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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2021, proposto da Condominio Pa. Sc. in persona dell'amministratore pro tempore dott. Gi. Fu., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro El. Ro., in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gr. e Fr. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Br., non costituita in giudizio; Comune Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, n. 3555/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di El. Ro. e di Ru. Ce. s.r.l. e di Comune Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Condominio Pa. Sc. con sede in Caserta alla via (omissis), propone appello contro la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 che ha accolto il ricorso proposto in primo grado dai signori El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) e At. Br. con il quale era stato chiesto l'annullamento: - del permesso di costruire n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016, rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, avente ad oggetto "sanatoria per difformità rispetto alla c.e. 162/92 per muri e sistemazioni esterne"; - degli atti ad esso preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il parere favorevole espresso dal dirigente Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, prot. n. 72811 del 2.8.2016, e la relazione istruttoria del responsabile del procedimento (ove esistente). 2. Gli atti da ultimo citati e il ricorso che ne è scaturito costituiscono l'ultimo capitolo di una vicenda che vede da tempo contrapposti, nei diversi ruoli, il Condominio Pa. Sc., i signori Ro. e Br. e il Comune di Caserta, contrapposizione che ha dato vita, nel tempo, a numerose pronunce del giudice amministrativo. 2.1 Le fasi significative dell'intera vicenda possono essere così sintetizzate. Con concessione edilizia del 1991 e variante del 1992 venne realizzato il complesso Pa. Sc.. Il titolo prevedeva la realizzazione, nell'area esterna al fabbricato, di un parcheggio privato ad uso pubblico di mq. 3245, in applicazione dei parametri dettati dall'art. 41-quinquies della l. 1150/1942 (introdotto dall'art. 17 della l. 765/1967). Nella esecuzione dei lavori l'impresa costruttrice realizzava una recinzione in muratura con cancello che riduceva notevolmente la superficie destinata a parcheggio privato di uso pubblico. Il Comune, nel 2002, ordinò di demolire cancelli e muretti. Il Condominio propose ricorso avverso tale atto, ricorso respinto dal Tar per la Campania con sentenza n. 3556/2006. La sentenza del Tar venne confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2008. I condomini Ro. e Br. (proprietari di locali commerciali siti nel Condominio Pa. Sc.) demolirono di propria iniziativa i manufatti. Il Condominio, nel 2011, deliberava di ripristinare muro di recinzione e cancello, e in data 13.9.2011 presentava una S.C.I.A. n. 70477 avente ad oggetto le dette opere. Il Comune restava inerte. I condomini Ro. e Br. proponevano ricorso in cui chiedevano al Comune di esercitare i poteri ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001. Il Tar per la Campania (con sentenza 2142/2012) accoglieva e dichiarava l'obbligo per il Comune di Caserta di esercitare il potere di controllo e vigilanza sulla conformità urbanistica ed edilizia delle opere di cui alla S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011. Nella persistente inerzia del Comune di Caserta, i condomini Ro. e Br. chiedevano l'ottemperanza della sentenza 2142/2012. Il Tar, con sentenza 5014/2012, accoglieva la domanda di ottemperanza. Il Comune emetteva un provvedimento che non conteneva una esplicita statuizione in ordine alla S.C.I.A. Tale provvedimento veniva impugnato dal condomino Ro. e annullato con sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. I condomini Ro. e Br. chiedevano nuovamente l'ottemperanza della sentenza 2142/2012 e il Tar per la Campania accoglieva la domanda (sentenza n. 5127/2014). A recinzione ormai realizzata, nel 2015, il Comune annullava la S.C.I.A. del 2011 aggiungendo di voler avviare il procedimento di demolizione (senza però compiere alcuna azione concreta). Nel 2016, in seguito ad istanza di accesso agli atti, i condomini Ro. e Br. apprendevano che il Comune di Caserta aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016. 3. Avverso il provvedimento da ultimo citato, i condomini Ro. e Br. hanno proposto ricorso al Tar. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241. II. - Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo; sviamento. III. Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo. Incompetenza. Sviamento. IV. Violazione degli artt. 41-quinquies e 41-sexies della l. 1150/1942, dell'art. 10 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Caserta, della lex specialis dell'intervento edilizio dettata dalla c.e. n. 162/92 rilasciata dal Comune di Caserta; violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Tar per la Campania nn. 3556/2006, 2142/2012, 5014/2012 e 5247/2013, e sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/08; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti di fatto e di diritto. omessa comparazione di interessi. Sviamento. V. Eccesso di potere per contrasto con precedenti atti della stessa Amministrazione, difetto di istruttoria e di motivazione. 4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Caserta chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 3555/2021 il Tar per la Campania ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati. 5.1 In particolare il Tar: - ha ricostruito i principi in materia di efficacia del giudicato; - ha ritenuto di censurare in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta nella misura in cui, rilasciando da ultimo il contestato titolo in sanatoria, ha da un lato trascurato che non era consentito discostarsi dalle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992, dall'altro ha legittimato che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico e, nello specifico, a fronte di un volume totale edificato di mc.35.764,64 oltre mq.3.245 di area di parcheggio ad uso pubblico (di cui mq.6.819,64 da destinare a parcheggio), solo mq.4.183 fossero utilizzati a tale fine, di cui mq.1.479 a parcheggi privati ad uso pubblico; - ha infine affermato che: "L'Amministrazione ha omesso di considerare, in definitiva, che il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio in base a norma imperativa non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, ma solo con concessione in variante resa su domanda di tutti i condomini interessati che lo trasferisca su altri spazi riconosciuti idonei; la normativa urbanistica di cui all'art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari a un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, e tale rapporto va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della Concessione edilizia (Cass. civ., II, 9.10.2020, n. 21859). In particolare difettava il requisito della legittimità della richiesta di permesso in sanatoria da parte del Condominio, dal momento che tale istanza era stata deliberata l'11/12/2015 con la presenza di 41 condomini su 84 rappresentativi di millesimi 554,74 su1000,00; in ogni caso il Comune non avrebbe potuto attestare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, quale richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica". 6. Avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 ha proposto appello il Condominio Pa. Sc. per i motivi che saranno più avanti analizzati. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per chiedere il rigetto dell'appello. 7.1 Si è costituito il signor El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 16 maggio 2016 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Motivazione erronea. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Erronea applicazione dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 5, della l. 122/89. Omessa e/o carente istruttoria. 1.1 Sotto un primo profilo, l'appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il Comune non poteva discostarsi dalle originarie concessioni edilizie e non poteva permettere che con S.C.I.A. si modificasse il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, sostenendo che: - sono errati i presupposti di fatto; - le concessioni edilizie interessate dal sopralluogo e dall'ordinanza, c.e. in variante n. 138/91 e n. 162/92, sono entrambe soggette alle prescrizioni dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, che prescriveva di dover riservare spazi a parcheggio spazi, pari a 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito, cioè, il 10% del volume realizzato; - le citate concessioni sono entrambe soggette alle prescrizioni del D.P.P. di Caserta n. 5464/87, che aveva modificato l'art. 10 delle N.T.A. del R.E. del comune di Caserta, in applicazione della lett. D, dell'art. 3, del d.m. 1444/68, che regola quanto prescritto dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l. 1150/42, di dover riservare ad aree di parcheggio di proprietà privata di uso pubblico, spazi di 1 mq per ogni 20 mc di volume costruito, cioè, il 5% del volume realizzato; - in applicazione delle disposizioni citate, la quota destinata a parcheggi nella c.e. 162/92, dev'essere: area di parcheggio privato 3245 mq per una cubatura di 32.400 mc; area di parcheggio di uso pubblico di proprietà privata 1620 mq per una cubatura di 32.400 mc; - dal permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016 le aree di parcheggio, sono state aggiornate alla cubatura data dalla sanatoria dei 6 sottotetti, trasformati in civili abitazioni, non integrate nella c.e. in sanatoria 1933/99, variando la cubatura, dai precedenti 32.400 mc, della c.e. 162/92, ai 35.754 mc del permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016; - per l'aumento della cubatura, si sono dovute variare anche le superfici delle aree di parcheggio, le quali, nella c.e. in sanatoria 1933/99, dovevano essere uguali a quelle riportate nel permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016, essendo rimasta invariata la cubatura; - nella c.e. 162/92, interessata dal sopralluogo e dall'ordinanza, c'è una sola area di parcheggio di 3245 mq, ed un'autorimessa con box-auto e cantinole pari a 4.183 mq; - il Tar ha omesso di considerare che l'unica area di parcheggio del Condominio odierno appellante è del 10% del volume costruito, e pertanto è da considerare area di parcheggio privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, in quanto riservato 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito; - sui grafici allegati alla c.e. 162/92, è stata riportata la dicitura parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, come l'area di parcheggio ad uso pubblico del 5%, prescritto dal D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - dalla c.e. 162/92, si evince che la recinzione era chiaramente individuata nei grafici approvati con un muro perimetrale che cingeva l'intera area di proprietà e l'accesso a tale area doveva avvenire da n. 2 varchi affiancati posti su via (omissis) i quali immettevano a due aree di parcheggio distinte a destra e a sinistra separate da marciapiede; - il Tar ha omesso di valutare che il Comune di Caserta, per le concessioni rilasciate alla I.S.CO., per realizzare il Pa. Sc. di Caserta, quindi anche per l'area di parcheggio, non ha mai chiesto la sottoscrizione né trascrizione di alcuna convenzione urbanistica o atto d'impegno, con cui sarebbero stati obbligati ad un facere, anche gli acquirenti in buona fede all. 35, con il quale sarebbe stato costituito il vincolo ad uso pubblico che si è affermato gravasse sull'area di parcheggio; - si fa menzione del vincolo ad uso pubblico, ma non viene indicato, perché non c'è, l'atto con cui è stato costituito; - il Comune di Caserta fa discendere la costituzione del vincolo dalla dicitura riportata sui grafici concessori della c.e. 162/92 "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata", uguale alla dicitura coniata con il D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - la giurisprudenza ha sancito che la semplice dicitura su di un grafico concessorio non è documento idoneo a costituire vincoli; - sull'area di parcheggio di 3245 mq, sono presenti 81 posti auto acquistati come proprietà esclusiva. 1.2 Sotto un secondo profilo l'appellante sostiene che la contraddizione tra quanto affermato dal Tar e quanto risulta dall'evidenza dei fatti e degli atti, è rafforzato dalle note del Comune di Caserta dove si legge chiaramente che il parcheggio di uso pubblico di proprietà privata può essere recintato ma non chiuso da cancelli, per cui, tutt'al più, si doveva ordinare di abbattere i cancelli e non anche i muretti; visto che si trattava di un muro di contenimento lungo l'alveo, che ha il precipuo scopo di proteggere i locali commerciali e quelli interrati da possibili allagamenti, e il cui abbattimento è pregiudizievole per il resto dell'edificio. 1.3 Sotto un terzo profilo l'appellante afferma che: - dalla documentazione versata in atti e per i requisiti incontestabili esistenti, si evince chiaramente che l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. di Caserta del 10% del volume costruito, è quella privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, unica che prescrive di destinare a spazi per parcheggi privati il 10% del volume costruito; - la conferma incontestabile che l'area è privata e ne erano al corrente tutti i condomini del Pa. Sc. emerge da sentenze emesse in giudizi civili in contenziosi che hanno visto come parti alcuni degli stessi condomini; - l'area di parcheggio è privata e ascritta all'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, poiché, sulla stessa sono stati acquistati sia dai proprietari dei locali commerciali che dai proprietari di abitazioni, posti auto in proprietà esclusiva; - se l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. è interamente gravata da un vincolo di uso pubblico, occorre chiedersi come è possibile che non risulti da nessun atto opponibile ai terzi; - se si afferma che tutta l'area di parcheggio è ad uso pubblico, sulla stessa non potranno più esserci i posti auto acquistati in proprietà esclusiva, alterando così il vincolo di destinazione pubblicistico gravato dalla pertinenzialità fissata inderogabilmente dall'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, nonché, il vincolo inscindibile di unione del posto auto all'abitazione, che venendo soppresso il posto auto, automaticamente inficia l'atto di compravendita di nullità, come disposto dal comma 5 dell'art. 9 della l. 122/89, a cui era soggetta la c.e. 162/92, rilasciata dal comune alla I.S.CO.; - il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio; - l'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge; - la legge n. 47 del 1985, all'art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della legge n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale; - il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede e limita il diritto di proprietà dell'area. 1.4 Sotto un quarto profilo l'appellante sostiene che: - il Comune, nel 2006, ha riscontrato la richiesta di un condomino, dichiarando che la I.S.CO., non ha mai sottoscritto nessun atto d'impegno o convenzione urbanistica con il Comune, per cui, non ha assunto alcun obbligo; - la I.S.CO. ha corrisposto al comune integralmente gli oneri concessori per realizzare le opere di urbanizzazione primaria, in cui ricadono anche le aree di parcheggio previste dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, esonerandosi dall'obbligo di dover realizzare opere di urbanizzazione; - l'art. 16, comma 2, del d.p.r. 380/01, in cui è stato trasfuso l'art. 11 della l. 10/77, prevede "2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune"; - tra le opere di urbanizzazione, elencate al comma 7 del medesimo articolo, ci sono anche "7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: (omissis) spazi di sosta o di parcheggio,". Avendo elencato tra le opere di urbanizzazione al comma 4, quelle prescritte dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l.u. 1150/42. 2. Il motivo è infondato. Parte appellante mira a rimettere in discussione la fonte dell'esistenza della servitù di uso pubblico (facendo leva anche sulle pronunce emesse in contenziosi civili) così da affermare che la stessa non è opponibile ai terzi che hanno acquistato in buona fede. Ma non è possibile aderire a siffatta prospettazione. L'abusività delle opere di recinzione per contrasto con i parametri edilizi ed urbanistici previsti dalla legge e recepiti dal Comune di Caserta nei propri atti di pianificazione territoriale, nonché per violazione delle prescrizioni di cui alla concessione edilizia n. 162/1992, è stata definitivamente accertata nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza n. 49840 del 9.12.2002 di demolizione della recinzione dell'area di parcheggio già realizzata dal costruttore del Pa. Sc. conclusosi con sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 1893/08. Nella sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006 si legge testualmente: "Passando alla fattispecie sottoposta all'esame del Collegio, si deve innanzi tutto rilevare che "la concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992... prevede per la sistemazione esterna un'area di parcheggio pubblico di proprietà privata di mq 3245", come evidenziato nella relazione in data 21 luglio 2005 a firma del dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica del Comune di Caserta (depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 631/2005). Inoltre, dalla successiva relazione in data 14 marzo 2006, a firma dello stesso dirigente, si desume chiaramente che tale prescrizione discende dalle previsioni introdotte nel P.R.G. del Comune di Caserta in applicazione del penultimo comma dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942. Infatti in tale relazione è stato evidenziato che gli indici e parametri della Zona omogenea B2 previsti dall'art. 10 delle Norme Tecniche del PRG adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11/1983 (che contiene solo un riferimento alla "quota di parcheggi fissata dall'art. 18 della legge n. 765/1967") sono stati modificati con il Decreto di approvazione del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/1987, con il quale è stato previsto il parametro del "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata" (introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967) in aggiunta al parametro del parcheggio privato di cui all'art. 18 della legge n. 765/1967. Ne consegue che il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Caserta è legittimamente intervenuto con il provvedimento impugnato per ripristinare l'uso pubblico delle aree di proprietà del condominio ricorrente destinate parcheggio di uso pubblico. Né rileva l'ulteriore censura, secondo la quale l'Amministrazione comunale con l'adozione dell'avversato ordine di demolizione avrebbe posto in essere una procedura acquisitiva che esula dalle previsioni di legge, allo scopo di procurarsi parcheggi di uso pubblico senza corrispondere alcun indennizzo ai proprietari delle aree. Infatti il provvedimento impugnato mira soltanto a ripristinare la destinazione delle aree in questione prevista dalla concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992 in attuazione dei parametri introdotti dagli strumenti urbanistici, sicché la censura in esame avrebbe dovuto essere ritualmente proposta avverso tali provvedimenti e quindi risulta inammissibile in questa sede". La sentenza del Tar per la Campania appena citata è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/2008 che, a propria volta, ha testualmente affermato: "Invero, il fatto che all'atto del rilascio della concessione edilizia n. 162/92, nell'elaborato grafico ad essa allegato, sussistesse l'indicazione di un'area privata di parcheggio ad uso privato, non costituiva, come sostenuto dal condominio appellante, una mera annotazione ovvero una dichiarazione di intenti, priva di valore giuridico, ma rappresentava piuttosto la trasposizione o (quanto meno) l'evidenziazione grafica delle puntuali previsioni del vigente strumento urbanistico generale, così come approvato dall'amministrazione provinciale di Caserta, a cui era subordinato necessariamente il rilascio del titolo edilizio. L'ordinanza impugnata, con la quale il Comune di Caserta ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, lungi dall'atteggiarsi ad inammissibile provvedimento espropriativo, costituisce invece doverosa esplicazione del potere di controllo del territorio sub specie di verifica che il beneficiario del titolo edilizio si sia effettivamente attenuto a quanto in esso assentito, senza compiere abusi: del resto, la sua attenta lettura fuga al riguardo ogni dubbio, risultando espressamente che essa si fonda su di un verbale di sopralluogo della polizia municipale che ha accertato discordanze dello stato dei luoghi rispetto ai grafici della concessione edilizia n. 162 del 1992 (variante della precedente concessione n. 138/91). A ciò consegue che le censure rivolte avverso la predetta ingiunzione risultano essere infondate, attendendo in realtà non già al corretto uso da parte dell'amministrazione comunale del potere esercitato di controllo urbanistico del territorio, bensì alla asserita illegittimità della stessa previsione dello strumento urbanistico vigente (che prevedeva un parcheggio pubblico di uso anche privato, senza alcun indennizzo ovvero senza che fosse stato all'uopo previsto un apposito vincolo urbanistico sulla relativa area), doglianza che, però, doveva essere fatta valere o nei confronti del provvedimento di approvazione dello strumento urbanistico ovvero nei confronti della concessione edilizia, espressamente e comunque inevitabilmente subordinata al rispetto delle previsioni del predetto strumento urbanistico e che, in ogni caso, non poteva invece giammai essere avanzata per la prima volta nei confronti dell'ordinanza dell'amministrazione comunale finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, per rendere questi ultimi conformi nello stato di fatto alla previsione di diritto risultante dal titolo edilizio. Alla luce di tali osservazioni perdono ogni rilevanza le questioni dedotte dall'appellante circa il dubbio sulla natura di parcheggi aggiuntivi di quelli di cui si discute (dubbio peraltro privo di fondamento, essendo pacifica la natura di parcheggi aggiuntivi di cui all'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il provvedimento della Provincia di Caserta di approvazione del piano regolatore del Comune di Caserta, ciò senza contare che dalla stessa documentazione esibita dall'appellante risulta respinta l'istanza di sanatoria più volte presentata proprio per questa ragione), circa la asserita natura di vincolo espropriativo che contraddistinguerebbe la predetta previsione di piano regolatore e circa la necessità della trascrizione del vincolo stesso ovvero della previsione contenuta nella concessione edilizia, ai fini della sua opponibilità al condominio". Il Tar per la Campania, nella citata sentenza n. 5247/2013 resa tra le parti dell'odierno giudizio e passata in giudicato, così ha ulteriormente ribadito: "Passando all'esame del merito, punto centrale di contestazione tra le parti è se la superficie da destinare a parcheggio pubblico, quindi da non recintare con muro e cancelli, fosse quella, maggiore, di mq. 3.245, riconducibile alla concessione edilizia n. 162 del 1992, o piuttosto quella di mq 1.650, risultante dal rapporto legale tra spazi da destinare a parcheggio e volumetria realizzata nella misura di 1mq/20mc. Rileva al riguardo il Collegio che gli elementi fondamentali che costituiscono un intervento edilizio devono tutti ricondursi al titolo edificatorio di riferimento; questo, se da un lato potrebbe essere inteso come una sostanziale applicazione vincolata a titolo particolare della disciplina urbanistica generale, nel senso che ne attualizza specifiche previsioni attraverso l'attivazione dello ius ad aedificandum, dall'altro contiene ulteriori aspetti che si colorano di profili di discrezionalità amministrativa (prescrizioni di limiti e modalità costruttive, termini di inizio e completamento delle opere, eventuali operazioni di asservimento, opere a scomputo) o di poteri pubblici di altra natura (fissazione degli oneri concessori e dei costi di costruzione). Il permesso di costruire, in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire, non a caso simili eventualità ricadendo nel regime sanzionatorio previsto dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; pertanto, deve ritenersi che, ferma restando la disciplina dell'intervento edilizio come stabilita nella concessione n. 162 del 1992, non avrebbe potuto il condominio con la s.c.i.a. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio. Non va dimenticato che l'istituto di cui all'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in nessun modo può essere assimilato ad un provvedimento amministrativo, restando sul piano di una dichiarazione negoziale di intenti da parte di un privato. Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". In assenza di interventi sulla concessione edilizia del 1992, il condominio resta vincolato alle condizioni di quest'ultimo provvedimento, anche in relazione alle superfici da destinare a parcheggio di proprietà privata ad uso pubblico. Correttamente il Tar ha accolto il ricorso proposto in primo grado sostenendo per un verso che il permesso di costruire in sanatoria era stato emesso dal Comune di Caserta in violazione delle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992 e per altro verso che il Comune avesse illegittimamente consentito che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico. 3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo. Omessa istruttoria. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Omessa e/o erronea applicazione degli artt. 825, 826 e 829 c.c. L'appellante ritiene che altro deficit motivazionale e di istruttoria nella sentenza gravata si ha per l'omessa e/o distorta applicazione degli articoli del codice civile n. 825 (Diritti demaniali su beni altrui) n. 826, comma 3 (Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni), n. 829 (Passaggio di beni dal demanio al patrimonio). In particolare si sostiene che i giudici di primo grado hanno completamente omesso di valutare che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc., non è stata mai acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, e né tantomeno sono state applicate le forme di pubblicità stabilito dal regolamento comunale. Inoltre l'appellante, riportando per esteso un passaggio (punti da 10.2 a 11.1) della sentenza della Cassazione n. 12793/2005, sostiene che mentre il vincolo di destinazione per legge di un'area a parcheggio, essendo di natura inderogabile, non può essere modificato dalle parti, il vincolo di destinazione a parcheggio in virtù di atto d'obbligo, essendo di natura convenzionale, può essere modificato dalle parti e non richiede che tale area sia predeterminata nella sua estensione, stante il principio di autonomia. 4. Il motivo è infondato. Le questioni sollevate risultano coperte dal giudicato formatosi sulle sentenze richiamate al punto precedente. Mette conto notare, in ogni caso, che la sentenza della Cassazione citata da parte appellante si riferisce specificamente ai rapporti tra privato costruttore e condominio in ordine alla possibilità di alienare, separatamente dalle abitazioni di cui costituiscono pertinenza, le aree private vincolate a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall'art. 18 della legge n. 765/1967). Nel caso di specie, invece, rileva il regime delle aree a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, di cui all'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967. 5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Palese erroneità dei presupposti di fatto. Motivazione erronea. Carente istruttoria. Erronea applicazione dell'art. 137 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 come modificato e integrato dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301. L'appellante critica le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rilevanza della S.C.I.A. affermando che: - tali statuizioni sono palesemente errate perché poggiano sull'erroneo presupposto che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. abbia un vincolo di destinazione ad uso pubblico, quando invece, per quanto sopra dimostrato, tale vincolo non sussiste, per le argomentazioni analiticamente svolte nei precedenti motivi; - un ultimo argomento proviene dal d.p.r.380/2001, n. 380, il cui art. 137 prevede che "all'articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, il comma 2 è sostituito del seguente: '2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio di attività '"; - il titolo abilitativo alla realizzazione del posto auto è oggi costituito non più dall'autorizzazione bensì dalla denuncia di inizio di attività ; - non si ha più un provvedimento, come quello dell'autorizzazione, con allegato atto d'obbligo da cui poter desumere i riferimenti inerenti al parcheggio; - secondo la Cassazione (sentenza prima citata) i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legale (art. 18 legge 6.8.1967, n. 765), non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, conseguentemente l'originario proprietario-costruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo; - quanto sancito dalla Cassazione è in perfetta linea con le disposizioni dell'art. 3 del d.m. 1444/68, applicato con il D.P.P. comune di Caserta n. 5464/87; - il massimo consentito nella destinazione a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata del D.P.P. di Caserta 5464/87, è il 5% del volume costruito e non il 10% come è la superficie dell'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc.; - ne consegue che l'area di parcheggio in più è da considerare privata e a disposizione dei proprietari, tranne che il Comune non esibisca un atto d'impegno o una convenzione urbanistica. 6. Il motivo è infondato. L'assunto che parte appellante mira a revocare in dubbio è coperto dal giudicato formatosi sulla citata sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013 che ha stabilito che: (i) "Il permesso di costruire (i.e.: c.e. n. 162/92) in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire"; (ii) "il condominio con la S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio"; e (iii) "Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". 7. L'appellante ha, infine, ha avanzato una richiesta istruttoria chiedendo al Collegio di invitare il Comune ad esibire (i) l'atto costitutivo del vincolo ad uso pubblico dell'area di parcheggio, (ii) gli oneri concessori e di urbanizzazione pagati dalla I.S.CO. o lo scomputo degli stessi e (iii) l'atto con cui la I.S.CO. si è obbligata a realizzare l'opera di urbanizzazione primaria, nel caso di che trattasi, area di parcheggio ad uso pubblico di proprietà privata prevista dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67 (art. 41-quinquies l. 1150/42). 8 La richiesta non può essere accolta perché l'acquisizione dei documenti richiesti sarebbe irrilevante, ovvero non necessaria, rispetto alle conclusioni raggiunte. 9. La sentenza impugnata ha censurato "in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta". Il Comune ha mantenuto, nel presente giudizio, un comportamento oscillante. In primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dai condomini odierni appellati. In grado di appello ha chiesto il rigetto dell'impugnativa proposta dai condomini. Peraltro non si comprende perché, chiedendo il rigetto dell'appello, non abbia ritirato l'atto impugnato in primo grado. Tale atteggiamento giustifica la statuizione sulle spese di seguito espressa. 10. Per le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra Condominio appellante e condomini appellati. Spese compensate nei rapporti con il Comune. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il Condominio Pa. Sc. al pagamento, in favore del signor El. Ro., delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei rapporti con il Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 815 del 2022, proposto da: Pi. Pe. e Lo. Qu., rappresentati e difesi dall'avvocato Ba. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico eletto presso l'avvocato Ni. La. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. De Ma. e Ba. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico eletto presso l'avvocato Da. Va. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Seconda, n. 00512/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Cons. Francesco Cocomile; Per parti nessun difensore è comparso; Viste le istanze di passaggio in decisione dei sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. e del Comune di (omissis); Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. - Gli odierni appellanti Pi. Pe. e Lo. Qu. sono proprietari di un edificio residenziale e di un terreno, situati nel Comune di (omissis), in via (omissis). L'area è classificata tra gli ambiti del tessuto urbano consolidato ed è sottoposta a vincolo paesistico ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. c), dlgs n. 42/2004 (i.e. fascia di (omissis) metri dal torrente Ze.). Un secondo vincolo paesistico è stato imposto dalla Regione con DGR 30 settembre 2004 n. 7/18877, adottata ai sensi dell'art. 136, comma 1, lett. c) e d), dlgs n. 42/2004, in quanto è stato riconosciuto il notevole interesse geomorfologico, naturalistico e storico-culturale del sistema collinare di (omissis), (omissis) e (omissis). La Polizia locale a seguito di sopralluogo in data 29 marzo 2012 accertava la realizzazione senza titolo edilizio e senza autorizzazione paesistica delle seguenti opere: (i) copertura, mediante una soletta in cemento armato, di un tratto della (omissis) ulteriore rispetto a quanto assentito con la concessione edilizia n. 1194 del 4 febbraio 1993 e con la concessione edilizia n. 1357 del 2 agosto 1996 (la soletta non autorizzata ha una lunghezza di circa 9 metri); (ii) realizzazione di un deposito/ripostiglio in legno, avente superficie pari a circa 12 mq e altezza di gronda pari a 2,20 metri, collocato al di sopra della soletta che copre la (omissis); (iii) realizzazione di altri due depositi in legno, il primo avente superficie pari a circa 17 mq e altezza di gronda pari a 2,50 metri, con un piccolo portico di 9 mq e altezza di gronda pari a 2,50 metri, il secondo, situato in adiacenza a un manufatto di altra proprietà (con sporto di 2,10 metri), avente superficie pari a circa 15 mq e altezza di gronda pari a 2,30 metri, con apposita pavimentazione dell'area circostante; (iv) prosecuzione della recinzione esistente per una lunghezza di 8,50 metri, con posa di un cancello per accesso carraio di larghezza pari a 3,50 metri (nella DIA prot. n. 3361 di data 8 ottobre 1996 era rappresentato soltanto il muretto lungo il confine est del mappale n. 305/c); (v) incremento volumetrico dell'edificio residenziale, attraverso la realizzazione di un loggiato coperto al primo piano e di un corrispondente porticato al piano terra, aventi ciascuno superficie pari a circa 11 mq (con sporto di 2,80 metri) e altezza di gronda pari a 5,50 metri (3,24 metri all'interpiano), in difformità da quanto assentito nella concessione edilizia n. 995 di data 2 febbraio 1990; (vi) realizzazione di un manufatto in muratura, composto da un locale per bricolage di circa 24 mq, un piccolo portico di circa 6 mq, un'autorimessa di circa 16 mq, e un ripostiglio di circa 1,50 mq, il tutto situato in adiacenza a un manufatto di altra proprietà . Il Responsabile dei Servizi Edilizia Pubblica e Privata con provvedimento n. 9 del 17 settembre 2012 ordinava ai ricorrenti la demolizione delle opere abusive ai sensi dell'art. 31, comma 2, d.p.r. n. 380/2001. I sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. impugnavano detta ordinanza dinanzi al T.A.R. Lombardia, sede di Brescia con gravame r.g. n. 1378/2012, ma il Tribunale respingeva il ricorso con sentenza n. 420 del 21 marzo 2015 (passata in giudicato). Il Responsabile dell'Area Tecnica, con nota prot. n. 9711 del 10 novembre 2017 (notificata il 21 novembre 2017), ribadiva ai ricorrenti la necessità di procedere alla demolizione delle opere abusive, in considerazione della citata sentenza del T.A.R. Brescia n. 420/2015, del divieto di edificazione nei nuclei di antica formazione, dei vincoli paesistici, della classificazione nella zona 1 del PAI, e del divieto di opere nei pressi dei corsi d'acqua stabilito dall'art. 96 del RD 25 luglio 1904 n. 523. Per il caso di mancata ottemperanza all'ordine di demolizione, veniva prospettata la sanzione della perdita della proprietà del terreno ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, oltre alla sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, d.p.r. n. 380/2001, da applicare nella misura massima all'interno delle aree sottoposte a vincolo paesistico o idrogeologico. Con verbale di constatazione e verifica del 9 marzo 2018 la Polizia locale accertava l'ottemperanza solo parziale all'ordine di demolizione. La situazione era descritta nei termini seguenti: (a) il punto (i) non è stato ottemperato, e dunque è rimasta al suo posto, al di sopra della (omissis), una superficie non assentita pari a 30,60 mq (9 x 3,40 metri); (b) il punto (iii) è stato ottemperato parzialmente, in quanto non è intervenuta la demolizione del secondo deposito, avente superficie pari a circa 15 mq; (c) il punto (v) non è stato ottemperato completamente, in quanto è stato conservato l'incremento volumetrico corrispondente alla superficie di 11 mq, con sporto di 2,80 metri; (d) il punto (vi) è stato ottemperato parzialmente, in quanto non è stato demolito il ripostiglio avente superficie pari a circa 1,50 mq. Constatato il carattere parziale dell'ottemperanza, il Responsabile dell'Area Polizia locale, con provvedimento prot. n. 2517 del 21 marzo 2018, applicava ai sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, d.p.r. n. 380/2001, nella misura massima di Euro 20.000,00. Per lo stesso motivo il Responsabile dell'Area Tecnica, con ordinanza n. 4 del 23 marzo 2018, disponeva l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 delle opere non demolite, per una superficie pari a circa 58,10 mq, e dei mappali n. 1284, n. 2508 e n. 1290, aventi superficie non superiore a 10 volte il sedime delle opere abusive, per creare un'area funzionale all'accesso al medesimo sedime. In data 28 maggio 2018 i ricorrenti richiedevano la sanatoria edilizia e paesaggistica della copertura abusiva della (omissis). Entrambe le istanze venivano respinte dal responsabile dell'Area Tecnica, con distinti ma complementari provvedimenti rispettivamente prot. n. 6716 e prot. n. 6720 del 30 luglio 2018, nei quali si evidenziava in particolare che lo studio del reticolo idrografico comunale include la (omissis) nel reticolo idrico minore. 2. - Con ricorso introduttivo, integrato da motivi aggiunti, proposto dinanzi al T.A.R. Lombardia, Sezione staccata di Brescia, i sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. contestavano i menzionati provvedimenti, formulando censure che possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione del giusto procedimento, in quanto il Comune avrebbe dovuto attendere la presentazione delle domande di sanatoria, e far decorrere il termine di demolizione dalla reiezione delle stesse, in modo da valutare adeguatamente le allegazioni riguardanti la natura privata della (omissis) e il contenuto della concessione edilizia n. 1357 del 2 agosto 1996 (che avrebbe autorizzato la copertura integrale della suddetta Roggia); (ii) travisamento, in quanto, alla data del sopralluogo della Polizia locale, sui manufatti non interamente rimossi erano in corso le operazioni di demolizione, e le strutture rimaste intatte erano comunque finalizzate a trasformare i manufatti in opere del tutto diverse, che avrebbero richiesto un'autonoma valutazione ed eventualmente un nuovo ordine di demolizione; (iii) difetto di istruttoria, in quanto la (omissis) non avrebbe natura pubblica, essendo priva di acqua e non interessata da concessioni di derivazione; (iv) sviamento, in quanto l'acquisizione gratuita del sedime servirebbe a sanare l'occupazione illegittima della proprietà dei ricorrenti per la posa di un tratto della fognatura comunale (v. relazione del geom. Ni. Be.); (v) erronea applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, d.p.r. n. 380/2001 nella misura massima, sia perché la disposizione è stata introdotta dall'art. 17, comma 1, lett. q-bis), decreto-legge n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164/2014, e dunque è successiva all'ordinanza di demolizione n. 9/2012, sia perché le opere abusive sono anteriori alla costituzione del vincolo paesistico di cui alla DGR 30 settembre 2004 n. 7/18877, e si collocano inoltre nel centro storico, dove le fasce di rispetto sono escluse ai sensi dell'art. 142, comma 2, lett. a), dlgs n. 42/2004. Oltre all'annullamento degli atti impugnati, veniva chiesta la condanna del Comune a restituire, previa rimessione in pristino, il terreno illegittimamente occupato e utilizzato per la realizzazione della fognatura comunale. Era, inoltre, richiesta la condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni derivanti dall'illegittima occupazione e dalla trasformazione di tale terreno. 3. - L'adito T.A.R., nella resistenza dell'intimata Amministrazione, con la sentenza segnata in epigrafe, respingeva il ricorso. 4. - Con rituale atto di appello i sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. chiedevano la riforma della predetta sentenza, deducendo i seguenti motivi: "I. Error in iudicando. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Illogicità manifesta. Necessaria rinnovazione dell'ordine di demolizione per la presentazione della domanda di fiscalizzazione e/o sanatoria. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 31, 34 e 36 D.p.r. 380/2001. II. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2700 c.c. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Illogicità manifesta. Difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Illegittimità derivata dell'ordinanza di sgombero. III. Error in iudicando. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Illogicità manifesta. Difetto di motivazione. Travisamento. Violazione di legge in relazione all'omessa determinazione catastale dell'area oggetto di acquisizione ai fini della trascrizione. IV. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione del comma 4 bis dell'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001. Violazione del principio di legalità e di irretroattività . Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. V. Error in iudicando. Sulla condanna del Comune a restituire ai ricorrenti, previa sua rimessa in pristino, oltre risarcimento dei danni per il periodo di illecita occupazione. VI. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 96 R.D. 523/1904 e 115 T.U. Ambiente. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Travisamento. Potere di revoca. VII. Error in procedendo: omesso esame del primo motivo relativo al ricorso per motivi aggiunti. Difetto di motivazione e istruttoria. Violazione dell'art. 97 della Costituzione e dei principi di buon andamento e efficacia della Pubblica Amministrazione. Eccesso di potere per erroneità e travisamento dei fatti. Difetto di motivazione e istruttoria. VIII. Error in procedendo: omesso esame relativo al secondo motivo di impugnazione proposto con ricorso per motivi aggiunti. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36 D.p.r. 380/2001. Eccesso di potere per erroneità e travisamento dei fatti. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinques della L. n. 241/1990. IX. Error in procedendo: omesso esame relativo al quarto motivo di impugnazione proposto con ricorso per motivi aggiunti - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 167 D. Lgs 42/2004 - Eccesso di potere per erroneità e travisamento dei fatti. X. Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione del R.D. 523/1904 e D. Lgs 154/2006. Eccesso di potere per erroneità e travisamento dei fatti. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.". 5. - Resisteva al gravame il Comune di (omissis), chiedendone il rigetto. 6. - All'udienza pubblica del 7 maggio 2024 la causa veniva trattenuta in decisione. 7. - Ciò premesso, ritiene questo Giudice che l'appello debba essere in parte respinto e in parte accolto. 7.1. - Con il primo motivo gli appellanti contestano la circostanza che "Il Giudice a quo non ha preliminarmente colto che l'ordinanza di sgombero e acquisizione al patrimonio comunale prot. n. 2570/18 era illegittima perché non è stata preceduta dalla doverosa rinnovazione dell'ordinanza di demolizione delle opere residue, necessaria in seguito all'esame della domanda di fiscalizzazione (doc. 4 fasc. primo grado) e sanatoria (doc. 13 fasc. primo grado)." (cfr. pag. 4 dell'atto di appello). Il motivo non può trovare accoglimento. In primo luogo in punto di fatto va rilevato che il Pe. ha presentato al Comune di (omissis) la domanda di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.p.r. n. 380/2001 e la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica solo in data 28 maggio 2018, dunque a seguito dell'adozione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del 23 marzo 2018 e del provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, d.p.r. n. 380/2001, entrambi gravati con il presente giudizio. Del pari la richiesta di fiscalizzazione, presentata in data 4 settembre 2017, fu espressamente rinunciata dai ricorrenti in data 1° marzo 2018, tanto è vero che solo dopo detta rinuncia il Comune effettuava in data 9 marzo 2018 il sopralluogo che accertava definitivamente l'inottemperanza ai provvedimenti repressivi. Non vi era, pertanto, la necessità di rinnovazione del procedimento sanzionatorio con l'adozione di un nuovo provvedimento di ripristino dopo quello (n. 9/2012) già confermato con sentenza del T.A.R. Brescia n. 420/2015 passata in giudicato. Seguendo l'impostazione di parte appellante, infatti, si dovrebbe giungere alla conclusione che un ordine di demolizione la cui legittimità è coperta da giudicato non potrebbe essere eseguito per il solo fatto della presentazione di una successiva domanda di fiscalizzazione (peraltro oggetto di successiva rinuncia), così inammissibilmente eludendo il giudicato stesso. Il motivo è comunque infondato in diritto, posto che - come evidenziato da Cons. Stato, Sez. VI, 29 settembre 2020, n. 4829 - "... la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un'automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione; nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere (da verificare nel caso di specie da parte degli organi comunali), l'efficacia dell'ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 16/03/2020, n. 1848)...". Sul tema specifico, inoltre, Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2023, n. 9148 ha sottolineato: "... deve trovare applicazione l'indirizzo giurisprudenziale in forza del quale la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso ma determina una mera sospensione dell'efficacia dell'ordine di demolizione con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022, n. 8320). Infatti, per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell'atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia. Diversamente da quanto previsto in materia di condono, nel caso di istanza di accertamento di conformità non vi è alcuna regola che determini la cessazione dell'efficacia dell'ordine di demolizione i cui effetti sono, quindi, meramente sospesi fino alla definizione del procedimento ex art. 36 d.p.r. n. 380/2001 (Cons. Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2022, n. 9070)....". In conclusione, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, non vi è necessità di rinnovazione dell'ordine di demolizione una volta rigettata l'istanza di condono. Inoltre, deve rilevarsi che in caso di abusi edilizi l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. II, 4 aprile 2024, n. 3085 e Cons. Stato, Sez. II, 8 aprile 2024, n. 3202). 