Sentenze recenti rumori molesti

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  • TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA SEZIONE CIVILE Nella persona del dott. Gianluca Mulà, ha emesso la seguente SENTENZA Tra MA.PI.CO., c.f. (...), PI.CO., c.f. (...) e MA.CO., c.f. (...), eredi di AN.BA. c.f. (...), deceduta in corso di causa, difesi dall'avv. CO.LE., ed elettivamente domiciliato in Faenza, Corso Mazzini 75, presso lo studio del difensore ATTORE e CONDOMINIO VIA (...), c.f. (...), difeso dall'avv. SA.DA., elettivamente domiciliato in Faenza, Via (...) presso lo studio del difensore CONVENUTO GI.GA., c.f. (...) GI.GA., e MO.SU., c.f. (...), difesi dall'avv. St.Da.Va. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Via (...), Ravenna TERZI INTERVENUTI Conclusioni: come da udienza di precisazione delle conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE An.Ba., deceduta nel corso della causa, proseguita dagli eredi MA.PI.CO., Pi.Co. e Ma.Co., ha citato in giudizio il Condominio di Via (...) al fine di ottenere l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "preliminarmente sospendere ex art. 1137 c.c. l'esecuzione della delibera del Condominio di Via (...) in data 09 luglio 2019 (doc. n. 19), sussistendo i requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora. Nel merito, accertare il diritto dei condomini del Condominio di Via (...) di fare uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1117 e 1118 c.c. e conseguentemente dichiarare nulle ed annullare le delibere del Condominio di Via (...) in data 28 marzo 2019 (doc. n. 13) e in data 09 luglio 2019 (doc. n. 19) laddove escludono qualsiasi utilizzo della cosa comune ed in particolare del porticato condominiale. Dichiarare nullo ed annullare l'art. 8 lett. a) del Regolamento Condominiale non contrattuale del Condominio di Via (...), nel non creduto caso in cui tale norma debba interpretarsi quale divieto assoluto a fare qualsiasi uso della cosa comune. Dichiarare nullo e illegittimo l'art. 24 del vigente Regolamento condominiale laddove prevede la possibilità di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse da suoi "affittuari". Sempre nel merito, per i motivi esposti nel presente atto di citazione, annullare altresì la delibera del Condominio di Via (...) in data 9 luglio 2019 e dichiarare nulla ed inefficace la sanzione di euro 150,00 irrogata alla signora Ba.An. in data 11 luglio 2019 (doc. n. 19 e 20) e annullare altresì la delibera che ha addebitato alla signora Ba.An. il costo della medesima assemblea straordinaria. Annullare, per gli ulteriori motivi esposti, le successive sanzioni per pretese recidive, di euro 300,00 in data 05 agosto 2019 (doc. n. 21) e di euro 600,00 in data 04 settembre 2019 (doc. n. 22).". A sostegno delle esposte conclusioni, ha allegato, in fatto: 1) che il portico antistante al fabbricato n. 16 di via (...), Faenza, benché aperto al pubblico, fa parte del Condominio; 2) che l'art. 8 del Regolamento Condominiale, risalente al 1970 e di natura non contrattuale in quanto approvato a maggioranza dall'assemblea, vieta i seguenti usi delle cose, parti, impianti e spazi comuni: "Sono vietati i seguenti usi delle cose, parti, impianti o spazi comuni: a) occupare gli spazi comuni in qualunque modo e con qualunque oggetto o animale, come recipienti di pattume, vasi di fiori, giocattoli, biciclette, motociclette, autovetture, etc. "; 3) di essere proprietaria di tre immobili siti al piano terra, con accesso sul portico, dei quali uno è locato ad attività di bar, che aveva ottenuto dal Comune di Faenza l'autorizzazione all'occupazione di suolo privato ad uso pubblico con collocazione sotto il porticato di 4 tavolini e 16 sedie, autorizzazione avallata dall'assemblea condominiale (delibere del 15.6.2015 e del 9.5.2016); 4) che, ciononostante, Mo.Su., residente del Condominio di Via (...), aveva realizzato condotte ostruzionistiche all'attività del bar, con mail di protesta all'indirizzo del gestore del bar e con ingiurie ai clienti dello stesso, tanto che il gestore aveva deciso di recedere dal contratto di locazione; 5) che il nuovo gestore, L.Lo. s.a.s., veniva autorizzata dall'assemblea condominiale ad allestire l'area esterna del bar, sotto il portico, come segue: "collocando da aprile a ottobre due vasi alti con piante ai lati delle vetrine; sei sgabelli alti da posizionare davanti a due tavolini basculanti da appoggio in legno, da realizzarsi nel vano delle due vetrine; uno zerbino e una rampa per l'accesso dei disabili; 6) che, tuttavia, la Succi e il proprio convivente Galassi manifestavano la propria contrarietà alla situazione per mezzo del proprio legale; che, nel frattempo, scattavano delle denunce nei confronti della Succi per molestie; 7) che, all'assemblea condominiale datata 28.3.2019, Gi.Ga. contestava a Lo. S.a.s. i seguenti comportamenti: "i) rumori molesti di movimentazione della serranda; ii) musica altissima; iii) bici/motocicli parcheggiati sotto il loggiato; iv) auto in sosta fronte cancello uscita auto."; 8) che, di conseguenza, Sa.Mu. (l.r. di L.Lo. S.a.s.) limitava l'uso del porticato usufruendo di soli 4 sgabelli a servizio dei tavoli basculanti realizzati come appoggi nel vano delle vetrine; 9) che vi è contrasto in merito all'ampiezza del divieto posto dall'art. 8 lett. a) del regolamento condominiale, il quale prevede limiti all' utilizzo del porticato; 10) che, in data 7.6.2019, l'amministratore di Condominio inviava all'attrice stessa una diffida a cessare 1) "l'occupazione abusiva del porticato condominiale con sgabelli, oltre al parcheggio continuo di biciclette di avventori della predetta attività commerciale, senza che vi sia sufficiente vigilanza da parte della titolare Sa.Mu., in violazione dell'art. 2 e dell'art.8 del Regolamento condominiale; 2) lavaggio del porticato insufficiente; 3) apertura della saracinesca più volte durante l'orario notturno, con conseguente disturbo del sonno dei condomini, in violazione dell'art. 17 d) del regolamento di condominio, dell'orario di silenzio ed oltre ad ogni regola di convivenza civile."; 11) che, in data 9.7.2019, alla quale essa attrice non partecipava, si teneva l'assemblea straordinaria del Condominio al fine di deliberare sui seguenti punti: 1) "Intervento sanzionatorio relativo al regolamento condominiale: irrogazione delle sanzioni sulla base della diffida inviata e non accolta; definizione dell'articolo del regolamento non rispettato e dell'importo della sanzione da applicare; definizione procedura importo e scadenza in caso di recidiva ed incarico all'amministratore di irrogare le sanzioni successive; 2) delibera in merito all'addebito del costo della presente assemblea straordinaria", ed il cui verbale veniva comunicato in data 25.7.2019; 12) che, all'esito della predetta delibera, veniva irrogata la sanzione di Euro 150 a carico di Ba.An. per infrazione del Regolamento di Condominio per occupazione delle parti comuni e per "lavaggio periodico del porticato", con previsione di una ulteriore sanzione di Euro 300 in caso di recidiva, 600 per ulteriore recidiva e 800 in caso di terza recidiva, nonché poste le spese dell'assemblea a carico della Ba.; 13) di aver ricevuto in data 5.8.2019 una nuova sanzione di Euro 300 per i medesimi fatti, senza che però fosse indicata l'esatta motivazione, in violazione dell'art. 24 del regolamento condominiale, sanzione alla quale ne faceva seguito un'altra di Euro 600 in data 4.9.2019; 14) di essersi pertanto determinata ad impugnare le delibere assembleari con cui sono state irrogate le suddette sanzioni. In diritto, l'attrice ha dedotto: la nullità delle delibere condominiali che, a maggioranza, vietano qualsivoglia godimento del porticato condominiale, sicché è illegittimo l'art. 8 lett. a) del Regolamento condominiale, quantomeno ove interpretato nel senso che esso impedisca qualunque godimento del porticato; l'annullabilità della delibera assunta dall'assemblea condominiale in data 9.7.2019, per indeterminatezza dell'ordine del giorno; l'illegittimità delle sanzioni applicate nella suddetta delibera, poiché contrastante con la precedente delibera del 7.5.2019, nonché per non essere stata la diffida del 7.6.2019 inviata anche al gestore del bar; illegittimità delle sanzioni applicate anche perché non è provata la riconducibilità al bar L.Lo. di coloro che hanno parcheggiato cicli e motocicli sotto il porticato, nonché per violazione dell'art. 70 disp. att. c.p.c., norma che impedire al Condominio di applicare sanzioni al condomino per condotte tenute da altri soggetti; illegittimità della delibera del 9.7.2019 anche nella parte in cui ha posto a carico della Ba. il costo dell'assemblea; illegittimità dell'art. 24 del Regolamento condominiale nella parte in cui prevede la facoltà di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse dagli affittuari. Si è costituito il Condominio, formulando le seguenti conclusioni: "- in via pregiudiziale, dichiarare improcedibili le domande per omesso esperimento di un valido tentativo di mediazione; - in via preliminare: dichiarare decaduta l'attrice dal diritto di impugnare gli artt. 8 e 24 del Regolamento di Condominio ex art. 1107 e 1138 c.c.; - sempre in via preliminare: dichiarare decaduta l'attrice dal diritto di impugnare la delibera del 28.3.2019; - sempre in via preliminare: dichiarare la carenza di legittimazione attiva ex art. 100 c.p.c. di Ba.An. dal richiedere l'annullamento delle sanzioni irrogate dall'amministratore con comunicazione dell'11.7.2019, del 5.8.2019 e del 4.9.2019; - in ogni caso, respingere tutte le domande formulate dall'attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto, per tutti i motivi di cui in narrativa.", e deducendo: la legittimità dell'art. 8 del Regolamento Condominiale, norma che limita l'utilizzo di uno spazio comune in conformità ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità; l'improcedibilità dell'azione per mancato esperimento della mediazione obbligatoria; la decadenza dell'attrice dal diritto di impugnare gli artt. 8 e 24 del Regolamento di condominio in quanto dalla stessa espressamente approvato in data 16.41971; la validità delle delibere assunte in data 28.3.2019 e 9.7.2019, nonché la decadenza dell'attrice dal diritto di impugnare la delibera del 28.3.2019. Il condomino Gi.Ga. e la di lei convivente Mo.Su. hanno spiegato intervento volontario, formulando le medesime conclusioni spiegate dal convenuto e condividendone le argomentazioni. Gli attori hanno così precisato le domande nella prima memoria istruttoria: "In rito: i) Dichiarare inammissibile l'intervento volontario prodotto dalla signora Su.Mo., in quanto la stessa, non essendo condomina, non ha alcun titolo per interloquire nel presente giudizio; ii) dare atto, anche ai fini della condanna al rimborso delle spese di giudizio, che, essendosi regolarmente costituito il condominio convenuto, l'intervento volontario del condomino Ga.Gi. e della signora Su.Mo. risulta ridondante e inutilmente gravatorio e, comunque, non meritevole di ristoro delle spese di lite. Nel merito: 1) Accertare e dichiarare che l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale (non contrattuale) del Condominio di Via (...) di Faenza non pone un "assoluto divieto alla occupazione delle parti comuni per qualsiasi utilizzo", come affermato nelle delibere condominiali impugnate, ma deve essere interpretato nel rispetto del diritto di proprietà dei condomini del Condominio di Via (...) di fare uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1117 e 1118 c.c.; conseguentemente, dichiarare che l'attrice ha esercitato nel rispetto della legge e del Regolamento Condominiale il proprio diritto dominicale di godimento del porticato condominiale mediante l'utilizzo, durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale di sua proprietà, degli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti di causa (doc. nn. 1, 9 e 20); per l'effetto, dichiarare nulle ed annullare le delibere del Condominio di Via (...) in data 28 marzo 2019 e in data 09 luglio 2019 laddove le stesse, secondo la emulativa interpretazione dell'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale proposta dal Condominio convenuto, hanno imposto all'attrice e alla sua affittuaria "assoluto divieto all'occupazione dell'area portico per qualsiasi utilizzo" e in particolare il divieto di godere del porticato condominiale mediante l'uso durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale degli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti di causa (doc. nn. 1, 9 e 20). 2) Dichiarare la illiceità del comportamento tenuto dal Condominio nei fatti esposti e nelle conseguenti delibere impugnate, perché tali da configurare atti emulativi vietati dall'art. 833 c.c.. 3) In subordine, nel non creduto caso in cui l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale debba effettivamente interpretarsi quale "divieto assoluto di occupare gli spazi comuni per qualsiasi utilizzo" anche temporaneo, come sostenuto dalle impugnate delibere condominiali, in particolare quale divieto al godimento del porticato durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale mediante gli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti (doc. nn. 1, 9 e 20), dichiarare nullo ed annullare l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale, non contrattuale, del Condominio di Via (...) in quanto incompatibile con l'esercizio del diritto dominicale dei compartecipi in ordine alle parti comuni dell'edificio ed a quelle di proprietà esclusiva. 4) Dichiarare nullo e illegittimo l'art. 24 del vigente Regolamento condominiale laddove prevede la possibilità di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse da terzi sconosciuti a lui totalmente estranei e/o da suoi "affittuari " (ad es. parcheggio di biciclette da parte di ignoti). 5) Per quanto occorrer possa, annullare altresì la delibera del Condominio di Via (...) in data 9 luglio 2019 e conseguentemente dichiarare nulla ed inefficace la sanzione di euro 150,00= irrogata alla signora Ba.An. in data 11 luglio 2019; annullare altresì la delibera che ha addebitato alla signora Ba.An. il costo della medesima assemblea straordinaria e dichiarare nulle ed inefficaci, di conseguenza, anche le successive sanzioni per pretese recidive di euro 300,00= in data 05 agosto 2019 e di euro 600,00= in data 04 settembre 2019. 6) Condannare il Condominio convenuto al rimborso delle spese e competenze professionali delle procedure di mediazione obbligatoria e del presente giudizio. 7) In via istruttoria si richiamano i documenti già depositati, cui si aggiungeranno i documenti che saranno allegati alla memoria ex art. 183, sesto comma n. 2 ed eventualmente n. 3 c.p.c., memorie nelle quali saranno altresì riepilogate ed integrate, nei modi e termini di legge, le istanze istruttorie già formulate.. È stato, poi, instaurato un ulteriore procedimento di mediazione, avente medesima causa petendi e medesimopetitum, sicché risulta essersi senz'altro avverata la condizione di procedibilità. Rifiutata, da parte degli attori, la proposta conciliativa formulata ex art. 185 bis c.p.c., la causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 19.6.2023. Ciò posto, va preliminarmente chiarito che l'intervento di Gi.Ga., condomino del Condominio convenuto, deve essere qualificato come intervento adesivo dipendente, non avendo lo stesso, quale singolo condomino, un'autonoma legittimazione passiva rispetto all'impugnazione della delibera assembleare o del regolamento di condominio (cfr. Cass. civ. Sez. II, 22/07/2022, n. 22952, per cui "Nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare ex art. 1137 c.c., i singoli condomini possono volontariamente costituirsi mediante intervento che, dal lato attivo, va qualificato come adesivo autonomo (con la facoltà di coltivare il procedimento nei vari gradi di lite, anche in presenza di rinunzia o acquiescenza alla sentenza da parte dell'originario attore), ove essi siano dotati di autonoma legittimazione ad impugnare la delibera, per non essersi verificata nei loro confronti alcuna decadenza, ovvero, se quest'ultima ricorra, come adesivo dipendente (e, dunque, limitato allo svolgimento di attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, esclusa la possibilità di proporre gravame). Tale ultima è la qualificazione da riconoscersi, altresì, all'intervento, ove questo sia a favore del condominio, siccome volto a sostenere la validità della delibera impugnata, stante la legittimazione processuale passiva esclusiva dell'amministratore nei giudizi relativi all'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea, non trattandosi di azioni relative alla tutela o all'esercizio dei diritti reali su parti o servizi comuni."). Dalla qualificazione dell'intervento di Gi.Ga. quale adesivo dipendente discende che correttamente la procedura di mediazione è stata instaurata nei confronti del solo Condominio, unico legittimato passivo dell'azione qui proposta. Deriva, ancora, che egli può spiegare la propria attività difensiva nei limiti dell'attività processuale svolta dal Condominio. La conseguenza è che l'eccezione di improcedibilità della domanda spiegata dal terzo intervenuto è, prima ancora che infondata, inammissibile. Non è, invece, ammissibile l'intervento spiegato da Mo.Su., la quale ha il mero godimento dell'immobile di cui è proprietario Gi.Ga. (è circostanza allegata dagli attori e non contestata dagli intervenienti che Mo.Su. sia la convivente e che il condomino sia Gi.Ga.) in qualità di convivente e, dunque, di mera comodataria. L'interesse che legittima l'intervento ex art. 105 comma 2 c.p.c. deve, infatti, essere giuridico e non di mero fatto, e presuppone la titolarità di una posizione giuridica in relazione di connessione, da individuarsi quale pregiudizialità dipendenza, con il rapporto giuridico principale dedotto in giudizio (Cass. civ. Sez. I Sent., 16/10/2009, n. 22081). Di tale posizione giuridica non è certamente titolare la Succi, titolare di un diritto personale di godimento da esercitarsi nei confronti del proprio comodante Gi.Ga., sicché il suo interesse viene a configurarsi quale interesse di mero fatto, e precisamente ad un maggior godimento dell'immobile del quale ella è comodataria. Ciò chiarito, nel merito occorre analizzare separatamente le domande proposte da parte attrice, fondata nei soli limiti di seguito precisati. a) Quanto alla domanda sub 1) proposta da parte attrice, essa è sostanzialmente una domanda di annullamento delle delibere del 28.3.2019 e del 9.7.2019 nella parte in cui, in rigorosa applicazione dell'art. 8, lett. a) del Regolamento condominiale, hanno imposto all'attrice e alla sua affittuaria un divieto assoluto "all'occupazione dell'area portico per qualsiasi utilizzo". È prodromico all'esame di tale domanda il vaglio circa la legittimità dell'art. 8 lett. a) del Regolamento, il quale limita l'utilizzo delle parti comuni - tra le quali pacificamente rientra il porticato di cui si tratta - vietando ai condomini i seguenti usi delle cose, parti, impianti o spazi comuni: "a) occupare gli spazi comuni in qualunque modo e con qualunque oggetto o animale, come recipienti di pattume, vasi di fiori, giocattoli, biciclette, motociclette, autovetture, etc.". Premesso che non compete al Tribunale fornire un'interpretazione astratta della disposizione contrattuale, potendosi decidere sul significato di tale disposizione solo nei limiti in cui ciò sia necessario ai fini della risoluzione della controversia, deve rilevarsi che certamente tale norma regolamentare, giusto il suo significato letterale, impedisce l'utilizzo del porticato fatto dalla conduttrice dell'immobile degli attori. Il posizionamento degli sgabelli, certamente realizzato dal gestore del bar, costituisce infatti senz'altro occupazione di uno spazio, seppur circoscritto, del portico condominiale, occupazione vietata dal regolamento. Ciò posto, va verificato se l'art. 8, lett. a) sia o meno legittimo. Sul punto, deve rilevarsi che "L'art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragion per cui i suoi limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle apposite delibere assembleari adottate con i "quorum" prescritti dalla legge. Tuttavia, l'unico limite della legittima "autodisciplina condominiale" è rappresentato dalla previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni. Pertanto, qualora con una deliberazione di carattere essenzialmente generale si impedisca ai singoli condomini di apportare un intervento addirittura migliorativo ai fini dell'utilizzazione di una parte comune (come, nel caso di specie, quello di piantare essenze vegetali o apporre vasi ornamentali sulle aiuole condominiali), la determinazione della volontà collettiva è da ritenere illegittima perché contraria alla ratio del citato art. 1102 c.c." (Cass. civ. Sez. II Ord., 07/02/2018, n. 2957). Di conseguenza, solamente una norma che impedisca totalmente l'utilizzo delle parti comuni potrebbe essere considerata nulla (ad eccezione dell'ipotesi in cui essa sia adottata all'unanimità). Nel caso che ci occupa, benché certamente l'art. 8, lett. a) del regolamento impedisca l'utilizzo del porticato con sedie, tavoli e sgabelli, tale norma consente diversi altri utilizzi del porticato stesso, fra cui il passaggio ed il breve stazionamento di persone a fini ricreativi, ossia i fini a cui è fisiologicamente deputato un porticato privato aperto al pubblico. Di conseguenza, tale disposizione non può essere considerata nulla. Ciò chiarito, deve ritenersi preclusa l'impugnazione del regolamento, e dunque di tale disposizione, sia perché risulta ampiamente spirato il termine di legge per l'impugnazione della delibera che ha approvato il regolamento (delibera del 2.7.1971) sia perché l'attrice An.Ba. era presente e ha votato a favore (cfr. art. 1137, comma 2, c.c.). L'art. 8, comma a) del regolamento condominiale è, dunque, legittimo. È adesso possibile adesso passare all'esame delle delibere del 28.3.2019 e del 9.7.2019, le quali avrebbero imposto un assoluto divieto all'occupazione del portico per qualsiasi utilizzo. Per quanto concerne la delibera del 28.3.2019, va rilevato che essa, in realtà, ha un contenuto deliberativo solamente con riferimento al punto 5, con cui il Condominio ha deliberato di non accordare il permesso di occupazione provvisoria dello spazio all'interno del porticato; tale delibera non può dirsi nulla ("In tema di condominio negli edifici, la sanzione della nullità deve ritenersi limitata alle delibere dell'assemblea condominiale: 1) prive degli elementi essenziali; 2) con oggetto impossibile o illecito (contrario, cioè, all'ordine pubblico alla morale o al buon costume), ovvero comunque invalide in relazione all'oggetto; 3) con oggetto non ricompreso nelle competenze dell'assemblea; 4) incidenti su diritti individuali su cose o servizi comuni; 5) incidenti sulla proprietà esclusiva di un condomino, mentre devono, per converso, ritenersi soltanto annullabili le delibere: 1) affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; 2) adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale; 3) affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione e/o informazione dell'assemblea; 4) affette genericamente da irregolarità nel procedimento di convocazione. Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea comporta la sola annullabilità, e non anche la radicale nullità, della delibera successivamente adottata, delibera che, in mancanza di impugnazione nel termine di trenta giorni (decorrente, ex art. 1137, comma 3, c.c., per i condomini assenti, dalla relativa comunicazione, e, per quelli dissenzienti, dalla sua approvazione), resta valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio." Cass. civ. Sez. Unite Sent., 07/03/2005, n. 4806) ed il contenuto deliberativo della stessa è conforme al regolamento condominiale (art. 8, lett. a) ed alla legge. Parte attrice evidenziato profili di illegittimità ulteriori rispetto al contrasto tra tale delibera ed il regolamento, per come nella sua prospettazione - non condivisa dal Tribunale ai fini della decisione della causa - correttamente interpretato. Ne consegue la legittimità della delibera del 28.3.2019. Per quanto concerne, poi, la delibera del 9.7.2019, e dunque in relazione all'impugnazione delle sanzioni applicate a parte attrice, va rilevato quanto segue. Non è contestato che la L.Lo. S.a.s. abbia realizzato almeno una parte dei comportamenti contestati, ossia il posizionamento degli sgabelli per consentire la seduta al bancone basculante, comportamento che l'assemblea pone alla base della quantificazione dell'importo applicato a titolo di sanzione ("si motiva l'importo con il perdurare dell'occupazione con sgabelli del porticato comune contrariamente alla delibera del 28.3.2019". Di conseguenza, è irrilevante che gli altri comportamenti sanzionati (mancato lavaggio periodico e occupazione del porticato con cicli e moto) non siano stati provati sotto il profilo della riconducibilità degli stessi al conduttore dell'immobile di An.Ba., poiché, appunto, dalla delibera assembleare emerge che l'importo della sanzione fu quantificato in base al posizionamento degli sgabelli in violazione dell'art. 8 lett. a). Va, poi, considerato che la facoltà di applicare sanzioni per le violazioni del regolamento condominiale è espressamente prevista, in capo all'amministratore, dall'art. 24 del regolamento stesso, il quale, anzi, prevede che l'amministratore sia obbligato ad applicare le sanzioni proprio in ipotesi di violazione dell'art. 8 del regolamento. La doglianza per cui, essendo posto in essere il comportamento dal conduttore, il proprietario locatore dell'immobile condominiale non potrebbe essere chiamato a rispondere della sanzione in quanto non trasgressore, non può essere accolta. Il proprietario che conceda in locazione un immobile condominiale deve, infatti, dirsi tenuto a far rispettare il regolamento condominiale, potendo egli, eventualmente, rivalersi sulla propria controparte contrattuale (il conduttore) nel caso in cui sia costretto a pagare la sanzione. Parimenti è priva di pregio la doglianza per cui l'oggetto dell'assemblea non era stato indicato in modo completo nella convocazione; sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti."(Cass. civ. Sez. II Sent., 19/10/2010, n. 21449 (rv. 614730). Nel caso di specie, la convocazione per l'assemblea del 9.7.2019 recitava: "1) intervento sanzionatorio relativo al regolamento condominiale: irrogazione delle sanzioni sulla base delle diffida inviata e non accolta". Solamente in data 7.6.2019, era stata inviata alla Ba. una diffida relativa al mancato rispetto del regolamento condominiale, sicché la condomina era perfettamente in grado di conoscere quale fosse l'oggetto dell'assemblea del 9.7.2019. Da quanto esposto consegue che le sanzioni risultano legittimamente applicate dall'assemblea del 9.7.2019 e la piena legittimità della delibera del 9.7.2019. b) Quanto alla domanda sub 2 - prescindendo, in base al principio della ragione più liquida, dall'ammissibilità della proposizione di tale domanda nella prima memoria istruttoria - essa è totalmente priva di pregio, non essendo emerso in alcun modo l'animus nocendi che caratterizza l'atto emulativo. Sul punto, va ricordato che "L'atto emulativo vietato ex art. 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicché non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, né potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi." (Cass. civ. Sez. II Sent., 22/01/2016, n. 1209 (rv. 638683). Nel caso di specie, l'interesse del proprietario è sussistente ed è quello di una migliore utilizzazione del porticato e del rispetto dei limiti di cui all'art. 8 lett. a) del regolamento condominiale. c) Per quanto attiene alla domanda sub 3, essa va rigettata in ragione di quanto già esposto sub b): risulta pienamente legittima una norma del regolamento condominiale che ponga limiti più stringenti all'utilizzo delle parti comuni, essendo l'unico limite costituito dalla totale compromissione del godimento delle stesse da parte dei singoli condomini; d) Con riferimento alla domanda sub 4, essa va rigettata in ragione di quanto già esposto sub b): ben può il regolamento condominiale prevede che il proprietario dell'immobile condominiale locato sia destinatario delle sanzioni per comportamenti realizzati dal conduttore, trattandosi del soggetto tenuto a far rispettare alla propria controparte contrattuale il regolamento; senza considerare che il proprietario è chi trae l'utilità dal godimento altrui della propria res, sicché tale conclusione appare conforme al principio per cui cuius commoda eius et incommoda; e) La domanda sub 5 va invece accolta limitatamente alla richiesta di annullamento della delibera del 9.7.2019 nella parte in cui ha posto a carico della Ba. il costo dell'assemblea straordinaria. La giurisprudenza di merito ha, in maniera del tutto condivisibile, chiarito che "con riferimento al tema dell'accollo al singolo condomino di spese personali, che le spese relative alla tenuta di assemblee dei condomini non possono in alcun caso essere poste, nell'ambito del riparto degli oneri di amministrazione del condominio, a carico del condomino che, a dire dell'amministrazione condominiale ovvero della stessa assemblea, avrebbe reso necessaria la convocazione della predetta assemblea." (Tribunale Busto Arsizio Sez. III, Sent., 25/11/2020 in Leggi d'Italia), poiché le spese sostenute per il funzionamento degli organi condominiali sono sostenute nell'interesse della collettività condominiale e devono, pertanto, essere ripartite secondo il criterio di cui all'art. 1123 c.c. Il criterio della responsabilità o della causalità, dunque, non può essere un criterio di ripartizione delle spese, potendo al più - ed ove ne sussistano i presupposti - il Condominio chiedere il risarcimento dei danni provocati dal condomino con la sua condotta. Derogando al criterio di ripartizione delle spese, la delibera è, in parte qua, affetta da nullità. Quanto alla richiesta di annullamento delle successive sanzioni del 5.8.2019 e del 4.9.2019, esse non sono state applicate con delibera condominiale, ma dall' amministratore. In conclusione, la domanda attorea è fondata limitatamente all'annullamento della delibera del 9.7.2019 nella parte in cui ha posto a carico di An.Ba. le spese di convocazione dell'assemblea straordinaria. La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite nella misura di 1/2, spese da liquidarsi come da dispositivo in base allo scaglione di valore indeterminabile di bassa complessità e sulla base dei valori medi ad eccezione della fase istruttoria, da liquidarsi secondo i valori minimi, essendosi esaurita nello scambio delle memorie istruttorie. Parte attrice va dunque condannata alla refusione della metà delle spese processuali sostenute dal Condominio convenuto e dal terzo interveniente Gi.Ga. (cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 14/05/2018, n. 11670 (rv. 648325-01), per cui "Il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenuto "ad adiuvandum " è posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell'esito favorevole della lite per l'adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l'interesse all'intervento."). P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede: a) dichiara inammissibile l'intervento di Mo.Su.; b) dichiara la nullità della delibera del 9.7.2019 assunta dal Condominio Via (...) nella parte in cui pone a carico della condomina An.Ba. le spese dell'assemblea straordinaria; c) rigetta tutte le altre domande attoree; d) condanna gli attori alla refusione della metà delle spese di lite sostenute dal Condominio Via (...), liquidate in complessivi Euro 6.713, oltre contributo e marca, 15% a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa se dovuti e come per legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo; e) condanna gli attori alla refusione della metà delle spese di lite sostenute da Gi.Ga., liquidate in complessivi Euro 6.713, 15% a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa se dovuti e come per legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo. Si comunichi. 11 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI E.V.S. - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PICARDI ANTONIETTA, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 febbraio 2022, la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Pesaro ed in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, dichiarava (OMISSIS) colpevole dei delitti ascrittigli ai sensi degli articoli 612 bis e 635 c.p., entrambi consumati in danno della vicina d'abitazione, (OMISSIS), nel corso dell'anno 2018, irrogando la pena indicata in dispositivo e condannandolo al risarcimento dei danni cagionati alla indicata parte civile. 1.1. In accoglimento dell'appello del pubblico ministero (con le rinnovate deposizioni della persona offesa e dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), la Corte territoriale osservava quanto segue. I dubbi espressi dal Tribunale sulla attendibilita' della persona offesa, per l'astio nutrito nei confronti dell'imputato, erano privi di fondamento. L'attendibilita' della stessa, infatti, era stata dimostrata anche dalla raccolta di plurimi riscontri del suo narrato. La (OMISSIS), zia della persona offesa, aveva riferito di avere personalmente assistito ad un episodio in cui il prevenuto aveva insultato la congiunta, che aveva poi accompagnato in caserma a denunciare il fatto. La (OMISSIS), amica della persona offesa, aveva anch'ella riferito di un altro episodio di ingiurie, rivolte dall'imputato alla persona offesa, e di un disturbo del riposo notturno della medesima, protrattosi per un'intera notte. L'operante (OMISSIS) aveva riferito di avere direttamente assistito, quando era intervenuto sul posto, ad un episodio di rumori molesti provocati dall'imputato a danno della vicina, senza alcuna valida giustificazione. Tutti i predetti episodi, uniti alle altre angherie riferite dalla persona offesa, certamente concretavano il contestato delitto di atti persecutori. Il mutamento delle abitudini di vita, che ne era derivato, era stata la rinuncia della prevenuta a parcheggiare l'auto davanti alla propria autorimessa. Quanto ai danneggiamenti contestati, oltre alla prova logica desunta dai fatti sopradescritti, militava anche l'immediatezza, almeno in una occasione, dell'atto rispetto al passaggio del prevenuto nei pressi dell'autovettura. E le immagini tratte da un filmato della telecamera di videosorveglianza. 2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in cinque motivi. 2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata confutazione, ad opera della Corte d'appello, di tutte le ragioni che avevano indotto il Tribunale ad assolvere l'imputato (l'assenza, pertanto, di una "motivazione rafforzata"). Il Tribunale, infatti, aveva giustificato la propria decisione assolutoria anche considerando le deposizioni dei testi indotti dalla difesa, (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre la Corte ne aveva riformato il giudizio sulla sola scorta delle dichiarazioni della persona offesa, della sua amica (OMISSIS), della sua parente, (OMISSIS), e dell'operante (OMISSIS). Peraltro, nessuna delle deposizioni dei citati testimoni aveva apportato nuovi elementi di giudizio e la stessa parte civile si era limitata ad affermare, quanto all'evento del reato, che le condotte del (OMISSIS) le avevano impedito di portare i propri figli nell'appartamento indicato. 2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione del compendio probatorio ed in particolare delle deposizioni rese dai testi indotti dalla difesa. Testi che avevano concordemente escluso che l'imputato avesse consumato le condotte contestategli in imputazione. Se ne riportavano in ricorso i brani ritenuti piu' salienti. 2.3. Con il terzo, quarto e quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del ricorrente per i delitti ascrittigli. Solo apparente era stata sul punto, come emerge anche dalle argomentazioni relative ai precedenti motivi di ricorso, la motivazione della Corte territoriale che non aveva neppure indicato su quali fonti di prova poggiasse la sua decisione. Ne' se, dalle presunte condotte consumate dal prevenuto, era realmente derivato un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, anche alla luce delle circostanze riferite dai testi della difesa. 3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Antonietta Picardi, ha concluso, con nota scritta, per l'inammissibilita' del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente inviava memoria con la quale argomentava ulteriormente i motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento. 5. Il difensore della parte civile inviava una memoria in cui concludeva per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato merita accoglimento. 1. In tema di riforma di una sentenza assolutoria di prime cure, questa Corte ha ricordato come sia necessario sia procedere ad una nuova escussione delle testimonianze ritenute decisive, come peraltro prevede l'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, (inserito, a decorrere dal 3 agosto 2017, dalla L. n. 103 del 2017, e quindi in data anteriore alla celebrazione del processo d'appello e che cosi' recita: "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale"), sia motivare l'opposta decisione, contrastando con una "motivazione rafforzata" le ragioni che avevano indotto il primo giudice ad assolvere l'imputato. 