'imputato (OMISSIS) e dalla responsabile civile " (OMISSIS) s.r.l." in favore dell'imputato non impugnante (OMISSIS). Invero, l'articolo 610 c.p.p., a differenza di quanto stabiliscono gli articoli 601 e 627 c.p.p., relativi l'uno al giudizio di appello e l'altro al giudizio di rinvio, non prevede l'intervento nel giudizio di legittimita' dell'imputato che puo' giovarsi dell'effetto estensivo dell'impugnazione. E questa disciplina, da un lato, e' coerente con la natura del giudizio di legittimita', e, dall'altro, non pregiudica l'interesse dell'imputato possibile beneficiario dell'estensione dell'impugnazione, potendo il medesimo far valere le proprie ragioni a tal proposito mediante l'attivazione di un incidente di esecuzione (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 29408 del 14/06/2018, M., Rv. 273437-01, e Sez. 1, n. 16678 del 01/03/2013, Antonelli, Rv. 255847-01). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali nonche' agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI QUARTA SEZIONE PENALE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice Giuliana Taglialatela, alla pubblica udienza del 14.02.2023 ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato ad A. il (...) e residente ed elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. a G. alla via V. (...) n. 4 (come da elezione di domicilio del 27.1.2021) Libero, assente difeso di fiducia dall'avv. Da.Cu. assente, sostituito per delega orale dal dott. Ma.Vi., IMPUTATO v. allegato a) del delitto p. e p. dagli artt. 624 bis, 625 co. 1 n. 2 c.p. perché, al fine di trarne profitto, mediante introduzione all'interno del condominio sito in N. al corso U. I, n. 154, ed introdottosi all'interno della cantina del predetto stabile di proprietà di (...), sì impossessava dei beni della persona offesa (in particolare: n. 1 confezione da 24 lattine di coca-cola), sottraendoli alla stessa che li deteneva; con 1'aggravante di aver commesso il fatto introducendosi in una abitazione e di aver commesso il fatto con violenza sulle cose; b) del delitto p. e p. dall'art. 635 co. 2 c.p. perché, al fine di commettere il reato sub a), compiva atti idonei a forzare e danneggiare la porta di ingresso dello studio legale, di proprietà di (...) staccandola completamente dal muro, nonché forzare le porte di ingresso di altre abitazioni site all'interno del suddetto condominio; c) del reato p. e p. dall'art. 707 cod. pen. perché, essendo stato condannato per reati contro il patrimonio, ed al fine di commettere il reato sub a) e B), era colto in possesso di quattro cacciaviti in metallo marca Stanley rispettivamente due da taglio e due a stella; di una tenaglia in metallo marca Knipex, strumenti atto a aprire o sforzare serrature, senza giustificato motivo; in Napoli, il 26 gennaio 2021 con la recidiva reiterata ed infraquinquennale PP.OO.: (...), in atti generalizzata; (...), in atti generalizzata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 21.11.2021 il PM disponeva la citazione a giudizio dell'imputato per l'udienza del 29.03.2022 innanzi al Tribunale di Napoli per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'udienza del 29.3.2022, il giudice, dichiarata l'assenza dell'imputato regolarmente citato e non comparso, rinviava il processo, per omessa notifica del decreto alle pp.oo. All'udienza del 14.2.2023 la difesa eccepiva la nullità del decreto per mancata celebrazione dell'udienza preliminare; il giudice rigettava tale eccezione. La difesa munita di procura speciale chiede procedersi nelle forme del rito abbreviato. Ammesso il rito abbreviato ed acquisito il fascicolo del PM, il giudice invitava le parti alla discussione ed, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, rendeva pubblica la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Gli atti di indagine utilizzati per la decisione forniscono la piena prova della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati a lui contestati. (...), in data 26 gennaio 2021, ha sporto una denuncia in cui ha rappresentato quanto segue: "Premetto che sono titolare dello studio legale ubicato in questo Corso U. n. 154 al primo piano. Aggiungo che allo stadio odierno lo studio è in stato di ristrutturazione. In data odierna verso le ore 21.45 venivo contattata telefonicamente dalla custode dello stabile in narrativa che riferiva che delle persone stavano perpetrando un furto all'interno di detto studio, deducibile dai forti rumori molesti provenienti da quel sito. Pertanto unitamente a mio figlio (...) mi recavo sul posto, ove verificavo la presenza di più pattuglie dei carabinieri intente ad ispezionare lo stabile. Nel contempo constatavo che le due ante poste a protezione dello studio rinforzate con un lucchetto blindato erano state divette, e una delle quali giacente al suolo. All'interno mi accorgevo che nulla era stato asportato. Preciso che alle ore 20.40 odierne chiudevo lo studio assicurandomi che fosse regolarmente a chiave". (...), in data 26 gennaio 2021, ha sporto denuncia, esponendo quanto segue: "Premetto di essere il custode del condominio ubicato al civico 154 di questo c.so U. per oltre 30 anni a questa parte. Nella serata odierna verso le ore 21.30 circa udivo dal mio alloggio dei rumori molesti provenienti dal primo piano della scala b. Detti rumori lasciavano presagire che qualcuno stava scassinando qualche porta. A tal proposito uscivo dalla mia abitazione recandomi al primo piano ove constatavo che la porta di ingresso formata da due ante in legno erano state completamente divelta. Accortami di ciò che stava accadendo allertavo subito il 112 dei carabinieri. Dopo di che uscivo unitamente alla mia famiglia di casa per recarmi fuori in strada, per paura. Nell'immediatezza arrivavano sul posto i carabinieri, unitamente ai quali facevamo ingresso nel condominio. I carabinieri bloccavano il