Sentenze recenti servitù di passaggio

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 882 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ma. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Um. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Co. e Sa. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. So. in Roma, via (...); del signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e della signora -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti l'avvocato Gi. Ma. Mi., l'avvocato Um. Ga. e l'avvocato Sa. Fa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. -OMISSIS-del 14 dicembre 2021 che ha respinto il ricorso proposto per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in relazione all'istanza/diffida del 2 febbraio 2021, volta a sollecitare l'esercizio da parte dell'amministrazione dei poteri di vigilanza previsti dall'art. 27 del d.P.R. n. 380/01 sulle opere eseguite nella proprietà dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, confinante con la propria. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso perché dalla documentazione depositata in giudizio dall'amministrazione, a seguito di richiesta istruttoria, emergeva che i poteri di vigilanza sulle opere dei confinanti erano stati effettivamente esercitati, così come sollecitato dal ricorrente. 2. Con l'appello in trattazione il signor -OMISSIS-chiede la riforma della sentenza per "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 della legge n. 241/90, 27 del DPR n. 380/01 e 31 e 117 c.p.a.", deducendo che gli atti depositati in giudizio, alcuni dei quali di natura meramente istruttoria (sopralluoghi), non recavano alcuna verifica delle plurime illegittimità evidenziate nella diffida e non potevano costituire, di conseguenza, l'esito del procedimento di vigilanza. Ripropone, inoltre, ai sensi dell'art. 31, comma 3, c.p.a., le censure relative all'illegittimità dei lavori eseguiti non esaminate dal TAR. 3. Si sono costituiti in giudizio Roma Capitale e la signora -OMISSIS-che hanno insistito per la reiezione del gravame. 4. In vista dell'udienza di trattazione le pari hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive difese. La signora -OMISSIS-ha, inoltre, depositato in data 28 maggio 2024 l'atto notarile di trasferimento della proprietà dell'immobile per cui è causa in esecuzione degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio. 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previa discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve esse accolta l'eccezione di inammissibilità della documentazione tardivamente depositata dall'appellata in data 28 maggio 2024, formulata dal difensore dell'appellante in sede di discussione orale. 6.1 Il Collegio ne dispone, di conseguenza, lo stralcio dagli atti del giudizio. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato. 8. Con il primo motivo di appello il ricorrente deduce che il giudice di primo grado è incorso in errore nel ritenere che l'amministrazione avrebbe fornito riscontro alle plurime istanze/diffide dallo stesso presentate mediante il compimento degli atti depositati in giudizio nelle date del 3 settembre e 24 settembre 2021 e che tali atti avrebbero esaurito le verifiche richieste, volte unicamente all'esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 e non a quelli di cui all'art. 19 della legge n. 241/90. 8.1 Espone che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, con le istanze del 5/03/2018 e del 24/04/2018 ha diffidato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA presentata dai signori -OMISSIS-e che con l'istanza del 2/02/2021 ha sollecitato la risposta alle precedenti diffide, risultate sino ad allora inesitate. In ogni caso, gli atti depositati in data 3 settembre 2021 non costituiscono espressione del potere di vigilanza ex art. 27 d.p.r. 380/2001 poiché con essi Roma Capitale, lungi dal procedere ad una verifica puntuale dei plurimi profili di illegittimità evidenziati nelle diffide, si è limitata ad un'attività istruttoria interna, svolgendo alcuni sopralluoghi a cui è seguita l'irrogazione di sanzioni. Del pari inidonei a superare l'inerzia dell'amministrazione sono gli atti depositati in data 24 settembre 2021, mai comunicati all'interessato, atteso che: i) la nota prot. CF/113759 del 23.5.2019 redatta dal Responsabile dell'Ufficio Ispettorato Edilizio del Municipio V e diretta al Reparto Edilizia della Polizia Locale di Roma Capitale reca un mero "parere" di mancato contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, senza chiarire il percorso logico-giuridico seguito per confutare tutte le argomentazioni esposte dal ricorrente; ii) la nota prot. n. 29329 del 25.2.2021, con cui il Municipio prende posizione sulla denuncia-querela proposta dall'odierno ricorrente, si limita ad affermare che i titoli edilizi presentati dai signori -OMISSIS-(la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018) "sono stati oggetto di verifica da parte di questo ufficio e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizio vigente, con nota prot. CF 113750 del 23/05/2019"; iii) la nota prot. 30916 del 14 febbraio 2018 aveva inibito l'attività degli appellati per carenze documentali in attesa dell'integrazione che non è mai stata effettuata; iv) la nota prot. CF/113329 del 5.6.2018 è semplicemente il seguito della precedente e si limita a disporre la sospensione dei lavori in attesa del nulla osta della soprintendenza e della ASL, ma non affronta i plurimi vizi evidenziati dall'odierno appellante. Non v'è, dunque, alcun documento, tra quelli depositati in data 24 settembre 2021, che possa costituire - alla luce del contenuto concreto - il provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l'istanza/diffida datata 02/02/2021 di esercizio dei poteri previsti dagli artt. 19 l. 241/90 e 27 d.p.r. 380/01. 9. Le censure sono infondate. 10. Si osserva, preliminarmente, che con le istanze/diffide del 5 marzo e del 19 aprile 2018, a cui fa rinvio la diffida da ultimo presentata in data 2 febbraio 2021, l'appellante, dopo aver richiamato l'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, ha sollecitato l'amministrazione all'annullamento in autotutela della DIA, oltre che della CILA, per falsa rappresentazione dei presupposti nonché per i plurimi profili di illegittimità ivi evidenziati, sostanzialmente coincidenti con quelli oggetto del secondo motivo di appello. 10.1 Dal tenore letterale delle istanze sopra richiamate non emerge con chiarezza il tipo di potere che l'amministrazione è sollecitata ad attivare, se di repressione dell'abuso per opere realizzate sine titulo o di annullamento in autotutela dei titoli edilizi rilasciati (con riguardo alla DIA, esercizio dei poteri di cui all'art. 19 comma 4 l. 241/1990). 10.2 Trova conferma, nel caso di specie, la non agevole distinzione tra controllo del territorio e controllo sulla legittimità dei titoli, già messa in luce da questa Sezione, la quale ha rilevato come essa "chiara a livello teorico, finisce per debordare in molteplici ambiti chiaroscurali di non agevole collocazione dogmatica" (Cons. Stato, sez. II, n. 9415 del 2.11.2023). Si tratta, in ogni caso, di una distinzione che "il Comune è chiamato a fare, così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell'autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento (...)" (sent. cit.). 11. Dalla documentazione versata in atti emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, l'amministrazione si è attivata in riscontro alle diffide presentate mediante verifiche sia sulle opere in corso di realizzazione, svolgendo sopralluoghi in cantiere culminati con l'adozione di provvedimenti sanzionatori e di sospensione dei lavori, sia sui titoli edilizi presentati di cui è stato escluso il contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia. 11.1 Sul punto, giova ripercorrere brevemente le circostanze di fatto, così come emergenti dagli atti di giudizio: -a seguito dell'avvio dei lavori da parte dei controinteressati in assenza della prescritta cartellonistica, con un primo esposto del 21/12/2017 il ricorrente sollecitava l'U.O. V Gruppo Prenestino a verificare la legittimità dei lavori edilizi. In data 04/01/2018, il personale di Polizia Municipale effettuava, quindi, un primo sopralluogo nell'unità immobiliare, accertando che erano in corso d'opera lavori di manutenzione straordinaria in forza della Cila prot. 230583/17 presentata presso la Direzione Tecnica del V Municipio; -a seguito di accesso agli atti, l'interessato presentava due ulteriori esposti in data 5 marzo e 19 aprile 2018 con cui, evidenziando plurimi profili di illegittimità dei titoli e delle opere (violazione della l.r. 21/2009 per l'acceso ai benefici del Piano Casa, mancanza del consenso dell'istante all'aggravamento della servitù di passaggio e di quello dei condomini per le opere che incidono sul decoro architettonico del fabbricato, falsa/omessa dichiarazione del progettista in ordine ai vincoli paesaggistici regionali e alla conformità degli interventi alla normativa sanitaria, violazione del d.lgs 42/2004 e della normativa sanitaria per gli interventi in corso di esecuzione sulla base della CILA) diffidava l'amministrazione a disporre: i) l'immediata sospensione delle opere in corso nella proprietà ; ii) l'annullamento della DIA del 5 marzo 2017 e della CILA del 13 dicembre 2017, ritenute illegittime sotto i plurimi profili indicati; iii) la segnalazione della violazione di legge alle competenti autorità ministeriali e regionali preste alla tutela dei vincoli; - l'amministrazione disponeva ulteriori sopralluoghi all'esito dei quali adottava: i) la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA con contestuale richiesta di integrazione documentale e dichiarazione di inefficacia, nelle more, della CILA medesima nonché il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria (doc. 12 e 13 deposito appellante); ii) il provvedimento di sospensione di tutte le opere sino all'ottenimento del nulla osta della Soprintendenza e della Asl competente (doc. 17); - ottenuto parere favorevole della Soprintendenza Archeologica dei Beni Culturali, i controinteressati presentavano, in data 24 luglio 2018, una variante alla DIA del 4 maggio 2017, corredata degli elaborati grafici e progettuali, del parere favorevole della Soprintendenza, del pagamento degli oneri concessori e della relazione tecnica asseverata, in cui veniva specificato che "la volumetria e le superfici, risultanti dagli elaborati e dalle tabelle allegate, rimanevano immutati rispetto a quelli presentati unitamente alla pregressa Dia prot. n. 74692 del 4.5.2017" e che "venivano ampliate due finestre dell'edificio esistente (...) modo da soddisfare la richiesta di nulla osta sanitario rispettando il rapporto aero-illuminante come da normativa di settore e regolamentare vigente". In data 17 gennaio 2019 il Dipartimento di programmazione ed attuazione urbanistica - Ufficio autorizzazioni paesaggistiche - rilasciava nulla osta all'esecuzione delle opere (doc. n. ri 15, 16 e 17 fascicolo primo grado controinteressato); - a seguito di un nuovo esposto del ricorrente del 9 maggio 2019, veniva eseguito un nuovo sopralluogo a cui seguiva il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria per la mancata esposizione del cartello, mentre la legittimità dei titoli edilizi veniva confermata dall'amministrazione con nota prot. n. CF/113759 del 23/5/2019 (doc. 24 e 25 deposito appellante); - infine, con nuova diffida del 2 febbraio 2021 l'interessato richiamava i plurimi profili di illegittimità già indicati nelle precedenti diffide, sollecitando nuovamente l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge. Ad essa faceva seguito la nota del 25 febbraio 2021, diretta alla Legione Carabinieri Lazio, con cui l'amministrazione confermava che la DIA del 2017 e la successiva variante del 2018, agli atti dell'ufficio, erano stati oggetto di verifica e dichiarati conformi alla normativa urbanistico/edilizia con nota del 25 marzo 2019. 12. La documentazione sopra richiamata conferma come dagli esposti presentati dal ricorrente è scaturita un'attività di verifica la quale, lungi dal risolversi in meri atti istruttori e interlocutori, è sfociata in provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le illegittimità riscontrate in sede di sopralluogo, nell'avvio del procedimento di annullamento in autotutela della CILA e nel provvedimento si sospensione della DIA, questi ultimi poi superati dalla presentazione della DIA in variante. 12.1 Le disposte verifiche hanno condotto, inoltre, alla conferma della legittimità dei titoli edilizi con provvedimento del 25 marzo 2019, richiamato dal successivo provvedimento del 25 febbraio 2021: il primo atto, lungi dal risolversi in un mero "parere", come ritenuto dal ricorrente, costituisce, invece, il provvedimento conclusivo dell'attività di verifica dei titoli edilizi, mentre il secondo è meramente confermativo del primo. Come osservato dalla Corte costituzionale (sent. 153/2020), "il fatto che l'amministrazione, su sollecitazione dei controinteressati, abbia positivamente riscontrato la legittimità delle opere si traduce in un diniego che, secondo le regole generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria azione di annullamento" (punto 6.1). 13. Non convince l'assunto difensivo secondo cui gli atti sopra indicati non sarebbero idonei a superare l'inerzia dell'amministrazione, atteso che nessuno di essi fornisce puntuale riscontro alle molteplici illegittimità analiticamente illustrate negli esposti: siffatti profili afferiscono, infatti, al contenuto dei provvedimenti, investendo le modalità concrete del potere di controllo e verifica che, in ogni caso, è stato effettivamente esercitato. 14. Per le medesime ragioni, l'omessa comunicazione degli atti in questione all'istante, certamente rilevante ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, non fa venir meno, sul piano naturalistico prima ancora che giuridico, l'attività di verifica svolta in concreto e sfociata nei provvedimenti sopra richiamati. 15. Non appare pertinente, al riguardo, il richiamo dell'appellante (memoria di replica del 7 maggio 2024) al precedente di questa Sezione n. 3597 del 22 aprile 2024 che riguarda la diversa questione della configurabilità o meno dell'interesse ad agire di alcuni condomini avverso il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza/diffida presentata in relazione ad opere che incidono sulla cosa di proprietà comune, laddove, nel caso di specie, il TAR ha, comunque, riconosciuto l'interesse ad agire del ricorrente, respingendo la relativa eccezione formulata dalla controinteressata e dal comune (cfr. pag. 5 e pag. 6 della sentenza impugnata). 16. Meritano, quindi, condivisione le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado, il quale ha osservato che il contenuto dell'istanza del 2 febbraio 2021, gli accertamenti svolti dall'ente ai fini della verifica di legittimità dei titoli edilizi e i relativi esiti, dimostrano che l'amministrazione non è rimasta inerte, ma ha esercitato i propri poteri di vigilanza, ritenendo che le opere edilizie, afferenti l'immobile dei controinteressati, siano in realtà pienamente conformi e rispondenti ai titoli in discussione. 17. Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di appello deve essere respinto con conseguente inammissibilità del secondo motivo con cui il ricorrente ripropone le censure afferenti alla natura abusiva delle opere contestate, già formulate in primo grado ai sensi 31, co. 3, c.p.a e non esaminate dal TAR. 18. La soccombenza dell'appellante ne giustifica la condanna, a favore di Roma Capitale, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in dispositivo. Sussistono, invece, giustificati motivi per disporre la compensazione con l'appellata costituita, signora -OMISSIS-. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore di Roma Capitale delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Spese compensate con l'appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • Secondo la Corte d'Appello di Messina l'accesso al fondo del vicino per la manutenzione di parti del proprio immobile, diversamente non accessibili, non può sostanziarsi in un indiscriminato e permanente permesso di accesso, atteso che la richiesta di tale accesso deve essere riconosciuta, ai sensi del primo comma dell'art. 843 c.c., "sempre che ne venga riconosciuta la necessità". Ne discende che la mera richiesta di accesso con generica motivazione, e senza prova della corrispondente necessità, non costituisce un diritto del richiedente. In tema di limitazioni legali della proprietà, gli accessi e il passaggio che, ai sensi della citata norma codicistica, il proprietario deve consentire al vicino per l'esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, danno luogo a un'obbligazione propter rem e non possono determinare la costituzione di una servitù. Il richiedente non può vantare un diritto di ingresso nel fondo del suo vicino in forma continuativa e senza alcun previo preavviso. Il disposto dell'art. 843 c.c. non lo consente; conferma di ciò si rinviene proprio nella natura di obbligazione propter rem che presuppone la collaborazione della controparte, dando vita ad un rapporto obbligatorio di durata temporanea non assimilabile, per la mancanza di una perpetua causa servitutis, ad una servitù prediale. Ai fini della verifica delle condizioni di cui all'art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio. Ne consegue che, ove il Giudice pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi "aliunde" l'invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità. (Gi.Ca.)

  • TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE Sentenza n. 1932/2023 del 15-05-2023 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di (...) Quarta Sezione Civile, in persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 10508 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2018 vertente TRA (...) rappresentata e difesa, in virtù di mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio elettivamente domicilia in (...) a (...) alla (...); ATTORE E (...) e (...) rappresentati e difesi, in virtù di mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio elettivamente domiciliata in (...) a (...) alla (...); CONVENUTI CONCLUSIONI Come da verbale di udienza del 13.2.2023. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione (...) ha citato in giudizio dinanzi l'intestato (...) e (...) deducendo: - che con atto di divisione per (...) del 17.2.2012 l'attrice diveniva proprietaria esclusiva della porzione di fabbricato sito in (...) a (...) alla via (...) snc, identificato in catasto al foglio 13, particella (...) nonché del terreno, identificato in catasto al foglio 13 particella (...) del terreno identificato in catasto al foglio 13 particella (...) della quota di un mezzo del terreno identificato in catasto al foglio 13 particella (...) - che con il medesimo atto la sorella (...) diveniva proprietaria della porzione di fabbricato sito in (...) a (...) alla via (...) snc, identificato in catasto al foglio 13, particella (...) nonché del terreno, identificato in catasto al foglio 13 particella (...) della quota di un mezzo del terreno identificato in catasto al foglio 13 particella (...) - che la divisione avveniva in virtù di un frazionamento catastale, richiamato nell'atto notarile, attraverso il quale, il tecnico (...), incaricato di comune accordo dalle germane, indicava le superfici catastali e reali delle particelle (...) attribuite alle stesse in sede di divisione; - che alla pratica di frazionamento veniva, inoltre, allegato un grafico nel quale venivano indicate le distanze tra il muro di cinta posto a confine della particella (...) con altra particella (...) facente parte di questa, e il confine reale della particella (...) (poi particella (...)) con la particella (...) - che, successivamente alla divisione, la sorella (...) costruiva un muro di cinta a confine tra la sua proprietà (part. 5489) e quella attorea (part. 5391) che non rispettava il reale confine delle particelle (...) catastali loro attribuite e, pertanto, sconfinava sulla proprietà di parte istante; - che, successivamente, la proprietà in capo alla sorella (...) indicata con la particella (...) veniva suddivisa in 5 sub, e con atto di vendita a mezzo (...) del 30.05.2018 i subalterni 4 e 6 venivano acquistati dai convenuti (...) e (...) - che, in sede di divisione rimaneva, comunque, in comune tra l'attrice e la sorella (...) il fondo descritto al catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...) ma che la sorella, dopo la divisione dei beni, aveva unilateralmente, in maniera arbitraria e illegittima, modificato lo stato di tale fondo permettendo ai convenuti in seguito di esercitare illegittimamente in suo danno una servitù di passaggio per accedere agli immobili di loro proprietà facenti parte della particella (...) del foglio 13. Ciò premesso, l'attrice ha chiesto al (...) di accertare che il confine, delineato e realizzato, con la costruzione di un muro da (...) tra la proprietà immobiliare ora in capo ai convenuti (...) e (...) censita in catasto del Comune di (...) a (...) al fg. 13 part.lla 5489 sub. 4 e quella dell'attrice identificata al foglio 13 particella (...) non corrisponde a quello reale, sconfinando tale confine nella proprietà dell'attrice; di accertare e dichiarare il reale confine tra le suddette proprietà ed ordinare ai convenuti (...) e (...) di abbattere quella parte di muro che sconfina nella proprietà attorea, nella misura che sarà acclarata in corso di causa e restituire all'attrice la porzione di fondo illegittimamente occupata; di accertare e dichiarare che il fabbricato dei convenuti (...) e (...) insistente sul fondo di loro proprietà in catasto del Comune di S. (...) a (...) al fg. 13, p.lla 5489 sub 4, non rispetta la distanza dei fabbricati di mt. 5 dall'effettivo confine tra il fondo dei medesimi e il fondo attoreo descritto in catasto al fg. 13 p.lla 5391, prevista sia dal PRG vigente alla data di costruzione dell'immobile in questione che dal PUC attualmente vigente nel Comune di S. (...) a (...) e, per l'effetto, ordinare ai convenuti (...) e (...) l'arretramento di tale fabbricato fino a tale distanza di rispetto dal confine di detti fondi; di accertare e dichiarare che in danno del fondo di cui alla part.lla 5388 del fg. 13, rimasto in comune tra le germane (...) e (...) ed a favore dei cespiti di proprietà dei convenuti (...) e (...) non sussiste alcuna legittima servitù di passaggio né a piedi né con mezzi. Si sono costituiti i convenuti chiedendo, preliminarmente, che il giudice ordinasse a parte attrice ex art. 102 c.p.c. di integrare il contraddittorio nei confronti di (...) quale proprietaria del sub 5 e comproprietaria per metà del sub 1 della particella (...) nonché nei confronti di (...) quale proprietario del sub 2 e della metà indivisa del sub 1 della particella (...) cui i convenuti ritenevano le domande avanzate da parte attrici comuni. Inoltre, i convenuti hanno chiesto di dichiarare il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, il rigetto delle domande attoree, in quanto infondate in fatto ed in diritto, con condanna dell'attrice al pagamento delle spese di lite nonché al risarcimento dei danni patiti ex art. 96 c.p.c. Con ordinanza del 13.6.2023 il giudice ha ritenuto, relativamente alla domanda di sconfinamento proposta da parte attrice, che non sussiste litisconsorzio necessario di (...) e di (...) in quanto la parte di terreno di cui si lamenta lo sconfinamento è attualmente appartenente unicamente al fondo di proprietà dei convenuti. Inoltre, con riguardo alla domanda di accertamento del rispetto delle distanze legali del fabbricato dei convenuti, ha rilevato che effettivamente, in considerazione del fatto che il fabbricato prospiciente la proprietà dell'attrice era di proprietà di due distinti soggetti, sarebbe stato necessario convenire in giudizio anche l'altro proprietario, ma dopo la proposizione del giudizio gli attuali convenuti hanno acquisito anche l'altra parte del suddetto fabbricato. Con la medesima ordinanza, inoltre, il giudice ha rilevato che non è necessaria l'integrazione del contradditorio nei confronti di (...) quale proprietaria insieme all'attrice della parte di fondo rispetto alla quale quest'ultima propone domanda di negatoria servitutis, in quanto, come da giurisprudenza consolidata, quando la domanda mira unicamente ad ottenere l'accertamento dell'inesistenza della servitù non sussiste litisconsorzio necessario. L'attrice con atto di estensione di domanda, notificato ai convenuti (...) e (...) preso atto che, successivamente alla notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio, i convenuti (...) e (...) sono divenuti anche proprietari della porzione di fabbricato descritto in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...) sub 5, ha esteso le domande proposte anche con riguardo a tale porzione di fabbricato. Inoltre, considerato che nel corso del processo i convenuti hanno acquistato dalla sorella dell'attrice la sua