2. Quanto al primo aspetto - la necessaria rinnovazione delle prove dichiarative che si ritengano decisive per la riforma della sentenza impugnata - si ricorda come le stesse siano state individuate fini della sentenza delle Sezioni unite Dasgupta (che aveva anticipato, in via di interpretativa, la ricordata novita' legislativa) - n. 27620 del 28/04/2016 Rv. 267491 - in cui si era, appunto, precisato che costituiscono prove decisive (al fine della valutazione della necessita' di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese) quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonche' quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna. Un orientamento che ha trovato recente conferma nella sentenza n. 41358 del 29/04/2022, Ciancio, Rv. 283678 secondo cui in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, il giudice di appello che pervenga a una riforma della decisione assolutoria di primo grado, ove sussista contrasto tra due fonti testimoniali incidenti in modo potenzialmente decisivo sulla ricostruzione del fatto, e' obbligato alla riassunzione di entrambe, non potendo privilegiare l'escussione di una sola di esse. 2.1. Nell'odierno caso concreto, la Corte non ha tenuto conto di tali principi di diritto avendo rinnovato l'istruttoria dibattimentale con esclusivo riferimento alle testimonianze della persona offesa e dei testi, d'accusa, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Del tutto trascurando le deposizioni dei testi indicati in ricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS). Testi le cui deposizioni, invece, il Tribunale aveva riportato alle pagine da 6 a 9 della propria sentenza, e che avevano riferito (particolarmente la (OMISSIS)) del comportamento dispotico della persona offesa nei confronti suoi e dell'imputato, e dell'astio fra loro intercorrente, cosi' da indurre il Tribunale stesso a non ritenere raggiunta la prova della penale responsabilita' dell'imputato, per entrambi di delitti a lui contestati, gli atti persecutori ed i danneggiamenti. Era pertanto evidente che il primo giudice aveva ritenuto entrambe le citate testimonianze decisive ai fini del decidere cosi' che anche queste avrebbero dovuto essere rinnovate dal giudice d'appello. 3. La sentenza impugnata difetta anche in ordine alla necessita' di confutare con "motivazione rafforzata" gli argomenti spesi dal primo giudice per ritenere il ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato. Le deposizioni dei due citati testi - (OMISSIS) ed il padre dell'imputato, (OMISSIS) - infatti, non solo non erano state rinnovate, ma non avevano trovato menzione alcuna nel percorso motivazionale seguito dalla Corte d'appello. Neppure per affermarne, qualora ne fosse stata ritenuta, l'inattendibilita'. Si era cosi' deciso per la riforma della sentenza omettendo, del tutto, di considerare una parte del compendio probatorio, una parte che il primo giudice aveva ritenuto decisiva per pervenire all'assoluzione dell'imputato. 4. Per, entrambe, le ragioni teste' esposte la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per il nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. MELE Maria E. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/05/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA ELENA MELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BIRRITTERI LUIGI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore; Procedimento a trattazione scritta. Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Torino, in sede di rinvio, ha confermato anche agli effetti civili la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 612-bis c.p., commesso ai danni di (OMISSIS). L'imputata, condannata in primo grado, era stata assolta dalla Corte d'appello di Torino con decisione poi annullata con rinvio dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 32418 del 24.9.2020. Nel pronunciarsi in sede di rinvio, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo la ricorrente responsabile del reato ascrittole. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito (OMISSIS) si e' resa responsabile, a partire dal 2009, di reiterate e gravi molestie consistite in plurime condotte emulative, in molestie, ingiurie e minacce che avevano cagionato a (OMISSIS) un perdurante e grave stato di ansia e di paura, costringendola a modificare le proprie abitudini di vita. 2. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 612-bis c.p. con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo e oggettivo del reato. Quanto all'elemento soggettivo, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che dalle testimonianze assunte era emersa una situazione di conflittualita' tra le due donne e che le ingiurie erano reciproche, e che l'atteggiamento della persona offesa non era affatto sottomesso. Quanto al profilo oggettivo, si sostiene che non vi sarebbe la prova dell'evento dannoso, non avendo le testimonianze assunte, ed in particolare quelle della d.ssa (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS), medico di base della (OMISSIS), dimostrato alcun danno patito dalla persona offesa. Si deduce, altresi', la violazione dell'articolo 606, lettera d) c.p.p. per mancata assunzione di una prova decisiva. La Corte torinese avrebbe immotivatamente omesso di valutare la registrazione, depositata nel dibattimento, dalla quale emergeva che la persona offesa era ricorsa alla lettera dell'avv. (OMISSIS) solo a scopo di ripicca in quanto (OMISSIS) aveva sporto querela contro di lei; registrazione che, secondo la difesa, avrebbe inciso sulla valutazione di attendibilita' di (OMISSIS). Censurabile per vizio di motivazione sarebbe, altresi', il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, da effettuare tramite l'acquisizione della registrazione del dialogo tra (OMISSIS) e il parroco don (OMISSIS), motivata dalla Corte d'appello con la considerazione che, se avesse ritenuto utile esaminare il parroco, la ricorrente avrebbe dovuto indicarlo nel processo di primo grado come testimone. Secondo la difesa tale motivazione sarebbe censurabile, in quanto la registrazione fonografica avrebbe una maggior pregnanza probatoria rispetto ad una prova testimoniale assunta a distanza di tempo dai fatti. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripetere la motivazione del giudice di prime cure, senza motivare specificamente sulle censure svolte con l'atto di appello, in particolare, in ordine alla credibilita' della persona offesa, nonche' alla diversa valutazione delle testimonianze rese dai parenti della ricorrente, rispetto a quella del convivente di (OMISSIS). 2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione di legge in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, dal momento che la mancata assunzione di responsabilita' da parte della ricorrente non potrebbe essere considerata a tal fine come elemento negativo. Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione in ordine alle ragioni per cui sarebbe stata ritenuta la gravita' delle condotte. 3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Con memoria in data 28.11.2022, il difensore della ricorrente ha insistito nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata. L'avv. (OMISSIS), difensore della parte civile, ha depositato memoria con la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato, nonche' la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. Considerato in diritto 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. Il primo motivo e' infondato. 2.1. Ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 612-bis c.p., il Collegio intende dare continuita' all'insegnamento di questa Corte secondo il quale la reciprocita' dei comportamenti molesti non esclude la configurabilita' del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un piu' accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumita' propria o di persone ad essa vicine o della necessita' del mutamento delle abitudini di vita (Sez. 5, n. 42643 del 24/06/2021, A., Rv. 282170; Sez, 3, n. 45648 del 23/05/2013, U., Rv. 257288; Sez. 5, n. 17698 del 05/02/2010, Marchino, Rv. 247226). Sul punto, la Corte territoriale, nel riprendere la sentenza di primo grado, ha reso una specifica motivazione, valorizzando, non solo le dichiarazioni della persona offesa, valutata come pienamente attendibile in base ad una puntuale verifica delle sue affermazioni, ma anche l'esistenza di plurimi elementi di riscontro di tale narrato, anche con specifico riferimento all'evento del reato, rappresentato nella specie, dal mutamento delle proprie abitudini di vita, dallo stato di stress e ansia indotto dal comportamento di (OMISSIS). Detti elementi di riscontro sono individuati dalla Corte territoriale, oltre che nelle acquisizioni documentali, tra le quali vi sono i biglietti a contenuto offensivo nei confronti della (OMISSIS) collocati sull'auto della ricorrente, nelle riproduzioni fotografiche, soprattutto nelle dichiarazioni dei testi, tutti inquilini residenti nel medesimo stabile, i quali avevano riferito del mutamento di abitudini della persona offesa, che cercava di non accedere allo stabile da sola perche' terrorizzata, o mutava il percorso per uscirne (teste (OMISSIS)) e dello stato di ansia e stress in cui ella si trovava (testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), circostanza, quest'ultima, confermata anche dal teste (OMISSIS), datore di lavoro di (OMISSIS). La Corte territoriale ha, per contro, ritenuto che i motivi di appello fossero fondati su una considerazione assolutamente parziale delle dichiarazioni dei testi, di cui la difesa aveva tralasciato quelle sfavorevoli alla ricorrente. 2.2. La sentenza impugnata ha inoltre adeguatamente illustrato le ragioni del rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale attraverso l'acquisizione della registrazione del dialogo tra (OMISSIS) e il parroco don (OMISSIS), ritenendola irrilevante e rinvenendo conferma di tale valutazione nella circostanza che l'imputata non aveva indicato il parroco come testimone nel processo di primo grado. Secondo la giurisprudenza di legittimita', la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, stante la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti (cfr., Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820-01, e Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 20397401; piu' di recente, v. Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Grosso, Rv. 283522 - 01). Il sindacato che questa Corte puo' svolgere sull'esercizio della discrezionalita' del giudice di merito e sulla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato non puo' mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Grosso, cit.; Sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017, Loda, Rv. 269373-01, e Sez. 4, n. 37624 del 19/09/2007, Giovannetti, Rv. 237689-01). Nella specie, la sentenza impugnata ha proceduto ad una compiuta e coerente ricostruzione degli elementi probatori a carico di (OMISSIS), costituiti - come si e' gia' detto - oltre che dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalle molteplici e convergenti dichiarazioni testimoniali, nonche' dalle prove documentali sulla cui base la Corte territoriale ha ricostruito le ripetute molestie poste in essere dalla ricorrente nei confronti di (OMISSIS), ed ha valutato che a fronte di tali molteplici e concordanti elementi, la prova richiesta in appello fosse del tutto ininfluente. Di conseguenza, tenuto conto dei limiti del sindacato di legittimita' sulla correttezza della motivazione del provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, l'assenza di lacune o valutazioni incongrue nel provvedimento in ordine alla ricostruzione della vicenda di cui si discute esclude in radice vizi logico-giuridici rilevabili in sede di legittimita'. 3. Il secondo motivo e' infondato. 3.1. Deve preliminarmente osservarsi che, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita', va riconosciuta, in linea di principio, l'ammissibilita' della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia' esaminati e disattesi dal primo giudice (cosi', tra le tante, Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv. 257056; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013, Adduci, Rv. 255392). Il giudice di appello, nell'effettuare il controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e', infatti, tenuto a riesaminare questioni riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali il primo giudice si sia soffermato con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici e che risultino non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Pertanto, in presenza di una "doppia conforme", il giudice di appello non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841; da ultimo v. Sez. 3, n. 13266 del 19/02/2021, Quatrini, non mass.). Non e' pertanto censurabile in sede di legittimita' la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'articolo 606, comma 1 lettera e), c.p.p., che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro', Rv. 275500; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643). 3.2. Nel caso di specie, la Corte torinese, lungi dal limitarsi a ripetere la motivazione della sentenza di primo grado, si e' soffermato a valutare il materiale probatorio alla luce delle censure svolte con i motivi d'appello dalla difesa, puntualmente motivando le ragioni della ritenuta credibilita' della persona offesa sia in relazione al loro contenuto intrinseco, lineare e coerente, sia in relazione ai riscontri rinvenuti nelle convergenti dichiarazioni testimoniali, specificamente escludendo la idoneita' degli elementi evidenziati con i motivi di appello, le quali si erano limitati a trattare minime parti delle deposizioni testimoniali, a inficiare il quadro probatorio ricostruito. Ed invero, la sentenza impugnata ha ricostruito il quadro di insulti e molestie pressoche' quotidiane rivolte dalla ricorrente a (OMISSIS), poste in essere mediante rumori molesti appositamente provocati, anche di notte o al mattino presto, per infastidirla, ovvero mediante condotte offensive (come quelle di abbassarsi i pantaloni e mostrare le natiche nella direzione della porta dell'abitazione della persona offesa, in modo che questa potesse vederla dallo spioncino), lasciare sacchetti della spazzatura davanti alla porta dell'abitazione di (OMISSIS), o ancora, collocare sul cruscotto della propria auto biglietti visibili dall'esterno, chiaramente rivolti alla persona offesa che la istigavano al suicidio. Inoltre, la Corte torinese ha specificamente affrontato il motivo d'appello con cui si lamentava che la sentenza di primo grado avesse operato una differente valutazione della attendibilita' del convivente della persona offesa, rispetto a quella del marito e del figlio della ricorrente spiegando, con motivazione ineccepibile, che cio' conseguiva non gia' alla loro diversa qualita' formale, bensi' al diverso contenuto delle testimonianze. Mentre il (OMISSIS), vittima anch'egli delle molestie indirizzate alla convivente, aveva reso una descrizione dettagliata e coerente dei fatti, il coniuge e il figlio di (OMISSIS) si erano limitati a negare qualsiasi addebito, senza fornire indicazioni precise. 4. La doglianza sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e' manifestamente infondata perche', secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimita', nel motivare il diniego delle attenuanti in parola e' sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ostativi ritenuti decisivi o rilevanti, come avvenuto nella specie, ove la Corte territoriale ha evidenziato la gravita' delle condotte, desumibile dalla lunga reiterazione delle condotte, pur dopo l'applicazione della misura cautelare. Secondo l'insegnamento di questa Corte, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente. (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02). Quanto all'entita' della pena, determinata in anni due e mesi due di reclusione, e' sufficiente osservare che la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; sicche' e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142). 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che, tenuto conto dell'opera prestata, possono liquidarsi, nei limiti della richiesta, in complessivi Euro 3.800, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n.196-03, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge. PQM Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.800,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n.196-03, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, responsabile civile; 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento nei confronti di: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/03/2022 della Corte d'appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato generale Pasquale Fimiani, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; udito, per la parte civile resistente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di sostituto processuale dell'avvocata (OMISSIS), che ha concluso per il rinvio della trattazione del procedimento alla Sezione civile; udito, per il responsabile civile ricorrente (OMISSIS) s.r.l., l'avvocato (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento del ricorso; udito, per l'imputato ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), nella qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento del ricorso udito, per l'imputato non ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), che, prospettando la possibile estensione dei motivi del ricorso di (OMISSIS), si associa alle conclusioni del Procuratore generale. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 22 marzo 2022, la Corte d'appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Enna, e pronunciando su appello di alcune delle parti civili, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati, tra i quali (OMISSIS), per il reato di cui all'articolo 659, comma 1, c.p., perche' lo stesso e' estinto per prescrizione. L'imputazione ha ad oggetto le condotte degli amministratori della societa' " (OMISSIS) s.r.l.", tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS), consistite nell'aver procurato rumori molesti, allocando alcune torri eoliche in siti diversi da quelli indicati nel progetto autorizzato, le cui turbine, per il loro funzionamento, disturbavano in modo continuo le occupazioni ed il riposto delle persone abitanti nella zona. La sentenza della Corte d'appello ha precisato che il reato, come gia' precisato dal Tribunale, deve ritenersi gia' estinto alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, con conseguente giuridica impossibilita' di statuizioni risarcitorie o di rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto a firma dell'avvocato (OMISSIS), e " (OMISSIS) s.r.l.", citata come responsabile civile, con atto a firma dell'avvocata (OMISSIS). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' articolato in tre motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 597 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., avuto riguardo alla riforma dell'assoluzione dell'imputato in violazione del divieto di reformatio in peius. Si deduce che illegittimamente la Corte d'appello ha riformato la sentenza di assoluzione in sentenza di non doversi procedere per prescrizione, in quanto il gravame e' stato proposto esclusivamente dalla parte civile. Si osserva che, a norma dell'articolo 576 c.p.p., la parte civile e' legittimata a proporre impugnazione esclusivamente agli effetti civili (si citano tra le altre: Sez. 6, n. 43644 del 11/09/2019; Sez. 2, n. 22170 del 24/04/2019, Tonello, Rv. 275589; Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016, Amato, Rv. 268344). 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avuto riguardo alla riforma dell'assoluzione dell'imputato in violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata. Si deduce che la sentenza impugnata e' pervenuta a conclusioni opposte rispetto a quella pronunciata in primo grado, senza un puntuale confronto con le argomentazioni di quest'ultima, limitandosi a riportare una parte delle dichiarazioni dell'unico testimone risentito ex articolo 603 c.p.p., ed omettendo di valutare altri passaggi della medesima deposizione, decisivi in una prospettiva assolutoria. 3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 659 c.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), c.p.p., avuto riguardo alla ritenuta configurabilita' del reato in violazione del principio di offensivita' e della non applicabilita' dei valori limite. Si.deduce che illegittimamente la sentenza impugnata, per affermare la sussistenza del fatto, ha valorizzato le dichiarazioni del teste (OMISSIS), laddove ha riferito del superamento, in alcuni siti, dei c.d. "valori limiti differenziali". Si osserva, in primo luogo, che la disciplina dei "valori limiti differenziali" di cui alla L. n. 447 del 1995, articolo 2, comma 3, lettera b), e di cui al d.P.C.M. 14 novembre 1997, articolo 8 non e' applicabile nella specie, perche' la stessa presuppone la sottoposizione dell'area interessata alla c.d. "zonizzazione acustica", di cui al d.P.C.M. 1 marzo 1991, articolo 6; si aggiunge, inoltre, che gli scostamenti rilevati sono solo due, a fronte di decine di rilevazioni, e che il bene giuridico della pubblica quiete richiede una lesione interessante "un numero indeterminato di persone. Si rileva, in secondo luogo, che, secondo la giurisprudenza, il mero superamento dei limiti di emissione fissati secondo i criteri di cui alla L. n. 447 del 1995 configura solo l'illecito amministrativo di cui all'articolo 10, comma 2, legge cit. (si citano Sez. 3, n. 39454 del 06/04/2017, e Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015). 4. Il ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", citata come responsabile civile, e' articolato in sei motivi, preceduti da una premessa sullo svolgimento del processo. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 538, 576, 591 e 649 c.p.p., a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo riguardo alla legittimita' della pronuncia di accoglimento del gravame da parte della Corte d'appello nonostante l'inammissibilita' dello stesso per la dichiarazione di prescrizione del reato in primo grado. Si deduce che il giudice dell'impugnazione ha il potere di affermare la responsabilita' agli effetti civili solo se tale potere spettava al giudice di primo grado, e che, pero', nella specie, neppure questi avrebbe potuto pronunciarsi, data il decorso del termine di prescrizione, oggetto di puntuale indicazione anche nella sentenza del Tribunale con statuizione ormai irrevocabile, perche' non impugnata ne' dal Pubblico Ministero, ne' dalle parti civili. 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 576 e 597 c.p.p., a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo riguardo alla intangibilita' delle statuizioni penali in ragione della mancata impugnazione del Pubblico Ministero. Si deduce che illegittimamente la Corte d'appello ha messo in discussione l'affermazione di insussistenza della responsabilita' penale degli imputati, posta la mancata proposizione del gravame da parte del Pubblico Ministero. Si rappresenta che l'articolo 576 c.p.p., consente l'impugnazione della parte civile esclusivamente agli effetti civili (si cita Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016). 4.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 659 c.p. e d.P.C.M. 14 novembre 1997, 8, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., avendo riguardo alla ritenuta configurabilita' del reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, in particolare per il superamento dei c.d. "valori limiti differenziali". Si deduce, in primo luogo, che il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone richiede un pregiudizio per la tranquillita' pubblica e per un numero indeterminato di persone (si cita Sez. 3, n. 25424 del 20/06/2016), mentre, nella specie, il funzionamento delle turbine e' stato oggetto di doglianze da parte di un numero circoscritto di persone. Si deduce, in secondo luogo, che illegittimamente, nella specie, si e' data rilevanza al superamento dei c.d. "valori limiti differenziali" di cui al d.P.C.M. 14 novembre 1997, in quanto, da un lato, questi valori, a norma degli articoli 4, comma 1, lettera a), e L. n. 447 del 1995, 6, comma 1, lettera a), e dell'articolo 8 del medesimo d.P.C.M., cit., costituiscono parametri di riferimento esclusivamente per i Comuni il quali abbiano provveduto alla c.d. zonizzazione, e, dall'altro, il Comune di (OMISSIS), nel quale e' stato realizzato il parco eolico da cui proviene il "rumore", no'n ha ancora proceduto alla zonizzazione acustica del suo territorio. 4.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avendo riguardo alla omessa valutazione, da parte della Corte d'appello, delle note scritte depositate nel corso del giudizio di secondo grado. Si deduce che la Corte d'appello ha omesso di esaminare le questioni indicate in tre memorie depositate nel corso del giudizio di appello; in queste memorie si erano prospettate le questioni esposte nei primi tre motivi del presente ricorso, tutte risolutive ai fini della decisione della regiudicanda. 4.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., avendo riguardo alla violazione dell'obbligo di c.d. "motivazione rafforzata". Si deduce che la sentenza impugnata ha violato l'obbligo di "motivazione rafforzata", sussistente anche quando l'impugnazione si stata proposta dalla sola parte civile (si cita Sez. U, n. 27620 del 2016). Si osserva che la Corte d'appello non solo si e' limitata all'escussione di un unico teste, (OMISSIS), omettendo di sentire anche il teste (OMISSIS), ma ha valorizzato dichiarazioni generiche, prive di indicazioni sui soggetti i quali avrebbero riportato i pregiudizi dal funzionamento delle turbine del parco eolico gestito dalla societa' chiamata in giudizio come responsabile civile, e non si e' confrontata con le dichiarazioni della pronuncia assolutoria di primo grado, ne' ha evidenziato le criticita' o le implausibilita' di quest'ultima. 4.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 125, c.p.p., e vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera c) ed e), c.p.p., avendo riguardo alla totale carenza di motivazione. Si deduce che la sentenza impugnata espone una motivazione apparente. Si evidenzia che la stessa non precisa ne' perche' ritiene provati gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 659 c.p., ne' perche', in ogni caso, non sia configurabile il meno grave illecito amministrativo di cui alla L. n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2, e neppure quali siano i valori limite di immissione, i valori differenziali e le soglie di trascurabilita' di cui ha tenuto conto. 5. Nelle more del di giudizio di cassazione, sono pervenute le revoche della costituzione di parte civile di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito precisati. 2. Occorre innanzitutto precisare che la Corte deve comunque esaminare i ricorsi agli effetti penali, pur essendo il reato in contestazione, previsto dall'articolo 659, comma 1, c.p., divenuto procedibile a querela nelle more del giudizio di cassazione, in forza di quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 3. Non ricorre, infatti, nella specie, il difetto della querela richiesta dal Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 3, perche', in relazione al reato per cui si procede, sono rimaste ferme alcune costituzioni di parte civile e una delle parti civili ha anche presentato le sue conclusioni in udienza. Invero, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, "la sussistenza della volonta' di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, puo' essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione", e, quindi, "puo' essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonche' nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio", con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest'ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio (cosi' Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, in motivazione, § 3.2, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del Decreto Legislativo n. 10 aprile 2018, n. 36, ed ai giudizi pendenti in sede di legittimita'). Va aggiunto che questo principio si collega ad una consolidata elaborazione giurisprudenziale (le Sezioni Unite citano diverse pronunce, tra le quali, in particolare, Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259), ed e' stato ribadito da successive decisioni (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 5193 del 05/12/2019, dep. 2020, Feola, Rv. 277801-01, relativa a fattispecie di condanna per appropriazione indebita aggravata ex articolo 61, n. 11, c.p., delitto divenuto procedibile a querela ex Decreto Legislativo n. 10 aprile 2018, n. 36, articolo 10, comma 1, dopo la sentenza di primo grado, in relazione alla quale la Corte ha rilevato che la sussistenza della condizione di procedibilita' era desumibile dalla riserva di costituzione di parte civile formulata dalla persona offesa nella denunzia). 3. Per ragioni di ordine logico, si esamineranno dapprima le censure esposte nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel secondo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano la legittimita' della riforma agli effetti penali della sentenza di assoluzione di primo grado in sentenza di non doversi procedere, nonostante l'appello sia stato proposto dalle sole parti civili. Si scrutineranno poi le censure formulate nel primo motivo di ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", attinenti alla legittimita' della riforma agli effetti civili della sentenza di assoluzione di primo grado, nonostante l'avvenuta maturazione della prescrizione gia' anteriormente alla pronuncia della sentenza di primo grado. Si valuteranno quindi le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", concernenti la violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata". Si precisera' infine perche' le decisioni sui precedenti motivi implica l'assorbimento delle ulteriori censure, e quali sono gli effetti che seguono a tali decisioni. 4. Fondate, innanzitutto, sono le censure esposte nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la legittimita' della riforma, agli effetti penali, della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti dell'imputato in sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, deducendo che tale statuizione non era consentita in quanto l'appello era stato proposto esclusivamente dalle parti civili. Invero, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita', la parte civile e' si' legittimata a proporre appello avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto al fine di chiedere al giudice dell'impugnazione di affermare la responsabilita' dell'imputato, ma incidentalmente e ai soli fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, ancorche' in mancanza di una precedente statuizione sul punto, sicche' resta ferma, nel caso di appello della sola parte civile, l'intangibilita' delle statuizioni penali (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016, dep. 2017, Sdolzini, Rv. 268894-01, e Sez. 4, n. 48781 del 23/09/2016, Amato, Rv. 268344). Nella specie, come risulta anche dalla sentenza impugnata, con la pronuncia di primo grado gli imputati erano stati assolti con la formula perche' il fatto non sussiste, e gli appelli sono stati proposti esclusivamente dalle parti civili. Di conseguenza, deve ritenersi illegittima la statuizione della Corte d'appello nella parte in cui, agli effetti penali, ha riformato la sentenza di assoluzione perche' il fatto non sussiste in sentenza di non doversi procedere perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione. 5. Inammissibili, invece, sono le censure esposte nel secondo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", sebbene identiche a quelle formulate nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS). Invero, come si desume dalla complessiva disciplina dell'articolo 575 c.p.p., il responsabile civile e' legittimato a proporre impugnazioni esclusivamente agli effetti civili (cfr., in questo senso, Sez. 4, n. 37992 del 09/07/2008, Surigo Compagnia Assicurazioni S.a., Rv. 241026-01, e Sez. 1, n. 31130 del 17/06/2004, Santangelo, Rv. 229154-01). 6. Infondate, poi, sono le censure enunciate nel primo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano la legittimita' della riforma, agli effetti civili, della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, deducendo che tale statuizione non era consentita in quanto la prescrizione, come evidenziato sia dal Tribunale, sia dalla Corte d'appello, era maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado. 6.1. Puo' essere utile osservare che diverse decisioni di legittimita' hanno riconosciuto il diritto della parte civile ad impugnare sentenze di assoluzione pronunciate in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto. In particolare, una decisione ha osservato che e' ammissibile l'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto relativa a un reato gia' prescritto al momento della pronuncia, essendo in tal caso l'oggetto del giudizio costituito dall'accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilita' civile e dall'eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di insussistenza del fatto, con possibilita' di condanna al risarcimento dei danni, in quanto l'articolo 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (cosi' Sez. 6, n. 43644 del 11/09/2019, Murone, Rv. 277375-01). Altra decisione, poi, ha rilevato che la parte civile costituita e' legittimata a proporre impugnazione ai sensi dell'articolo 576 c.p.p. avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato pronunciata ex articolo 129, comma 2, stesso codice, in relazione a reato a quella data gia' prescritto, ma al solo scopo di rimuoverne l'efficacia di giudicato nell'azione di danno nei suoi confronti (cfr. Sez. 1, n. 13941 del 08/01/2015, Ciconte, Rv. 263065-01, la quale ha annullato senza rinvio ai soli effetti civili la sentenza emessa ex articolo 129 comma 2, c.p.p., dopo aver ravvisato nella stessa vizi di motivazione, ed ha conseguentemente dichiarato, sempre limitatamente a tali effetti, estinto il reato per prescrizione). 6.2. La soluzione secondo cui la parte civile e' legittimata ad impugnare sentenze di assoluzione pronunciate in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto risulta in linea con il dato normativo. Occorre premettere che, a norma dell'articolo 576, comma 1, primo periodo, c.p.p., la parte civile puo' proporre impugnazione, oltre che contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, anche, "ai soli effetti della responsabilita' civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio". Va poi rilevato che, a norma dell'articolo 652, comma 1, c.p.p., la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, "ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto e' stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima, nel giudizio civile (...) per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito (...) parte civile (...)". Sulla base di quanto previsto dalle indicate disposizioni, puo' evincersi che la parte civile, in linea di principio, e' legittimata ad impugnare tutte le sentenze di proscioglimento, e che la stessa, inoltre, ha specifico interesse ad impugnare una sentenza di assoluzione perche', se questa diviene irrevocabile, nei suoi confronti "ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto e' stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima, nel giudizio civile (...) per le restituzioni e il risarcimento del danno". Ne discende che deve ritenersi consentito che la parte civile proponga appello avverso una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione a reato in quel momento gia' prescritto per ottenerne la riforma agli effetti Civili in sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e che il giudice, in accoglimento del precisato gravame, decida in conformita' con tale richiesta. 7. Fondate sono le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", concernenti la violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata". Innanzitutto, e' fuori discussione l'obbligo, per il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado, di adottare una motivazione cd. "rafforzata". In questo senso si e' ripetutamente pronunciata la giurisprudenza di legittimita' (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 42868 del 26/09/2019, Miceli, Rv. 277624-01, e Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149-01) e l'adesione a tale principio e' formalmente affermata anche nella sentenza impugnata. Cio' posto, pero', la sentenza impugnata non risulta aver dato corretta applicazione all'obbligo di motivazione cd. "rafforzata". Come precisato anche dalle Sezioni Unite, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cosi' Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01; piu' di recente, tra le tante, Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907-01). Nella specie, la Corte d'appello non solo ha risentito uno solo dei testi esaminati nel giudizio di primo grado, ma non si e' confrontata con le specifiche ragioni poste a fondamento della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado. Invero, anche dal punto di vista grafico ed espositivo, non e' rinvenibile nella sentenza impugnata il benche' minimo esame delle ragioni addotte dal Tribunale a fondamento della pronuncia assolutoria. La Corte di appello, precisamente, per affermare l'ipotizzabilita' della sussistenza della responsabilita' civile degli imputati, si e' limitata a poche righe, nelle quali ha esaminato le dichiarazioni del teste riesaminato, (OMISSIS). Tra l'altro, nella sentenza impugnata, come puntualmente denunciato nel ricorso del responsabile civile, non risulta compiuto alcun confronto con le dichiarazioni del teste (OMISSIS), non riesaminato in appello, ed abbondantemente citato nella sentenza di proscioglimento emessa in primo grado. 8. Assorbite sono le censure esposte nel quarto e nel sesto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", le quali contestano ulteriori vizi di motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte d'appello. Invero, l'annullamento della sentenza di appello per difetto della motivazione c.d. "rafforzata", e la necessita' di un nuovo giudizio di merito, rendono superfluo l'esame di queste ulteriori doglianze. 