7.2. - Con il secondo motivo di appello i sig.ri Pe. e Qu. contestano i rilievi effettuati dalla Polizia locale in data 9 marzo 2018, sostenendo di aver integralmente ottemperato alla sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, n. 420/2015, dal momento che i manufatti abusivi sarebbero stati tutti smontati e si troverebbero ancora sulla medesima area di costruzione. L'unico manufatto non demolito, secondo la ricostruzione della parte appellante, sarebbe la copertura della (omissis). Il motivo non è meritevole di positivo apprezzamento. Invero, con detto motivo gli appellanti mirano a rimettere in discussione il giudicato di cui alla citata sentenza n. 420/2015. Già limitandosi alla contestazione relativa allo smontaggio dei manufatti abusivi diversi dalla copertura della Roggia, la stessa risulta infondata. In primo luogo deve essere evidenziato che il verbale della Polizia locale del 9 marzo 2018 (che accertava l'ottemperanza solo parziale all'ordine di demolizione) fa fede fino a querela di falso, querela che non risulta i sig.ri Pe. e Qu. abbiano presentato. Pertanto, nulla può essere eccepito circa la correttezza dei rilievi effettuati dai Pubblici Ufficiali. In secondo luogo la situazione di fatto è mostrata chiaramente dalle fotografie allegate al menzionato verbale di sopralluogo del 9 marzo 2018, da cui si evince che gli odierni appellanti continuavano a quella data ad occupare illegittimamente le aree (peraltro sottoposte a vincolo paesaggistico di inedificabilità assoluta PAI e inserite in Nuclei di Antica Formazione) con i medesimi manufatti abusivi che risultano semplicemente appoggiati, ancorché non più ancorati al suolo. È evidente dunque che una simile situazione integra gli estremi dell'inottemperanza all'ordine di demolizione n. 9/2012 ingiunto a suo tempo dall'Amministrazione comunale e confermato dal T.A.R. con la sentenza n. 420/2015 che merita dunque di essere ribadita, data la persistenza delle opere abusive ed il mancato ripristino dello stato dei luoghi. E ciò a maggior ragione, in terzo luogo, in relazione alla specifica fattispecie del manufatto abusivo rappresentato dal loggiato che - come appare anche in tal caso chiaramente dal supporto fotografico - è rimasto con delle rilevanti travi a vista, totalmente avulse dal contesto edilizio e urbano esistente, la cui proiezione continua a insistere sull'area oggetto di abuso e ben può permettere in futuro di installare nuove coperture abusive. Anche in questo caso, dunque, il manufatto abusivo è stato demolito solo parzialmente, come correttamente rilevato dalla Polizia locale nel verbale del 9 marzo 2018. A tal riguardo, va sottolineato che, come evidenziato da T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 dicembre 2011, n. 3368 (con motivazione condivisa da questo Giudice e correttamente richiamata a pag. 3 dell'impugnata ordinanza di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale e immissione in possesso n. 4 del 23 marzo 2018), "... l'adempimento dell'ordinanza di demolizione, per evitare l'acquisizione gratuita, deve essere integrale; del resto, anche in materia civile, l'adempimento parziale viene assimilato sostanzialmente all'inadempimento, giacché è reputato adempiente il solo debitore che esegue esattamente la prestazione dovuta (così argomentando dagli articoli 1181 e 1218 del codice civile)....". 7.3. - Parimenti infondato è il terzo motivo di appello, con cui viene contestata l'estensione dell'area oggetto di acquisizione al patrimonio comunale. Gli appellanti lamentano che la pretesa illegittima qualificazione come abusivi dei manufatti rimasti e accatastati per essere successivamente smaltiti renderebbe illegittima altresì l'individuazione dell'area. Tuttavia, in forza di quanto rimarcato in precedenza, detti manufatti risultavano ancora da qualificarsi come abusivi al momento dell'accertamento, non rilevando il fatto che, in ragione della loro demolizione ancora parziale, avrebbero potuto essere in futuro smaltiti. Inoltre, la qualificazione abusiva al momento dell'accertamento risulta altresì dalla circostanza che la mancata rimozione dei manufatti de quibus ha comportato l'omesso ripristino dello stato dei luoghi cui era finalizzata l'ordinanza di demolizione n. 9 del 17 settembre 2012 adottato dall'Amministrazione comunale e confermata dal T.A.R. Brescia con sentenza n. 420/2015 (non appellata). Ne consegue che le opere per cui è causa hanno in realtà mantenuto la loro natura abusiva e che l'area di sedime determinata partendo da essi risulta correttamente individuata. Quanto alla lamentata valutazione dei manufatti nella loro originaria consistenza e non già nell'asseritamente diverso stato in cui si troverebbero in seguito alla parziale rimozione, deve evidenziarsi che - come dimostrato dal supporto fotografico - i beni abusivi insistevano sulle medesime porzioni di territorio, sebbene in taluni casi smontati o sradicati nei propri supporti. Pertanto, l'area di pertinenza è stata correttamente individuata nell'area sulla quale si proiettano tali manufatti parzialmente demoliti. Significativo è il caso del porticato, citato dalla parte istante a pag. 9 dell'atto di appello, poiché proprio le travi ancora esistenti, totalmente ancorate al tetto e ben sporgenti rispetto alla sagoma dell'edificio, si proiettano a terra, configurando proprio quell'area di sedime che l'art. 31, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 considera acquisita di diritto dall'Ente locale in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione. Va, infatti, osservato che, in virtù delle "Definizioni uniformi" contenute nell'Allegato A ("Quadro delle definizioni uniformi") al modello tipo di Regolamento edilizio assunto dalla Conferenza Unificata Stato, Regioni, Comuni in data 20 ottobre 2016, per "sedime" deve appunto intendersi "l'impronta a terra dell'edificio o del fabbricato, corrispondente alla localizzazione dello stesso sull'area di pertinenza". Va, altresì, evidenziato che comunque l'art. 31, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 statuisce che, oltre al bene e all'area di sedime, è acquisita di diritto anche l'area "necessaria, secondo le vigenti disposizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive". Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 21 luglio 2023, n. 7160), il Comune può dunque legittimamente acquisire aree ulteriori rispetto a quelle di sedime degli abusi purché fornisca adeguata motivazione sul punto. A tal riguardo l'ordine di sgombero n. 4/2018 è compiutamente motivato, giustificando l'acquisizione delle aree ulteriori al fine di creare un'area unitaria di accesso ai manufatti (v. pag. 4 del provvedimento n. 4 del 23 marzo 2018 ove si specifica che: "i predetti mappali risultano altresì funzionali a creare un'area unitaria volta determinare un passaggio ed accesso diretto alle aree di sedime di proprietà dei responsabili e su cui insistono gli abusi non ottemperati ed anche alla soletta di copertura della (omissis) di altrui proprietà, di cui al punto n. 1) sopra esplicitato, ed al deposito attrezzi/ripostiglio tipo pensilina chiusa di cui al punto n. 3) e posto oltre la roggia medesima, risultando dunque gli stessi pari all'area minima per consentire l'accesso a tutti i manufatti abusivi"). Né gli appellanti hanno mai contestato la legittimità di tale motivazione. Anche questo motivo, dunque, è infondato. 7.4. - Fondato è invece il quarto motivo di appello, volto a censurare il profilo della applicazione, con l'impugnato provvedimento del 21 marzo 2023, della sanzione accessoria ex art. 31, comma 4-bis, d.p.r. n. 380/2001 di Euro 20.000,00 nei confronti dei sig.ri Pe. e Qu., assumendo che ciò rappresenterebbe una violazione dei principi di legalità e irretroattività della legge, anche per la ritenuta natura istantanea dell'illecito sanzionato con la sanzione pecuniaria. Preliminarmente, si evidenzia che in forza del citato comma 4-bis dell'art. 31 d.p.r. n. 380/2001 (inserito dall'art. 17, comma 1, lett. q-bis), decreto-legge n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164/2014) "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.". Detto motivo merita accoglimento, dovendosi condividere le argomentazioni svolte sul punto dalla parte appellante. In primis va rimarcato che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa comunale a pag. 12 della memoria del 5 aprile 2024, gli appellanti hanno sicuramente legittimazione attiva alla contestazione della sanzione pecuniaria de qua, in quanto gli stessi sono indiscutibilmente i destinatari di detta sanzione alla luce del contestato provvedimento del 21 marzo 2018. Nel merito deve evidenziarsi che l'impugnato provvedimento del 21 marzo 2018 dispone la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, ingiungendone appunti il pagamento ai sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu.. Tuttavia, la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16 dell'11 ottobre 2023 ha evidenziato a tal riguardo che "... la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere irrogata nei confronti di chi - prima dell'entrata in vigore della legge n. 164 del 2014 - abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all'ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore....". Ciò per salvaguardare i principi di irretroattività, desumibile nella materia sanzionatoria dall'art. 1 legge n. 689/1981, oltre che dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, di certezza dei rapporti giuridici, di tipicità e di coerenza. Nella fattispecie in esame opera detta statuizione dell'Adunanza Plenaria poiché prima dell'entrata in vigore della legge n. 164/2014 i sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. avevano già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni per ottemperare alla demolizione (risalente - come visto - al 17 settembre 2012) ed erano risultati inottemperanti a detto ordine, pur se tale inottemperanza è stata accertata solo dopo l'entrata in vigore della disposizione del 2014 con il verbale del 9 marzo 2018 e con il successivo provvedimento di acquisizione del 23 marzo 2018. Sul punto si richiamano le argomentazioni di cui a Cons. Stato, Sez. II, 22 febbraio 2024, n. 1767 rese su fattispecie analoga (par. 10.2.5 della motivazione). Ne discende che il motivo di appello sub 4) va accolto, con la conseguenza che la sentenza di primo grado n. 512/2021 va in parte qua riformata e che va annullato il censurato provvedimento del 21 marzo 2018 che irroga ai sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00. 7.5. - Con il quinto motivo di appello i sig.ri Pe. e Qu. lamentano l'asserita erroneità della statuizione di primo grado nella parte in cui ha rigettato sia la richiesta di restituzione del terreno di loro proprietà, illegittimamente occupato e utilizzato per la realizzazione della fognatura comunale, sia la relativa richiesta di risarcimento, in asserita violazione dei principi in materia di occupazione abusiva perpetrata dalla P.A., ritenuta un illecito permanente rientrante nel genus dell'art. 2043 cod. civ. Il motivo tuttavia non supera le condivisibili considerazioni svolte dal Giudice di primo grado nella sentenza appellata, secondo cui "... La circostanza che un tratto della fognatura comunale attraversi senza titolo la proprietà dei ricorrenti in corrispondenza dell'area acquisita al patrimonio del Comune non ha alcuna conseguenza ai fini del presente giudizio. La realizzazione di un'opera pubblica nel sottosuolo senza che sia contestualmente imposta una servitù di conduttura ricade nella previsione generale dell'art. 42-bis del DPR 8 giugno 2001 n. 327, che prevede l'obbligo per l'amministrazione di scegliere entro un termine ragionevole tra l'acquisizione della proprietà o della servitù e la restituzione del terreno ai proprietari. Nella prima ipotesi è dovuto un indennizzo pari al valore venale del bene. Deve poi essere corrisposto un risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo.... Questa disciplina non è utile ai ricorrenti nel caso in esame, in quanto l'acquisizione del terreno con il meccanismo dell'art. 31 comma 3 del DPR 380/2001 si colloca su un piano del tutto autonomo, e prevale sulle altre forme di acquisizione coattiva della proprietà, essendo espressione del potere-dovere di repressione degli abusi edilizi, che viene esercitato senza margini di libero apprezzamento e discrezionalità amministrativa. Una volta accertata l'inottemperanza a un ordine di demolizione, la perdita della proprietà segue automaticamente e senza indennizzo, e dunque gli autori delle opere abusive non possono chiedere la restituzione del terreno ex art. 42-bis del DPR 327/2001.... Rimane il problema del risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo prima dell'acquisizione della proprietà da parte del Comune, ma sotto questo profilo la domanda dei ricorrenti non può essere accolta, sia per l'eccessiva genericità della descrizione dei fatti, sia per la disconnessione rispetto alla causa petendi su cui si basa la parte impugnatoria del ricorso....". In ogni caso è evidente che nel momento in cui si riconosce la piena legittimità - in forza delle argomentazioni in precedenza esposte - dell'agere della pubblica amministrazione alla stregua dell'art. 31 d.p.r. n. 380/2001 con l'adozione dell'ordinanza di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale ed immissione in possesso n. 4 del 23 marzo 2018 (il che esclude che vi sia stata qualsivoglia occupazione sine titulo da parte della P.A. del fondo dei sig.ri Pe. e Qu.), non può ammettersi alcuna forma di risarcimento né in forma specifica, né per equivalente nei confronti degli appellanti, che evidentemente non possono considerarsi vittime di alcun illecito aquiliano. Il motivo è dunque infondato e va respinto. 7.6. - Con il sesto motivo di appello i sig.ri Pe. e Qu. censurano la sentenza nella parte in cui afferma l'impossibilità per gli stessi appellanti di ottenere la sanatoria della copertura della (omissis), in ragione della formazione del giudicato di cui alla sentenza n. 420/2015. In particolare gli appellanti sostengono la sanabilità della copertura della (omissis), poiché detta Roggia non sarebbe un corso d'acqua, bensì un canale privato completamente chiuso dove, dunque, non passerebbe acqua. Tale argomento, tuttavia, non può essere positivamente apprezzato da questo Collegio. La (omissis) risulta essere di proprietà della Mo. Ni. (circostanza non contestata dagli appellanti), essendo stata costruita in passato per portare acqua a un mulino privato; ciò, tuttavia, non costituisce alcuna esimente dall'obbligo di demolire l'illegittima copertura della medesima. Inoltre, dalla documentazione fotografica prodotta si evince in modo chiaro come in tale canale l'acqua scorra, sicché il medesimo non può dunque sfuggire al divieto di copertura dei corsi d'acqua previsto dalla normativa vigente (cfr. art. 115, comma 1, dlgs n. 152/2006: "Al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell'alveo, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto le regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune, comunque vietando la copertura dei corsi d'acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti."). Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, il vigente studio del reticolo idrografico comunale classifica la (omissis) quale corso d'acqua facente parte del reticolo idrico minore comunale. D'altronde, la Roggia è stata interessata anche recentemente da un intervento dell'Amministrazione finalizzato a garantire lo scorrimento dell'acqua nel suo corso, anche per ragioni igienico - sanitarie (cfr. documento n. 17 depositato dalla difesa comunale in primo grado in data 2 luglio 2018). Pertanto, la richiesta di sanatoria di detto abuso risalente al 28 maggio 2018 costituisce in realtà una illegittima modalità per aggirare il limite temporale di presentazione della domanda stessa (ex artt. 31, comma 3, e 36, comma 1, d.p.r. n. 380/2001), che come emerge per tabulas è stata notificata al Comune solo dopo l'adozione dell'ordinanza di sgombero e acquisizione delle aree n. 4 del 23 marzo 2018 e del provvedimento sanzionatorio del 21 marzo 2018 e, quindi, oltre il termine normativamente previsto. Inoltre, è necessario ribadire che la natura abusiva della copertura della Roggia è stata sancita dalla sentenza del T.A.R. Brescia n. 420/2015, non impugnata e passata oramai in giudicato. In materia di giudicato, la giurisprudenza amministrativa da tempo consolidata ritiene che "... il giudicato copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che sebbene non dedotte specificatamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia..." (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 13 dicembre 2019, n. 8482). L'eventuale adesione alla tesi sostenuta dai ricorrenti, secondo cui la (omissis) sarebbe un tombotto privato (cfr. pag. 21 dell'atto di appello) realizzato in ossequio alla previsione della normativa vigente (i.e. art. 115, comma 1, dlgs n. 152/2006), significherebbe non tenere conto del suddetto giudicato e dar seguito a una ricostruzione fattuale e giuridica non corretta, con il rischio di generare un potenziale contrasto di giudicati. Le considerazioni degli appellanti sono comunque infondate anche in fatto per le ragioni evidenziate e il motivo deve essere, pertanto, respinto. Infine, va evidenziato che ogni eventuale questione relativa alla sussistenza, con riferimento a detto motivo di appello incidente sulla materia delle acque (di cui si discute il carattere pubblico ovvero privato), della giurisdizione dell'adito Giudice amministrativo (rispetto all'ambito di cognizione riconosciuto ex lege al Tribunale superiore delle acque pubbliche) non può essere trattata, in quanto coperta dal giudicato implicito interno, non essendo stata la giurisdizione contestata in alcun modo in sede di appello (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. un., 14 dicembre 2022, n. 36695). 7.7. - Con i motivi settimo, ottavo, nono e decimo gli appellanti lamentano che la sentenza gravata avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi su ben quattro motivi di impugnazione sollevati con il ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado (avverso i provvedimenti del 30 luglio 2018 di diniego di sanatoria) e che i sig.ri Pe. e Qu. ripropongono in questa sede. Le censure, tuttavia, sono infondate e vanno respinte per le considerazioni che seguono. In particolare gli appellanti sostengono (cfr. pag. 23 dell'atto di appello) che "il Giudice di prime cure ha del tutto omesso di pronunciarsi sul palese difetto di forma dei dinieghi alla sanatoria impugnati, privi di adeguata motivazione e non preceduti dalla doverosa istruttoria - vizi questi che ne avrebbero comportato l'immediata caducazione". Le argomentazioni articolate dai sig.ri Pe. e Qu. sono infondate in punto di fatto: si è già avuto modo di evidenziare come le domande di sanatoria (risalenti al 28 maggio 2018) siano successive all'accertamento di inottemperanza (del 9 marzo 2018) e dunque, anche in ragione dei principi di cui alla già citata sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 16/2003, era doverosa l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria. Peraltro, gli appellanti si concentrano su asseriti difetti d'istruttoria, laddove i provvedimenti comunali (risalenti al 30 luglio 2018) di rigetto delle istanze di autorizzazione in sanatoria della Roggia evidenziano non solo l'assenza dei presupposti in fatto invocati dalla stessa parte appellante, ma anche la dirimente circostanza che le domande di sanatoria risultavano presentate tardivamente (i.e. in data 28 maggio 2018) dopo il termine di cui all'art. 36, comma 1, d.p.r. n. 380/2001, a fronte della allora già intervenuta adozione delle sanzioni amministrative (in data 21 marzo 2018). È sufficiente rilevare come con riferimento a tale profilo, che dà conto della totale assenza dei presupposti per ritenere ammissibili le domande di sanatoria, nulla hanno eccepito i sig.ri Pe. e Qu. nel presente giudizio, sicché anche in ragione della natura plurimotivata del provvedimento gravato in primo grado, la doglianza è infondata e va respinta. Sul punto si richiama Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2023, n. 5964: "... il provvedimento impugnato in primo grado è atto plurimotivato, rispetto al quale la giurisprudenza ha stabilito che "per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse; con la conseguenza che il rigetto delle doglianze svolte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento", sicché "il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze" (cfr., di questa Sezione, pareri n. 357/2022 e n. 205/2022, nonché sentenze Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6114 e Sez. V, 14 aprile 2020, n. 2403, 13 settembre 2018, n. 5362, 3 settembre 2003, n. 437" (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione I, parere n. 11/2023)....". A nulla vale il tentativo di parte appellante di sostenere una asserita violazione del principio costituzionale di buon andamento sancito dall'art. 97 Cost., lamentando così l'insufficiente motivazione degli impugnati provvedimenti di diniego del 30 luglio 2018. È noto oramai l'indirizzo della giurisprudenza amministrativa che ammette la motivazione c.d. per relationem disciplinata dall'art. 3, comma 3, legge n. 241/1990, purché siano espressamente indicati gli estremi o la tipologia dell'atto richiamato (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 3 dicembre 2019, n. 8276: "... Secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e conosciuto, nel caso di provvedimento motivato per relationem, non occorre necessariamente che l'atto richiamato dalla motivazione debba essere portato nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, essendo invece sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi o la tipologia dell'atto richiamato, dovendo essere l'atto stesso messo a disposizione ed esibito ad istanza di parte. Pertanto, si deve ribadire che, in sede di adozione di un atto amministrativo, va ammessa la motivazione per relationem, purché l'atto indicato al quale viene fatto riferimento, sia reso disponibile agli interessati e non vi siano pareri richiamati che siano in contrasto con altri pareri o determinazioni rese all'interno del medesimo procedimento...."), ciò che di fatto si è verificato nel caso di specie. Si pensi, a titolo esemplificativo, al richiamo nei rispettivi provvedimenti della comunicazione ex art. 10-bis legge n. 241/1990 con cui l'Amministrazione ha avuto cura di rendere edotti i sig.ri Pe. e Qu. dei motivi ostativi all'accoglimento della richiesta. Pertanto, i provvedimenti definitivi di diniego adottati dal Comune in data 30 luglio 2018 sono conformi non solo al paradigma legale dell'art. 3, comma 3, legge n. 241/1990, ma anche a quanto previsto per il diniego in materia di sanatoria qualora si tratti di opere realizzate in zone vincolate. Inoltre, priva di pregio risulta l'ulteriore argomentazione che fa leva sul principio della conservazione degli atti. Si tenta di far apparire le domande di sanatoria alla stregua di istanze di revoca dell'ordinanza di demolizione n. 9 del 17 settembre 2012 poiché, secondo la ricostruzione degli stessi interessati, si sarebbero verificati nuovi fatti non noti al momento dell'adozione del provvedimento. Tuttavia, dalla lettura delle istanze del 28 maggio 2018 è evidente che le stesse sono state presentate ai sensi rispettivamente dell'art. 36 d.p.r. n. 380/2001 e dell'art. 146 dlgs n. 42/2004 (disposizioni espressamente richiamate nelle suddette istanze), trattandosi quindi di chiare domande di accertamento di conformità edilizia e paesaggistica e non di richieste di autotutela cui comunque l'Amministrazione non sarebbe tenuta a fornire risposta. Come correttamente evidenziato dalla P.A. nei censurati provvedimenti di diniego di sanatoria del 30 luglio 2018, la richiesta di sanatoria - si ribadisce - è stata presentata tardivamente in data 28 maggio 2018 solo dopo l'adozione dell'ordinanza di sgombero e acquisizione delle aree (risalente al 2012) e oltre il termine ultimo previsto dall'art. 36, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 (i.e. irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria risalente al 21 marzo 2018). Peraltro, la natura abusiva della copertura della Roggia era stata confermata - come visto - dalla sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Brescia n. 420/2015, passata in giudicato e le doglianze articolate dagli appellanti paiono finalizzate a superare le preclusioni derivanti dalla formazione di detto giudicato. Infine, in relazione ai motivi di appello sub 9) e 10) (i.e. asserita erroneità dell'affermazione, contenuta negli impugnati provvedimenti di diniego, circa l'assenza di titolarità dei sig.ri Pe. e Qu. rispetto alla presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria e circa l'esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta sull'area in esame), va evidenziato che, a prescindere dalla fondatezza o meno di detti due motivi di appello, rimane insuperabile il fatto che, essendo i provvedimenti sfavorevoli de quibus plurimotivati, le precedenti condivisibili ragioni ostative di infondatezza, consentono l'assorbimento dei suddetti ultimi due motivi di appello (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2023, n. 5964). I motivi in esame vanno dunque respinti. 8. - Da quanto in precedenza esposto discende che l'appello dei sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. deve essere in parte respinto e in parte accolto. Pertanto la sentenza di primo grado va in parte qua riformata e l'impugnato provvedimento del 21 marzo 2018 (di irrogazione ai sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. della sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00) va annullato. 9. - In considerazione della peculiarità e complessità della presente controversia sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello r.g. n. 815/2022, come in epigrafe proposto, così provvede: 1) accoglie nei limiti di cui in motivazione l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie parzialmente il ricorso di primo grado e annulla il censurato provvedimento del 21 marzo 2018 (di irrogazione ai sig.ri Pi. Pe. e Lo. Qu. della sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00); 2) respinge per il resto l'appello. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Dario Simeoli - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Alessandro Enrico Basilico - Consigliere Stefano Filippini - Consigliere Francesco Cocomile - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8552 del 2023, proposto da Le Re. s.a.s. di Co. Pr., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato En. Ve., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro Regione Autonoma Valle D'Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Ca., Fr. Pa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Si. Ca. in Roma, via (...); nei confronti Mo. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Se., Um. Mi., He. Ga., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 36/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Valle D'Aosta e della società Mo. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti. FATTO e DIRITTO 1. La società Le Re. s.a.s. di Co. Pr. (di seguito nel presente atto anche solo Le Re.) ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato il ricorso di primo grado, proposto dalla predetta società per l'annullamento dei seguenti atti: - del decreto di esproprio e di asservimento coattivo n. 544 in data 23 marzo 2022, emesso dalla Regione Autonoma della Valle d'Aosta; - della comunicazione della società Mo. s.p.a. del 12 aprile 2022 (prot. 1435/GM/hg) avente ad oggetto "Pronuncia di esproprio e asservimento coattivo a favore della Società "Mo. s.p.a."; - dell'elaborato progettuale intitolato "Richiesta di rilascio di permesso di costruire nell'ambito dei lavori per il rifacimento della telecabina "(omissis) - (omissis)" e delle opere connesse, nel Comune di (omissis) (Ao). 1.1. Il giudice di primo grado ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per ciascuna delle controparti costituite in giudizio (amministrazione regionale resistente; società controinteressata). 2. In sintesi, la società appellante premette quanto segue. 2.1. Dichiara di essere proprietaria di alcuni terreni situati nel Comune di (omissis), in località (omissis), identificati nel catasto al foglio (omissis), mappali (omissis). 2.2. Con nota del 14 marzo 2018 (prot. 729/GM/hg), la società Mo. s.p.a. comunicava all'odierna appellante di aver presentato "un'istanza per la modifica della concessione della linea di trasporto funiviario in servizio pubblico denominata "(omissis) - (omissis)" in Comune di (omissis) e per la realizzazione delle opere complementari"; con la predetta nota si informava la società appellante che l'accoglimento dell'istanza presentata avrebbe comportato l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio su alcune aree di sua proprietà della società e la dichiarazione di pubblica utilità della opera prevista in progetto, avvisandola della possibilità di formulare osservazioni; nel corso del procedimento la società Le Re. formulava le proprie osservazioni, evidenziando, in particolare, che il progetto presentato dalla società Mo. s.p.a. non teneva conto di alcune opere esistenti e/o in corso di realizzazione sull'area di proprietà della società appellante, concernenti il completamento di un tunnel di accesso alla predetta proprietà (assentite dal Comune di (omissis), con la concessione edilizia n. 2609/2002). 2.3. Con il decreto di occupazione d'urgenza n. 372 in data 14 giugno 2018 (prot. n. 7079/esp) la Regione Autonoma della Valle d'Aosta disponeva l'occupazione preordinata all'esproprio e l'asservimento degli immobili di proprietà della società Le Re.; il successivo 25 giugno 2018 l'amministrazione regionale, in nome e per conto della società Mo. s.p.a., procedeva alla immissione in possesso dei predetti immobili. 2.4. In data 3 maggio 2022, la società Mo. s.p.a. notificava alla società Le Re. un plico contenente: - il decreto di esproprio e di asservimento coattivo n. 544 in data 23 marzo 2022 (Rep. 3216 - prot. n. 3813/fin); - una comunicazione della società Mo. s.p.a. avente ad oggetto "Pronuncia di esproprio e asservimento coattivo a favore della Società "Mo. S.p.a.", necessari alla costruzione e all'esercizio della linea funiviaria denominata "(omissis) - (omissis)" e delle opere complementari nel Comune di (omissis)"; - un elaborato progettuale intitolato "Richiesta di rilascio di permesso di costruire nell'ambito dei lavori per il rifacimento della telecabina "(omissis) - (omissis)" e delle opere connesse, nel Comune di (omissis) (Ao)". 2.5. La società Le Re. ha impugnato gli atti da ultimo richiamati davanti al Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta; con sentenza n. 36/2023, il T.a.r. adito ha dichiarato in parte inammissibile il ricorso e in parte lo ha respinto, condannando la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle controparti. 2.6. Tanto premesso, la società Le Re. ha contestato la sentenza impugnata sotto diversi profili, che nel prosieguo del presente provvedimento saranno oggetto di specifico esame. 3. Si è costituita in giudizio la società Mo. s.p.a. (controinteressata), evidenziando in punto di fatto che: "Nelle more della definizione del giudizio di primo grado, con istanza in data 7 luglio 2023...., al fine di regolarizzare l'edificazione del Vallo sul terreno di proprietà di Le Re., Mo. ha chiesto alla Regione l'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. 327/2001, per ottenere l'acquisizione dei relativi fondi e il titolo di disponibilità dell'area necessario per la definizione del procedimento di irregolarità edilizia avviato dal Comune di (omissis) nei confronti di Mo. (si vedano i docc.39-45 prodotti dall'appellante). Il provvedimento in questione è stato adottato con Decreto Dirigenziale n. 3283 in data 21 novembre 2023.... ed è stato notificato a Le Re. in data 7 dicembre 2023". 3.1. Ha evidenziato che il giudice di primo grado ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso di primo grado, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con riguardo alle contestazioni relative alla indennità di esproprio, facendo rilevare che, non essendo stato impugnato il relativo capo di sentenza, sul punto si è formato il giudicato, con conseguente inammissibilità (in parte qua) dell'appello. 3.2. Ha evidenziato inoltre che l'opera in questione concerne il rifacimento del precedente impianto funiviario, già esistente fin dagli anni '50, poi sostituito nel 1983; quella autorizzata nel 2018 non sarebbe quindi un'infrastruttura funiviaria collocata in un'area precedentemente priva di impianti di risalita, bensì un'opera volta ad ammodernare un impianto già esistente, mediante la realizzazione di una nuova linea funiviaria nella stessa collocazione di quella precedente. 3.3. Ha contestato tutte le deduzioni di parte appellante e ha chiesto l'integrale rigetto dell'appello. 4. Si è costituita in giudizio anche la Regione Autonoma della Valle d'Aosta, eccependo l'inammissibilità dell'azione, per intervenuta acquiescenza al provvedimento di definitiva determinazione dell'indennità di esproprio. 4.1. Nel caso di specie, sarebbe evidente che la società Le Re. ha impugnato il decreto di esproprio per ragioni inerenti alla quantificazione dell'indennità, sostenendo che il provvedimento impugnato non avesse correttamente dato atto del sacrificio imposto alla società espropriata, consistente nella rinuncia all'ultima porzione del tunnel originariamente assentito e che avesse per questo inficiato la valutazione dell'indennità di esproprio ad essa riconosciuta. Avendo la società appellante accettato l'indennità definitiva di esproprio, formulata dalla Commissione Regionale, ogni contestazione a riguardo sarebbe inammissibile, perché preclusa dalla prestata acquiescenza. 4.2. L'amministrazione appellata ha eccepito l'inammissibilità dell'appello anche sotto ulteriori profili; ha fatto rilevare che il giudice di primo grado ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio sotto diversi profili e, in particolare, per: 1) carenza di giurisdizione del giudice amministrativo (per quanto concerne la quantificazione della indennità ); 2) genericità delle contestazioni sollevate (per quanto concerne la dedotta difformità del decreto rispetto ad atti precedenti); 3) carenza di legittimazione attiva (per la pretesa di ingerirsi nei rapporti tra la Regione e la società Mo.); 4) tardività (per la mancata impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità e dell'atto di occupazione di urgenza). Avverso i profili di inammissibilità rilevati dal giudice di prime cure, l'appellante non avrebbe formulato nessuna specifica censura. 4.3. Nel merito, ha evidenziato che la variante al progetto della società Le Re. è stata assentita in data 4 marzo 2022, mediante il rilascio del relativo permesso di costruire, ovverosia in data antecedente a quella di emissione del decreto di esproprio (del 23 marzo 2022); considerato che l'amministrazione espropriante deve tener conto della situazione esistente al momento della adozione decreto di esproprio, correttamente l'amministrazione regionale non ha tenuto conto della concessione edilizia n. 2609/2002, in quanto superata dal titolo edilizio sopravvenuto. 5. Con memoria di replica depositata in data 29 dicembre 2023, la società appellante ha insistito per l'accoglimento del ricorso, ribadendo sostanzialmente le argomentazioni precedentemente formulate. 6. All'udienza pubblica dell'11 gennaio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 7. Con un primo motivo dell'atto di appello, la società appellante fa rilevare che con il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio aveva lamentato che il progetto della nuova telecabina "(omissis) - (omissis)" e delle opere ad essa complementari non aveva tenuto conto di alcune opere esistenti o in corso di realizzazione della società appellante (oggetto della concessione edilizia n. 2609/2002, rilasciata dal Comune di (omissis) in favore della società Le Re.). 7.1. In altri termini, il progetto di opera pubblica per la cui realizzazione è stato emanato il decreto di esproprio non avrebbe tenuto conto del fatto che la società Le Re. aveva ottenuto una concessione edilizia per la realizzazione di un tunnel interrato per l'accesso in sicurezza all'immobile di proprietà della società appellante, insistente sul mappale 522 (oggi 1303), e che la realizzazione del progetto della nuova telecabina non ha consentito alla società appellante il completamento del predetto tunnel, in relazione alla necessità di rispettare le distanze di sicurezza dal nuovo impianto di funivia. Tale circostanza sarebbe stata ripetutamente segnalata dalla società in sede procedimentale. 7.2. La società Le Re., tenuto conto del fatto che il nuovo impianto funiviario era stato realizzato e che, di fatto, le era impossibile completare il tunnel senza incidere sull'opera realizzata dalla Mo. s.p.a., ha presentato una variante al titolo edilizio in precedenza rilasciato dal Comune di (omissis). 7.3. Sulla base di questa premessa, la società Le Re. si era lamentata del fatto che nel decreto di esproprio non si fosse tenuto conto di tale circostanza (ossia, del fatto che la realizzazione del nuovo impianto funiviario aveva comportato per la società Le Re. un vero e proprio stravolgimento dell'intervento edilizio precedentemente autorizzato dal Comune di (omissis)) e aveva chiesto al giudice di primo grado l'annullamento del decreto di esproprio impugnato, ritenendo che, da una parte, detto decreto contrastasse con le norme statali e regionali relative al procedimento espropriativo e, in generale, in materia di partecipazione al procedimento e, dall'altra, lo stesso mancasse di qualsiasi riferimento alla effettiva incidenza dell'opera sui beni di proprietà della società Le Re. e quindi fosse viziato per eccesso di potere sotto diversi profili (travisamento; illogicità manifesta). Tali elementi a giudizio della società appellante incidevano inevitabilmente anche sulla determinazione dell'indennità di esproprio. 7.4. Il giudice di primo grado ha respinto le doglianze, ritenendole in parte inammissibili e in parte infondate. 7.4.1. Sotto il primo profilo, il T.a.r. ha ritenuto che, con riguardo ai lamentati profili progettuali, la ricorrente non avesse "impugnato né la prodromica dichiarazione di pubblica utilità, risalente al 2018 cui afferiva un progetto esecutivo, né gli atti di occupazione d'urgenza, adottati sempre nel medesimo anno e con tanto di redazione dello stato di consistenza (doc. 8 Regione Autonoma Valle d'Aosta); quest'ultimo, certamente, ha reso evidente la consistenza oggettiva dell'opera ed eventuali varianti rispetto alle scelte progettuali."; di qui la tardività delle relative censure e la conseguente inammissibilità (rectius, irricevibilità ) del ricorso. 7.4.2. Il giudice di primo grado, pur dando atto della concessione edilizia n. 2609/2002, "che effettivamente, in origine, prevedeva la realizzazione di una ulteriore porzione finale dell'esistente tunnel di accesso alla proprietà di Re. s.a.s., struttura la cui presenza avrebbe potuto interferire con le distanze di sicurezza previste per l'esercizio della funivia", ha evidenziato che "in data 4.3.2022, veniva rilasciato a Le Re. s.a.s. permesso di costruire in variante rispetto a quanto licenziato nel 2002 ed in esito al quale veniva appunto stralciata la prevista realizzazione della parte finale del tunnel"; di qui la rilevata infondatezza delle doglianze proposte dalla ricorrente. 7.5. La società appellante contesta le conclusioni del giudice di primo grado, evidenziando che le censure rivolte al decreto di esproprio non riguardavano le scelte progettuali operate e definitivamente approvate e/o i lavori conseguentemente realizzati dalla società Mo. s.p.a. e nemmeno erano dirette ad ottenere un ricalcolo dell'indennità liquidata con il provvedimento impugnato: indennità, questa, oggetto di autonomo procedimento di rivalutazione avanti alla Commissione regionale degli espropri. 7.5.1. I motivi di ricorso avevano, infatti, specifico riguardo all'assenza nel censurato decreto di qualsiasi considerazione relativa alla concreta incidenza dell'opera progettata e realizzata sui beni di proprietà della Le Re.. Fa rilevare che, ai fini della quantificazione dell'indennità di esproprio, assume rilievo non solo la traslazione, totale o parziale, del bene, ma anche l'imposizione di limitazioni che incidono sul godimento del bene stesso e sul pieno esercizio delle facoltà derivanti dal diritto di proprietà . A tale riguardo, ha precisato: "Se la Regione Valle d'Aosta ha ritenuto di dover approvare il progetto presentato dalla Mo. S.p.a. - nonostante le oggettive carenze, così come segnalate dalla Le Re. in sede di osservazioni e le richieste di integrazione formulate dalla Conferenza di servizi - tanto non la esonera dal riconoscere il giusto indennizzo, così costituzionalmente riconoscibile, in considerazione dell'incisione operata sul diritto di proprietà della Le Re. e sul libero esercizio delle relative facoltà ". 7.5.2. Pur riconoscendo che la Regione Valle d'Aosta le ha liquidato l'indennità riconosciuta dalla Commissione regionale per le espropriazioni, la società appellante sostiene che "detta indennità ha riguardato un indennizzo determinato sulla base di un decreto di esproprio claudicante proprio perché privo di qualsiasi valutazione dell'effettiva incidenza dell'opera realizzata sui beni di proprietà dell'odierna appellante e dei conseguenti limiti indotti alle relative facoltà . Più precisamente l'indennizzo liquidato con il decreto impugnato ha avuto ad oggetto la traslazione di alcuni terreni necessari alla costruzione e all'esercizio della linea funiviaria denominata "(omissis) - (omissis)" (precisamente identificati con i mappali (omissis) del foglio (omissis) nel Catasto terreni Comune di (omissis)) e la costituzione delle servitù di sorvolo e di sporto (sui mappali (omissis))...... In nessuna considerazione è stata tenuta la circostanza che, in conseguenza dell'opera così come realizzata, la Le Re. non ha più potuto realizzare il tunnel oggetto della concessione edilizia alla medesima rilasciata e ha dovuto necessariamente presentare una variante al progetto all'epoca autorizzato per poter legittimamente accedere al proprio fondo e all'edificio ivi insistente". 7.5.3. Evidenzia di non aver mai inteso rinunciare alla tutela delle proprie ragioni; la presentazione da parte della società Le Re. della variante al progetto originariamente autorizzato costituiva un atto necessario per realizzare una via di accesso ai propri immobili per effetto della realizzazione del nuovo impianto funiviario. A suo giudizio, il decreto di esproprio e l'atto asservimento coattivo n. 544 in data 23 marzo 2022 dovrebbero essere annullati, in quanto fondati su una travisata e parziale rappresentazione dei fatti e su una superficiale attività istruttoria. 7.6. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. 7.6.1. Diversamente da quanto rappresentato dalla parte appellante, il petitum sostanziale delle dedotte censure è diretto a contestare la quantificazione della indennità di esproprio, in quanto asseritamente fondata su una rappresentazione parziale e travisata dei fatti. A tale riguardo, il Collegio deve rilevare che, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, le questioni relative alla indennità di esproprio esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo, ricadendo in quella del giudice ordinario. 7.6.2. Oltre a ciò, l'indennità definitiva di esproprio è stata accettata dalla società che conseguentemente non può dolersi in questa sede del fatto che nella determinazione della stessa non si sia tenuto conto del sacrificio derivante dalla impossibilità di completare il tunnel di accesso alla sua proprietà (pur precedentemente assentito). Con l'accettazione della indennità di esproprio, la società ha prestato acquiescenza alla quantificazione effettuata dalla amministrazione espropriante; non può quindi dolersi del fatto che non si sia tenuto conto nella determinazione della stessa delle conseguenze derivanti dalla realizzazione della funivia sulla possibilità di portare ad esecuzione il progetto di completamento del tunnel precedentemente assentito. 7.6.3. In sede di accettazione della indennità di esproprio la società avrebbe dovuto far valere tutte le sue ragioni in ordine alla quantificazione della indennità di esproprio, comprese le conseguenze pregiudizievoli relative alla impossibilità (per effetto della realizzazione della funivia) di completare il tunnel di accesso alla sua proprietà in base ad un progetto precedentemente assentito dal Comune di (omissis). 7.6.4. In disparte la considerazione secondo la quale l'intervento realizzato dalla società Mo. s.p.a. sembra consistere nel rifacimento di un impianto di funivia precedentemente esistente, si deve inoltre considerare che, al momento della adozione del decreto di esproprio, la società appellante aveva già chiesto e ottenuto un permesso di costruire in variante rispetto al progetto originariamente assentito; non si vede quindi come la legittimità del decreto di esproprio possa essere infirmata dalla mancata esecuzione di un titolo edilizio superato dal successivo permesso di costruire in variante. 7.6.5. Non si ravvisano nelle deduzioni della società appellante vizi che possano portare all'annullamento del decreto di esproprio; i danni asseritamente lamentati dalla società appellante prescindono dal decreto di esproprio e concernono piuttosto le modalità di attuazione del progetto della funivia e gli effetti della realizzazione della predetta opera rispetto ad un intervento edilizio della odierna appellante (consistente nel completamento del tunnel di accesso alla sua proprietà ), precedentemente assentito dal Comune di (omissis); ne consegue che il ristoro dei danni asseritamente subiti dalla società appellante, per effetto della impossibilità di completare un intervento edilizio pur assentito in precedenza dalla amministrazione comunale, potrà essere, eventualmente, fatto valere mediante la proposizione di un'azione risarcitoria, dovendo a tale riguardo la società appellante dimostrare, sia sotto il profilo oggettivo, che sotto il profilo soggettivo, la sussistenza dei presupposti della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione 8. Con il secondo motivo di appello, la società appellante fa rilevare che nel ricorso introduttivo del giudizio aveva censurato il decreto di esproprio anche nella parte in cui l'amministrazione regionale non aveva tenuto conto delle difformità esistenti tra il progetto approvato dalla Regione e quello in concreto realizzato dalla società Mo. s.p.a.; dette difformità hanno condotto il Comune di (omissis), in data 1° agosto 2023, ad annullare il titolo edilizio rilasciato al gestore dell'impianto, diffidandolo al ripristino dello status quo ante. 8.1. Aveva inoltre lamentato che l'opera realizzata dalla società Mo. s.p.a., essendo priva di una via di accesso veicolare, comporterà l'utilizzo del tunnel di proprietà della società Le Re. per permettere agli utilizzatori della funivia di raggiungere la stazione di partenza dell'impianto. 8.2.1. Fa rilevare che il giudice di primo grado ha ritenuto che le sopra descritte questioni esulassero dal "un vaglio di legittimità del decreto di esproprio" e non risultassero "suscettibili di analisi" avanti al giudice amministrativo; più precisamente, con riguardo alla contestata difformità dell'opera realizzata rispetto al progetto approvato dalla Regione Valle d'Aosta, il giudice di primo grado, richiamando l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 18137/2023, ha ritenuto che "le contestazioni circa possibili ulteriori danni da occupazione abusiva di aree sono effettivamente già state portate all'attenzione del giudice ordinario, che le ha valutate nel merito respingendole" e che, comunque, non incidessero sulla legittimità del decreto di esproprio eventuali abusi edilizi, in quanto attinenti "a parallele problematiche di carattere... strettamente edilizio". 8.2.2. Con riguardo, invece, alla "sussistenza di una problematica di accesso alla funivia dalla strada pubblica", il T.a.r. ha ritenuto che la detta questione afferisse "ad una prerogativa di tipo dominicale certamente devoluta alla cognizione del giudice ordinario", non avendo il decreto impugnato "alcuna attinenza con le parallele problematiche della diversa servitù di passaggio, che restano dunque confinate all'ambito civilistico e, per altro, sono state, come detto, già definite innanzi al giudice ordinario". 8.3. La società appellante contesta le conclusioni del giudice di primo grado, evidenziando che la natura strumentale del procedimento espropriativo non esonera l'amministrazione procedente dall'obbligo di valutare la concreta incidenza dell'opera realizzata sui diritti dei proprietari incisi dalla medesima. Nel caso di specie, a giudizio dell'appellante, le contestazioni sopra richiamate non possono ritenersi estranee al procedimento espropriativo avviato per la realizzazione dell'opera, così come puntualmente individuata nel progetto approvato dalla Regione Autonoma della Valle d'Aosta. 8.4. Fa rilevare che le censure sopra richiamate non concernevano la conformità urbanistica o edilizia di quanto realizzato dalla società Mo. s.p.a. in difformità rispetto al progetto approvato dalla Regione, quanto piuttosto alla mancata considerazione nel decreto stesso dell'incidenza che le dette opere, così come realizzate, producevano sulla situazione giuridica soggettiva riferibile alla società Le Re.. In altri termini, a detta dell'appellante, il decreto di esproprio avrebbe dovuto necessariamente tener conto delle reali ed effettive ricadute che le lamentate difformità producevano sulla situazione giuridica soggettiva della società Le Re., riconoscendo a quest'ultima il diritto alla conseguente indennità . 8.5. Indipendentemente dalla questione relativa alla costituzione della servitù, la società lamenta che l'opera così come realizzata avrebbe trasformato il tunnel di proprietà della società Le Re. e il tratto finale della strada, originariamente destinato all'accesso agli immobili di proprietà della società appellante, in una via pubblica di accesso alla stazione della funivia. A suo giudizio, la questione relativa all'accesso alla stazione della funivia avrebbe dovuto essere oggetto di preventivo, puntuale, adeguato esame in sede di predisposizione e approvazione del progetto di rifacimento dell'impianto della funivia; di qui la dedotta erroneità della sentenza impugnata, con conseguente richiesta dell'annullamento del decreto di esproprio, nella parte in cui l'amministrazione espropriante non tiene conto dell'effettiva incidenza dell'intervento, così come realizzato dalla società Mo. s.p.a., sulla proprietà della società appellante, incorrendo nel vizio di eccesso di potere, sotto le figure sintomatiche del travisamento dei fatti e della illogicità manifesta. 