portone di ingresso del palazzo ed ispezionavano l'intero condominio. Ispezionavano il sottoscala a me in uso, i carabinieri sorprendevano un soggetto che recava tra le mani una cassetta da 24 lattine di coca cola di mia proprietà. Facevo immediatamente presente ai CC che il sottoscala era usato da me come deposito anche di bevande". Dall'annotazione di pg del 26 gennaio 2021 redatta dai CC di Napoli nucleo Radiomobile- II sezione Autoradio emerge quanto segue: "In data odierna alle ore 21.30 circa... venivamo contattati dalla centrale operativa di Napoli il cui operatore riferiva di portarci in Corso Umberto In. 154, in ordine a segnalazione, ricevuta, per furto in atto. Giunti prontamente sul posto avevamo subito contezza di una persona di sesso femminile qualificatasi per la custode del condominio, la quale riferiva che all'interno di detto condominio vi era un soggetto che stava forzando delle porte di abitazioni ivi collocate sia verso la Scala B quanto alla scala A. A tal proposito facevamo chiudere il portone di ingresso al condominio per non permettere ad alcuno di uscire o di entrare. Cosicché ispezionavamo dapprima la scala B entrando verso destra, ove giunti sulla prima rampa di scale in prossimità della rampa di scale, notavamo un soggetto uscire da uno scantinato con in braccio una confezione da 24 lattine di coca-cola. La richiedente, anche custode del condominio in questione, a tale scena, riferiva che la confezione di coca-cola era di sua proprietà e il vano adibito a scantinato era in uso alla medesima dove abitualmente era solita depositare bevande e cose varie. Quindi il soggetto, sorpreso proprio in flagranza, non opponeva resistenza lo stesso veniva perquisito...Ed invero all'interno dello zaino portato a spalla venivano rinvenuti oggetti atti allo scasso, quali, tenaglia in metallo e n. 4 cacciaviti di varie misure". Nell'annotazione di pg redatta dalla PM di Portici è scritto quanto segue: "Il soggetto fermato riferiva di non essere in possesso di documenti che attestassero la sua identità e riferiva di chiamarsi (...). Successivamente...ispezionavamo l'intero condominio specie le zone in cui la custode udiva provenire i rumori molesti. Alla scala B precisamente al primo piano dove era ubicato uno studio legale notavamo che la porta di ingresso composta da due ante di legno chiuse con un lucchetto blindato era divelta dal muro. Giunti al suo interno notavamo che lo studio legale era in fase di ristrutturazione ...veniva convocato il proprietario del predetto studio legale, nella persona dell'avv. (...)...giunta in loco ispezionava e controllava la sua proprietà senza tuttavia rilevare qualche ammanco. Successivamente veniva ispezionata la scala A riscontrando quanto segue: al secondo piano...ove era ubicato il consolato del Vietnam risaltavano all'occhio evidenti segni di effrazione sul portone di ingresso in legno... al quinto piano dalla porta che s accede al terrazzo sempre in uso al consolato del Vietnam...venivano ritrovati segni di effrazione sul portone in legno" Il F., mentre stava trasportando n. 24 lattine di coca-cola, veniva fermato e sottoposto a perquisizione personale: nel suo zaino venivano rinvenuti oggetti atti allo scasso e, in particolare, quattro cacciaviti e una pinza (cfr. verbale di perquisizione e sequestro in atti). Ebbene, alla luce delle sopra riferite risultanze, si ritiene sussistere la responsabilità dell'imputato nei termini che si vanno ad esporre. Ed, invero, il (...) è stato colto in flagranza mentre, dopo essersi impossessato di una confezione di lattine di coca cola, stava uscendo dalla cantina, dove le stesse, di proprietà di (...), erano custodite. L'odierno imputato, peraltro, aveva in precedenza cercato di forzare le porte di altri numerosi appartamenti ubicati nel medesimo stabile sito in corso U. 1 n. 154 (tra cui quello al secondo piano della scala A ove è ubicato il consolato del Vietnam e quello al quinto piano sempre in uso al medesimo consolato). In entrambi i casi, le porte di ingresso presentavano evidenti segni di effrazione. Non riuscendo nel suo intento, si era, allora, spostato nella scala B, ove aveva tentato di forzare la porta dello studio legale di (...), ubicato al primo piano, danneggiandola ("era divelta dal muro"). Sussiste, dunque, il delitto di cui all'art. 624 bis c.p.c.he al primo comma punisce chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trame profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa. Tale norma è stata inserita al fine di considerare in via autonoma (e non più come mere circostanze aggravanti del furto) quelle condotte considerate maggiormente rischiose per l'incolumità dell'offeso ed indicative di una particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo. Nella giurisprudenza di legittimità è costante l'orientamento che afferma la natura pertinenziale del box o garage e la punibilità, ex art. 624 bis, c.p., delle condotte di sottrazione di beni commesse all'interno di tali luoghi o di altri spazi destinati al ricovero di mezzi, e aventi funzione accessoria delle abitazioni. Il requisito della contiguità spaziale tra abitazione principale e bene posto a servizio ovvero a ornamento di essa, viene affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia civile, proprio come elemento idoneo a integrare la nozione di pertinenza, ai sensi dell'art. 817, c.c., secondo cui, come è noto, sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. Si è, pertanto, chiarito che, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio, è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi al medesimo soggetto nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi una "utilità" al bene principale e non al proprietario di esso, così escludendosi la pertinenzialità tra un immobile condominiale ed un'autorimessa privata in quanto appartenenti