9. Assorbite sono anche le censure enunciate nel terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel terzo motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", che contestano la configurabilita' del reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone sia per la violazione del principio di offensivita', sia per la non applicabilita' dei c.d. "valori limiti differenziali". Il Collegio non intende discostarsi dal principio consolidato secondo cui, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l'esercizio di una attivita' o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma 1 dell'articolo 659, c.p., qualora il mestiere o l'attivita' vengano svolti eccedendo dalle normali modalita' di esercizio, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma 2 dell'articolo 659 c.p., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorita' che regolano l'esercizio del mestiere o della attivita', diverse da quelle relativa ai valori hmite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 447 del 1995 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56430 del 18/07/2017, Vazzana, Rv. 273605-01). Tuttavia, il Collegio, alla luce degli atti legittimamente esaminabili in questa sede, non e' in condizione di escludere che l'attivita' svolta dalla societa' " (OMISSIS) s.r.l.", e dai suoi amministratori, sia stata svolta eccedendo dalle normali modalita' di esercizio di essa, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete. Invero, la sentenza impugnata ha dato atto della produzione di rumore e non ha affermato l'ipotizzabilita' del fatto produttivo di responsabilita' civile solo perche' si era verificato il superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447. 10. In conclusione, la sentenza impugnata, agli effetti penali, in accoglimento del primo motivo del ricorso di (OMISSIS), deve essere annullata senza rinvio, con conseguente riviviscenza, a tali effetti, della pronuncia assolutoria di primo grado perche' il fatto non sussiste. La medesima sentenza impugnata, poi, agli effetti civili, in accoglimento del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e del quinto motivo del ricorso di " (OMISSIS) s.r.l.", deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello, a norma di quanto previsto dall'articolo 622 c.p.p.. Deve escludersi, ancora, che, in questa sede, possa procedersi all'estensione degli effetti delle impugnazioni proposte dall'imputato (OMISSIS) e dalla responsabile civile " (OMISSIS) s.r.l." in favore dell'imputato non impugnante (OMISSIS). Invero, l'articolo 610 c.p.p., a differenza di quanto stabiliscono gli articoli 601 e 627 c.p.p., relativi l'uno al giudizio di appello e l'altro al giudizio di rinvio, non prevede l'intervento nel giudizio di legittimita' dell'imputato che puo' giovarsi dell'effetto estensivo dell'impugnazione. E questa disciplina, da un lato, e' coerente con la natura del giudizio di legittimita', e, dall'altro, non pregiudica l'interesse dell'imputato possibile beneficiario dell'estensione dell'impugnazione, potendo il medesimo far valere le proprie ragioni a tal proposito mediante l'attivazione di un incidente di esecuzione (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 29408 del 14/06/2018, M., Rv. 273437-01, e Sez. 1, n. 16678 del 01/03/2013, Antonelli, Rv. 255847-01). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali nonche' agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI QUARTA SEZIONE PENALE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice Giuliana Taglialatela, alla pubblica udienza del 14.02.2023 ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato ad A. il (...) e residente ed elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. a G. alla via V. (...) n. 4 (come da elezione di domicilio del 27.1.2021) Libero, assente difeso di fiducia dall'avv. Da.Cu. assente, sostituito per delega orale dal dott. Ma.Vi., IMPUTATO v. allegato a) del delitto p. e p. dagli artt. 624 bis, 625 co. 1 n. 2 c.p. perché, al fine di trarne profitto, mediante introduzione all'interno del condominio sito in N. al corso U. I, n. 154, ed introdottosi all'interno della cantina del predetto stabile di proprietà di (...), sì impossessava dei beni della persona offesa (in particolare: n. 1 confezione da 24 lattine di coca-cola), sottraendoli alla stessa che li deteneva; con 1'aggravante di aver commesso il fatto introducendosi in una abitazione e di aver commesso il fatto con violenza sulle cose; b) del delitto p. e p. dall'art. 635 co. 2 c.p. perché, al fine di commettere il reato sub a), compiva atti idonei a forzare e danneggiare la porta di ingresso dello studio legale, di proprietà di (...) staccandola completamente dal muro, nonché forzare le porte di ingresso di altre abitazioni site all'interno del suddetto condominio; c) del reato p. e p. dall'art. 707 cod. pen. perché, essendo stato condannato per reati contro il patrimonio, ed al fine di commettere il reato sub a) e B), era colto in possesso di quattro cacciaviti in metallo marca Stanley rispettivamente due da taglio e due a stella; di una tenaglia in metallo marca Knipex, strumenti atto a aprire o sforzare serrature, senza giustificato motivo; in Napoli, il 26 gennaio 2021 con la recidiva reiterata ed infraquinquennale PP.OO.: (...), in atti generalizzata; (...), in atti generalizzata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 21.11.2021 il PM disponeva la citazione a giudizio dell'imputato per l'udienza del 29.03.2022 innanzi al Tribunale di Napoli per rispondere dei reati a lui ascritti in rubrica. All'udienza del 29.3.2022, il giudice, dichiarata l'assenza dell'imputato regolarmente citato e non comparso, rinviava il processo, per omessa notifica del decreto alle pp.oo. All'udienza del 14.2.2023 la difesa eccepiva la nullità del decreto per mancata celebrazione dell'udienza preliminare; il giudice rigettava tale eccezione. La difesa munita di procura speciale chiede procedersi nelle forme del rito abbreviato. Ammesso il rito abbreviato ed acquisito il fascicolo del PM, il giudice invitava le parti alla discussione ed, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, rendeva pubblica la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Gli atti di indagine utilizzati per la decisione forniscono la piena prova della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati a lui contestati. (...), in data 26 gennaio 2021, ha sporto una denuncia in cui ha rappresentato quanto segue: "Premetto che sono titolare dello studio legale ubicato in questo Corso U. n. 154 al primo piano. Aggiungo che allo stadio odierno lo studio è in stato di ristrutturazione. In data odierna verso le ore 21.45 venivo contattata telefonicamente dalla custode dello stabile in narrativa che riferiva che delle persone stavano perpetrando un furto all'interno di detto studio, deducibile dai forti rumori molesti provenienti da quel sito. Pertanto unitamente a mio figlio (...) mi recavo sul posto, ove verificavo la presenza di più pattuglie dei carabinieri intente ad ispezionare lo stabile. Nel contempo constatavo che le due ante poste a protezione dello studio rinforzate con un lucchetto blindato erano state divette, e una delle quali giacente al suolo. All'interno mi accorgevo che nulla era stato asportato. Preciso che alle ore 20.40 odierne chiudevo lo studio assicurandomi che fosse regolarmente a chiave". (...), in data 26 gennaio 2021, ha sporto denuncia, esponendo quanto segue: "Premetto di essere il custode del condominio ubicato al civico 154 di questo c.so U. per oltre 30 anni a questa parte. Nella serata odierna verso le ore 21.30 circa udivo dal mio alloggio dei rumori molesti provenienti dal primo piano della scala b. Detti rumori lasciavano presagire che qualcuno stava scassinando qualche porta. A tal proposito uscivo dalla mia abitazione recandomi al primo piano ove constatavo che la porta di ingresso formata da due ante in legno erano state completamente divelta. Accortami di ciò che stava accadendo allertavo subito il 112 dei carabinieri. Dopo di che uscivo unitamente alla mia famiglia di casa per recarmi fuori in strada, per paura. Nell'immediatezza arrivavano sul posto i carabinieri, unitamente ai quali facevamo ingresso nel condominio. I carabinieri bloccavano il portone di ingresso del palazzo ed ispezionavano l'intero condominio. Ispezionavano il sottoscala a me in uso, i carabinieri sorprendevano un soggetto che recava tra le mani una cassetta da 24 lattine di coca cola di mia proprietà. Facevo immediatamente presente ai CC che il sottoscala era usato da me come deposito anche di bevande". Dall'annotazione di pg del 26 gennaio 2021 redatta dai CC di Napoli nucleo Radiomobile- II sezione Autoradio emerge quanto segue: "In data odierna alle ore 21.30 circa... venivamo contattati dalla centrale operativa di Napoli il cui operatore riferiva di portarci in Corso Umberto In. 154, in ordine a segnalazione, ricevuta, per furto in atto. Giunti prontamente sul posto avevamo subito contezza di una persona di sesso femminile qualificatasi per la custode del condominio, la quale riferiva che all'interno di detto condominio vi era un soggetto che stava forzando delle porte di abitazioni ivi collocate sia verso la Scala B quanto alla scala A. A tal proposito facevamo chiudere il portone di ingresso al condominio per non permettere ad alcuno di uscire o di entrare. Cosicché ispezionavamo dapprima la scala B entrando verso destra, ove giunti sulla prima rampa di scale in prossimità della rampa di scale, notavamo un soggetto uscire da uno scantinato con in braccio una confezione da 24 lattine di coca-cola. La richiedente, anche custode del condominio in questione, a tale scena, riferiva che la confezione di coca-cola era di sua proprietà e il vano adibito a scantinato era in uso alla medesima dove abitualmente era solita depositare bevande e cose varie. Quindi il soggetto, sorpreso proprio in flagranza, non opponeva resistenza lo stesso veniva perquisito...Ed invero all'interno dello zaino portato a spalla venivano rinvenuti oggetti atti allo scasso, quali, tenaglia in metallo e n. 4 cacciaviti di varie misure". Nell'annotazione di pg redatta dalla PM di Portici è scritto quanto segue: "Il soggetto fermato riferiva di non essere in possesso di documenti che attestassero la sua identità e riferiva di chiamarsi (...). Successivamente...ispezionavamo l'intero condominio specie le zone in cui la custode udiva provenire i rumori molesti. Alla scala B precisamente al primo piano dove era ubicato uno studio legale notavamo che la porta di ingresso composta da due ante di legno chiuse con un lucchetto blindato era divelta dal muro. Giunti al suo interno notavamo che lo studio legale era in fase di ristrutturazione ...veniva convocato il proprietario del predetto studio legale, nella persona dell'avv. (...)...giunta in loco ispezionava e controllava la sua proprietà senza tuttavia rilevare qualche ammanco. Successivamente veniva ispezionata la scala A riscontrando quanto segue: al secondo piano...ove era ubicato il consolato del Vietnam risaltavano all'occhio evidenti segni di effrazione sul portone di ingresso in legno... al quinto piano dalla porta che s accede al terrazzo sempre in uso al consolato del Vietnam...venivano ritrovati segni di effrazione sul portone in legno" Il F., mentre stava trasportando n. 24 lattine di coca-cola, veniva fermato e sottoposto a perquisizione personale: nel suo zaino venivano rinvenuti oggetti atti allo scasso e, in particolare, quattro cacciaviti e una pinza (cfr. verbale di perquisizione e sequestro in atti). Ebbene, alla luce delle sopra riferite risultanze, si ritiene sussistere la responsabilità dell'imputato nei termini che si vanno ad esporre. Ed, invero, il (...) è stato colto in flagranza mentre, dopo essersi impossessato di una confezione di lattine di coca cola, stava uscendo dalla cantina, dove le stesse, di proprietà di (...), erano custodite. L'odierno imputato, peraltro, aveva in precedenza cercato di forzare le porte di altri numerosi appartamenti ubicati nel medesimo stabile sito in corso U. 1 n. 154 (tra cui quello al secondo piano della scala A ove è ubicato il consolato del Vietnam e quello al quinto piano sempre in uso al medesimo consolato). In entrambi i casi, le porte di ingresso presentavano evidenti segni di effrazione. Non riuscendo nel suo intento, si era, allora, spostato nella scala B, ove aveva tentato di forzare la porta dello studio legale di (...), ubicato al primo piano, danneggiandola ("era divelta dal muro"). Sussiste, dunque, il delitto di cui all'art. 624 bis c.p.c.he al primo comma punisce chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trame profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa. Tale norma è stata inserita al fine di considerare in via autonoma (e non più come mere circostanze aggravanti del furto) quelle condotte considerate maggiormente rischiose per l'incolumità dell'offeso ed indicative di una particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo. Nella giurisprudenza di legittimità è costante l'orientamento che afferma la natura pertinenziale del box o garage e la punibilità, ex art. 624 bis, c.p., delle condotte di sottrazione di beni commesse all'interno di tali luoghi o di altri spazi destinati al ricovero di mezzi, e aventi funzione accessoria delle abitazioni. Il requisito della contiguità spaziale tra abitazione principale e bene posto a servizio ovvero a ornamento di essa, viene affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia civile, proprio come elemento idoneo a integrare la nozione di pertinenza, ai sensi dell'art. 817, c.c., secondo cui, come è noto, sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. Si è, pertanto, chiarito che, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio, è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi al medesimo soggetto nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi una "utilità" al bene principale e non al proprietario di esso, così escludendosi la pertinenzialità tra un immobile condominiale ed un'autorimessa privata in quanto appartenenti a lotti diversi (cfr. Cass., civ., Sez. 2, n. 12855 del 10/06/2011, Rv. 619437). Può, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: la nozione di "pertinenza di luogo destinato a privata dimora", di cui all'art. 624 bis, c.p., si riferisce a ogni bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica ovvero funzionale al bene principale, per essere destinato in modo durevole al servizio o all'ornamento di esso (cfr. Corte di Cassazione Sez. 5 Num. 27326 Anno 2021). Dunque, certamente va ricompresa nella fattispecie di cui all'art. 624 bis cp anche la cantina, che, ancorché non comunicante direttamente con il luogo adibito ad abitazione, era situata nello stesso corpo del fabbricato ed era utilizzata dalla (...) per custodire le bevande. Non sussiste, invece, l'aggravante di cui all'art. 625 co. 1 n. 2 cp non essendo emerso che il furto sia stato commesso con violenza sulle cose (i danni sono stati riscontrati solo sulle porte di ingresso degli altri immobili presenti nello stabile). Del pari sono configurabili i reati di danneggiamento- capo b-, avendo l'imputato danneggiato le porte di ingresso in primis dello studio legale, nonché di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli di cui all'art. 707 c.p., essendo stato il (...) - già condannato per delitti contro il patrimonio-sorpreso in possesso di cacciaviti, di tenaglia e di altri oggetti meglio indicati nel relativo verbale di sequestro. Passando alla determinazione del trattamento sanzionatorio, si ritiene l'imputato (...) meritevole delle invocate attenuanti generiche per adeguare la pena al concreto disvalore del fatto, da ritenere prevalenti sulla recidiva contestata, di cui non può non tenersi conto - cfr. certificato casellario -. Tutti i reati possono essere avvinti dal vincolo della continuazione stante l'evidente unitario disegno criminoso. Tanto premesso, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., stimasi equa la pena di anni due, mesi quattro e giorni tredici di reclusione ed Euro 540 di multa (p.b., anni 4 ed Euro 927, ridotta per le attenuanti generiche prevalenti ad anni due e mesi otto ed Euro 618, aumentata ex art. 81 cpv in misura non inferiore ad un terzo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 81 c.p. ad anni tre e mesi sei e giorni venti ed Euro 810 - precisamente di mesi sette e gg. 20 ed Euro 152 per il reato sub b) e di mesi tre ed Euro 40 euro per il reato sub c-, ridotta per il rito alla pena finale). Segue per legge la condanna alle spese processuali. Ai sensi dell'art. 240 c.p. va disposta la confisca e distruzione di quanto in sequestro. P.Q.M. Letti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 cpp dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti, esclusa l'aggravante di cui all'art. 625 co. 1 n. 2 c.p. contestata al capo a) e concesse le attenuanti generiche, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, considerata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di anni due, mesi quattro e giorni tredici di reclusione ed Euro 540 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione di quanto in sequestro. Così deciso in Napoli il 14 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Monocratico Dott.ssa Angelica Passarella presso il TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE con la presenza del (...) Dott. Matteo Soave con l'assistenza del Cancelliere Fabio Mele ha pronunciato, con lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), n. in B. il (...) ed ivi res. alla via M. 19, sottoposta per questa causa alla misura della custodia cautelare in carcere, presente in videoconferenza Difesa di fiducia dagli avv.ti Ma.Mi. (nomina dep. il 12.9.2022) e Me.Lu. (nomina del 18.1.2023), presente il primo anche in sostituzione della seconda giusta delega orale Imputata Si veda foglio allegato PP.OO.: (...), n. in B. il (...), assente; (...), n. in B. in data (...), assente; PARTE CIVILE: (...), n. in B. il (...), assente, difesa dall'avv. Fr.An., assente. difesa dell'imputata: assoluzione, in relazione al capo A), quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p., o, in subordine, derubricazione nei reati minori, minimo pena con sospensione condizionale della pena; in relazione al capo B) non doversi procedere per tardività della querela; in relazione al capo C) assoluzione o, in subordine, derubricazione con esclusione dell'aggravante, e richiesta, in caso di condanna, di applicazione delle sanzioni sostitutive. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato del 19.9.2022 si è proceduto nei confronti dell'odierna imputata per rispondere dei reati di cui alla rubrica. All'udienza del 5.12.2022 verificata la regolare costituzione delle parti, preso atto della costituzione di parte civile per la (...), e rigettata con ordinanza motivata la richiesta avanzata dalla difesa di disposizione di perizia psichiatrica nei confronti della (...), è stato dichiarato aperto il dibattimento, sono stati ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti, con riduzione, poiché in parte superflua e sovrabbondante, della lista della difesa a numero quattro testimoni a scelta del difensore, e il processo è stato rinviato al 16.1.2023 per l'escussione dei testi del (...) In detta udienza, svoltasi per motivi di sicurezza a porte chiuse ai sensi dell'art. 472 co. 3 c.p.p. in ragione dello svolgimento di una manifestazione di protesta dinanzi al Palazzo di Giustizia, sono stati esaminati i testi (...), (...), (...), (...) e (...), le parti hanno prestato il consenso all'acquisizione, ai fini della decisione, degli atti di indagine consistenti nella relazione di servizio redatta dalla Volante Libertà il 10.5.2022, del verbale di s.i.t. rese presso la Questura di Bari da (...) il 3.8.2022, dell'annotazione redatta dalla Volante Libertà l'11.5.2022, della relazione relativa all'escussione della minore (...) datata 9.8.2022 a firma della dott.ssa (...), del verbale di s.i.t. rese dalla (...) il 4.8.2022 in audizione protetta con relativo supporto informatico, del referto di pronto soccorso del (...) del 12.5.2022 riguardante (...), con rinuncia del (...) all'escussione dei testi (...), (...), (...), (...), (...), (...), la difesa ha prodotto una nota "riscontro a segnalazione al SSP" del Comune di Bari, a firma della dott.ssa (...) e dell'avv. (...), oltre ad una copia di fotografia di una porta, e il processo è stato rinviato per il completamento dell'istruttoria e per la discussione al 30.1.2023. All'udienza del 30.1.2023, essendo stata rinuncia all'esame dell'imputata, le parti hanno concordato l'acquisizione agli atti del verbale di interrogatorio di garanzia reso dalla (...) il 12.9.2022 dinanzi al S.I.P. dott.ssa (...), sono stati escussi i testi della difesa (...), (...) e (...), con rinuncia del difensore ai residui testi, e conseguente revoca della relativa ordinanza ammissiva, è stata dichiarata chiusa l'istruttoria, le parti hanno discusso il processo, concludendo come da verbale, si è preso atto della revoca tacita di costituzione di parte civile ex art. 82 comma 2 c.p.p., e il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Le granitiche acquisizioni processuali impongono l'affermazione della penale responsabilità dell'imputata in relazione ai reati ascritti, riuniti per continuazione in quanto espressione del medesimo disegno criminoso, per le ragioni che di seguito si illustreranno. Gli elementi a carico della (...) si traggono dalle deposizioni rese da tutti i testimoni escussi, dal referto medico in atti, nonché dagli atti di indagine acquisiti al fascicolo per il dibattimento, elementi che hanno provato senza ombra di dubbio la responsabilità penale dell'odierna imputata in relazione ai reati ascritti. Dal racconto reso dalle vittime, (...) e (...), è emerso che le stesse, unitamente ai loro figli e persino ai nipoti - fra cui la persona offesa, (...), una bambina in tenera età, nata l' 1.9.2009 - da diversi anni, e, per quel che rileva nel presente procedimento, dall'anno 2018, subiscono nel condominio una vera e propria persecuzione quotidiana ("era una cosa di tutti i giorni", cfr. verbale stenotipico del 16.1.2023) ad opera di (...), la quale ogni giorno non faceva altro che ingiuriare e minacciare gravemente di morte le persone offese, non limitandosi alle parole ma agendo anche in maniera violenta con coltelli, mazze, gettando addirittura, in un'occasione, la candeggina addosso alla (...) che portava in braccio il nipotino, in compagnia anche della minore (...), che dovettero correre mentre la (...) le inseguiva terrorizzandole. Le vittime hanno riferito che sono terrorizzate dalle condotte della (...), che hanno provato più volte a richiamarla ad un contegno civile, sottolineando anche la paura in cui versano gli altri condomini, come confermato dalla deposizione resa dalla (...), di cui appresso si dirà. Del resto, la circostanza che le vittime abbiano paura della (...) trova conferma, oltre che nel racconto reso dalle stesse - da ritenersi pienamente credibile ed attendibile, coerente in ogni segmento narrativo, scevro da qualsivoglia contraddizione logica che ne mini la genuinità e confermato dagli ulteriori numerosi riscontri processuali - proprio dal fatto che la (...), costituitasi parte civile nel processo e presentatasi a testimoniare, non è poi più comparsa in dibattimento per il tramite del proprio difensore, così determinando consapevolmente la revoca tacita di costituzione di parte civile, con tutte le conseguenze processuali derivanti. Ciò conferma, da un lato, che la vittima ha estremo timore della (...), e che si è determinata in ragione di detto timore a rinunciare all'azione civile nel processo penale, pur avendo subito non soltanto danni morali a cagione delle condotte persecutorie dell'imputata, ma anche danni alla salute e materiali, scaturenti dalle lesioni subite a seguito del ferimento dell'11.5.2022, e, dall'altro, tale circostanza prova che le vittime non sono animate da qualsivoglia interesse economico, come invece prospettato in maniera infondata dalla difesa dell'imputata. E' dunque emerso che la (...), con condotte reiterate quotidiane protrattesi per ben quattro anni - per ciò che rileva nel presente procedimento - dal 2018 sino all'11.5.2022, ha molestato (...), (...) e (...), soggetto minorenne essendo nata l'1.9.2009, nipote della (...), tramite minacce di morte rivolte alla (...) del tipo: "Sei una puttana ... tua figlia e tua nipote faranno la stessa fine!!! ... Bastardi tuo marito è un ricchione ... vi ammazzerò tutti", tramite minacce rivolte alla bambina, (...): "ti devo uccidere ... il cimitero è pieno di bare bianche ... spiona ... farai la stessa fine di tua madre, la puttana", mediante condotte persecutorie come il cospargere di candeggina e nel graffiare con un coltello l'uscio della porta d'ingresso dell'abitazione della (...), nonché nel proferire all'indirizzo della (...) le espressioni minatorie del tipo: "M. dovete morire, brucerete, andrete all'inferno, bastardo ... sei una balorda puttana, tua figlia spaccia la droga ... ti devo uccidere", fino ai più gravi episodi, il primo avvenuto all'incirca nell'anno 2018 allorchè dopo aver inveito contro la (...), la (...) e la minore (...) gridando nei loro confronti che "avrebbero dovuto andarsene via", usciva dal portone di casa lanciando contro di loro della candeggina che macchiava i loro vestiti, per mero caso fortuito senza procurar loro lesioni, e l'ultimo più recente dell'11.5.2022 allorchè la (...) colpiva con un'arma da punta e taglio la suddetta (...), attingendola al braccio e procurandole una ferita lacero contusa con fuoriuscita di sangue giudicata guaribile in giorni 15, come risulta dal referto di pronto soccorso in atti, pienamente compatibile con il racconto reso dalla vittima, ferita, appunto, da un oggetto di punta e di taglio, a nulla rilevando l'eccezione difensiva secondo cui non sarebbe provata la sussistenza dell'aggravante dell'arma perché questa non è stata rinvenuta. Ben ha potuto l'imputata disfarsi del simil taglierino che ha utilizzato per tagliare il braccio alla vittima. L'istruttoria ha consentito di accertare che a mezzo di tali condotte delittuose la (...) ha cagionato alle vittime un perdurante e grave stato d'ansia e di paura, generando, altresì, nelle due donne e nella bambina un fondato timore per la propria incolumità e dei propri parenti, timore che ha raggiunto l'apice a seguito dell'episodio del ferimento della (...) con un oggetto da punta e taglio tipo un taglierino, inducendo le vittime a superare la paura di denunciare e, conseguentemente, rivolgersi alle forze dell'ordine. Non vi è alcun dubbio circa la veridicità di quanto dichiarato dalle vittime, anche alla luce del riscontro rappresentato dalla deposizione resa da altra condomina, tale (...), la quale ha candidamente dichiarato di aver acquistato l'appartamento sito al condominio di via M. 19 nell'anno 2021 poiché del tutto ignara della presenza della (...) e delle condotte persecutorie perpetrate dalla stessa nello stabile. La teste ha riferito che la (...) usava gridare e bestemmiare anche contro di lei e suo marito, contro le sue figlie ("vi devono fare a pezzi"), e persino contro i nipoti, che hanno paura a salire a casa della nonna. La (...), infatti, non si limitava ad ingiuriare la famiglia della (...) con frasi del tipo "marito drogato ... mongoloide", ma anche minacciandoli di morte con frasi del tipo: "tu devi morire ... a pezzi ti devono fare". La donna ha riferito che ha molta paura ad abitare in quel condominio a causa delle condotte minacciose ed aggressive della (...), che usava anche "buttare le piante in faccia", rompere il vetro del portone. La (...), in ragione della insostenibilità della situazione, ha riferito che più volte i condomini hanno interessato l'amministratore del condominio, che, però, non ha mai intrapreso alcuna iniziativa nei confronti della P.. Circostanza, questa, che conferma il clima di terrore in cui tutti i condomini, e persino l'amministratore del condominio, vivevano a causa delle condotte della (...) nello stabile. Quanto riferito dalla teste (...), oltre che dalla (...) ed (...) - che ne conferma ulteriormente l'attendibilità - è stato confermato dalle dichiarazioni testimoniali, acquisite agli atti, rese proprio dall'amministratore del condominio, tale (...), sentito il 3.8.2022, il quale ha ammesso che "alcuni condomini mi hanno segnalato dei problemi" con la (...) "sebbene io non l'abbia mai vista ... Mi hanno detto che spesso grida e che ha occupato il cortile che si trova all'interno del portone chiudendo il cancello di ingresso con una catena e impedendo al proprietario di accedervi. Qualche tempo fa mi ha chiamato la signora (...) dicendomi che la signora (...) aveva rotto il vetro del portone e che durante una discussione che aveva avuto per i rumori, le aveva tagliato un braccio. La signora mi ha raccontato che diverso tempo fa la (...) aveva dato degli schiaffi al figlio della signora (...), proprietaria di un appartamento sito al secondo piano del palazzo attualmente occupato da un inquilino. In merito ho sostituito il vetro del portone per evitare ulteriori conseguenze ma non ho potuto fare altro". Dal racconto reso dalla teste è emersa la ragione dell'acrimonia e dell'astio della (...) verso la sua famiglia, originata dal fatto che l'odierna imputata si era abusivamente impossessata di un cortile sito al pianterreno, di proprietà della nuora della (...), tale P.C., moglie di suo figlio, per farvi alloggiare una quindicina di gatti, cortile a cui impediva di accedere alla legittima proprietaria chiudendolo a chiave. Accadeva, dunque, che ogni qualvolta la (...) o il figlio chiedevano alla (...) di liberare il cortile, la donna dava in escandescenza ed iniziava ad ingiuriare e minacciare gli stessi. Stessa cosa accadeva quando gli altri condomini, compresa la (...) e la (...), sollecitavano la (...) a pulire quel cortile, da cui giungeva un odore nauseabondo per le defezioni dei gatti, richieste a cui seguivano le solite minacce ed aggressioni da parte dell'imputata. Da quanto riferito dalla (...) è emerso che tante volte la stessa si è interfacciata con il figlio della (...), "(...)" M., chiedendogli di intervenire per placare le condotte aggressive e persecutorie della madre, che questi la rassicurava che avrebbe parlato con sua madre, che a seguito di ciò la (...) "stava tranquilla due o tre giorni" per poi riprendere nuovamente a perseguitare le vittime. Tali evidenze processuali mostrano che la (...), al di là della circostanza che abbia potuto accrescere in alcune occasioni i propri comportamenti aggressivi a seguito dell'assunzione di alcool - avendo la teste (...) riferito di averla spesso vista bere cartoni di vino tipo "(...)" - era pienamente lucida e cosciente di agire, nonché di perseguitare ed aggredire le proprie vittime, da ella odiate perché ree, ai suoi occhi, di intralciarla nella gestione del cortile con i gatti, che occupava peraltro abusivamente, avendolo reso una discarica maleodorante perché non puliva regolarmente le defezioni dei felini. Il movente della condotta delittuosa della (...) trova conferma persino in quanto dichiarato dal teste della difesa, (...), che ha dichiarato espressamente che la (...) si lamentava di subire "pressioni dai condomini per la gestione del cortile". Stessa aggressività è stata destinata alla famiglia della (...) - che peraltro nella vicenda non compare quale parte offesa - ma che conferma ancora una volta che l'astio della (...) si indirizzava non nei confronti di persone a caso, ma verso, nel caso di specie, i proprietari del cortile che ella aveva occupato e che si rifiutava di rilasciare. Non vi sono dubbi circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), la quale, in occasione dell'interrogatorio di garanzia reso dinanzi al G.i.p., ha mostrato di rispondere con estrema lucidità ad ogni singola domanda postale nell'occasione. Lo stesso difensore di fiducia, che pure nel corso della prima udienza aveva richiesto disporsi perizia psichiatrica nei confronti dell'imputata (richiesta rigettata con ordinanza motivata), ha al contrario, nel corso della discussione, sottolineato in più passaggi la piena lucidità dell'imputata in tutto il suo percorso di vita ("questa non è la vecchia pazza alcolizzata, questa è una persona che ha superato delle prove della vita in maniera così entusiasmante da lasciarci stupiti", a cui per anni sono stati affidati dei bambini dal pastore evangelico, "è profondamente religiosa", "va a fare volontariato per quelli che stanno peggio di lei!" e così via, cfr. verbale stenotipico del 30.1,2023), Del resto, a fugare ogni dubbio - qualora per assurdo ce ne fosse bisogno - circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), soccorrono proprio le deposizioni rese dai testimoni della difesa, a partire dal c.d. "pastore evangelico" (...), che ha riferito di conoscere da moltissimi anni l'imputata e che questa, proprio in ragione di una sua presunta "empatia" era stata scelta tante volte, sino ai tempi più recenti quando non aveva l'autovettura per recarsi in chiesa ed egli la andava a prendere da casa, per svolgere il ruolo di "responsabile" di gruppi di bambini fino all'età di circa 11 anni. Anche i testi (...) e (...) hanno riferito che la (...), durante la pandemia, negli anni 2020 e 2021, ha collaborato più volte con loro e con il figlio a consegnare alimenti alle famiglie bisognose, riferendo anche che la (...) preparava per loro delle marmellate e pietanze. E' evidente che una donna che per lunghi anni è stata persino designata, dal gruppo evangelico a cui apparteneva, per gestire, quale responsabile, gruppi domenicali di bambini della c.d. "parrocchia", era pienamente in grado di svolgere tale compito, così come quello di dedicarsi al volontariato, per poi, dall'altro lato, rivolgere tutto il proprio odio e crudeltà nei confronti, fra le altre, di una povera bambina, (...), rea soltanto di essere nipote di una condomina sgradita alla (...), per le ragioni sopra descritte. Una bambina che a causa delle condotte persecutorie dell'odierna imputata e delle reiterate minacce di morte rivolte ad ella e alla propria famiglia, ha subito dei gravi danni psicologici, come provato all'evidenza dall'audizione protetta della minore e dalla relazione della psicologa, dott.ssa (...), psicoioga dell'Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari - centro G.I.A.D.A., in atti, ove si dà atto che la bambina inizia ad agitarsi appena vede "(...)" (ossia (...)), che la (...) la minaccia di morte quando si affaccia alla finestra, che lei ha paura e che le vengono le palpitazioni, che queste condotte avvengono tutti i giorni "sebbene da qualche giorno, da quando è stata denunciata, sembra che si sia calmata" (cfr. verbale di s.i.t. del 4.8.2022). Tale circostanza conferma ancora una volta la premeditazione di ogni condotta perpetrata dall'imputata, che ha desistito da ulteriori minacce ed aggressioni a seguito delle querele sporte dalle vittime. La bambina ha confermato integralmente gli episodi descritti dalla (...) e dalla (...), ha riferito di essere rimasta impressionata da quando la (...) ha gettato l'acido addosso ad un bambino ed ella era presente all'episodio, così come quando ha visto il sangue al braccio della vicina di casa. Ha riferito "di aver paura che la (...) possa uscire con qualche oggetto e colpirla", ha riferito di aver paura "quando entra nel portone. Quando è fuori no. Infatti aspetta sempre che qualcuno entri in casa prima di lei e solo dopo sale al piano, per assicurarsi che non ci sia la (...)". La minore, a domanda se avesse mai visto la (...) con armi od oggetti atti ad offendere, ha risposto negativamente, "sebbene nel vicinato qualcuno dica che lei vada in giro con questi oggetti". Ciò prova che la minore non è per niente influenzabile da altri - come invece infondatamente prospettato dal difensore - e che, al contrario, ha la capacità di discemere quanto da ella personalmente visto e percepito rispetto a quanto riferito da altri e da ella non conosciuto. Quanto riferito dalla minore è da ritenersi assolutamente credibile, avendo anche la dott.ssa (...) accertato "congruenza tra il riferito verbale e le emozioni esperite" e "i livelli di attenzione e concentrazione sono apparsi sufficientemente adeguati" (cfr. relazione in atti del 9.8.2022). L'istruttoria ha provato, pertanto, senza dubbio che la (...) ha premeditato ogni singola condotta persecutoria e aggressiva perpetrata ai danni delle vittime, mostrando un disegno criminoso ben preciso, sopra descritto. In tema di vaglio dell'attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese dal reato, le stesse possono essere assunte, anche da sole, come fonte di prova, ove siano sottoposte a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente riscontri esterni ove non sussistano situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità. La costante giurisprudenza ha affermato il principio che, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p. (che postulano la presenza di riscontri esterni), occorre pur sempre, in considerazione dell'interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone Cassazione penale, sez. V, 11102/2016, (ud. 11102/2016, dep.28/06/2016), n. 26878. Come sopra argomentato, le deposizioni rese dai testi devono ritenersi pienamente credibili ed attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente, collimanti fra loro, coerenti in ogni segmento narrativo e corroborate dai riscontri rappresentati dal referto di pronto soccorso in atti, la cui diagnosi è perfettamente compatibile con il racconto reso dalla vittima e dalla teste oculare (...), oltre che dalle altre evidenze processuali sopra descritte, quali l'annotazione redatta dalla Volante Libertà turno 19/24 dell'11.5.2022, che rappresenta un ulteriore riscontro rispetto alla dinamica dei fatti narrati dalle vittime. Al riguardo, del tutto priva di pregio giuridico si palesa l'argomentazione difensiva volta a minare l'attendibilità delle persone offese perché le stesse hanno riferito, su domanda del difensore, di aver contattato i servizi sociali in relazione alla situazione venutasi a creare con (...), ed invece ciò sarebbe stato smentito da una nota del Comune di Bari