8.6. Anche le censure articolate nel secondo motivo di appello debbono ritenersi in parte inammissibili e in parte infondate. 8.6.1. L'autorità espropriante deve verificare che sussistano tutti i presupposti per l'esercizio del potere ablatorio (apposizione del vincolo preordinato all'esproprio; dichiarazione di pubblica utilità ; indicazione dell'indennità provvisoria); non rientra nei compiti dell'autorità espropriante la verifica del fatto che le opere effettivamente realizzate sulle aree precedentemente occupate (per effetto della occupazione preordinata all'esproprio) siano corrispondenti a quelle previste nel progetto dell'opera pubblica assentito dalla amministrazione. Oltre a ciò, la società controinteressata ha dichiarato di aver chiesto e ottenuto un provvedimento di acquisizione sanante, ai sensi dell'art. 42 - bis del d.P.R. n. 327/2001, per l'utilizzazione di aree occupate illegittimamente, in quanto non comprese nel decreto di esproprio. Orbene, il provvedimento di acquisizione sanante deve prevedere "un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale" per le aree abusivamente occupate, con la conseguenza che verosimilmente, in relazione alla occupazione di aree della società appellante diverse da quelle previste nel decreto di esproprio, le ragioni della società appellante potranno trovare soddisfazione in quella sede. 8.6.2. Anche le censure relative alla mancata considerazione, in sede di approvazione del progetto, della incidenza dell'impianto della funivia sulla proprietà della società, in relazione alla costituzione di fatto di una servitù di passaggio sui fondi della società appellante, non possono essere accolte. Non avendo tempestivamente impugnato gli atti di approvazione del progetto della funivia, la società appellante non può formulare doglianze in ordine alle vie di accesso all'impianto della funivia. 8.6.3. Sotto altro profilo, come rilevato dal giudice di primo grado, la tutela della proprietà e delle relative prerogative esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per ricadere in quella del giudice ordinario; a tale riguardo, il Collegio deve rilevare che sulla questione relativa alla costituzione della servitù di passaggio sulla proprietà della società appellante per accedere alla stazione della funivia, la Corte di Cassazione si è espressa con ordinanza n. 18137/2023, pubblicata in data 26 giugno 2023. 9. Da ultimo, la società appellante fa rilevare di aver denunciato con il ricorso introduttivo del giudizio il fatto che la società Mo. s.p.a. aveva inserito nel plico contente il decreto di esproprio: - una comunicazione avente ad oggetto "Pronuncia di esproprio e asservimento coattivo a favore della Società "Mo. S.p.a." (P. IVA (omissis)), necessari alla costruzione e all'esercizio della linea 21 funiviaria denominata "(omissis) - (omissis)" e delle opere complementari nel Comune di (omissis)"; - un elaborato progettuale intitolato "Richiesta di rilascio di permesso di costruire nell'ambito dei lavori per il rifacimento della telecabina "(omissis) - (omissis)" e delle opere connesse, nel Comune di (omissis) (Ao)". In particolare, aveva lamentato che la citata comunicazione rendesse difficoltoso comprendere quale fosse il soggetto legittimato ad esercitare il potere espropriativo, ingenerando una sorta di commistione tra ente espropriante e soggetto beneficiario dell'esproprio. 9.1. La stessa società appellante evidenzia tuttavia che la predetta questione "è risultata superata nel corso del giudizio di primo grado a seguito della rideterminazione dell'indennità da parte della Commissione regionale degli espropri che ha condotto la Regione Valle d'Aosta ad emanare un nuovo provvedimento contenente anche la quantificazione delle predette indennità ..... Per la detta ragione non appare necessario soffermarsi oltre essendo venuto meno ogni interesse alla relativa decisione sul detto motivo di censura" (pag. 21 dell'atto di appello). 9.2. Nel ricorso introduttivo del giudizio la società Le Re. aveva inoltre evidenziato che dall'elaborato progettuale che le era stato notificato emergeva che l'opera realizzata incidesse diversamente sulla sua proprietà rispetto a quanto previsto nel progetto definitivo approvato dalla Regione Valle d'Aosta. La notifica del decreto di esproprio unitamente al predetto elaborato costituiva, secondo quanto dedotto in primo grado, una grave violazione di principi generali di trasparenza, correttezza e buona fede dell'azione amministrativa, rendendo difficile comprendere le ragioni e le vere intenzioni perseguite dall'ente espropriante e dal concessionario, facendo presupporre un intento "sanante" della irregolare, difforme realizzazione dell'opera. A tale riguardo, la società appellante precisa: "Anche sul punto deve darsi atto che, a seguito dei provvedimenti adottati dal Comune di (omissis) - e con i quali si è annullato il titolo edilizio rilasciato alla società Mo. S.p.a ... e ordinata la rimessione in pristino...... -, la questione appare superata dall'avvio di un nuovo, diverso procedimento che condurrà ad una probabile richiesta risarcitoria da parte della Le Re. per l'occupazione abusiva realizzata" (pag. 22 dell'atto di appello). 9.3. Il Collegio ritiene che le doglianze formulate al punto III dell'atto di appello (pagg. 20, 21 e 22) siano inammissibili, per violazione del principio di specificità dei motivi di appello, di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a. non ravvisandosi in esse alcuna censura rispetto alle statuizioni della sentenza impugnata, quanto piuttosto una riserva di futura azione risarcitoria in relazione alle difformità dell'opera realizzata rispetto a quanto previsto nel progetto originariamente approvato. 10. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto, essendo la sentenza impugnata immune dalle dedotte censure. 11. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, sono poste a carico della società appellante, secondo l'ordinario criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, per ciascuna delle altre parti costituite (Regione Autonoma della Valle D'Aosta; società Mo. s.p.a.). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Francesco Gambato Spisani - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8880 del 2021, proposto da Unione (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Cz., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 144/2021, resa tra le parti, per l'annullamento dell'ordinanza n. 5/2015 prot. n. 5236 in data 15/5/2015, nonché del provvedimento prot. n. 3026 in data 14/3/2016, emessi dal responsabile del servizio urbanistica-edilizia privata del Comune di (omissis). Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà ; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso introduttivo del giudizio proposto dinanzi al TAR per l'Emilia Romagna, l'appellante Unione (omissis) (di seguito anche Unione), titolare di una concessione edilizia per una residenza sanitaria assistenziale (RSA) a (omissis), ha impugnato l'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 5 del 15.5.2015 per difformità dalla concessione edilizia n. 20/2001. Con successivi motivi aggiunti, l'Unione ha altresì impugnato il provvedimento del 14.3.2016, prot. n. 3026, con il quale è stata accertata l'inottemperanza all'ordinanza n. 5/2015 e dichiarata l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale, mediante trascrizione nei registri immobiliari, del complesso edilizio adibito a RSA, della sua area di sedime e di quella pertinenziale. 2. Le ragioni di detto provvedimento erano - in via di estrema sintesi - così compendiate: - l'Unione (omissis) è un ente pubblico costituito da un'unione di otto comuni limitrofi nella Provincia di Rimini (omissis); - nel quadro delle proprie funzioni, progettava e realizzava a (omissis) una struttura da destinarsi a presidio socio-assistenziale di carattere residenziale rivolto ad anziani non autosufficienti (RSA), in forza della concessione edilizia n. 20 rilasciata dal Comune di (omissis) in data 5.12.2001; - la predetta concessione edilizia includeva come prescrizioni particolari la realizzazione delle seguenti opere (sostanzialmente di urbanizzazione): i) parcheggi pertinenziali alberati con essenze arboree del tipo autoctono; ii) il tratto di strada funzionale alla nuova organizzazione dei parcheggi; - la concessione è stata prorogata con la determina n. 9/2005 per l'ultimazione dei lavori; - l'edificio è stato ultimato nel 2005 senza le opere aggiuntive pretese dal Comune, in quanto, come afferma l'Unione oggi appellante, vi era l'oggettiva impossibilità di darvi seguito, atteso che il tratto di strada da realizzare era localizzato su aree appartenenti a terzi privati di cui l'Unione non aveva alcuna disponibilità ed erano rimaste estranee al precedente piano d'esproprio; inoltre all'Unione sarebbero mancati i mezzi finanziari per l'esecuzione delle opere; - con l'ordinanza n. 1 del 21.2.2006 il Comune di (omissis), dichiarava l'Unione decaduta dalla concessione edilizia n. 20/01 per la parte non eseguita (la strada ed il parcheggio pubblico). Tale provvedimento veniva impugnato dall'Unione con ricorso straordinario al Capo dello Stato, che è stato respinto con D.P.R. del 18.5.2011; - il Comune rilasciava in data 6.8.2007 il certificato di conformità edilizia e agibilità provvisoria del fabbricato destinato a RSA, che è stata, previa espletamento di una gara ad evidenza pubblica, affidata per la gestione al Consorzio Co. So. Qu. di Re. Em.; - con l'ordinanza n. 5 del 15.5.2015 il Comune accertava la mancata esecuzione di: "i) tratto di strada e relativo marciapiede funzionali alla nuova organizzazione dei parcheggi; ii) parte degli spazi da riservare a parcheggio pubblico e annesse alberature, in particolare sul fronte di via (omissis) posto auto e 9 posti previsti in area frontistante la nuova strada; iii) parte degli spazi da riservare a parcheggio pertinenziale e annesse alberature previsti sul retro dell'area cortilizia" e la "diversa sistemazione dell'area esterna (trasformazione di aree destinate a parcheggio pertinenziale in aree verdi, mancata realizzazione dei percorsi pedonali nello spazio verde ad uso dei residenti, mancata piantumazione di alberature nelle aree di parcheggio) nonché la realizzazione di un passo carraio per accedere al retro del complesso" e ordinava all'Unione la demolizione "dell'intero complesso edilizio realizzato in totale difformità dalla concessione edilizia n. 20/01", reputandolo abusivo per totale difformità e con variazioni essenziali rispetto al titolo abilitativo, ai sensi dell'art. 13 della legge regionale dell'Emilia Romagna del 21.10.2004, n. 23, per la mancata realizzazione della strada e del parcheggio pubblico prescritti dalla concessione edilizia. 3. Il TAR per l'Emilia Romagna, Sezione Seconda, con la sentenza n. 144 del 2021, ha respinto il ricorso, integrato dai motivi aggiunti, per cui l'Unione (omissis) ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: 1) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 13 della l.r. 23/2004 - difetto di motivazione - travisamento della portata della concessione edilizia n. 20/2001 - errata valutazione del materiale probatorio. La sentenza del TAR sarebbe illegittima in quanto avrebbe respinto erroneamente il primo motivo del ricorso introduttivo con il quale veniva contestato la riconduzione del caso di specie all'ipotesi della totale difformità dal titolo edilizio previsto dall'art. 13 della L.R. n. 23/2004. Tale circostanza non sarebbe da riscontrare nel caso di specie, sotto nessuno dei profili contemplati dalla norma. 2) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della l.r. n. 31/2002 - violazione dei principi vigenti in tema di prescrizioni e condizioni apponibili ai titoli edilizi - eccesso di potere per contrasto/contraddittorietà rispetto al contenuto della concessione edilizia n. 20/01. Secondo l'appellante nella concessione edilizia n. 20/2001 non si troverebbero prescrizioni atte a subordinare l'efficacia o la validità alla realizzazione delle opere. Il permesso di costruire non potrebbe inoltre contenere condizioni che attengano all'efficacia dell'atto, al di fuori dei casi previsti dalla legge che potrebbero solo fare riferimento ad aspetti tecnici o strutturali legati alla realizzazione dell'intervento costruttivo. 3) Erroneità della sentenza per errata valutazione del contenuto del ricorso - falsa applicazione dell'art. 21 septies della legge n. 241/1990 - violazione dei principi che disciplinano l'impugnazione dei provvedimenti amministrativi. L'Unione deduce che la sentenza avrebbe erroneamente valutato il ricorso introduttivo dato che avrebbe prospettato non la nullità della concessione edilizia, ma la nullità delle prescrizioni, presupponendo che le stesse avessero ad oggetto una prestazione inattuabile e dunque impossibile e che la prestazione richiesta all'Unione sarebbe stata inattuabile e indeterminabile. 4) Erroneità della sentenza per travisamento del contenuto del ricorso, con riguardo a quanto rilevato in ordine all'irrilevanza dell'avvenuto rigetto del ricorso al Presidente della Repubblica proposto dall'Unione contro l'ordinanza comunale n. 1/06. Secondo la tesi dell'Unione, il TAR non avrebbe colto il senso di quanto da essa osservato dall'Unione nel ricorso introduttivo, posto che i rilievi dalla stessa formulati non sarebbero tesi a criticare l'operato del Comune di (omissis) e a rimettere in discussione la legittimità dell'ordinanza n. 1/2006, ma solo a chiarire in via preventiva, le ragioni per le quali il giudicato formatosi su tale ordinanza non sarebbe un ostacolo all'impugnazione del successivo provvedimento di demolizione adottato dal Comune medesimo. 5) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 11 l.r. 23/2004. Con l'ultima doglianza l'Unione ha eccepito l'illegittimità del provvedimento impugnato con motivi aggiunti in via derivata rispetto all'ordinanza n. 5/2015 presupposta, oltre a denunciare un vizio proprio di tale atto, consistente nella violazione dell'art. 11 della L.R. n. 23/2004. Secondo l'Unione nel caso in esame, trattandosi di abusi commessi su aree di proprietà di Enti pubblici, non si potrebbe applicare l'art. 13 della L.R. n. 23/2004, ma l'art. 11 della medesima legge regionale, con conseguente impossibilità per il Comune di disporre l'acquisizione gratuita dell'area al patrimonio comunale. 4. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio ed ha analiticamente contestato la fondatezza delle argomentazioni formulate dall'appellante, concludendo per la reiezione del gravame. 5. All'udienza pubblica del 9 maggio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è fondato e va accolto nei sensi di quanto di seguito rappresentato. 7. La questione centrale della controversia ha ad oggetto l'idoneità giuridica di un'ordinanza di demolizione e di ripristino a sanzionare un'opera regolarmente concessa, ma realizzata parzialmente. 7.1 In linea generale, occorre considerare che, l'articolo 13 della legge regionale Emilia Romagna 21 ottobre 2004, n. 23, ("Interventi di nuova costruzione eseguiti in assenza del titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali") disciplina al comma 1 che gli interventi di nuova costruzione eseguiti in totale difformità dal titolo abilitativo sono quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del titolo stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. Secondo il successivo comma 2, una volta accertata l'esecuzione di interventi in assenza del titolo abilitativo richiesto, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali (determinate ai sensi dell'articolo 23 della legge regionale n. 31 del 2002), ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto ai sensi del comma 3, nonché le eventuali servitù di passaggio. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il comma 3 del medesimo articolo prevede che il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. 7.2 L'istituto corrisponde sostanzialmente al dettato previsto dagli articoli 31 e 32 del DPR n. 380/2001 a livello statale. L'art. 31, comma 1 prevede una figura di mancanza sostanziale del permesso, che si verifica quando vi è difformità totale dell'opera rispetto a quanto previsto nel titolo, pur sussistente. Si ha difformità totale quando sia realizzato un organismo edilizio: integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie; integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi; integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (la destinazione d'uso derivante dai caratteri fisici dell'organismo edilizio stesso); integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed autonomi. Accanto alle forme di abuso appena ricordate l'art. 32 regola la fattispecie dell'esecuzione di opere in "variazione essenziale" rispetto al progetto approvato. Tale tipo di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali. Le variazioni essenziali sono soggette alla più lieve pena prevista per l'ipotesi della lettera a) dell'articolo 44. Ai sensi dell'art. 32, comma 1, del DPR n. 380 del 2001, sussiste variazione essenziale esclusivamente in presenza di una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento di destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentite; e) violazione della normativa edilizia antisismica. Infine, il caso della difformità parziale dal permesso di costruire per le nuove costruzioni, previsto e regolato dall'art. 34 del DPR n. 380 del 2001, si configura invece quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (ex multis Cons. Stato, sez. II, n. 6085/2023). 8. La principale caratteristica dell'istituto demolitorio risiede, quindi, nella sanzione tramite demolizione e ripristino di opere che non sono conformi all'assetto urbanistico o edilizio. Ad avviso del Collegio la mancante realizzazione parziale di alcune opere oggetti della concessione, prescritte particolarmente dal Comune, non integra però la fattispecie giuridica prevista dal legislatore regionale (o statale) laddove prevede la riduzione in pristino di parti realizzate in difformità da titoli edilizi o in variazione essenziale. 9. Risulta in primis evidente che l'oggetto del provvedimento gravato non riguarda un'opera realizzata, frutto di un'attività edificatoria (eventualmente in contrasto con norme edilizie), ma costituisce - al contrario - una condotta omissiva. In secundis si rileva che neanche l'ambito di applicazione della variazione essenziale è aperto, non potendo accertare uno scostamento dallo specifico titolo edilizio. In particolare, è escluso per tabulas che la mancata realizzazione di queste opere di urbanizzazione (volute dal Comune) si possa annoverare negli elementi previsti dal legislatore per tale istituto (ai sensi dell'art. 23 co. 1 della L.R. 32/2002: a) mutamento di destinazione d'uso con variazione del carico urbanistico; b) scostamenti di entità superiore al 10% rispetto alla superficie coperta, al rapporto di copertura, al perimetro, all'altezza dei fabbricati, alla sagoma, alle distanze tra fabbricati e dai confini di proprietà, nonché rispetto alla localizzazione del fabbricato sull'area di pertinenza; c) aumenti di cubatura di entità superiore al 10% rispetto al progetto e comunque superiori a 300 m3; d) aumenti della superficie utile superiori a 100 m2; e) violazioni delle norme tecniche in materia di edilizia antisismica; f) interventi in difformità dal titolo abilitativo eseguiti su immobili ricadenti in aree vincolate). 10. Appare invece fondata la censura dell'Unione appellante laddove deduce la contraddittorietà dell'ordinanza di demolizione, avendo già annullato, nell'atto di decadenza, la parte non realizzata, salvo poi, con un ulteriore provvedimento (e dopo ben undici anni di intervallo temporale), chiesto l'adempimento della rispettiva prescrizione amministrativa. Un'ulteriore contraddizione è pure l'avvenuta (anche se parziale) agibilità rilasciata nel 2007 dal Comune, essendo il diniego di agibilità l'unica conseguenza che può sortire il mancato adempimento del concessionario ad eventuali obblighi di realizzare le opere di urbanizzazione contemporaneamente alla costruzione. 11. In conclusione nel caso oggetto del giudizio è stata adottata un'ordinanza di demolizione non prevista dal legislatore per una condotta di una parziale mancante realizzazione di un'opera accessoria: ma la ratio della norma è da annoverare nella sanzionabilità di lavori concessionati e realizzati in difformità della rispettiva cornice urbanistica ed edilizia ed il ripristino di costruzioni che sono da qualificare contra ius. L'ordinanza di demolizione non può invece essere utilizzata al di fuori dal campo di applicazione tassativamente previsto dal legislatore per questi strumenti repressivi. Appare solo logico che il provvedimento che ingiunge ad un soggetto la demolizione di un'opera realizzata non possa essere utilizzato invece come strumento coercitivo di una nuova opera da realizzare. Nulla di ciò che l'ente locale vorrebbe che l'Unione realizzasse, infatti, risulta essere contrario alle norme urbanistico-edilizie. Il Comune doveva quindi percorrere una diversa strada prevista dall'ordinamento giuridico e chiedere l'esecuzione delle opere con un'altra forma. 12. Così ricostruito il complessivo quadro normativo della vicenda contenziosa, si rivela fondato il primo motivo di appello proposto dall'Unione, secondo cui l'Amministrazione rimane titolare solamente di un potere di intervento laddove ricorrano i presupposti di cui all'art. 13 della legge regionale Emilia-Romagna n. 23/2004 (in combinato disposto con l'art. 23 della l.r. 32/2002), mentre, nella fattispecie, sono carenti entrambi i presupposti prescritti da tale normativa che avrebbe giustificato l'adozione di un provvedimento di demolizione e riduzione in pristino dei luoghi. Dalla fondatezza del motivo discende a cascata l'illegittimità dei motivi aggiunti di primo grado con i quali si impugnavano l'accertamento dell'inottemperanza dell'ordinanza e la conseguente acquisizione gratuita al patrimonio comunale. 13. La fondatezza di tale doglianza, che costituisce la "ragione più liquida" (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015), determina, assorbiti gli ulteriori motivi, la fondatezza dell'appello ed il suo accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, l'accoglimento del ricorso proposto in primo grado e dei motivi aggiunti con conseguente annullamento dei provvedimenti gravati. 14. La decisione sulle spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e verranno liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed i motivi aggiunti ed annulla i provvedimenti ivi gravati. Condanna il Comune di (omissis) alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio a favore dell'Unione appellante che vengono liquidate in 6.000 Euro (seimila/00), oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LORENZO ORILIAPresidente MAURO MOCCIConsigliere MARIO BERTUZZIConsigliere VINCENZO PICAROConsigliere ANTONIO MONDINIConsigliere-Rel. Oggetto: PROPRIETA' Ud.16/04/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 26532/2020 R.G. proposto da: CANGIOTTI SERGIA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MINARDI MIRCO (MNRMRC69T06A271W) -ricorrente- contro CANGIOTTI ANNUNZIATA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MARCELLI GIOVANNI (MRCGNN64S17G479P) -controricorrente- nonchè contro CANGIOTTI CARLO e MENEGAZZO LAURA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ALESSANDRIA 119, presso lo studio dell’avvocato CICCHIELLO FRANCO (CCCFNC41D26H501P) che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato BATTAGLIA FRANCESCO (BTTFNC73R16D488N) -controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO ANCONA n. 400/2020 depositata il 05/05/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI. Udite le conclusioni della Procura Generale, nella persona del dottor TOMMASO BASILE, che ha chiesto rigettarsi il ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione notificato in data 12.06.2008, Cangiotti Annunziata e Cangiotti Sergia convenivano innanzi il Tribunale di Urbino Cangiotti Carlo e Menegazzo Laura, al fine di sentir dichiarare il loro diritto di proprietà esclusiva sulla corte censita nel Catasto fabbricati del Comune di Urbino al Foglio 210, mappale 44 sub 4. A sostegno della domanda, le attrici deducevano che la corte in questione, ancorché catastalmente individuata come bene comune sia ai subalterni 44 sub 1 e 44 sub 2, di loro proprietà, sia ai subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7, di proprietà dei convenuti, doveva ritenersi in realtà nella loro esclusiva titolarità, siccome derivante dall’antico mappale 719/6023 del Catasto pontificio, appartenuto ad un loro remoto dante causa e a loro pervenuto all’esito di una serie di trasferimenti compiuti nel corso del tempo, di cui producevano prova documentale. Affermavano, altresì, che l’odierna individuazione della corte come bene comune non censibile (B.C.N.C.), di pertinenza anche dei mappali dei convenuti, era dipesa da un errore dei tecnici che avevano curato il passaggio dal Catasto pontificio al Catasto dello Stato italiano, consistito in particolare nell’aver considerato unitariamente il mappale 44, benché frazionato in più subalterni, non tutti in realtà derivanti dal mappale 719/6023. I convenuti, nel resistere alla domanda, deducevano che il subalterno 44 sub 4 aveva da sempre costituito corte comune ai subalterni 44 sub 1, 44 sub 2, 44 sub 6 e 44 sub 7, ed affermavano quindi di esserne comproprietari con le attrici, vuoi per acquisto a titolo derivativo, vuoi per usucapione. A tali deduzioni replicavano le Cangiotti, eccependo in particolare la tardività dell’eccezione riconvenzionale di usucapione, siccome sollevata con comparsa di risposta tardivamente depositata, oltre il termine di venti giorni dalla prima udienza di comparizione. Il Tribunale di Urbino, istruita la causa mediante prova per testi e consulenza tecnica di ufficio, accoglieva la domanda attorea, ritenendo provata la proprietà esclusiva delle attrici in forza dei titoli versati in atti e delle convergenti conclusioni della CTU; il primo giudice riteneva invece non provato il possesso ultraventennale della corte da parte dei convenuti, in relazione alla genericità delle dichiarazioni rese sul punto dai testi escussi, che si erano limitati a dare atto dell’utilizzo dell’area come parcheggio. 2. Sul gravame di Cangiotti Carlo e Menegazzo Laura, e nella resistenza di Cangiotti Annunziata e Cangiotti Sergia, la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 400/2020, riformava integralmente la pronuncia del Tribunale, rigettando la domanda formulata dalle originarie attrici. In particolare, la Corte distrettuale riteneva infondata l’eccezione di tardività della costituzione in primo grado dei convenuti, sul presupposto che il termine dei venti giorni antecedenti l’udienza di prima comparizione, fissata per il 7 novembre 2008, era scaduto domenica 19 ottobre, e doveva intendersi dunque prorogato a lunedì 20 ottobre, quale primo giorno non festivo successivo alla scadenza, data in cui i Cangiotti e Menegazzo avevano depositato la comparsa di risposta, con conseguente tempestività dell’eccezione riconvenzionale di usucapione ivi sollevata. Nel merito, il giudice di seconde cure osservava che: (a) gli appellanti, oltre al possesso ad usucapionem ultraventennale, avevano fatto valere anche un titolo di proprietà del 1959, con cui il loro dante causa aveva acquistato il subalterno 44 sub 3 (che poi sarebbe stato frazionato negli attuali subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7) comprensivo delle adiacenze, pertinenze, diritti, azioni, ragioni, usi e servitù fino ad allora praticati; ampia formulazione, questa, ritenuta idonea a trasmettere anche la titolarità dell’area in contestazione, catastalmente individuata come bene comune non censibile; (b) tra il 1914 e il 1926, squadre specialistiche di cartografi avevano ricostruito ex novo tutte le mappe catastali, previa assunzione di informazioni direttamente presso gli interessati; d’altra parte, nessuno della famiglia Cangiotti risultava aver proposto reclamo, dopo la pubblicazione delle nuove mappe, nel termine all’uopo concesso; (c) le risultanze della CTU avevano sconfessato le deduzioni attoree circa la provenienza del subalterno 44 sub 4, poiché dagli accertamenti peritali era emerso che nel Catasto pontificio esso risultava indicato come mappale 719/6023 proveniente dal mappale 719, privo di attinenza con l’attuale foglio 210 mappale 44, che rappresenta la parte comune del fabbricato. Era peraltro prassi dei tecnici del Catasto attribuire lo scoperto al sub 1 (di proprietà delle appellate), per una mera semplificazione nella realizzazione dei disegni; (d)vi era discordanza e discontinuità tra la mappa d’impianto del Catasto italiano e le mappe del Catasto pontificio; (e) era impossibile ricostruire la vicenda della corte in contestazione in termini di proprietà esclusiva delle appellate sulla base degli atti da loro allegati, precedenti al passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano; (f) di contro, le risultanze documentali e catastali, unitamente a quelle testimoniali sul possesso comunque esercitato dagli appellanti, deponevano per la sussistenza del diritto di comproprietà di questi ultimi sull’area oggetto di causa. 3. Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso Cangiotti Sergia, affidandosi a tre motivi. 4. Cangiotti Carlo e Menegazzi Laura hanno resistito con controricorso. 5. Cangiotti Annunziata si è associata al ricorso principale, concludendo per il relativo accoglimento. 6. Con il primo motivo di ricorso Cangiotti Sergia deduce “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.”: afferma che il giudice di seconde cure avrebbe errato a considerare tempestiva l’eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata dai convenuti nella comparsa di risposta depositata 18 giorni prima dell’udienza di prima comparizione delle parti; osserva che la scadenza in un giorno festivo del termine ex art. 166 cod. proc. civ., trattandosi di termine “a ritroso”, avrebbe dovuto comportarne la proroga al primo giorno non festivo antecedente, non a quello successivo. 7. Il secondo motivo è così rubricato: “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.”. La ricorrente si duole che la sentenza impugnata sarebbe solo apparentemente motivata quanto all’affermazione dell’esercizio del possesso sull’area in contestazione da parte degli originari convenuti; sostiene, altresì, che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che i Cangiotti e Menegazzo si erano limitati a sostenere di aver usato l’area come parcheggio; attività comunque inidonea a comportare l’acquisto della proprietà per usucapione. 8. Il terzo, articolato, motivo è così rubricato: “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 132 n. 4 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.”. La ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, per un verso, non ha ritenuto provata la titolarità esclusiva della corte in capo alle originarie attrici; per altro verso, ne ha ritenuto provata la comproprietà con gli appellanti sulla scorta dei titoli versati in atti: lamenta, in proposito, che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato e travisato il titolo del 1959 prodotto dai convenuti, poiché esso aveva avuto ad oggetto i soli mappali 44 sub 2 e 44 sub 3 (quest’ultimo poi frazionato nei subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7), e non anche il mappale 44 sub 4 relativo alla corte in contestazione; sostiene che la mancata proposizione di opposizioni da parte dei membri della famiglia Cangiotti alle nuove mappe, realizzate dai tecnici del Catasto italiano tra il 1914 e 1926, non avrebbe in alcun modo potuto conferire ai danti causa dei convenuti un titolo di proprietà che costoro non avevano, mentre del tutto irrilevante sarebbe stata la prassi di assegnare lo scoperto al sub 1, in quanto le attrici avevano sottoposto all’attenzione del giudice di merito i titoli di proprietà tramite cui poter risalire all’effettiva situazione dominicale della corte, attraverso i passaggi descritti e confermati anche nella CTU. Quanto, poi, all’affermazione secondo cui sarebbe stato impossibile ricostruire le vicende traslative dell’area in questione nel passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano, in ragione della discordanza tra le rispettive risultanze, la Cangiotti denuncia la mera apparenza e contraddittorietà della motivazione, alla luce dell’accertata provenienza dell’attuale subalterno 44 sub 4 dal mappale 719/6023 del vecchio catasto Pontificio. 9. In esito all’adunanza camerale del 12 dicembre 2023, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza per il profilo di rilevanza nomofilattica relativo alla operatività delle preclusioni processuali in un caso come quello in esame in cui parte convenuta abbia eccepito tardivamente l'acquisto per usucapione della proprietà dell'area rivendicata dalla controparte, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell'eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova. 10. La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso. 11. La ricorrente Cangiotti Sergia ha depositato memoria. 12. Cangiotti Carlo e Menegazzi Laura hanno depositato memoria RAGIONI DELLA DECISIONE 1.In relazione al primo motivo di ricorso va innanzi tutto osservato che il giudice di seconde cure è incorso in errore laddove ha dichiarato la costituzione del convenuto tempestiva. Non ha tenuto conto del fatto che il termine di costituzione del convenuto, ai sensi dell’art. 166 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis (secondo cui, come è noto, la comparsa di risposta deve essere depositata “almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione”), si computa “a ritroso”, come tutti i termini contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Questa Corte ha costantemente affermato che i commi 4 e 5 dell’art. 155 cod. proc. civ., diretti a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada, rispettivamente, in un giorno festivo o nella giornata di sabato, si applicano anche ai termini “a ritroso”, dovendosi tuttavia correlare l’operatività di siffatto meccanismo alle caratteristiche proprie di tale tipologia di termine, con la conseguente individuazione del dies ad quem nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011, Rv. 616375; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14767 del 30/06/2014, Rv. 631570; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017, Rv. 645702; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023, Rv. 667109). Nel caso in esame, l’udienza di prima comparizione era fissata per il giorno 7 novembre 2008, il termine di venti giorni, a ritroso, è scaduto in data 18 ottobre 2008 e non in data 19 ottobre come affermato dalla Corte d’Appello (infatti, il giorno dell’udienza costituisce il dies a quo, che notoriamente non computatur in termino ai sensi dell’art. 155, primo comma, cod. proc. civ.). Il 18 ottobre 2008 cadeva nella giornata di sabato e, ai sensi del quinto comma dell’art. 155 cod. proc. civ., il dies ad quem è stato prorogato al primo giorno non festivo antecedente, cioè a venerdì 17 ottobre 2008. Si rileva ad abundantiam che, anche collocando la scadenza nella giornata di domenica 19 ottobre 2008 (come ha erroneamente fatto il giudice di merito), facendo corretta applicazione dei suindicati principi avrebbe comunque dovuto farsi luogo alla proroga del termine “a ritroso” a venerdì 17 ottobre 2008. Ne consegue la tardività della comparsa di risposta dei convenuti Cangiotti e Menegazzo, depositata solamente in data 20 ottobre 2008. 2. Riguardo al se alla tardività della costituzione di parte convenuta consegua o meno l’inammissibilità dell’eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata con la comparsa di costituzione, il Collegio - premesso il rilievo per cui la questione può concretamente porsi solo nell’ipotesi rara in cui le circostanze integrative del possesso ad usucapionem siano state già acquisite al processo per tempo (evidentemente ad opera di parte diversa dal convenuto), altrimenti l’eccezione resta preclusa dall’essere correlata a fatti non più allegabili (v. in tema Cass.27405/2018)- ritiene il Collegio doversi rispondere in senso negativo: costituisce principio generale, enucleato da Cass. Sez. U, 03/06/2015, n. 11377, l’affermazione per cui "tutti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, siano essi fatti semplici oppure fatti- diritti che potrebbero essere oggetto di accertamento in un autonomo giudizio, sono rilevabili d'ufficio, e dunque rappresentano eccezioni in senso lato; l'ambito della rilevabilità a istanza di parte (eccezioni in senso stretto) è confinato ai casi specificamente previsti dalla legge o a quelli in cui l'effetto estintivo, impeditivo o modificativo si ricollega all'esercizio di un diritto potestativo oppure si coordina con una fattispecie che potrebbe dar luogo all'esercizio di un'autonoma azione costitutiva"; l’eccezione di usucapione è un’eccezione in senso stretto soggetta al termine fissato per la proposizione di tali eccezioni (v., tra molte, Cass. Sez. 2, n.25107/2023; Cass. Sez. 2, n.27246/2023, in motivazione, Cass. Sez. 2, 27/08/2019, n. 21716; Cass. Sez. 2, 19/05/2015, n. 10206 e Cass. 30/06/2017, n.16279 relative alla disciplina anteriore alla riforma introdotta dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80; Cass. Sez. 6- 2, 4 marzo 2020, n. 6009; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 18322 del 27/06/2023, Rv. 668272); si applica, infatti, in forza del rinvio dell'art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale, l’art. 2938 c.c. che stabilisce la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione non opposta. In questo senso la Corte si è già espressa è più volte espressa (v., tra altre, Cass. Sez. 2, 22/07/2002, n. 10685; Cass. 13107/2010). La Corte ha altresì ritenuto che tra le norme richiamate dall’art. 1165 c.c. vi sia anche l’art. 2937 c.c. che prevede la rinuncia alla prescrizione (v. Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 1363 del 19/01/2018 ; Cass. 17321 del 31/08/2015; Cass. 2616/1970; Cass. Sez. 1, Sentenza n.4945 del 28/05/1996) e come è stato notato dalla dottrina assolutamente prevalente espressasi pur essa per l’applicazione dell’art. 2938 c.c. all’usucapione, la non rilevabilità d’ufficio è coerente con il fatto che la parte che può far valere l’usucapione può anche rinunciarvi in forza dell’art. 2937 c.c. 3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il primo motivo di ricorso deve essere accolto. 4. L’esame della censura veicolata con il secondo motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo. 5. Il terzo, articolato, motivo è fondato. 5.1. Il Collegio ritiene dirimente l’esame delle argomentazioni in base alle quali il giudice di merito ha affermato l’impossibilità di ricostruire le vicende della corte oggetto di giudizio nel passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano. Nello specifico, la Corte distrettuale ha ritenuto inconsistenti le deduzioni delle Cangiotti sulle origini del subalterno 44 sub 4 (che costoro sostenevano annesso al mappale 721 del vecchio Catasto pontificio, appartenente ad un loro dante causa), poiché, come si legge a pagina 6 della sentenza, ove si rinvia alla consulenza tecnica d’ufficio, “l’attuale particella 44 sub 4 (area oggetto di causa), era indicata sulle Mappe del Catasto Pontificio al numero 719/6023 e proveniva dalla particella 719 che non ha alcuna attinenza con il Foglio 210 mappale 44 che rappresenta la parte comune del fabbricato”. Orbene, in tale passaggio della motivazione si ravvisa un irriducibile contrasto logico, in quanto il giudice di merito afferma che l’attuale subalterno 44 sub 4 (cioè la corte di cui si discute) proviene dalla particella 719/6023 del Catasto pontificio, a sua volta derivante dalla particella 719, che non ha nulla a che vedere con il subalterno 44 sub 4 (che però è proprio l’area di cui si discute). Per dare un senso al periodo, deve necessariamente concludersi che la particella 719/6023 delle mappe pontificie individua la corte oggi censita come subalterno 44 sub 4, mentre la particella 719 individua tutt’altro bene, e che sia solo quest’ultima a non aver alcuna attinenza con il Foglio 210 mappale 44. Se così è, allora il passaggio in commento si risolve in una non motivazione, poiché, una volta individuata la provenienza della corte (particella 719/6023), è su quest’ultima che la Corte d’Appello avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione al fine di ricostruire l’attuale regime dominicale dello scoperto, e non sulla particella 719, che per stessa ammissione del giudice di merito non ha nulla a che vedere con l’area oggetto di causa. In particolare, al fine di verificare l’esattezza di quanto sostenuto dalle appellate (cioè, che la corte in questione era loro pervenuta tramite un proprio remoto dante causa che ne era titolare esclusivo, essendo peraltro connessa alla particella 721, parimenti di un loro dante causa), il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’esame dei titoli di provenienza prodotti dalle Cangiotti. L’affermazione secondo cui sarebbe risultato impossibile “ricostruire la vicenda relativa alla corte oggetto di controversia in termini di proprietà esclusiva a favore delle sorelle Cangiotti Sergia e Annunziata sulla base degli atti da loro allegati, precedenti al passaggio dal Catasto Pontificio al Catasto dello Stato Italiano (1879/1919)” (così a pag. 7 della sentenza impugnata), appare invero apodittica in assenza di riferimenti alle risultanze dei titoli di proprietà prodotti dalle appellate, e si risolve in una motivazione affetta da mera apparenza, che peraltro contraddice apertamente quanto poco prima affermato dalla Corte d’Appello in ordine alla riconducibilità del subalterno 44 sub 4 dell’odierno Catasto italiano al mappale 719/6023 del vecchio Catasto pontificio. Una volta infatti accertato quale fosse il mappale che individuava lo scoperto nel Catasto pontificio, e qual è oggi il subalterno che lo individua nel Catasto italiano, in assenza di ulteriori chiarimenti (che il giudice di merito non rende) non è dato comprendere in cosa consista l’impossibilità di ricostruirne le vicende dominicali e traslative nel passaggio dal primo al secondo sistema. D’altra parte, tale impossibilità non può ritenersi derivare dalla mera “discordanza e discontinuità tra la Mappa d’Impianto del Catasto italiano e la Mappa del vecchio Catasto Pontificio” (così, ancora, a pag. 7 della sentenza), la quale piuttosto costituisce il presupposto di fatto della controversia in essere tra le parti, alla cui soluzione il giudice di merito avrebbe dovuto pervenire tramite l’esame dei titoli versati in atti, anteriori e successi al passaggio dal vecchio al nuovo Catasto. 3.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che la motivazione della sentenza impugnata non risulta rispettosa del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., in quanto non consente alcun controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020, Rv. 658088; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120). Si impone dunque l’accoglimento del motivo in esame, con assorbimento degli ulteriori profili della censura articolati dalla ricorrente. 4. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, per un nuovo esame del merito, nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 16/04/2024 IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE Antonio Mondini Lorenzo Orilia
