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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3619 del 2024, proposto dalla Società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda quater, n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 60 c.p.a; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e udito per la parte appellante l'avv. Gi. Ca. Di Gi.; Vista l'istanza di passaggio in decisione senza discussione del Comune di (omissis); Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. -OMISSIS- impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso per l'annullamento dell'ordinanza n. 18 del 24.4.2023 con cui è stata intimata la demolizione di presunte opere abusive realizzate nell'immobile di proprietà della ricorrente sito in località (omissis), -OMISSIS-, ed è stata prevista, in caso di inottemperanza, la demolizione d'ufficio e l'adozione delle sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 15 e 16 della l.r. n. 15/08. 2. L'appellante lamenta l'erroneità della sentenza per le seguenti ragioni: 1) il TAR non si è in alcun modo pronunciato sulla richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, presentata in data 16.2.2023 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, la quale costituiva un elemento essenziale dell'istruttoria. L'ordine di demolizione, infatti, è logicamente incompatibile con l'art. 131-bis c.p. che esclude la punibilità di un fatto particolarmente lieve; 2) il giudice è incorso in errore nel ritenere inapplicabile l'art. 34-bis d.P.R. 380/2001 poiché il carattere di sanatoria della norma per le difformità di lieve entità la rende applicabile anche in mancanza di misure previste nel titolo abilitativo, purché nel limite massimo del 2%; 3) riguardo alla dedotta violazione dell'art. 15 della l.r. 15/2008, risulta priva di fondamento l'argomentazione della sentenza impugnata secondo cui si tratterebbe di mero avviso di irrogazione della sanzione per il caso in cui l'ordine non sia ottemperato, in quanto "è chiaro che l'irrogazione della sanzione pecuniaria avviene comunque o in via di ottemperanza, ovvero coattivamente in caso di inottemperanza". Del pari non condivisibile è la ritenuta qualificazione dell'intervento come ristrutturazione pesante ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c) del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 16 della l.r. n. 15 del 2008 poiché la particolare esiguità e tenuità del danno è stata rilevata sia in sede penale sia in sede cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3509 del 31 agosto 2023; 4) il TAR ha effettuato una valutazione degli elementi di fatto completamente diversa da quella contenuta nell'ordinanza del Consiglio di Stato n. 3509 del 31.8.2023 che ha accolto l'appello cautelare della ricorrente; 5) quanto alle opere contestate, si osserva che: l'ampliamento della superficie del piano interrato di mq. 3,00 è anteriore al divieto introdotto dall'art. 4-ter delle N.T.A. del Piano Particolareggiato Esecutivo (P.P.E.) del Comprensorio di (omissis), per cui è inconferente il richiamo al suddetto divieto; i locali tombati rientrano nell'edilizia libera ai sensi dell'art. 6, lett. e-ter, del d.P.R. n. 380/2001, sia nel senso della loro creazione, sia nel senso del loro accorpamento; la "installazione di un infisso lungo il perimetro del portico al piano terra, tamponato parte in vetro nella parte inferiore, tipo parapetto, e nella parte superiore con rete zanzariera", è contemplato al n. 10 del Glossario edilizia libera poiché la sostituzione di un vecchio parapetto comporta l'installazione di uno nuovo. 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità dell'appello per genericità dei motivi di ricorso. Nel merito, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con istanza del 24 maggio 2024 il difensore dell'appellante ha chiesto il differimento della trattazione della domanda cautelare in attesa dell'approvazione da parte del governo del c.d. "Piano Salva Casa". 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previo avviso alla parte presente ex art. 60 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve essere respinta l'istanza di rinvio formulata dall'appellante poiché l'eventuale sanabilità delle opere sulla base della sopravvenienza normativa non rileva né ai fini dell'esame dell'istanza cautelare, né ai fini della decisione di merito sulla natura abusiva dell'intervento e sulla conseguente legittimità dell'ingiunzione a demolire. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere dall'esame della (fondata) eccezione di inammissibilità dello stesso per difetto di specificità formulata dal Comune di (omissis). 7.1. Le censure articolate dall'appellante si risolvono in una mera riproposizione di quelle di primo grado, già disattese dal TAR sulla scorta di motivazioni che il Collegio condivide. 8. A quanto osservato dal giudice di primo grado è sufficiente aggiungere le seguenti considerazioni: a) l'archiviazione, disposta dal G.I.P. su conforme richiesta del P.M., del reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non fa venir meno l'abuso edilizio e non ne accerta la mancata realizzazione sul piano materiale, ma ne esclude la punibilità sulla scorta di valutazioni strettamente inerenti alla fattispecie penale, al suo disvalore e alla personalità dell'autore (pena edittale non superiore nel massimo a cinque anni, incensuratezza dell'indagato, particolare tenuità dell'offesa: cfr. decreto di archiviazione del 19.09.2023); a.1) la non punibilità prevista dall'art 131-bis c.p., infatti, non è causa di estinzione né dell'illecito penale né, a maggior ragione, dell'illecito amministrativo che deve essere obbligatoriamente rimosso mediante demolizione dell'abuso ai sensi dell'art. 31 d.P.R. n. 380/2001. Come di recente rimarcato dall'Adunanza Plenaria "la commissione di un illecito edilizio comporta la sussistenza del reato previsto dall'art. 44, comma 1, lettere a) e b), del d.P.R. n. 380 del 2001 e la lesione dei valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione. La realizzazione di opere edilizie, in assenza del relativo titolo e in contrasto con le previsioni urbanistiche, incide negativamente sul paesaggio, sull'ambiente, sull'ordinato assetto del territorio e sulla regola per la quale il godimento della proprietà privata deve svolgersi nel rispetto dell'utilità sociale". (sent. 16/2023). La non punibilità dei fatti di reato di minore disvalore risponde a ragioni di politica criminale che sono estranee alla dimensione amministrativa dell'interesse pubblico finalizzato all'ordinato assetto del territorio; b) la tesi dell'appellante per cui il regime delle tolleranze costruttive contemplato dall'art. 34- bis d.P.R. 380/2001 sarebbe applicabile anche in assenza di titolo abilitativo è smentita dal dato letterale della citata disposizione la quale è, invece, chiara nell'escludere che costituiscano violazione edilizia le difformità contenute "entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo". Le tolleranze costruttive, infatti, sono circoscritte alle sole divergenze occorse in fase esecutiva per minime imperfezioni, di regola impercettibili, emergenti dalle lavorazioni di cantiere e non possono estendersi ad intere opere non contemplate dal titolo (Cons. Stato, sez. II 15/03/2024, n. 2510; id. 3/11/2023 n. 9520, sez. VI 8/08/2023, n. 7685) e men che meno ad interventi contrastanti con la disciplina urbanistica, oltre che con quella paesaggistica, come nel caso di specie; c) l'art. 15, comma 3, l.r. 15/2008 dispone che "l'accertamento all'inottemperanza all'ordine di demolizione comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2 mila euro ad un massimo di 20 mila euro, in relazione all'entità delle opere". Poiché l'irrogazione della sanzione consegue solo all'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione -e, quindi, solo ove esso rimanga inadempiuto- correttamente il TAR ha escluso l'attualità della lesione a fronte di un mero avviso di (futura) applicazione della sanzione; d) le opere in questione, complessivamente considerate, hanno determinato un aumento della superficie utile residenziale e un conseguente un incremento della consistenza pregressa, quale risultante dai titoli già rilasciati, circostanza che ne esclude la sussumibilità nell'attività edilizia libera ai sensi dell'art. 6 d.P.R. n. 380/2001 e ne giustifica la qualificazione come ristrutturazione edilizia c.d. "pesante" ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 16 della l.r. n. 15 del 2008 (Cons. Stato, Sez. VI, 22/03/2023, n. 2928). Non vale, in senso contrario, il richiamo all'ordinanza di questa Sezione n. 3509/2023 che, nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, ha rilevato l'esiguità delle opere singolarmente considerate, riservando, tuttavia, alla sede merito il pieno scrutinio delle questioni dedotte. Come osservato dal Comune appellato, la diversa valutazione in sede di merito di un profilo oggetto di apprezzamento cautelare non assurge a vizio di motivazione della sentenza né può costituire motivo di appello; e) l'asserita anteriorità dell'ampliamento del piano seminterrato rispetto al divieto sancito dall'art. 4-ter delle N.T.A. del Piano Particolareggiato Esecutivo (P.P.E.), integra un motivo nuovo e, come tale, inammissibile poiché nel giudizio di primo grado la ricorrente ha ammesso il carattere abusivo dell'intervento, deducendo, tuttavia, che, trattandosi di opera subordinata a SCIA, la sua realizzazione sine titulo non avrebbe potuto legittimare l'applicazione della sanzione ripristinatoria bensì solo della sanzione pecuniaria (capo 1.2 della sentenza). In ogni caso, l'appellante non fornisce alcuna prova dell'anteriorità dell'intervento rispetto al divieto, non assolvendo all'onere su di essa gravante (cfr. ex multis, Cons. Stato sez. VI 8/11/2023 n. 9612) e.1) l'art. 6 lett e) ter d.p.r. 380/2001 include nell'edilizia libera solo la realizzazione di locali tombati e non l'apertura di un locale in precedenza tombato, come avvenuto nel caso di specie; e.2) l'installazione di un parapetto è un'opera distinta dalla sostituzione e non è prevista al n. 10 del glossario dell'edilizia libera che contempla solo interventi su strutture già esistenti (sostituzione, riparazione, rinnovamento e messa a norma); f) in definiva, gli interventi sono stati realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e a rischio idrogeologico in violazione delle NTA del piano particolareggiato esecutivo del Comprensorio di (omissis) che al già citato art. 4-ter vieta la realizzazione di locali di qualsiasi tipo al di sotto del calpestio del piano terra. 9. Per le ragioni sopra indicate l'appello deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 05/07/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA; lette le conclusioni del PG GIOVANNI DI LEO, nel senso dell'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Milano, quale giudice della riparazione ex articolo 314 c.p.p., ha rigettato l'istanza proposta nell'interesse di (OMISSIS) avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per la detenzione patita e ritenuta ingiusta dalla ricorrente. Trattasi di ordinanza cautelare emessa con riferimento a fattispecie di corruzione e collusione, riguardanti una piu' ampia indagine relativa ad associazione per delinquere avente struttura familiare e ricollegata alla gestione di societa' (operanti anche nel settore dei video poker), con riferimento alle quali la richiedente e' stata assolta (all'esito di giudizio di rinvio) con sentenza d'appello divenuta irrevocabile. 2. Avverso l'ordinanza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). Si deducono violazione di legge (articoli 314 e 315 c.p.p., anche in relazione agli articoli 5, 6 e 7 CEDU, articoli 111 e 117 Cost., nonche' articoli 1, 48 e 49 della Carte dei Diritti Fondamentali dell'U.E.) per aver la Corte territoriale ritenuto sussistente la colpa grave sinergica rispetto all'intervento dell'autorita', quindi ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, nonostante la mera connivenza della ricorrente con soggetti poi condannati per i reati invece contestati a (OMISSIS) a titolo di concorso di persone. In sostanza, come chiarito a pag. 40 del ricorso (primo capoverso), il giudice della riparazione avrebbe errato nel ravvisare la colpa grave sinergica non nel compimento di fatti di reato, esclusi dalla sentenza assolutoria, bensi' in comportamenti leciti e di mera connivenza con gli autori dei reati (tra cui suoi familiari, compreso il di lei marito), ritenuta non punibile dal giudice penale. 3. Ha depositato conclusioni la sola Procura Generale della Repubblica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. In una preliminare prospettiva d'insieme, deve rilevarsi che l'impugnazione in esame, la quale (a fronte delle sei pagine dell'ordinanza impugnata) si sviluppa in complessive n. 42 pagine di ricorso ed e' affidata a un unico motivo cumulativo, che alterna parti espositive di doglianza con estratti di atti del giudizio di merito e di quello penale (compresa l'ordinanza cautelare) e rinvii al diritto sovranazionale, senza alcun riferimento al caso concreto, non risulta rispondente alla tipologia di un rituale ricorso per cassazione secondo il paradigma del codice di rito e il pertinente modulo procedurale funzionale al piu' efficace disimpegno del controllo di legittimita' devoluto al Giudice di legittimita', nel pieno rispetto delle precipue finalita' istituzionali del relativo sindacato (si veda sul punto, tra le piu' recenti, Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Castaldo, Rv. 266748, che fa espliciti riferimenti a Sez. 5, n. 3214:3 del 03/04/2013, Querci, in motivazione, e a Sez. F, n. 40256 del 23/08/2016, Fechtner, in motivazione). 3. In fattispecie simili, la Suprema Corte ha gia' osservato che non e', ovviamente, questione di consistenza materiale del ricorso, quanto piuttosto dell'ineludibile esigenza di un ordinato inquadramento delle ragioni di censura nella griglia dei vizi di legittimita' deducibili a mente dell'articolo 606 c.p.p., attraverso l'individuazione, quanto piu' sintetica possibile, delle specifiche ragioni di censura che ne abilitino la proposizione. Essendo questa la funzione essenziale di un'ordinata impugnativa, e' evidente che con il relativo schema concettuale non e' compatibile un'esposizione prolissa, magmatica e caotica, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata e che riversi nel processo una quantita' enorme di informazioni e argomentazioni spesso ripetitive e ridondanti. Un'impugnazione cosi' concepita e strutturata, proprio perche' rende assai arduo il controllo di legittimita', al di la' del nominalistico richiamo all'articolo 606, si candida gia' di per se' all'inammissibilita', proprio per genericita' di formulazione, laddove per genericita' deve intendersi non solo aspecificita' delle doglianze, ma anche il tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura (Sez. 2, n. 29607 del 2019, Castaldo, cit., in motivazione, e Sez. 5, n. 32143 del 2013, Querci, cit., in motivazione; si veda altresi' Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Obambi, Rv. 274471). Si tratta difatti di un modello di ricorso inammissibile, e' stato ribadito, quello che violi l'ineludibile esigenza di un ordinato inquadramento delle ragioni di censura nell'ambito dei vizi di legittimita' deducibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p. (Sez. 6, n. 10250 del 11/10/20:17, (OMISSIS), Rv. 272725, in tema di ricorso ex articolo 625-bis c.p.p., che fa specifico riferimento a Sez. Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, Hussien, Rv. 259063). E' in particolare inammissibile il ricorso che, nel reiterare identiche doglianze seppure con sfumature diverse e nel sottoporre al giudice della impugnazione argomenti all'evidenza ridondanti, disattende il disposto dell'articolo 581 c.p.p., lettera c), la' dove prescrive l'enunciazione dei motivi con "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta". La eccessiva frammentazione del ragionamento sotteso al ricorso, la moltiplicazione di rivoli argomentativi, la sovrapposizione indistinta di fatti e di piani di indagine se, come nel caso di specie, rendono difficoltosa l'individuazione delle questioni sottoposte al vaglio dell'organo della impugnazione, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (sul tema si veda Sez. 6, n. 10250 del 2017, (OMISSIS), cit., in motivazione, la quale richiama sul punto Sez. 6, n. 10539 del 10/02/2017, Lorusso, Rv. 269379). 4. Orbene, proseguendo nel solco interpretativo di cui innanzi, l'impugnazione proposta deve considerarsi, nel suo insieme, inammissibile. 4.1. Il ricorso, in particolare, oltre a contenere (pag. 2-6) l'integrale ordinanza impugnata (compresi intestazione, dispositivo, firme e sigle), e' redatto attraverso: 1) continui richiami a segmenti di motivazioni delle sentenze dei vari gradi del giudizio penale (pag. 7-14); 2) l'inserimento dell'ordinanza cautelare genetica (compresa l'intestazione), fonte della ritenuta ingiusta detenzione, quanto a imputazioni, indagati, gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari (pag. 15-22); 3) l'inserimento di parte della sentenza penale assolutoria emessa all'esito del giudizio di rinvio, compreso il dispositivo con nominativi e sottoscrizioni del Presidente e del giudice estensore (pag. 32-38). In tale contesto, di obiettiva assenza di chiarezza e specificita', si valorizzano altresi' un'assunta (inconferente) mancanza di terzieta' del giudice della cautela, per aver egli emesso altre ordinanze con riferimento a filoni d'indagine collegati, e si fondono, si legano e si mescolano tra loro, in maniera indistinta, richiami nominalistici a norme di diritto sovranazionale (CEDU e Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE) e a decisioni di organi sovranazionali senza alcun riferimento al caso concreto (pag. 24 e ss. e pag. 39 e s.). 4.2. Trattasi, dunque, utilizzando una terminologia emblematica gia' propria delle Sezioni civili della Suprema Corte, di ricorso redatto con la tecnica del c.d. "assemblaggio" (detto anche, ricorso "farcito" o "sandwich"), in quanto si mostra quale atto redatto mediante la riproduzione di provvedimenti senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti che, peraltro, in maniera indistinta, si fondono, si legano e si mescolano tra loro e con meri richiami a norme di diritto sovranazionale e a decisioni di organi sovranazionali senza alcun riferimento al caso concreto. Tale modello strutturale di ricorso, oltre a mostrarsi in antitesi con quello emergente dal Protocollo d'intesa tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale (sottoscritto il 17 dicembre 2015), esula difatti dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generalizzata critica difettiva e inadeguata che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza A contenuto delle censure. 5. Nondimeno, anche in questo caso, superato - come e' ovvio - ogni facile impulso ad aprioristiche soluzioni decisionaili, si e' tentato di estrapolare in narrativa i profili essenziali di censura, intendendosi, cosi', ogni altro rilievo, non espressamente considerato, implicitamente disatteso vuoi perche' palesemente irrilevante rispetto al thema decidendum, vuoi perche' inutilmente reiterativo ovvero di impossibile comprensione, vuoi perche' afferente ad aspetti marginali della vicenda, assolutamente incompatibili con l'iter logico-giuridico addotto a sostegno dell'epilogo decisionale, sulla scia del modus operandi gia' accolto in casi simili dalla Suprema Corte (il riferimento e' alle citate Sez. 2, n. 29607 del 2019, Castaldo, in motivazione, e Sez. 5,, n. 32143 del 2013, Querci, in motivazione). 5.1. La ricorrente, sostanzialmente, per quanto e' dato comprendere da taluni cenni in ricorso e dalle pagine 40-42, critica la Corte territoriale per aver ritenuto sussistente la colpa grave sinergica rispetto all'intervento dell'autorita', quindi ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, nonostante la sentenza assolutoria emessa all'esito del giudizio di rinvio avesse ritenuto sussistente non la responsabilita' penale ma la mera connivenza della richiedente rispetto a reati commessi da soggetti poi condannati per fattispecie invece contestate alla ricorrente a titolo di concorso di persone. In sostanza, come chiarito a pag. 40 del ricorso (primo capoverso), il giudice della riparazione avrebbe errato nel ravvisare la colpa grave sinergica non nel compimento di fatti di reato, esclusi dalla sentenza assolutoria, bensi' in comportamenti leciti e di mera connivenza con gli autori dei reati (tra cui suoi familiari, compreso il di lei marito), ritenuta non punibile dal giudice penale. 5.2. I detti profili di censura, oltre a non cogliere la ratio decidendi sottesa al rigetto della riparazione per ingiusta detenzione sono manifestamente infondati. 5.2.1. La ricorrente, difatti, contesta l'ordinanza (pag. 4-6) laddove i giudici della riparazione individuano la colpa grave ostativa, muovendo dalla sentenza assolutoria, nel comportamento connivente della ricorrente. Quest'ultimo e' identificato nell'attivita' di tenuta della contabilita', che prevedeva anche la gestione di rilevanti somme di denaro, e di cura degli interessi di familiari (tra cui il proprio marito) nella consapevolezza della natura illecita delle relative attivita'. 5.2.2. Nei detti termini, peraltro, l'ordinanza impugnata mostra corretta applicazione dei principi governanti la materia, che la ricorrente vorrebbe acriticamente sovvertire, sia in merito all'iter logico-giuridico che deve seguire il giudice della riparazione sia circa il rilievo della connivenza ai fini dell'accertamento della condotta ostativa. Quanto al primo aspetto, deve difatti rammentarsi che in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l'ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche' in presenza di errore dell'autorita' procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita' come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263; Sez. 4, n. 21308, del 26/04/2022, Fascia, in motivazione; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952). La colpa grave di cui all'articolo 314 c.p.p., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all'equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per se', reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all'ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 15500 del 22/03/2022, Solito, in motivazione; Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamate, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082). Ne consegue dunque la correttezza dell'iter logico-giuridico seguito dal giudice della riparazione nell'accertare la colpa grave con riferimento a condotta ritenuta, dal giudice dell'assoluzione, non integrante reato ma comunque connivente. Quanto all'apprezzabilita' della connivenza, invece, va ribadito che essa puo' assumere rilievo quale causa ostativa al riconoscimento dell'ingiustizia della detenzione quando, alternativamente detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarieta' sociale volti ad impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi nel tollerare che un reato sia consumato, sempre che l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attivita' criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti avere, come nella specie, oggettivamente rafforzato la volonta' criminosa dell'agente, sebbene il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova che egli fosse a conoscenza di tale attivita' (ex plurimis: Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 290391). Sicche', si mostra esente da censure l'apparato motivazionale fondante l'accertamento della causa ostativa nella condotta connivente tenuta della ricorrente in quanto sostanziatasi nella consapevole agevolazione delle condotte dei rei per aver tenuto la contabilita', gestito rilevanti somme di denaro e curato gli interessi di familiari, tra cui il proprio marito, nella consapevolezza della natura illecita delle relative attivita' societarie. 6. In conclusione, all'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, ex articolo 616 c.p.p., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA; contro: (OMISSIS), n. (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 15/02/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILOCAMO FULVIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa LOY M. Francesca, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Bari ha confermato la decisione del magistrato di sorveglianza, che accoglieva parzialmente l'istanza proposta ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 35-ter (ordinamento penitenziario), proposta da (OMISSIS) in relazione al periodo di detenzione trascorso presso vari Istituti di pena dal 28 giugno 1999 al 21 luglio 2016. Il Tribunale di sorveglianza osservava in primo luogo che, per gli Istituti di Lodi, Reggio Emilia e Padova, relativamente ai periodi nei quali l'Amministrazione non e' stata in grado di contrastare (con allegazioni) quanto lamentato dal detenuto, si doveva considerare invertito l'onere probatorio in ragione del principio di vicinanza della prova. In secondo luogo rilevava che il magistrato di sorveglianza - per questi e per gli altri Istituti - ha ritenuto integrata la violazione dell'articolo 3 CEDU per i periodi in cui l'istante risultava ristretto in uno spazio inferiore ai 3 metri. In terzo luogo il giudice a quo affermava che le Sezioni unite Commisso, con la sent. n. 6551 del 2020 "hanno operato una distinzione tra regime chiuso e regime semiaperto: al primo consegue sicuramente la violazione, al secondo non necessariamente ove al detenuto siano assicurate adeguate attivita' al di fuori della stanza di pernottamento". Aggiungeva che "la distinzione operata dalle Sezioni unite non corrisponde a quella dei regimi detentivi di cui alla circolare n. 3663/6113 GDAP-355603 del 23 ottobre 2015 applicata agli Istituti di pena", che non fa riferimento ad un regime "semiaperto", ma al regime di "custodia aperta" e a un "regime "chiuso". Sulla base della circolare, sarebbe tale quello che prevede l'apertura delle celle "per un tempo inferiore alle otto ore giornaliere". 2. Propone ricorso per Cassazione il Ministero della Giustizia a mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, articolando due motivi. Con il primo motivo si censura la mancanza assoluta di motivazione con riferimento alla situazione concreta. Con il secondo motivo, ribadita la mancanza di motivazione del provvedimento, il ricorrente censura la violazione dell'articolo 35 Ord. Pen., per l'erroneita' del metodo di calcolo adottato per computare lo spazio minimo detentivo disponibile, avendo il giudice erroneamente detratto la superficie del letto singolo e del mobilio pensile, arredi che non incidono sulla primaria esigenza di movimento. Il Ministero evidenzia altresi' che la sola eventuale carenza di spazio, comunque dimostrata come superiore a tre metri, non e' sufficiente a ritenere che sia stato violato l'articolo 3 Convenzione EDU e che il giudice ha completamente omesso ogni valutazione sui fattori compensativi, che, se avesse valutato in concreto, avrebbe ritenuto sufficienti per superare la forte presunzione di trattamento inumano e degradante riconnessa all'asserita carenza di spazio minimo detentivo disponibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato e merita accoglimento. 2. Preliminarmente va rilevata la fondatezza della censura, articolata in entrambi i motivi di ricorso, relativa alla mancanza assoluta di motivazione, che e' vizio di violazione di legge, quale unico motivo di ricorso che puo' essere proposto in questa materia a norma dell'articolo 35-bis Ord. Pen., comma 4-bis. (Sez. 1, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Ministero della giustizia, Rv. 26235601). 3. Proprio tale ipotesi si registra nel caso di specie, potendosi riscontrare la mancanza grafica di motivazione ovvero come il giudice a quo abbia totalmente omesso l'esame concreto delle condizioni detentive del (OMISSIS) nei singoli Istituti di pena, cosicche' l'apparato argomentativo dell'ordinanza appare assente sia con riguardo al tema del calcolo dello spazio minimo detentivo che in relazione alla sussistenza di eventuali fattori compensativi. 4. Tale mancanza impone l'annullamento con rinvio per nuovo esame delle deduzioni del D.A.P. con libere valutazioni di merito, da condursi con ottemperanza ai seguenti principi di diritto. 4. In primo luogo occorre rilevare come questa Corte, pronunziando a Sezioni Unite (n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso, Rv. 280433-02), ha affermato, con specifico riferimento al profilo di lesione integrato dalla ristrettezza dello spazio all'interno della camera di pernottamento, che, in caso di spazio a disposizione pro-capite inferiore ai 3 metri quadri, esiste per vincolo convenzionale una forte presunzione di disumanita' del trattamento, superabile dalla compresenza di fattori compensativi che (costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente liberta' di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attivita'), se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell'articolo 3 della CEDU derivante dalla disponibilita' nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibilita' di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione. Tali fattori compensativi devono essere esaminati in concreto per ogni periodo di detenzione nei singoli Istituti gia' individuati nella richiesta presentata ai sensi dell'articolo 35-ter Ord. Pen.. 5. Le Sezioni Unite, nella citata sentenza n. 6551 del 2021, Commisso, Rv. 280433-01, hanno anche enunciato il principio di diritto secondo cui, "nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinche' lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione EDU, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello". Le Sezioni Unite hanno cosi' preso posizione, dirimendola negativamente in modo espresso e univoco, sulla questione relativa alla possibilita' di computare nello spazio individuale minimo disponibile per il detenuto all'interno della cella la superficie occupata, appunto, dal letto a castello. Il medesimo Consesso non si e' pronunciato in modo altrettanto chiaro in ordine alla computabilita', o meno, nello spazio detentivo minimo pro-capite, ai fini dell'applicazione dell'articolo 3 CEDU, della superficie occupata dal letto singolo. Un recente arresto di legittimita', intervenuto sul punto (Sez. 1, n. 18681 del 26/04/2022) - dopo aver sottolineato l'importanza cruciale attribuita a detti fini dalle Sezioni Unite e dalla giurisprudenza della Corte EDU alla liberta' di movimento del detenuto all'interno della cella, e aver osservato che "la considerazione secondo cui il letto singolo puo' essere utilizzato per finalita' ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, non rileva per la decisione in punto di sovraffollamento" - ha aggiunto che "il principio affermato dalle Sezioni Unite faceva espresso riferimento allo spazio occupato dal letto a castello", ma non escludeva affatto "che la superficie occupata dai letti singoli non d(ovesse) essere detratta". Cio' nondimeno, dalla citata sentenza delle Sezioni Unite ha preso spunto un consistente indirizzo giurisprudenziale, che, valorizzando un passaggio della motivazione, ha ritenuto che la superficie del letto singolo vada sempre computata nello spazio minimo detentivo pro-capite, trattandosi di arredo suscettibile di spostamento che, come tale, non ostacola il libero movimento nella cella (ex plurimis: Sez. 6, n. 38565 del 11/10/2022; Sez. 1, n. 20786 del 26/04/2022; Sez. 1, n. 12774 del 15/03/2022, Talia, Rv. 282850-01; Sez. 6, n. 39197 del 28/10/2021; Sez. 1, n. 2597 del 12/01/2021, n. 2597). 6. Il Collegio non condivide questa conclusione. Ritiene, al contrario, che l'intero costrutto logico-giuridico della richiamata decisione delle Sezioni Unite conduca a un esito diverso e diametralmente opposto. L'unico esito, del resto, idoneo a ricondurre a unita' la giurisprudenza della Corte di cassazione e a esaltarne la funzione di nomofilachia, intesa come garanzia dell'uniforme interpretazione della legge e dell'unita' del diritto oggettivo nazionale, se si considera che proprio in materia di risarcimento da inumana detenzione - da tempo e senza eccezioni, prima e dopo le Sezioni Unite penali "Commisso" - viene affermato dalle Sezioni civili della Corte il principio secondo cui, ai fini del calcolo rilevante ai sensi dell'articolo 35-ter Ord. Pen., va scomputata "l'area destinata ai servizi igienici e agli armadi appoggiati, o infissi, stabilmente alle pareti o al suolo ed anche lo spazio occupato dai letti (sia a castello che singoli), che riducono lo spazio libero necessario per il movimento, senza che, invece, abbiano rilievo gli altri arredi facilmente amovibili, come sgabelli o tavolini". Invero, affermano tali pronunce, nel caso del letto singolo come in quello del letto a castello e' "compromesso il "movimento" del detenuto nella cella: infatti, se e' vero che lo spazio occupato dal primo e' usufruibile per il riposo e l'attivita' sedentaria, e' anche vero che tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal "movimento", il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente "libero"" (Cass. civ., Sez. 6, n. 5441 del 18/02/2022; Sez. 1, n. 5064 del 24/02/2021; Sez. 3, n. 1170 del 21/01/2020, Rv. 656636-01; Sez. 1, n. 25408 del 10/10/2019; Sez. 3, n. 16896 del 25/06/2019; Sez. 3, n. 4561 del 15/02/2019; Sez. 1, n. 4096 del 20/02/2018, Rv. 647236-01). 7. A ben vedere, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite "Commisso", contiene due proposizioni: una principale e l'altra che della prima rappresenta il corollario, arricchito quest'ultimo da un'esemplificazione. Tali distinte proposizioni costituiscono l'esito di un percorso argomentativo complesso, nel quale le Sezioni Unite pervengono alla determinazione delle modalita' di calcolo della superficie detentiva minima pro-capite attraverso la preliminare definizione del concetto di spazio detentivo individuale minimo. 8. La prima proposizione recita: "(N)ella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati (...) si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella". Si tratta di un principio direttivo chiaro, che le Sezioni Unite enucleano dal complesso della giurisprudenza della Corte EDU, opportunamente selezionata secondo i criteri di rilevanza indicati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 348 e 349 del 2007, n. 311 del 2009, n. 236 e 303 del 2011, n. 49 del 2015; v. anche Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054-01). In particolare, per pervenire a tale principio, le Sezioni Unite approfondiscono due passaggi della sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muri c. Croazia, quelli che affermano che "il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili" e che "e' importante determinare se i detenuti hanno la possibilita' di muoversi normalmente nella cella" (cd. Ananyev test). Ad avviso del piu' autorevole Consesso, le due frasi devono essere lette congiuntamente, "si' da attribuire loro un significato effettivo e conforme alle finalita' perseguite (...) in relazione al divieto di pene inumane e degradanti". Viene al riguardo sottolineato che l'interpretazione separata dei due passaggi "renderebbe il secondo parametro - quello di muoversi normalmente nella cella - assai generico e di difficile applicazione da parte del magistrato di sorveglianza, se non in casi eclatanti di manifesta impossibilita' di spostamento". Con l'ulteriore conseguenza che, ritenendo separate e autonome le due frasi della sentenza Mursic, "la verifica della possibilita' del normale movimento dei detenuti nella cella divent(erebbe) un accertamento di fatto, di natura empirica, spettante al magistrato di sorveglianza, rispetto al quale non vi (sarebbe) spazio per dedurre con il ricorso per cassazione violazioni di legge". Insomma, le Sezioni Unite abbracciano un'interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU (anche di quella concettualmente piu' distante dal meccanismo di calcolo "geometrico" e cogente espresso dalla sentenza-pilota Torreggiani c. Italia, che pure riguarda direttamente il nostro Paese e ha riconosciuto l'incidenza degli arredi sullo spazio detentivo disponibile) espressamente volta ad attribuire preminente rilievo alla superficie destinata ad assicurare il normale movimento dei detenuti all'interno della cella. Per le Sezioni unite, tra le possibili interpretazioni va preferita quella "favorevole al benessere dei detenuti", ai quali va "garantito uno spazio piu' ampio concretamente utile per il movimento". In questa chiave di lettura, che, come osservato in dottrina, fa dello spazio minimo detentivo una sorta di "riserva di libero movimento", quelle proposizioni vanno lette congiuntamente: occorre includere nel calcolo dello spazio disponibile l'area occupata dagli arredi che, potendo essere agevolmente rimossi, non ostacolano il "calpestio"; mentre vanno detratti dal computo gli arredi "tendenzialmente fissi". Va, quindi, in primo luogo rilevato che, proprio nella prospettiva dello spazio detentivo minimo come "riserva di movimento", e' consentito concludere con certezza che "la considerazione secondo cui il letto singolo puo' essere utilizzato per finalita' ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, non rileva per la decisione in punto di sovraffollamento" (cosi', testualmente, Sez. 1, n. 18681 del 2022, cit.; in senso conforme, vedi, prima delle Sezioni Unite "Commisso", Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, Morello, Rv. 269514-01; Sez. F, n. 39207 del 17/8/2017; Sez. 1, n. 52219 del 9/9/2016, Sciuto, Rv. 268231-01; secondo le quali le diverse possibilita' di utilizzo del letto, trattandosi di funzioni che non soddisfano la primaria esigenza di movimento, sono irrilevanti per escludere l'illecito convenzionale da sovraffollamento). Ancor piu', va sottolineato che il collegamento essenziale che le Sezioni Unite riconoscono tra lo spazio individuale disponibile e l'esigenza di garantire il normale movimento dei detenuti all'interno della cella riporta necessariamente ad una superficie minima che nella camera di detenzione deve essere libera e direttamente fruibile per la deambulazione e gli spostamenti degli occupanti. Il concetto espresso dalle Sezioni Unite coincide dunque con quello di superficie libera, perche' non altrimenti occupata e agevolmente calpestabile, del resto ben presente e ripetutamente utilizzato nella giurisprudenza di Strasburgo (floor space) richiamata, alla pagina 19, nella stessa sentenza "Commisso". Lo spazio disponibile e' quello che consente il movimento agevole. La superficie utile a scongiurare il rischio di trattamenti violativi dell'articolo 3 Convenzione EDU e' solo quella direttamente - o, comunque, agevolmente - funzionale alla liberta' di movimento del recluso all'interno della cella. 9. La seconda proposizione discende dalla prima, della quale rappresenta un corollario, come fatto palese dall'uso della congiunzione che apre la frase: "pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello". Se la superficie che rileva per l'articolo 3 Convenzione EDU e' quella "che assicura il normale movimento nella cella", dovranno essere "detratti da tale superficie gli arredi tendenzialmente fissi al suolo". Il metodo di calcolo della superficie minima e' definito, infatti, a partire dal concetto di spazio personale ritenuto rilevante. Le Sezioni Unite attribuiscono a tale interpretazione una finalita' positiva ben precisa. Quella di garantire ai detenuti "uno spazio piu' ampio concretamente utile per il movimento rispetto a quello ricavabile dalla soluzione opposta". Lo sfondo valoriale e' quello del principio di umanita' della pena - presidiato tanto dall'articolo 3 Convenzione EDU, che dall'articolo 27 Cost., comma 3, - del quale le Sezioni Unite propongono la rilettura "alla luce dell'obiettivo di quantificare lo spazio minimo vitale per ogni detenuto, al fine di assicurare il pieno rispetto della dignita' della persona nell'espiazione della pena", restituendo cosi' "al principio stesso un carattere di assolutezza che appartiene alla sensibilita' di societa' e ordinamenti giuridici che hanno a cuore il pieno rispetto della persona, anche di chi e' recluso". Il fatto che tra gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, non computabili nella superficie utile, rientrino i letti a castello costituisce una esemplificazione del principio-corollario, dal quale - in questo contesto - non puo' trarsi la regola, di segno reciproco, della computabilita' dei letti singoli. 10. Nella motivazione della sentenza "Commisso" esiste un riferimento ai letti singoli, ove si afferma (pagine 22 e seg.) che questi sono "mobili", perche' "possono essere spostati da un punto all'altro della camera". L'indirizzo giurisprudenziale, che qui si contrasta, ha ritenuto che detto riferimento imponga di ritenere i letti singoli come arredi suscettibili di spostamento, tali da non ostacolare il libero movimento nella cella, con la conseguenza che la superficie da essi occupata dovrebbe essere considerata per determinare lo spazio detentivo minimo disponibile pro-capite. La frase immediatamente seguente della sentenza, tuttavia, precisa e delimita il precedente passaggio, allorche' indica chiaramente che, "(i)n definitiva, la duplice regola dettata dalla Corte EDU puo' essere legittimamente interpretata nel senso che, quando la Corte afferma che il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili, con tale ultimo sostantivo intende riferirsi soltanto agli arredi che possono essere facilmente spostati da un punto all'altro della cella". Le Sezioni Unite guardano quindi non solo alla dicotomia "arredo mobile-arredo fisso", bensi' anche alla facilita' di spostamento del "mobile" che, proprio per questa ragione e a questa condizione, non ostacola il normale movimento all'interno della cella. Ma non e' solo la motivazione della sentenza "Commisso" a deporre in questo senso. Infatti, lo stesso principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite si riferisce agli "arredi tendenzialmente fissi al suolo". Esso individua in tal modo una "categoria intermedia" tra fisso e mobile. Tale categoria si riferisce chiaramente - anzi, necessariamente - agli arredi per loro natura mobili, posto che nessuna specificazione sarebbe stata necessaria per quelli fissi al suolo, come tali assolutamente inamovibili. Tra gli arredi mobili, la sentenza seleziona quindi quelli che, pur essendo trasportabili da un punto all'altro della cella, non possono tuttavia essere trasportati facilmente. E tali "arredi - mobili", ma non agevolmente trasportabili da un punto all'altro della cella - la sentenza equipara funzionalmente agli arredi fissi, in quanto, al pari di questi ultimi, essi limitano in modo significativo il libero movimento dei detenuti all'interno della cella. Motivazione e principio di diritto della sentenza "Commisso" si legano dunque perfettamente, chiarendo l'uno la portata dell'altro. Entrambi rispondono, del resto, alla medesima logica e ai medesimi obiettivi, chiaramente espressi: quelli di garantire ai detenuti uno spazio minimo di "normale movimento" e di quantificarlo in modo "piu' ampio rispetto a quello ricavabile dalla soluzione opposta", al fine di assicurare, come gia' sopra sottolineato, il pieno rispetto dei principi di dignita' della persona e umanita' della pena. A questo punto, e' facile rilevare come, nella stessa prospettiva indicata dall'autorevole arresto, il letto singolo debba essere inteso come un "arredo tendenzialmente fisso", e quindi escluso dalla superficie utile a soddisfare la primaria esigenza di movimento dei soggetti ristretti. E', infatti, contrario alla comune quotidiana esperienza che un letto, ancorche' non infisso al suolo, possa essere considerato un arredo suscettibile di facile amozione e trasporto all'interno di una stanza da parte di colui che abbia bisogno di muoversi nel medesimo locale per attendere alle sue normali attivita'. Per non parlare del volume - identico - dallo stesso occupato sia nella posizione originaria che in quella in cui viene collocato dopo lo spostamento. Alla luce del principio direttivo sopra illustrato, che guarda alla superficie "utile al normale movimento", pare in vero facilmente contestabile che arredi di notevole peso e ingombro, quale un letto completo di materasso, possano essere - per usare le medesime parole della sentenza "Commisso" - "facilmente spostati da un punto all'altro della cella", specie se le dimensioni di questa ultima consentono, come nei casi soggetti a scrutinio ai sensi dell'articolo 35-ter Ord. Pen., spazi personali agibili complessivi assai ridotti, limitati a 3 o 4 metri quadri. Prima che con il principio di umanita' della pena, stella polare del superiore Consesso, sostenere il contrario appare essere in contrasto evidente con il comune sentire. 11. Pur se il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite si riferisce testualmente solo alla necessita' di detrarre la superficie occupata dai letti a castello da quella destinata al normale movimento all'interno della cella, deve ritenersi che il costrutto argomentativo utilizzato per quell'affermazione fornisca un'univoca chiave interpretativa, che inevitabilmente conduce all'estensione del medesimo principio di diritto anche ai letti singoli. Appare chiaro, comunque, che il frammento di motivazione, sul quale si fonda, spesso in modo del tutto meccanico e apodittico, l'orientamento interpretativo che qui si contesta, non si e' tradotto in un principio vincolante ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 618 c.p.p., comma 1-bis. 12. La ratio della pronuncia delle Sezioni Unite e', come si e' visto, la stessa della giurisprudenza di legittimita' delle Sezioni civili: tanto nel caso del letto singolo, che in quello del letto a castello, e' "compromesso il "movimento" del detenuto nella cella". Movimento che postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente "libero". Ritenere il contrario produrrebbe conseguenze inaccettabili. In primo luogo, perpetuerebbe un'evidente divergenza tra la giurisprudenza delle Sezioni penali e quelle civili della Corte sulla stessa materia, negando in radice la primaria missione nomofilattica e di unitario indirizzo nell'applicazione del diritto attribuita alla Corte di cassazione. Provocherebbe inoltre effetti chiaramente estranei agli scopi perseguiti dalle Sezioni Unite "Commisso", espressamente volta a garantire uno spazio di movimento piu' ampio a disposizione dei detenuti in attuazione dei principi costituzionali e convenzionali di umanita' della pena e di suo necessario orientamento alla rieducazione del condannato. Senza contare le conseguenze paradossali, a piu' riprese segnalate in dottrina: la distinzione tra letti singoli e letti a castello - i primi di regola da computare nel calcolo dello spazio disponibile nella cella, gli altri sempre da detrarre - renderebbe per esempio possibile e conveniente per l'Amministrazione sostituire i letti incastellati con quelli singoli, pur se questi ultimi, a parita' di posti, occupano una maggiore area calpestabile. Cio' che si tradurrebbe di fatto in una minore tutela dei detenuti e in una effettiva svalutazione del criterio del "normale movimento", in aperto contrasto con quanto deciso dalla Grande Camera della Corte EDU, Muri c. Croazia (sulla scia, tra le altre, di Corte EDU, 10/1/2012, Ananyev e altri c. Russia). Si aggiunga, come segnalato da condivisibile dottrina, che, mentre per la Corte EDU la dedotta violazione del criterio del normale movimento comporta l'inversione dell'onere della prova ai fini dell'accertamento dell'illecito convenzionale, le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudice non potra' autonomamente tener conto del criterio qualitativo ai fini di cui all'articolo 35-ter Ord. Pen., potendo egli verificare solo se "la disposizione dei mobili all'interno della cella renda del tutto difficoltoso il normale movimento". Pertanto, ove la decisione delle Sezioni Unite fosse interpretata in conformita' all'orientamento qui avversato, la valutazione del giudice ex articolo 35-ter Ord. Pen., relativa allo spazio disponibile per il normale movimento dei detenuti all'interno della cella, verrebbe ricondotta a un calcolo meramente geometrico, nel quale nessuna considerazione verrebbe riservata, una volta detratta la superficie degli arredi fissi, agli arredi che, pur essendo per loro natura mobili, tuttavia, per il loro ingombro e/o il loro peso, siano suscettibili di limitare in modo rilevante la possibilita' di normale movimento dei detenuti. Quindi, nei numerosissimi casi relativi al computo dei letti singoli - arredi possibilmente rinvenibili in molte camere di detenzione collettive - il dictum delle Sezioni Unite si rivelerebbe meno favorevole per il detenuto rispetto alla regula iuris enunciata dalla Corte EDU, che al contrario impone in ogni caso l'accertamento che i detenuti abbiano "la possibilita' di muoversi normalmente nella cella" (Corte EDU, Muri c. Croazia; e, tra le altre, Corte EDU, 10/1/2012, Ananyev e altri c. Russia, dalla prima testualmente richiamata). Con le conseguenti, evidenti problematiche di tenuta convenzionale della soluzione adottata a livello nazionale. 13. Va infine rimarcato che il criterio di calcolo, che impone di detrarre la superficie occupata dai letti singoli dallo spazio disponibile nella cella, si pone in perfetta continuita' tanto con la sentenza delle Sezioni Unite piu' volte citata, quanto con gli analoghi e risalenti orientamenti delle Sezioni penali (Sez. 1, n. 13124 del 2017, cit.; Sez. 1, n. 12338 del 17/11/2016, dep. 2017; Sez. F, n. 39207 del 2017, cit.; Sez. 1, n. 52819 del 2016, cit.; tutti puntualmente richiamati dalle Sezioni Unite stesse). Merita quindi ribadire che detto arresto del superiore Consesso non ha carattere innovativo, sia perche' e' intervenuto a dirimere un esistente contrasto, sia perche', come in esso espressamente affermato, da' applicazione nell'ordinamento interno alla giurisprudenza consolidata rappresentata, tra le altre, dalla sentenza della Grande Camera, Muri c. Croazia e dalla sentenza pilota della Corte EDU, Torreggiani c. Italia. Invero, i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite non introducono alcun elemento nuovo o imprevedibile nella indicazione dei presupposti per l'accertamento della violazione convenzionale, ma si limitano a confermare la valenza di principi gia' presenti in materia, quale quello della "facile amovibilita'" degli arredi. 14. Come si e' detto, l'ordinanza va dunque annullata con rinvio per nuovo esame secondo i principi di diritto teste' sinteticamente richiamati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Bari.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 16/02/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO; udita la relazione svolta dal Consigliere FULVIO FILOCAMO; lette le conclusioni del PG Ferdinando Lignola che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza n. 871, emessa in data 16 febbraio 2022, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo proposto dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) del Ministero della Giustizia avverso la decisione del magistrato di sorveglianza di Cuneo che aveva accolto parzialmente l'istanza proposta dal detenuto (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), sull'asserita violazione dell'articolo 3 Convenzione EDU in relazione al periodo trascorso, per complessivi 1.000 giorni, presso gli Istituti di pena di (OMISSIS) "(OMISSIS)", (OMISSIS) "(OMISSIS)", (OMISSIS), (OMISSIS) "(OMISSIS)", (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con riduzione della pena detentiva nella misura di 100 giorni. Il Tribunale di sorveglianza, nella sopraindicata decisione in relazione al reclamo presentato avverso l'ordinanza del magistrato di sorveglianza, ha vagliato la doglianza esposta dal D.A.P. sull'erroneita' del criterio di calcolo seguito dal magistrato di sorveglianza nella determinazione dello spazio disponibile per detenuto nel periodo di detenzione presso l'Istituto di Roma "Rebibbia" laddove era stato scomputato l'ingombro dei letti singoli - indicati come amovibili - non occupati dal reclamante. Il Tribunale ha richiamato i principi della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) secondo i quali deve essere garantita la possibilita' al detenuto di muoversi normalmente nella camera detentiva e, in particolare, ha ribadito l'indicazione sovranazionale secondo cui, per calcolare la superficie individuale minima, dovesse essere detratta la superficie del bagno annesso alla camera. Allo stesso tempo, con il provvedimento qui impugnato, e' stato rilevato come la Corte EDU non avesse fornito elementi univoci sulla computabilita' degli arredi presenti nella camera di detenzione. Sul punto, il Tribunale ha richiamato uno dei principi di diritto sanciti da questa Corte con la sentenza Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020 secondo cui "nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello", rilevando che, sulla questione relativa al "letto singolo", non era stata data un'indicazione precisa. Nella ritenuta assenza di una specifica indicazione nazionale nomofilattica, il Tribunale ha condiviso l'orientamento espresso dal magistrato di sorveglianza per il quale nella determinazione della superficie individuale si computa il letto singolo a disposizione del detenuto ma va detratto lo spazio occupato dai letti singoli degli altri compagni di detenzione. Detta adesione e' stata motivata dal fatto che il letto singolo del reclamante poteva essere oggetto di fruizione da parte dello stesso anche in orario diurno a differenza dei letti degli altri detenuti che, pur essendo potenzialmente "mobili", dovevano essere considerati come un ostacolo oggettivo, tendenzialmente fisso, di cui era difficile immaginare uno spostamento agevole durante il giorno da una parte all'altra della camera collettiva, cosi' da doversi considerare quale impedimento alla facolta' del reclamante di muoversi normalmente all'interno della stanza. E' stata aggiunta infine dal Tribunale, per respingere il reclamo presentato dal D.A.P., la considerazione che, in assenza di informazioni da parte dell'Amministrazione penitenziaria, "le plurime e sufficientemente determinate allegazioni dell'istante in ordine all'asserita detenzione disumana sofferta devono ritenersi assistite da una presunzione relativa di veridicita' delle stesse, per effetto delle quali incombe sull'Amministrazione penitenziaria l'onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario (cfr. Cass. n. 23362 dell'11/05/2018)". 2. Propone ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, articolando un unico motivo. Con tale motivo si censura, per erroneita' dell'applicazione dell'articolo 35-ter ord. penit. con riferimento ai criteri di calcolo della superficie detentiva goduta dal detenuto, la decisione del Tribunale richiamando la giurisprudenza di legittimita' (Sez. 2, n. 48401 del 19/10/2017, Ghiviziu; Sez. U, n. 6551, del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso) secondo la quale "nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello". Il Ministero ricorrente ritiene che detta conclusione per i letti singoli sia derivata dall'analisi di due passaggi della sentenza della Corte EDU "Murgie c. Croazia" laddove si afferma che "il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili" ed "e' importante determinare se i detenuti hanno la possibilita' di muoversi normalmente nella cella". Da cio', tutti gli arredi "mobili" andrebbero scomputati dal calcolo della superficie disponibile per il detenuto con conseguente erroneita' della decisione qui impugnata. 3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. Le Sezioni Unite, nella sentenza citata in ricorso n. 6551 del 2021, Commisso, Rv. 280433-01, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, "nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinche' lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione EDU, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello". Le Sezioni Unite hanno cosi' preso posizione, dirimendola negativamente in modo espresso e univoco, sulla questione relativa alla possibilita' di computare nello spazio individuale minimo disponibile per il detenuto all'interno della cella la superficie occupata, appunto, dal letto a castello. Il medesimo Consesso non si e' pronunciato in modo altrettanto chiaro in ordine alla computabilita', o meno, nello spazio detentivo minimo pro-capite, ai fini dell'applicazione dell'articolo 3 CEDU, della superficie occupata dal letto singolo. Un recente arresto di legittimita', intervenuto sul punto (Sez. 1, n. 18681 del 26/04/2022) - dopo aver sottolineato l'importanza cruciale attribuita a detti fini dalle Sezioni Unite e dalla giurisprudenza della Corte EDU alla liberta' di movimento del detenuto all'interno della cella, e aver osservato che "la considerazione secondo cui il letto singolo puo' essere utilizzato per finalita' ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, non rileva per la decisione in punto di sovraffollamento" - ha aggiunto che "il principio affermato dalle Sezioni Unite faceva espresso riferimento allo spazio occupato dal letto a castello", ma non escludeva affatto "che la superficie occupata dai letti singoli non d(ovesse) essere detratta". Cio' nondimeno, dalla citata sentenza delle Sezioni Unite ha preso spunto un consistente indirizzo giurisprudenziale, che, valorizzando un passaggio della motivazione, ha ritenuto che la superficie del letto singolo vada sempre computata nello spazio minimo detentivo pro-capite, trattandosi di arredo suscettibile di spostamento che, come tale, non ostacola il libero movimento nella cella (ex plurimis: Sez. 6, n. 38565 del 11/10/2022; Sez. 1, n. 20786 del 26/04/2022; Sez. 1, n. 12774 del 15/03/2022, Talia, Rv. 282850-01; Sez. 6, n. 39197 del 28/10/2021; Sez. 1, n. 2597 del 12/01/2021). 3. Il Collegio non condivide questa conclusione. Ritiene, al contrario, che l'intero costrutto logico-giuridico della richiamata decisione delle Sezioni Unite conduca a un esito diverso e diametralmente opposto. L'unico esito, del resto, idoneo a ricondurre a unita' la giurisprudenza della Corte di cassazione e a esaltarne la funzione di nomofilachia, intesa come garanzia dell'uniforme interpretazione della legge e dell'unita' del diritto oggettivo nazionale, se si considera che proprio in materia di risarcimento da inumana detenzione - da tempo e senza eccezioni, prima e dopo le Sezioni Unite penali "Commisso" - viene affermato dalle Sezioni civili della Corte il principio secondo cui, ai fini del calcolo rilevante ai sensi dell'articolo 35-ter ord. penit., va scomputata "l'area destinata ai servizi igienici e agli armadi appoggiati, o infissi, stabilmente alle pareti o al suolo ed anche lo spazio occupato dai letti (sia a castello che singoli), che riducono lo spazio libero necessario per il movimento, senza che, invece, abbiano rilievo gli altri arredi facilmente amovibili, come sgabelli o tavolini". Invero, affermano tali pronunce, nel caso del letto singolo come in quello del letto a castello e' "compromesso il "movimento" del detenuto nella cella: infatti, se e' vero che lo spazio occupato dal primo e' usufruibile per il riposo e l'attivita' sedentaria, e' anche vero che tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal "movimento", il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente "libero"" (Cass. civ., Sez. 6, n. 5441 del 18/02/2022; Sez. 1, n. 5064 del 24/02/2021; Sez. 3, n. 1170 del 21/01/2020, Rv. 656636-01; Sez. 1, n. 25408 del 10/10/2019; Sez. 3, n. 16896 del 25/06/2019; Sez. 3, n. 4561 del 15/02/2019; Sez. 1, n. 4096 del 20/02/2018, Rv. 647236-01). 4. A ben vedere, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite "Commisso", contiene due proposizioni: una principale e l'altra che della prima rappresenta il corollario, arricchito quest'ultimo da un'esemplificazione. Tali distinte proposizioni costituiscono l'esito di un percorso argomentativo complesso, nel quale le Sezioni Unite pervengono alla determinazione delle modalita' di calcolo della superficie detentiva minima pro-capite attraverso la preliminare definizione del concetto di spazio detentivo individuale minimo. 5. La prima proposizione recita: "(N)ella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati (...) si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella". Si tratta di un principio direttivo chiaro, che le Sezioni Unite enucleano dal complesso della giurisprudenza della Corte EDU, opportunamente selezionata secondo i criteri di rilevanza indicati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 348 e 349 del 2007, n. 311 del 2009, n. 236 e 303 del 2011, n. 49 del 2015; v. anche Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054-01). In particolare, per pervenire a tale principio, le Sezioni Unite approfondiscono due passaggi della sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 20 ottobre 2016, Mugic c. Croazia, quelli che affermano che "il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili" e che "e' importante determinare se i detenuti hanno la possibilita' di muoversi normalmente nella cella" (cd. Ananyev test). Ad avviso del piu' autorevole Consesso, le due frasi devono essere lette congiuntamente, "si' da attribuire loro un significato effettivo e conforme alle finalita' perseguite (...) in relazione al divieto di pene inumane e degradanti". Viene al riguardo sottolineato che l'interpretazione separata dei due passaggi "renderebbe il secondo parametro - quello di muoversi normalmente nella cella - assai generico e di difficile applicazione da parte del magistrato di sorveglianza, se non in casi eclatanti di manifesta impossibilita' di spostamento". Con l'ulteriore conseguenza che, ritenendo separate e autonome le due frasi della sentenza Murgie, "la verifica della possibilita' del normale movimento dei detenuti nella cella divent(erebbe) un accertamento di fatto, di natura empirica, spettante al magistrato di sorveglianza, rispetto al quale non vi (sarebbe) spazio per dedurre con il ricorso per cassazione violazioni di legge". Insomma, le Sezioni Unite abbracciano un'interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU (anche di quella concettualmente piu' distante dal meccanismo di calcolo "geometrico" e cogente espresso dalla sentenza-pilota Torreggiani c. Italia, che pure riguarda direttamente il nostro Paese e ha riconosciuto l'incidenza degli arredi sullo spazio detentivo disponibile) espressamente volta ad attribuire preminente rilievo alla superficie destinata ad assicurare il normale movimento dei detenuti all'interno della cella. Per le Sezioni unite, tra le possibili interpretazioni va preferita quella "favorevole al benessere dei detenuti", ai quali va "garantito uno spazio piu' ampio concretamente utile per il movimento". In questa chiave di lettura, che, come osservato in dottrina, fa dello spazio minimo detentivo una sorta di "riserva di libero movimento", quelle proposizioni vanno lette congiuntamente: occorre includere nel calcolo dello spazio disponibile l'area occupata dagli arredi che, potendo essere agevolmente rimossi, non ostacolano il "calpestio"; mentre vanno detratti dal computo gli arredi "tendenzialmente fissi". Va, quindi, in primo luogo rilevato che, proprio nella prospettiva dello spazio detentivo minimo come "riserva di movimento", e' consentito concludere con certezza che "la considerazione secondo cui il letto singolo puo' essere utilizzato per finalita' ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, non rileva per la decisione in punto di sovraffollamento" (cosi', testualmente, Sez. 1, n. 18681 del 2022, cit.; in senso conforme, vedi, prima delle Sezioni Unite "Commisso", Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, Morello, Rv. 269514-01; Sez. F, n. 39207 del 17/8/2017; Sez. 1, n. 52219 del 9/9/2016, Sciuto, Rv. 268231-01; secondo le quali le diverse possibilita' di utilizzo del letto, trattandosi di funzioni che non soddisfano la primaria esigenza di movimento, sono irrilevanti per escludere l'illecito convenzionale da sovraffollamento). Ancor piu', va sottolineato che il collegamento essenziale che le Sezioni Unite riconoscono tra lo spazio individuale disponibile e l'esigenza di garantire il normale movimento dei detenuti all'interno della cella riporta necessariamente ad una superficie minima che nella camera di detenzione deve essere libera e direttamente fruibile per la deambulazione e gli spostamenti degli occupanti. Il concetto espresso dalle Sezioni Unite coincide dunque con quello di superficie libera, perche' non altrimenti occupata e agevolmente calpestabile, del resto ben presente e ripetutamente utilizzato nella giurisprudenza di Strasburgo (floor space) richiamata, alla pagina 19, nella stessa sentenza "Commisso". Lo spazio disponibile e' quello che consente il movimento agevole. La superficie utile a scongiurare il rischio di trattamenti violativi dell'articolo 3 Convenzione EDU e' solo quella direttamente - o, comunque, agevolmente - funzionale alla liberta' di movimento del recluso all'interno della cella. 