depositata in giudizio dal difensore all'udienza del 16.1.2023. Orbene, in disparte la circostanza che le vittime, non avendo peraltro alcun rapporto di parentela con la (...), non avevano alcun obbligo o onere di allertare i servizi sociali, e che tale circostanza si pone come assolutamente irrilevante nel caso di specie rispetto alle condotte in contestazione, occorre sottolineare che quanto dichiarato nella detta nota non esclude che in via informale la (...) o la (...) o pure altri condomini (avendo persino la teste (...) confermato di essere a conoscenza che fossero stati contattati i servizi sociali) abbiano negli anni contattato i detti servizi, limitandosi la nota a spiegare che l'apertura formale di una pratica di "presa in carico" non può prescindere dalla richiesta che provenga in prima persona dal soggetto interessato "che specifichi i motivi per cui richiede un intervento/progetto da parte dei Servizi Sociali". La condotta dell'imputata integra pertanto i delitti ascritti di cui ai capi A) (art. 612 bis co. 3 c.p. con l'aggravante di aver agito in danno di una minore); B) (artt. 61 n. 2 e 635 co. 1 c.p. per aver, al fine di eseguire il delitto di cui al capo A), danneggiato l'uscio della porta dell'abitazione della (...) cospargendola con della candeggina e graffiandola con un coltello), e capo C) (artt. 61 n. 2, 582 e 585 c.p. per aver procurato lesioni personali alla (...) al fine di eseguire il delitto di cui al capo A). I detti reati, come sopra argomentato, sono avvinti dal vincolo della continuazione, poiché espressione del medesimo disegno criminoso. Quanto all'eccezione difensiva secondo cui la querela sporta dalle vittime sarebbe "tardiva" con riguardo al reato di danneggiamento di cui al capo B), la stessa è infondata, stante la procedibilità d'ufficio rispetto al detto reato, commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, e del resto contestato in continuazione rispetto ad altro delitto perseguibile d'ufficio (capo A) poiché commesso anche in danno di minore. I reati risultano perfezionati in tutti gli elementi essenziali, dalla condotta tipica sino all'elemento psicologico, rappresentato dalla piena coscienza e volontà di agire, per le ragioni sopra argomentate. In particolare, riguardo al delitto di atti persecutori, lo stesso, come noto, configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (Cass. Pen., Sez. V, 12.2.2020, n. 16977). La condotta tipica del delitto di cui all'art. 612 bis c.p.c. consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612) o molesti (art. 660) tali da determinare nella vittima "un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Il delitto è dunque costruito secondo lo schema del reato di evento (Cass. n. 9222/2015) che si caratterizza per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva. Si tratta di reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Cass. V, n. 34015/2010; Cass. V, n. 2987/2011; Cass. III, n. 23485/2014; Cass. III,n. 9222/2015). La prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. Pen., Sez. VI, n. 50746/2014). Sul perdurante e grave stato di ansia e di paura la Suprema Corte ritiene integrato detto evento anche in assenza di prova della causazione di una patologia nella vittima. Ha infatti affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass. V, n. 8832/2011; Cass. V, n. 24135/2012; Cass. VI, n. 50746/2014; Cass. VI, n. 20038/2014). Ciò che, come ampiamente descritto, è avvenuto nel caso di specie, ove le minacce e le aggressioni perpetrate quotidianamente dalla (...) ai danni delle vittime, non potevano non cagionare alle vittime un perdurante stato di ansia, di angoscia e di paura, realizzandosi proprio all'interno dello stesso condominio ove vivevano le persone offese, che potevano sentirsi al sicuro soltanto una volta varcata la porta di casa, come candidamente riferito dalla minore, (...), la quale ha espresso il proprio terrore pensando alla (...), che aveva tagliato il braccio alla vicina di casa e gettato l'acido persino contro un bambino che era con la (...), costretta ad affidare il piccolo alla (...) che si mise a correre nell'occasione mentre la (...) la rincorreva. La stessa Corte costituzionale (Corte Cost. n. 172 del 2014), nel rigettare una questione di legittimità costituzionale per presunta indeterminatezza della fattispecie ha affermato che quanto al "perdurante e grave stato di ansia e di paura" e al "fondato timore per l'incolumità", trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Ha altresì affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. L'aggettivazione, inoltre, in termini di "grave e perdurante" stato di ansia o di paura e di "fondato" timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. Quanto al fondato timore per la propria incolumità e dei propri congiunti, si è sottolineato che non è richiesto l'accertamento di uno stato patologico ingenerato nella vittima dalla condotta dell'agente, ben potendo il Giudice fare ricorso alle massime di esperienza. La giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, n. 24021/2014) ha affermato che quanto al cambiamento delle abitudini di vita, ciò che rileva non è la valutazione quantitativa, ad esempio in termini orari, di tale variazione, ma il significato e le conseguenze emotive di una condotta alla quale la vittima sente di essere stata costretta, sottolineando che "il fatto poi che lo stalking sia reato di evento e non di pura condotta nulla ha a che vedere con il fatto che, nella maggior parte dei casi, la prova debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima. Invero, è principio elementare quello in base al quale un fatto non va confuso con la sua prova. D'altra parte, non pochi sono i delitti con riferimento ai quali, in genere, l'unica prova consiste nelle dichiarazioni della persona offesa (si pensi, ad esempio, a tutti i reati a sfondo sessuale). Ciò che dunque rileva è la attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto". Il delitto è punibile a titolo di dolo generico ed è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz'altro unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica; ma ciò non significa affatto che l'agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. (Cass. Pen., Sez. V, n. 18999/2014; Cass. Pen., Sez. V, n. 20993/2013). Nel caso di specie, le emergenze processuali, come sopra ampiamente descritte, hanno evidenziato che la (...) ha posto in essere gravi atti persecutori ai danni delle vittime, durante un arco temporale durato - per ciò che rileva ai fini del presente procedimento - quattro anni, con condotte reiterate ed abituali, connotate da inaudita violenza e crudeltà, rivolta persino contro una bambina in tenera età. Come detto, per la sussistenza del delitto di atti persecutori la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (così Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.1923). Nel caso che qui impegna, la prova dell'evento del delitto, rappresentato dalla causazione di uno stato di vero e proprio terrore nelle vittime, si desume agevolmente sia dalle parole stesse delle vittime, che dai riscontri degli altri testi circa l'esistenza di una situazione condominiale insostenibile a causa delle condotte persecutorie e violente della (...), che anche dalla circostanza che la (...), costituitasi parte civile nel processo, abbia poi deciso di rinunciarvi non presentandosi nel prosieguo del giudizio, per il tramite del difensore, facendo così decadere l'azione civile nel processo. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima equo quantificare la pena-base, in relazione al delitto più grave di cui al capo A), in anni due e mesi sei di reclusione. Si è partiti dalla pena-base prevista dal primo comma dell'art. 612 bis c.p., per aver riconosciuto - soltanto in ragione dell'atteggiamento processuale collaborativo assunto dall'imputata tramite l'acquisizione di alcuni atti di indagine - le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui al comma terzo dell'art. 612 bis cit. A detta determinazione si perviene valutando la gravità del fatto e l'intensità del dolo che ha guidato la condotta della (...), alla luce delle concrete modalità dell'azione e considerando che le condotte persecutorie dell'imputata, protrattesi per ben quattro anni con cadenza quotidiana e modalità gravi, sono state perpetrate ai danni di ben tre vittime, fra cui una bambina in tenera età che ha subìto certamente dei gravi danni psicologici e traumi a causa delle dette condotte. Le dette condotte hanno evidenziato una pericolosa spinta criminogena della (...), a dispetto dello stato di incensuratezza della donna, che pure è stato valutato nella dosimetria della pena e ai fini del contenimento della stessa entro il limite sopra indicato. A titolo di continuazione con i reati-satellite di cui ai capi B) e C) si stima un aumento di pena pari a mesi due per il reato di danneggiamento e di mesi quattro per il reato di lesioni, in ragione della gravità dei fatti ascritti. Conseguentemente, la pena finale da irrogare alla (...) si attesta in anni tre di reclusione. Quanto alla richiesta, avanzata dal (...), di applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza facoltativa della libertà vigilata ex art. 229 co. 1 n. 1 c.p., la stessa va rigettata in quanto, pur essendo stata accertata in concreto la pericolosità sociale della (...), la misura non si ritiene utile considerata l'avanzata età dell'imputata. Infine, quanto alla richiesta, avanzata dal difensore durante la discussione e prima della lettura del dispositivo, di applicazione delle sanzioni sostitutive, la stessa richiesta è tamquam non esset, atteso che secondo il chiaro disposto di cui all'art. 545 bis c.p.p., quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, "subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti". Nel caso di specie, dopo la lettura del dispositivo di condanna, a cui era presente, come risulta dal verbale di udienza, sia il difensore di fiducia che l'imputata, nessuna richiesta in tal senso è stata avanzata, né del resto ricorrevano le condizioni per sostituire la pena detentiva, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p. All'affermazione della responsabilità penale dell'imputata consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 544, comma 2, c.p.p., si indica il termine di giorni quindici per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati ascritti, riuniti per continuazione e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, la condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Termine di giorni quindici per il deposito della motivazione. Così deciso in Bari il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - rel. Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 16/10/2018 dal Tribunale di Taranto; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RICCARDI Giuseppe, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; letta la memoria di replica del difensore di parte civile, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo la reiezione del ricorso e la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16/10/2018, il Tribunale di Taranto ha condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all'articolo 659 c.p., nonche' al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede) subiti dalle parti civili costituite (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. Ricorre per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo, previa dichiarazione di rinuncia alla prescrizione: 2.1. Nullita' della sentenza per essere la motivazione stata depositata a quasi tre anni e mezzo di distanza dalla lettura del dispositivo. Si lamenta la violazione di principi costituzionali e sovranazionali, e si chiede in subordine sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 546 c.p.p., comma 3. 2.2. Violazione di legge con riferimento alla valorizzazione di circostanze successive al dicembre 2013, ovvero posteriori alla data indicata nella contestazione "chiusa". 2.3. Vizio di motivazione con riferimento all'omessa valutazione dei testi indicati dalla difesa, che avevano concordemente escluso la sussistenza delle circostanze (accensione e carico di mezzi pesanti, rumori molesti all'alba, lamentele degli abitanti ecc.), nonche' alla mancanza di valutazione critica della "perizia fonometrica" acquisita dall'ing. (OMISSIS) e alla inverosimiglianza delle circostanze riferite dalle parti (presenza di mezzi pesanti, attivita' alle 4/5 di mattina). 2.4. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta rilevanza penale della condotta, da ricondurre invece nell'illecito amministrativo di cui alla L. n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2. Si censura la sentenza per non aver in alcun modo valutato l'eventuale carattere eccedente o smodato del mestiere rumoroso svolto dal ricorrente, presupposto necessario per configurare il reato di cui all'articolo 659 c.p., e di aver apoditticamente ritenuto la condotta idonea ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone. 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione dell'applicabilita' dell'articolo 131-bis c.p.. 3. Con requisitoria scritta ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita l'annullamento della sentenza impugnata, condividendo le ragioni poste a sostegno del quarto motivo di ricorso. 4. Con memoria di replica, il difensore della parte civile contesta le conclusioni del P.G., osservando che il ricorso doveva essere dichiarato in toto inammissibile perche' contenente censure in fatto. Con riferimento al quarto motivo, se ne evidenzia comunque la manifesta infondatezza dal momento che la sentenza impugnata - con richiami alle deposizioni testimoniali e all'apporto tecnico dello (OMISSIS) - aveva evidenziato le connotazioni eccessive e smodate dell'attivita' del (OMISSIS), violative anche del codice della strada quanto ai mezzi pesanti accesi anche durante le fasi di sosta prolungata. Su tali basi, il difensore insiste pe il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado. Con memoria tempestivamente trasmessa, il difensore del ricorrente riepiloga le doglianze svolte in ricorso, insistendo per l'accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei sensi di cui in motivazione. 2. Manifestamente infondato e' il primo motivo, dovendo in questa sede darsi seguito al condivisibile indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui "la violazione da parte del giudice del termine per il deposito della sentenza, stabilito dall'articolo 544 c.p.p., puo' avere conseguenze di altro genere, ma non determina la nullita' del provvedimento, ne' tanto meno la sua inutilizzabilita' o inammissibilita'" (Sez. 3, n. 33386 del 18/03/2015, D., Rv. 264507 - 01, che ha tra l'altro escluso la fondatezza delle censure difensive di illegittimita' costituzionale per violazione del diritto di difesa, osservando che il diritto dello Stato all'amministrazione della giustizia ed alla repressione dei reati verrebbe vanificato se si prevedesse la nullita' dei provvedimenti per i casi di ritardato deposito - ossia per comportamenti addebitabili a singoli magistrati, comunque perseguibili in sede disciplinare - mentre il rischio di "oblio" della discussione orale, prospettato dalla difesa, sarebbe agevolmente evitabile attraverso una tempestiva attivita' di sintesi ed archiviazione per iscritto, In senso conforme, cfr. anche Sez. 5, n. 15660 del 12/02/2020, Salamina, Rv. 279155 - 01). 3. Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza deve pervenirsi quanto al secondo ordine di censure. Il fatto che una parte delle risultanze istruttorie documentali e dichiarative (rispettivamente, fotografie dei luoghi e deposizioni testimoniali) sia riferibile a periodi successivi a quello preso in considerazione nel capo di accusa non costituisce, evidentemente, circostanza idonea a modificare la collocazione temporale dei fatti contestati al (OMISSIS) nel capo di accusa ne', tantomeno, ad ampliare surrettiziamente il contenuto dell'imputazione. Tali risultanze, ovviamente, possono assumere un indiretto rilievo nella complessiva valutazione relativa alla consistenza dell'impianto accusatorio, ma non certo nella definizione dell'ambito e dei limiti dell'accusa ascritta al ricorrente: appaiono quindi inconferenti i richiami agli istituti della contestazione suppletiva e dell'inutilizzabilita'. 4. Sono invece fondate le censure compendiate nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, che consentono - per le ragioni che si vanno subito ad esporre - una trattazione unitaria. Deve invero osservarsi che, nel percorso argomentativo tracciato dalla sentenza impugnata, e' graficamente assente qualsiasi riferimento al contenuto e all'attendibilita' delle deposizioni dei testi indicati dalla difesa, i quali - come segnalato dal ricorrente - avevano offerto una ricostruzione del tutto antitetica a quella della parte civile e dagli altri testi escussi su iniziativa dell'accusa, sia quanto all'effettiva entita' dei movimenti e delle operazioni di avvio dell'attivita' svolte nelle prime ore del mattino, sia quanto alla presenza di altre fonti di rumore, sia anche quanto all'effettivita' delle lamentele ricevute (cfr. sul punto pag. 9 del ricorso). Si tratta di una lacuna motivazionale che, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 1), non assume rilevanza solo per l'accertamento dei fatti, ma per la loro qualificazione giuridica (e, nella fattispecie in esame, anche quanto alla loro effettiva rilevanza penale). Questa Suprema Corte ha infatti ripetutamente chiarito che "in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l'esercizio di una attivita' o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui all'articolo 659 c.p., comma 1, qualora il mestiere o la attivita' vengano svolti eccedendo dalle normali modalita' di esercizio, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui all'articolo 659 c.p., comma 2, qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorita' che regolano l'esercizio del mestiere o della attivita', diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 447 del 1995" (cosi' ad es. Sez. 3, n. 56430 del 18/07/2017, Vazzana, Rv. 273605 - 01). In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, appare condivisibile il rilievo del Procuratore Generale (pag. 3 della requisitoria in atti) secondo cui "sarebbe stato necessario verificare che l'esercizio del mestiere rumoroso eccedesse le normali modalita', o che, oltre al superamento dei valori limite di emissioni sonore, fossero state violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni dell'autorita'": operazione che avrebbe reso necessaria, anzitutto, una compiuta ricostruzione dell'effettiva consistenza dei rumori riconducibili all'impresa del (OMISSIS), tenendo anche conto - magari per disattenderle integralmente - delle risultanze dibattimentali contrastanti con l'ipotesi accusatoria. 5. Le considerazioni fin qui svolte assumono rilievo assorbente delle altre censure prospettate, ed impongono l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Taranto in diversa persona fisica. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Taranto, in diversa persona fisica.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Mari - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/06/2021 del TRIBUNALE di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; udito, per le parti civili, il difensore presente, avv. (OMISSIS), che, associandosi alle conclusioni del PG, si e' riportato alle conclusioni ed alla nota spese, pervenute in cancelleria in data 6/6/22 via Pec, di cui il difensore del ricorrente dichiara di essere a conoscenza; udito per il ricorrente, il difensore presente, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che si e' riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 1.06.2021, il tribunale di Bologna, dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 659 c.p., (per aver, nella qualita' di titolare del pubblico esercizio Balanzone, piu' volte posto in essere una condotta idonea a turbare la quiete pubblica, non impedendo schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dei locali; anche in ragione dell'orario notturno fino al quale tali rumori si protraevano), in relazione a fatti contestati come commessi dal 2016 ed accertati nel dicembre dello stesso anno, con condanna del medesimo alla pena di 200 Euro di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, oltre ad una provvisionale di 2000 Euro, con i doppi benefici di legge. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito sinteticamente indicato. 2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 40 cpv c.p., articoli 110 e 659 c.p., e correlato vizio di travisamento probatorio. In sintesi, richiamate le risultanze istruttorie sommariamente trascritte in ricorso, la difesa riporta poi le conclusioni cui e' pervenuto il giudice di merito, censurandole sotto due profili: a) anzitutto, laddove il giudice avrebbe addebitato al ricorrente la rumorosita' eccessiva non legata al suo locale mai misurata da alcuno ne' collocata in un orario sensibile, diversamente riconosciuta dai testi e dai tecnici (OMISSIS) come originata non solo dal suo locale ma anche da tutti quelli esistenti nella zona, e soprattutto dalla folla circolante sulla strada pubblica. Cio' avrebbe determinato il travisamento della prova, finendosi per attribuire al (OMISSIS) la sommatoria di tutte le fonti sonore rilevate sul posto, quando era solo quella riferibile al suo locale ad assumere rilevanza. Peraltro a lamentarsi della misura sarebbero state solo le tre parti civili costituitesi e che vivevano nelle strette adiacenze del suo locale e nessun altro, avendo peraltro il ricorrente sempre rispettato l'orario di chiusura ne' potendosi addebitare la condotta al (OMISSIS) ex articolo 110 c.p. in concorso con altri soggetti non identificati, in assenza di prova peraltro che la quota di incremento di rumorosita' derivante dal suo locale avesse attinto di per se' la soglia di rilevanza penale; b) in secondo luogo, laddove il giudice avrebbe addebitato al ricorrente ai sensi dell'articolo 40 cpv. c.p., la responsabilita' di non aver saputo far fronte a tale situazione, adottando adeguati rimedi, essendo invece risultato pacifico che egli avesse fatto tutto quanto era nelle sue possibilita' anche chiedendo la collaborazione del Comune che non era intervenuto. (OMISSIS) non avrebbe assunto ne' una posizione di controllo ne' una posizione di protezione e, in ogni caso, avrebbe dovuto essere individuata la fonte legale dell'obbligo di garanzia, non derivante dal semplice regolamento comunale, indicando anche quali fossero i poteri di intervento ed imperio che ne derivavano. Il giudice avrebbe confuso l'obbligo di vigilanza generale rilevante ai fini della responsabilita' penale omissive, con quello della sorveglianza particolare, il cui inadempimento assumeva rilievo solo rispetto ai suoi clienti, non avendo comportato alcun turbamento alla pubblica quiete ma solo ai tre vicini costituitisi parte civile ne' essendo richiedibile al medesimo di attivarsi verso la folla sulla pubblica via o verso gli avventori di altri esercizi, avendo in tal senso richiesto l'intervento del Comune in una concertazione mediatrice, restando inascoltato. In sostanza, secondo la difesa, il (OMISSIS) non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere degli schiamazzi posti in essere da persone transitanti e in sosta lungo tutta la via, ne' da avventori di altri esercizi ovvero da consumatori di bevande alcoliche smerciate dagli ambulanti presenti in quella zona. 3. Con motivi aggiunti depositati in data 18.05.2022, unitamente ad allegati, la difesa del ricorrente ha ulteriormente ribadito quanto gia' sostenuto con il secondo profilo di doglianza supra illustrato, eccependo peraltro l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione. 4. Infine, in data 7.06.2022 e' pervenuta a mezzo deposito telematico una memoria difensiva nell'interesse delle parti civili, con le correlate conclusioni scritte e nota spese. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato in presenza, a seguito di istanza, accolta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, e' inammissibile perche' generico per aspecificita' e comunque per manifesta infondatezza. 2. In particolare, lo stesso non si confronta con l'ampia e puntuale motivazione del giudice di merito che ha esaminato (v. pagg. 18 ss. della sentenza impugnata) analiticamente gli elementi di prova, logicamente argomentando in merito alla responsabilita' penale del (OMISSIS), valorizzando adeguatamente le dichiarazioni dei tre testimoni costituitisi parti civili, sulla cui credibilita' non ha sollevato dubbi anche in ragione della circostanza di aver gli stessi reso dichiarazioni anche favorevoli al ricorrente, con cio' evidenziando la loro piena credibilita' sotto il profilo oggettivo e soggettivo, dichiarazioni peraltro riscontrate dalle prove dichiarative e documentali riportate a pag. 19 (esposti degli abitanti di via Petronio al Comune; esiti dei rilievi tecnici (OMISSIS) in ordine al superamento dei limiti di immissione assoluti; irrilevanza delle dichiarazioni testimoniali a difesa), nel contempo destituendo di fondamento, in quanto affidate alle mere labiali affermazioni del ricorrente, le giustificazioni addotte dal medesimo in sede di esame. 3. La sentenza si pone, peraltro, a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente, il problema della "rumorosita' d'insieme" della pubblica via escludendo che quanto dedotto valga ad escludere la responsabilita' del ricorrente, essendo emersa dai testi escussi, in ordine all'identificazione delle sorgenti rumorose, la riferibilita' al (OMISSIS) di specifiche condotte idonee al turbamento della quiete pubblica, descritte dettagliataMente alla pag. 20 della motivazione, avendo infatti confermato i tre testi, parti civili, la presenza di rumori molesti provenienti dall'interno e dall'esterno del locale, evidenziando come il (OMISSIS) fosse solito attardarsi al pianoforte anche in orario notturno senza tenere le porte chiuse, cosi' come previsto dal regolamento comunale per la disciplina delle attivita' rumorose temporanee. Inoltre, il giudice di merito, quanto ai rumori esterni al locale, ha evidenziato come il (OMISSIS), a differenza dei titolari degli altri tre locali attenzionati, non avesse adottato misure idonee a contenere il fenomeno del disturbo della quiete pubblica arrecato dagli avventori del locale che stazionavano all'uscita del bar, non emergendo la realizzazione di interventi preordinati alla dispersione di assembramenti molesti dinanzi al locale e/o ad evitare il consumo di bevande all'esterno, ne' e' emerso che fossero state promosse iniziative di informazione e/o di sensibilizzazione degli avventori sull'esigenza di adottare, all'uscita dal locale e nelle immediate adiacenze di esso, comportamenti rispettosi dei diritti dei residenti e tali da non arrecare pregiudizio alla quieta pubblica e privata, ne', infine, che per fronteggiare situazioni di intemperanza e/o contrastanti con le norme poste a tutela della tranquillita' pubblica sia stato richiesto l'intervento delle forze dell'ordine. Il giudice di merito si e' poi soffermato anche, alle pagg. 23 ss., sul tema dell'idoneita' delle immissioni rumorose e musicali ad arrecare disturbo alla quiete di un numero indeterminato di persone, fornendo sul punto motivazione del tutto logica, richiamando quanto riferito dal teste (OMISSIS) e dal teste (OMISSIS), escludendo potessero sussistere dubbi sulla potenziale offensivita' delle condotte accertate, tenuto conto dell'intensita' e della diffusivita' del rumore, delle emissioni sonore e degli schiamazzi, prodotti peraltro anche in orario notturno, con conseguente idoneita' a disturbare il riposo e il sonno di una pluralita' indeterminata di persone. 4. In diritto, peraltro, la motivazione e' assolutamente ineccepibile avendo richiamato puntualmente la giurisprudenza di questa Corte circa la configurabilita' del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (Cass., n. 14750 del 22.01.2020; Cass. n. 34283/2015; Cass., n. 48122/2008), correttamente peraltro individuando la fonte dell'obbligo legale costitutivo della posizione di garanzia nell'articolo 15, comma 2, lettera a) e b) del Regolamento comunale di polizia urbana del Comune di Bologna (sulla possibilita' che detta fonte possa essere anche regolamentare, si v., implicitamente: Sez. 2, n. 4633 del 01/10/2020 - dep. 05/02/2021, Rv. 280569; Sez. 4, n. 10773 del 28/06/2000 - dep. 20/10/2000, Rv. 217624), e ritenendo dimostrata la configurabilita' del reato sulle convergenti e credibili dichiarazioni dei tre testi, parti civili, pur in assenza di specifiche indagini tecniche e dalla mancata irrogazione di sanzioni amministrative per violazione degli orari di chiusura e/o per violazioni del regolamento predetto (Cass. n. 11031 del 5.02.2015), ne' essendovi dubbio della configurabilita', come detto, del reato sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato (Cass. n. 33627/2013). 5. Quanto alla eccepita prescrizione, e' sufficiente richiamare il consolidato principio secondo cui l'inammissibilita' del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita' di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita' a norma dell'articolo 129 c.p.p., (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, Rv. 217266 - 01). 6. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. 7. Segue, infine, anche la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, come da dispositivo (Euro 3510,00, somma aumentata del 30% ex articolo 12, comma 2, Decreto Ministeriale citato, per la difesa di piu' parti). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.550,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza dell'11/10/2021 del Tribunale di Avellino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GAI Emanuela; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MOLINO Pietro che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni della parte civile che ha depositato nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'impugnata sentenza, il Tribunale di Avellino ha condannato l'imputato, alla pena di Euro 400,00 di ammenda, perche' responsabile del reato di cui all'articolo 659 c.p. perche', quale legale rappresentante dell'esercizio pubblico adibito a bar, mediante emissioni sonore anche notturne, disturbava le occupazioni e il riposo delle persone, limitatamente alla condotta da giugno 2018 ad aprile 2019, ed ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, per essere gia' stato giudicato per gli stessi fatti, per il periodo da maggio 2019 a dicembre 2019. Con la medesima sentenza l'imputato era stato condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato e ne ha chiesto l'annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti necessari per la motivazione secondo il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione all'articolo 649 c.p.p., violazione del divieto di secondo giudizio per essere gia' stato giudicato per gli stessi fatti con sentenza del Tribunale di Avellino, in data 04/10/2021. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all'affermazione della responsabilita'. contraddittorieta' e carenza delle ragioni poste a fondamento della decisione di condanna, violazione dell'articolo 27 Cost. Mancanza di un percorso logico argomentativo. 2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione al trattamento sanzionatorio, al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' inammissibile. E' manifestamente infondato il primo motivo di ricorso con cui si eccepisce la violazione del divieto di secondo giudizio, che neppure si confronta appieno con le ragioni della decisione. Sotto un primo profilo deve rilevarsi che la condotta ascritta all'imputato, per la quale e' stata affermata la responsabilita', e' ben delineata dal giudicante nell'arco temporale da "giugno 2018 ad aprile 2019". Sotto altro profilo la sentenza impugnata da' atto che non sussiste alcuna preclusione derivante dal divieto di secondo giudizio in quanto la diversa condanna afferiva ad un periodo di contestazione diverso da quello qui giudicato (cfr. pag. 6), sicche' in definitiva la censura e' manifestamente infondata. Ora il ricorrente non contesta specificatamente tale conclusione, ne' allega la sentenza di condanna sulla base della quale deduce la violazione del divieto di secondo giudizio, tenuto conto che e' precluso alla Corte di cassazione la valutazione della sollevata censura qualora richieda un accertamento di fatto. La preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un "error in procedendo", e' deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessita' di accertamenti di fatto (Sez. 1, n. 37282 del 24/06/2021, De Santis, Rv. 282044 01). 4. Il secondo motivo che contesta la motivazione sull'affermazione della responsabilita' penale e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata contiene una congrua e logica motivazione che si fonda sulle fonti testimoniali (m.llo dei C.C. di (OMISSIS)) che, in data (OMISSIS), alle ore 2,35 aveva personalmente rilevato la presenza di rumori molesti generati dalla musica ad alto volume che proveniva dal locale bar gestito dal ricorrente, oltre l'orario consentito dall'ordinanza comunale, locale bar sopra il quale abitava la parte civile (OMISSIS). Tale situazione era gia' stata rilevata nel passato da colleghi della Stazione di Valle Caudina. L'imputato e' stato correttamente ritenuto responsabile, quale gestore del bar, di aver arrecato disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone, ex articolo 659 c.p.. La contravvenzione di cui all'articolo 659 c.p. e' integrata allorche' l'attivita' posta in essere dall'autore del fatto sia concretamente idonea ad arrecare disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, da cui la conseguenza che la prova del disturbo puo' essere liberamente raggiunta, purche' il convincimento del giudice sia sorretto da adeguata motivazione. In tale ambito e' stato condivisibilmente affermato che la responsabilita' per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell'effettivo disturbo di piu' persone, essendo sufficiente l'idoneita' della condotta a disturbarne un numero indeterminato (Sez. 1, n. 44905 dell'11/11/2011, Mistretta, Rv. 251462), di tal che' priva di rilievo e' l'ulteriore censura secondo cui la circostanza che il disturbo sia stato arrecato ad un'unica persona (poi costituita parte civile) esclude il reato. Ed ancora, la prova dello stesso, poi, ben puo' essere argomentata sulla scorta degli elementi di prova in atti non essendo condizionata dalla osservanza delle norme dettate in tema di inquinamento acustico. Infine, il ricorrente, nel dedurre il travisamento probatorio, non ha osservato l'onere di allegazione dell'integrale verbale da cui si assume il travisamento. E' affermazione costante nella giurisprudenza la necessita', per il principio di autosufficienza del ricorso, di un'integrale allegazione mediante riproduzione integrale del verbale di deposizione testimoniale ovvero di allegazione del verbale fonografico, non di meri spezzoni (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv 241023) come e' avvenuto nel caso in esame. 5. Il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente censura la sentenza in punto trattamento sanzionatorio, diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e' manifestamente infondato e, anche in parte, generico. Il Tribunale ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sul rilievo che la condotta di reato era proseguita, tant'e' che aveva pronunciato sentenza ex articolo 649 c.p.p. in relazione alla condanna per fatti dal maggio al dicembre 2019, motivazione del tutto congrua a fronte della quale il ricorrente si limita ad invocarne il riconoscimento. Va, infine, rilevata anche la manifesta infondatezza del motivo attesa la congrua e adeguata motivazione sul trattamento sanzionatorio, peraltro genericamente contestato nella sua "eccessivita'", sulla scorta degli elementi di cui all'articolo 133 c.p. e della permanenza della condotta, tenuto conto che e' stata applicata la sola pena pecuniaria. 6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. L'imputato deve anche essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI SECONDA SEZIONE PENALE Composta dai Signori 1) Dott. Paolo Costa - Presidente 2) Dott. Giovanni M. Delogu - Consigliere 3) Dott. Giampaolo Casula - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa contro (...), nato a (...) (N.) il (...), residente a (...) (...) (N.), via A. n. 2, difeso di fiducia dall'Avv. Ro.Ma. del foro di Nuoro - libero assente APPELLANTE la parte civile Contro la sentenza 19.6.2020 n. 248 del Tribunale monocratico di Oristano con la quale, a seguito di rito ordinario, (...) è stato assolto dal reato di cui al capo A), perché il fatto non sussiste e dal capo B), trattandosi di persona non punibile per la lieve entità del fatto (v. art. 131 bis c.p.) IMPUTATO A) del reato di cui all'art. 614, commi 1 e 2, c.p. perché, salendo sul bancone dell'abitazione di (...) e (...) contro la volontà delle stesse, ed ivi trattenendosi nonostante le proteste delle proprietarie, si introduceva nell'abitazione o nelle pertinenze di essa. B) del reato di cui all'art. 612 c.p. perché dicendo a (...) e (...) "voi non avete capito che potete fare tutto ciò che volete, tanto prima o poi, da sole io vi becco da qualche parte", minacciava alla stesse un male ingiusto. Data per letta la relazione della causa svolta dal consigliere dott. G.De. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Dalla sentenza di prime cure si evince testualmente quanto segue. 