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2816 del 2022, proposto da Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An. e Br. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); contro Pl. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pe. e Ma. De Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. De Sa. in Roma, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 7625/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Pl. s.r.l.; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti l'avvocato Ca. in dichiarata delega dell'avvocato An. e gli avvocati Cr. e Pe.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Pl. s.r.l. (in seguito anche solo Pl.) ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, a seguito di richiesta di trasposizione da parte del Comune di Napoli del ricorso straordinario al Capo dello Stato presentato dalla predetta società . Con riferimento alla vicenda processuale in esame, va premesso in fatto che il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 12802 del 2013, aveva accolto l'azione negatoria intentata dalla società Pl., proprietaria delle vie (omissis) e (omissis), contro il Comune di Napoli - il quale aveva delimitato su tali strade gli stalli di sosta (per autovetture, motocicli e scarico merci) - e, per l'effetto, aveva condannato il Comune 'ad interrompere ogni condotta perpetrata sulla proprietà della società attrice, ripristinando lo stato quo ante', ed a versare, in favore della ricorrente, una somma a titolo di risarcimento del danno. A seguito di tale pronuncia, il Comune di Napoli - Direzione centrale Infrastrutture, Lavori Pubblici e Mobilità - Servizio Mobilità Sostenibile, con ordinanza dirigenziale n. 192 del 5 aprile 2016, aveva disposto la revoca dell'ordinanza sindacale n. 349 dell'8 marzo 2005 relativamente: alla "istituzione delle aree di sosta a pagamento alle Vie (omissis) e (omissis) e più precisamente: n. 205 posti auto regolamentati a pagamento, n. 12 posti auto riservati agli invalidi, n. 6 posti per motocicli e n. 1 area di carico e scarico"; alla previsione della "sosta a titolo gratuito per un solo autoveicolo del nucleo familiare residente"; e alla "istituzione delle aree di sosta a rotazione non riservate ai residenti alla Vie (omissis) e (omissis)". Con la sentenza n. 1928 dell'8 aprile 2019, pronunciata nel giudizio per l'ottemperanza al giudicato formatosi con la sentenza n. 12802 del 2013, il T.A.R. per la Campania dichiarava la cessazione della materia del contendere limitatamente agli obblighi di facere specifico adempiuti dal Comune di Napoli, accogliendo il ricorso relativamente all'obbligo di dare esecuzione alla sentenza ottemperanda nella parte relativa alla condanna al risarcimento del danno. Nonostante ciò, il Comune di Napoli, con ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017, disponeva con riferimento alla via (omissis) la realizzazione di n. 95 stalli auto regolamentati a pagamento (strisce blu), n. 16 stalli riservati alla sosta dei motocicli, mentre con riferimento a via (omissis) stalli auto regolamentati a pagamento (strisce blu), n. 1 stallo generico per disabili, n. 5 stalli riservati alla sosta di motocicli, ed un'area riservata al carico e scarico di merci (civ. (omissis)). Con successiva ordinanza dirigenziale n. 5 dell'8.5.2017, l'Ente municipale procedeva ad assegnare la gestione degli stalli di sosta alla società A.N. s.p.a. di cui all'ordinanza n. 7 del 2017. 2. La società Pl. proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso i suddetti provvedimenti unitamente agli atti presupposti, preordinati, connessi e consequenziali, denunciandone l'illegittimità sotto diversi profili, poi trasposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania. 3. Il Tribunale adito, con sentenza n. 7625 del 2021, accoglieva il ricorso, rilevando la fondatezza della censura relativa alla denuncia di violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, atteso che il Comune non avrebbe dovuto negare alla società proprietaria delle strade la possibilità di interloquire attivamente durante lo svolgimento della fase istruttoria del provvedimento finale, al fine di rappresentare le proprie legittime istanze. Il T.A.R. ravvisava, inoltre, l'illegittimità della istituzione degli stalli di sosta a pagamento da parte dell'Amministrazione in una strada di cui non era proprietaria, nè titolare di altri diritti reali idonei a giustificare la compressione del diritto di proprietà della società Pl., accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Quanto alla domanda di risarcimento del danno proposta dalla ricorrente, il Collegio riteneva che non poteva essere riconosciuto come danno ingiusto l'intero valore di mercato dei posti auto, atteso che, in disparte la necessità della prova di concrete proposte di acquisto non andate a buon fine a causa dell'emanato provvedimento, l'intera area era destinata a tornare nella piena disponibilità della società Pl. per effetto della pronuncia di annullamento, pertanto diversamente opinando, si sarebbe prodotto in capo alla ricorrente un ingiustificato arricchimento, derivante dall'acquisizione del prezzo di un bene solo temporaneamente sottratto alla sua disponibilità . Né poteva essere riconosciuto il danno derivante dal mancato sfruttamento economico delle aree di parcheggio, in quanto la ricorrente non aveva fornito alcun elemento di prova. Il Collegio di prima istanza disponeva, pertanto, un risarcimento determinato in via equitativa nella misura di euro 20.000,00 a carico del Comune di Napoli. 4. Il Comune di Napoli ha proposto appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendone l'integrale riforma, denunciando: "1. Error in procedendo. Per la mancata declaratoria del difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario e per il mancato accoglimento della specifica eccezione di inammissibilità del ricorso originario. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. del c.p.a.. Eccesso di potere giurisdizionale, contraddittorietà, assenza di motivazione; 2. Error in procedendo. Per la mancata declaratoria dell'improcedibilità parziale del ricorso. Contrasto con il proprio precedente giudicato di cui alla sentenza T.A.R. Campania VIII del 8.4.2019 n. 1928, resa fra le parti sulla medesima questione. Eccesso di potere giurisdizionale. Contraddittorietà . Assenza di motivazione; 3. Error in iudicando. Per violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere giurisdizionale. Contraddittorietà . Assenza di motivazione; 4. Error in iudicando. Per violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 7, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (codice della strada), contraddittorietà e assenza di motivazione; 5. Error in iudicando sull'illegittima quantificazione del risarcimento del danno per violazione o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c.". 5. La società Pl. s.r.l. si è costituita in resistenza ed ha spiegato appello incidentale, lamentando: "Violazione e falsa applicazione degli articoli 8, 9, 10 e 12 del d.P.R. n. 327/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 Cost. Eccesso di potere per difetto di motivazione, motivazione insufficiente, manifesta ingiustizia, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, sviamento. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1226 e 2056 cod. civ.". 6. Le parti con successive memorie hanno precisato le proprie difese. 7. All'udienza dell'8 febbraio 2024, la causa è stata assunta in decisione. DIRITTO 8. Con il primo motivo, il Comune di Napoli censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che la controversia, avente ad oggetto la negazione di una servitù di uso pubblico sulle vie (omissis) e (omissis), rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario. 8.1. La denuncia non può trovare accoglimento. Va premesso che risulta dai fatti di causa che la società Pl. è l'esclusiva proprietaria delle porzioni immobiliari identificate al catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), sub da (omissis), su cui ricadono le strade oggi denominate via (omissis) e via (omissis). Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 12802 del 2013, ha condannato il Comune di Napoli al risarcimento dei danni per le molestie arrecate alla Pl. nell'esercizio dei suoi diritti di proprietà sulle porzioni immobiliari destinate a parcheggi, indicate specificamente al catasto sub da (omissis) a (omissis). La suddetta pronuncia è passata in giudicato. Il Collegio, per le ragioni di seguito illustrate, anticipa che, diversamente da quanto argomenta l'appellante nei propri scritti difensivi, le emergenze processuali inducono ritenere che le aree oggetto del presente giudizio sono quelle già oggetto del giudizio definito con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013 sopra richiamata, e precisamente le porzioni immobiliari indicate sub da (omissis) a (omissis). Il Tribunale, con la suddetta pronuncia, ha ordinato all'Amministrazione comunale la cessazione di ogni molestia, e l'ha condannata al risarcimento dei danni procurati alla Pl. a causa della mancata percezione dell'utile derivante dalla sottrazione dell'uso dei beni di proprietà . La decisione è stata poi oggetto del giudizio di ottemperanza definito favorevolmente per la società Pl., con sentenza dal Tribunale amministrativo per la Campania n. 1928 del 2019. Ciò premesso in fatto, con riferimento alla denuncia di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il Comune appellante rileva che la ricorrente, nell'atto introduttivo della lite, ha sostanzialmente negato il potere dell'Ente di regolamentare sosta e viabilità sulle strade (omissis) e (omissis), contestando che le suddette strade siano ad uso pubblico. Pertanto, secondo l'esponente, la questione di giurisdizione avrebbe meritato un accertamento più approfondito per evidenziare il reale petitum introdotto dalla controparte ricorrente, che non si sostanzierebbe in una mera ricerca del quomodo del potere esercitato dall'Amministrazione, ma si estenderebbe all'an, sicchè la posizione giuridica soggettiva vantata sarebbe di diritto soggettivo, con la conseguente giurisdizione del giudice ordinario. L'approdo argomentativo non può essere condiviso. Come correttamente precisato dal Collegio di prima istanza, richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può, anzi deve valutare, incidenter tantum, la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale. Nella specie, la società ricorrente ha denunciato il cattivo uso del potere amministrativo da parte del Comune di Napoli nell'adozione degli atti impugnati, emanati sul presupposto, errato, dell'uso pubblico delle strade di proprietà della società Pl.. Infatti, con l'atto introduttivo del giudizio, si è proceduto ad impugnare i provvedimenti impositivi degli stalli di parcheggio tariffati (c.d. strisce blu), eccependone l'illegittimità per violazione dei principi che hanno riguardato l'esercizio del potere amministrativo quale, inter alia, l'uso scorretto del potere di disciplina della viabilità stradale, l'uso distorto del potere di imposizione dei parcheggi a pagamento su suolo di proprietà privata, in violazione del presupposto della effettiva titolarità del necessario diritto reale sulle aree assoggettate. Ne consegue che la giurisdizione sulla controversia appartiene al giudice amministrativo, al quale è stato chiesto l'annullamento dell'ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017, che ha inciso sulla regolamentazione dell'uso delle strade di proprietà della ricorrente. Al suddetto giudice, ai sensi dell'art. 8 c.p.a., viene consentito, per la concentrazione delle tutele e la celerità del processo amministrativo, di accertare incidenter tantum la natura delle stesse (Cass. SS.UU. n. 28331 del 2019). Non si controverte, infatti, in via principale, circa la proprietà pubblica o privata, di una strada o circa l'esistenza dei diritti di uso pubblico su una strada privata, e neppure si discute dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi dei privati o della pubblica amministrazione (Cass. SS.UU. n. 26897 del 2016). L'oggetto della controversia ruota, invece, sul cattivo uso del potere amministrativo 'sfociato nell'adozione di un provvedimento asseritamente illegittimo (sotto diversi profili), che presuppone - in tesi, erroneamente - l'uso pubblico delle strade'; pertanto, come precisato dal T.A.R. 'correttamente, dunque, la ricorrente si rivolge al Giudice amministrativo per sentir dichiarare l'illegittimità dell'ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017'. In ragione di siffatti rilievi, la sentenza impugnata in parte qua non merita censura. 9. Con il secondo mezzo, si contesta la statuizione del T.A.R. con la quale è stata respinta la denuncia di improcedibilità parziale del ricorso introduttivo proposto dalla società Pl.. A tale riguardo, il Comune di Napoli rileva un presunto contrasto con un precedente giudicato, asseritamente identico, reso con la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1928 del 2019 intervenuta tra le stesse parti. L'appellante sostiene l'improcedibilità parziale del ricorso con riferimento alla dedotta avvenuta cessazione delle condotte perpetrate e la riduzione in pristino, in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Pertanto, gli atti di imposizione degli stalli comunali di sosta, oggetto del presente giudizio, non potrebbero essere ritenuti in elusione del detto giudicato civile. 9.1. La doglianza va respinta. Come precisato dal Tribunale adito, le pronunce richiamate dall'appellante riguardano circostanze di fatto e petitum diversi, in quanto la sentenza n. 1928 del 2019 del T.A.R. per la Campania ha accertato l'intervenuto adempimento da parte del Comune agli obblighi di facere specifico derivanti dalla sentenza del Tribunale civile di Napoli n. 12802 del 2013, con intervento iniziato in data 30 giugno 2016 e terminato in data 4 luglio 2016; mentre con l'atto introduttivo del presente giudizio la Pl. ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza n. 7 del 2017, avente ad oggetto la regolamentazione della sosta nelle vie (omissis) e (omissis), per far valere l'illegittimità della condotta posta in essere dall'Amministrazione comunale. 10. Con la terza critica, si censura la decisione impugnata nella parte in cui si è ravvisata la violazione delle garanzie partecipative di cui all'art. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990, in quanto, secondo l'esponente, le determinazioni comunali inerenti alla disciplina della circolazione stradale hanno portata generale, sicchè non vi sarebbe obbligo di comunicare l'avvio del procedimento. 10.1. Il mezzo è infondato. I provvedimenti impugnati, in quanto atti non generali, sono idonei ad incidere in maniera diretta nella sfera giuridica della società Pl., la quale, essendo proprietaria delle vie (omissis) e (omissis), vanta una posizione giuridica di vantaggio qualificata e differenziata. Pertanto, alla predetta società sarebbe spettata la comunicazione di avvio del procedimento al fine della tutela delle garanzie partecipative. Né si può predicare, come pretende l'appellante, che le determinazioni comunali concernenti la disciplina della circolazione stradale, in quanto funzionali ad una pluralità di interessi pubblici, abbiano portata generale, con conseguente esclusione delle garanzie partecipative. Ciò in quanto, come si è detto, l'ordinanza n. 7 del 2017, quanto agli effetti, incide in concreto nella sfera giuridica della società proprietaria delle strade interessate, essendo idonea a mortificare una posizione differenziata assunta dalla destinataria del provvedimento rispetto alla collettività, suscettibile di specifica tutela sia in seno al procedimento amministrativo, sia nell'ambito della successiva fase giudiziale. Così inquadrata la questione, appare del tutto corretta la soluzione data dal primo giudice alle deduzioni difensive proposte, anche in questa sede, dalla società Pl. s.r.l. 11. Con il quarto motivo di appello, il Comune di Napoli censura la sentenza impugnata per asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, laddove si sostiene l'illegittimità della istituzione di stalli di sosta a pagamento da parte dell'Ente municipale in una strada di cui non è proprietario e, con riferimento alla quale, non è titolare di diritti reali che giustifichino la compressione dell'altrui diritto di proprietà, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Con memoria di replica, l'Ente municipale insiste nel ritenere che la situazione fattuale e giuridica conduce a riconoscere l'uso pubblico delle strade, come sarebbe rilevabile anche dalle conclusioni della C.T.U. espletata nell'ambito del giudizio civile R.G.N. 36781 del 2005, promosso dalla ricorrente Pl. dinanzi al Tribunale di Napoli. Conclude, pertanto, domandando che sia riconosciuta la presupposta servitù pubblica sulle strade (omissis) e (omissis), e quindi consentita la regolamentazione della circolazione e la sosta dei veicoli. 11.1. La denuncia è infondata. Il T.A.R., come già detto, ha evidenziato l'illegittimità della istituzione di stalli di sosta a pagamento da parte del Comune su strade di cui non è proprietario e non è titolare di diritti reali che giustificano la compressione dell'altrui diritto di proprietà, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Il Collegio di primo grado precisa altresì che: "Del resto, sarebbe illogico consentire a un ente (e in questo caso il Comune di Napoli) diverso dal titolare di sfruttare economicamente un bene altrui. E ciò a prescindere dalle allegate finalità di pubblico interesse, che potrebbero giustificare provvedimenti di mera regolamentazione del traffico e della sosta o, al più, lo svolgimento di procedure di carattere espropriativo con la corresponsione di un adeguato indennizzo". Questa Sezione condivide le conclusioni raggiunte dal primo giudice. Nel particolare caso di specie, dall'esame di tutta la documentazione versata in atti, emerge che non è stato assolto l'onere probatorio da parte del Comune circa la titolarità delle aree destinate a parcheggio di cui alle ordinanze impugnate, presupposto ai sensi dell'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, per l'installazione di stalli a pagamento, e neppure è emersa, senza dubbio, la natura di strade ad uso pubblico. Ciò in quanto, la norma testualmente prevede: "I proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana". Inoltre, l'art. 7, comma 1, lett. f) cit. precisa che il Comune può 'stabilire, previa delibera di giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sostanza, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti'. Infatti, non risulta che sia stata adottata una specifica deliberazione della Giunta comunale, né che il Comune abbia dimostrato alcun titolo legittimante il controllo della sosta mediante l'istituzione di parcheggi pubblici a pagamento su proprietà privata. Né può predicarsi che la dimostrazione dell'uso pubblico delle particelle oggetto dell'ordinanza n. 7 del 2017, di proprietà della società Pl., possa essere desunta dalle statuizioni contenute nella sentenza n. 2000 del 22.3.2023, resa nell'ambito del giudizio civile R.G. 7705 del 2018, atteso che, come chiarito dal C.T.U. nell'ambito del suddetto procedimento, non vi è identità tra le porzioni oggetto di tale giudizio e quello concluso con la sentenza civile n. 12802 del 2013, poiché il giudizio R.G. 7705 del 2018 ha avuto ad oggetto le due strade insistenti sul subalterno n. (omissis), mentre il giudizio definito con la sentenza n. 12802 del 2013, così come quello per cui oggi si procede, ha avuto ad oggetto le aree di cui ai subalterni da (omissis) a (omissis), destinate a parcheggio, e sulle quali il Comune ha realizzato strisce blu per sosta delle auto a pagamento e installato i relativi parcometri. Il Tribunale di Napoli nella sentenza n. 2000 del 2023 testualmente afferma: 'come si può evincere dalla C.T.U. le aree coinvolte nei due procedimenti sono differenti'. Le aree oggetto del presente giudizio, come chiaramente riferito dalla società Pl. con memoria, sono quelle già poste ad oggetto del giudizio concluso con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 cit., relative ai subalterni da (omissis) a (omissis). Come si è detto, la suddetta sentenza è passata in giudicato, ed è stata confermata in sede di ottemperanza dal T.A.R. per la Campania con la pronuncia n. 1928 del 2019. L'assunto è stato accertato dal C.T.U. nella relazione depositata nell'ambito del giudizio R.G.N. 7705 del 2018 relativo all'actio negatoria, il quale ha chiarito che 'non c'è identità tra le aree indicate nel presente giudizio e quello concluso con la sentenza n. 12802/2013'. Le denunce del Comune di Napoli, il quale sostiene che la Pl. ha frantumato la consistenza catastale delle strade solo in data 29 marzo 2017, sono rimaste prive di fondamento, in quanto, come desumibile dalle emergenze processuali (v. C.T.U. ing. La Mo. depositata nel giudizio R.G.N. 36781 del 2005 e C.T.U. disposta nell'ambito del giudizio R.G.N. 7705 del 2018 cit.), le aree della presente controversia erano già distinguibili all'epoca dell'instaurazione del giudizio che ha condotto alla sentenza n. 12802 del 2013. Il C.T.U. ha, infatti, evidenziato che nella causa iscritta al R.G.N. 36781 del 2005: 'il Giudice ordinario, per giungere ad una corretta decisione finale, ha disposto una CTU per valutare la titolarità delle singole particelle catastali acquistate dalla Società attrice...partendo dal 2004'. Orbene, con riferimento alle particelle oggetto del presente giudizio, non è emersa la situazione fattuale e giuridica dell'uso pubblico delle strade, e neppure è possibile desumerne l'uso pubblico dalla sentenza n. 12805 del 2013, anche perchè si è trattato di un procedimento articolato nei limiti di un actio negatoria finalizzata alla interruzione delle molestie e turbative arrecate dal Comune di Napoli ai fondi di proprietà della Pl.. Neppure è sufficiente, ai fini probatori, ad acclarare l'uso pubblico la relazione riassuntiva di cui alla nota del SAT della 5° Municipalità del Comune di Napoli, prot. n. PG/2016/718907 del 14.9.2016, e di cui alla successiva nota integrativa del medesimo servizio del 29.9.2016, atteso si tratta di un parere del soggetto gestore dell'attività di manutenzione della conferma di indici rivelatori di uso pubblico, che fa riferimento alla particella (omissis), oggi (omissis), ma senza alcuna specificazione dei subalterni (in particolare dal (omissis) al (omissis)) che riguardano il presente procedimento. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, qualora l'ente pubblico non sia proprietario della strada, come nella specie, la dimostrazione dell'uso pubblico richiede un atto che la sancisca quale un provvedimento amministrativo, una convenzione tra privato e amministrazione, o anche un atto di disposizione del privato, quale può essere un testamento, ovvero il possesso utile dell'usucapione ventennale accertato con sentenza, oltre che la concreta dimostrazione della sua idoneità ad assolvere pubbliche esigenze (Cons. Stato, sez. V, n. 7831 del 2003; id. sez. VI, n. 2544 del 2013). Va rammentato che, perché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: a) l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati 'uti cives' in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un'utilizzazione 'uti singuli', cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; b) l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù ; c) il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (Cass. n. 28632 del 2017). Gli esiti processuali e il lungo contenzioso che hanno visto contrapporre, con riferimento alle specifiche particelle oggetto di causa, la posizione della società Pl. s.r.l. e il Comune di Napoli escludono anche la cosidetta 'dicatio ad patriam', quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, posto che in nessun caso (e fin dal 2005) la proprietaria ha concesso, involontariamente o volontariamente, di destinare, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), il bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune 'uti cives'(Cass. n. 4851 del 2016; Cass. n. 4207 del 2012; v. anche Cons. Stato, sez. V, n. 728 del 2012). I presupposti per l'integrazione della 'dicatio ad patriam' consistono nell'uso esercitato 'iuris servitutis publicae' da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze di interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dare vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili cfr: Cons. Stato n. 5785 del 2019; id. n. 6460 del 2018; id. 5286 del 2018; id. n. 3446 del 2015). L'accertamento di un titolo idoneo in capo all'Ente municipale che, come noto, può essere concesso solo incidenter tantum a questo Giudice (Cass. SS.UU. n. 26897 del 2016), ai sensi dell'art. 8 c.p.a., nella specie non può essere effettuato, atteso che gli esiti processuali non hanno consentito di confermare le conclusioni raggiunte dall'appellante, il quale, con memoria di replica, a fronte delle contestazioni della società appellata, insiste nel sostenere la coincidenza delle aree oggetto del presente giudizio con quelle oggetto della sentenza del Tribunale di Napoli n. 2000 del 2023, ciò al fine di affermarne l'uso pubblico, pur essendo tale circostanza smentita, come sopra precisato, dai fatti di causa. Va, inoltre, condivisa la prospettazione difensiva sostenuta dalla Pl., secondo cui l'imposizione degli stalli di sosta comunali su area di proprietà privata costituisce, nella sostanza, un vincolo che inibisce completamente l'utilizzo del bene, assimilabile ad un provvedimento espropriativo che necessiterebbe di un apposito procedimento, ana a quello del vincolo preordinato all'espropriazione, stante l'insussistenza di qualsiasi titolo o presupposto legittimante il Comune di Napoli all'emissione dell'ordinanza n. 7 del 2017. In conclusione, va ribadito quanto acutamente osservato dal Collegio di primo grado, secondo cui: 'Del resto, sarebbe illogico consentire a un ente (in questo caso il Comune di Napoli) diverso dal titolare di sfruttare economicamente il bene altrui. E ciò a prescindere dalle allegate finalità di pubblico interesse, che potrebbero giustificare provvedimenti di mera regolamentazione del traffico e della sosta o, al più, lo svolgimento di procedure di carattere espropriativo con la corresponsione di un adeguato indennizzò . 12. In definitiva, l'appello principale non può trovare accoglimento, con conseguente conferma della sentenza impugnata anche con riferimento al quinto mezzo che, esaminato congiuntamente all'appello incidentale, va respinto. 13. La società Pl. s.r.l. ha spiegato appello incidentale, chiedendo la parziale riforma della pronuncia del T.A.R. nella parte in cui ha condannato il Comune di Napoli al risarcimento del danno in favore della ricorrente determinato in via equitativa in euro 20.000,00, con conseguente richiesta di condanna al risarcimento nella misura indicata con il ricorso introduttivo, ovvero nel diverso importo che vorrà essere liquidato in via equitativa. L'appellante incidentale chiede di essere ristorata per l'illegittima sottrazione delle aree di titolarità privata alla loro propria destinazione economica, nonché per il sostanziale svuotamento del loro valore economico per l'imposizione della destinazione ad un utilizzo pubblico, sostanzialmente ablativo, incompatibile con qualsivoglia iniziativa privata. E in ordine alla quantificazione del danno, domanda, pertanto, la rifusione del'mancato introito annuale del canone mensile per posto auto in relazione al numero dei posti auto esistenti nelle aree di proprietà della ricorrente' e 'del danno conseguente alla totale compressione, allo svuotamento sostanziale del valore del diritto della ricorrente ed all'impedimento concreto alla commerciabilità dei beni che ne costituiscono l'oggetto'. Il Comune di Napoli, con il quinto motivo di appello, ha evidenziato che tutte le aree individuate dal sub (omissis) al sub (omissis) sono ubicate ai margini laterali delle strade denominate via (omissis) e via (omissis). L'Amministrazione sostiene che la frantumazione della sede stradale non è opponibile al Comune, perché è successiva all'ordinanza impugnata che è stata pubblicata in data 10.3.2017, mentre l'accatastamento, con cui è stato separato catastalmente il tracciato della parte di carreggiata adibita alla circolazione veicolare dalle parti della stessa adibite ad area urbana o posto auto, è del successivo 29 marzo 2017. L'Ente municipale contesta la liquidazione del danno effettuata dal giudice del merito, ritenendo che nella specie il danno patrimoniale consistito nella mancata disponibilità del bene avrebbe dovuto essere accertato dal T.A.R., che di fatto non ha provveduto. 13.1. Il Collegio rileva che la domanda di risarcimento del danno, come riproposta nel presente giudizio dalla società Pl. va respinta. Né può trovare accoglimento il quinto mezzo spiegato dal Comune appellante. Il Tribunale amministrativo ha accertato il fatto dell'illecita sottrazione delle aree di proprietà della società ricorrente, riconoscendo correttamente i presupposti del risarcimento quale l'elemento oggettivo, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo. Ed ha evidenziato che 'la società ricorrente è stata illegittimamente privata del godimento dei propri beni per un significativo lasso di tempo', pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal Comune di Napoli, in disparte la questione dell'asserita frantumazione e inopponibilità dell'accatastamento, appare evidente il pregiudizio subito dalla società Pl. senza che sia necessario ulteriore supporto argomentativo. Ciò premesso, con riferimento al quantum debeatur, va condiviso il ragionamento logico seguito dal giudice territoriale, il quale rileva che non può, ovviamente, essere riconosciuto come danno ingiusto l'intero valore di mercato dei posti auto, atteso che, non solo non è stata offerta la prova delle concrete proposte di acquisto non andate a buon fine a causa dell'ordinanza n. 7 del 2017, ma anche perché l'intera area è destinata a tornare nella piena disponibilità della società Pl. a seguito dell'annullamento degli atti disposto con la sentenza, sicchè, diversamente opinando, 'si produrrebbe in capo al ricorrente un ingiustificato arricchimento, derivante dall'acquisizione del prezzo di un bene solo temporaneamente sottratto alla sua disponibilità '. Da quanto sopra consegue la correttezza e la congruità della determinazione in via equitativa del danno, nella misura indicata dal Collegio di prima istanza, non essendo stati forniti elementi relativi al possesso dei requisiti e dei titoli necessari a svolgere attività economica di sfruttamento delle aree di parcheggio. 14. In definitiva, per le motivazioni espresse va respinto l'appello principale e l'appello incidentale, con conseguente conferma della sentenza impugnata. 15. Le ragioni della decisione e la peculiarità della vicenda processuale giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite del grado tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando respinge l'appello principale e l'appello incidentale, come in epigrafe proposti. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI SEZIONE CIVILE SETTIMA composta dai magistrati: dott. Michele Magliulo Presidente dott.ssa Lucia Minauro Consigliere dott. Marco Marinaro Giudice aus. rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 4749/2014 R.G., di appello contro la sentenza n. 1535/2014 depositata dal Tribunale di Torre Annunziata (ex Sezione distaccata di Sorrento) il 17 giugno 2014, che ha definito il giudizio rubricato al n. 500125/2009 R.G., notificata il 21 ottobre 2014, Ca.Ro. (cod. fisc. (...), nata (...), residente in Piano di Sorrento (NA) al corso (...), Da.Do. (cod. fisc. (...)), nata a (...), residente in S. Egidio del Monte Albino (SA) alla via (...), Va.Do. (cod. fisc. (...)), nata (...), residente in Piano di Sorrento (NA) al corso (...), e Pa.Do. (cod. fisc. (...)), residente in Piano di Sorrento (NA) al corso (...), tutte elettivamente domiciliate in Napoli alla via (...) presso lo studio dell'avv. Pi.Or. unitamente agli avv.ti Va.Ri. (doc. fisc. (...)) e Gi.Ca. (cod. fisc. (...)) dai quali sono rappresentate e difese, fax n. (...), p.e.c.: (...), la prima in proprio e quale erede del defunto marito Fr.Do. (nato (...) ed ivi deceduto il 15.11.2012) e le altre solo quali eredi del medesimo quale loro genitore Fr.Do.; tra (appellanti) e Gi.Ca. (cod. fisc. (...)), nato (...), residente in Fonte Nuova (RM) alla via (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Da.Bu. (cod. fisc. (...)) e An.Lu. (cod. fisc. (...)), con facoltà disgiunte, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv.to Fe.Ce., in Boscoreale (NA) alla via (...); (appellato - appellante incidentale) Li.Pa. e St.Do., nella qualità rispettivamente di moglie e figlia di An.Do. (nato (...) e deceduto il (...)); (appellati - contumaci) Conclusioni All'esito dell'udienza del 14 dicembre 2023 preso atto che i procuratori delle parti costituite avevano precisato le conclusioni e avevano chiesto di rimettersi la causa in decisione, il Collegio si riservava. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione datato 13 febbraio 2009 e notificato a mezzo del servizio postale in data 16 febbraio 2009, Gi.Ca. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, An.Do. e Fr.Do., chiedendo che fosse accertato l'inadempimento dei convenuti con riferimento alle obbligazioni contrattuali assunte all'art. 4, sub a) ed all'art. 5, secondo e terzo periodo, della scrittura privata del 27 marzo 1999 e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni. Si costituiva in giudizio Fr.Do. chiedendo la sospensione necessaria del giudizio nell'attesa della definizione del giudizio n. (...) RACC pendente presso il medesimo tribunale, eccependo l'inadempimento dell'attore e chiedendo il rigetto delle domande da questi proposte. An.Do. non si costituiva in giudizio e veniva dichiarato contumace. Con comparsa di intervento depositata in data 21 maggio 2009 si costituiva in giudizio Ca.Ro., coniuge in regime di comunione di beni di Fr.Do., che chiedeva pronunciarsi l'annullamento, ai sensi dell'art. 184 c.c., del contratto preliminare del 20 gennaio 1999 e la condanna dell'attore all'immediato rilascio dei beni oggetto del predetto preliminare ed al risarcimento dei danni. Il tribunale respingeva l'istanza di sospensione e all'esito dell'istruttoria con la sentenza impugnata accoglieva la domanda e, per l'effetto, condannava Fr.Do. e An.Do. in solido tra loro al pagamento, in favore di Gi.Ca., dell'importo di Euro 49.964,12, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Rigettava le domande proposte da Ro.Ca.. Condannava Fr.Do., An.Do. e Ca.Ro., in solido al pagamento delle spese di lite, che liquidava in Euro 3.700,00 per compensi ed Euro 348,00 per spese, oltre I.V.A. e C.A.P. Con atto di appello del 18 novembre 2014, Ca.Ro. (sia in proprio, sia quale erede del coniuge Fr.Do.), nonché Da., Gi., Va. e Pa.Do. (quali eredi del proprio genitore Fr.Do.), dopo aver preliminarmente dichiarato l'avvenuto decesso in data 15 novembre 2012 del loro dante causa Fr.Do. (con contestuale produzione del relativo certificato di morte), proponevano gravame avverso la sentenza di primo grado chiedendone la riforma con l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1) preliminarmente disporsi la sospensione dell'efficacia esecutiva della ridetta sentenza a mente degli artt. 283 e 351 c.p.c.; 2) nel merito anzi tutto pronunziarsi l'annullamento del contratto preliminare del 20/1/1999 ai sensi dell'art. 184 c.c. e, per lo effetto, condannarsi l'odierno appellato Gi.Ca. all'immediato rilascio degli immobili oggetto del ridetto contratto, nonché al pagamento dell'indennizzo per occupazione sine titulo dal 20/1/1999 all'effettiva loro riconsegna ed al risarcimento dei connessi danni, da liquidarsi secondo le emergenze istruttorie, ovvero d'ufficio in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.; 3) in ogni caso rigettarsi le domande illo tempore proposte dall'appellato Gi.Ca. nei confronti del defunto Fr.Do. poiché infondate e/o non provate per le ragioni meglio esposte in precedenza; 4) conseguentemente porsi a carico di esso Gi.Ca. spese e compensi del doppio grado di giudizio, disponendone l'attribuzione ai sottoscritti procuratori antistatari ex art. 93 c.p.c.". L'atto di appello veniva altresì notificato a Li.Pa. e a St.Do., indicate in atto quali eredi di An.Do., anch'egli deceduto. Con comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale condizionato del 25 maggio 2015 si costituiva Gi.Ca., al fine di contestare la fondatezza dell'appello e sentire accogliere le seguenti conclusioni: "a) rigettare l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata formulata dalle appellanti, non sussistendone i presupposti di legge; b) rigettare in toto l'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, Sezione distaccata di Sorrento, G.U. dott.ssa Silvia Blasi, n. 1535 del 27.02 - 17.06.2014, dalle sig.re Ca.Ro. (in proprio e quale erede del sig. Fr.Do.), Da., Gi., Va. e Pa.Do. (nella loro qualità di eredi del sig. Fr.Do.), con atto di appello del 18.11.2014, notificato a mezzo P.E.C., per le ragioni ed i motivi esposti in narrativa, confermando integralmente la sentenza di primo grado; c) in via di estremo subordine, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento del primo motivo di impugnazione avversario, e salva in ogni caso impugnativa sul punto, accogliere l'appello incidentale condizionato come proposto dall'appellato Ca.Gi. sub par. 4 del presente atto e, per l'effetto, accertare e dichiarare l'intervenuta prescrizione sia dell'azione di annullamento del contratto preliminare di compravendita del 20.01.1999, sia della domanda di indennizzo per occupazione senza titolo così come proposte dalla sig.ra Ro.Ca. nella propria comparsa di intervento volontario ex art. 105 c.p.c. nel giudizio di primo grado e, conseguentemente, rigettarle entrambe; d) condannare le sig.re Ca.Ro. (in proprio e quale erede del sig. Fr.Do.), Da., Gi., Va. e Pa.Do. (nella loro qualità di eredi del sig. Fr.Do.) alla rifusione a favore dell'ing. Gi.Ca. delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge"; oltre che condannarle per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 3, c.p.c. anche in considerazione dell'evidente abuso del processo, avendo posto in essere le stesse una difesa manifestamente infondata. Rimanevano invece contumaci gli ulteriori destinatari della notifica dell'atto di appello, ovvero Li.Pa. e St.Do., nella loro indicata qualità di eredi del deceduto convenuto originario An.Do.. Alla prima udienza del 25 giugno 2015, la Corte si riservava in merito alla richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado avanzata dalla parte appellante. Successivamente, con ordinanza emessa fuori udienza del 2 - 28 luglio 2015, la Corte così provvedeva: "... rilevato che per la complessità delle questioni sollevate ... non è possibile deliberare sulla sussistenza del c.d. fumus...; rilevato sotto il profilo del periculum in mora, che l'appellato continuerebbe ad usufruire del box la cui proprietà non gli sarebbe stata trasferita, e ne sarebbe garantito in caso di conferma della decisione impugnata, mentre le appellanti sarebbero tenute alla corresponsione di una somma di denaro che, sebbene di non rilevantissimo importo, inciderebbe nell'immediato sulle loro condizioni di vita...", sospendeva l'efficacia esecutiva della sentenza appellata, contestualmente rinviando la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15 dicembre 2016. In seguito, dopo una serie di udienze nelle quali venivano disposti dei rinvii di ufficio, all'udienza del 25 ottobre 2018 le parti precisavano le conclusioni e la Corte tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, al cui esito, con ordinanza emessa fuori udienza il 9 gennaio 2020, disponeva l'esperimento del procedimento di mediazione (a norma dell'art. 5 comma 2 D.Lgs. 28/2010, nella versione vigente ratione temporis) fissando l'udienza di rinvio per il 12 novembre 2020. Il procedimento di mediazione veniva effettivamente introdotto dalla parte appellante e, avuta la personale partecipazione dell'attuale parte appellata, si concludeva con esito negativo in data 15 dicembre2020, come attestato dal relativo verbale (l'udienza come sopra originariamente fissata al 12 novembre 2020 era stata precedentemente rinviata al 1 aprile 2021 per la mancata conclusione a quella data della mediazione). Successivamente, con ordinanza emessa il 13 aprile 2023, la Corte per consentire che le parti potessero svolgere le "proprie difese in ordine al corretto esperimento della mediazione, considerato quanto disposto dall'art. 5, comma 2, D. lgs. 28/2010", e ciò tenuto conto della potenziale rilevanza "ai fini della decisione (soprattutto con riguardo alla procedibilità dell'appello)" delle questioni in oggetto, ed oltretutto della necessità del rispetto "del principio del contraddittorio di cui all'art. 101, comma 2, c.p.c.", risultando che, sino ad allora, le medesime questioni non erano state "in alcun modo esaminate nelle difese spiegate dalle parti", invitava entrambe le parti a formulare le proprie osservazioni mediante il deposito di note scritte da depositare entro il termine di gg. 60 dalla comunicazione dell'ordinanza; contestualmente invitava la "parte appellante a depositare: 1) la certificazione relativa alla situazione di famiglia all'origine di Fr.Do. (certificato originario di stato di famiglia che documenta la composizione originaria del nucleo familiare) o altra documentazione atta a comprovare la qualità di eredi legittimi o il testamento (nel caso di successione testamentaria) delle appellanti; 2) il certificato di morte e la certificazione relativa alla situazione di famiglia all'origine di An.Do. (certificato originario di stato di famiglia che documenta la composizione originaria del nucleo familiare) o altra documentazione atta a comprovare la qualità di eredi legittimi o il testamento (nel caso di successione testamentaria) di Li.Pa. e di St.Do."; fissava infine l'udienza del 21 settembre 2023, successivamente rinviata al 14 dicembre 2023, "per la definitiva precisazione delle conclusioni". Entrambe le parti procedevano al deposito delle rispettive note autorizzate; a quelle della parte appellata veniva altresì allegata documentazione diretta a chiarire la posizione di quest'ultima in relazione ad alcune osservazioni formulate dalla Corte. All'udienza come sopra rifissata, presente anche Gi.Ca. - attuale parte appellata ed appellante incidentale - i legali delle parti si riportavano alle conclusioni rassegnate nei propri scritti difensivi, esponendole oralmente, ed in particolare i difensori del Ca. insistevano per l'accoglimento dell'eccezione preliminare di improcedibilità dell'appello in ragione della irregolarità della costituzione del contraddittorio nella fase di appello del giudizio e del non corretto esperimento del procedimento di mediazione demandata sotto diversi profili. All'esito dell'udienza del 14 dicembre 2023 di precisazione delle conclusioni la Corte si riservava la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - La parte appellante principale impugna la sentenza di primo grado formulando due motivi di gravame che mirano alla riforma della stessa al fine di ottenere il rigetto della domanda introduttiva proposta da Gi.Ga., il quale ne chiede il rigetto e formula appello incidentale. 2. - Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione sollevata in udienza da Gi.Ca. e reiterata anche nella comparsa conclusionale di improcedibilità dell'appello principale per il non corretto esperimento della mediazione demandata. 2.1. - Al fine di esaminare compiutamente l'eccezione in oggetto, occorre rilevare che con ordinanza depositata il 9 gennaio 2020 veniva disposto l'esperimento della mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.lgs. 28/2010 (vigente ratione temporis) con onere di presentare la relativa domanda entro il termine di 15 giorni e con udienza di rinvio al 12 novembre 2020. All'esito di un rinvio d'ufficio del primo incontro di mediazione disposto dall'organismo, con nota di deposito del 16 dicembre 2020 il procuratore dell'appellante, produceva "verbale negativo" dell'incontro di mediazione svoltosi in presenza il 15 dicembre 2020. All'incontro di mediazione risultano aver partecipato per la parte istante (appellante principale) Va.Do. e Gi. Do., assistite dagli avv.ti Va.Ri. e Gi.Ca.; sempre per la parte istante (appellante principale) risulta che Ca.Ro., Da.Do. e Pa.Do. hanno partecipato conferendo la rappresentanza all'avv. Gi.Ca. (che ha partecipato quindi anche "quale procuratore speciale all'uopo delegato" delle indicate parti). Al medesimo incontro risulta poi aver partecipato per la parte invitata (appellato, appellante incidentale) Gi.Ca. assistito dagli avv.ti Da.Bu. e An.Lu.. Le altre parti invitate, rimaste contumaci nel giudizio, sono rimaste assenti in mediazione, anche se gli inviti per l'incontro non risultano essere pervenuti ai destinatari. Dall'esame del verbale non si evince il contenuto della procura (depositata agli atti della procedura presso l'organismo di mediazione prescelto) conferita da Ca.Ro., Da.Do. e Pa.Do. al rappresentante che ha partecipato all'incontro, come non si evincono i poteri del rappresentante della parte appellata presente al medesimo incontro (oltre a non rilevarsi nemmeno il deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione). 2.2. - Tali suesposti rilievi venivano effettuati con l'ordinanza del 13 aprile 2023, nella quale la Corte rilevava inoltre quanto segue: a) la sentenza di primo grado oggetto di gravame è stata pronunciata tra Gi.Ca. (parte attrice) e Fr.Do. e An.Do. (parte convenuta), Ca.Ro. (parte intervenuta); b) con l'atto di appello notificato il 21 novembre 2014, Ca.Ro., Va.Do., Gi. Do., Da.Do., Pa.Do., la prima in proprio ed in qualità di erede (coniuge) di Fr.Do., le altre in qualità di eredi (figlie) di Fr.Do., dichiaravano il decesso del dante causa Fr.Do. in data il 15 novembre 2012 e producevano anche il certificato di morte in sede di costituzione; c) la notifica dell'impugnazione veniva effettuata nei confronti di Gi.Ca., Li.Pa. e St.Do.; d) con comparsa depositata il 28 maggio 2015 si costituiva Gi.Ca. che proponeva anche appello incidentale condizionato, mentre rimrimanevano contumaci Li.Pa. e St.Do., ivi indicate quali eredi di An.Do.; e) la successione nel processo, ai sensi dell'art. 110 c.p.c., di un altro soggetto alla parte originaria è un fatto costitutivo del diritto potestativo di natura processuale ad impugnare la sentenza emessa nei confronti della parte originaria, ed il soggetto che proponga l'impugnazione (o, specularmente, ad essa resista) nell'asserita qualità di erede di quello che ha partecipato al precedente grado o alla precedente fase del giudizio deve provare sia il decesso della parte originaria, sia i fatti da cui deriva quella sua qualità e la mancanza di tale prova è circostanza rilevabile d'ufficio, a prescindere dalla contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell'impugnazione e come tale alla regolare costituzione del contraddittorio in funzione del giudizio dell'impugnazione e non alla sola titolarità della situazione sostanziale, come accade, invece, allorquando un soggetto agisca qualificandosi come erede introducendo un giudizio di primo grado, nel qual caso la controparte, proprio per quella ragione, ha l'onere di eccepire tempestivamente il difetto di quella qualità (Cass. civ. Sez. III, 11/01/2005, n. 379); f) nel caso di specie, il decesso di Fr.Do. risulta comprovata, ma non la qualità di eredi delle appellanti; come non appare comprovato il decesso di An.Do. e tantomeno della qualità di eredi delle parti appellate rimaste contumaci; g) al riguardo la Cassazione ha chiarito che il certificato di morte non è di per sé idoneo a dimostrare la qualità di erede in capo a chicchessia, in mancanza di uno stato di famiglia (nel caso di successione legittima) o di un testamento (nel caso di successione testamentaria) in quanto il certificato di morte dimostra l'avvenuto decesso d'una persona, ma non dimostra affatto quali e quanti eredi il de cuius abbia lasciato, né se i vocati alla successione abbiano accettato l'eredità" (Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord., 04/12/2019, n. 31695). 2.3. - Alla luce di quanto rilevato la Corte riteneva opportuno far svolgere alle parti le proprie difese in ordine al corretto esperimento della mediazione in quanto potenzialmente rilevanti ai fini della decisione (Cass., sent. n. 8473/2019; Cass., ord. n. 13029/2022) e non esaminate nelle difese, di guisa che venivano rimesse alle parti per garantire l'attuazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 101, comma 2, c.p.c. Pertanto, con l'ordinanza del 13 aprile 2023, la Corte disponeva quanto segue: A) invita la parte appellante a depositare: 1) la certificazione relativa alla situazione di famiglia all'origine di Fr.Do. (certificato originario di stato di famiglia che documenta la composizione originaria del nucleo familiare) o altra documentazione atta a comprovare la qualità di eredi legittimi o il testamento (nel caso di successione testamentaria) delle appellanti; 2) il certificato di morte e la certificazione relativa alla situazione di famiglia all'origine di An.Do. (certificato originario di stato di famiglia che documenta la composizione originaria del nucleo familiare) o altra documentazione atta a comprovare la qualità di eredi legittimi o il testamento (nel caso di successione testamentaria) di Li.Pa. e di St.Do.; assegna all'uopo il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del presente provvedimento; B) invita le parti a svolgere le proprie osservazioni sulle questioni sopra indicate (capo II) mediante il deposito di note scritte da depositare entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del presente provvedimento; C) fissa per la definitiva precisazione delle conclusioni l'udienza del 21 settembre 2023. 2.4. - All'esito dell'ordinanza suindicata, la parte appellante principale depositava in data 22 giugno 2023 i seguenti documenti: A) estratto per riassunto dell'atto di matrimonio dei coniugi Fr.Do. e Ca.Ro., dal quale si evince che quest'ultima è la moglie dello scomparso Fr.Do.; B) certificati di nascita con indicazione di paternità e maternità delle appellanti Da., Gi., Va. e Pa.Do., dai quali si evince che le stesse sono le figlie di Fr.Do. e di Ca.Ro.; C) copia della dichiarazione di successione del defunto rispettivo marito e padre Fr.Do. presentata alla Agenzia delle Entrate il 10/11/2015, la quale conferma che le medesime odierne appellanti - appunto quale moglie la prima e quali figlie le altre - sono le uniche eredi legittime del defunto Fr.Do.; D) certificato di morte di An.Do.; E) certificato di matrimonio del defunto di An.Do. con Li.Pa. contratto in Piano di Sorrento il 27/10/2004, il quale dimostra che quest'ultima è la moglie sopravvissuta del primo; F) estratto per riassunto dell'atto di nascita di St.Do., costei concepita da An.Do. e Ja.Ge., il quale prova la qualità della prima di figlia del defunto An.Do.. In tal senso, posto che le notifiche dell'impugnazione sono state ritualmente eseguite alle parti evocate in grado di appello, il contraddittorio è stato ritualmente instaurato ab origine con gli aventi causa dalle parti del primo grado del processo successivamente decedute. 2.5. - Quanto allo svolgimento della mediazione, la difesa dell'appellante - sempre nelle note del 22 giugno 2023 - eccepisce la irritualità della disposta mediazione posto che la stessa la Corte avrebbe superato i limiti posti dalla norma di riferimento. Infatti, in base all'art. 5, comma 2, D.lgs. 28/2010 nella sua formulazione ratione temporis applicabile alla fattispecie il giudice prevedeva che "Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa". 2.5.1. - Sennonché nel caso specifico all'atto del rinvio delle parti in mediazione la causa era già stata rinviata per la precisazione delle conclusioni più volte e, pertanto, lo stesso rinvio delle parti in mediazione risulterebbe adottato oltre il termine previsto dalla citata norma con dubbi sulla ritualità del correlativo ordine e/o sulla idoneità del procedimento stesso a fungere quale valida "condizione di procedibilità". 2.5.2. - Sul punto occorre precisare che la scelta di rimettere il processo alla fase istruttoria costituisce decisione di mera opportunità (Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., 27/05/2014, n. 11870). La retrocessione a tale fase riporta il giudizio al momento antecedente la precisazione delle conclusioni, nel quale il giudice d'appello ben può esercitare il rilievo d'ufficio (Cass. civ., Sez. II, Ord., 27/07/2023, n. 22805). 2.5.3. - Peraltro, di recente, la S.C. ha chiarito che, in punto di diritto, "occorre aggiungere che l'inciso del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 ("L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa") costituisce una norma di disciplina e regolamentazione dello svolgimento dell'udienza e senza dubbio non prevede una nullità processuale. In ogni caso, giova ricordare che, in tema di ricorso per cassazione è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo con cui si censuri una violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, essendo diretto in definitiva all'emanazione di una pronuncia senza alcun rilievo pratico (Sez. 6- 1, n. 12678 del 25 giugno 2020; Sez. 1, n. 20689 del 13 ottobre 2016)" (Cass. civ., Sez. II, Ord., 27/07/2023, n. 22805). 2.6. - La difesa della parte appellante deduce poi - sempre nelle note del 22 giugno 2023 - che al procedimento di mediazione risulterebbero aver partecipato tutte le parti personalmente o tramite apposito procuratore speciale "(nella specie l'avv. Gi.Ca., rispettivo nipote e cugino delle deleganti sig.re Ca.Ro., Da. e Pa.Do.) munito di apposita procura (cfr. le "deleghe" delle parti assenti trasmesse alle odierne appellanti dall'Organismo di mediazione del C.O.A. di Napoli giusta p.e.c. del 2/5/2023, allegato 7)". Né sarebbe condivisibile "quella ormai superata giurisprudenza che - oltre a richiedere apposita procura al difensore per la rappresentanza della parte in mediazione autonoma rispetto a quella ad litem - addirittura suggerisce la necessità che detta procura sia autenticata da notaio". In ogni caso, considerato che due delle cinque appellanti - nello specifico Gi. e Va.Do. - hanno partecipato personalmente all'incontro in mediazione, l'assenza delle consorti in lite Ca.Ro., Da. e Pa.Do. non potrebbe riverberarsi in loro danno determinando l'improcedibilità dell'appello. 