quota di proprietà relativamente al fondo identificato in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...) ha chiesto di dichiarare la cessazione della materia del contendere rispetto all'ultima delle domande proposte, con condanna dei convenuti al pagamento delle spese legali secondo il principio della soccombenza virtuale. La causa è stata istruita con il deposito di documenti e con l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio. Quindi, all'udienza del 13.2.2023, sulle conclusioni rassegnate, è stata riservata in decisione, con la concessione dei termini ordinari di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Preliminarmente, occorre dichiarare la cessazione della materia del contendere rispetto all'ultima delle domande proposte dall'attrice, atteso che i convenuti, dopo la proposizione del presente giudizio, sono divenuti comproprietari del terreno identificato nel catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...). Relativamente alla valutazione della soccombenza virtuale su tale domanda ai fini della regolazione delle spese di lite va rilevato che i convenuti non hanno contestato la circostanza di esercitare il passaggio sul fondo in questione prima di divenire comproprietari dello stesso e non hanno dimostrato alcun titolo costitutivo del diritto di servitù di passaggio sullo stesso. Nell'atto di compravendita in favore degli odierni convenuti si fa, invero, riferimento alle servitù attive e passive esistenti e, pertanto, tale atto non costituisce il titolo di costituzione della servitù in questione ma richiama le servitù già esistenti e, come detto, non sussiste alcun titolo costitutivo della detta servitù. Sempre in via preliminare occorre rigettare l'eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta dai convenuti, atteso che le domande avanzate dall'attrice nei loro confronti, di accertamento del confine tra le rispettive proprietà e di mancato rispetto delle distanze dal confine, attengono a diritti reali e vanno, quindi, azionate nei confronti degli effettivi titolari del diritto di proprietà, che nel caso di specie, al momento dell'instaurazione del giudizio, erano gli odierni convenuti. Sul punto anche la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "in tema di violazione delle norme sulle distanze legali fra le costruzioni, l'art. 872 cod. civ. concede al proprietario del fondo vicino, che dalla violazione della disciplina lamenti un danno, oltre l'azione risarcitoria aquiliana di natura obbligatoria, quella ripristinatoria di natura reale. Quest'ultima azione, volta all'eliminazione fisica dell'abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell'ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare. L'azione risarcitoria diretta, invece, alla tutela non del diritto dominicale fondiario, ma dell'integrità anche economica del suo oggetto, può essere esercitata anche nei confronti dell'autore materiale dell'edificazione illegittima, al fine di ottenere la condanna al ristoro del danno per gli effetti economicamente pregiudizievoli dell'illecito aquiliano" (Cass. 5520/98; Cass. 458/16). Passando alla valutazione nel merito delle domande proposte dall'attrice va rilevato che risulta determinante la consulenza espletata nel corso del giudizio. Il CTU nominato, ing. (...) dopo aver compiutamente descritto i beni di proprietà delle parti in causa, al fine di identificare il confine reale tra le proprietà, ha fatto riferimento al frazionamento del 25/10/2011, protocollo n. CE0534416, eseguito dal geom. (...) prodotto in atti da parte attrice con la memoria depositata ai sensi dell'art. 183 comma 6 c.p.c. Quindi, il CTU ha proceduto all'elaborazione dei dati contenuti nel libretto delle misure ed alla ricostruzione grafica del frazionamento stesso, trovando risultati congruenti con quanto riportato nell'atto di frazionamento. Pertanto, il CTU ha rilevato che il confine individuato con l'atto di frazionamento del 25/10/2011, protocollo n. CE0534416, eseguito dal geom. (...) è costituito dalla congiungente i vertici 104 e 105 e che la particella (...) di parte attrice ha il lato ovest di ml 17.80 ed il lato est di ml 19.47. Per verificare la posizione del muro di confine rispetto al confine così come definito, il CTU ha effettuato delle misure lineari dei confini ad est ed ovest delle particelle (...) in questione ed ha concluso che il muro di confine è stato realizzato parzialmente sul terreno di parte attrice, precisando che l'estremità est del muro risulta sconfinare di 0,55 metri nella proprietà dell'attrice. La differenza tra il confine tra la particella (...) dell'attrice e la particella (...) di parte convenuta come risultante a seguito della costruzione del muro contestato e il confine identificato prima di tale costruzione dal frazionamento in atti è visibile graficamente nella (...) n. 8 a pagina 14 della relazione del (...) Relativamente all'accertamento del mancato rispetto della distanza dal confine della costruzione di parte convenuta, il CTU ha dato atto di aver esaminato le norme relative alle distanze delle costruzioni dal confine sia del PRG del Comune di (...) a (...) vigente al momento in cui è stata realizzata la costruzione dei convenuti, sia del PUC attualmente vigente, normativa depositata in atti dall'attrice. A seguito dell'esame operato, il consulente nella propria relazione ha evidenziato come la distanza dal confine delle costruzioni prevista in entrambi i detti strumenti urbanistici territoriali è pari a 5 metri, precisando che, rispetto alla zona urbanistica in cui viene a situarsi la costruzione dei convenuti, tale distanza viene considerata, nel (...) come quella intercorrente tra la proiezione del fabbricato e il confine, tenendo conto dei punti di massima sporgenza del fabbricato medesimo (compresi balconi, pensiline e simili), mentre nel PUC la distanza dei fabbricati dal confine viene valutata partendo dal filo di fabbricazione della costruzione e, quindi, senza tener conto delle suddette sporgenze (balconi, pensiline e similari). Relativamente a tale ultimo aspetto va osservato che sebbene, come correttamente rilevato da parte attrice, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell'immobile (nella specie, pianerottoli di prolungamento dei balconi e "setti" in cemento armato), costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle distanze fissate dall'art. 873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative, specie ove queste ultime non prevedano espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie", nel caso di specie, come accertato dal (...) sussiste un diverso regime giuridico atteso che nel PUC attualmente vigente la distanza viene valutata partendo dal filo di fabbricazione della costruzione, con esclusione, quindi, degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline e dei balconi. Occorre, inoltre, rilevare che al fine di verificare se il fabbricato dei convenuti rispetti o meno la distanza prevista rispetto alla proprietà dell'attrice va considerata la normativa attualmente vigente in quanto meno restrittiva. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "i regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti "diritti quesiti" (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in vigore della normativa, possano considerarsi "già sorte"), e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione" (Cass. 26713/20). Nel caso di specie, la normativa attualmente vigente, come rilevato dal (...) è meno restrittiva in quanto non considerava ai fini della valutazione della distanza, tra le altre cose, i balconi, con la conseguenza che è la stessa che va considerata ai fini della decisione del presente giudizio, in quando di immediata applicazione e considerato che non si è ancora formato il giudicato sulla legittimità o meno della costruzione. Ebbene, il mancato rispetto della distanza prevista dal PUC vigente al momento della realizzazione del fabbricato, come accertato dal (...) non interessa l'intero prospetto sud dell'edificio ma si esaurisce dopo circa 18,16 metri dallo spigolo est del fabbricato. Relativamente alle contestazioni sollevate da parte convenuta alla consulenza tecnica espletata va evidenziato che i convenuti sostanzialmente eccepiscono che, a seguito della divisione della originaria proprietà comune tra l'attrice e la sorella (...) alla prima sarebbe stata attribuita, con la particella (...) una estensione reale maggiore di quella indicata catastalmente, con conseguente erronea indicazione del confine nel frazionamento catastale operato dal geom. (...), errore perpetrato anche dal CTU che ha considerato le risultanze del detto frazionamento. Tali eccezioni risultano prive di pregio, atteso che nell'atto di divisione del 17.2.2012 vengono richiamate le planimetrie depositate in data 4.11.2011 e viene richiamata la circostanza che le parti hanno incaricato un tecnico di comune fiducia per formare le quote. Dall'atto di divisione emerge, quindi, che le parti per la determinazione delle singole quote assegnate si sono rifatte al frazionamento del geom. (...), sottoscritto da entrambe le parti e depositato al Comune di (...) a (...) nel mese (...) del 2011, quattro mesi prima della data dell'atto di divisione. Sul punto occorre anche richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "qualora le parti, nel contratto di compravendita, abbiano identificato la porzione di immobile che ne formava oggetto facendo specifico riferimento ai dati catastali e al tipo di frazionamento, il giudice deve tener conto necessariamente di tali elementi, che, per espressa volontà delle parti, perdono l'ordinaria natura di elemento probatorio di carattere sussidiario per assurgere ad elemento fondamentale per l'interpretazione dell'effettivo intento negoziale delle parti" (Cass. 27834/22). Infine, risulta irrilevante nel presente giudizio il richiamo da parte dei convenuti alla applicabilità dell'art. 34 bis comma 1 del DPR n. 380/2001 in tema di tollerabilità degli elementi costruttivi realizzati in contrasto delle misure previste nel titolo abilitativo, in quanto tale norma ha rilievo esclusivamente da un punto di vista urbanistico nei rapporti tra P.A. che rilascia il titolo abilitativo e il titolare di tale titolo e non può trovare applicazione nell'ambito dei rapporti civilistici tra i privati. Pertanto, in accoglimento della domanda attorea va accertato che il confine, delineato e realizzato con la costruzione di un muro da parte di (...) tra la proprietà immobiliare ora in capo ai convenuti, censita in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13, particella (...) sub 4 e 5, e quella dell'attrice (...) censita in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...) non corrisponde a quello reale, sconfinando tale confine nella proprietà dell'attrice nei termini indicati nella relazione del (...) (...) e come risultante graficamente dalla figura n. 8 a pagina 14 della relazione di (...) e, per l'effetto, i convenuti vanno condannati ad abbattere la parte di muro che sconfina nella proprietà attorea, nei termini indicati dal (...) con restituzione in favore dell'attrice della porzione di fondo illegittimamente occupata con il detto muro. Inoltre, in accoglimento della domanda attorea va accertato che il fabbricato dei convenuti, identificato in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13, particella (...) sub 4 e sub 5, non rispetta la distanza dei fabbricati di metri 5 dall'effettivo confine tra il fondo dei medesimi e il fondo attoreo nel prospetto sud dell'edificio per circa 18,16 metri dallo spigolo est del fabbricato, e, per l'effetto, i convenuti vanno condannati all'arretramento di tale fabbricato nella parte in cui non rispetta la distanza dal confine, fino a tale distanza di rispetto dal confine. La domanda proposta dai convenuti in via subordinata nella comparsa conclusionale, con la quale hanno chiesto di essere condannati non all'arretramento del fabbricato ma all'acquisizione della parte di fondo occupato, è inammissibile, in quanto tardiva. Le spese di lite, al pari delle spese di (...) seguono il principio della soccombenza e vengono, pertanto, poste a carico dei convenuti. Esse vengono liquidate come da dispositivo che segue, in applicazione dei parametri dettati dal D.M. 55/2014, come modificati dal D.M. 147/2022, sotto la cui vigenza si è esaurita l'attività processuale e difensiva. In particolare, i compensi si ispirano ai valori medi dello scaglione di riferimento, concretamente rapportati alla natura e complessità delle questioni trattate e all'attività processuale e difensiva espletata. P.Q.M. (...) di (...) Quarta Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulle domande in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) accerta che il confine, delineato e realizzato con la costruzione di un muro da parte di (...) tra la proprietà immobiliare ora dei convenuti, censita in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13, particella (...) sub 4 e 5, e quella dell'attrice (...) censita in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13 particella (...) non corrisponde a quello reale, sconfinando tale confine nella proprietà dell'attrice nei termini indicati nella relazione del (...) (...) e come risultante graficamente dalla figura n. 8 a pagina 14 della relazione di (...) e, per l'effetto, condanna i convenuti ad abbattere la parte di muro che sconfina nella proprietà attorea, nei termini indicati dal (...) con restituzione in favore dell'attrice della porzione di fondo illegittimamente occupata; b) accerta che il fabbricato dei convenuti, identificato in catasto del Comune di (...) a (...) al foglio 13, particella (...) sub 4 e sub 5, non rispetta la distanza dei fabbricati di metri 5 dall'effettivo confine tra il fondo dei medesimi e il fondo attoreo nel prospetto sud dell'edificio per circa 18,16 metri dallo spigolo est del fabbricato, e, per l'effetto, condanna i convenuti all'arretramento di tale fabbricato nella parte in cui non rispetta la distanza dal confine, fino a tale distanza di rispetto dal confine; c) dichiara la cessazione della materia del contendere relativamente all'ultima delle domande proposte dall'attrice; d) condanna i convenuti alla refusione delle spese di lite in favore dell'attrice che liquida in complessivi (...) oltre spese generali, IVA e (...) come per legge; e) pone le spese di CTU definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in (...) il 15 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Bari, Prima Sezione Civile, composta da signori magistrati: Dott. Maria Mitola - Presidente rel. Dott. Alessandra Piliego - Consigliere Dott. Oronzo Putignano - Consigliere ha pronunziato, nella causa iscritta nel registro generale dell'anno 2019 col numero d'ordine 50, la seguente SENTENZA tra: (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma.Fe. (C.F. (...)) e Pa.At. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell'avv. M.T.Fe. in Gravina alla Via (...) (pec: (...) e (...) fax: (...) per ricevere le notifiche e comunicazioni di cancelleria); Appellante avverso la sentenza n. 5006/2018 del Tribunale di Bari del 19.11.2018, depositata in cancelleria in data 29.11.2018, resa nel procedimento n. 1144/2014 contro (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dell'Avv. Gi.AB., (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Ca.Ma.; Appellati SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 04/02/2014 e notificato in data 12/05/2014, unitamente al decreto di fissazione udienza in data 29/09/2014, (...) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Bari, i condomini (...) e (...) per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1) accogliere il ricorso e previa declaratoria della sussistenza del diritto di spostamento della servitù acquisita per destinazione del padre di famiglia alla luce della situazione illegittimamente creata dal resistente (...), pronunciare sentenza costitutiva che: a) Autorizzi la ricorrente a spostare la servitù di passaggio di tubazione idrica nel vano interrato del fabbricato sito in G. al C.so G. (...) n.28, mediante il posizionamento della nuova tubazione che colleghi il nuovo contatore AQP alla cisterna idrica della medesima ricorrente; b) Autorizzi la sig.ra (...) a sdoppiare l'impianto idrico consortile nel piano interrato del fabbricato di via (...) n. 28 mediante l'istallazione di un nuovo contatore AQP intestato alla medesima ricorrente da collocarsi sulla muratura perimetrale del fabbricato prospiciente la via (...) o alternativamente la via (...) D. il cui accertamento può essere eseguito da idonea CTU che sin d'ora si chiede, garantendole uguale comodità e minori costi derivanti dallo spostamento della servitù di tubazione idrica nel piano interrato del fabbricato nel rispetto del relativo diritto di servitù attiva di acquisto per destinazione del padre di famiglia; c) Autorizzi la ricorrente alla rimozione della vecchia cisterna consortile con sostituzione della stessa con due nuove cisterne di uguale dimensione di litri 1000 cadauna da collocare nel medesimo spazio di quella preesistente, oltre alla installazione di due motorini elettrici, il tutto nel rispetto dei diritti acquisiti per destinazione del padre di famiglia; d) Autorizzi la ricorrente ad eseguire tutte le opere necessarie e connesse al predetto sdoppiamento dell'impianto idirico consortile ponendo tutte e spese occorrenti, ivi compresi i costi di allacciamento della nuova fornitura richiesti dall'AQP, a carico della ricorrente e del convenuto (...) nella misura del 50% cadauno 2) condannare entrambi i resistenti al pagamento di una somma ritenuta di giustizia per lite temeraria ex art. 96 n. 1 e 3 c.p.c. in favore della ricorrente; 3) emettere ogni altra pronuncia o statuizione comunque connessa o dipendente dalle domande che precedono anche con riferimento alla mancata adesione al procedimento di mediazione; 4)con vittoria di spese, diritti e onorari. Con comparsa di costituzione e risposta del 23.07.2014, si costituiva in giudizio (...) chiedendo il rigetto di ogni domanda ed eccezione ed eccependo il difetto di legittimazione passiva, ritenendo la causa comune ai soli (...) e (...). In data 28.07.2014 si costituiva in giudizio (...), il quale, opponendosi alle richieste formulate, chiedeva il rigetto di ogni domanda ed eccezione. All'udienza del 20.09.2014 la causa è stata rinviata per la discussione al 16/02/2015, con termini sino a 10 giorni per deposito della documentazione Il Tribunale disponeva il mutamento del rito e fissava l'udienza di prima comparizione e trattazione, concedendo alle parti termini ex art. 183, co.6 c.p.c.. La causa veniva istruita mediante prove documentali, interrogatorio formale e prova per testi. All'udienza del 09/07/2018, la (...) chiedeva disporsi CTU. La richiesta veniva rigettata dal GOT che invitava le parti a precisare le rispettive conclusioni. All'esito, la causa veniva riservata per la decisione con concessione di termini ex art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. Il Tribunale di Foggia, con sentenza del 29.11.2018, così statuiva: "-rigetta le domande proposte da parte attrice; -condanna l'attrice al pagamento delle spese processuali di (...) che liquida in Euro2.400,00 oltre alla maggiorazione per spese generali IVA e CAP come per legge che distrae in favore dell'Avv. Giovanni ABBATTISTA, dichiaratosi anticipatorio ex art. 93 c.p.c.; - condanna l'attrice al pagamento delle spese processuali di (...) che liquida in Euro 2.400,00 oltre alla maggiorazione per spese generali IVA e CAP come per legge." A giudizio del Tribunale, gli originari proprietari- (...) e M.- avendo realizzato nell'interrato di proprietà comune, due impianti idrici a servizio di tutte le unità immobiliari a loro assegnate costituivano, per destinazione del padre di famiglia, due reciproche servitù a carico del bene in comune ed a favore dei rispettivi beni. A parere del Giudicante, con il successivo trasferimento dei beni da (...) a (...) e (...) si era di fatto concretizzata la servitù sul piano interrato di proprietà di L. e (...), risultando, pertanto, più che legittima la chiamata in causa di (...) da parte di (...) per lo spostamento della servitù previo sdoppiamento dell'originario impianto gravante sull'immobile del comproprietario L.. Il Tribunale ha ritenuto la domanda di sdoppiamento illegittima in quanto, per ottenere la ripartizione delle spese, l'attrice avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei vantaggi anche per il fondo servente ex art. 1069 c.c. commi 2 e 3. Tale dimostrazione non c'era stata. Del pari infondata è stata ritenuta la domanda di spostamento della servitù, in quanto non soddisfatti i requisiti ex art. 1068 c.c.. Invero, a seguito del rigetto della domanda cautelare, volta ad ottenere il distacco dell'attrice dall'impianto, lo stesso veniva utilizzato da entrambi, non comportando pregiudizi (di fatto provati) ad alcuno. Il giudice ha, infine, rilevato che le opere che l'attrice avrebbe voluto compiere avrebbero comportato un aggravamento, e dunque un danno per il fondo servente. Per tali ragioni ha ritenuto opportuno rigettare le domande formulate da parte attrice. Avverso tale sentenza ha proposto appello (...) chiedendo di: a) accogliere, per i motivi tutti dedotti in narrativa, il proposto appello e, per l'effetto in riforma della sentenza n. 5006/2018 emessa dal Tribunale di Bari, got M.Lella, nell'ambito del giudizio n. rg. 1144/20144, depositata in cancelleria in data 29.11.2018, previa declaratoria della sussistenza del diritto di spostamento della servitù, acquisita per destinazione del padre di famiglia ed alla luce della situazione illegittimamente creata dal (...), promuovere sentenza costitutiva che: 1) autorizzi l'odierna appellante a spostare la servitù di passaggio dalla tubazione idrica del medesimo sito o vano del piano interrato del fabbricato di via (...) n. 28 in G. in Puglia, mediante sdoppiamento dell'impianto idrico consortile del medesimo sito, con posizionamento didue cisterne anziché una, in verticale anziché in orizzontale sfruttando il medesimo spazio perimetrale occupato dall'attuale cisterna consortile; 2) autorizzi pertanto l'appellante alla rimozione della vecchia cisterna consortile, con sostituzione della stessa con due nuove cisterne di uguale dimensione di lt 1000 cadauna da collocare nel medesimo spazio di quella preesistente, oltre alla installazione di due motorini elettrici, il tutto nel rispetto dei diritti acquisiti per destinazione di padre di famiglia; 3) autorizzi il posizionamento della nuova tubazione che colleghi il nuovo contatore AQP alla nuova cisterna idrica e quant'altro necessario per il suo corretto funzionamento; 4) all'uopo autorizzi la sig.ra (...) a far installare un nuovo contatore AQP intestato alla medesima, da collocarsi sulla muratura perimetrale del fabbricato prospiciente alla via (...) o alternativamente la via (...) D., il cui accertamento può essere eseguito da idonea CTU la cui richiesta si rinnova, garantendole uguale comodità e minori costi derivanti dallo spostamento della servitù di tubazione idrica nel piano interrato nel rispetto del relativo diritt di servitù attiva acquisito per destinazione del padre di famiglia; b) autorizzi la (...) ad eseguire tutte le opere necessarie e connesse al predetto sdoppiamento dell'impianto idrico consortile; c) condanni il (...) al pagamento in favore della (...) di tutte le spese occorrende, da qualificarsi ivi compresi i costi delle opere murarie, delle cisterne idriche e di allacciamento della nuova fornitura, nella misura del 50%; d) condanni entrambi gli appellati al pagamento di una somma ritenuta di giustizia per lite temeraria ex art. 96 n. 1 e 3 c.p.c. in favore della sig.ra Q.; e) emetta ogni altra pronuncia o statuizione comunque connessa o dipendente dalle domande che precedono, anche con riferimento alla mancata adesione al procedimento di mediazione; f) con vittoria di spese e competenze di lite di primo grado e di secondo grado di giudizio, oltre rimborso spese gen, IVA e CAP come per legge; g) in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui l'On.le Corte adita ritenesse di confermare le statuizioni del giudice di prime cure in ordine al rigetto della domanda di spostamento della servitù acquisita per destinazione del padre di famiglia, valutata la condotta processuale di (...) e (...) e l'immotivato abbandono da parte di costoro del primo incontro di mediazione senza esprimere alcuna determinazione in ordine alla partecipazione alla stessa, dichiari illegittima e nulla la statuizione del giudice di prime cure relativa alla soccombenza alle spese di lite e per l'effetto dichiari che le spese del primo grado di giudizio siano compensate tra le parti per tutte le ragioni meglio esposte ai motivi V) VI) del presente atto; h) in via istruttoria, disporre CTU per le ragioni espresse al motivo sub (...). Costituitisi in giudizio, con distinte memorie, (...) e (...) hanno chiesto il rigetto dell'appello, perché infondato in fatto e in diritto, e la conferma della sentenza impugnata, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite. All'udienza collegiale del 02.02.2021, è stata riservata per la decisione, sulle conclusioni precisate dai difensori con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio degli scritti difensivi; Con ordinanza del 25.05.2021 la causa è stata rimessa sul ruolo per chiarire la portata delle questioni tecniche sottese, onde valutare la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 1068 e 1069 c.c., mediante la nomina di CTU, con la quale, considerate le diverse posizioni delle parti ed analizzati tutti gli atti del giudizio e previa valutazione delle possibilità concrete di un accordo bonario (già in precedenza vagliato): "1. Si accertino le caratteristiche dei luoghi, segnatamente con riferimento all'impianto idrico-fognante per cui è causa, con verifica della situazione attuale e precedente presso l'AQP, relativa ai moduli contrattuali che la hanno riguardata e la riguardano attualmente, e dell'eventuale necessità di regolarizzazione rispetto alle due proprietà; 2. Si verifichi se, nel rispetto di tutte le normative di riferimento, sia possibile la costituzione di un impianto idrico- fognante separato, in favore della proprietà (...), che non aggravi i pesi della servitù in atto, che prevedono un unico impianto di natura consortile, allocato in locali in comproprietà (...) (così come accertato dalla sentenza appellata, sul punto non oggetto di impugnazione), ovvero se le opere relative costituiscano un concreto vantaggio per il fondo dominante e, ai fini della ripartizione delle spese, siano vantaggiose anche per il fondo servente, prospettando anche più soluzioni alternative ai fini di una risoluzione il più possibile condivisa, relazionando altresì a questa Corte sulle questioni ed altresì sulle motivazioni di eventuali opposizioni delle parti alle soluzioni prospettate; Si quantifichino le spese necessarie". Con successiva ordinanza del 7.06.2022, rilevato che nel corso delle operazioni di consulenza erano state vagliate diverse ipotesi di risoluzione transattiva della vicenda, secondo le indicazioni di questa Corte, tese alla definizione bonaria del giudizio, alcune proposte dalle parti, altre dal CTU, ma che su nessuna di tali proposte era stato raggiunto l'accordo di tutte le parti, questa Corte, ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c., invitava nuovamente le parti ad un accordo bonario, recependo, quale proposta conciliativa, esaminati gli atti del giudizio e le ragioni delle parti, la proposta formulata dall'ing. (...), CTP di parte appellata (...). La proposta non sortiva il favore di tutte le parti ma solo dell'appellante, che tuttavia nelle precedenti fasi della trattativa si era opposta alla medesima soluzione. La causa è stata, quindi, riservata per la decisione all'0udienza del 14.02.2023 con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle difese finali. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato e va respinto. (...) ha impugnato la sentenza contestandone la correttezza in fatto e diritto, segnatamente dolendosi della 1) Violazione dell'art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in ordine alla richiesta di variazione della modalità di esercizio della servitù; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1068 e 1069 c.c.; 3) illogicità e contraddittorietà della motivazione, omessa valutazione delle risultanze istruttorie ex art. 115 e 116 c.p.c; 4) violazione e falsa applicazione dell'art. 61 c.p.c, mancato espletamento della CTU; 5) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, ingiustificata adesione alla procedura di mediazione obbligatoria; 6) violazione e falsa applicazione del principio della soccombenza alle spese del giudizio 7) sussistenza dei presupposti per la lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Le censure non colgono nel segno. Va premesso in fatto, come accertato dal CTU, che l'oggetto del contendere verte su un impianto idrico, ubicato al piano interrato (di proprietà dei due appellati (...) e (...)) di uno stabile condominiale sito in G. di P. con accesso principale al civico 28 di c.so (...), il quale attualmente serve sia l'immobile commerciale a piano terra, rispetto a via (...) D., di proprietà dell'appellante (...), sia l'immobile al secondo piano, rispetto a c.so (...), adibito a civile abitazione dell'appellato G.C.. Considerata la natura commerciale dell'immobile (destinazione catastale C/1) di proprietà (...) - che dopo l'acquisto aveva mutato la destinazione d'uso dell'immobile, già a uso deposito -, le normative vigenti, ed in particolare il regolamento AQP, impongono che, a servizio del suddetto immobile, venga realizzato un impianto idrico di esclusivo utilizzo, che non può quindi essere condiviso con immobili a destinazione abitativa come invece è nel caso in esame. Più in particolare, ha appurato l'ìng. L., dall'esame dei luoghi e degli atti di causa, che l'impianto idrico comune tra il locale di proprietà (...) e l'appartamento di proprietà (...), è rimasto invariato dalla sua realizzazione ad opera del (...). Il suddetto impianto, dalla sua costituzione, era stato intestato a (...) presso l'AQP con n. 2 moduli contrattuali fino alla voltura a nome del (...), effettuata nel 2008, nella quale fu previsto però un solo modulo contrattuale. Per quel che concerne invece la regolarità alla normativa vigente dell'attuale impianto idrico, lo stesso AQP, con propria nota, datata 25.09.2008, inviata a mezzo racc. A/R sia al (...), sia alla (...), aveva evidenziato che "a seguito della formale richiesta da parte del sig. (...) per il contratto in oggetto indicato è emerso che l'utenza idrico-fognante in questione, oltre ad alimentare un immobile di tipo domestico, serve, altresì, un locale adibito ad attività commerciale nella fattispecie un'attività di abbigliamento sita in G. in via (...) n. 28. A tal proposito corre l'obbligo di rammentare che l'art. 7 comma 2 del vigente Regolamento del Servizio Idrico Integrato, stabilisce che l'acqua somministrata non può essere utilizzata per immobili ad unità abitative diverse da quelle specificate nel contratto. L'art. 10 comma 2 precisa, altresì, che "la somministrazione avverrà per ogni singolo cliente e per ogni uso ...", e formula espressamente il divieto di somministrazione plurime e promiscue. Infine, l'art. 17 del predetto Regolamento indica, tra le altre, quali clausole risolutive espresse del contratto di somministrazione, l'uso diverso della fornitura da quello stabilito in contratto e la subfornitura del servizio. Vi comunichiamo, pertanto, che questa Società, ai sensi dell'art. 17 del vigente Regolamento del Servizio Idrico Integrato, dichiara risolti i contratti n. (...), impianto idrico - pratica 4887 e n. (...), allaccio fogna posizione 3864, intestati al sig. (...), e procederà, in data 25/11/2008, alla sospensione dell'erogazione idrica cui seguirà, qualora persisteranno le attuali situazioni di palese irregolarità, la rimozione degli impianti." In sostanza, secondo l'AQP, l'impianto idrico, che originariamente serviva i n. 2 immobili non era più a norma del vigente regolamento e tanto poiché l'immobile di proprietà (...) risultava ad uso negozio (come attestato anche dalla variazione catastale effettuata dalla medesima che aveva modificato la destinazione catastale dell'immobile da C/2 a C/1). Successivamente alla lettera del 25.09.2008, l'AQP, tuttavia, non aveva più proceduto alla sospensione dell'erogazione idrica. Con nota del 09.05.2011, l'AQP segnalava al legale della (...), che ? "da una verifica tecnica effettuata sull'impianto già contrattualizzato con il sig. (...) è emersa l'impossibilità di creare due distinti impianti a servizio degli immobili interessati in quanto la strada di via (...) D. non risulta ancora canalizzata. Pertanto, questa Società non potrà porre in esecuzione quanto prospettato nella propria nota prot. N. (...) del 04.01.2011 (...) Allo stato l'unica possibilità per poter ottenere la fornitura idrica e fognaria presso l'immobile di proprietà della sig.ra (...) potrebbe essere attraverso lo sdoppiamento di quello già esistente intestato al sig. (...) previa ovviamente autorizzazione da parte di quest'ultimo". Con nota del 09.03.2021, l'AQP comunicava al legale del (...) che "da accertamenti più approfonditi eseguiti dai ns. tecnici, si è potuto verificare che via (...) D., prolungamento di via (...) dell'abitato di Gravina in Puglia nella parte antistante il locale commerciale di proprietà della sig.ra (...) risulta canalizzata da rete idrica. Pertanto, quest'ultima per poter ottenere il proprio impianto dovrà presentare una nuova domanda corredata secondo quanto stabilito dall'art. 9 del regolamento del Servizio idrico Integrato del nulla osta scritto rilasciato dalla proprietà dell'immobile, se diverso dal richiedente, alla esecuzione delle opere necessarie all'installazione degli impianti ed inoltre, in ogni caso la somministrazione è subordinata all'ottenimento ed alla conservazione, a cura e spese del richiedente anche attraverso la Società, dei consensi formali, delle eventuali autorizzazioni e delle servitù necessarie all'esecuzione, alla posa ed al mantenimento degli impianti occorrenti (art. 11 comma 2 del R.S.I.I.)." Risulta allora, per tabulas, che l'impianto idrico che serve contemporaneamente l'unità abitativa del (...) e il locale commerciale della (...) non rispetti le vigenti normative e tanto richiede necessariamente la realizzazione di due impianti separati, ciascuno a servizio esclusivo di ognuno dei due immobili. Così descritta la situazione di fatto, rileva la Corte, con riferimento al primo degli addebiti, anche all'esito delle indagini peritali svolte, che la richiesta di variazione della servitù non può essere accolta; sul punto, per altro, il giudice di prime cure, contrariamente a quanto indicato dall'appellante si è pronunciato con una motivazione più che condivisibile. Invero, ai fini della corretta applicazione ex art. 1068 c.c. e dunque della possibilità di spostare la servitù degli impianti, è necessario dare prova di una serie di elementi quali la dimostrazione di un vantaggio per il proprietario del fondo dominate ovvero la mancanza di danno per il fondo servente. Da quanto emerge nelle difese dell'attrice, il primo dei presupposti relativo all'eventuale "vantaggio" non sembra essere adeguatamente dimostrato. Con riguardo all'eventuale vantaggio per il proprietario del fondo dominante, tale elemento non può nemmeno essere considerato sussistente in quanto, l'impianto originariamente realizzato in maniera unitaria- essendo stati gli immobili trasferiti all'appellante e a (...) - e poi successivamente diviso, ad oggi risulta utilizzato da entrambi e ciò implica (non essendo stato dimostrato il contrario) che tale utilizzo non sia tale da comportare notevoli pregiudizi per le parti. Non può, per altro, sottacersi che nel caso di specie non trattasi in alcun modo di servitù per destinazione di padre di famiglia; invero, "In tema di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia è necessario provare che i due beni appartenessero in origine allo stesso proprietario e che all'atto della separazione siano stati posti dallo stesso in una situazione di subordinazione dell'uno rispetto all'altro." - cfr. Corte d'Appello di Catania, sez II, del 27/03/2020, n. 644-. Nel caso di specie trattasi di un immobile i cui originari proprietari, (...) e (...)- erano due. Non viene, pertanto, soddisfatto il requisito base ai fini della considerazione della servitù per destinazione del padre di famiglia. Allo stesso modo, le ulteriori censure fatte dalla (...) non colgono nel segno. La pretesa dell'appellante di installare una nuova condotta nella esclusiva proprietà degli appellati, si mostra in netto contrasto con il disposto codicistico ex art. 1067 c.c. che espressamente prevede il divieto per il proprietario del fondo dominante di fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente. La richiesta della (...), per altro, non può definirsi come mero spostamento della servitù avendo la medesima, di fatto, modificato la destinazione d'uso dell'immobile. Tale modifica, non ha fatto altro che aggravare la funzione originaria della servitù alla quale viene imposto un ulteriore sacrificio e per di più proprio tale modifica ha reso irregolare e non più conforme ai regolamenti, la situazione della condotta. Pertanto, nemmeno risulta violato l'art. 1069 c.c. che è un ulteriore sviluppo del principio fondamentale per cui l'esercizio della servitù deve essere fatto, fermo il pieno soddisfacimento dei bisogni del fondo dominante, col minore aggravio possibile del fondo servente. Infatti, come giustamente indicato dal giudice di prime cure, l'eventuale sdoppiamento dell'impianto avrebbe potuto realizzarsi solo a spese dell'appellante che avrebbe dovuto dimostrare l'eventuale "vantaggio" anche per il fondo servente, cosa che di fatto non vi è stata. Infondato è il terzo motivo di appello avendo, in verità, il giudice valutato sulla base della congrua e lineare motivazione. Per altro, come espressamente indicato dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. un., 30/09/2020, n.20867, "Per dedurre ...la violazione dell'art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; per far valere la violazione dell'art. 116 c.p.c., è invece necessario allegare che il giudice non abbia operato secondo il suo "prudente apprezzamento", quando avrebbe dovuto, o che viceversa lo abbia fatto pur essendo la prova soggetta a una specifica regola di valutazione." Non emergono elementi tali da poter dedurre le violazioni su indicate. Anche il quinto motivo di appello non può essere accolto risultando dagli atti di causa la partecipazione al primo incontro di mediazione sia da parte di L. che di (...), invero secondo consolidato orientamento (Cass. civ., 24 marzo 2019, n. 8473) la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata solo al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la indisponibilità di procedere oltre. Infine, con riguardo alla condanna per responsabilità processuale aggravata, la questione resta superata dalla conferma del rigetto delle domande dell'attrice. Questa Corte non può non osservare che la maggiore responsabile del naufragio delle trattative è sempre stata l'odierna appellante che si è strenuamente opposta al recepimento di tutte le possibilità offerte che non fossero quella dalla medesima proposta e che comportava maggiori sacrifici a carico degli appellati, nonostante fosse stata proprio l'opera della medesima, mediante il mutamento della destinazione d'uso dell'immobile, a comportare, come detto, l'irregolarità della condotta. Cosicché l'accoglimento, in limine, della proposta transattiva formulata da questa Corte, proposta rifiutata dalle controparti, non può risolversi favorevolmente all'appellante, se non ai limitati fini di una riduzione dell'importo delle spese di lite, considerato il minimo vantaggio indiretto che le altre parti avrebbero ricevuto dallo scioglimento della comunione mediante adesione alla proposta. L'appello è respinto e l'appellante va condannato alle spese del presente grado secondo le regole della soccombenza visti i parametri di cui al D.M. n. 147 del 1922 (II scaglione valori minimi). P.Q.M. rigetta l'appello avverso la sentenza n. 5343/2018 del Tribunale di Foggia, I sez. civile, del 26.02.2018; condanna (...) al pagamento in favore (...) e (...) delle spese del presente grado, che liquida, ciascuno, in Euro 1.458,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% e ulteriori accessori. Pone definitivamente a carico di (...) le spese di CTU. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a carico dell'appellante e in osservanza dell'art. 13 co. 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo inserito dall'art. 1 co. 17 L. n. 228 del 2012 Così deciso in Bari il 9 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Brescia, Sezione Prima civile, composta dai Sigg.: Dott. Maria Tulumello - Presidente Dott. Vittoria Gabriele - Consigliere Dott. Annamaria Laneri - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 1997/18 R.G. promossa con atto di citazione notificato in data 18 gennaio 2019 e posta in decisione all'udienza collegiale del 21 dicembre 2022 da (...), nato a N. (B.) il (...) rappresentato e difeso dall'avv. An.Ca. e dall'avv. Tu.Ca. per procura in calce all'originale dell'atto di citazione in riassunzione ATTORE IN RIASSUNZIONE nel proc. n. 1997/18 RG CONVENUTO IN RIASSUNZIONE nel proc. n. 108/19 contro (...), nato a N. (B.) il (...), quale erede di (...) e (...) rappresentato e difeso dall'avv. Da.Ma. del foro di Milano per delega apposta in calce alla comparsa di costituzione depositata il 16.12.2021, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, piazza (...) ATTORE IN RIASSUNZIONE nel proc.n.108/19 RG CONVENUTO IN RIASSUNZIONE nel proc. n. 1997/18 RG E Contro (...), nata a N. (B.) il (...) - non costituita In punto: Giudizio di rinvio a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 27256/18 in data 11 luglio 2018 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) e (...) ed esponeva: -di avere acquistato da (...) con atto a Notaio dr (...) n. (...) racc. e n. (...) rep.gen., taluni terreni in comune di P., allora censiti catastalmente ai mappali (...), (...) e (...), per la complessiva somma di Lire 265.000, regolarmente registrato in data 6 luglio 1962 e trascritto alla Conservatoria di Salò il successivo 14 luglio 1962; -che nel contesto dell'atto veniva specificato che il compratore "... intende coltivare in detti terreni montani una cava di pietra o marmo e quindi sfruttare esclusivamente il sottosuolo. Tutta la legna, erba o pattume resteranno a beneficio del venditore, suoi eredi e successori"; -che con l'atto veniva trasmessa la proprietà e l'immediato possesso al compratore e veniva costituita a favore degli immobili venduti una servitù di passaggio; -che da quel momento era iniziata una situazione di fatto protrattasi ininterrottamente per lunghissimo tempo, sino a quando, poco tempo prima dell'avvio del presente giudizio, il compratore, contattato da persona interessata all'acquisto, aveva appreso, mediante un riscontro presso il Catasto di Brescia, che i beni immobili oggetto di compravendita risultavano intestati a certo (...); -che a seguito della morte del suo dante causa, (...), avvenuta in data 30.08.1976, i suoi eredi avevano presentato in data 25.02.1977 denuncia di successione registrata presso la Conservatoria di Salò e trascritta il 27.12.1977, nella quale avevano inserito i mappali (...), (...) e (...), già oggetti di vendita a suo favore; -che successivamente i mappali subivano ulteriori passaggi di proprietà tra i vari successori fino all'atto notaio A. del (...) rep. N. (...) registrato a Brescia il 24.11.1988 al n. 2864, con cui (...) acquistava le mancanti quote dei mappali (...) e (...) (ex mappali (...), (...) e (...)) del foglio (...) del comune di P.; tanto premesso, (...), ritenendosi unico ed esclusivo proprietario dei terreni in forza del contratto di compravendita del 1962, chiedeva accertarsi la sua esclusiva proprietà sui predetti terreni. Si costituivano in giudizio (...) e (...), la prima eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per avere ella sottoscritto l'atto del 5.11.1988 solo al fine di assentire l'acquisto in via esclusiva da parte del marito. Il secondo contestava, invece, la fondatezza delle pretese dell'attore e deduceva che il (...) non vantava un diritto di proprietà ma, più limitatamente, il solo diritto di superficie con riferimento alla facoltà di utilizzare i fondi per realizzarvi una cava di marmo e pietra, mentre la proprietà dei terreni era rimasta in capo alla parte venditrice, tanto che, non a caso, l'atto era stato denominato "compravendita per escavazione di marmo e pietra similare"; che poiché dalla fine degli anni 70 il (...) si era astenuto dal coltivare la cava, mentre l'utilizzo dei mappali era stato effettuato solo da (...) e dai suoi danti causa, il diritto di superficie del (...) si era prescritto e in ogni caso egli aveva conseguito la piena proprietà sui terreni per effetto di usucapione. Concludeva chiedendo, in via riconvenzionale, dichiararsi che i mappali (...) e (...) erano di sua proprietà e che sugli stessi il (...) vantava solo un diritto di superficie, estinto per non uso ventennale; in subordine, in caso di accoglimento della domanda principale proposta dal (...), svolgeva domanda riconvenzionale di usucapione per il possesso ininterrotto ed ultraventennale esercitato sui beni stessi da lui e dai suoi danti causa. Con memoria ex art. 183, V comma, c.p.c., il (...) ribadiva di avere acquistato la piena proprietà sui mappali per cui è causa sottolineando che il diritto di proprietà era imprescrittibile e, in via subordinata, proponeva domanda di acquisto della proprietà per usucapione allegando di avere con innumerevoli atti operato con imperio dominicale, per esempio concedendo l'immobile in locazione ad una società per il relativo sfruttamento minerario, intrattenendo continui contatti con le amministrazioni pubbliche competenti per l'esercizio della predetta attività e ciò per tutto l'arco temporale sino all'avvio della causa; per contro sosteneva la perenzione per non uso ultraventennale del diritto di legnatico concesso con l'atto di compravendita al venditore, suoi eredi e aventi causa; insisteva per la condanna del (...) al risarcimento del danno per lite temeraria, mentre dichiarava di rinunciare alla domanda nei confronti di (...). Istruita la causa in via documentale e con l'assunzione di prova orale, con sentenza n. 913/10 del 30 marzo 2010 il Tribunale di Brescia: -dichiarava inammissibili, per novità, le domande del (...) di cui alla memoria ex art. 183, comma V, c.p.c., di declaratoria di intervenuta estinzione, per non uso ventennale, del diritto al beneficio della legna, dell'erba e del pattume e di condanna al rilascio; dichiarava estinto il giudizio con riferimento al rapporto tra l'attore e la convenuta B. a seguito di rinuncia, da parte del primo, agli atti e all'azione dei confronti della seconda; dichiarava che (...) era il legittimo proprietario dei terreni per cui è causa, ordinando alla competente Agenzia del Territorio - Servizio dei Registri Immobiliari di provvedere alla trascrizione della sentenza; -dichiarava compensate per la metà le spese di lite e condannava il (...) a rifondere al (...) la restante metà. Al riguardo il Tribunale così motivava: 1) le domande formulate dal (...) con memoria ex art. 183, comma quinto, c.p.c., di accertamento per non uso pluriennale del diritto al beneficio per tutta la legna, erba e pattume e di condanna al rilascio del fondo non potevano essere prese in considerazione, la prima perché nuova rispetto al contenuto della domanda formulata nell'atto di citazione e, la seconda, perché fondata non solo sull'accertamento della proprietà, ma anche sul presupposto dell'estinzione del diritto di godimento, che era domanda nuova; 2)con il contratto 1.7.1962, denominato "compravendita per escavazione di marmo e pietra similare", le parti avevano stabilito l'immediato passaggio di proprietà e possesso sui beni, con diritto del compratore a far propri i frutti che ne fossero derivati e contemporaneamente il mantenimento, a favore del venditore, suoi eredi e successori del diritto di ricavare dai terreni la legna, l'erba e il pattume, attesa la finalità dell'acquirente di destinare i fondi allo sfruttamento per cava di marmo e pietra, finalità compatibile, sino a trasformazione avvenuta, con il mantenimento sui fondi stessi dell'esercizio delle attività agricole precedentemente esercitate dal venditore e dalla sua famiglia. 3)Considerando che l'atto è stato rogato innanzi a notaio, se le parti avessero inteso costituire un diritto di superficie, con riferimento ex art. 955 c.c. al sottosuolo, lo avrebbero detto chiaramente, e non avrebbero previsto solo il beneficio del godimento della legna, dell'erba e del pattume, ma per il principio di elasticità del dominio, gli avrebbero riconosciuto la permanenza di ogni diritto non specificatamente inciso dal diritto reale minore attribuito all'altra parte. La struttura del negozio appariva pienamente confacente alla fattispecie della compravendita immobiliare con costituzione, a favore del venditore, del diritto d'uso con riferimento al godimento della legna, dell'erba e del pattume secondo il disposto dell'art. 1021 c.c. (uso), del quale erano presenti sia l'elemento teleologico (la finalità di soddisfacimento dei bisogni dell'utilizzatore e della sua famiglia), sia quello materiale (estrinsecandosi l'esercizio del diritto oggetto di pattuizione, come previsto da tale norma, nel servirsi della cosa e, se fruttifera, nel raccoglierne i frutti (legna, erba, pattume possono considerarsi frutti naturali del terreno), sia infine la disciplina giuridica (essendo prevista l'estensione del diritto agli eredi e successori, e non agli aventi causa, in conformità con la regola del divieto di cessione del diritto di uso, art. 1024 c.c.). 