1. Con decreto emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Oristano in data 7 giugno 2018, è stata disposta la citazione di (...) per rispondere dei reati di violazione di domicilio e minaccia grave, meglio specificato in epigrafe. All'udienza del 9 gennaio 2019, aperto il dibattimento e data lettura della imputazione, sono state ammesse le prove richieste dalle parti e si è proceduto alla loro assunzione. In particolare, il processo, celebrato in presenza dell'imputato, è stato istruito con prova testimoniale (in particolare si è proceduto all'audizione di G.D., (...), (...), V.P., S.U., (...)) e mediante produzioni documentali (foto ritraenti i luoghi teatro degli eventi, copia della richiesta di archiviazione e successiva opposizione delle persone offese e video degli eventi); infine l'imputato si è sottoposto ad esame. Alla medesima udienza le persone offese G.D. e (...) si sono costituite parte civile nei confronti dell'imputato, al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivati dal reati contestati. Quindi le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni di cui al verbale di udienza. 2. Dall'esame dei testimoni e dagli atti allegati al fascicolo del dibattimento i fatti per cui è processo possono essere ricostruiti nei termini che seguono. Le sorelle (...) vivono alla fine del vicolo cieco posto in via I. N. in (...) (...) e alla cui imboccatura è posto il "(...)". Da sempre ci sono stati contrasti tra la famiglia (...) in merito alla presenza di questo bar poiché spesso il rumore provocato dagli avventori impediva il riposo della famiglia ed inoltre, secondo quanto riferito dalle due persone offese in sede dibattimentale, ma confermato anche dallo stesso (...), il gestore era solito posizionare i tavolini fuori dal pub in una maniera che talvolta impediva il regolare passaggio delle auto dento il vicolo, creando disagio alla famiglia (...). I rapporti erano dunque già tesi poiché erano già state fatte querele e svariate proteste oltre a richieste di interventi dei Carabinieri. In questa cornice il giorno 29 agosto del 2017, prima delle 23.00 sentendo "musica e schiamazzi (...) la musica era particolarmente alta" sempre secondo il racconto della (...), finché esasperata la sorella (...) chiamò il 112, che giunto nel giro di pochi minuti sul posto fece effettivamente abbassare la musica. Continuando la sua esposizione dei fatti la (...) ha riferito che era quasi mezzanotte, quando suonò il citofono, e, affacciandosi al balcone posto al secondo piano per capire di chi si trattasse, le due sorelle videro (...). nipote del gestore del bar che spesso lavorava presso il (...). A quel punto iniziò una conversazione a voce non bassa tra il (...) al piano di sotto che chiedeva di poter parlare con loro in merito alle ragioni che le avevano spinte a chiamare i Carabinieri e le due sorelle arroccate sul loro balcone che si rifiutavano di scendere e di parlare con lui, finché il (...), vista una scala posta nello stabile di fronte e che lo portava ad una distanza minore da loro si portò lì sopra per potere continuare a parlare. Infastidito dal rifiuto delle due di scendere a parlare con lui, il (...), in risposta pronunciò la frase "tanto prima o poi vi trovo da sole". Con l'immediato effetto di spingere le due a chiamare i Carabinieri chiedendo un intervento immediato, in quanto minacciate dal (...). Alla fine quest'ultimo si stufò, scese dalla scala e se ne tornò al bar, tanto che, quando poco dopo giunsero i Carabinieri, lo trovarono proprio li. A quel punto i Carabinieri avvicinatisi insieme al (...) chiesero alle due persone offese di scendere per cercare di capire l'accaduto, sempre secondo il concorde racconto delle due persone offese. G.D. ha riferito in merito ai toni usati: "relativamente alla distanza penso che i toni fossero moderati perché non eravamo di fronte", e che comunque nel momento in cui vide il (...) salire le scale poste dall'altra parte del muro e che risultano fatte per accedere ad uno stabile di proprietà dei genitori, prese il cellulare per fare un video di ciò che stava accadendo. (...), che presta servizio presso la stazione CC di (...) ha riferito di avere partecipato ad entrambi gli interventi richiesti dalle sorelle (...) la notte tra il 29 e il 30 agosto 2017. Il primo effettuato è stato effettuato circa dieci minuti prima delle 23.00, dato che le sorelle si erano lamentate per la musica alta; recatisi sul posto, chiesero di abbassare la musica, che giungeva dal televisore, anche se, ha riferito (...) "per quanto riguarda noi non sembrava elevato, ecco, cioè in un locale normale". Successivamente, sempre secondo le parole del (...), vennero ricontattati dalla centrale verso le 23 e 55, per una nuova chiamata delle (...) che sostenevano di essere sotto minaccia del (...). Giunto sul posto con il suo collega, si recò direttamente dalle (...), passando ovviamente di fianco al bar e, mentre le sorelle gli raccontavano animatamente l'accaduto, venne raggiunto dal (...) il quale si rivolgeva direttamente alle (...), chiedendo ripetutamente perché avessero di nuovo chiamato i Carabinieri; poiché gli venne risposto che ciò era avvenuto a causa delle sue minacce, (...) perdeva la pazienza e diceva alle due donne che erano "matte". F.P., fidanzata del (...) e presente alla seconda parte della serata, ha raccontato in sede dibattimentale che l'imputato si recò sotto casa delle sorelle (...) per chiedere spiegazioni, in uno stato non alterato ma relativamente tranquillo, sebbene infastidito dall'intervento dei Carabinieri; le due donne si rifiutarono sia di scendere che di parlare con lui o di fornire spiegazioni di alcun tipo. Allora il ragazzo per riuscire a sentirle e vederle meglio si portò sulla scala posta di fronte al loro balcone, per accorciare la distanza e arrivando al massimo al livello del primo piano, mente loro erano affacciate al secondo. La giovane ha anche confermato la frase minacciosa pronunciata da (...) nei confronti delle due donne, pur precisando che di fatto la discussione non trascese mai e che il tono della voce era elevato non per la rabbia, ma semplicemente a causa della distanza che li separava. E' stata sentita anche una delle clienti del bar, S.U., la quale ha riferito come pure il successivo teste (...), una versione dei fatti perfettamente corrispondente a quella della (...), seppure il (...) abbia precisato di avere sentito poco o nulla. Infine ha reso la sua versione difensiva il (...). Egli si trovava a cena fuori, ma giunto nel locale verso le dieci e trenta venne avvisato dell'intervento dei Carabinieri su richiesta delle vicine; secondo quanto da lui riferito, con l'intento di trovare una soluzione di qualche tipo andò a suonare dalle ragazze. Costoro subito si affacciarono al secondo piano dicendo che non sarebbero scese, ma era notte, loro erano al secondo piano e non riusciva a vederle bene. Pertanto, vista una scala che portava all'ingresso dello stabile, che non sapeva a chi appartenesse - ma per lui poteva anche essere del locale in quanto confinante - decise di salire per ridurre la distanza. A quel punto, le sorelle cominciarono ad urlare che si trattava di proprietà privata e che doveva assolutamente andarsene utilizzando un cellulare per filmare gli eventi. Solo dopo che le ragazze iniziarono il filmato al (...) venne il dubbio che lo spazio in cui era salito potesse davvero essere di proprietà privata e pertanto era immediatamente risceso. Quanto alla frase minacciosa che lui per primo ha ammesso di aver detto, (...) ne ha fornito una interpretazione diversa, quasi ad evidenziare la inutilità dei loro tentativi di sottrarsi alla conversazione. Inoltre, richiesto di giustificare l'ora tarda in cui si era recato a bussare dalle due, l'imputato ha risposto che le stesse erano state viste al balcone pochi minuti prima del suo intervento e che comunque era una notte estiva e non sembrava così tardi. 3. In esito all'istruttoria dibattimentale, è rimasto provato con certezza che in data 29 agosto 2017, a seguito di un intervento dei Carabinieri richiesto dalle sorelle (...), residenti ad una ventina di metri dal bar "(...)", ed infastidite dal rumore che lo stesso faceva il (...), nipote del gestore e dipendente del bar, una volta venuto a conoscenza della circostanza, si era recato sotto casa delle due ragazze, citofonando per parlare con loro. Pacificamente ammesso da tutti i testimoni è il fatto che le due donne si affacciarono al balcone del secondo piano e cercarono di mandare via il (...), il quale insisteva per parlare con loro. E' provato che il (...) salì sulle scale poste nel caseggiato di fronte, nel tentativo di ridurre la distanza tra lui e loro e per vedere meglio. E' infine provato per pacifica ammissione di tutti i presenti, del medesimo imputato e in quanto risulta ripreso nel video allegato agli atti, che (...) pronunciò la frase "tanto prima da sole io vi becco da qualche parte". In merito al primo dei reati contestati (violazione di domicilio), la presenza del (...) sulle scale è pacifica, così come lo è il fatto che tali scale portino all'ingresso, collocato al primo piano di un locale di proprietà della famiglia (...). Ma a parte la condotta che effettivamente appare integrare il reato contestato (capo A), è necessario anche l'elemento soggettivo affinché il reato possa dirsi integrato, ed in questo specifico caso "la coscienza e volontà di introdursi o trattenersi nei luoghi di privata dimora contro la volontà del titolare dello jus excludendi". Ebbene, è emerso con chiarezza dalla istruttoria dibattimentale che quella scala portava a dei locali pressoché inutilizzati: tutti i testimoni hanno dichiarato la propria convinzione che quei locali fossero disabitati e la stessa presenza di un vaso, posto per impedire il passaggio, portava alla medesima conclusione, mentre nulla faceva pensare che gli stessi fossero di proprietà delle (...). Sul punto, infatti, risulta convincente anche la dichiarazione del medesimo imputato, il quale si pone il dubbio che si trattasse davvero di locali dalle ragazze solo nel momento in cui le due iniziano a riprenderlo, sospettando che lo abbiano fatto solo per avere qualcosa di valido contro di lui. Ritenuto - dunque - che egli non sapesse davvero a chi appartenevano quelle scale, è credibile che sia andato via nel momento in cui il sospetto che appartenesse alle due sorelle gli abbia fatto prendere in considerazione la loro volontà, contraria alla sua presenza, e lo abbia portato a scendere immediatamente. Si ritiene dunque non provato con sufficiente certezza l'elemento soggettivo e pertanto l'imputato deve essere mandato assolto dal reato contestato al capo A) poiché il fatto non sussiste. Quanto invece al capo B), è pacifico che la frase sia stata pronunciata. Quanto al contenuto minaccioso di tale frase, lo stesso è evidente, ma essa va valutata nel contesto in cui è stata pronunciata, e rispetto ai toni utilizzati. Ebbene, la stessa persona offesa ha riferito che i toni, considerata la distanza, erano "moderati" e la discussione non verteva sulla violenza fisica, ma sul tentativo di parlare con le due ragazze, per cercare di capire come mai avessero chiamato la polizia per un televisore acceso alle 10,30 di sera, ossia non a tarda ora. Appare dunque a questo giudice che tale comportamento, seppure effettivamente tenuto, sia di lievissima entità, mentre l'esasperazione delle persone offese, giustificata da anni di discussioni presumibilmente inutili e di continue difficoltà per entrare ed uscire dal loro vicolo, abbia inasprito gli animi portando ad interpretazione peggiori di quanto in realtà non fosse necessario. Stante l'assoluta incensuratezza dell'imputato, il tipo di reato contestato ed il disvalore che lo stesso comporta, considerata la richiesta del Pubblico Ministero, ritenuta condivisibile la sua valutazione circa la particolare tenuità del fatto, si ritiene di giustizia pronunciare sentenza di non doversi procedere per essere l'imputato non punibile per particolare tenuità del fatto. APPELLO per i soli interessi civili L'Avv. (...), difensore di fiducia e procuratore speciale delle Sig.re (...), e (...), in data 10.11.2020 propone appello ai sensi dell'art. 576 c.p.p., agli effetti della responsabilità civile e contro tutti i capi della sentenza che riguardano l'azione civile avverso la sentenza n. 248/2020, e ciò per i seguenti motivi: 1) errata interpretazione degli elementi costitutivi del reato 1.1sulla violazione di domicilio I fatti di cui al presente procedimento avvengono la notte del 29.8.2017, allorché l'imputato si è portato in una proprietà esclusiva delle persone offese dalla quale, ponendosi su alcuni gradini, ha proferito insulti e minacce contro le predette. Il (...) ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che si trattasse di un immobile appartenente alta famiglia (...), benché sia rimasto in quel luogo durante l'intera "conversazione", mentre le persone offese continuavano a ripetergli che si trattava di una proprietà privata, invitandolo a scendere. Questi i fatti, come da denuncia-querela e come effettivamente emersi in corso di istruzione dibattimentale. Il Giudice di primo grado, tuttavia ha ritenuto (errando) di poter dichiarare l'insussistenza dell'illecito in forza dell'assenza dell'elemento soggettivo, considerata discriminante e che, al contrario, poggia su una contraddizione in termini. A dispetto della logica, l'organo giudicante afferma difatti che "la stessa presenza di un vaso posto per impedire il passaggio" portava alla convinzione che i locali in parola fossero disabitati (pag. 5 della sentenza), quando invece il fatto di aver apposto un vaso è indicativo della presenza di qualcuno che ha cura di quello spazio, vuole delimitarlo o (come nel caso di specie) impedire l'accesso ad estranei. Ancora, non è vero che il (...) sia sceso "immediatamente": ciò non emerge dalle testimonianze. (...) si è intrattenuto sulle scale quanto ha voluto e da qui ha urlato a piacimento dopo essere stato informato (laddove già non lo sapesse) che si trattava di proprietà privata, come comprovato dal video riprodotto in sede dibattimentale e, ove concesso, potrà essere ulteriormente provato con l'acquisizione di un altro filmato girato poco prima dalla Sig.ra (...). È dunque pacifico che il (...) si sia trattenuto a lungo all'interno della proprietà altrui, anche dopo le ripetute richieste di allontanamento avanzate dalle persone offese, nonché che abbia coltivato un dubbio sulla effettiva appartenenza dell'immobile: tutti elementi che il Giudice di Primo Grado ha mancato di considerare in maniera adeguata e/o corretta. Quella in esame è un'interpretazione deviata dell'elemento soggettivo, che, tenendo conto delle effettive risultanze dell'istruttoria, avrebbe dovuto condurre ad una soluzione diametralmente opposta. Per quanto detto, si chiede di riconsiderare in tali termini l'elemento psicologico del reato di violazione di domicilio, condannando il (...) per il relativo capo. 1.2in merito alla minaccia - La notte del 29.8.2017, una volta portatosi sui gradini dell'immobile prospiciente l'abitazione delle (...), il (...) le ha minacciate ripetutamente, certo come è di poterle rivedere di lì all'indomani stesso. L'imputato, infatti, conosceva lo stato dei luoghi poiché il bar ove lavora distava qualche metro dall'abitazione delle persone offese; egli sapeva che queste devono necessariamente transitargli davanti e che la loro casa insisteva in un vicolo cieco che, di notte, restava completamente al buio. Elementi certi che essendo emersi in corso di istruttoria risultano dallo stesso video acquisito, che, per inteso, risulterà buio e girato nell'oscurità del vicolo di cui si parla. Francamente, non può non sorprendere l'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., che si respinge in toto, come si contesta la valutazione del contesto in cui la minaccia è stata pronunciata. Deliberatamente ignorando le circostanze dei luoghi sopra descritte, il Giudice ha ritenuto sussistesse un contenuto minaccioso nella frase proferita dal (...) (pag. 5 della sentenza), ma ne ha depotenziato l'efficacia lesiva, in ragione di una interpretazione agli antipodi rispetto alla realtà fattuale e processuale. Il primo Giudice ha tratto il proprio convincimento dal contesto, che vede le persone offese "arroccate" nel proprio balcone, quindi protette e lontane dall'immediato verificarsi del pericolo minacciato. Tuttavia, statuire che " la discussione non verteva sulla violenza fisica", non vale ad eliminare il turbamento psichico cagionato alle persone offese da un individuo di sesso maschile che, di notte, si rivolge a due donne gridandogli contro "tanto prima o poi da sole vi becco da qualche parte", tutti consapevoli del fatto che la sera dopo (e anche successivamente), queste ultime passeranno davanti al bar entrando nel vicolo per raggiungere la loro abitazione. Tale limitata analisi degli elementi e dette circostanze, rectius del contesto, ha indotto in errore il Giudice, dimentico che, ai fini dell'integrazione del reato di minaccia, è richiesta una limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima, mentre non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto, essendo sufficiente la mera attitudine della condotta ad intimorire (ex multis, Cass., sez. V, 18 giugno 2018, n.35817, Cass., 20 agosto 2015, n. 35671). Contrariamente a quanto motivato, la condotta del (...) era volta ad intimorire e carica di violenza fisica: difatti il Giudice ha completamente ignorato frasi dialettali, quali "Miga ti nei scuzzu cosa" ("Guarda che ti lancio qualcosa", al minuto 1.20) e "Faesia coddari... faesia coddari ca ndi teneisi bisongiu" ("Fatevi scopare che ne avete bisogno", minuto 1:43). Quanto sopra è indicativo dei toni usati, ben diversi dall'aggettivo "moderati", utilizzato dal Giudice in sentenza, al fine di temperare il contegno del (...). Orbene, l'organo giudicante si è soffermato esclusivamente sull'utilizzo di tale aggettivo fatto da (...), decontestualizzandolo integralmente (pag. 5 della sentenza, ultimo capoverso): la persona offesa lo ha adoperato in riferimento alla distanza, perché, di notte ed essendo gli anziani e malati genitori addormentati, va da sé che le due sorelle non volessero alzare il loro tono di voce oltre quanto necessario per coprire la distanza dall'imputato. Inoltre, il Giudice ha completamente omesso di considerare la dichiarazione dello stesso (...), il quale, in sede di esame, ha affermato che i toni erano moderati in un primo momento, poi "logicamente, quando ti filmano", si è sentito legittimato ad alzarli e proferire le frasi minacciose riportate (verbale udienza 20.12.2019, pag. 13), come si evince altresì dal video riprodotto in aula. Le (...) insomma hanno ben donde di essere preoccupate, indipendentemente dalla pulizia del casellario giudiziale del (...) e dal fatto che lo stesso sia uno studente di giurisprudenza (o scienze politiche, all'occasione). Scrivere di "interpretazioni peggiori di quanto in realtà non fosse necessario" significa non preoccuparsi del fatto che l'imputato è individuo di sesso maschile, che sa dove abitano le persone offese e che ha comunque occasione di vederle spesso, ne conosce e/o può conoscerne le abitudini e gli spostamenti. In tal senso rileva altresì il contegno assunto dal predetto all'arrivo dei Carabinieri, consistito nell'appellare le persone offese come "matte", elevando ulteriormente il tono della voce (Carabiniere scelto (...), verbale udienza 8.3.2019, pag. 32). La realtà è che i fatti del 29.8.2017 sono i primi, per ordine cronologico, di una vicenda più complessa e articolata, essendovi presso il Tribunale di Oristano altri tre procedimenti penali (tutti, allo stato, in fase di indagini, nonostante il gran tempo trascorso e le istanze per una definizione) promossi dalle Sig.re (...), due nei confronti di S.A., gestore del "(...)" e zio dell'odierno imputato (il primo per disturbo della quiete pubblica, ed il secondo per minaccia e lesioni a carico della Sig.ra G., allorché la predetta venne aggredita in data 4.7.2019) ed il terzo contro ignoti, relativo ai periodici danneggiamenti dalle autovetture di proprietà delle stesse accaduti in orario notturno. Situazione ampia e complessa, ben conosciuta dal (...) (verbale udienza 200.12.2019, pag. 7), ma nota anche allo stesso Giudice, che, rivolgendo domande alla Sig.ra G., ha parlato di "situazione di tensione" (verbale udienza 8.3.2019, pag. 18), avendo evidentemente riconosciuto (per poi dimenticare) il clima che aleggiava. In altri termini, il Giudice ha deliberatamente inteso sminuire la portata di quanto sopra e, pur di fondare un convincimento altrimenti privo di base, ha formulato giudizi apodittici fuor di istruttoria. Ecco, infatti, che si parla della "esasperazione delle persone offese" (le quali, per inciso, mai hanno dato mostra di ciò, salvo che voler tutelare se stesse e i propri cari sia indice di esasperazione), motivandola con "anni di discussioni presumibilmente inutili e di continue difficoltà ad entrare e uscire dal proprio vicolo". Ora, i problemi di transito sono minimali rispetto ai reati contestati e tali sono rimasti durante il procedimento, ma soprattutto non è dato comprendere né su quali elementi il Giudice abbia tratto l'opinione che si trattava "presumibilmente" di discussioni inutili, né perché abbia ritenuto opportuna tale valutazione, che residua in tutta la sua arbitrarietà solo per l'evidente fine di sminuire (forzatamente) la condotta dell'imputato. La situazione generale andrebbe dunque valutata al fine di propendere per una condanna dell'imputato, non già per supportare la tenuità del fatto, proprio perché è dal contesto che si possono saggiare i timori delle Sig.re (...) dovuti alla condotta del (...). Timori attuali, poiché alla data odierna, nulla è valso a mitigarle che proprio il Tribunale di Oristano, con l'improvvida decisione oggi impugnata, ha contribuito a rendere tali. Timori attuali per la netta sensazione della mancanza di quella sicurezza che dovrebbero invece garantire le forze dell'ordine, atteso che il primo a cercare di normalizzare la condotta del (...) è stato proprio il Carabiniere (...) che, all'udienza del 8.3.2019, non ha esitato a definire "una sorta di minaccia" le frasi dell'imputato. Per quanto detto, sussistono i presupposti affinché venga affermata la penale responsabilità del (...) anche in riferimento al capo B), poiché, diversamente, dovrebbe ammettersi che chiunque possa schiamazzare in orario notturno gridando a due ragazze "Miga ti nei scuzzu cosa" e "Faesia coddari... faesia coddari ca ndi teneisi bisongiu", consapevole che ta sera dopo potrebbe vedersele transitare davanti. 2) omessa/erronea valutazione delle risultante processuali. Come appare evidente, il Giudice di prime cure ha vergato una sentenza incentrata squisitamente sugli aspetti utili ad addivenire all'assoluzione dell'imputato, omettendo gli elementi contrari emersi in sede di istruttoria dibattimentale e, segnatamente, di esame testimoniale. In primo luogo, dal provvedimento impugnato è completamente scomparsa (...) del cui esame non si fa alcun cenno. Eppure, ad es., anche la predetta si sofferma sulle circostanze verificatesi la notte del 29.8.2017. È anche lei ad ammettere la propria preoccupazione, perché è frequente la possibilità di incontrare l'imputato, il quale "ogni tanto lui ci guarda, cioè controlla i nostri spostamenti, questo lo fa" (verbale 8.3.2019, pag.24). Ancora, è sempre lei a descrivere non solo l'uso che si fa abitualmente in famiglia dell'immobile prospiciente l'abitazione, ma anche la natura stessa del bene in parola, ovvero "questa casettina storica" che "non ha ingresso, è una Casa novecentesca..." (verbale 8.3.2019, pag. 23). In altri termini, la persona offesa ha offerto elementi utili per valutare, rispettivamente, la sussistenza sia della minaccia sia della violazione di domicilio, ma il Giudice ne ha stralciato la deposizione, in patente contrasto con il principio di diritto secondo cui è necessario che le prove acquisite vadano tutte almeno sinteticamente indicate in sentenza e vadano specificate le ragioni di selezione adottate (ex multis Cass. Pen., Sez. Un., 30 ottobre 2003, n.45276; Cass., Sez. Un., 30 aprile 1997, n. 6402), così come vanno sicuramente illustrate le prove contrarie alle ragioni accolte. In seconda istanza, giova evidenziare il modo in cui il Giudice di Primo Grado si è riferito al fatto che le persone offese abbiano discusso con il (...) dal proprio balcone: è stato indebitamente utilizzato l'attributo "arroccate" (termine meramente congetturale, su cui si tornerà infra), al fine di indicare che le predette non hanno voluto conferire vis-a-vis con l'imputato. Orbene, una più attenta disamina delle risultanze testimoniali avrebbe fatto comprendere due elementi fondamentali: in primis che, nonostante in sentenza si parli di "citofono", il (...) ha ripetutamente suonato il campanello dell'abitazione della famiglia (...) (che di citofono è priva); pertanto la Sig.ra (...) si è affacciata dal balcone, come sempre fa, per vedere chi fosse (verbale udienza 81312019, pag. 8). Per chiarezza: le (...) parlano dal balcone perché è l'unico modo possibile per interloquire, non per vezzo. A ciò va aggiunto che le predette, nonostante l'insistenza dell'imputato per un dialogo ravvicinato, sono rimaste all'interno della propria abitazione poiché sono stati i Carabinieri a dar loro un suggerimento in tal senso (teste Carabiniere scelto (...), verbale udienza 8.3.2019, pag. 34), salvo poi ovviamente scendere all'arrivo delle Forze dell'Ordine. In conclusione, sono molteplici gli elementi palesemente ignorati ovvero sottovaluti dal Giudice nella costruzione del proprio viziato ragionamento decisorio, mentre di tali elementi potrà essere fatta idonea valutazione nell'instaurando processo di appello. 3) argomentazioni congetturali e parziali La pronuncia impugnata è costellata di espressioni ed argomentazioni che non possono costituire il presupposto per il libero convincimento di un giudice. Si passeranno ora al vaglio alcune formule linguistiche adoperate impropriamente dall'organo di Prime Cure, le quali, ben lungi dall'avere una connotazione giuridica, escono altresì dal selciato delle massime d'esperienza, per sfociare nella mera, ingiustificata congettura: - il già citato "arroccate" (pag.3), riferito alla persone offese, per indicare che le stesse parlavano dal proprio balcone, rifiutandosi di scendere e di parlare con il (...). In primo luogo, non è meritevole di biasimo il contegno di due donne che, sentendo suonare ripetutamente il campanello intorno alle ore 24:00, non abbiano alcun interesse a parlare a stretto contatto con il disturbatore, peraltro alterato. In seconda istanza, come detto supra, le due sorelle si sono affacciate dal balcone e da lì hanno parlato poiché la loro unità immobiliare è priva di citofono, pertanto quello era l'unico modo per interagire con l'interlocutore ed avrebbero tenuto lo stesso atteggiamento con qualsiasi altra persona. Circostanze di disarmante semplicità, comprensibili ai più, ma non al Giudice che, pur di "arroccare" le persone offese, ha dimenticato che sono state le Forze dell'Ordine ad indicare di non scendere nella pubblica via. - "infastidito dal rifiuto", "si stufò" (pag.3, riferito al (...) che continua a parlare dalla proprietà privata della famiglia D.): per quanto la sentenza abbia portato all'assoluzione, appare inaccettabile e fuor di contesto arabescarla con circonlocuzioni dalle quali si evince quasi che il (...) sia stato molestato dalle persone offese. Al netto della (contestata) tenuità del fatto, lo stesso Giudice ha riconosciuto la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, per cui non si comprende tale afflato di bonomia nei confronti dell'imputato, che esula oltremodo dal principio della presunzione di non colpevolezza. Non si comprende, inoltre, nel solco di quali elementi concreti il Giudice abbia creato il suo convincimento circa il senso di fastidio e lo "stufarsi" del (...): - "anni di discussioni presumibilmente inutili, "interpretazioni peggiori di quanto in realtà non fosse necessario" (pag. 6): concludendo la motivazione, il Giudice di Primo Grado estremizza le proprie congetture, ancorando il proprio (errato) convincimento su elucubrazioni circa il contesto e sottostimando, senza meglio argomentare, gli effetti prodotti dalle condotte del (...) nel percepito soggettivo delle persone offese. Come si é già approfondito supra, le denunce delle persone offese non possono e non devono essere ricondotte a "presumibilmente inutile" ovvero al "non necessario": i fatti in parola, unitamente ai citati procedimenti pendenti, concorrono a comporre un contesto di continua tensione tra le sorelle (...) e la gestione del "(...)', che un Giudice non può interpretare al fine di temperare la condotta dell'odierno imputato, ma, semmai per comprenderne e sanzionarne la gravità. Le espressioni e valutazioni impropriamente utilizzate dal Giudice si muovono nel campo della possibilità piuttosto che in quello della probabilità, configurandosi, si ribadisce, come mere congetture e non già come massime di esperienza, inidonee a costituire base per una pronuncia di assoluzione. Difatti, mentre le massime forniscono, sulla base di argomenti deduttivi, giustificazione esterna capace di fondare un giudizio di probabilità alla regola inferenziale, le congetture promanano da mere abduzioni, e attengono al campo del possibile, rectius, del non escluso: nella congettura la verifica non vi è stata o non può esservi, di talché essa, insuscettibile di dimostrazione (Cass., I, 22 ottobre 1990), non può fondare un giudizio dimostrativo. Le congetture non possono trovare ingresso nella concatenazione logica dei vari sillogismi in cui si sostanzia la motivazione. Il controllo sulla motivazione stessa è, infatti, volto a verificare se il Giudice abbia indicato le ragioni del convincimento che si è formato e se queste ultime siano plausibili in quanto fondate su tutto il materiale probatorio, in modo che le conclusioni risultino il frutto di sillogismi logicamente ineccepibili e di massime di esperienza riconosciute come tali da chiunque e generalmente accettate. Tali caratteristiche non possono essere soddisfatte dalle mere congetture, che non possono essere utilizzate dal Giudice per fondare il proprio convincimento. Cionondimeno, il Giudice de quo, come evidenziato supra, ha cesellato le proprie motivazioni con semplici congetture e valutazioni discrezionali disancorate dagli elementi di fatto e di diritto emersi in sede dibattimentale; pertanto il proprio provvedimento si configura in tal senso viziato e suscettibile di riforma. Dai predetti motivi si evince l'erroneità delle risultanze del processo di primo Grado e della conseguente assoluzione del (...), da cui promana inoltre l'ulteriore nocumento patito da (...) e (...), le quali non solo hanno subito i fatti per cui è processo, ma vedono frustrato anche il proprio diritto ad ottenere il ristoro dei danni subiti. Per tali motivi, voglia la Corte d'Appello adita, in riforma dell'impugnata sentenza 1) accertare la penale responsabilità di (...), in ordine a tutti i fatti descritti nei capi di imputazione, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia e, per l'effetto, risarcire i danni riportati dalle Sig.re (...) e (...), come quantificati nel giudizio di primo grado; 2) determinare le spese di costituzione e difesa liquidate in favore del difensore delle parti civili (...) e (...), come già quantificate nella nota spese allegata alle conclusioni nel giudizio di primo grado, e come verranno quantificate a conclusione del presente giudizio. Espressamente salva la riserva di depositare motivi nuovi ex art. 585, comma 4, c.p.p.. Si chiede altresì che la Corte d'appello adita voglia rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei testimoni e l'acquisizione del video registrato precedentemente a quello già prodotto nell'ambito del giudizio di primo grado, consentendo altresì l'allegazione delle denunce querela di cui ai procedimenti penali indicati in espositiva. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello per i soli interessi civili non è fondato e la sentenza merita integrale conferma. 1. Trattandosi appunto di appello proposto ex art. 576, comma 1, c.p.p., avverso una sentenza di proscioglimento, esso riguarda i soli effetti della responsabilità civile. Ne consegue che ogni riferimento alla affermazione di penale responsabilità dell'imputato, contenuto in appello, deve reputarsi inammissibile. 2. Quanto alla istanza di rinnovazione della istruzione dibattimentale, rileva la Corte che non ricorrono le condizioni di cui all'art. 603, comma 1, c.p.p. trattandosi di appello decidibile allo stato degli atti. Per quanto riguarda le persone offese (...) e (...) della prospiciente ebitazione; dall'altro, che il prevenuto aveva disceso la scala esterna, tornando dai suoi clienti nel locale pub, una volta constatata la ferma opposizione delle sorelle (...) le quali gli fecero notare la natura privata del luogo. Tale condotta non integra gli elementi oggettivo e soggettivo del delitto di cui all'art. 614 c.p. e pertanto la valutazione cui è pervenuto il Giudice di prime cure deve essere condivisa. Ne consegue che su tale punto l'appello di (...), quanto alla giuridica sussistenza del reato e al conseguente danno civilistico che ne è disceso, non è fondato e va rigettato. 4. Passando al reato di minaccia semplice, ascritto al capo B), parimenti va condivisa la valutazione del Tribunale monocratico di Oristano, per quanto espressa in termini inappropriati ed eccessivamente sintetici, piuttosto eterogenei rispetto al dettato della norma che ha introdotto la nuova causa speciale di non punibilità stabilita dall'art. 131 bis c.p. (v. D.Lgs. n. 28 del 2015). Va premesso che la parte civile costituita anche in appello ha l'interesse ad impugnare la decisione di primo grado che ha ravvisato la particolare tenuità del fatto, con conseguente proscioglimento del querelato, atteso che il giudizio non consente la decisione in ordine alla domanda di liquidazione delle spese processuali in favore della medesima P.C. privata. Ciò è conforme alla consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio formatasi sul punto: "La declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consente di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile, poiché si può far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall'art. 578 cod. proc. pen., tra le quali non rientra quella di cui all'art. 131-bis cod. pen."; cfr. Cass., sez. 5, n. 5433 del 18.12.2020 ud., dep. 11.2.2021, RV 280409, Pres. Mi., Est. rel. Brancaccio, imp. Cr., (...) Ta., annulla in parte senza rinvio (...) appello Salerno 13.11.2019 (conforme: Cass., sez. 5, n. 6347 del 6.12.2016 ud., dep. 10.2.2017, RV 269449). Tanto premesso, le frasi pronunciate dal (...) in un contesto particolarmente acceso tra le parti antagoniste, innescato dalle proteste per i rumori molesti e per il disturbo proveniente dal pub in cui lavorava all'epoca l'imputato (vi è stata separata denuncia per il reato di cui all'art. 659 c.p., a quanto sembra definita con decreto di archiviazione del competente G.I.P. di Oristano), sono le seguenti: "io non scendo, voi dovete venire qua"... e continuava a chiedere di scendere per parlare con lui, per discutere di questa cosa che noi avevamo chiamato i Carabinieri e lì ricordo che aveva iniziato "vi lancio qualcosa", aveva detto qualcosa del genere, ora non ricordo bene però...e poi noi dicevamo di scendere da lì e poi quando è sceso, quando stava scendendo ha detto "tanto vi credete (...) esso sono state ampiamente escusse nel processo di prime cure, onde il loro esame sarebbe del tutto superfluo. Analogamente deve dirsi in riferimento al video registrato in tempo di notte da una delle persone offese (G.D.), in quanto il documento pur essendo scarsamente visibile contiene una parte audio dalla quale è possibile estrapolare le frasi proferite dall'imputato nel corso del fatto reato. Infine, è del tutto superfluo e irrilevante ai fini della decisione procedere alla acquisizione di documenti relativi a separati processi in corso tra le stesse parti (che sembrerebbero tre), trattandosi di denunce o querele riguardanti fatti reato ben distinti e che comunque non potrebbero essere acquisite nel corso del processo svoltosi con rito ordinario, se non ai limitati fini delle contestazioni svolte nei riguardi dei testimoni. Pertanto l'istanza proposta dalla P.C. di riapertura della istruzione in appello è superflua e/o inammissibile ai fini della decisione dell'appello, con la conseguenza che deve essere rigettata. 