6. La seconda proposizione discende dalla prima, della quale rappresenta un corollario, come fatto palese dall'uso della congiunzione che apre la frase: "pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello". Se la superficie che rileva per l'articolo 3 Convenzione EDU e' quella "che assicura il normale movimento nella cella", dovranno essere "detratti da tale superficie gli arredi tendenzialmente fissi al suolo". Il metodo di calcolo della superficie minima e' definito, infatti, a partire dal concetto di spazio personale ritenuto rilevante. Le Sezioni Unite attribuiscono a tale interpretazione una finalita' positiva ben precisa. Quella di garantire ai detenuti "uno spazio piu' ampio concretamente utile per il movimento rispetto a quello ricavabile dalla soluzione opposta". Lo sfondo valoriale e' quello del principio di umanita' della pena - presidiato tanto dall'articolo 3 Convenzione EDU, che dall'articolo 27 Cost., comma 3, del quale le Sezioni Unite propongono la rilettura "alla luce dell'obiettivo di quantificare lo spazio minimo vitale per ogni detenuto, al fine di assicurare il pieno rispetto della dignita' della persona nell'espiazione della pena", restituendo cosi' "al principio stesso un carattere di assolutezza che appartiene alla sensibilita' di societa' e ordinamenti giuridici che hanno a cuore il pieno rispetto della persona, anche di chi e' recluso". Il fatto che tra gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, non computabili nella superficie utile, rientrino i letti a castello costituisce una esemplificazione del principio-corollario, dal quale - in questo contesto - non puo' trarsi la regola, di segno reciproco, della computabilita' dei letti singoli. 7. Nella motivazione della sentenza "Commisso" esiste un riferimento ai letti singoli, ove si afferma (pagine 22 e seg.) che questi sono "mobili", perche' "possono essere spostati da un punto all'altro della camera". L'indirizzo giurisprudenziale, che qui si contrasta, ha ritenuto che detto riferimento imponga di ritenere i letti singoli come arredi suscettibili di spostamento, tali da non ostacolare il libero movimento nella cella, con la conseguenza che la superficie da essi occupata dovrebbe essere considerata per determinare lo spazio detentivo minimo disponibile pro-capite. La frase immediatamente seguente della sentenza, tuttavia, precisa e delimita il precedente passaggio, allorche' indica chiaramente che, "(i)n definitiva, la duplice regola dettata dalla Corte EDU puo' essere legittimamente interpretata nel senso che, quando la Corte afferma che il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili, con tale ultimo sostantivo intende riferirsi soltanto agli arredi che possono essere facilmente spostati da un punto all'altro della cella". Le Sezioni Unite guardano quindi non solo alla dicotomia "arredo mobile-arredo fisso", bensi' anche alla facilita' di spostamento del "mobile" che, proprio per questa ragione e a questa condizione, non ostacola il normale movimento all'interno della cella. Ma non e' solo la motivazione della sentenza "Commisso" a deporre in questo senso. Infatti, lo stesso principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite si riferisce agli "arredi tendenzialmente fissi al suolo". Esso individua in tal modo una "categoria intermedia" tra fisso e mobile. Tale categoria si riferisce chiaramente - anzi, necessariamente - agli arredi per loro natura mobili, posto che nessuna specificazione sarebbe stata necessaria per quelli fissi al suolo, come tali assolutamente inamovibili. Tra gli arredi mobili, la sentenza seleziona quindi quelli che, pur essendo trasportabili da un punto all'altro della cella, non possono tuttavia essere trasportati facilmente. E tali "arredi - mobili", ma non agevolmente trasportabili da un punto all'altro della cella - la sentenza equipara funzionalmente agli arredi fissi, in quanto, al pari di questi ultimi, essi limitano in modo significativo il libero movimento dei detenuti all'interno della cella. Motivazione e principio di diritto della sentenza "Commisso" si legano dunque perfettamente, chiarendo l'uno la portata dell'altro. Entrambi rispondono, del resto, alla medesima logica e ai medesimi obiettivi, chiaramente espressi: quelli di garantire ai detenuti uno spazio minimo di "normale movimento" e di quantificarlo in modo "piu' ampio rispetto a quello ricavabile dalla soluzione opposta", al fine di assicurare, come gia' sopra sottolineato, il pieno rispetto dei principi di dignita' della persona e umanita' della pena. A questo punto, e' facile rilevare come, nella stessa prospettiva indicata dall'autorevole arresto, il letto singolo debba essere inteso come un "arredo tendenzialmente fisso", e quindi escluso dalla superficie utile a soddisfare la primaria esigenza di movimento dei soggetti ristretti. E', infatti, contrario alla comune quotidiana esperienza che un letto, ancorche' non infisso al suolo, possa essere considerato un arredo suscettibile di facile amozione e trasporto all'interno di una stanza da parte di colui che abbia bisogno di muoversi nel medesimo locale per attendere alle sue normali attivita'. In modo analogo si puo' ritenere che lo spostamento del letto non ne riduca il volume dallo stesso occupato sia nella posizione originaria che in quella in cui viene collocato. Alla luce del principio direttivo sopra illustrato, che guarda alla superficie "utile al normale movimento", pare in vero facilmente contestabile che arredi di notevole peso e ingombro, quale un letto completo di materasso, possano essere - per usare le medesime parole della sentenza "Commisso" - "facilmente spostati da un punto all'altro della cella", specie se le dimensioni di questa ultima consentono, come nei casi soggetti a scrutinio ai sensi dell'articolo 35-ter Ord. penit., spazi personali agibili complessivi assai ridotti, limitati a 3 o 4 metri quadri. Prima che con il principio di umanita' della pena, stella polare del superiore Consesso, sostenere il contrario appare essere in contrasto evidente con il comune sentire. 8. Quanto appena rilevato risulta ancora piu' evidente in riferimento al letto del co-detenuto che costituisce lo specifico oggetto del ricorso in esame. Si tratta, infatti, di un arredo di cui l'amozione risulta ulteriormente ostacolata o piu' difficile in quanto operazione che richiede necessariamente il consenso o addirittura un'inesigibile collaborazione da parte dell'esclusivo fruitore del letto. Secondo l'articolo 70, comma 2, "Norme di comportamento" del Decreto del Presidente della Repubblica n. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative delle liberta'), "I detenuti e gli internati, nei reciproci contatti, devono tenere un comportamento corretto". Detta disposizione sembra escludere che il detenuto possa spostare il letto altrui senza consenso del compagno di camera per guadagnare, in teoria, spazio calpestabile. Diversamente, appare evidente che ritenere consentita una condotta del genere, prescindendo dal consenso altrui, potrebbe essere certamente foriero di possibili frizioni tra detenuti incompatibili con un ordinato svolgimento della vita infra-muraria. 9. Pur se il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite si riferisce testualmente solo alla necessita' di detrarre la superficie occupata dai letti a castello da quella destinata al normale movimento all'interno della cella, deve ritenersi che il costrutto argomentativo utilizzato per quell'affermazione fornisca un'univoca chiave interpretativa, che inevitabilmente conduce all'estensione del medesimo principio di diritto anche ai letti singoli. Appare chiaro, comunque, che il frammento di motivazione, sul quale si fonda, spesso in modo del tutto meccanico e apodittico, l'orientamento interpretativo che qui si contesta, non si e' tradotto in un principio vincolante ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 618 c.p.p., comma 1-bis. 10. La ratio della pronuncia delle Sezioni Unite e', come si e' visto, la stessa della giurisprudenza di legittimita' delle Sezioni civili: tanto nel caso del letto singolo, che in quello del letto a castello, e' "compromesso il "movimento" del detenuto nella cella". Movimento che postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente "libero". Ritenere il contrario produrrebbe conseguenze inaccettabili. In primo luogo, perpetuerebbe un'evidente divergenza tra la giurisprudenza delle Sezioni penali e quelle civili della Corte sulla stessa materia, negando in radice la primaria missione nomofilattica e di unitario indirizzo nell'applicazione del diritto attribuita alla Corte di cassazione. Provocherebbe inoltre effetti chiaramente estranei agli scopi perseguiti dalle Sezioni Unite "Commisso", espressamente volta a garantire uno spazio di movimento piu' ampio a disposizione dei detenuti in attuazione dei principi costituzionali e convenzionali di umanita' della pena e di suo necessario orientamento alla rieducazione del condannato. Senza contare le conseguenze paradossali, a piu' riprese segnalate in dottrina: la distinzione tra letti singoli e letti a castello - i primi di regola da computare nel calcolo dello spazio disponibile nella cella, gli altri sempre da detrarre - renderebbe per esempio possibile e conveniente per l'Amministrazione sostituire i letti incastellati con quelli singoli, pur se questi ultimi, a parita' di posti, occupano una maggiore area calpestabile. Cio' che si tradurrebbe di fatto in una minore tutela dei detenuti e in una effettiva svalutazione del criterio del "normale movimento", in aperto contrasto con quanto deciso dalla Grande Camera della Corte EDU, Muri c. Croazia (sulla scia, tra le altre, di Corte EDU, 10/1/2012, Ananyev e altri c. Russia). Si aggiunga, come segnalato da condivisibile dottrina, che, mentre per la Corte EDU la dedotta violazione del criterio del normale movimento comporta l'inversione dell'onere della prova ai fini dell'accertamento dell'illecito convenzionale, le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudice non potra' autonomamente tener conto del criterio qualitativo ai fini di cui all'articolo 35-ter ord. penit., potendo egli verificare solo se "la disposizione dei mobili all'interno della cella renda del tutto difficoltoso il normale movimento". Pertanto, ove la decisione delle Sezioni Unite fosse interpretata in conformita' all'orientamento qui avversato, la valutazione del giudice ex articolo 35-ter ord. penit., relativa allo spazio disponibile per il normale movimento dei detenuti all'interno della cella, verrebbe ricondotta a un calcolo meramente geometrico, nel quale nessuna considerazione verrebbe riservata, una volta detratta la superficie degli arredi fissi, agli arredi che, pur essendo per loro natura mobili, tuttavia, per il loro ingombro e/o il loro peso, siano suscettibili di limitare in modo rilevante la possibilita' di normale movimento dei detenuti. Quindi, nei numerosissimi casi relativi al computo dei letti singoli - arredi possibilmente rinvenibili in molte, camere di detenzione collettive - il dictum delle Sezioni Unite si rivelerebbe meno favorevole per il detenuto rispetto alla regula iuris enunciata dalla Corte EDU, che al contrario impone in ogni caso l'accertamento che i detenuti abbiano "la possibilita' di muoversi normalmente nella cella" (Corte EDU, Mugic c. Croazia; e, tra le altre, Corte EDU, 10/1/2012, Ananyev e altri c. Russia, dalla prima testualmente richiamata). Con le conseguenti, evidenti problematiche di tenuta convenzionale della soluzione adottata a livello nazionale. 11. Va infine rimarcato che il criterio di calcolo, che impone di detrarre la superficie occupata dai letti singoli dallo spazio disponibile nella cella, si pone in perfetta continuita' tanto con la sentenza delle Sezioni Unite piu' volte citata, quanto con gli analoghi e risalenti orientamenti delle Sezioni penali (Sez. 1, n. 13124 del 2017, cit.; Sez. 1, n. 12338 del 17/11/2016, dep. 2017; Sez. F, n. 39207 del 2017, cit.; Sez. 1, n. 52819 del 2016, cit.; tutti puntualmente richiamati dalle Sezioni Unite stesse). Merita quindi ribadire che detto arresto del superiore Consesso non ha carattere innovativo, sia perche' e' intervenuto a dirimere un esistente contrasto, sia perche', come in esso espressamente affermato, da' applicazione nell'ordinamento interno alla giurisprudenza consolidata rappresentata, tra le altre, dalla sentenza della Grande Camera, Muri c. Croazia e dalla sentenza pilota della Corte EDU, Torreggiani c. Italia. Invero, i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite non introducono alcun elemento nuovo o imprevedibile nella indicazione dei presupposti per l'accertamento della violazione convenzionale, ma si limitano a confermare la valenza di principi gia' presenti in materia, quale quello della "facile amovibilita'" degli arredi. 12. Il ricorso, per le considerazioni espresse, e' respinto, senza addebito di spese a carico del Ministero della Giustizia ricorrente (Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Tuttolomondo, Rv. 271650-01). P.Q.M. Rigetta il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. DE MARZO Giusepp - rel. Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 29/09/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Maria Francesca Loy, la quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La Corte d'appello di Bologna, con ordinanza del 29 settembre - 10 ottobre 2022, ha rigettato la richiesta di rescissione avanzata dal difensore e procuratore speciale di (OMISSIS), in relazione alla sentenza datata 11 dicembre 2017, con la quale il Tribunale di Modena lo ha ritenuto responsabile del reato di furto tentato. 2. La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato che il (OMISSIS), persona stabilmente residente in Italia, con un'abitazione effettiva, aveva scelto di eleggere domicilio presso il difensore d'ufficio, per poi evidentemente scegliere di consapevolmente disinteressarsi della vicenda processuale. 3. Nell'interesse del (OMISSIS) viene proposto ricorso per cassazione dal sostituto processuale del difensore nella fase di merito, con il quale si deducono vizi motivazionali e violazione di legge, ribadendo che la consapevolezza, da parte dell'imputato, del procedimento a suo carico non puo' essere desunta dall'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, effettuata dalla polizia giudiziaria in sede di identificazione. 4. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Maria Francesca Loy, la quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. 5. Il ricorso e' fondato. Indipendentemente dalle peculiarita' delle singole vicende concrete, il dato unificante che emerge dalla giurisprudenza di questa Corte e' nel senso che l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, sicche' non puo' desumersi dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando ad essa non sia seguita la notifica dell'atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorche' a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l'atto (Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Cappelli, Rv. 279680 - 01, sulla scia di Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716). Ne segue che l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Bologna. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bologna. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la SENTENZA del 23/06/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Teresa BELMONTE; udita la requisitoria del Procuratore generale in persona del sostituto MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alla posizione di (OMISSIS), limitatamente al giudizio sulla recidiva, e per l'inammissibilita', nel resto, del ricorso dello stesso (OMISSIS) e di quelli nell'interesse di (OMISSIS) E (OMISSIS). Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS), insiste, in particolare, sulla qualificazione giuridica e conclude per l'accogli mento del ricorso. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS), insiste nei motivi e conclude per l'accoglimento del ricorso. Il Difensore (OMISSIS) del foro di MILANO chiede l'annullamento della sentenza impugnata. Il Difensore (OMISSIS) del foro di MILANO si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa citta', che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati a loro rispettivamente ascritti. 1.1. La condanna ha riguardo ai furti denunciati dai titolari di tre esercizi commerciali operanti in Milano, commessi tra il luglio e il novembre 2017, tutti in orario notturno, con violenza sulle cose, e qualificati ai sensi dell'articolo 624 bis c.p., in quanto gli agenti si erano introdotti in ambienti destinati ad atti della vita privata (uffici e spogliatoi del personale). 2. I tre imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con il ministero del rispettivo difensore, proponendo motivi in parte comuni. 2.1. Tutti i ricorrenti denunciano erronea applicazione dell'articolo 624-bis e correlati vizi della motivazione, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che gli episodi predatori in esame, secondo le coordinate declinate dalle Sezioni Unite "D'Amico", non possano essere ricondotti alla fattispecie del furto in luogo di privata dimora, in ragione delle specifiche e concrete modalita' di commissione, per essersi gli agenti introdotti in orario notturno all'interno di locali commerciali, ordinariamente chiusi e privi della presenza di persone. Si sostiene, anche, che i beni oggetto dei furti non appartenessero ai dipendenti, ma alle aziende nei cui locali sono stati perpetrati i furti. 3. Nell'interesse di (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), si duole, inoltre, del vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento effettuato dagli operanti di polizia giudiziaria attraverso le video riprese dei sistemi di sorveglianza installati presso i locali in cui sono stati perpetrati i furti. Deduce la Difesa che il riconoscimento a carico di (OMISSIS) sarebbe avvenuto in termini di verosimiglianza e non di certezza, tanto che lo stesso personale di p.g., che ha immediatamente riconosciuto Propolizio, non ha, invece, riconosciuto l' (OMISSIS), sebbene i due, in passato, fossero stati tratti in arresto insieme. Inoltre, risulta, dalle videoriprese, che i tre autori del furto ai danni dell'esercizio denominato (OMISSIS) si chiamassero per nome (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) - nessuno corrispondente al nome di (OMISSIS). Gli elementi di prova sui quali si e' fondata la condanna sarebbero, dunque, privi di consistenza, e tali da non escludere il ragionevole dubbio. 4. Anche l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), deduce la illogicita' della motivazione posta a sostegno del giudizio di responsabilita', giacche' fondato su un riconoscimento avvenuto sulla base di immagini parziali e sfocate; manca, peraltro, la prova della pregressa conoscenza del (OMISSIS) con (OMISSIS). 5. Quanto al trattamento sanzionatorio, nell'interesse di (OMISSIS) ci si duole del riconoscimento della circostanza della minorata difesa, di fatto non configurabile in relazione a furti commessi ai danni di esercizi commerciali siti nel centro di Milano, non potendo essere sufficiente il solo orario notturno. 5.1. La Difesa di (OMISSIS) denuncia vizi della motivazione in merito alla dosimetria della pena, che avrebbe dovuto esse piu' adeguatamente conformata alla effettiva responsabilita' del ricorrente, attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, altresi', lamentando la mancanza di giustificazione del consistente aumento (sei mesi) effettuato a titolo di continuazione. 5.2. Vizi di motivazione lamenta anche la Difesa di (OMISSIS) con riguardo alla mancata esclusione della recidiva semplice, e ai diniego delle circostanze attenuanti generiche. 6. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria con motivi nuovi relativi alla qualificazione giuridica del fatto, sottolineando il travisamento della prova che ha comportato l'erronea applicazione dell'articolo 624-bis c.p.; le condotte furtive, infatti, non sarebbero avvenute negli spogliatoi, come erroneamente indicato dalla Corte di Appello, ma, al contrario, nel locale cassaforte, in un caso, e nella sala principale e nel locale tecnico nell'altro furto in cui e' coinvolto l'imputato. Non ricorre la fattispecie contestata, che afferisce a locali non aperti al pubblico ne' accessibili a terzi senza il consenso del titolare, ove si svolgano non occasionalmente atti della vita privata. Ha depositato memoria anche il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), che si riporta ai motivi insistendo per l'accoglimento del ricorso e sottolineando come quelli sottratti siano tutti beni che, per il genere e la allocazione, si trovavano negli uffici e non negli spogliatoi, e sono di proprieta' quindi, della societa' e non dei dipendenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi sono parzialmente fondati, per quanto si dira', e la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito, nei confronti di tutti e tre i ricorrenti, limitatamente alla circostanza aggravante della minorata difesa, e, per il solo (OMISSIS), anche con riguardo al punto della recidiva. Nel resto, i ricorsi risultano infondati e devono essere rigettati. 2. Non e' fondata la comune doglianza che involge la qualificazione giuridica dei reati, e che sviluppa una censura gia' prospettata, con le medesime argomentazioni, con l'atto di appello, e disattesa con congrua motivazione, nella sentenza impugnata. 2.1. Gli elementi delineati dalla giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti il "domicilio" e ritenuti indefettibili per garantire la copertura costituzionale dell'articolo 14 Cost.,(ovvero che si tratti di un luogo in cui sia inibito l'accesso ad estranei e sia tale da garantire la riservatezza ovvero la impossibilita' di essere "percepito" dall'esterno anche senza necessita' di una intrusione fisica) sono stati evidenziati gia' nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269, secondo cui per " luogo di privata dimora", deve intendersi quello adibito ad esercizio di attivita' che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei, precisando che il concetto di domicilio individua un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza. Questo non implica, peraltro, che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius excludendi alios rilevante ex articolo 614 c.p., non e' fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'articolo 14 Cost. garantisce, proclamando l'inviolabilita' del domicilio, cosicche', " il concetto di domicilio non puo' essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimita' e riservatezza" (Sez. Un. Prisco, cit.; conf. Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, Di Franco, Rv. 265703; Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563; Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942; Sez. 1 n. 30566 del 07/03/2019, Lucarelli, Rv. 276603). In un successivo approdo, le Sezioni Unite hanno esaminato specificamente la questione della applicabilita' della nozione di privata dimora di cui all'articolo 624 bis c.p. ai luoghi di lavoro, e sulla premessa che "E' indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata", sebbene essi, generalmente, siano accessibili ad una pluralita' di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto, cosicche', ad essi e' "estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla "intrusione" altrui, come, esemplificativamente, gli esercizi commerciali o gli studi professionali o gli stabilimenti industriali, accessibili a un numero indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto (e non solo visivo) con il luogo senza alcun filtro o controllo". L'attivita' privata svolta in detti luoghi" - precisano le Sezioni Unite - "avviene a contatto con un numero indeterminato di altri soggetti e, talvolta, in rapporto con gli stessi. Con riferimento ad essi e', pertanto, fuor di luogo parlare di riservatezza o di necessita' di tutela della sfera privata dell'individuo". Nel caso al suo esame, in effetti, il Massimo Consesso nomofilattico ha osservato che "Non risulta dagli atti che l'esercizio commerciale, in cui fu commesso il furto, avesse un locale con le caratteristiche in precedenza delineate, in cui cioe' si potessero svolgere atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilita' di accesso da parte di estranei. Risulta, piuttosto, che la somma di denaro sottratta si trovava nella cassa dell'esercizio e la macchina fotografica su un tavolo, vale a dire in luogo accessibile al pubblico." In realta', la regola di giudizio affermata in quell'approdo ritiene che il concetto di "privata dimora" sia "estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell'abitazione", rimettendo anche con riguardo ai luoghi di lavoro la valutazione circa la loro natura privata o meno, alla discrezionalita' del Giudice di merito, previo scrutinio da condursi sulla base di tre indefettibili elementi: "a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attivita' professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilita' e non da mera occasionalita'; c) non accessibilita' del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare". "Potra', quindi, essere riconosciuto il carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento " (Sez. Un. "D'Amico", cit.). Nella successiva giurisprudenza di legittimita', si e' conseguentemente escluso che possa considerarsi luogo di privata dimora ogni luogo al quale e' consentito l'accesso ad un numero indiscriminato di persone, come nel caso di una stanza di degenza di un ospedale (Sez. 5 n. 53200 del 11/10/2018, Mignone, Rv. 274592), o di una caserma (Sez. 1 -, n. 30566 del 07/03/2019, Lucarelli, Rv. 276603), o in relazione ad ambienti quali i locali di un istituto scolastico (Sez. 6, n. 14150 del 14/02/2019, M., Rv. 275464). Al contrario, si e' coerentemente ravvisata una tale connotazione nella stanza di degenza di una casa di riposo, trattandosi di luogo destinato ad uno stabile utilizzo da parte dei degenti e al quale e' interdetto l'accesso di terzi (Sez. 5 n. 1555 del 15/10/2019 (dep. 2020), Gagliotti, Rv. 278135) o in luoghi non pubblici, diversi dall'abitazione, che servano all'esplicazione della vita professionale, culturale e politica (Sez. 5, n. 50192 del 04/11/2019, Amoresano, Rv. 277959 in relazione ai locali di un'agenzia in cui l'utilizzatore svolgeva attivita' professionale), nonche', sul presupposto che ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 624-bis c.p., la nozione di privata dimora e' piu' ampia di quella di abitazione, riferendosi al luogo in cui la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata, si e' ritenuto che esso puo' essere rappresentato anche da un bene mobile, quale la cabina di un camion, adibita a camera da letto(Sez. 4 n. 48767 del 24/10/2019, Topcic, Rv. 277875). 2.2. Sulla scia di tali coordinate, si osserva che, nel caso in scrutinio, rientra nella delineata cornice ermeneutica la valutazione operata dalla Corte territoriale, che ha ravvisato il presupposto della fattispecie incriminatrice oggetto di contestazione nella qualificabilita' come privata dimora degli ambienti in cui gli imputati si sono introdotti, in quanto caratterizzati dallo ius excludendi alios da parte del titolare, trattandosi di uffici e spogliatoi, o locali tecnici, e non di locali degli esercizi commerciali aperti al pubblico, come emerge dalla stessa lettura dei capi di imputazione. In particolare, in occasione del furto ai danni di "(OMISSIS)", gli agenti si introducevano in locali adibiti a uffici, a spogliatoi dei dipendenti, e magazzino, dove sradicavano dal muro al cassaforte che asportavano con il suo contenuto al cui interno rovistavano; il furto ai danni dell'Enoteca Regionale Lombardia', veniva commesso mettendo a soqquadro lo spogliatoio dei dipendenti, aprendo gli armadietti e rovistando all'interno, impossessandosi gli agenti anche delle mance del personale; anche in occasione dei due furti ai danni dell'esercizio "(OMISSIS)", l'azione predatoria ha preso di mira locali adibiti ad ufficio peraltro situati nel piano interrato, non aperto al pubblico - e anche in quest'occasione i ladri strappavano dal muro la cassaforte, portandola via. Sono tutti luoghi in cui, per comune esperienza, possono essere compiuti atti della vita privata, e che, quindi, presentando le medesime caratteristiche di esclusivita' e di non accessibilita' di cui gode l'abitazione, vanno intesi come "privata dimora" ai sensi dell'articolo 624 bis c.p.. Nella giurisprudenza di questa Corte, in effetti, si e' gia' riconosciuto agli spogliatoi del personale la caratteristica propria di cui all'articolo 624 bis c.p. (Sez. 4 -, n. 37795 del 21/09/2021, Rv. 281952, in relazione allo spogliatoio di operari edili, nonche' Sez. 5, n. 35788 del 4/5/2018, Seferovic, Rv. 273894, con riferimento a un furto commesso all'interno di un locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand' fieristico; nonche' (Sez. 5, n. 12180 del 10/11/2014 dep.2015, Dello Buono, Rv. 262815, in relazione all'introduzione furtiva all'interno dello spogliatoio di un circolo sportivo). Cosi' come vi sono precedenti, come sopra richiamati, che rinvengono tali caratteristiche nel locale - ufficio di un esercizio commerciale (Sez. 5, n. 50192 del 04/11/2019, Amoresano, Rv. 277959 cit). L'avere da parte dei giudici di merito ritenuto "privata dimora" i locali adibiti a spogliatoio dei dipendenti, gli uffici privati dei titolari, dove si svolgevano atti della loro vita professionale, nonche' gli spazi tecnici (cucine e locale cassaforte) degli esercizi commerciali presi di mira, e', dunque, coerente - pur nella vaghezza del lemma "privata dimora" adoperato dal legislatore, che impone all'interprete il compito di definirne il significato, individuando il contenuto offensivo tipico dell'ipotesi delittuosa onde comprendere se la condotta contestata presenti un disvalore sufficiente a giustificarne la collocazione entro la fattispecie disciplinata con maggior rigore, giustifichi la maggiore gravita' del fatto e l'incremento della sanzione che ne deriva. (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, in motivazione) - con la ratio della norma, che e' quella della tutela "forte" del domicilio "in quanto proiezione spaziale della persona, cioe' ambito primario ed imprescindibile della libera estrinsecazione della personalita' individuale", e correlativamente della tutela dei beni di particolare rilievo personale che vi si trovano. D'altronde, la decisione impugnata e' allineata, come si e' visto, all'orami consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita', che va qui riaffermata, secondo cui, ai fini della privata dimora, occorre verificare se il furto sia stato compiuto in luoghi aperti al pubblico o in luoghi in cui il soggetto compia, in modo non occasionale, atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi. Tale caratteristica possono presentare, per comune cognizione, certamente sia gli spogliatoi del personale, sia quelle aree che i titolari delle attivita' commerciali riservino per se', adibendole a proprio ufficio, inteso, appunto, come spazio nel quale si svolgano, anche non continuativamente, atti della vita privata in modo riservato (riposo e attivita' connesse, quali navigazione internet, ascolto radio o Tv, conversazioni private, fruizione di servizi igienici), che siano preclusi a terzi non autorizzati, e comunque non accessibili liberamente agli utenti dell'esercizio commerciale. 3. Non hanno pregio neppure le doglianze, svolte dai difensori di (OMISSIS) e di (OMISSIS), che afferiscono alle modalita' del riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia giudiziaria nei riguardi dei predetti ricorrenti: si sostiene, infatti, che l'unico riconoscimento certo sia avvenuto nei confronti di (OMISSIS). La censura e' manifestamente infondata, oltre che reiterativa di quanto gia' rappresentato nel giudizio di appello, e priva del dovuto confronto con la sentenza impugnata, che ha sottolineato, invece, come la colpevolezza del (OMISSIS) poggi su indizi gravi, precisi e concordanti, enucleati alle pg. 7 e ss., e la identificazione certa di (OMISSIS) sia stata scandita nelle sue fasi peculiari gia' dalla sentenza di primo grado e ripercorsa da quella impugnata a pg. 9. La sentenza della Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimita', peraltro, espressamente richiamati dai giudici di merito, secondo cui il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, non regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto, come tale, utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassativita' delle prove (Sez. 5 n. 6456 del 01/10/2015, Rv. 266023). Corrisponde a principio consolidato, del resto, l'affermazione che l'individuazione fotografica di un soggetto, effettuata dalla polizia giudiziaria, costituisce una prova atipica la cui affidabilita' non deriva dal riconoscimento in se', ma dalla credibilita' della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione (cfr. Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, Aleksov, Rv. 253910), e cio' vale anche quando la conclusione della certezza si raggiunga attraverso il richiamo di un giudizio espresso in precedenza. Nel ritenere pienamente utilizzabile il riconoscimento fotografico informale, la Corte territoriale si e' attenuta alla consolidata giurisprudenza di legittimita', che anche in questa circostanza va ribadita, secondo cui i riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, e i riconoscimenti informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassativita' dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (cfr. Sez. 2, n. 17336 del 29/03/2011, Bianconi Rv. 250081). Questo vuol dire che l'identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalita' previste per la ricognizione in senso proprio, di cui all'articolo 213 e ss. c.p.p., siccome riferibili esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina dell'articolo 498 e ss. c.p.p., si' che da esse, come da ogni elemento indiziario o di prova, il giudice puo' trarre il proprio libero convincimento (cfr. Sez. 5, n. 37497 del 13/05/2014, Romano Rv. 260593). Ne discende che, in tali evenienze, il convincimento del giudice puo' ben fondarsi su tale riconoscimento, seppure privo delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, trattandosi di accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudicante in base al principio della non tassativita' dei mezzi di prova. Il momento ricognitivo costituisce, invero, parte integrante della testimonianza, di tal che l'affidabilita' e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilita' accordata al teste e alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimita'. (Conf. Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Rv. 262908; Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012 Rv. 253910) La decisione impugnata non presenta, dunque, sotto tale profilo, i vizi denunciati, dal momento che la motivazione e' adeguata, peraltro, in doppia conforme, e immune da vizi argomentativi, tenuto conto che la circostanza che, in un primo momento, l' (OMISSIS) non sia stato riconosciuto dall'operante che nel 2015 lo aveva arrestato assieme al (OMISSIS) con la medesima certezza con cui ebbe a riconoscere quest'ultimo, non appare logicamente riconducibile alla assenza dello stesso imputato nel luogo del delitto, alla luce della successiva attivita' investigativa svolta per l'identificazione dell'imputato quale autore dei furti, analiticamente esaminata dai giudici; in specie, il Tribunale ha proceduto alla visione diretta delle immagini della videosorveglianza pervenendo ad un convincimento pieno dell'affidabilita' delle operazioni eseguite per l'identificazione dell'imputato, cui si aggiunge l'ulteriore attivita' accertativa riguardante il nome " (OMISSIS)" pronunciato dagli imputati durante le condotte oggetto di video-audioriprese esaminate dagli operanti. 4. Parimenti infondata la doglianza del difensore di (OMISSIS), avente riguardo al trattamento sanzionatorio, che, come e' noto, costituisce apprezzamento discrezionale non censurabile ove adeguatamente motivato e condotto senza evidenti illogicita'. Nel caso di specie, la censura che si fonda sulla ritenuta insussistenza della fattispecie di cui all'articolo 624 bis c.p. per argomentare in ordine all'eccessiva severita' del trattamento sanzionatorio, resta del tutto assorbita dalla, invece, affermata, correttezza della qualificazione giuridica. Riguardo il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si ritiene che il giudizio reso in proposito sia immune da critiche, apparendo piu' che ragionevole l'aver valutato, quali ragioni ostative, oltre alla gravita' dei fatti singolarmente considerati, anche la reiterazione delle condotte compiute in un limitato lasso temporale e la pericolosita' sociale dell'imputato desunta dai suoi precedenti penali. 5. Analoghe osservazioni valgono per la stessa doglianza formulata anche nell'interesse di (OMISSIS), per cui i giudici di merito hanno valorizzato la "cospicua gravita'" dei fatti considerati, e l'assenza di elementi positivamente apprezzabili, a tali fini, mentre la difesa non ha dedotto l'esistenza di elementi favorevoli eventualmente offerti alla cognizione dei giudici di merito e da questi pretermessa. 6. Come premesso, risulta fondata, la doglianza specificamente formulata dal difensore di (OMISSIS), con riguardo al riconoscimento della recidiva, del tutto immotivata nelle sentenze di merito, nonostante lo specifico motivo di appello. 6.1.E' noto ‘insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di recidiva - intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosita' sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato - si richiede al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, Marciano', Rv. 251690), essendo il giudice tenuto a verificare in concreto, in base ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, e a valutare se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore, escludendo l'aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacita' delinquenziale. (Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013, Rv. 256713; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419). E' vero che tale onere motivazionale puo' essere adempiuto anche implicitamente (Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018 Ud. (dep. 04/04/2018) Rv. 272803) ove si sia in concreto apprezzata l'insussistenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (Sez. 3, n. 4135 del 12/12/2017 (dep. 2018) Rv. 272040). Tuttavia, di tali apprezzamenti non v'e' traccia, neppure implicita, nella sentenza impugnata, ne' e' rinvenibile in quella di primo grado, del tutto generica sul punto (pg. 9). Sotto tale profilo, la sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata, con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito. 7. E' altresi' fondata la doglianza riguardante l'avvenuto riconoscimento della circostanza aggravante della minorata difesa, formulata dalla Difesa di (OMISSIS): 7.1. La decisione impugnata - va ricordato - ha rilevato come l'aver eseguito i furti in orario notturno abbia inciso sulla possibilita' di vigilanza e di intervento, senza altra specificazione fattuale, opponendo, la Difesa, la circostanza che tutti i locali derubati si trovano a Milano, e, comunque, l'insufficienza della mera circostanza della commissione del fatto in orario notturno. Come e' noto, con un recente approdo, le Sezioni Unite "Cardellini" hanno accolto la soluzione che, ferma l'astratta idoneita' della commissione del reato in tempo di notte ad integrare la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 5, presuppone l'accertamento della sua effettiva incidenza sulle possibilita' di difesa nel caso concreto (Sez. U, Sentenza n. 40275 del 15/07/2021 Ud. (dep. 08/11/2021), Cardellini, Rv. 282095 - 01). 7.2. Le Sezioni Unite "Cardellini" hanno affermato i seguenti principi: "ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della c. d. "minorata difesa", prevista dall'articolo 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di ratto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilita' oggetto di profittamento - in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l'idoneita' astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato"; "la commissione del reato "in tempo di notte" puo' configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto". L'autorevole Consesso di legittimita' ha ricordato che: "Il fondamento della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in riferimento a ciascuna delle tipologie di elementi fattuali che possono integrarla, e' stato generalmente ravvisato nel maggior disvalore che la condotta assume nei casi in cui l'agente approfitti delle possibilita' di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui quest'ultima viene a svolgersi", richiamando la necessita' di "interpretare le preesistenti norme penali di sfavore (quale e' certamente quella che prevede un circostanza aggravante) nel rispetto della sopravvenuta Costituzione repubblicana"; ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della c.d. "minorata difesa", e' pacificamente sufficiente anche il ricorrere di una sola circostanza di tempo, di luogo o di persona, se astrattamente idonea ad ostacolare le possibilita' di pubblica o privata difesa, e sempre che in concreto tale effetto ne sia effettivamente conseguito; indicato le tre verifiche da compiersi al fine di configurare a circostanza aggravante de qua, riguardanti, nell'ordine: a) l'esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa"; b) la produzione in concreto dell'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che ne sia effettivamente derivato; c) il fatto che l'agente ne abbia concretamente "profittato" (avendone, quindi, consapevolezza). Dunque, "solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacita' di difesa, sia pubblica che privata, e' idoneo ad assicurare la coerenza dell'applicazione della circostanza aggravante con il suo fondamento giustificativo", dovendo l'interprete rifuggire dalla prospettiva anche implicita della valorizzazione di presunzioni assolute, non potendosi limitare a richiamare il dato astratto della commissione del reato in tempo di notte, ma dovendo considerare lo specifico contesto spazio-temporale in cui si sono verificate le vicende storico-fattuali oggetto d'imputazione, si' da enucleare, in concreto, l'effettivo ostacolo alla pubblica e privata difesa che sia, in ipotesi, derivato dalla commissione del reato nella circostanza in concreto valorizzata (in questo caso, di tempo), nonche' l'approfittamento di essa da parte del soggetto agente. E' vero - si afferma - che "di norma, il "tempo di notte" costituisce di per se' circostanza di tempo astrattamente idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa", perche' di notte, cala l'oscurita' e le strade sono poco illuminate; le persone sono dedite al riposo; la maggior parte delle attivita' (lavorative e ricreative) cessa, e di conseguenza le strade e gli uffici sono molto meno frequentati; la vigilanza pubblica e' meno intensa ed e' quindi piu' difficile ricevere soccorso. Tuttavia, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 5, non e' sufficiente ritenere l'astratta idoneita' di una situazione, quale il tempo di notte, ad incidere sulle capacita' di difesa, riducendole, ma occorre "individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacita' di difesa sia pubblica che privata" ed, in particolare, che la commissione del reato in tempo di notte abbia in concreto agevolato il soggetto agente nell'esecuzione del reato stesso, ostacolando (pur senza annullarle del tutto) le possibilita' di difesa pubblica o privata. L'interprete deve, pertanto, stabilire in concreto l'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che sia in ipotesi derivato dalla commissione del fatto in tempo di notte. L'onere della prova grava naturalmente sul Pubblico Ministero. 7.3. L'assenza, nella decisione impugnata, di uno scrutinio coerente con i principi di diritto appena richiamati, espone la motivazione alle denunciate censure, con la conseguenza che, sul punto, la sentenza della Corte di appello deve essere annullata con rinvio, affinche', nel rinnovato esame, si colmi la indicata lacuna motivazionale, fornendo adeguata argomentazione dimostrativa della individuazione, in concreto, di specifici elementi di fatto, che abbiamo potuto integrare, nella situazione data, la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 5. 8. L'annullamento della sentenza nei confronti di (OMISSIS), produce l'effetto estensivo, ai sensi dell'articolo 587 c.p.p., anche nei confronti dei coimputati non ricorrenti sul punto. Invero, come e' stato ribadito anche nella sentenza "Cardellini", "La giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal collegio, ritiene che la circostanza aggravante in questione abbia natura oggettiva, e sia, pertanto, integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volonta' dell'agente (Sez. Un. Cardellini cit. par. 11.2.). 9. L'epilogo del presente scrutinio di legittimita' e', dunque, l'annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza aggravante della minorata difesa, nei confronti di tutti i ricorrenti, e della recidiva, limitatamente a (OMISSIS). Nel resto i ricorsi risultano infondati e vanno rigettati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti i ricorrenti, anche in virtu' dell'effetto estensivo, limitatamente alla aggravante ex articolo 61 c.p., n. 5; annulla, altresi' la sentenza nei confronti del solo (OMISSIS) limitatamente al punto della recidiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano; rigetta nel resto i ricorsi.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L.; avverso la sentenza del 24/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo il rigetti dei ricorsi; udito il difensore della parte civile, AVV. (OMISSIS), che ha concluso come da note scritte depositate in udienza; udito di difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), AVV. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'AVV. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 24/03/2022, la Corte di appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dai sigg.ri (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche' dalla societa' "(OMISSIS) S.r.l." avverso la sentenza del 05/03/2020 del GUP del Cremona, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di realizzazione e gestione abusiva di discarica di cui agli articoli 110 c.p., 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, rubricato al capo 1), perche' estinto per prescrizione, ha conseguentemente ridotto la pena nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno per il residuo reato di inquinamento ambientale colposo di cui agli articoli 110, 452-quinquies, 452-bis, c.p., ha concesso a entrambi i doppi benefici, ha ridotto l'importo della confisca disposta ai sensi dell'articolo 19, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, nei confronti della societa' "(OMISSIS) S.r.l." nella misura di Euro 691.250, confermando nel resto. 2.Per l'annullamento della sentenza propongono distinti ricorsi gli imputati e la societa'. 3. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto due ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 3.1.Con unico motivo viene dedotto il vizio di contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al momento consumativo del reato di inquinamento ambientale con particolare riferimento alle condotte di interramento del materiale antropico nell'area di cava successiva al (OMISSIS). Richiamati gli argomenti illustrati dalla Corte di appello a sostegno della consumazione del reato in epoca successiva alla sua introduzione nell'ordinamento penale, ed affermata la natura istantanea del reato di cui all'articolo 425-bis c.p., deducono quanto segue: - la percezione dei rilievi effettuati dal CT del PM nell'area C in data 14/06/2016, in particolare in ordine alla trincea 2T, e' errata perche' la relazione del CT afferma che la trincea era gia' stata riempita e ripristinata; - si tratta di travisamento decisivo perche' ritenere che nell'area C non vi fossero gia' riempimenti e ripristini antecedenti al sopralluogo del 3-4 settembre 2015 significa, di fatto, considerare tutta l'area C come non coltivata; eliminando la vista della corte non e' piu' possibile trarre alcuna conclusione univoca dalla trincea T15, dal momento che questa, come la trincea 2T, ben potrebbe essere relativa la porzione di area C gia' completamente coltivata e riempita prima del settembre 2015 (e, sopratutto, prima del (OMISSIS)); - la Corte commette una seconda svista, relativa al prelievo del campione S6 effettuato dall'ARPA il 03/09/2015 al fine di recuperare un campione di terreno senz'altro non contaminato, per poterlo confrontare con gli altri campioni prelevati nelle aree A e B gia' coltivate; - sbaglia la Corte d'appello nell'utilizzare detto prelievo come proprio "campione di riferimento" per la determinazione del âEuroËœtempus commissi delicti', posto che la presenza di un campione di terreno autoctono privo di "elementi antropici estranei", prelevato in una certa data in un'area di cava di 49.000 mq. (di cui 22.000 gia' coltivati), non significa necessariamente che in quella stessa data tutta l'area di 49.000 mq. sia priva di "elementi antropici estranei"; illogico quindi desumere la protrazione della condotta oltre il mese di settembre dal fatto che il CT avesse rinvenuto materiale antropico in area avanzata della zona C della cava (trincea T15) ad oltre 150 metri di distanza dal pulito del prelievo S6 (con conseguente ulteriore travisamento della prova); - ulteriore travisamento riguarda la relazione del 04/12/2015 dell'(OMISSIS) che, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, non aveva affatto escluso la possibilita' di interramenti anche nell'area B. In conclusione, la datazione dei fatti in epoca successiva al (OMISSIS) si basa sui seguenti presupposti viziati: - l'essere tutta l'area C della cava alla data del 3 settembre 2015 priva di interramento di "elementi antropici estranei", circostanza affermata pretermettendo gli esiti della CT del PM che davano conto di quanto rinvenuto nella trincea 2T (gia' interamente recuperata); - l'essere tutta l'area C priva di "elementi antropici estranei" alla data del sopralluogo (OMISSIS)-Noe del 3 settembre 2015, circostanza non desumibile dal prelievo del campione "S6" effettuato da (OMISSIS) in data 3/9/2015. Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) 3.1.Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 2 c.p. e la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Lamenta, in particolare, il malgoverno logico degli elementi di prova utilizzati dalla Corte di appello per affermare la prosecuzione dell'attivita' in epoca successiva all'entrata in vigore dell'articolo 452-bis c.p. e lo scollamento delle prove indicate dalla sentenza con quelle presenti agli atti. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea qualificazione dei fatti in conseguenza dell'erronea applicazione degli articoli 182, 208 e 256, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, delle norme che disciplinano la caratterizzazione e l'uso dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamenti dei rifiuto, e dell'articolo 452-bis cod. pen., nonche' la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione dei materiali utilizzati per il recupero della cava come rifiuti. Sostiene al riguardo: - l'utilizzo dei materiali di recupero e' consentito dall'articolo 21, legge reg. Lombardia, n. 14 dell'8 agosto 1998; - l'attivita' e' stata soggetta a controllo del Comune e degli altri enti competenti che non hanno mai sollevato problemi; - l'impianto di trattamento e recupero dei materiali da demolizione era autorizzato e funzionante da un decennio, l'azienda certificata e soggetta al controllo di enti terzi; - i materiali recuperati dai rifiuti erano utilizzati per recuperi ambientali ma anche della cava, conformemente alle autorizzazioni rilasciate; - ne' puo' utilizzarsi l'argomento della mancanza di documenti previsti per il solo caso di destinazione dei materiali di recupero all'esterno per escluderne l'utilizzo all'interno; - il CT del PM aveva avuto l'incarico di classificare i rifiuti utilizzati per il recupero della cava, non quello di verificare se tali materiali fossero riconducibili a prodotti recuperati e avessero le caratteristiche di tali prodotti; cio' lo aveva indotto ad analizzare i materiali sulla base di tutte le normative vigenti in campo ambientale e mai di verificare la rispondenza alle norme tecniche che disciplinano il recupero dei materiali da rifiuto; - lo stesso CT aveva ritenuto l'utilizzabilita' del materiale in uscita dall'impianto a fini di recupero ambientale, salvo escludere tale possibilita' per la discarica; - palese l'errore di diritto nel quale e' incorsa la Corte di appello che di fatto applica la normativa sulle discariche (Decreto Legislativo n. 36 del 2003) ai recuperi ambientali; tale normativa e' stata correttamente presa in considerazione solo era stato necessario verificare se il sito potesse essere destinato a discarica di rifiuti speciali. Lamenta, inoltre, che la Corte di appello non ha motivato sulle seguenti questioni dedotte in sede di gravame avverso la sentenza di primo grado: - sulla poca rappresentativita' dei campioni effettuati dal CT del PM; - sull'incertezza del dato relativo al superamento dei limiti rinveniente dall'incertezza della misura (in un contesto nel quale, peraltro, non si spiega come sia possibile che la falda fosse contaminata con materiali non presenti nel terreno); - sulla possibilita', in base alle norme tecniche previste dalla legislazione nazionale, della presenza di materiali consentiti visibili a occhio nudo ed anche di materiale a granulometria superiore; - sulla ammissibilita', in base alla legge regionale lombarda, della presenza di materiale di scarico e di risulta e di materiali inerti provenienti da scavi e demolizioni. In conclusione, la Corte di appello apoditticamente richiama tali presenze estranee, come prova del mancato trattamento del materiale in ingresso all'impianto e supporta tale elemento con il fatto che alcuni campioni evidenziavano un superamento dei limiti sottraendo la questione attinente la effettiva rappresentativita' dei campionamenti effettuati. La corte di appello-prosegue-afferma che l'impianto di trattamento e recupero delle macerie di demolizione era gestito in modo tale da non lasciare alcuna traccia documentale dei materiali trattati recuperati e che gli stessi non erano soggetti ad analisi. Vero e' che non c'era documentazione attestante l'utilizzo dei materiali recuperati in cava, ma e' altrettanto vero che l'impianto di trattamento presente in cava era dotato di registro di carico e scarico rifiuti ricevuti e trattati e che, dedotti quelli in stoccaggio per subire il dovuto trattamento, la differenza era stata ovviamente destinata allo scopo di recuperare la cava. E' del tutto errata - aggiunge - la affermata mancanza di analisi dei materiali in uscita dall'impianto di trattamento come diversamente si desume dagli allegati 8 alla relazione della dottoressa (OMISSIS) che dimostrano, senza ombra di dubbio, che la societa' e gli imputati avevano previsto procedure di verifica ed erano soggette alle ispezioni e verifiche annuali della societa' (OMISSIS), trattandosi di societa' certificata ed arrivano certificato l'aggregato prodotto. Nessun ente intervenuto in azienda, ne' gli stessi verbalizzanti, conclude, hanno mai evidenziato la mancanza delle dovute analisi sul materiale in uscita dall'impianto. 3.3.Con il terzo motivo deduce la mancanza, l'erronea e contraddittoria motivazione, il travisamento dei fatti e delle prove, la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Deduce al riguardo: - nulla la Corte afferma in ordine alla presenza di inquinanti e solfati nelle acque di falda che sono ubiquitari nella pianura padana; - non e' nemmeno chiaro di quale falda si parli ed in particolare di quale profondita'; - ne' si puo' semplicisticamente affermare che la presenza di solfati possa essere ricondotta al cartongesso presente nel terreno recuperato senza spiegare perche' il terreno naturale presente sotto il materiale recuperato sia esente da solfati; - apodittica e illogica la risposta fornita al rilievo difensivo che la quota prevista in progetto e' solo indicativa, potendo variare sulla base di quanto emerso e deciso nel contraddittorio del procedimento amministrativo. 3.4.Con il quarto motivo solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 425-c.p. per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 27 e 111 Cost. in relazione alla indeterminatezza della fattispecie incriminatrice sotto il profilo della natura abusiva della condotta, della portata della condotta stessa (genericamente descritta in termini di "compromissione o deterioramento") e dell'evento, anch'esso qualificato genericamente dalla sua natura significativa e misurabile. 4.La societa' "(OMISSIS) S.r.l." propone i seguenti motivi. 4.1.Con i primi quattro motivi deduce questioni comuni a quelle oggetto dei ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). 4.2.Con il quinto motivo, che riguarda il capo 1 della rubrica, deduce l'erronea qualificazione dei fatti, l'erronea applicazione dell'articolo 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, e delle norme collegate che disciplinano la caratterizzazione l'utilizzo dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamento dei rifiuti, l'erronea applicazione dell'articolo 452-bis c.p., la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione materiale dei rifiuti. Denuncia, in prima istanza, l'intrinseca contraddittorieta' dello stesso capo 1 della rubrica che ipotizza la gestione abusiva della discarica ivi meglio indicata mediante attivita' di recupero che non puo' essere in alcun modo confusa con quello di smaltimento (trattandosi di attivita' alternative). Errato, di conseguenza, tentare di far rientrare il concetto di "recupero" in quello di "smaltimento". Ma prima ancora, aggiunge, e' errato classificare il materiale rinvenuto come rifiuto in assenza di analisi merceologica che ne specificasse la composizione in termini di percentuale di terra, percentuale di materiale litoidi, eventuale percentuale di materiale antropico, necessaria per poter assegnare al materiale rinvenuto la sua corretta qualificazione in termini di rifiuto piuttosto che di "End of Waste", materiale di riporto, sottoprodotto. La documentazione in atti afferma - non ha chiarito tali aspetti non avendo fornito la CT del PM, l'unica tenuta in conto dal primo giudice, alcuna risposta in tal senso ed, anzi, essendo state condotte le indagini con modalita' contestate dai CT della difesa, poiche' le analisi del c.t. del pm, diversamente da quanto previsto dalla Circolare del Ministro dell'Ambiente del 15/07/2005, erano puntuali e non statistiche, condotte su volumi di scala modesti rispetto a quelli richiesti per una corretta valutazione delle ipotesi alternative cosi' da non potersi considerare rappresentative della massa complessiva dei reperti utilizzati per il recupero ambientale. Non puo' nemmeno escludersi la qualifica del materiale rinvenuto come "materiale di riporto", ipotesi scartata dal CT del PM in base a valutazioni non condivisibili. Anche in sede di confronti il CT del PM si era limitato a sostenere che il ripristino della cava avrebbe dovuto avvenire con l'utilizzo di materiale autoctono secondo le autorizzazioni ma cosi' ammettendo che, al piu', l'illecito ipotizzabile sarebbe stato quello di abbancamento dei rifiuti e non il reato ipotizzato al capo 1. I consulenti della difesa avevano persino ritenuto la mancanza di elementi necessari ad affermare che nel caso concreto vi sia stato un effettivo superamento dei limiti di controllo per le acque sotterranee. Sbaglia il giudice a ritenere che la qualifica di sottoprodotti avrebbe dovuto essere dimostrata dagli imputati. Inoltre alcuna documentazione era prevista per gli "End of Waste" prodotti con conseguente impossibilita' per la difesa di dimostrare l'origine del materiale utilizzato per il recupero dell'area e che, se proveniente dall'impianto interno al sito, non necessitava nemmeno dei DDT. Da tutti gli atti di indagine non emergono elementi utili per dimostrare quando sarebbe iniziata la presunta attivita' illecito di recupero dell'area da parte dei ricorrenti persone fisiche ne' a quando e' databile l'ultima attivita' considerata dal giudice illecita e utile a far presumere la cessazione della "permanenza del reato". Orbene, in mancanza di prova della cessazione della permanenza del presunto reato iniziato nel 93, si sarebbe imposta una pronuncia assolutoria perche' il fatto, consumato prima del 2006, non e' previsto dalla legge come reato. In ogni caso l'(OMISSIS) aveva evidenziato che i materiali di recupero rinvenuto provenivano effettivamente dall'impianto che, secondo i CD della difesa, era regolarmente autorizzato, condotto nel rispetto della normativa, oggetto di puntuali verifiche analitiche, merceologiche, come da documentazione allegata alla perizia di cui il gruppo non aveva tenuto conto. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento alle modalita' di quantificazione dei rifiuti estranei alle MPS e ammessi, ai sensi del DM 05/02/1998, in piccole quantita', perche' e' tecnicamente impossibile separare completamente le parti estranee. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1 ricorsi sono inammissibili. 2.1 ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati tratti a giudizio per rispondere dei seguenti reati: 1) del reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3 Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, per avere, presso la cava sita in (OMISSIS) nel territorio del Comune di (OMISSIS), in concorso morale e materiale tra loro, entrambi nella qualita' di legali rappresentanti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." e, per (OMISSIS), anche di "Direttore di cava", realizzato e comunque gestito, illecitamente e senza autorizzazione, una discarica per rifiuti inerti e non pericolosi, attraverso ripetute operazioni di recupero di ingenti quantitativi di rifiuti (circa 198.000 m3); segnatamente, quali titolari della societa' "(OMISSIS) s.r.l." (autorizzata a svolgere attivita' di estrazione di sabbie e ghiaie e di trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi all'interno della cava "Gg16C" del Piano Provinciale Cave "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS) sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)", nel territorio del Comune di (OMISSIS)) provvedevano a recuperare sistematicamente rifiuti (quali frammenti di laterizi, materiale bituminoso, materiale fibroso biancastro riconducibile a cartongesso, blocchi in calcestruzzo, frammenti di materiale ceramico, tondini di ferro, frammenti di teli e tubi in PVC e rari blocchi di scorie di fonderia; in generale materiali da demolizione di infrastrutture stradali e di immobili civili e industriali nonche' rifiuti provenienti dalle operazioni di trattamento inerti e rifiuti non pericolosi installato nella stessa area di cava) tramite loro interramento, tombamento (anche oltre il limite consentito dalla normativa vigente in materia di discariche e attivita' estrattiva) e compattazione al terreno nativo, in totale assenza di titolo ed in violazione della normativa vigente in materia di realizzazione e gestione di discariche e attivita' estrattiva nonche' in violazione delle autorizzazioni concesse per l'attivita' di escavazione e per il trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 2) del reato di cui agli articoli 110, 434 commi primo e secondo c.p., perche', in concorso tra loro, nella veste di legali rappresentanti della predetta societa' e per (OMISSIS) anche di Direttore di cava, cagionavano un disastro da cui derivava pericolo per la pubblica incolumita'; in particolare, per effetto della realizzazione e gestione sine titulo della discarica di cui sopra nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, con colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonche' nell'inosservanza della normativa in materia di discariche e attivita' estrattive, cagionavano offesa alla pubblica incolumita' consistente nella compromissione del suolo e sottosuolo compresi nell'area di cava "(OMISSIS)" del Piano Provinciale (OMISSIS) "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS), cava sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)" presso il Comune di (OMISSIS), confinante, al margine inferiore, con una falda acquifera sotterranea destinata all'utenza pubblica (uso potabile e agricolo). Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS). da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3) per il reato di cui agli articoli 110, 452 bis c.p. perche', in concorso tra loro, nelle loro gia' indicate qualita', abusivamente cagionavano una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile del suolo e del sottosuolo, in particolare, per effetto della gestione sine titolo della discarica, nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, cagionavano la compromissione del suolo e del sottosuolo compresi nell'area di cava di cui al capo 2 che precede. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), dal (OMISSIS) al 18 gennaio 2016. La societa' "(OMISSIS) S.r.l." era stata tratta a giudizio per rispondere del seguente illecito amministrativo rubricato al capo 4: 4) illeciti amministrativi previsti dall'articolo 25-undecies commi 1 e 2, D.L.gs. n. 231 del 2001, in relazione ai reati di cui agli articoli 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 156 del 2006, e 452 bis c.p., come sopra contestati, da (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi nella veste di legali rappresentanti della (OMISSIS) S.r.l., e da (OMISSIS) altresi' nella veste di direttore tecnico, soggetti posti in posizione apicale all'interno della societa', nell'interesse o a vantaggio della societa' medesima. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3.11 GUP aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di cui all'articolo 256, comma 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, loro ascritto al capo 1), nonche' del reato di cui all'articolo 452-quinquies, comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p., cosi' riqualificati i fatti contestati ai capi 2) e 3), e, ritenuto il concorso formale fra gli stessi ed applicata la diminuente per la scelta del rito, li aveva condannati alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 6.000 di multa ciascuno, oltre al pagamento pro-quota ed in solido delle spese processuali. Aveva dichiarato la societa' "(OMISSIS) s.r.l." responsabile degli illeciti amministrativi contestati e, con la riduzione di cui all'articolo 62, comma 3, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, aveva applicato la sanzione amministrativa pecuniaria pari a complessivi Euro 80.000. Aveva altresi' ordinato la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato nella misura di Euro 1.708.000,00. Aveva condannato il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale pari ad Euro 40.000, e liquidazione delle spese sostenute nel grado. Aveva infine rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla parte civile Comune di(OMISSIS). 3.1.La Corte d'Appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dagli imputati e dalla societa', in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di cui al capo 1), perche' estinto per prescrizione; ha ridotto, per l'effetto, la pena nella misura di un anno, quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno con riferimento alla residua imputazione di cui al capo 2), come qualificato dal primo giudice. Ha concesso ad entrambi gli imputati i benefici di legge. Ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) s.p.a., ha ridotto l'importo della disposta confisca nei confronti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." ad Euro 691.250,00; ha confermato nel resto. 4.11 primo Giudice aveva cosi' argomentato. 4.1.Se e' vero che la discarica e' definita dall'articolo 2, Decreto Legislativo n. 36 del 2003, come area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo (cio' che, nell'assunto difensivo, bastava ad escludere la sussistenza nel caso concreto della fattispecie di reato ipotizzata, posto che gli imputati avrebbero effettuato ripetute operazioni di recupero rifiuti), nondimeno anche l'attivita' di recupero del rifiuto (per tale intendendosi l'operazione attraverso cui si permette ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali) rientrava pacificamente nella piu' ampia nozione di smaltimento. 4.2.Per la configurabilita' del reato e' necessario un accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito con tendenziale carattere di definitivita', in considerazione delle quantita' considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attivita' di trasformazione, recupero o riciclo proprie di una discarica autorizzata. 4.3.Affinche' possa parlarsi di realizzazione e/o gestione di discarica abusiva e' necessario il deposito, senza alcuna autorizzazione, sul suolo o nel suolo, di materiali qualificabili come rifiuti, per tali intendendosi, secondo il dettato normativo, qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi. 4.4.1 materiali rivenuti in ognuna delle trincee effettuate erano stati interrati alla rinfusa a profondita' apprezzabile; cio' era ritenuto sintomatico di abbandono definitivo: alla luce della definizione normativa, detti materiali sono pertanto potenzialmente qualificabili come rifiuti. 4.5.Quanto alla possibilita' di qualificare alternativamente detti materiali, il GUP osservava che essi non erano inquadrabili ne' nella categoria dei c.d. sottoprodotti, ne' nella categoria dei c.d. materiali di riporto di origine antropica. 4.6.Inoltre essi non erano neppure inquadrabili come End of Waste (EoW), come invece sostenuto dai difensori. Sul punto, il GUP osservava come detta qualifica alternativa costituiva una deroga alla nozione di rifiuto, configurando indirettamente una clausola di esclusione della punibilita' del reato contestato, e percio' gravava sugli imputati l'onere di provare le condizioni della sua applicabilita'. Nel caso concreto, la difesa non aveva dimostrato che, ai fini del recupero ambientale della cava, fossero stati utilizzati proprio i materiali decadenti da quell'impianto di trattamento (o comunque da altro impianto di trattamento), che detto materiale recuperato rispondesse ai requisiti tecnici ed agli standard specifici previsti dalle norme di riferimento, che l'uso di detti materiali non avesse, anche in via meramente potenziale, impatti negativi sull'ambiente e sulla salute umana, essendosi gli imputati limitati ad una mera allegazione sul punto. 4.7.Dalle indagini, infatti, era emerso che i materiali rinvenuti, verosimilmente entrati nell'area di cava in quanto astrattamente destinati a confluire nell'impianto di trattamento, erano stati in realta' interrati tal quali nella porzione di terra oggetto, di volta in volta, di escavazione e successivo ripristino, by-passando l'impianto di trattamento dei rifiuti inerti (che ne avrebbe quanto meno garantito una riduzione volumetrica). Confortava tale conclusione anche il fatto che la procedura stilata dalla societa' per l'accettazione dei rifiuti provenienti dall'esterno prevedeva la verifica, sia documentale che visiva, delle caratteristiche tipologiche del rifiuto conferito e della sua compatibilita' con quanto prescritto nel titolo abilitativo, nonche' un'attivita' di stoccaggio organizzata in modo da impedire la commistione fra rifiuti connotati da caratteristiche tipologiche eterogenee fra loro, si' da assicurare a ciascun tipo di rifiuto la propria ed esclusiva destinazione prevista in sede di autorizzazione. 4.8.11 fatto che i materiali rinvenuti fossero stati interrati alla rinfusa mostrava come dette procedure preliminari all'ingresso dei materiali nell'impianto di trattamento non fossero state osservate, a conferma della conclusione per cui detti materiali non erano affatto transitati dall'impianto. In ogni caso, non vi era alcuna traccia documentale del c.d. ciclo di detti rifiuti, idoneo a garantire che gli stessi, in quanto provenienti dall'impianto di trattamento gestito dalla cava ovvero da altro impianto di trattamento, rispettassero gli standard qualitativi imposti dal Testo Unico ambiente. 4.9.Detti materiali, quanto meno in parte, non provenivano da un impianto di trattamento, il che escludeva la necessita' di verifiche o analisi tese a verificare il rispetto dei suddetti standard qualitativi. 4.10.Provata era la natura di rifiuto dei materiali interrati nel sito oggetto di indagine, nel quale, secondo quanto prescritto negli atti autorizzativi, doveva essere evitato lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante o comunque classificabile come rifiuto e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale. 4.11.Quanto al recupero del fondo di cava, il progetto di ripristino ambientale redatto nel marzo 2014, e gia' il decreto di VIA del 20 agosto 2013, prevedevano che il recupero agronomico-ambientale del fondo cava sarebbe stato attuato con utilizzo esclusivo di terreno vegetale di provenienza della stessa cava. 4.12.In risposta all'obiezione della difesa (secondo cui, poiche' il terreno vegetale non sarebbe stato sufficiente al rimodellamento sino ad arrivare alla quota posta quale fondo di cava, doveva ritenersi implicita l'autorizzazione ad utilizzare altro materiale per il recupero, ed in particolare, il materiale decadente dall'impianto di trattamento rifiuti che, tra gli usi consentiti, prevedeva proprio quello finalizzato al recupero ambientale), il Giudice osservava che l'insufficienza del terreno vegetale accantonato e dei limi di lavorazione era circostanza semplicemente allegata, ma non idoneamente provata. 4.13.Si evinceva che la necessita' di utilizzare materiale diverso dal terreno vegetale e dai limi di lavorazione per il ripristino ambientale era dipesa, in larga parte, dal fatto che la societa' aveva scavato oltre i limiti consentiti, con maggiore asportazione di materiale naturale. 4.14.In ogni caso, la societa', nonostante l'asserita evidenza di tale dato, non aveva ritenuto, in sede di progetto o di variante, di richiedere l'autorizzazione a provvedere mediante posa del materiale decadente dall'impianto di trattamento di rifiuti edili all'autorita' competente, la quale, sulla base di una valutazione di incidenza, avrebbe valutato l'opportunita' di un tale intervento e la sua compatibilita' con la destinazione d'uso data al sito recuperato. 4.15.L'assenza di questo giudizio di compatibilita' portava il primo giudice ad affermare che detti materiali non potevano essere utilizzati per lo specifico recupero ambientale della cava (e in ogni caso non poteva essere utilizzato quel materiale che, per caratteristiche granulometriche e tipologiche, non era certamente transitato per l'impianto di trattamento e per il quale non erano state fornite indicazioni in ordine alla provenienza ed alla conformita' ai parametri qualitativi normativamente previsti). 4.16.Disattesa, dunque, la prospettazione difensiva, e confermata la qualificazione come rifiuti dei materiali rinvenuti nel sito, il giudice affermava che il tombamento era avvenuto piu' volte ed in un apprezzabile lasso di tempo; detta attivita' aveva altresi' determinato un tendenziale degrado dell'area, che attualmente presenta caratteri evidentemente in contrasto con la sua destinazione ad uso coltivo. Erano integrati, allora, gli estremi oggettivi del reato di gestione di discarica senza alcuna autorizzazione. 4.17.Secondo il Giudice, poi, gli imputati avevano agito nella consapevolezza e nella volonta' di realizzare una discarica abusiva. 4.18.Infatti: le autorizzazioni amministrative non prevedevano in alcun modo la possibilita' di impiegare, per il recupero ambientale della cava, materiale diverso da "terreni vegetali di scarificazione superficiale e rifiuti decadenti dal lavaggio delle sabbie e ghiaie" e vietavano lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante "o comunque classificabile come rifiuto" e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale; nei sopralluoghi effettuati in loco, i competenti organi amministrativi, quantomeno a far data dall'anno 2013, avevano riscontrato la presenza di materiale non autoctono e avevano evidenziato la non conformita' a quanto prescritto nelle autorizzazioni amministrative; con due ordinanze sindacali (una del 2013, l'altra del 2016) era stata comminata alla societa' una sanzione amministrativa pecuniaria per la mancata osservanza degli obblighi imposti dalle autorizzazioni ed ordinata (con l'ordinanza del 2016) l'immediata rimozione del materiale non proveniente dalla cava medesima con conseguente smaltimento presso i centri autorizzati (si trattava di materiale che, benche' non utilizzabile per il recupero ambientale della cava, era stato stoccato in area destinata al deposito del terreno di alterazione). 4.19. (OMISSIS), quale direttore di cava, era presente ai sopralluoghi effettuati; (OMISSIS), quale legale rappresentate, aveva inevitabilmente assunto determinazioni in ordine al pagamentolimpugnazione delle sanzioni amministrative comminate. Ne discendeva che il fatto che l'attivita' di interramento di detto materiale fosse comunque proseguita portava il Giudice ad attribuire la condotta ad un comune agito doloso. Del resto, poiche' il materiale era stato rivenuto in modo sostanzialmente omogeneo in ognuna delle trincee sparse su tutta l'area di cava ne derivava la conclusione che la realizzazione e la gestione di detta discarica era stata oggetto di una sistematica, dunque consapevole, scelta imprenditoriale, volta a massimizzare le linee di profitto riducendo le voci di spesa, imputabile, a titolo di dolo, in capo a coloro che si erano succeduti nella funzione apicale, posto che detta attivita' era sostanzialmente proseguita sino a che non era intervenuto il sequestro dell'area. Di qui la condanna per il reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 4.20.11 GUP dissentiva poi dalla impostazione accusatoria del PM che aveva ritenuto di ricondurre la medesima condotta (realizzazione e gestione "sine titulo"della discarica, da un lato, ed esercizio dell'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, dall'altro) nell'alveo di due distinte fattispecie: la prima, sussunta negli articoli 449 e 434 c.p., per la condotta posta in essere sino al (OMISSIS) (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2015 che ha aggiunto al codice penale il Titolo VI-bis in tema di delitti contro l'ambiente), sul presupposto per cui, sino a quella data, in assenza di una normativa ad hoc, le fattispecie di inquinamento ambientale venivano, in via interpretativa, ricondotte al reato di c.d. disastro innominato; la seconda per la condotta posta in essere dopo il (OMISSIS), integrante il delitto di cui all'articolo 452 bis c.p.. 4.21.Stante l'identita' della condotta contestata, era dirimente verificare il tempo di commissione del fatto-reato: se esso era stato interamente commesso anteriormente al (OMISSIS), l'unica disposizione applicabile era l'articolo 434 c.p., che prevede un trattamento sanzionatorio piu' favorevole, mentre, se era stato commesso successivamente a tale data, trovava applicazione la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 68 del 2015. 4.22.11 tempo di commissione del reato, nel caso di specie, e' stato individuato dal GUP nel momento in cui e' cessata la condotta (escavazione oltre i limiti consentiti e interramento di rifiuti) che ha messo in moto il meccanismo causale: detta condotta si e' di fatto conclusa nel 2016 con il sequestro dell'area, momento sino al quale la cava e' stata operativa continuando, pertanto, ad operare con le modalita' usualmente impiegate. Alla fattispecie concreta e' stato quindi ritenuta applicabile dal GUP la nuova disciplina dei delitti contro l'ambiente introdotta dalla L. n. 68 del 2015, ferma la possibilita' di ricorrere alla figura del disastro innominato di cui all'articolo 434 c.p., in forza della clausola di riserva contenuta nell'articolo 452 quater c.p.. 4.23.Quanto al fatto che la condotta in contestazione avesse o meno cagionato una "alterazione" penalmente rilevante delle matrici ambientali, il GUP osservava che dalle indagini tecniche effettuate era emerso che la societa' "(OMISSIS) s.r.l." aveva effettuato escavazioni oltre i limiti assentiti e che il recupero dell'area di cava era avvenuto mediante l'interramento di materiale che era da qualificarsi come rifiuto. 4.24.Per cio' che concerne le acque sotterranee e, in particolare, quella prelevata dai pozzi 1 e 62 esterni alla cava e dal punto 1P interno alla cava, la presenza di ferro, arsenico e manganese in quantita' superiore alla soglia di contaminazione aveva indotto il GUP a ritenere anomalo quanto riscontrato nel punto 1P, in cui il parametro manganese aveva superato i limiti previsti dalla vigente normativa di un ordine di grandezza, e, di gran lunga, i valori riscontrati nei piezometri esterni alla cava: indizio grave, questo, dell'esistenza di una correlazione di detto superamento con la presenza di rifiuti nelle porzioni piu' superficiali di terreno. 4.25.Anche riguardo ai terreni ed ai rifiuti, era stata accertata la presenza di valori di concentrazione delle sostanze inquinanti superiori a quelli della soglia di contaminazione per siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006). 4.26.11 GUP escludeva fossero ravvisabili gli estremi del disastro ambientale di cui all'articolo 452 quater c.p., non essendovi ne' un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema o comunque di un'alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ne' di un'offesa alla pubblica incolumita'. Neppure ricorrevano gli estremi del delitto di cui all'articolo 434 c.p., mentre i fatti erano interamente sussumibili, sotto il profilo oggettivo, nell'a fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p., che punisce ogni danneggiamento dell'ambiente che non abbia le caratteristiche connotanti l'evento come disastro ed a prescindere da un pericolo nei confronti di interessi ulteriori. 4.27.Osservava il GUP che "fino a che non si verifichi l'irreversibilita' del danno ambientale, le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono post factum non punibile ma integrano singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la consumazione del reato". Dunque, indipendentemente dal fatto che l'inquinamento del sito fosse dipeso anche da comportamenti antecedenti all'introduzione nell'ordinamento della fattispecie di reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno da parte degli imputati nel periodo successivo al (OMISSIS) comunque rilevava ai fini della sussistenza di detto reato. 4.28.Nel caso concreto, infatti, il GUP riteneva configurato quanto meno un deterioramento della matrice ambientale causato dall'attivita' di escavazione oltre i limiti assentiti e dal susseguente illecito tombamento di rifiuti, che hanno portato ad un decadimento qualitativo del sito manifestatosi in una significativa diminuzione del suo valore nonche' nell'impossibilita' di utilizzarlo (neanche parzialmente) senza una previa attivita' di bonifica comunque non agevole. A tal fine, il giudice ha dato rilevanza anche all'elemento dimensionale del reato (l'area di cava interessata da detta attivita' illecita era pari a 226.000 mq) e all'abusivita' della condotta (poiche' posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni o in violazione di leggi statali o regionali o di prescrizioni amministrative). 4.29.Quanto all'elemento soggettivo, il GUP ha ritenuto che il reato in questione fosse ascrivibile agli imputati a titolo di colpa, poiche', sebbene rispondesse ad una scelta consapevole e volontaria quella di scavare oltre i limiti assentiti e di effettuare il recupero ambientale della cava mediante tombamento di rifiuti, nondimeno non vi erano elementi per dire che in capo agli imputati vi fosse altresi' la consapevolezza (o l'accettazione del rischio) di determinare anche un inquinamento ambientale in termini di decadimento qualitativo del suolo e del sottosuolo: sia in ragione della tipologia di materiale interrato, sia in considerazione del fatto che, nel caso concreto, nessun contributo e' stato offerto dagli organi deputati al controllo, che si sono nella sostanza limitati a segnalare il fatto che detti materiali non potessero essere utilizzati per il recupero ambientale della cava senza al contempo metterne in evidenza le potenzialita' inquinanti e, quindi, diffidare la societa' dal loro utilizzo imponendo la rimozioni di quelli gia' tombati. 4.30.Inoltre, tenuto conto della specifica posizione apicale del (OMISSIS), la condotta accertata era a lui ascrivibile alla luce della logica imprenditoriale sottesa alla condotta, quale condivisa strategia di guadagno. Da qui la condanna degli imputati in ordine al reato di cui all'articolo 452-quinquies comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p.. 4.31.Per quanto attiene alla posizione della societa', il GUP aveva ritenuto sussistenti i requisiti dell'interesse o vantaggio dell'ente poiche' la condotta commissiva od omissiva, violativa di regole cautelari (gener che o specifiche), riguardata ex ante, aveva prodotto un beneficio per l'ente, ossia una apprezzabile utilita' consistita nel risparmio di spesa da parte dell'ente stesso, legato al tombamento di rifiuti (essendo indiscutibilmente piu' economico interrare rifiuti invece di trattarli presso l'impianto ed al contempo acquistare materiale idoneo per il recupero ambientale della cava) e nel maggior profitto derivato all'ente dall'escavazione effettuata per una profondita' maggiore di quella assentita dagli atti autorizzativi. 4.32.Gli imputati rivestivano funzioni apicali ex articolo 5 lettera a), Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, ove il reato sia stato commesso da organi apicali, l'ente non risponde qualora provi: l'adozione ed efficace attuazione, prima della commissione del fatto, di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; l'affidamento ad un organismo dell'ente, dotato di autonomi poteri di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli e di curarne l'aggiornamento; la fraudolenta elusione del modello organizzativo da parte degli autori del reato; la sufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui sopra. Osservava il GUP che l'azienda non aveva fornito ne' allegato detta prova liberatoria, sicche' ricorrono i requisiti richiesti dalla normativa per l'affermazione della responsabilita' della societa' stessa. 5.La Corte di appello di Brescia ha osservato che, individuata la data di cessazione della permanenza del reato di cui al capo 1) della rubrica in quella di esecuzione del sequestro dell'area (22/1/2016), la contravvenzione e' pacificamente prescritta. Non prescritta e', tuttavia, la responsabilita' amministrativa dell'ente alla luce del disposto dell'articolo 22, ultimo comma, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, sicche' la Corte territoriale, sia per la conferma delle statuizioni civili (ex articolo 578 c.p.p.), sia per la necessita' di valutare i motivi che attengono alla responsabilita' amministrativa dell'ente, ha proceduto ad una piena valutazione degli elementi probatori per valutare l'integrazione dei reati da cui originano la responsabilita' civile degli imputati e la responsabilita' dell'ente. 5.1.Quanto al reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha preliminarmente affrontato e risolto la questione, prospettata da tutti i difensori appellanti, della individuazione della data di cessazione delle condotte illecite, in presenza di successione di leggi penali nel tempo. Il discrimine e' costituito dall'entrata in vigore della L. n. 68 del 2015, che ha introdotto nel codice penale la fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p. (inquinamento ambientale). In assenza di prova di condotte di escavazione e di interramento del materiale definito dal primo giudice come "rifiuto" che si siano protratte dopo tale data, non potrebbe, a giudizio dei Giudici distrettuali, considerarsi integrata la nuova fattispecie di reato. 5.2.Alla luce dei fatti, la Corte di appello ha concluso nel senso che la prosecuzione dell'attivita' di escavazione oltre i limiti e di interramento dei rifiuti e' certamente proseguita oltre la data di entrata in vigore della nuova normativa. 5.3.Rigettati, quindi, i motivi spesi dai difensori in ordine all'incertezza della prosecuzione di attivita' illecita dopo il maggio 2015, la Corte si e' pronunciata sui restanti. 5.4.Per cio' che concerne i motivi che investono la materialita' dei fatti e la sussunzione di questi nelle ipotesi di reato ritenute in sentenza, sia contravvenzionali che delittuose, la sentenza afferma che essi non colgono nel segno, avendo la Corte di appello condiviso integralmente le valutazioni tecniche del CT del PM e le motivazioni, sempre a detta della Corte, complete ed esaustive della sentenza del primo Giudice. 5.5.In primo luogo, essa ha considerato dato di fatto inoppugnabile che le accertate (e non contestate nella loro materialita') condotte sistematiche ed organizzate della (OMISSIS) s.r.l. fossero vietate da tutte le autorizzazioni rilasciate nel corso del tempo. 5.6.La Corte territoriale, dunque, ha condiviso in toto sia le argomentazioni del consulente tecnico che del primo giudice in ordine al fatto che la societa' aveva effettuato escavazioni con profondita' maggiori di quelle consentite, che avevano reso necessario, per il raggiungimento della quota di copertura, l'impiego di maggior terreno rispetto a quello che sarebbe bastato se vi fosse stata l'osservanza dei limiti di scavo. 5.7.Inoltre, questo problema avrebbe potuto agevolmente essere risolto dalla (OMISSIS) s.r.l. avanzando richiesta di autorizzazione a depositare, sul fondo della cava, sulle sc(OMISSIS)te o comunque in quote precise delle aree della cava da recuperare, il materiale proveniente dall'impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti speciali non pericolosi, impianto autorizzato a partire dal 2005 e che gia' dal 2010 operava in regime ordinario. La ragione per cui, nel corso di ben dieci anni rispetto all'inizio dell'operativita' dell'impianto di trattamento al momento del sequestro, a fronte della permanente necessita' di materiale ulteriore rispetto a quello naturale e allo sterile per il ripristino delle aree di cava, nessuna domanda a tal fine sia stata presentata non puo' che rinvenirsi - afferma la Corte di appello - nella consapevolezza che una simile domanda non avrebbe ottenuto esito positivo. In caso, di rilascio, peraltro, siffatte autorizzazioni avrebbero necessariamente contemplato verifiche e analisi sui materiali decadenti dall'impianto e ulteriori costi per la societa'. Cio', a parere della Corte di appello, dimostra, da un lato, il disinteresse degli imputati alle problematiche di depauperamento di altri siti e, dall'altro, l'interesse a far si' che si costituisse un circolo estremamente vantaggioso (ma non virtuoso) sotto il profilo economico, tra l'attivita' di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi e l'attivita' di recupero della cava. 5.8.Tra l'altro, sempre per la Corte di appello, la contiguita' spaziale tra impianto di trattamento e cava, consentiva agli imputati di sottrarsi ad ogni controllo sul materiale che effettivamente era in uscita dall'impianto di trattamento e recupero e sulla conformita' per il reimpiego; la fuoriuscita dal sito di materiale che avrebbe dovuto essere trattato richiedeva infatti quantomeno documenti di trasporto e implicava rischi di controlli su strada, evitati dall'inglobamento dell'impianto di trattamento nell'area di cava. Non e' un caso, infatti, che la difesa assuma di non poter dimostrare che i materiali depositati in cava siano stati trattati nell'impianto, perche', non accedendo i materiali da aree esterne a quella dell'impianto, non erano necessari i normali documenti richiesti dalla normativa ambientale in materia: la mancata dimostrazione di questo punto fondamentale, secondo la Corte territoriale giustifica, di per se', la conclusione dell'infondatezza di tutte le argomentazioni difensive aventi ad oggetto la contestazione che il materiale rinvenuto sia "rifiuto". 5.9.Tutto quanto sopra da' conto di come gli imputati fossero consapevoli dell'irregolarita' di tali comportamenti e, non essendo documentato che il materiale di cui si e' detto sia qualificabile quale "End of Waste", ha indotto la Corte di appello a ritenere corretta la qualificazione in termini di "rifiuto", operata dal Giudice di prime cure, dei materiali di cui il detentore della (OMISSIS) si era disfatto interrandoli illegittimamente nel sottosuolo: la ritenuta correttezza della sentenza impugnata, ha consentito, dunque, di ritenere provata la materialita' del fatto contestato sub 1) e la sua riconduzione alla fattispecie di gestione di una discarica abusiva, il che comporta, pur in presenza di prescrizione del reato, la conferma delle statuizioni civili relative a detto capo. 5.10.Quanto ai motivi che investivano la condanna per il reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimita' costituzionale per indeterminatezza della fattispecie e violazione degli articoli 25 comma 2, 27 e 111 Cost., in quanto gia' la Corte di Cassazione in piu' occasioni aveva ritenuto la manifesta infondatezza della questione. 5.11.Esaminando altri motivi, gia' si e' rilevato come la Corte di appello abbia condiviso le argomentazioni del primo giudice in ordine all'effettuazione di escavazioni oltre i limiti assentiti dalle varie autorizzazioni. Le argomentazioni spese dalla Corte di appello con riferimento alla condanna per la contravvenzione di cui al n. 1), ha giustificato il rigetto dell'appello anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di inquinamento ambientale e cio' a fronte della dimensione del fenomeno accertato, sia con riferimento all'ambito spaziale, sia alla durata dello stesso, sia ai quantitativi di rifiul:i sepolti nell'area. 5.12.Per cio' che riguarda invece l'esame del motivo che investiva esclusivamente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo al (OMISSIS) (oggetto esclusivo dell'impugnazione presentata dall'Avv. (OMISSIS) con il quinto motivo), la Corte di appello ha osservato che la dimensione del fenomeno, la reiterazione nel tempo delle condotte, gli interventi di diversi enti con i quali il (OMISSIS) necessariamente si interfacciava, stante la sua posizione di legale rappresentante, il fatto che la (OMISSIS) gestisse anche l'impianto di trattamento (circostanza che ha comportato, a partire dal 2005, l'ingresso di quantita' di materiali da recuperare rilevantissime, vedendone uscire assai poche, visto che 198.000 metri cubi di materiale sono stati sotterrati nell'area) non consentono di dare alcun credito all'ipotesi alternativa secondo cui una siffatta gestione sarebbe da ricondurre esclusivamente al (OMISSIS) nella totale ignoranza del legale responsabile della societa' che, come tale, non poteva ignorare che i profitti derivassero dalla vendita della sabbia estratta dalla cava e dalla ricezione del materiale nell'impianto, senza alcun ricavo per la vendita dei materiali in uscita. Circostanze, queste, che indubbiamente rendevano evidente al legale rappresentante la problematica del conteggio e delle differenze tra materiale in entrata e in uscita. Il primo Giudice aveva ritenuto sussistente il reato di cui all'articolo 452 bis c.p. e, sotto il profilo soggettivo, la mera colpa. Colpa che, nel caso di specie, per la Corte territoriale sussiste anche in capo al (OMISSIS), in base alle considerazioni sopra riportate. 5.13.Quanto al trattamento sanzionatorio, la questione posta alla Corte di appello investiva esclusivamente la condanna degli imputati per il reato di inquinamento ambientale (essendo prescritto quello di discarica abusiva). Anche per il Giudice dell'impugnazione, gli imputati non sono meritevoli delle attenuanti generiche, per via della gravita' e della reiterazione (nell'arco di un decennio) delle loro condotte. Ha trovato invece accoglimento, in assenza di pericolo di ulteriore commissione di reati, la richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena nei confronti di entrambi, valorizzato il dato della loro incensuratezza nonche' quello dell'eta', per il (OMISSIS), e, per il (OMISSIS), quello della cessazione della condotta (seppur grazie agli atti di sequestro, nel gennaio 2016) insieme con il venir meno della sua qualita' di legale rappresentante della societa'. 5.14.Infondato e' stato ritenuto il settimo motivo di appello, comune agli imputati, essendo evidente il danno riportato dalla parte civile, quantomeno per le condotte illecite poste in essere dopo che la stessa era divenuta proprietaria dell'area. E proprio la precarieta' economica degli imputati e della s.r.l. (il cui esercizio e' cessato dal 2017) giustificano, nell'ottica della Corte territoriale, la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva (che al momento della pronuncia ancora non risultava versata). 5.15.Da ultimo, circa l'appello presentato nell'interesse dell'ente, la Corte di appello ha ritenuto non operante nei suoi confronti la prescrizione per il reato sub 1), ai sensi dell'articolo 22, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. Parimenti infondati, per la Corte territoriale sono il secondo ed il terzo motivo di appello, per le stesse ragioni poste a sostegno del rigetto dell'appello presentato dagli imputati. Infondato e' inoltre il quarto motivo di impugnazione dell'ente che investe specificamente la configurabilita' della responsabilita' amministrativa dell'ente, che la difesa contestava evidenziando le lacune investigative nell'operato della polizia giudiziaria: a detta della Corte di appello, correttamente il primo Giudice ha osservato che non era stata fornita la prova liberatoria dell'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. La Corte di appello ha quindi ritenuto che non vi fossero ragioni per la rideterminazione della sanzione amministrativa ma ha rideterminato l'entita' della confisca osservando che, premesso che gia' il primo Giudice aveva correttamente ritenuto profitto del reato esclusivamente quello conseguito dalla maggiore escavazione delle sabbie rispetto alle profondita' assentite, occorresse fare riferimento alle pagine 404 ss. della consulenza tecnica del PM con la conseguenza che l'importo della confisca, disposto ai sensi dell'articolo 19, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, dovesse essere ridotto ad Euro 691.250. 6.Tanto premesso, prima di esaminare i singoli ricorsi, il Collegio ritiene opportuno richiamare l'insegnamento costante secondo il quale: a) l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01); b) l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacai:o di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 6.1.11 travisamento della prova consiste, dunque, in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita' tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il vizio e' percio' decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile. Come ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). 6.2.1n tal caso e' onere del ricorrente, in virtu' del principio di "autosufficienza del ricorso", suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). 6.3.Non e' sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi siano comunque tali da non cosl:ringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto degli articoli 581, comma 1, lettera c), e 591 cod. proc, pen.). 6.4.E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). 3.2.11 principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dall'articolo 7, comma 1, Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a cio' egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 01). 6.5.Inoltre, poiche' il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore e' imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita', non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. U, Dessimone, cit.; Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo' essere eccepito in sede di legittimita', Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). 6.6.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non puo' essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio' sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame puo' avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne deduce il travisamento, purche' l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita' che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche' altrettanto ragionevoli; d) non e' consentito, in caso di cd. "doppia conforme", eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia' devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado. 6.7.Non e' dunque consentito, in sede di legittimita', proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove gia' ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicita' manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio' non e' consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) 7.1 ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS) sono inammissibili perche' si avvalgono di non consentite deduzioni fattuali volte a scardinare il ragionamento della Corte di appello spingendo il sindacato della Corte di cassazione oltre i limiti ad essa consentiti in assenza di travisamenti di sorta nemmeno correttamente decotti. Tutti i motivi attingono a piene mani al materiale istruttorio dando per scontata la possibilita' della Corte di cassazione di accedere agli atti del fascicolo del dibattimento, di leggerne il contenuto e di saggiare la tenuta logica del ragionamento del giudice di merito, operazione, come detto, non consentita in questa sede ove cio' che rileva non e' quel che il giudice avrebbe potuto decidere (fatto ricostruibile in base alle prova assunte), ma come ha deciso (fatto ricostruito cosi' come risulta dal testo della motivazione). 7.1.1 ricorsi, salvo il quarto motivo di quello a firma dell'Avv. (OMISSIS), pongono solo questioni di fatto, non diritto. Le dedotte violazioni di legge si traducono, in realta', in un malgoverno della prova non della norma sostanziale presupponendo, le argomentazioni difensive, la diversita' del fatto descritto in sentenza rispetto a quello ritenuto dai ricorrenti. 7.2.11 quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. 7.3.La Corte di cassazione ha gia' dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 452-bis c.p. per contrasto con gli articoli 25 Cost. e 7 CEDU sotto il profilo della sufficiente determinatezza della fattispecie, in quanto le espressioni utilizzate per descrivere il fatto vietato sono sufficientemente univoche, sia per quanto riguarda gli eventi che rimandano ad un fatto di danneggiamento e per i quali la specificazione che devono essere "significativi" e "misurabili" esclude che vi rientrino quelli che non incidono apprezzabilmente sul bene protetto, sia per quanto attiene all'oggetto della condotta precisamente descritto ai nn. 1) e 2) della norma incriminatrice (Sez. 3, n. 9736 del 30/01/2020, Forchetta, Rv. 278405 - 01). 7.4.Va qui ribadito, in termini generali, che non sussiste affatto il dedotto deficit di tipicita' della fattispecie penale. 7.5.In primo luogo, costituisce approdo da tempo consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione che, in tema di reati ambientali, la condotta "abusiva" idonea ad integrare (non solo) il delitto di cui all'articolo 452-bis c.p. comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni, o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attivita' richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268060-01; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269491 - 01; Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273565 - 01). La natura abusiva, peraltro, qualifica la condotta costituendone una modalita' tipica che restringe la portata del precetto penale, limitando la rilevanza penale della compromissione e del deterioramento (evento del reato) ai soli casi in cui, appunto, la condotta causante sia "abusiva". Come gia' spiegato in motivazione da Sez. 3, Simonelli, "(p)are dunque opportuno ricordare, in relazione al requisito dell'abusivita' della condotta (richiesto anche da altre disposizioni penali), che con riferimento al delitto di attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti, originariamente sanzionato dall'articolo 53-bis del Decreto Legislativo n. 22 del 1997 ed, attualmente, dall'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, si e' recentemente ricordato (Sez. 3, n. 21030 del 10/3/2015, Furfaro ed altri, non massimata) che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. La sentenza, nella quale vengono escluse violazioni dei principi costituzionali rispetto ad eventuali incertezze interpretative connesse, tra l'altro, alla portata del termine "abusivamente", segue ad altre, in parte citate, nelle quali si e' giunti alle medesime conclusioni (Sez. 3, n. 18669 del 8/1/2015, Gattuso, non massimata; Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326; Sez. 3, n. 19018 del 20/12/2012 (dep. 2013), Accarino e altri, Rv. 255395; Sez. 3, n. 46189 del 14/7/2011, Passariello e altri, Rv. 251592; Sez. 3 n. 40845 del 23/9/2010, Del Prete ed altri, non massimata ed altre prec. conf.). Tali principi sono senz'altro utilizzabili anche in relazione al delitto in esame, rispetto al quale deve peraltro rilevarsi come la dottrina abbia, con argomentazioni pienamente condivisibili, richiamato i contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto un concetto ampio di condotta "abusiva", comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative". 7.6.E' utile ricordare che la citata Sez. 3, Furfaro, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'allora articolo 53-bis, Decreto Legislativo n. 22 del 1997 (oggi articolo 452-quaterdecies c.p.), questione posta in relazione sia all'indeterminatezza del concetto di "ingente quantita' di rifiuti" che a quello della natura abusiva della condotta, si era posta nel solco di altre pronunce che, con riferimento al concetto di "ingente quantita'", erano pervenute al medesimo risultato (Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, Putrone, Rv. 238558 - 01; Sez. 3, n. 47918 del 12/11/2003, Rosafio). Con riferimento, invece, alla "abusivita'" della condotta, Sez. 3, Furfaro, ricordava che "(n)emmeno appaiono prospettabili violazioni dei principi costituzionali in relazione alle dedotte incertezze interpretative connesse alla portata del termine "abusivamente", o alle attivita' continuative e organizzate, o in ordine all'elemento soggettivo del reato. Si tratta di questioni sulle quali questa Corte ha oramai assunto un indirizzo sostanzialmente univoco nell'ambito della ordinaria funzione interpretativa. In merito al requisito della abusivita' della condotta, l'interpretazione prevalente ritiene che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. Piu' recentemente, si e' affermato che "In tema di traffico illecito di rifiuti, il requisito dell'abusivita' della gestione deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d'ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto che, da un lato, puo' sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attivita' autorizzata; dall'altro, puo' risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico" (Sez. 3, 15.10.2013, n. 44449, Ghidoli, Rv. 258326)". 7.7.Non e' dunque affatto vero che il legislatore, con il termine "abusivamente", ha inteso "colpire e sanzionare solo attivita' e volonta' specificamente dissimulate ovvero condotte volutamente in occulto" (cosi' nel ricorso, ove si sottolinea che nel caso in esame manca qualsiasi profilo di occultamento della condotta). E' piuttosto vero che il legislatore ha attinto al diritto vivente assegnando al termine in questione il significato che da lungo tempo la giurisprudenza di legittimita' gli aveva gia' attribuito, si' da non determinare alcuna frizione con il principio di tassativita' e determinatezza della fattispecie. Ne' si comprende (anche sotto il profilo della rilevanza della questione) in che modo l'ampliamento del concetto di "abusivamente" all'interpretazione preesistente al delitto di nuova fattura possa determinare problemi di coordinamento con l'articolo 257, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 7.8.Quanto ai concetti di "compromissione" e "deterioramento", essi consistono in un'alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificita' della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualita' degli stessi. (Sez. 3, n. 46170 del 2016, Simonelli, cit.). 7.9.Al riguardo, escluso, in particolare, ogni accostamento alle corrispondenti definizioni di "inquinamento ambientale" e di "deterioramento significativo e misurabile" fornite dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ad uso e consumo esclusivo delle norme in detto Testo Unico contenute, Sez. 3, Simonelli, ha spiegato che "l'indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva "o" svolge una funzione di collegamento (tra di essi) - autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - poiche' indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell'originaria consistenza della matrice ambientale dell'ecosistema caratterizzata, nel caso della "compromissione", in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di "squilibrio funzionale", perche' incidente sui normali processi naturali correlati alla specificita' della matrice ambientale o dell'ecosistema ed, in quello del deterioramento, come "squilibrio strutturale", caratterizzato da un decadimento di stato o di qualita' di questi ultimi. Da cio' consegue che non assume rilievo l'eventuale reversibilita' del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, piu' severamente punito, del disastro ambientale di cui all'articolo 452-quater c.p. ". 7.10.Deterioramento e compromissione sono concetti diversi dalla "distruzione"; non equivalgono, in ultima analisi, a "una condizione di "tendenziale irrimediabilita'" che (...) la norma non prevede". 7.11.Quanto alla natura "significativa" e "misurabile" che qualifica il deterioramento ovvero la compromissione, la sentenza ha ulteriormente precisato che, ferma la loro funzione selettiva di condotte di maggior rilievo, "il termine "significativo" denota senz'altro incisivita' e rilevanza, mentre "misurabile" puo' dirsi cio' che e' quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile. L'assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come e' stato da piu' parti gia' osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitivita', un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non puo' farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti". 7.12.Si deve qui precisare che il reato in questione e' senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato. 7.13.Pur se non irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Da questo punto di vista il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorche' non irreversibile) e' a loro connaturale. 7.14.11 deterioramento, in particolare, e' configurabile quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attivita' non agevole (Sez. 2, n. 20930 del 22/02/2012, Di Leo, Rv. 252823) ovvero quando la condotta produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, cosi' dando luogo alla necessita' di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della cosa stessa (Sez. 2, n. 28793 del 16/06/2005, Cazzulo, Rv. 232006; Sez. 5, n. 38574 del 21/05/2014, Ellero, Rv. 262220). 7.15.Non a caso la giurisprudenza di questa Corte, maturata sin da epoca antecedente alla L. n. 319 del 1976 (cd. legge "Merli", la prima che introdusse una disciplina organica e penalmente sanzionata in materia di scarichi di acque reflue), aveva gia' ampiamente attinto al reato di cui all'articolo 635, c.p., per attrarre alla sua fattispecie quei casi in cui un corso d'acqua fosse durevolmente deteriorato in modo da ridurne l'utilizzazione in conformita' alla sua destinazione (cosi' Sez. 2, n. 12383 del 28/04/1975, Fratini, Rv. 131583, in un caso di scarichi industriali apportatori di intorbidamento delle acque del fiume (OMISSIS), di distruzione di microrganismi, quali microflora e microfauna, plancton animale e vegetale, di alterazione morfologica e termica e di fenomeni analoghi; nello stesso senso Sez. 2, n. 5802 del 15/11/1979, Frigerio, Rv. 145222 in un caso di inquinamento del fiume (OMISSIS); Sez. 6, n. 8465 del 21/06/1985, Puccini, in ipotesi di inquinamento del fiume (OMISSIS) determinato dalla disattivazione del depuratore; di rilievo il principio affermato da Sez. 2, n. 7201 del 16/01/1984, Corsini, Rv. 165490, secondo cui l'articolo 26 della L. 10 maggio 1976 n. 319 aveva abrogato soltanto le norme che puniscono l'inquinamento collegabile direttamente o indirettamente agli scarichi ma detta abrogazione non si estendeva alle norme che puniscono il danneggiamento che, pur tutelando anche le acque dall'inquinamento, hanno una diversa e piu' ampia oggettivita' giuridica). Sulla scia di tale indirizzo giurisprudenziale, piu' recentemente, Sez. 4, n. 9343 del 21/10/2010, Valentini, Rv. 249808, in un caso di illecito smaltimento di rifiuti di una discarica in un fiume, che ne aveva cagionato il deterioramento, rendendolo per lungo tempo inidoneo all'irrigazione dei campi ed all'abbeveraggio degli animali, ha ribadito che si ha "deterioramento", che integra il reato di danneggiamento, tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui e' destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilita' di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacita' della cosa di riacquistare la sua funzionalita' nel tempo (cfr. altresi', Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016, Ingegneri, Rv. 267823 che, sul principio per il quale ai fini della configurabilita' del reato di danneggiamento mediante deterioramento e' necessario che la capacita' della cosa di soddisfare i bisogni umani o l'idoneita' della stessa di rispettare la sua naturale destinazione risulti ridotta, con compromissione della relativa funzionalita', ha ritenuto integrato il reato a seguito dell'intorbidamento delle acque e dell'alterazione delle correnti marine determinato dallo sversamento di sabbia, quale conseguenza della realizzazione di un'isola artificiale). 7.16.La compromissione, termine, come visto, indifferentemente utilizzato nel linguaggio giuridico per descrivere un modo di essere o di manifestarsi del deterioramento stesso, coglie del danno non la sua maggiore o minore gravita' bensi' l'aspetto funzionale perche' evoca un concetto di relazione tra l'uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare; deterioramento e compromissione sono le due facce della medesima medaglia, sicche' e' evidente che (âEuroËœendiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" - strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo. 7.17.11 fatto che ai fini del reato di "inquinamento ambientale" non e' richiesta la tendenziale irreversibilita' del danno comporta che fin quando tale irreversibilita' non si verifica le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono "post factum" non punibile (nel senso che "le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d'acqua, successive alla prima, non un post factum penalmente irrilevante, ne' singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensi' singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione", Sez. 4, n. 9343 del 2010, cit.). 7.18.E' dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo e' gia', fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo articolo 452-quater, c.p.; non esistono zone franche intermedie tra i due reati. 7.19.1 ricorrenti sollecitano l'attenzione sulla tenuta costituzionale, sul piano del rispetto dei principi di tassativita' e determinatezza della fattispecie, della qualificazione come "significativo" e "misurabile" dell'evento dal quale la legge fa dipendere l'esistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p. Non e' sufficiente, ai fini della sussistenza del delitto di inquinamento ambientale, che l'autore cagioni uno dei due eventi alternativamente previsti: e' altresi' necessario che tale evento sia "significativo" e "misurabile". Premesso che il requisito della "misurabilita'" della compromissione o del danneggiamento assolve alla funzione di attribuire al fatto una dimensione oggettiva (misurabile, appunto), quello di "significativita'" intende escludere dall'area della penale rilevanza gli eventi "non significativi", quelli, cioe', che hanno determinato si' una compromissione o un deterioramento (ancorche' misurabili) di una delle matrici ambientali di cui all'articolo 452-bis c.p. ma non in modo certo, evidente, chiaro. "Significativo" e' sinonimo, secondo la lingua italiana, di considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante, ed e' il contrario di insignificante, irrilevante, irrisorio, minimo, trascurabile. In questo senso, la "significativita'" dell'evento delittuoso (al pari della sua "misurabilita'") proietta il fatto in una dimensione oggettiva certa, indiscutibile, verificabile e misurabile (appunto) oltre ogni ragionevole dubbio, che colloca la condotta dell'inquinamento ambientale nell'area intermedia che va dalla irrilevanza del danno alle dimensioni descritte dall'articolo 452-quater c.p.. 7.20.La funzione assolta dai concetti di significativita' e misurabilita' e' quella dunque di elevare il grado di offensivita' dell'evento delittuoso, espungendo dall'area della penale rilevanza quelli che tali non sono o che non lo sono in modo "considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante". Eliminare il requisito della significativita' e misurabilita' dell'evento determinerebbe l'allargamento dell'ambito di applicabilita' della fattispecie penale anche a condotte che producono un danneggiamento o una compromissione insignificante, irrilevante, irrisoria, minima, trascurabile, privandola proprio di quel requisito di maggiore offensivita' che giustifica una sanzione certamente non lieve. 7.21.L'invocata pronuncia di incostituzionalita' della norma in parte qua determinerebbe, paradossalmente, un effetto peggiorativo non ammesso dal Giudice delle leggi. 7.22.La questione posta e' percio' irrilevante (oltre che, come detto, manifestamente infondata). Premesso che, come detto, i ricorsi sono inammissibili perche' deducono questioni di fatto, la significativa e misurabile compromissione del suolo e del sottosuolo (non delle falde acquifere) cagionata dalla condotta degli imputati e' questione assodata, che non puo' essere rimessa in discussione, essendo derivata dalla abusiva movimentazione di 198.000 metri cubi di rifiuti. Il ricorso di (OMISSIS) s.r.l. 8.A non diversi rilievi si espone il ricorso della societa' che si avvale anch'esso, in ogni suo aspetto, di continui riferimenti al materiale probatorio del quale non viene nemmeno dedotto il travisamento (e di certo non nei corretti termini sopra evidenziati). 9.Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a c:olpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00 ciascuno. Segue la condanna dei ricorrenti, persone fisiche, al pagamento delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile "(OMISSIS) S.p.a.", liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. TALERICO Palma - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/01/2022 della Corte d'appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; letta la memoria difensiva in data 30 marzo 2023, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 10 gennaio 2022, la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, ha assolto l'imputato dal reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 lettera c), limitatamente alla realizzazione di pavimentazione esterna, ed ha confermato la sentenza di condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 lettera c) e di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 comma 1, con riferimento alla realizzazione di una parete doccia esterna mt. 2,10 x 2,50 e di un solaio di un bagno esterno ad un'altezza superiore a quella prevista di m. 2,75 in luogo di m. 2,30, riducendo la pena inflitta a mesi uno e giorni 15 di arresto e Euro 34.000,00 di ammenda. Secondo quando accertato dai giudici del merito, l'imputato aveva realizzato una parete ex novo con inserimento di doccia nella parte originariamente destinata ad area scoperta, comportante modifica dell'originaria tipologia del luogo e, pur non determinando nuove superfici o nuovi volumi, rientrava nella nozione di nuova costruzione di cui all'articolo 10 Tue in quanto incidente sul tessuto urbanistico per la quale occorre il permesso costruire, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 comma 1, lettera e), che assoggetta attualmente a permesso di costruire non soltanto le attivita' di edificazione, ma anche altre attivita' che pur non integrando interventi edilizi in senso stretto comunque comportano una modificazione permanente dello stato materiale e di conformazione del suolo, nonche' la realizzazione di un solaio di copertura del vano bagno piu' alto rispetto alle esistente, con aumento di volumetria, non essendo possibile la sua qualificazione quale pertinenza, opere la cui realizzazione SU area sottoposta a vincolo, in assenza di autorizzazione, integrava anche il reato paesaggistico. 2. Avverso la sentenza il difensore dell'imputato ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti, travisamento della prova. La Corte territoriale avrebbe travisato i fatti nella ricostruzione della fattispecie concreta accertando l'esecuzione ex novo della pavimentazione esterna anziche', come risulta dalla comunicazione notizie di reato acquisita agli atti si trattava di un rifacimento totale di una pavimentazione ha preesistente da cui illogica motivazione secondo cui la realizzazione della pavimentazione esterna non avrebbe richiesto il permesso a costruire perche' di piccole dimensioni e senza modificazione dello stato di destinazione d'uso. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44. In sintesi, il motivo di censura investe l'affermazione della responsabilita' penale per il reato edilizio perche' erroneamente i giudici del merito avrebbero ritenuto che l'intervento edilizio, consistito nella realizzazione della parete doccia esterna su superficie gia' pavimentata e senza sviluppo di superficie utile ne' volumetria sarebbe da qualificare quale nuova costruzione per cui necessitava di permesso a costruire. L'opera in questione realizzerebbe una manutenzione straordinaria leggera secondo il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 lettera b), trattandosi di attivita' di realizzazione e/o integrazione dei servizi igienico-sanitari, assoggettata ai sensi degli articoli 6, 6 bis e 23 del TUE a semplice Cila o al piu' a Scia. 2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla illogicita' della motivazione con riguardo alla realizzazione del solaio del bagno. La Corte territoriale nel trattare il motivo di appello non avrebbe colto la doglianza e avrebbe travisato il tutto rendendo sul punto una motivazione assolutamente inconferente. Non avrebbe considerato la corte territoriale che vi era stata la realizzazione di un solaio intermedio, sicche', ferma l'altezza interna del bagno, non vi sarebbe alcun aumento di volumetria. Anche questo intervento sarebbe da annoverare tra gli interventi di manutenzione straordinaria o di difformita' rispetto alla Scia. 2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonche' in relazione al Decreto Legislativo n. 222 del 2016 e relative tabelle indicanti l'attivita' di edilizia libera. Errata qualificazione giuridica del solaio del bagno ed errata sussunzione nelle opere che richiedono il permesso a costruire trattandosi di modificazione di pertinenza urbanistica (elevazione di cm. 45 del bagno). 2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di cui all'articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonche' in relazione al Decreto Legislativo n. 40 del 2004, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017, articolo 149 e 181. Si tratterebbe di interventi, quelli sopra descritti, per i quali non sarebbe richiesta l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 149 cit. in quanto non altererebbero lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici tenuto conto che quanto la sagoma esteriore e la volumetria sarebbero rimaste quelle del "prospetto laterale" della Scia mentre la parete doccia non avrebbe comportato una modifica significativa degli assetti planimetrici e vegetazionali. 2.6. Con il sesto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione della causa di non punibilita' ex articolo 131 bis c.p.. 2.7. Con il settimo motivo il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 2.8. Con l'ottavo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione agli articoli 164-165 c.p. in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Va, preliminarmente, rilevata la tardivita' della memoria depositata in data 30 marzo 2023, per l'udienza del 4 aprile 2023, tenuto conto che nel giudizio camerale di legittimita', ex articolo 23 bis L. 18 dicembre 2020, n. 176, le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni "liberi" prima dell'udienza, previsti dall'articolo 611 c.p.p., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione (Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 - 01; Sez. 1, n. 13597 del 22/11/2016, De Silvio, Rv. 269673 - 01). 5. Il ricorso e' inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati. I motivi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili perche' manifestamente infondati. Il ricorrente articola le censure sulla base di un errato presupposto giuridico, contrario ai principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimita' che ha, da sempre, affermato che l'intervento edilizio deve essere considerato unitariamente nel suo complesso, senza possibilita' di scindere e considerare separatamente le sue componenti (Sez. 3, n. 20363 del 16/03/2010, Marrella, Rv. 247175 - 01; Sin da risalenti, e mai superate pronunce di questa Corte di legittimita', si e' affermato il principio secondo cui la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, cosi' che, in virtu' del concetto unitario di costruzione, la stessa puo' dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio (Sez. 3, n. 4048 del 06/11/2:002, Rv. 223365 01, fattispecie in tema di decorrenza del termine di prescrizione) Piu' recentemente, e con riguardo al profilo che qui viene in rilievo della tipologia del titolo abilitativo richiesto, si e' ribadito che in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attivita' edificatoria nella sua unitarieta', senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, P.M. in proc. Casciato, Rv. 263473 - 01). Si e' in proposito reiteratamente evidenziato che il regime dei titoli abilitativi edilizi non puo' essere eluso attraverso la suddivisione dell'attivita' edificatoria finale, nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo piu' blando, per la loro piu' modesta incisivita' sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 - 01; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, Forte, Rv. 252125 - 01). Il principio di unitaria valutazione e' stato ribadito anche con riferimento ad opere in grado di non assumere rilevanza penale se esaminate autonomamente, eppure suscettibili di integrare, proprio in ragione della necessaria valutazione complessiva, interventi richiedenti titoli abilitativi corrispondenti al permesso di costruire o ad atti ad esso equivalenti (fattispecie con riguardo alla valutazione dell'opera ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza della prescrizione, deve riguardare la stessa nella sua unitarieta', senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 - 01; Tomasulo P; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 - 01 cit.). 6. Sulla scorta di questa esegesi ermeneutica la decisione impugnata e' giuridicamente corretta. La vicenda in esame, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, riguarda la realizzazione di una parte ex novo con inserimento di doccia nella parte destinata ad area scoperta che, pur non determinando nuove superfici e volumi, modificava l'originaria tipologia del luogo, e la realizzazione di un nuovo solaio di copertura del vano bagno, che rispetto all'originaria altezza di m. 2,30 era, all'esito del sopralluogo di m. 2,75, con realizzazione di nuovi volumi. La ricostruzione del solaio con innalzamento dello stesso e, inevitabile, aumento di volumetria, rientra, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, nella nozione di nuova costruzione soggetta a permesso a costruire ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 lettera e), sicche' non era sufficiente la SCIA che consentiva la sola demolizione e ricostruzione del solaio come in origine. La valutazione unitaria delle opere come realizzate ed accertate non consente di scindere l'intervento realizzato di costruzione ex novo del muro con inserimento di doccia, e di ritenerlo quale manutenzione leggera che include ai sensi ai sensi dell'articolo 3 lettera b) cit. "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonche' per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici" assoggettati ai sensi degli articoli 6, 6 bis e 22 Tue a semplice CILA. 7. Consegue anche la manifesta infondatezza del quinto motivo di ricorso, atteso che i lavori erano stati eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico senza autorizzazione paesaggistica, trattandosi di interventi, quelli complessivamente realizzati, che richiedevano l'autorizzazione paesaggistica ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, non trovando applicazione l'articolo 149 cit. A norma del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149, comma 1, lettera a), non e' richiesta l'autorizzazione paesaggistica per "gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici". Mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia da eseguire in area sottoposta a vincolo paesaggistico sono sempre soggetti ad autorizzazione (Sez. 3, n. 24410 del 09/02/2016, Pezzuto, Rv. 267190 - 01; Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010, Perna, Rv. 246218). Orbene, il D.Lgs n. 42 del 2004, articolo 149 il cui comma 1, lettera a), sottrae all'obbligo di autorizzazione gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, mentre ogni altro intervento, per il quale sia necessario il permesso di costruire la richiede. Per l'intervento come realizzato era dunque necessaria l'autorizzazione paesaggistica e la loro realizzazione in assenza integra il reato contestato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 comma 1. 8. Il sesto motivo di ricorso che contesta il diniego di riconoscimento della causa di non punibilita' ex articolo 131 bis c.p. e' inammissibile. Da un lato il riferimento alla mancanza di presupposti di cui all'articolo 101 c.p. non e' pertinente giacche' la sentenza impugnata ha escluso la particolare tenuita' dell'offesa in ragione dell'abitualita' della condotta tenuto conto dei precedenti della stessa indole. Tale decisione si pone in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite Tushaj secondo cui, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilita' della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p., il comportamento e' abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 - 01). L'imputato e' recidivo reiterato e specifico condanna per L. n. 298 del 1974, articolo 46 e articolo 1161 c.n.), sicche' la motivazione e' congrua e corretta in diritto. 9. Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e' giustificato dai precedenti penali specifici e reiterati dell'imputato. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione, essendo sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai precedenti penali dell'imputato (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 - 01). 10. Anche l'ottavo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. La sospensione condizionale della pena e' stata rigettata per assenza dei presupposti per la sua concessione in ragione dei precedenti penali da cui non era possibile formulare un giudizio prognostico favorevole di astensione dalla commissione di altri reati, sicche' il tema della eventuale subordinazione del beneficio alla demolizione non e' pertinente. Non viene in questione, in altri termini, la valutazione discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo, di cui il ricorrente lamenta l'omessa motivazione, in quanto il beneficio suddetto e' stato escluso per mancanza dei presupposti ex articolo 164 c.p.. 11. L'inammissibilita' del ricorso per cassazione, per manifesta infondatezza dei' motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita' di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita' a norma dell'articolo 129 c.p.p." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni) cosicche' e' preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119). 12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORDANO Emilia - rel. Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/04/2022 della Corte di appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GIORDANO Emilia Anna; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LETTIERI Nicola che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi; uditi, per le parti civili, i difensori avvocato (OMISSIS), in difesa della Confederazione Italiana del Lavoro Camera Del Lavoro e in qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) in difesa della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, che si associa alla richiesta per la conferma delle statuizioni civili e deposito delle conclusioni e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e F.A.I Antiracket (OMISSIS) si associa alle richieste del PG, chiede l'inammissibilita' o in subordine il rigetto dei ricorsi, deposita conclusioni e nota spese; uditi, per i ricorrenti, l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche', in qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e dell'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS); l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) i quali insistono per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnano la sentenza con la quale la Corte di appello di Caltanissetta ne ha confermato la condanna, con la diminuente del rito abbreviato, alla pena ritenuta di giustizia per i reati rispettivamente ascritti. Secondo le sentenze di merito, convergenti, a meno di aspetti del tutto marginali, nella ricostruzione dei fatti lungo una comune linea interpretativa, i risultati delle indagini hanno consentito di enucleare la esistenza di due associazioni a delinquere, una di stampo mafioso che si riconosce nella (OMISSIS) e l'altra dedicata alla commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti, operanti in (OMISSIS) e altri comuni della provincia di Caltanissetta. Il capo dell'associazione mafiosa e' stato individuato in (OMISSIS) che, gia' condannato per omicidio, associazione mafiosa e altri reati di mafia, nel gennaio 2014 era tornato in liberta' riprendendo in mano le redini dell'associazione mafiosa e governando il gruppo dedito al traffico di droga coadiuvato, nel ruolo direttivo, dal fratello (OMISSIS), scarcerato qualche mese dopo (e nei confronti del quale si procede separatamente). La sentenza di primo grado ha individuato i connotati di stabilita', la struttura organizzativa e il programma criminoso dell'associazione di stampo mafioso, di cui al capo A), descrivendone le modalita' operative, mutuate dalla struttura madre "(OMISSIS)" e connotate dall'impiego della forza di intimidazione e delle conseguenti condizioni di assoggettamento ed omerta' che ne derivano. La struttura mafiosa era volta, secondo tale ricostruzione, alla commissione di delitti di vario genere e, in particolare, alla commissione di reati in materia di stupefacenti, attraverso la collegata struttura di cui al capo B) della rubrica, ma anche in ambiti diversi, mediante l'imposizione ai titolari di esercizi commerciali dell'acquisto di prodotti necessari per le loro attivita' dalle ditte create da (OMISSIS) e il reinvestimento in altre lecite attivita' dei proventi dei traffici e guadagni illeciti. Sono dunque connessi al reato associativo, i reati di estorsione e tentata estorsione, ma anche alcuni episodi intimidatori volti a creare il condizionamento per le successive imposizioni economiche, contestati a (OMISSIS) ai capi C), D), H) I) L), R) T), reati in materia di armi (capo S), e quelli di intestazione fittizia e autoriciclaggio sub capi HHH), in) e KKK). In relazione al reato associativo sub capo A) sono contestate le aggravanti di associazione armata (articolo 416-bis c.p., comma 4) e quella di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6 per avere gli associati finanziato, in tutto o in parte, le attivita' economiche da controllare o controllate con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Le violente modalita' di imposizione che connotano le condotte estorsive, volte alla imposizione delle forniture del (OMISSIS), integrano la ricorrenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sotto l'aspetto dell'impiego del metodo mafioso, nonche' la inequivoca direzione delle condotte al finanziamento delle attivita' dell'associazione, finalita' che appare ravvisabile anche in relazione ai reati di intestazione fittizia e alla gestione del traffico di droga, attraverso un gruppo di persone (tra i ricorrenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) preposte alla gestione dei covi - ben tre ove venivano custodite droga e armi - e alle operazioni di acquisto della droga sui mercati disponibili (il napoletano, ma anche (OMISSIS)) (fra questi, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Anche con riguardo al reato associativo di cui al capo B) i giudici di merito hanno individuato e descritto le caratteristiche di stabilita' e la organizzazione di una struttura dedita all'acquisto, stoccaggio e smistamento dello stupefacente in favore di una vasta rete di acquirenti preposti alla vendita al dettaglio, settore nel quale erano attivi i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) (che non rispondono del reato associativo sub capo A). I ricorrenti contatti, personali e telefonici, oggetto di osservazione e intercettazione, fra i correi; l'utilizzo di un sistema di comunicazioni telefoniche con terminologia convenzionale; l'utilizzo di un sistema di schermatura, attraverso le intestazioni fittizie dei conti - operazione, questa, alla quale era inteso, in particolare, (OMISSIS) - costituiscono tutti elementi sintomatici della esistenza di una rodata struttura operativa, ancillare e servente rispetto alla struttura mafiosa, dedita alla commissione di reati in materia di stupefacenti, contestati ad alcuni ricorrenti, in particolare a (OMISSIS) (ai capi RR), SS), ad (OMISSIS), ai capi BB), DD), FF), GG), JJ), MM), al (OMISSIS), al capo NN. Questi, al capo QQ), (OMISSIS), ai capi W), TT) e VV) rispondono anche dei reati in materia di armi e relativa ricettazione. 2. Tutti i ricorrenti, con motivi sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, chiedono l'annullamento della sentenza impugnata denunciandone vizi di violazione di legge, processuale e sostanziale, e cumulativi vizi di motivazione. In particolare: 2.1 (OMISSIS) classe (OMISSIS) denuncia: Motivo 1: violazione di legge penale (articolo 416-bis c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74) ed erronea interpretazione delle risultanze processuali, principalmente conversazioni aventi contenuto criptico e ricalcate sulla presenza del ricorrente nel cd. covo di via (OMISSIS) in quanto punto di approvvigionamento dello stupefacente. La saltuaria presenza dell'imputato in tale abitazione non giustifica razionalmente la condanna in mancanza di elementi dai quali inferire il contenuto degli incontri con riferimento all'oggetto ed allo scopo dei contatti con gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e altri imputati anche tenuto conto che il ricorrente, assuntore di stupefacenti, si recava in via (OMISSIS) per acquisti a titolo personale. La Corte ha valorizzato, con riferimento alle conversazioni n. 2239 de118/04/2017 e 1159 del 18/2/2017 elementi generici, non riconducibili a sostanze stupefacenti; circostanze ambigue, come la sua presenza in via Tucidide, giustificata dal fatto che ivi si trovavano le abitazioni della madre e di un cugino del ricorrente. Quindi gli elementi valorizzati non consentono di individuare la condotta partecipativa e il contributo del ricorrente al reato associativo; Motivo 2: violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata riqualificazione del reato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, non essendo stato accertato il quantitativo degli approvvigionamenti in modo da ritenerlo cospicuo piuttosto che di modica entita'; 2.2 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge (articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 3, articoli 192, 533 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1) e nullita' della sentenza che consiste nella mera trasposizione del contenuto dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare, in assenza di confronto con i motivi di impugnazione e che, pertanto, si risolve in una motivazione apparente, in punto di responsabilita' dell'imputato; Motivo n. 2: cumulativi vizi di motivazione in ordine alla responsabilita' dell'imputato con riferimento alla sua partecipazione consapevole all'associazione di stampo mafioso, contestata al capo A) e sussistenza delle ritenute aggravanti. La sentenza impugnata, in linea con quella di primo grado, si affanna nella ricostruzione della "storicita'" del gruppo mafioso operante nella citta' di (OMISSIS) ma non compie un'accurata disamina della sussistenza, nel caso concreto, della esplicazione, in relazione ai cd. reati fine contestati, del metodo mafioso che costituisce l'in se del reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. Difetta, nel caso in esame, qualsiasi elemento di collegamento tra l'associazione, oggetto di indagine, e la (OMISSIS) o le associazioni che l'avevano preceduta sul territorio di interesse e manca la prova della condotta di partecipazione del ricorrente, a lungo detenuto e nuovamente raggiunto dalla misura nel presente procedimento e destinatario di una sentenza irrevocabile (la n. 26 del 2019) che ha escluso proprio l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. agganciata alle dichiarazioni, ritenute non credibili, degli stessi collaboratori, oggi, viceversa, ritenuti tali. Difetta, in relazione allo stesso reato associativo, la prova che si trattava di una struttura che si avvaleva del metodo mafioso. Le condotte accertate attraverso le intercettazioni, di cui non vengono specificamente analizzati i contenuti comunicativi, non sono idonee ad inferirne il contributo partecipativo che viene ricondotto alla presenza dell'imputato nel covo di via (OMISSIS) (frequentato in ragione delle sue amicizie extraconiugali), presenza che ne denota, al piu', rispetto alla droga ivi sequestrata, una fattispecie di connivenza non punibile e valorizzandone i rapporti con il cugino (OMISSIS), ovvero attraverso il coinvolgimento nei reati fine, ascritti ad altri imputati essendo del tutto neutri i contenuti dei suoi controlli in loro compagnia. L'altro pilastro della ricostruzione accusatoria si fonda sulle dichiarazioni dei collaboratori, (OMISSIS) e (OMISSIS), gia' ritenuti non attendibili nella sentenza indicata e di (OMISSIS), estraneo, per sua stessa ammissione, alle frequentazioni degli (OMISSIS). Tali dichiarazioni, con riguardo all'imputato, non hanno trovato riscontri nella frequentazione dei capi della cosca ma solo in quella del cugino e di altri presunti appartenenti. Nessun elemento rinvia, quanto all'imputato, ad episodi ulteriori e diversi da quelli in materia di stupefacenti. Insussistenti anche le aggravanti armata (articolo 416-bis c.p., comma 4) in mancanza di un collegamento funzionale della disponibilita' di armi con i reati oggetto dell'associazione e quella di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6. Non vi e' in atti alcun riferimento ad attivita' economiche, ascrivibili all'imputato, collegabili finanziariamente a reddito guadagni derivanti dall'attivita' dell'associazione; Motivo n. 3: violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 14, 15 e 16. La Corte di appello, in forza del bilanciamento tra le circostanze, non ha motivato la sussistenza di tali aggravanti, dalle quali discendono pesanti conseguenze in sede di esecuzione. Nel caso in esame, in forza della sottoposizione dell'imputato a regime detentivo, il decreto di applicazione della sorveglianza speciale (emesso il 5 luglio 2000 e che si dice notificato a 19 anni dai fatti), e' rimasto "sospeso" e, pertanto, non era produttivo degli effetti giuridici presupposto dell'aggravante e, comunque, non era stato rinotificato dopo la scarcerazione; Motivo n. 4: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla partecipazione al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, peraltro insussistente non essendo comprovati gli elementi strutturali tipici di tale reato. Nel caso in esame ricorrono solo elementi negativi (mai operati sequestro, se non quello del covo di via (OMISSIS); mai sono stati sentiti gli acquirenti; mai e' stata individuata il tipo di sostanza; le perquisizioni si sono rivelate sempre negative; non e' provata la esistenza di una piazza di spaccio e nessun elemento in positivo coinvolge il ricorrente nella supposta attivita' di gestione dello spaccio; nessun elemento denota la sussistenza di un comune profitto). Generici sono gli elementi che, attraverso le intercettazioni, coinvolgono il ricorrente e, al piu', riconducibili ad una mera connivenza non punibile. Insussistenti sono le aggravanti di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. che richiede la consapevolezza dell'apporto a favore dell'associazione e quella del numero di persone nonche' della disponibilita' di armi. (OMISSIS), cugino del ricorrente e gia' condannato per reati di armi, in relazione a quelle rinvenute nel covo di via (OMISSIS), ha escluso il coinvolgimento nei fatti del ricorrente; Motivo n. 5: con riferimento al reato contestato al capo RR) (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, articolo 80, comma 2) la condanna del ricorrente non e' fondata su elementi si prova che ne denotino il coinvolgimento nella gestione del covo, quindi la disponibilita' dello stupefacente in esso rinvenuto in occasione dell'arresto di (OMISSIS), reo confesso, che ne ha escluso il coinvolgimento nei fatti. E', comunque, insussistente, non essendo provato il superamento del valore soglia di 4000 volte rispetto al valore drogante, della droga rinvenuta (kg. 52 di hashish) che e' risultata contenere principio attivo pari a gr. 15,077 ca. Ne' ricorrono i presupposti per la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1, c.p.; Motivo n. 6: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e correlate aggravanti, ascrittogli al capo SS) della rubrica; Motivo n. 7: violazione di legge (L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4 e 7 e L. n. 110 del 1975, articolo 23, commi 1, 3, 4) in relazione ai reati contestati ai capi W) e TT) tenuto conto dei principi sentenza delle Sezioni unite che hanno escluso il concorso materiale e formale tra i reati indicati, in presenza di armi comuni da sparo e clandestine. Anche in tale caso la condanna dell'imputato, al confronto con le dichiarazioni del (OMISSIS) che ne ha escluso ogni coinvolgimento nei fatti, e' immotivata. Illegittima per violazione di legge la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p.; Motivo n. 8: erronea applicazione della legge penale (articolo 648 c.p.) in relazione al reato di cui al Capo UU). La condanna dell'imputato, al confronto con le dichiarazioni del (OMISSIS) che ne ha escluso ogni coinvolgimento nei fatti, e' immotivata. Non e' comunque, provata la impossibilita' di ripristinare il numero seriale dell'arma; Motivo n. 9: violazione di legge per mancata sussunzione del fatto di cui al capo B) nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in assenza di indici significativi della maggiore gravita' del reato; Motivo n. 10: cumulativi vizi di motivazione sula mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti; Motivo n. 11: violazione di legge e vizio di motivazione sulla misura di aumento della pena per la continuazione fra reati, in relazione a quelli contesati ai capi A), W), RR) SS), TT) UU). Infine e' erronea all'applicazione della pena base che dovrebbe far riferimento, quanto al reato sub A) alla pena prevista in relazione a condotte dal 2012 al 2015 e tenuto conto che la fine delle indagini risale al 2017/2018. L' (OMISSIS) e' detenuto dai primi mesi del 2018 e non ci sono ulteriori elementi che ne collocano la sua presenza al di fuori dell'episodio di via (OMISSIS) (del 2017 e dell'arresto, nel 2018, per altro procedimento. Non sussistono, quindi, elementi per applicare una pena successiva al 2015, se non la fictio iuris della contestazione della permanenza. 2.3 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: nullita' della sentenza ex articolo 521 c.p.p. per la diversita' del fatto tra le condotte oggetto di contestazione (delitto di autoriciclaggio di cui al capo KKK) e intestazione fittizia, capo JJJ) quanto alla individuazione del tempus commissi delicti e della condotta erroneamente ricondotta, quanto al delitto JJJ), alla costituzione della societa' (OMISSIS) (avvenuta il 29 settembre 2014) e all'intervento di (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) nella gestione della stagione invernale 2015/2016. Il tempus commissi delicti (prossimo e successivo al 29/09/2014) non coincide con quello per cui vi e' stata dichiarazione di responsabilita'; analogo vizio inficia la contestazione sub capo KKK; Motivo n. 2: erronea applicazione dell'articolo 512-bis c.p. perche' il delitto di autoriciclaggio non e' ricompreso tra i reati che possono essere agevolati attraverso il reato di intestazione fittizia. Sul punto la motivazione e' contraddittoria attribuendo ai concorrenti la partecipazione nel reato proprio e trascurando che, anche nel frangente relativo alla gestione della stagione 2015/2016, l'imputato aveva, comunque, investito propri capitali; Motivo n. 3: erronea applicazione dell'articolo 648-ter c.p. a carico dell'imputato, reato proprio perche' presuppone in capo a chi lo commette, la precedente commissione di reati da cui originano i proventi delittuosi riciclati). La Corte ha ritenuto configurabile, in relazione a tale fattispecie, il concorso dell'extraneus pur non essendo acclarata la provenienza delittuosa dei capitali investiti. La conversazione del 18 novembre 2015 (n. 8044) denota, inoltre, che non vi fu alcun investimento di capitali dal momento che (OMISSIS) incaricava (OMISSIS) di riferire al (OMISSIS) che non poteva emettere l'assegno e che voleva tirarsi fuori dalla vicenda. E' contraddittoria la valutazione della prova in relazione al contenuto delle conversazioni del 16/10/2015 e 19/5/2016. 2.4 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1:: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente all'associazione (OMISSIS) di cui al capo A) frutto della erronea valutazione delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) che, esterno alla (OMISSIS), non poteva essere ritenuto attendibile sulla portata delle sue accuse che necessitavano di adeguato riscontro esterno anche in relazione al contributo partecipativo che non puo' essere fatto discendere dalla mera affiliazione, alla quale rinviano, quanto a (OMISSIS), le dichiarazioni del collaboratore. In relazione a tali dichiarazioni, in merito gli atti incendiari ed all'episodio ritorsivo in danno di (OMISSIS), fatti per i quali procedeva l'autorita' giudiziaria ordinaria, non e' spiegata in sentenza la veste del dichiarante (OMISSIS), che sarebbe stato presente ai fatti e, soprattutto, quale vizio di travisamento della prova, la Corte di merito non ha eseguito il debito confronto fra le dichiarazioni di (OMISSIS) (secondo il quale l'attentatore era una sola persona, (OMISSIS) che si trovava a bordo di una smart) e il frame sviluppato a pag. 440 dell'ordinanza cautelare, dal quale si rileva la presenza di piu' persone e che l'autovettura utilizzata non e' una Smarticolo In poche parole, la prova a carico del ricorrente si risolve nella mera indicazione del (OMISSIS) che lo individua come affiliato del clan; Motivo n. 2: violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui all'articolo 461-bis c.p., comma 2, in mancanza di elementi di riscontro al dictum del collaboratore. Il ruolo del ricorrente viene agganciato all'episodio della rissa presso il locale (OMISSIS) che vide coinvolto (OMISSIS), ma la cui frase rivela la mancanza di obbedienza interna al clan correlata al ruolo dell'imputato. Ne' la Corte individua ulteriori iniziative assunte dall'imputato. Anche gli alti episodi indicati dalla Corte sono neutri agli effetti della dimostrazione del ruolo verticistico dell'imputato quale quello in danno di (OMISSIS), rispetto al quale e' evidenziata la indifferenza dell'imputato; cosi' e' fallace l'argomentazione della Corte ricondotta all'episodio di aggressione ad alcuni operi della (OMISSIS). In caso di esclusione di siffatta aggravante si impone il ricalcolo della pena; Motivo n. 3: violazione di legge in relazione all'applicazione dell'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71 perche' l'imputato non e' mai stato effettivamente sottoposto alla misura di prevenzione: difetta, quindi, il presupposto per l'applicazione di detta aggravante; Motivo n. 4: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione in merito all'episodio del danneggiamento del Bar (OMISSIS) di cui al capo C). E' erronea la conclusione della Corte di appello in merito alla valutazione del danneggiamento al Bar (OMISSIS) e la Corte ha trascurato la valutazione delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) che collegavano i fatti con riferimento all'acrimonia che il dichiarante poteva nutrire verso l'imputato dal momento che l'attivita' dell'imputato non era in concorrenza con quella del (OMISSIS) ma lo era quella del bar (OMISSIS), supportato dal (OMISSIS); Motivo n. 5: violazione di legge e vizio di motivazione nella ricostruzione in fatto in relazione al reato di estorsione di cui al capo D) in conseguenza della erronea interpretazione del contenuto della conversazione n. 1833 del 4/01/2019 tenuto conto che l'imputato non fece alcuna richiesta ai fratelli (OMISSIS) di acquisire prodotti che egli stesso commercializzava. La sentenza non valorizza i motivi di acrimonia nutriti dai denuncianti verso l'imputato per effetto del crollo del loro giro di affari dopo che l'imputato si era inserito nelle attivita' di vendita di alcolici e bibite; Motivo n. 6: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di tentata estorsione aggravata e detenzione e porto di armi oggetto di contestazione ai capi H) ed I) in danno del bar (OMISSIS) e della pasticceria (OMISSIS). La Corte sviluppa le sue argomentazioni su mere impressioni o congetture (l'esito delle comparazioni balistiche su alcune armi appartenenti al (OMISSIS)) ed omette di valutare che nessun ordine era stato impartito dal (OMISSIS) e il contenuto delle captazioni, n. 45 del 24/3/2017 in cui (OMISSIS) parla con il padre che gli dice di lasciar perdere (OMISSIS) e della conversazione di (OMISSIS) che esterna alla figlia il sospetto che l'attentato fosse stato determinato dalla consegna delle immagini del sistema di sorveglianza in ordine a un tentato furto. Non e' motivata la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416.bis.1 c.p.; Motivo 7: violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata valutazione, in punto di giudizio di attendibilita', delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) che costituiscono la base probatoria del reto di cui al capo L). La Corte non ha verificato il plausibile movente del dichiarante avesse voluto tenere indenne da responsabilita' il fratello e non ha debitamente valutato le dichiarazioni della persona offesa che parlo' di insistenze (e non di minacce) dell'imputato. Anche in tal caso e' omessa la motivazione sulla sussistenza dell'aggravante speciale; Motivo n. 8: omessa motivazione sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione al reato sub capo R); Motivo n. 9: violazione di legge e motivazione apparente sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p. in relazione ai reati di cui ai capi S) e R), ricondotti dal Tribunale del Riesame ad un ambito familiare ed avendo pertanto escluso la finalita' di agevolazione dell'associazione; Motivo n. 10: violazione di legge e vizio di motivazione nonche' travisamento della prova, in relazione alla configurabilita' del reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo JJJ): l'imputato non aveva motivo di ritenere che potesse essere applicata nei sui confronti la misura della sorveglianza speciale atteso che quella che gli era stata applicata con sentenza del 28 maggio 1999 nonche' la liberta' vigilata applicatagli con sentenza del 17 marzo erano state revocate dal Tribunale di Sorveglianza in data 6 marzo 2014 e 24 settembre 2015. Quanto ai reati di cui ai capi M) e KKK) la Corte omette di valutare le dichiarazioni di (OMISSIS) che ha riferito che, nel periodo in contestazione, il locale era gestito da persone diverse dal ricorrente ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e non dal (OMISSIS). Omessa e' la motivazione sulla sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa. Motivo n. 11: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione in ordina alla partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al capo B) frutto della erronea valutazione delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) che sono prive di riscontri esterni che non rinvengono dalle conversazioni intercettate a carico dell'imputato indicate a pag. 16 e ss. - e dalle quali non emerge ne' la univoca riconducibilita' all'imputato ne' la Corte esamina ragioni per le quali i riferimenti alla carta di cui alle conversazioni intercettate possano far riferimento a stupefacenti; Motivo n. 12: violazione di legge per mancata sussunzione del fatto contestato al capo B), nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in assenza di indici significativi della maggiore gravita' del reato; Motivo n. 13: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione per la mancata applicazione della continuazione esterna con i fatti di cui alla sentenza del 17 marzo 2000, per il reato di omicidio aggravato L. n. 203 del 1990, ex articolo 7 commesso il (OMISSIS) e alla sentenza del 28 maggio 1999 che ne attesta la partecipazione all'associazione (OMISSIS), clan (OMISSIS)- (OMISSIS) gia' nel lontano 1991. A fronte della richiesta in tal senso del procuratore generale sono illogiche le considerazioni della Corte che ha ritenuto carente la dimostrazione dell'unicita' del disegno criminoso valorizzando la discontinuita' temporale tenuto conto della risalente adesione alla (OMISSIS) del ricorrente, rispetto alla quale non ha mai receduto. Il difensore ha depositato una memoria alla quale allega la sentenza del Tribunale di Gela del 6 aprile 2022, intervenuta nel rito ordinario, con la quale a (OMISSIS), che versava nella medesima situazione di fatto, e' stata riconosciuta la continuazione esterna con le sentenze indicate sub motivo n. 13. Il difensore ha chiesto la esclusione, ai sensi dell'articolo 80 c.p.p., della costituita parte civile FAI, Antiracket (OMISSIS) Associazione (OMISSIS)" essendo intervenuta la cancellazione della predetta associazione dall'elenco dele Associazioni e Fondazioni antiracket e antiusura della Prefettura di Caltanissetta, come appreso dai giornali. Insiste sui motivi di ricorso e, in particolare sul motivo relativo alla contestazione del reato sub capo D), parti offese (OMISSIS), e con riferimento ai restanti reati. 2.5 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione per la ritenuta partecipazione del ricorrente all'associazione (OMISSIS) di cui al capo A) frutto della erronea valutazione delle prove e della generalizzazione di rapporti dell'imputato con il cugino, (OMISSIS), o di rapporti commerciali leciti (la vendita di un auto e non la vendita di armi o stupefacenti, equivocando sul tenore della conversazione n. 330 del 20/09/2016) con (OMISSIS) e con (OMISSIS), una sola conversazione (n. 889 del 3/10/2016) e generalizzando la rilevanza degli elementi di prova che rinviano ai reati in materia di stupefacenti. La Corte di merito ha sopravvalutato la valenza di tali elementi incorrendo, cosi', anche nel vizio di violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio che deve connotare la valutazione, ai fini di condanna e che, con riguardo al reato associativo, postula l'accertamento della condivisione e contributo consapevole al programma associativo. Non emergono, dal compendio intercettativo, riferimenti degli altri imputati al ricorrente; il (OMISSIS) non fa riferimento alcuno dall'imputato che, prima delle descritte conversazioni, era "estraneo" a qualsiasi indagine e che e' scomparso, dopo tali intercettazioni, dalle investigazioni. La Corte di merito non ha valorizzato, incorrendo nel vizzo di violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p., comma 2, nessuno degli elementi a favore operando una lettura frammentaria e funzionale alla condanna dell'imputato; Motivo n. 2: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione per la ritenuta partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 contestata al capo B). Anche in tale caso sono stati generalizzati gli sporadici contatti dell'imputato con (OMISSIS) e con (OMISSIS) per inferirne che egli gestisse il covo di via (OMISSIS). Contrasta con le conclusioni la unicita' dell'episodio oggetto di accertamento; la esistenza di un rapporto familiare del ricorrente con (OMISSIS); la unicita' del contatto con (OMISSIS). Motivo n. 3: erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza, con riguardo ai reati di cui ai capi B), NN), PP), QQ) dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. per le ragioni innanzi esposte: Motivo n. 4: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 648 c.p. in relazione alla detenzione di armi, sub capo QQ). E' frutto della generalizzazione che connota la motivazione di tutta la sentenza impugnata la prova del coinvolgimento dell'imputato nella detenzione delle armi ritrovate nel covo di via (OMISSIS). Le conclusioni della Corte di appello, come per le altre imputazioni, contrastano con lo stato di minorata abilita' fisica dell'imputato; non sono stati svolti accertamenti sulle impronte presenti sulle stesse; l'unicita' dell'episodio che lo coinvolge nella presenza nel covo; valorizzando la captazione ambientale (quella del 20/09/2016 n. 33) rispetto alla quale non vi certezza della riconducibilita' all'imputato; Motivo n. s: violazione di legge, con riferimento al reato sub capo PP) che, non compare nel decreto di citazione in appello, pur essendo motivata, a riguardo (pagg. 137, 243 e ss.) la responsabilita' del ricorrente. Tale carenza inficia di nullita' la sentenza impugnata. 2.6 (OMISSIS) denuncia: Motivo 1: violazione di legge e mancanza di motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), articolo 121 c.p.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3) per omesso esame della memoria difensiva depositata all'udienza del 6/04/2022; Motivo 2: violazione di legge e omessa motivazione sul motivo di appello che denunciava l'apoditticita' della sentenza di primo grado in quanto risultato della mera traslazione dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare; la Corte di appello non ha fornito adeguata motivazione al motivo di appello traslando, nella propria motivazione, quella di primo grado; Motivo 3: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta configurabilita' del concorso tra reati in relazione alle contestazioni associative di cui ai capi A) e B). La Corte di merito ha esaminato superficialmente le censure difensive ed ha sviluppato una motivazione "cumulativa" della responsabilita' degli imputati. Con i motivi aggiunti, in riferimento a tale motivo, premesso che all'imputato viene addebitata, con effetto sulla contestazione di entrambi i reati associativi, la gestione dei covi di via (OMISSIS) e via (OMISSIS), evidenzia che difettano gli elementi della sussistenza del reato associativo sub capo B), che presenta elementi specializzanti rispetto al reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, in particolare, della consapevolezza, in capo all'imputato, che il traffico fosse gestito dall'associazione mafiosa e quindi la consapevolezza di contribuire alla realizzazione delle finalita' tipiche. I locali erano frequentati da persone di famiglia. Difetta, inoltre, la prova dell'affiliazione al clan mafioso. Motivo 4: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta configurabilita' della condotta partecipativa del ricorrente con riferimento ade entrambi i reati. La Corte, con motivazione apparente, struttura la condotta partecipativa sulla mera frequentazione con alcuni imputati senza confrontarsi anche con il contenuto delle conversazioni intercettate che, invece, denotano l'estraneita' del ricorrente al contesto associativo; valorizzando l'elenco degli ingressi del ricorrente allo stabile di via (OMISSIS) e il contenuto allusivo o criptico di altre conversazioni. La Corte trascura che l'imputato non si confrontava con imputati diversi da (OMISSIS) e (OMISSIS); Motivo 5: apparenza della motivazione sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. in ragione dell'applicazione e bilanciamento delle generiche, aggravante ricostruita sulla mera appartenenza all'associazione mafiosa laddove la giurisprudenza richiede un quid pluris e, comunque, mutuandone le caratteristiche da quelle del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 con motivazione circolare e senza adeguata giustificazione logica; Motivo n. 6: violazione di legge e vizio di motivazione sul bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale che residua dalla esclusione delle rimanenti aggravanti e dosimetria della pena. Con i motivi aggiunti censura, altresi', l'eccessivo aumento di pena per la continuazione esterna in primo grado, tenuto conto della stessa natura dei reati e della misura di aumento per la continuazione interna e allega le note difensive gia' depositate all'udienza in appello del 5 aprile 2022. 2.7 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione in ordina alla partecipazione del ricorrente all'associazione (OMISSIS) di cui al capo A) frutto della erronea valutazione delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) che, esterno alla (OMISSIS), non poteva essere ritenuto attendibile sulla portata delle sue accuse e che necessitavano di adeguato riscontro esterno anche in relazione al contributo partecipativo che non puo' essere fatto discendere dalla mera affiliazione, alla quale rinviano le dichiarazioni del (OMISSIS) quanto al ricorrente. Tali dichiarazioni, in merito gli atti incendiari ed all'episodio ritorsivo in danno di (OMISSIS), fatti per i quali procedeva l'autorita' giudiziaria ordinaria, non e' spiegata in sentenza la veste del dichiarante (OMISSIS), che sarebbe stato presente ai fatti e, soprattutto, il dato rileva quale vizio di travisamento della prova, la Corte non ha proceduto al confronto fra le dichiarazioni di (OMISSIS) (secondo il quale l'attentatore era una sola persona, (OMISSIS) che si trovava a bordo di una smart) e il frame sviluppato a pag. 440 dell'ordinanza cautelare, dal quale si rileva la presenza di piu' persone a che l'autovettura utilizzata non e' una Smarticolo In poche parole, la prova a carico del ricorrente si risolve nella mera indicazione del (OMISSIS) che lo individua come affiliato del clan; Motivo n. 2: violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza delle aggravanti armata (articolo 416-bis c.p., comma 4) in mancanza di un collegamento funzionale della disponibilita' di armi con i reati oggetto dell'associazione: la Corte ha erroneamente valorizzato il contenuto di un'unica conversazione (8228 del 19/06/2016) che fa riferimento al coinvolgimento del ricorrente in una diatriba che lo opponeva, unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), a (OMISSIS) ma la conversazione nulla dice sulla disponibilita' di un'arma da parte dell'imputato comprovando, anzi che il ricorrente alla ricerca di un'arma. Analoghi vizi inficiano la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 6: non vi e' in atti alcun riferimento ad attivita' economiche, ascrivibili all'imputato, collegabili finanziariamente a reddito guadagni derivanti dall'attivita' dell'associazione; Motivo n. 3: violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al capo B) frutto della erronea valutazione delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) che sono prive di riscontri esterni che non rinvengono dalle conversazioni intercettate a carico dell'imputato indicate a pag. 9- e dalle quali non emerge alcun collegamento funzionale agli interessi del gruppo da parte dell'imputato. La sentenza impugnata non spiega in maniera convincente le ragioni per cui l'imputato non potesse ritenersi "autonomo" nella gestione dello spaccio e si rifugia dietro inesistenti massime di esperienza a fronte dei numerosi procedimenti penali presso la Procura di Gela riconducibili ad iniziative di spacciatori autonomi, anche a fronte dell'investimento di consistenti capitali. Non chiariscono il coinvolgimento del ricorrente nell'associazione le dichiarazioni dei collaboratori, (OMISSIS) e (OMISSIS) e lo iato temporale fra le conversazioni intercettate (alcune riferite al 2012, altre al 2016) e' significativo della mancanza di continuita' temporale fra le condotte. La sentenza impugnata incorre nel vizio di omessa pronuncia con riferimento al contenuto dell'ordinanza cautelare emessa nel procedimento penale n. 1455/2014, annullata dal Tribunale del riesame che escludeva, contrariamente all'affermazione che la zona (OMISSIS) costituisse la zona di spaccio del ricorrente, la gravita' indiziaria a carico del (OMISSIS). Ulteriore dato oggetto di travisamento e' rilevabile in relazione al provvedimento con il quale veniva disposta, a favore del (OMISSIS), la restituzione di somme sequestrategli in occasione del suo ferimento, il (OMISSIS), dato, questo, erroneamente valorizzato come riscontro anche in primo grado a carico del ricorrente. La sentenza impugnata non motiva la configurabilita' dell'aggravante dell'associazione armata, se non in termini apodittici e quella di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e, comunque, omettendo il confronto con i motivi di appello sul punto; Motivo n. 4: violazione di legge per la mancata riqualificazione dei fatti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, reato che maggiormente si confa' alla individuazione del ricorrente come pusher per conto della (OMISSIS); Motivo n. 5 violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, per mancata sussunzione del fatto, nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, in assenza di indici significativi della maggiore gravita' del reato; Motivo n. 6 violazione di legge e cumulativi vizi di motivazione per la mancata applicazione della continuazione esterna con i fatti di cui alle sentenze del 9 aprile 2003; 14 marzo 2006 e 18 giugno 2003 (tutte di uffici minorili). A fronte della richiesta in tal senso del procuratore generale sono illogiche le considerazioni della Corte che ha ritenuto carente la dimostrazione dell'unicita' del disegno criminoso valorizzando la discontinuita' temporale tra i fatti tenuto conto che il ricorrente non ha commesso reati comuni ma solo tali reati che, con riferimento alle sentenze 28/2003 e 12/2006 sono aggravate dalla finalita' di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. a favore della (OMISSIS) a comprova della continuita' e unitarieta' dell'adesione dell'imputato alla (OMISSIS) anche da minorenne e senza soluzione di continuita', un elemento questo che prevale sull'apparente discontinuita' della condotta, riconducibile anche alle vicende cautelari che lo hanno visto coinvolto; Motivo n. 6: violazione di legge e vizio di motivazione nella determinazione del trattamento punitivo calibrato sul ruolo di partecipe con la pena di anni quindici di reclusione pur essendo stato escluso il ruolo di promotore, organizzatore e capo del gruppo dedito allo spaccio. La pena e' incongrua e immotivata perche' non calibrata attraverso indici personologici. Il difensore ha depositato una memoria alla quale allega la sentenza del Tribunale di (OMISSIS) del 6 aprile 2022, intervenuta nel rito ordinario, con la quale per (OMISSIS) e' stata riconosciuta la continuazione esterna con le sentenze indicate sub motivo n. 6. Ha chiesto la esclusione, ai sensi dell'articolo 80 c.p.p., della costituita parte civile FAI, Antiracket (OMISSIS) Associazione (OMISSIS)" essendo intervenuta la cancellazione della predetta associazione dall'elenco dele Associazioni e Fondazioni antiracket e antiusura della Prefettura di Caltanissetta, come appreso dai giornali. 2.8 (OMISSIS) denuncia: Motivo 1: violazione di legge, articolo 15 c.p. e del divieto di ne bis in idem sostanziale poiche' la medesima condotta di cassiere e/o gestore della movimentazione di un conto nella disponibilita' di (OMISSIS) e' oggetto di contestazione si in relazione al reato sub capo A), articolo 416-bis c.p. che di quello sub capo B), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. E' erronea e generica la motivazione sul punto della sentenza impugnata; Motivo 2: violazione di legge, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3 per la mancata risposta della Corte di Appello sulla richiesta di acquisizione di una prova decisiva, l'acquisizione della documentazione bancaria. Il giudizio di colpevolezza e' stato espresso sulla base del contenuto delle captazioni ma non e' stata acquisita la documentazione bancaria, afferente alla gestione del conto per accertare operazioni riconducibili all'imputato; Motivo 3: violazione di legge, ai fini della configurabilita' della condotta associativa di cui all'articolo 416-bis c.p. ricostruita sulla stregua di conversazioni intercettate valorizzandone, oltre alla gestione del conto, la partecipazione a spedizione punitive ricostruite sulla base di intercettazioni intercorse non il capo dell'associazione, (OMISSIS), ma solo con (OMISSIS). L'ordinanza cautelare aveva evidenziato che altri contatti non risultavano dai brogliacci e solo una decina erano intervenuti con (OMISSIS) sono valorizzati anche nella sentenza che, impropriamente, ne enfatizza numero e contenuto per inferirne la messa a disposizione del ricorrente; in presenza del contenuto ambiguo e della mancanza di riscontri, con riferimento alla partecipazione dell'imputato alla spedizione punitiva presso il (OMISSIS). Rileva che alcuno dei collaboratori ha fatto riferimento all'imputato come partecipe dell'associazione e, quindi, la carenza di elementi fattuali dai quali inferne la partecipazione all'associazione; Motivo n. 4: violazione di legge e vizio di motivazione perla mancata qualificazione del fatto come concorso esterno. La risposta della Corte di appello al rilievo difensivo non si confronta con i principi in materia tenuto conto dei modesti elementi che denoterebbe il coinvolgimento dell'imputato nelle attivita' della consorteria mafiosa; Motivo n. 5: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta configurabilita' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in carenza di elementi idonei a denotarne il contributo associativo. Oltre alle incertezze sulla effettiva titolarita' e gestione del conto non si conoscono la destinazione del conto; mancano prove del suo collegamento con il capoclan e solo 4 operazioni sono individuate come sospette. Le condotte dell'imputato, contestate come in attuale permanenza, si arrestano, come da intercettazioni al 6 novembre 2015; Motivo n. 6: violazione di legge e' vizio di motivazione per la mancata riqualificazione del reato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, non essendo stato accertato il quantitativo degli approvvigionamenti in modo da ritenerlo cospicuo e non di modica entita'; Motivo n. 7: violazione di legge e vizio di motivazione erronea applicazione dei criteri in materia di determinazione della pena, per insussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e mancata applicazione dele circostanze attenuanti generiche. 2.9 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge, in relazione all'articolo 649 c.p.p. e al divieto di bis in idem sostanziale in relazione alla contestazione di concorso fra i reati di cui ai capi A), articolo 416-bis c.p. e capo B), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in carenza di elementi che rinviano, quanto al reato sub capo B), ad una fattispecie associativa potendo le condotte, in mancanza di prova dell'affectio societatis, ricondursi a episodi di spaccio, inidonei a configurare la fattispecie associativa. E' carente la prova della compartecipazione dell'imputato ad entrambe le compagini e, aspetto sottolineato con i motivi nuovi, la prova delle circostanze di fatto riconducibili agli elementi costitutivi dei due reati sottolineando come sia comune ad entrambi i reati associativi, la funzione di tutela del medesimo bene giuridico, riconducibile all'ordine pubblico; Motivo n. 2: violazione di legge penale sostanziale (articolo 416-bis c.p.). La sentenza impugnata, mera "riedizione" di quella di primo grado, ne condivide l'impostazione valorizzando episodi (l'atto ritorsivo in danno di (OMISSIS); l'episodio occorso presso il locale (OMISSIS); la conversazione tra il ricorrente e (OMISSIS) del 19/06/2016) inidonee a configurare gli elementi costitutivi del reato. Il primo episodio e' stato oggetto di diverso procedimento penale che non ne ha acclarato il movente ritorsivo e la connessione con finalita' agevolativa dell'associazione; ne e' incerta - perche' riportata solo dal collaboratore (OMISSIS), la presenza dell'imputato essendo smentite le dichiarazioni dalle risultanze, attestate dal sistema di videoripresa, sull'auto utilizzata. Sono equivoche le asserite affermazioni dell'imputato (intercettazione del 26/04/2016) che rinviano a tale fatto. La esistenza di rapporti di parentela con le persone che vi sono coinvolte esclude che possa conferirsi valenza indiziaria all'episodio (OMISSIS). Non sono conferenti i contatti del ricorrente con i coimputati che non trovano riscontro nei tabulati. Irrilevante l'ulteriore contenuto della conversazione del 19/04/2016 sui propositi di minaccia e tentato omicidio di (OMISSIS): si tratta di mero proposito e, come tale, irrilevante. Non sono acquisiti elementi positivi: il ricorrente non partecipa ne' al summit del 10/05/2016 ne' a quello del 1/12/2016 e sono carenti, se rapportati alla persona del ricorrente elementi che rinviano al contributo partecipativo ed alla consapevolezza dell'agente sul carattere mafioso del contesto nel quale si inseriscono suoi contatti personali, giustificati anche rapporti di parentela: non ricorrono, pertanto, gli indici di mafiosita' imposti dalla giurisprudenza; Motivo 3: violazione di legge sulla ritenuta configurabilita' delle aggravanti di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, configurati con criteri di automaticita' rispetto alla natura mafiosa del gruppo. Con i motivi nuovi evidenzia che la sentenza impugnata nulla dice in merito alla concreta possibilita' di conoscenza, da parte del ricorrente, della disponibilita' delle armi che, peraltro, la sentenza impugnata riconduce al personale esclusiva disponibilita' dei partecipi che detenevano le armi stesse; Motivo n. 4: violazione di legge in relazione alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6. La sentenza impugnata ha "enfatizzato" l'attivita' economica svolta da (OMISSIS) ma non reca alcun riferimento al reinvestimento delle utilita' procurate dalle attivita' illecite, che costituisce l'elemento indefettibile dell'aggravante, richiesto dalla giurisprudenza. Rileva, con i motivi nuovi che la sentenza impugnata non riesce a far transitare sulla posizione del ricorrente il contenuto dell'aggravante in parola che la giurisprudenza ha configurato non in termini di finanziamento di singole iniziative economiche ma in un intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, su altre che offrano servizi. I giudici di merito hanno valorizzato, sulla base di criteri presuntivi, (piuttosto che in applicazione di massime costituenti fatto notorio) la mera appartenenza al sodalizio per inferirne la sussistenza dell'aggravante in capo all'agente in assenza di una verifica delle dimensioni delle attivita' economiche acquisite o sostenute attraverso le risorse illecite; Motivo n. 5: violazione di legge penale con riferimento alla configurabilita' della condotta partecipativa al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Il ricorrente non e' stato coinvolto in altre indagini ((OMISSIS)) che si sono intersecate con le indagini del presente procedimento e che nell'ultima, vedono il ricorrente ancora sottoposto a procedimento penale per detenzione di stupefacenti costituiti da droghe leggere, la somma sequestrata in tale occasione, gli e' stata restituita. La Corte valorizza le dichiarazioni del (OMISSIS) prive di riscontri, non potendo ritenersi tali gli esiti della descritta indagine. Difettano le prove di un contributo partecipativo e la Corte non spiega la riconducibilita' degli elementi acquisiti alla fattispecie associativa, piuttosto che alla ricorrenza di concorso del ricorrente nel reato continuato di cessione; Motivo n. 6: violazione di legge, per la mancata riqualificazione del fatto si sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Le argomentazioni della Corte di merito sono, a tale riguardo, insufficienti. Motivo n. 7: violazione di legge per la mancata riqualificazione del fatto sub capo B) nel reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, tenuto conto dell'esito della perquisizione de 25/05/2016; violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione al reato sub capo B), risultato di automatismo applicativo e non essendo ravvisabile nella condotta il metodo mafioso; Motivo n. 8: violazione di legge in relazione al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche: e' inadeguata ad assolvere l'onere motivazione in relazione ai criteri di cui all'articolo 133 c.p. il riferimento alla congruita' della pena. In data 11 marzo 2023 sono pervenuti "Motivi Nuovi" in sostanza reiterativi di quelli in atti. 2.10 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge e mancanza di motivazione (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), articolo 121 c.p.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3) per omesso esame della memoria difensiva depositata all'udienza del 6/04/2022; Motivo n. 2: violazione di legge e omessa motivazione sul motivo di appello che denunciava l'apoditticita' della sentenza di primo grado in quanto risultato della mera traslazione dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare; la Corte di appello non ha fornito adeguata motivazione al motivo di appello traslando, nella propria motivazione, quella di primo grado; Motivo 3: violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta configurabilita' del concorso tra reati in relazione alle contestazioni associative di cui ai capi A) e B). La Corte di merito ha esaminato superficialmente le censure difensive ed ha sviluppato una motivazione "cumulativa" della responsabilita' degli imputati. Con i motivi aggiunti, in riferimento a tale motivo, premesso che all'imputato viene addebitata, con effetto sulla contestazione di entrambi i reati associativi, la gestione dei covi di via (OMISSIS) e via (OMISSIS), evidenzia che difettano gli elementi della sussistenza del reato associativo sub capo B), che presenta elementi specializzanti rispetto al reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, in particolare, della consapevolezza, in capo all'imputato, che il traffico fosse gestito dall'associazione mafiosa e quindi la consapevolezza di contribuire alla realizzazione delle finalita' tipiche. I locali erano frequentati da persone di famiglia. Difetta, inoltre, la prova dell'affiliazione al clan mafioso. Motivo 4: violazione di legge e vizio di motivazione sul punto della ritenuta configurabilita' della condotta partecipativa dell'imputato sia al clan camorristico che all'associazione dedita al traffico di stupefacenti: impropriamente la Corte ha valorizzato le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS); ha ritenuto erroneamente sintomatica del contributo partecipativo la conversazione n. 2149 del 22/10/2016 nel corso della quale l'imputato prendeva le distanze dal duo (OMISSIS)- (OMISSIS) e valorizzato la conversazione intrattenuta dal ricorrente con (OMISSIS) nel corso della quale i due commentavano la diatriba tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza non considera che l'imputato aveva preso le distanze dalla gestione dei covi di via (OMISSIS) e di via (OMISSIS). Non e' chiarito, perche' rimasto sconosciuto, il contenuto della presunta partecipazione del ricorrente a summit mafiosi; Motivo n. 5: apparenza della motivazione sulla sussistenza delle aggravanti di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.; articolo 416-bis c.p., comma 6 e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71; Motivo n. 6: vizio di motivazione sull'applicazione delle circostanze attenuanti generiche che, escluse quelle speciali, andavano applicate con prevalenza sulla recidiva contestata e dosimetria della pena. 2.11 (OMISSIS) denuncia: 1. Motivo n. 1: cumulativi vizi di motivazione e vizio di violazione di legge (articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.) per la ritenuta sussistenza della condotta di partecipazione e adesione al programma associativo, anche sotto il profilo soggettivo sulla base del contenuto di intercettazioni telefoniche prive dei caratteri di chiarezza, decifrabilita' dei significati, assenza di ambiguita', viceversa tali da comportare il ragionevole dubbio sulla sussistenza dei presupposti materiale e giuridico del reato associativo. Il ricorrente esamina, in particolare, il contenuto delle conversazioni intercettate che fanno riferimento alla vicenda di (OMISSIS) - valorizzata per inferirne la partecipazione del ricorrente alla vita criminale della consorteria prendendo le difese del (OMISSIS), coinvolto in una rissa in occasione della quale (OMISSIS) era intervenuto in difesa del (OMISSIS), figliastro di (OMISSIS)). Il ricorrente denuncia il travisamento dei fatti nella interpretazione del contenuto della conversazione del 12 agosto 2014 durante la quale il ricorrente aveva lamentato il disinteresse di (OMISSIS), fratello (OMISSIS), mostrandosi deluso perche' la vicenda riguardava il "nipote" e palesando il timore di subire ritorsioni a causa del suo intervento e non a titolo di partecipazione alle vicende della consorteria: la conclusione della sentenza impugnata e' vieppiu' contraddetta dal proseguo della motivazione in cui si attribuisce rilievo ad altri aspetti parimenti contraddittorio quali la partecipazione dello (OMISSIS) ai preparativi per l'azione punitiva contro (OMISSIS) quale ritorsione per il ferimento di (OMISSIS). Rileva il ricorrente che i giudici del merito hanno affasciato le conversazioni intercettate (quella del 24 aprile 2016 nel corso della quale il ricorrente rassicurava l' (OMISSIS) sull'approntamento di un auto) con un equivoca conversazione intercettata in ambientale il 27 aprile 2016 - nel corso della quale il ricorrente rassicurava il suo interlocutore sul suo attivismo che arbitrariamente viene posta in correlazione con la pregressa intercettazione telefonica e con altra, intercettata il 26 aprile 2016 dalla quale sembra emergere (ma si tratta di conversazione fortemente disturbata) che il ricorrente si rechi a far visita al (OMISSIS) in ospedale, in nome della coesione del gruppo. Analoga erroneita' di interpretazione connota la lettura della conversazione del 7 maggio 206, in stretto dialetto gelese, e la arbitraria valorizzazione dei contatti del ricorrente con (OMISSIS) (oltre 1300 dal 23 agosto 2014 al 22 agosto 2015) e poi cessati e che andrebbero depurati di quelli solo in apparenza riferibili all'imputato che, in alcune occasioni, aveva prestato l'apparecchio ad altra persona e da quelli ascrittigli sol perche' il loquente viene chiamato con il nome (OMISSIS); valorizzando le dichiarazioni di (OMISSIS) inferendone che l'espressione "camminare" debba essere intesa come condotta partecipativa che, per altri, il (OMISSIS) ha, invece, indicato come "(OMISSIS)". Lo stesso collaboratore ha precisato che l'imputato si era poi allontanato dal (OMISSIS) per spacciare, attivita' che il ricorrente non svolgeva per conto ma con il beneplacito della (OMISSIS). Da qui il travisamento delle dichiarazioni del (OMISSIS). La Corte di appello, trascurando i rilievi difensivi, non aveva valorizzato l'attentato intimidatorio subito al (OMISSIS) (il (OMISSIS)) su mandato del (OMISSIS) come ritorsione per il mancato acquisto dei prodotti venduti dal (OMISSIS); essere stata vittima di intimidazioni mafiose anche la famiglia del ricorrente, il fratello (OMISSIS), in relazione alla gestione della discoteca (OMISSIS). Alcun elemento positivo di partecipazione al reato emerge a carico del ricorrente che e' estraneo ai summit mafiosi connessi alla gestione della plastica, perche' mai presente alle conversazioni intercettate; ne e' del tutto casuale la presenza a casa di (OMISSIS), immortalata dalle telecamere, perche' si era recato a casa di questi per consegnargli delle chiavi. Infine, in conversazioni intercettate fra altri soggetti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), cosi' nella conversazione del Di Maggio, risulta che i loquenti si interrogano sul se sia "(OMISSIS)"; Motivo 2: cumulativi vizi di motivazione e vizio di violazione di legge (articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74) per la ritenuta sussistenza della condotta di partecipazione e adesione al programma associativo, anche sotto il profilo soggettivo sulla base del contenuto di intercettazioni telefoniche. La Corte ha valorizzato, per inferirne il contributo associativo del ricorrente, la semplice disponibilita' anche dello (OMISSIS) dell'utenza telefonica utilizzata nelle conversazioni con (OMISSIS), pur prescindendo dal contenuto delle conversazioni intercettate, ed il contenuto di conversazioni, quella del 31 marzo 2012 con il (OMISSIS), in assenza della individuazione dei soggetti ai quali si fa riferimento (il (OMISSIS)) e da intercettazioni ambientali dalle quali non emerge la esistenza di un vincolo permanente e di elementi che denotassero l'interno comune e strutturato (a tal riguardo segue elenco delle conversazioni); Motivo 3: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla interpretazione del contenuto della conversazione del 8 novembre 2015, intervenuta con (OMISSIS), valorizzata quale fondamento probatorio del reato di detenzione e porto di armi sub capo V) per l'impropria identificazione della persona di cui si parla nella conversazione con (OMISSIS), arrestato, per possesso di armi, il 23 ottobre 2014. Violazione di legge, articolo 192 c.p., comma 2, connota anche l'interpretazione della conversazione del 15 luglio 2016 per mancanza di chiarezza del contenuto: in realta' (OMISSIS) non aveva un'arma ma era interessato ad acquistarne una; Motivo n. 4: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla interpretazione delle conversazioni intercettate, in realta' prive dei connotati di chiarezza e decifrabilita' dei significativi e impropriamente ricondotte ad attivita' di spaccio, in relazione ai capi BB) ambientale del 7 dicembre 2016 intercorsa con (OMISSIS); in relazione al capo DD), conversazioni del 6 e 7 maggio 2016, per presunte cessioni a favore di (OMISSIS); in relazione al capo FF) conversazione del 6 ottobre 2014, con (OMISSIS); in relazione al capo GG) le intercettazioni, in ambientale, del 24 novembre 2014, intervenute con (OMISSIS); apparenza di motivazione per la mancata esclusione delle aggravanti di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. per i reati di cui all'articolo 73, comma 5 cit. ricondotta alla mera appartenenza al clan mafioso; alla mancata applicazione delle attenuanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6, escluse, in presenza di droga parlata, sol perche' lo stupefacente era destinato al successivo spaccio e dei connotati, minimali, dell'attivita' di spaccio, descritti con i motivi di appello e rudimentalita' dell'associazione; Motivo 5: apparenza della motivazione connota anche la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e dell'aggravante armata, ricostruite su quella della mafiosita' del gruppo e in mancanza di prova della "costante e non episodica" disponibilita' di armi che non e' suffragata dal mero risultato positivo delle perquisizioni dovendosi provare la destinazione delle armi alla realizzazione delle finalita' associative. 2.12 (OMISSIS) denuncia: Motivo n. 1: violazione di legge (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e articolo 416-bis c.p.), erronea applicazione della legge processuale e vizi di motivazione nell'apprezzamento delle risultanze processuali, le conversazioni captate (in particolare le conversazioni 2229 del 28/11/2015) interpretate in maniera illogica e fuorviante, ai fini della configurabilita' del reato ascrittogli al capo B) avendo ritenuto l'imputato erroneamente a disposizione del sodalizio criminoso della (OMISSIS) finalizzato al narcotraffico e direttamente coinvolto nei traffici e nella gestione del covo di Via (OMISSIS). Non si confronta, la sentenza impugnata, con le obiezioni difensive sul punto dell'interesse del ricorrente in merito all'arresto di (OMISSIS), sconosciuto al (OMISSIS); al linguaggio deferente verso lo (OMISSIS), in quanto suo datore di lavoro; alla genericita' dei riferimenti a pantaloni, patate e o altro erroneamente ricondotti a stupefacenti. E' stato travisato dalla Corte il contenuto delle conversazioni 37447 del 19/03/2016 e 4095 del 26 agosto 2016 e nessun elemento ne denota il contributo partecipativo all'associazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione all'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2022, articolo 71, che va eliminata nonche' nei confronti di (OMISSIS) con riferimento al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, come contestato al capo W), relativamente alla detenzione di arma comune da sparo perche' assorbito in quello di detenzione di arma clandestina oggetto di contestazione al capo TT) riqualificando, altresi', la condotta di detenzione di munizioni ai sensi dell'articolo 697 c.p. aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. con rinvio, per la rideterminazione della pena in relazione tale reato contravvenzionale alla Corte di Assise di Caltanissetta. Sono inammissibili nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti di (OMISSIS), in relazione al reato di cui all'articolo 648-ter c.p. riqualificato ai sensi dell'articolo 648-bis c.p.. Il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato nel resto. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A), nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per non avere commesso il fatto, con rideterminazione della pena, per ciascun imputato, come di seguito precisato. I ricorsi dei predetti imputati devono essere dichiarati inammissibili nel resto. Sono inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.E' generico il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e il secondo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che denunciano la illegittimita' della sentenza impugnata in quanto mera riedizione, analogamente a quella di primo grado, dell'ordinanza di applicazione della misura di custodia cautelare e per carenza dell'esame dei motivi specifici devoluti al giudice dell'impugnazione. Ma tale rilievo e' anche manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha correttamente disatteso le censure difensive proposte con riferimento alla "duplicazione" nella sentenza di primo grado dell'ordinanza cautelare evidenziandone la completa e analitica disamina delle prove e della loro interconnessione, non essendo invece necessaria, ai fini dell'osservanza dell'obbligo di motivazione, l'originalita' della scrittura, nozione alla quale sembrano riferirsi le deduzioni difensive. La sentenza impugnata, a propria volta, si sottrae, anche dal punto di vista stilistico, ai rilievi difensivi sol che si rifletta sul dato che i giudici di appello hanno efficacemente riassunto (in poco piu' di 150 pagine) la molto piu' ponderosa sentenza di primo grado, attraverso un'operazione selettiva che ha specificamente individuato, in fatto e in diritto, il nucleo delle contestazioni e delle condotte ascritte a ciascun imputato, nonche' i motivi di appello sugli specifici punti ma, soprattutto, sul dato che, in ragionato confronto critico con le censure difensive, la Corte di merito ha proceduto alla specifica analisi della posizione di ciascun imputato pervenendo a conclusioni logiche e corrette dal punto di vista giuridico sula base di precisi elementi in fatto dei quali con i ricorsi le difese propongono una lettura alternativa e parcellizzata, come meglio si dira' in prosieguo. La sentenza impugnata, pertanto, si sottrae a rilievi ed eccezioni involgenti la denuncia del vizio di omessa motivazione, motivazione apparente ovvero omesso esame dei rilievi difensivi oltre a porsi sul piano oggettivo della tecnica redazionale, come documento del tutto autonomo e nel quale sono confluiti gli esiti, selezionati con riferimento alla posizione di ciascun appellante, delle attivita' di polizia necessari ai fini della ricostruzione della responsabilita' degli imputati. E' altresi', manifestamente infondato il motivo comune di ricorso proposto dal (OMISSIS) e (OMISSIS), ribadito anche con la memoria depositata in vista dell'odierna udienza e concernente l'omesso esame della memoria difensiva depositata all'udienza del 6 aprile 2022, in quanto si trattava di censure reiterative di quelle proposte e compiutamente esaminate sicche' non rileva che a tale memoria non sia stato dato specifico risalto. Va, infine, precisato, in relazione alla denuncia del vizio di motivazione apparente, che propongono su specifici punti anche i motivi di altri ricorrenti, che tale vizio (che, come noto, si risolve in vizio di violazione di legge perche' la motivazione e', in tal caso, inesistente) e' sussistente solo quando la motivazione sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioe', in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e percio' sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Vassallo, Rv. 263100). In generale lo sviluppo della sentenza di appello, soprattutto quando conforme a quella di primo grado e questa sia non meramente compilativa delle risultanze processuali ma, a propria volta, risultato di un dialettico confronto con gli argomenti difensivi nell'analisi del risultato di prova, non comporta che i giudici siano tenuti a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghino, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Ai fini della rilevanza del vizio di omessa motivazione e' indispensabile, e i ricorsi sono, invece, generici, che sia prospettata e dimostrata la rilevanza e decisivita', sull'esito della decisione, dell'omesso esame o specifica confutazione di argomentazioni difensive. Ne consegue la manifesta infondatezza, alla luce della complessiva motivazione dispiegata dalla Corte di territoriale (alle pagg. 197 e ss., descrivendo le modalita' e finalita' delle condotte illecite dell'imputato in quanto capo del clan) dei motivi di ricorso (motivi nn. 6, 7, 8, 9) proposti da (OMISSIS) nella parte in cui deduce la mancanza di motivazione sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione ai reati-fine dei quali e' stato ritenuto responsabile. 3. Ritiene il Collegio, replicando l'iter seguito dalla Corte di merito perche' razionale e funzionale ai poteri di controllo rimessi alla Corte di Cassazione a fronte di motivi di ricorso che in buona parte riproducono (anche dal punto di vista grafico) i motivi di appello, che sono condivisibili le conclusioni alle quali i giudici di merito sono pervenuti sia nell'inquadramento in diritto che nelle implicazioni pratiche che sono state tratte sui temi devoluti. Si tratta di conclusioni in buona parte ineccepibili perche' corrispondenti ai consolidati principi elaborati, nelle specifiche materie, dalla giurisprudenza di legittimita' ed ai piu' recenti aggiornamenti che, su alcuni temi controversi, sono vi via intervenuti. Le risultanze processuali valorizzate dai giudici di merito, con decisioni conformi, discendono dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, analizzate anche attraverso il contributo dei verbalizzanti che avevano effettuato le operazioni di ascolto e svolto indagini a riscontro, e dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), un affiliato dell'associazione mafiosa (OMISSIS), incaricato di compiti manuali e subalterni che, pertanto, aveva conoscenze limitate delle dinamiche interne e dei rapporti fra i componenti del gruppo. Seguendo lo schema logico della sentenza impugnata appare opportuno esaminare i temi comuni posti dai ricorsi sul tema della valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori e della prova derivante da operazioni di intercettazione passando, poi, all'esame specifico dei motivi di ciascun ricorrente dopo avere esaminato le strutture associative di cui ai capi A) e B), sia con riferimento agli elementi costitutivi di ciascuna e delle rispettive aggravanti sia dei rapporti tra le fattispecie che i giudici del merito hanno ritenuto tra loro in continuazione, ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, individuando il reato piu' grave in quello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. 4. Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso (motivo n. 1, (OMISSIS); motivi n. 1 e 3, (OMISSIS); motivo 4, (OMISSIS); motivo 5, (OMISSIS)) che denunciano vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p. nella valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS) . Nella sentenza impugnata e' sviluppata una premessa metodologica corretta ed in linea con i principi giurisprudenziali da ultimo richiamati nella sentenza a Sezioni Unite di questa Corte che ha operato una compiuta ricognizione del percorso argomentativo del giudice del merito sulle tappe che contrassegnano il procedimento di ricostruzione e valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Si fa riferimento al principio secondo cui nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, precisando che tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145). Specifiche, in risposta alle deduzioni difensive dei singoli imputati, sono state le osservazioni con le quali la Corte di appello, in linea con le conclusioni del giudice dell'udienza preliminare, ha proceduto alla verifica di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), sia per quanto concerne l'associazione di cui al capo A), riguardanti l'operativita' del sodalizio e il ruolo dei singoli imputati, che il reato associativo di cui al capo B) procedendo, di volta in volta, al confronto con ulteriori evidenze di prova (le intercettazioni telefoniche o le risultanze dei servizi di videoripresa). Con argomentazioni logiche e ineccepibili i giudici del merito hanno valutato l'attendibilita' delle dichiarazioni esaminando anche la concreta incidenza, su tale giudizio, di marginali incongruenze di cui sono state fornite ragionevoli spiegazioni. Tanto e' a dirsi con riferimento alla ricostruzione da parte di (OMISSIS) del ferimento del (OMISSIS), attuato dal clan in chiave ritorsiva rispetto a quello di (OMISSIS), e in merito all'autovettura utilizzata per l'attentato che il dichiarante aveva detto essere stata una smarticolo La Corte di appello (v. pag. 196) ha, infatti, giustificato il motivo di confusione del (OMISSIS) evidenziando che questi aveva indicato un tipo di auto, effettivamente in uso al (OMISSIS) e che, anche a fronte della contestazione che l'auto era di tipo diverso, aveva insistito nel suo ricordo con atteggiamento che non era sintomatico di precostituzione dell'accusa, di malafede o di inattendibilita' ma di mera imprecisione del racconto e nel quale un dato noto al dichiarante era stato sovrapposto ad altro. Sono, dunque, da respingersi perche' generiche e manifestamente infondate quelle censure con le quali i ricorrenti hanno contestato un non corretto modo di procedere dei giudici del merito e l'inosservanza, in generale, della normativa e dei principi giurisprudenziali. Rimane ovviamente da valutare - e solo a questo piu' ristretto ambito vanno ricondotti i rilievi difensivi che saranno di seguito esaminati - l'avvenuto rispetto, per ogni posizione, dei criteri di valutazione correttamente enunciati e la rispondenza a logica delle operate valutazioni. 5. Un tema che sotto diverse prospettazioni, ritorna nei ricorsi e' quello della denuncia di violazione di legge (articolo 192 c.p.p.) in relazione all'applicazione delle coordinate normative che sovraintendono alla valutazione delle intercettazioni telefoniche e che, nel procedimento in esame, riproducono contatti tra gli imputati inerenti all'organizzazione dele attivita' connesse ad operazioni di acquisto, occultamento e organizzazione delle cessioni di droga. Secondo i ricorrenti tali risultanze necessitano di riscontri esterni, ma si tratta di una conclusione non condivisibile. E', invero, risalente l'affermazione che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). Le ulteriori censure difensive, inerenti alla chiarezza delle conversazioni intercettate, sono formulate in termini generici e non si confrontano con la ricostruzione dei giudici di merito che, viceversa, ne hanno confermato la chiarezza e la decifrabilita' dei significati e assenza di ambiguita', di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione. A ben vedere, le cesure difensive a tal riguardo, di seguito richiamate, lungi dal denotare la manifesta illogicita' del ragionamento probatorio, si risolvono nella richiesta di una valutazione alternativa, preclusa alla Corte di legittimita', sul merito delle risultanze di prova anche nella parte in cui attaccano il contenuto delle conversazioni intercettate con riferimento alla ricostruzione degli episodi minatori ed estorsivi ascritti agli imputati e, in particolare, a (OMISSIS). 6. Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso sulla sussistenza e configurabilita' del reato associativo di cui all'articolo 416-bis c.p. contestato al capo A). Val bene esaminare, in via del tutto preliminare, il motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) che propone un criterio interpretativo erroneo ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. Il ricorrente, infatti, sulla scia delle problematiche interpretative che hanno riguardato la individuazione dei requisiti necessari ai fini della configurabilita' del reato associativo in relazione alle cd. nuove mafie - concetto riferibile anche a cellule associative di mafie cd. storiche radicatesi in ambienti lontani e diversi da quelle di tradizionale e risalente operativita' - ha riportato la giurisprudenza di questa Corte in materia. In realta' le sentenze che hanno esaminato la problematica hanno richiamato l'interprete ad una ricostruzione degli elementi costitutivi di tali gruppi associativi che richiede la dimostrazione dell'imprescindibile connotato dell'avvalersi del metodo mafioso; quindi, della prova che il sodalizio faccia effettivo, concreto, attuale e percepibile uso - ancorche' non necessariamente con metodi violenti o minacciosi - della suddetta forza. E' noto che il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso e' un reato a struttura mista che, rispetto al mero dato dell'organizzazione di una pluralita' di persone accomunate dalla volonta' di perseguire le finalita' illecite indicate dalla norma, si avvale, per il perseguimento dei suoi scopi, della condizione di assoggettamento e quella di omerta' cumulate fra loro le quali siano entrambe conseguenza della forza di intimidazione del vincolo associativo da cui derivano causalmente, aspetti, questi, che segnano la differenziazione di detta ipotesi criminosa dal delitto associativo puro. Per completare il quadro di riferimento giurisprudenziale in materia, tenuto conto delle particolarita' che emergono dalla concreta vicenda e della sicura affiliazione alla "(OMISSIS)" di (OMISSIS) attestata dalla sua condanna, va altresi' precisato che anche il tema della valenza dell'affiliazione ad un'associazione di tipo mafioso - oggetto di controversa interpretazione ai fini della ricostruzione del contributo partecipativo - e' stato affrontato e deciso dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889). In conclusione, l'affiliazione rituale puo' costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d'esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serieta' ed effettivita', espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione. La struttura associativa descritta al capo A) della rubrica e' univocamente riconducibile ad una categoria concettuale non perfettamente sovrapponibile al fenomeno delle cc.dd. "nuove mafie": nel caso in esame, infatti, e le sentenze dei giudici del merito non hanno mancato di sottolineare questo dato, si e' in presenza dell'accertamento di operativita' di un clan gia' tradizionalmente operante (la (OMISSIS)) nell'area gelese che aveva acquisito nuova e intensa operativita' in forza del ritorno sulla scena di (OMISSIS) che, dopo diciannove anni di detenzione in carcere, era tornato in liberta'. La giurisprudenza ha precisato che, in questo caso, quando oggetto del giudizio sia l'accertamento relativo alla ricorrenza di nuova formazione in rapporto di continuita' con una cosca storica, oggetto di passati accertamenti irrevocabili, puo' prescindersi da specifici accertamenti in ordine all'esteriorizzazione del metodo mafioso solo in presenza di univoci elementi che dimostrino che la formazione oggetto di indagine sia priva di reali elementi di novita' (nei programmi, nella comunanza dei territori oggetto di azione, nella coincidenza dei soggetti coinvolti), e, come tale, continui ad operare su un determinato territorio, replicando o, comunque, sfruttando, un contesto riconducibile all'alveo dell'articolo 416-bis c.p., comma 3. L'affermazione si accompagna alla precisazione che tanto piu' e' sfumata l'indagine sull'effettivo ricorso ad attivita' o metodi improntati all'intimidazione e conseguente assoggettamento ed omerta', tanto piu' rigoroso e solida deve risultare acquisizione probatoria dimostrativa delle caratteristiche strutturali del sodalizio (Sez. 2, n. 38831 del 17/09/2021, Cicciu', Rv. 282199). L'accertamento giudiziale, in tal caso, ad avviso del Collegio, deve concentrarsi sulla verifica della capacita' intimidatoria del gruppo in quanto tale, non potendosi desumere la stessa dalla sola fama criminale del singolo associato. La sentenza di primo grado (pag. 19) ha descritto la struttura associativa sub capo A), indicata come "(OMISSIS)" gelese individuandone i requisiti strutturali sussumibili nel reato di cui all'articolo 416-bis c.p., innanzi precisati, desunti dalle modalita' operative della consorteria nel campo del traffico degli stupefacenti e nel controllo delle attivita' lecite, attraverso le estorsioni, e descrivendo altresi' la penetrazione di (OMISSIS) nel tessuto produttivo cittadino, aspetti che efficacemente denotano la vocazione al controllo del territorio attraverso la particolare intimidazione che promana dal vincolo associativo non solo del singolo ma del gruppo a questi facente capo. L'organizzazione, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, aveva a disposizione un vero e proprio esercito (circa 500 leoni), giovani pronti a tutto per affermare l'egemonia del clan sul territorio, come rivelato da (OMISSIS) nel corso di una delle intercettazioni in carcere dove si trovava ristretto. La consorteria - prosegue la sentenza di primo grado - si rendeva responsabile di una seriale attivita' estorsiva messa in atto facendo pure ricorso a danneggiamenti incendiari e finalizzata a dare progressivo sviluppo ad iniziative commerciali che intraprendeva a mezzo di alcune societa' intestati a compiacenti prestanome e anche a donne degli stessi capomafia, societa' operanti nel settore della distribuzione di prodotti per la ristorazione (piatti e bicchieri di plastica nonche' materiale per il confezionamento), di prodotti alimentari (fornitura di cornetti imposta a bar ed esercizi pubblici di (OMISSIS)), nei settori della organizzazione di eventi in discoteca e in quello immobiliare. Anche la sentenza impugnata (pag. 1 e ss.) ha passato in rassegna numerosi episodi e spedizioni punitive in danno di componenti del clan o di gruppi avversi e si tratta di un aspetto che acquista rilevanza ai fini della ricostruzione della struttura operativa e della individuazione dei suoi componenti, come si dira' esaminando il coinvolgimento di alcuni dei ricorrenti nella ritorsione in danno di (OMISSIS) o' (OMISSIS), in quanto rivelatore dell'appartenenza al sodalizio - e ha illustrato alcuni episodi che registravano l'intervento di (OMISSIS) per risolvere questioni tra privati cittadini, anche sostituendosi alle autorita' di polizia, come quando alcuni cittadini si rivolgevano al vertice del clan o ai suoi uomini piu' vicini per il recupero di beni, aspetto, questo, di rilievo proprio ai fini della individuazione della incidenza della consorteria, attraverso il ricorso al metodo mafioso, nel territorio sfruttando la fama criminale e facendo ricorso a metodi violenti solo quando strettamente necessario. A questo riguardo sono descritti numerosi episodi che rivestono particolare importanza, ai fini della ritenuta sussistenza del reato associativo, perche' denotano la esteriorizzazione, nel contesto cittadino di riferimento, del potere mafioso al pari delle condotte estorsive (numerose e contestate ai capi C), D) I), L), che saranno nel prosieguo oggetto di analisi), anche queste di particolare rilevanza perche' emblematiche del controllo esercitato sulle attivita' economiche. La sentenza di primo grado (pag. 23) ha precisato come le intercettazioni avessero comprovato la esistenza di un'organizzazione composita nella quale accanto a soggetti che militavano nell'ala cd. criminale - quella che continuava ad essere predominante, occupandosi del traffico di droga; di estorsioni mediante danneggiamento, incendi e traffico di armi - potesse individuarsi un'ala prettamente imprenditoriale, facente a (OMISSIS), interessata all'esercizio di attivita' in vari settori economici anche in forza di imprese intestate a prestanome - all'imputato sono ascritti i reati "tipici" di tale modalita' operativa ai capi HHH), JJJ), KKK) - commessi comunque avvalendosi della forza di intimidazione che promana dal vincolo associativo funzionale a eliminare ogni forma di concorrenza nonche' ad imporre anche in maniera estremamente violenta la propria presenza sul territorio. L'associazione mafiosa capeggiata da (OMISSIS) si poneva, secondo la sintesi compiuta dai giudici del merito, in linea di continuita' con la risalente (OMISSIS) di cui aveva ereditato l'ambito di riferimento territoriale e le modalita' operative proseguendone ed attualizzandone, con il ricorso al metodo mafioso, le attivita' illecite nel settore degli stupefacenti e del controllo delle attivita' economiche. I giudici del merito hanno infatti descritto come si fosse formato, in anni risalenti, il gruppo della (OMISSIS) costituito da soggetti (cosiddetti posati) che non volendo piu' prendere ordine dai carismatici mafiosi di "cosa nostra" avevano deciso di dare vita ad una nuova organizzazione criminale speculare e contrapposta alla mafia tradizionale, che pero' ne replicava le modalita' organizzative, per esempio attraverso le affiliazioni degli adepti. E, tale organizzazione dopo una contrapposizione armata con "(OMISSIS)" era stata, infine, riconosciuta dagli stessi vertici di "(OMISSIS)" che avevano posto fine alla contrapposizione armata stimola stipulando con gli irriducibili nemici accordi finalizzati ad impedire la ripresa della mattanza che aveva contrassegnato gli anni 80 del secolo scorso. I collaboratori escussi avevano riferito come la (OMISSIS) fosse divenuta un'unica famiglia con quella di "(OMISSIS)" dovendo esserci tra loro fratellanza in modo da evitare il deflagrare di sanguinose faide. Raggiunta la pax mafiosa (la cd. pace di Riesi, nell'anno 1991), le due organizzazioni mafiose avevano continuato ad assicurarsi il controllo delle attivita' imprenditoriali e, mutuando modelli organizzativi istituzionali, avevano garantito il coordinamento delle rispettive attivita' istituendo una sorta di sala operativa, volta ad ottimizzare le energie e a dividere equamente i profitti. Emblematica, in questo senso, la vicenda denunciata dagli imprenditori di gelesi operativi nel settore della raccolta dei rifiuti che avevano dovuto ripetutamente versare a "(OMISSIS)" e (OMISSIS), operanti sinergicamente, ingenti somme di denaro, come accertato nel processo penale per tale fatto. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, nell'associazione (OMISSIS), per effetto della detenzione di alcuni esponenti di rilievo, fra questi l'odierno ricorrente, (OMISSIS), e la collaborazione di altri, si fosse determinato un vuoto di potere e come, una volta recuperata la liberta', (OMISSIS) aveva avviato sia azioni vendicative nei confronti di coloro che avevano contribuito all'arresto di uomini della consorteria e riaggregato nel gruppo sia coloro che gia' operavano all'interno del sodalizio, come (OMISSIS) e (OMISSIS), attivi nel settore degli stupefacenti sia persone, via via rimesse in liberta', tra i quali (OMISSIS), cugino di (OMISSIS), pure questo sodale, tutti operanti nel traffico di droga, rimasto fiorente nel corso degli anni, attivita', queste, ricostruite attraverso le intercettazioni disposte dopo pochi mesi dalla rimessione in liberta' di (OMISSIS) che avevano portato alla scoperta di tre basi logistiche (in via (OMISSIS); via (OMISSIS) e via (OMISSIS) della citta' di (OMISSIS)) dove venivano rinvenute droga e armi. Conclusivamente, la prospettiva esegetica a base della sentenza impugnata e di quella di primo grado e' condivisibile e corretta, perche' in linea con la cornice di riferimento ai fini della individuazione degli elementi strutturali del reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. Con chiarezza gia' la sentenza di primo grado ha descritto una struttura nella quale erano individuabili i requisiti tipici del reato di cui all'articolo 416-bis c.p., disegno criminoso unitario; forza di intimidazione e, correlativamente, condizione di assoggettamento e omerta', dei quali la struttura associativa si avvaleva per il perseguimento delle finalita' e gli obiettivi dell'associazione, senza "acquietarsi" degli aspetti che, in linea di continuita' con il passato, ne denotavano la derivazione dal gruppo nel quale, prima del lungo periodo di carcerazione, aveva militato (OMISSIS), aspetto âââEurošÂ¬Ã‹Å"che pure non e' irrilevante ma che si salda alle piu' recenti acquisizioni in modo da escludere ogni automatismo nella sovrapposizione tra gruppi criminali egemoni nel territorio solo in forza della coincidenza dei soggetti coinvolti (nel caso (OMISSIS)) e fondato sull'avvalersi, in concreto, all'attualita' e nella percezione esterna, del metodo mafioso e con riferimento al periodo temporale oggetto di contestazione ai singoli imputati. 6.1. I ricorrenti (motivo 4 ricorso (OMISSIS); ma anche motivo 2 del ricorso (OMISSIS) e motivo 5, ricorso (OMISSIS)) hanno dedotto l'erronea applicazione dell'aggravante dell'associazione armata, di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4. I giudici del merito, sulla scorta del rinvenimento di armi nella base logistica di via (OMISSIS) (sub capo W e PP), e degli episodi di danneggiamento con armi, contestati ai capi H), I), L), S) hanno fatto corretta applicazione dell'aggravante poiche' tale circostanza, di natura oggettiva, e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, accertamento per il quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso, riconducibile all'associazione mafiosa "(OMISSIS)" (cfr. Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Caputo, Rv. 278010), in forza dei descritti connotati storici di tale associazione, descritti al punto che precede, ma attualizzati dalle metodologie che, ripreso il controllo dell'organizzazione, (OMISSIS) aveva pienamente ripristinato. 6.2. Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso (motivo 4, ricorso (OMISSIS); motivo 3 ricorso (OMISSIS); motivo 2, ricorso (OMISSIS)) che denunciano l'erronea applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6. Anche con riferimento a detta aggravante, sulla scorta delle attivita' economiche intraprese da (OMISSIS) nelle quali si registrava anche il diretto coinvolgimento di altri sodali e della massima di esperienza enunciata nella giurisprudenza di questa Corte, e' stata correttamente ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, che si configura ove le attivita' economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo siano finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Anche questa aggravante, come quella armata, ha natura oggettiva e va riferita all'attivita' dell'associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, il quale, nel caso di associazioni cd. storiche come mafia, camorra e âââEurošÂ¬Ã‹Å"ndrangheta, ne risponde per il solo fatto della partecipazione, ascritta a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dato che, appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che dette associazioni operano nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti che tipicamente attuano in esecuzione del suo programma criminoso, un'ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia ad alcuna di tali associazioni affiliato e' inconcepibile (Sez. 2, n. 23890 del 01/04/2021, Aieta, Rv. 281463). 7. Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso sviluppati da numerosi ricorrenti che, oltre alla insussistenza del contributo partecipativo, che sara' esaminato trattando le singole posizioni, contestano la configurabilita' del reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in relazione al reato di cui al capo B). Sono chiare le coordinate che delineano i requisiti della sussistenza del reato associativo per distinguerlo dal fenomeno del concorso nelle operazioni di acquisto, anche reiterate. L'esistenza di un'associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti non puo' essere dedotta da un unico episodio, seppure rilevante, di acquisto di sostanze stupefacenti per la cessione a terzi, il quale puo' costituire indizio ma non prova piena dell'accordo finalizzato alla commissione di una pluralita' indistinta di reati in materia di stupefacenti (Sez. 4, n. 36341 del 15/05/2014, Savasta e altri, Rv. 260268) ne' l'attivita' di reiterate condotte di spaccio puo', da sola, costituire prova dell'integrazione del reato associativo, rappresentando al piu' indice sintomatico dell'esistenza dell'associazione, che pero' va accertata con riferimento all'accordo tra i sodali, alla struttura organizzativa ed alle affectio societatis (Sez. 6, n. 24379 del 04/02/2015, Bilacaj e altri, Rv. 264177). Con maggiore precisione questa Corte ai fini della configurabilita' del reato associativo ne ha descritto i requisiti imprescindibili nel senso che e' necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilita', risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest'ultimo (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796). Non esistono seri motivi per non concordare con le riportate enunciazioni di principio che, tuttavia, vanno coordinate con i reiterati arresti di questa Corte in materia di reati associativi che precisano come l'associazione penalmente rilevante non richieda necessariamente formalita' costitutive, divisione formale dei ruoli, organigramma imponente, strutture specificamente dedicate. Appare sufficiente, a questo fine, rammentare il principio secondo cui, per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico non e' richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilita' economiche, ma e' sufficiente l'esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso e altri, Rv. 258165). In ogni caso, si afferma, l'associazione per delinquere e' un fatto materiale, con precise connotazioni strutturali, al quale si connettono pertinenti profili soggettivi e i cui profili di prova, involgono la individuazione di un patto e che questo abbia ad oggetto un determinato programma criminoso, da perseguire attraverso il coordinamento di singoli apporti personali. E', dunque, il patto che genera un vincolo e spetta al giudice, ai fini della pronuncia di condanna, l'accertamento del fatto in tutti gli elementi essenziali, come avvenimento storico definito e per cio' stesso distinto da fenomeni contigui - come il concorso di persone nel reato - e da situazioni penalmente irrilevanti e il giudizio di condanna presuppone l'accertamento del fatto in tutti gli elementi essenziali, come avvenimento storico. Sulla base di tali coordinate in diritto sono corrette le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del merito applicandole al fenomeno descritto dal (OMISSIS) e sulla scorta delle risultanze delle operazioni di intercettazioni telefoniche e dei controlli che avevano condotto, nel volgere di pochi mesi, alla individuazione e sequestro di tre covi utilizzati dall'associazione per custodirvi droga e armi, in aggiunta ad esiti che documentano i contatti, anche telefonici e gestiti attraverso il ricorso a modalita' comunicative convenzionali e criptiche, fra i coimputati. Si tratta del sequestro di quasi 13 chilogrammi di marijuana e hashish, di una pistola cal. 7,65 e di una pistola con matricola abrasa, rinvenuti il g. 8 luglio 2016 nell'immobile di via (OMISSIS); del sequestro eseguito il l'8 novembre 2016 nell'immobile di via (OMISSIS), ove venivano rinvenuti 52 chilogrammi di hashish, 920 gr. di cocaina e una pistola con matricola abrasa (i fatti sono oggetto di contestazione ai capi NN), PP) e QQ) a (OMISSIS) e (OMISSIS) e ai capi RR), SS), TT) e UU) a (OMISSIS)); del sequestro in data 7 giugno 2017 di altra droga, rivenuta nell'immobile di via (OMISSIS), nella disponibilita' del coimputato (OMISSIS), immobile descritto come "luogo di incontro dei sodali e di spaccio di stupefacenti, ove venivano tagliati e confezionati". La sentenza impugnata (pag. 43) descrive anche il sistema economico adottato per il pagamento (uso di carte prepagate e poste pay; il coinvolgimento di un commercialista, (OMISSIS), al quale era attribuito il compito di creare un sistema di fatture, per coprire e giustificare le movimentazioni economiche facenti capo al (OMISSIS) e a (OMISSIS), separatamente processati; l'esistenza di una cassa comune). E' stato oggetto di particolare analisi nelle sentenze di merito, il sistema di acquisto e approvvigionamento della droga che viene ricostruito a partire dall'anno 2012 attraverso le risultanze delle operazioni di intercettazioni telefoniche che documentavano i contatti delle persone preposte, per conto della (OMISSIS), al reperimento delle sostanze stupefacenti attraverso vari e variegati canali: la sentenza impugnata, a questo riguardo, sintetizza quella di primo grado enucleando i passaggi nei quali sono coinvolti gli odierni ricorrenti, in particolare (OMISSIS) e (OMISSIS), ricostruendo anche le "specifiche" operazioni di acquisto e rifornimento e cessione. I due imputati sono stati individuati come il particolare anello di congiunzione tra l'associazione mafiosa e quella preposta alla gestione della droga. Le risultanze probatorie consentono di ritenere acquista la prova della esistenza di una stabile organizzazione, fotografata negli anni 2016 e 2017 con riferimento proprio alla individuazione di elementi strutturali inequivoci (i covi; il sistema per il pagamento), che qualificano l'aspetto organizzativo della struttura non le mere operazioni di rifornimento che pure sono significative e rilevanti, ai fini che ci occupano, quando, come nel caso in esame, la loro reiterazione nel tempo e ricorrenza, denotano la esistenza di una struttura che ne dirige e regola la dinamica, al di la' del variabile e contingente coinvolgimento dei singoli. Resta solo da aggiungere che, ai fini della ricostruzione del consapevole partecipativo, la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e' un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva puo' realizzarsi in forme diverse, purche' si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell'organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, Rv. 282139). A prescindere dalle modalita' di realizzazione del contributo (se ad esempio intervenuto nella fase di fornitura; nelle operazioni di acquisto; nelle altre operazioni connesse allo stoccaggio, conservazione e smercio) cio' che rileva e' che la condotta denoti un rilevante apporto causale al raggiungimento del fine di profitto perseguito dall'organizzazione, effettuato con la consapevolezza di fare parte di un gruppo dedito ad attivita' in materia di stupefacenti ed avvalendosi continuativamente delle sue risorse. 7.1. Le evidenze innanzi descritte (in particolare, gli esiti delle perquisizioni e sequestro eseguiti presso i covi di via (OMISSIS), e via (OMISSIS)) rendono manifestamente infondati i motivi di ricorso con i quali i ricorrenti contestano la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, di natura oggettiva, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4. Va - in premessa - ricordato che per la sussistenza dell'aggravante in questione, diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'articolo 416-bis c.p., comma 4, e' richiesta unicamente la disponibilita' di armi e non anche la correlazione tra queste ultime e gli scopi perseguiti dall'associazione criminosa (cfr. Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262714), con la conseguenza che e' sufficiente la consapevolezza, da parte del partecipe, che l'associazione sia armata, perche' gli sia imputabile l'aggravante dell'articolo 74, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Cionondimeno tale aggravante puo' essere riconosciuta in capo ai partecipi del sodalizio solo se puo' postularsi una loro colpevolezza anche in relazione a tale aspetto, che richiede, in base a quanto previsto dall'articolo 59 c.p., comma 2, quantomeno un coefficiente di prevedibilita' concreta da parte loro della disponibilita' delle armi da parte dell'associazione (Sez. 6, n. 49458 del 21/10/2015, Arianiello, Rv. 266041). I Giudici del merito, con ineccepibili argomentazioni, sono pervenuti a ritenere sussistente l'aggravante in esame sottolineando la natura funzionale della detenzione delle armi alla struttura e organizzazione del traffico di droga e al coinvolgimento dei singoli imputati in attivita' collegate alla presenza e gestione dei covi, come si seguito precisato. 7.2. Il motivo diretto a confutare la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, sub capo B), comune alla maggior parte degli imputati che hanno avanzato, al riguardo, rilievi per lo piu' sovrapponibili, e' manifestamente infondato. L'aggravante in esame richiede che la condotta illecita sia posta in essere al fine specifico di favorire l'attivita' dell'associazione di tipo mafioso, sicche' alla oggettiva agevolazione della consorteria mafiosa determinata dalla condotta incriminata deve accompagnarsi il cosciente ed univoco intendimento del soggetto agente di agire proprio per il raggiungimento di tale specifico fine agevolatore (indirizzando ad esso la sua condotta): in buona sostanza non e' sufficiente la sola mera realizzazione di un contributo oggettivamente utile per l'operativita' del sodalizio mafioso. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno concluso la risalente discussione sulla natura dell'aggravante in esame affermandone la natura soggettiva trattandosi di aggravante che inerisce ai motivi a delinquere e precisando che tale aggravante si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U., n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734). A precisazione di tale connotato hanno rilevato come la forma aggravata in esame esige che l'agente deliberi l'attivita' illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa: e' necessario pero', affinche' l'aggravante non sia priva di offensivita', che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all'esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all'articolo 416-bis c.p. ed alla effettiva possibilita' che l'azione illecita si inscriva nelle possibili utilita', anche non essenziali al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell'associazione. Trattandosi invero di un'aggravante che colpisce la maggiore pericolosita' di una condotta, ove finalizzata all'agevolazione, e' necessario che la volizione che la caratterizza possa assumere un minimo di concretezza, anche attraverso una mera valutazione autonoma dell'agente, che non impone un raccordo o un coordinamento con i rappresentanti del gruppo e, soprattutto, non prevede che il fine rappresentato sia poi nel concreto raggiunto, pur essendo presenti tutti gli elementi di fatto, astrattamente idonei a tale scopo. Tale finalita', inoltre, non deve essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi ad esigenze egoistiche quali, ad esempio, la volonta' di proporsi come elemento affidabile al fine dell'ammissione al gruppo o qualsiasi altra finalita' di vantaggio, assolutamente personale, che si coniughi con l'esigenza di agevolazione. La ricostruzione del motivo a delinquere in tal senso - si osserva - non e' mai esclusiva, poiche' plurimi possono essere gli stimoli all'azione; quel che rileva e' che tra questi sussistano elementi che consentono di ravvisare anche quello valutato necessario dalla norma incriminatrice essenziale alla configurazione del dolo intenzionale, La ricostruzione ermeneutica impone quindi un approccio alla fattispecie, che vada al di la' della classificazione formale, e l'intenzione dell'agente deve assumere una connotazione oggettiva, esplicitando gli effetti della condotta e comprende anche elementi di carattere obiettivo, "quali misuratori della specifica offensivita', e quali garanzie di un ordinamento che, per necessita' costituzionale, deve rimanere distante dai modelli del diritto penale dell'intenzione e del tipo d'autore" (Sez. 6, n. 28009 del 15/05/2014, Alberto, Rv. 260077). Ebbene: la consapevolezza di operare nell'ambito di un unico gruppo per il raggiungimento dello scopo comune, costituito dalla possibilita' di realizzare un sufficientemente tranquillo svolgimento dei traffici di droga in determinate zone e dal conseguimento da tali traffici. - per ciascuno degli imputati, come di seguito precisato - di un profitto seppure diversificato, e il diretto collegamento di ciascuno dei ricorrenti nelle operazioni di reperimento, acquisto e successivo smercio costituiscono elementi correttamente vagliati ai fini della ravvisabilita' della circostanza aggravante in questione e sulla base di elementi che dimostrano come il contributo oggettivamente agevolatore sia stato realizzato al fine specifico di favorire il detto sodalizio sulla base di rapporti diretti, continui e consolidati sia con i vertici dei sodalizi - nel caso (OMISSIS) - che con i soggetti preposti al reperimento della droga. Non solo, dunque, per gli imputati che erano anche affiliati al clan mafioso, come (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ma anche per gli imputati che avevano con il clan rapporti consolidati e fiduciari essendo addetti proprio al reperimento, pagamento, conservazione e stoccaggio della droga ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) o in ragione dei compiti svolti quali addetti alla distribuzione dello stupefacente, come (OMISSIS) e (OMISSIS). 7.3. Le risultanze delle operazioni di perquisizione e sequestro; la capacita' finanziaria (nella sentenza impugnata sono descritte, per un breve periodo, operazioni di acquisto accendenti ad oltre 140.000,00 Euro; la diversificazione delle fonti di acquisto; l'ampio bacino di rifornimento su (OMISSIS)) sono ontologicamente incompatibili con l'applicazione alla fattispecie in esame della fattispecie incriminatrice prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 6, configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli Angioli, Rv. 278098). 7.4. La centralita' del descritto elemento organizzativo, descritto al punto 7. che precede, e' ostativa alla configurabilita' nei fatti accertati di condotte sussumibili nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commessa in concorso e continuata, allegata da taluni dei ricorrenti. L'elemento differenziale tra l'ipotesi associativa Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quella del concorso ai sensi dell'articolo 110 c.p. e articolo 73 del citato Decreto del Presidente della Repubblica risiede, infatti, principalmente nell'elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non si riduce ad un semplice accordo delle volonta' (sul cui deficit probatorio si attarda la difesa di molti ricorrenti che allegano la mancanza di prova del pactum sceleris) ma consiste in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avellino, Rv. 270396). Da qui la infondatezza evidente dei motivi della difesa che attaccano le corrette - perche' rispondenti a logica e coordinate in diritto- conclusioni dei giudici del merito. 8. I ricorrenti (OMISSIS) (motivo n. 3), (OMISSIS) (motivo 1), (OMISSIS) (motivo n. 3) e (OMISSIS) (motivo n. 1) denunciano violazione di legge in relazione al divieto di bis in idem per la ritenuta configurabilita', in presenza di un medesimo fatto, del concorso formale tra i reati di cui ai capi A) e B): in buona sostanza, i ricorrenti sostengono che, in presenza dello stesso fatto materiale sono stati condannati per due fattispecie di reato. La Corte di appello di Caltanissetta ha esaminato (pag. 158 e ss.) il tema della configurabilita' e compatibilita' dei reati associativi di cui al capo A) - il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 2, 4, 5 e 6 ascritto a (OMISSIS), (OMISSIS), con il ruolo di capo del clan, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e al capo B), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1, 2, 3 e 4, ascritti ai medesimi ricorrenti (oltre che ad altri soggetti, in entrambi i casi e, in particolare, quanto al reato sub capo B, nel presente procedimento a (OMISSIS) e (OMISSIS)). In particolare, nel capo sub A) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) vengono individuati come sodali di fiducia di (OMISSIS) (e del fratello (OMISSIS)) in quanto collaboravano per lo sviluppo dell'illecito commercio di droga riferito al clan sotto gli ordini e le direttive dei capi clan e assicuravano il controllo della gestione delle attivita' economiche gestite dal clan in vari settori, edilizia, fornitura di prodotti da bar e, fra questi, la gestione della discoteca (OMISSIS), collaborando anche alla partecipazione di atti di intimidazione e a spedizioni punitive volte ad assicurare la manifesta presenza del clan. Quanto a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ne e' evidenziato il ruolo di partecipi al clan in ordine al traffico organizzato di droga perche' fornivano il proprio contributo concorrendo nella gestione dei covi "(OMISSIS)" di via (OMISSIS) e via (OMISSIS) utilizzati dall'associazione mafiosa per la custodia di droga e armi a disposizione del clan. Quanto al (OMISSIS), gli viene contestata la collaborazione al clan oltre che in ordine al traffico di droga, al rafforzamento della associazione gestendo la movimentazione bancaria di un conto nella disponibilita' di (OMISSIS) (capo del clan, separatamente giudicato) per finanziare le attivita' illecite, fra cui il traffico di droga, oltre la partecipazione a spedizioni punitive. Il reato associativo sub capo A), e' contestato come commesso in (OMISSIS) e altri comuni della provincia di (OMISSIS) in permanenza almeno fino a maggio 2019. Al capo B) vengono piu' puntualmente descritte le attivita' di collaborazione svolte nel settore degli stupefacenti in particolare, il (OMISSIS) con ruolo di dirigente e organizzatore della struttura adibita allo spaccio con l'apporto di (OMISSIS), viene individuato come l'organizzatore delle forniture attraverso (OMISSIS) fino alla rimessione in liberta', il 27 gennaio 2014, di (OMISSIS); allo (OMISSIS) quello di partecipe essendosi occupato di acquisto della droga su varie piazze alla distribuzione e anche allo spaccio, nel periodo di gestione di (OMISSIS); quanto a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ne e' evidenziato il ruolo di partecipi al clan concorrendo nella gestione dei covi "(OMISSIS)" di via (OMISSIS) e via (OMISSIS) utilizzati dall'associazione mafiosa per la custodia di droga e armi a disposizione del clan; (OMISSIS) quale partecipe coinvolto nella traffico di droga sull'asse (OMISSIS) e cassiere della (OMISSIS); (OMISSIS), quale partecipe, perche' coinvolto nella spaccio e consegna. Il reato associativo sub capo B), e' contestato come commesso in (OMISSIS) e altri comuni della provincia di (OMISSIS) in permanenza almeno fino a maggio 2019 e, quanto a (OMISSIS) dal 2014 in permanenza almeno fino a maggio 2019. La sentenza impugnata ha ritenuto compatibile il concorso fra i due reati associativi, escludendo la violazione del divieto di bis in idem, mancando, nel rapporto tra le due fattispecie associative, piena coincidenza degli elementi costitutivi "in quanto la contestata associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. persegue scopi criminosi - quale ad es. il controllo da acquisire anche attraverso metodi intimidatori, di alcuni settori commerciali nel territorio di (OMISSIS) - del tutto diversi dal traffico di stupefacenti, che costituisce un ambito di operativita' in se', autonomamente strutturato ma organico all'associazione". In tale ipotesi, rileva la Corte di appello, correttamente vengono applicati i principi del concorso formale e, a tal riguardo, ha richiamato principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui e' configurabile il concorso tra un'associazione di stampo mafioso e un'associazione per delinquere dotata di un'autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso (nella specie, traffico di sostanze stupefacenti), dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell'interesse del clan (Sez. 2, n. 41736 del 09/04/2018, M, Rv. 274077). La Corte di appello ha richiamato altro ricorrente principio secondo cui i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258163). In conclusione, e' stato ritenuto configurabile il concorso formale tra il reato associativo sub capo A) e quello sub capo B) e la conseguente punibilita' degli imputati per entrambi i reati dal momento che il programma del sodalizio mafioso (sub capo A) abbraccia sia il traffico di stupefacenti che altri reati. I due reati sono stati poi unificati ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, ricorrendo la continuazione e il trattamento punitivo e' stato individuato in quella previsto per il reato, piu' gravemente punito, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Secondo la tesi difensiva, invece, per i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) la condotta che viene in rilievo, nelle due contestazioni, e' la medesima ed e' quella relativa al supporto fornito al gruppo che si occupava di spaccio che, tuttavia, viene addebitata ai ricorrenti anche come condotta partecipativa al reato associativo sub capo A). La prospettazione difensiva, ad avviso del Collegio, e' fondata non emergendo, rispetto agli elementi addebitabili a ciascun ricorrente ai fini della partecipazione all'associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, indici ulteriori di partecipazione anche all'associazione mafiosa. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al reato sub capo A) ascritto ai predetti imputati, con formula per non avere commesso il fatto e conseguente rideterminazione della pena. Per tali ricorrenti i motivi relativi alla contestazione delle aggravanti sub articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6, sono assorbiti. Nella prospettiva della Corte di merito, ha assunto rilievo, ai fini della individuazione dell'idem factum, il rapporto tra fattispecie legali, escludendo, in applicazione dei principi di cui all'articolo 15 c.p., che si versi in ipotesi di concorso apparente bensi' in presenza di concorso formale di reati in quanto nel rapporto tra le due fattispecie manca la piena coincidenza degli elementi costitutivi ed essendo volte alla tutela di beni giuridici differenti. Piu' complessa l'analisi condotta nella sentenza di primo grado strutturata, ai fini del concorso tra fattispecie, sul concreto apporto dei singoli (pagg. 1024). In particolare, in fatto, tale sentenza ha rilevato che: - i due sodalizi erano riconducibili alla medesima reggenza dei fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - era ravvisabile una parziale, ma importante sovrapposizione fra i soggetti attivi nell'una e nell'altra consorteria, fra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS) cui vengono attribuiti compiti organizzativi sia nel settore della droga che in quelli del controllo delle attivita' economiche o delle azioni di carattere intimidatorio; - l'attivita' del riciclaggio dei proventi derivanti dal traffico di droga come dimostrato dai flussi finanziari gestiti sul conto di (OMISSIS); - la circostanza che nelle basi logistiche di via (OMISSIS) e Via (OMISSIS) destinati alla custodia dello stupefacente - in cui erano coinvolti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - sono state rinvenute anche le armi a disposizione della "(OMISSIS)", evidentemente affidate alla custodia dei predetti indagati in quanto organici al sodalizio; - la circostanza che (OMISSIS) gestisse la movimentazione di un conto corrente bancario riconducibile a (OMISSIS) e non solo per finanziare gli approvvigionamenti di droga sul mercato catanese ma per qualsivoglia esigenza del capomafia; - i membri del gruppo dedito agli stupefacenti mostravano il chiaro assoggettamento gerarchico ai fratelli (OMISSIS). La sentenza di primo grado ha valorizzato, in particolare, l'accertata custodia, nei medesimi covi, di droga e armi, la cui custodia era diretta ad agevolare l'operativita' dell'associazione mafiosa. Rileva il Collegio che, tuttavia, le sentenze in esame non hanno esaminato il tema posto dalla difesa sotto la prospettiva del ne bis in idem connesso all'esame del concorso formale alla stregua dei principi recati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem, l'identita' del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/6/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 231799). Si tratta di un'affermazione indiscussa alla quale ha aderito anche la giurisprudenza costituzionale con la richiamata sentenza n. 200 del 31 maggio 2016 che ha dichiarato illegittimita' costituzionale dell'articolo 649 c.p.p. limitatamente alla parte in cui esclude la medesimezza del fatto di reato per la sola circostanza che ricorra un concorso formale di reati tra res indicata e res iudicanda, per contrasto con l'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico e' il medesimo. Rispetto alla esegesi svolta dai giudici del merito l'eccezione proposta dai ricorrenti va esaminata tenuto conto della nozione di idem factum e dei suoi criteri di individuazione. Come ben evidenziato nella sentenza del Giudice delle leggi, ai fini dell'applicazione dell'articolo 81 c.p., l'interprete deve, infatti, prioritariamente sciogliere il nodo dell'eventuale concorso apparente delle norme incriminatrici, nel quale vengono in rilievo gli elementi del fatto materiale giuridicamente rilevanti, e, fra questi, l'evento del reato, concetto, questo, che possiede un'accezione non meramente empirica ed in cui assume rilievo anche l'interesse giuridico tutelato. Tale operazione non esaurisce l'esame dell'interprete ai fini dell'applicazione del divieto di bis in idem anche nell'ipotesi in cui si sia in presenza di fattispecie penali che, sul piano astratto, si pongono in concorso formale tra loro. Il punto controverso nella giurisprudenza di legittimita' - al di la' della nitidezza dell'affermazione di principio contenuto nella risalente sentenza Donati - e posto alla base della sentenza della Corte Costituzionale del 2016, si gioca, in particolare, sulla incidenza dell'evento naturalistico e/o giuridico del reato e dell'interesse giuridico oggetto di tutela nell'ordinamento sulla nozione di idem factum e, quindi, nel discernimento, del rilievo (del limite) della qualificazione giuridica (l'idem legale) rispetto alla nozione storico-naturalistica alla quale rinvia la nozione di idem factum, inequivocabilmente posta a base del Protocollo a n. 4 alla CEDU. Orbene, la pronuncia del Giudice delle leggi ha riscontrato l'erroneita' dell'opinione prevalente nella giurisprudenza che concentra l'attenzione sulla dimensione giuridica del fatto e consente la celebrazione di un nuovo giudizio nei confronti dello stesso imputato quando siano differenti le norme giuridiche che lo incriminano, dando luogo ad un'ipotesi di concorso formale. Sulla base delle sollecitazioni provenienti dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (Grande Camera, 10/2/2009, Zolotoukhine contro Russia), la Corte costituzionale ha quindi ribadito la necessita' di prendere in considerazione il fatto naturalistico nella sua materialita' e concretezza, da individuarsi in base alle coordinate spazio-temporali della sua commissione. Il Giudice delle leggi ha osservato che: "Il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento, perche' l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, e' l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione e' condotta secondo criteri normativi. Non vi e', in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne e' conseguito, ovvero la modificazione della realta' indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte e' di carattere normativo, perche' ognuna di esse e' compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico e' la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete e' tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto". Si trae dalle affermazioni della Corte costituzionale la conseguenza che, sebbene non riconosciuto espressamente dalla lettera della Costituzione, il principio del ne bis in idem sia "immanente alla funzione ordinante cui la Carta ha dato vita, perche' non e' compatibile con tale funzione dell'ordinamento giuridico una normativa nel cui ambito la medesima situazione giuridica possa divenire oggetto di statuizioni giurisdizionali in perpetuo divenire. Nel diritto penale, la Corte Costituzionale ha da tempo arricchito la forza del divieto, proiettandolo da una dimensione correlata al valore obiettivo del giudicato (sentenze n. 6 e n. 69 del 1976, n. 1 del 1973 e n. 48 del 1967) fino a investire la sfera dei diritti dell'individuo, in quanto "principio di civilta' giuridica" (ordinanza n. 150 del 1995; inoltre, sentenze n. 284 del 2003 e n. 115 del 1987), oltretutto dotato di "forza espansiva" (sentenza n. 230 del 2004), e contraddistinto dalla natura di "garanzia" personale (sentenza n. 381 del 2006)". Proseguendo nella disamina dei principi e del loro bilanciamento, la Corte ha inoltre osservato come "le sempre opinabili considerazioni sugli interessi tutelati dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell'evento, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant'altro concerne i diversi reati, oggetto dei successivi giudizi, non si confanno alla garanzia costituzionale e convenzionale del ne bis in idem e sono estranee al nostro ordinamento" concludendo "in definitiva l'esistenza o no di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda e' un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'articolo 649 c.p.p., una volta che questa disposizione sia stata ricondotta a conformita' costituzionale, e l'ininfluenza gioca in entrambe le direzioni, perche' e' permesso, ma non e' prescritto al giudice di escludere la medesimezza del fatto, ove i reati siano stati eseguiti in concorso formale. Ai fini della decisione sull'applicabilita' del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico". Riconducendola all'ipotesi classica dell'articolo 649 c.p.p. (in presenza, cioe' di un giudicato) E, con chiarezza, rispetto alla situazione rimessa al giudizio, concludeva nei senso che l'autorita' giudiziaria "sara' tenuta a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all'esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione. A tale scopo e' escluso che eserciti un condizionamento l'esistenza di un concorso formale, e con essa, ad esempio, l'insieme degli elementi indicati dal rimettente nel giudizio, principale quali la natura del reato; il bene giuridico tutelato; l'evento in senso giuridico". E', dunque, alla luce di tali coordinate che devono essere esaminate le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata in risposta alle deduzioni difensive soprattutto nella parte in cui sono stati richiamati risalenti principi giurisprudenziali che devono essere attualizzati sulla scorta di questa nuova cornice che, al di la' di incertezze pure segnalate dalla dottrina, costituisce un imprescindibile punto di arrivo del sistema nella individuazione dell'idem factum come fatto storico, che va accertato, in riferimento alla singola posizione dell'imputato, con riferimento alle specifiche contestazioni potendo, invece, sicuramente escludersi l'idem factum in presenza di contestazioni di condotte che abbiano diversa perimetrazione temporale. Una simile evenienza, che sarebbe ostativa ex se all'applicazione del divieto di bis in idem, deve certamente escludersi, con riguardo alla posizione degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento ai quali, i fatti oggetto di addebito nelle due contestazioni per reato associativo si concentrano (e coincidono) con le attivita' poste in essere negli anni 2015 e seguenti, oggetto di intercettazione. I giudici di appello hanno valorizzato, al fine di scongiurare il rischio di una inammissibile duplicazione di processo per i medesimi fatti, la diversita' dei ben giuridici oggetto dei reati ed hanno insistito sulla configurabilita' del concorso tra un'associazione di stampo mafioso e un'associazione per delinquere che, avvalendosi del contributo di sodali affiliati al sodalizio mafioso, persegue un programma delittuoso, imperniato sul traffico di stupefacenti, dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell'interesse del clan non potendo configurarsi la violazione del ne bis in idem, mancando, nel rapporto tra le due fattispecie associative, piena coincidenza degli elementi costitutivi. Ma non si tratta di una conclusione valida in generale e in astratto. Diversamente e' a dirsi, invece, quando, come nel caso in esame con riferimento ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), si registra una piena coincidenza e corrispondenza tra la condotta materiale oggetto di addebito, quali componenti dell'associazione dedita allo spaccio, e quella partecipativa degli imputati al reato associativo di cui al capo A), condotte materiali, storiche e fattuali perfettamente sovrapponibili. In tal caso si seguirebbe un approccio formalistico e si assumerebbe a parametro dell'idem factum una nozione astratta dell'evento limitandosi ad affermare che le condotte ledono beni giuridici non coincidenti anche perche' la tutela del bene salute, che rientra nello spettro di tutela della previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, si accompagna, anche in tale fattispecie incriminatrice, alla tutela del bene ordine pubblico. I fatti ricostruiti nella loro concreta dimensione fenomenica e materiale posti a base della dichiarazione di responsabilita' degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non possono essere sussunti, ostandovi il divieto di bis in idem, nel reato sub capo A) non emergendo ulteriori indici della partecipazione al reato di mafia, ma esclusivamente in relazione al reato di cui al capo B) avendo fornito, come di seguito precisato, un apprezzabile e consapevole contributo al conseguimento delle finalita' tipiche dell'organizzazione intesa allo spaccio ancorche' asservita alla realizzazione del profitto a vantaggio dell'associazione mafiosa, aspetto, questo, che rientra nel focus soggettivo e oggettivo dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Deve, infine, precisarsi che gli altri ricorrenti, anche in fattispecie apparentemente simili a quella di ricorrenti innanzi indicati, non hanno specificamente posto il tema della violazione del bis in idem limitandosi a contestare la configurabilita' dei reati e la sussunzione delle condotte accertate nelle fattispecie incriminatrici, anche contestandone il concorso, senza porre specificamente il tema della violazione di legge, in relazione all'articolo 649 c.p.p. che, pertanto, in applicazione principio devolutivo dell'impugnazione, non e' stata oggetto di esame. 9.Con riguardo ai motivi di ricorso che investono il trattamento sanzionatorio, perche' eccessivo; al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche; al giudizio di bilanciamento tra circostanze ordinarie e alla misura dell'aumento a titolo di continuazione fra reati prospettati sotto plurimi aspetti quali il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 62-bis, 81 e 133 c.p., nonche' il vizio di motivazione, anche per omesso esame delle deduzioni difensive a riguardo, va, in generale, rilevato che si tratta della denuncia di vizi che involgono un profilo della regiudicanda, rimesso all'esclusivo apprezzamento del giudice di merito e sottratto a scrutinio di legittimita' quando risulti sorretto da esauriente e logica motivazione. Nel caso della sentenza in esame la motivazione risulta incentrata sul complessivo giudizio di gravita' dei fatti, i negativi precedenti penali, plurimi ed anche specifici, a carico degli imputati e, infine, il giudizio negativo sulla loro personalita', quale evincibile dai fatti e dalla loro dinamica, il piu' delle volte perdurante nel tempo e, dunque espressiva di un piu' elevato giudizio di pericolosita' sociale collegato alla capacita' a delinquere di ciascuno. Puo' ritenersi, pertanto, che la Corte territoriale ha fatto buon governo delle regole rimesse all'apprezzamento del giudice del merito nell'esercizio del potere sanzionatorio effettuando una globale valutazione del fatto e della personalita' dell'imputato, esprimendo sul punto una ragionata motivazione che non e' inficiata sol perche' il giudice non abbia preso in considerazione tutti i parametri indicati dall'articolo 133 c.p. purche', come nel caso in esame, abbia valorizzato anche aspetti soggettivi che orientano la scelta del trattamento punitivo. Al confronto con tali argomenti appaiono meramente assertivi, in chiave di pretesa minore gravita' del fatto, i motivi di ricorso che denunciano la eccessivita' della pena, ovvero la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, soffermandosi ora sull'"asprezza" del trattamento sanzionatorio ora evocando il contributo modesto o talvolta marginale, o addirittura lieve prestato al sodalizio ora il contenuto arco temporale dell'adesione al gruppo ora il comportamento processuale enucleando parametri di valutazione che non possiedono maggiore e o migliore efficacia dimostrativa della capacita' a delinquere degli imputati rispetto a quelli valorizzati dai giudici del merito. 10. Le posizioni dei singoli ricorrenti. 10.1. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. I motivi di ricorso che contestano il giudizio di responsabilita' sono generici e consistono nella mera riproduzione dei motivi di impugnazione che la Corte di merito ha compiutamente esaminato facendo corretta applicazione delle coordinate ermeneutiche (descritte al punto 7. del Considerato in diritto) ai fini della configurabilita' del consapevole contributo partecipativo del ricorrente al reato associativo di cui al capo B). In particolare, non hanno fondamento le censure che contestano la "cripticita'" delle conversazioni intercettate e la erronea valutazione della "presenza", asseritamente saltuaria, del ricorrente nella base logistica di via (OMISSIS) e di quella di via (OMISSIS), presenze collegate, nella prospettazione difensiva, all'acquisto di stupefacenti dei quali il ricorrente e' assuntore e alla circostanza che egli si recava in via (OMISSIS) perche' ivi abitano i congiunti. La Corte di merito (pag. 172 e ss.) ha evidenziato come il ricorrente abbia fatto riferimento (cosi' con il ricorso) ad un'unica conversazione (in questa sede si tratta di due conversazioni del 18 febbraio 2017 e 8 aprile 2017) isolandole pero' dall'intero compendio intercettativo che comprende numerose conversazioni (a partire dal 27 settembre 2016) affatto riconducibili alla "mera frequentazione fra congiunti", con il cugino, (OMISSIS), o a frequentazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS) determinate dall'acquisto di droga per uso personale. Risulta corretta l'affermazione della Corte di merito secondo la quale il ricorso al linguaggio criptico, immediatamente chiaro ai loquenti, denota il carattere illecito dell'oggetto delle conversazioni che devono essere correlate le une alle altre e con gli altri elementi acquisiti per inferirne il contenuto che, per quanto concerne i frequenti rapporti e contatti fra il ricorrente e i sodali dell'associazione, (OMISSIS) e (OMISSIS), preposti alle attivita' di organizzazione dello spaccio, non appare sovrapponibile a lecite attivita' occultando, viceversa, la gestione di affari illeciti ne' tale contenuto rimanda a mere operazioni di acquisto di droga da parte del ricorrente quanto piuttosto al suo coinvolgimento nelle operazioni di procacciamento della droga, consegna ai correi e, in altre circostanze, cessione a terzi. Ad affari illeciti inequivocabilmente rimanda la conversazione, intervenuta con (OMISSIS) il 18 febbraio 2017 nel corso della quale (OMISSIS) rimproverava il ricorrente per il ritardo ma gli raccomandava, con una certa insistenza - si precisa in sentenza - di stare attento e farsi un giro con un chiaro significato di controllare attivita' di polizia in corso e, cosi', ulteriori conversazioni e contatti con (OMISSIS) che ruotano intorno ad incontri per scambi di "cose" portate da (OMISSIS) al (OMISSIS); il coinvolgimento dell' (OMISSIS) in operazioni di "preventivi"; appuntamenti presso il "covo" (cosi' testualmente nelle conversazioni) e, infine, a dimostrazione della conoscenza, da parte del ricorrente, del sistema di gestione dei flussi facenti capo all'associazione, il contenuto della conversazione del 10 aprile 2017 che la Corte di appello legge in una a quella dell'8 aprile 2017 e dalle quali emerge il contrappunto mostrato dall'imputato in merito all'arrivo e ritardo di (OMISSIS), che gestiva i flussi del conto corrente in uso all'associazione, atteggiamento incompatibile con le asserite operazioni di acquisto di droga per uso personale. Ne' e' provata una causale lecita sottostante ai rapporti finanziari con il (OMISSIS). 