4)non si poteva ricavare argomento in senso contrario dall'intestazione del contratto e da altre espressioni analoghe presenti nel testo, essendo evidente la finalità delle stesse al conseguimento del beneficio fiscale di cui all'art. 4 della L. 29 dicembre 1949, n. 955. 5)andava riconosciuto il diritto di piena proprietà di (...) che in quanto intestato ad altro soggetto non avrebbe potuto essere immesso nella denuncia di successione del venditore (...). 6)essendo la proprietà e l'azione di rivendicazione imprescrittibili, la domanda di (...) di estinzione del diritto non poteva essere accolta, ed era infondata la domanda proposta dal medesimo di avere usucapito il diritto di proprietà del (...) in quanto la prova avrebbe dovuto riguardare, in concreto, l'esplicazione, da parte sua, di attività dominicali diverse rispetto alle facoltà di godimento già contemplate nel titolo contrattuale relative alla legna, all'erba ed al pattume, rientranti nel diritto d'uso, perché l'esercizio di siffatte facoltà rientra nei limiti di tale diritto reale minore e, quindi, non può scalfire il diritto di proprietà dell'attore, e l'istruttoria svolta non aveva fornito al riguardo alcun elemento di rilievo, per cui andava respinta anche la domanda riconvenzionale subordinata di accertamento dell'intervenuta acquisizione di titolo originario del diritto dominicale per effetto di usucapione. Avverso la sentenza proponevano appello (...) e (...) chiedendo, in parziale riforma, di rigettare le domande avversarie e di accogliere quelle già formulate con la comparsa di risposta, con vittoria di spese. In sintesi, l'appellante censurava la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi in ordine alla mancata prova della trascrizione, essendo stata la nota di trascrizione depositata in giudizio tardivamente e per non avere tenuto conto dell'atto notarile del 5.11.1988 con cui il (...) era divenuto proprietario dei terreni, avendo il (...) acquistato solo il diritto di superficie, come si evinceva dalla denominazione del contratto del 1962 e dell'espressa indicazione delle facoltà concesse al superficiario; contestava le motivazioni espresse dal primo giudice non essendo risolutiva la circostanza che l'atto era stato stipulato davanti al notaio, dal momento che anche l'atto del 5.11.1988 era stato redatto da notaio, e se le parti avessero effettivamente voluto vendere la proprietà con mantenimento del diritto di uso di "legna, erba e pattume" lo avrebbero detto a chiare lettere; evidenziava che l'atto non era stato neppure volturato; che se effettivamente con l'atto del 1.7.1962 fosse stata trasferita la proprietà non vi sarebbe stato motivo di elencare le facoltà concesse al (...), perfettamente compatibili con il diritto di sfruttamento soltanto del sottosuolo, che sarebbero state insite nel diritto di proprietà. Censurava altresì il rigetto della domanda di usucapione del terreno, sostenendo la sufficienza all'uopo delle prove documentali prodotte e testimoniali assunte, e della domanda riconvenzionale di estinzione del diritto di superficie. Si costituiva in giudizio (...) e chiedeva rigettarsi l'appello; in via incidentale chiedeva, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiararsi prescritto per non uso pluriventennale, il beneficio per tutta la legna, erba e pattume in capo a (...) e, per l'effetto, accertata la proprietà in capo all'appellato, la condanna del primo al rilascio dei beni con liberazione degli stessi da persone e cose e al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., con spese del giudizio rifuse. Con sentenza n. 34/2014 del 08.01.2014 la Corte di Appello di Brescia, II sezione civile, in riforma della pronuncia di primo grado, riteneva che il contratto del 1 luglio 1962 non costituisse un contratto di compravendita di immobile ma un atto con cui (...), quale proprietario del terreno coltivo, aveva ceduto a (...) il prodotto del sottosuolo; che se si fosse trattato di compravendita di immobile il contratto sarebbe stato comunque nullo per indeterminatezza dell'oggetto, "atteso che dal suo contenuto non si potrebbe neppure stabilire quale diritto reale le parti avessero inteso cedere"; che se il contratto fosse stato diretto all'alienazione dei terreni, non vi sarebbe stata ragione di specificare nell'intestazione di esso "compravendita per escavazione di marmo e pietra similare" e di far riferimento nel testo al diritto del compratore di esercitare l'escavazione, nonché altre facoltà che sarebbero state già ricomprese nel diritto di godimento del bene immobile trasferito; che tantomeno il contratto del 1 luglio 1962 poteva configurarsi quale trasferimento del diritto di superficie o del diritto di uso, che avrebbe imposto un diverso titolo ed un differente contenuto; che non rilevava la costituzione a favore del compratore della servitù attiva sui restanti terreni di proprietà del venditore, "dal momento che in tal modo si assicurava al compratore il diritto di accesso ai fondi destinati a sfruttamento del sottosuolo", mentre rilevava la dicitura "tutta la legna, l'erba e pattume resteranno a beneficio del venditore, suoi eredi e successori", che starebbe a dimostrare che la proprietà del fondo restava invariata, giacché incompatibile con l'attività di escavazione; che trattandosi di vendita di beni mobili, erano superflue anche le censure aventi ad oggetto l'omessa tempestiva prova della trascrizione dell'atto, sollevata dagli appellanti, censure comunque infondate, trattandosi semmai di azione di accertamento positivo della proprietà e non di rivendicazione; che la domanda di usucapione avanzata da (...) era superata dal rigetto della domanda attorea, mentre era infondata quella proposta in via subordinata da (...) in quanto dalle prove orali era risultato rispettato il contenuto dell'atto di vendita, non avendo le parti travalicato i limiti di godimento del bene; che con riferimento alla domanda di estinzione del diritto di superficie proposta da (...), a prescindere dalla qualificazione giuridica del diritto, non poteva comunque considerarsi venuto meno il "diritto di cava" del (...) sui terreni in contesa in quanto, inquadrato il contratto come "vendita di prodotto di cava" ed in mancanza di un termine, l'acquirente avrebbe potuto esercitare il suo diritto di escavazione e fare propri i relativi prodotti "finchè in vita", "essendo indifferente che tale diritto sia stato esercitato direttamente dall'acquirente o da terze persone, oppure sia stato esercitato saltuariamente"; che in considerazione della soccombenza parziale, le spese processuali del primo e secondo grado andavano compensate nella misura di 1/3, con condanna del (...) a pagare il residuo in favore degli appellanti. (...) proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello con nove motivi di censura. Resisteva con controricorso (...) proponendo ricorso incidentale in unico motivo, al quale resisteva (...) con proprio controricorso. Non si costituiva (...). Con sentenza n. 27256/18 dell'11 luglio 2018 la Suprema Corte accoglieva il primo, secondo, sesto e settimo motivo del ricorso principale, dichiarava assorbiti il terzo, quarto, quinto, ottavo e nono motivo e anche il ricorso incidentale, e cassava la sentenza della Corte di Appello di Brescia con rinvio ad altra sezione della medesima Corte anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Con atto di citazione in riassunzione notificato il 27.12.2018 ha riassunto il giudizio (...), instaurando il giudizio n. 1997/18 RG, chiedendo il rigetto delle domande attoree di primo grado, dichiarandosi, in via riconvenzionale, la proprietà di (...) sui terreni di cui ai mappali (...) e (...) foglio (...) del Comune di P. con diritto di superficie sul sottosuolo degli stessi a favore di controparte, diritto da dichiararsi estinto per non uso ventennale o, in subordine, dichiararsi detti terreni di proprietà di (...) per intervenuta usucapione ventennale in suo favore. Si sono costituiti in giudizio (...) e (...), quali eredi di (...), chiedendo il rigetto delle domande avversarie e dell'appello e riproponendo la domanda principale e le domande riconvenzionali già proposte in primo grado. Con atto di citazione notificato il 18 gennaio 2019 hanno altresì riassunto il giudizio (...) e (...), quali eredi di (...), instaurando il giudizio n. 108/19 RG e chiedendo la riunione con il procedimento n. 1997/18; nel merito chiedevano il rigetto dell'appello proposto da (...) e l'accoglimento della domanda principale o, in subordine, di quelle riconvenzionali. Si sono costituiti in giudizio (...) e (...) insistendo per l'accoglimento dell'appello e delle domande riconvenzionali proposte. All'udienza del 10.4.2019 nel procedimento n. 1997/18 RG la Corte rinviava all'udienza del 2.10.2019, ordinando l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...), e a quell'udienza disponeva la riunione del giudizio n. 108/19 RG al giudizio n. 1997/18 RG e rinviava all'udienza del 21.12.2022 per la precisazione delle conclusioni. Con comparsa depositata il 16.12.2021 si costituiva in entrambe le cause riunite (...) anche quale erede di (...), deceduta il 17 settembre 2021. Alla udienza del 21.12.2022, che si teneva mediante scambio di note depositate telematicamente, le parti precisavano le conclusioni e la Corte tratteneva la causa in decisione assegnando i termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza n. 27256/18 dell'11 luglio 2018 la Corte di Cassazione in accoglimento del primo, secondo, sesto e settimo motivo di ricorso principale proposto da (...), dichiarati assorbiti il terzo, quarto, quinto, ottavo e nono motivo, nonché il ricorso incidentale proposto da (...), ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Brescia, II sezione civile, n. 34/2014 del 08.01.2014, rinviando ad altra sezione della medesima Corte anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di Cassazione. La Suprema Corte ha innanzitutto richiamato i principi espressi in precedenti pronunce con riferimento ai contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave, rilevando come essi "possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell'intenzione dei contraenti", potendo concretare: "a) una vendita immobiliare, quanto il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell'intera cava; b) una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell'estrazione, ragguagliato a peso o a misura; c) un contratto riconducibile nello schema dell'affitto, quando l'intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento (sfruttamento) temporaneo del bene secondo la sua destinazione (Cass. Sez. 3, 09/07/1982, n. 4090; Cass. Sez. 1, 07/11/1989, n. 4646; Cass. Sez. 1, 16/09/1955, n. 9785)". Premesso quindi che l'erronea qualificazione giuridica dell'operazione negoziale è denunziabile in sede di legittimità solo per quanto attiene alla determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre è incensurabile in cassazione se l'accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, sia il risultato di un'interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e ss. c.c., ha ricordato che "Nell'interpretazione di un contratto, allora, occorre far riferimento in via prioritaria al criterio fondato sul significato letterale delleparole, di cui all'art. 1362 c.c. e, solo ove il dato letterale della norma possa risultare ambiguo, può farsi ricorso agli altri canoni strettamente interpretativi (artt. 1362-1365 c.c.) e, in caso di insufficienza, a quelli interpretativi integrativi (artt. 1366-1371 c.c.)", sottolineando che "il giudice non è mai vincolato dal nomen juris adoperato dalle parti, e deve anzi correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto (cfr. tra le tante Cass. Sez. 3, 28/08/2007, n. 18180; Cass. Sez. 1, 13/12/2006, n. 26690)". Quindi la SC ha ritenuto che "la Corte d'Appello di Brescia, nell'interpretare e qualificare come vendita mobiliare dei soli prodotti del sottosuolo il contratto concluso il 1 luglio 1962 tra (...) e (...), ha operato un'indagine ispirata ai criteri interpretativi sussidiari logici, teleologici e sistemativi, senza però utilizzare in via prioritaria il criterio dell'interpretazione letterale, analizzando dapprima il senso delle espressioni impiegate dagli stipulanti nel documento quali" ...cede e vende ... che acquista i terreni montani ...", "immobili venduti col presente atto...", "detti terreni vengono venduti ed acquistati ...", "il venditore garantisce la proprietà degli immobili in contratto", in maniera da verificare se le stesse espressioni non rivelassero la loro volontà comune". Ha altresì affermato che "Erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto la nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto quanto all'individuazione del diritto reale di cui le parti avessero disposto, come pure l'incongruenza tra una vendita immobiliare e l'attribuzione espressa al compratore del diritto di escavazione e al venditore del diritto su legna, erba e pattume", rilevando come il requisito della determinatezza debba "essere ravvisato nella inequivocabile identificazione dell'immobile compravenduto per il tramite dell'indicazione dei confini o di altri dati oggettivi ...". La SC ha poi ricordato come possa anche "ammettersi la validità di una separata alienazione del soprasuolo dal sottosuolo come entità reali giuridicamente autonome - nonché, come nella specie, della costituzione in via accessoria di diritti di servitù in favore del sottosuolo trasferito all'acquirente ed a carico del soprassuolo rimasto all'alienante, al fine della migliore utilizzazione della cava alienata -, scindendosi l'originaria unica proprietà appartenente ad un solo soggetto in più proprietà distinte in senso verticale facenti capo a soggetti diversi, e comunque trattandosi pur sempre di veri e propri diritti di proprietà". La SC ha quindi rimesso ai giudici del rinvio la "determinazione dell'oggetto del contratto" e la "conseguente natura del diritto spettante al compratore (...)". Oggetto dunque del presente giudizio di rinvio è l'interpretazione del contratto stipulato tra (...) e (...) in data 1.7.1962, partendo dal criterio interpretativo che la SC ha indicato come prioritario, fondato sul significato letterale delle parole (art. 1362 c.c.), prescindendo dal nomen juris adoperato dalle parti - che può anche non corrispondere alla sostanza del contratto - e solo nel caso in cui il dato letterale risulti ambiguo, si fa luogo al ricorso agli altri canoni strettamente interpretativi (artt. 1362-1365 c.c.) e, nel caso in cui anche questi si rivelino insufficienti, a quelli di interpretazione integrativa (artt. 1366-1371 c.c.). Procedendo dunque alla interpretazione del contratto stipulato in dato 1.7.1962, al fine di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, occorre preliminarmente, come indicato dalla Suprema Corte, esaminare le singole clausole secondo il significato letterale delle espressioni impiegate, in cui ripetutamente, nel corpo dell'atto, le parti utilizzano i termini tipici del contratto di compravendita - "cede e vende", "acquista", "il compratore", il "venditore", "venduti e acquistati", "trasmissione immediata della proprietà e del possesso nel compratore", "il prezzo della presente compravendita" - sicché deve, in primo luogo e senza dubbio, escludersi la configurabilità della ipotesi di "contratto riconducibile nello schema dell'affitto" per consentire lo sfruttamento della cava, indicata sub c) a pag. 10 della sentenza della Suprema Corte. Parimenti il contratto non appare riconducibile all'ipotesi sub b) della vendita mobiliare del prodotto della escavazione, non risultando, al riguardo, significativa l'intestazione del contratto come "compravendita per escavazione di marmo e pietra similare". La stessa SC, nel cassare con rinvio, ha, infatti, evidenziato come "nel procedimento di qualificazione del contratto il giudice non è mai vincolato dal nomen iuris adoperato dalle parti, e deveanzi correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto". Nella specie, ritiene il Collegio che la sostanza del contratto non sia quella della vendita del prodotto estratto dal sottosuolo, non essendovi in tutto il corpo dell'atto alcun cenno alla vendita di tale materiale ed essendo una siffatta interpretazione del tutto in contrasto con i riferimenti, sopra riportati, alla vendita ed acquisto di "terreni", "nello stato di fatto e di diritto nei quali attualmente si trovano", alla "trasmissione immediata della proprietà e del possesso nel compratore", alla previsione della costituzione di una servitù di passaggio (che può essere solo a favore di un immobile, appartenente peraltro a diverso proprietario), al pagamento di imposte e tasse che si riferiscono ai terreni e non al prodotto della cava, alla garanzia della proprietà degli immobili e della loro libertà da pesi, alla previsione del prezzo nella complessiva somma di Lire 265.000 e non con riferimento alla quantità o alla misura del prodotto da estrarre e del termine di durata del contratto, oltre alla stipula dell'atto davanti ad un notaio e alla sua successiva trascrizione (non rientrando tra gli atti soggetti a trascrizione la vendita del prodotto di cava). Viceversa, più volte nel corpo dell'atto vengono menzionati i terreni come oggetto del contratto di compravendita - "Il sig. (...) cede e vende al sig. (...) che acquista i terreni montani denominati "Monte Cavallo", "Monte Cogno" e "Castagneto" posti in comune di Paitone"; "immobili venduti"; "detti terreni vengono venduti ed acquistati" - che risultano, peraltro, perfettamente identificati con il nome e l'indicazione di tutti i dati catastali, che non lasciano margini di dubbio sulla identità dei terreni compravenduti. Quanto al diritto reale di cui le parti hanno disposto, anche in tal caso il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti appare al Collegio chiaro ed univoco nel senso che con l'atto si sia voluto trasferire a (...) il diritto di proprietà dei terreni nella loro completezza, essendo al trasferimento della proprietà confacenti, in particolare, le altre espressioni utilizzate quali: "il venditore costituisce a favore degli immobili venduti col presente atto al sig. (...) servitù attiva di passaggio con una strada della larghezza media di ml 3,50 (tre e cinquanta centimetri) sui restanti immobili di sua proprietà in comune di Paitone"; "detti terreni vengono venduti ed acquistati nello stato di fatto e di diritto nei quali attualmente si trovano, e come pervennero al venditore ... ... con la trasmissione immediata della proprietà e del possesso nel compratore che da oggi ne godrà i frutti naturali e civili e pure da oggi ne pagherà le relative imposte e tasse"; "il venditore garantisce la proprietà degli immobili in contratto e la loro libertà da ipoteche e pesi, e promette (la) manutenzione e difesa ai sensi di legge". Al contrario nessuna espressione in contratto fa riferimento al trasferimento al (...) del solo diritto di superficie sul sottosuolo ai sensi dell'art. 955 c.c. con mantenimento della proprietà del suolo in capo al venditore (...), gravato dal predetto diritto di superficie in capo al (...). A tale interpretazione, infatti, non può condurre la previsione secondo cui "Il compratore intende coltivare nei detti terreni montani una cava di pietra o marmo e quindi sfruttare intensivamente il sottosuolo (...). Il compratore ha diritto di esercitare l'escavazione nel modo che meglio crederà a suo insindacabile giudizio, scaricando lo spurgo delle cave; impiantarsi linee elettriche, condutture, baracche, macchinari, costruzioni, scivoli e quant'altro utile e necessario, ed aprirvi strade". Se è vero, infatti, che il trasferimento del diritto di proprietà di un terreno comprende, tra le facoltà attribuite al proprietario, anche il diritto di esercitare l'escavazione nel modo più ampio possibile, sicché la previsione in contratto di tale diritto in capo al (...) potrebbe sembrare superflua, essa ben si spiega se letta alla luce della clausola finale del contratto - "Tutte le spese del presente atto e relative si convengono a carico del compratore che avendo effettuato il presente acquisto per coltivarvi l'escavazione del marmo o pietra similare intende beneficiare della tassa fissa di registro ai sensi della L. 29 dicembre 1949, n. 955 art. 4" - da cui risulta evidente come essa sia stata introdotta al solo fine di permettere al compratore di ottenere il beneficio fiscale dell'applicazione di una minore imposta di registro. Se è vero, poi, che è ben possibile, come sottolineato anche dalla SC, l'alienazione separata del sottosuolo, quale entità reale giuridicamente autonoma, da parte del proprietario del terreno, in tal modo "scindendosi l'originaria unica proprietà appartenente ad un solo soggetto in più proprietà distinte in senso verticale facenti capo a soggetti diversi", nel caso di specie la vendita separata del sottosuolo dal soprasuolo o la costituzione di un diritto di superficie sul sottosuolo ai sensi dell'art. 955 c.c. in favore del (...), come sempre sostenuto dalla difesa di (...), non può ricavarsi dalla previsione, nell'atto, della intenzione del compratore di "coltivare nei detti terreni montani una cava di pietra o marmo e quindi sfruttare intensivamente il sottosuolo; tutta la legna, erba e pattume resteranno a beneficio del venditore, suoi eredi e successori", non essendovi alcuna incompatibilità o incongruenza, come affermato dalla stessa SC, nella sentenza che ha cassato con rinvio, tra la vendita immobiliare e l'attribuzione espressa al compratore del diritto di escavazione e al venditore del diritto su legna, erba e pattume. Anche volendo, infatti, prescindere dalla considerazione che se le parti avessero, effettivamente, voluto alienare al (...) esclusivamente il diritto di superficie (o di proprietà) sul sottosuolo col mantenimento della proprietà del soprasuolo, gravato dal predetto diritto, lo avrebbero espressamente e chiaramente scritto e, soprattutto, non avrebbero avuto la necessità di riservare al proprietario del suolo il (solo) diritto di ricavare dal terreno la legna, l'erba ed il pattume, rimanendo egli, quale proprietario, titolare di ogni più ampio diritto non inciso dal diritto reale minore attribuito all'acquirente, non può non sottolinearsi come tutte le altre previsioni contrattuali, più volte richiamate, contrastino chiaramente con tale interpretazione, univocamente riguardando la vendita dei terreni nella loro interezza. Piuttosto il mantenimento, in capo al venditore, suoi eredi e successori, del diritto di ricavare dal terreno legna, erba e pattume meglio si inquadra nella fattispecie della compravendita immobiliare con costituzione, in favore del venditore - propriamente non denominato nell'atto proprietario - del diritto di uso del terreno con attribuzione del godimento della legna, erba e pattume ai sensi dell'art. 1021 c.c., compatibile, in quanto esercitato sul soprasuolo, con l'intenzione dell'acquirente del terreno di utilizzarlo per lo sfruttamento intensivo del sottosuolo, e con il limite, espressamente specificato dalle parti, del pieno diritto del compratore - proprio in quanto proprietario del terreno nel suo complesso - "di esercitare l'escavazione nel modo e come meglio crederà a suo insindacabile giudizio", utilizzando anche il soprasuolo per scaricarvi lo spurgo delle cave, impiantare linee elettriche, condutture, baracche, macchinari, costruzioni, scivoli, e aprirvi strade, facoltà del tutto incompatibili con il trasferimento del solo diritto di sfruttamento del sottosuolo, con riserva della proprietà dei terreni in capo al venditore. Ancor più significativa in questo senso, oltre alla suddetta previsione del diritto dell'acquirente di potere realizzare strade (ovviamente sul soprasuolo) a proprio "insindacabile giudizio" - e non invece la costituzione, da parte del venditore, di servitù a carico del soprassuolo e in favore del sottosuolo, come avrebbe dovuto essere se ad essere ceduto fosse stato il diritto di proprietà esclusivamente sul sottosuolo - è anche la contestuale costituzione da parte del venditore "a favore degli immobili venduti con presente atto al sig. (...)" (e non già a favore del sottosuolo) di una "servitù attiva di passaggio con una strada della larghezza media ml. 3,50 (tre e cinquanta centimetri)" non già a carico del soprasuolo bensì "sui restanti immobili di sua proprietà in comune di Paitone", ad ulteriore conferma della perdita, a seguito dell'atto di compravendita, della proprietà dei terreni in questione da parte del venditore che, in caso contrario, non avrebbe certo potuto costituire una peso a carico di altri fondi di sua proprietà per l'utilità di terreni anch'essi (rimasti) di sua proprietà, secondo il noto brocardo nemini res sua servit. Contrariamente dunque, a quanto sempre sostenuto dalla difesa di (...), a fronte del chiaro testo contrattuale, dal quale si evince la comune volontà dei contraenti all'immediato trasferimento al (...) della proprietà e del possesso dei terreni identificati nell'atto, con la clausola suddetta le parti hanno solamente voluto costituire, in favore del venditore e proprio in quanto compatibile con la destinazione