a lotti diversi (cfr. Cass., civ., Sez. 2, n. 12855 del 10/06/2011, Rv. 619437). Può, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: la nozione di "pertinenza di luogo destinato a privata dimora", di cui all'art. 624 bis, c.p., si riferisce a ogni bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica ovvero funzionale al bene principale, per essere destinato in modo durevole al servizio o all'ornamento di esso (cfr. Corte di Cassazione Sez. 5 Num. 27326 Anno 2021). Dunque, certamente va ricompresa nella fattispecie di cui all'art. 624 bis cp anche la cantina, che, ancorché non comunicante direttamente con il luogo adibito ad abitazione, era situata nello stesso corpo del fabbricato ed era utilizzata dalla (...) per custodire le bevande. Non sussiste, invece, l'aggravante di cui all'art. 625 co. 1 n. 2 cp non essendo emerso che il furto sia stato commesso con violenza sulle cose (i danni sono stati riscontrati solo sulle porte di ingresso degli altri immobili presenti nello stabile). Del pari sono configurabili i reati di danneggiamento- capo b-, avendo l'imputato danneggiato le porte di ingresso in primis dello studio legale, nonché di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli di cui all'art. 707 c.p., essendo stato il (...) - già condannato per delitti contro il patrimonio-sorpreso in possesso di cacciaviti, di tenaglia e di altri oggetti meglio indicati nel relativo verbale di sequestro. Passando alla determinazione del trattamento sanzionatorio, si ritiene l'imputato (...) meritevole delle invocate attenuanti generiche per adeguare la pena al concreto disvalore del fatto, da ritenere prevalenti sulla recidiva contestata, di cui non può non tenersi conto - cfr. certificato casellario -. Tutti i reati possono essere avvinti dal vincolo della continuazione stante l'evidente unitario disegno criminoso. Tanto premesso, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., stimasi equa la pena di anni due, mesi quattro e giorni tredici di reclusione ed Euro 540 di multa (p.b., anni 4 ed Euro 927, ridotta per le attenuanti generiche prevalenti ad anni due e mesi otto ed Euro 618, aumentata ex art. 81 cpv in misura non inferiore ad un terzo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 81 c.p. ad anni tre e mesi sei e giorni venti ed Euro 810 - precisamente di mesi sette e gg. 20 ed Euro 152 per il reato sub b) e di mesi tre ed Euro 40 euro per il reato sub c-, ridotta per il rito alla pena finale). Segue per legge la condanna alle spese processuali. Ai sensi dell'art. 240 c.p. va disposta la confisca e distruzione di quanto in sequestro. P.Q.M. Letti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 cpp dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti, esclusa l'aggravante di cui all'art. 625 co. 1 n. 2 c.p. contestata al capo a) e concesse le attenuanti generiche, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, considerata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di anni due, mesi quattro e giorni tredici di reclusione ed Euro 540 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione di quanto in sequestro. Così deciso in Napoli il 14 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Monocratico Dott.ssa Angelica Passarella presso il TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE con la presenza del (...) Dott. Matteo Soave con l'assistenza del Cancelliere Fabio Mele ha pronunciato, con lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), n. in B. il (...) ed ivi res. alla via M. 19, sottoposta per questa causa alla misura della custodia cautelare in carcere, presente in videoconferenza Difesa di fiducia dagli avv.ti Ma.Mi. (nomina dep. il 12.9.2022) e Me.Lu. (nomina del 18.1.2023), presente il primo anche in sostituzione della seconda giusta delega orale Imputata Si veda foglio allegato PP.OO.: (...), n. in B. il (...), assente; (...), n. in B. in data (...), assente; PARTE CIVILE: (...), n. in B. il (...), assente, difesa dall'avv. Fr.An., assente. difesa dell'imputata: assoluzione, in relazione al capo A), quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p., o, in subordine, derubricazione nei reati minori, minimo pena con sospensione condizionale della pena; in relazione al capo B) non doversi procedere per tardività della querela; in relazione al capo C) assoluzione o, in subordine, derubricazione con esclusione dell'aggravante, e richiesta, in caso di condanna, di applicazione delle sanzioni sostitutive. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato del 19.9.2022 si è proceduto nei confronti dell'odierna imputata per rispondere dei reati di cui alla rubrica. All'udienza del 5.12.2022 verificata la regolare costituzione delle parti, preso atto della costituzione di parte civile per la (...), e rigettata con ordinanza motivata la richiesta avanzata dalla difesa di disposizione di perizia psichiatrica nei confronti della (...), è stato dichiarato aperto il dibattimento, sono stati ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti, con riduzione, poiché in parte superflua e sovrabbondante, della lista della difesa a numero quattro testimoni a scelta del difensore, e il processo è stato rinviato al 16.1.2023 per l'escussione dei testi del (...) In detta udienza, svoltasi per motivi di sicurezza a porte chiuse ai sensi dell'art. 472 co. 3 c.p.p. in ragione dello svolgimento di una manifestazione di protesta dinanzi al Palazzo di Giustizia, sono stati esaminati i testi (...), (...), (...), (...) e (...), le parti hanno prestato il consenso all'acquisizione, ai fini della decisione, degli atti di indagine consistenti nella relazione di servizio redatta dalla Volante Libertà il 10.5.2022, del verbale di s.i.t. rese presso la Questura di Bari da (...) il 3.8.2022, dell'annotazione redatta dalla Volante Libertà l'11.5.2022, della relazione relativa