2.6.1. - D'altro canto, la difesa dell'appellato, eccepisce la improcedibilità dell'appello per il mancato corretto esperimento della mediazione sotto diversi profili. In primo luogo, non risulterebbe il conferimento da parte delle appellanti di una specifica procura ai propri codifensori per rappresentarle e assisterle nel procedimento (stragiudiziale) di mediazione demandata, distinta rispetto alla procura alle liti conferita loro a suo tempo per il presente giudizio. Inoltre, rilevato che nel procedimento di mediazione sono risultate entrambe assenti le parti rimaste contumaci nel giudizio di appello (Li.Pa. e St.Do.), l'invito alla partecipazione all'incontro di mediazione non risulta in alcun modo pervenuto alla destinataria St.Do., posto che, con riferimento a quest'ultima, il mediatore ha attestato che la comunicazione dell'incontro del 15.12.2020 "non [è stata) recapitata poiché destinatario risultante sconosciuto"; come, d'altronde, già verificatosi per la precedente comunicazione relativa all'incontro del 05.10.2020 (poi rinviato), in relazione alla quale risulta formalizzata la medesima attestazione (cfr. il verbale negativo di mediazione). Infine, si rileva anche il mancato conferimento per il primo incontro di mediazione di valida procura speciale sostanziale (ad uno dei propri codifensori nel giudizio di appello) da parte delle tre appellanti non presenti personalmente (Ca.Ro., Da.Do. e Pa.Do.), richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte. 2.6.2. - Sulla questione della procura per la partecipazione all'incontro di mediazione nel vigore della previgente disciplina applicabile ratione temporis (e, quindi, prima dell'entrata in vigore della riforma adottata con l'art. 7 del D.lgs. 149/22), occorre ricordare che la Suprema Corte ha chiarito che, con riguardo all'esperimento della mediazione quando la stessa è condizione di procedibilità ex lege, "nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale"; per cui "allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, ...). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale" (Cass., sent. n. 8473/2019; Cass., ord. n. 13029/2022). 2.6.3. - Sul punto, appare opportuno precisare che questa Corte non ritiene che per delegare la partecipazione in mediazione sia necessaria una procura in forma notarile. La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza di merito con orientamenti non coerenti. Invero, è stato già precisato dalla giurisprudenza più attente che sul tema la norma cardine è costituita dall'art. 1392 c.c. che impone che la procura, a pena d'inefficacia, debba avere la stessa forma prescritta per il contratto che il rappresentante deve concludere. Il principio è stato pienamente recepito dalla nota sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. III, 27/03/2019, n. 8473) che sul punto specifico ha statuito che la procura debba essere speciale e sostanziale e cioè possedere le caratteristiche di specialità, in funzione proprio dello specifico procedimento di mediazione e di conferimento dei poteri di disporre dei diritti oggetto del procedimento mediativo (ex multis, Trib. Ravenna, sent. n. 571 del 31.10.2022). D'altro canto, non può quindi essere condiviso l'opposto orientamento minoritario (ad es. Trib. Genova 15/02/2022), considerato che nella disamina della citata pronuncia della S.C. (Cass. n. 8473/2019) attribuisce alla stessa affermazioni non corrispondenti alla motivazione della sentenza ("si deduce che la procura conferita per il procedimento di mediazione debba essere autenticata da notaio") giungendo ad una sovrapposizione tra procura speciale sostanziale e procura autenticata da notaio: la procura infatti può essere con firma autenticata oppure no e ciò dipende dal tipo di atto alla cui stipula è finalizzata come espressamente previsto dall'art. 1392 c.c. (Trib. Ravenna, cit.). 2.6.4.- Nel caso di specie, dei cinque soggetti che hanno proposto congiuntamente l'atto di appello, soltanto in due hanno partecipato personalmente all'incontro di mediazione assistite da due avvocati. Tuttavia, trattandosi di litisconsorzio unitario ex art. 110 c.p.c., è sufficiente che anche soltanto uno dei litisconsorti compia l'atto. Ciò significa che seppure gli altri tre soggetti non abbiano partecipato ritualmente all'incontro di mediazione (in quanto non vi è prova agli atti del rilascio di una idonea procura secondo le indicazioni sopra riportate), la stessa deve intendersi sotto questo profilo ritualmente esperita ai fini della procedibilità dell'appello. Quanto all'assistenza dell'avvocato, appare evidente che trattandosi di una assistenza in sede stragiudiziale con la presenza personale della parte, non occorreva il rilascio di alcuna procura risultando sufficiente la presenza all'incontro di mediazione nel ruolo di assistenza della stessa come verbalizzata dal mediatore. 2.6.5. - Infine, con riguardo alla corretta trasmissione dell'invito alle parti contumaci occorre rilevare che dal verbale di mediazione risulta che per Li.Pa. la raccomandata inviata in Danimarca non recapitata era in corso di restituzione, mentre per St.Do. la raccomandata inviata in Francia non sarebbe stata recapitata perché il destinatario era risultato sconosciuto. Nel verbale risultano specifiche ulteriori indicazioni sugli indirizzi, ma soltanto i numeri delle raccomandate internazionali. Peraltro, nella domanda di mediazione (come anche nell'atto di appello) per Li.Pa. risulta un indirizzo di Trento (e quindi non in Danimarca) e per St.Do. un indirizzo a Parigi (indirizzi presso i quali sono state anche eseguite le notifiche dell'impugnazione). Tuttavia, il primo incontro (5 ottobre 2020) era stato rinviato al 15 dicembre 2020 proprio per consentire all'istante di acquisire i certificati di residenza aggiornati (posto che la raccomanda a Li.Pa. a Trento risultava rispedita al mittente per compiuta giacenza e l'altra non recapitata per destinatario sconosciuto) per procedere poi ad una nuova convocazione. In tal senso, la parte istante risulta essersi attivata avendo consentito una nuova convocazione da parte dell'organismo poi non andata a buon fine. Delle certificazioni prodotte all'organismo e degli indirizzi poi effettivamente utilizzati per le raccomandate non vi è traccia agli atti a causa di una poco puntuale e, perciò stessa, inadeguata verbalizzazione da parte del mediatore. 2.6.6. - Ad avviso del Collegio nel caso in esame emerge con evidenza una inefficienza organizzativa dell'organismo di mediazione che non può essere addebitata alla parte istante che ha fornito gli indirizzi corretti al fine di procedere alla trasmissione degli inviti. Infatti, è il mediatore che invero non ha correttamente e puntualmente indicato a verbale le attività svolte dall'organismo per la comunicazione degli inviti alle due parti contumaci. Peraltro, anche se con riguardo ad altro aspetto procedurale, la S.C. ha chiarito che proprio che in ipotesi di mediazione demandata dal giudice (art. 5, commi 2 e 2-bis, D.lgs. n. 28 del 2010, nei testi vigenti ratione temporis), ciò che rileva, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione - da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo (Cass. civ., Sez. II, Sent., 14/12/2021, n. 40035). D'altronde, nemmeno potrebbe ragionevolmente gravarsi l'istante della fase di invito della parte chiamata in mediazione qualora l'organismo avesse errato nell'indirizzamento della relativa comunicazione rispetto ai dati forniti con l'istanza di mediazione. Invero, la procedura di mediazione è amministrata dall'organismo che è responsabile della gestione di tutte le attività connesse alla regolarità della stessa e la cui verifica viene poi effettuata dal mediatore all'inizio del primo incontro redigendo il relativo verbale ove viene dato atto dei profili rilevanti anche ai fini della verifica in sede giudiziale. In tal senso, all'atto della presentazione della domanda di mediazione, "il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante" (art. 8, comma 1, D.lgs. 28/2010, vigente ratione temporis). È indubbio quindi che sia l'organismo ad essere obbligato ad attivarsi tempestivamente e correttamente per la convocazione dell'incontro tra le parti (restando soltanto in facoltà dell'istante di rendersi parte diligente per la trasmissione dell'istanza a fini interruttivi nei casi in cui il processo non sia già pendente, come nel caso di mediazione demandata dal giudice). Ciò significa che una volta verificato il verbale dell'incontro di mediazione nel quale il mediatore ha dato atto della regolare comunicazione dell'invito alla parte da convocare all'incontro, la procedura deve ritenersi esperita una volta che all'incontro si accerti la sua mancata partecipazione. Si ribadisce infatti che non può onerarsi la parte istante di attività che il legislatore ha affidato ad un organismo che professionalmente amministra il servizio di mediazione e che, quindi, trasmette l'invito alle parti da invitare assumendosi la responsabilità della tempestiva ed effettiva comunicazione (App. Napoli, sent. n. 2457 del 7.6.2022). D'altronde pervenire alla declaratoria di improcedibilità per una negligenza o una inefficienza dell'organismo costituirebbe una conseguenza irragionevole e che inoltre renderebbe la mediazione non uno strumento di pacificazione e coesione sociale ma che innesca ulteriore contenzioso anche in sede giudiziale. Pertanto, la mediazione oggetto di esame è stata ritualmente esperita e l'eccezione proposta dall'appellato deve essere respinta. 3. - Passando all'esame del merito, con l'appello principale la parte appellante censura la sentenza di primo grado per i seguenti motivi: A) l'erroneo rigetto della domanda spiegata mediante intervento volontario ex art. 105 c.p.c. da Ca.Ro. di annullamento ai sensi dell'art. 184 c.c. del contratto preliminare del 20/1/1999 stipulato dal di lei marito Fr.Do. con l'appellato Gi.Ca., rilevato che la natura asseritamente novativa della transazione del 27/3/1999 rispetto al citato preliminare addotta dal tribunale a fondamento della reiezione di tale domanda andava per certo esclusa; B) la violazione dell'art. 112 c.p.c. sottesa al parziale accoglimento della domanda risarcitoria avanzata in giudizio dall'appellato Gi.Ca., atteso il tribunale aveva di fatto riconosciuto ad esso odierno appellato i danni da responsabilità extracontrattuale determinati convenzionalmente dalle parti con la transazione del 27/3/1999, laddove egli in giudizio aveva invocato il risarcimento di danni da responsabilità contrattuale conseguenti al preteso inadempimento dei convenuti originari Fr. ed An.Do. rispetto alle obbligazioni assunte con la medesima transazione del 27/3/1999 (o con il preliminare del 20/1/1999). Danni questi ultimi che certo non potevano equivalere a quelli convenzionalmente fissati in una determinata somma di denaro per una responsabilità extracontrattuale dei convenuti legata a vicende composte tramite la suddetta transazione (la cui parte ancora a versarsi era pari proprio al prezzo concordato nel preliminare del 20/1/1999 per il trasferimento ivi promesso); C) in ogni caso, l'erroneità della sentenza in parte qua, atteso, tra l'altro, che l'attuale appellato non aveva né allegato, né tantomeno dimostrato tali supposti danni da responsabilità contrattuale (quasi che essi conseguissero in automatico al presunto inadempimento). Costituitosi in appello Gi.Ca. impugnava il gravame e ne domandava il rigetto. Inoltre, proponeva appello incidentale condizionato avente ad oggetto la pronunzia di prescrizione della domanda ex art. 184 c.c. proposta in primo grado da Ca.Ro., nonché - in ogni caso - la prescrizione quinquennale degli indennizzi semmai da egli dovuti ove fosse stata accolta detta domanda di annullamento contrattuale. 4. - Prima di esaminare i singoli motivi di impugnazione appare necessario ricostruire brevemente la vicenda contrattuale che ha dato origine al contenzioso che si protrae ormai da 25 anni non avendo trovato composizione nemmeno in sede mediativa. 4.1. - La domanda di risarcimento introdotta da Gi.Ca. nei confronti di Fr.Do. e An.Do. trova ragione nella dedotta sussistenza di danni che questi avrebbe subito in seguito ad un preteso inadempimento contrattuale dei convenuti rispetto alle obbligazioni nascenti da una transazione stipulata con scrittura privata il 27 marzo 1999. 4.2. - Più precisamente in virtù di contratto preliminare del 20 gennaio 1999 Fr.Do. si obbligava a vendere un box auto sito in Piano di Sorrento alla via (...), nonché l'area allo stesso box sovrastante di mq 14,58 al prezzo di Euro 33.569,69 (Lire 65.000.000), di cui Euro 27.372,21 (Lire 53.000.000) da imputarsi al pagamento del box auto ed Euro 6.197,48 (Lire 12.000.000) quale prezzo per l'area sovrastante. Le parti pattuiva quale termine per la stipula del contratto definitivo di compravendita il 30 settembre 1999 ovvero entro il 31 dicembre 1999. 4.3. - Con successiva scrittura privata del 27 marzo 1999 Gi.Ca. da un lato ed i cugini Fr. ed An.Do. dall'altro stipulavano la transazione per una lite tra loro insorta relativa ai lamentati danni subiti dal Ca. per effetto della realizzazione di altra contigua autorimessa interrata posta a servizio dell'albergo dei citati cugini Do., nonché a causa dell'apertura nel muro perimetrale del fabbricato di via (...) n. 47 in Piano di Sorrento (esattamente al di sotto del di lui appartamento) di un varco resosi necessario per consentire l'accesso dei veicoli al suddetto garage interrato. In detta transazione, a fronte della rinunzia del Ca. a qualsivoglia pretesa risarcitoria i Do. gli riconoscevano a titolo di risarcimento dei danni la somma di Euro 51.645,68 (Lire 100.000.000) e per il pagamento si prevedeva il versamento della somma di Euro 18.075,99 (Lire 35.000.000) con le modalità ivi meglio specificate e la compensazione dell'importo residuo di Euro 33.569,69 (Lire 65.000.000) con il debito gravante sul medesimo Ca. a titolo di prezzo pattuito per la suindicata compravendita del box auto. Con il medesimo accordo transattivo le parti convenivano anche la realizzazione a carico dei cugini Fr. ed An.Do. entro il giugno 2000 di una copertura fissa in materiale insonorizzante al di sopra dello spazio esistente tra l'ingresso dell'autorimessa interrata di proprietà del convenuto Fr.Do. ed il varco aperto nelle mura perimetrali del fabbricato, nonché la contestuale cessione in favore del Ca. del diritto di superficie sull'area sovrastante la predetta copertura, ovvero, in caso di mancata concessione delle prescritte autorizzazioni amministrative per la realizzazione di detta copertura (da ottenersi entro il 30 giugno 2000), la cessione a titolo gratuito dell'aerea rimanente (rispetto a quella di mq 14,58 già promessagli in vendita con il preliminare del 20 gennaio 1999) sovrastante al box auto. Infine, sempre con la transazione del 27 marzo 1999, i Do. si impegnavano a realizzare idoneo isolamento acustico del solaio che fungeva da calpestio dell'appartamento del Ca. e da copertura del locale attraverso il quale avveniva - tramite il varco sopra indicato - l'ingresso degli autoveicoli nell'autorimessa interrata di proprietà di Fr.Do.. 4.4.- Con l'atto di citazione introduttivo, il Ca. deduceva che a fronte delle obbligazioni assunte con la scrittura privata del 27 marzo 1999 i Do. avevano provveduto solamente a corrispondergli la somma Euro 18.075,99 (Lire 35.000.000), a ripristinare la vegetazione già esistente al di sopra dell'autorimessa interrata e ad insonorizzare il percorso sottostante all'appartamento di sua proprietà, nel mentre avevano omesso di corrispondergli la somma di Euro 33.569,69 (Lire 65.000.000) (o meglio di trasferirgli la proprietà del box auto e dell'area sovrastante), nonché di adempiere agli altri obblighi ivi contrattualmente previsti. 4.5. - Su tali basi il Ca. chiedeva la condanna dei Do. al pagamento della somma di Euro 33.569,69 (Lire 65.000.000) a titolo di danni per l'omessa stipula dell'atto di trasferimento del box auto promessogli in vendita e di quell'ulteriore importo da determinarsi in corso di causa per l'inadempimento delle altre obbligazioni ivi meglio indicate. 4.6. - Con comparsa depositata il 21 maggio 2009 si costituiva nel giudizio di primo grado il convenuto Fr.Do., il quale impugnava le domande avversarie e ne chiedeva il rigetto, mentre An.Do. rimaneva contumace. 4.7. - In pari data interveniva Ca.Ro. (coniuge di Fr.Do.), la quale impugnava il contratto preliminare del 20 gennaio 1999 e ne chiedeva l'annullamento ex art. 184 c.c., con conseguente condanna dell'attore ed odierno appellato Ca. al rilascio del box auto promessogli in vendita dal solo suo coniuge Fr.Do., al pagamento dell'indennizzo da occupazione sine titulo. 4.8. - Con la impugnata sentenza il giudice di prime cure accoglieva parzialmente le domande del Ca. e, per l'effetto, condannava i cugini Fr. ed An.Do. in solido al pagamento della somma di Euro 49.964,12 a titolo di risarcimento del danno, rigettando la domanda di Ca.Ro.. 5. - Con il primo motivo, l'appellante principale si duole del rigetto delle domande formulate da Ca.Ro. nell'atto di intervento (pronuncia di annullamento del contratto preliminare del 20 gennaio 1999 ex art. 184 c.c. e conseguente condanna di Gi.Ca. all'immediato rilascio dei beni promessi in vendita dal coniuge Fr.Do., al pagamento dell'indennizzo da occupazione sine titulo ed al risarcimento dei danni) ritenendo che, nella specie, la transazione del 27 marzo 1999 avrebbe estinto per novazione il preliminare del 20 gennaio 1999. A tali conclusioni il tribunale sarebbe pervenuto risultando evidente l'incompatibilità delle pattuizioni contenute nella transazione con la persistenza della regolamentazione fissata nel citato contratto preliminare ed essendo stato il carattere novativo di tale transazione riconosciuto finanche da Fr.Do. (alle pagine 8 e 9 della comparsa di risposta in primo grado). 5.1. - Secondo la tesi dell'impugnazione, la transazione del 27 marzo 1999 - lungi dall'avere estinto per novazione il contratto preliminare del 20 gennaio 1999 siccome supposto dalla sentenza impugnata - avrebbe semplicemente richiamato il contenuto di tale contratto ed avrebbe previsto che il prezzo pattuito per la promessa compravendita del box e delle superiori aree scoperte sarebbe stato pagato dal promittente acquirente (Gi.Ca.) mediante compensazione con la corrispondente frazione del maggior credito in suo favore insorto per effetto della medesima transazione. Tale interpretazione troverebbe conferma nella citata scrittura transattiva ove più volte si prevede che il predetto contratto preliminare doveva intendersi ivi "integralmente trascritto", con ciò evidentemente intendendosi non già convenirne la novazione, bensì meramente richiamarne il contenuto. D'altronde, seguendo la medesima tesi, la transazione si sarebbe limitata a prevedere la medesima promessa di vendita di cui al preliminare per cui difetterebbe il requisito dell'aliquid novi, provvedendo al contempo a definire le vertenze nel frattempo insorte tra il Ca. da un lato ed i cugini Do. (e non il solo Fr.Do.) dall'altro. Inoltre, il passaggio della comparsa di risposta di Fr.Do. (pagg. 8 e 9 della stessa) richiamato dalla sentenza di primo grado, del tutto evidentemente avrebbe allegato il carattere novativo della transazione, ma rispetto alle pretese risarcitorie da responsabilità extracontrattuale vantate dal Ca. nei confronti dei cugini Do. e non certo nei riguardi del contratto preliminare in precedenza stipulato dai soli Fr.Do. da un lato e Gi.Ca. dall'altro. 5.2. - Per converso, secondo la difesa dell'appellato Gi.Ca., il contratto preliminare del 20 gennaio 1999, di cui Ca.Ro. ha chiesto l'annullamento ex art. 184 c.c., non sarebbe più esistente, né lo era al momento della predetta richiesta. Invero detto contratto sarebbe stato integralmente trasposto nella successiva scrittura privata del 27 marzo 1999, che pertanto, in tal modo, sarebbe stato da quella sostituita, ricomprendendolo nelle più ampie disposizioni ivi previste. Sarebbe quindi evidente il carattere novativo della scrittura privata del 27 marzo 1999 rispetto al rapporto preesistente tra le parti, con espresso riferimento, quindi, anche al contratto preliminare del 20 gennaio 1999. Sul il Ca. richiama - con valore di interpretazione autentica - le considerazioni svolte dalla difesa di Fr.Do. in sede di comparsa di costituzione (pagg. 8 e 9), ove si afferma: "nella fattispecie, infatti, non è seriamente revocabile in dubbio il carattere novativo della suddetta transazione del 27/3/1999 atteso che in base al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità "la transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello avente causa nell'accordo transattivo, di guisa che dall'atto sorga un'obbligazione oggettivamente diversa da quella preesistente" (ex plurimis, Cass. civ. n. 4008/2006). Peraltro, ciò troverebbe ulteriore conferma nelle affermazioni contenute nella comparsa conclusionale (cfr. pag. 8, secondo capoverso) di Fr.Do. il quale avrebbe continuato a sostenere la predetta versione dei fatti ritenendo "evidente il carattere novativo della suddetta scrittura privata transattiva del 27/3/1999 (stante la situazione di oggettiva incompatibilità tra rapporto preesistente e quello insorto per effetto della medesima)". Tale tesi troverebbe ultima conferma anche nell'atto di appello, ove secondo l'appellato, la parte appellante continuerebbe a riferirsi alla transazione dandone per scontato il carattere novativo, quando afferma: ".solo nell'ipotesi di contemporanea pronunzia di risoluzione del preliminare del gennaio 1999 (ovvero della transazione del marzo 1999, se possibile ai sensi dell'art. 1976 c.c.) ..." (cfr. pag. 17 punto A), ed ancora ".nella specie , tuttavia, la risoluzione della transazione - oltre a non essere stata mai chiesta - sarebbe stata in concreto impossibile, a ciò ostando il disposto dell'art. 1976 c.c." (cfr. pag. 18, punto 2), ed infine "oppure richiedere la risoluzione (ammesso che possibile alla stregua dell'art. 1976 c.c.) ..." (cfr. pag. 19, sestultima e settultima riga). Da questi rilievi secondo la medesima tesi emergerebbe con certezza l'animus novandi che ha indirizzato le parti nell'attuazione della nuova regolamentazione dei loro rapporti. Ed anche sotto il profilo dell'aliquid novi sarebbe fin troppo agevole osservare come le obbligazioni sorte tra le parti a seguito della scrittura transattiva del 27 marzo 1999 siano significativamente più complesse ed articolate (quindi nel loro complesso diverse) rispetto a quelle scaturenti dal preliminare del 20 gennaio1999, il che confermerebbe che dalla predetta scrittura è conseguito un sostanziale mutamento dell'oggetto della prestazione e ancor più una situazione giuridica che si è sostituita integralmente alla precedente, ed è con essa incompatibile. 5.3. - Ed invero, dalla lettura dei contratti oggetto di lite, si evince che in esito all'accordo transattivo, Fr.Do. e An.Do. si erano impegnati a versare a Gi.Ca. di Lire 100.000,00 (Euro 51.645,68) con le seguenti modalità: a) quanto a Lire 65.000.000 (Euro 33.569,69), Fr.Do. si era obbligato a trasferire all'ing. Ca. la proprietà del box auto e dell'area a questo sovrastante (l'obbligazione veniva chiaramente riformulata in questo punto della scrittura privata, ma in ogni caso si precisava che il preliminare del 20 gennaio 1999 avrebbe dovuto considerarsi integralmente trascritto nella medesima scrittura privata); b) quanto alla restante somma di Lire 35.000.000 (Euro 18.075,99), i Do. si erano impegnati a corrisponderla direttamente, in più rate, a mezzo assegni bancari. I medesimi Do. si erano altresì impegnati nei confronti del Ca.: a ripristinare la vegetazione su tutta l'area di copertura della autorimessa e del viale di accesso a quest'ultima; a realizzare, entro giugno 2000, una copertura fissa, in materiale insonorizzante, obbligandosi, contestualmente, a cedere al Ca. il diritto esclusivo di superficie sull'area sovrastante la predetta copertura, ovvero, a cedergli a titolo gratuito, a loro esclusiva scelta, o l'area sovrastante il box non ancora ceduta, di proprietà di Fr.Do., ovvero l'area di calpestio ottenuta coprendo lo spazio indicato nel grafico allegato alla scrittura privata (parte tratteggiata) per una superficie di circa 16 mq; a insonorizzare tutto il percorso sottostante l'appartamento del Ca. e migliorare, minimizzandone il rumore, la porta di accesso ai locali sottostanti il suo appartamento (cfr. per tutte le pattuizioni elencate a carico dei Do. gli artt. 4 e 5, pagg. da 4 a 6, della scrittura privata del 27 marzo 1999). Gi.Ca., di contro, con la medesima scrittura privata, si era impegnato a: 1) acconsentire alla realizzazione dei locali autorimessa sul terreno retrostante la sua proprietà, oltre che di eventuali ed ulteriori box auto; 2) acconsentire alla realizzazione del varco di accesso alla autorimessa al di sotto della sua proprietà; 3) rinunciare ad ogni diritto, domanda e/o eccezione diretta alla eliminazione, abbattimento o altro, delle predette opere; 4) accettare che l'autorimessa fosse destinata ai veicoli dei clienti e proprietari dell'Hotel Klein Wien; 5) acconsentire che attraverso il varco al di sotto della sua proprietà potessero entrare ed uscire veicoli e pedoni, senza condizioni e limiti temporali; 6) rinunciare a richiedere il risarcimento dei danni conseguente alla realizzazione delle opere ed al passaggio dei veicoli e pedoni; 7) nel corso delle assemblee di condominio, ad acconsentire alla concessione e/o costituzione di servitù di passo carrabile e pedonale attraverso il varco posto al di sotto della sua proprietà, in favore della autorimessa; 8) ad esprimere, sempre nelle assemblee di condominio, parere contrario in ordine ad eventuali azioni o domande nei confronti dei Do., per le opere da questi realizzate (cfr. per tutte le pattuizioni elencate a carico del Ca. gli artt. da 6 a 9, pagg da 6 a 7, della scrittura privata del 27.03.1999). 5.4. - In punto di diritto, occorre osservare che la novazione può essere perfezionata dal creditore e dal debitore anche in funzione transattiva: l'istituto di cui agli artt. 1230 c.c. e segg. si presta infatti a rientrare nello schema delle reciproche concessioni che le parti si fanno al fine di risolvere una controversia tra le stesse insorta ovvero al fine di prevenire una controversia futura. In dottrina è stato sottolineato che la c.d. transazione novativa è una vera e propria transazione, di cui la novazione costituisce solo un effetto: nel contratto di transazione, infatti - quand'anche dovesse essere prevista l'estinzione dell'obbligazione originaria e la sua sostituzione con una nuova obbligazione - detti effetti non sono necessari all'individuazione del relativo requisito causale. Da ciò consegue che la c.d. transazione novativa sarà soggetta tanto alla disciplina dettata in materia di transazione, quanto alle norme (in particolare, agli artt. 1230, 1231 e 1232 c.c.) previste in tema di novazione, applicabili nei limiti della compatibilità. 5.5. - La giurisprudenza peraltro è univoca nel ritenere che la transazione - per quanto idonea a modificare la fonte del rapporto giuridico controverso - non determina necessariamente l'estinzione di quest'ultimo: a tal fine, occorre che ricorrano i presupposti di cui all'art. 1230 c.c., e cioè non solo una situazione di oggettiva incompatibilità tra il vecchio ed il nuovo rapporto (Cass. civ., Sez. III, 06/04/2006, n. 8101), ma altresì che le parti abbiano inequivocabilmente inteso concludere un nuovo rapporto in sostituzione di quello originario (Cass. civ., Sez. II, 28/02/2006, n. 4455); peraltro, siffatto animus novandi potrà desumersi anche implicitamente da fatti concludenti (Cass. civ., Sez. I, 15/11/1997, n. 11330); il relativo apprezzamento è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica, coerente e completa (Cass. civ., Sez. III, 13/12/2005, n. 27448). Caratteristica della transazione novativa è quella di essere, al pari della transazione vera e propria (non novativa) un negozio di secondo grado, ma non ausiliario, pertanto - a differenza di quel che accade nella transazione propria, nella quale il contratto è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto obbligatorio ed è quindi fonte concorrente di diritti ed obblighi -nella transazione novativa il contratto rappresenta l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti (Cass. civ., Sez. lav., 18/05/1999, n. 4811). 5.6. - Vero è tuttavia che, come ha chiarito la S.C., nella transazione c.d. "conservativa", con cui le parti si limitano a regolare il rapporto preesistente mediante reciproche concessioni, senza crearne uno nuovo (come avviene invece nel caso di transazione c.d. "novativa"), il rapporto che ne discende è comunque regolato dall'accordo transattivo e non già da quello che in precedenza vincolava le parti medesime, con la conseguenza che la successiva scoperta di inadempimenti non rilevati al momento della transazione può essere eventualmente fatta valere con l'impugnazione per errore dell'accordo transattivo, siccome rilevante ove abbia ad oggetto il presupposto della transazione e non già le reciproche concessioni (Cass. civ., Sez. II, 13/05/2010, n. 11632). Per cui anche nell'ipotesi in cui un rapporto venga fatto oggetto di una transazione e questa non abbia carattere novativo, la cosiddetta mancata estinzione del rapporto originario discendente da quel carattere della transazione significa non già che la posizione delle parti sia regolata contemporaneamente dall'accordo originario e da quello transattivo, bensì soltanto che l'eventuale venir meno di quest'ultimo fa rivivere l'accordo originario, al contrario di quanto invece accade qualora le parti espressamente od oggettivamente abbiano stipulato un accordo transattivo novativo, cioè implicante il venir meno in via definitiva dell'accordo originario, nel qual caso l'art. 1976 c.c. sancisce, con evidente coerenza rispetto allo scopo perseguito dalle parti, l'irrisolubilità della transazione salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente pattuito (Cass. civ., Sez. III, 26/01/2006, n. 1690; Cass. civ., Sez. III, 16/11/2006, n. 24377). 5.7. - Ciò posto, ove intervenga una transazione tra le parti, senza previsione di risoluzione dell'accordo in caso d'inadempimento, onde verificare la natura novativa o meno dell'accordo, è necessario ricostruire la volontà presumibile o effettiva delle parti che dovrà essere individuata in base alle vicende preesistenti e coeve alla conclusione dell'accordo ed alle modalità di esecuzione e svolgimento del rapporto (Cass. civ., Sez. III, Sent., 27/03/2014, n. 7208). 5.8. - Ad avviso del Collegio appaiono convincenti le argomentazioni della difesa del Ca. come anche le motivazioni della sentenza di prime cure in particolare ove con riferimento alla scrittura transattiva e per supportarne la natura novativa precisa che "Tale accordo segna una nuova regolamentazione della cessione prevista nel preliminare del 20-1-1999, atteso che, fermo restando l'obbligo di trasferimento assunto dal Do. con riferimento al medesimo box auto, è venuta meno l'obbligazione a carico del Ca. di versare il corrispettivo della compravendita e le parti hanno dato vita ad una serie di pattuizioni aventi ad oggetto obblighi di fare e prestazioni di natura economica incompatibili con la persistenza della precedente regolamentazione del rapporto". Peraltro, le difese di Fr.Do. concorrono a tale interpretazione anche perché non convince la tesi della parte appellante sul punto posto che la transazione in oggetto deve intendersi, nel suo complesso, come un (unico) contratto - da considerare pertanto in modo organicamente unitario e nella sua totalità - concluso tra le sole parti che l'hanno sottoscritto, e la cui portata complessiva deve essere interpretata quindi alla luce della comune intenzione delle stesse, conferendo massima rilevanza al comportamento da queste assunto anche posteriormente alla sua conclusione (ex art. 1362 c.c.). Pertanto, anche per verificare se l'accordo abbia o meno portata novativa, occorre ricostruire l'effettiva volontà delle parti dell'accordo medesimo, onde accertare le ragioni che le hanno portate alla conclusione della transazione, tenendo in debito conto i criteri legali d'interpretazione. Ora, non v'è dubbio, nel caso in esame, che le parti abbiano inteso pervenire a reciproche concessioni al fine di risolvere o prevenire una lite, sostituendo il rapporto obbligatorio preesistente con un nuovo rapporto, incompatibile con il primo. Le stesse parti, peraltro, hanno ampiamente manifestato la volontà di conferire al nuovo rapporto carattere novativo, anche attraverso i comportamenti e le dichiarazioni successive alla sottoscrizione della scrittura privata, come ampiamente confermato proprio dalle dichiarazioni rese negli scritti difensivi nel corso del giudizio di primo grado. Ne consegue che la transazione avendo carattere novativo ha condotto alla estinzione delle obbligazioni costituite nel primo contratto determinando l'infondatezza della domanda di annullamento proposta da Ca.Ro., per inesistenza del suo oggetto. 5.9. - Peraltro, anche volendo per ipotesi accedere ad una diversa interpretazione qual è quella proposta dall'appellante principale e, quindi, ad una transazione semplice o conservativa, come si è già precisato la mancata estinzione del rapporto originario discendente da quel carattere della transazione significherebbe non già che la posizione delle parti sia regolata contemporaneamente dall'accordo originario e da quello transattivo, bensì soltanto che l'eventuale venir meno di quest'ultimo farebbe rivivere l'accordo originario. Per cui in ogni caso la richiesta di annullamento del contratto preliminare proposta da Ca.Ro. sarebbe destinato al medesimo esito a prescindere dal contenuto novativo o meno della transazione del 27 marzo 1999 considerato che del predetto accordo non è stata domandata la risoluzione. 6.- Con il secondo motivo, la parte appellante principale si duole del parziale accoglimento delle domande risarcitorie proposte in primo grado da Gi.Ca. per "Violazione dell'art. 112 c.p.c. Contraddittorietà della pronunzia. Mancanza di prova dei danni e, comunque, erroneità della loro stima". 6.1. - Secondo questa tesi la sentenza - dopo avere correttamente premesso la legittimità della scelta del Ca. di agire in giudizio per il solo risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale (sul presupposto che tale domanda può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione ex art. 1453 c.c.) e dopo avere affermato che nella specie tra i contrapposti inadempimenti delle parti della scrittura transattiva del 27 marzo 1999 quelli ascrivibili ai convenuti An.Do. erano più rilevanti di quelli imputabili al Ca. - ha poi erroneamente ritenuto la misura dei danni patiti dal Ca. pari all'importo di Euro 35.569,69 corrispondente al controvalore del box auto e delle aree soprastanti non trasferite (poi attualizzata alla data della pronuncia), assumendo che tale sarebbe risultata la perdita patrimoniale subita dal medesimo. 6.2. - L'erronea decisione del tribunale risulterebbe evidente in quanto si potrebbe pervenire al risultato per cui il Ca. potrebbe da un lato conseguire a titolo di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale (per tale intendendosi il ritardo nel trasferimento) il pagamento della suddetta somma di Euro 35.569,69 (convenuta per la cessione del box auto e delle aree scoperte superiori, che, oltretutto, a tutt'oggi egli detiene in via di fatto) e dall'altro richiedere l'adempimento dell'obbligo assunto dal defunto Fr.Do. di trasferirgli i detti beni, in tal modo ottenendo sia il passaggio di proprietà sia la residua somma concordata a titolo di risarcimento dei danni per l'edificazione dell'autorimessa da parte dei Do. che con il prezzo d'acquisto del box andava compensata. Peraltro, tale errore risulterebbe ancor più evidente se si considera che la sentenza ha liquidato a titolo di danni connessi all'inadempimento contrattuale (ritardo nel trasferimento di quanto previsto da preliminare e/o transazione) una somma che, invece, era stata convenzionalmente fissata a favore del Ca. quale ristoro dei danni cagionati dal presunto illecito extracontrattuale dei Do.. 6.3. - Secondo l'appello principale quindi la sentenza gravata sarebbe errata in quanto avrebbe riconosciuto un risarcimento al Ca. che invece avrebbe omesso non solo di dimostrare ma finanche di allegare quali pregiudizi in concreto il ritardo nella stipula dell'atto notarile gli aveva procurato (semmai in termini di impossibilità di rivendita dei medesimi immobili a terzi), tenuto altresì conto del fatto pacifico ed incontroverso in giudizio (siccome dedotto nella comparsa di intervento di Ca.Ro. e mai specificatamente contestato) che il Ca. per accordo contrattuale contenuto nell'art. 5 del solo preliminare dal 1999 ha la materiale disponibilità dei beni a lui promessi in vendita. 6.4. - Peraltro, la sentenza - avendo riconosciuto al Ca. a titolo di danni da responsabilità contrattuale una somma semmai ai tempi pattiziamente determinata per danni da responsabilità extracontrattuale -sarebbe incorsa anche nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato di cui all'art. 112 c.p.c.. 6.5. - La difesa di Gi.Ca. deduce una radicale infondatezza del motivo di impugnazione in quanto fondato su un presupposto inesistente: la possibilità per il Ca. "di chiedere (oggi come domani) l'adempimento della sopracitata scrittura privata". Secondo questa tesi - a prescindere dalla validità della scrittura transattiva del 27 marzo 1999 - il Ca. si troverebbe nella "materiale impossibilità di poter ottenere le prestazioni ivi previste". Infatti, stante la posizione assunta da Ca.Ro., il Ca. sarebbe nella assoluta impossibilità di richiedere in sede giudiziale (sin dalla sottoscrizione) l'adempimento della scrittura privata in questione come non potrebbe chiedere per le medesime ragioni nemmeno la risoluzione ex art. 1453 c.c. a ciò ostando la "cristallina disposizione di cui all'art. 1976 c.c., a mente della quale la risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato" (cfr. pag. 7, 1 capoverso della comparsa di costituzione e risposta di Fr.Do., nonché pag. 18, 1 capoverso, punto 2 dell'atto di appello). Alla luce delle considerazioni appena svolte, seppure la scrittura privata sia ancora pienamente valida ed efficace, non consentirebbe di utilizzare alcuno altro strumento di tutela contro l'inadempimento, tra quelli offerti dall'ordinamento, se non l'azione di risarcimento del danno. Per questo motivo il danno non avrebbe potuto che essere quantificato nel loro equivalente in denaro, da calcolarsi al momento in cui avviene la liquidazione. Precisa infine la difesa del Ca. che l'odierno appellato, nel richiedere il risarcimento del danno con l'atto introduttivo del primo grado del presente giudizio, non avrebbe mai fatto riferimento ai "danni connessi al ritardo nell'adempimento degli obblighi assunti dai cugini Fr. ed An.Do. nella transazione del 27/3/1999" (cfr. pag. 18, ultimo capoverso), né al danno extracontrattuale, come la difesa dell'appellante deduce avendo richiesto il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, riferendosi alle obbligazioni previste a carico dei Do. dall'art. art. 4, sub a) della scrittura privata del 27,03 1999 e dal secondo e terzo periodo dell'art. 5, della predetta scrittura privata, al fine di conseguire il ristoro dell'intero danno conseguente all'inadempimento delle obbligazioni contenute nella più volte citata scrittura privata, da parte del Ca.. 6.6. - Dall'esame istruttorio effettivamente è emerso che la domanda risarcitoria - sin dall'atto di citazione introduttivo del giudizio - è stata proposta in maniera del tutto generica, quale automatica conseguenza del dedotto inadempimento contrattuale, ma in assenza della domanda di risoluzione. Per cui appaiono fondate le doglianze dell'appellante principale considerato che il primo giudice ha quantificato il danno parametrandolo al prezzo pattuito per la vendita (poi trasfuso e sostituito da un meccanismo compensativo nella scrittura transattiva). E proprio in considerazione della generica domanda proposta dal Ca. - che peraltro conferma nelle sue difese che nemmeno in termini di "ritardo" ha ritenuto di supportare la sua domanda risarcitoria risultando poi pacifico che è nel possesso dei beni ormai da 25 anni - che la stessa risulta priva di allegazioni e di prove sia per l'an sia per il quantum. Pertanto, il secondo motivo di appello è fondato e la sentenza dovrà essere riformata con il rigetto della domanda risarcitoria. 7. - L'appello incidentale proposto da Gi.Ca. è stato condizionato all'accoglimento del primo motivo dell'appello principale e considerato che lo stesso è infondato, l'appello incidentale non deve essere esaminato. 8. - Anche soltanto con la parziale riforma della sentenza impugnata il Collegio è tenuto a procedere (d'ufficio), quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché violerebbe il principio di cui all'art. 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenesse la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass. civ. Sez. VI - 3 Sent., 23/03/2016, n. 5820; Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 28/09/2015, n. 19122; Cass. civ. Sez. VI - Lav. Ord., 18/03/2014, n. 6259; in senso conforme, v. già Cass. n. 23226/2013, Cass. n. 18837/2010, Cass. n. 15483/2008). 8.1. - Invero, ad avviso del Collegio, da un lato il rigetto del principale motivo di appello proposto dalle eredi di Fr.Do. - che conduce al rigetto dell'unica domanda proposta da Ca.Ro. in proprio -, l'accoglimento del secondo motivo dell'appello principale con il rigetto della domanda risarcitoria proposta da Gi.Ca. a fronte di un acclarato inadempimento dichiarato nei suoi confronti, inducono a ritenere sussistenti i giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio tra le parti costituite. 8.2. - A tal fine si precisa che al giudizio in esame (il cui atto di citazione è stato notificato nel febbraio 2009) si applica il testo dell'art. 92, comma 2, c.p.c. previgente secondo cui "Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti" (testo applicabile dopo il 4 luglio 2009 ai giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore delle modifiche apportate dall'art. 45, comma 11, legge 69/2009). 8.3. - In ogni caso, considerato che la condanna alle spese processuali si fonda sull'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che abbia dovuto svolgere un'attività processuale per ottenere il riconoscimento e l'attuazione di un suo diritto, essa non può essere pronunciata in favore del contumace vittorioso che non ha espletato alcuna attività processuale, per cui abbia sopportato spese delle quali debba essere rimborsato (Cass. civ., Sez. lav., 13/06/2014, n. 13491). P. Q. M. La Corte di Appello di Napoli definitivamente pronunciando sull'appello iscritto al numero R.G. 4749/2014, cosi decide: a) accoglie l'appello principale e per l'effetto - in riforma parziale della sentenza impugnata - rigetta la domanda risarcitoria proposta da Gi.Ca.; b) compensa interamente le spese di lite di entrambi i gradi del processo tra le parti costituite; c) nulla per le spese delle parti contumaci. Così deciso in Napoli l'11 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9413 del 2019, proposto dal Comune di Livorno, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Signori Ro. Ba., An. Ma., rappresentati e difesi dagli avvocati Al. Ch., Co. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 1183/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Ro. Ba. e di An. Ma.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Raffaello Sestini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il Comune di Livorno propone appello avverso la sentenza del TAR che ha accolto il ricorso della parte proprietaria di un lotto dalla medesima rite4nuto intercluso, destinato a parco pubblico e sottoposto a vincolo idrogeologico, avverso il diniego opposto dal Comune al progetto di realizzazione di un intervento edilizio costituito da serie di palazzine con giardino, pur dopo che il medesimo Comune aveva concesso alla stessa parte una servitù per l'accesso al fondo. I proprietari delle aree interessate, vittoriosi in primo grado, si sono costituiti in giudizio per argomentare l'inammissibilità e infondatezza dell'appello. 2 - La vicenda controversa concerne alcuni terreni siti nel Comune di Livorno individuati al CT, foglio n. (omissis) particelle (omissis) sui quali il regolamento urbanistico ammette l'edificabilità . I proprietari, ritenendo i predetti terreni interclusi, chiedevano al Comune di Livorno la costituzione di un diritto di passo gravante sull'adiacente terreno di proprietà del Comune di Livorno, identificato al Catasto Terreni con particella n. (omissis), foglio (omissis). A seguito di una complessa istruttoria l'Unità Organizzativa Entrate e Patrimonio del Comune approvava la costituzione della servitù con le disposizioni n. 3440 del 3.9.2011, n. 392 del 3.2.2011 e n. 2149 del 17.6.2011, seguite dalla sottoscrizione in data 13.7.2011 del relativo atto, che prevedeva il pagamento di un'indennità . 2.1 - In data 23 gennaio 2014, veniva presentata istanza di permesso a costruire con prot. 7058 del 23.1.2014, per la realizzazione di cinque palazzine e della strada di collegamento alla via pubblica da realizzarsi sulla particella di proprietà comunale sulla quale era stata costituita la servitù di passo. In data 13.9.2016 perveniva la comunicazione ex art. 10 bis legge 241/1990 con cui venivano comunicate le seguenti ragioni ostative: -la strada di accesso al previsto comparto residenziale avrebbe interessato un'area di tutela idrogeologica esterna all'area edificabile, ibera ed inedificabile, se non per quanto previsto dall'art. 48 delle nn. tt.aa.R.U, mentre le previsione di una strada, opera di urbanizzazione primaria, in altra area urbanistica al di fuori dell'area a ville con giardino, si sarebbe configurata una lottizzazione che proceduralmente avrebbe implicato un diverso percorso amministrativo. Inoltre, non sarebbe stata rispettata la distanza minima tra la strada di nuova formazione e il più prossimo fabbricato. A seguito della presentazione delle controdeduzioni e della risposta del Comune con determinazione n. 1604 del 7.3.2017 veniva respinta l'istanza di permesso a costruire. 2.3 - I richiedenti proponevano ricorso al Tribunale Amministrativo della Toscana, deducendo i seguenti motivi: "1) violazione e/o falsa applicazione art. 3 e 97 Costituzione, art. legge n. 241/90, artt. 21 e 48 nn. tt.aa. R.U. Comunale. Eccesso di potere per illogicità manifesta, carenza di motivazione, violazione del giusto procedimento, carenza dei presupposti, Violazione del principio di buona fede e correttezza nell'azione amministrativa; 2) violazione art. 3 Costituzione. Violazione e/o falsa applicazione art. 3 L. 241/1990, art. 12 SD.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, art. 115 L.R. Toscana 10 novembre 2014 n. 65, artt. 822 e 823 c.c. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, illogicità manifesta, carenza di presupposti ed erronea valutazione dei fatti, carenza di motivazione; 3) violazione art. 3 L. 241/90. Eccesso di potere per illogicità manifesta e carenza di motivazione". 2.4 - Il TAR accoglieva il ricorso ed annullava l'atto impugnato, in quanto secondo il Regolamento urbanistico comunale la strada di accesso al previsto comparto residenziale non avrebbe interessato un'area di tutela idrogeologica disciplinata dagli artt. 21 e 48 nn. tt.aa R.U e quindi esterna all'area edificabile, essendo l'edificazione esclusa solo nelle aree ad elevata pericolosità idraulica, Del resto, la stessa amministrazione nell'istruttoria relativa ad una precedente istanza di permesso a costruire si sarebbe già pronunciata favorevolmente rispetto alla compatibilità della strada con le norme del regolamento urbanistico con un provvedimento del 25 novembre 2013. Neppure sarebbe stata configurabile la ritenuta lottizzazione, appartenendo l'area sulla quale era stata istituita la servitù di passo non al demanio comunale ma al patrimonio disponibile e consentendo la strada, ove realizzata, il libero accesso e transito sulla medesima da parte di chiunque, ricorrenti compresi. Infine, il TAR citava l'art. 12 del D.P.R. 380/01 che subordina il permesso a costruire all'esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio ovvero all'impegno degli interessati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell'intervento: dunque, concludeva, il rilascio del permesso a costruire non potava essere subordinato alla previa realizzazione di opere di urbanizzazione primaria, costituendo semmai quest'ultima l'oggetto di una specifica e contestuale obbligazione assunta dagli interessati al rilascio del titolo. Avverso questo provvedimento, 2.5 - Avverso tale decisione il Comune di Livorno propone il presente appello chiedendo la totale riforma della sentenza oggi impugnata, con conferma della legittimità del provvedimento per cui è causa. 3 - In particolare il Comune, premesso che i terreni privati in esame sono urbanisticamente inquadrati all'interno dell'area disciplinata dall'art 15 delle nn. tt.aa al regolamento urbanistico comunale (che consente l'utilizzazione edificatoria degli stessi) mentre l'area di proprietà comunale sulla quale è stata istituita la servitù di passo a favore dei predetti terreni è normata dall'art. 21 ("aree di rispetto panoramico e di tutela idrogeologica"), deduce i motivi d'appello di seguito sintetizzati. 