che all'immobile l'acquirente intendeva conferire, un diritto reale minore riconducibile al diritto d'uso ex art. 1021 c.c., di cui sono presenti tutti gli elementi costitutivi (finalità di soddisfacimento dei bisogni dell'utilizzatore e della sua famiglia; servirsi della cosa, se fruttifera, raccogliendone i frutti, nella specie legna, erba e pattume, quali frutti naturali del terreno; estensione del diritto agli eredi e ai successori e non agli aventi causa, stante il divieto di cessione del diritto d'uso previsto dall'art. 1024 c.c.). Va, dunque, accertato e dichiarato in capo a (...) e ai suoi eredi il diritto di proprietà dei terreni meglio identificati nell'atto di compravendita del 1 luglio 1962, trascritto il successivo 14 luglio 1962, come risultante dal timbro apposto sull'atto, tempestivamente depositato in allegato all'atto di citazione nel giudizio di primo grado, risultando pertanto superflua la produzione in giudizio anche della nota ai fini della prova della trascrizione ed ininfluente il suo tardivo deposito. Tale diritto non può essere scalfito dall'inserimento nella denuncia di successione dei medesimi terreni già oggetto di vendita al (...), da parte degli eredi di (...), né tantomeno dalla stipula del successivo atto del 5.11.1988 di vendita degli stessi terreni a (...) in quanto -anche a volere qualificare l'acquirente quale "terzo" - trattasi in ogni caso di atto trascritto successivamente. Passando dunque ad esaminare le altre domande proposte dalle parti, in primo luogo va dichiarata inammissibile la domanda formulata dal (...) solo con la memoria ex art. 183, quinto comma, c.p.c., e quindi tardivamente, volta all'accertamento della perenzione per non uso ventennale del diritto riconosciuto in capo al venditore alla legna, erba e pattume, e alla domanda di condanna al rilascio del fondo da parte dei venditori quale conseguenza dell'avvenuta estinzione del predetto diritto, entrambe nuove rispetto alla domanda avanzata con l'atto di citazione e non dipese dalle difese o dalle domande della controparte, avendo potuto, dunque, essere proposte sin dalla introduzione del giudizio. La domanda riconvenzionale principale proposta da (...) e volta all'accertamento dell'intervenuta perenzione per non uso ventennale del diritto di superficie acquistato da (...) per effetto del contratto del 1962 rimane, invece, assorbita per effetto dell'accoglimento della domanda principale proposta dal (...) e del conseguente accertamento del trasferimento del diritto di proprietà e non già del diritto di superficie sui fondi per cui è causa. La domanda, proposta in via subordinata, da (...) e volta ad accertare e dichiarare l'acquisto per usucapione dei terreni compravenduti va, invece, respinta in quanto infondata. Il predetto avrebbe, infatti, dovuto dimostrare di avere esercitato sui terreni compravenduti attività dominicali più ampie e diverse da quelle già rientranti nel diritto d'uso attribuitogli dal contratto (godimento della legna, erba e pattume ricavabile dai fondi) e/o di avere tenuto comportamenti diretti ad impedire al proprietario di utilizzare il fondo, mentre i testi escussi ((...) e (...)) hanno esclusivamente riferito, senza peraltro specificare se si trattasse dei terreni oggetto di compravendita o di altri estranei al giudizio (dall'atto risulta la proprietà in capo a (...) di altri terreni confinanti), che, oltre al taglio dell'erba e del legno, (...) e prima di lui il padre (...), avevano fatto pascolare le mucche sul terreno e avevano realizzato, oltre venti anni prima, vasche per abbeverare gli animali e un capanno di caccia. Osserva la Corte come il pascolo degli animali e la conseguente realizzazione di uno o più abbeveratoi, manufatti di piccolissime dimensioni, ben possono farsi rientrare nell'ambito del diritto di godimento dell'erba, attraverso il pascolo, attribuito dal titolo, così come la realizzazione di un capanno, in quanto indispensabile per il ricovero degli attrezzi necessari per l'esercizio di tale diritto. Procedendo, quindi, alla regolamentazione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio, di quello per Cassazione e del presente giudizio di rinvio, da effettuarsi in via unitaria per tutti i gradi in ragione del complessivo esito della causa, ritiene la Corte che vada disposta la compensazione parziale delle spese di lite nella misura di 1/3 in considerazione della parziale soccombenza del (...) con riferimento alla declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale di perenzione per non uso del diritto costituito a favore del venditore, suoi eredi e successori e alla rinuncia alla domanda già nel giudizio di primo grado nei confronti di (...); la residua parte va posta a carico di (...) e (...) (quest'ultima solo con riferimento alle spese dei primi due gradi del giudizio), in solido, secondo il principio della soccombenza nella misura che si liquida in dispositivo, tenuto conto dei valori medi ex D.M. n. 147 del 2022 (valore indeterminabile). (...) e (...) vanno condannati, in solido, a restituire a (...) la somma che quest'ultimo ha già pagato a titolo di spese processuali in esecuzione della sentenza cassata, oltre interessi nella misura legale dal pagamento al saldo. P.Q.M. La Corte d'Appello di Brescia, sezione prima civile, giudicando nel presente giudizio di rinvio, definitivamente pronunciando: -dichiara che (...), e per esso il suo erede (...), ha acquistato la proprietà dei terreni identificati nell'atto notarile del (...) notaio A. rep. (...) e racc (...), con i mappali (...), (...) e (...), ora mappali (...) e (...), foglio (...), del Comune di P., e per l'effetto, ordina alla competente Agenzia del Territorio - Servizio dei Registri Immobiliare, di provvedere alla trascrizione della presente sentenza, con esenzione da ogni responsabilità; -dichiara inammissibili le domande proposte da (...) di cui alla memoria ex art. 183, comma V, c.p.c., volte alla declaratoria di intervenuta estinzione, per non uso ventennale, del diritto al beneficio della legna, dell'erba e del pattume, riconosciuto a (...) e ai suoi eredi e successori; -rigetta ogni altra domanda; -condanna (...) e (...), in solido tra loro, a restituire a (...) quanto da quest'ultimo pagato a titolo di spese legali in esecuzione della sentenza della Corte di Appello n. 34/2014 del 08.01.2014, oltre interessi nella misura legale dal pagamento al saldo; - compensa nella misura di 1/3 le spese dei due gradi del giudizio, del giudizio per Cassazione e del presente giudizio di rinvio, e condanna (...) e (...), in solido tra loro, quest'ultima limitatamente ai primi due gradi del giudizio, al pagamento delle spese residue in favore di (...); - liquida le spese, per l'intero, in Euro 2127,00 per la fase di studio, Euro 1416,00 per la fase introduttiva, ed Euro 3738,00 per la fase istruttoria, Euro 3579,00 per la fase decisoria del giudizio di primo grado, in Euro 2518,00 per la fase di studio, Euro 1665,00 per la fase introduttiva, Euro 4287,00 per la fase decisoria del giudizio di secondo grado, in Euro 2869,00 per la fase di studio, Euro 2224,00 per la fase introduttiva ed Euro 1492,00 per la fase decisoria del giudizio per Cassazione, in Euro in Euro 2518,00 per la fase di studio, Euro 1665,00 per la fase introduttiva, Euro 4287,00 per la fase decisoria del presente giudizio di rinvio, oltre Euro 310,00 ed Euro 777,00 per contributo unificato, spese forfettarie, Iva e cpa se e nella misura per legge dovute. Così deciso in Brescia il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Napoli, II sezione civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dott. Rosaria Papa - Presidente-rel. dott. Sergio Gallo - Consigliere dott. Alessandra Piscitiello - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 779/2019 Ruolo Gen. avente ad oggetto: appello avverso sentenza n. 8072/2018 del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, riservata in decisione all'udienza del 7 dicembre 2022, celebrata nelle forme della trattazione scritta, e vertente TRA (...) (c.f. (...) ), (...) (c.f. (...)) E (...) (c.f. (...) ) rappresentati e difesi, in virtù di procura in calce all'atto di appello, dagli avv. Ma.Ar. e Gi.Bu., elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Forio d'Ischia, vai (...); APPELLANTI E (...) (c.f. (...)) rappresentato e difeso, in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione, dall'avv. Gi.Ma., presso il quale è elettivamente domiciliato in Forio d'Ischia, via (...); APPELLATO APPELLANTE INCIDENTALE MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza depositata il 20.9.2018 il Got del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, ha respinto la domanda di negatoria di servitù proposta da (...), (...) e (...) nei confronti di (...) con atto di citazione notificato il 25.2.2002 - volta a far accertare : l'inesistenza del diritto del convenuto ad aprire i due varchi di accesso sul viale di proprietà esclusiva di essi attori, del diritto di passaggio su detto viale, del diritto ad apporre il contatore (...) ed i relativi fili di alimentazione sullo stesso, e ad ottenere : la condanna dei convenuti alla chiusura dei varchi, alla cessazione della pratica di passaggio, "a richiedere all'(...)" lo spostamento del contatore e dei fili, ed al risarcimento dei danni-; ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto e, per l'effetto, ha accertato l'acquisto per usucapione della servitù di passaggio pedonale e carrabile sui beni di proprietà di parte attrice ; ha costituito in favore del (...) "servitù coattiva di diritto di passaggio di due varchi" meglio descritti nella pronuncia ; ha posto il pagamento delle spese di lite a carico degli attori soccombenti. Nel motivare tale decisione, il Tribunale, dopo aver premesso che il titolo d'acquisto del (...) (atto per notaio (...) di (...) del (...)) nulla specificava in ordine all'accesso al fondo, ma si limitava a precisare che la vendita aveva ad oggetto il bene nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, con ogni accessorio, accessione, dipendenza, servitù, ha ritenuto che le dichiarazione dei testi di parte convenuta avessero dimostrato l'esercizio del passaggio pedonale e con mezzi agricoli sul vialetto di proprietà degli attori da parte del convenuto e dei suoi familiari da oltre quarant'anni, ed ancora che il vialetto, prima dell'acquisto immobiliare del convenuto, aveva la larghezza di m. 1,50 ed era stato allargato a 3 metri con la cessione da parte del (...) di una striscia di fondo di sua proprietà ; ha soggiunto che al fondo del (...), oggi urbanizzato, si accede da almeno vent'anni attraverso i varchi realizzati da quest'ultimo, mentre in origine, quando il fondo era agricolo ed era utilizzato per la coltivazione di frutta e l'allevamento dei conigli, detti accessi avevano diversa conformazione ma comunque erano tali da consentire il passaggio di persone e mezzi meccanici . Ha concluso che, come emerso dalla prova orale, il (...) ed i suoi danti causa avevano esercitato il passaggio in modo pacifico, pubblico e non interrotto per oltre venti anni, maturando l'acquisto per usucapione. Per la riforma di tale sentenza, notificata in data 17.1.2019 unitamente all'ordinanza di correzione di errore materiale del 2.11.2018, hanno proposto appello (...), (...) e (...) con atto di citazione notificato il 13.2.2019, chiedendo l'accoglimento delle domande proposte in primo grado ed il rigetto delle riconvenzionali, vinte ed attribuite le spese del doppio grado di lite. Con comparsa depositata il 10.5.2019 per l'udienza, indicata in citazione, del 3.6.2019, si è costituito il (...), resistendo all'appello principale e spiegando appello incidentale finalizzato ad ottenere la riforma del capo c) della decisione, emendando la statuizione "Costituisce servitù coattiva del diritto di passaggio di due varchi ?" con la locuzione "Riconosce il diritto a mantenere in sito i due varchi" così come descritti dal Tribunale, vinte ed attribuite le spese del grado. Richiesto, senza esito, il fascicolo d'ufficio della prima fase del giudizio, e prodotte le copie dei verbali di udienza del primo grado a cura delle parti, all'udienza del 7 dicembre 2022 la causa è stata riservata in decisione con l'assegnazione dei termini ordinari di cui all'art. 190 c.p.c.. Entrambe le parti hanno depositato comparsa conclusionale e memoria di replica. Verificata d'ufficio la tempestività del gravame principale e del gravame incidentale, rispettivamente in relazione al termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. ed al termine c.d. interno di cui all'art. 343 c.p.c., osserva il Collegio che l'appello principale è affidato a tre motivi. Con il primo, gli appellanti denunciano "violazione dell'art. 116 c.p.c., erronea valutazione del materiale probatorio, omesso esame di documenti rilevanti ai fini della decisione, violazione degli artt. 1158 e 1146 c.c., erronea valutazione del requisito dell'apparenza". Gli appellanti protestano l'erroneità della sentenza impugnata per aver fondato la decisione unicamente sulle deposizioni rese dai testi di parte convenuta, senza esaminare i documenti in atti, idonei ad escludere "ab nuce" un possibile acquisto per usucapione della servitù in capo al convenuto per assenza dei relativi requisiti . Anzitutto, evidenziano che, avendo il (...) acquistato il fondo presunto dominante soltanto nel 1995 ed essendo stata proposta l'azione negatoria di servitù nel 2002, in favore del convenuto non è potuto maturare il ventennio necessario al compimento dell'usucapione, né il (...) può unire il preteso possesso di servitù a quello del suo dante causa, (...), perché il titolo di acquisto di quest'ultimo (atto per notar (...) del (...)) prevedeva soltanto un diritto personale di aprire un varco di passaggio pedonale sul viale di proprietà attorea, non trasmissibile agli eredi né agli aventi causa . Soggiungono che la facoltà accordata al (...) non fu esercitata, posto che i testi hanno riferito che i varchi (due, entrambi carrabili) furono aperti per la prima volta dal (...) dopo il suo acquisto del 1995 . Gli impugnanti rimarcano che il fondo di proprietà (...) fino al 1995 era in stato di abbandono, ricoperto di rovi, senza fabbriche di alcun tipo né varchi o aperture sul viale attoreo, così come dimostrano le foto aeree allegate alla perizia di parte redatta dal geom. (...), prodotta in giudizio e ritenuta irrilevante dal primo giudice. Ancora, lamentano l'erroneità della decisione nella parte in cui ha attribuito credibilità alla dichiarazione dei testi secondo cui il (...) aveva provveduto all'ampliamento del viale da m. 1,50 a m. 3, evidenziando che si tratta di una circostanza mai dedotta dal convenuto nella propria difesa ed in netto contrasto con essa . Deducono che il Tribunale è incorso in errore anche nella parte in cui ha affermato la sussistenza di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù di passaggio, giacché non ha considerato che, a tal fine, non è sufficiente l'esistenza del viale ma occorre un "quid pluris" che riveli la sua specifica destinazione all'esercizio della servitù. Con il secondo motivo, rubricato "omesso esame dei titolo, violazione dell'art. 116 c.p.c., violazione degli artt. 1144 e 1146 c.c. , erronea motivazione in merito alla tolleranza, violazione delle norme in tema di onere della prova nella "negatoria servitutis", gli appellanti denunciano l'errore del Tribunale per aver ignorato la natura meramente personale ed intrasmissibile del diritto concesso al dante causa del (...), comprovata dagli atti, che vale ad escludere il possesso, giacché anche a voler ritenere che, da parte del dante causa del (...), sia stato esercitato un potere di fatto, si tratterebbe comunque di una situazione di mera detenzione, inidonea a fondare l'usucapione ; lamentano che il primo giudice non ha esaminato i titoli e le difese di parte attrice e non ha considerato che la convenzione di natura obbligatoria era stata più volte richiamata proprio per escludere l'applicabilità dell'art. 1146 c.c. e quindi per negare l'usucapione in base al solo possesso del (...), protrattosi per un periodo di tempo insufficiente, pari a 7 anni . Infine, gli impugnanti censurano la decisione nella parte in cui non ha accolto la domanda di rimozione del contatore (...) e dei fili di alimentazione, osservando che il convenuto non ha dimostrato il diritto di mantenerle "in loco". Con il terzo motivo, gli appellanti denunciano violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale costituito "servitù coattiva di diritto di passaggio di due varchi" in assenza di una domanda in tal senso. Tale capo di sentenza risulta impugnato anche con il gravame incidentale, con il quale si deduce che la sentenza impugnata, dopo aver riconosciuto in favore del (...) l'usucapione della servitù di passaggio, ha inteso riconoscere al medesimo anche il diritto a mantenere "in loco" i due varchi oggetto delle domande giudiziali, incorrendo tuttavia, con l'espressione "costituisce servitù coattiva", in un mero errore materiale, emendabile dalla Corte distrettuale con l'accertamento del diritto a mantenere in sito i due varchi. Osserva il Collegio che le censure articolate dagli appellanti principali con il primo ed il secondo mezzo sono meritevoli di accoglimento. Mette conto ricordare che gli attori, muovendo dalla premessa di essere proprietari del fabbricato con annesso viale di accesso acquistati con atto di compravendita per notaio (...) del 14.9.2001, hanno agito in "negatoria servitutis" nei confronti di (...), proprietario di terreni limitrofi, lamentando che il medesimo aveva aperto, abusivamente e senza alcun titolo, due varchi di accesso sul viale di proprietà esclusiva di essi attori, con apposizione dei relativi cancelli, ed aveva in tal modo instaurato su detto viale un'illegittima pratica di passaggio a favore dei suoi fondi ; ancora, hanno addebitato al convenuto di aver installato nel viale il contatore dell'energia elettrica che alimenta le sue costruzioni e di aver fatto passare nel sottosuolo i relativi fili elettrici. Resistendo all'azione così proposta, il convenuto ha dedotto di aver acquistato nel 1995 il proprio terreno che godeva di accesso dal terreno di proprietà degli attori, ed ha proposto domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di servitù pedonale e carrabile sostenendo che "sia il comparente sig. (...) sia i propri dante causa hanno sempre, e comunque da oltre venticinque anni,pacificamente, pubblicamente ed ininterrottamente acceduto al proprio fondo, anche con mezzi meccanici, attraverso la porzione del fondo attualmente di proprietà degli attori ove insiste il viale oggetto delle doglianze attoree ed in particolare attraverso i varchi d'accesso che affacciano su detto viale". La proprietà del viale oggetto di lite in capo agli attori non è stata dunque contestata, e risulta altresì comprovata dagli atti di compravendita per notaio (...) del 14.9.2001, con i quali gli stessi acquistarono le porzioni di fabbricato ed il terreno pertinenziale ivi descritti, tra cui la p.lla (...) del foglio (...) di are 3,60 che identifica il viale per cui è causa. Essendo pacifica e, comunque, dimostrata la titolarità del diritto dominicale in capo alla parte attrice, secondo i principi generali in materia di ripartizione dei carichi probatori in materia di azione negatoria di servitù gravava sul (...) l'onere di dimostrare il diritto di servitù di passaggio asseritamente acquistato a titolo originario ; posto che il titolo di proprietà del (...) risale al 13.9.1995 e che il giudizio è stato introdotto con citazione notificata il 25.2.2002, l'odierno appellato ha fatto valere l'unione del proprio preteso possesso a quello dei suoi danti causa ai fini del compimento del ventennio necessario per l'usucapione. Sennonché la prospettazione difensiva che fa leva sull'unione dei possessi ai sensi dell'art. 1146 comma 2 c.c. si rivela in contrasto con le risultanze del titolo di (...), dante causa dell'appellato, dal quale si evince con chiarezza che al (...) fu concessa una facoltà personale, di natura obbligatoria, di aprire un varco di passaggio pedonale sul viale oggetto della odierna controversia, sicché il potere di fatto eventualmente esercitato dal medesimo (ed oggetto di contestazione) è qualificabile in termini di detenzione e non è perciò idoneo a fondare l'usucapione, salva la prova dell'interversione. Invero, dall'atto per notaio (...) del 25.2.1981 emerge che (...) alienò l'appezzamento di terreno ivi descritto ad A.G. e costituì servitù di passaggio a favore della proprietà residua di esso venditore identificata dalla p.lla 42 del foglio (...), mentre per la p.lla (...), che è quella successivamente alienata al (...), gli fu concesso dall'acquirente "? a titolo espressamente ed esclusivamente personale, la facoltà di aprire un varco di passaggio pedonale lungo il tratto del passaggio carrabile ricadente sulla particella (...), per accedere alla residua proprietà di esso (...) rappresentata dalla particella (...) ex (...)/a. Conseguentemente la concessa servitù cesserà in caso di alienazione del fondo dominante o in caso di dipartita del concessionario in quanto di natura personale". Dal tenore, chiaro ed inequivoco, della clausola emerge all'evidenza che le parti non intesero assoggettare il viale identificato dalla p.lla (...) al peso di una servitù di aprire un varco e di passaggio pedonale, a vantaggio del fondo identificato dalla p.lla (...) del (...), bensì intesero costituire a favore del medesimo un diritto di natura personale ed obbligatoria, destinato a cessare con la morte del titolare o in caso di vendita del bene ; la durata temporanea del diritto accordato ed il reiterato riferimento alla sua natura personale non consentono di dubitare che la volontà dei contraenti fu quella di costituire una servitù non avente carattere reale, ma personale, stipulando un contratto atipico la cui ammissibilità deriva dal principio dell'autonomia contrattuale codificato dall'art. 1322 c.c. ed è riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 2651/2010; 8363/2011; 3091/2014; 25195/2021). Invero, secondo l'orientamento della S.C., in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c. è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori, stabilendo non già l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", ma un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona indicata nell'atto costitutivo senza alcuna funzione di utilità fondiaria. Considerato, dunque, che la relazione di fatto con il bene trova origine in un rapporto obbligatorio, essa deve essere qualificata in termini di detenzione; peraltro, gli appellanti hanno negato che il (...) abbia mai esercitato la facoltà che gli era stata riconosciuta con l'atto del 1981, evidenziando come, al fine di esercitare il passaggio, l'apertura del varco sarebbe stata necessaria perché il viale era separato dal fondo del (...) da un muro a secco divisorio, e che tuttavia il varco non fu mai aperto, giacchè a creare il collegamento - mediante l'apertura di due varchi carrabili oggetto di lite - provvide il (...) soltanto nel 1995, successivamente al suo acquisto ; la tesi difensiva trova riscontro nelle deposizioni testimoniali giacchè entrambi i testi addotti da parte convenuta, (...) e (...), hanno riferito che i varchi attualmente esistenti sono stati realizzati dal (...), dopo il suo acquisto . Dunque, dalle risultanze della prova orale non può inferirsi che il dante causa del (...) abbia esercitato quel diritto di natura personale che gli era stato riconosciuto con l'atto per notaio (...) del 1981, con la conseguenza che non vi è alcuna certezza circa la pregressa relazione di fatto con il bene da parte del medesimo ; del resto, ancorchè si accedesse alla tesi contraria, non potrebbe non rilevarsi che la relazione di fatto con il bene da parte del (...), proprio perché si fonda su un rapporto negoziale attributivo di un diritto personale, sarebbe astrattamente configurabile come detenzione e non come possesso e non sarebbe perciò utile ai fini dell'usucapione . Invero, ai sensi dell'art. 1158 c.c. l'usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri diritti reali che si fonda sull'esercizio del possesso continuato per venti anni; tuttavia, qualora si tratti del possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui, il possessore può usucapire la proprietà della cosa soltanto mediante l' "interversio possessionis" ovvero mutando il titolo del suo possesso (art. 1164 c.c.) . Ciò significa che quando il potere di fatto sia inizialmente esercitato a titolo di detenzione, per il perfezionarsi dell'usucapione è richiesto un atto di interversione in opposizione al proprietario, tale da manifestare il possesso pieno, escludendone il titolare; occorre, in particolare il compimento di attività materiali che rendano esteriormente riconoscibile all'avente diritto che il detentore aveva iniziato a possedere in modo esclusivo. Ciò in quanto il detentore, ancorchè qualificato, non può trasformare la detenzione in possesso mediante un mero atto di volizione interna, né mediante