all'escussione della minore (...) datata 9.8.2022 a firma della dott.ssa (...), del verbale di s.i.t. rese dalla (...) il 4.8.2022 in audizione protetta con relativo supporto informatico, del referto di pronto soccorso del (...) del 12.5.2022 riguardante (...), con rinuncia del (...) all'escussione dei testi (...), (...), (...), (...), (...), (...), la difesa ha prodotto una nota "riscontro a segnalazione al SSP" del Comune di Bari, a firma della dott.ssa (...) e dell'avv. (...), oltre ad una copia di fotografia di una porta, e il processo è stato rinviato per il completamento dell'istruttoria e per la discussione al 30.1.2023. All'udienza del 30.1.2023, essendo stata rinuncia all'esame dell'imputata, le parti hanno concordato l'acquisizione agli atti del verbale di interrogatorio di garanzia reso dalla (...) il 12.9.2022 dinanzi al S.I.P. dott.ssa (...), sono stati escussi i testi della difesa (...), (...) e (...), con rinuncia del difensore ai residui testi, e conseguente revoca della relativa ordinanza ammissiva, è stata dichiarata chiusa l'istruttoria, le parti hanno discusso il processo, concludendo come da verbale, si è preso atto della revoca tacita di costituzione di parte civile ex art. 82 comma 2 c.p.p., e il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Le granitiche acquisizioni processuali impongono l'affermazione della penale responsabilità dell'imputata in relazione ai reati ascritti, riuniti per continuazione in quanto espressione del medesimo disegno criminoso, per le ragioni che di seguito si illustreranno. Gli elementi a carico della (...) si traggono dalle deposizioni rese da tutti i testimoni escussi, dal referto medico in atti, nonché dagli atti di indagine acquisiti al fascicolo per il dibattimento, elementi che hanno provato senza ombra di dubbio la responsabilità penale dell'odierna imputata in relazione ai reati ascritti. Dal racconto reso dalle vittime, (...) e (...), è emerso che le stesse, unitamente ai loro figli e persino ai nipoti - fra cui la persona offesa, (...), una bambina in tenera età, nata l' 1.9.2009 - da diversi anni, e, per quel che rileva nel presente procedimento, dall'anno 2018, subiscono nel condominio una vera e propria persecuzione quotidiana ("era una cosa di tutti i giorni", cfr. verbale stenotipico del 16.1.2023) ad opera di (...), la quale ogni giorno non faceva altro che ingiuriare e minacciare gravemente di morte le persone offese, non limitandosi alle parole ma agendo anche in maniera violenta con coltelli, mazze, gettando addirittura, in un'occasione, la candeggina addosso alla (...) che portava in braccio il nipotino, in compagnia anche della minore (...), che dovettero correre mentre la (...) le inseguiva terrorizzandole. Le vittime hanno riferito che sono terrorizzate dalle condotte della (...), che hanno provato più volte a richiamarla ad un contegno civile, sottolineando anche la paura in cui versano gli altri condomini, come confermato dalla deposizione resa dalla (...), di cui appresso si dirà. Del resto, la circostanza che le vittime abbiano paura della (...) trova conferma, oltre che nel racconto reso dalle stesse - da ritenersi pienamente credibile ed attendibile, coerente in ogni segmento narrativo, scevro da qualsivoglia contraddizione logica che ne mini la genuinità e confermato dagli ulteriori numerosi riscontri processuali - proprio dal fatto che la (...), costituitasi parte civile nel processo e presentatasi a testimoniare, non è poi più comparsa in dibattimento per il tramite del proprio difensore, così determinando consapevolmente la revoca tacita di costituzione di parte civile, con tutte le conseguenze processuali derivanti. Ciò conferma, da un lato, che la vittima ha estremo timore della (...), e che si è determinata in ragione di detto timore a rinunciare all'azione civile nel processo penale, pur avendo subito non soltanto danni morali a cagione delle condotte persecutorie dell'imputata, ma anche danni alla salute e materiali, scaturenti dalle lesioni subite a seguito del ferimento dell'11.5.2022, e, dall'altro, tale circostanza prova che le vittime non sono animate da qualsivoglia interesse economico, come invece prospettato in maniera infondata dalla difesa dell'imputata. E' dunque emerso che la (...), con condotte reiterate quotidiane protrattesi per ben quattro anni - per ciò che rileva nel presente procedimento - dal 2018 sino all'11.5.2022, ha molestato (...), (...) e (...), soggetto minorenne essendo nata l'1.9.2009, nipote della (...), tramite minacce di morte rivolte alla (...) del tipo: "Sei una puttana ... tua figlia e tua nipote faranno la stessa fine!!! ... Bastardi tuo marito è un ricchione ... vi ammazzerò tutti", tramite minacce rivolte alla bambina, (...): "ti devo uccidere ... il cimitero è pieno di bare bianche ... spiona ... farai la stessa fine di tua madre, la puttana", mediante condotte persecutorie come il cospargere di candeggina e nel graffiare con un coltello l'uscio della porta d'ingresso dell'abitazione della (...), nonché nel proferire all'indirizzo della (...) le espressioni minatorie del tipo: "M. dovete morire, brucerete, andrete all'inferno, bastardo ... sei una balorda puttana, tua figlia spaccia la droga ... ti devo uccidere", fino ai più gravi episodi, il primo avvenuto all'incirca nell'anno 2018 allorchè dopo aver inveito contro la (...), la (...) e la minore (...) gridando nei loro confronti che "avrebbero dovuto andarsene via", usciva dal portone di casa lanciando contro di loro della candeggina che macchiava i loro vestiti, per mero caso fortuito senza procurar loro lesioni, e l'ultimo più recente dell'11.5.2022 allorchè la (...) colpiva con un'arma da punta e taglio la suddetta (...), attingendola al braccio e procurandole una ferita lacero contusa con fuoriuscita di sangue giudicata guaribile in giorni 15, come risulta