10.1.1. Anche il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato poiche' la sentenza impugnata, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, ha evidenziato, rispetto alla deduzione difensiva che non era accertato il quantitativo degli approvvigionamenti di droga, che era, invece, accertata la capacita' di approvvigionamento continuo e sistematico di sostanze stupefacenti in piu' zone della Sicilia ed anche fuori da tale regione (in Campania), modalita' incompatibile con una organizzazione volta alla commissione di fatti di lieve entita'. 10.2. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione all'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2022, articolo 71, che va eliminata, nonche' con riferimento al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, come contestato al capo W), relativamente alla detenzione di arma comune da sparo perche' assorbito in quello di detenzione di arma clandestina oggetto di contestazione al capo TT) riqualificando, altresi', la condotta di detenzione di munizioni ai sensi dell'articolo 697 c.p. aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. con rinvio, per la rideterminazione della pena in relazione tale reato contravvenzionale alla Corte di Assise di Caltanissetta. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile nel resto. 10.2.1. Il secondo motivo di ricorso, di cui si e' (sopra al p. 6) denunciato l'errore metodologico con conseguente declaratoria di manifesta infondatezza e' anche generico perche' riproduce motivi di impugnazione che la Corte di merito, in linea con le valutazioni compiute nella sentenza di primo grado, ha compiutamente esaminato facendo corretta applicazione delle coordinate ermeneutiche (descritte al punto 7. del Considerato in diritto) ai fini della configurabilita' del consapevole contributo partecipativo del ricorrente al reato associativo di cui al capo A). Va solo precisato che, diversamente che per gli altri imputati in relazione ai quali e' stato esaminato il tema della violazione del divieto di ne bis in idem, il ricorrente non ha specificamente proposto tale motivo. Anche ai fini dell'esame del vizio di violazione di legge, il ricorso deve, infatti, essere specifico non essendo sufficiente, a connotarlo in termini di specificita', il mero richiamo al capo della decisione (nella specie, la condanna per il reato di cui al capo A) ma necessario il riferimento alle norme di legge che si assumono violate. La condanna del ricorrente per il reato associativo di cui al capo A) e' pienamente giustificata in ragione del suo contributo strutturato sulle condotte in materia di stupefacenti, traffico nel quale il ricorrente era versato. Il ricorrente ha evidenziato come, rispetto ad una contestazione che parte dall'anno 2012, non ne viene registrato alcun contributo fattivo tenuto conto del periodo di detenzione subito; che, in altro processo, e' stata esclusa a suo carico l'aggravante di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. contestatagli sulla base delle stesse dichiarazioni, valorizzate nella sentenza impugnata, dei pentiti. Il ricorrente, infine, ritiene che sia irrilevante la sua presenza nel "covo" di via (OMISSIS), giustificata dalle sue frequentazioni extra coniugali e non configurabile il coinvolgimento nei reati-fini dell'associazione, perche' sussumibili in una forma di connivenza non punibile o, comunque, estranei al suo contributo. La Corte di appello (pagg. 161 e ss.) pur dando atto della genericita' dei motivi di impugnazione, per il mancato confronto con le evidenze di prova illustrate nella sentenza di primo grado, ha ricostruito i colloqui (intercettati) del ricorrente intercorsi con (OMISSIS) e (OMISSIS) e ne ha ricostruito il rapporto a doppio filo con il (OMISSIS), rapporto che consente di approfondire, e conferire maggiore significato, alla presenza del ricorrente nel covo di via (OMISSIS) dove era in corso una intensa attivita' illecita che, secondo la sentenza impugnata, preoccupava (OMISSIS) che si riprometteva di parlare della cosa con (OMISSIS). La Corte di merito ha esaminato, inoltre, i rapporti del ricorrente con (OMISSIS), meglio descritti in prosieguo, riconducibili ad attivita' in materia di stupefacenti di cui il (OMISSIS) era fornitore e cessionario, non mancando di evidenziare che effettivamente (OMISSIS) non fa riferimento al ricorrente come partecipe del reato associativo, discrasia spiegata con il fatto che (OMISSIS) non aveva conoscenza, per la brevita' e caratteristiche della sua partecipazione dell'organigramma associativo, ma non certificativa della mancata partecipazione del ricorrente all'associazione stessa, secondo l'interpretazione proposta con il ricorso. Si sono illustrate ai punti 6.1. e 6.2 del Considerato in diritto le ragioni che hanno giustificato, secondo le corrette argomentazioni dei giudici del merito, la sussistenza delle aggravanti di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e 6, con ragioni pienamente estensibili al ricorrente che, del resto, frequentava il covo di via (OMISSIS) dove, in esito alla irruzione dell'8 novembre 2016, venivano rinvenute droga e armi (una pistola cal. 7,65 e munizioni), argomento che refluisce anche in punto di responsabilita' del reato di cui al capo A) potendo ricondursi all'imputato la gestione del "covo" e di quanto in esso rinvenuto. 10.2.2. Il quarto motivo di ricorso e' generico e manifestamente infondato. Si sono illustrate, al punto 7. del Considerato in diritto, le ragioni per le quali la Corte di merito, con corrette argomentazioni giuridiche, ha ritenuto sussistente il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in presenza della esistenza (comprovata dalle intercettazioni; dei servizi di osservazione; delle risultanze delle operazioni di perquisizione e sequestro) di una struttura operativa alla quale era riconducibile una seriale e continuativa attivita' di reperimento, acquisto, stoccaggio e vendita di stupefacenti, associazione alla quale e' riconducibile il contributo partecipativo dell'imputato piuttosto che l'ipotesi della "connivenza non punibile", allegata in ricorso. Infatti, la Corte (pag. 167) ha valorizzato i contatti del ricorrente con (OMISSIS) e, a comprova del contributo partecipativo dell'imputato, ha evidenziato la conversazione dell'8 ottobre 2016, in cui (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), lamentava il comportamento di questi e di (OMISSIS) e il ricorrente lo rassicurava dicendogli che "avrebbe provveduto a metterli a posto". "Ricompaiono", osserva la sentenza di appello, "il linguaggio e le gerarchie tipiche dell'organizzazione mafiosa in cui l'imputato occupava un posto di rilievo tanto da poter intervenire su persone collocate ad un piu' basso livello dell'organizzazione piramidale". Inoltre, la Corte ne ha descritto il commento in occasione della perdita della droga, sequestrata nel covo di via (OMISSIS), sul mancato pagamento di questo dovuto al (OMISSIS), al quale il ricorrente si riprometteva di "rifilare un bel tappo" non pagandogli quanto ancora dovuto, proposito che ne esprimeva non solo la consapevolezza della perdita della droga ma la gestione, in prima persona, delle implicazioni di tale vicenda e dei suoi costi economici. Al di la' della sinteticita' della motivazione della Corte in merito alle aggravanti (del numero delle persone, coinvolte nel reato associativo sub capo B) e dell'automatica sussistenza anche dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. (in tal senso la sentenza impugnata a pag. 168) la ricostruzione svolta al punto 7.2 del Considerato in diritto e gli elementi in fatto illustrati nella sentenza impugnata danno pienamente conto della sussistenza degli elementi che integrano l'aggravante dell'agevolazione mafiosa a carico dell'imputato, ritenuto responsabile anche del reato di cui al capo A) e a pieno titolo coinvolto, con un ruolo affatto marginale, nella gestione del covo e nella rivendicazione delle conseguenze connesse alla perdita della droga. Manifestamente infondato il motivo di ricorso sub 9, con il quale il ricorrente censura la mancata riqualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. A tal riguardo e' sufficiente richiamare le considerazioni svolte al punto 7.3 del Considerato in diritto, immediatamente applicabili all'imputato in ragione degli elementi quantitativi del traffico che concernono i reati ascrittigli ai capi RR) e SS). 10.2.3. (OMISSIS) risponde, altresi', del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 e articolo 80 (capo RR); del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo SS) e dei reati in materi di armi (contestati ai capi W), TT e UU) che fanno riferimento al rinvenimento di droga (52 chilogrammi di hashish; 920,2 gr. di cocaina; una pistola semiautomatica, con matricola abrasa, marca "Attila fleg" e 16 cartucce di vario genere nonche' materiale di taglio e confezionamento) in occasione della perquisizione eseguita l'8 novembre 2016 nel cd. covo di via (OMISSIS). A queste contestazioni fanno riferimento, in punto di responsabilita', configurabilita' dei reati e delle aggravanti, i motivi di ricorso sviluppati sub 5), 6) 7) e 8), motivi che involgono problematiche comuni e che, pertanto, possono essere trattati congiuntamente. Le prospettazioni difensive svolte dal ricorrente a confutazione del giudizio di colpevolezza per la riconducibilita' del possesso di droga (hashish e cocaina) e armi (l'occasionale presenza dell'imputato presso il covo, dovuta alla necessita' di riparare in un immobile per gestire le sue relazioni extraconiugali; la circostanza che (OMISSIS) lo avesse scagionato dall'essere correo nella detenzione) si risolvono in inammissibili motivi volti a contrastare le argomentazioni con le quali i giudici di merito hanno gia' disatteso le tesi della difesa escludendo che la presenza del ricorrente nel covo di via (OMISSIS) fosse tutt'altro che occasionale e la credibilita' del (OMISSIS), che lo ha scagionato. La sentenza impugnata ha evidenziato che l'irruzione era stata preceduta da osservazioni, durate circa una settimana, che constatavano la ricorrente presenza dell'imputato nel covo (v. pag. 878 della sentenza di primo grado in piu' occasioni, perlomeno il 31 ottobre, occasione in cui apre, con le chiavi in suo possesso, il portone dello stabile; il 2 novembre; il 3 novembre, anche in piu' occasioni, sempre utilizzando la chiave in suo possesso per aprire il portone e portando in mano un vasetto che sembrava contenere mannitolo; il 5, 6 e 7 novembre). Le valutazioni della Corte di merito, lungi dal connotarsi come manifestamente illogiche, sono precise, con riferimento alle circostanze di fatto che hanno accertato la ricorrente presenza dell'imputato nel covo di cui il ricorrente propone una diversa e alternativa lettura con un'operazione che non e' sperimentabile in questa sede anche tenuto conto che il legame di parentela dell'imputato con (OMISSIS) finisce con il condizionarne, in senso negativo, il giudizio di attendibilita'. Ma e' esaustiva, a smentita della riduttiva versione che il ricorrente propone, la circostanza che, come si e' anticipato trattando le sue argomentazioni difensive in relazione al reato associativo, l'imputato "rivendica", rovesciandole a danno del (OMISSIS), le conseguenze economiche negative della perdita della droga, un'operazione che puo' compiere solo il soggetto che ne aveva la disponibilita' e corrispondente al suo potere dispositivo. I motivi di ricorso che contestano la sussistenza delle aggravanti (quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 in relazione al reato di cui al capo RR) e quella di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. per tutti i reati sono manifestamente infondati. L'applicazione dell'aggravante, nel caso in esame, a prescindere dall'ampiezza del superamento del valore soglia, appare pienamente giustificata, in relazione alla obiettiva gravita' del fatto, a fronte del numero davvero imponente di dosi (281.044) che potevano estrarsi dall'hashish caduto in sequestro. Sull'aggravante della finalita' agevolativa di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. si rinvia, fermi i requisiti per la configurabilita' dell'aggravante innanzi illustrati, alle circostanze di fatto ed alla intervenuta condanna, per il ricorrente, in relazione al reato di cui al capo A). Non hanno fondamento giuridico, le deduzioni difensive sulla configurabilita' e sussistenza del reato di cui all'articolo 648 c.p., fattispecie che e' ritenuta pacificamente sussistente in presenza di arma abrasa poiche' il possesso di un'arma clandestina integra di per se' la prova del delitto di ricettazione, poiche' l'abrasione della matricola, che priva l'arma medesima di numero e dei contrassegni di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 11, essendo chiaramente finalizzata ad impedirne l'identificazione, dimostra, in mancanza di elementi contrari, il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della provenienza illecita dell'arma (Sez. 1, n. 37016 del 28/05/2019, Spina, Rv. 276868). 10.2.4. E' fondato il motivo di ricorso sub 7, in merito al reato di detenzione dell'arma comune da sparo, ascritto al ricorrente al capo W), in applicazione della regula iuris secondo cui il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7 come sostituiti dalla L. n. 497 del 1974, articoli 10 e 14, deve ritenersi assorbito in quello di detenzione di arma clandestina, di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 23, commi 1 e 3, per il quale e' intervenuta condanna al capo sub TT). Ne consegue la riqualificazione della detenzione delle munizioni indicata al capo W) ai sensi dell'articolo 697 c.p., aggravato ex articolo 416-bis 1, c.p. con rinvio per la rideterminazione della pena per detto reato, come ritenuto, ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta. Deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha ricondotto a mesi uno di reclusione l'aumento di pena per il reato di cui al capo W), valorizzando anche la natura clandestina dell'arma, mentre per ciascuno dei reati sub capi RR), SS) e TT) ha determinato, per ciascuno, la pena di giorni dieci di reclusione. La pena per il reato contravvenzionale deve, pertanto, essere rideterminata con un'operazione che, involgendo una operazione di carattere discrezionale, non puo' essere compiuta da questa Corte. 10.2.5. E' fondato, ma in concreto privo di rilevanza sulla determinazione della pena il terzo motivo di ricorso. All'imputato sono state applicate, con giudizio di equivalenza, a meno che con l'aggravante ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., le circostanze attenuanti generiche. La Corte di merito (pag. 169) ha ritenuto irrilevanti le aggravanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 in relazione alla detenzione dell'hashish e quella di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71, non esaminandone la sussistenza perche' la questione era assorbita e sul rilievo che il giudizio di equivalenza andava confermato con riferimento alle circostanze non contestate (il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, in relazione alla detenzione di cocaina; quelle di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6, oltre alla recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale). Premesso che, su piano ontologico, altra cosa, rispetto al giudizio di bilanciamento, e' la valutazione della sussistenza o meno di una circostanza aggravante, l'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71, non potrebbe ritenersi correttamente applicata in carenza dell'esame del motivo di impugnazione con il quale il ricorrente ne contestava la sussistenza. Ma, come anticipato, si tratta di un rilievo superato dall'operazione di determinazione della pena poiche' la Corte di merito (cfr. pag. 169) ha escluso la predetta aggravante (irrilevanti, le ragioni corrette o meno di tale affermazione) confermando il giudizio di bilanciamento "solo" con le residue aggravanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, in relazione alla detenzione di cocaina; quelle di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6, oltre alla recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. 10.2.6. Gli ulteriori rilievi difensivi, sulla mancata applicazione della prevalenza delle generiche; determinazione della pena per il reato sub capo A) e aumento per la continuazione (motivi sub 10) sono manifestamente infondati. Le argomentazioni della Corte di merito - l'oggettiva gravita' della condotta sub capo SS) per la tipologia e qualita' della droga detenuta (gr. 920 di cocaina); le considerazioni sulla personalita' criminologica dell'imputato, in ragione dei suoi precedenti; la misura di pena applicata in aumento per il capo A) (contenuta in mesi 5) di reclusione) non consentono di ritenere che il giudice abbia fatto malgoverno dei poteri discrezionali riconosciutigli dall'articolo 133 c.p. e men che mai che sia stata applicata la pena, prevista per la partecipazione all'associazione armata dopo l'aumento per le condotte successive al 2015. 10.3. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS), in relazione al reato di cui agli articoli 110, 648-ter.1 c.p. riqualificato ai sensi dell'articolo 648-bis c.p.. Il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato nel resto. 10.3.1 Non e' fondata ed e' stata correttamente impostata nella sentenza impugnata (pag. 180 e ss.) la censura del ricorrente sulla pretesa diversita' dei fatti contestatigli ai capi JJJ), relativo alla intestazione fittizia della societa' (OMISSIS) (costituita il 29 settembre 2014) e le condotte di autoriciclaggio (articolo 648-ter.1 c.p.) ascrittegli al capo KKK). Il tema, cosi' come proposto, e' estraneo alla fattispecie processuale della diversita' del fatto e rimanda, invece, alla valutazione delle risultanze probatorie acquisite attraverso le operazioni di intercettazioni telefoniche, eseguite nel periodo 6 ottobre 2015/19 maggio 2016, che sono effettivamente successive alla costituzione della societa' (OMISSIS) s.r.l.s. di cui era formalmente unico titolare (al 100% delle quote) (OMISSIS), figlio del ricorrente e amministratrice la moglie del ricorrente ( (OMISSIS)). Le conversazioni intercettate sono, tuttavia, utili per comprovare l'operazione di ingresso, nel capitale della societa' gia' costituita nel 2014, di (OMISSIS) e (OMISSIS) e le attivita' di gestione della discoteca (OMISSIS), riconducibili sia all'odierno ricorrente che a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel periodo autunno/inverno 2015. (OMISSIS) (e non il figlio, titolare formale delle quote societarie) e' l'autore dei contatti funzionali alle operazioni necessarie per realizzare l'ingresso occulto dei (OMISSIS) nel capitale sociale della (OMISSIS) s.r.l. ed e' il soggetto che aveva perfetta conoscenza della identita' dei soci e delle loro caratteristiche soggettive e, quindi, pienamente consapevole che le operazioni svolte erano funzionali a celare l'ingresso dei soci nel capitale sociale al fine di eludere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniale. In poche parole, l'imputato s(e' adoperato per portare a termine le operazioni di ingresso di nuovi soci nella societa' del figlio, gia' operativa, lasciandone immutata la titolarita' formale in capo a (OMISSIS) che acquistava, cosi' il ruolo di soggetto interposto. La sentenza impugnata, a questo fine, ha riprodotto le conversazioni intercettate che documentano le operazioni di trasferimento di denaro verso l'imputato finalizzate all'ingresso nel capitale sociale: di rilievo, ai fini che ci occupano, quella del 16 ottobre 2015, nel corso della quale, dopo alcune conversazioni in cui si discuteva espressamente della regolarizzazione cartolare della societa', (OMISSIS) comunicava a (OMISSIS) l'avvenuta consegna del denaro all'imputato. Questa e' solo la prima di una serie di conversazioni dalle quali emergono le richieste di consegna di denaro, per partecipare alla titolarita' della societa' e, infine, anche alla gestione, richieste avanzate da (OMISSIS) a (OMISSIS) e da questi "girate" a (OMISSIS). Rileva la Corte di appello come non si sia trattato di un investimento ingente e, del resto, le questioni ben presto insorte fra (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano riguardato i mancati stellari introiti che gli investitori si erano immaginati e che non trovavano corrispondenza negli incassi effettivi. Le questioni culminavano nell'aggressione a mano armata consumata da (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS), riprodotta nella conversazione intercettata il 19 maggio 2016 (pagg. 216 e ss. della sentenza impugnata). La conversazione segue quelle, di cui e' spesso autore (OMISSIS), sui mancati introiti (sperati) dalla gestione della discoteca e la pretesa di (OMISSIS) di avere in restituzione le somme sborsate. Nel corso della conversazione del 19 maggio 2016, (OMISSIS) intimava a (OMISSIS) di fargli avere indietro i soldi perche' aveva un assegno in scadenza aggiungendo che, se fosse andato protestato, lo avrebbe distrutto e gli avrebbe sparato quattro colpi. Premesso che il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui all'articolo 512-bis c.p., funzionale all'operazione di ingresso dei fratelli (OMISSIS) nella societa' (OMISSIS) s.r.l. cosi' schermata, ha natura istantanea con effetti permanenti, il reato e' configurabile non solo in fase di creazione ab origine di una societa' ma anche nel caso di operazioni economiche volte a realizzare una modifica della compagine sociale attraverso il conferimento di capitali, compagine in cui subentra un nuovo soggetto. Le operazioni di intercettazione documentano inequivocabilmente, il riferimento al subingresso nelle quote societarie - ovviamente mascherato e non dichiarato - di (OMISSIS) e (OMISSIS), con perfetta sovrapposizione alla contestazione, che reca l'indicazione della commissione del fatto in epoca prossima e successiva al 29 settembre 2014, data di costituzione della societa', e sino al novembre 2015. Come noto, il delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui all'articolo 512-bis c.p. non ha natura di reato plurisoggettivo improprio, ma rappresenta una fattispecie a forma libera in cui la condotta di concorso puo' realizzarsi attraverso forme variegate: nel caso in esame, l'imputato, che non era il titolare interposto del bene, ha fornito il suo contributo consapevole alla consumazione del reato occupandosi delle operazioni funzionali alla realizzazione dell'ingresso, schermato, dei (OMISSIS) nella titolarita' della societa' (che restava formalmente intestata al figlio e non modificata) al fine di eludere misure ablatorie delle quali i (OMISSIS) potevano essere destinatari. Anche se le successive operazioni commerciali risultanti dalle intercettazioni, che attengono alla normale dinamica societaria nelle quali il ricorrente e' pure coinvolto, non sono direttamente riferibili alla commissione del reato, ormai perfezionatosi, esse sono nondimeno rilevanti a comprova dell'effettivita' dell'ingerimento del (OMISSIS) nella gestione dell'attivita' economica facente capo alla societa', per come si evince dai contatti frequenti con (OMISSIS) per seguire l'organizzazione delle serate danzanti, e che corrispondono all'esercizio effettivo dei poteri gestori derivanti dalla partecipazione alla societa'. 10.3.2. Da tanto consegue anche la infondatezza del secondo motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) poiche' appaiono pienamente integrati, attraverso le descritte condotte sorrette dal necessario coefficiente psicologico, tutti gli elementi costitutivi del reato al cui perfezionamento non osta che l'imputato avesse comunque investito nell'iniziativa proprie somme. 10.3.3. E', inoltre, accertato dalle conversazioni innanzi riportate che l'imputato ha ricevuto dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) e impiegato nel finanziamento della societa' e nella gestione delle attivita' economiche facenti capo alla (OMISSIS) s.r.l. somme di denaro, per lo piu' in contante o costituite da assegni sottoscritti da altre persone, derivanti dalle illecite attivita' dei fratelli (OMISSIS) in quanto provento dei guadagni di traffico di stupefacenti o altre attivita' illecite, illecite attivita' alle quali l'imputato era estraneo, come precisato fin dal capo di imputazione. Tale condotta integra, piuttosto che il concorso nel delitto di autoriciclaggio, ascrivibile a (OMISSIS) che, nella partecipazione alla societa' aveva investito i guadagni derivatigli dalle illecite attivita' svolte con il traffico di droga ed estorsioni, il reato di riciclaggio previsto dall'articolo 648-ter c.p.. Il reato di cui all'articolo 648-ter.1 c.p. e' un delitto a forma libera realizzabile attraverso condotte caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio e finalizzate ad ostacolare l'accertamento o l'astratta individuabilita' dell'origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilita' che si intendono occultare. E' un reato proprio, attribuibile, cioe' al soggetto che abbia commesso il reato presupposto, fonte degli illeciti guadagni poi reinvestiti. Si e', tuttavia, discusso in ordine alla qualificazione giuridica della condotta posta in essere dal soggetto extraneus (ovvero che non abbia commesso, ne' concorso a commettere, il delitto non colposo presupposto), il quale abbia fornito un contributo concorsuale causalmente rilevante alla condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto intraneus. (ovvero che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto). E', questo, un tema controverso al quale la giurisprudenza di questa Corte ha dato una risposta non univoca, come precisato anche nella sentenza impugnata. Il Collegio ritiene di aderire all'orientamento secondo cui in tema di autoriciclaggio, il soggetto che, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione da parte dell'autore del reato - presupposto delle condotte indicate dall'articolo 648-ter.1 c.p., risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio essendo questo configurabile solo nei confronti dell'intraneus. (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272652). Risolutivo, nel percorso ermeneutico tracciato da tale decisione ai fini della qualificazione giuridica della condotta, il rilievo che per il soggetto che non abbia preso parte al reato-presupposto, ed abbia successivamente posto in essere una condotta lato sensu riciclatoria (tipica, ex articolo 648-ter.1 c.p., od anche atipica), agendo in concorso con l'intraneus chiamato a rispondere di autoriciclaggio sarebbe sottoposto ad un trattamento punitivo meno severo ma, soprattutto, il rilievo che la condotta dell'extraneus, che pacificamente prima della introduzione del reato di autoriciclaggio si riteneva integrasse il delitto di cui all'articolo 648-ter c.p. sarebbe sostanzialmente abrogata. D'altro canto, prima dell'introduzione dell'articolo 648-ter.1 c.p. nessun dubbio era mai stato nutrito con riferimento alla configurabilita' del reato previsto e punito dall'articolo 648-bis c.p. in casi nei quali l'autore del delitto-presupposto, pur non punibile, avesse fornito un contributo rilevante alla condotta tipica del riciclatore extraneus; ed, invero, il concorso nell'attivita' riciclatoria del soggetto responsabile del reato presupposto e', secondo l'id quod plerumque accidit, ordinario (essendo naturale che la predetta attivita' illecita venga generalmente ordita su impulso e nell'interesse di quest'ultimo); Le operazioni di intercettazione documentano che il ricorrente ha ricevuto le somme di denaro, funzionali a realizzare il subingresso nelle quote societarie, di (OMISSIS) e (OMISSIS), e altre somme per la gestione della societa', condotte integrano quella di riciclaggio essendo pienamente consapevole della provenienza delle somme dalle attivita' illecite di (OMISSIS). L'operazione di qualificazione giuridica, sulla base di questi elementi di fatto ben noti all'imputato, non comporta lesione dei diritti di difesa ne' la modifica del trattamento punitivo che, del resto, il ricorrente non ha contestato. 10.4. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione all'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2022, articolo 71, aggravante che va eliminata senza che da tale modifica derivi la necessita' di procedere alla revisione del trattamento punitivo. Il ricorso di (OMISSIS) e', nel resto, inammissibile perche' proposto per motivi generici sia per aspecificita', in quanto non si confrontano con la ricostruzione delle risultanze probatorie compiuta nella sentenza impugnata sia perche' meramente riproduttivo di argomentazioni, sulla configurabilita' dei reati e del contributo del ricorrente, sia perche' propone, di tali risultanze, una rivalutazione essenzialmente di merito, in assenza di evidenti illogicita' della motivazione della sentenza impugnata che alle pagg. 187 e ss. ha puntualmente esaminato tutte le deduzioni difensive. Anche le ulteriori argomentazioni difensive svolte con la memoria ex articolo 611 c.p.p. replicano i medesimi vizi quando non sono indeducibili, come quella che concerne la richiesta di esclusione della parte civile F.A.I.- Antiracket (OMISSIS) Associazione (OMISSIS) in quanto priva di qualsiasi evidenza documentale a sostegno. 10.4.1. Il primo motivo di ricorso e' generico e manifestamente infondato. Il ricorso si concentra sul giudizio di inattendibilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), aspetto sul quale, in aggiunta alle argomentazioni sviluppate al punto 4. del Considerato in diritto, va solo rilevato che la Corte di merito ha precisamente circoscritto la rilevanza del contributo dichiarativo del (OMISSIS) evitando di generalizzarne la valenza (al ruolo dell'imputato, per es. o ad aspetti che esulavano da quelli che il (OMISSIS) aveva descritto per avervi preso parte) e valorizzandoli con riferimento alla diretta conoscenza del dichiarante la cui partecipazione a episodi specifici (l'attentato incendiario al bar "(OMISSIS)") ha trovato precisi riscontri nelle dichiarazioni rese dal titolare dell'esercizio, (OMISSIS), "divenuto" cliente del (OMISSIS) a seguito delle insistenti richieste dell'imputato. Correttamente, poi, la Corte di appello ha ritenuto irrilevante che per taluni degli episodi oggi addebitati al ricorrente abbia proceduto, in fase di indagini, l'autorita' giudiziaria ordinaria, iter affatto incompatibile con il procedere delle acquisizioni investigative, anche attraverso le operazioni di intercettazioni e la loro pubblicazione in fasi successive. Ne' possono ascriversi a mendacio aspetti del racconto del (OMISSIS) non collimanti con la riproduzione (oggettiva) dell'evento del ferimento di (OMISSIS) ricondotte a marginali discrasie che non inficiano il giudizio di attendibilita' o la ricostruzione dei fatti e la loro ascrivibilita' agli autori materiali o individuabili come mandanti ( (OMISSIS) non era presente ne' al ferimento di (OMISSIS) ne' alla spedizione punitiva in danno di (OMISSIS)): la sentenza impugnata, sulla scorta delle intercettazioni e, in particolare di quella del 25 aprile 2016, ha ricostruito, attraverso la viva voce dell'imputato, sia la sua presenza presso l'ospedale dove era stato ricoverato (OMISSIS) che le successive iniziative intraprese per ritorsione, contro il (OMISSIS). 10.4.2. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla ritenuta sussistenza della qualificata condotta di direzione del sodalizio ascritta all'imputato - che e' in realta' figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della condotta di partecipazione di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 1 - e' caratterizzato da strutturale indeterminatezza e genericita': il ricorrente esamina le risultanze processuali offrendone una valutazione riduttiva con riferimento agli episodi (la rissa presso il locale "(OMISSIS)" in cui era rimasto coinvolto (OMISSIS); l'episodio " (OMISSIS)" l'aggressione agli operai (OMISSIS)), ma omette il confronto con le complessive argomentazioni della Corte di appello che ha contestualizzato la rissa al locale "(OMISSIS)" come un vero e proprio scontro tra "personaggi" appartenenti a diversi clan mafiosi e ha valorizzato l'interesse mostrato dal (OMISSIS) (conversazione del 16 novembre 206 intervenuta con (OMISSIS)) volto a conoscere esattamente quali fossero state le parole pronunciate da (OMISSIS) (negate dal (OMISSIS)) secondo cui (OMISSIS) ne aveva contestato l'autorita' (...a mia un minni futti i (OMISSIS)), la reazione violenta dell'imputato e le successive iniziative (la convocazione di uno dei partecipi, (OMISSIS)) per conoscere la dinamica della rissa e dispiegare un intervento volto alla riportare la calma, anche a costo di qualche "schiaffo". Non e' manifestamente illogica la conclusione che, in relazione a tale ultimo episodio, trae la sentenza impugnata quando osserva che (OMISSIS), in forza della propria autorevolezza e carisma aveva organizzato un incontro per comporre un confitto, riportando cosi' la calma tra i corrissanti, il che corrisponde proprio al ruolo di un capo ed ai poteri che questi esercita nella vita del gruppo criminale e rapporto tra partecipi e tra costoro e i terzi. La sentenza impugnata ha esaminato anche le ulteriori deduzioni difensive che sottolineavano la estraneita' del ricorrente ad una vicenda che aveva coinvolto il nipote, (OMISSIS) (il fatto sorprende anche (OMISSIS) che, invece, era intervenuto a difesa dello (OMISSIS)) e, anche in tale caso, i giudici di merito hanno evidenziato come, a prescindere dalle concrete ragioni che avevano determinato il disinteresse di (OMISSIS), cio' che rilevava era la "sorpresa" dei sodali per il suo mancato intervento che era proprio quello che si attendeva dal capo del gruppo. E, evidenziano i giudici, non si trattava di interventi attesi per il risalente carisma del (OMISSIS) - che, invece, in altri episodi, non immediatamente riconducibili a fatti di mafia come l'aggressione a utenti della strada, per questioni di traffico; l'aggressione agli operai della (OMISSIS) interviene rivelando un tratto caratteriale, violento e autoritario - ma proprio di interventi funzionali e corrispondenti a quelli del capo del clan, perfettamente sovrapponibili a quelli esercitati in occasione del ferimento di (OMISSIS), per conoscerne le ragioni e apprestare i rimedi. Le conclusioni dei giudici di merito che hanno individuato in (OMISSIS) il "capo" dell'associazione ne hanno descritto il ruolo direttivo sulla base di corretti presupposti fattuali e di ineccepibili argomentazioni giuridiche poiche' "capo" e' non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Serio, Rv. 280890). La riconducibilita' a (OMISSIS) del ruolo di capo dell'organizzazione ma anche dominus delle ditte utilizzate per la fornitura di merce consente, infine, di ricondurre all'imputato la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sia con riferimento alla finalita' agevolativa del clan che del metodo mafioso, contestata in relazione a tutti i reati-fine ascritti a (OMISSIS) ai capi da C) a T), aggravanti imputabili al ricorrente sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo in quanto le condotte sono volte immediatamente al rafforzamento del suo potere e idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso funzionale a una piu' agevole e sicura consumazione del reato. Con riferimento alle condotte estorsive, non e' superfluo richiamare le dichiarazioni rese da (OMISSIS), persona offesa del reato sub capo L), reato commesso il (OMISSIS), secondo le quali si era diffusa, tra i commercianti di (OMISSIS), "la voce che se prendevi il materiale che (OMISSIS) ti proponeva non si andava incontro a incendi, o danneggiamenti di altra natura": una voce notoria ma evocata di volta in volta attraverso le "proposte" di fornitura avanzate dall'imputato o da suoi emissari ai titolari di esercizi commerciali interessati, quali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) o suggerita dai coevi attentati con esplosione di colpi di arma da fuoco contro i negozi (persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS)). 10.4.3. Il motivo di ricorso che contesta il giudizio di colpevolezza in relazione al reato di tentata estorsione di cui al capo C) - in danno di (OMISSIS), titolare della pasticceria "(OMISSIS)" - si sviluppa attraverso valutazioni di puro merito perche' imperniate sul giudizio di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), animato da acrimonia, si sostiene, contro il ricorrente, perche' la ditta del (OMISSIS) riforniva un concorrente del (OMISSIS), il bar (OMISSIS). Le dichiarazioni del (OMISSIS), al quale l'imputato aveva tentato di imporre la fornitura dei prodotti di confezionamento che (OMISSIS) gia' acquistava con un buon prezzo presso altri rivenditori accompagnate dalle parole "cu mangia assai s' affuca" sono state del tutto logicamente valorizzate come un avvertimento con una portata intimidatoria ben colta dal (OMISSIS), che conosceva anche lo spessore criminale e mafioso del (OMISSIS). Inconferente, rispetto alla fattispecie in esame, la denuncia del vizio di travisamento della prova dichiarativa ovvero omesso esame delle deduzioni difensive, in merito al verbale di sommarie informazioni del (OMISSIS), nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata, vizio smentito dalla precisa ricostruzione in fatto sia del contenuto dichiarativo del (OMISSIS) che del denunciato profilo di "concorrenza", che i giudici del merito non hanno ricondotto al rapporto (OMISSIS)- (OMISSIS), ma proprio alla ditta (OMISSIS) sulla base del rapporto di frequentazione dell'imputato con (OMISSIS), titolare del bar (OMISSIS), come riferito dal (OMISSIS). Vi e', dunque, piena corrispondenza tra il senso probatorio della dichiarazione, quale ricostruito in sentenza, e il contenuto complessivo della dichiarazione stessa. 10.4.4. Anche le censure difensive in merito alla motivazione con la quale la Corte di appello ha confermato il giudizio di colpevolezza in relazione al reato di estorsione di cui al capo D), in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari del bar Milano, per imporre loro l'acquisto di prodotti di pasticceria presso la (OMISSIS) di (OMISSIS) in cui lavorava (OMISSIS), cognato di, (OMISSIS), si sviluppano attraverso valutazioni di puro fatto perche' imperniate sul giudizio di attendibilita' delle dichiarazioni sottoposte ad attento scrutinio dalle sentenze di merito che hanno, altresi', ricostruito l'iter della dichiarazioni rese dai (OMISSIS) valorizzando, a comprova dell'attendibilita' sulle intimazioni ricevute, il contenuto delle intercettazioni. Solo a fronte di tali contestazioni i (OMISSIS) avevano ammesso di avere subito le pressioni del ricorrente che, con atteggiamento deciso e tale da non ammettere obiezioni o repliche, aveva imposto la propria fornitura, facendo, cosi', valere il proprio carisma mafioso con connotazioni della condotta correttamente sussunte nell'aggravante del metodo mafioso ritenute idonee, in concreto, a evocare, nei confronti delle persone offese, poi costituitesi parti civili, la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso. 10.4.5 E' generico il motivo di ricorso sub 6) che contesta la motivazione con o' la quale e' stato confermato il giudizio di colpevolezza di (OMISSIS) in relazione ai reati di tentata estorsione aggravata e detenzione porto di armi contestati ai capi H) ed I) in danno, rispettivamente, di (OMISSIS), titolare del bar (OMISSIS) e di (OMISSIS), titolare della pasticceria (OMISSIS), individuando nel ricorrente il mandate del danneggiamento, mediante esplosione di colpi d'ama da fuoco, delle vetrine dei negozi materialmente eseguito, e con la stessa arma, da (OMISSIS). In entrambi i casi, le vittime dei danneggiamenti, (OMISSIS) e (OMISSIS), riconducono alla fornitura dei prodotti il movente dei danneggiamenti. La (OMISSIS), in particolare, conversando con la figlia, non manca di ricondurre il danneggiamento alla visita di (OMISSIS) che, nei giorni precedenti, le aveva proposto l'acquisto di vassoi e altri prodotti, cioe' i prodotti commercializzati dal (OMISSIS), circostanza che la stessa aveva, invece, taciuto agli inquirenti. Contiguita' temporale e comuni modalita' sono stati, nella immediatezza, evidenziati anche da (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate e nelle quali fa velato riferimento all'acquisto di forniture: si tratta degli stessi elementi che, senza evidenti cadute logiche, anche i giudici del merito hanno valorizzato, unitamente alla identita' dell'esecutore materiale, per ricondurre ad unico mandante, (OMISSIS), i due episodi, conclusioni genericamente contestate dal ricorso che propone una inammissibile lettura frazionata e decontestualizzata delle conversazioni suggerendo la individuazione di una pista alternativa. 10.4.6. E' generico e manifestamente infondato il motivo di ricorso sub 7) che contesta la motivazione in punto di condanna per i reati di danneggiamento seguito da incendio e estorsione aggravata in danno del bar "(OMISSIS)" (capo L) sulla scorta delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), che, su mandato di (OMISSIS), era stato esecutore materiale di un atto intimidatorio (l'incendio del laboratorio del bar) e dalla persona offesa dal reato, (OMISSIS) che aveva descritto come, dopo l'atto intimidatorio, (OMISSIS) fosse tornato alla carica per la fornitura di prodotti di plastica, alfine commissionatagli. Non aveva mancato, (OMISSIS), poi costituitosi parte civile, di riferire che, nel frattempo si era diffusa, tra i commercianti di (OMISSIS), "la voce che se prendevi il materiale che (OMISSIS) ti proponeva non si andava incontro a incendi, o danneggiamenti di altra natura". Anche a questo riguardo, le valutazioni delle convergenti dichiarazioni di (OMISSIS) e del (OMISSIS) offrono una solida base indiziaria correttamente valorizzata e che rimanda immediatamente alla condotta estorsiva e alle aggravanti del metodo e dell'agevolazione mafiosa. 10.4.7 E' Manifestamente infondato il motivo di ricorso sub 8 che contesta la mancanza di motivazione in relazione all'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. per il reato sub capo R), il reato di tentata violenza privata in danno di (OMISSIS): la struttura della motivazione della sentenza impugnata e le argomentazioni svolte alle pagg. 208 e ss. esimevano dalla replica, per ciascuno dei reati sovrapponibili nella loro dinamica intimidatoria - sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. 10.4.8. E' aspecifica la censura del ricorrente sulla mancata esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione ai reati di cui ai capi S), reati in materia di armi, e T), minaccia aggravata, perche' trattasi di reati commessi in un contesto familiare il che', secondo la prospettazione del ricorrente, escluderebbe, come gia' opinato dal Tribunale del riesame che aveva escluso l'aggravante, la finalita' agevolativa dell'associazione. La Corte di appello, con argomentazioni prive di illogicita', ha ritenuto configurabile nelle modalita' della condotta per le sue particolari connotazioni (clandestinita'; uso di arma; aggressione all'abitazione personale della vittima e conseguente carica intimidatoria della condotta), il metodo mafioso con conseguente irrilevanza della finalita' agevolativa verso l'associazione, contestata con il ricorso. 10.4.9. Il motivo 9 del ricorso, in relazione ai reati di cui all'articolo 512-bis c.p. (capo HHH, relativo alla fittizia attribuzione di proprieta' delle ditte individuali (OMISSIS), (OMISSIS) s.r.l.s e (OMISSIS) s.r.l.s; DJ) fittizia attribuzione della titolarita' della societa' (OMISSIS) s.r.l.; KKK), articolo 648-ter.1 c.p., in relazione al reinvestimento di capitali illeciti nella societa' (OMISSIS) s.r.l.s.) e' complessivamente indeterminato, generico perche' articolato in fatto e manifestamente infondato. Le sentenze di merito hanno esaminato (cfr. la sintetica ricostruzione a pag. 209 della sentenza impugnata) la vicenda costitutiva delle ditte e delle societa' con attribuzione della titolarita' in capo a (OMISSIS), coniuge del ricorrente. Ma, come ben osservato, era riconducibile a (OMISSIS) solo la veste formale delle societa' poiche', invece, era proprio (OMISSIS) ad occuparsi della reale attivita' economica: ne sono buon esempio, secondo i giudici di merito, le condanne per i reati estorsivi e le condotte di danneggiamento che dimostrano la politica di espansione commerciale seguita di (OMISSIS) e il contenuto delle intercettazioni, sia di quelle con gli operai incaricati di consegne che quelle che ne comprovano l'ingerimento nelle operazioni di fatturazione: emblematica quella del 21 novembre 2018 in cui l'imputato e' pronto ad avvedersi di un errore nella fatturazione ad un panificio, piuttosto che al (OMISSIS). Ma di interesse, a questi fini, anche il contenuto di quella del 21 agosto 2015 nella quale il ricorrente comunicava a (OMISSIS) di essere soddisfatto di un affare appena concluso e contabilizzava in 27/28 locali quelli gia' acquisiti, quindi le conversazioni nel corso delle quali l'imputato rivendica il successo delle iniziative imprenditoriali che va allestendo. Il ricorrente contesta il giudizio di responsabilita' sul rilievo che, essendogli state revocate la misura di prevenzione e la misura di sicurezza della liberta' vigilata all'atto della lunga carcerazione subita, non temeva ulteriori iniziative giudiziarie a suo carico: ma, come gia', rilevato nella sentenza impugnata, si tratta di un rilievo manifestamente infondato. Il reato di cui all'articolo 512-bis c.p. sorretto dal dolo specifico, puo' essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilita' del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l'interessato possa fondatamente presumere l'avvio di detto procedimento (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, Delli Carri, Rv. 282645), evento che, osserva la Corte di appello, le condanne non solo per il reato di omicidio ma soprattutto per quello di cui all'articolo 416-bis c.p. rendevano tutt'altro che imprevedibile all'esito della scarcerazione dal momento che la lunga detenzione aveva solo escluso l'attualita' del giudizio di pericolosita' sociale. Era, viceversa, indispensabile per l'imputato l'occultamento di tutte le sue iniziative economiche che avrebbero, dopo la lunga detenzione, immediatamente creato sospetti, in mancanza dello svolgimento di lecita attivita' lavorativa, sulla provenienza delle somme investite. Le operazioni di intercettazioni telefoniche, eseguite nel periodo 6 ottobre 2015/19 maggio 2016, che sono effettivamente successive alla costituzione della societa' (OMISSIS) s.r.l.s. di cui era formalmente unico titolare (al 100% delle quote) (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) e amministratrice la moglie di questi comprovano l'operazione di ingresso, nel capitale della societa' del ricorrente e del fratello (OMISSIS), gestite attraverso (OMISSIS), direttamente con (OMISSIS). Si tratta di conversazioni che documentano proprio le operazioni di trasferimento di denaro finalizzate all'ingresso nel capitale sociale: di rilievo, in tal senso, quella del 16 ottobre 2015, nel corso della quale dopo alcune conversazioni in cui si discuteva espressamente della regolarizzazione cartolare della societa' e (OMISSIS) comunicava a (OMISSIS) l'avvenuta consegna del denaro a (OMISSIS). Un'operazione riconducibile anche all'odierno ricorrente che, in mancanza degli introiti che si era ripromesso di conseguire, e' autore diretto della minaccia (documentata dalla intercettazione del 19 maggio 2016) con la quale intimava a (OMISSIS) di fargli avere indietro i soldi perche' aveva un assegno in scadenza aggiungendo che, se fosse andato protestato, lo avrebbe distrutto e gli avrebbe sparato quattro colpi. Irrilevante, dunque, rispetto al thema probandum, la circostanza, riferita da (OMISSIS), che dal 2014 al 2015 la discoteca era "gestita" da (OMISSIS) e dal figlio (OMISSIS), tanto piu' che oggetto di queste iniziative economiche era la gestione di eventi "stagionali". La sentenza impugnata ha analizzato (cfr. pag. 211) specifiche evidenze di prova (il contenuto della conversazione del 22 febbraio 2017, intervenuta con (OMISSIS) ma anche altre conversazioni con clienti e con incaricati della consegna) attraverso le quali ha esaminato - strutturandone la configurabilita' rispetto alle condotte in esame - la ricorrenza del metodo mafioso che il ricorrente contesta con affermazioni indeterminate e meramente evocative del vizio di omessa motivazione. Per tale aspetto, si rinvia a quanto gia' precisato al punto 10.4.2 che precede. 10.4.10. Sono generiche e versate in fatto le censure difensive sulla sussistenza della prova della partecipazione del ricorrente al reato di cui al capo B). Il ricorrente contesta il giudizio di attendibilita' formulato sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) - che lo ha indicato come capo della "(OMISSIS)" anche in relazione ai traffici di stupefacenti pur evidenziandone il ruolo "defilato" che manteneva - e deduce che le conversazioni che lo vedono interessato come loquente non sono significative di un suo diretto inserimento nel traffico di droga e che non sono univocamente a lui riconducibili altri riferimenti, evincibili dalle conversazioni intercorse fra soggetti diversi anche quando evocano il nome di (OMISSIS), dal momento che non ne viene indicato il cognome. Quanto al (OMISSIS) vanno richiamate le osservazioni svolte al punto 4. del Considerato in diritto posta la precisazione che il contenuto delle sue dichiarazioni ha trovato riscontro significativo sia nella ricostruzione delle triangolazioni dei rapporti dell'imputato con gli altri ricorrenti, preposti alla gestione diretta del settore nel quale, effettivamente, il ricorrente non appare direttamente coinvolto (non viene, ad es. mai notato nei pressi dei covi) sia nel contenuto delle conversazioni e nella lettura sinottica e incrociata della conversazioni intercettate e dei messaggi che le hanno precedute e accompagnate. La Corte di appello (pag. 222) ha descritto l'operazione di acquisto di droga effettuata il 24 ottobre da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) recatisi a Palermo per perfezionare l'acquisto, preceduta dai contatti con i quali (OMISSIS) conveniva l'incontro con (OMISSIS) e accompagnata, durante il viaggio a Palermo e al rientro, da numerose conversazioni nelle quali (OMISSIS) si informava del viaggio e del suo esito. Uno schema che viene replicato, preceduto dalle chiamate di (OMISSIS) e seguito dalla visita a casa di (OMISSIS), in occasione di altro viaggio a Catania presso (OMISSIS), effettuato il 28 novembre 2014. Sulla scorta della significativita' di questi elementi ne risulta consolidata l'interpretazione dei giudici di appello secondo cui (OMISSIS) al quale, piu' volte i correi avevano fatto riferimento nel corso delle conversazioni, fosse proprio l'imputato e si tratta di conversazioni rilevanti per la inerenza dei riferimenti al traffico di droga. In tal senso e' stato valorizzato il riferimento di (OMISSIS) alla fine della carta nel corso della telefonata con (OMISSIS) del 19 marzo 2015; il riferimento al ricorrente ( (OMISSIS), nel corso della conversazione del 22 ottobre 2016 tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui (OMISSIS) contesta a (OMISSIS), rispetto al prezzo di vendita della droga, che proprio (OMISSIS) lo aveva autorizzato e che ora detta condizioni diverse; quella del 7 novembre 2016 in cui (OMISSIS) lamenta con (OMISSIS), entrambi erano gestori del covo di via (OMISSIS), che si stava esagerando e che la cosa doveva essere segnalata a (OMISSIS) che e' poi univocamente individuabile come il ricorrente nella conversazione (del 30 settembre 2016) quando i due ne evocano le gesta criminali consistite nell'aggressione degli operai della (OMISSIS). Non occorre aggiungere altro rispetto alle valutazioni con le quali, al punto 7.3 del Considerato in diritto, e' stata ritenuta correttamente esclusa dalla Corte di appello la configurabilita' nei fatti, cosi' come accertati, della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, disattendendo, cosi', il motivo di ricorso sub 12. 10.4.11. Sono ineccepibili le argomentazioni con le quali la Corte di appello ha respinto la richiesta di applicazione della continuazione esterna tra i fatti del presente procedimento e quelli oggetto delle sentenze del 17 marzo 2000 (relativa al reato di omicidio) e del 28 maggio 1999 con le quali il ricorrente era stato condannato per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. in relazione alla partecipazione alla (OMISSIS). La Corte di appello ha valorizzato il lungo iato temporale tra le risalenti condanne e i fatti odierni, inframmezzati dalla lunga detenzione durata diciannove anni, ed ha ritenuto che la "costante e mai interrotta partecipazione al fenomeno mafioso" cui fa riferimento il difensore non costituisca indice univoco e apprezzabile del medesimo disegno criminoso piuttosto che espressione di una personalita' delinquenziale, incline alla commissione di reati, tanto sul corretto presupposto che l'identita' del disegno criminoso comporta una unitaria deliberazione, sin dall'inizio, per conseguire un determinato fine. La Corte di appello ha richiamato un principio secondo cui ai fini della configurabilita' del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso non e' sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all'omogeneita' delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operativita' e sulla loro continuita' nel tempo, al fine di accertare l'unicita' del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralita' di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, Carpentieri, Rv. 271569). Alla stregua di tale principio non puo' essere valorizzata l'operativita' nel medesimo ambito territoriale ma vanno altresi' considerate le modifiche intervenute nel tempo quanto alla compagine sociale ed al programma delinquenziale, per effetto di circostanze contingenti ed occasionali, non preventivabili al momento dell'iniziale affiliazione del ricorrente e che, con riferimento ai fatti per i quali si procede, sono approdati all'ingerimento dell'imputato nel traffico di sostanze stupefacenti. Come si e' evidenziato al punto 3. del Considerato in diritto, la "(OMISSIS)" gelese alla quale aveva aderito l'imputato era stata coinvolta in una vera e propria guerra di mafia con "(OMISSIS)" e nel corso degli anni ne sono mutate compagini, progetti e finalita' di volta in volta perseguite e il ritorno sulla scena dell'imputato ha coinciso non solo con una riaggregazione dei vecchi esponenti ma con una "rinnovata" riorganizzazione di cui sono esempio l'immissione di nuove leve; lo sviluppo del traffico di sostanze stupefacenti e, soprattutto il "nuovo volto", versato nel settore imprenditoriale, che (OMISSIS) si e' dato inserendosi di prima mano nel settore produttivo: un programma delinquenziale concreto che nulla aveva a che fare con le modalita' della partecipazione del ricorrente alla vecchia "(OMISSIS)" alla quale si riferiscono le risalenti condanne e che trova ulteriore e insuperabile conferma sul rilievo che non e' provato che tale settore rientrasse nel focus della condotta di partecipazione del ricorrente alla vecchia "(OMISSIS)". E' superfluo aggiungere che e' irrilevante la circostanza che per il fratello altro giudice del merito abbia, invece, ritenuto sussistente la continuazione cd. esterna. 10.4.11. E' fondato, ma in concreto privo di rilevanza sulla determinazione della pena il terzo motivo di ricorso che concerne la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71, sulla cui condizione di applicabilita' la Corte di merito non si e' pronunciata. Premesso che, su piano ontologico, altra cosa, rispetto al giudizio di bilanciamento, e' la valutazione della sussistenza o meno di una circostanza aggravante, l'aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71, non potrebbe ritenersi correttamente applicata in carenza dell'esame del motivo di impugnazione con il quale il ricorrente ne contestava la sussistenza. Ma, come anticipato, si tratta di un motivo superato dalle modalita' della determinazione della pena poiche' la Corte di merito (cfr. pag. 269) ha escluso la gia' menzionata aggravante (irrilevanti, le ragioni corrette o meno di tale affermazione) e, correggendo il calcolo della pena, ha individuato in quella di anni 24 di reclusione la pena inflitta all'imputato e applicato l'aumento per la sola circostanza ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. oltre all'aumento per la continuazione fra reati di fatto. Tale aggravante va, pertanto, solo formalmente esclusa. 10.5. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A) nei confronti di (OMISSIS) per non avere commesso il fatto, con rideterminazione della pena come di seguito precisato. Il ricorso e' inammissibile nel resto. 10.5.1. E' manifestamente infondato il motivo di ricorso con il quale il ricorrente denuncia la nullita' della sentenza impugnata sul rilievo che, nel decreto di citazione notificatogli in appello, non compariva la indicazione del capo PP) che, per vero, e' omesso anche nella intestazione della sentenza impugnata. La nullita' del decreto di citazione al giudizio di appello e' integrata, per espressa previsione, solo dalla omessa indicazione degli atti rilevanti ai fini della vocatio in iudicium (articolo 601 c.p.p., comma 6 in rel. all'articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera f)). In ogni caso la carenza di tale indicazione non e' idonea ad integrare alcuna violazione dei diritti di difesa qualora l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato, rilevanti ai fini della decisione, possa essere desunta dal contenuto complessivo della motivazione come, nel caso in esame, evincibile dalla intestazione della sentenza di primo grado; dalla motivazione di tale sentenza e dal dispositivo di conferma della sentenza emesso dalla Corte di appello. 10.5.2. E' fondato il primo motivo di ricorso relativo ai cumulativi vizi di motivazione che inficiano la condanna del ricorrente per il reato associativo di cui al capo A) e che, in assenza di ulteriori elementi che ne denotino la partecipazione al sodalizio mafioso appare ricalcata su quella di partecipazione all'associazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti senza la individuazione di altri elementi che denotino la partecipazione dell'imputato anche alla "(OMISSIS)". 10.5.3. Il secondo motivo di ricorso e', invece, generico e manifestamente infondato. La Corte di appello (cfr. pag. 242 della sentenza impugnata) ha ricostruito a carico dell'imputato l'episodio del 7 luglio 2016, quando il ricorrente disabile e alla guida dell'autovettura munita di dispositivi atti a consentire la guida a portatori di handicap, sopraggiungeva in via (OMISSIS) dove il cugino e coimputato, (OMISSIS), scendeva dall'auto con la quale era a propria volta giunto sul posto e prelevava dall'auto del (OMISSIS) un sacco che veniva poi portato presso il covo dove, il giorno successivo, veniva sequestrato. Il sacco risultava contenere oltre dodici chilogrammi di hashish e una pistola, cal. 7,65, fatti, questi, oggetto delle contestazioni ascritte all'imputato ai capi NN) (la detenzione dello stupefacente), PP), relativo alla detenzione dell'arma avente matricola abrasa, QQ), relativamente al reato di ricettazione dell'arma clandestina. Nel covo veniva rinvenuta anche un'altra arma, la cui detenzione non e' ascritta al ricorrente. Sono state, inoltre, intercettate le conversazioni del ricorrente con (OMISSIS). Il convergente risultato di prova ha fondato le conclusioni della Corte di ritenere (OMISSIS) partecipe dell'associazione anche perche' il contenuto dei dialoghi intrattenuti dal ricorrente con (OMISSIS), in cui si faceva frequente riferimento alla vendita di una punto a favore di altro soggetto e di cui non sono stati trovati riscontri documentali, e' stato ritenuto univocamente riconducibile alla cessione della droga nella quale si era interposto l'odierno imputato, che l'aveva consegnata al (OMISSIS). Grava, infine, sull'imputato, il contenuto di una conversazione del 20 settembre 2016 nel corso della quale (OMISSIS) si rammaricava con il (OMISSIS) per la perdita di due pistole aggiungendo che, con quello che aveva fatto, voleva garantirsi una base economica, ma che gli era andata male. La sentenza impugnata ha evidenziato che, a prescindere dal riferimento alle due pistole trovate in via (OMISSIS), il ricorrente lamentasse l'esito negativo di tutta l'operazione nella quale era stato coinvolto, operazione il cui esito negativo (val bene ricordarlo) ritorna anche nelle conversazioni altri imputati, come (OMISSIS), che fa riferimento proprio alla impossibilita' di pagare il (OMISSIS) (e alla sua intenzione di addebitare a questi il costo dell'operazione) di quanto fornito, visto quanto successo. Le descritte evidenze - di cui il ricorrente fornisce una lettura alternativa, ma indimostrata sulla causale lecita dei suoi rapporti con (OMISSIS) - non rendono manifestamente illogica la conclusione della Corte sul coinvolgimento dello (OMISSIS) nell'operazione di fornitura della droga, funzionale, attraverso le descritte modalita' del trasporto con un'auto speciale, ad evitare i controlli di polizia ma ritenuta non occasionale sulla scorta degli ulteriori elementi che denotano i rapporti del ricorrente con il cugino, (OMISSIS) e con (OMISSIS). 10.5.4. Sono aspecifiche, e ricostruite come direttamente derivanti dalla mancanza di elementi significativi sul coinvolgimento dell'imputato nel gruppo associativo viceversa accertato, le censure di cui al motivo sub 3 che contestano la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. in relazione ai reati di cui ai capi B), NN), PP) e QQ). 10.5.5. Tendono ad una alternativa valutazione delle risultanze di merito i rilievi del ricorrente sul coinvolgimento nella detenzione della pistola rinvenuta proprio nel sacco consegnato presso il covo di via (OMISSIS), come innanzi ricostruita e sulla scorta della individuazione del ricorrente come la persona impegnata nella conversazione del 20 settembre 2016 con (OMISSIS), contestata in termini meramente assertivi, nonche' sulla configurabilita' del reato di cui all'articolo 648 c.p. in presenza di arma avente matricola abrasa poiche' il possesso di un'arma clandestina integra di per se' la prova del delitto di ricettazione (Sez. 1, n. 37016 del 28/05/2019, Spina, Rv. 276868). 10.5.6. L'annullamento della statuizione di condanna, in relazione al capo A) impone la rideterminazione della pena alla quale puo' procedere questa Corte elidendo, rispetto alla immutata pena base che, con giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ordinarie e aumento per quella ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e' stata determinata in anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione, l'aumento praticato per la continuazione con il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, quindi, la pena di mesi sei e giorni dieci di reclusione. La pena finale, con l'aumento per la continuazione dei residui reati e la diminuente del rito e' quella di anni sei, mesi uno e giorni ventitre' di reclusione. 10.6. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A) nei confronti di (OMISSIS) per non avere commesso il fatto, con rideterminazione della pena come di seguito precisato. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile nel resto. 10.6.1. E' fondato, alla stregua dei rilievi esposti al punto 8. del Considerato in diritto, il primo motivo di ricorso relativo alla denuncia del vizio di violazione di legge, per violazione del divieto di bis in idem, in relazione al reato associativo di cui al capo A) poiche' la condotta ascrittagli, in assenza di ulteriori elementi che ne denotino la partecipazione al sodalizio mafioso, appare ricalcata su quella di partecipazione all'associazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti. 10.6.2. E', invece, manifestamente infondato, oltre che aspecifico nella sua formulazione, il quarto motivo di ricorso in merito alla valutazione della prova della partecipazione del ricorrente al reato di cui al capo B): la Corte di appello esclusa la rilevanza della "mancata "conoscenza, da parte di (OMISSIS), delle attivita' dell'associazione in merito al traffico di stupefacenti ha, invece, valorizzato quale sintomatica del consapevole apporto dell'imputato al sodalizio criminoso dedito al traffico di droga e capeggiato da (OMISSIS) il contenuto della conversazione del 7 novembre 2016 (intercorsa tra il ricorrente e (OMISSIS)) nel corso della quale il (OMISSIS) segnala la necessita' di dire o, comunque, far sapere a " (OMISSIS)" che si stava esagerando, cosa che, alle insistenze del (OMISSIS), (OMISSIS) sosteneva avrebbe fatto nel pomeriggio e prospettando che, comunque, sarebbe stato opportuno "spostarsi o scendere", con evidenti riferimenti ad una diversa modalita' di organizzazione delle attivita' di conservazione della droga. A comprova della solidita' del rapporto del ricorrente con (OMISSIS) e rilevanza del ruolo del ricorrente, con argomentazioni privi di evidenti vizi logici, la sentenza impugnata ha altresi' valorizzato le numerose visite del ricorrente anche al covo di via (OMISSIS), luogo di custodia della droga e il contenuto di altra conversazione del 22 settembre 2016, intrattenuta con (OMISSIS) in cui i due conversanti discutono di guadagno che, ragionevolmente, la Corte ha ricondotto ai proventi delle attivita' illecite in cui i due erano coinvolti. Al di la' del denunciato tenore criptico del contenuto delle conversazioni sono eloquenti, nel descritto complessivo quadro probatorio che ne chiarisce i riferimenti, secondo le logiche conclusioni che ne trae la sentenza impugnata, le risultanze che comprovano la presenza del ricorrente nella base logistica; i suoi rapporti con (OMISSIS); i contatti con (OMISSIS) e il rapporto con (OMISSIS), descritto al punto che precede trattando la posizione del (OMISSIS) in occasione del trasporto del sacco (contenente droga e pistola nel covo di via (OMISSIS)), elementi che rinviano univocamente alla conoscenza dei sodali e a contatti funzionali ad allestire e organizzare, la base logistica in vista delle attivita' di cessione e, quindi, elementi che efficacemente denotano l'inserimento del ricorrente nel contesto associativo. 