l'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione è stata costituita, né mediante meri atti di esercizio del possesso, idonei solo a sostanziare un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (giurisprudenza costante; cfr. da ultimo Cass. 15576/2022). Nel caso di specie, al fine dell'invocata unione dei possessi, il (...) avrebbe dovuto allegare e provare che già il suo dante causa (...) aveva aperto il varco sul viale di proprietà attorea ed esercitato il passaggio e che ciò aveva fatto mutando il titolo del suo possesso, vale a dire ponendo in essere attività materiali idonee a rendere riconoscibile al proprietario la volontà di esercitare un possesso pieno, non più "animo detinendi" ma "animo possidendi". Soltanto ove avesse offerto tale prova, il (...) avrebbe potuto unire il suo possesso a quello del dante causa; non avendo nemmeno allegato circostanze idonee a fondare l'"interversio", non può giovarsi del meccanismo di cui all'art. 1146 comma 2 c.c., né far valere soltanto la durata del suo possesso, protrattosi per 7 anni e perciò del tutto insufficiente a fondare l'usucapione. Pertanto, in ragione di tale assorbente rilievo, deve pervenirsi all'accoglimento della domanda attorea di negatoria delle servitù relative all'apertura dei varchi ed al diritto di passaggio, condannando l'appellato alla chiusura dei varchi ed alla cessazione della pratica di passaggio lungo il viale attoreo, con conseguente rigetto delle contrapposte domande riconvenzionali di acquisto a titolo originario delle relative servitù ; per effetto di tale decisione, risulta caducato anche il capo c) della sentenza, con conseguente assorbimento del terzo motivo del gravame principale e dell'appello incidentale involgenti tale capo. Quanto alla pretesa relativa al contatore (...) ed ai fili di alimentazione, il (...) non ha contestato l'utilizzo del bene altrui né ha addotto alcun titolo che giustifichi l'imposizione del peso, sicchè sul punto, l'azione negatoria risulta fondata ; diversamente, non può accedersi alla richiesta di condanna dell' appellato "a richiedere all'(...) l'immediato spostamento del contatore e dei fili di alimentazione", così formulata in citazione, trattandosi di un "facere" non suscettibile di esecuzione forzata. Parimenti, non può accogliersi la domanda accessoria di risarcimento danni, perché, pur potendo riconoscersi la natura potenzialmente lesiva della imposizione di una servitù di fatto, limitativa dell'uso e del godimento del bene da parte del proprietario, nel caso di specie la scarna e generica allegazione di parte attrice circa i "danni patiti a seguito degli abusi perpetrati" rivela una carenza assertiva che preclude in radice l'accertamento del preteso pregiudizio patrimoniale mediante il ricorso alla prova presuntiva (cfr. Cass. 21441/2022). La soccombenza dell'appellato in ordine ai capi delle domande attoree che hanno maggiormente interessato il dibattito processuale ed in ordine alla spiegata riconvenzionale governa le spese del doppio grado di lite, che si liquidano in dispositivo secondo D.M. n. 55 del 2014, come modificato con il D.M. n. 127 del 2022, con attribuzione in favore dell'avv. (...) che ne ha fatto richiesta ex art. 93 c.p.c. in memoria di replica. P.Q.M. La Corte d'Appello di Napoli, II sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...), (...) e (...) avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, depositata il 20.9.2018, così provvede: a) in accoglimento dell'appello principale ed in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie per quanto di ragione la domanda proposta da (...), (...) e (...) nei confronti di (...) con atto di citazione notificato il 25 febbraio 2002, e per l'effetto: accerta l'inesistenza del diritto di (...) ad aprire i due varchi di accesso sul viale di proprietà degli attori, del diritto di passaggio sul detto viale e del diritto all'apposizione del contatore dell'(...) e dei relativi fili di alimentazione sul viale, e condanna (...) all'immediata chiusura dei due varchi abusivi ed alla cessazione della pratica di passaggio lungo il viale attoreo; b) rigetta, nel resto, la domanda attorea; c) rigetta la domanda riconvenzionale proposta da (...); d) dichiara assorbiti il terzo motivo dell'appello principale e l'appello incidentale; e) condanna l'appellato al pagamento delle spese del doppio grado di lite, liquidate, quanto al giudizio di primo grado, in Euro 100,00 per spese ed Euro 2.550,00 per compensi e, quanto al giudizio d'appello, in Euro 147,00 per spese ed Euro 1.923,00 per compensi, oltre il rimborso delle spese generali in misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario avv. (...). Così deciso in Napoli l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Corte D'Appello di Roma 7 SEZIONE La Corte D'Appello di Roma, 7 SEZIONE, in persona dei magistrati: Dott. Franco Petrolati - Presidente Dr.ssa Assunta Marini - Consigliere Avv. Paolo Caliman - Giudice Ausil. Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado tra (...) (cf. (...)), elettivamente dom.ta in Roma al Corso (...), presso lo studio dell'avv. Ro.BO. (cf. (...)) che la rappresenta e difende come da Comparsa di costituzione, in sostituzione del precedente difensore, pec. (...); Appellante e (...) (cf. (...)), elett.te dom.to in Roma alla Via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.De. che lo rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all'avv. Si.Co. (c.f. (...)),giusta mandato in calce all'atto d'appello, pec. (...); Appellante Contro (...) (c.f. (...)) e (...) (cf. (...)), assistiti e difesi dall'Avv. CA.Ro. (cf. (...)), e dall'abogado CA.Em. (cf. (...)), giusta mandato a margine della Comparsa di Costituzione e Risposta, presso il cui studio in Velletri al C.so (...) elett.te domiciliano; pec (...), pec. (...); Appellati RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Nella sentenza n. 2360/2015 il Tribunale di Velletri per il procedimento avente RG. 1416/2015 ha emesso il seguente dispositivo: "Il Tribunale di Velletri ...., definitivamente pronunziando, così provvede: a) rigetta le domande proposte dagli attori in via principale; b) condanna (...) e (...) alla rimozione di tutte le installazioni presenti sopra e sotto il viale oggetto della servitù di passaggio costituita in data 13.5.1991, con ripristino dello status quo ante, c) rigetta ogni altra domanda; d) condanna (...) e (...), in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite sostenute da controparte, liquidate in Euro 7.254,00 per compensi, oltre accessori di legge, da distrarsi a favore dell'Avv. Roberto Caporali; e) pone le spese della c.t.u., liquidate come da separato decreto, definitivamente a carico di (...) e di (...) . Velletri 23.07.2015 f.to il G.U.". La vicenda avente ad oggetto il giudizio impugnato ha avuto il seguente svolgimento: con atto di citazione del 26.07.2005 (...) e (...) deducevano di essere proprietari, per acquisto fattone da (...) in data 13.05.1991, la prima di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Velletri, Contrada Colle Caldara, esteso ha. 1.08.55, distinto in catasto alla partita (...), foglio (...), p.lle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), nonché alla partita (...), foglio (...), p.lle (...), (...), (...), (...) e (...), con la specificazione che "L'accesso all'appezzamento di terreno in oggetto avverrà da un viale della larghezza di metri sei che partendosi dalla strada comunale denominata Antica Corriera Roma - Napoli dopo aver attraversato la restante proprietà del venditore distinta con le particelle (...), (...), (...) e (...) del foglio (...), correndo lungo tutto il confine verso le proprietà (...) - F. - S., immette a quanto in oggetto. Le spese per la costruzione di detta strada faranno carico alla parte acquirente"; il secondo di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Velletri, Contrada Colle Caldara, esteso ha. 51.50, distinto in catasto alla partita (...), foglio (...), p.lle (...), (...), nonché alla partita (...), foglio (...), p.lle (...) e (...), con la specificazione che "L'accesso all'appezzamento di terreno in oggetto avverrà da un viale della larghezza di metri sei che partendosi dalla strada comunale denominata Antica Corriera Roma - Napoli dopo aver attraversato la restante proprietà del venditore distinta con le particelle (...), (...), (...) e (...) del foglio (...), correndo lungo tutto il confine verso le proprietà (...) - F. - S., immette a quanto in oggetto". Successivamente con atto del 24.3.1995 (...) e (...) acquistavano sempre da (...) l'appezzamento di terreno sito nel Comune di Velletri, Contrada Colle Caldara, esteso ha. 1.82.80, distinto in catasto al foglio (...), p.lle (...), (...), (...), (...), (...), (...) sub (...), (...) sub (...), (...) sub (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) sub (...), (...), (...), (...), (...) e (...), dichiarando "di ben conoscere la servitù di passaggio gravante il terreno in oggetto costituita in seno all'atto autenticato nelle firme dal Notaio (...) di V. in data (...) rep. (...) reg.to il 3 giugno 1991 al n. 277". Deducevano gli attori, attuali appellanti, che i sig.ri (...) e (...), originari convenuti, avevano realizzato illegittimamente sul viale che conduce ai soli fondi (...) e (...) due servitù di passaggio: una servitù per accedere alla parte alta della proprietà di detti convenuti ed un'altra servitù per accedere, con attrezzature agricole, sull'altro terreno sempre di proprietà (...). Chiedevano pertanto l'eliminazione delle due suindicate servitù ritenute illegittime, nonché il regolamento dei confini, la relativa apposizione dei termini ed il ripristino della recinzione della proprietà (...), oltre al risarcimento danni per l'utilizzo illegittimo di detto viale per essere lo stesso di loro esclusiva proprietà. Costituitosi, i convenuti (...) e (...) chiedevano il rigetto della domanda perché infondata in virtù dell'esistenza di una servitù di passaggio a favore dei fondi (...) e (...) realizzatasi con la costruzione della strada sul fondo degli attuali appellati ed effettuavano domanda riconvenzionale per l'eliminazione delle opere realizzate, quali l'installazione di un nuovo cancello d'accesso al viale e delle opere interrate indicate da (...) e (...) quali opere d'urbanizzazione per la fornitura elettrica, gas ed acqua. Espletata c.t.u. la causa veniva stata assegnata all'udienza dell'08.04.2015 in decisione con i termini di legge Seguiva sentenza gravata. Con atto d'appello dell'08.03.2016 (...) e (...) hanno contestato la sentenza di primo grado sotto vari profili chiedendone la riforma a mezzo degli stessi difensori avv.ti (...) e (...), quest'ultimo rinunciatario al mandato per la (...) e solo per questa sostituito dall'avv. (...). Si sono costituiti (...) e (...), come in atti, chiedendo il rigetto dell'appello con vittoria di spese. Le parti hanno precisato le conclusioni ed all'udienza telematica di rinvio del 22.03.2023, per prosieguo conclusioni e per acquisizione fascicolo d'ufficio, la Corte ha assegnato la causa in decisione senza termini, per averne le parti già usufruito, per il deposito delle comparse conclusionali e repliche. Gli appellanti hanno formulato i seguenti motivi d'appello. 1) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. al caso di specie - Necessità di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Gli appellanti si dolgono per aver il Tribunale ritenuto inammissibile la domanda di regolamento di confini formulata da entrambe le parti. 2) Strumentalità del capo di sentenza appena esaminato in relazione alle ulteriori decisioni rese dal Tribunale. - Illogicità manifesta della sentenza. Il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi in merito all'incertezza sul confine tra le rispettive proprietà nonostante l'interesse delle parti ad ottenere la pronuncia dell'avvenuto sconfinamento. 3) Illegittimità della sentenza impugnata in quanto dichiaratamente fondata su presunzioni. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2729 c.c. Gli appellanti si dolgono che il Tribunale avrebbe in via presuntiva accertato, non sussistendone i presupposti, che la servitù fosse stata costituita per destinazione del padre di famiglia a favore dei fondi degli attuali appellanti. 4) Ultrapetizione in parte qua (quella concernente la pronuncia sulla proprietà della strada). - Invalidità e/o inefficacia nei confronti dei Sig.ri (...) e (...) del contratto di compravendita Rep. (...), Racc. (...), stipulato in data 24.03.1995 dai sigg.ri (...) e (...) per mancanza di valida trascrizione e per avere richiamato nella dichiarazione di accettazione della servitù da parte degli appellati il solo atto di vendita del (...) e non quello del (...). 5) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1051 c.c.. 6) Violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. 7) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1054 c.c.c - Ulteriori profili di illogicità manifesta della sentenza impugnata. 8) Ulteriori profili di violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e di illogicità manifesta della sentenza impugnata". La Corte così ragiona. In via preliminare rileva la Corte che il giudizio viene in decisione in mancanza del fascicolo d'ufficio di primo grado non rinvenibile, come da attestazione dell'08.03.2016 del Tribunale di Velletri ; in tal senso la Cassazione sentenza n. 1678/2016: "l'acquisizione del fascicolo d'ufficio di primo grado nel processo d'appello ha una funzione meramente sussidiaria; il procedimento di secondo grado, e la relativa sentenza, non sono viziati, né tale omissione può costituire motivo di ricorso per Cassazione, salvo che il ricorrente deduca che da detto fascicolo il Giudice avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili aliunde, che è suo onere indicare specificatamente". Questa Corte, con ordinanze del 14.12.2022 e del 16.02.2023, ha invitato le parti alla ricostruzione della c.t.u. d'ufficio mancante, ma a ciò le parti non hanno provveduto né risultano richieste di autorizzazione alla ricostruzione dei fascicoli; in tal senso Cassazione n.10164/2022 che, in tali ipotesi, esclude vizi del procedimento. Sui capi 1 e 2 dei motivi d'appello, in ordine alla domanda di regolamento dei confini che a dire delle parti appellanti sarebbe stata posta nell'atto introduttivo, il Collegio, esaminando la prospettazione della domanda e delle sue finalità osserva che trattasi di di azioni di confessoria e negatoria servitutis volte al riconoscimento o alla negazione del diritto di passaggio, così come correttamente ritenuto dal Tribunale. Tali motivi vanno pertanto disattesi. I rimanenti motivi di appello sono connessi e possono essere trattati congiuntamente. Ritiene il Collegio che l'interpretazione relativa alla costituzione della servitù di passaggio ed alla sua estensione vada risolta in base all'esame dei titoli. (...), comune dante causa, con gli atti di trasferimento indicati in narrativa ha inteso che su una minor consistenza delle particelle (...), (...), (...),(...) del foglio (...), fosse realizzata una strada comune ai fondi (...) e (...) per l'accesso senza limitazioni alla via pubblica. Nella descrizione degli atti Notarili di vendita viene anche dichiarato che "l'immobile nel vigente Piano Regolatore ricade in Zona C1 - Tipo B-Residenziale Estensiva " quindi destinato a civile abitazione risultando così evidente che, nel concedere l'accesso alla via pubblica tramite la costruenda strada, il (...) non abbia indicato la sola servitù di passaggio pedonale e carrabile, ma abbia inteso fornire all'acquirente la possibilità di effettuare le opere d'urbanizzazione che, come da documentazione indicata dall'appellante, risultano realizzate nel 1994, data antecedente all'acquisto del fondo B./M.. Lai servitù costituita per assicurare al fondo o ai fondi un vantaggio futuro tramite la costruzione di opera futura , ovvero la strada, è regolata dall'art.1029 , II comma, e si perfeziona solamente al momento della sua realizzazione; in tal senso Cassazione, sentenza 11.10.2016 n.20462 : " A differenza dell'ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 1029 c.c. (costituzione di una servitù per un vantaggio futuro), in cui, essendo esistenti tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù, questa viene ad esistenza immediatamente, la convenzione di cui al secondo comma dell'art. 1029, diretta alla costituzione di una servitù a favore o a carico di un edificio da costruire, dà luogo alla costituzione di un rapporto obbligatorio suscettibile di tramutarsi in un rapporto di natura reale soltanto al momento in cui l'edificio è costruito, realizzandosi all'atto della realizzazione dell'opera"; conforme Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 7 gennaio 2019, n. 128. Va quindi disattesa, con differente motivazione, la tesi dell'appellante che contestava la motivazione del Tribunale che aveva correttamente ritenuto l'esistenza di una servitù per destinazione del padre di famiglia. Né può ritenersi accoglibile la deduzione degli appellanti che vogliono ritenere la loro proprietà esclusiva della strada visto che, nell'atto di trasferimento (...), la costruenda strada viene indicata nella rimanente proprietà del venditore; mentre all'art.3 veniva espressamente precisato che: " l'accesso all'appezzamento di terreno in oggetto avverrà da un viale della larghezza di m.6 che partendosi dalla strada comunale denominata "Antica Corriera Roma-Napoli" dopo aver attraversato la rimanente proprietà del venditore distinta con le particelle (...), (...), (...),(...) foglio (...) ..." identificando così il tracciato della costituenda servitù di passaggio; particelle che successivamente vengono interamente trasferite ai coniugi (...), con l'atto del 24.3.1995. In virtù dell'avvenuta realizzazione della strada, le parti acquirenti dichiarano "di ben conoscere la servitù di passaggio gravante il terreno in oggetto costituita in seno all'atto autenticato nelle firme dal Notaio (...) di V. in data 13 maggio 1991 rep. (...) reg.to il 3 giugno 1991 al n. 277" circostanza questa sufficiente a far ritenere l'esistenza della servitù di passaggio. In tal senso l'orientamento della Cassazione: "La titolarità attiva e passiva della servitù trapassa con il trasferimento del fondo, come conseguenza necessaria del trasferimento di questo, nella stessa guisa che trapassano inevitabilmente le qualità oggettive, vantaggiose o svantaggiose del fondo, anche quando la servitù non è menzionata nel titolo ... Al terzo acquirente di un fondo servente la servitù prediale è opponibile non soltanto quando il titolo costitutivo di essa è trascritto, ma anche quando la servitù' è menzionata nell'atto di trasferimento". Anche tale doglianza va disattesa. Va quindi esaminato il motivo d'appello in ordine alla partecipazione del fondo (...), fondo servente, alle spese per l'utilizzo della strada interpoderale di collegamento alla via pubblica. Il fondo (...) utilizza tale strada per l'attività agricola e per raggiungere i fondi che sono più a monte della proprietà (...); tale fondo è quindi tenuto a partecipare alle relative spese di manutenzione (art.1069 c.c.. III comma.), trattandosi di opere essenziali per la conservazione della servitù e che sono di giovamento anche al proprietario del fondo servente. Va quindi esaminato il motivo d'appello, oggetto di domanda riconvenzionale, circa la rimozione ordinata dal tribunale del cancello installato dai proprietari del fondo dominante, all'ingresso della strada in sostituzione di uno precedente, non più utilizzabile; la doglianza è legittima e la sentenza sul punto va riformata, ma va altresì precisato che il titolare del fondo dominante all'atto dell'installazione del cancello era tenuto a garantire il pari accesso al titolare del fondo servente in tal senso la Cassazione, Ordinanza n.21928 del 02.09.2019 : " In tema di servitù di passaggio carraio, il proprietario che abbia chiuso il fondo servente, dotandolo di cancello automatico, è tenuto all'installazione di dispositivi ovvero ad individuare modalità atte a garantire, ai sensi dell'art. 1064, comma 2, c.c., il diritto al libero e comodo accesso ad esso da parte del proprietario del fondo dominante e dei terzi - da lui autorizzati, neilimiti della normalità - senza che ciò comporti alcun ampliamento delle facoltà del proprietario del fondo dominante, con aggravamento della servitù". Va quindi, in riforma del relativo punto della gravata sentenza, disposto il ripristino, a spese del fondo (...), del cancello di ingresso al viale per cui è causa, con consegna delle chiavi e modalità di accesso alle altre parti aventi il medesimo diritto. Risulta inoltre dalla stessa documentazione fornita dalla parte appellata, (allegato 20 - Relazione tecnica Geom. (...) in risposta alla bozza di c.t.u. Ing. (...)) l'occupazione da parte del fondo (...) di una zona, indicata come area 5, adiacente la particella (...), che riduce l'ampiezza del viale; in accoglimento della domanda di parte appellante ed in riforma della gravata sentenza tale zona deve essere restituita al fine di permettere il ripristino delle dimensioni della servitù di passaggio. L'appello è parzialmente fondato e può essere accolto negli indicati limiti. Atteso il parziale accoglimento dell'appello e la conseguente riforma della sentenza di primo grado, vista anche la soccombenza della parte appellata all'esito del rigetto della domanda riconvenzionale formulata in primo grado, si dichiarano compensate le spese del doppio grado, comprensive delle spese di c.t.u. come liquidate in primo grado. P.Q.M. La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) e (...) nei confronti di (...) e (...) avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 2360/2015 così provvede: 1) In parziale accoglimento dell'appello ed in parziale riforma della sentenza gravata, accerta l'obbligo del fondo (...) e (...) alla partecipazione alle spese di manutenzione della servitù di passaggio a favore dei fondi (...) e (...); dichiara inoltre (...) e (...) tenuti alla restituzione, a favore del viale d'accesso, come in atti, alla via pubblica, della porzione di fondo indicata nella consulenza di parte del Geom. (...) come area 5, adiacente la particella (...), che riduce l'ampiezza dei m.6 del viale di passaggio. 2) In parziale accoglimento dell'appello ed in parziale riforma della sentenza gravata rigetta inoltre la domanda riconvenzionale formulata in primo grado da (...) e (...) nei confronti dei fondi (...) e (...) e dispone il ripristino, a spese del fondo (...) del cancello di accesso al viale per cui è causa, con consegna delle chiavi e modalità di accesso alle altre parti aventi pari diritto. 3) Vista la reciproca soccombenza compensa le spese processuali di entrambi i gradi comprensive delle spese di c.t.u. effettuate in primo grado. Così deciso in Roma il 2 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI VENEZIA SEZIONE III CIVILE Composta dai magistrati: Dr.ssa Rita RIGONI - Presidente Dr.ssa Raffaella MARZOCCA - Consigliere Dr.ssa M. Gabriella PENNETTA - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa promossa in appello con citazione notificata il 15.02.2021 da: (...) con sede in (...), via N. T. n. 15, in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro tempore (...), (C.F. (...)) e (...) in proprio, entrambi con il proc. dom. Avv. An.Do. in Padova, Galleria (...), per procura in calce alla comparsa di d'appello appellanti contro: (...) nata a C. (P.) il (...) (C.F. (...)), con il proc. dom. avv. Ma.Ga. in Padova, via (...) e con il patrocinio degli Avvocati Ni.Te., Ma.Fe. e Fr.Fa., per procura allegata all'atto di citazione d'appello appellata Oggetto: dichiarazione di nullità e/o riforma sentenza del Tribunale di Padova n. 1039/2020 depositata il 14.07.2020, non notificata, resa nel giudizio R.G. n. 7362/2018, come modificata dal decreto del 13.11.2020, in esito al procedimento di correzione materiale ex art. 287 c.p.c.. Causa trattata all'udienza del 26.09.