dal referto di pronto soccorso in atti, pienamente compatibile con il racconto reso dalla vittima, ferita, appunto, da un oggetto di punta e di taglio, a nulla rilevando l'eccezione difensiva secondo cui non sarebbe provata la sussistenza dell'aggravante dell'arma perché questa non è stata rinvenuta. Ben ha potuto l'imputata disfarsi del simil taglierino che ha utilizzato per tagliare il braccio alla vittima. L'istruttoria ha consentito di accertare che a mezzo di tali condotte delittuose la (...) ha cagionato alle vittime un perdurante e grave stato d'ansia e di paura, generando, altresì, nelle due donne e nella bambina un fondato timore per la propria incolumità e dei propri parenti, timore che ha raggiunto l'apice a seguito dell'episodio del ferimento della (...) con un oggetto da punta e taglio tipo un taglierino, inducendo le vittime a superare la paura di denunciare e, conseguentemente, rivolgersi alle forze dell'ordine. Non vi è alcun dubbio circa la veridicità di quanto dichiarato dalle vittime, anche alla luce del riscontro rappresentato dalla deposizione resa da altra condomina, tale (...), la quale ha candidamente dichiarato di aver acquistato l'appartamento sito al condominio di via M. 19 nell'anno 2021 poiché del tutto ignara della presenza della (...) e delle condotte persecutorie perpetrate dalla stessa nello stabile. La teste ha riferito che la (...) usava gridare e bestemmiare anche contro di lei e suo marito, contro le sue figlie ("vi devono fare a pezzi"), e persino contro i nipoti, che hanno paura a salire a casa della nonna. La (...), infatti, non si limitava ad ingiuriare la famiglia della (...) con frasi del tipo "marito drogato ... mongoloide", ma anche minacciandoli di morte con frasi del tipo: "tu devi morire ... a pezzi ti devono fare". La donna ha riferito che ha molta paura ad abitare in quel condominio a causa delle condotte minacciose ed aggressive della (...), che usava anche "buttare le piante in faccia", rompere il vetro del portone. La (...), in ragione della insostenibilità della situazione, ha riferito che più volte i condomini hanno interessato l'amministratore del condominio, che, però, non ha mai intrapreso alcuna iniziativa nei confronti della P.. Circostanza, questa, che conferma il clima di terrore in cui tutti i condomini, e persino l'amministratore del condominio, vivevano a causa delle condotte della (...) nello stabile. Quanto riferito dalla teste (...), oltre che dalla (...) ed (...) - che ne conferma ulteriormente l'attendibilità - è stato confermato dalle dichiarazioni testimoniali, acquisite agli atti, rese proprio dall'amministratore del condominio, tale (...), sentito il 3.8.2022, il quale ha ammesso che "alcuni condomini mi hanno segnalato dei problemi" con la (...) "sebbene io non l'abbia mai vista ... Mi hanno detto che spesso grida e che ha occupato il cortile che si trova all'interno del portone chiudendo il cancello di ingresso con una catena e impedendo al proprietario di accedervi. Qualche tempo fa mi ha chiamato la signora (...) dicendomi che la signora (...) aveva rotto il vetro del portone e che durante una discussione che aveva avuto per i rumori, le aveva tagliato un braccio. La signora mi ha raccontato che diverso tempo fa la (...) aveva dato degli schiaffi al figlio della signora (...), proprietaria di un appartamento sito al secondo piano del palazzo attualmente occupato da un inquilino. In merito ho sostituito il vetro del portone per evitare ulteriori conseguenze ma non ho potuto fare altro". Dal racconto reso dalla teste è emersa la ragione dell'acrimonia e dell'astio della (...) verso la sua famiglia, originata dal fatto che l'odierna imputata si era abusivamente impossessata di un cortile sito al pianterreno, di proprietà della nuora della (...), tale P.C., moglie di suo figlio, per farvi alloggiare una quindicina di gatti, cortile a cui impediva di accedere alla legittima proprietaria chiudendolo a chiave. Accadeva, dunque, che ogni qualvolta la (...) o il figlio chiedevano alla (...) di liberare il cortile, la donna dava in escandescenza ed iniziava ad ingiuriare e minacciare gli stessi. Stessa cosa accadeva quando gli altri condomini, compresa la (...) e la (...), sollecitavano la (...) a pulire quel cortile, da cui giungeva un odore nauseabondo per le defezioni dei gatti, richieste a cui seguivano le solite minacce ed aggressioni da parte dell'imputata. Da quanto riferito dalla (...) è emerso che tante volte la stessa si è interfacciata con il figlio della (...), "(...)" M., chiedendogli di intervenire per placare le condotte aggressive e persecutorie della madre, che questi la rassicurava che avrebbe parlato con sua madre, che a seguito di ciò la (...) "stava tranquilla due o tre giorni" per poi riprendere nuovamente a perseguitare le vittime. Tali evidenze processuali mostrano che la (...), al di là della circostanza che abbia potuto accrescere in alcune occasioni i propri comportamenti aggressivi a seguito dell'assunzione di alcool - avendo la teste (...) riferito di averla spesso vista bere cartoni di vino tipo "(...)" - era pienamente lucida e cosciente di agire, nonché di perseguitare ed aggredire le proprie vittime, da ella odiate perché ree, ai suoi occhi, di intralciarla nella gestione del cortile con i gatti, che occupava peraltro abusivamente, avendolo reso una discarica maleodorante perché non puliva regolarmente le defezioni dei felini. Il movente della condotta delittuosa della (...) trova conferma persino in quanto dichiarato dal teste della difesa, (...), che ha dichiarato espressamente che la (...) si lamentava di subire "pressioni dai condomini per la gestione del cortile". Stessa aggressività è stata destinata alla famiglia della (...) - che peraltro nella vicenda non compare quale parte offesa - ma che conferma ancora una volta che l'astio della (...) si indirizzava non nei confronti di persone a caso, ma verso, nel caso di specie, i proprietari del cortile che ella aveva occupato e che si rifiutava di rilasciare. Non vi sono dubbi circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), la quale, in occasione dell'interrogatorio di garanzia reso dinanzi al G.i.p., ha mostrato di rispondere con estrema lucidità ad ogni singola domanda postale nell'occasione. Lo stesso difensore di fiducia, che pure nel corso della prima udienza aveva richiesto disporsi perizia psichiatrica nei confronti dell'imputata (richiesta rigettata con ordinanza motivata), ha al contrario, nel corso della discussione, sottolineato in più passaggi la piena lucidità dell'imputata in tutto il suo percorso di vita ("questa non è la vecchia pazza alcolizzata, questa è una persona che ha superato delle prove della vita in maniera così entusiasmante da lasciarci stupiti", a cui per anni sono stati affidati dei bambini dal pastore evangelico, "è profondamente religiosa", "va a fare volontariato per quelli che stanno peggio di lei!" e così via, cfr. verbale stenotipico del 30.1,2023), Del resto, a fugare ogni dubbio - qualora per assurdo ce ne fosse bisogno - circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), soccorrono proprio le deposizioni rese dai testimoni della difesa, a partire dal c.d. "pastore evangelico" (...), che ha riferito di conoscere da moltissimi anni l'imputata e che questa, proprio in ragione di una sua presunta "empatia" era stata scelta tante volte, sino ai tempi più recenti quando non aveva l'autovettura per recarsi in chiesa ed egli la andava a prendere da casa, per svolgere il ruolo di "responsabile" di gruppi di bambini fino all'età di circa 11 anni. Anche i testi (...) e (...) hanno riferito che la (...), durante la pandemia, negli anni 2020 e 2021, ha collaborato più volte con loro e con il figlio a consegnare alimenti alle famiglie bisognose, riferendo anche che la (...) preparava per loro delle marmellate e pietanze. E' evidente che una donna che per lunghi anni è stata persino designata, dal gruppo evangelico a cui apparteneva, per gestire, quale responsabile, gruppi domenicali di bambini della c.d. "parrocchia", era pienamente in grado di svolgere tale compito, così come quello di dedicarsi al volontariato, per poi, dall'altro lato, rivolgere tutto il proprio odio e crudeltà nei confronti, fra le altre, di una povera bambina, (...), rea soltanto di essere nipote di una condomina sgradita alla (...), per le ragioni sopra descritte. Una bambina che a causa delle condotte persecutorie dell'odierna imputata e delle reiterate minacce di morte rivolte ad ella e alla propria famiglia, ha subito dei gravi danni psicologici, come provato all'evidenza dall'audizione protetta della minore e dalla relazione della psicologa, dott.ssa (...), psicoioga dell'Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari - centro G.I.A.D.A., in atti, ove si dà atto che la bambina inizia ad agitarsi appena vede "(...)" (ossia (...)), che la (...) la minaccia di morte quando si affaccia alla finestra, che lei ha paura e che le vengono le palpitazioni, che queste condotte avvengono tutti i giorni "sebbene da qualche giorno, da quando è stata denunciata, sembra che si sia calmata" (cfr. verbale di s.i.t. del 4.8.2022). Tale circostanza conferma ancora una volta la premeditazione di ogni condotta perpetrata dall'imputata, che ha desistito da ulteriori minacce ed aggressioni a seguito delle querele sporte dalle vittime. La bambina ha confermato integralmente gli episodi descritti dalla (...) e dalla (...), ha riferito di essere rimasta impressionata da quando la (...) ha gettato l'acido addosso ad un bambino ed ella era presente all'episodio, così come quando ha visto il sangue al braccio della vicina di casa. Ha riferito "di aver paura che la (...) possa uscire con qualche oggetto e colpirla", ha riferito di aver paura "quando entra nel portone. Quando è fuori no. Infatti aspetta sempre che qualcuno entri in casa prima di lei e solo dopo sale al piano, per assicurarsi che non ci sia la (...)". La minore, a domanda se avesse mai visto la (...) con armi od oggetti atti ad offendere, ha risposto negativamente, "sebbene nel vicinato qualcuno dica che lei vada in giro con questi oggetti". Ciò prova che la minore non è per niente influenzabile da altri - come invece infondatamente prospettato dal difensore - e che, al contrario, ha la capacità di discemere quanto da ella personalmente visto e percepito rispetto a quanto riferito da altri e da ella non conosciuto. Quanto riferito dalla minore è da ritenersi assolutamente credibile, avendo anche la dott.ssa (...) accertato "congruenza tra il riferito verbale e le emozioni esperite" e "i livelli di attenzione e concentrazione sono apparsi sufficientemente adeguati" (cfr. relazione in atti del 9.8.2022). L'istruttoria ha provato, pertanto, senza dubbio che la (...) ha premeditato ogni singola condotta persecutoria e aggressiva perpetrata ai danni delle vittime, mostrando un disegno criminoso ben preciso, sopra descritto. In tema di vaglio dell'attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese dal reato, le stesse possono essere assunte, anche da sole, come fonte di prova, ove siano sottoposte a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente riscontri esterni ove non sussistano situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità. La costante giurisprudenza ha affermato il principio che, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p. (che postulano la presenza di riscontri esterni), occorre pur sempre, in considerazione dell'interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone Cassazione penale, sez. V, 11102/2016, (ud. 11102/2016, dep.28/06/2016), n. 26878. Come sopra argomentato, le deposizioni rese dai testi devono ritenersi