3. Tanto premesso devono condividersi le osservazioni svolte dal giudice di prime cure relativamente alla insussistenza del delitto di violazione di domicilio contestato al capo A). Le fotografie prodotte nel corso del processo mostrano lo stato dei luoghi al momento dei fatti e l'esatto punto in cui l'imputato si era portato nel corso del vivace scambio verbale avuto con le due signore che abitavano in (...) S., via IV novembre n. 6. Dalle stesse dichiarazioni di (...), escussa in modo approfondito da Giudice e (...), è emerso che il (...) nel corso dell'alterco non si era portato all'interno del domicilio occupato dalle due sorelle costituite parte civile, ma era salito su una scala esterna. Più precisamente nel corso del vivace colloquio, originato dalle proteste delle sorelle (...) dovute al volume troppo alto della musica del locale pub, il (...) aveva impiegato per poter parlare più vicino alle due donne la scala esterna di una vecchia abitazione del centro di (...), appartenente alla stessa famiglia, che conduceva ad un poggiolo privo di parapetto. Da lì l'uomo si era posto quasi allo stesso livello di piano rispetto alle due donne, rimaste ferme in casa loro in posizione prospicente rispetto all'edificio più vecchio, e da lì in poi si era verificato il vivace scambio con frasi a contenuto in parte minatorio. Ciò che assume rilievo ai fini della mancata integrazione degli estremi del reato ex art. 614 c.p. è il fatto che l'uomo non appena resosi conto delle vivaci proteste delle due sorelle, le quali gli fecero notare che si trattava di un luogo di privata abitazione, si era immediatamente allontanato. Ne consegue che da un lato, il (...) per discutere animatamente con le due querelanti si era portato su una scala di una casa storica, pure appartenente alla famiglia (...) e adibita a cantina/deposito, salendo a circa m 2,50 di altezza e comunque in modo tale da farsi sentire dalle querelanti, rimaste all'ultimo piano qui che potere fare il cazzo che volete, ma tanto da sole vi becco da qualche parte", ed è andato via così (teste (...), udienza del 8.3.2019, pag. 24/40). Orbene, è piuttosto evidente il significato intimidatorio assunto dalle frasi, pronunciate da una persona che era stata redarguita per il comportamento molesto proveniente dal locale in cui lavorava, ovvero dai suoi numerosi avventori (il televisore era stato tenuto eccessivamente alto, la musica era piuttosto alta, ma inutili erano state le proteste delle sorelle, le quali vivevano in un vicolo del centro storico assai angusto in cui i rumori di qualsiasi tipo provenienti dal locale creavano un rimbombo nella pubblica via, fino ad essere percepibili nell'abitazione al terzo piano occupata dalla famiglia (...)). E' palpabile la situazione assolutamente inconciliabile creatasi tra le parti, ma va anche considerato il fatto che l'uomo si era risentito a causa dell'intervento dei Carabinieri, avvenuto tra le 23 e la mezzanotte del 27.8.2017, onde le sue recriminazioni erano dirette essenzialmente nei confronti delle (...) che - ormai esasperate - avevano deciso di chiedere ancora una volta l'intervento della forza pubblica, come già avvenuto in passato, così trascendendo il giovane in affermazioni lesive della loro persona e dall'implicito significato di minaccia. Situazione alla quale comunque le due donne avevano ovviato, restando nella loro abitazione come gli era stato raccomandato dal personale dei Carabinieri, ma riuscendo a far andare via l'uomo dalla zona del loro domicilio privato. Il clima era perciò assai esacerbato e conflittuale ma le particolari condizioni dell'episodio, già descritte, e la positiva personalità del prevenuto, rimasto incensurato anche al momento del presente giudizio, inducono a ritenere che si è trattato di comportamento caratterizzato da non abitualità e che aveva causato un esiguo pregiudizio per la serenità e la sfera morale delle due donne querelanti, costituite parte civile anche nel presente giudizio di appello. Le stesse persone offese hanno spiegato che in epoca successiva i rumori molesti si erano attenuati, anche se in qualche occasione avevano dovuto registrare nuovi disturbi sporadicamente originati prevalentemente dagli avventori del locale "centrai pub" di (...) in cui lavorava il (...). In definitiva, la decisione assunta dal primo giudice in ordine alla applicabilità della causa di non punibilità deve essere confermata, contrariamente al parere del P.G. di udienza (che ha chiesto l'accoglimento parziale dell'appello, di contrario avviso rispetto al (...) di primo grado, che concluse per l'applicabilità dell'art. 131 bis c.p.), potendosi ritenere in definitiva che l'offesa al bene giuridico protetto sia stata particolarmente esigua, anche a causa della prontissima reazione delle germane (...) che avevano opportunamente invocato - ancora una volta - l'intervento delle forze dell'ordine, riuscendo a far allontanare il molestatore. L'appello proposto per i soli interessi civili pertanto non può essere accolto e dalla decisione di conferma discende la condanna le parti civili appellanti (...) e (...) al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, secondo l'art. 592, comma 4, c.p.p. P.Q.M. Visti gli artt. 592 e 599 c.p.p., conferma la sentenza impugnata e condanna le parti civili appellanti (...) e (...) al pagamento delle spese del presente grado del giudizio. Indica il termine di gg. 90 per il deposito della sentenza. Così deciso in Cagliari il 4 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GALTIERO Donatella - Consigliere Dott. SOCCI Angelo Mat - rel. Consigliere Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/05/2021 del TRIBUNALE di LAGONEGRO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni per la parte civile dell'Avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso con condanna alle spese per la parte civile; lette le conclusioni per l'imputato dell'Avv. (OMISSIS) che ha concluso per l'accoglimento del ricorso o in subordine per l'applicazione della particolare tenuita' del fatto. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14 maggio 2021 il Tribunale di Lagonegro ha condannato (OMISSIS) alla pena di Euro 250,00 di ammenda, relativamente al reato di cui agli articolo 81 e 659 del c.p. perche' nella qualita' dell'esercizio pubblico denominato "(OMISSIS)" (...) esercente l'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande in ore notturne, in piu' occasioni, anche oltre l'orario di chiusura del locale, disturbava il riposo di (OMISSIS), abitante in un appartamento vicino al predetto esercizio; commesso dal 9 agosto 2015 e fino al 21 agosto 2018. 2. Ricorre in cassazione l'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 c.p.p., comma 1, disp. att. 2. 1. Violazione di legge (articolo 659 c.p.). il rumore deve essere idoneo a cagionare disturbo a un numero indeterminato di persone e non ad una sola persona (come nel caso in giudizio). Solo la parte civile ha lamentato rumori intollerabili, che sono stati esclusi, invece, dai testi (OMISSIS), M.llo (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Anche se non risulta richiesta la prova concreta del disturbo a piu' persone deve, comunque accertarsi l'astratta idoneita' del disturbo a piu' persone. Nel caso in giudizio sussiste la prova (in relazione alle testimonianze suddette) dell'inidoneita' dei rumori a creare disturbo a piu' persone. 2. 2. Violazione di legge (articolo 521 c.p.p.). Il Tribunale ha condannato l'imputato per un fatto diverso da quello contestato nell'imputazione. La condanna e' intervenuta per l'organizzazione di eventi musicali con l'utilizzo di apparecchiature musicali e per non aver impedito gli schiamazzi agli avventori del locale nelle vicinanze dello stesso. Il fatto commissivo dell'organizzazione degli eventi musicali non risulta mai contestato, anche nella modifica dell'imputazione, che si e' limitata a indicare una data diversa del commesso reato. 2. 3. Violazione di legge (articolo 40 e 659 c.p.). Il Tribunale individua una condotta omissiva, ovvero il mancato impedimento agli schiamazzi compiuti dagli avventori fuori dal locale. Al titolare di un'attivita' commerciale non puo' addebitarsi nessun obbligo di vigilanza degli spazi esterni al locale. Il dovere di vigilanza compete esclusivamente all'ente pubblico proprietario dell'area. Il titolare dell'attivita' commerciale non ha nessun potere di coercizione sugli avventori, che si trovano fuori dal suo locale. 2. 4. Mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Tutte le circostanze presupposto della condanna non hanno trovato un riscontro probatorio. Non risultano provate la consegna di oggetti di tipo musicale agli avventori, l'ingaggio di gruppi musicali e, inoltre, non e' stata accertata la morfologia dei luoghi e l'eta' media dei residenti vicino al Bar del ricorrente. I testi che hanno confermato i rumori (come riferiti dalla parte civile) avevano percepito gli stessi dall'abitazione della parte offesa. Anche l'aver ritenuto la sussistenza di molteplici occasioni di superamento della soglia dei rumori non risulta accertato nell'istruttoria dibattimentale; infatti, la stessa parte civile ha riferito solo di sei episodi (in media due all'anno) dal 2015 al 2018. 2. 5. Violazione di legge (articolo 530 c.p.p.). Il contrasto tra le prove testimoniali esclude l'accertamento dell'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 659 c.p. al di la' di ogni ragionevole dubbio. La diffusivita' del rumore deve essere idonea a cagionare disturbo a piu' persone, tale prova manca nel caso in giudizio. 2. 6. Violazione di legge e omessa motivazione relativamente alla particolare tenuita' del fatto (articolo 131 bis c.p.). la sentenza ha dato atto di una non particolare gravita' dei fatti, irrogando la solo pena pecuniaria, in misura contenuta. Non puo' neanche ritenersi una condotta abituale quella del ricorrente, in quanto nell'arco dei tre anni solo per sei volte sarebbe stata superata la normale tollerabilita'. In presenza di un'espressa richiesta dell'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto, il Tribunale avrebbe dovuto motivare il diniego, invece ha omesso qualsiasi motivazione. Ha chiesto pertanto l'annullamento della decisione impugnata. 2. 7. La Procura Generale, Sostituto Procuratore Generale Ciro Angelillis ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso. 2. 8. L'imputato ha replicato con memoria nella quale riafferma la fondatezza del ricorso e ne chiede l'accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' infondato e deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nessuna violazione dell'articolo 521 c.p.p. risulta nel caso in giudizio. Deve ribadirsi a proposito la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che esclude la violazione dell'articolo 521 c.p.p. quando la contestazione e' conosciuta dall'imputato (che si e' difeso) in quanto emersa nel corso del processo e dalla motivazione della sentenza, a prescindere dal (Ndr: testo originale non comprensibile) imputazione riportata nell'epigrafe della sentenza: "L'accertamento nel corso del processo di una diversa forma di estrinsecazione della condotta concorsuale che integri la medesima figura di reato contestata non determina alcuna violazione ne' del contraddittorio, ne' del principio di correlazione tra accusa e sentenza, quando l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato sia desumibile dal complessivo contenuto della motivazione della sentenza e dalla contestazione - riferibile al capo di imputazione in senso stretto e a tutti gli atti conosciuti e conoscibili dall'imputato purche' l'imputato sia stato messo nelle condizioni di conoscere l'accusa e di esercitare le proprie difese, ed il fatto accertato sia omogeneo rispetto a quello contestato, ovvero ne costituisca uno sviluppo prevedibile" (Sez. 2, Sentenza n. 6560 del 08/10/2020 Ud. -dep. 19/02/2021 - Rv. 280654 - 01). Infatti, nessuna lesione del diritto di difesa si e' verificata nel caso in giudizio; inoltre, nello stesso ricorso in cassazione non si rappresenta la concreta violazione dei diritti di difesa ("La violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita' sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa" Sez. 4, Sentenza n. 4497 del 16/12/2015 Ud., dep. 03/02/2016, Rv. 265946 - 01). 4. Anche sull'elemento oggettivo del reato la sentenza risulta adeguatamente motivata, senza contraddizioni o manifeste illogicita'. Il Tribunale evidenzia la natura dei rumori idonei a disturbare un numero indeterminato di persone. La sentenza analizza, con valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimita', anche le testimonianze che hanno escluso il disturbo alle persone, evidenziando come gli stessi hanno riferito di episodi diversi da quelli in cui si sarebbero verificate le immissioni (o per orario diverso o per giornate in cui non si svolgevano eventi musicali); per il teste (OMISSIS) la sentenza rileva il suo interesse essendo la proprietaria del locale dove si e' svolta l'attivita' di cui all'imputazione. 5. La sentenza impugnata, poi, con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicita' ha ritenuto il ricorrente responsabile anche per gli schiamazzi degli avventori fuori dal locale, perche' della contravvenzione risponde il titolare dell'esercizio commerciale che non impedisce i rumori molesti. Infatti, per la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione il titolare di un'attivita' risponde per non aver impedito gli schiamazzi (Sez. 3 -, Sentenza n. 14750 del 22/01/2020 Cc., dep. 13/05/2020, Rv. 279381; Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015 - dep. 06/08/2015, Gallo, Rv. 26450101; e nello stesso senso, Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008 - dep. 24/12/2008, Baruffaldi, Rv. 24280801: "Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (nella specie, una pizzeria) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne - La Corte ha precisato che la qualita' di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'autorita', che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillita' pubblica -"). 4. Anche relativamente alla particolare tenuita' del fatto deve ritenersi un'esclusione implicita non avendo il giudice irrogato la pena nei minimo edittale. Deve confermarsi sul punto la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che in tema di particolare tenuita' del fatto, ritiene come la motivazione dell'esclusione puo' risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice abbia considerato gli indici di gravita' oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'articolo 133 c.p., nell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale (Sez. 5 -, Sentenza n. 15658 del 14/12/2018 Ud., dep. 09/04/2019, Rv. 275635 - 02; vedi anche Sez. 6, Sentenza n. 44417 del 22/10/2015 Ud., dep. 03/11/2015, Rv. 265065). Inoltre, deve rilevarsi che l'imputato non ha fatto specifica richiesta al Tribunale di applicazione dell'articolo 131 bis c.p. limitandosi all'udienza del 14 maggio 2021 a richiedere: "assoluzione con formula piena perche' il fatto non sussiste o non costituisce reato". 5. Segue la condanna alle spese del grado sostenute dalla parte civile costituita. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1530 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da Li. An., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati An. Sc. e Em. Lu., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. An. Sc. in Catania, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Al., con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via (...); Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per l'annullamento a) quanto al ricorso introduttivo: - della deliberazione di n. 21 del 16/05/2017 con la quale il Consiglio Comunale approvava il progetto preliminare dei lavori per la realizzazione, l'allestimento e l'acquisto di attrezzature del centro comunale di raccolta, ai sensi dell'art. 6 della L.R. 12/2011; - della deliberazione di G.M. n. 61 del 10/07/2017; - del parere igienico sanitario emesso dall'Unità Operativa Igiene Pubblica - Distretto di Gravina di Catania, dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Catania il 18 ottobre 2016; - ove esistente di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ai succitati atti e provvedimenti: b) quanto ai motivi aggiunti: - della determina dirigenziale dell'11 luglio 2017 numero 47, non comunicata, avente ad oggetto: "progetto dei lavori per la realizzazione, l'allestimento e l'acquisto di attrezzature di un'isola ecologica (Centro Comunale di Raccolta) per la raccolta differenziata CUP J83J000340004. Approvazione progetto esecutivo"; - ove esistente, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ai succitati atti e provvedimenti. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2022 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I ricorrenti, premesso di essere tutti "abitanti e proprietari di immobili nella zona di via (omissis)" del Comune di (omissis), hanno impugnato, con il ricorso introduttivo in epigrafe, i seguenti provvedimenti: a) la deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) del 16 maggio 2017 n. 21, avente ad oggetto: "Progetto dei lavori per la realizzazione, l'allestimento e l'acquisto di attrezzature di un'isola ecologica (Centro Comunale di Raccolta) per la raccolta differenziata CUP J83J12000340004 - Approvazione progetto preliminare"; b) la deliberazione di Giunta del 10 luglio 2017 n. 61 avente ad oggetto: "Progetto dei lavori per la realizzazione, l'allestimento e l'acquisto di attrezzature di un'isola ecologica (Centro Comunale di Raccolta) per la raccolta differenziata CUP J83J12000340004 - Approvazione progetto esecutivo"; c) il parere igienico sanitario emesso dall'Unità Operativa Igiene Pubblica - Distretto di Gravina di Catania, dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Catania il 18 ottobre 2016. Hanno rappresentato i deducenti di avere impugnato, con precedente ricorso, la Deliberazione di G.M. n. 30 del 12 maggio 2016, con la quale la Giunta - revocando la precedente deliberazione - ha (ri)localizzato il "Centro raccolta dei rifiuti" sulle aree residenziali di Via (omissis); questo T.A.R. ha respinto il detto ricorso con sentenza n. 18 del 9 gennaio 2017 e i ricorrenti, con ricorso n. 645 del 2017, hanno impugnato la sentenza innanzi al C.G.A.R.S. Avverso gli atti in epigrafe, gli odierni ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi: I) Vizi derivanti da atti presupposti: Sulla violazione delle norme urbanistiche: a) Violazione e falsa applicazione dell'art. 41 quinquies, commi 8 e 9, legge 17 agosto 1942, n. 1150. Violazione del P.R.G. del Comune di (omissis) e della relativa zonizzazione, nonché delle norme tecniche di attuazione - Violazione dell'art. 32, comma 2, lett. b) della legge n. 142/1990 come recepito in Sicilia dall'art. 1, l.r. n. 48/1991. Violazione degli artt. 3 e segg. della l.r. 27 dicembre 1978, n. 71. I ricorrenti lamentano che il centro comunale di raccolta sia stato localizzato in area ricadente in Zona "F3a" "Verde attrezzato per lo sport", con destinazione incompatibile con la realizzazione di una "discarica"; ciò peraltro a fronte della previsione "non derogabile" nella sottozona F2.a della localizzazione delle "discariche", di cui i "centri raccolta rifiuti" costituirebbero "l'esatta equivalenza classificatoria e tecnico funzionale". Ove l'amministrazione avesse voluto compiere scelte diverse avrebbe dovuto modificare la destinazione urbanistica con variante (di competenza del consiglio comunale e non della giunta), previa verifica della resistenza degli standard urbanistici generali e specifici. b) Difetto d'istruttoria e di motivazione sotto il profilo dell'omessa valutazione dei profili ambientali e sanitari - Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, all. 1, D.M. Ambiente 8 aprile 2008 e violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 36.3 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. Parte ricorrente ritiene che il Comune di (omissis) avrebbe omesso ogni istruttoria circa i potenziali danni alla salute (che la giurisprudenza citata in ricorso ritiene necessaria), preferendo il sito in questione solo perché vicino (anzi dentro) il centro abitato. c-d) Difetto d'istruttoria di motivazione in relazione all'omessa valutazione di aree alternative a quella prescelta - omessa valutazione di soluzioni alternative -violazione dei principi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa - illogicità e arbitrarietà manifeste - contraddittorietà esterna con precedenti atti - difetto di motivazione - arbitrarietà e ingiustizia manifesta - sviamento di potere (terzo e quarto motivo di ricorso). L'amministrazione non avrebbe compiuto alcuna verifica sulla presenza di siti comunali alternativi a quello prescelto, limitandosi a sostenere di non disporre di altre aree idonee alla realizzazione del centro; l'ente non avrebbe nemmeno preso in considerazione la possibilità di stipulare accordi con i Comuni limitrofi, già dotati di centri di raccolta differenziata (come Trecastagni, Aci S. Antonio, Valverde, Zafferana Etnea, Aci Bonaccorsi), al fine di avvalersi di tali centri, in conformità a quanto previsto dal D.M. Ambiente 8.4.2008; né avrebbe preso in considerazione le aree ricadenti in zona F2a del p.r.g., specificamente destinate al conferimento di rifiuti a norma dell'art. 37.3.3 delle n. t.a., né ancora di quelle ubicate in contrada Monteserra (di cui dispone in quanto già acquisite). La scelta del Comune di (omissis) si porrebbe, poi, in evidente contraddizione con la precedente deliberazione di G.M. n. 79/2014, che - modificando, a sua volta, la delib. n. 102/2011 di localizzazione del CCR in Via (omissis) - aveva individuato l'area di contrada Monteserra per la realizzazione del centro comunale di raccolta. Non assumerebbero rilievo le considerazioni relative a presunti risparmi di spesa che discenderebbero dalla localizzazione del centro nell'area residenziale di via (omissis), in quanto, da una parte, recessive rispetto agli altri e superiori interessi in gioco e, dall'altra, inconferenti sotto molteplici aspetti; analogamente inconducente sarebbe l'assunto secondo cui la realizzazione dell'opera nella zona in contestazione determinerebbe per gli utenti un vantaggio, trattandosi di area servita dalla rete viaria di scorrimento urbano per facilitare l'accesso agli utenti. II) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione - violazione dei principi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa omessa valutazione dei profili ambientali e sanitari. L'asserito risparmio verrebbe smentito dal quadro economico del progetto, del tutto ana a quello stimato per la realizzazione del centro nell'area non residenziale di contrada Monteserra. La necessità e l'urgenza di realizzare l'impianto onde "raggiungere prima possibile gli obiettivi di raccolta differenziata imposti dalla legge" sarebbero ragioni che verrebbero meno ove si osservi la elevata percentuale di raccolta differenziata raggiunta dal comune tramite la raccolta porta a porta, consentendo l'accesso alla tariffa agevolata senza la realizzazione del centro di raccolta dei rifiuti. Il parere igienico-sanitario presenterebbe evidenti "vizi della funzione", in quanto generico e privo di qualsivoglia valutazione in ordine alla compatibilità del centro di stoccaggio di rifiuti con le attività antropiche adiacenti: esso, peraltro, reso sulla precedente versione del progetto acquisito il 27 ottobre 2016, non terrebbe conto delle modifiche apportate dal progettista a seguito delle osservazioni rese dal rup il 5 maggio 2017. III) Violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 comma 9 della legge regionale Sicilia numero 12 del 12 luglio 2011 "Disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Recepimento del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del d.p.r. 5 ottobre 2010, numero 207 e successive modifiche ed integrazioni". Il progetto del centro raccolta rifiuti è stato approvato dall'amministrazione comunale facendo applicazione dell'art. 6, co. 9, l.r. n. 12 del 2011, che riguarda opere pubbliche non conformi alle destinazioni di piano, consentendo eccezionalmente alle amministrazioni l'approvazione senza preventive varianti nelle ipotesi ivi previste e nella sussistenza di motivate ragioni di pubblico interesse idonee a giustificare il ricorso alle procedure in questione. Nel caso, l'amministrazione sarebbe incorsa in molteplici violazioni e in particolare: a) l'amministrazione avrebbe erroneamente applicato il procedimento in questione riservato alle ipotesi in cui le aree siano destinate a servizi analoghi a quelli da approvare e realizzare, mentre nel caso si tratterebbe di tipologie di servizi differenti (essendo le aree di via (omissis) destinate ad attrezzature sportive); b) l'amministrazione, specificando che lo specifico servizio di cui alla destinazione di zona F3a (verde attrezzato per lo sport) non è regolamentato dal decreto interministeriale 2.4.1968 n. 1444 da standard urbanistici minimi, avrebbe in tal modo inteso "giustificarsi" circa l'utilizzo di detta operazioni ermeneutica. Gli assunti su cui poggiano le deliberazioni impugnate sarebbero però erronei e contrastanti con la lettura e lo spirito dell'art. 6, co. 9, l.r. n. 12 del 2011, avendo piuttosto l'ente l'obbligo di avviare, in conseguenza dell'approvazione del progetto, il procedimento di variante di cui agli artt. 6 e segg. della l. n. 167 del 1962. In subordine, l'amministrazione avrebbe comunque omesso la verifica obbligatoria della inesistenza di "modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standards urbanistici minimi da norme nazionali o regionali". E ancora le deliberazioni in questione non sarebbero comunque sorrette da quelle "motivate ragioni di pubblico interesse" richieste dall'art. 6 cit. 2. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio ed ha controdedotto alle censure articolate in ricorso, chiedendone il rigetto. 3. Con ordinanza n. 668 del 5 ottobre 2017 è stata respinta l'istanza cautelare, "Considerato che vengono impugnati provvedimenti conseguenti ad altri provvedimenti impugnati con ricorso del 2016, rigettato con sentenza di questa Sezione n. 18 del 09.01.2017". 4. Con motivi aggiunti depositati in data 31 ottobre 2017, parte ricorrente ha impugnato la determina dirigenziale dell'11 luglio 2017 n. 47, non comunicata, avente ad oggetto: "progetto dei lavori per la realizzazione, l'allestimento e l'acquisto di attrezzature di un'isola ecologica (Centro Comunale di Raccolta) per la raccolta differenziata CUP J83J000340004. Approvazione progetto esecutivo". Parte deducente ha, quindi, riproposto le censure di cui al ricorso introduttivo, articolando, altresì, i seguenti motivi: IV) Eccesso di potere per contraddittorietà esterna - violazione della delibera consiliare 48 del 2014 - Violazione e falsa applicazione della legge 100 del 2012, recante disposizioni urgenti per il riordino della Protezione civile - Difetto di motivazione. Le censure dedotte troverebbero ulteriore conferma, quanto a contraddittorietà, nella violazione di precedenti atti adottati dal medesimo Comune, di approvazione del piano di emergenza di intervento per rischio vulcanico, atteso che segnatamente con la deliberazione consiliare del 7 agosto 2014 n. 48 tali aree sono state destinate ad aree di emergenza in caso di eventi calamitosi. V) Incompetenza - Violazione dei principi di nominatività e tassatività dei provvedimenti amministrativi. Il comune ha, con l'atto dirigenziale impugnato con i motivi aggiunti, riapprovato il medesimo progetto già approvato con deliberazione di giunta, prima, e del consiglio comunale, poi, con ciò rendendo evidente la contraddittorietà del proprio operato. Il testo della determina, peraltro, non consentirebbe di rintracciare la natura dell'atto e i presupposti normativi legittimanti. 5. Le parti hanno successivamente scambiato memorie e parte ricorrente ha, altresì, depositato documentazione. 6. Con ordinanza n. 1637 dell'1 luglio 2019, il Collegio ha disposto incombenti istruttori nei confronti dell'Azienda sanitaria provinciale di Catania e del Comune di (omissis). 7. L'Azienda sanitaria ha adempiuto con la produzione di documentazione e di relazione in data 28 ottobre 2019, mentre nulla ha depositato il Comune resistente. 8. In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato perizia e memoria. 9. Alla pubblica udienza del 22 giugno 2022 il ricorso è stato posto in decisione. DIRITTO 1. La vicenda contenziosa in esame ha ad oggetto la legittimità di atti (approvazione del progetto preliminare ed esecutivo, nonché parere dell'Azienda sanitaria in relazione al centro di raccolta differenziata) conseguenti ad altri (localizzazione del "centro raccolta dei rifiuti" sulle aree residenziali di Via (omissis)) già impugnati con ricorso (r.g. 1248 del 2016) proposto dai medesimi soggetti e respinto da questo T.A.R. con sentenza n. 18 del 9 gennaio 2017, a sua volta impugnata dai ricorrenti, con ricorso n. 645 del 2017, innanzi al C.G.A.R.S. Va dato atto che quest'ultimo giudizio, nelle more, si è concluso con sentenza del giudice di appello n. 377 del 2021, la quale, pur ritenendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare il ricorso inammissibile per carenza delle condizioni di azione (legittimazione ad agire e comunque interesse ad agire), ha ciò nondimeno evidenziato le ragioni per le quali l'appello principale fosse (oltre che inammissibile) anche infondato, confermando, infine, la sentenza appellata. 2. In via preliminare, il Collegio si pone la pregiudiziale questione della ammissibilità del ricorso in esame avuto riguardo alla legittimazione e all'interesse ad agire che il giudice di appello, come sopra anticipato, ha ritenuto insussistente nell'impugnazione degli atti preliminari a quelli impugnati nel presente giudizio (accogliendo l'appello incidentale e dichiarando inammissibile -oltre che infondato - l'appello principale). Ha ricordato, in particolare, il C.G.A.R.S. nella citata sentenza che: "La giurisprudenza ha chiarito che la sfera dei soggetti legittimati a ricorrere avverso atti di gestione urbanistica del territorio "va circoscritta allorché gli interventi abbiano carattere urbanistico di portata generale, idonei a coinvolgere potenzialmente interessi pubblici riguardanti l'intera collettività ; ragion per cui per contestare le scelte amministrative non è sufficiente la sola prossimità del ricorrente rispetto ai luoghi interessati dall'azione amministrativa, tranne che egli sia in grado di allegare una specifica lesione o il rischio di pregiudizi effettivi da essa derivanti" (C.S., III^, 4 febbraio 2016, n. 441; IV^, 22 febbraio 2013, n. 922; Id., 28 maggio 2012, n. 3137, V^, 29 agosto 2012, n. 4643). Con specifico riferimento alla prova del danno che grava sul ricorrente che si duole della localizzazione di una discarica di rifiuti in prossimità della propria abitazione, la giurisprudenza ha affermato che "la mera vicinanza di un'abitazione ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento di approvazione dell'opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa egli riceva nella sua sfera giuridica, o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze" (CGA, sez. giurisdiz. 19 marzo 2014, n. 145; C.S.; V^, 4 giugno 2007, n. 3191)". E ancora ha aggiunto che: " ... il sopra richiamato orientamento giurisprudenziale, formatosi in materia di "discariche" di rifiuti, appare applicabile anche al caso in esame concernente un "centro di raccolta differenziata di rifiuti, come riaffermato in un precedente giudizio concernente - come nel caso di specie - proprio la realizzazione di una c.d. "isola ecologica" (C.S., V, 16 aprile 2013, n. 2010). Quanto al pregiudizio paventato, secondo la giurisprudenza citata gli appellanti avrebbero dovuto dimostrare in cosa esso si concretizzerebbe". Ha quindi concluso che, nello specifico caso all'esame, non era stata fornita alcuna prova circa "lo specifico danno - personale e diretto - che l'isola ecologica provocherebbe a ciascuno di essi", limitandosi i deducenti "a denunciare in modo generico il danno che, a loro giudizio, subirebbe l'ambiente; nonché il danno alla quiete ed alla salute dei residenti della zona di via (omissis)". Conseguentemente nel caso non era espressa "una posizione giuridica differenziata da quella della generalità degli abitanti della zona, né comunque una posizione generalizzata unitaria posto che alcuni residenti potrebbero essere addirittura portatori di un interesse e/o di un'aspettativa diametralmente opposti a quelli degli appellanti (non essendo da escludere che taluni fra essi potrebbero essere favorevoli all'istituzione del servizio di raccolta differenziata a tal punto da concordare anche con la localizzazione effettuata dal Comune).". Ha infine rilevato la detta decisione del CGA che, se anche non si sia trattato di difetto di legittimazione ad agire (atteso che "non mancava affatto la titolarità della posizione soggettiva astrattamente richiesta, che è quella di "residenti" (o di "vicini")", comunque è mancato l'interesse ad agire; "[e] che sia mancata la dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e diretto, dei vari appellanti non appare revocabile in dubbio, considerata la (già rilevata) mancanza di qualsiasi specifica indicazione in ordine alla natura ed alla tipologia e consistenza del pregiudizio lamentato", sicché il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità del ricorso. 2.1. Tale premessa si ritiene indispensabile in quanto nel presente giudizio, invece, parte ricorrente ha, in corso di causa, prodotto documentazione a supporto del prospettato pregiudizio (cfr. memorie del 27 maggio 2019 e del 20 maggio 2022; perizia e video depositati il 12 maggio 2022). In particolare, nella relazione tecnica in atti viene sostenuto il pregiudizio che essi subirebbero in conseguenza della presenza del centro di raccolta rifiuti, sia in termini di grave compromissione della vivibilità della zona (residenziale) sia in termini di pregiudizio per gli immobili intestati ai ricorrenti. Il tecnico incaricato, in particolare, ha accertato come l'impianto, "condiziona negativamente sia la vita dei residenti che il valore degli immobili". Quanto al primo pregiudizio "alla vita dei residenti" - si legge nella relazione - "influiscono negativamente sull'ambiente i rumori molesti che si generano inevitabilmente, sia con la movimentazione dei rifiuti sia attraverso l'impiego di ulteriori mezzi meccanici (ragno) che dai camion vengono trasferiti all'interno del compattatore che, a sua volta, compatta e stocca i rifiuti in attesa di conferimento definitivo. In particolare il rumore causato dai motori accesi dei mezzi meccanici per la movimentazione, quelli dei compattatori ed il via vai dei camion coinvolti nell'attività di raccolta e trasporto, ogni giorno, incessantemente, riversano i suoi effetti negativi non solo sulla salute e la qualità della vita delle persone ma anche sull'ambiente circostante". Inoltre, "la struttura della Società MI.. S.r.l., confina esattamente con il centro di stoccaggio rifiuti e a brevissima distanza trovasi ubicato (vedi planimetria e documentazione fotografica allegate) il corpo foresteria con vista diretta su di esso. Orbene, tale rumoroso e poco elegante panorama, nuoce gravemente alle abitazioni circostanti ma soprattutto nuoce all'economia della Società MI.. S.r.l., che si vede costretta a non poter accogliere nei propri alloggi nessun ospite, perché nessuno di essi vuole soggiornare in una camera con vista sul centro raccolta rifiuti urbani e con i rumori molesti che esso produce". Quanto al secondo pregiudizio, quello cioè agli immobili, le operazioni di stima svolte dal tecnico attestano "una svalutazione economica variabile da un minimo del 23% ad un massimo del 37%". Tutto ciò posto, ritiene il Collegio che, nel presente giudizio, le parti (residenti e "vicini" al centro di raccolta differenziata di rifiuti) hanno fornito prova non solo della legittimazione ad agire (vicinitas), ma anche dell'interesse, deducendo ed allegando specificamente l'asserito pregiudizio da essi subito in relazione al centro in questione, fermo restando che poi l'accertamento della effettiva lesione attiene al merito della lite; sicché, anche alla stregua delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla recente sentenza dell'Adunanza plenaria 9 dicembre 2021, n. 22, il ricorso va ritenuto nel caso di specie ammissibile. 3. Nel merito, il ricorso introduttivo e per motivi aggiunti, che per ragioni logico-giuridiche possono essere trattati congiuntamente, sono infondati per le ragioni che seguono. 4. Quanto alle ragioni urbanistiche (supra sub I e sub III), le stesse sono infondate per le ragioni - qui condivise - già espresse da questo Tribunale con la citata sentenza n. 18 del 2017, confermate dalla sentenza di appello (n. 377/2021 cit.) nei seguenti termini: "Contrariamente a quanto la Difesa degli appellanti mostra di credere, un "centro per la racconta differenziata" (altrimenti denominato "isola ecologica") non è (e non è equiparabile) ad una "discarica". Le isole ecologiche - altrimenti denominate e denominabili "ecopiazzole", "centri di raccolta", "ecostazioni" o "riciclerie" e disciplinate dal d.m. 8 aprile 2008, come modificato dal d.m. 8.7.2009 n. 165 - sono aree cittadine recintate e sorvegliate, dotate di impianti strutturali e di accorgimenti funzionali idonei ad evitare immissioni, inquinamenti e degrado ambientale, attrezzate per la raccolta differenziata dei rifiuti. Esse - ormai realizzate e funzionanti in molti Comuni italiani - rispondono all'esigenza o comunque alla tendenza (che sempre più si va sviluppando, in conformità agli standard europei, nelle Amministrazioni maggiormente sensibili alle tematiche ambientali): - di eliminare i "cassonetti" stradali, altamente deturpanti e talvolta forieri di pericoli o di inconvenienti per la salute pubblica (specie nei Comuni nei quali, per ragioni logistiche, lo smaltimento avviene con ritardo e l'accumulo di rifiuti "attorno" ai predetti cassonetti costituisce un'abitudine sociale, talvolta atavica, difficile da neutralizzare); - e di organizzare la raccolta in maniera da far conseguire all'Amministrazione talune economie di scala che spesso si tramutano in vantaggi fiscali per i cittadini (i quali conferendo i loro rifiuti presso il centro di raccolta, cumulati in modo ordinatamente differenziato, ottengono detrazioni sulla TARES). Trattandosi di un servizio generalizzato e necessario in ogni quartiere - e dunque da organizzare pervasivamente in ogni zona urbana - è fisiologico che la sua ubicazione nel tessuto urbano prescinda, tendenzialmente, dalla destinazione urbanistica delle singole aree. Esattamente come se si trattasse del servizio elettrico, idrico, del gas etc., servizi che devono operare "dovunque" e le cui strutture operative - strumentali al corretto funzionamento del servizio - vengono generalmente ubicate ovunque ciò sia necessario, utile o comunque conveniente. Ora, nel caso dedotto in giudizio la Giunta municipale: - ha deciso - e si è trattato di una scelta di politica ambientale e territoriale, perciostesso tendenzialmente insindacabile (salvo che nel caso, non ravvisabile nella fattispecie, in cui fosse viziata da errori di fatto o di calcolo obiettivamente rilevabili) - di organizzare la raccolta mediante lo strumento del "centro di raccolta differenziata"; - ed ha optato di ubicarlo all'interno di un'area - di sua proprietà - comunque ricadente all'interno di una "zona F", zona che comprende le parti di territorio destinate ad ospitare attrezzature, servizi ed impianti di interesse generale. A nulla vale opporre - come hanno fatto gli appellanti - che lo strumento urbanistico ha suddiviso le "zone F" in varie sotto-zone, con destinazioni particolari differenziate; e che la sotto-zona prescelta per ubicarvi il "centro di raccolta differenziata" risultava e risulta tuttora destinata ad "attrezzature sportive". Si è già rilevato, al riguardo - e non resta che ribadire - che il servizio di raccolta dei rifiuti costituisce un servizio pubblico che dev'essere capillarmente erogato sull'intero tessuto del territorio cittadino - nessuna zona esclusa - e che proprio per questa ragione esso necessita di strutture e di impianti che rendano possibile organizzarlo in modo idoneo a realizzare efficientemente l'obiettivo di risposta alla domanda; strutture ed impianti che, pertanto, devono poter essere ubicati ovunque ciò sia richiesto per il miglior funzionamento del servizio. Sicché non si vede in cosa possa essere censurata la condotta amministrativa tenuta dal Comune. D'altro canto il fatto che l'ubicazione di strutture strumentali all'erogazione di pubblici servizi possa prescindere, in caso di motivate ragioni di interesse pubblico, dalla regolamentazione della destinazione urbanistica, costituisce ormai un principio avallato dalla legge. L'art. 6 della l.r. n. 12/2011 - recante norme di recepimento del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - stabilisce, infatti, che per ragioni di pubblico interesse "nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l'approvazione dei progetti preliminari di lavori pubblici da parte del consiglio comunale e dei conseguenti progetti definitivi ed esecutivi di lavori pubblici da parte della giunta comunale, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano, non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo, sempre che ciò non determini modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali"." 