3.1 - "VIOLAZIONE DI LEGGE-VIOLAZIONE ARTT. 15 -21 E 48 DELLE NN.TT.AA AL REGOLAMENTO URBANISTICO COMUNALE - ERRONEITA', IRRAGIONEVOLEZZA, ARBITRARIETA' E VIZIO DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO, CARENZA DI MOTIVAZIONE". Si contesta il passo della sentenza appellata secondo cui "trattandosi di terreni interclusi rispetto alla vicina viabilità pubblica di via di (omissis), i ricorrenti in data 9 dicembre 2005 chiedevano al comune la costituzione di un diritto di passo" in quanto tale circostanza sarebbe già stata smentita in primo grado (con acquisizione non contestata in tale sede) dalla planimetria catastale, allegata in atti, secondo cui le aree private in esame avevano diretto accesso alla via di (omissis) (strada pubblica) attraverso la particella (omissis) del foglio (omissis) di proprietà della medesima richiedente il titolo edilizio. Dunque, i medesimi terreni non erano interclusi. Pertanto, ferma restando la validità dell'atto di costituzione della servitù di passo, verrebbe in rilievo l'art. 15 delle nn. tt aa al regolamento urbanistico che, in applicazione di quanto disposto dall'art. 12 del D.P.R. 380/2001, riteneva l'intero comparto fornito delle infrastrutture necessarie al punto tale da ritenere possibile la diretta attuazione delle sue previsioni attraverso il rilascio di permessi a costruire. In questo quadro, il riferimento alle opere di urbanizzazione da realizzarsi a cura dei privati non implicava nessuna ulteriore opera pubblica ma solo le opere di collegamento tra i terreni edificabili e le opere di urbanizzazione già esistenti, collegamento che doveva essere effettuato dagli stessi proprietari su terreni di loro proprietà . In questo contesto, la costituzione di una servitù su proprietà comunale per accedere alla proprietà dei ricorrenti in maniera più agevole non avrebbe determinato la possibilità di realizzare una strada dotata di sottoservizi che avrebbe dovuto costituire l'unico accesso alle erigende palazzine, neppure a seguito della scelta dei proprietari che, successivamente alla richiesta di costituzione della servitù di passo, avevano presentato un progetto che, per loro stessa volontà, prevedeva la costruzione di manufatti su tutto il tratto a confine della via pubblica, così determinando l'asserita interclusione. 3.2 - "DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE; IRRAGIONEVOLEZZA, ILLOGICITÀ MANIFESTA, CONTRADDITTORIETÀ ". Si contesta in secondo luogo il passo della sentenza appellata riferito al seguente inciso contenuto nel provvedimento relativo all'istruttoria di una precedente istanza di permesso a costruire (prot. 30536 del 5.4.2012) "essendo la stessa Amministrazione comunale mediante l'atto di servitù citato a manifestare la volontà di far realizzare agli interessati la viabilità suddetta, per la stessa, si ritiene che non sussistano contrasti con l'art. 48 del regolamento urbanistico". Tale inciso non avrebbe, infatti, assunto alcun particolare significato, nel contesto dell'esame di un progetto ritenuto gravemente deficitario sotto plurimi profili puntualmente identificati dall'Amministrazione. Inoltre, sarebbe stata la stessa Amministrazione comunale a riconoscere l'appartenenza al patrimonio disponibile dell'area nel momento in cui vi ha costituito una servitù di passo e questa circostanza, addotta dal TAR a motivo delal sua decisione, sarebbe invece assolutamente incontestata. 4 - I ricorrenti vincitori in primo grado costituitisi in giudizio, premesso di essere proprietari di terreni interclusi rispetto alla vicina viabilità pubblica di Via (omissis) e per i quali il Comune concesse la costituzione di un diritto di passo gravante sull'adiacente terreno di proprietà dell'Ente a seguito della loro disponibilità a costituire sulla loro proprietà un servitù di passo pedonale volta a consentire l'accesso al Parco Pubblico che l'Amministrazione intendeva allora realizzare sulla particella immediatamente adiacente alla particella n. (omissis) di proprietà dei privati, eccepiscono l'inammissibilità delle produzioni documentali di parte appellante per violazione degli artt. 46, 73 e 104 CPA e conseguente inammissibilità dei motivi di appello, non avendo il Comune nel giudizio davanti al TAR depositato alcun documento, ad eccezione della delibera di resistenza, ed essendosi invece limitato ad inserire nella memoria in data 13.5.2019 alcune immagini e la trascrizione dell'art. 15 nta RUC e della nota comunale dell'11.7.2013, in tal modo violando in maniera evidente gli artt. 46 e 73 CPA, salvo poi presentare ben 23 documenti in appello, tra i quali ben 18 in palese violazione dell'art. 104 CPA. 4.1 - Chiedono pertanto che le produzioni documentali di parte appellante siano dichiarate inammissibili e quindi espunte dal fascicolo e/o comunque non prese in considerazione alcuna ai fini della decisione del gravame, conseguendone la sua inammissibilità . 4.2 - Il ricorso in appello sarebbe inammissibile anche sotto altri profili, avendo la parte appellante introdotto in appello tesi difensive diverse da quelle esposte in primo grado, cercando di ampliare la materia del contendere. 4.3 - L'appello nemmeno rispetterebbe il disposto dell'art. 101 CPA ed il principio di specificità dei motivi di impugnazione, non comprendendosi dove risieda quella "critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata" richiesta dal CPA per come anche interpretata da codesto Giudice d'appello in quanto parte appellante non avrebbe introdotto nuove argomentazioni non sviluppate in primo grado e non avrebbe dedotto specifiche censure al capo della sentenza con cui il TAR ha accolto il primo motivo di ricorso, riconoscendo addirittura la non demanialità dell'area su cui è stata costituita la servitù, contrariamente a quanto si legge nei provvedimenti impugnati. il Comune non avrebbe, inoltre, proposto alcuna specifica censura in ordine ai capi 8 della sentenza con cui il TAR ha accolto il primo ed il secondo motivo di ricorso, sentenza nella quale- correttamente - non vi è alcun richiamo all'art. 15 nta invocato da controparte ma soltanto, appunto agli artt. 21 48 nta ed alla non demanialità dell'area di cui si è detto. Ne conseguirebbe l'inammissibilità del proposto appello anche sotto tale profilo, in quanto detti capo della sentenza e quindi la decisione stessa "sopravvivrebbero" anche in - denegata - ipotesi di accoglimento delle tesi dedotte con l'appello. 4.4 - In particolare, i resistenti contro deducono l'inammissibilità e infondatezza del primo motivo di appello, non avendo l'appellante ritualmente depositato l'art. 15 nta sui quali l'intero motivo si fonda, e tentando lo stesso l'Ente di integrare la motivazione degli atti impugnati, che non avrebbero affatto rilevato la necessità che l'area oggetto di trasformazione debba essere servita da opere di urbanizzazione ricadenti all'interno dell'area ancorché realizzate direttamente da privati. Nemmeno avrebbe pregio l'ulteriore circostanza nuovamente addotta dalla difesa dell'Ente secondo cui i lotti interessati dall'intervento avrebbero diretto accesso alla viabilità pubblica, peraltro rilevabile solo dai documenti introdotti in maniera inammissibile da parte appellante, in quanto anche tale rilievo costituirebbe un tentativo di illegittima integrazione postuma della motivazione del provvedimento originariamente adottato. Il motivo sarebbe comunque infondato. L'eventuale errata indicazione del numero identificativo dell'ulteriore particella di proprietà risulterebbe infatti del tutto irrilevante quanto all'interclusione delle ulteriori particelle interessate dall'intervento, essendo stata indicata fin dalla prima richiesta di costituzione di servitù di passo l'interclusione già in atto - quindi non conseguente alla realizzazione delle progettate opere - delle particelle oggetto di intervento in considerazione della presenza sull'ulteriore particella di sua proprietà di una preesistente edificazione. I rilievi dell'Amministrazione dedotti in primo grado e riproposti in appello risulterebbero quindi inammissibili ed infondati, risultando anche per tabulas l'interclusione dei fondi degli appellati. 4.5 Viene poi contro dedotta Inammissibilità e l'infondatezza del secondo motivo di appello, per le stesse ragioni, cercando la difesa di parte appellante di ampliare il thema decidendum rispetto alle motivazioni degli atti impugnati, ma anche alle difese svolte in primo grado. I rilievi negativi effettuati dall'Ente in relazione al progetto presentato nel 2012 non potrebbero comunque avere alcun rilievo nel presente contenzioso, come dimostrato dal fatto che gli stessi non sarebbero stati riproposti nel diniego oggetto di causa avente ad oggetto la nuova pratica edilizia presentata nel 2014. Semmai, osservano i resistenti, come esposto nel ricorso di primo grado e come ritenuto anche dallo stesso TAR nell'appellata sentenza, in occasione di tale pregressa pratica il Comune si era espresso positivamente circa la conformità del progetto all'art. 48 nta. 4.6 - Quanto poi alla al capo della sentenza in cui il TAR ha accolto il secondo motivo di ricorso, i resistenti prendono atto che il Comune riconosce che l'area su cui gli appellati hanno il diritto di servitù appartiene al suo patrimonio disponibile. Il che però di fatto costituirebbe una vera e propria "confessione" circa la fondatezza del secondo motivo di ricorso. 4.7 - In realtà, concludono i resistenti, la determinazione impugnata ed annullata dal TAR risultava innanzitutto illegittima nella parte in cui l'Ente ha affermato che "la strada di accesso al previsto comparto residenziale ricade in area di tutela idrogeologica disciplinata ai sensi degli artt. 21 e 48 delle nn. tt.aa. del regolamento urbanistico e quindi esterna all'area edificabile ricadente in "Area a ville con giardino, di proprietà Bartolozzi, disciplinata dall'art. 15 delle nn. tt.aa. del RU" in quanto tale circostanza non sarebbe stata ostativa al rilascio del richiesto permesso a costruire, avendo il Comune già rilevato che per la realizzazione delle opere indicate nell'atto di costituzione di servitù, erano necessarie alcune modifiche, tutte apportate al progetto originariamente presentato dagli appellati. La compatibilità sarebbe stata peraltro affermata espressamente dalla stessa Amministrazione con il citato provvedimento prot. n. 30536 del 25 novembre 2013. 4.8 - La condotta complessivamente tenuta dall'Amministrazione Comunale avrebbe, infine, progressivamente ingenerato nei privati una più che legittima aspettativa all'ottenimento del titolo poi immotivatamente disattesa con l'adozione del provvedimento impugnato. Altrettanto irragionevole sarebbe la qualificazione della strada come pubblica, in quanto in tal non avrebbe avuto alcun senso ed utilità la costituzione della ricordata servitù . Inoltre, una volta venuto meno l'originario progetto di realizzazione del Parco Pubblico, con conseguente mancata stipula di una servitù di passaggio pedonale pubblico sull'area di proprietà degli appellati, la realizzazione di una strada pubblica di accesso alla stessa sarebbe risultata del tutto illogica e priva di senso ed utilità . Sul punto, infatti, si richiama l'art. 12 del D.P.R. n. 380/01 che al comma secondo dispone: "il permesso di costruire è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all'impegno degli interessati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell'intervento oggetto del permesso". Nel caso in esame vi era l'impegno alla realizzazione della suddetta strada che, dunque, anche qualora dovesse considerarsi opera di urbanizzazione primaria, poteva essere assentita dal Comune a prescindere dall'adozione di un Piano di lottizzazione. 4 - L'appello è fondato. 5 - Devono essere, in primo luogo, respinte le plurime e pur suggestive eccezioni eccepite dai resistenti, posto che l'art. 15 nta RUC, compiutamente citato e riportato in atti, indipendentemente dalla sua natura normativa ovvero di atto generale, risultava debitamente pubblicato e quindi conoscibile da questo giudice, unitamente alla nota comunale dell'11.7.2013, pedissequamente riportata in atti. Ne discende la non rilevanza, ai fini della decisione, della domanda dei resistenti di espunzione di ben 8 dei 23 documenti che sarebbero stati depositati in appello, trattandosi di atti non necessari ai fini della decisione, che può essere invece fondata sulle deduzioni e sui passi degli atti riportati dalle due parti e fra esse non controversi. 5.1 - Va altresì rilevata l'evidente contraddittorietà fra l'eccezione secondo cui il ricorso in appello sarebbe inammissibile per avere la parte appellante introdotto tesi difensive diverse da quelle esposte in primo grado, "cercando di ampliare la materia del contendere", e l'ulteriore eccezione secondo cui l'appello nemmeno rispetterebbe il disposto dell'art. 101 CPA ed il principio di specificità dei motivi di impugnazione, non avendo la parte appellante " introdotto nuove argomentazioni non sviluppate in primo grado", finendo le due eccezioni per elidersi a vicenda in ragione della descritta contraddittorietà e del loro conseguente carattere dubitativo. 5.2 - Parimenti non rilevanti, risultano infine le eccezioni circa la natura demaniale o meno dell'area oggetto della servitù di passo, posto che tale circostanza, per concorde ammissione delle parti, non fu decisiva ai fini dell'adozione dell'impugnato diniego. 6 - Nel merito, è fondato il primo motivo d'appello, riferito al passo della sentenza appellata secondo cui si tratterebbe di "terreni interclusi rispetto alla vicina viabilità pubblica di via di (omissis)", risultando invece, per concorde ammissione delle parti, che le aree private in esame avevano un diretto accesso alla via di (omissis) (strada pubblica) attraverso la particella (omissis) del foglio (omissis) di proprietà della medesima richiedente il titolo edilizio, che tale accesso non era stato citato dal Comune al momento della concessione della servitù e che vi era stata una erronea indicazione particellare da parte del tecnico dei richiedenti, circostanza, quest'ultima, che impedisce di valorizzare le deduzioni circa la violazione dell'affidamento dei resistenti, che restano invece responsabili delle conseguenze dell'operato dei propri preposti e collaboratori. Irrilevante, a tale proposito, si palesa l'ulteriore circostanza secondo cui la preesistenza di un edificio avrebbe impedito di valorizzare quell'accesso, non essendo stato fornito alcun principio di prova circa il carattere insuperabile dell'impedimento e circa la sua non riconducibilità a fatto proprio dei proprietari, che avevano anche presentato (circostanza anch'essa non contestata fra le parti) un progetto edilizio volto a consolidare la preclusione di quel possibile accesso mediante la realizzazione di ulteriori manufatti edilizi. 6.1 - Il predetto motivo d'appello non è a propria volta, come invece eccepito, inammissibile, in quanto, come sopra indicato, con la comunicazione ex art. 10 bis legge 241/1990 venivano comunicate le seguenti ragioni ostative: -la strada di accesso al previsto comparto residenziale avrebbe interessato un'area di tutela idrogeologica esterna all'area edificabile, ibera ed inedificabile, se non per quanto previsto dall'art. 48 delle nn. tt.aa.R.U, mentre le previsione di una strada, opera di urbanizzazione primaria, in altra area urbanistica al di fuori dell'area a ville con giardino, si sarebbe configurata una lottizzazione che proceduralmente avrebbe implicato un diverso percorso amministrativo. Inoltre, secondo la proposta di diniego, non sarebbe stata rispettata la distanza minima tra la strada di nuova formazione e il più prossimo fabbricato. 6.2 - Quindi, indipendentemente dalla conformità o meno della prevista strada alle prescrizioni degli artt. 21 e 48 del regolamento urbanistico, l'elemento motivazionale fondante il diniego di permesso a costruire impugnato era costituito dalla previsione di realizzare la strada in area esterna all'area normata dall'art. 15 del regolamento urbanistico quale zona di completamento destinata a "area a ville con giardino" suscettibile di diretto rilascio di permesso a costruire in quanto già dotata delle necessarie opere di infrastrutturazione mediante lavori privati di collegamento alla più vicina viabilità pubblica dotata di infrastrutture elettriche, idriche e fognarie da realizzarsi nell'ambito della medesima area privata. 6.3 - In tal senso, così come dedotto con il motivo in esame, la motivazione del diniego di permesso a costruire risultava, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, adeguatamente rapportata al vigente Regolamento urbanistico, che per l'area di proprietà dei resistenti, qualificata quale zona di completamento mediante edilizia privata e non interclusa (se non per fatto proprio dei medesimi proprietari a causa dell'utilizzazione economica della via d'accesso per la realizzazione di nuovi manufatti edilizi), non aveva previsto la necessità di nuove opere pubbliche infrastrutturali. 6.4 - I richiedenti il nuovo titolo edilizio avevano infatti previsto la realizzazione di una nuova viabilità pubblica munita di sottostrutture su area pubblica, costituente quindi opera pubblica pur se realizzata a cura e spese di privati ed indipendentemente dalla natura non demaniale dell'area comunale, avvalendosi di una -diversa- servitù di passaggio su area comunale destinata a garantire (dopo l'abbandono del progetto di parco pubblico da pare del Comune) solo l'accesso privato al nuovo comprensorio edilizio, ferme restando le future scelte urbanistiche del Comune sulla medesima area. 6.5 - Così come debitamente motivato dal Comune, l'intervento proposto avrebbe dunque dovuto comportare, per garantire un ordinato sviluppo urbanistico del territorio nel rispetto e con la partecipazione di tutti gli interessi coinvolti al pari di quelli degli odierni resistenti, l'adozione di un nuovo piano urbanistico. 6.6 - L'accoglimento del primo motivo d'appello, concernente la fondatezza e non superabilità del considerato profilo motivazionale del diniego impugnato in primo grado, esime, in presenza di un atto plurimotivato, dall'esame degli ulteriori motivi d'appello ferma restando, osserva il Collegio, la rilevanza e fondatezza dell'ulteriore profilo motivazionale del diniego riferito alla inidoneità sotto i profili considerati del progetto proposto su area sottoposta a vincolo idrogeologico, seppure non comportante la inedificabilità assoluta. Infatti, indipendentemente dai controversi richiami a precedenti procedimenti amministrativi estranei alla fattispecie, viene in rilievo l'art. 21 nta richiamato dal Comune che, nel disciplinare le aree di tutela idrogeologica, stabilisce che "gli interventi devono rispettare le prescrizioni riportate al successivo art. 48 ed in ogni caso essere accompagnati da specifici studi ed indagini al fine di garantire la messa in sicurezza dei luoghi", studi della cui esaustività i resistenti non danno conto in relazione alla domanda di permesso di costruire proposta e che sono di pertinenza dell'Amministrazione comunale, così come dedotto dai medesimi resistenti, solo nella ipotesi, sopra indicata, di nuovo piano urbanistico. 7 - L'appello va pertanto accolto, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado. Restano salvi gli ulteriori atti in caso di promozione di ulteriori domande private nei limiti imposti dalle condizioni e dal regime giuridico delle aree considerate. La complessità e peculiarità del caso giustifica, infine, la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza respinge il ricorso di primo grado. Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Laura Marzano - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7283 del 2023, proposto da Al. Del Ve., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Za. D'A., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Ca. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Comitato per lo sviluppo della (omissis), in persona del presidente pro tempore, Gi. Di Tr. e Mo. Ma., rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ra., con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia; Co. - Coordinamento di associazioni per la tutela dell'ambiente e dei diritti di utenti e consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore, Associazione Ar. 32. - Associazione italiana per i diritti del malato e del cittadino, in persona del presidente in carica, rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri., con domicilio eletto presso lo studio Ca. Ri. in Roma, viale (...); Au. Fl. Gr., Co. so. La. A.P., Al. Del Ve., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sezione staccata di Latina (sezione prima) n. 537/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Co. e dell'Associazione Ar. 32., e del Comitato per lo sviluppo della (omissis), Mo. Ma. e Gi. Di Tr.; Viste le memorie tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Al. Za. D'A., Gu. Ra. e Va. Co., in sostituzione degli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sezione staccata di Latina, integrato da motivi aggiunti, i fratelli Al. e Al. Del Ve. impugnavano il provvedimento con cui il Comune di (omissis) aveva loro ordinato di "consentire il libero accesso attraverso la strada che all'interno del fondo distinto in catasto al fg. (omissis), part. (omissis), si diparte dal cancello sito al km (omissis) della SR (omissis) (che l'odierno appello colloca invece al km (omissis)) e, scendendo dalla scarpata costeggia la suddetta Strada Regionale rimuovendo i cancelli e le sbarre elettroniche" (ordinanza dirigenziale del 26 maggio 2022, n. 22). 2. Il provvedimento impugnato era emesso sul presupposto che la strada (qualificata dall'appello come stradello privato della larghezza di 3 - 3,5 metri), insistente su terreni di proprietà dei ricorrenti, fosse l'unico accesso pubblico al litorale della località (omissis) del Comune di (omissis) tale da consentire il passaggio di disabili e di mezzi di soccorso, e che dunque non potevano essere frapposti impedimenti di sorta al passaggio pubblico quali i cancelli e sbarre. 3. Con la loro impugnazione, i fratelli Del Ve., comproprietari sul menzionato fondo di un edificio residenziale, oltre a dedurre censure di ordine formale contestavano i presupposti del provvedimento ed in particolare l'esistenza del passaggio pubblico e del potere dell'amministrazione comunale di istituire ex novo una servitù di transito su area privata, con effetti sostanzialmente espropriativi. 4. Nel contraddittorio con l'amministrazione comunale resistente e le associazioni intervenienti ad opponendum odierne appellate il ricorso e i motivi aggiunti erano respinti dall'adito Tribunale amministrativo con la sentenza indicata in epigrafe. 5. Premessa in fatto la situazione di "sostanziale interclusione rispetto alla pubblica via (SR (omissis))" del litorale in località (omissis), derivante dall'interposizione tra quest'ultimo e l'arteria stradale di terreni privati, su cui si rendeva dunque necessario consentire il passaggio pubblico, la sentenza reputava l'ordine comunale impugnato conforme al principio del libero accesso alla "battigia antistante l'area ricompresa nella concessione" demaniale marittima, enunciato dall'art. 03, comma 1, lett. e), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (recante Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime; convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494). In relazione alle caratteristiche del caso di specie, era al riguardo precisato che l'obbligo di consentire il libero accesso al litorale è applicabile a prescindere dalla natura giuridica del rapporto che i destinatari hanno con l'area interessata dal transito - "sia esso di proprietà sia esso di concessione" - poiché scopo della norma è quello "di consentire alla collettività il libero e gratuito accesso alla battigia" e di rimuovere ogni ostacolo da parte dei concessionari degli stabilimenti balneari, quand'anche gli stessi siano quindi "proprietari e non solo concessionari della strada di accesso allo stabilimento". Per quanto poi di interesse ai fini del presente appello, veniva inoltre respinta la censura di incompetenza del dirigente comunale autore dell'atto, formulata sul presupposto che il provvedimento impugnato fosse riconducibile al potere del sindaco di emettere ordinanze contingibili e urgenti ex artt. 50 e 54 del testo unico delle disposizioni di legge sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 6. Contro la sentenza i cui contenuti sono così sintetizzabili ha proposto appello la sola Al. Del Ve.. 7. Resistono le associazioni intervenute ad opponendum indicate in epigrafe. DIRITTO 1. Con un primo ordine di censure l'appello, nel ribadire che il principio del libero accesso alla battigia previsto dalla legge a carico dei concessionari del demanio marittimo "non legittima/abilita i Comuni ad istituire facoltà di transito, e/o servitù di passaggio su beni di proprietà privata confinanti ai beni demaniali, in difetto di un regolare procedimento ablativo regolato dal D.P.R. n. 327/2001", oppone alla sentenza di primo grado che l'appellante non è titolare di alcuna concessione (a differenza del fratello ricorrente in primo grado, che in località (omissis) conduce uno stabilimento balneare sotto l'insegna lido Costadoro); e che tanto meno l'istituzione di servitù di uso pubblico su terreni privati sarebbe consentita in base ai poteri di autotutela demaniale ex art. 823 e 825 cod. civ., anch'essi richiamati nel provvedimento impugnato. Si ribadisce dunque l'effetto sostanzialmente espropriativo di quest'ultimo. 2. Con un ulteriore ordine di censure sono riproposte le contestazioni formulate sul presupposto che il provvedimento impugnato sia qualificabile "come ordinanza contingibile ed urgente ex artt. 50 e 54, D.lgs, n. 267/2000, dettata da ragioni di sicurezza e sanitarie": in primo luogo perché emesso dal dirigente comunale anziché dal sindaco; inoltre perché privo di termine di scadenza e non assistito dai presupposti di urgenza e imprevedibilità, nello specifico smentiti dal fatto che "per stessa ammissione del Comune trattasi di una situazione che quanto meno si trascina dall'anno 2010". 3. Di seguito viene contestata l'ipotesi della sostanziale interclusione del litorale di (omissis); e che la strada sul fondo dell'appellante sarebbe l'unico accesso e che su di esso si sarebbe sempre esercitato il diritto di passaggio pubblico da parte dei bagnanti. A questo riguardo si assume che non potrebbe attribuirsi alcun valore probatorio agli accertamenti svolti dall'amministrazione comunale e che del pari non sarebbero attendibili le perizie prodotte nel giudizio di primo grado dalle associazioni intervenute ad opponendum. 4. Con un'ulteriore censure viene dedotta la sproporzione che dal provvedimento impugnato deriverebbe in danno della proprietà privata, già oggetto di espropriazione parziale per la realizzazione di un parcheggio pubblico a favore dell'arenile di (omissis) (decreto comunale di esproprio del 12 luglio 2011, n. 1). 5. Le censure così sintetizzate sono infondate. 6. Vanno innanzitutto respinte quelle che muovono dal presupposto che il provvedimento impugnato costituirebbe un'ordinanza contingibile e urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Nessun elemento in questo senso è infatti ricavabile dal contenuto dell'atto, sia dal punto di vista dei riferimenti normativi sulla cui base è stato esercitato il potere amministrativo che da quello concernente le ragioni sostanziali di tale esercizio, quali espresse nella relativa motivazione. 7. Con riguardo alle ulteriori censure di cui si compone l'appello, non risulta invece provato l'assunto secondo cui il provvedimento avrebbe illegittimamente istituito ex novo una servitù di passaggio pubblico su fondi privati in assenza di atti formali di carattere espropriativo. 8. Nel preambolo del provvedimento impugnato viene infatti dato atto che "per accedere alla spiaggia di (omissis), la collettività ha da sempre esercitato il passaggio pedonale sullo stradello che si diparte dalla piazzola sita al km (omissis) della SR (omissis) da cui si raggiunge l'arenile e i lidi e il transito pedonale e carrabile sulla strada che all'interno del fondo foglio (omissis) part. n. (omissis) di proprietà di Del Ve. Al., Del Ve. Al. e Gr. Fr., si diparte dal cancello sito al km (omissis) e scende lungo la scarpata costeggiando la SR (omissis) per circa 100 mt per poi arrivare alle spalle degli stabilimenti balneari". Nel medesimo preambolo vengono inoltre ripercorse le vicende riguardanti l'espropriazione (con decreto n. 1 del 12 luglio 2011) di parte dei terreni di proprietà dell'odierna appellante per la realizzazione di un parcheggio pubblico. Segue il richiamo alle norme di legge e regolamento fondanti il provvedimento impugnato e la situazione di fatto che giustifica l'esercizio del potere, così descritta: "allo stato attuale, alla spiaggia di (omissis) si può accedere da un passaggio comunale pedonale e da alcuni accessi attraverso vari stabilimenti che sono privi di varchi pedonali dotati di tutti i requisiti di sicurezza ed idonei all'accessibilità per i diversamente abili, nonché privi di accessi carrabili con conseguente impossibilità per i mezzi di soccorso di raggiungere tutte le zone del litorale (omissis)". 9. Il provvedimento impugnato fa inoltre menzione delle problematiche insorte per il reperimento di un adeguato accesso all'arenile della località, a causa dello "stato pericoloso ed impraticabile senza alcun requisito di sicurezza" del sentiero pedonale avente accesso "dal cancello ubicato sulla piazzola al Km (omissis)", come accertato all'esito di un apposito sopralluogo dell'amministrazione comunale, e dell'opposizione nondimeno manifestata dai fratelli Del Ve. al passaggio sui terreni di loro proprietà . A questo specifico riguardo, in relazione alle possibili alternative prospettate in sede procedimentale da questi ultimi il provvedimento specifica che "la presenza di altri accessi, comunque non idonei a tutte le tipologie di utenti quali non abili e mezzi di soccorso, non esime i singoli destinatari della presente a consentire l'accesso all'arenile". 10. Dai passaggi motivazionali sopra riportati si ricava dunque che il passaggio pubblico sullo stradello insistente sulla proprietà dell'appellante è sempre stato esercitato per l'accesso al litorale di (omissis). A conferma della circostanza si pongono le perizie depositate in giudizio dalle parti opponenti, descrittive dello stato dei luoghi e delle caratteristiche dei vari passaggi che consentono l'accesso alla spiaggia. Ad esse l'appellante oppone il proprio elaborato peritale, atto a dimostrare l'esistenza di un ulteriore passaggio in condizioni di sicurezza e idoneo ai mezzi di soccorso che si diparte dalla piazzola al km (omissis) della strada (omissis), e che conduce ad altri stabilimenti balneari situati nella località . Sennonché l'ipotesi non vale a smentire che l'accesso al litorale di (omissis) da parte della collettività sia stato da sempre esercitato anche sul passaggio in contestazione nel presente giudizio. Elementi in questo senso sono ricavabili dalla relazione tecnica comunale di cui all'atto di prot. n. 19548 del 22 ottobre 2020, la quale trae origine da lamentele degli altri concessionari nei confronti dei fratelli Del Ve., relative alle turbative al passaggio pubblico verso il litorale da questi realizzate attraverso il cancello e le sbarre apposte sullo stradello. 11. Per tutto quanto finora esposto deve quindi escludersi che il provvedimento impugnato nel presente giudizio abbia carattere sostanzialmente espropriativo e che con esso l'autorità comunale abbia ecceduto dai propri poteri di autotutela demaniale. L'ordine di rimuovere i cancelli e le sbarre elettroniche può invece essere ricondotto proprio a quest'ultimo ambito di potestà pubblicistica, definito dai sopra menzionati artt. 823 e 825 cod. civ., con assorbimento di ogni ulteriore questione concernente invece l'obbligo dei concessionari demaniali marittimi di consentire il libero accesso alla battigia. Esso risulta più precisamente finalizzato a ripristinare l'accesso al litorale di (omissis) su uno dei passaggi ivi previsti, ed anzi su quello considerato dall'amministrazione maggiormente idoneo in base alle sue caratteristiche, anche per i disabili e i mezzi di soccorso. 12. Nella misura in cui il provvedimento impugnato tende dunque a ripristinare l'uso pubblico preesistente, devono pertanto essere esclusi profili di sproporzione nell'ordine così emesso a carico dell'appellante, già sottoposta a espropriazione di parte dei propri terreni. Sul punto può aggiungersi che nessun pregiudizio per la proprietà privata è ravvisabile, avuto riguardo al fatto che come risulta dalla documentazione fotografica ex adverso prodotta in giudizio l'abitazione dell'appellante è munita di adeguata recinzione, atta ad escludere interferenze nella vita privata quale in tesi derivanti dall'esercizio del passaggio pubblico sullo stradello in contestazione. 13. L'appello deve quindi essere respinto, ma per la natura delle questioni controverse le spese di causa possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere, Estensore Angela Rotondano - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Marco Valentini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4859 del 2018, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Da. Gr., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (...), contro Au. per l'I. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ch. Ro., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Liguria, Sez. I, -OMISSIS- del 7 marzo 2018, resa tra le parti, concernente l'accertamento circa il superamento del limite di tollerabilità del rumore derivante dal traffico veicolare dell'autostrada A12, nel tratto prospiciente le abitazioni di proprietà dei ricorrenti ed il conseguente risarcimento danni. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Au. per l'I. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati Da. Gr. e Ch. Ro.. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con atto di citazione, notificato l'8 aprile 2014, i signori -OMISSIS-, -OMISSIS-, proprietari di immobili in -OMISSIS- in prossimità dell'autostrada A12 Genova-Livorno, convenivano Au. per l'I. dinanzi al Tribunale di Genova per sentir dichiarare che il rumore derivante dal traffico veicolare dell'autostrada, nel tratto prospiciente i loro immobili, superava il limite della normale tollerabilità e, comunque, il limite assoluto di immissione di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 142/2004. Gli stessi, chiedevano che, di conseguenza, la Società fosse condannata all'esecuzione delle opere, da indicarsi da parte del giudice adito, atte a ricondurre le denunciate immissioni acustiche nei limiti della normale tollerabilità nonché al risarcimento dei danni. 1.1 Il giudice civile, con sentenza n. -OMISSIS-, declinava la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo, ritenendo che la predisposizione delle barriere fonoassorbenti non costituiva comportamento di mero fatto della concessionaria, bensì "comportamento amministrativo" posto in essere in attuazione dei provvedimenti intesi al risanamento acustico della rete autostradale. 2. Con il ricorso iscritto al n. R.G. -OMISSIS- i ricorrenti hanno riassunto il giudizio innanzi al T.a.r. per la Liguria, il quale disponeva una verificazione per accertare il livello di rumorosità prodotto dal traffico autostradale. 3. Il T.a.r. adì to, con la sentenza -OMISSIS-, pubblicata il 07 marzo 2018, ha respinto il ricorso e condannato i ricorrenti alle spese di lite liquidate in favore di Au. per l'I. S.p.a. nell'importo complessivo di Euro 3.000,00 (euro tremila), oltre accessori. 4. Avverso tale pronuncia sono insorti i signori -OMISSIS-, con atto di appello notificato in data 28 maggio 2018 e depositato il 15 giugno 2018, per i motivi che saranno di seguito esaminati. 4.1. Con il primo motivo, gli appellanti contestano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto inammissibile la doglianza dei ricorrenti relativa alla discontinuità della barriera fonoassorbente "non essendo stato prodotto alcun principio di prova atto a dimostrare (non soltanto con riguardo alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, ma anche sul piano della validità della tesi in linea di principio) che la "distribuzione non continua" della barriera possa aver determinato il preteso aggravamento del fenomeno acustico ovvero che la "distribuzione continua" della barriera medesima sia in grado di ridurlo in modo apprezzabile". Al contrario, gli appellanti deducono che: - la relazione del CTP -OMISSIS- avrebbe chiarito che l'attuale conformazione della barriera (unica rilevante nella fattispecie) determina il superamento dei limiti di tollerabilità ; - l'intervento eseguito dalla Società Au. per l'I. si sarebbe rivelato peggiorativo della già critica precedente situazione (che invero doveva risolvere) creando, attraverso la costruzione di barriere non uniformi sul tratto di strada in questione, un incanalamento delle immissioni sonore solo ed esclusivamente verso le abitazioni dei ricorrenti, i quali hanno subito gravi danni patrimoniali e non, atteso che dette immissioni raggiungono livelli intollerabili, superando i limiti imposti ex lege; - non parrebbe sia motivo valido per pretendere l'accesso dalla servitù di passo concessa a suo tempo, con modalità che in tale area sono in totale contrasto con il RU, il fatto che gli appellati, successivamente alla richiesta di costituzione della predetta servitù a loro favore sulla proprietà comunale, hanno presentato un progetto che, per loro stessa volontà ed iniziativa, prevede la costruzione di manufatti su tutto il tratto a confine della via pubblica, così determinando l'asserita interclusione. 4.2. Con il secondo motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "non può farsi applicazione del cosiddetto criterio comparativo, che assume come punto di riferimento il rumore di fondo della zona e lo confronta con il livello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, ma si deve avere esclusivo riguardo ai valori di tipo assoluto stabiliti dalla normativa tecnica speciale di cui al d.P.R. 30 marzo 2004, n. 142, recante disposizioni per il contenimento e la prevenzione dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare". Al contrario, sostengono gli appellanti che: - il T.a.r. avrebbe travisato la stessa relazione del verificatore, nella quale si legge che "sebbene il criterio comparativo, quello impiegato nella valutazione della normale tollerabilità, possa sembrare simile a quello del superamento vigente nella norma amministrativa", i "descrittori utilizzati possono essere diversi" e, comunque, per le infrastrutture di trasporto "i limiti stabiliti dalla legge sono descritti da valori energetici di tipo assoluto", nel caso di specie "ampiamente rispettati", e non sarebbe possibile "ricondurre le immissioni sonore" in questione "a giudizi di 'normale tollerabilità "; - la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto occasione di affermare che in tema di immissioni rumorose, non vi siano ostacoli all'applicabilità del criterio comparativo differenziale per determinare la soglia dell'intollerabilità anche nei rapporti tra i privati ed i concessionari della pubblica amministrazione, che comunque sono tenuti ad osservare gli standard ambientali; perciò l'art. 844 c.c., quale norma che disciplina in generale le immissioni, detta un parametro di riferimento che può essere utilmente applicato analogicamente anche ai rapporti con il concessionario della pubblica amministrazione. 4.3. Con il terzo motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "il verificatore ha sostanzialmente confermato le risultanze del collaudo acustico eseguito dalla Società concessionaria nel mese di settembre del 2016 (che non aveva interessato solamente l'immobile -OMISSIS-, i quali, con nota agli atti, si erano rifiutati di offrire la propria collaborazione). Gli accertamenti fonometrici effettuati dall'A.R.P.A.L. hanno dimostrato, infatti, che i limiti fissati dal d.P.R. n. 142/2004 sono ampiamente rispettati presso tutti i ricettori. In assenza di qualsiasi violazione dei valori normativamente stabiliti, occorre concludere nel senso che le immissioni acustiche provocate dal traffico autostradale non eccedano la soglia della normale tollerabilità ". Al contrario, gli appellanti deducono che: - relativamente alle operazioni di collaudo avvenute nell'anno 2016, la comunicazione a firma dei signori -OMISSIS-, in data 8.01.2017, non sarebbe volta ad ostacolare l'esecuzione del collaudo acustico, come erroneamente affermato dal primo Giudice, ma a sottolineare come le operazioni venivano effettuate in un periodo di bassa stagione (metà gennaio 2014), in cui vi è notoriamente un calo del traffico attesa la fine delle festività natalizie; - tutti i risultati delle operazioni svolte dal verificatore sono stati puntualmente contestati come emerge chiaramente dalla memoria di primo grado in data 10.02.2017, in quanto irrilevanti poiché dette operazioni sono state svolte in periodi dell'anno di bassa stagione, in cui -come detto- il traffico veicolare subisce una forte diminuzione; - il primo Giudice ha omesso di rilevare che la continua sottoposizione dei ricorrenti alle predette immissioni rumorose, che per intensità e persistenza superano la normale tollerabilità, non solo ha inciso ed incide sulla possibilità di utilizzazione degli immobili - la quale è fortemente limitata con conseguente svalutazione economica degli stessi - ma è causa dell'insorgere di diverse patologie sia fisiche che psichiche, di cui i ricorrenti soffrono da anni e che vanno acutizzandosi con il passare del tempo, a maggior ragione a seguito dell'intervento da ultimo realizzato. 4.4. Con il quarto motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "gli elementi forniti dal verificatore consentono anche di individuare la reale causa della situazione di disagio denunciata dai ricorrenti, non ascrivibile a negligenze della concessionaria del servizio (la quale ha comunque provveduto all'installazione delle barriere acustiche lungo un tratto di autostrada che ne era privo), ma alla stessa ubicazione delle loro abitazioni che, essendo sopraelevate rispetto alla carreggiata autostradale e non addossate ad essa, risultano inevitabilmente colpite dalla propagazione del rumore verso l'alto". Al contrario gli appellanti deducono che: - gli immobili di proprietà degli odierni appellanti sono preesistenti alla costruzione dell'autostrada A12 ed in ogni caso essi non possono essere costretti a sopportare i rumori provenienti da detto tratto autostradale, a maggior ragione se tali rumori sono stati oggetto di un brusco aumento tale da superare le soglie della normale tollerabilità previste ex lege (come avvenuto e tutt'ora avviene nel caso di specie); - la Società Autostrade, contrariamente a quanto asserito dal primo Giudice, doveva farsi carico della risoluzione di dette problematiche che si sono acuite nel tempo, da un lato per la nota maggior intensità del traffico autostradale registrato negli ultimi due decenni, dall'altro a causa del posizionamento di barriere fonoassorbenti da parte della stessa in un modo tale da aver peggiorato lo stato dei luoghi e ciò nell'ambito di un Progetto di risanamento acustico che invero le note criticità doveva risolvere. Infatti, l'aver omesso, nell'ambito del predetto Progetto, inspiegabilmente di costruire barriere fonoassorbenti nel tratto di strada in questione (e solo in questo poiché in quello immediatamente precedente e quello immediatamente successivo le barriere sono invece presenti) ha avuto quale conseguenza il convogliamento di tutte le onde acustiche verso le abitazioni dei ricorrenti, fatto che ha peggiorato la situazione preesistente. 4.5. Con il quinto motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha disatteso la domanda risarcitoria formulata in primo grado, affermando "l'insussistenza del denunciato fatto lesivo e, quindi, l'infondatezza della pretesa risarcitoria". Sul punto, gli appellanti deducono che: - sussiste l'evento dannoso, posto che l'illegittima collocazione delle barriere de quibus determina un pregiudizio per gli appellanti, i quali sono costretti a sopportare l'emissione di rumori oltre i limiti di legge, o comunque oltre la normale tollerabilità ; - sussiste l'ingiustizia del danno, posto che si è verificata la lesione di un interesse giuridico meritevole di tutela ad un bene della vita e che il danno sofferto dalla ricorrente deriva, come osservato, da una condotta non giustificata dall'ordinamento, avendo - la concessionaria - adottato un comportamento in violazione della disciplina normativa di cui ai motivi di ricorso sopra riportati; - sussiste altresì la riferibilità del danno sofferto alla Società resistente, considerato che tale danno è certamente addebitabile alla condotta antigiuridica della Società Au. che, in assenza dei necessari presupposti, ha proceduto alla collocazione delle barriere; - sussiste infine l'imputabilità del danno a dolo o colpa della Società resistente considerato che i pregiudizi subiti dai ricorrenti sono esclusivamente imputabili all'inescusabile violazione, da parte dell'Amministrazione, delle regole e dei principi che governano l'azione amministrativa. 5. Gli appellanti hanno quindi concluso affinché questo giudice d'appello, in accoglimento del gravame, accerti e dichiari l'intollerabilità del rumore lamentato con condanna di parte appellata al risarcimento del danno ed alle spese di giudizio. 6. In data 22 febbraio 2019 Au. per l'I. si è costituita in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame con vittoria di spese. 7. In prosieguo di giudizio entrambe le parti hanno depositato memorie, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni. 8. Alla udienza straordinaria del 7 febbraio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8.1. Nel corso della discussione parte appellante ha richiamato le difese esplicate in sede di memoria di replica al fine di richiamare la giurisprudenza della Cassazione che auspica una lettura costituzionalmente orientata del diritto fondamentale alla salute. Ha evidenziato, altresì, che le misurazioni vanno fatte non con rispetto al limite tabellare assoluto, ma tenendo conto delle condizioni specifiche dello stato dei luoghi, così come previsto dall'art. 844 c.c., e che le abitazioni erano preesistenti all'asse autostradale Ha insistito per una CTU medico legale al fine di determinare il quantum del risarcimento. Parte appellata ha a sua volta insistito per il rigetto dell'avverso gravame evidenziando che in sede di memoria non si possono formulare motivi nuovi e che difetterebbe la prova del danno oltre che dello stesso fatto costitutivo. 9. L'appello è infondato. L'infondatezza del gravame consente di soprassedere alla disamina dell'eccezione di tardività del ricorso di primo grado sollevata da parte appellata. 9.1. Non coglie nel segno il primo motivo, col quale parte appellante richiama le risultanze della CTP in ordine alla incidenza della discontinuità della barriera fonoassorbente e più in generale alla "pesante situazione di inquinamento acustico" tale da inficiare la salute psicofisica degli appellanti. Tali considerazioni sono articolate per contestare il capo della sentenza col quale il T.a.r. ha giudicato inammissibili le relative deduzioni per difetto di ogni principio di prova. Occorre riportare il passaggio testuale della pronuncia impugnata sul punto avendo il T.a.r. esattamente evidenziato, in disparte il pur rilevato profilo di inammissibilità, che "la relazione del verificatore attesta, ad ogni buon conto, che l'erezione delle barriere fonoassorbenti ha permesso una effettiva, seppur contenuta, attenuazione del rumore, cui vanno sommati i benefici derivanti dalla prevista stesura di manto drenante fonoassorbente". Tali considerazioni del T.a.r. si pongono quindi sul piano del merito, così da doversi ritenere assorbita ogni valutazione afferente all'ammissibilità della deduzione, di tal che l'indagine anche sotto tal profilo non può fare a meno, nell'apprezzare la fondatezza degli ulteriori motivi di parte appellante, di valorizzare l'esito della verificazione disposta dal giudice di prime cure, che ha ravvisato "il rispetto dei limiti dell'infrastruttura di trasporto presso tutti i ricettori, sia nella fascia di pertinenza A (0-100 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale), sia nella fascia di pertinenza B (100-250 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale), come anche nella zona assoggettata ai limiti stabiliti dalla classificazione acustica comunale (oltre i 250 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale)". 