pienamente credibili ed attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente, collimanti fra loro, coerenti in ogni segmento narrativo e corroborate dai riscontri rappresentati dal referto di pronto soccorso in atti, la cui diagnosi è perfettamente compatibile con il racconto reso dalla vittima e dalla teste oculare (...), oltre che dalle altre evidenze processuali sopra descritte, quali l'annotazione redatta dalla Volante Libertà turno 19/24 dell'11.5.2022, che rappresenta un ulteriore riscontro rispetto alla dinamica dei fatti narrati dalle vittime. Al riguardo, del tutto priva di pregio giuridico si palesa l'argomentazione difensiva volta a minare l'attendibilità delle persone offese perché le stesse hanno riferito, su domanda del difensore, di aver contattato i servizi sociali in relazione alla situazione venutasi a creare con (...), ed invece ciò sarebbe stato smentito da una nota del Comune di Bari depositata in giudizio dal difensore all'udienza del 16.1.2023. Orbene, in disparte la circostanza che le vittime, non avendo peraltro alcun rapporto di parentela con la (...), non avevano alcun obbligo o onere di allertare i servizi sociali, e che tale circostanza si pone come assolutamente irrilevante nel caso di specie rispetto alle condotte in contestazione, occorre sottolineare che quanto dichiarato nella detta nota non esclude che in via informale la (...) o la (...) o pure altri condomini (avendo persino la teste (...) confermato di essere a conoscenza che fossero stati contattati i servizi sociali) abbiano negli anni contattato i detti servizi, limitandosi la nota a spiegare che l'apertura formale di una pratica di "presa in carico" non può prescindere dalla richiesta che provenga in prima persona dal soggetto interessato "che specifichi i motivi per cui richiede un intervento/progetto da parte dei Servizi Sociali". La condotta dell'imputata integra pertanto i delitti ascritti di cui ai capi A) (art. 612 bis co. 3 c.p. con l'aggravante di aver agito in danno di una minore); B) (artt. 61 n. 2 e 635 co. 1 c.p. per aver, al fine di eseguire il delitto di cui al capo A), danneggiato l'uscio della porta dell'abitazione della (...) cospargendola con della candeggina e graffiandola con un coltello), e capo C) (artt. 61 n. 2, 582 e 585 c.p. per aver procurato lesioni personali alla (...) al fine di eseguire il delitto di cui al capo A). I detti reati, come sopra argomentato, sono avvinti dal vincolo della continuazione, poiché espressione del medesimo disegno criminoso. Quanto all'eccezione difensiva secondo cui la querela sporta dalle vittime sarebbe "tardiva" con riguardo al reato di danneggiamento di cui al capo B), la stessa è infondata, stante la procedibilità d'ufficio rispetto al detto reato, commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, e del resto contestato in continuazione rispetto ad altro delitto perseguibile d'ufficio (capo A) poiché commesso anche in danno di minore. I reati risultano perfezionati in tutti gli elementi essenziali, dalla condotta tipica sino all'elemento psicologico, rappresentato dalla piena coscienza e volontà di agire, per le ragioni sopra argomentate. In particolare, riguardo al delitto di atti persecutori, lo stesso, come noto, configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (Cass. Pen., Sez. V, 12.2.2020, n. 16977). La condotta tipica del delitto di cui all'art. 612 bis c.p.c. consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612) o molesti (art. 660) tali da determinare nella vittima "un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Il delitto è dunque costruito secondo lo schema del reato di evento (Cass. n. 9222/2015) che si caratterizza per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva. Si tratta di reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Cass. V, n. 34015/2010; Cass. V, n. 2987/2011; Cass. III, n. 23485/2014; Cass. III,n. 9222/2015). La prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. Pen., Sez. VI, n. 50746/2014). Sul perdurante e grave stato di ansia e di paura la Suprema Corte ritiene integrato detto evento anche in assenza di prova della causazione di una patologia nella vittima. Ha infatti affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass. V, n. 8832/2011; Cass. V, n. 24135/2012; Cass. VI, n. 50746/2014; Cass. VI, n. 20038/2014). Ciò che, come ampiamente descritto, è avvenuto nel caso di specie, ove le minacce e le aggressioni perpetrate quotidianamente dalla (...) ai danni delle vittime, non potevano non cagionare alle vittime un perdurante stato di ansia, di angoscia e di paura, realizzandosi proprio all'interno dello stesso condominio ove vivevano le persone offese, che potevano sentirsi al sicuro soltanto una volta varcata la porta di casa, come candidamente riferito dalla minore, (...), la quale ha espresso il proprio terrore pensando alla (...), che aveva tagliato il braccio alla vicina di casa e gettato l'acido persino contro un bambino che era con la (...), costretta ad affidare il piccolo alla (...) che si mise a correre nell'occasione mentre la (...) la rincorreva. La stessa Corte costituzionale (Corte Cost. n. 172 del 2014), nel rigettare una questione di legittimità costituzionale per presunta indeterminatezza della fattispecie ha affermato che quanto al "perdurante e grave stato di ansia e di paura" e al "fondato timore per l'incolumità", trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Ha altresì affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. L'aggettivazione, inoltre, in termini di "grave e perdurante" stato di ansia o di paura e di "fondato" timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. Quanto al fondato timore per la propria incolumità e dei propri congiunti, si è sottolineato che non è richiesto l'accertamento di uno stato patologico ingenerato nella vittima dalla