10.6.3. Logicamente ineccepibile e completa nella ricostruzione dei presupposti di atto, da qui la infondatezza del motivo di ricorso n. 5, la motivazione della sentenza impugnata sull'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., che residua anche dopo la esclusione della colpevolezza del ricorrente dal reato di cui al capo A), come illustrato al punto 7.2 del Considerato in diritto. 10.6.4. Non e' suscettibile di censura il mancato giudizio di prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche in relazione al negativo giudizio sulla personalita' del ricorrente evincibile dai suoi precedenti, motivazione, questa, adeguata a giustificare la scelta punitiva anche con riferimento all'aumento per la continuazione, in anni quattro e mesi due di reclusione, pienamente rapportato alla gravita' dei fatti. 10.6.5. L'annullamento della statuizione di condanna, in relazione al capo A) impone la rideterminazione della pena alla quale puo' procedere questa Corte elidendo, rispetto alla immutata pena base che, con giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ordinarie e aumento per quella ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e' stata determinata in anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione, l'aumento praticato per la continuazione con il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, quindi, la pena di mesi sei e giorni dieci di reclusione. La pena finale, con l'aumento per la continuazione dei residui reati e la diminuente del rito e' quella di anni undici e mesi dieci di reclusione. 10.7. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile perche' proposto per motivi generici sia per aspecificita', in quanto non si confrontano con la ricostruzione delle risultanze probatorie compiuta nella sentenza impugnata, sia perche' propone, di tali risultanze, una rivalutazione di merito, in assenza di evidenti illogicita' della motivazione della sentenza impugnata che alle pagg. 187 e ss. ha puntualmente esaminato tutte le deduzioni difensive. I giudici di appello, in risposta alle deduzioni difensive, hanno sviluppato un'argomentazione corretta da punto di vista giuridico esaminando l'aspetto del contributo partecipativo dell'imputato sia al reato associativo sub capo A) che di quello ascrittogli al capo B). Anche le ulteriori argomentazioni difensive svolte con la memoria ex articolo 611 c.p.p. replicano i medesimi vizi quando non sono indeducibili, come quella che concerne la richiesta di esclusione della parte civile F.A.I.- Antiracket (OMISSIS) Associazione (OMISSIS) che e' indimostrata limitandosi a evocare, ai fini della dedotta carenza di legittimazione, mere notizie di stampa. 10.7.1. In particolare, con riferimento al reato di cui al capo A), il primo motivo di ricorso si concentra sul giudizio di inattendibilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), aspetto sul quale, in aggiunta alle argomentazioni sviluppate al 4 del Considerato in diritto, va solo rilevato che la Corte di merito ha precisamente circoscritto la rilevanza del contributo dichiarativo del (OMISSIS) evitando di generalizzarne la valenza (al ruolo dell'imputato, per es.). Il ricorrente ha insistito sulla circostanza che le risultanze del sistema di videoripresa in atti avevano "smentito" le dichiarazioni del (OMISSIS) in merito all'aggressione di (OMISSIS), alla identificazione dell'attentatore ( (OMISSIS)) che si sarebbe trovato a bordo di una smart risultando, invece, la presenza di piu' persone e l'utilizzazione di una vettura diversa. Le specifiche valutazioni sul punto ad opera della Corte di merito, che non ha mancato di confrontarsi con tale contrasto, escludono che, con riferimento all'esercizio dei poteri discrezionali del giudice nella valutazione della prova, possa venire in rilievo il vizio di travisamento della prova, dedotto dal ricorrente, che e' nozione precisa riconducibile al senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed e' pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087). Significativamente, invece, quale prova della condotta di partecipazione al reato associativo sub capo A), la Corte di appello ha valorizzato a carico del ricorrente le iniziative intraprese dai correi per l'immediata ritorsione contro l'autore del suo ferimento, individuato in (OMISSIS) e univocamente ritenute espressive della solidarieta' che si instaura tra i componenti di un sodalizio, nel caso mafioso. 10.7.2. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla ritenuta sussistenza dell'aggravante armata di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4, e di quella di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, e' versato in fatto in quanto sollecita, al fin di escludere la sussistenza dell'aggravante, la rilettura di una conversazione intercettata (del 19 giugno 2016) sulla disponibilita' o meno di un'arma da parte dell'imputato in occasione dell'aggressione di (OMISSIS). Ma il motivo di ricorso e' anche manifestamente infondato poiche', come si e' anticipato al punto 6.1 del Considerato in diritto, l'aggravante armata non postula che l'arma sia nella specifica disponibilita' del singolo partecipe. Sull'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, si rinvia, invece, a quanto precisato nella parte generale (6.2 del Considerato in diritto) non essendo allegato elementi ulteriori dal ricorrente. 10.7.3. Il terzo e quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. Il ricorrente sostiene che e' stato ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo B) solo sulla scorta delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) . Tali dichiarazioni non sono state riscontrate e i giudici del merito non hanno esaminato le risultanze processuali (le intercettazioni telefoniche; il suo coinvolgimento in attivita' di spaccio; l'enorme iato temporale delle stesse intercettazioni) omettendo anche la valutazione dell'ordinanza cautelare intervenuta in altro procedimento (e poi annullata) che ne indicava la zona di spaccio nel quartiere (OMISSIS) e la circostanza, incompatibile con la sua condotta partecipativa, che in occasione del suo ferimento gli era stata sequestrata una somma di denaro, perche' sospetta di provenire da spaccio, poi restituitagli. Il ricorso prosegue con la indicazione di tutti gli elementi ostativi all'affermazione del suo coinvolgimento nell'attivita' di spaccio quali la mancata presenza intorno ai covi e il contenuto delle conversazioni che non ne denotano la condivisione dello spaccio ma, al piu', meri contatti con alcuni dei coimputati. Le modalita' di valutazione del compendio indiziario proposte nel ricorso non possono essere seguite perche' decontestualizzate e perche' non si confrontano con il tenore e contenuto della contestazione neppure con riferimento alla sua perimetrazione temporale che viene indicata come risalante all'anno 2012 e ricostruite sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) e sulle risultanze di operazioni di intercettazioni anche precedenti quelle disposte nel presente procedimento, dopo la scarcerazione di (OMISSIS). Le dichiarazioni del (OMISSIS), sul fatto che (OMISSIS) si rifornisse da (OMISSIS), un fornitore operante in Sicilia dal napoletano, suo territorio di provenienza, e in commercio anche con esponenti di "(OMISSIS)" per cessioni di droga, hanno trovato riscontro nel contenuto delle coeve intercettazioni (risalenti al 21 aprile 2012 a seguire) e nella circostanza che proprio in una di queste, (OMISSIS), contrattando l'acquisto di una partita di droga, dal (OMISSIS), facesse riferimento a tale (OMISSIS) (individuato in (OMISSIS)): un elemento correttamente valorizzato come sintomatico del fatto che il ricorrente non agisse per suo conto ma in rappresentanza della (OMISSIS). Non era stata quella ora indicata l'unica operazione conclusa dal ricorrente che, anche in occasione di altra operazione (del 23 aprile 2012) aveva fatto riferimento alla necessita' di rifornimento dei "carusi" e l'interesse dell'imputato (conversazione del 28 aprile 2012) a venire a conoscenza della tipologia di droga che (OMISSIS) aveva consegnato a "(OMISSIS)". Le conversazioni intercettate, che consentono anche di individuare pacificamente l' (OMISSIS) in (OMISSIS) (in quanto contattato direttamente dal (OMISSIS) per avere il numero di telefono del (OMISSIS)) si sono susseguite per alcuni mesi e sono emblematiche, secondo la logica inferenza che ne hanno tratto i giudici merito che ne hanno esaminato il contenuto in piu' occasioni riferito ad interessi di terzi soggetti anche contrapposti al (OMISSIS), ad interventi del ricorrente funzionali a reperire droga per la "(OMISSIS)" e non per la sua autonoma attivita' di pusher, un ruolo confermato dal (OMISSIS) (intercettazione del 19 maggio 2012) quando ricostruiva le sue attivita' di rifornimento a due famiglie e a due capi zona, parlando dei problemi di questa sua attivita' e indicando uno dei due in (OMISSIS) (che e' poi il nome di battesimo del ricorrente) e precisandone modalita' di incontro e conoscenza (in un carcere nel quale era detenuto lo zio di (OMISSIS), cioe' (OMISSIS)), riscontrate dalle indagini svolte. La Corte di merito ha esaminato anche le risultanze processuali, relative ai procedimenti richiamati dalla difesa, ma ne ha disatteso le conclusioni favorevoli al ricorrente sul rilievo che la restituzione della somma sequestrata il (OMISSIS), in occasione del controllo che aveva portato in effetti al sequestro di droga materialmente detenuta dal solo (OMISSIS), non aveva tenuto conto delle risultanze delle intercettazioni che, viceversa, comprovavano il contatto fra i due come finalizzato ad una cessione a favore dell'odierno ricorrente. Cosi' la ragione della disponibilita' della somma sequestrata al (OMISSIS) in occasione del ferimento, era stata oggetto di spiegazione alternativa, che il ricorrente si era peritato di formulare nel relativo procedimento, laddove le intercettazioni documentavano l'allestimento di "spiegazioni" che, non irragionevolmente, la Corte ha ritenuto false confermando, cosi', il sospetto della provenienza illecita. Ne' risultano manifestamente illogiche, sulla base di tali elementi processualmente acquisiti, le conclusioni della Corte di appello nella parte in cui hanno valorizzato i contatti telefonici e personali intercorsi con (OMISSIS), gestore di uno dei covi ove erano custoditi droga e armi. Sono manifestamente infondati, sulla scorta di quanto si e' illustrato ai punti 7.1 e 7.2 del Considerato in diritto, i motivi di ricorso sulla "apoditticita'" della motivazione della sentenza impugnata sulle aggravanti dell'associazione armata e di quella di cui all'articolo 461-bis.1. c.p. (motivo 3, in fine) vieppiu' alla luce del ruolo del ricorrente in entrambi i gruppi nonche' i motivi di ricorso - motivi 4 e 5-meramente assertivi, sulla configurabilita' nei fatti del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Le evidenze di prova non comprovano il ruolo di pusher ma, come si e' illustrato, quello di procacciatore di stupefacenti per conto della "(OMISSIS)" ne' che si versi in ipotesi di associazione esclusivamente finalizzata alla commissione di fatti lievi. 10.7.5. Manifestamente infondato il motivo che contesta la determinazione della pena in anni quindici di reclusione perche' non coincidente con il minimo edittale. La Corte di merito ha, infatti, "personalizzato" il giudizio proprio richiamando specifici indici attitudinali e criminologici dell'imputato evidenziandone il ruolo "centrale" calibrato sulla sua "serieta'" espressa in un settore centrale dell'associazione mafiosa quale quello di procurare la droga da immettere sul mercato. 10.7.6. Ineccepibili anche le argomentazioni con le quali la Corte di appello ha disatteso la richiesta di continuazione fra i fatti oggetto del presente giudizio e le precedenti condanne non ravvisando elementi significativi del medesimo disegno fra i vecchi fatti di spaccio e il reato associativo sul rilievo che la medesima indole dei reati non e' da se dimostrativa dell'unicita' e anteriorita' dell'ideazione che, invero, appare del tutto priva di una base ragionevole tenuto conto che, diversamente dai casi in cui tale unificazione viene riconosciuta, nel caso in esame occorrerebbe presumere che, gia' al momento in cui, da minore, cedeva droga, l'imputato si prefiggeva di far parte dell'associazione (OMISSIS) e di quella dedita allo spaccio, poi delineatasi nelle sue componenti soggettive e dinamiche associative, a enorme distanza dai fatti commessi dall'imputato. 10.8. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A) nei confronti di (OMISSIS), per non avere commesso il fatto in accoglimento del primo motivo di ricorso nel quale sono assorbiti il terzo, quarto e settimo motivo di ricorso, e rideterminazione della pena come di seguito precisato. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile nel resto. 10.9.1. E' manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso che denuncia la mancata risposta della Corte di appello in relazione alla richiesta di acquisizione di una prova decisiva, costituita dalla documentazione bancaria. Nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facolta' di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessita' ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, atteso che in sede di appello non puo' riconoscersi alle parti la titolarita' di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e piu' ampi rispetto a quelli che incidono su tale facolta' nel giudizio di primo grado. (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, Granato, Rv. 282585): ne' sono evincibili contraddizioni o carenze di motivazione tali che la stessa mancanza di motivazione si traduce in un vulnus del giudizio in tema di responsabilita' fondato su dati evincibili dalle intercettazioni che ne rivelano il fattivo contributo in una delle operazioni economiche di interesse del sodalizio. 10.8.2. E' fondato, alla stregua dei rilievi esposti al punto 8. del Considerato in diritto, il quarto motivo di ricorso relativo al vizio di violazione di legge derivante dalla violazione del divieto di bis in idem, in relazione al reato associativo di cui al capo A) poiche' la condotta ascrittagli, in assenza di ulteriori elementi che ne denotino la partecipazione al sodalizio mafioso, appare ricalcata su quella di partecipazione all'associazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso sull'aggravante di detto reato (motivo sub 5). 10.8.3. Lo stesso motivo, invece, e' manifestamente infondato, oltre che aspecifico nella sua formulazione, in merito alla prova della partecipazione del ricorrente al reato di cui al capo B). Le argomentazioni difensive sono volte ad un'alternativa ricostruzione e rivalutazione degli elementi di prova. La Corte di merito ha valorizzato la disponibilita' dell'imputato a rendersi titolare del conto corrente e una delle operazioni ricostruite (cfr. pag. 271 della sentenza impugnata) e' inequivocabilmente ricondotto all'operazione di acquisto di droga nelle operazioni intercorse con il (OMISSIS). Il 28 novembre 2014. Plurimi sono anche gli elementi valorizzati che inquadrano il ricorrente come persona di fiducia di (OMISSIS) (separatamente giudicato) uomo di vertice del clan con il quale il ricorrente e' impegnato in alcune conversazioni che ne documentano l'attivita' di capo della squadretta di picchiatori a disposizione dei fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (la Corte di merito richiama il contenuto, chiaro, delle conversazioni del 21 settembre 2015, 21 e 22 settembre 2015). 10.8.4. Sono ineccepibili, da qui la infondatezza del motivo di ricorso n. 6, le argomentazioni della sentenza impugnata sulla impossibilita' di configurare il reato associativo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, come precisato al punto 7.3 del Considerato in diritto e sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. che residua anche dopo la esclusione della colpevolezza del ricorrente dal reato di cui al capo A), come illustrato al punto 7.2 del Considerato in diritto. 10.8.5. L'annullamento della statuizione di condanna, in relazione al capo A) impone la rideterminazione della pena alla quale puo' procedere questa Corte elidendo, rispetto alla immutata pena base che, con giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ordinarie e aumento per quella ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e' stata determinata in anni tredici e mesi quattro, l'aumento praticato per la continuazione con il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, quindi, la pena di mesi sei e giorni dieci di reclusione. La pena finale, con l'aumento per la continuazione dei residui reati e la diminuente del rito e' quella di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. 10.9. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A) nei confronti di (OMISSIS) per non avere commesso il fatto, con rideterminazione della pena come di seguito precisato. Il ricorso e', nel resto, inammissibile. La posizione del ricorrente, in relazione al reato sub capo A) e' stata esaminata al punto 8 del Considerato in diritto, a cui si rinvia, in accoglimento del primo motivo di ricorso. Restano, pertanto, assorbiti i motivi sub 2,3 e 4. 10.9.1 Il motivo di ricorso sub 5), relativo alla condanna per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e' generico e manifestamente infondato. La sentenza di appello, che rinvia alle comuni posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), ne ha evidenziato il ruolo emerso in occasione dell'episodio di ritorsione verso (OMISSIS), a seguito dell'aggressione a (OMISSIS), cugino del ricorrente che, come precisa la sentenza impugnata (pag. 239) rientrava nella sfera di controllo del cugino. Il rapporto di parentela con la vittima del ferimento, tenuto conto dei sodali che concorrono alla organizzazione della e' stata correttamente ritenuta espressive della solidarieta' che si instaura tra i componenti del sodalizio e dell'attivita' che in esso il ricorrente svolgeva. A pag. 96 i giudici di appello nel illustrano l'inserimento nel settore dello spaccio documentato sia dall'inserimento dell'imputato nell'indagine, denominata (OMISSIS), che nelle intercettazioni del periodo 15 maggio/26 giugno 2016, elemento che si salda al contributo dichiarativo di (OMISSIS), che lo ha indicato come partecipe. 10.9.2. Ineccepibile, da qui la infondatezza del motivo di ricorso n. 6, la motivazione della sentenza impugnata sulla impossibilita' di configurare il reato associativo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, evocata dal ricorrente ma non configurabile in relazione ad una organizzazione che, come quella in esame, si occupava del rifornimento su piu' piazze e movimentava i quantitativi caduti in sequestro in occasione delle perquisizioni dei covi. 10.9.3. Non e' suscettibile di censura il mancato giudizio di prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche in relazione al negativo giudizio sulla personalita' del ricorrente evincibile dai suoi precedenti, motivazione, questa, adeguata a giustificar e la scelta sanzionatoria. 10.9.4. L'annullamento della statuizione di condanna, in relazione al capo A) impone la rideterminazione della pena alla quale puo' procedere questa Corte elidendo, rispetto alla immutata pena base che, con giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ordinarie e aumento per quella ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e' stato determinato in tredici e mesi quattro, l'aumento praticato per la continuazione con il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, quindi, la pena di mesi sei di reclusione. La pena finale, con l'aumento per la continuazione dei residui reati e la diminuente del rito e' quella di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. 10.10. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione al reato di cui al capo A) nei confronti di (OMISSIS) per non avere commesso il fatto, con rideterminazione della pena, come di seguito precisato. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile nel resto. 10.10.1. E' fondato, alla stregua dei rilievi esposti al punto 8. del Considerato in diritto, il quinto motivo di ricorso relativo al vizio di violazione di legge derivante dalla violazione del divieto di bis in idem, in relazione al reato associativo di cui al capo A) poiche' la condotta ascrittagli, in assenza di ulteriori elementi che ne denotino la partecipazione al sodalizio mafioso, appare ricalcata su quella di partecipazione all'associazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso sull'aggravante di detto reato. Lo stesso motivo, invece, e' manifestamente infondato, oltre che aspecifico nella sua formulazione, in merito alla prova della partecipazione del ricorrente al reato di cui al capo B): la Corte esclusa la rilevanza della "mancata "conoscenza, da parte di (OMISSIS), delle attivita' dell'associazione in merito al traffico di stupefacenti ha, invece, valorizzato quale sintomatica del consapevole apporto dell'imputato al sodalizio criminoso capeggiato da (OMISSIS) e dedito al traffico di droga il contenuto della conversazione del 22 ottobre 2016 (intercorsa tra il ricorrente e (OMISSIS)) spiegando come il contenuto della conversazione non fosse espressivo di una presa di distanza da (OMISSIS) ma fosse relativo ad una discussione sul prezzo al quale l'imputato avrebbe dovuto attenersi nella vendita, "regola" che ne denota la piena conoscenza della dinamiche interne al gruppo e, pertanto, espressiva della sua partecipazione. Il ricorrente propone una lettura alternativa del contenuto della conversazione intercettata che la Corte di merito ha ricostruito adeguatamente offrendone una spiegazione logica e in linea con il suo tenore letterale. 10.10.2. Sono ineccepibili, da qui la infondatezza del motivo di ricorso n. 6, le argomentazioni della sentenza impugnata sulla impossibilita' di configurare il reato associativo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, come precisato al punto 7.3 del Considerato in diritto e sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. che residua anche dopo la esclusione della colpevolezza del ricorrente dal reato di cui al capo A), come illustrato al punto 7.2 del Considerato in diritto. 10.10.3. Non e' suscettibile di censura il mancato giudizio di prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche in relazione al negativo giudizio sulla personalita' del ricorrente evincibile dai suoi precedenti, motivazione, questa, logica e concludente ai fini della motivazione della scelta punitiva. 10.10.4. L'annullamento della statuizione di condanna, in relazione al capo A) impone la rideterminazione della pena alla quale puo' procedere questa Corte elidendo, rispetto alla immutata pena base che, con giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti ordinarie e aumento per quella ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. e' stata determinata anni tredici e mesi quattro di reclusione, l'aumento praticato per la continuazione con il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, quindi, la pena di mesi sei e giorni dieci di reclusione. La pena finale, con l'aumento per la continuazione dei residui reati e la diminuente del rito e' quella di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. 10.11. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile perche' proposto per motivi generici e manifestamente infondati. Il primo motivo di ricorso, per contestare il giudizio di responsabilita' del reato associativo sub capo A), propone una inammissibile rilettura delle conversazioni intercettate, di contenuto chiaro anche quando in dialetto gelese - afferma la sentenza impugnata - e di cui viene proposta una lettura ineccepibile, dal punto di vista logico, nella ricostruzione degli episodi, e della loro valenza, ai fini della ritenuta condotta partecipativa quale quello che registra il coinvolgimento nell'aggressione e ferimento di (OMISSIS), per ritorsione e vendetta a seguito di quello di (OMISSIS). A questo riguardo la Corte di appello (pag. 281 e ss. della sentenza impugnata) ha valorizzato il contenuto delle conversazioni intercettate il 24 e 27 aprile 2016 (questa omessa nella ricostruzione difensiva) leggendole in sequenza temporale e con preciso riferimento al contenuto (che e', dunque chiaro), valorizzandone a capacita' dimostrativa ai fini della prova del reato associativo poiche' il contenuto delle conversazioni non va limitato al coinvolgimento del ricorrente nel procacciamento dell'auto (documentato dalla conversazione del 24 aprile) ma anche al condiviso progetto ritorsivo in danno del (OMISSIS) quale emerge dalla "rivendicazione" che, in chiave polemica con l'atteggiamento di (OMISSIS) (che dice di armarsi e partire, rimanendo fuori dalle operazioni) l'odierno ricorrente ha fatto nella conversazione del 27 aprile 2016: Ne' depotenzia la valenza del suo impegno a favore del gruppo la circostanza che nell'anno 2016 si fosse ormai consumato il rapporto personale con (OMISSIS). I giudici di appello hanno, infatti, rilevato come a partire dal 22 agosto 2015 non fossero stati piu' registrati contatti telefonici (prima addirittura frenetici e interrotti, si precisa in sentenza, per questioni di donne e tradimenti), una interruzione che "spiega" le ragioni di acrimonia verso (OMISSIS), registrate anche in occasione della vicenda (OMISSIS) per la quale (OMISSIS) contestava a (OMISSIS) il mancato intervento a favore del nipote, ma non anche quelli di solidarieta' mafiosa di cui e' emblematica la vicenda del ferimento del (OMISSIS) e del suo coinvolgimento nella "punizione" ritorsiva. Emblematica della rilevanza di tale vicenda per l'associazione ed il vincolo di solidarieta' mafiosa che collegava gli imputati, la circostanza che (OMISSIS) assicurasse la sorveglianza al degente e i contatti personali con (OMISSIS) intrattenuti dal ricorrente anche dopo il ferimento ma anche i timori connessi alla collaborazione dei (OMISSIS) (le cui dichiarazioni, secondo il ricorrente, avevano determinato le perquisizioni che avevano comportato il sequestro di una somma a casa dello stesso (OMISSIS)). Sostiene il ricorrente che la Corte ha equivocato le dichiarazioni di (OMISSIS) che, in contrapposizione ad altri soggetti indicati come "(OMISSIS)", si era limitato a indicarlo come una persona che "camminava" con gli (OMISSIS). L'espressione non e' di per se' significativa della portata che il ricorrente vi collega. Come si e' detto, la Corte di merito ha ricostruito l'evoluzione del rapporto dell'imputato con (OMISSIS) passato da un intenso rapporto di frequentazione, risalente agli anni 2014 e 2105, alle condotte estorsive subite dallo (OMISSIS) (al (OMISSIS), capo H, reato commesso il (OMISSIS), ascritto a (OMISSIS)) e dal fratello, (OMISSIS) (si tratta del reato di tentata violenza privata ascritto a (OMISSIS) al capo R), commesso a dicembre 2018). Una evoluzione, riconducibile all'equilibrio dei poteri a proprio favore imposto da (OMISSIS) e che non smentisce la comune affiliazione del ricorrente alla "(OMISSIS)" perlomeno negli anni dal 2014 al 2016, periodo a cui si riferisce la vicenda (OMISSIS), le conversazioni intercettate e in parallelo con il coinvolgimento dello (OMISSIS) nella gestione del parcheggio della discoteca (OMISSIS). Emblematico il commento al riguardo di (OMISSIS) che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, a chi gli faceva notare la gelosia o invidia dello (OMISSIS), rispondeva che questi aveva potuto aprire il (OMISSIS). 10.10.1. Anche il secondo motivo di ricorso, che si dilunga nell'analisi delle conversazioni irrilevanti ai fini della prova del reato di partecipazione all'associazione dedita allo spaccio, e' generico e manifestamente infondato. Gia' la Corte di appello (pag. 285 della sentenza impugnata) ha indicato il ricorso dell'imputato come un chiaro esempio di impugnazione generica perche' concentrato sulla tesi degli acquisti per uso personale che lo (OMISSIS) avrebbe fatto e sul contenuto equivoco dei riferimenti nelle conversazioni intercettate a prodotti alimentari aveva, invece, trascurato che il compendio probatorio valorizzato fin dalla sentenza di primo grado ne delineava a i rapporti con i fornitori di droga del clan, (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'anno 2012, sull'asse (OMISSIS), nel quale erano inseriti anche (OMISSIS) e (OMISSIS); nel periodo successivo, anno 2014, sull'asse (OMISSIS), con forniture assicurate da (OMISSIS) Traina, operazioni nelle quali veniva parimenti registrato il coinvolgimento di (OMISSIS) e dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) e, sempre nell'anno 2014, con forniture da Catania, attraverso (OMISSIS), compagno di detenzione di (OMISSIS) e per conto del quale, come emissario, agiva il cugino, (OMISSIS). Sempre all'anno 2014 risalivano i contatti del ricorrente per forniture di cocaina da (OMISSIS) e di acquisti, attraverso il canale ragusano, da (OMISSIS) e da (OMISSIS), operante sulla piazza di Niscemi: le correlative complesse operazioni sono state esaminate nella sentenza di primo grado (che ha dedicato un corposo capitolo alla ricostruzione delle attivita' in materia di stupefacenti) ma che sono state sintetizzate, trattando la posizione dei singoli imputati che rispondono del reato associativo, anche nella sentenza di appello (alle pagg. 280 e ss). Come si e' detto esaminando la posizione di (OMISSIS), la Corte di appello ha valorizzato il contenuto di risalenti intercettazioni (effettuate fin dall'anno 2012) dalle quali emergeva il ruolo del ricorrente nelle trattative per la fornitura di droga agli "(OMISSIS)": inequivoco, secondo la sentenza impugnata il contenuto della trattativa sul prezzo della droga evincibile dalla conversazione intercettata il 2 aprile 2012 nel corso della quale (OMISSIS) si dice preoccupato della situazione conflittuale che sembrava delinearsi tra la "(OMISSIS)" (equiparata agli scissionisti napoletani) e "(OMISSIS)" e le conversazioni del 13 aprile 2012 nel corso delle quali, prima parlando con il ricorrente poi con altro interlocutore, (OMISSIS) lamenta il ritardo nei pagamenti. Dalle conversazioni del 24 ottobre 2014 emergono, invece, i contatti del ricorrente con (OMISSIS) in un contesto nel quale chiaramente (OMISSIS), che si trovava in auto con (OMISSIS), indicava lo scopo del viaggio in quello di prendere dell'hashish con una operazione che era preceduta da scambio di messaggi e incontri con (OMISSIS) e seguita direttamente da (OMISSIS) che si informava dei movimenti del ricorrente. (OMISSIS) viene chiaramente indicato da (OMISSIS) come suo emissario nei contatti con (OMISSIS) (conversazione del 12 novembre 2014) e la sentenza impugnata ricostruisce almeno tre viaggi del ricorrente a Catania per fornirsi di droga (oltre a quello del 22 novembre il viaggio del 27 novembre e 12 dicembre): anche in relazione a tali viaggi la sentenza impugnata descrive i contatti preliminari con il fornitore, gestiti da (OMISSIS); il viaggio, giustificato, in termini criptici, da operazioni del tutto inconferenti con la finalita' effettiva e il cui raggiungimento era comprovato da conversazioni successive che indicavano la natura della merce trattata (in occasione del viaggio del 12 dicembre e' proprio ricorrente ad affermare che e' in possesso di un tipo di sostanza, indicata come "pongo" cioe' un tipo di hashish, di provenienza marocchina molto morbido e facilmente modellabile), operazioni che, evidenzia la sentenza impugnata, venivano seguite dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS). In parallelo, ma con modalita' sovrapponibili che registravano, in alcune operazioni, la presenza di (OMISSIS) e (OMISSIS), i viaggi a Catania, presso (OMISSIS), per procurarsi sostanza stupefacente tipo cocaina. Si tratta delle conversazioni del 22 dicembre 2014, 18 gennaio e 25 gennaio 2015 che registrano in alcune occasioni anche la presenza di (OMISSIS), operazioni proseguite anche nei mesi estivi del 2016 e nell'autunno 2016. Nell'estate e autunno del 2015 (conversazioni del 23 agosto 2015; 19 settembre e 18 novembre 2015) sono intercettate le conversazioni intercorse con (OMISSIS) il cui oggetto e' sempre relativo a questioni di droga con relativi rifornimenti e pagamenti e rilevanti perche' dal loro contenuto (al netto di quelle relative agli appuntamenti e modalita' di contatti) rileva per il riferimento a peso, qualita' e prezzo della droga (particolarmente significativa, in questo senso la conversazione del 23 agosto 2015 illustrata a pag. 295 della sentenza impugnata di inequivoco contenuto). Non meno chiari i contatti del ricorrente, intercettati nell'anno 2017, con (OMISSIS), uno dei personaggi centrali nell'organizzazione dello spaccio a (OMISSIS) e piu' volte arrestato per spaccio di droga. Un compendio probatorio che rende del tutto priva di fondamento la richiesta di sussumere i fatti nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Pienamente sussistenti, invece, le aggravanti dell'associazione armata e di quella di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. alla luce delle descritte evidenze di prova e delle coordinate in diritto, tracciate ai punti 7.2 e 7.3 del Considerato in diritto. 10.11.2. Sono generiche le argomentazioni difensive svolte con il motivo n. 4 in relazione ai reati in materia di stupefacenti contestati ai capi BB), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, riferito all'acquisto da (OMISSIS) di un non meglio precisato quantitativo di cocaina, in Catania e (OMISSIS) il 6 dicembre 2016; DD), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in relazione all'acquisto di un non meglio precisato quantitativi di cocaina da (OMISSIS) reato commesso in (OMISSIS); FF) Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, accertato in (OMISSIS); GG) Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in concorso con (OMISSIS), per la detenzione illecita di un non meglio precisato quantitativo di droga al fine di cessione, condotta accertata in (OMISSIS) il 24 novembre 2014. La ricostruzione dei fatti (alle pagg. 296 e ss. della sentenza impugnata) e' stata sviluppata secondo una modalita' che individua, per ciascun reato, il contenuto delle correlative intercettazioni telefoniche o ambientali, di cui il ricorrente contesta la chiarezza e decifrabilita' del significato con argomentazioni che si rivelano generiche e che, premessa per ciascuna, la perfetta ricostruzione del contenuto (oggetto di pressoche' riproduzione testuale nella sentenza impugnata) sono, in realta', volte ad una alternativa ricostruzione del contenuto. Cosi', con riferimento al capo BB) la sentenza impugnata (pag. 292) riporta la conversazione, intercettata in ambientale tra il ricorrente e (OMISSIS) nel corso della quale si riferisce ad un pezzo che sembra "neve" e ne decanta la qualita' precisando di averla ricevuta, il giorno primo da (OMISSIS); quanto al capo DD) la sentenza impugnata ripercorre il contenuto delle conversazioni intercorse il 6 e 7 maggio 2016 con (OMISSIS) sull'appuntamento convenuto e modalita' di prelievo dell' (OMISSIS) attraverso i "carusi"; i contatti con (OMISSIS) e il riferimento a consegne di the e fattura che sono immediatamente evocativi di uno scambio il cui tenore non puo' che rinviare alla merce di cui il 6 ottobre 2014 l'imputato si interessava e, cioe' cocaina di cui l'imputato doveva liberarsi prima di un controllo (questo con riferimento al capo FF). I motivi di ricorso, con riferimento agli ulteriori reati sub capi GG), 3)), MM) sono apodittici e si limitano ad una generica censura di vizio di motivazione della sentenza impugnata. Il descritto contesto di acquisto e consistenza giustifica la conclusione della Corte di appello di non poter sussumere i fatti nella fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 ma anche la mancata esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sub specie di agevolazione dell'associazione mafiosa nella quale, come precisato, era parte integrante il ricorrente. 10.11.4 Il ricorrente censura l'affermazione di responsabilita' in relazione al reato sub capo V) per illecita detenzione di armi non meglio identificate, condotta accertata in epoca antecedente al 8 novembre 2015: anche con riguardo a tale motivo di ricorso la censura difensiva si risolve in una inammissibile richiesta di lettura alternativa della conversazioni intercettate (quella del 25 luglio 2016 che va posta in relazione ad una pregressa conversazione con (OMISSIS)) di cui la sentenza impugnata ha fornito una valutazione logica e coerente con il contenuto delle conversazioni stesse. 10.11. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. I motivi di ricorso che contestano il giudizio di responsabilita' in ordine al reato sub capo B) sono generici e consistono nella mera riproduzione dei motivi di appello che la Corte di merito, in linea con le valutazioni compiute nella sentenza di primo grado, ha compiutamente esaminato facendo corretta applicazione delle coordinate ermeneutiche (descritte al punto 7.1 del Considerato in diritto) ai fini della configurabilita' del consapevole contributo partecipativo del ricorrente al reato associativo. In particolare, non hanno fondamento le censure che contestano la "cripticita'" delle conversazioni intercettate e la erronea valutazione della "presenza", asseritamente saltuaria, del ricorrente nella base logistica di via (OMISSIS), genericamente contestate allegando la interpretazione "illogica e fuorviante" delle conversazioni che lo coinvolgono. La Corte di merito (pag. 304 e ss.) ha evidenziato come il ricorrente abbia fatto riferimento solo ad alcune delle conversazioni intercettate (quelle del 18 febbraio 2017 e 8 aprile 2017) isolandole pero' dall'intero compendio intercettativo che ha consentito di ricostruire la partecipazione del ricorrente al viaggio a (OMISSIS), collegato all'acquisto di droga, partecipazione emersa non solo dal contenuto della conversazione intercettata il 1 dicembre 2015 - e che denota la partecipazione anche di altri soggetti smentendo, cosi', la tesi difensiva che il ricorrente si rapportava solo con (OMISSIS), suo datore di lavoro - ma anche quella del 3 dicembre 2015 - in ambientale, presenti oltre al ricorrente (OMISSIS) e (OMISSIS)- in cui e' chiaro l'oggetto dell'acquisto (sette pani di hashish) convenuto con l'interlocutore e da quella del 19 marzo 2016 da cui risulta che il ricorrente accettava la richiesta dello (OMISSIS) di mettersi addosso la droga per occultarla. Il ricorrente propone, di tale conversazione, una lettura "depotenziata" evadendo, pero' il significato che l'incombente sottendeva. Le intercettazioni comprendono numerose conversazioni (a partire dal 27 settembre 2016) affatto riconducibili alla "mera frequentazione fra congiunti", con (OMISSIS), suo cugino, o a frequentazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS), riconducibili all'acquisto di droga per uso personale. Appare corretta l'affermazione della Corte di merito secondo la quale il ricorso al linguaggio criptico, immediatamente chiaro ai loquenti, denota il carattere illecito dell'oggetto delle conversazioni che devono essere correlate le une alle altre e con gli altri elementi acquisiti per inferirne il contenuto che, per quanto concerne i frequenti rapporti e contatti fra il ricorrente e i sodali dell'associazione, (OMISSIS) e (OMISSIS), non appare sovrapponibile a lecite attivita' occultando, viceversa, la gestione di affari illeciti. Ne' tale contenuto rimanda a operazioni di acquisto di droga da parte del ricorrente quanto piuttosto al suo coinvolgimento nelle operazioni di procacciamento della droga, consegna ai correi e, in altre circostanze, cessione a terzi, attivita' stabilmente svolte e, pertanto, funzionali al raggiungimento delle finalita' dell'associazione con la piena consapevolezza da parte dell'imputato di concorrere alla realizzazione delle finalita' del gruppo stesso. 11. Alla inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, liquidata come in dispositivo, a favore della Cassa delle Ammende. Segue alla conferma della sentenza, la condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili Confederazione generale italiana del lavoro e Confederazione generale Camera del Lavoro della provincia di Caltanissetta che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge; la condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile FAI antiracket (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge; la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge. Compensa per il resto le spese nei confronti delle parti civili, tenuto conto del parziale esito assolutorio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione alla aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71, aggravante che elimina. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con riferimento al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7 come contestato al capo W) relativamente al reato di detenzione di arma comune da sparo, reato da ritenersi assorbito in quello di detenzione di arma clandestina di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 23, commi 1 e 3, di cui al capo TT) e riqualifica la detenzione delle munizioni ai sensi dell'articolo 697 c.p. aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. con rinvio per rideterminazione della pena per tale ultimo reato, come ritenuto, ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) riqualificato il reato di cui al capo KKK) come reato p. e p. dall'articolo 648-bis c.p. Rigetta nel resto il suo ricorso. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto e, per l'effetto, elimina la pena di mesi sei di reclusione e, con la diminuente del rito, determina la pena finale in anni sei, mesi uno e giorni ventitre' di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto e, per l'effetto, elimina la pena di mesi sei di reclusione e, con la diminuente del rito, determina la pena finale in anni undici e mesi dieci di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto e, per l'effetto, elimina la pena di mesi sei di reclusione e, con la diminuente del rito, determina la pena finale in anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto e, per l'effetto, elimina la pena di mesi sei di reclusione e, con la diminuente del rito, determina la pena finale in anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto e, per l'effetto, elimina la pena di mesi sei di reclusione e, con la diminuente del rito, determina la pena finale in anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili CGIL Confederazione Generale Italiana del Lavoro e CGIL Confederazione generale - Camera Del Lavoro della Provincia di Caltanissetta che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge. Condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile F.A.I Antiracket (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge. Condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3686 oltre accessori di legge. Compensa per il resto le spese nei confronti delle parti civili.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. PACILLI G. Anna R. - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24/10/2022 del Tribunale di Rovereto; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Dr. Di Giovine Ombretta; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Pirrelli Francesca Romana, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Rovereto dichiarava inammissibile l'appello presentato avverso la sentenza del 06/10/2022, depositata nella stessa data, con cui il Tribunale, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato per il delitto di evasione. 2. Avverso tale ordinanza presenta ricorso, nell'interesse dell'imputato, l'avvocato (OMISSIS), deducendo un unico motivo con cui, premesso che l'appello dell'imputato e' stato dichiarato inammissibile perche' erroneamente trasmesso, tramite PEC, direttamente alla cancelleria della Corte di appello di Trento (in data 21/10/2022), si rileva come la medesima cancelleria abbia tuttavia provveduto (in data 24/10/2022) a trasmettere l'atto al giudice competente, identificato in quello di primo grado, e che tale invio avrebbe sanato l'errore, sulla scia di quanto ritenuto da una giurisprudenza di legittimita'. Si rileva, inoltre, che andrebbe comunque salvaguardato il diritto di difesa dell'imputato, il cui atto di appello dimostra, secondo i principi generali, la volonta' di impugnare la sentenza. 3. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 24 (recante "Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19"), convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha consentito il "deposito con valore legale dell'atto di impugnazione mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al Decreto Ministeriale Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44", precisando che tale deposito deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici (comma 4). Il medesimo articolo ha ulteriormente specificato (comma 6-sexies, lettera e) che l'impugnazione e' - tra le altre ipotesi - inammissibile "quando l'atto e' trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato" dal Direttore Generale dei Sistemi Informativi e Automatizzati (DGSIA). 3. Nel caso oggetto del presente giudizio il ricorrente ha inviato l'atto di impugnazione ad un indirizzo PEC (quello della Corte di appello) diverso da quello prescritto dal provvedimento del DGSIA (quello del giudice di primo grado). Come risulta dal ricorso, la cancelleria della Corte d'appello ha, peraltro, trasmesso la PEC in data 24/10/2022, e cioe' dopo la scadenza del termine utile per l'impugnazione che, trattandosi di motivazione contestuale (articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera a), era di quindici giorni dal deposito della sentenza, avvenuto in data 06/10/2022. Cio' rende vieppiu' inconferente la giurisprudenza citata nel ricorso, la quale, oltre a riferirsi alla diversa situazione della richiesta di differimento dell'udienza, riguarda il caso in cui l'atto inviato al diverso indirizzo - PEC sia comunque pervenuto, tempestivamente, all'ufficio competente (sez. 6, n. 28679 del 12/04/2021, Venuti, non mass.). 4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile (Sez. 6, n. 46119 del 09/11/2021, M., Rv. 282346; Sez. 3, n. 26009 del 29/04/2021, F., Rv. 281734; Sez. 1, n. 9887 del 26/01/2021, Giambra, Rv. 280738). 5. Alla declaratoria di inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. PACILLI G. Anna R. - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/05/2022 del Corte d'appello di Bologna; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Dr. Di Giovine Ombretta; udita la requisitoria dei Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Venegoni Andrea, il quale conclude chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udita l'avvocato (OMISSIS), la quale conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Bologna aveva condannato (OMISSIS) a quattro anni e quattro mesi di reclusione per plurime condotte di peculato (articolo 314 c.p.), in quanto, in qualita' di Capogruppo consiliare del Partito Democratico presso l'Assemblea legislativa regionale dell'Emilia Romagna nel corso della IX Legislatura, iniziata nel maggio 2010, poiche', avendo in ragione dell'ufficio il possesso o comunque la disponibilita' del denaro attribuito al predetto gruppo per le finalita' previste dalla Legge Regionale n. 32 del 1997, articoli 1 e 6 della, trattandosi di denaro assegnato al gruppo con Delib. dell'ufficio di Presidenza e reso disponibile mediante pagamento di rate bimestrali anticipate sul conto corrente intestato al gruppo, si appropriava della somma complessiva di Euro 23.413,59, giustificava come spese inerenti l'attivita' consiliare iniziative di genere diverso, quali costi sostenuti per la partecipazione ad attivita' di partito anche fuori dell'ambito regionale ovvero spese esclusivamente personali o comunque spese sostenute per scopi diversi da quelli previsti dalla Legge Regionale n. 32 del 1997. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, assolvendo l'imputato, perche' il fatto non sussiste, in relazione ai rimborsi relativi ad alcune spese. Ritenuta la continuazione tra i reati di cui al presente procedimento e quelli oggetto di altra sentenza irrevocabile (Tribunale di Bologna del 22/01/2020) e considerati piu' gravi quelli del presente procedimento, rideterminava la pena in complessivi anni quattro e mesi cinque di reclusione. 2. Contro tale ultima sentenza presenta ricorso (OMISSIS) che, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), articola i seguenti dodici motivi di ricorso, tutti inerenti al capo a) di imputazione. 2.1. Errata applicazione della legge penale ed errata individuazione delle regole probatorie per la valutazione della legittimita' penale dei rimborsi regionali; inversione dell'onere della prova; confusione tra responsabilita' penale responsabilita' contabile; inosservanza della presunzione di non colpevolezza. Precisato che a (OMISSIS) era stata originariamente ascritta l'appropriazione di Euro 940.849,15, importo ridotto, all'esito del giudizio di primo grado a 23.413,59 e quindi, con la sentenza di appello, a Euro 22.832,50, i giudici del merito hanno attribuito rilievo al fatto che l'imputato, omettendo di rendere l'interrogatorio all'esito delle indagini preliminari e restando assente nel corso del processo, non ha fornito giustificazione alle spese di cui all'imputazione. In tal modo, tuttavia, hanno realizzato un'evidente inversione dell'onere probatorio, pur negata in astratto. La Corte di appello, in particolare - cosi' come, prima, il Tribunale -, pur in presenza di impegni istituzionali in capo a (OMISSIS), avrebbe ritenuto che essi siano stati vanificati, in ragione dei seguenti elementi: rilevanza ed eccessivita' delle stesse; condivisione, in alcuni casi, nella stanza di albergo con una compagnia femminile; presenza alle cene di un commensale che si presume non avesse rilievo istituzionale (e che coincidesse la suddetta presenza femminile). L'eccessivita' o la finalita' non esclusivamente istituzionale della spesa sono stati utilizzati, dunque, erroneamente, quali criteri di prova della interversione del possesso. L'eccessivita' delle spese e', tuttavia, criterio affatto indifferente rispetto alla finalita' istituzionale o personale della stessa. Pertanto, puo' assumere rilievo sotto il profilo contabile ma non sotto quello penale. Ne' tale dato, appunto neutro, acquista significato in ragione delle presenze femminili in alcuni soggiorni alberghieri e/o, come si presume, alle cene. La confusione tra responsabilita' penale e responsabilita' contabile sarebbe evidente in relazione alle spese alberghiere, di ristorazione e ai rimborsi chilometrici, come quando la Corte d'appello imputa a titolo di peculato a (OMISSIS): il pernottamento presso l'albergo Novotel di Bologna (21/22 maggio 2011), ritenendo che tale pernottamento non fosse legato ad eventi istituzionali, ma avesse la funzione di rendere piu' comodo il raggiungimento del luogo ove trascorrere la notte, stante l'ora tarda del rientro di (OMISSIS) in citta', dopo una cena privata per due persone; il pernottamento presso (OMISSIS) di Bologna ((OMISSIS)), con (OMISSIS), dopo una cena per due persone, presumendo che alla cena abbia partecipato la stessa (OMISSIS) e trascurando la possibilita' che quest'ultima abbia invece raggiunto l'imputato dopo che questi aveva consumato la cena con altra persona per ragioni istituzionali; il pernottamento presso (OMISSIS) ((OMISSIS)); la trasferta a Venezia ((OMISSIS)), dove il carattere non istituzionale del viaggio e' stato desunto, in mancanza di spiegazioni alternative, dalla eccessivita' delle spese alberghiere e di ristorazione e dalla presenza di (OMISSIS), e cosi' via. Considerazioni analoghe valgono per le spese di ristorazione, le cui richieste di rimborso erano generiche per ragioni di riservatezza, in forza delle indicazioni degli uffici regionali. La Legge Regionale n. 32 del 2007, all'epoca vigente, consentiva peraltro di autocertificare le finalita' istituzionali delle richieste di rimborso, sicche', laddove la normativa regionale non detta regole stringenti sulla giustificazione delle spese, spetta all'accusa dimostrare che tali spese non siano state sostenute per finalita' istituzionale, e non all'indagato giustificarle. Quanto ai rimborsi chilometrici, la Corte di appello inverte l'onere della prova, quando attribuisce rilievo alle risultanze del telepass, sia in positivo (presenza del ricorrente in un determinato luogo incompatibile con le trasferte portate al rimborso), sia in negativo (mancata conferma della trasferta desunta dalle risultanze del telepass installato sull'autovettura indicata alla Regione e autorizzata agli spostamenti rimborsati). I giudici non considerano, infatti, che il ricorrente ben potrebbe aver usato un mezzo diverso da quello su cui era installato il telepass (ad esempio l'auto della sua compagna convivente, (OMISSIS)) e che contemporaneamente altri potrebbe aver usato l'auto con il telepass, essendo irrilevante anche il fatto che il ricorrente fosse autorizzato ad usare per i tragitti rimborsabili soltanto il veicolo comunicato alla Regione su cui era intestato il telepass. Ancora, la Corte inverte l'onere quando attribuisce rilievo a biglietti ferroviari concomitanti con i rimborsi chilometrici, ritenuti indicatore univoco della falsita' delle richieste di rimborso. E' ben possibile, infatti, che (OMISSIS) non fosse riuscito a prendere il treno e avesse scelto, dunque, di viaggiare in auto perdendo il valore del biglietto ferroviario. D'altra parte, il rimborso del biglietto ferroviario non fruito determinerebbe solo una responsabilita' contabile, non penale. Inverte l'onere probatorio la' dove attribuisce rilievo alla mancanza di spese di ristorazione concomitanti alle trasferte, essendo anche qui possibile che le spese non siano state sostenute o che siano state sostenute da altro commensale o che non se ne sia potuto chiedere il rimborso per qualunque ragione. In conclusione, si richiama l'insegnamento di legittimita' ove si esclude che la responsabilita' penale possa essere il precipitato del danno erariale (Sez. 6 del 02/03/2021, n. 40595, Bernardini). 2.2. Erronea applicazione della legge penale (articolo 314 c.p.) e processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) nella parte in cui si ritiene che le presenze femminili annullerebbero la finalita' istituzionale, facendo prevalere quella personale; manifesta illogicita' della motivazione. Erroneamente i giudici di merito ritengono che le presenze femminili nelle stanze d'albergo in concomitanza con impegni istituzionali dell'imputato, vanificherebbero, rendendole irrilevanti e trasformandole in personali, le finalita' istituzionali di tali impegni, con riferimento ai quali sono stati utilizzati i fondi regionali, posto che, come confermato dall'insegnamento di legittimita', la mera commistione di interessi non e' di per se' suscettibile di obliterare il fine istituzionale (Sez. 6, n. 36496 del 30/09/2020, Vasta, non mass.; Sez. 6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 278217). Inoltre, trascurano di considerare che, anche dal punto di vista contabile, la commistione di interessi determina una responsabilita' erariale solo parziale e cioe' limitata alla parte di impiego imputabile all'interesse privato. D'altronde, proprio in ragione della irrilevanza penale delle spese ambivalenti, la sentenza di primo grado ha assolto altro imputato (consigliere (OMISSIS)) o ha ritenuto illecita la spesa nella sola misura attribuibile alla presenza non giustificata dell'ospite. Nemmeno risulta accertata, in presenza di produzione documentale contraria, la maggior spesa derivante dall'uso doppio delle strutture. 2.3. Erroneita' dell'attribuzione di rilievo indiziario alle presenze femminili nelle camere d'albergo; erronea applicazione della legge penale (articolo 314 c.p.) e della legge processuale penale (articolo 192 c.p.p.); manifesta illogicita' della motivazione. La sentenza di secondo grado attribuisce rilievo determinante alle presenze femminili in albergo, ritenendo ingiustificate tutte le spese (alberghiere, di ristorazione e di viaggio), in ragione di un generalizzato modus operandi improntato all'illecito. Cosi' argomentando, tuttavia, si ritiene, errando, che la commistione di interessi (finalita' istituzionale e finalita' personale) connoti in termini di esclusiva funzionalita' privata la spesa; si entra in contraddizione con l'assoluzione disposta nei confronti di altri imputati in primo grado in analoga situazione; si tralascia di considerare che (OMISSIS) era membro della segreteria del Presidente del Gruppo Consiliare PD, (OMISSIS) era collaboratrice del Gruppo Consiliare SEL, e che la loro presenza agli impegni istituzionali era, dunque, del tutto giustificata. D'altronde, nulla sarebbe stato contestato a (OMISSIS) se, invece di ospitare le due donne nella sua stanza, avesse prenotato loro una stanza doppia ad uso singolo. Quanto poi a (OMISSIS), si tratta della compagna di (OMISSIS), sicche', in relazione ai pernottamenti con la stessa, avrebbe dovuto essere applicato il criterio di maggior favore riservato dal Tribunale ad altri imputati in situazioni in cui, peraltro, le spese di ristorazione erano in numero assolutamente maggiore. Il ricorrente ribadisce, in ultima analisi, come il tema delle presenze femminili abbia condizionato il percorso logico della sentenza anche in relazione ad episodi che non vedevano simili ospitalita' alberghiere. 2.4. Erronea applicazione di legge penale (articolo 314 c.p.) di legge processuale penale (articolo 192 c.p.p.); manifesta illogicita' della motivazione in relazione alle spese di ristorazione per due persone concomitanti alle presenze femminili nelle camere di albergo. La Corte di appello ritiene che le spese di ristorazione per due persone concomitanti alle presenze femminili in albergo non sarebbero giustificate, presumendo la presenza ai pranzi e alle cene della stessa compagnia femminile cui e' stata offerta ospitalita' alberghiera, in relazione a 9 episodi. Tuttavia, in tal modo, la Corte di secondo grado avrebbe violato l'articolo 192 c.p.p., comma 2, trattandosi di elementi privi dei connotati di gravita' e precisione, che quindi non avrebbero potuto essere valutati. Anche su questo punto la sentenza entra in contraddizione con quanto statuito in primo grado rispetto alle posizioni di altri imputati. 2.5. Errata attribuzione di rilievo indiziario all'inesistenza di impegni politico/istituzionali risultante da fonti aperte; inosservanza di legge penale processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'articolo 314 c.p.; manifesta illogicita' della motivazione. Come risulta dalla sentenza di primo grado, i giudici hanno attribuito rilievo probatorio all'inesistenza, in concomitanza alle spese di cui all'imputazione, di impegni politico-istituzionali risultanti da fonti aperte (ricerca in Internet consultate dalla polizia giudiziaria) unitamente ad altri elementi, quali la rilevanza dell'esborso e, talora, la presenza femminile nella stanza d'albergo. L'attribuzione a tale elemento di rilievo indiziario, sia pure unitamente ad altri elementi, non osserva l'articolo 192 c.p.p., comma 2, ed e' manifestamente illogico, trattandosi di elemento incerto laddove l'indizio deve essere connotato da certezza nella sua obiettivita'. Tale incertezza e' peraltro emersa dibattimento, dove e' il risultato che, in vari casi, gli accertamenti della polizia giudiziaria su fonti aperte non hanno rilevato impegni istituzionali invece esistenti, come d'altra parte ovvio, potendo le spese riferirsi anche a pranzi e cene di lavoro con esponenti politici non necessariamente tracciate. Sicche', in tali casi, sarebbe spettato all'accusa provare le finalita' personali, come evidenziato a piu' riprese dal Tribunale di Bologna. D'altronde, i giudici di merito hanno ignorato il fatto che, quanto alle trasferte pranzi e cene romani, il teste (OMISSIS) ha ricordato di aver incontrato piu' volte (OMISSIS) a Roma per ragioni istituzionali. Da tale presunzione (la mancanza di impegni istituzionali) si inferisce altra presunzione (sulla finalizzazione personale della spesa), in violazione delle regole sul ragionamento probatorio. La decisivita' della questione si desume, tra l'altro, dal fatto che analoghe considerazioni sono state poste dal giudice di primo grado alla base della decisione assolutoria nei confronti di altri coimputati. 2.6. Inosservanza di legge penale processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'articolo 314 c.p. con riferimento al soggiorno a Venezia del 03/05/2011; manifesta illogicita' della motivazione. Secondo i giudici di merito la trasferta di (OMISSIS) a Venezia tra il (OMISSIS) avrebbe avuto una finalita' esclusivamente personale, come desunto da: la suggestiva cornice in cui si colloca il soggiorno; il fatto che l'imputato abbia condiviso con (OMISSIS) una stanza di albergo di categoria superiore; la circostanza che l'imputato abbia cenato con un'altra persona e dunque presumibilmente con (OMISSIS); il fatto che la cerimonia "Lo sposalizio del mare" che in quei giorni si svolgeva a Venezia certamente non era un evento di partito politico. In tal modo, tuttavia, la motivazione incorre in un vizio di manifesta illogicita', considerato che l'eccessivita' dispendiosita' della spesa alberghiera costituisce, semmai, un criterio di attribuzione della responsabilita' erariale non di quella penale. La circostanza che l'imputato fosse accompagnato da (OMISSIS) non annulla la finalita' istituzionale della trasferta ma, al limite, la connota in chiave ambivalente, considerato che, oltretutto, (OMISSIS) non era estranea all'attivita' politica del gruppo PD, facendo viceversa parte dello staff di (OMISSIS). Il fatto, poi, che il soggiorno sia avvenuto nella suggestiva cornice di Venezia in un fine-settimana di giugno, di per se', costituisce elemento neutro, privo di valenza indiziaria. Neppure la concomitanza della cerimonia "Lo sposalizio del mare" assume rilievo probatorio, omettendo i giudici di considerare la circostanza, notoria, che tale cerimonia e' tra le piu' antiche e importanti che si celebrano a Venezia e che, dunque, vi partecipano diverse personalita' politiche. In particolare, la sentenza trascura che, nel 2011, sindaco di Venezia era (OMISSIS), di talche' (OMISSIS) ben potrebbe aver partecipato a tale evento perche' invitato nella sua qualita' di capogruppo del gruppo consiliare PD del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna. 2.7. Inosservanza di legge penale processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'articolo 314 c.p., con riferimento alla cena al ristorante di Sinigallia del 22/08/2010; manifesta illogicita' della motivazione. Secondo i giudici di merito, (OMISSIS), la sera del (OMISSIS), di ritorno da una vacanza in Puglia, avrebbe cenato a Senigallia con una persona ignota ma che i giudici ritengono non essere una figura istituzionale, desumendo tale circostanza dal fatto che la cena si e' tenuta al di fuori del territorio della Emilia-Romagna e dalla eccessivita' della spesa. In tal modo i giudici avrebbero, tuttavia, fatto erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, posto che la circostanza che il ristorante e' collocato fuori dei confini della Emilia-Romagna non toglie che la cena possa essere stata consumata come figura istituzionale della regione Emilia-Romagna tanto piu' che le Marche sono confinanti con l'Emilia-Romagna e Sinigallia e' un luogo di villeggiatura vicino all'Emilia-Romagna, quindi frequentato da i suoi abitanti. Si ripropone una disparita' irragionevole di trattamento rispetto ad altri coimputati, e si aggiunge che i giudici non hanno attribuito rilevanza al fatto che in altri casi cene sono state tenute fuori regione e che, cio' nondimeno, e' stato dimostrato che esse avevano una finalita' istituzionale. Ne' la eccessivita' della spesa rappresenta un elemento rilevante ai fini della responsabilita' penale. 