9.2. Ritiene quindi il Collegio che, nell'economia complessiva delle deduzioni di parte appellante, assumono un rilievo determinante le risultanze della verificazione disposta in prime cure e che sono tali da consentire di respingere non solo il primo motivo, ma anche quelli sub II-IV). Parte appellante sostiene, in sostanza, che trovi applicazione l'articolo 844 c.c. ma a ciò effettivamente osta la legge quadro n° 447/1995, con la quale sono stati dettati i principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, con esplicita eccezione per le infrastrutture dei trasporti, demandando (art. 11) a specifici regolamenti di attuazione, distinti per sorgente sonora, la disciplina dell'inquinamento acustico avente origine dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo. Conviene riportare il testo della norma che così si esprime: "1. Con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, della difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo e dello sviluppo economico, secondo le rispettive competenze, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono adottati uno o più regolamenti, distinti per sorgente sonora relativamente alla disciplina dell'inquinamento acustico avente origine dal traffico marittimo, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, dagli impianti di risalita a fune e a cremagliera, dagli eliporti, dagli spettacoli dal vivo, nonché dagli impianti eolici". In effetti, in data 1.6.2004, veniva pubblicato in GU il d.P.R. n. 142/04 recante "Disposizioni per il contenimento e la prevenzione dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare a norma dell'art. 11 della legge 447/1995". Tali previsioni in applicazione delle statuizioni recate dalla legge previa ha stabilito il rispetto di valori limite di immissione sonora a seconda che si tratti o meno di infrastrutture di nuova realizzazione. L'art. 2, comma 3 del citato decreto prevede, infatti, che "Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano: a) alle infrastrutture esistenti, al loro ampliamento in sede e alle nuove infrastrutture in affiancamento a quelle esistenti, alle loro varianti; b) alle infrastrutture di nuova realizzazione.". Il d.P.R. in commento introduce quindi una disciplina ad hoc che, nel chiaro intento di mediare esigenze contrapposte, ovverosia quella di assicurare dei limiti di tollerabilità acustica specifici e dettagliati, assorbe e supera la disciplina generale di cui al menzionato art. 844 c.c. 9.3. Parte appellante nel reiterare le censure di primo grado formula alcuni rilievi critici nei riguardi della relazione di verificazione che risulta invece dettagliata oltre che argomentata rilevandosi, tra l'altro, che "sugli interventi di risanamento specifici realizzati si può dire che quello denominato 25W (barriera fonoassorbente opaca) è stata giustamente collocata in spartitraffico perché la sorgente principale di rumore risulta la carreggiata ovest (lato mare), in quanto quella est (lato monte) è già protetta da un muraglione di contenimento. La stessa non è stata proseguita a sud-est per lasciare il varco di sicurezza per gli scambi di carreggiata. Quindi, sempre in spartitraffico, in prossimità -OMISSIS-, è stato realizzato l'intervento 26W (barriera trasparente riflettente), a protezione di ricettori (-OMISSIS-) posti dall'altro lato dell'infrastruttura rispetto a quello indagato in questa campagna di rilevazioni" (cfr. pagina 9 della relazione di verificazione). 9.3.1. I motivi in esame, come detto suscettibili per il loro tenore di trattazione congiunta, risultano pertanto infondati, dovendosi ulteriormente rilevare che: - per quanto riguarda le considerazioni formulate in seno al primo motivo, suffragate dalle risultanze della CTP, in ordine alla pretesa necessità di "barriere fonoassorbenti non discontinue" e di un "tunnel fonoassorbente" per l'abitazione -OMISSIS-, esse sono adeguatamente contraddette dalla relazione del CTU in ordine al generale rispetto dei limiti di immissioni sonore nel tratto autostradale in considerazione; - non può essere condiviso quanto dedotto in merito all'errore nel quale sarebbe incorso il primo giudice laddove ha ritenuto non applicabile il cd. criterio comparativo differenziale, in quanto, contrariamente a quanto opinato da parte appellante, ciò è da escludersi avuto riguardo a quanto stabilito dalla su richiamata normativa di riferimento e dalle chiare considerazioni finali del verificatore; né può ipotizzarsi un profilo di contrasto tra la sentenza e la previa ordinanza istruttoria, in quanto la valutazione delle risultanze così acquisite spetta al giudice del merito (Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3025: "Laddove però il giudice amministrativo abbia ritenuto di dover disporre una verificazione, in quanto abbia rilevato la sussistenza dei presupposti che ne consiglino lo svolgimento al fine della completezza istruttoria, egli ben può affidarsi alla relazione conclusiva prodotta dal verificatore al fine di cogliere i profili tecnici necessari per giungere alla definizione della controversia"); - l'appellante contesta altresì, col terzo motivo, il passaggio lessicale della impugnata pronuncia (sub 4), col quale il T.a.r. ha rilevato che "il verificatore ha sostanzialmente confermato le risultanze del collaudo acustico eseguito dalla Società concessionaria nel mese di settembre del 2016 (che non aveva interessato solamente l'immobile -OMISSIS- i quali, con nota agli atti, si erano rifiutati di offrire la propria collaborazione). Gli accertamenti fonometrici effettuati dall'A.R.P.A.L. hanno dimostrato, infatti, che i limiti fissati dal d.P.R. n. 142/2004 sono ampiamente rispettati presso tutti i ricettori. In assenza di qualsiasi violazione dei valori normativamente stabiliti, occorre concludere nel senso che le immissioni acustiche provocate dal traffico autostradale non eccedano la soglia della normale tollerabilità "; - le doglianze sul punto di parte appellante non sono in grado di inficiare le statuizioni del T.a.r. con le quali ha valorizzato le risultanze della verificazione in quanto, per ciò che attiene alla collocazione temporale delle operazioni di rilevazione acustica, queste, come precisato in sede di relazione, sono state svolte "nel mese di luglio" (cfr. relazione di verificazione, pagina 2) e pertanto proprio nel periodo di massima intensità del traffico veicolare, fermo restando che, come precisato dallo stesso verificatore, "aumenti considerevoli del traffico in talune circostanze, comportano una diminuzione della velocità media, il cui effetto va quindi a compensare la variazione positiva che si avrebbe sui livelli di rumore registrabili" (cfr. pagina 2); - nemmeno può darsi rilievo a quanto valorizzato da parte appellante in ordine al fatto di avere, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., effettuato precise contestazioni circa il corretto espletamento delle operazioni di verificazione, le cui risultanze, ut supra evidenziato, sono suffragate da ampie argomentazioni e riscontri fattuali; - pertanto è suscettibile di conferma in questa sede il capo della sentenza col quale il T.a.r. ha fatto proprie le relative conclusioni; ne consegue che i disagi fisici e psicologici (oltre che i danni economici derivanti dal deprezzamento degli immobili) degli abitanti della zona, evidenziati da parte appellante col motivo in esame, non possono suffragare ex se le domanda di parte in ragione di quanto accertato in ordine al rispetto dei limiti delle immissioni sonore contemplati in sede ordinamentale; - nemmeno fondato è quanto ulteriormente dedotto col quarto mezzo, col quale si contesta il passaggio motivazionale della sentenza appellata col quale si evidenzia la stessa collocazione delle abitazioni essendo "sopraelevate rispetto alla carreggiata autostradale e non addossate ad essa, risultano inevitabilmente colpite dalla propagazione del rumore verso l'alto"; - invero trattasi di una circostanza fattuale evidenziata dal verificatore e comprovata dalla stessa documentazione fotografica ad essa allegata, la quale ha un'oggettiva ricaduta sulla praticabilità ed efficacia di interventi atti a ridurre le immissioni sonore e che è stata valorizzata dal verificatore secondo criteri coerenti con ineludibili esigenze di logica e razionalità ; - non rileva, infine, quanto dedotto a proposito della preesistenza degli immobili degli appellanti rispetto alla costruzione dell'autostrada A12 e del "convogliamento di tutte le onde acustiche verso le abitazioni dei ricorrenti" essendo circostanze che non possono influire sull'esito delle operazioni di verificazione sopra evidenziate. 9.4. Ne deriva che vanno respinte tutte le deduzioni sollevate da parte appellante in uno alla domanda risarcitoria quivi riproposta col quinto motivo, a sua volta pertanto da reputare infondato per insussistenza dei presupposti di un danno risarcibile. Ne consegue l'insussistenza di ogni esigenza istruttoria legata alla rappresentata necessità di determinare con esattezza il quantum del risarcimento. 10. Tanto premesso, l'appello deve essere respinto. 11. La complessità e la peculiarità della vicenda suggeriscono di compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 4859/2018), lo respinge. Spese di grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1833 del 2021, proposto dai signori Gi. Al. Go. e Fe. Go., rappresentati e difesi dall'avvocato Lo. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); nei confronti della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio delle Marche, della Soprintendenza archivistica e bibliografica Umbria e Marche, della C.C. s.n. c. di Ca. Lu. e Cu. Ro., non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche Sezione Prima n. 00483/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il consigliere Giuseppe Rotondo e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio - instaurato dai signori Gi. Al. Go. e Fe. Go. - ha ad oggetto: a) la domanda di annullamento dei seguenti atti: - deliberazione della Giunta Comunale del Comune di (omissis) n. 98, del 29 novembre 2016, con la quale è stata approvata "la perizia redatta dal Servizio Lavori Pubblici in data 22/11/2016 per l'esecuzione dell'intervento di riqualificazione urbana del giardino pubblico "Il Ch...."; - deliberazione della Giunta Comunale del Comune di (omissis) n. 16, del 21 febbraio 2017, con la quale sono state stabilite "le linee di indirizzo per la concessione per la realizzazione e gestione pluriennale del chiosco nel giardino comunale distinto catastalmente al foglio (omissis) mappale (omissis)"; - determinazioni del Responsabile del Settore Tecnico del Comune di (omissis) datata 8 marzo 2017, n. 14, avente ad oggetto l'approvazione del bando e i moduli di gara "per la concessione per la realizzazione e gestione pluriennale del chiosco nel giardino comunale distinto catastalmente al foglio (omissis) mappale (omissis)..." e n. 32 del 16 maggio 2017 che con la quale si provvedeva ad "aggiudicare definitivamente la concessione per la realizzazione e gestione pluriennale del chiosco nel giardino comunale distinto catastalmente al foglio (omissis) mappale (omissis)..."; - deliberazione della Giunta comunale n. 57 del 12 giugno 2017, avente ad oggetto "Lavori di riqualificazione urbana giardino pubblico "Il Ch." - cup (omissis) - Approvazione variante al progetto"; - bando di gara del Settore tecnico del Comune di (omissis) "per la concessione di un'area pubblica per la realizzazione e la gestione di un chiosco-bar per l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e del servizio di pulizia e manutenzione delle aree ad esso pertinenziali presso il giardino "Il Ch." di cui al C.T. Foglio (omissis)/A Particella (omissis)"; b) la domanda di condanna del Comune di (omissis) al risarcimento dei danni "in ragione della ridotta fruibilità ed accessibilità " al proprio bene immobile nonché da "inopinata alterazione del contesto urbano", prudenzialmente indicati in Euro 500.000,00. 2. Questi gli aspetti essenziali della vicenda: a) i sig.ri Go. sono proprietari della unità immobiliare sita in (omissis) censita al catasto al Foglio M.U. n° (omissis) part. (omissis), denominata Palazzo Du., dichiarata di particolare valore culturale, storico e monumentale ai sensi della Legge n. 1089/1939, confinante con le particelle n° (omissis); b) l'area compresa fra la part. n. (omissis) e la strada SS 73 bis (part. n. (omissis)) è disciplinata dal Piano particolareggiato del Centro storico del Comune di (omissis), ed in particolare dalla UMI n. 1 ove sono consentiti interventi fino alla ristrutturazione edilizia, così come previsto dall'art. 43 n. 4 delle n. t.a.; c) su tale particella (omissis) gli istanti espongono che grava "una servitù di passo ben individuata anche nella relazione storico-artistica e nella planimetria allegata al decreto del Direttore generale dell'Ufficio Centrale dei Beni Archeologici, Artistici e Storici del 11/07/1998": la strada che insisteva sul luogo di esercizio di tale servitù realizzava un collegamento diretto fra la part. (omissis), la strada SS 73 bis e il Palazzo Du.; d) con deliberazione della Giunta Comunale n. 98 del 29 novembre 2016, il Comune appellato ha approvato la "perizia esecutiva redatta dal Servizio Lavori Pubblici in data 22/11/2016 per l'esecuzione dell'intervento di riqualificazione urbana del giardino pubblico "Il Ch."..."; e) con deliberazione della Giunta Comunale n. 16 del 21 febbraio 2017 sono state stabilite "le linee di indirizzo per la concessione per la realizzazione e gestione pluriennale del chiosco nel giardino comunale distinto catastalmente al foglio (omissis) mappale (omissis)"; f) con la determina n. 32 del 16 maggio 2017 il Comune ha provveduto ad "aggiudicare definitivamente la concessione per la realizzazione e gestione pluriennale del chiosco nel giardino comunale distinto catastalmente al foglio (omissis) mappale (omissis)..."; g) con deliberazione n. 57 del 12 giugno 2017, la Giunta comunale ha approvato "apposita perizia di variante comportante modifiche al contratto d'appalto ai sensi dell'art. 106 del D.Lgvo 18/04/2016 n° 50 riguardanti modifiche non sostanziali..."; h) con istanza del 28 aprile 2017 il sig. Gi. Al. Go. ha chiesto di "visionare il progetto relativo all'area in oggetto..."; i) con nota datata 1 giugno 2017, prot. n° 2657, il Comune di (omissis) ha riscontrato la predetta richiesta trasmettendo "particolari planimetrici - cordolature e marciapiedi". 3. Con ricorso nrg 464/2017, i signori Go. hanno impugnato i suindicati atti innanzi al T.a.r. per le Marche, mediante ricorso introduttivo e successivi motivi aggiunti. 3.1. Il ricorso impugnatorio (introduttivo e motivi aggiunti) è stato affidato a complessivi 5 motivi, come di seguito compendiati. A) Quanto alle deliberazioni della Giunta Comunale n° 98 del 29/11/2016, n° 16 del 21/1/2017, alla determinazione del Responsabile del settore tecnico n° 14 del 8/3/2017, al bando di gara, alla deliberazione della Giunta comunale n° 57 del 12/06/2017 (ricorso introduttivo): A.I) eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti - violazione artt. 3, comma 1, lett. f), e 7, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 380/2001 in relazione all'art. 47 del d.p.r. n. 554/1999 e all'art. 42, comma 2, lett. b) del d.lgs n. 267/2000 - eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto del presupposto, illogicità, contraddittorietà, sviamento di potere - violazione artt. 1, 3 e 11 della legge regionale Marche n° 22/2011 in relazione agli artt. 26 e segg. della legge regionale Marche n. 34/1992 e all'art. 14 della legge n. 241/1990 - incompetenza; A.II) violazione artt. 3 e 10 del d.p.r. n. 380/2001 in relazione agli artt. 2, 6, 11 e 11-bis della variante al Regolamento edilizio comunale e all'art. 18-bis e 31 del Piano particolareggiato per il Centro storico del Comune di (omissis) (P.P.C.S.) -violazione artt. 2, 5, 13, 16, 43, 47, 49 e 133 del P.P.C.S. -violazione art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 - eccesso di potere per sviamento di potere, elusione dalla causa tipica, illogicità e contraddittorietà, carenza di istruttoria, difetto dei presupposti, perplessità e difetto di motivazione - violazione art. 97 Cost. - violazione principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza dell'azione amministrativa - violazione artt. 21, 22, 25 del d.lgs n. 42/2004; A.III) violazione art. 8 del Regolamento opere edili minori e violazione artt. 67, 94, 104, 105, 126, 128, 129 e 130 del P.P.C.S. del Comune di (omissis). B) Quanto alla delibera di Giunta comunale n. 57 del 12 giugno 2017, per le parti non conosciute, e la S.C.I.A. del 5 agosto 2017 (impugnati con motivi aggiunti): B.I) illegittimità derivata - eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, difetto dei presupposti, travisamento ed incompetenza - violazione degli artt. 1, da 7 a 10, 14-bis della legge n. 241/1990, artt. 26 e 27 del d.lgs n. 50/2016; B.II) eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento - violazione ed elusione degli artt. 1, 3 e 11 della legge regionale Marche n. 22/2011 in relazione agli artt. 26 e segg. della legge regionale Marche n. 34/1992 - violazione ed elusione art. 47 del d.p.r. n. 554/1999 (poi art. 26 e 27 del d.lgs n. 50/2016) - violazione artt. 1, 3, da 7 a 10 e 14-bis della legge n. 241/1990. 3.2. Si sono costituiti, per resistere, il comune di (omissis) e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. 3.3. Il Comune di (omissis), oltre a chiedere il rigetto del ricorso, ne ha eccepito la sua irricevibilità e inammissibilità : a) per tardività del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti rispetto alla piena conoscenza legale degli atti impugnati; b) per carenza di interesse e difetto di legittimazione ad agire in relazione all'asserito, ma inesistente pregiudizio arrecato loro dalla eliminazione dell'accesso carrabile (part. (omissis)) diretto al Palazzo Du. dalla strada regionale per Bocca Trabaria. 4. Il T.a.r. per le Marche, con sentenza n. 483 del 24 luglio 2020 ha ritenuto di soprassedere dal trattare le eccezioni di irricevibilità del ricorso dedotte dall'amministrazione comunale, stante, in parte, l'infondatezza del gravame e, in parte, la sua inammissibilità per carenza di interesse, compensando le spese. 4.1. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto: a) non fornita dai ricorrenti alcuna prova dell'attuale esistenza di una servitù di passaggio, in favore del Palazzo Du., quanto alla particella (omissis); b) che i "lavori non hanno modificato la destinazione urbanistica della particella (omissis)"; c) infondata "la pretesa riconducibilità dei lavori all'intervento di ristrutturazione urbanistica"; d) che "l'unica modifica alla viabilità (interna e pedonale) ha comportato la chiusura dell'accesso dalla Strada Statale (omissis) per comprensibili ragioni di sicurezza e l'allargamento dell'accesso da Corso (omissis)"; e) invariato il tessuto urbanistico-edilizio esistente nonché il disegno del lotto e dell'isolato (particella (omissis) e aree circostanti) oltre che della rete stradale esterna (Strada Statale (omissis), Corso (omissis) e via (omissis)), con la sola leggera e irrilevante modifica (in termini urbanistici) della viabilità pedonale interna al lotto nonché delle dimensioni e dell'area di sedime del chiosco-bar; f) inammissibili le restanti e molteplici censure (contenute essenzialmente nel secondo e terzo motivo del ricorso introduttivo e in parte nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti) riguardanti la pretesa assenza di titolo edilizio legittimante (eventualmente anche in sanatoria) la demolizione e ricostruzione del chiosco-bar per sostanziale carenza di interesse ad agire. 5. Hanno appellato i signori Go., che censurano la sentenza n. 483/2020 per i seguenti motivi: a) Errata valutazione delle risultanze documentali in ordine all'esistenza della servitù di passo - omesso esame dell'intenso rapporto di vicinitas fra la proprietà dei ricorrenti e il luogo dell'intervento: i) sarebbe stata data prova delle condizioni dell'azione nonché del pregiudizio specifico in relazione sia alla eliminazione fisica della strada di accesso al Palazzo Du. che alla realizzazione di una trasformazione così importante del centro storico e dei caratteri identitari consolidati nel tessuto culturale della comunità del Comune di (omissis), ciò in ragione della vicinanza delle pertinenze del Palazzo Du. con l'area di intervento, con la quale confinano, siccome esposta con la nuova qualificazione ad una fruizione commerciale; ii) il pregiudizio che ha determinato l'interesse al ricorso si fonda sia sulla eliminazione dell'accesso (gravante sulla part. (omissis)), che sulla realizzazione di una vera e propria trasformazione urbanistica del centro edificato, tale da incidere profondamente sui beni appartenenti ai ricorrenti. b) Eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità, omessa valutazione delle risultanze documentali ed istruttorie - violazione art. 34, comma 2, del d.lgs n. 104/201: il completamento della recinzione rappresenterebbe il principale strumento di inibizione dell'esercizio della servitù, che non aveva lo scopo di consentire l'accesso ai soli proprietari, ma anche ai visitatori, ai quali deve essere consentito l'accesso libero almeno il primo giovedì di ogni mese. c) eccesso di potere per violazione della fattispecie di cui all'art. 3 comma 1 lett. f) del D.P.R. n. 380/2001: l'intervento edilizio avrebbe i connotati della ristrutturazione urbanistica, in quanto ha modificato l'assetto viario, le aiuole e l'utilizzo della porzione territoriale, ciò in assenza di adeguato titolo abilitativo e della approvazione di una variante urbanistica di competenza del consiglio comunale. d) omesso esame dei motivi del ricorso principale e di quelli aggiunti in violazione degli artt. 34 comma 1 e 39 c.p.a., artt. 99 e 112 c.p.c.: il giudice di primo grado avrebbe concentrato la motivazione sulla ritenuta carenza delle condizioni dell'azione, sicché sarebbero rimasti inesplorati i motivi del ricorso principale e quelli aggiunti. 5.1. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis) e il Ministero per i beni culturali e per il turismo. 5.2. Il Comune appellato reitera le eccezioni di irricevibilità e inammissibilità del ricorso; nel merito, chiede il rigetto dell'appello. 5.3. In prossimità dell'udienza parte appellante e comune di (omissis) hanno depositato memorie conclusive e di replica. 6. All'udienza del 21 marzo 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 7. L'appello è infondato. La sua infondatezza consente di prescindere dall'esame delle eccezioni di irricevibilità e inammissibilità del ricorso di primo grado riprese e riproposte dal Comune di (omissis) nell'atto di costituzione in appello. 8. Con i primi due motivi di appello, i sig. Go. lamentano il pregiudizio ad essi arrecato dalla eliminazione dell'accesso, gravante sulla particella (omissis), alla propria unità immobiliare. 9. I motivi sono infondati. 9.1. Come correttamente osservato dal T.a.r., gli odierni appellanti non hanno fornito alcuna prova dell'attuale esistenza di una servitù di passaggio, in favore del Palazzo Du., sulla particella (omissis). 9.2. L'unico documento prodotto nel giudizio di primo grado a comprova della asserita servitù - e quindi utilizzabile ai fini del presente giudizio, giusta divieto dei nova (art. 104 c.p.a.) - consiste nella relazione storico-artistica redatta dalla Sovrintendenza per i beni ambientali e architettonici delle Marche-Ancona, datata 17 luglio 1998 (v. doc. all. 7 al ricorso di primo grado), più precisamente nella (sola) planimetria allegata alla relazione (sempre a firma dello stesso Sovrintendente e del Direttore generale) dove compare una linea tratteggiata sulla particella (omissis) che si congiunge alla particella (omissis). 9.3. Parte appellante non ha prodotto però alcun documento (contratto, testamento, determina o delibera comunale, certificato della conservatoria dei registri immobiliari del territorio) utile a introdurre un valido principio di prova circa l'identificazione del fondo servente, del fondo dominante e della servitù prediale, in grado, pertanto, di inferire un ragionevole dubbio sulla corretta gestione dell'istruttoria procedimentale o di ipotizzare un travisamento dei fatti. 9.4. La documentazione richiamata nell'atto d'appello (motivo 1°, pagina 44 - fotogramma 05 Ante, 06 Ante e 07 Ante che il Palazzo Du. era direttamente raggiungibile dalla strada statale (omissis), doc.ti n. ri 7.1, 7.2, 7.11, 11, 12.3 e 18 di controparte) nulla comprova al riguardo, anzi descrive e illustra la situazione dei luoghi ante e post intervento dando conto di modifiche sostanzialmente marginali. 9.5. Neppure vengono allegati elementi fattuali in grado di comprovare - sempre in punto di principio di prova - il possesso utile ad usucapionem della servitù che parte appellante asserisce gravante sulla particella (omissis). 9.6. Di contro, dalla versata documentazione (v. documenti 2 e seguenti allegati al ricorso di primo grado) emerge che il bene in questione è sempre stato utilizzato come giardino ad uso pubblico con pertinente ristoro-bar ed è sempre rimasto nella disponibilità del Comune, ovvero a beneficio della collettività, facendo parte di una più ampia area del centro urbano di uso collettivo, molto frequentata, sulla quale si era già intervenuto con un intervento di riqualificazione urbana, nello specifico il giardino pubblico denominato "Il Ch.". 9.7. Il Comune ha, altresì, comprovato che: i) l'accesso dalla strada statale poteva eventualmente avvenire solo attraversando l'area sterrata prospiciente il vecchio chiosco, con evidenti problematiche di sicurezza collegate anche alla immediata vicinanza con un incrocio tra quattro strade (allegato 11 alla documentazione depositata l'11 marzo 2020 nel giudizio di primo grado): ii) l'accesso dal giardino non costituisce un connotato storico del Palazzo, dato che il muro di cinta era originariamente privo di aperture verso il giardino (allegato 11.1. seguente). Le suddette circostanze sono rimaste inconfutate. 10. Con il terzo motivo di appello, i signori Go. censurano la sentenza nella parte in cui avrebbe erroneamente escluso che l'intervento edilizio abbia i connotati della ristrutturazione urbanistica. 10.1. La qualificazione dell'intervento in questi termini deriverebbe dalla circostanza che i divisati lavori avrebbero comportato: - la chiusura dell'accesso dalla S.S. (omissis); - la traslazione del chiosco; - la modifica della viabilità da via (omissis); - la costruzione di un fabbricato stabile che occupa circa 100 mq di terreno in sostituzione di un precedente manufatto precario che ne occupava otto; tutto ciò, in assenza di adeguato titolo abilitativo e di approvazione di una variante urbanistica di competenza del consiglio comunale. 11. Il motivo di appello è infondato. 11.1. Il Collegio osserva che la riqualificazione urbana, o riqualificazione urbanistica, può essere definita come l'insieme di interventi volti a recuperare il patrimonio edilizio di un territorio, tra cui ad esempio centri storici, aree urbane dismesse e vecchi quartieri residenziali. L'obiettivo di queste azioni di recupero e ricostruzione è quello di riqualificare il territorio intervenendo ad esempio su edifici, piazze e giardini pubblici che risultano essere degradati e/o usurati. Gli interventi di riqualificazione sono pensati con il fine ultimo di migliorare la qualità di vita e il benessere dei cittadini, trasformando aree urbane dimenticate e pericolose in spazi sicuri e funzionali, nel pieno rispetto dell'ambiente. 12. Il concetto di riqualificazione si attaglia correttamente alla tipologia dei lavori progettati e realizzati dal Comune, sia sotto l'aspetto strutturale che funzionale. 13. Dalla versata documentazione è emerso che l'area oggetto di intervento è di proprietà pubblica. Essa è stata sempre utilizzata come giardino pubblico, attrezzata con percorsi esclusivamente pedonali. Sulla stessa insiste da tempo un chiosco bar in muratura collocato in posizione centrale, che versava in condizioni fatiscenti e di degrado. Le medesime condizioni di degrado caratterizzavano le parti scoperte circostanti (v. stato dei luoghi ante intervento - documentazione fotografica). L'area in questione svolgeva, e tuttora svolge, una funzione di raccordo con il territorio attiguo al centro. 14. In ragione delle condizioni di degrado e della funzione svolta dall'area in questione (insistente nel perimetro del centro storico) il Comune di (omissis), tenuto conto anche delle prescrizioni della scheda UMI-1 e in conformità alle medesime, si è determinato nel senso di procedere ai lavori di riqualificazione del giardino e del chiosco preesistente allo scopo di rendere fruibile l'area in questione, restituendone l'uso alla collettività . 15. L'intervento in parola, pertanto, non appare riconducibile allo schema della ristrutturazione edilizia. 16. Con la ristrutturazione edilizia si indica generalmente, una serie di interventi rivolti a ripristinare il deterioramento a cui tutti gli edifici sono soggetti nel corso del tempo, migliorarne gli standard di sicurezza e comfort e adeguandoli a nuovi canoni estetici. 16.1. Sono considerati lavori di ristrutturazione, per esempio: demolizione e ricostruzione di un immobile anche se conforme per sagoma e volume; trasformazione di superfici accessorie (come sottotetti o scantinati) in superfici utili (abitazioni); ampliamenti, cambio di destinazione d'uso, frazionamento di unità immobiliari, modifica dei prospetti dell'edificio. 17. Nel caso di specie, invece, l'Amministrazione ha provveduto - giusta art. 1 della legge regionale Marche n. 22/2011 - al recupero di un'area urbana degradata, riconsiderando lo spazio del giardino e la struttura del chiosco, nella prospettiva unica e finale del benessere degli abitanti e di chi utilizzerà l'area, nonché del miglioramento generale della zona riqualificata sotto i profili estetici, culturali, igienici, di sicurezza, senza alcuna ristrutturazione di edifici (privati o pubblici) né modifica sostanziale dell'assetto del territorio, tale non potendosi considerare le modifiche della viabilità da via (omissis) siccome dettate da evidenziate e allegate esigenze di sicurezza pubblica e inerenti proprio la circolazione stradale. 18. La chiarita tipologia dell'intervento, in termini di riqualificazione urbana, fa ragione, pertanto, della infondatezza della dedotta violazione sia dell'art. 11 della l.r. n. 22/2011 (articolata sul presupposto che si tratterebbe di una variante urbanistica), sia dell'art. 26-bis e quater della legge regionale n. 34/1992 (articolata sul presupposto che non sarebbe stata richiesta al responsabile del SUAP la convocazione della conferenza dei servizi di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241). 19. Anche la mancanza del titolo abilitativo, dedotta come profilo di illegittimità, s'appalesa doglianza infondata. 19.1. Il vigente testo unico dell'edilizia (approvato con d.p.r. n. 380 del 2001) riserva all'attività costruttiva della pubblica Amministrazione un regime giuridico (relativamente) differenziato rispetto all'ordinaria disciplina stabilita e valevole per l'omologa attività privata. L'art. 7 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 sancisce, infatti, l'affrancamento dell'attività edilizia delle pubbliche amministrazioni dai "Titoli abilitativi". 19.2. Ciò che resta inderogabile è la conformità dell'intervento alle norme urbanistiche. Nel caso di specie, il Comune ha documentato che l'intervento in questione è coerente con le prescrizioni della scheda UMI-1 (art. 43, n. 4 delle n. t.a.). 20. Neppure si colgono sostanziali differenze tra il progetto approvato con la delibera giuntale n. 98/2016 e la variante approvata con la delibera n. 57/2017, se non nei limiti delle modifiche consentite a una variante progettuale. 21. La discrasia temporale posta in evidenza dalla appellante (variante intervenuta a lavori eseguiti), oltre a non essere meglio comprovata, non revoca in dubbio la praticabilità della variante c.d. in sanatoria, quante volte - in tesi - i lavori suppletivi siano stati autorizzati, ad esempio, dalla direzione dei lavori per ragioni contingenti, nei limiti normativamente consentiti. 22. La circostanza sopra chiarita in ordine alla insussistenza di una servitù prediale sulla particella (omissis) (siccome non provata dagli appellanti), costituisce ragione anche della infondatezza della censura (articolata sempre con il terzo motivo di appello) con cui la parte lamenta il mancato coinvolgimento procedimentale nella approvazione del progetto. 23. Per le medesime ragioni dianzi esposte, recedono anche le censure mosse avverso la Scia del 5 agosto 2017. 24. Con il quarto motivo di appello, i signori Go. lamentano infine il mancato esame, da parte del T.a.r., dei motivi di ricorso principale e quelli aggiunti. Segnatamente, parte appellante sostiene che sarebbero rimasti "inesplorati i motivi del ricorso principale e quelli aggiunti trascritti da pag. 8 a pag. 41" dell'atto di appello. 25. Il collegio osserva che i motivi cui fa riferimento parte appellante sono stati tutti esaminati ai precedenti paragrafi, riscontrandosene la loro infondatezza, e che comunque non sussistono altri profili rilevanti ai fini del decidere. 26. L'infondatezza dei motivi di gravame induce alla reiezione anche della domanda risarcitoria, in assenza di comprovato danno ingiusto. 27. L'appello, in definitiva, deve essere rigettato. 28. Le spese relative al presente grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiare natura della controversia. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa fra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere
Tribunale Ordinario di Marsala Rg. 1076/2023 IL GIUDICE La dott. ssa Francescamaria Piruzza, giudice unico in funzione monocratica, ha pronunciato ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. ultimo comma, come novellato dal D.Lgs. 149/2022, la seguente SENTENZA nel procedimento semplificato di cognizione ex art. 281 decies c.p.c. iscritto al n. 1076 dell'anno 2023 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, vertente tra (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) giusta mandato in calce al ricorso depositato telematicamente (PEC: Email (...) RICORRENTE - E (...) (...) rappresentata e difesa dagli avv.ti "(...) (pec:, Email (...) e (...) (pec: Email (...) giusta procura allegata alla comparsa di costituzione depositata telematicamente; RESISTENTE - Oggetto: RICORSO EX ARTT. 281 DECIES E CP_3 CPC FATTO Con ricorso ex art. 281 undecies c.p.c. parte ricorrente, quale titolare di un fondo identificato in catasto al foglio di mappa particella sito nel Comune di Salemi, come da atto di compravendita del 24 luglio 2018, nell'evocare la illegittima occupazione di una porzione di detto terreno, stante l'allocazione di quattro tralicci, ha adito il Tribunale di Marsala chiedendo la condanna della società distributrice alla rimozione dei cennati sostegni e delle relative condutture elettriche e la condanna della resistente al pagamento ex art. 614 bis c.p.c. della somma di Euro 100,00 per ogni giorno di ritardo, nonché alla corresponsione dell'importo di Euro 4.416,00 a titolo di indennità per l'asserita illegittima occupazione e la limitazione della facoltà di godimento del diritto dominicale. A fondamento delle proprie istanze il ricorrente ha dedotto che la resistente "e -distribuzione" avrebbe installato illegittimamente sul fondo di pertinenza detti sostegni con coeva compressione del diritto dominicale. Alla luce dei fatti rappresentati il ricorrente chiedeva: di accertare, ritenere e dichiarare la illegittimità della apposizione del traliccio e delle condutture aeree elettriche e per tale motivo ordinarne la rimozione assegnando un termine superato il quale la resistente dovrà corrispondere euro 100,00 per ogni giorno di ritardo ex art. 614 bis c.p.c.; condannare la resistente al pagamento a titolo di indennità come sopra determinata alla complessiva somma di euro 4.416,00. (...) ritualmente convenuta, mediante il deposito di comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale, ha chiesto preliminarmente dichiararsi l'improcedibilità della domanda avanzata da parte ricorrente per mancato esperimento del procedimento di mediazione, perché vertendo in tema di diritti reali la normativa prevede espressamente che l'azione giudiziale sia preceduta dall'esperimento del procedimento di mediazione e non già della procedura di negoziazione assistita, unica effettuata dalla controparte. Ha dedotto di aver acquisito per usucapione il diritto di servitù di elettrodotto e di passaggio sul fondo di pertinenza di parte ricorrente poiché i sostegni che alimentano le utenze in bassa tensione del comprensorio, nonché i pali di telecomunicazione di pertinenza di altra società, sono sempre stati visibilmente allocati sul fondo e la relativa servitù è stata pacificamente esercitata dalla società convenuta. Ha dedotto altresì che, a far data dalla messa in esercizio della linea con annessa posa dei relativi sostegni (1976), il gestore della rete ha esercitato sul predetto fondo un possesso continuo, non interrotto, pubblico e pacifico avente ad oggetto una servitù chiaramente visibile e, quindi, apparente, sicché ha affermato la sussistenza del suo diritto a mantenere sul fondo di controparte gli impianti anche avuto riguardo alla rilevanza del carico di energia gestito dalla linea in contesa e all'impossibilità di ribaltare detto carico su altre cabine. Ha contestato sia la richiesta di condanna di corresponsione dell'indennità quantificata nella misura di Euro 4.416,00 in quanto palesemente infondata, oltre ad essere sproporzionata rispetto al valore venale del bene oggetto di lite ed arbitrariamente determinata, che la richiesta di corresponsione di una somma ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c per ogni giorno di ritardo, non ricorrendone i presupposti di legge. Ha chiesto "In via preliminare, di dichiarare l'improcedibilità dell'azione proposta da parte ricorrente per mancato esperimento del procedimento di mediazione; nel merito, in via principale, di accogliere la formulata domanda riconvenzionale e, per l'effetto, ritenere e dichiarare, per quanto esposto nella narrativa del presente atto responsivo, l'acquisto per intervenuta usucapione in capo ad (...) (...) del diritto di servitù di elettrodotto in relazione al tratto di linea di bassa tensione che insiste sul terreno di proprietà di parte ricorrente e, per l'effetto - di disporre che la competente conservatoria proceda alla trascrizione in favore di (...) del relativo titolo; in linea subordinata: - di ritenere e dichiarare, acquisito per intervenuta usucapione in capo ad (...) il diritto di passaggio che insiste sul terreno dell'attore; - di ritenere e dichiarare infondate in fatto ed in diritto le domande tutte formulate da parte ricorrente e con qualsivoglia statuizione rigettarle; - Vinte le spese". Alla prima udienza di comparizione il Giudice, verificato il mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria ha assegnato al ricorrente il termine di 15 giorni per l'esperimento della stessa ai sensi dell'art. 5 del Dlgs 28/2011. All'udienza del 25/03/2024, parte resistente ha reiterato l'eccezione di improcedibilità della domanda sul presupposto del mancato esperimento della mediazione da parte del ricorrente, con condanna alle spese. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L'eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte convenuta è fondata e va, conseguentemente, accolta. Ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2011, 1 comma, è disposto che "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente capo ". Al secondo comma si legge che "Nelle controversie di cui al comma 1 l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. A tale udienza, il giudice accerta se la condizione di procedibilità è stata soddisfatta e, in mancanza, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale ". Nel caso in esame, nonostante l'assegnazione giudiziale del termine di quindici giorni al fine di consentire al ricorrente di esperire il procedimento di mediazione obbligatoria, venendo in rilievo una controversia in materia di diritti reali per come eccepito dalla convenuta, trattandosi di un mero refuso il riferimento nel verbale di udienza al contratto di somministrazione, all'udienza fissata per la verifica della procedibilità della domanda, è emerso che detta procedura non è stata avviata dalla parte ricorrente che non è comparsa in udienza, manifestando sostanziale disinteresse rispetto allo stesso processo da essa incoato. Deve infatti precisarsi che all'udienza fissata per la prima comparizione, con decreto regolarmente comunicato alla parte resistente, su ricorso della stessa parte ricorrente quest'ultima non è comparsa alla prima udienza e, pertanto, sarebbe stato suo onere esaminare il contenuto del verbale di udienza che le imponeva di procedere alla mediazione obbligatoria. Deve evidenziarsi che nel caso di specie la controversia, vertendo in tema di diritti reali, è soggetta alla mediazione obbligatoria. Sul punto la Corte di Appello di Napoli (sentenza n. 732 del 28 febbraio 2023) ha precisato che nelle materie in cui è prevista la mediazione obbligatoria, le parti possono scegliere di avvalersi della negoziazione assistita con la precisazione che, in tal caso, laddove la tentata negoziazione fallisse, le parti sarebbero comunque costrette a esperire il previo tentativo (obbligatorio) di mediazione prima di poter procedere in sede giudiziaria, dal momento che non potrà altrimenti dirsi avverata la condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 1 bis, del DLgs n. 28/2010. Parimenti il Tribunale di Roma con sentenza del 20 marzo 2023 n. 932 ha confermato l'autonomia del procedimento di mediazione rispetto a quello di negoziazione assistita. Non sussistendo la prova dell'avvio del procedimento di mediazione nel termine assegnato, deve essere dichiarata l'improcedibilità della domanda avanzata in ricorso. 2. Deve adesso esaminarsi la domanda avanzata dalla parte convenuta diretta ad ottenere l'accertamento dell'intervenuto acquisto per usucapione del diritto di servitù di elettrodotto. Deve preliminarmente precisarsi, pur in difetto di eccezione sul punto sollevata dalla controparte, che l'obbligo di mediazione non si estende alla domanda riconvenzionale proposta (così Sezioni Unite Civili n. 3452 del 2024) essendo un requisito preliminare solo per l'atto iniziale del giudizio. Parte convenuta nella sua memoria di costituzione ha evidenziato che la conduttura elettrica sostenuta dai pali di sostegno per cui è causa è stata installata pacificamente dal 1976 e che da allora è sempre rimasta nella medesima sede. Si legge in comparsa: " invero la cennata cabina identificata al n. 2 - 576127 denominata "Ippolito" è in esercizio dal 1976, ciò come risulta dagli archivi informatici della odierna deducente, ovvero dalla data di attivazione (28.02.1976) di una delle forniture ubicate nel cennato comprensorio (vds doc. 3 -schermata attivazione fornitura estratta dagli archivi informatici del gestore della rete). A fronte di tale specifica deduzione, l'attore non ha mosso specifiche contestazioni, sicché il fatto deve ritenersi provato ai sensi dell'art. 115, 1° comma, cpc. Non vi è, poi, alcun dubbio circa la natura di servitù prediale dell'imposizione del passaggio di un elettrodotto su di un fondo, come puntualizzato dalla Suprema Corte: "fondo dominante deve essere ritenuto lo stabilimento di produzione e distribuzione, anche nel caso di condutture destinate alla fornitura di energia elettrica a utenti privati (Cass. n. 537/1951; n. 2084/1968; n. 2078/1974)". Inoltre, dalla stessa descrizione dell'attore dell'elettrodotto che attraversa il suo fondo e dalle foto allegate all'atto introduttivo si ricava con certezza la qualificazione della predetta servitù come "apparente" ex art. 1061 c.c. per la presenza di opere visibili e permanenti (la conduttura sorretta da due imponenti pali di ferro), obiettivamente destinate all'esercizio della servitù, che rivelano inequivocabilmente il peso gravante sul fondo dell'attore, in linea con la giurisprudenza in materia. Né sono stati dedotti o documentati atti interruttivi della prescrizione. Alla vetustà dell'elettrodotto quale causa giustificatrice del mancato rinvenimento di documentazione contrattuale fa riferimento la stessa parte resistente nella sua risposta fornita all'attore nella corrispondenza via pec allegata al ricorso. Quanto alla possibilità che venga la servitù costituita per usucapione, va rilevato che con la sentenza n. 28271/2019 la Corte di Cassazione, sezione IV ha affermato che latra i modi di acquisto della servitù di elettrodotto può rientrare l'usucapione, dando luogo ad una servitù volontaria, pur in presenza dei presupposti per l'imposizione coattiva del vincolo, in quanto estranea all'attuazione di un potere autoritativo o di un dovere legalmente imposto a servitù, essendo nata non secondo il volere coatto o contro il volere del soggetto passivo, ma indipendentemente da esso, in forza della conversione di una situazione di fatto in una situazione di diritto. Pertanto, deve essere dichiarato l'acquisto per usucapione della descritta servitù di elettrodotto in favore di parte convenuta in ragione dell'incontestato possesso ultraventannale - pacifico, pubblico, continuativo ed ininterrotto - della medesima servitù apparente. 3. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, tenuto conto dell'esito del presente giudizio, l'attore va condannato a rifondere le spese di lite sostenute dalla parte resistente, liquidate come in dispositivo, alla luce dei parametri medi di cui al DM 55/2014 per le sole fasi introduttiva, di studio e decisoria e tenuto conto dell'attività difensiva espletata. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione o difesa, così provvede: dichiara improcedibile la domanda proposta dalla parte ricorrente; dichiara acquisito per intervenuta usucapione in capo ad (...) il diritto di servitù di elettrodotto descritto in comparsa di risposta in relazione al tratto di linea di bassa tensione che insiste sul terreno di proprietà di parte ricorrente sito in (...) condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presepe " giudizio in favore della parte resistente che liquida nella somma complessiva di euro 1.750,00, di cui Euro 1.701,00 per competenze ed Euro 49,00 a titolo di spes , oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% cc ne per legge; ordina alla Conservatoria dei registri immobirari competente di trascrivere la presente sentenza. Marsala, così deciso in data 23 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 851 del 2022, proposto dal signor Vi. Pa. Fa., rappresentato e difeso dagli avvocati Um. Ma. Sa. e Ol. Na., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Ra., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Seconda, n. 7607/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il Cons. Ugo De Carlo e viste le istanze di passaggio in decisione di entrambe le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor Vi. Pa. Fa. ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe che ha respinto il suo ricorso per l'annullamento dell'ordinanza dirigenziale n. 106 del 8 luglio 2016 del Comune di (omissis), che gli aveva ingiunto la demolizione di un fabbricato realizzato alla Via (omissis), nonché del silenzio rigetto dell'istanza di accertamento di conformità presentata in data 12 febbraio 2010. 2. L'appellante, proprietario di un terreno ricadente in zona A1 del P.R.G. del Comune di (omissis) dove insisteva un manufatto costituito da tubi di ferro e vecchie lamiere, esistente da tempo immemorabile, chiuso su ogni suo lato e costituente volume edilizio, aveva presentava una d.i.a. per il rifacimento della recinzione esistente, il suo completamento lungo il confine opposto al tracciato della servitù ed il risanamento del manufatto fatiscente mediante la sostituzione delle lamiere perimetrali e di copertura con pannelli di lamiere coibentate. Sennonché, dopo la conclusione dei lavori, gli veniva notificato il provvedimento di demolizione, di cui egli deduceva l'illegittimità innanzi al T.a.r. per la Campania unitamente al silenzio rigetto dell'istanza di accertamento di conformità . 3. L'adito Tribunale ha respinto il ricorso poiché il manufatto da risanare era stato definito impropriamente una tettoia che, anche se tale era stata in passato, ormai era stata trasformata in un immobile abitativo, in un primo tempo con una chiusura tramite lamiere, poi completata attraverso la creazione di pareti perimetrali in muratura; quanto all'impugnativa del silenzio-rigetto dell'istanza di accertamento di conformità presentata il 12 febbraio 2010, la stessa era dichiarata inammissibile per la genericità dei motivi. 4. L'appello è affidato ad un unico motivo rubricato "Error in iudicando ed in procedendo, vizio di omessa pronuncia su punti decisivi della controversia - Carenza di istruttoria e di motivazione in merito alle censure di: violazione e f.a. artt. 22, 31, 37 D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - Violazione artt. 42 e 97 della Costituzione - Violazione Art. 1, Primo Protocollo, Convenzione Europea Diritti dell'uomo per il tramite dell'art. 117, Comma 1, della Costituzione - Violazione art. 832 Codice Civile - Violazione e f.a. art. 1 L. 03.07.1990 n 241 - Eccesso di potere - Violazione del giusto procedimento - Inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto - Inesistenza di istruttoria - Ingiustizia Mmnifesta - Contraddittorietà - Irrazionalità - Illogicità - Sviamento", con cui, sostanzialmente riproponendo le censure sollevate in primo grado, si insiste sull'illegittimità della sanzione demolitoria, sostenendosi che la difformità del manufatto realizzato da quello di cui alla d.i.a. avrebbe potuto essere sanzionata solo sul piano pecuniario ex art. 37 d.P.R. 380/2001; si nega che vi sarebbe stata la creazione di un volume poiché non vi erano due superfici verticali contigue a prescindere dal tipo di materiale utilizzato e l'uso del termine tettoia sarebbe il frutto di un mero errore del tecnico perché il volume già esisteva da tempo immemorabile all'epoca della presentazione della d.i.a. 5. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto dell'appello. 