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n.1039/2020 depositata il 14.07.2020 resa nel giudizio R.G. n. 7362/2018, corretta con decreto del 13.11.2020, il Tribunale di Padova, definitivamente pronunciando nella causa promossa con citazione notificata il 27.09.2018 - con la quale (...) evocava in giudizio la Società (...) s.a.s. di (...) venditrice dell'immobile di sua proprietà, chiedendo alla stessa e al suo socio accomandatario il risarcimento, ai sensi degli artt. 1484 e 1489 cod. civ., dei danni subiti per la parziale evizione del bene derivata dalla definizione di un contenzioso tra (...), dante causa di (...) s.a.s., ed i confinanti, definito con la sentenza n. 3019/2016 di Questa Corte d'Appello che confermava l'obbligo di (...) s.a.s. e del suo legale rappresentante di ripristinare gli originari confini come accertati nel giudizio e ordinava la demolizione di parte delle edificazioni erette abusivamente e a distanza non regolamentare, oggetto della vendita ad (...), a seguito della quale quest'ultima iniziava procedimento ex artt. 696 e 696 bis c.p.c. in cui il C.T.U. nominato quantificava il complessivo danno in Euro 184.417,80, del quale la stessa chiedeva il risarcimento poiché (...) s.a.s. nell'atto compravendita con lei stipulato nel 2010 aveva dichiarato che l'immobile era "libero e franco da oneri, pesi, privilegi, trascrizioni pregiudizievoli ed iscrizioni", nel quale si costituivano (...) s.a.s. di (...) e (...) in proprio preliminarmente eccependo il mancato rispetto dei termini di prescrizione e di decadenza previsti dall'art. 1485 cod. civ. e in subordine la non risarcibilità del danno ai sensi dell'art. 1488 cod. civ., in quanto nell'atto di compravendita tra (...) e (...) era richiamato, quale atto di provenienza, il contratto del 17.10.2006 rep. n. (...) con cui (...) aveva venduto il bene alla società convenuta e la stessa aveva dichiarato di essere "a conoscenza della controversia esistente tra parte venditrice ed i confinanti signori (...) e (...) e di subentrare nella stessa posizione del suo dante causa, assumendosi gli oneri conseguenti."; tale atto era stato richiamato anche nel preliminare di vendita stipulato il 30.06.2009 da (...), sicché prima del rogito del (...) la stessa avrebbe dovuto effettuare le verifiche del caso, in mancanza delle quali l'acquisto dell'immobile doveva considerarsi come avvenuto a suo rischio, ed eccepivano inoltre che le risultanze dell'ATP non potevano costituire la prova dei danni subiti -condannava i convenuti in solido al pagamento in favore di (...) di Euro 16.586,04, oltre a rivalutazione secondo indici ISTAT dal 17.5.2018 alla pronuncia ed oltre ad interessi legali sulla somma liquidata; condannava i convenuti a risarcire in solido l'ulteriore danno pari Euro 164.831,75 condizionando l'esigibilità di tale somma e la decorrenza degli accessori all'avvenuta demolizione della porzione di fabbricato dell'attrice posta a distanza inferiore a quella prevista dall'art. 14 delle N.T.A. del Comune di San Giorgio in Bosco; liquidava in favore dell'attrice le spese di lite sostenute del procedimento R.G. n. 7945/2017 condannando i convenuti in solido alla rifusione dei due terzi delle stesse e disponendo la compensazione del resto; liquidava in favore dell'attrice le spese di lite sostenute nel procedimento R.G. n. 7945/2017 condannando i convenuti in solido alla rifusione dei due terzi e disponendo la compensazione della rimanente parte; poneva le spese della C.T.U. in via definitiva a carico dei convenuti in solido, con diritto dell'attrice di ripetere quanto anticipato all'ausiliario. Con Provv. del 13 novembre 2020, depositato il 14.11.2020, lo stesso Tribunale disponeva la correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza impugnata eliminando e così sostituendo il punto 6 del dispositivo: "Liquidate le spese di lite sostenute dall'attrice nel presente giudizio in Euro 8.261,00, di cui Euro 6.500,00 per compenso, Euro 975,00 per spese generali al 15% ed Euro 786,00 per esborsi, oltre ad IVA e CPA come per legge, condanna i convenuti in solido alla rifusione dei due terzi delle stesse, disponendo la compensazione della rimanente parte". Avverso la sentenza - pronunciata nel contraddittorio delle parti e all'esito di un'istruttoria con acquisizioni documentali, prove testimoniali e della CTU esperita nel procedimento di ATP RG. n. 13773/2013 R.G - ha proposto appello la società (...) s.a.s. chiedendone la riforma per i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza per violazione dell'art. 190 c.p.c. e 281 quinquies c.p.c. - Violazione del principio del contraddittorio e violazione del diritto di difesa; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. - violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato - Difetto di motivazione - error in iudicando; 3) errata quantificazione dei danni. L'appellata (...) si è costituita con comparsa del 22.06.2021 chiedendo in via preliminare l'accertamento dell'inammissibilità dell'atto di appello proposto da (...) in proprio e quale legale rappresentante della Società (...) s.a.s. di (...) per violazione dell'art. 342 c.p.c. e chiedendone nel merito il rigetto e la condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite. All'udienza del 26.09.2022 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Nel giudizio di primo grado, introdotto con citazione notificata il 27.09.2018, (...), proprietaria di un immobile sito in (...) (...) in (...), via dell'I., conveniva in giudizio la società (...) s.a.s. di (...) e il suo legale rappresentate, Geom. (...), nella sua qualità di venditrice del sudd etto immobile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per responsabilità della sua dante causa ai sensi dell'artt. 1484 e 1489 cod. civ. per l'evizione parziale del bene. La società (...) s.a.s. aveva acquistato l'immobile dal signor (...) con rogito del Notaio (...) di (...) del (...) trascritto il 18.10.2007 n. rep. (...) (cfr. doc. 1 primo grado appellante). All'epoca dell'acquisto da parte di (...) il fabbricato, costituito da due corpi di fabbrica, era ancora in corso di costruzione in forza della C. E. n. 73/2003 (doc. 2 primo grado appellante). Il signor C. e i confinanti signori (...) e (...) con atto di citazione del 16.10.2004 erano stati evocati in giudizio dagli altri confinanti (...) e (...), i quali chiedevano che venissero ripristinati gli originari confini tra le loro proprietà e la demolizione di parte dei manufatti eretti in violazione delle distanze legali. Il signor (...), con l'atto di compravendita sopra richiamato, vendeva l'immobile alla società (...) s.a.s. nel corso del giudizio R.G. 80080585/2004 e (...) nel rogito di acquisto dichiarava di essere a conoscenza del giudizio in corso tra il signor C. e i confinanti signori (...) e (...) e di subentrarvi nella stessa posizione del suo dante causa, assumendosi gli oneri conseguenti (cfr. doc. 1, cit.). Nel corso del predetto giudizio (...), concluse le opere di realizzazione del fabbricato residenziale quadrifamiliare, vendeva all'odierna appellata (...) l'unità immobiliare terra - cielo censita al Foglio (...), (...) 396, n. civico 122/D), posta più a Nord del complesso quadrifamiliare e a ridosso del confine con la proprietà (...) e (...) (cfr. doc. 1 primo grado appellata). Il giudizio tra i signori (...), (...), (...), (...) e (...) veniva definito con la sentenza del Tribunale di Padova n. 985/2016, poi confermata dalla Corte d'Appello di Venezia con sentenza n. 3019/2016, che accertava che la rete di recinzione lungo il lato Nord della proprietà dei convenuti (...), (...) e (...) era stata posta invadendo la proprietà dei signori (...) e (...) e condannava i convenuti al ripristino degli originari confini, accertati mediante CTU, e a provvedere alla demolizione di parte delle edificazioni erette abusivamente e a distanza non regolamentare (cfr. doc. 2 primo grado appellata). I signori (...) e (...) il 06.06.2017 notificavano alla signora (...), attuale proprietaria dell'immobile, atto di precetto con cui intimavano il ripristino degli originari confini e la demolizione di parte delle edificazioni erette abusivamente a distanza non regolamentare. (...) conveniva in giudizio la società (...) ritenendola responsabile dell'evizione parziale dell'immobile e delle sue pertinenze ai sensi degli artt. 1484 e 1489 cod. civ., chiedendo la riduzione del prezzo pagato, il risarcimento dei danni quantificati in Euro 184.417,80, come accertati nella perizia del Geom. (...), incaricato dal Giudice nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo promosso dalla stessa (...) (cfr. doc. 7 primo grado appellata), allegando che la società convenuta aveva dolosamente occultato la pendenza del giudizio R.G. n. 80080585/2004. Con Provv. n. 5469 del 26 giugno 2020 il Tribunale tratteneva la causa in decisione, rilevando ".. che nessuna delle parti ha chiesto concedersi termini per memorie ex art. 190 c.p.c.". Il 01.07.2020 l'appellante depositava istanza ex art. 177 c.p.c. di riforma dell'ordinanza del 26.06.2020 per violazione degli artt. 190 e 281 quinques c.p.c. e chiedendo la concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. con indicazione del dies a quo. L'istanza veniva rigettata e veniva confermata l'ordinanza del 26.06.2020 con cui la causa veniva trattenuta immediatamente in decisione. Con la sentenza impugnata il Tribunale respingeva l'eccezione preliminare dei convenuti in quanto i termini di decadenza e di garanzia di cui all'art. 1495 cod. civ. sono riferiti alla garanzia per i vizi e non a quella per evizione e i l termine di prescrizione dell'azione ex art. 1484 cod. civ. decorre dal momento in cui il diritto del terzo risulta definitivamente accertato con il passaggio in giudicato della sentenza, nella specie avvenuto il 30.12.2017 con il decorso del termine lungo annuale di impugnazione previsto dall'art. 327, comma 1, c.p.c.; l'attrice aveva denunciato il grave pregiudizio subito con raccomandata del 08.06.2017 e il 10.10.2017 aveva depositato il ricorso ex artt. 696 e 696 bis c.p.c.. Accoglieva parzialmente la domanda di (...) ritenendo non sussistere un onere per l'acquirente di un immobile di esaminare i precedenti atti di compravendita, potendo legittimamente confidare sulla mancanza di trascrizioni pregiudizievoli nei pubblici registi e sulle dichiarazioni rese dal venditore circa l'assenza di pesi od oneri ed in quanto la condotta negligente di (...) non esplicherebbe alcuna efficacia causale a fronte della condotta dolosa del Marcato, che aveva sottaciuto l'esistenza del contenzioso senza neppure ridurre in maniera significativa il prezzo di vendita per concludere un contratto che fosse effettivamente a rischio e pericolo della compratrice. Il Tribunale pertanto riconosceva la sussistenza della responsabilità dei convenuti in quanto non era risultato provato che (...) fosse stata a conoscenza del pericolo di evizione al momento della stipula del contratto preliminare o del contratto definitivo e condannava la società (...) e il suo legale rappresentate alla rifusione dei danni già patiti dall'odierna appellata per Euro 16.586,04 e all'eventuale risarcimento dei danni che la stessa avrebbe potuto subire nell'ipotesi in cui fosse stata costretta a demolire la porzione di immobile posto in violazione delle distanze dal confine, per un totale di Euro 164.831,75. La sentenza veniva corretta nell'ambito del procedimento conclusosi con il decreto del 13.11.2020 (All. B appellante). Così inquadrati i fatti, deve preliminarmente respingersi l'eccezione dell'appellata di inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c., in quanto l'atto di impugnazione consente di individuare le statuizioni concretamente impugnate e il gravame è esposto con sufficiente grado di specificità. Nel merito, l'appello di profila meritevole di accoglimento per quanto di seguito indicato. Con il primo motivo l'appellante chiede dichiararsi la nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, essendo stata emessa senza la previa concessione dei termini previsti dall'art. 190 c.p.c. e per violazione della previsione dell'art. 218 quinquies c.p.c.. Il motivo è fondato. Con l'ordinanza n. 369, pubblicata il 10.01.2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulle conseguenze derivanti dalla mancata assegnazione alle parti nell'ambito di un giudizio civile dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ribadendo la nullità della successiva sentenza. La Suprema Corte ha stabilito che la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo. Deve pertanto accertarsi la nullità della sentenza impugnata. In applicazione del principio di cui all'art. 161 c.p.c. - secondo il quale i vizi di nullità si convertono in motivi di impugnazione o di gravame, assorbendosi in essi, e possono esser fatti valere col mezzo di impugnazione che è consentito verso quella sentenza, nel senso che si convertono in un motivo che fonda l'impugnazione (cfr. Cass. Sez. II Ord. n. 14434/2019) - si deve procedere all'esame del merito dell'impugnazione. E' risultata accertata la sussistenza, nella specie, dell'evizione parziale a carico dell'appellata, do vendo ritenersi irrilevante la circostanza, dedotta dagli appellanti, secondo la quale la sentenza del Tribunale di Padova n. 985/2016, poi confermata dalla Corte d'Appello di Venezia con sentenza n. 3019/2016, abbia statuito in merito a un'azione di regolamento di confini ex art. 950 cod. civ. proposta dai signori (...) e (...) nei confronti del dante causa della società convenuta, signor (...) e non in merito a un'azione di rivendica ex art. 948 cod. civ., ossia all'unica azione che potrebbe comportare l'evizione parziale del bene rivendicato. Non può attribuirsi rilievo alla circostanza secondo la quale la signora (...) avrebbe subito soltanto una delimitazione del suo diritto di proprietà e che vi era stato un concorso di colpa della stessa, che conosceva ed era in condizione di conoscere l'esistenza del contenzioso dedotto in giudizio. Infondata è anche la tesi dell'appellata riferita alla tardività dell'eccezione relativa all'insussistenza dell'evizione parziale, in quanto formulata da (...) per la prima volta con la memoria ex art. 183, comma VI, n. 1) c.p.c. e non con la comparsa di risposta, essendo stata invece la domanda di evizione da essa formulata con l'atto di citazione introduttivo del procedimento di primo grado. Deve osservarsi che l'art. 167 comma II c.p.c. letteralmente dispone che il convenuto nella comparsa di risposta deve, a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio; il termine di ulteriori trenta giorni previsto dall'art. 183 comma VI n. 1 c.p.c. è finalizzato al deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte. Alle parti viene concesso lo jus poenitendi che le stesse non abbiano esercitato in udienza, ossia uno spatium temporale utile per concretizzare e meglio specificare in forma scritta il diritto che avrebbero esercitato alla prima udienza di comparizione. Pertanto le difese svolte in primo grado dall'appellante con la prima memoria istruttoria non possono ritenersi tardive. Secondo l'orientamento della Corte di Cassazione in tema di compravendita, qualora l'immobile venduto risulti costruito in violazione delle limitazioni legali della proprietà, la pretesa del proprietario del fondo confinante diretta a ottenere il rispetto di tali limitazioni può concretare un'ipotesi riconducibile, alternativamente, alla garanzia per evizione, ai sensi degli artt. 1483 e 1484 cod. civ., ovvero alla garanzia prevista dall'art. 1489 cod. civ., a seconda che dall'accoglimento della domanda derivi, in tutto o in parte, la perdita della cosa venduta, ovvero discenda soltanto una restrizione del godimento del bene, il quale resti, però, integro nella sua identità strutturale. L'evizione totale o parziale si verifica soltanto quando l'acquirente sia privato, in tutto o in parte, del bene alienato, mentre, nell'ipotesi in cui, inalterato il diritto nella sua estensione quantitativa, risulti inesistente la servitù attiva c he il venditore abbia dichiarato nel contratto, si determina, al pari dell'ipotesi di esistenza di una servitù passiva non dichiarata, la mancanza di una "qualitas fundi", con conseguente applicazione dell'art. 1489 cod. civ., estensivamente interpretato, il quale, oltre ai rimedi sinallagmatici della risoluzione e della riduzione del prezzo, consente anche il solo risarcimento del danno (Cassazione civile sez. II 24 giugno 2014 n. 14324). E' risultato accertato che la signora (...), sulla scorta della consulenza di parte fatta eseguire dal geom. (...), dopo la notifica dell'atto di precetto ex art. 612 c.p.c. del 20.5.2017 è stata obbligata ad eliminare le seguenti strutture esterne: 2 caminetti, 1 forno a legna, 1 lavatoio, altri elementi di marmo corredati da pianali e mensole per la formazione del piano di lavoro e di deposito utensili meglio descritti nella consulenza e che una ulteriore conseguenza derivante dalle statuizioni contenute nella sentenza della Corte d'Appello di Venezia era rappresentata dal mancato rispetto della distanza di cinque metri dai confini prevista dall'art. 14 delle Norme Tecniche Comunali del Comune di San Giorgio in Bosco (PD) per effetto dell'arretramento del limite di proprietà. La CTU acquisita nel procedimento ex artt. 696 e 696 bis c.p.c. promosso dall'appellata per far accertare le condizioni dei luoghi e per quantificare costi e danni derivanti dall'attuazione della citata sentenza ha confermato il mancato rispetto delle distanze dal confine (invece garantito con la precedente delimitazione dei confini) in quanto la distanza dell'immobile di sua proprietà rispetto a quello dei confinanti (...) e (...) risulta essere di 385 cm dallo spigolo nord ovest e 394 cm dallo spigolo nord est. Il C.T.U. ha, quindi, quantificato il complessivo danno subito o potenziale, del quale l'appellata ha chiesto il risarcimento, in Euro 184.417,80. Deve ritenersi insussistente un onere a carico dell'acquirente di esaminare i precedenti atti di compravendita in mancanza di trascrizioni pregiudizievoli nei pubblici registi e in presenza di dichiarazioni rese dal venditore circa l'assenza di pesi od oneri. Nella specie è risultata accertata la condotta dolosa del legale rappresentante di (...) s.a.s., (...), che aveva sottaciuto con l'acquirente (...) l'esistenza del giudizio in corso con il confinanti, nel quale era subentrato, senza neppure ridurre in maniera significativa il prezzo di vendita, concludendo pertanto un contratto a rischio dell'ignara compratrice. La Corte di Cassazione ha stabilito che in tema di compravendita la garanzia per evizione opera indipendentemente dalla sussistenza della colpa del debitore o dalla buona fede dell'acquirente e quindi non è esclusa neppure dalla conoscenza da parte del compratore della possibile futura causa di evizione ove essa effettivamente si verifichi (Cass. Ord. 15.12.2021 n. 40290). E' risultato incontestato che i signori (...) e (...), dopo aver ottenuto la sentenza positiva all'esito del procedimento istaurato contro il signor (...), dante causa di (...), hanno preteso lo spostamento dei confini di proprietà con l'acquisizione di una consistente parte di terreno da essa acquistata e hanno intimato l'abbattimento sia dei manufatti esistenti sul confine modificato, sia dei manufatti posti ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge, sia di una parte dell'immobile ad uso abitativo. Pertanto l'appellata, a seguito dell'esecuzione della sentenza della Corte d'Appello da parte dei signori (...) e (...), ha pacificamente subito la delimitazione dei confini della proprietà del terreno acquistato ed è stata anche privata di una parte essenziale del proprio diritto di proprietà sugli immobili e sui manufatti edilizi che su tale terreno erano stati edificati, che sono stati demoliti (cfr. docc.ti 5 e 7 primo grado appellata). Deve dunque escludersi il lamentato concorso di colpa dell'appellata nella causazione del danno da essa concretamente subito a causa della condotta dolosa, ovvero colpevolmente reticente, dei venditori dell'immobile e in particolare della contrarietà a buona fede della condotta della società venditrice. La garanzia per evizione può essere esercitata anche dagli acquirenti costretti alla demolizione di parte del bene per effetto della violazioni delle distanze e gli effetti della garanzia per evizione conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato e, quindi, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l'alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell'acquisto (cfr. Tribunale Roma sez. V, 18.05.2021, n.8594; vedi anche Tribunale Pistoia sez. I, 04.01.2021, n.3). I danni subiti dall'appellata sono stati quantificati in sede di accertamento tecnico preventivo nel procedimento R.G. n. 7945/2017, nel quale la società (...), pur essendo stata ritualmente evocata, aveva ritenuto di non costituirsi. Devono essere valorizzati gli esiti della CTU espletata nel procedimento di ATP acquisito al giudizio di primo grado anche in considerazione del fatto che l'appellante che li ha contestati non ha neppure ritenuto di chiedere nel presente giudizio l'ammissione di una nuova CTU finalizzata a descrivere la situazione di fatto e urbanistica dell'immobile oggetto di causa e a quantificarne la diminuzione di valore. Le spese del giudizio di appello devono essere regolate secondo il principio della soccombenza e dell'esito complessivo del giudizio (in base allo scaglione previsto per l'importo del decisum - Cass. Civ., Sez. II n. 3903/2016) e poste a carico della parte appellante, la cui soccombenza deve ritenersi prevalente, come liquidate in dispositivo, tenuto conto del mancato deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica nel giudizio di primo grado. P.Q.M. La Corte d'Appello di Venezia, definitivamente pronunciando nel procedimento di appello di cui in epigrafe, disattesa ogni diversa e contraria istanza, eccezione e conclusione, così provvede: 1) dichiara la nullità della sentenza del Tribunale di Padova n. 1039/2020 come modificata dal decreto del 13.11.2020 ad esito al procedimento di correzione materiale ex art. 287 c.p.c.; 2) in accoglimento della domanda di primo grado condanna gli appellanti (...) s.a.s. di (...) E (...) in proprio, in solido, al pagamento in favore di (...) di Euro 16.586,04 per i titoli di cui in motivazione oltre a rivalutazione secondo indici ISTAT dal 17.5.2018 alla pronuncia ed oltre ad interessi legali sulla somma rivalutata dalla pronuncia al saldo; 3) condanna gli appellanti (...) s.a.s. di (...) E (...) in proprio, in solido, a risarcire ad (...) l'ulteriore danno pari Euro 164.831,75 oltre ad interessi legali dalla pronuncia al saldo; 4) condiziona l'esigibilità della somma di al precedente capo e la decorrenza degli accessori all'avvenuta demolizione della porzione di fabbricato dell'attrice posta a distanza inferiore a quella prevista dall'art. 14 delle N.T.A. del Comune di San Giorgio in Bosco. 