4.1. Con specifico riferimento al lamentato difetto di istruttoria e di motivazione per i potenziali rischi all'ambiente urbano e alla salute dei cittadini, il C.G.A.R.S., con motivazioni trasponibili al caso di specie ove vengono impugnati gli atti conseguenti (approvazione del progetto ed atti correlati), in riscontro alle censure mosse avverso la sentenza di primo grado, ha chiarito che: "Gli appellanti continuano a trattare la vicenda come se il Comune avesse deciso di ubicare una vera e propria "discarica" all'interno di un'area cittadina, e ciò in violazione della regolamentazione urbanistica. Ma si è già rilevato come tale impostazione non possa essere condivisa, posto che i "centri di raccolta differenziata" - strutture di servizio tipicamente e fisiologicamente urbane - sono cosa ben diversa dalle "discariche"; e nascono con l'esclusivo scopo di migliorare il servizio di raccolta (e non già al fine di effettuare lo smaltimento o il definitivo stoccaggio dei rifiuti). In ogni caso, proprio al fine di scongiurare il rischio che l'attività di raccolta differenziata possa recare molestia ed essere causa di immissioni maleodoranti, è stato previsto espressamente che nel centro di raccolta non vengano conferite frazioni organiche umide." 5. Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della contraddittorietà della scelta dell'amministrazione comunale sotto molteplici profili e dei vizi di funzione che affliggerebbero il parere igienico-sanitario. 5.1. Anche tale motivo è infondato. Il Collegio, quanto al profilo della ritenuta mancanza di risparmio, della elevata percentuale di raccolta differenziata asseritamente già raggiunta dal comune tramite la raccolta porta a porta e più in generale quanto alla ritenuta contraddittorietà della scelta con precedenti determinazioni del Comune, condividendo le valutazioni della sentenza di questo T.A.R. n. 18/2017, non può che dare atto che l'Amministrazione comunale, nel formulare il proprio giudizio in merito, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico/economico; tale giudizio, invero, presenta, al contempo, profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa ed istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità e incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria, nel caso non sussistenti. 5.2. Quanto alle contestazioni sul parere igienico-sanitario, ritenuto dai ricorrenti generico e privo di qualsivoglia valutazione in ordine alla compatibilità del centro di stoccaggio di rifiuti con le attività antropiche adiacenti, esse sono generiche (e quindi inammissibili) e comunque infondate. Dalla relazione acquisita nel corso del giudizio dall'Azienda sanitaria provinciale di Catania è emerso che: - il progetto è stato esitato in data 18.10.2016, con parere favorevole con prescrizione; - il CRC in esame è stato previsto nel rispetto dei requisiti del d.m. 8.04.2008; - in particolare, non si prevede il conferimento di rifiuti che producono polveri o emissioni odorigene o di natura pericolosa (segue l'elencazione dei rifiuti che potranno essere conferiti e delle caratteristiche dell'impianto); - "per la tipologia dei rifiuti trattati e dalla gestione rappresentata negli elaborati di progetto soprarichiamati non si evincono rischi per la salute pubblica". Alla luce di quanto sopra e della documentazione prodotta non risulta evidente una carenza di istruttoria e, di contro, emerge il mancato riscontro da parte dell'Azienda di rischi per la salute pubblica. I ricorrenti insistono, anche con l'ultima memoria, sulla circostanza che il parere sarebbe stato reso sulla precedente versione del progetto acquisito il 27 ottobre 2016 e che non terrebbe conto delle modifiche apportate dal progettista a seguito delle osservazioni rese dal rup il 5 maggio 2017, ma non deducono in cosa consistano tali modifiche e le ragioni per le quali esse richiedano una integrazione del detto parere (o un nuovo parere). Né l'addotta circostanza che esso sia stato reso dopo otto giorni dimostra, in sé, che carente sia l'istruttoria. Ritiene, inoltre, il Collegio di condividere sul punto quanto specificato dalla sentenza di questo T.A.R. n. 18/2017 cit., secondo cui "peraltro, eventuali violazioni del d.m. citato [d.m. Ambiente 8 aprile 2008] laddove prevede che "l'allestimento del centro rispetti tutte le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente, nonché di sicurezza sul lavoro e che l'attività non determini rischi per l'ambiente ovvero inconvenienti per immissioni e non pregiudichi il paesaggio e i siti di particolare interesse" potranno eventualmente riguardare la concreta operatività del centro, ovvero le modalità di deposito e di gestione, ma allo stato non sono configurabili e non influiscono, quindi, sulla legittimità delle scelte relative alla localizzazione dell'opera"; né - aggiunge il Collegio - nella presente fase appaiono evidenti violazioni del d.m. in questione per quanto sopra esposto. 6. Deduce, altresì, parte ricorrente (supra sub IV) l'eccesso di potere per contraddittorietà e la violazione della deliberazione consiliare n. 48 del 2014, in quanto tale scelta non terrebbe conto dell'approvazione del piano di emergenza di intervento per rischio vulcanico, atteso che segnatamente con tale deliberazione consiliare tali aree sono state destinate ad aree di emergenza in caso di eventi calamitosi. Ancora una volta va sottolineata la discrezionalità della scelta dell'amministrazione in relazione all'apprezzamento dei vari interessi pubblici coinvolti, sicché anche tale censura non merita accoglimento. 7. Con ulteriore motivo (supra sub V) deduce parte ricorrente infine incompetenza e violazione dei principi di nominatività e tassatività dei provvedimenti amministrativi. Il comune ha con l'atto impugnato con i motivi aggiunti riapprovato con determina dirigenziale il medesimo progetto, già approvato con deliberazione di giunta, prima, e del consiglio comunale, poi, con ciò rendendo evidente la contraddittorietà del proprio operato. 7.1. Anche tale censura è infondata. Va premesso che la citata sentenza del C.G.A.R.S., con argomentazioni condivisibili, ha affermato che varie sono le ragioni per cui la censura di incompetenza - lì proposta nei confronti della giunta in relazione all'atto di individuazione dell'area - non merita accoglimento: "Innanzitutto in quanto la realizzazione del "centro di raccolta differenziata" non implicava e non implica, per tutto quanto precedentemente rilevato ed affermato, alcuna modifica del P.R.G. E in secondo luogo in quanto ai sensi degli artt. 48 e 107 del d.lgs. n. 207 del 2000 (T.U.E.L.) l'individuazione dell'area ove ubicare l'"isola ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti" costituisce un'attività afferente la funzione di indirizzo, funzione che compete all'organo esecutivo.". Ciò posto, quanto all'approvazione del progetto esecutivo, che assume rilievo nel caso di specie, essa compete al soggetto titolare di funzioni dirigenziali avuto riguardo alle direttive e alla programmazione dell'amministrazione; ciò per la specificità degli aspetti tecnici connessi al progetto esecutivo, non venendo in considerazione, in tale fase, aspetti discrezionali di opportunità politica bensì mere valutazioni di tipo tecnico, in ossequio al principio di ripartizione delle competenze tra organi gestionali e organi di indirizzo politico-amministrativo sancito nell'ordinamento degli enti locali (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 1.06.2012, n. 2610). Ne consegue che nessun vizio di incompetenza (né di evidente contraddittorietà ) è predicabile nei confronti dell'atto dirigenziale impugnato con i motivi aggiunti. 8. Conclusivamente, il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti sono infondati. 9. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo a favore del Comune resistente; nulla si dispone nei confronti dell'Azienda Sanitaria Provinciale non costituita. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna parte ricorrente alle spese di lite che liquida complessivamente in Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre accessori di legge se dovuti, a favore del Comune di (omissis); nulla si dispone nei confronti dell'Azienda Sanitaria Provinciale, non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Pancrazio Maria Savasta - Presidente Agnese Anna Barone - Consigliere Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MARINI Luigi - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26-03-2021 del Tribunale di Brindisi; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ZUNICA Fabio; lette le conclusioni rassegnate del Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa MANUALI Valentina, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. lette le conclusioni rassegnate del Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, dal dall'avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 26 marzo 2021, il Tribunale di Brindisi condannava (OMISSIS) alla pena di Euro 280 di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli articoli 81 e 659 c.p., a lui contestato per avere arrecato disturbo al riposo e alle occupazioni di (OMISSIS), mediante produzione e propagazione di ripetuti e insopportabili rumori provenienti dal sottostante locale bar denominato "(OMISSIS)" gestito da (OMISSIS), con frequenza giornaliera e in diverse ore serali e notturne; in (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza del Tribunale pugliese, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa contesta sia la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato che il trattamento sanzionatorio, osservando, quanto al primo aspetto, che in sede di istruttoria non e' affatto emerso che (OMISSIS) abbia gestito il locale, risultando provato in via documentale che della gestione del locale si era occupato il figlio (OMISSIS), non essendo dimostrata alcuna gestione di fatto da parte del ricorrente, ne' potendosi ritenere dirimente in tal senso l'erronea affermazione della persona offesa, con la conseguenza che alcuna posizione di garanzia poteva essere riconosciuta in capo all'imputato. Rispetto alla determinazione della pena, invece, la difesa eccepisce la carenza di motivazione al riguardo, non avendo il Tribunale speso alcuna argomentazione rispetto al diniego delle attenuanti generiche e dei benefici di legge. Con il secondo motivo, oggetto di doglianza e' la violazione degli articoli 190, 495 e 526 c.p.p., rilevandosi che il giudice ha fatto costante riferimento alla querela, che tuttavia non e' stata mai acquisita ai fini della decisione. 3. Con memoria del 10 marzo 2022, il difensore di (OMISSIS), nel replicare alle conclusioni di Procuratore generale, ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile perche' manifestamente infondato. 1. Iniziando dalle censure in punto di responsabilita', deve osservarsi che la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato non presenta criticita'. In primo luogo, occorre rilevare, in risposta al secondo motivo di ricorso, che, nella disamina degli elementi probatori acquisiti, il Tribunale ha fatto correttamente riferimento non alla querela della persona offesa, menzionata solo a pag. 1 come dato storico, ma alla deposizione dibattimentale della querelante, di cui sono stati riportati a pag. 2 i passaggi ritenuti salienti ai fini della configurabilita' del reato, per cui deve escludersi che il giudizio di colpevolezza sia stato fondato su atti non acquisiti legittimamente al fascicolo processuale. Cio' posto, l'ascrivibilita' al ricorrente della condotta illecita, non contestata nella sua dimensione oggettiva, risulta fondata su considerazioni aderenti alle acquisizioni probatorie che, in quanto non manifestamente illogiche, non appaiono suscettibili di essere messe in discussione in sede di legittimita'. Al riguardo infatti il giudice monocratico, nel ripercorrere i fatti di causa, ha rimarcato il ruolo di (OMISSIS) di gestore di fatto del bar amministrato formalmente dal figlio, da cui provenivano i rumori molesti in danno della (OMISSIS). Tale accertamento di fatto, scaturito dalle dichiarazioni della persona offesa, la cui abitazione era ubicata sopra il bar, risulta contestato nel ricorso in maniera non adeguatamente specifica, non risultando dirimente in tal senso il dato formale secondo cui il legale rappresentante del bar era il figlio del ricorrente. E, del resto, il dato della costante presenza di (OMISSIS) nell'esercizio commerciale formalmente riconducibile al figlio non risulta smentito neanche dal diretto interessato, il quale, per come si legge nel ricorso, ha ammesso di "aiutare il figlio", pur escludendo di avere potere gestori, affermazione quest'ultima che tuttavia e' rimasta priva di un adeguato conforto probatorio in sede di merito. Di qui la manifesta infondatezza delle censure in punto di responsabilita'. 2. Anche rispetto al trattamento sanzionatorio, la pronuncia gravata risulta immune da censure: e invero il giudice monocratico, a fronte di un reato punito con pena alternativa, ha optato per la pena pecuniaria in luogo di quella detentiva, fissandolo in 280 Euro di ammenda, ovvero in misura inferiore al gia' esiguo massimo edittale (309 Euro), per cui non puo' affatto affermarsi che il trattamento sanzionatorio sia stato ispirato da criteri di particolare rigore, e tanto anche in considerazione dell'estensione temporale delle condotte illecite, iniziate nel 2015 e protrattesi, secondo il racconto della querelante, fino al 2017. In assenza di espresse richieste in sede di conclusioni (riportate nell'intestazione della sentenza di primo grado), non appare infine censurabile il diniego delle attenuanti generiche e dei benefici di legge, non potendosi peraltro sottacere che la relativa doglianza risulta formulata in termini generici, non essendo state cioe' illustrati nel ricorso gli elementi suscettibili di positivo apprezzamento che avrebbero giustificato il riconoscimento delle attenuanti e dei benefici invocati. 3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere del ricorrente di provvedere al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teres - Consigliere Dott. TUDINO Alessandrin - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/04/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo; udito il difensore (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. In parziale riforma della sentenza di primo grado, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni nei confronti di (OMISSIS), perche' riconosciuto colpevole del delitto di atti persecutori in pregiudizio di questi, la Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha escluso che la sospensione condizionale della pena, concessa all'imputato, fosse subordinata al pagamento di quanto determinato a titolo di risarcimento del danno. 2. Nell'interesse di (OMISSIS) ricorre il difensore e denuncia, con due motivi, quivi enunciati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.: - la violazione degli articoli 157 e 158 c.p., e il vizio di motivazione: eccepisce, sul punto, che, avuto riguardo alla data di proposizione della querela, ossia il (OMISSIS), in cui si era cristallizzato il momento consumativo del contestato delitto di atti persecutori, pur tenuto conto delle sospensioni ex articolo 159 c.p. (per mesi tre e giorni sei, cfr. pag. 6, penultimo capoverso, del ricorso), la prescrizione dello stesso era maturata al piu' tardi il 4 aprile 2020; donde, la Corte territoriale, pronunciatasi dopo tale data, aveva errato nel non rilevarla e, nel far decorrere il relativo termine massimo da accadimenti verificatisi dopo la proposizione della querela medesima, aveva illegittimamente assimilato il reato abituale e il reato permanente, quand'invece, avrebbe dovuto ritenere integrati due distinti reati, al piu' avvinti dalla continuazione; - la violazione dell'articolo 612-bis c.p. e il vizio di motivazione in punto di elemento soggettivo del reato: deduce, al riguardo, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto della richiesta di archiviazione, avanzata dal P.M. nell'ambito dello stesso procedimento, nei confronti dell'imputato, dei condomini e del (OMISSIS), quand'invece dalle argomentazioni in essa sviluppate non avrebbe potuto prescindere, valendo le stesse ad evidenziare: come le condotte ascritte al (OMISSIS) - segnatamente, quelle tenute nei due episodi in egli si era scagliato contro la porta del (OMISSIS) e aveva lanciato contro di essa un uovo - fossero state isolate e, come tali, non idonee a provocare nessun nocumento; come, in ogni caso, i protagonisti della vicenda si fossero cagionati danni reciproci, di modo che sarebbe emersa l'assenza di dolo nell'imputato, il quale aveva agito al solo scopo di reagire ai rumori molesti provenienti dall'appartamento della parte offesa, la cui attendibilita', dunque, avrebbe meritato ben altro approfondimento. 3. Con requisitoria in data 2 febbraio 2022, rassegnata ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 e del Decreto Legge n. 105 del 2021, articoli 1 e 7, il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dottoressa Paola Filippi, ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. 4. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 9 febbraio 2022 il difensore dell'imputato ha concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO La sentenza impugnata deve essere annullata per le sole ragioni di seguito indicate. 1. Il primo motivo e' infondato. 1.1. Questa Corte ha affermato che, ai fini della prescrizione del delitto di "stalking", che e' reato abituale, il termine decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualita' (Sez. 5, n. 9956 del 11/01/2018, Rv. 272374; Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, Rv. 271208). Non si e' mai dubitato, in effetti, che il reato abituale si consuma nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come espressive dell'offesa al bene giuridico tutelato, fermo restando che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta lesiva dello stesso si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario, di modo che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell'ultima condotta tenuta (cosi' Sez. 6, n. 52900 del 04/11/2016, Rv. 268559, in tema di maltrattamenti in famiglia, ma, in questo senso, tra le tantissime, anche Sez. 3, n. 43255 del 19/09/2019, Rv. 277130, in tema di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione; Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018, Rv. 276309, in tema di molestie e disturbo alle persone; Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016 - dep. 20/02/2017, Rv. 269451, in tema di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria). 1.2. Di tali principi si e' fatta applicazione nella sentenza censurata, in cui, essendosi riscontrato, in conformita' alla sentenza di primo grado, che gli atti persecutori posti in essere da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) erano proseguiti anche successivamente alla data di presentazione della querela ((OMISSIS)), essendosi protratti quantomeno fino al (OMISSIS) - epoca in cui la parte civile era stata costretta a lasciare la propria abitazione, nella quale era divenuta impossibile la conduzione di una normale esistenza, per trasferirsi presso quella della sorella -, correttamente non e' stata rilevata l'estinzione del reato contestato per prescrizione, questa essendo intervenuta, per effetto del decorso del relativo termine massimo a far data dal (OMISSIS), non prima del (OMISSIS), quindi dopo la pronuncia della decisione censita. 1.3. Ne', d'altro canto, il ricorrente ha dedotto decisive evidenze atte a dimostrare l'asserita soluzione di continuita' tra le condotte persecutorie poste in essere prima della proposizione delle querela (in data (OMISSIS)) e quelle realizzate successivamente, evincendosi, di contro, dal tenore della decisione al vaglio che "il (OMISSIS) dall'anno (OMISSIS) fino agli esordi dell'anno (OMISSIS) era stato sottoposto ad una sequela di atti persecutori secondo una progressione particolarmente accentuatasi nel periodo (OMISSIS)" (pag. 3, penultimo capoverso, della sentenza impugnata). 1.4. Non e', oltretutto, revocabile in dubbio che (OMISSIS) abbia inteso ottenere il perseguimento anche degli atti persecutori successivi alla presentazione della querela, risultando dalla sentenza di primo grado (che ha richiamato quanto da lui riferito nell'esame dibattimentale del 13 novembre 2015) che egli aveva presentato nei confronti del (OMISSIS) almeno dodici atti di denuncia (tra denunce e relative integrazioni). Ne' rileva la circostanza che si sia trattato di atti non formalmente qualificabili come atti di querela, posto che deve trovare applicazione il consolidato principio di diritto secondo il quale, in tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volonta' di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, puo' essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; ne consegue che tale volonta' puo' essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonche' nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Rv. 220259; conf. Sez. 2, n. 19077 del 03/05/2011, Rv. 250318). 2. Il secondo motivo e', invece, inammissibile, perche' deduce un vizio non consentito in questa sede. L'error iuris in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nello scrutinare la questione dell'elemento soggettivo del reato e', invero, dedotto attraverso una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio e tramite la denuncia di omesso esame di una deduzione articolata con i motivi di appello, ossia quella relativa alla valutazione della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero in ordine a fatti oggetto di indagine nell'ambito dello stesso procedimento da cui e' scaturito il processo che occupa. 2.1. Cominciando dall'ultimo degli aspetti di cui il ricorrente si duole, va ricordato come sia pacifico orientamento interpretativo di questa Corte quello secondo il quale il giudice di appello non ha l'obbligo di controbattere ogni esercitazione dialettica difensiva e di confutare, una per una, tutte le argomentazioni e tutte le doglianze che sono state proposte con i motivi di impugnazione, posto che l'obbligo di motivazione puo' considerarsi adempiuto allorche' il giudice di secondo grado, senza diffondersi nella confutazione particolareggiata di un motivo di gravame, involgente la critica di un elemento di prova, dimostri, mediante l'enunciazione delle ragioni che hanno determinato la sua decisione, di aver tenuto conto di tutte le principali e decisive risultanze acquisite nel processo (Sez. 2, n. 1612 del 08/06/1976 - dep. 29/01/1977, Pavone, Rv. 135181). Cio' e' quanto accaduto nel caso di specie, in cui il giudice censurato, dopo avere passato in rassegna tutte le prove dichiarative e documentali in atti, dando conto finanche di avere visionato in Camera di consiglio le riprese video di cio' che avveniva sul pianerottolo prospicente le abitazioni dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS) e della parte (OMISSIS) allorche' vi compariva (OMISSIS) il quale, dinanzi alla prova documentale esibitagli, aveva ammesso quel che gli veniva addebitato - ha ritenuto, con valutazione condotta nei limiti della plausibile opinabilita' di apprezzamento, che i comportamenti dell'imputato - concretizzatisi in un crescendo di atti di turbativa del pacifico godimento del proprio appartamento da parte di (OMISSIS) e di minacce, protrattesi per piu' di tre anni, tali da costringere il loro destinatario ad abbandonare la propria abitazione per sottrarsi allo stillicidio persecutorio posto in essere ai suoi danni dal condomino - fossero stati animati da significativa coscienza e intensa volonta' di cagionare alla vittima un consistente disagio esistenziale, come dimostrato dalla circostanza che (OMISSIS) avesse perseverato nelle proprie condotte in danno delle cose del (OMISSIS) anche dopo che questi aveva lasciato il proprio appartamento (pag. 6, penultimo capoverso, della sentenza impugnata). 2.2. Donde, ripetuto con la giurisprudenza di questa Corte che, nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo e' integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta' di porre in essere piu' condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneita' a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicita' normativa potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv. 265230), tutte le ulteriori censure spiegate dal ricorrente sul punto si appalesano inammissibili perche' interamente versate in fatto, in quanto prive della deduzione di specifici travisamenti delle prove. 3. La non manifesta infondatezza del primo motivo impone il rilievo officioso della prescrizione del reato, maturata, come anticipato, dopo la pronuncia della sentenza impugnata: tanto comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa agli effetti penali, perche' il reato e' estinto per prescrizione, e, invece, il rigetto del ricorso agli effetti civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI MILANO SEZIONE TERZA CIVILE La Corte, riunita in camera di consiglio, composta dai giudici: dott.ssa Irene Formaggia - Presidente dott. Michele Montingelli - Consigliere dott.ssa Daniela Troiani - Consigliere rel. est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione notificato in data 16 gennaio 2020 DA (...) (C.F. (...)) in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società (...) sas di (...) srl unipersonale (P.IVA (...)), rappresentati e difesi dagli avv.ti Ma.Fe. e Ro.Ni., elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Milano, via (...), come da delega allegata in via telematica all'atto di citazione in appello APPELLANTI- APPELLATI INCIDENTALI CONTRO CONDOMINIO DI PIAZZA (...) N. 28, (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti La.So. e Fe.Ia., elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Milano, via (...), come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 11624/2019 del Tribunale di Milano,pubblicata il 16 ottobre 2019 MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 15 luglio 2016 il Condominio di Piazza (...) N. 28, M., conveniva in giudizio (...) e la società (...) sas. di (...) srl, chiedendo che l'adito Tribunale di Milano: -accertasse che l'attività esercitata nel Condominio dal (...) nei propri appartamenti e dalla società (...) sas di (...) srl negli appartamenti dalla stessa detenuti in leasing immobiliare costituiva attività di bed & breakfast ovvero attività di residenza turistico alberghiera o comunque attività avente natura ricettiva alberghiera; -accertasse che tale l'attività non era consentita dal regolamento condominiale, essendo da questo espressamente vietata la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad alberghi, ristoranti, pensioni, camere d'affitto; -accertasse che la suddetta attività non era consentita dal regolamento in quanto ledeva il decoro, la sicurezza e la tranquillità del Condominio e poiché lo stesso regolamento vietava di occupare in qualsiasi modo, anche temporaneamente, per uso che non fosse di interesse generale, i locali le aree e gli spazi di ragione comune; -accertasse che l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani era vietato dal regolamento condominiale; -ordinasse ai convenuti di cessare ogni attività di tipo turistico/alberghiero, di bed & breakfast e di affitti brevi; -ordinasse ai convenuti di cessare l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani; - fissasse, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., la somma di denaro, richiesta nella misura di Euro 3.000,00 al giorno, dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento da parte dei convenuti. (...) e (...) sas di (...) srl, ritualmente costituitisi, chiedevano che il Tribunale: -accertasse e dichiarasse che l'attività da loro posta in essere era lecita e conforme alle attività consentite dal regolamento di condominio e, per l'effetto, rigettasse tutte le domande attoree; -accertasse e dichiarasse che tale attività non ledeva in alcun modo il decoro, la sicurezza e la tranquillità del condominio e, per l'effetto, rigettasse tutte le domande avanzate da controparte. Istruita la causa con l'assunzione della prova per interrogatorio formale dell'attore e per testi, sui capitoli ammessi, il giudice di prime grado, sulle conclusioni precisate delle parti, assumeva la causa in decisione e pronunciava la sentenza n. 11624/2019, pubblicata il 16/12/2019, con la quale così statuiva: "1) accerta che l'attività di affitti brevi ad uso turistico esercitata nel CONDOMINIO corrente in PIAZZA (...) n. 28 dal Sig. (...) nei propri appartamenti e dalla società (...) S.a.s. di (...) S.r.l. negli appartamenti detenuti in leasing immobiliare, non è consentita dal Regolamento di Condominio in quanto lede il decoro e la tranquillità del Condominio e poiché lo stesso regolamento di Condominio vieta di occupare in qualsiasi modo -anche temporaneamente- per uso che non sia di interesse generale, i locali le aree e gli spazi di ragione comune; 2) accerta che l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani è vietato dal regolamento di condominio; 3) ordina al Sig. (...) e alla società (...) S.a.s. di (...) S.r.l. di cessare l'attività di affitti brevi ad uso turistico, a decorrere dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza; 4) ordina al Sig. (...) e alla società (...) S.a.s. di (...) S.r.l. di cessare l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani; 5) fissa, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., in 200 euro al giorno la somma che sarà dovuta per ogni ritardo nell'esecuzione della decisione di cui al capo 3 per ogni appartamento concesso in godimento da parte del Sig. (...) o da parte della società (...) S.a.s. di (...)S.r.l., a decorrere dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza.; 6) fissa, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., in 50 euro la somma di denaro che sarà dovuta per ogni ritardo nell'esecuzione da parte dei convenuti della decisione di cui al capo 4 da parte dei convenuti in relazione ad ogni singola violazione; 7) rigetta le altre domande attoree; 8) condanna i convenuti alla refusione delle spese del giudizio in favore del Condominio attore liquidate in ? 10.350,00 per compenso professionale e in ? 565,00 per spese, oltre rimborso spese generali 15%, I.v.a. e Cassa Avvocati alle rispettive aliquote di legge". Il primo giudice perveniva a tale decisione sulle base delle motivazioni di seguito esposte nelle linee essenziali. Nello stabile condominiale sito in M., piazza (...) n. 28, composto da sette piani fuori terra oltre ad uno seminterrato, (...) era proprietario di n. 2 appartamenti siti al quarto piano e la società (...) sas, della quale il (...) era legale rappresentante, era utilizzatrice, in forza di contratti di locazione finanziaria, di n. 5 appartamenti siti al primo piano e di n. 4 appartamenti siti al quinto piano; la società, oltre a gestire gli immobili di cui era utilizzatrice, si occupava anche della gestione degli immobili di proprietà del (...) per espresso mandato conferitole. Le predette unità immobiliari erano costituite da monolocali, bilocali e appartamenti con tre e più locali, con capienza minima di 3 ospiti e massima di 17 ospiti, in rapporto alle dimensioni; il prezzo medio a notte degli appartamenti di proprietà del (...) era di Euro 250 euro; gli appartamenti erano offerti in locazione, pubblicizzati nella home page del sito www.milanapartmentrental.it di proprietà della sas M., per lunghi o brevi soggiorni, per i fine settimana ed anche per un solo giorno. In base all'espletata istruttoria risultava provato che: - gli ospiti al momento del loro arrivo dovevano accedere alla reception collocata al piano rialzato dello stabile condominiale di via P. n. 31, contiguo a quello attoreo, per poi essere accompagnati da addetti della convenuta (...) all'appartamento preso in locazione, e al termine del soggiorno restituivano la chiave di ingresso immettendola in apposita cassetta postale; - l'appartamento era fornito ammobiliato e completo di lenzuola, asciugamani e carta igienica nonché di un kit di cortesia con sapone e bagnoschiuma; l'inquilino poteva fruire delle utenze domestiche, del servizio di riscaldamento e di condizionamento nonché di linea telefonica e collegamento wi-fi ad internet, di servizio fax, stampante e recapito postale presso la reception; - al termine del soggiorno gli addetti della (...) provvedevano alla pulizia dell'appartamento e alla sostituzione di lenzuola e asciugamani per i nuovi arrivi; -non era invece fornita la sostituzione di lenzuola e asciugamani durante il periodo della locazione. A fronte di tali incontestate circostanze, il Condominio lamentava: -la violazione dell'art. 3 lettera a) del regolamento condominiale, poiché l'attività esercitata dai convenuti costituiva di fatto un'attività alberghiera o un'attività di affittacamere "e/o" ledeva il decoro, la sicurezza e la quiete dello stabile; -la violazione dell'art. 3 lettera c), prima parte, dello stesso regolamento, a causa della permanenza di persone nell'atrio condominiale e del deposito di grossi sacchi contenenti lenzuola e asciugamani sui pianerottoli e nell'atrio; -la violazione dell'art. 3 lettera c), seconda parte, del regolamento, a causa dell'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e della biancheria. Il Tribunale escludeva che l'attività svolta dai convenuti negli appartamenti de quibus costituisse una delle specifiche attività -alberghiera o di pensione o di affittacamere-vietate dal regolamento condominiale e che la stessa potesse essere classificata come attività di bed & breakfast, non ricorrendo, in particolare, né il requisito oggettivo del servizio di prima colazione né il requisito soggettivo della conduzione familiare e non imprenditoriale dell'attività; pertanto, riteneva infondato il primo profilo di violazione del regolamento condominiale dedotto dall'attore, relativo all'art. 3 lettera a). Il primo giudice riteneva, invece, provato che l'attività dei convenuti realizzasse la lesione del decoro e della tranquillità condominiale, e ciò soprattutto in base alle deposizioni dei testi (...), abitante in uno degli appartamenti situati nello stabile condominiale, e (...), custode dello stesso stabile, le cui dichiarazioni erano riportate testualmente in sentenza, unitamente a quelle del teste (...), custode dello stabile condominiale di via P. n. 31, adiacente a quello di piazza (...) n. 28. In particolare i testi riferivano di forti rumori di giorno, di notte o al mattino presto provocati dalle persone, in arrivo o in partenza, ospitate negli appartamenti de quibus, danni a parti comuni causate da urti di trolley trascinati dai turisti, vociare di comitive in attesa di ricevere le chiavi per raggiugere gli appartamenti di destinazione, difficoltà da parte dei condomini nell'utilizzo dell'ascensore, spesso lasciato aperto dagli ospiti, irrogazione al Condominio di sanzioni per errata raccolta differenziata, soprattutto operata dagli ospiti che effettuano permanenze brevi, abbandono di sacchi della spazzatura in parti comuni dello stabile, imbrattamenti delle scale, utilizzo dell'ascensore per il trasporto di sacchi di biancheria da parte degli addetti alla pulizia degli alloggi. Il giudice di prime cure riteneva, pertanto, confermate le circostanze illustrate nell'atto di in citazione, essendo emerso un quadro di vita quotidiana del Condominio attore "scandito da eventi lesivi della tranquillità e del decoro che determinano una pessima qualità di vita cui sono costretti i condomini quasi quotidianamente, e che sono causati dalla destinazione degli immobili gestiti dai convenuti per affitti brevi ad uso turistico" ed essendo quindi accertata l'idoneità in concreto della destinazione contestata a pregiudicare "il pericolo di danno allo stabile e agli abitanti di esso" e "il decoro alla casa", in violazione della lettera a) dell'art. 3 del Regolamento di Condominio. Inoltre, la provata permanenza di persone nell'atrio condominiale e il deposito dei grossi sacchi contenenti lenzuola e biancheria sui pianerottoli e nell'atrio integravano la violazione l'art. 3, lettera c), prima parte, del regolamento Condominiale e l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e della biancheria, che aveva trovato riscontro nelle assunte testimonianze, era in contrasto con la seconda parte dell'art. 3, lettera c) del