6. L'appello è infondato. 6.1. Giova ricordare che i tecnici del Comune di (omissis) effettuarono un sopralluogo in data 27 aprile 2009, accertando l'esistenza di un manufatto di un piano fuori terra della superficie di mq 103 e con un volume di circa mc 288 che presentava un'ossatura portante costituita da tubolari metallici con muratura in calcestruzzo e lamiera coibentata in ferro zincato. Il titolo che avrebbe dovuto legittimare tale immobile era una d.i.a. del 26 luglio 2007 rispetto al cui progetto la realizzazione dell'immobile si presentava totalmente difforme: la d.i.a., infatti, prevedeva il rifacimento della recinzione esterna e la sostituzione della vecchia tettoia con lamiere perimetrali e di copertura coibentate. 6.2. Ciò posto deve osservarsi che, diversamente da quanto prospettato dall'appellante, il Comune non ha contestato la mera difformità del manufatto rispetto al progetto presentato con la d.i.a. del 26 luglio 2007, il che avrebbe dato luogo effettivamente ad irregolarità con conseguente sanzione di tipo pecuniario ai sensi dell'art. 37 d.P.R. 380/2001, quanto piuttosto la realizzazione di un manufatto che non ha alcun collegamento con la predetta d.i.a. e che non è legittimato da alcun titolo edilizio, disponendo pertanto correttamente la demolizione, tanto più che anche la domanda di sanatoria è stata respinta con il silenzio-rigetto di cui all'art. 36 d.P.R. 380/2001. D'altra parte l'appellante non fornito alcun elemento probatorio neppure a livello indiziario non solo di un titolo che legittimasse quel manufatto, ma anche dell'epoca di realizzazione (così che non lo stesso non può essere fatto risalire ad epoca precedente al 1967). Inoltre non può sottacersi che l'area su cui insiste il manufatto ricade nella zona A1 del P.R.G. del Comune di (omissis) nella quale l'art. 26 della N.T.A. consente solo interventi di manutenzione, restauro e risanamento conservativo, ammettendo solo per gli immobili privi di interesse tipologico la possibilità di procedere ad interventi di sostituzione edilizia: in tale ultima categoria non può ricomprendersi il manufatto di cui si discute, atteso che l'intervento di sostituzione edilizia presuppone un procedente immobile da risanare di cui nel caso di specie non vi è traccia. 8. In definitiva l'appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro. 4.000,00 (quattromila), oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se spettanti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Saltelli - Presidente Francesco Frigida - Consigliere Antonella Manzione - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Torre Annunziata, nella persona del G.O.P. Cristina Gallo, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 5666/2017 R.G., avente ad oggetto divisione di beni caduti in successione TRA Ca.An., nata il (...) a P. di S., Ca.Te., nata il (...) a P. di S., entrambe rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Re., presso il quale sono elettivamente domiciliate in Sorrento, in Via (...), in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione, attrici; E Ca.Ce., nata il (...) a P. di S., Ca.Ma., nato il (...) a P. di S., entrambi rappresentanti e difesi dall'avvocato Te.An., presso il quale sono elettivamente domiciliate in Meta, alla Via (...), in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, convenuti. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO In via pregiudiziale si premette che al presente giudizio va applicato l'art. 132 c.p.c., novellato dalla L. n. 69 del 2009; pertanto, come espressamente previsto per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, la presente sentenza non contiene lo svolgimento del processo ma solo la motivazione. Con atto di citazione ritualmente notificato le attrici, Ca.An. e Ca.Te., promuovevano giudizio al fine di dichiarare aperta la successione ereditaria di Fe.Gi., deceduta il 12.9.2006 in Piano di Sorrento; dichiarare che sui beni caduti in successione vige tra i germani Ca.An., Ca.Te., Ca.Ce. e Ca.Ma. comunione ereditaria pari a 250/1000 per ognuno di essi; accogliere la domanda e, per l'effetto, sciogliere la comunione ereditaria nominando C.T.U. per la determinazione della massa da dividersi e delle singole quote; accertare e dichiarare che ciascuna delle attrici vanta un credito sulla massa ereditaria per Euro 52.320,00; ordinare la divisione in relazione alla singole quote e, in caso di non materiale divisibilità degli immobili, ordinarne la vendita all'incanto con successiva formazione di masse liquide da ripartire tra i singoli coeredi; porre le spese a carico della massa e, in caso di infondate contestazioni, condannare gli opponenti alle spese legali e di procedura; emettere ogni altro provvedimento opportuno e consequenziale. A tal fine precisavano che, unitamente ai germani M. e C., erano eredi legittimi di Fe.Gi., deceduta ab intestato il 12.9.2006 a Piano di Sorrento; che la de cuius era proprietaria, per acquisto fatto per notaio Alfredo Arbore in data 31.7.1980, di un fabbricato e di alcuni terreni annessi, siti in P. di S. Via S. n. 2; che tali beni erano così individuati al N.C.T. di detto Comune al foglio (...), partita (...): particella (...), di are 2.79, agrumeto; particella (...), di arre 33.65, uliveto; particella (...), di are 49 F.R.; particella (...), di are 87, vigneto; particella (...), di are 82 F.R. con diritto alla corte 217 del foglio (...); particella (...), porzione fabbricato rurale con diritto alla predetta corte; particella (...), di are 39.85, uliveto; particella (...), di are 5.20, agrumeto. Precisavano, quindi, che ciascuno dei quattro germani vantava una quota ereditaria pari a 250/1000 della massa. Aggiungevano poi che, stante i danni subiti dal fabbricato in seguito al sisma del 1980, Fe.Gi. otteneva, con Provv. del 15 febbraio 2000 del Comune di Piano di Sorrento, di assegnazione del contributo ex L. n. 219 del 1981 e l'autorizzazione amministrativa alla ricostruzione dell'immobile. In seguito all'inizio dei lavori di ristrutturazione, Ca.An. e Ca.Te. prestavano alla de cuius il denaro necessario a pagare la ditta P.D.C.s.d.f., incaricata delle predette opere. Nello specifico, Ca.An. e Ca.Te. assumevano di essere creditrici nei confronti della massa ereditaria di Euro 53.320,00 ciascuna, somme di cui chiedevano si tenesse conto nella formazione delle rispettive quote ereditarie. Stante la loro volontà di divenire proprietarie esclusive della quota immobiliare spettante, ma rivelatisi infruttuosi i tentativi di procedere alla divisione ereditaria, ivi compreso il procedimento di mediazione esperito in data 3.7.2017, le istanti ritenevano necessario adire all'Autorità Giudiziaria, convenendo i germani Ca.Ce. e Ca.Ma.. In data 28.11.2017, si costituivano i predetti convenuti i quali preliminarmente eccepivano che identica domanda, al fine dello scioglimento della medesima comunione ereditaria, era stata proposta dalle attrici con atto di citazione notificato il 17.4.2009 e successivo procedimento incardinato presso il Tribunale di Torre Annunziata con RG 500373/2009, definito con sentenza 2979/2015, passata in giudicato. Con la predetta decisione il Tribunale aveva statuito solo su questioni preliminari, omettendo di pronunciarsi sulla richiesta divisione ereditaria. Nel merito, non si opponevano allo scioglimento della comunione ereditaria, rilevando la necessità di acquisire tutta la documentazione necessaria all'esatta individuazione dei beni ereditari e della proprietà degli stessi. Ca.Ce. aggiungeva, inoltre, di essere anch'ella creditrice nei confronti dell'eredità di Fe.Gi. di Euro 52.320,00. I convenuti, quindi, concludevano affinché il Tribunale provvedesse allo scioglimento della comunione ereditaria di Fe.Gi. tra i quattro figli e per quote uguali, salvo il rimborso dovuto a Ca.Ce. per Euro 52.320,00 da porsi a carico della massa ereditaria, con integrale compensazione delle spese di lite. L'azione di scioglimento della comunione ereditaria è fondata e va accolta. Con riferimento all'individuazione dei beni da dividere, il nominato C.T.U., arch. Paolo Ca., ha offerto una chiara ed esauriente ricognizione degli stessi, alla quale può farsi integrale riferimento. In relazione alla stessa ed alla misura dei diritti vantati dai singoli condividenti, ha poi valutato la possibilità di pervenire ad uno schema divisorio tra i condividenti, previa ripartizione in lotti della massa ereditaria. Preliminarmente, il C.T.U. ha provveduto alla formazione della massa ereditaria, individuando in tal senso i beni relitti dalla de cuius Fe.Gi.. All'uopo, già la sentenza 2979/2015 emessa da questo Tribunale aveva chiarito la consistenza della massa ereditaria di Fe.Gi., dichiarando la nullità sia dell'atto notarile di datio in solutum stipulato in data 9.10.2002, con cui la stessa aveva trasferito al nipote Castellano Salvatore una porzione di un fabbricato rurale, che dell'atto notarile stipulato in data 13.11.2002 con cui la medesima Fe.Gi. aveva donato a Ca.Ma. (oggi convenuto) l'altra porzione del medesimo cespite. Nello specifico la massa ereditaria, quindi, risulta effettivamente e correttamente costituita dai seguenti beni, tutti nel Comune di Piano di Sorrento, acquistati dalla de cuius da D.A.A.: appezzamento di terreno diviso in due corpi della estensione di are ottantadue e centiare trentasei, con fabbricati rurali della complessiva estensione di are una e centiare trentuno. Nello specifico, avendo riguardo ai dati catastali, pure individuati dal consulente d'Ufficio, le aree ed i rispettivi corpi immobiliari erano così riportati nel N.C.T. del Comune di P. di S., alla partita (...), Foglio (...), particelle: -(...), are 2,79, agrumeto di 3, R.D. 89,28, R.A. 24,41; -213, are 33,65, uliveto di 2, R.D. 277,61, R.A. 114,41; -214 ca 49 F.R.; -215 ca 87, vigneto di 2, R.D. 9,14, R.A. 3,05; -216 ca 82 F.R. con diritto alla corte 217 del F.7; -218/1 porzione di fabbricato rurale con diritto alla predetta corte; -223 are 39,85 uliveto di 2, R.D. 328,76, R.A. 135,49; -416 are 5,20 agrumeto di 3, R.D. 166,40, R.A. 45,50. Individuati i beni rientranti nella massa ereditaria, per la loro approfondita e singola descrizione si rimanda all'elaborato peritale dell'arch. Ca., con cui i beni sono stati classificati e analizzati per le rispettive caratteristiche e cronistoria. Risulta, in ogni modo, utile richiamare una breve descrizione degli stessi, come enumerati dal consulente d'ufficio: Cespite n. 1: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 279,00 mq catastali; Cespite n. 2: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 306,00 mq catastali; Cespite n. 3: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 2.352,00 mq catastali; Cespite n. 4: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 618,00 mq catastali; Cespite n. 5: appezzamento di terreno pianeggiante di forma regolare della consistenza di 89,00 mq catastali; Cespite n. 6: appezzamento di terreno pianeggiante di forma regolare della consistenza di 41,00 mq catastali; Cespite n. 7: appezzamento di terreno pianeggiante di forma regolare della consistenza di 46,00 mq catastali; Cespite n. 8: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 2.782,00 mq catastali, protetto da cancello in ferro; Cespite n. 9: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 1.203,00 mq catastali; Cespite n. 10: appezzamento di terreno in lieve declivio di forma regolare della consistenza di 520,00 mq catastali; Cespite n. 11: unità immobiliare urbana, ricostruita a seguito di autorizzazione del 15/2/2000 rilasciata dal Comune di Piano di Sorrento, dopo il crollo causato dal sisma del 23 novembre 1980; risulta al rustico, con pareti senza intonaco e/o altra finitura, priva di pavimentazioni, di infissi, di tramezzature interne, di impianti e di ogni altra finitura; Cespite n. 12: unità immobiliare urbana, ricostruita a seguito di autorizzazione del 15/2/2000 rilasciata dal Comune di Piano di Sorrento, dopo il crollo causato dal sisma del 23 novembre 1980; risulta al rustico, con pareti senza intonaco e/o altra finitura, priva di pavimentazioni, di infissi, di tramezzature interne, di impianti e di ogni altra finitura; Cespite n. 13: unità immobiliare urbana, ricostruita a seguito di autorizzazione del 15/2/2000 rilasciata dal Comune di Piano di Sorrento, dopo il crollo causato dal sisma del 23 novembre 1980; risulta al rustico, con pareti senza intonaco e/o altra finitura, priva di pavimentazioni, di infissi, di tramezzature interne, di impianti e di ogni altra finitura; Cespite n. 14: unità immobiliare urbana, ricostruita a seguito di autorizzazione del 15/2/2000 rilasciata dal Comune di Piano di Sorrento, dopo il crollo causato dal sisma del 23 novembre 1980; risulta al rustico, con pareti senza intonaco e/o altra finitura, priva di pavimentazioni, di infissi, di tramezzature interne, di impianti e di ogni altra finitura; Cespite n. 15: unità immobiliare urbana, ricostruita a seguito di autorizzazione del 15/2/2000 rilasciata dal Comune di Piano di Sorrento, dopo il crollo causato dal sisma del 23 novembre 1980; risulta al rustico, con pareti senza intonaco e/o altra finitura, priva di pavimentazioni, di infissi, di tramezzature interne, di impianti e di ogni altra finitura; Cespite n. 16: Lastrico solare a copertura della particella (...), privo di alcuna finitura e al rustico, avente l'estensione di mq 81,55. Integrazione necessaria all'operato del consulente d'ufficio è stata, poi, quella finalizzata alla quantificazione del valore della massa ereditaria ed alla redazione di un progetto di divisione tra i coeredi, al netto dell'effettivo ed attuale possesso dei cespiti da parte dei condividenti ed escludendo gli immobili privi dei necessari requisiti urbanistici, come già individuati nell'elaborato peritale depositato in data 2.10.2022. Come evidenziato dal C.T.U., le parti, a tale scopo, hanno sottoscritto un ulteriore progetto di frazionamento, il quale prevede il frazionamento della particella n. (...) nelle particelle (...) di complessivi mq270,00 e (...) di complessivi mq9,00; il frazionamento della particella n. (...) nelle particelle (...) di complessivi mq 1.908,00, (...) di complessivi mq271,00 e (...) di complessivi mq173,00; il frazionamento della particella n. (...) nelle particelle (...) di complessivi mq2.351,00 e (...) di complessivi mq431,00; il frazionamento della particella n. (...) nelle particelle (...) di complessivi mq1.043,00 e (...) di complessivi mq160,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq520,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq520,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq41,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq46,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq618,00; immutata la particella n. (...) di complessivi mq89,00. Appurato ciò, è stato accertato, come da dichiarazione delle medesime parti, che il possesso e la misurazione delle superfici è il seguente: Ca.Ma. possiede la particella n. (...) per complessivi mq520,00 + la particella n. (...) per complessivi mq1.908,00 = mq2.428,00; Ca.Ce. possiede la particella n. (...) per complessivi mq173,00 + la particella n. (...) per complessivi mq270,00 + la particella n. (...) per complessivi mq89,00 + la particella n. (...) per complessivi mq160,00 = mq1.310,00; Ca.An. possiede la particella n. (...) per complessivi mq9,00 + la particella n. (...) per complessivi mq271,00 + la particella n. (...) per complessivi mq520,00 + la particella n. (...) per complessivi mq431,00 + la particella n. (...) per complessivi mq1.043,00 = mq2.274,00; Ca.Te. possiede la particella n. (...) per complessivi mq2.351,00 particella n. (...) per complessivi mq618,00 + la particella n. (...) per complessivi mq2.351,00. Le parti hanno inoltre dichiarato di voler lasciare la comunione sulla particella n. (...) per complessivi mq41,00 e sulla particella n. (...) per complessivi mq46,00. Inoltre, al fine di poter raggiungere la particella n. (...), è istituita la servitù di passaggio sulla particella n. (...) del foglio (...). Al fine di poter raggiungere le particelle (...), (...) e (...) è istituita la servitù di passaggio sulla particella n. (...) del foglio (...). Pertanto, facendo propria la catalogazione adeguata dal C.T.U. al possesso dei beni, i cespiti sono stati così numerati: cespite n. 1: particella n. (...) per complessivi mq520,00; cespite n. 2: particella n. (...) per complessivi mq1.908,00; cespite n. 3: particella n. (...) per complessivi mq173,00; cespite n. 4: particella n. (...) per complessivi mq270,00; cespite n. 5: particella n. (...) per complessivi mq618,00; cespite n. 6: particella n. (...) per complessivi mq89,00; cespite n. 7: particella n. (...) per complessivi mq160,00; cespite n. 8: particella n. (...) per complessivi mq9,00; cespite n. 9: particella n. (...) per complessivi mq271,00; cespite n. 10: particella n. (...) per complessivi mq520,00; cespite n. 11: particella n. (...) per complessivi mq431,00; cespite n. 12: particella n. (...) per complessivi mq1.043,00; cespite n. 13: particella n. (...) per complessivi mq2.351,00; cespite n. 14: particella n. (...) per complessivi mq41,00; cespite n. 15: particella n. (...) per complessivi mq46,00; cespite n.16: unità immobiliare urbana iscritta nel N.C.E.U. del Comune di P. di S. con il Foglio (...), particella n. (...), sub (...), categoria (...), classe (...), consistenza 3,5 vani, superficie mq84,00, superficie totale escluse aree scoperte mq81,00, indirizzo via S., 2, piano T, rendita Euro280,18; cespite n. 17: unità immobiliare urbana iscritta nel N.C.E.U. del Comune di P. di S. con il Foglio (...), particella n. (...), sub (...), categoria (...), classe (...), consistenza 3,5 vani, superficie mq84,00, superficie totale escluse aree scoperte mq81,00, indirizzo via S., n.2, piano T, rendita Euro280,18; cespite n. 18: unità immobiliare urbana iscritta nel N.C.E.U. del Comune di P. di S. con il Foglio (...), particella n. (...), sub (...), categoria (...), classe (...), consistenza 3 vani, superficie mq85,00, superficie totale escluse aree scoperte mq82,00, indirizzo via S., n.2, piano 1, rendita Euro278,89; cespite n.19: l'immobile al Foglio (...), particella n. (...), sub (...), è ora iscritto nel N.C.E.U. del Comune di P. di S. con il Foglio (...), particella n. (...), sub (...), indirizzo via S., n.2, Piano di Sorrento, piano T, categoria (...); cespite n. 20: unità immobiliare urbana iscritta nel N.C.E.U. del Comune di P. di S. con il Foglio (...), particella n. (...), sub (...), categoria (...), classe (...), consistenza 3 vani, superficie mq86,00, superficie totale escluse aree scoperte mq83,00, indirizzo via S., n.2, piano 2, rendita Euro278,89; cespite n.21: lastrico solare a copertura della particella n. (...), privo di alcuna finitura e al rustico, non iscritto al NCEU del comune di P. di S. avente l'estensione di mq 81,55. Il valore complessivo dell'asse ereditario, così individuato e classificato, è stato quantificato dall'arch. Ca. in Euro 406.272,13, spettando a ciascun coerede la quota di 1/4 del valore complessivo, pari ad Euro 101.568,03. L'analisi del C.T.U. Ca. si è concentrata anche sulla possibile divisibilità dei beni ricadenti nella comunione ereditaria. In primo luogo, va richiamato che in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., non solo nel caso di mera "non divisibilità" dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano "comodamente" divisibili e, cioè, allorché, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero (Cass. Civ. n. 25888/2016). Pur richiamando tali dettami, nel caso in esame il C.T.U. ha provveduto a redigere un adeguato progetto di divisione della massa ereditaria, ripartendo la stessa in quattro lotti, pari al numero dei coeredi, e tenendo conto dell'utilizzo effettivo ed attuale dei singoli beni da parte dei singoli condividenti 1) Il primo lotto include i beni in possesso di M.C.. Nello specifico, il Cespite n.1: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq520,00; il Cespite n.2: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq1.908,00; 1/4 del Cespite n.14: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite n.15: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite n.17: NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub. (...), piano T. Il valore totale della quota è di Euro 94.331,89, dovendo l'assegnatario di tale quota ricevere dalla massa ereditaria conguaglio di Euro 7.236,14. 2) Il secondo lotto include i beni in possesso di Ca.Ce.. Precisamente, il Cespite n. 3: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq173,00; il Cespite n. 4: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq270,00; il Cespite n. 5: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq618,00; il Cespite n. 6: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq89,00; il Cespite n. 7: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq160,00; 1/4 del Cespite n.14: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite n. 15: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite n. 16: NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano T. Il valore totale della quota è di Euro 80.413,71, dovendo l'assegnatario di tale quota ricevere dalla massa ereditaria conguaglio di Euro 21.154,32. 3) Il terzo lotto è composto anche dai cespiti in possesso di A.C.. Nello specifico, il Cespite n. 8: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq9,00; Cespite n. 9: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq271,00; Cespite n. 10: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq520,00; Cespite n. 11: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq431,00; Cespite12: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq1.043,00; 1/4 del Cespite n.14: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite n.15: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite n.20: NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano 2; Cespite n.21: Lastrico solare non iscritto al NCEU. Il valore totale della quota è di Euro 112.445,30, dovendo l'assegnatario di tale quota versare alla massa ereditaria conguaglio di Euro 10.877,27. 4) Il quarto lotto infine contiene i beni in possesso di T.C.. Precisamente, il Cespite n. 13: NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq2.351,00; 1/4 del Cespite n.14: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite n.15: NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); Cespite n. 18: NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano 1; Cespite n.19: NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano T. Il valore totale della quota è di Euro 119.081,23, dovendo l'assegnatario di tale quota versare alla massa ereditaria conguaglio di Euro 17.513,20. Individuate le quattro quote di cespiti, va ricordato che nella divisione ereditaria non si richiede necessariamente in sede di formazione delle porzioni una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendosi, nell'ambito di ciascuna categoria di beni da dividere, assegnare per l'intero alcuni di essi ad una quota ed altri, sempre per l'intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli (Cassazione civile, sez. II, 20/06/2008, n. 16955). Nel procedimento per lo scioglimento di una comunione, dunque, non occorre una formale osservanza delle disposizioni previste dall'art. 789 c.p.c. - ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell'udienza di discussione dello stesso (essendo sufficiente che il medesimo giudice istruttore faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto approntato e depositato dal C.T.U.) così come non è necessaria la fissazione dell'apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano già escluso, con il loro comportamento processuale, la possibilità di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione, in tal modo giustificandosi la diretta rimessione del giudizio alla fase decisoria (Cassazione civile, sez. II, 11/01/2010, n. 242; conf. Cassazione civile, sez. II, 20/12/1983, n. 7525). In tal senso è pregnante sottolineare che nella divisione ereditaria non si richiede necessariamente in sede di formazione delle porzioni una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo nell'ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l' intero ad una quota ed altri, sempre per l' intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere, di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere. Pertanto, nell'ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l'anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l'assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio (Cass. n. 29733/2017; sull'argomento, v. anche la già richiamata Cass. n. 15105/2000). In conclusione, quindi, il giudicante ritiene di disporre in conformità del progetto divisionale di cui alla relazione del C.T.U. Ca., schema divisorio che, come detto, si ritiene idoneo ad una equa distribuzione della massa ereditaria tra i condividenti. Avallato quanto ipotizzato dal consulente d'ufficio, questo giudicante ritiene altresì di assegnare le singole quote ereditarie tra i condividenti, superando il criterio dell'estrazione a sorte descritto nell'art. 729 c.c. In tema di scioglimento della comunione ereditaria, infatti, il criterio dell'estrazione a sorte previsto nel caso di uguaglianza di quote dall'art. 729 c.c. a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, essendo pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. civ. n. 11857/2021, Cass. civ. n. 4426/2017 e Cass. civ. n. 3461/2013). Nel caso di specie, tali fattori soggettivi sono ravvisabili, come già sopra richiamato, nel mantenere l'attuale possesso bonario e concordato dei singoli cespiti da parte dei coeredi rispettivamente assegnatari degli stessi, risultando la ripartizione così articolata, "comoda" e rispondente alle esigenze effettive dei singoli coeredi. Pertanto, facendo corretta applicazione dei principi sopra richiamati, il Tribunale ritiene di assegnare i cespiti nel modo seguente: lotto 1) a M.C., con suo diritto a ricevere conguaglio in denaro di Euro 7.236,14; lotto 2) Ca.Ce., con suo diritto a ricevere conguaglio in denaro di Euro 21.154,32; lotto 3) ad A.C., con onere a suo carico di versare conguaglio in denaro di Euro 10.877,27; lotto 4) a T.C., con onere a suo carico di versare conguaglio in denaro di Euro 17.513,20. Con riferimento alla spiegata domanda riconvenzionale dalla convenuta Ca.Ce., finalizzata all'accertamento ed al rimborso della somma di Euro 52.320,00 prestata alla de cuius Fe.Gi., la stessa non ha trovato opposizione e/o contestazione tra le parti, attesa la medesima richiesta formulata altresì dalle attrici Ca.Te. e Ca.An., anch'esse creditrici verso la de cuius della somma di Euro 52.320,00 ciascuna. Ne consegue l'accoglimento della stessa, riconoscendo il diritto di Ca.Te., Ca.An. e Ca.Ce. al rimborso delle somme come indicate, da porsi nella loro totalità a carico della massa ereditaria. Le spese del giudizio verranno poste a carico della massa. La presente sentenza è immediatamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Torre Annunziata, nella persona del G.O.P. dr.ssa Cristina Gallo, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 5666/2017 R.G., così provvede: 1. Accoglie la domanda di scioglimento della comunione ereditaria sorta per il decesso di Fe.Gi.; 2. Assegna la piena ed esclusiva proprietà a Ca.Ma. degli immobili siti in P. di S., individuati al NCT, al foglio (...), Particella n. (...), mq520,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq1.908,00; 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite individuato al NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub. (...), piano T; 3. Assegna la piena ed esclusiva proprietà a Ca.Ce. degli immobili siti in P. di S., individuati al NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq173,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq270,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq618,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq89,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq160,00; 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite individuato NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano T; 4. Assegna la piena ed esclusiva proprietà a Ca.An. degli immobili siti in P. di S., individuati al NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq9,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq271,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq520,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq431,00; NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq1.043,00; 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite individuato NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite individuato al NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano 2; il lastrico solare non iscritto al NCEU; 5. Assegna la piena ed esclusiva proprietà a Ca.Te. degli immobili siti in P. di S., individuati al NCT, foglio (...), Particella n. (...), mq2.351,00; 1/4 del Cespite individuato al NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); 1/4 del Cespite individuato NCT, foglio (...), 1/4 della Particella n. (...); il Cespite individuato al NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano 1; il Cespite individuato al NCEU, foglio (...), U.I.U., P.lla (...), sub (...), piano T; 6. Pone a carico della massa ereditaria conguaglio in denaro di Euro 7.236,14 in favore di Ca.Ma.; 7. Pone a carico della massa ereditaria conguaglio in denaro di Euro 21.154,32 in favore di Ca.Ce.; 8. Pone a carico di Ca.An. conguaglio in denaro di Euro 10.877,27 in favore della massa ereditaria; 9. Pone a carico di Ca.Te. conguaglio in denaro di Euro 17.513,20 in favore della massa ereditaria; 10. Pone a carico della massa ereditaria la liquidazione in favore di Ca.Te., Ca.An. e Ca.Ce. della somma di Euro 52.320,00 ciascuna, per le causali di cui in motivazione; 11. Pone definitivamente a carico della massa le spese della compiuta C.T.U.; 12. Pone le spese di giudizio a carico della massa; 13. ordina al conservatore la trascrizione della presente sentenza esonerandolo da ogni responsabilità. Così deciso in Torre Annunziata il 27 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: Oggetto MAURO MOCCI - Presidente - PROPRIETÀ GIUSEPPE GRASSO - Consigliere - PATRIZIA PAPA - Consigliere - Ud. 12/10/2023 - PU ANTONIO SCARPA - Consigliere - R.G.N. 14273/2019 DANILO CHIECA - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14273 – 2019 proposto da: OCEAN SURF BEACH s.a.s. di Gallo Massimo, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, via Alcamo n.10, presso lo studio dell'avv. Olga Diamanti, rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Cassanelli, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec; - ricorrente - contro ZANZIBAR s.r.l.in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano 82, Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -2- presso lo studio dell'avv. Fabio D’Amato, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura, con indicazione dell’indirizzo pec; - ricorrente incidentale - e contro OSTILIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Barletta n.29, presso lo studio dell'avv. Alfredo Del Vecchio, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura, con indicazione dell’indirizzo pec; - controricorrente e controricorrente incidentale- ASSOCIAZIONE NAUTICA CAMPO DI MARE a.s.d., in persona del legale rappresentante pro tempore -intimata– avverso la sentenza n.7125/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, pubblicata in data 13/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2023 dal consigliere PATRIZIA PAPA; lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale TOMMASO BASILE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; lette le memorie delle parti. FATTI DI CAUSA 1. Con citazione del 25 maggio 1997, Ostilia s.p.a. convenne dinanzi al Tribunale di Civitavecchia Maurizio Gallo, l’Associazione nautica Campo di Mare, Anna Lena Renzi e Elmo Chirieletti (cui nel corso del giudizio subentrò quale avente causa Zanzibar s.r.l.), per sentir dichiarare il suo esclusivo diritto di proprietà su una fascia di terreno in località Campo di Mare, compresa tra la zona di demanio Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -3- marittimo corrispondente alla spiaggia e l’adiacente lungomare denominato Dei Navigatori Etruschi, distinta in catasto al foglio 53 particella 10 e al foglio 61 particella 6, con conseguente ordine, nei confronti di ciascun convenuto, di rilascio, di sgombero di cose e persone e condanna al risarcimento del danno. Costituendosi, l’Associazione nautica Campo di Mare eccepì di aver iniziato ad occupare una superficie demaniale nel 1970 a seguito di regolare concessione della Capitaneria di Porto di Civitavecchia, installandovi alcune strutture necessarie all’esercizio dell’attività oggetto di concessione; Elmo Chirieletti eccepì di aver iniziato ad occupare una superficie demaniale a seguito di regolare concessione della Capitaneria di Porto di Civitavecchia; nelle memorie autorizzate ex art. 183 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis, chiesero al Giudice di valutare l'opportunità dell’estensione del contraddittorio alla pubblica amministrazione per l’accertamento della demanialità del bene. Maurizio Gallo, premesso che tra il 1974 e il 1975 il Comune aveva realizzato un muretto di mattoni per frenare la dispersione della sabbia verso l’entroterra, eccepì di aver progressivamente esteso l’occupazione dell’area oggetto della sua concessione fino al muretto, cioè fino alla porzione rivendicata da Ostilia s.r.l.; chiese, pertanto, in riconvenzionale, di accertare l’usucapione dell’area non demaniale, chiedendo l’estensione del contraddittorio al Ministero dei Trasporti e al Comune di Cerveteri per essere il primo subentrato nelle competenze del Ministero della Marina e, il secondo, l’ente concedente. 2. Con sentenza n. 1122/2009, il Tribunale di Civitavecchia, estromesso Chirieletti, ritenne che la domanda riconvenzionale di usucapione dovesse ritenersi implicitamente rinunciata, perché i convenuti non l’avevano reiterata nella memoria ex art. 183 comma V cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis, Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -4- precedente quella introdotta dall'art. 23 lett. c-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall'art. 11 lett. a della l. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1° marzo 2006); ritenne pure che la domanda di accertamento della natura demaniale della fascia di terreno rivendicata fosse inammissibile perché nuova e proposta nei confronti di terzi estranei al giudizio; rigettò altresì la domanda di pagamento di un indennizzo per le opere inamovibili perché realizzate abusivamente e la domanda di costituzione di una servitù di passaggio per consentire l’accesso alla spiaggia in quanto «il passaggio e l’accesso alla spiaggia erano regolate da apposita normativa locale»; ordinò perciò all’Associazione Nautica Campo di Mare, a Maurizio Gallo, a Zanzibar s.r.l. e ad Anna Lena Renzi il rilascio delle aree occupate come individuate dal c.t.u., con onere delle spese. 3. Avverso questa sentenza l’Associazione Nautica Campo di Mare, Zanzibar s.r.l. e Ocean Surf Beach di Gallo Massimo s.a.s. – avente causa di Massimo Gallo – proposero appello lamentando, per quanto ancora qui rileva, la carenza di prova in ordine alla titolarità dell’area, la mancata valutazione del fenomeno dell’erosione marittima che avrebbe dovuto comportare l’acquisizione ipso iure al demaniodel territorio retrostante, l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Cerveteri e del Ministero dei Trasporti, l’erroneità della c.t.u. nella delimitazione dell’area demaniale e la debenza dell’indennità per le opere inamovibili realizzate, di cui non era stata tenuta in considerazione l’utilità sociale e la possibilità di sanatoria. 3.1. Con la sentenza n. 7125/2018, la Corte d’appello di Roma, dichiarata cessata la materia del contendere fra l’Associazione Nautica Campo di Mare e la Ostilia s.r.l. per essere intervenuto accordo Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -5- transattivo, rigettò l’appello proposto da Zanzibar s.r.l. e Ocean Surf beach di Gallo Massimo s.a.s., condannando le società alle spese. Ritenne, infatti, che la documentazione prodotta fosse idonea a provare la proprietà dell’area in capo alla società Ostilia, anche in quanto risultava attenuato l’onere probatorio del rivendicante in caso di eccezione o domanda di usucapione opposte in difesa; dichiarò pure che, in mancanza di un apposito provvedimento amministrativo, l’area non poteva divenire automaticamente parte del demanio marittimo e che di conseguenza non ricorreva un’ipotesi di litisconsorzio necessario; ribadì l’esattezza delle risultanze della c.t.u. e la non debenza di alcun indennizzo per le opere inamovibili in quanto abusive. 4. Avverso questa sentenza Ocean Surf Beach ha proposto ricorso in Cassazione, affidato a otto motivi. Con successivo atto notificato in data 27/6/2019, anche Zanzibar s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Ostilia s.r.l. si è difesa con controricorso nei confronti di entrambe le società. Ocean Surf Beach ha depositato memorie; l’Associazione Nautica Campo di Mare non ha svolto difese. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi, in particolare delle censure aventi ad oggetto la mancata estensione del contraddittorio. RAGIONI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve rilevarsi che il controricorso di Ostilia s.r.l. nei confronti di Ocean è inammissibile perché proposto oltre il termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis, precedente l’art. 3, comma 27, lett. f) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149: il ricorso è stato, infatti, notificato il 3/5/2019 all’avv. Del Vecchio e la notifica del controricorso è stata effettuata in data 14/06/2019. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -6- 1. Deve pure rilevarsi che, nel ricorso principale, Ocean Surf Beach non ha indicato numericamente alcuna delle cinque ragioni di impugnazione previste dal comma I dell’art. 360 cod. proc. civ.; ciononostante, il ricorso risulta ammissibile in quanto comunque articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ipotesi dell’articolo suddetto. 1.1 Con il primo motivo del suo ricorso, dunque, Ocean Surf Beach ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello affermato che la prova della proprietà del terreno è affievolita in presenza di avversa istanza di usucapione che, nella specie, è stata comunque rinunciata e modificata in istanza di demanialità del bene. I giudici di primo e secondo grado avrebbero errato a fondare la prova della rivendicata proprietà sulla convenzione intercorsa fra Ostilia e Comune di Cerveteri, che, al contrario, sarebbe in contraddizione con l’affermata sussistenza di un diritto di proprietà in capo alla società. 1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 948 e 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto formatasi la prova della proprietà sulle conclusioni della c.t.u. che sarebbe, invece, erronea e non precisa, perché avrebbe considerato la part.lla 9 e non 10 del foglio 51 e non avrebbe approfondito la demanialità del bene; la sentenza sarebbe perciò viziata per «ultrapetizione e assenza di motivazione». 1.3. Con il terzo motivo di ricorso, Ocean Surf Beach ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., per non avere la Corte d'Appello di Roma disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Cerveteri e del Ministero dei Trasporti, dell'Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Demanio «e comunque delle competenti autorità», non considerando che la Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -7- questione della demanialità dell’area costituiva un antecedente logico- giuridico rispetto ad ogni statuizione sulla titolarità del bene rivendicato. 1.4. Con il quarto motivo, la società ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., degli artt. 32 e 36 cod. nav. e del d.lgs. 112/98, per non avere la Corte d'appello considerato l’«intrinseca demanialità» del bene rivendicato e come l’uso pubblico costituisca la normale fruizione dei beni demaniali, avendo invece l’uso privato natura eccezionale». 1.5. Con il quinto motivo, la società ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 824 cod. civ. ed art. 942 cod. civ. per avere la Corte d'appello ritenuto che non sussistessero idonei indici in ordine alla natura di bene pubblico dell’area, trascurando che, ai fini del riconoscimento della natura demaniale di un bene, è sufficiente la sua concreta funzione e destinazione. 1.6. Con il sesto motivo, Ocean Surf Beach ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 823 e 2697 cod. civ. e dell'art. 28 cod. nav., per non avere la Corte d’appello considerato che il lido e la spiaggia appartengono al demanio marittimo, a prescindere dalla funzione concreta loro attribuita. 1.7. Con il settimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 32 cod. nav. per non avere la Corte territoriale considerato il fenomeno della erosione marina per dichiarare la demanialità dell’area e disporre l’integrazione del contraddittorio in favore delle pubbliche amministrazioni competenti. 1.8. Con l’ottavo motivo, infine, Ocean Surf Beach ha quindi prospettato la violazione e falsa applicazione dell'art. 825 cod. civ. e della l. 217/211 in riferimento al principio di accesso alla battigia: la Corte d'appello non si sarebbe pronunciata in merito alla intervenuta richiesta del diritto di passaggio sui terreni a monte dell'arenile e alla Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -8- viabilità e non avrebbe affermato la servitù di uso continuativo da parte della collettività per il pubblico accesso al mare. 2.1. A sua volta, con il primo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., Zanzibar s.r.l. ha denunciato la violazione dell'articolo 112 e 116 cod. proc. civ., 2697 e 948 cod. civ.: la Corte avrebbe immotivatamente ritenuta sussistente la prova, invece in alcun modo raggiunta, della proprietà in capo alla Ostilia s.r.l.. 2.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la società ricorrente incidentale ha lamentato la violazione degli art. 132 n. 4 e 118 disp. att. cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello reso una motivazione perplessa e, perciò, meramente apparente sulla sussistenza della prova del primo acquisto del diritto di proprietà a titolo originario da parte della rivendicante. 2.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., Zanzibar s.r.l. ha sostenuto la violazione degli art. 2697 e 948 cod. civ., per avere la Corte d’appello rinvenuto la prova del diritto sull’area rivendicata nella c.t.u., con ciò evidentemente utilizzando quale fonte di prova uno strumento di mero ausilio tecnico, oltre i limiti della funzione attribuita dal codice di procedura civile. 2.4. Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la ricorrente incidentale ha prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo, individuandolo nella lettera dell’8/11/1990 con cui Ostilia s.r.l. ha dichiarato quale fosse il confine della sua proprietà verso il mare, nonché la scrittura privata del 2/10/1992, in cui la stessa società ha affermato che Maurizio Gallo era titolare di attività di balneazione insistente sul tratto demaniale a confine con la sua proprietà, indicando questo confine nel muretto Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -9- riportato nella planimetria, così come pure evidenziato nella dichiarazione dell’8/3/1990 e, infine, l’atto n. 2020 del 1994 in cui il Ministero dei Trasporti e della Navigazione hanno concesso all'Associazione nautica Campo di Mare di occupare la zona demaniale compresa tra i termini lapidei 5 e 6 allo scopo di mantenere un arenile per la posa degli ombrelloni. 2.5. Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la società ha poi denunciato la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ.: la Corte d’appello non avrebbe in ogni caso valutato il valore confessorio dei documenti indicati nell’argomentazione del precedente motivo. 2.6. Con il sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., infine, Zanzibar s.r.l. ha ribadito la violazione degli art. 102 cod. proc. civ. e dell’art. 32 del Codice della Navigazione per non avere la Corte disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero e del Comune di Cerveteri. 3. Il terzo motivo di ricorso principale e il sesto motivo di ricorso incidentale, che devono essere esaminati preliminarmente per ragioni logiche, sono fondati. Ostilia s.r.l. aveva rivendicato, nei confronti di ciascun convenuto, la proprietà di una fascia di terreno in località Campo di Mare, compresa tra la zona di demanio marittimo corrispondente alla spiaggia e l’adiacente lungomare nominato Dei Navigatori Etruschi, distinta in catasto al foglio 53 particella 10 e al foglio 61 particella 6, con conseguente ordine di rilascio delle aree libere da cose e persone. La fascia rivendicata dalla società Ostilia era stata interessata dall'azione erosiva del mare e degli agenti atmosferici: i soggetti convenuti in rivendica erano, infatti, tutti titolari di concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione della spiaggia per l’esercizio di attività di balneazione. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -10- Tra i convenuti, Maurizio Gallo aveva proprio chiesto l’estensione del contraddittorio nei confronti del Ministero dei Trasporti e del Comune di Cerveteri per essersi la sua occupazione estesa, nel tempo di durata della concessione in suo favore, fino al «muretto» costruito per frenare la dispersione della sabbia verso l’entroterra. In diritto, deve premettersi che, per giurisprudenza ormai consolidata, «mentre il lido del mare è quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia comprende non soltanto quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma anche l'arenile, cioè quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale» (Cass., Sez. 1, 30 luglio 2009, n. 17737, Sez. 3, 28 maggio 2004, n. 10304, m. 573255). In conseguenza, il lido e la spiaggia sono naturalmente e necessariamente inclusi nel demanio marittimo (Cass., Sez. 2, 11 maggio 2009, n. 10817), a differenza dell'arenile, che presuppone «l'attitudine potenziale a realizzare i pubblici usi del mare» (Cass., Sez. 1, 5 novembre 1981, n. 5817). Qualora, perciò, venga in discussione l'appartenenza di un determinato bene, nella sua attuale consistenza, al demanio naturale, il giudice ha il potere-dovere di controllare ed accertare con quali caratteri obiettivi esso si presenti al momento della decisione giudiziale, sicché, nel caso in cui un bene acquisisca la connotazione di lido del mare, inteso quale porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, ovvero di spiaggia (ivi compreso l'arenile), che comprende quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, esso assume i connotati naturali di bene Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -11- appartenente al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della P.A. o da opere pubbliche sullo stesso realizzate, mentre il preesistente diritto di proprietà privata subisce una corrispondente contrazione, fino, se necessario, alla totale eliminazione, sussistendo, ormai, quei caratteri che, secondo l'ordinamento giuridico vigente, precludono che il bene possa formare oggetto di proprietà privata (Sez. 1, Sentenza n. 6619 del 01/04/2015; Sez. Unite, Sentenza n. 848 del 02/05/1962). Ciò precisato, l’integrazione del contraddittorio – come peraltro tempestivamente chiesta da Maurizio Gallo con la proposizione della sua domanda riconvenzionale - era perciò necessaria, atteso che la corretta identificazione dell’area oggetto di rivendica era destinata, quale questione pregiudiziale in senso logico (o punto pregiudiziale), ad essere coperta dall’efficacia del giudicato e implicava ancor prima la previa individuazione dell’area demaniale finitima. L’accertamento, pertanto, non poteva che essere svolto nel contraddittorio con il Comune di Cerveteri, ente territoriale che aveva stipulato le concessioni e con il Ministero delle Finanze a cui era stata attribuita dal regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 l'amministrazione dei beni immobili dello Stato; i medesimi poteri gestori del Ministero sono oggi di competenza dell'Agenzia del demanio ai sensi degli art. 57 e 65 del decreto legislativo n. 300 del 1999. La non integrità del contraddittorio per pretermissione di un litisconsorte necessario importa, secondo l'art. 383 cod. proc. civ., comma III e l’art. 354 cod. proc. civ., l'annullamento della pronuncia emessa e la cassazione con rinvio al giudice di primo grado per procedere alla nuova trattazione della controversia a contraddittorio pieno ed integro. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -12- 4. Dall’accoglimento di entrambi i motivi, deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale. 5. La sentenza impugnata deve perciò essere dichiarata nulla, con rinvio al Tribunale di Civitavecchia, anche per le spese di legittimità. P.Q.M. La Corte, decidendo sul ricorso, dichiara la nullità della sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Civitavecchia anche per le spese di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 12 ottobre 2023. Il Consigliere rel. est. Il Presidente Patrizia Papa Mauro Mocci
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