2.8. Inosservanza di legge penale processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'articolo 314 c.p. con riferimento al soggiorno all'(OMISSIS) di (OMISSIS); manifesta illogicita' della motivazione. Quanto specificamente al soggiorno all'(OMISSIS) di Milano del (OMISSIS), la Corte. d'appello attribuisce rilievo probatorio alla presenza di (OMISSIS), alla mancanza di impegni istituzionali risultanti da fonti aperte e alla dispendiosita' della struttura alberghiera. Anche in questo caso la presenza di (OMISSIS) non esclude pero' lo scopo istituzionale del soggiorno; le fonti aperte non consentono di documentare ogni impegno istituzionale; la dispendiosita' della struttura ha rilievo soltanto contabile e non penale. Inoltre, la motivazione trascura di considerare come, inizialmente, (OMISSIS) avesse prenotato l'albergo a Busto Arsizio, dove si teneva l'assemblea nazionale del PD, preferendo successivamente alloggiare a Milano che da Busto Arsizio dista soltanto mezz'ora; ha inoltre trascurato che lungo il viaggio di ritorno si e' tenuta nel parmense una cena per quattro persone cui potrebbero dunque aver partecipato, oltre a (OMISSIS) ed (OMISSIS), altre due figure istituzionali. 2.9. Inosservanza di legge penale processuale (articolo 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'articolo 314 c.p. con riferimento ai rimborsi chilometrici. In punto di asserita responsabilita' penale con riferimento ai rimborsi chilometrici, i giudici di merito attribuiscono rilievo probatorio alle risultanze delle rilevazioni del telepass installato sull'auto del ricorrente attribuendo, in alcuni casi, rilievo al fatto che tali rilevazioni fossero incompatibili con la presenza del ricorrente in localita' diverse, le cui spese per il cui viaggio sono state portate a rimborso. Tale circostanza assumerebbe rilievo perche': i consiglieri erano autorizzati a utilizzare per le trasferte soltanto il veicolo comunicato alla Regione su cui era intestato il telepass; non risulta portata a rimborso per la diversa trasferta effettuata alcuna spesa di ristorazione; (OMISSIS) non ha fornito una spiegazione alternativa degli esborsi. Tuttavia, le risultanze del telepass non consentono di collocare con certezza il ricorrente in (OMISSIS) (anziche' a Roma), non potendosi escludere che: l'automobile sia stata utilizzata dalla convivente (OMISSIS); (OMISSIS) abbia usato per la trasferta romana altra automobile (la circostanza che non abbia utilizzato quella indicata alla Regione avendo soltanto rilievo soltanto erariale); la mancata documentazione di spese di ristorazione concomitanti alla trasferta sia dipesa dal fatto che non ne stato chiesto il rimborso per qualunque ragione o che le spese non siano state sostenute o, ancora, siano state sostenute da altro commensale. Per contro, risultano svariate trasferte a Roma il cui effettivo svolgimento, secondo i giudici, sarebbe incompatibile con la presenza del ricorrente a Bologna in orari mattutini o centrali della giornata, attribuendosi rilievo ai tempi di percorrenza tra Bologna e Roma con la viabilita' ordinaria e alla mancata indicazione delle spese di ristorazione a Roma. Cio', nonostante il Tribunale avesse invece ritenuto compatibili gli spostamenti con la presenza di (OMISSIS) a Bologna nel medesimo range orario, con conseguente contraddittorieta' tra le due pronunce e della motivazione della sentenza di secondo grado. Ai rilievi gia' svolti sulla portata probatoria delle rilevazioni del telepass e sulla mancata documentazione delle spese di ristorazioni, il ricorrente aggiunge, quanto all'asserita incompatibilita' temporale, deduzioni relative alla manifesta illogicita' della motivazione, ritenendo che non puo' escludersi che (OMISSIS) abbia raggiunto Roma nel tardo pomeriggio per poi tornare a Bologna in tarda ora, come peraltro gia' accaduto in altre circostanze accertate nel corso del giudizio. Considerazioni analoghe a quelle gia' svolte in relazione all'inversione dell'onere probatorio sono proposte dal ricorrente con riguardo alle trasferte nelle localita' di (OMISSIS). Si eccepisce, inoltre, che il servizio di auto con conducente in ora centrale della giornata in Bologna non e' incompatibile con la trasferta romana del 05/09/2011, potendo darsi che (OMISSIS) avesse perso il treno o comunque deciso di viaggiare in macchina, il rimborso del biglietto ferroviario non fruito dando luogo a semplice responsabilita' contabile. Ancora, la Corte d'appello ritiene che le trasferte del (OMISSIS) non siano realmente avvenute in considerazione della loro vicinanza temporale (quattro in una settimana), essendo ragionevole supporre che (OMISSIS) si sarebbe fermato in albergo a Roma, oltre che in considerazione della mancanza di rilevamenti del telepass, della mancanza di spese di ristorazione e della mancanza di spiegazione alternativa da parte dell'imputato. La motivazione della sentenza risulta, tuttavia, manifestamente illogica, poiche' non considera la possibilita' che il ricorrente in quei giorni dovesse rientrare a Bologna per ragioni istituzionali o personali. Quanto ai rimborsi maggiorati liquidati per un numero di chilometri superiore a quello effettivo, in relazione a quattro trasferte, e' stato irragionevolmente escluso potesse essersi trattato di un errore, ancora una volta ragionando sulla base di categorie le quali evocano il tipo di autore. Quanto invece alla duplicazione dei rimborsi per altre sei trasferte, manca qualunque motivazione in ordine alla possibilita' che si sia trattato di un errore commesso dal collaboratore che si occupava delle pratiche. 2.10. Mancanza della motivazione in relazione alla sussistenza del dolo di peculato. Premesso che la Corte di appello ha fondato la condanna in rapporto a spese giudicate "eccessive" o "ambivalenti", la sentenza non spiega la ragione per cui si deve ritenere che (OMISSIS) abbia agito con il dolo di peculato (si richiamata, sul punto, Sez. 6, n. 20645 del 15.3.2022, Morgillo, non mass.). 2.11. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in rapporto alla commisurazione della pena base e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Nella valutazione dei giudici di merito, la presenza femminile varrebbe a delineare un comportamento complessivo, indicativo di disprezzo del denaro pubblico, e induce ad attribuire rilievo probatorio al dato della eccessivita' delle spese, altrimenti neutro. Tuttavia, la centralita' attribuita all'ospitalita' femminile nella motivazione delle sentenze ha distolto l'attenzione dall'effettiva gravita' della condotta nella sua oggettivita', la condotta di (OMISSIS) non essendo assimilabile a quella di chi si arricchisce spostando nel proprio patrimonio denaro pubblico. Nemmeno l'entita' economica complessiva dei fatti per cui e' intervenuta condanna (Euro 22.832,50) giustifica un trattamento sanzionatorio cosi' grave come quello inflitto al ricorrente, la motivazione risultando oltretutto illogica la' dove si reputa tale spesa complessiva "non esigua", salvo poi precisare che l'eccessivita' delle spese singolarmente considerate fosse prevalente rispetto all'ammontare complessivo delle stesse. Quanto all'assenza del ricorrente nei processi di primo e secondo grado, (OMISSIS), a partire dal 2014, a seguito dell'avvio delle indagini, si e' ritirato dalla vita politica ed accusa una forma molto grave di depressione. Ne' sarebbe vero che non ha mai tenuto un atteggiamento collaborativo, essendo stato proprio (OMISSIS) a consegnare alla polizia giudiziaria la documentazione relativa alle spese di cui all'imputazione su cui si e' basata la condanna. 2.12. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in rapporto alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione. La Corte di appello ha applicato un aumento complessivo di pena in relazione ai 55 episodi di peculato ulteriori rispetto a quello ritenuto piu' grave, nella misura di 11 mesi di reclusione, che corrisponde a sei giorni per ciascun episodio. Tale quantificazione e' tuttavia sprovvista di qualunque motivazione. La motivazione della sentenza e' inoltre manifestamente illogica la' dove determina l'aumento per la continuazione interna al capo a) dell'imputazione nella misura di sei giorni per ciascun episodio, quantificando cosi' l'aumento per la continuazione con i fatti di cui alla sentenza del Tribunale Bologna del 22 gennaio 2020 nella misura di complessivi due mesi di reclusione. In quest'ultimo caso, infatti, si tratta di 43 episodi ricompresi nelle due imputazioni elevate a carico del ricorrente, con la conseguenza che l'aumento per ciascun episodio e' risultato pari a poco piu' di un giorno di reclusione. In definitiva, si ritiene irragionevolmente sperequativo che l'aumento della continuazione interna al capo a) sia pari al quintuplo di quello applicato con riferimento agli episodi della citata sentenza (aumento di 11 mesi di reclusione in continuazione per i 55 episodi del capo a, a fronte dell'aumento di due mesi di reclusione per i 43 episodi di cui alla sentenza del Tribunale passata in giudicato). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Prima di entrare nella disamina dei motivi di ricorso, e' opportuno premettere, seppur in modo estremamente sintetico, non essendo stata la questione invero sollevata dal ricorrente, che la qualificazione giuridica dei fatti ascritti all'imputato in termini di peculato (articolo 314 c.p.) e' fuori discussione. 2.1. (OMISSIS), al tempo dei fatti, era Capogruppo consiliare presso l'Assemblea Legislativa Regionale dell'Emilia Romagna. Di conseguenza, in capo allo stesso, sussisteva la qualifica soggettiva pubblicistica, come chiarito dalla sentenza impugnata e confermato dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita' (Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi, non mass.) la quale, pur riconoscendo, sulla scia di Cass. Civ., Sez. U, n. 2357 del 31/10/2014, Rv. 632757, la duplice natura dei gruppi consiliari (privatistica quanto all'attivita' direttamente connessa all'attivita' partitica; pubblicistica quanto alle attivita' strettamente correlate al funzionamento dell'assemblea regionale), ricorda come i gruppi consiliari partecipino, quali strutture interne agli organi assembleari, all'esercizio della funzione legislativa pubblica e come la gestione dei fondi pubblici ad essi assegnati sia, per tale ragione, assoggettata alla giurisdizione della Corte dei conti (Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218; sentt. Corte costituzionale n. 1130 del 1988; n. 187 del 1990 e n. 107 del 2015), validando, sulla base di tali argomenti, la precedente giurisprudenza che ritiene consiglieri e capigruppo consiliari pubblici ufficiali (con specifico riferimento ai secondi, Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940; Sez. 6, 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). 2.2. Del pari, risulta integrato il presupposto della condotta di peculato, l'imputato avendo senz'altro il possesso/disponibilita' dei fondi. La normativa di riferimento all'epoca vigente (L. R. n. 32 del 1997, articoli 3, 5 e 6) attribuiva, infatti, al capogruppo poteri di riscossione e di utilizzo dei fondi (oltre al potere di autorizzare le spese dei consiglieri). In risposta ad un motivo aggiunto dedotto in appello (con cui si eccepiva la configurabilita', nella vicenda concreta, non gia' del peculato, bensi' dell'articolo 316-ter c.p. o dell'articolo 640 c.p., richiamandosi Sez. 6 del 02/03/2021, n. 40595, Bernardini), i giudici di secondo grado hanno anche avuto modo di precisare che a nulla rileva che le spese fossero successivamente sottoposte al vaglio dell'Ufficio di Presidenza e del Comitato tecnico di cui questo si avvale (Legge Regionale n. 32 del 1997, articoli 11 e 12), poiche' tale circostanza non esclude che (OMISSIS) avesse la disponibilita' originaria delle somme. Con parole diverse, cio' che occorre, ai fini del requisito in esame, e' la capacita' giuridica, svincolata da controlli preventivi, di utilizzare il denaro uti dominus (Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit.): condizione senza dubbio sussistente nel caso oggetto del presente giudizio, come dimostrato, tra l'altro, dal fatto che il ricorrente era titolare di carta di credito per l'utilizzo diretto dei fondi accreditati sul conto corrente del gruppo e che la quasi totalita' delle spese a lui imputate e' stata effettuata mediante l'utilizzo della carta in questione. 2.3. Infine, le condotte ascritte a (OMISSIS) configurano, senza dubbio e alla luce di quanto sara' di seguito precisato, una "appropriazione", per tale intendendosi non soltanto - come pur en passant suggerito nel ricorso - l'incameramento di somme nel proprio patrimonio "attivo", ma qualunque utilizzazione di denaro o di beni realizzata dall'agente uti dominus, quali le spese sostenute da finalita' esclusivamente privata o personale, secondo le ricostruzioni dei giudici di merito alle quali si fara' di seguito sintetico richiamo. 3. Cio' premesso sulla qualificazione giuridica dei fatti, i motivi da 1 a 9 sono inammissibili perche' versati in fatto. Pur eccependo formalmente l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, essi mirano a sollecitare una rivalutazione dei criteri di prova usati dal giudice di merito: rivalutazione preclusa a questa Corte, che e' giudice di mera legittimita', tanto piu' che la motivazione della sentenza impugnata - completa, coerente e, come tale, in questa sede insindacabile - come si dira', ha fatto corretta applicazione dei principi espressi nella giurisprudenza richiamata nel ricorso, come anche delle piu' recenti sentenze di legittimita' in tema di peculato. 3.1. Sul punto, va premesso che, rispetto all'originaria contestazione (che si riferiva all'appropriazione di Euro 940.849,15, importo comprensivo delle voci "consulenze" e "pubblicita'"), il quantum dell'appropriazione e' stato ridotto, come ricordato anche dal ricorrente, in primo grado, a Euro 23.413,59 e, ulteriormente, a Euro 22.832,50, in secondo grado. Si aggiunga che i giudici d'appello si mostrano consapevoli del fatto che la normativa di riferimento, all'epoca vigente, non consentiva di definire in modo stringente la conformita' al vincolo di destinazione delle spese, poiche' dettava criteri piuttosto laschi. Essi, inoltre, non si sono discostati dall'impostazione del Tribunale che, sulla scia delle sezioni riunite della Corte dei Conti (sent. n. 30 del 28/05/2014), aveva chiarito come i compiti svolti dai gruppi non si esaurissero nel contributo all'organizzazione e all'espletamento dei lavori consiliari, ma includessero tutte le attivita' esterne rispetto al Consiglio, di natura piu' propriamente politica, costituendo i gruppi "una sorta di interfaccia o cerniera tra i consigli regionali e la societa' e i cittadini", e da cio' derivando la conseguenza che quest'ultimo aspetto ampliava in modo considerevole la conformita' al vincolo di destinazione di molte spese. Tale conformita' e' stata, dunque, ravvisata con riferimento alle spese destinate allo svolgimento di attivita' politiche e di rappresentanza sul territorio. In altri termini, la Corte di appello specifica di essersi attenuta a valutazioni rigorose e prudenziali, escludendo la contestazione in rapporto a spese (alberghiere, di ristorazione, relative ai trasporti) che, nel dubbio, avrebbero potuto avere un qualche aggancio istituzionale, nell'ampio senso appena specificato. Quindi, sulla base di tale indirizzo, ha coerentemente attribuito rilevanza penale soltanto a spese accertate come non realmente sostenute, ma, cio' nondimeno, "portate a rimborso" dal ricorrente, e a spese effettivamente da questi sostenute, ma considerate senz'altro estranee alla sua attivita' istituzionale. 3.2. Quanto alla prima tipologia di spese (l'imputato ha, ad esempio, chiesto il rimborso dei biglietti del treno, nonostante il telepass rilevasse la sua contemporanea presenza in altro e, quantomeno in un caso, ha chiesto un rimborso per spese che non poteva aver sostenuto in quel luogo, perche' accertatamente in vacanza altrove), il ricorrente si limita ad opporre valutazioni soltanto congetturali (peraltro ipotizzando la convergenza inverosimile di eventualita' gia' in se' poco plausibili) a giudizi, per contro, fondati su prove documentali logicamente argomentati in entrambi i gradi di giudizio di merito, sicche' le deduzioni difensive risultano evidentemente destituite di fondamento. 3.3. Quanto alla seconda tipologia di spese (realmente sostenute ma considerate estranee alla finalita' istituzionale), dalla sentenza impugnata si desume una distinzione tra: esborsi effettuati in totale assenza di eventi/occasioni riconducibili a finalita' istituzionali (nel senso prima precisato), perche' non attestate da fonti aperte (internet) e non diversamente documentate dall'imputato, da una parte; esborsi astrattamente riconducibili ad eventi/occasioni istituzionali, e tuttavia ritenuti, in concreto, compiuti per scopi personali e privati, dall'altra parte. Prevalentemente - sebbene non soltanto - sulla seconda sub-tipologia si appuntano le deduzioni della difesa. Nel far cio', tuttavia, i motivi di ricorso appaiono, oltre che infondati, generici dal momento che propongono un'analisi decontestualizzante e atomistica dei diversi passaggi della motivazione, tralasciando di considerare come i giudici di merito abbiano argomentato puntualmente - spesa per spesa - il carattere privato e personale di tutti gli esborsi (anche di quelli appartenenti alla seconda sub-tipologia), sulla base di elementi si' indiziari, ma plurimi e convergenti, quali il fatto che tali esborsi fossero: relativi a soggiorni in localita' turistiche e/o in periodi peculiari (come durante i fine-settimana primaverili o in occasione di eventi particolari, quali la cerimonia "Lo sposalizio del mare" a Venezia); "eccessivi", concernendo alberghi di lusso e ristoranti molto costosi; in un caso, documentati in giustificativo con dicitura non corrispondente al vero (cena di gruppo invece che cena per due); effettuati per la fruizione, in albergo, di stanze doppie (ove (OMISSIS) si recava in compagnia di diverse donne) e cene per due (che, quindi, in modo non manifestamente illogico, sono reputate verosimilmente consumate con la persona che aveva condiviso la stanza con l'imputato, vieppiu' in assenza di contrarie allegazioni difensive); in un altro caso, relative alla fruizione, sempre in comprensenza femminile, di una stanza di un albergo di Bologna, citta' dove l'imputato viveva, in orario diurno; in un altro caso ancora, relative all'occupazione di stanza di albergo per due ore in orario pomeridiano, anch'essa con accertata comprensenza femminile, e cosi' via. Coerentemente i giudici di merito hanno, dunque, ritenuto provata - con valutazione, lo si ripete, non sindacabile in questa sede - la natura (non ancipite, bensi') inequivocabilmente privata e personale delle spese, quand'anche sostenute in concomitante presenza di eventi istituzionali, ai quali - peraltro - non e' stato accertato che l'imputato avesse partecipato (tra le altre, Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine Rv. 279418). Sicche', in definitiva, la motivazione della sentenza in oggetto appare sul punto in linea - e non in contrasto, come invece sostenuto nel ricorso - con i principi generali e con l'orientamento di questa Corte (Sez. 6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 278217, per cui, in tema di spese di rappresentanza, le spese ontologicamente incompatibili con le finalita' istituzionali dell'ente integrano di per se' una distrazione punibile, mentre le spese di natura ambivalente, astrattamente compatibili sia con dette finalita', sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente, integrano il reato solo ove la pubblica accusa dimostri che le stesse siano state effettuate non gia' in correlazione con eventi di promozione dell'ente, bensi' per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico). 3.4. Piu' in generale, nel caso oggetto del presente giudizio, il ragionamento giudiziario, pur essendo - come d'altronde spesso e' inevitabile.- per parte ipotetico, risulta sempre supportato da riscontri logici. Nella convergenza dei singoli elementi indiziari (es: cene costose per due persone "e" presenza femminile in albergo; occupazioni diurne o primo-pomeridiane di alberghi "e" compresenza femminile; soggiorni e cene per due "e" giustificativo non corrispondete al vero; rimborso chilometrico per trasferte irrealizzabili "e" accertata tramite telepass presenza dell'imputato altrove) oppure nella forza esplicativa di quelli isolatamente considerati (es: rimborsi chilometrici e dei biglietti del treno in periodi coincidenti oppure per trasferte di fatto non realizzabili nei tempi indicati; duplicazione di alcune spese, derivanti, in almeno quattro occasioni, dalla richiesta di un duplice rimborso per la medesima trasferta) risiede la differenza rispetto a situazioni, diversamente valutate da questo giudice, in cui - per contro - mancavano riscontri logici alla tesi accusatoria, perche', ad esempio, i giustificativi di spesa recavano diciture vaghe ma pur sempre riconducibili ad eventi istituzionali documentati (il ricorso richiama Sez. 6, n. 21166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067, cosi' massimata: "Non e' configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza del Comune, che non permettano di riferire gli esborsi a finalita' istituzionali dell'ente, gravando sull'accusa l'onere della prova dell'appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalita' privatistiche"). Ne discendono alcune sintetiche precisazioni, in risposta alle deduzioni difensive. 3.5. Nessuna inversione dell'onere probatorio e nessuna violazione del diritto di difesa inficiano il ragionamento dei giudici di secondo grado, ove rilevano la mancata allegazione, da parte della difesa, in sede di indagini o di dibattimento (come era nel suo indiscusso diritto), di elementi da cui desumere l'avvenuta destinazione istituzionale dei fondi, cosi' da contrastare un quadro, di suo, inequivocabilmente definito in senso contrario. La lettura congiunta dei singoli dati, in rapporto a ciascuna voce di spesa, esclude, inoltre, possa ritenersi pertinente l'affermazione, sovente reiterata nel ricorso e, in se', affatto condivisibile, sulla non coincidenza tra responsabilita' erariale e responsabilita' penale (Sez. 6 del 02/03/2021, n. 40595, Bernardini, anch'essa ripetutamente citata dalla difesa; tra le altre, vd. anche Sez. 6, n. 29887 del 27/03/2019, Martorano, Rv. 277408), posto che, nel caso di specie, i giudici non hanno certo attribuito rilievo al carattere "eccessivo" delle spese in se' considerato, bensi' alla funzionalizzazione delle spese a scopi esclusivamente privati, di cui la "eccessivita'" rappresenta uno tra i molteplici indici elencati. Lo stesso dicasi, infine, dell'argomento denominato nel ricorso delle presenze femminili che, lungi dal colorare in senso moralistico il ragionamento giudiziario, condizionandone - come sostenuto dalla difesa - l'esito in senso pregiudiziale, rappresenta soltanto uno degli elementi che, nel concorso con altri, fonda una valutazione completa, coerente e, per cosi' dire, necessariamente articolata e "contestualizzante" delle risultanze probatorie. 4. Manifestamente infondato appare, poi, il decimo motivo di ricorso, sull'elemento soggettivo, essendo il dolo del peculato generico e, dunque, integrato dalla mera coscienza e volonta' di usare somme pubbliche per finalita' motivatamente ritenute esclusivamente private. Una volta precisato che i giudici dell'appello hanno ritenuto che le spese compiute da (OMISSIS) esulavano dai fini istituzionali (cio' che rende non pertinente il richiamo compiuto nel ricorso ad un - peraltro fugace - passaggio di Sez. 6, n. 20645 del 15.3.2022, Morgillo, non mass.), diviene d'altronde arduo supporre la configurabilita' dell'errore (e quindi della colpa), in considerazione del ruolo ricoperto da (OMISSIS) su cui, in quanto Capogruppo consiliare, gravavano doveri informativi "rinforzati", oltre che per la serialita' delle condotte realizzate. 5. Quanto all'undicesimo motivo, sul trattamento sanzionatorio, nessuna illogicita' affligge la motivazione della sentenza in punto di commisurazione della pena e ove conferma la decisione del giudice di primo grado di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche, in ragione dell'ammontare complessivo delle spese e dell'atteggiamento dell'imputato, che - con valutazione insindacabile in Cassazione - i giudici di merito hanno ritenuto non collaborativo. 6. Del pari inammissibile risulta il dodicesimo e ultimo motivo di ricorso, relativo all'aumento di pena disposto per la continuazione - sei giorni per ciascun episodio di peculato - trattandosi di incremento contenuto che, come tale, non richiede l'adempimento di uno stringente onere motivazionale. Vero e', infatti, che, in base all'insegnamento di legittimita', in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. La Corte ha precisato, tuttavia, che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena e' correlato all'entita' degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). Ne' puo' assumere rilievo il confronto con il diverso aumento (poco piu' di un giorno per episodio) disposto in altro procedimento per fatti commessi dallo stesso imputato, la cui conoscenza esula dal presente giudizio, considerato, oltretutto, che siffatto aumento era stato disposto nell'ambito di una operazione di commisurazione della pena avvenuta a seguito di c.d. patteggiamento. 7. Alla declaratoria di inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASSANO Margherita - Presidente Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone - rel. Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/05/2020 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente Angelo Capozzi; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ettore Pedicini, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio essendo il reato estinto per prescrizione; uditi i difensori, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio essendo il reato estinto per prescrizione. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 luglio 2018 il Tribunale di Agrigento affermava la penale responsabilita' di (OMISSIS) in ordine al delitto di cui agli articoli 81 comma 2, 56 e 629 c.p. - perche', in qualita' di gestore subentrato nella conduzione di un esercizio commerciale, con atteggiamenti intimidatori minacciava di licenziamento i dipendenti qualora non avessero sottoscritto un contratto "a progetto" che, senza alcuna modifica dell'orario di lavoro, prevedeva una decurtazione dello stipendio e l'eliminazione delle mensilita' aggiuntive, nel tentativo, non riuscito, di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno - e, ritenuta la contestata recidiva, lo condannava alla pena di anni due, mesi dieci e giorni venti di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. 2. La sentenza del Tribunale di Agrigento era impugnata dall'imputato innanzi alla Corte di appello di Palermo con un atto di appello affidato a quattro motivi: - con il primo, chiedeva l'assoluzione sul rilievo che i dipendenti erano stati tutti licenziati dal precedente datore di lavoro, e che, pertanto, le nuove proposte di lavoro riguardavano un rapporto che doveva ancora sorgere, sicche' non potevano essere considerate come minacce tese a coartare la volonta' dei dipendenti; - con il secondo, si doleva del diniego delle circostanze attenuanti generiche; - con il terzo, censurava l'omessa esclusione della recidiva; - con il quarto, infine, lamentava l'eccessivita' della pena inflitta. 3. All'udienza del 15 maggio 2020 veniva presentata l'istanza di concordato, mediante la quale l'imputato rinunciava ai motivi riguardanti la responsabilita' e l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, insisteva sull'accoglimento del motivo in ordine alla insussistenza della recidiva, indicando la pena finale in anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 400 di multa con il consenso espresso dal Procuratore generale. La Corte territoriale emetteva, quindi, sentenza (corredata da contestuale motivazione) in conformita' all'accordo e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, escludeva l'aumento per la recidiva (frutto di erronea annotazione nel certificato penale del precedente considerato a tal fine) e rideterminava la pena inflitta all'imputato nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa. 4. Avverso la sentenza di appello l'imputato (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, articolando le censure in due motivi. 4.1. Con il primo motivo, proposto per violazione di legge in relazione all'articolo 599-bis c.p.p., censura la sentenza per l'omessa declaratoria di esclusione della circostanza aggravante della recidiva, riguardante doglianza non rinunciata nella proposta di concordato. 4.2. Con il secondo motivo, proposto per violazione di legge in relazione agli articoli 161 c.p. e 129 c.p.p., censura l'omessa declaratoria di prescrizione del reato. Il giudice di appello, avendo sostanzialmente escluso la predetta recidiva reiterata e specifica, ha omesso di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, il cui maturato termine e' il 31 gennaio 2016. 5. La Seconda Sezione, investita del ricorso, ha emesso l'ordinanza n. 17439 del 14 aprile 2022 (depositata il 3 maggio 2022) con la quale ha sollecitato l'intervento delle Sezioni Unite registrando un contrasto giurisprudenziale. Un orientamento ammette la ricorribilita' della sentenza di appello, emessa ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., per dedurre la prescrizione del reato maturata anteriormente alla detta sentenza e non oggetto di specifica rinunzia, in base ai principi espressi da Sez. U, n. 18953 del 25/2/2016, Piergotti. Un altro indirizzo, affermatosi dopo la riforma introdotta con la L. 23 giugno 2017, n. 103, limita la ricorribilita' della predetta sentenza solo "per motivi attinenti all'espressione della volonta' dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalita' della pena o della misura di sicurezza". 6. Con decreto del 7 settembre 2022 il Presidente aggiunto ha fissato l'udienza del 27 ottobre 2022 per la trattazione del ricorso nelle forme della pubblica udienza. 7. In data 3 ottobre 2022 e' pervenuta memoria del Procuratore generale con la quale si condivide l'orientamento che ammette il ricorso per cassazione per i principi espressi da Sezioni Unite "Piergotti" e si chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza per l'estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla decisione di secondo grado. 8. In data 21 ottobre 2022 e' stata depositata memoria difensiva con la quale si insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La questione di diritto per la quale il ricorso e' stato rimesso alle Sezioni Unite e' la seguente: "se avverso la sentenza di concordato in appello ex articolo 599-bis c.p.p. sia consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l'estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente alla pronuncia di secondo grado". 2. Deve essere esaminato il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione del concordato da parte del giudice di appello per non aver escluso la recidiva, in ordine alla quale le parti avevano convenuto per l'accoglimento del relativo motivo di appello. 3. Il motivo e' manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata ha escluso la contestata recidiva. Come si desume dalla motivazione, e' stato specifico oggetto di accertamento il presupposto - costituito dalla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Agrigento il 3 novembre 2011 e annotata come definitiva sul certificato del casellario giudiziale - sulla base del quale la prima decisione aveva giustificato la sussistenza della recidiva, oggetto di motivo di impugnazione al quale l'appellante non aveva rinunciato in sede di concordato e sul quale le parti si erano accordate sull'accoglimento cosi' formulando la concorde pena da applicare. Del resto, e' del tutto pacifico - in quanto lo riconosce lo stesso ricorrente che il mancato incremento di pena per la recidiva da parte della sentenza impugnata ha implicato la sua esclusione (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe', Rv. 247838;). 4. In relazione alla seconda censura la ordinanza di rimessione osserva che, prima della riforma introdotta con la L. n. 103 del 23 gennaio 2017, le Sezioni Unite sono state chiamate a decidere "se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato e il consenso a quella proposta dal pubblico ministero possano costituire una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non piu' revocabile". Con la sentenza n. 18953 del 25 febbraio 2016, Piergotti, le Sezioni Unite hanno escluso che, nel rito del "patteggiamento" regolato dagli articoli 444 ss. c.p.p., la richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, possano, di per se', valere come rinuncia, restando all'inverso prioritaria la verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilita' previste dall'articolo 129 c.p.p., tra cui l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione; verifica da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale e sulla base delle risultanze processuali. In particolare hanno affermato che, ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione, e' sempre necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti e cio', sia per l'espresso disposto dell'articolo 157, comma 7, c.p., sia in quanto la rilevanza dell'atto dismissivo e la pregnanza dei suoi effetti sono tali da richiedere una particolare modalita' di manifestazione. Hanno, inoltre, negato l'esistenza di regimi differenziati in tema di rinuncia alla prescrizione, correlabili alle eventuali peculiarita' del giudizio, considerato che la normativa in materia riveste carattere generale, essendo valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta. 4.1. Dopo la citata decisione, si e' formato un orientamento secondo il quale i principi enunciati da Sezioni Unite "Piergotti" devono valere anche per l'istituto del concordato in appello, introdotto con la novella del 2017 (articolo 599-bis c.p.p.), con conseguente superamento dell'indirizzo esegetico (formatosi in costanza della previgente normativa) secondo il quale, dopo la definizione concordata della pena in appello, non puo' essere dedotta l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima della pronuncia del giudice di appello o successivamente ad essa (Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, Camassa, Rv. 245920). Questo perche' la definizione concordata della pena in appello, conseguente al previo accordo delle parti sui relativi motivi, non puo' implicare la rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputato, non essendo equiparabile alla rinuncia espressa, richiesta dall'articolo 157, comma 7, c.p. - norma di stretta interpretazione in considerazione delle sue ricadute sulla sfera di liberta' del soggetto rinunciante -, una manifestazione di volonta' orientata a tutt'altri fini (in tal senso, Sez. 6, n. 12285 del 13/2/2020, Lika, non mass.; Sez. 5, n. 38115 del 16/7/2019, Salvini, non mass.; Sez. 1, n. 51169 del 11/06/2018, Porra', Rv. 274384). Secondo questo indirizzo, quindi, il concordato in appello ex articolo 599-bis c.p.p. non preclude la deduzione per cassazione del vizio di violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato, qualora i relativi termini siano decorsi prima della pronuncia del giudice di appello e la causa estintiva non sia stata erroneamente dichiarata dal giudice medesimo. 4.2. A tale indirizzo se ne contrappone un altro che esclude la ricorribilita' della sentenza emessa a seguito di concordato in appello in relazione alla omessa rilevazione della prescrizione del reato anteriormente a detta sentenza. Questo indirizzo - in particolare espresso da Sez. 5, n. 4709 del 20/09/2019, dep. 2020, Ferrarini, Rv. 278142 - ritiene applicabili al concordato in appello introdotto dalla riforma del 2017 l'indicato principio espresso nella vigenza del precedente istituto previsto dall'articolo 599, comma 4, c.p.p. dalla citata sentenza Camassa in base all'argomento secondo cui l'adesione dell'imputato al concordato costituiva una dichiarazione legale di rinuncia alla prescrizione, non piu' revocabile. Secondo l'orientamento in esame, inoltre, la riforma del 2017 ha profondamente inciso sulla materia del controllo dell'osservanza delle condizioni di legalita' non solo della sentenza di patteggiamento, ma anche di quella di concordato in appello. In tale ottica viene valorizzata, in particolare, la natura negoziale dei due istituti con conseguente interpretazione estensiva dell'articolo 448, comma 2-bis c.p.p., pur se riferito espressamente al solo patteggiamento. In base a questo orientamento, quindi, la mancata declaratoria di prescrizione da parte del giudice di appello non puo' essere dedotta con il ricorso per cassazione in coerenza con la previsione normativa che, per la sentenza di applicazione della pena, consente di far valere con il ricorso per cassazione solo "motivi attinenti all'espressione della volonta' dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalita' della pena o della misura di sicurezza". A sostegno dell'orientamento e' stato precisato che le uniche doglianze proponibili contro una sentenza emanata all'esito del concordato ex articolo 599-bis c.p.p. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all'applicazione di una pena illegale (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102; Sez. 2, ordinanza n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969; sulla scia di questo orientamento e' collocata anche Sez. 2, n. 3587 del 6/11/2020, dep. 2021, Coco, non mass.) per tale dovendosi intendere quella non conforme al paradigma normativo (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818; Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689) e non quella applicata per il reato prescritto. L'applicazione di pena frutto di concordato in appello per un reato prescritto integra, pertanto, un vizio di violazione di legge che non investe direttamente la legalita' della pena e che, conseguentemente, non puo' integrare un motivo ammissibile di ricorso per cassazione, perche' non riconducibile ai motivi tassativamente previsti dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. sia pure per il solo patteggiamento (cosi' Sez. 5, n. 4709 del 20/09/2019, Ferrarini, Rv. 278142; Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196-01; Sez. 6, n. 5210 del 11/12/2018, Chiumento, Rv. 275027-01). Secondo tale indirizzo non puo' essere accolta una diversa e piu' estensiva interpretazione della nozione di illegalita' della pena, perche', diversamente opinando, ogni vizio di legge sostanziale e processuale si tradurrebbe sempre in una illegalita' della comminatoria finale della pena, quale effetto conclusivo del procedimento penale in senso lato viziato, con la conseguente assimilazione della illegalita' della pena al genus del vizio di legge come disciplinato dall'articolo 606, comma 1, lettera b) e c), c.p.p., in evidente contrasto con il carattere tassativo della indicazione normativa dei motivi ammissibili del ricorso per cassazione introdotta dalla novella del 2017. E' stato inoltre osservato che, una volta affermata l'inammissibilita' del motivo di ricorso volto a ottenere la declaratoria di prescrizione del reato erroneamente non rilevata nel giudizio di merito, la prescrizione maturata prima della sentenza impugnata non puo' essere neppure rilevata di ufficio ex articolo 129 c.p.p. in sede di legittimita'. Possono, infatti, essere rilevati di ufficio solo i casi di pena illegale che non puo' neppure determinare una revocabilita' del giudicato in sede esecutiva, come invece accade nel caso di aboliti criminis o di pena dichiarata incostituzionale (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818; Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264206; Sez. 5, n. 39764 del 29/05/2017, Rhafor, Rv. 271850). Con la gia' citata sentenza Ferrarini della Quinta Sezione, alla presa d'atto che per il concordato in appello "non e' stata prevista una disciplina specifica sulle censure proponibili con ricorso per cassazione, essendo stata stabilita espressamente solo la declaratoria di inammissibilita' de piano nell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. " segue, secondo un diretto quanto inesplicato nesso derivativo, l'affermazione secondo la quale "le uniche doglianze proponibili siano quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia del giudice e all'applicazione di una pena illegale". Quest'ultimo riferimento evoca i limiti introdotti con l'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. per il diverso istituto della applicazione della pena su richiesta delle parti, escludendo dalla nozione di pena illegale quella inflitta per reato prescritto. Giustifica l'incensurabilita' in sede di legittimita' della pena irrogata in base "alla sua conformita' alla volonta' delle parti ed ai limiti edittali per i reati in relazione ai quali non e' decorso il termine prescrizionale alla data della pronunzia impugnata", cosi' facendo valere a sostegno dell'indirizzo, e in consapevole contrasto con quello opposto, la preminente valenza dell'accordo in uno alla conformita' edittale della pena inflitta. 4.3. Al medesimo indirizzo appena ricordato si ricollegano quelle pronunce che fanno leva, piu' radicalmente, in particolare, sull'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 62, per escludere senz'altro il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, ammettendosi per tale sentenza il solo ricorso straordinario (Sez. 2, n. 26984 del 12/06/2019, Vetrano, non mass.; Sez. 2, n. 27566 del 17/05/2019, Festosi, non. mass.; Sez. 6 n. 2450 del 07/01/2019, Dacco', non mass.; Sez. 2, n. 27862 del 03/05/2019, Ballarin, non mass.; Sez. 2, n. 2748 del 15/01/2019, Tornese, non mass.; Sez. 6, n. 197 del 03/12/2018, Greco, non mass.; Sez. 6, n. 53045 del 12/11/2018, Golloshi, non mass.; Sez. 5, n. 54543 del 28/09/2018, Tornabene, non mass.; Sez. 6, n. 45027 del 10/09/2018, Anastasio, non mass.; Sez. 6, 06/7/2018, n. 32617, Dellerba, non mass.; Sez. 5, n. 34513 del 22/06/2018, Capuzzi', non mass.; Sez. 2, n. 26375 del 31/5/2018, Ferlito, non mass.; Sez. 6, n. 20558 del 09/05/2018, Hyra, non mass.; Sez. 6, n. 21558 del 07/05/2018, Sacco, non mass.; Sez. 5, n. 6578 del 24/01/2018, Papappicco, non mass.). 5. Alla questione di diritto che le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere, deve premettersi un sintetico inquadramento generale dell'istituto del concordato in appello. Originariamente esso era stato concepito come ambizioso strumento flessibile, caratterizzato da una virtuale assenza di rischi. Se da un lato l'eventuale rigetto, da parte del giudice, dell'accordo raggiunto dalle parti determinava la riespansione del devoluto, riportando il giudizio d'impugnazione ai fini per cui era stato proposto, dall'altro, il suo perfezionamento produceva effetti deflattivi tanto sul processo di secondo grado, quanto sul giudizio di legittimita'. Tuttavia, a breve distanza dall'entrata in vigore del nuovo codice di rito, l'istituto era oggetto dell'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 435 del 1990, dichiarava l'illegittimita' costituzionale dei commi 4 e 5 dell'articolo 599 c.p.p. per eccesso di delega nella parte in cui veniva consentita la definizione del procedimento in camera di consiglio anche al di fuori dei casi elencati nel comma 1 dello stesso articolo 599 del codice di rito. In tal modo si incideva sulla possibilita' di definire - negozialmente in grado d'appello e con le forme camerali - il giudizio avente ad oggetto non solo il quantum, ma anche l'an della responsabilita' penale. Il Giudice delle leggi osservava che, se la ratio della norma e' quella di accelerare la definizione del processo e se - come desumibile dai lavori parlamentari - esula dal suo ambito di applicazione la possibilita' di dedurre questioni attinenti alla ricorrenza di circostanze attenuanti (non generiche) od aggravanti, trattandosi "di questioni di tale importanza e di tale rilievo, da far ritenere opportuno addivenire al rito normale", considerazioni analoghe valgono quando si tratti di decidere "sulla sussistenza o meno del (o dei) reati attribuiti all'imputato ovvero sul riconoscimento di cause di esclusione dell'antigiuridicita' o della punibilita'". Al dichiarato fine di superare gli ostacoli generati dalla sentenza della Corte costituzionale da ultimo citata, il legislatore, con L. 19 gennaio 1999, n. 14, ("Modifica degli articoli 599 e 602 del codice di procedura penale"), interveniva sul comma 4 dell'articolo 599 c.p.p., consentendo l'applicazione dell'istituto "anche al di fuori dei casi di cui al comma 1" e, quindi, quali che fossero i motivi di impugnazione, compresi quelli inerenti alla responsabilita' dell'imputato, cosi' recuperando, per ragioni di equita' e di giustizia, quelle facolta' previste dall'articolo 599 c.p.p.. Con la disciplina reintrodotta nel 1999, si riproponeva il doppio modello processuale, camerale o dibattimentale, a seconda che la richiesta fosse formulata prima ovvero dopo l'emanazione del decreto di citazione del giudizio di appello. L'accordo - che, come chiarito dal novellato articolo 599, comma 4, c.p.p. aveva ad oggetto l'accoglimento "in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi" - si configurava come un istituto che, attraverso la volonta' delle parti, necessariamente copriva tutti i temi devoluti alla cognizione del giudice di appello, tramite un meccanismo che combinava concordato e rinuncia ai motivi e che, in ragione del richiamo alle forme di cui all'articolo 589 c.p.p., richiedeva, per la validita' dell'atto, che la dichiarazione di parte fosse manifestata personalmente, ovvero a mezzo di procuratore speciale. Dunque, il concordato in appello si prospettava come un istituto orientato dall'interesse alla pronta definizione del processo, senza una strutturale connotazione premiale. Nella formulazione della norma reintrodotta, in capo al giudice sussistevano ampi poteri cognitivi e decisionali, in quanto egli conservava una piena ed insindacabile autonomia nella valutazione dell'accordo intervenuto tra le parti, che legittimamente poteva non accogliere. In caso di recepimento dell'accordo, al giudice d'appello non era consentito discostarsi dal contenuto del medesimo ne' in punto di determinazione della sanzione, ne' di riconoscimento delle circostanze ovvero di loro bilanciamento, pena l'inefficacia della richiesta e della rinuncia ai motivi. Diversamente, in caso di mancata ratifica, il giudice era tenuto a ordinare la citazione dell'imputato in dibattimento, ai sensi dell'articolo 599, comma 5, c.p.p., e, qualora la stessa fosse gia' stata disposta, a ordinare la prosecuzione del dibattimento (articolo 602, comma 2, c.p.p.). La dottrina - in conformita' con le piu' approfondite riflessioni della giurisprudenza di legittimita' - ha individuato nell'accordo sui motivi di appello una versione del modello consensuale di definizione del processo profondamente diversa rispetto al cd. patteggiamento. Ha, inoltre, osservato che la scarna normativa dedicata al concordato in appello rivela la sostanziale continuita' tra il modello di cognizione tipico del secondo grado di giudizio e le modalita' operative del congegno previsto dall'articolo 599 c.p.p. la cui regolamentazione postula l'integrazione con la disciplina generale in tema di appello. A poco meno di dieci anni dalla novella legislativa, il legislatore, in sede di conversione del Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92 ("Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica"), nella L. 24 luglio 2008, n. 125 abrogava integralmente il concordato in appello ritenendo che un giudizio di secondo grado aperto a soluzioni negoziali di mitigazione del trattamento sanzionatorio mal si conciliasse con esigenze di prevenzione generale e speciale. Le ragioni della scelta legislativa, se da un lato rispondevano alla necessita' di garantire una maggiore severita' del trattamento sanzionatorio, dall'altro perseguivano lo scopo di incentivare l'opzione per il patteggiamento in primo grado, soluzione poco praticata in considerazione dei maggiori ambiti applicativi possibili con il concordato sui motivi di appello. Tante furono le critiche alla soppressione di un istituto volto alla deflazione del carico giudiziario che si proponeva di potenziare l'efficienza dell'intero processo penale, di compendiare le rationes di economia processuale con quelle securitarie, di trovare una sintesi tra le contrapposte spinte che da sempre alimentavano le controverse sorti del concordato in appello. Di tali critiche si e' fatto carico il legislatore che con L. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, e' nuovamente intervenuto sulla disciplina dell'appello reintroducendo nel codice di rito l'articolo 599-bis, rubricato "Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello". Diversamente da quanto previsto nel testo del 1999, con la riforma del 2017 il legislatore ha delimitato il campo d'applicazione dell'istituto, escludendone l'applicazione in relazione a un catalogo di reati gravi, in particolare associativi, nonche' nei confronti di imputati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. La L. n. 103 del 2017 e' intervenuta anche sull'articolo 602 c.p.p., relativo al dibattimento in appello, introducendo il comma 1-bis, dal contenuto analogo a quello dei commi 1 e 3 dell'articolo 599-bis del codice di rito, cosi' ripristinando anche per questa fase la previsione del concordato sui motivi in appello. Da ultimo, il Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150 ha mantenuto le connotazioni strutturali dell'istituto in parola introducendo, con l'articolo 34, comma 1, lettera f), nell'articolo 599-bis, comma 1, c.p.p. il termine, a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza di appello per la proposizione del concordato. Ha abrogato, con l'articolo 98, comma 1, lettera a), sia l'articolo 599-bis, comma 2, c.p.p., ovvero le ipotesi di esclusione correlate ai reati piu' gravi ed ai soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, sia l'articolo 602, comma 1-bis, c.p.p., ovvero la facolta' di proporre il concordato nella fase dibattimentale. 6. In ordine al quesito rimesso alle Sezioni Unite, la Corte ritiene che, in mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza di concordato in appello sia proponibile il ricorso in cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato maturata anteriormente a detta sentenza. In tale modo intende dare continuita' al principio di diritto affermato da Sezioni Unite "Piergotti" in tema di rinuncia alla prescrizione e gia' espresso da Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248379. La formulazione della richiesta di concordato in appello non costituisce rinuncia alla prescrizione del reato eventualmente gia' verificatasi. A tal riguardo, e' di centrale rilievo l'argomento espresso da Sez. U, "Piergotti" che designa l'irrilevanza della specialita' del rito ex articolo 444 c.p.p. allorquando saggia la tenuta del principio affermato in tema di rinuncia alla prescrizione rispetto ad esso, osservando che la differenza strutturale rispetto al rito ordinario "non e', pero', tale da comportare, per il patteggiamento, un regime differenziato in tema di rinuncia alla prescrizione, posto che la norma di cui all'articolo 157, comma 7, c.p., e' disposizione di carattere generale, valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta". Sicuri riferimenti ulteriori alla esclusione di forme equipollenti a quella di rinuncia espressa alla prescrizione "sono le disposizioni di cui agli articoli 444, comma 2, e 129 c.p.p., oltre alla previsione dell'articolo 157, comma 7, c.p.". Sez. U "Piergotti" hanno attribuito specifico rilievo - nel caso sottoposto al loro esame - all'articolo 444, comma 2, c.p.p. che "detta la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del "patteggiannento"". Hanno osservato che, secondo Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212438 e Sez. U, n. 5 del 28/05/1997, Lisuzzo, Rv. 207877, "il paradigma procedimentale assegna priorita' alla verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilita' previste dall'articolo 129 c.p.p., da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale, e precisamente sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero (sulla scansione nelle due fasi della procedura del patteggiamento, anche Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216431). Soltanto in caso di negativa delibazione il giudice puo', poi, procedere all'esame di legittimita' della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare correttezza del nomen iuris attribuito al fatto-reato, legalita' e congruita' dell'assetto sanzionatorio concordato. Sicche' - proseguono Sez. U, "Piergotti" -solo sino ad un certo punto puo' dirsi esatta l'affermazione che il rito speciale si incentra nel potere dispositivo delle parti, posto che un ruolo centrale e' pur sempre attribuito al giudice, chiamato, anche in questa speciale procedura, ad un compito attivo e vigile, che lo rende tutt'altro che spettatore inerme e silente di una vicenda negoziale inter partes, deputato ad una funzione meramente "notarile" - di semplice ratifica di un accordo privatistico - secondo l'efficace espressione della Corte Cost., sent. n. 313 del 1990"."Sicche' anche in presenza di richiesta condivisa di patteggiamento, che, per qualsiasi ragione, non abbia tenuto conto di maturate cause estintive del reato, il giudice - in nessun modo condizionato dall'esercizio di un potere di rinuncia alla prescrizione, non espresso nelle forme di legge - non e' comunque esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi del menzionato articolo 129 c.p.p., che segna, pertanto, il momento di criticita' della tesi che ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia". L'esposto percorso argomentativo mantiene - a maggior ragione - la sua validita' in relazione all'istituto ex articolo 599-bis c.p.p. che non costituisce procedimento speciale e non si discosta dal modello ordinario in relazione alla rinuncia ai motivi ed alla valutazione di quelli non rinunciati. 7. Non osta alla applicazione del principio il contesto in cui lo stesso e' stato affermato, definito dalla ritenuta "pacifica acquisizione giurisprudenziale" secondo la quale l'omesso od erroneo esercizio del potere-dovere di verifica della sussistenza di cause estintive ex articolo 129 c.p.p. integra vizio di legittimita' deducibile in cassazione (vds. pag. 10 della sentenza Piergotti). Tale contesto risulta mutato a seguito della riforma del 2017 che con l'articolo 448-bis c.p.p. ha introdotto speciali motivi di ricorribilita' della sentenza di cd. patteggiamento, al quale ha fatto seguito l'orientamento di legittimita' secondo cui la maturata prescrizione del reato al momento della sentenza che omologa l'accordo raggiunto dalle parti non e' deducibile in cassazione, in quanto non determina l'illegalita' della pena ai sensi del novellato articolo 448, comma 2-bis, c.p.p., ma puo' essere rilevata dal giudice al quale e' sottoposto l'accordo che non implica di per se' rinuncia alla prescrizione (Sez. 5, n. 26425 del 30/04/2019, Parigi, Rv. 276517; conforme Sez. 6, n. 5210 del 11/12/2018, dep. 2019, Chiumento, Rv. 275027). Purtuttavia, il rilevato mutamento non incide sull'istituto del concordato in appello una volta ribadito il principio per il quale la proposizione dell'accordo non implica di per se' rinuncia alla prescrizione, causa estintiva alla quale consegue l'obbligo di immediata declaratoria previsto dall'articolo 129, comma 1, c.p.p.. 8. L'esercizio di tale potere-dovere non si pone - ovviamente - in conflitto con il principio secondo il quale il giudice, qualora ritenga di accedere all'accordo, non puo' discostarsi dai termini in cui e' stato prospettato. Invero, la pronuncia di un provvedimento difforme da quello richiesto dalle parti, si giustifica in quanto l'esercizio del predetto potere-dovere da' luogo a un provvedimento che si pone in rapporto di alternativita' e di priorita' logica rispetto a quello domandato dalle parti. La conclusione illustrata - e' appena il caso di evidenziarlo - non e' in contrasto con la tradizionale e tralatizia affermazione della giurisprudenza di legittimita' secondo la quale il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p. ne' sull'insussistenza di ipotesi di nullita' assoluta o di inutilizzabilita' delle prove perche' si deve rapportare l'obbligo della motivazione all'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione in quanto, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice e' limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (vds. da ultimo, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522). 9. La applicabilita' del principio espresso dalla sentenza Piergotti impone l'ulteriore verifica correlata all'individuazione dei limiti di ricorribilita' della sentenza emessa a seguito del concordato in appello in relazione al principio espresso da Sezioni Unite "Ricci" circa la generale ammissibilita' della deduzione, mediante ricorso per cassazione, della prescrizione maturata antecedentemente alla pronuncia di appello. L'incidenza di questo principio, espresso anteriormente alla riforma del 2017, sulla questione in esame implica invero la risoluzione della preliminare questione riguardante le regole di ammissibilita' del ricorso avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. ristretto ad alcuni limitati casi dall'orientamento espresso dalla sentenza Ferrarini o escluso dalle altre gia' citate (vds. paragrafo 4.3.). 10. Questi orientamenti non possono essere condivisi. 10.1. Il percorso ermeneutico individuato dall'indirizzo espresso dalla sentenza Ferrarini si correla ad una ratio desunta dalle speciali regole previste per il diverso rito di applicazione della pena su richiesta delle parti, nonostante sia patrimonio acquisito, in dottrina ed in giurisprudenza, anche costituzionale (v. Corte Cost. sent. n. 448 del 1995), la differenza funzionale e strutturale tra i due istituti e l'assenza di simmetria tra sentenza ex articolo 444 cod. proc. peni e pronuncia ex articolo 599-bis c.p.p.. Il fondamento di una siffatta osmosi ermeneutica puo' essere individuato in una perdurante e generalizzante precomprensione del fenomeno processuale interpretato, di volta in volta emergente nelle decisioni di legittimita', che echeggia l'antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non puo' essere unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, con il ricorso per cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate. Ebbene, tale fondamento e' certamente condivisibile in relazione alle questioni sulle quali si e' verificata preclusione o intervenuto giudicato sostanziale, ma non coinvolge la prescrizione del reato che, come gia' detto, non puo' intendersi rinunciata per il solo fatto della proposizione dell'accordo, la cui valutazione e' demandata al giudice del gravame. 10.2. Non ha, poi, fondamento la pretesa incidenza sul tema in esame della novella del 2017. A tal riguardo, la sentenza Ferrarini non tiene conto che, con la introduzione dell'istituto del concordato in appello - come per il previgente articolo 599, comma 4, c.p.p. e diversamente dall'istituto ex articolo 444 c.p.p. -, non e' stato introdotto un regime speciale di ricorribilita' della sentenza, scelta legislativa che fa ritenere immutato il relativo quadro sistematico. L'operazione ermeneutica volta a superare il regime generale di ricorribilita', estendendo i principi dall'uno all'altro istituto non e' consentita per il principio di tassativita' che governa i mezzi di impugnazione ed in relazione alla specialita' del regime previsto dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p., che e' di stretta interpretazione. 10.3. Non merita, infine, alcuna condivisione l'orientamento secondo il quale l'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. esclude la ricorribilita' della sentenza ex articolo 599-bis c.p.p.. L'argomentare assai stringato delle decisioni che sostengono tale orientamento si limita alla considerazione secondo "la quale l'articolo 610 c.p.p., comma 5-bis c.p.p., come riformulato dall'articolo 1, comma 62 della L. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, ha escluso la ricorribilita' per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena concordata ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., limitando l'impugnazione al solo ricorso straordinario di cui all'articolo 625 bis c.p.p. " (cosi', per tutte, Sez. 5, n. 54543 del 28/09/2018, Tornabene, non mass.). La dottrina ha interpretato questo orientamento individuando in esso la condivisione di un'opinione minoritaria, espressa subito dopo l'entrata in vigore della riforma del 2017, che si incentra su un significato del tutto peculiare attribuito al terzo periodo dell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. per il quale "contro tale provvedimento e' ammesso il ricorso straordinario a norma dell'articolo 625-bis". Ritiene, quindi, che il legislatore con la locuzione "contro tale provvedimento" si sia riferito non alle pronunce di inammissibilita' rese de piano dalla Corte, elencate nei primi due periodi dell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p., ma alle sentenze di concordato in appello, le quali sono l'ultima categoria di decisioni richiamate nel secondo periodo della medesima disposizione. Secondo altra prospettiva, la ratio dell'orientamento in parola potrebbe essere colta in base alla locuzione "allo stesso modo la Corte dichiara l'inammissibilita' del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena e contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 599-bis", interpretata quale esclusione tout court di ogni possibilita' di ricorso nei confronti di tali tipologie di sentenze, "per definizione" ritenute non impugnabili. Queste prospettive ermeneutiche che individuano, in base alla richiamata disposizione dell'articolo 610, comma 5-bis c.p.p., una diretta ed indiscriminata previsione di inammissibilita' del ricorso avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, non possono in alcun modo essere condivise, in quanto non tengono conto della univoca collocazione della disposizione in parola. Essa, invero, e' posta nel contesto delle norme volte a disciplinare gli atti preliminari del procedimento in cassazione, fase per la quale e' stabilito - secondo l'articolo 610, comma 1, c.p.p. - che il rilievo di una causa di inammissibilita' del ricorso determina l'assegnazione di esso ad una apposita sezione per la decisione in camera di consiglio. Cosicche' la disposizione dell'articolo 610, comma 5-bis c.p.p. individua i presupposti in presenza dei quali e' prevista la procedura de piano per la trattazione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quella pronunciata a norma dell'articolo 599-bis del codice di rito. Pertanto, essa non riguarda i presupposti di ammissibilita' dei rispettivi ricorsi: quelli relativi al cd. patteggiamento sono previsti nell'articolo 448-bis c.p.p. nell'ambito della disciplina del rito speciale, mentre nessuna novita' - come si e' detto - e' stata introdotta per il concordato in appello. L'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. accomuna, in rapporto all'individuato contesto e finalita' semplificativa, le due tipologie di sentenza in ragione della agevole rilevazione dei piu' ristretti casi di inammissibilita' dei ricorsi conseguenti ai limiti di ricorribilita' stabiliti per la sentenza di cd. patteggiamento dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. e della novazione riduttiva del devoluto per quella di concordato in appello. 11. In conclusione, anche dopo la riforma del 2017, esclusa l'introduzione di speciali limiti di ricorribilita' in cassazione per la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, puo' essere riaffermato con le parole di Sezioni Unite "Ricci" che "nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso per cassazione, l'errore del giudice di appello che ha omesso di dichiarare la gia' intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte interessata in quel grado. Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, e' certamente ammissibile, perche' volto a fare valere l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) L'error in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilita'. L'impugnazione mira ad emendare tale errore. L'ammissibilita' del ricorso non e' pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; ne' alcuna rilevanza preclusiva all'ammissibilita' dell'impugnazione puo' attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell'appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (articolo 606, comma 3, c.p.p.). L'articolo 129 c.p.p. impone al giudice, come recita la rubrica, l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilita' e a tale "obbligo" il giudice di merito non puo' sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, puo' essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. "giudicato sostanziale"". 12. Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto: "nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello e' proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza". 13. In applicazione del principio, nel caso sottoposto all'esame del Collegio, alla esclusione della recidiva doveva conseguire la rilevazione della intervenuta prescrizione del reato di tentata estorsione semplice, ai sensi degli articoli 157 e 161, comma 2, c.p., alla data del 22 maggio 2016 (compresi 131 gg. Di sospensione del termine in primo grado dal 3/7/2017 al 13/11/2017, non rilevando le ulteriori sospensioni verificatesi in appello a termine ormai spirato) con la declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell'articolo 129, comma 1, c.p.p.. 14. L'omessa rilevazione della prescrizione e la mancata declaratoria della estinzione del reato per tale causa, ritualmente dedotte dal ricorrente, conducono all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

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