Regolamento. Veniva quindi ordinata la cessazione delle predette attività da parte dei convenuti, con le ulteriori statuizioni sopra trascritte. Avverso tale sentenza proponevano tempestivo appello (...) e (...) sas di (...) srl, i quali, sulla base dei motivi di impugnazione infra esposti, chiedevano che l'adita Corte d'Appello, in riforma della sentenza impugnata, previa sospensione dell'esecutività della stessa, accertasse e dichiarasse che l'art. 3 del regolamento condominiale integrava una "servitù atipica", che comprometteva il godimento pieno ed esclusivo delle proprietà delle singole unità immobiliari ed era conseguentemente a loro inopponibile, poiché i relativi pesi/limitazioni avrebbero dovuto essere trascritti nei registri immobiliari in apposita e specifica nota separata dalla trascrizione dell'atto di acquisto, il che non era avvenuto, con conseguente violazione degli artt. 1138, 1350, 2643, 2655, 2659 e 2665 cod. civ., in conformità al recente orientamento giurisprudenziale sancito dalle sentenze della Corte di legittimità n. 6769 del 19/3/2018 e n. 25139 del 8/10/2019 e recepito dalla giurisprudenza di merito; inoltre, chiedevano che fosse accertato e dichiarato che l'attività posta in essere dai convenuti era lecita e conforme alle attività consentite dal regolamento condominiale, con conseguente rigetto di tutte le domande proposte dal Condominio. Gli appellanti instavano altresì affinché fosse accertato e dichiarato che l'attività posta in essere dagli appellanti non ledeva in alcun modo il decoro, la sicurezza e la tranquillità del Condominio, con conseguente rigetto delle domande formulate nei loro confronti. In subordine, chiedevano che fossero revocate "le misure di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c. disposte ai punti 5) e 6) del dispositivo della Sentenza in quanto manifestamente inique e comunque determinate in maniera del tutto discrezionale ed avulsa dai presupposti di legge" e, in ulteriore subordine, che fosse ridotta ad equità la misura delle stesse. Costituitosi ritualmente, il Condominio di Piazza (...) N. 28, M., in via preliminare chiedeva che, ai sensi dell'art. 164, terzo comma, c.p.c., fosse dichiarata la nullità dell'atto di citazione in appello per inosservanza del termine di comparizione, con fissazione di nuova udienza nel rispetto del detto termine. In proposito evidenziava che tra la notifica dell'atto di appello, avvenuta il 16 gennaio 2020, e la data dell'udienza di comparizione ivi indicata, cioè 30 aprile 2020, intercorreva un termine inferiore ai 90 giorni liberi stabiliti dall'art. 163 bis c.p.c., a causa della sospensione straordinaria, dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 stabilita dall'art. 83 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 convertito in L. n. 27 del 2020, e 36 D.L. 8 aprile 2020 n. 23, convertito in L. n. 40 del 2020. In via subordinata, chiedeva che, "se non già precedentemente disposto con il decreto di rinvio del 14/17 aprile 2020", fosse fissata nuova udienza in applicazione dell'art. 83 co. 2 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in L. n. 27 del 1920), "considerando che l'originario termine a ritroso per la costituzione ricadeva nel periodo di sospensione" e, in via ulteriormente gradata, accogliesse l'istanza ai sensi dell'art. 153, secondo comma, c.p.c. circa la tempestività della comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale del 7 settembre 2020. Nel merito instava affinché fossero respinti i motivi di gravame, in quanto inammissibili e infondati. L'appellato Condominio proponeva altresì appello incidentale, chiedendo che la Corte, in parziale riforma della sentenza impugnata, accertasse la natura ricettiva dell'attività esercitata dagli appellanti negli appartamenti di proprietà o detenuti in leasing, accertasse che tale attività non era consentita dall'art. 3 lett. a) del regolamento di Condominio, che vietava espressamente di destinare i locali ad alberghi, ristoranti, pensioni, camere d'affitto, dando atto che tali specificazioni erano esemplificative e non tassative, e quindi ordinasse agli appellanti di cessare ogni attività di tipo turistico/alberghiero e di affitti brevi, fissasse in Euro 3.000,00 al giorno, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., la somma di denaro dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Sempre in via di appello incidentale, gli appellanti chiedevano che la Corte dichiarasse l'attività esercitata dagli appellanti non consentita dall'art. 3 lett. a) del regolamento condominiale, poiché integrante "pericolo di danno allo stabile ed agli abitanti di esso", ordinando la cessazione dell'attività e fissando in Euro 3.000,00 al giorno, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., la somma di denaro dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Alla prima udienza in data 29 settembre 2020 i procuratori delle parti insistevano nelle rispettive istanze e difese; indi la Corte, a scioglimento dell'assunta riserva, pronunciava ordinanza del seguente tenore: "Il Collegio non ravvisa i presupposti per accogliere le questioni preliminari sollevate dal difensore dell'appellato Condominio, con particolare riferimento ai profili concernenti l'osservanza del termine per comparire e la tempestività della costituzione della stessa parte appellata, tenuto conto dell'intervenuta fissazione di nuova udienza di comparizione ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (convertito con modificazioni in L. n. 27 del 1920) e dell'art. 36 del D.L. n. 23 dell'8 aprile 2020 (convertito con modificazioni in L. n. 40 del 2020). Con riguardo all'istanza degli appellanti di sospensione dell'efficacia esecutiva dell'impugnata sentenza, ad una prima valutazione, tipica della fase cautelare, non vi è evidenza di fumus boni iuris, atteso che la decisione del Tribunale appare fondata su una motivazione scevra da manifeste incongruità ed evidenti errori logico-giuridici, salvo più approfondita disamina in sede di decisione definitiva. Quanto al periculum in mora, quello prospettato dagli appellanti non risulta idoneo a giustificare la richiesta inibitoria, trattandosi solo delle naturali conseguenze della pronuncia di primo grado. Detta istanza va, quindi, respinta. Infine, in accoglimento dell'istanza formulata in comparsa di costituzione e ribadita dal difensore all'odierna udienza, senza opposizione ad opera di controparte, l'appellato Condominio di piazza (...) n. 28 - (...) va autorizzato a produrre nuovamente in giudizio, entro il 30 novembre 2020, i documenti, già prodotti in primo grado, contrassegnati dai numeri 4), 30), 50) e 51), essendo gli stessi indicati dalla parte come non presenti nel fascicolo di parte di primo grado al momento del ritiro nella Cancelleria del Tribunale e non rinvenuti nonostante ricerche. Si precisa che, come già autorizzato dal giudice di primo grado con Provv. del 9 aprile 2017, i documenti 50) e 51) potranno essere depositati materialmente nella Cancelleria di questa sezione della Corte, trattandosi di filmati su supporto CD-ROM non producibili in via telematica. P.Q.M. la Corte d'Appello - rigetta l'istanza degli appellanti di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata; - autorizza l'appellato Condomino di piazza (...) n. 28 - (...) a produrre nuovamente in giudizio, nei modi e termini sopra precisati, i documenti nn. 4), 30), 50) e 51), già prodotti in primo grado; - rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 20 aprile 2021, ore 9.15". Stante il permanere dell'emergenza sanitaria per la pandemia da COVID-19 e della vigenza della normativa emergenziale, tale udienza era sostituita dallo scambio e dal deposito telematico delle conclusioni ad opera dei procuratori delle parti, che vi provvedevano come in epigrafe trascritto; indi, con ordinanza emessa il 20 aprile 2021, comunicata in pari data, la Corte tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti, ai sensi dell'art. 190 c.p.c., termine di giorni 60 per il deposito telematico delle comparse conclusionali e successivo termine di giorni 20 per il deposito telematico delle memorie di replica. La causa era infine discussa e decisa nella camera di consiglio del 19 luglio 2021. Preliminarmente va ribadita l'infondatezza dell'eccezione formulata dall'appellato Condominio di nullità della citazione in appello per asserita inosservanza del termine a comparire di 90 giorni liberi, previsto dall'art. 163 bis c.p.c. L'atto di citazione in appello è stato notificato il 16 gennaio 2020 con udienza di comparizione indicata per il giorno 30 aprile 2020 e quindi, stante la sospensione straordinaria dei termini processuali dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 stabilita dall'art. 83 D.L. 17 marzo 2020, convertito in L. n. 27 del 2020, e dall'art. 36 D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito in L. n. 40 del 2020, viene lamentata dall'appellato l'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge. Peraltro, come già evidenziato con l'ordinanza collegiale del 27 settembre 2020, tale deduzione non coglie nel segno, poiché in applicazione della citata normativa, dettata per l'emergenza sanitaria derivata dalla pandemia da COVID-19, l'udienza di comparizione è stata differita al 29 settembre 2020, risultando pienamente rispettato il termine a comparire. Va anche ribadita la tempestività del deposito della comparsa di costituzione con appello incidentale effettuato dall'appellato Condominio in data 7 settembre 2020, e quindi nel rispetto del termine di venti giorni antecedenti l'udienza del 29 settembre 2020, considerato che il termine a ritroso per la costituzione rispetto all'udienza fissata dagli appellati per il 30 aprile, rinviata ex art. 168 bis, quarto comma, c.p.c. al 5 maggio 2020, ricadeva integralmente nel periodo della sospensione straordinaria predetta, dovendo quindi trovare applicazione l'art. 83, comma secondo, D.L. 17 marzo 2020, secondo cui "quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto". Passando ad esaminare le ragioni del gravame, da rilevato che con il primo motivo di impugnazione gli appellanti (...) sas lamentano "inopponibilità agli appellanti delle clausole del regolamento di condominio che compromettono il godimento pieno ed esclusivo delle proprietà delle singole unità immobiliari in quanto "servitù atipiche" e quindi i relativi pesi/limitazioni devono essere trascritti in apposita e specifica nota separata dalla trascrizione dell'atto di acquisto e conseguente violazione degli artt. 1138, 1350, 2643, 2655, 2659 e 2665 cod. civ.". In proposito, gli appellanti evidenziano che secondo il più recente orientamento della Corte di legittimità, che ha trovato espressione in pronunce successive alla instaurazione, nel 2016, del giudizio di primo grado (in particolare, Cass. n. 6769 del 19 marzo 2018 e Cass. n. 25139 dell'8 ottobre 2019), le clausole del regolamento condominiale contrattuale predisposto dall'originario costruttore, unico proprietario dell'intero edificio, sono volte a restringere i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà e quindi devono qualificarsi come servitù atipiche, la cui opponibilità ai terzi acquirenti richiede la trascrizione del relativo peso, mediante indicazione, in apposito nota di trascrizione distinta da quella dell'atto di acquisto, delle specifiche clausole limitative, non essendo sufficiente il generico rinvio al regolamento contrattuale. Evidenziano altresì gli appellanti che la questione relativa alla mancata trascrizione della predetta clausola non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, bensì di un'eccezione in senso lato, rilevabile per la prima volta in appello. Pertanto, secondo la difesa appellante, le clausole limitative della destinazione delle proprietà esclusive contenute nel regolamento condominiale, tra cui quella prevista dall'art. 3, della cui violazione si discute, non sono opponibili al (...) ed alla società (...) sas in quanto non sono oggetto di specifiche note di trascrizione ex art. 2659 cod. civ., atte a far conoscere ai terzi acquirenti del bene la loro portata e il perimetro di applicazione. L'appellato Condominio si oppone all'accoglimento del motivo di gravame in esame, affermandone l'inammissibilità e l'infondatezza. Con riferimento al profilo di inammissibilità, l'appellato deduce la violazione dell'art. 342 c.p.c., in quanto non sarebbero state indicate le parti della sentenza in contrasto con la prospettata tesi dell'inopponibilità del regolamento contrattuale agli appellanti; inoltre, invoca l'operatività del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c., sottolineando come la vincolatività del regolamento condominiale non sia mai stata messa in discussione dal (...) e dalla (...) sas nel primo grado di giudizio. Sostiene poi parte appellata che, contrariamente a quanto affermato dagli appellanti il rilievo relativo alla mancata trascrizione del regolamento costituisce un'eccezione in senso stretto, non rilevabile d'ufficio, e quindi assoggettata al divieto di nuove eccezioni in appello sancito dall'art. 345 c.p.c. Secondo l'appellato la ragione di gravame in esame sarebbe in ogni caso infondata, avendo la sentenza stabilito l'inosservanza delle regole generali di convivenza, di sicurezza e di uso dei beni condominiali e non avendo accolto le domande del Condominio in relazione ai vincoli alla destinazione delle singole unità immobiliari. Parte appellata evidenzia, poi, che il regolamento condominiale è un atto pubblico depositato presso il notaio A.R., registrato a Milano il 20 settembre 1951, e che gli appellanti prima dell'instaurazione del contenzioso non avevano mai negato di conoscerne il contento, essendosi limitati a contestarne l'applicabilità all'attività in concreto esercitata, come evidenziato dai verbali dell'assemblea condominiale prodotti in giudizio, il che sarebbe sufficiente a ritenere provata l'opponibilità del regolamento medesimo ai predetti, atteso che la conoscenza reale ed effettiva del regolamento e il richiamo dello stesso nell'atto di acquisto dell'immobile, anche in assenza di trascrizione, sarebbero condizioni sufficiente per la sua vincolatività. In proposito parte appellata evidenzia che negli atti di acquisto delle unità immobiliari facenti capo agli appellanti risulta indicato che la parte acquirente dichiara di conoscere, di accettare e di impegnarsi a rispettare il regolamento di condominio, allegato al predetto atto a rogito Notaio (...). Inoltre, "anche a voler prescindere dagli atti di provenienza", parte appellata evidenzia come sin dal 2006 gli appellanti fossero a conoscenza delle limitazioni contenute nel regolamento condominiale, atteso che dal verbale dell'assemblea condominiale in data 7 aprile 2006 risulta che l'amministratore aveva sottolineato espressamente il divieto posto dall'art. 3 alla destinazione delle unità immobiliari ad uso di albergo, pensione, camere d'affitto, ristorante, ecc., e il predetto (...) aveva precisato che le sue unità immobiliari sarebbero state cedute il locazione in forza di "regolari contratti di affitto senza contravvenire a quanto previsto dall'art. 3 del regolamento di condominio". Considerata la stretta connessione con il profilo in esame, va a questo punto rilevato che il Condominio appellato ha proposto appello incidentale, censurando la valutazione del Tribunale che ha escluso l'applicazione alla fattispecie in esame del divieto, sancito dall'art. 3 lett. a) del regolamento condominiale, di destinazione delle unità immobiliari ad uso, tra l'altro, di "alberghi, pensioni e camere d'affitto", non avendo ravvisato nell'attività svolta dai convenuti nelle loro unità immobiliari le caratteristiche distintive di tali specifiche destinazioni. Al riguardo il Condominio sostiene che l'originario costruttore attraverso il divieto in esame intendeva vietare qualsiasi attività ricettiva imprenditoriale, indipendentemente dalla sua attuale qualificazione, essendo ammesse soltanto le destinazioni a civile abitazione o uffici commerciali; quindi la sentenza avrebbe errato nell'interpretazione del regolamento, non avendo ritenuto che con tale atto fosse stata preclusa qualsiasi attività di alloggio svolta con modalità commerciale. In ogni caso, l'appellato considera che, contrariamente a quanto valutato dal primo giudice, l'attività in concreto svolta dagli appellanti nelle unità immobiliari de quibus, per le caratteristiche emerse in giudizio e delineate dallo stesso Tribunale nell'impugnata decisione, può essere ricondotta alla nozione di "albergo", "pensione" e/o "camera d'affitto" alla luce della vigente normativa nazionale e regionale. Il tema dell'opponibilità ai terzi acquirenti - e quindi anche agli attuali appellanti - delle clausole del regolamento condominiale contrattuale limitative della facoltà di destinazione delle proprietà immobiliari di proprietà esclusiva, è rilevante al fine della decisione in ordine ai motivi di appello principale e incidentale testé delineati. In proposito, va anzitutto rilevato che, secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte di legittimità (cfr. Cass. 6769 del 19/3/2018, Cass. n. 3852 del 17/2/2020), la questione relativa alla mancata trascrizione in un'apposita nota di una clausola del regolamento di condominio contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, bensì di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie. A fronte di ciò, deve essere affrontato in questa sede di gravame il tema, sollevato per la prima volta con l'atto di gravame, della opponibilità o meno agli appellanti della clausola del regolamento condominiale che vieta -per quanto qui interessa- la destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva ad "alberghi", "pensioni" e "camere di affitto", non essendo ravvisabile, d'altro canto, l'asserita inammissibilità ex art. 342 c.p.c. della ragione di gravame, che, contrariamente a quanto eccepito da parte appellata, risulta dotata di sufficiente specificità. Al riguardo questo Collegio ritiene di poter aderire all'orientamento reiteratamente espresso dalla Corte di legittimità (cfr. Cass. 19 marzo 2018 n. 6769, Cass. 18 ottobre 2016 n. 21024), secondo cui deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive -quale risulta, avuto riguardo alla fattispecie in esame, la suddetta clausola dell'art. 3 del regolamento del Condominio di Piazza (...) 28- "in modo da incidere non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino". Come chiarito dalla Suprema Corte, l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, con riferimento alla trascrizione del relativo peso, "mediante l'indicazione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 cod. civ., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale". Pertanto, sono soggette alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell'art. 2645 cod. civ. le convenzioni costitutive di servitù documentalmente inserite nel testo del regolamento condominiale e, "ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell'edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un'unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l'opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente. All'atto dell'alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono all'esistenza, fino all'esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune. In assenza di trascrizione, le disposizioni del regolamento, che stabiliscano i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto. In mancanza, cioè, della certezza legale della conoscenza della servitù da parte del terzo acquirente, derivante dalla trascrizione dell'atto costitutivo, occorre verificare la certezza reale della conoscenza di tale vincolo reciproco, certezza reale che si consegue unicamente mediante la precisa indicazione dello ius in re aliena gravante sull'immobile oggetto del contratto" (cfr. Cass. n. 6769/2018, nello stesso senso Cass. n. 25139/2019). Nel caso in esame non si sono realizzate le condizioni testé indicate, che non ammettono equipollenti, essenziali per l'opponibilità ai terzi acquirenti -e quindi anche agli attuali appellanti- delle limitazioni alla destinazione delle proprietà esclusive previste dalla clausola del regolamento condominiale contrattuale sopra richiamata, atteso che dette disposizioni regolamentari, costitutive delle indicate servitù, non risultano oggetto di apposita nota di trascrizione, e che, d'altra parte, negli atti di acquisto aventi ad oggetto le unità immobiliari facenti capo agli attuali appellanti risulta richiamato il vigente regolamento di condominio, complessivamente considerato, senza alcuno specifico riferimento ai limiti posti ai poteri e alle facoltà dei singoli condomini in relazione alla destinazione delle unità immobiliari, costituente, come sopra evidenziato, "ius in re aliena". Sussiste, dunque, l'eccepita inopponibilità agli attuali appellanti della clausola del regolamento condominiale (art. 3 lett. a, seconda parte) che vieta, tra l'altro, la destinazione delle proprietà esclusive ad "albergo", "pensione" e "camere d'affitto", e, di conseguenza, risulta superato il tema d'indagine, sollevato dal Condominio con l'appello incidentale, relativo all'accertamento della volontà dell'originario costruttore al fine di verificare se quest'ultimo, con la clausola regolamentare in esame, avesse o meno inteso "vietare qualsivoglia attività ricettiva imprenditoriale, indipendentemente dalla sua odierna qualificazione" e non può trovare accoglimento la richiesta, proposta in via di appello incidentale dall'appellato Condominio, di accertare che l'attività posta in essere dagli appellanti non è consentita dall'art. 3 lett. a) del regolamento condominiale, "dandosi atto che le attività ivi specificate sono esemplificative e non tassative". Va a questo punto considerato che l'accertata inopponibilità agli appellanti delle suddette specifiche limitazioni poste dal regolamento condominiale all'utilizzo delle unità immobiliare di proprietà esclusiva non esclude certo la vigenza e l'operatività anche nei confronti del (...) sas dell'obbligo di rispetto della regole di comportamento che disciplinano la civile convivenza nell'ambito del condominio e di cui costituisce espressione riassuntiva la prima parte dell'art. 3, lett. a) del regolamento, secondo cui "ogni godimento che possa arrecare pericolo di danno allo stabile e agli abitanti di esso, o che contrasti con il decoro della casa che si vuol destinare ad uso di civile abitazione od uffici commerciali e professionali". Come emerso chiaramente dall'ampia istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, l'attività di affitti brevi ad uso turistico esercitata dal (...) negli appartamenti di sua proprietà e dalla (...) sas negli appartamenti condotti in leasing, siti nel Condominio attuale appellato, è foriera di pericolo di danno per lo stabile e per le persone che vi abitano ed è lesiva del decoro della casa, da intendersi quale contegno complessivo idoneo ad esprimere la dignità del luogo e a garantire la civile convivenza e la tranquillità all'interno del Condominio, e, a parere di questo Collegio, contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, sotto questo profilo la sentenza di prime cure non risulta connotata da "erronea ricostruzione dei fatti di causa sia rispetto all'inattendibilità delle testimonianze assunte sia rispetto al contenuto delle prove documentali prodotte dal condominio ed erronea applicazione dei canoni ermeneutici al concetto di "decoro della casa", conseguente violazione degli artt. 2697 c.c. e degli artt. 115-116 c.p.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1370, 1371 c.c." (secondo motivo di gravame). In proposito appare opportuno evidenziare il quadro probatorio che è emerso dall'approfondita attività istruttoria svolta dal Tribunale, e in particolare dalle testimonianze, di (...), moglie di un condominio, abitante in un appartamento sito al settimo piano dello stabile, in modo saltuario dal 2011 e stabilmente dal 2015, di (...), portinaio del Condominio dal 1998, ivi residente, addetto alla custodia, alla pulizia ed alla rotazione di sacchi della spazzatura, e di (...), custode dello stabile condominiale di via P. n.31, adiacente a quello di Piazza (...) n. 28. Come analiticamente riportato nella sentenza impugnata, dalle dichiarazioni rese dai testimoni risulta quanto di seguito esposto:"1) forti rumori di giorno, di notte o al mattino presto provocati dalle persone ospitate negli appartamenti dei due convenuti che, spesso, giungono nello stabile o ripartono dallo stesso a notte fonda o al mattino presto (dich. teste (...) e teste (...)); 2) danni ai gradini d'ingresso, ai cardini ed agli stipiti dell'ascensore e alle serrature del portone di ingresso provocati dalle persone in arrivo od in partenza che spesso urtano gli stipiti dell'ascensore o gli spigoli delle scale con i trolley (dich. teste (...) e teste (...); vedi fotografie prodotte sub doc 28 di danni agli stipiti e ai gradini; consuntivi degli anni 2013, 2014, 2015 sub doc. 17, 18 e 19 con le numerosi voci riferite ad interventi di sostituzione o sistemazione della serratura e del pulsante di apertura del portone di ingresso, dei pomoli o delle serrature degli ascensori); 3) vociare sia di giorno che di notte nelle parti comuni da parte delle persone chespesso arrivano in comitiva e sostano in attesa di ricevere istruzioni per accedere agli appartamenti da parte di addetti all'uopo incaricati dagli odierni convenuti (dich. teste (...) e teste (...)); 4) danni al portone d'ingresso che, inoltre, viene lasciato aperto (dich. teste (...) e teste (...) e dichiarazioni del Sig. (...), chiamato a rendere l'interpello nel filmato sub. doc. 51 che ammetteva che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2017 un suo inquilino aveva provocato il danneggiamento del cilindro della serratura del portone di ingresso e la rottura del vetro dello stesso portone e riferiva che lui aveva sostenuto le spese della riparazione; mentre non è emerso che l'episodio di danneggiamento cui si riferisce il filmato 50 sia da ricondurre agli inquilini dei convenuti); 5) disagio per i condomini che devono salire o scendere con l'ascensore che rimane fermo poiché spesso gli ospiti non chiudono la porta dell'ascensore (dich. teste (...)); 6) irrogazione di numerose sanzioni per errata raccolta dei rifiuti da parte degli ospiti, che pernottano solo nei weekend, e quindi non hanno il tempo di impratichirsi o di conoscere l'articolata normativa comunale in tema di raccolta differenziata dei rifiuti urbani (cfr. dich. teste (...) e V., anche se quest'ultimo ha riferito solo in relazione ai bidoni del Condominio di cui è custode); 7) abbandono dei sacchi della spazzatura nei locali comuni dello stabile (dich. teste (...) e si vedano anche le foto sub doc. 35, fasc. att.); 8) rumori e grida degli ospiti che si recano nel cortile per gettare i sacchi dell'immondizia chiudendo dietro di sé la porta, di cui non hanno la chiave, e rimanendo, pertanto, bloccati nel cortile sino a quando qualcuno venga ad aprirgli la porta (dich. teste (...) e teste (...)); 9) imbrattamenti con liquidi appiccicosi sulle scale (dich. teste (...) e teste (...))". Le censure di inattendibilità dei testimoni (...) e (...), formulate dagli appellanti, sono del tutto prive di fondamento, atteso che i predetti non risultano portatori di personali interessi in causa e che la loro stretta relazione con la realtà condominiale, lungi dall'essere causa di inattendibilità, li rende soggetti particolarmente informati sui fatti per cui è giudizio e quindi fonte di indicazioni qualificate e rilevanti ai fini della decisione; né si ravvisano contraddizioni o incongruenze fra le dichiarazioni rese dai testimoni, risultando le deposizioni del tutto coerenti. Deve poi osservarsi che il primo giudice ha ritenuto non ravvisabile nella condotta degli attuali appellanti un pericolo per la sicurezza dei condomini, atteso che "l'episodio riferito dalla teste (...) e oggetto del filmato prodotto sub doc. 51 dall'attore è rimasto isolato nel tempo" (si tratta di un episodio in cui alcune persone, ospiti degli appartamenti degli attuali appellanti, in evidente stato di ebbrezza, avevano dato luogo a schiamazzi e comportamenti molesti, tanto che vi fu l'intervento della Polizia e fu riscontrata la rottura del portone di ingresso). Il Condominio appellato, in via di appello incidentale, chiede che, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, venga statuito che l'attività esercitata dagli attuali appellanti integra pericolo di danno per lo stabile e per gli abitanti dello stesso e che quindi anche per tale ragione ne venga ordinata la cessazione. In proposito deve osservarsi che in realtà il Tribunale ha già accertato che la destinazione delle unità immobiliari per cui è giudizio è idonea in concreto a pregiudicare "il pericolo di danno allo stabile e agli abitanti dello stesso" oltre che il "decoro della casa (pag. 15 della sentenza), e si è limitato ad escludere che sussista un pericolo più specifico per la "sicurezza dei condomini" derivante da tale attività, e tale valutazione si ritiene vada confermata, non potendo un unico episodio, quale quello descritto, giustificare l'ulteriore statuizione pretesa dal Condominio. La Corte ritiene meritevole di conferma anche la pronuncia del primo giudice che ordina agli attuali appellanti la cessazione dell'uso -confermato dalle assunte testimonianze- degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani utilizzati dagli ospiti, che si avvicendano per brevi soggiorni (la stessa difesa appellante indica una permanenza media di tre notti) negli appartamenti degli appellanti e che fruiscono all'inizio del soggiorno di biancheria pulita, che viene ritirata alla fine della permanenza. Tale utilizzo del servizio comune di ascensore è in palese contrasto con il regolamento condominiale contrattuale, il cui art. 3 lett. C), vincolante per tutti i condomini, prevede che "è vietato usare gli ascensori per scopi qualsiasi all'infuori del trasporto di persone", senza alcuna distinzione tra ascensore principale e ascensore di servizio. D'altro canto, non ha pregio la doglianza di parte appellante che censura la statuizione del Tribunale affermando che il trasporto della biancheria in questione dovrebbe essere equiparato a quello, da sempre ammesso, del trasporto della spesa o dei piccoli pacchi che i condomini comunemente portano con sé in ascensore. Invero, le caratteristiche della condotta di cui trattasi, posta in essere dal personale addetto per conto degli appellanti, ha caratteristiche per nulla sovrapponibili a quelle proprie del normale utilizzo dell'ascensore da parte di chi abita nello stabile o lavora negli uffici ivi esistenti, atteso che, come confermato dal teste (...), custode del Condominio, i sacchi contenenti biancheria e lenzuola vengono trascinati "anche con l'ausilio di pedate" nell'ascensore, e che quando la maggior parte degli appartamenti del (...) sono occupati l'addetto alla lavanderia si reca nello stabile condominiale anche due volte al giorno, portando con sé "un carrello molto grande, e con i sacchi occupa l'ascensore di servizio per in po' di tempo". Orbene, considerato che gli appartamenti nei quali viene esercitata dagli appellanti l'attività di affitti brevi ad uso turistico sono ben undici e che, come indicato dalla stessa difesa appellante, la permanenza media degli ospiti è di tre notti (v. pag. 68 atto d'appello), appare del tutto corretta la statuizione del primo giudice, stante l'intensità e l'elevata frequenza di utilizzo dell'ascensore da parte degli addetti alla gestione del cambio di biancheria, in contrasto con la previsioni del regolamento e certamente difforme dall'utilizzo rientrante nella normale routine condominiale. Gli appellanti, con il terzo motivo di impugnazione, si dolgono di "manifesta iniquità delle misure coercitive di condanna ed incongruità delle somme fissate in violazione dell'art. 614 bis CPC". Come si è detto il primo giudice ha fissato, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., in Euro 200,00 la somma dovuta dei convenuti in primo grado, attuali appellanti, per ogni giorno di ritardo nella cessazione della "attività di affitti brevi ad uso turistico" e in Euro 50,00 la somma dovuta per ogni giorno di ritardo nella cessazione dell'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani. Gli appellanti principali (...) sas censurano dette statuizioni e ne chiedono la revoca, ritenendole "inique e comunque determinate in maniera dal tutto discrezionale e avulsa dai presupposti di legge (valore della controversia, natura della prestazione e del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile), o, in via subordinata, instano per la riduzione ad equità. L'appellato Condominio, in via di appello incidentale, chiede che la Corte incrementi ad Euro 3.000,00 la somma dovuta dagli appellanti, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione delle statuizioni, sostenendo che gli importi stabili dal giudice non sortirebbero un reale effetto deterrente, considerata la notevole redditività e il significativo volume d'affari derivante dall'attività in oggetto e le plurime violazioni poste in essere dal (...) e da (...) sas. La Corte ritiene che entrambe le censure siano infondate e non meritevoli di accoglimento, in quanto la misura di coercizione indiretta di cui all'art. 614 bis CPC è stata irrogata in presenza dei presupposti normativi ed è stata determinata nella suddetta misura (Euro 200,00 ed Euro 50,00), che appare congrua e rispettosa dei parametri di cui all'ultimo comma della norma citata, considerato che il prezzo medio a notte richiesto per la locazione degli appartamenti de quibus è di Euro 250,00 (doc. 38 Condominio). Infine, con il quarto motivo di gravame, gli appellanti (...) sas lamentano "manifesta indeterminatezza del dispositivo della sentenza nella parte in cui inibisce l'attività di "affitti brevi ad uso turistico" in violazione dell'art. 132 c.p.c.", sostenendo che l'espressione usata dal Tribunale sarebbe foriera di incertezze e confusione e li potrebbe esporre al rischio di dover pagare ingenti somme al Condominio a titolo di penale, in assenza di una più precisa indicazione giuridica sull'attività effettivamente inibita. Anche in questo caso la ragione di impugnazione non è fondata. Emerge chiaramente dall'ampia motivazione della sentenza del Tribunale che l'attività di cui viene ordinata la cessazione, per le ragioni evidenziate, è rappresentata dalle locazioni di breve durata, caratterizzate dal continuo avvicendamento di ospiti occupanti gli appartamenti per pochi giorni, le quali rappresentano incontestatamente l'oggetto dell'attività esercitata dagli appellanti all'interno delle unità immobiliari site nel Condominio di piazza (...) n. 28, considerato che nello stesso atto di appello si sottolinea che il fatturato di (...) sas "è sostanzialmente ricavato dalla gestione delle locazioni brevi con un valore della produzione che si attesta interno agli 800.000,00 euro annui". Non è quindi ravvisabile alcun margine di indeterminatezza nella statuizione in oggetto. In conclusione vanno respinti sia l'appello principale sia l'appello incidentale. Tenuto conto dell'esito del giudizio di gravame, che vede la reiezione di entrambe le impugnazioni, e considerata, peraltro, la preponderante soccombenza degli appellanti principali (...) sas, che hanno infondatamente censurato il nucleo essenziale della decisione di prime cure, si ravvisano i presupposti per compensare le spese processuali del presente grado in ragione di metà e per condannare (...) e (...) sas di (...) srl unipersonale, in solido alla rifusione a favore del Condominio di piazza (...) N. 28, M., della residua quota di metà delle spese, liquidate, già nella predetta frazione, in Euro 1.199,00 per la fase di studio, Euro 792,50 per la fase introduttiva, Euro 2.041,50 per la fase decisionale, oltre spese forfettarie ex art. 2, comma secondo, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. secondo legge. Detta liquidazione è effettuata in relazione allo scaglione di riferimento -indeterminabile, complessità media- con applicazione dei parametri medi, per la media difficoltà delle questioni trattate, e con esclusione della fase istruttoria, non espletata. Atteso il rigetto dell'appello, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti principali (...) e (...) sas di (...) srl unipersonale e dell'appellante incidentale Condominio di piazza (...) N. 28, M., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a mente dell'art. 13 c. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma inserito dall'art. 1 comma 17 L. n. 288 del 2012. P.Q.M. la Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) e (...) sas di (...) srl e sull'appello incidentale proposto da Condominio di piazza (...) N. 28, M., avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 11624/2019, pubblicata in data 16/12/2019, così provvede: 1) rigetta l'appello principale di (...) e (...) sas di (...) srl unipersonale; 2) rigetta l'appello incidentale del Condominio di piazza (...) N. 28, M.; 3) compensa le spese processuali del presente grado in ragione di metà e condanna (...) e (...) sas di (...) srl unipersonale, in solido, alla rifusione a favore del Condominio di piazza (...) N. 28, M., della residua quota di metà delle spese, liquidate, già nella predetta frazione, in Euro 1.199,00 per la fase di studio, Euro 792,50 per la fase introduttiva, Euro 2.041,50 per la fase decisionale, oltre spese forfettarie ex art. 2, comma secondo, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. secondo legge; 4) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti principali (...) e (...) sas di (...) srl unipersonale e dell'appellante incidentale Condominio di piazza (...) N. 28, M., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a mente dell'art. 13 c. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma inserito dall'art. 1 comma 17 L. n. 288 del 2012. Cosi deciso in Milano il 19 luglio 2021. Depositata in Cancelleria 29 marzo 2022.

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