condotta dell'agente, ben potendo il Giudice fare ricorso alle massime di esperienza. La giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, n. 24021/2014) ha affermato che quanto al cambiamento delle abitudini di vita, ciò che rileva non è la valutazione quantitativa, ad esempio in termini orari, di tale variazione, ma il significato e le conseguenze emotive di una condotta alla quale la vittima sente di essere stata costretta, sottolineando che "il fatto poi che lo stalking sia reato di evento e non di pura condotta nulla ha a che vedere con il fatto che, nella maggior parte dei casi, la prova debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima. Invero, è principio elementare quello in base al quale un fatto non va confuso con la sua prova. D'altra parte, non pochi sono i delitti con riferimento ai quali, in genere, l'unica prova consiste nelle dichiarazioni della persona offesa (si pensi, ad esempio, a tutti i reati a sfondo sessuale). Ciò che dunque rileva è la attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto". Il delitto è punibile a titolo di dolo generico ed è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz'altro unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica; ma ciò non significa affatto che l'agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. (Cass. Pen., Sez. V, n. 18999/2014; Cass. Pen., Sez. V, n. 20993/2013). Nel caso di specie, le emergenze processuali, come sopra ampiamente descritte, hanno evidenziato che la (...) ha posto in essere gravi atti persecutori ai danni delle vittime, durante un arco temporale durato - per ciò che rileva ai fini del presente procedimento - quattro anni, con condotte reiterate ed abituali, connotate da inaudita violenza e crudeltà, rivolta persino contro una bambina in tenera età. Come detto, per la sussistenza del delitto di atti persecutori la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (così Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.1923). Nel caso che qui impegna, la prova dell'evento del delitto, rappresentato dalla causazione di uno stato di vero e proprio terrore nelle vittime, si desume agevolmente sia dalle parole stesse delle vittime, che dai riscontri degli altri testi circa l'esistenza di una situazione condominiale insostenibile a causa delle condotte persecutorie e violente della (...), che anche dalla circostanza che la (...), costituitasi parte civile nel processo, abbia poi deciso di rinunciarvi non presentandosi nel prosieguo del giudizio, per il tramite del difensore, facendo così decadere l'azione civile nel processo. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima equo quantificare la pena-base, in relazione al delitto più grave di cui al capo A), in anni due e mesi sei di reclusione. Si è partiti dalla pena-base prevista dal primo comma dell'art. 612 bis c.p., per aver riconosciuto - soltanto in ragione dell'atteggiamento processuale collaborativo assunto dall'imputata tramite l'acquisizione di alcuni atti di indagine - le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui al comma terzo dell'art. 612 bis cit. A detta determinazione si perviene valutando la gravità del fatto e l'intensità del dolo che ha guidato la condotta della (...), alla luce delle concrete modalità dell'azione e considerando che le condotte persecutorie dell'imputata, protrattesi per ben quattro anni con cadenza quotidiana e modalità gravi, sono state perpetrate ai danni di ben tre vittime, fra cui una bambina in tenera età che ha subìto certamente dei gravi danni psicologici e traumi a causa delle dette condotte. Le dette condotte hanno evidenziato una pericolosa spinta criminogena della (...), a dispetto dello stato di incensuratezza della donna, che pure è stato valutato nella dosimetria della pena e ai fini del contenimento della stessa entro il limite sopra indicato. A titolo di continuazione con i reati-satellite di cui ai capi B) e C) si stima un aumento di pena pari a mesi due per il reato di danneggiamento e di mesi quattro per il reato di lesioni, in ragione della gravità dei fatti ascritti. Conseguentemente, la pena finale da irrogare alla (...) si attesta in anni tre di reclusione. Quanto alla richiesta, avanzata dal (...), di applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza facoltativa della libertà vigilata ex art. 229 co. 1 n. 1 c.p., la stessa va rigettata in quanto, pur essendo stata accertata in concreto la pericolosità sociale della (...), la misura non si ritiene utile considerata l'avanzata età dell'imputata. Infine, quanto alla richiesta, avanzata dal difensore durante la discussione e prima della lettura del dispositivo, di applicazione delle sanzioni sostitutive, la stessa richiesta è tamquam non esset, atteso che secondo il chiaro disposto di cui all'art. 545 bis c.p.p., quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, "subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti". Nel caso di specie, dopo la lettura del dispositivo di condanna, a cui era presente, come risulta dal verbale di udienza, sia il difensore di fiducia che l'imputata, nessuna richiesta in tal senso è stata avanzata, né del resto ricorrevano le condizioni per sostituire la pena detentiva, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p. All'affermazione della responsabilità penale dell'imputata consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 544, comma 2, c.p.p., si indica il termine di giorni quindici per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati ascritti, riuniti per continuazione e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, la condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Termine di giorni quindici per il deposito della motivazione. Così deciso in Bari il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

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