5) condanna gli appellati in solido alla rifusione delle spese di lite sostenute da (...) nel procedimento R.G. n. 7945/2017 pari a Euro 4.311,00, di cui Euro 3.500,00 per compenso, Euro 525,00 per spese generali al 15% ed Euro 286,00 per esborsi, oltre ad IVA e CPA come per legge; 6) condanna gli appellanti in solido a rifondere a (...) le spese del giudizio di primo grado, che liquida in complessivi Euro 7.500,00 oltre spese generali al 15% e oltre ad IVA e CPA come per legge; 7) condanna gli appellanti in solido a rifondere a (...) le spese del giudizio d'appello, che liquida in complessivi Euro 9.991,00 oltre spese generali al 15% e oltre ad IVA e CPA come per legge; 8) pone le spese della C.T.U. in via definitiva a carico degli appellanti in solido, con diritto dell'appellata di ripetere quanto anticipato all'ausiliario. Così deciso in Venezia l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dai magistrati: Dott. Carlo Maddaloni - Presidente Dott.ssa Giovanna Ferrero - Consigliere rel. Dott. Antonio Corte - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa in grado d'appello tra (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in Milano alla PIAZZA (...) presso lo studio del difensore avv. SM.RO. che la rappresenta e difende giusta procura in atti Appellante e (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Milano alla via (...) presso lo studio dell'avv. Me.Ma. che lo rappresenta e difende giusta procura in atti Appellato Oggetto: altri istituti in materia di diritti reali, possesso e trascrizioni RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano (...), per l'accertamento negativo ex art. 949 c.c di qualsiasi diritto di erigere e/o mantenere il muro e la porta edificati da quest'ultimo sul solaio dell'immobile di via C. n. 14, nonché di accertare l'inesistenza di qualsiasi servitù in favore di questi, con ripristino dello stato dei luoghi ex ante, chiedendo altresì la condanna di questi al risarcimento dei danni cagionati e al pagamento delle spese processuali. A sostegno della domanda, l'attrice (odierna appellante) produceva il titolo di proprietà dell'immobile (vd. doc. n.1), deducendo che il (...), proprietario del solaio adiacente a quello di sua proprietà, sito nel Condominio di via C. n. 14 a M., aveva edificato un muro - ivi aprendo una porta - sconfinando illegittimamente nella sua proprietà. Si costituiva (...) contestando quanto ex adverso dedotto e richiesto, eccependo l'insussistenza dei presupposti per l'azione ex art. 949 c.c., in quanto, non avendo lo stesso mai vantato alcun diritto sul fondo oggetto della controversia de qua, l'odierna appellante avrebbe dovuto agire ai sensi dell'art. 948 e dunque della diversa azione di rivendica. Riteneva, in ogni caso, destituita di fondamento la contestazione di sconfinamento del muro lamentata dalla controparte. Istruita la causa con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c., sentiti i testi e precisate le conclusioni, il Giudice tratteneva la causa in decisione. Con sentenza n. 7574/2021, depositata il 21.09.2021, il Tribunale di Milano definitivamente statuendo nella causa R.G. 56267/2021 promossa da (...) nei confronti di (...), rigettava le domande dell'attrice, condannandola alla rifusione delle spese di lite in favore del convenuto, liquidate in Euro 7.254,00, oltre 15% per spese forfetarie, c.p.a. e i.v.a.. Avverso tale sentenza proponeva appello (...) e, articolando n. 5 motivi di gravame, ne chiedeva l'integrale riforma. Più precisamente, contestava: 1. l'errore logico-giuridico in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel riqualificare l'azione proposta dall'attrice in azione di rivendica, incorrendo così in un vizio di ultrapetizione; 2. l'errata valutazione dell'onere probatorio posto in capo alla B.; 3. la scelta del Tribunale di considerare l'atto notarile di rettifica non idoneo ad integrare l'originario atto di trasferimento della proprietà; 4. la violazione da parte del giudice di primo grado dell'art. 115 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto poco chiaro il thema decidendum; 5. l'omessa disposizione della CTU. (...) si costituiva con comparsa di risposta in data 20 giugno 2022, chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma dell'impugnata sentenza. Alla prima udienza del 21 giugno 2022 la Corte, su istanza delle parti, fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 22 novembre 2022 in cui, espletato l'incombente con modalità di trattazione scritta, tratteneva la causa a sentenza assegnando termini di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e 20 per le repliche. L'appello della (...) merita parziale accoglimento, nei termini e per le ragioni che di seguito si diranno. Tuttavia, prima di esaminare i profili di doglianza lamentati dall'appellante, giova procedere a una ricostruzione dei fatti storici. - (...) risulta proprietaria di un appartamento in via C. 14 M., con annessi taverna, cantina, area di solaio al piano sottotetto ed autorimessa al piano terra, acquistati in forza di atto di vendita (...) numero di rep. (...) del Notaio (...). - La suddetta area di solaio veniva identificata nell'atto di vendita come confinante con "disimpegno comune"; - Tale indicazione, però, era oggetto di rettifica notarile del 20 settembre 2002 rep. (...), in quanto errata poiché "in realtà detto disimpegno era di proprietà esclusiva della parte venditrice". L'atto di rettifica veniva stipulato con la partecipazione anche della parte venditrice, che dichiarava che l'atto del 28.11.2001 rep (...) "deve intendersi rettificato nel senso che nei beni trasferiti con lo stesso e nel relativo prezzo è ricompreso anche il disimpegno antistante l'area di solaio, disimpegno già di proprietà esclusiva della signora (...) ed in forza del citato atto acquistato dalla signora (...)" - Nel 2002, l'appellante (...) acquistava dalla (...) s.s. il vano solaio posto al piano sesto, sottotetto (foglio (...), particella (...), sub (...)); - Nel 2017, (...), odierno appellato, proprietario del solaio adiacente a quello della signora (...) (foglio (...), particella (...), sub (...), già sub (...)) presentava una CILA per il recupero del sottotetto al fine di convertirlo in immobile uso abitazione. - Al fine di delimitare il solaio oggetto di ristrutturazione, il (...) edificava le pareti perimetrali, aprendo una porta da cui accedere (interventi oggi oggetto di doglianza), asserendo che tali realizzazioni non fossero altro che un ripristino di strutture già esistenti e successivamente abbattute; - Nel settembre del 2017 l'odierna appellante (...) contestava al (...) l'apertura della porta di accesso al nuovo immobile, asserendo l'inesistenza di qualsiasi diritto di passaggio gravante sulla sua proprietà, identificata catastalmente come particella (...), sub (...). Alla luce di tale ricostruzione in punto di fatto, questa Corte osserva quanto segue. Preliminarmente, occorre pronunciarsi in merito alla richiesta istruttoria proposta dall'appellante, quale quinto motivo di appello, con riferimento all'omessa ammissione di CTU da parte del primo giudice. Tale istanza deve essere rigettata. Sul punto si osserva che l'indagine del consulente su circostanze facilmente dimostrabili documentalmente (come la descrizione dei luoghi di causa e le misure degli spazi) appare di per sé superflua. Nel caso di specie, infatti, il giudice di primo grado ha non ha correttamente ammesso la CTU nei termini in cui era stata richiesta (e cioè al fine di valutare uno sconfinamento del muro eretto dall'appellato sulla proprietà della B.), in quanto, come meglio si dirà di seguito, ai fini della soluzione della presente controversia, una indagine tecnica nulla avrebbe potuto rilevare e aggiungere a quanto non sia stato già - o avrebbe potuto essere - prodotto documentalmente. Ulteriormente, al fine di una lineare disamina delle questioni, occorre analizzare le doglianze avanzate dall'appellante con il terzo motivo riguardante la validità della rettifica dell'atto di vendita. Ed infatti, la (...) lamenta l'errore in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'aver considerato non produttiva di effetti la rettifica notarile del settembre 2002 (vd. doc. n. 15 appellato), secondo cui "sull'atto del settembre 2002 - con cui le stesse parti dell'atto del 2001 hanno inteso "rettificare" l'oggetto del contratto originario, inserendo nell'oggetto anche il "disimpegno comune" -, occorre considerare che la peculiare valenza probatoria che è riconosciuta dall'ordinamento giuridico all'atto pubblico (che, a norma dell'art. 2700 c.c. fa piena prova sino a querela di falso delle dichiarazioni rese dalle parti al pubblico ufficiale) porta a ritenere che la rettifica sia consentita soltanto se ha ad oggetto elementi marginali dell'atto e non se riguarda l'oggetto del trasferimento, la cui precisa ed esatta identificazione è un elemento essenziale dell'atto, che è individuato dalle dichiarazioni rese dalle parti al pubblico ufficiale che lo ha redatto" (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). L'appellante, infatti, rileva che sebbene il giudice abbia correttamente ripreso il principio secondo cui l'atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso, nel trarre le conclusioni, sarebbe caduto in contraddizione, ritenendo l'atto invalido pur in assenza di ogni contestazione. Inoltre, secondo la ricostruzione della (...), il Tribunale avrebbe omesso di considerare che la rettifica avrebbe riguardato la correzione di un mero errore materiale. Il motivo è fondato. Ed infatti, l'art. 59-bis della Legge Notarile prevede che "Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato." Nel caso di specie, il Notaio, alla presenza dell'appellante (...) e della venditrice dell'immobile (...), ha rettificato con atto pubblico un errore materiale riguardante una circostanza preesistente all'atto di vendita del novembre 2001, riportata in maniera difforme al momento della stipula. Come già sopra riportato, nell'atto del 20 settembre 2002 si legge infatti "- che per mero errore materiale l'area di solaio venduta venne identificata nel sopra citato atto come confinante, tra l'altro, con "disimpegno comune", mentre in realtà detto disimpegno era di proprietà esclusiva della parte venditrice ed era stato realizzato al solo fine di consentire l'accesso, con l'esercizio della relativa servitù, al solaio ora censito al Catasto Fabbricati al foglio (...), mappale (...) sub. (...)". Tale atto di rettifica, dunque, deve considerarsi pienamente valido in quanto conforme alle condizioni normative, e cioè disposto al fine di sopperire ad errori o omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla redazione dell'atto (vd. fra le altre Cass. 31795/2022). In ogni caso, alla medesima conclusione si giunge considerando la natura della dichiarazione della venditrice, sopra riportata e di per sé valida a costituire il trasferimento della proprietà anche su tale porzione immobiliare. Infatti, in presenza del notaio, (...) ha dichiarato che l'atto del 28.11.2001 rep 51593/6630 "deve intendersi rettificato nel senso che nei beni trasferiti con lo stesso e nel relativo prezzo è ricompreso anche il disimpegno antistante l'area di solaio, disimpegno già di proprietà esclusiva della signora (...) ed in forza del citato atto acquistato dalla signora (...)"ed ha quindi espresso la sua volontà, non equivoca, di attribuire il diritto reale alla (...), integrando così efficacemente il contratto traslativo anche sull'ulteriore parte di solaio individuata al catasto al foglio (...), map. (...), sub. (...). Quanto sin qui considerato, conduce a ritenere pienamente valido l'atto di rettifica del 20.09.2022, che ben potrà essere considerato al fine di valutare la fondatezza degli ulteriori motivi di gravame. Alla luce delle suesposte ragioni, la censura è fondata e deve essere accolta. Stante la loro interconnessione e l'omogeneità delle questioni coinvolte, ritiene la Corte che i motivi n. 1, 2 e 4 proposti dall'appellante possano essere trattati congiuntamente. Più precisamente, con il primo motivo di appello, la (...) critica la valutazione del giudice di primo grado in merito alla riqualificazione della domanda da questa proposta. Infatti, l'appellante agiva in giudizio ai sensi dell'art. 949 c.c., proponendo una actio negatoria. Il Tribunale, ricostruite le circostanze in punto di fatto e di diritto, riteneva che l'azione esperita dall'appellante dovesse essere "riqualificata quale rivendica essendo in contestazione la proprietà esclusiva dell'attrice (odierna appellante) sull'area ove il convenuto esercita il possesso del passaggio e non come negatoria servitutis che invece presuppone che la proprietà dell'attrice non sia oggetto della controversia, essendo detta azione limitata all'accertamento della libertà del fondo contro le pretese avanzate da terzi". (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Secondo la (...), infatti, la proprietà del fondo non sarebbe mai stata oggetto di contestazione, come puntualmente dimostrato con l'atto notarile di vendita (e la successiva rettifica) in atti. Sul punto, al contrario, l'appellato (...), ribadendo il principio secondo cui il Giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione attribuendo il "nomen iuris" al rapporto dedotto in giudizio, insiste nel ritenere non sussistenti i presupposti dell'actio ex art. 949 c.c.. Questi, infatti, contesta di non aver mai riconosciuto come proprietà della (...) l'area del sottotetto su cui si apre la porta di accesso all'appartamento. A tal proposito l'appellato precisa che - anche qualora l'azione fosse stata effettivamente una actio negatoria - non avrebbe mai " affermato o preteso l'esistenza di servitù di passaggio, tanto meno su fondi di proprietà dell'attrice, manifestando invece il possesso del passaggio sulla sua proprietà sino ai corridoi condominiali. Secondo questi, infatti, "la situazione di fatto in capo allo stesso è da riassumersi nella statuizione "possideo quia possideo" restando indifferente ai fini del possesso in atto l'identificazione al di sopra di ogni dubbio del proprietario del "disimpegno comune". Ancora sul punto, con il secondo motivo di appello, la (...) lamenta l'aggravio dell'onere probatorio, quale conseguenza della riqualificazione del giudice. Infatti, secondo l'appellante, gli atti notarili attestanti la vendita e la rettifica delle aree oggetto di contestazione costituirebbero prova senz'altro soddisfacente ai fini dell'onus probandi richiesto da una azione ex art. 949 c.c. L'appellato contesta quanto dedotto della (...), lamentando una ricostruzione dei fatti e delle circostanze confusa e non corrispondente al vero. Infine, il quarto motivo di impugnazione è volto a censurare la parte della sentenza in cui il giudice di primo grado ha ritenuto che "In ordine alla edificazione del muro che avrebbe invaso la proprietà dell'attrice, si osserva ulteriormente che la domanda attorea è del tutto generica, non avendo la parte attrice indicato negli atti introduttivi che definiscono il thema decidendum, alcuna misura o altro elemento che consenta di individuare il preteso sconfinamento (mai lamentato dalla (...) prima dell'instaurazione del presente giudizio)" (vd. pag. 6 della sentenza di primo grado). Secondo la (...), dunque, il documento recante l'indicazione delle misure sarebbe stato allegato all'atto di citazione. Si tratterebbe, infatti, della CILA presentata nel 2017 al Comune di Milano dal convenuto, da cui emergerebbe che "la larghezza totale dell'appartamento del signor (...) è indicata in metri 6,40 incluso il muro di confine destro". L'appellato, pertanto, avrebbe eretto il muro di confine del suddetto appartamento sulla proprietà (...) in quanto costruito "oltre i 6,40 metri indicati dallo stesso (...) come sua proprietà". Ebbene, le doglianze dell'appellante sono parzialmente fondate nei termini e per le ragioni che si diranno. Come è noto, l'esatta qualificazione giuridica della pretesa azionata spetta al giudice, il quale può prescindere dalle attribuzioni operate dalle parti al fine di un corretto inquadramento delle questioni oggetto di controversia. Il giudice d'appello, a sua volta, fermi restando i fatti posti a fondamento della pretesa azionata, non è vincolato nel potere di riqualificazione giuridica del petitum a quanto delineato dal giudice in primo grado (si veda in tal senso Cass. civ. 11805/2016; n. 16213/2015). Tanto premesso, considerate le allegazioni delle parti e le risultanze documentali, questa Corte ritiene necessario ridefinire ulteriormente i contorni giuridici della vicenda oggetto di controversia. Invero, nelle sue conclusioni la (...) ha chiesto di accertare "l'inesistenza di qualsivoglia diritto di erigere e/o mantenere il muro e la porta eretti e/o l'inesistenza di qualsiasi servitù in favore del sig. (...)", e di ordinare a questi di "provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, all'eliminazione del muro eretto ed alla chiusura della porta, alla cessazione di qualsiasi turbativa e/o molestia della proprietà in danno all'attrice", oltre al risarcimento del danno. Secondo questa Corte, le richieste dell'appellante, alla luce di quanto dedotto in punto di fatto e diritto anche in primo grado, sarebbero da ricondurre non già all'esperimento di un'unica azione, ma alla formulazione di due distinte domande di accertamento. Più precisamente appare condivisibile la scelta del primo giudice di inquadrare la pretesa dell'odierna appellante quale azione di rivendica, ma solo in merito all'accertamento della lamentata lesione della proprietà a causa del muro innalzato dal (...) di Giulio. Diversamente, in riferimento alle allegazioni riguardanti la porta in esso aperta dovranno richiamarsi i principi dell'actio negatoria servitutis. come originariamente richiesto dalla stessa (...). E dunque, - diversamente valutando la fattispecie rispetto a quanto statuito dal giudice di primo grado - ai fini dell'accertamento dell'inesistenza del diritto di passaggio sul suolo dell'appellante s'impone l'applicazione della diversa e meno gravosa disciplina in tema di onere della prova dell'actio negatoria. La Suprema Corte, infatti, con la Sentenza n. 472/2017 ha puntualizzato che "l'azione" negatoria servitutis", quella di rivendica e la "confessoria servitutis" si differenziano in quanto l'attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione; con la terza, infine, dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù. Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; da ultimo, nell'ipotesi di "confessoria servitutis", ha l'onere di provare l'esistenza della servitù che lo avvantaggia. Ulteriormente, appare utile ricordare che l'azione di rivendicazione, che tende al recupero della materiale disponibilità del bene, ha carattere reale e con essa l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà (Cass. Sentenza n. 4416 del 26/02/2007). Sotto il profilo dell'onere probatorio, ai fini della c.d. probatio diabolica, l'attore sarà tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all'acquisto a titolo originario ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione (fra le altre vd. Cass. n. 21940/2018). Al contrario, come condivisibilmente affermato anche dal Tribunale, l'actio negatoria servitutis, proprio in quanto volta al riconoscimento della libertà del fondo da servitù e non all'accertamento della proprietà - che, invece, costituisce presupposto di legittimazione dell'azione - non richiede una prova rigorosa della proprietà dell'attore, potendo tale prova essere fornita con qualsiasi mezzo: "Nelle azioni di regolamento di confini e di accertamento negativo della servitù, ai fini della dimostrazione della proprietà dell'immobile non è richiesta la prova rigorosa, mediante titoli di acquisto o di usucapione, ma è sufficiente una dimostrazione fornita con ogni mezzo, anche con presunzioni" (cfr. Cass. Civ. n. 803/2022). L' applicazione dei suindicati principi al caso di specie determina il rigetto delle doglianze inerenti alla costruzione del muro del (...) sul suolo dell'appellante, in quanto prive di riscontro probatorio. Ed infatti, secondo questa Corte, la (...) non ha correttamente provato il proprio diritto di proprietà, risalendo attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario, o dimostrando che la stessa o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. L'appellante, invero, si è limitata a produrre l'atto di compravendita dell'immobile - nonché la relativa rettifica -, ma tale titolo di acquisto derivativo non è idoneo a provare con certezza che il possessore sia divenuto effettivamente proprietario del bene. La rivendicante, dunque, per assolvere all'onere probatorio su di lei gravante, avrebbe dovuto fornire o un valido titolo derivativo proveniente da un soggetto a cui possa attribuirsi la qualità di legittimo titolare della proprietà del bene in contestazione (per averlo acquistato a titolo originario) ovvero che lei stessa possa vantare un titolo di acquisto a titolo originario, per aver posseduto il bene per il tempo necessario all'usucapione (Cass. n. 28865/2021). Nel caso de quo, però, l'appellante da un lato nulla ha dedotto in merito all'eventuale maturazione dei requisiti dell'usucapione, dall'altro si è limitata a ricostruire la storia della titolarità dell'immobile dal 2002 e dunque considerando un lasso di tempo insufficiente ad assolvere all'onus probandi richiesto dall'azione di rivendicazione. Né nel caso di specie, la linea difensiva adottata dal convenuto-odierno appellato è tale da giustificare un'attenuazione del rigore dell'onere probatorio gravante sull'appellante (Cass. ord. n. 1569/2022), potendo il primo legittimamente avvalersi del principio "possideo quia possideo", senza ulteriore o diverso onere della prova. Di conseguenza, stante quanto sin qui considerato, è condivisibile la scelta del giudice di prime cure di non acconsentire alla CTU richiesta dall'appellante, in quanto superflua, per non essere stata raggiunta la prova dell'azione di rivendica. Per tutte le suesposte ragioni, la domanda di rivendica della proprietà deve essere rigettata, con rigetto delle inerenti doglianze d'appello, non risultando idonee ad incidere efficacemente inerenti su queste conclusioni le deduzioni sul punto fornite dall'appellante. Al contrario, in riferimento alla diversa questione della inesistenza di una servitù di passaggio sul fondo della (...), la Corte ritiene il motivo fondato, con le precisazioni di seguito esposte. Come è noto, l'actio negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto affermato da un terzo sul bene, non limitata al mero accertamento dell'inesistenza della servitù, ma protesa alla cessazione della dedotta situazione antigiuridica e al conseguente ottenimento della libertà del fondo (Cass. n. 203/2017). Sotto il profilo probatorio, alla luce dei principi suesposti, la (...) in quanto attrice-appellante ha puntualmente dimostrato la sua qualità di proprietaria dell'immobile, in ossequio a quanto richiestole dalla disciplina ex art. 949 c.c.. È provato documentalmente che l'appellante, anche prima di adire il Tribunale, ha contestato la realizzazione della porta di accesso alla proprietà (...), sostenendo di essere proprietaria esclusiva dell'area di affaccio della porta. A sostegno di ciò, ha esibito il suo titolo di acquisto del 2001 e la rettifica notarile del 2002, con cui è stata espressamente ricompresa nella precedente vendita immobiliare anche il cd. disimpegno, proprietà su cui insiste la porta del (...). Ulteriormente, la Corte rileva che (...) non ha reiterato l'eccezione di usucapione formulata in primo grado in citazione ma non riproposta nelle conclusioni e sostanzialmente rigettata dal Tribunale che in sentenza afferma "Il convenuto oppone invece all'attrice il proprio possesso senza affermare alcuna pretesa giuridica, oltre a contestare il titolo di acquisto dell'area di sottotetto in contestazione da parte dell'attrice ed in particolare la validità dell'atto di rettifica del 20.9.2002". L'appellato, infatti, anche in sede di gravame continua ad affermare esclusivamente il possesso del passaggio (parla di possideo quia possideo - vd pag. 6 comparsa di citazione), non reiterando l'eccezione di usucapione, né impugnando il passaggio motivazionale sopra riportato. Per quanto sin qui ricostruito in punto di fatto e diritto, in parziale accoglimento dell'appello, questa Corte ritiene fondata la domanda negatoria servitutis formulata da (...),ex art. 949 c.c. con riferimento all'apertura della porta ed utilizzo del passaggio da parte del convenuto, sulla porzione sita in Via C. n. 14 - M. di proprietà (...) ed identificata al catasto al foglio n. (...), particella (...), sub. (...) (ora (...) e (...)), sub (...) (ora (...)-(...)) con condanna di (...) la chiusura della porta di cui si tratta, ossia al ripristino dello stato dei luoghi relativamente alla illegittima apertura, ed alla cessazione di qualsiasi illegittimo passaggio sulla proprietà dell'appellante. La Corte osserva che in aggiunta al ristabilimento della violata situazione, non è dovuto alcun risarcimento. Invero, dalle allegazioni dell'appellante non risulta, neppure per indizi, che l'illegittimo esercizio della servitù da parte del (...) le abbia determinato un concreto pregiudizio patrimoniale. In conclusione, quanto alle spese processuali, la Corte di Cassazione ha statuito che il Giudice d'appello "allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione della pronuncia che ha statuito sulle spese" (Cass. n. 130/2017). Ritiene la Corte che, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda della (...), le spese del doppio grado vanno compensate in ragione della metà, mentre la residua quota deve porsi a carico di (...), in base al principio della soccombenza e liquidata come in dispositivo sulla base del vigente D.M. n. 55 del 2014 (aggiornato D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022), con riferimento al valore della causa come dichiarato ai fini del contributo unificato giudiziale, in rapporto ai valori medi previsti stante la media difficoltà delle questioni trattate, escludendo dal computo la voce relativa alla fase istruttoria assente nel presente grado. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) nei confronti di (...) avverso la sentenza n. 7574/2021 pronunciata dal Tribunale di Milano, così provvede, in sua parziale riforma: 1. accerta e dichiara l'inesistenza di qualsiasi diritto di servitù in favore di (...) ed a carico di (...) con riferimento ai beni e per le ragioni di cui in motivazione; 2. conseguentemente ordina a (...) il ripristino dello stato dei luoghi mediante la chiusura della illegittima apertura (porta) che dalla sua proprietà si affaccia sulla proprietà dell'appellante (...), nonché di cessare qualsiasi illegittimo passaggio sulla proprietà dell'appellante; 3. conferma il rigetto di ogni ulteriore domanda; 4. compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio nella misura della metà; 5. condanna (...) a rifondere ad (...) la restante metà delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida già nelle indicata misura: quanto al giudizio di primo grado, in Euro 1276,00 per la fase di studio; Euro 814,00 per la fase introduttiva; Euro 2.835,00 per la fase istruttoria ed Euro 2.126,50 per la fase decisionale, oltre 15% per rimborso spese forfettarie e accessori di legge; quando al presente grado di appello, in Euro 1.488,50 per la fase di studio; Euro 955,50 per la fase introduttiva ed Euro 2.551,50 per la fase decisionale, oltre 15% per rimborso spese forfettarie e accessori di legge. Così deciso in Milano il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE di APPELLO DI POTENZA La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati: Dott. ALBERTO IANNUZZI - Presidente Dott. MICHELE VIDETTA - Consigliere Dott.ssa ADELE APICELLA - G.A. Estensore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 697 del Ruolo Generale dell'anno 2018, avente ad oggetto appello avverso la sentenza n. 134 pubblicata in data 8.10.2018 dal Tribunale di Lagonegro in composizione monocratica, e vertente tra CONDOMINIO (...), in persona dell'Amministratore p.t., (P.l. (...)), rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce all'atto di citazione in appello, dall'avv. Pa.To., elettivamente domiciliato in Napoli alla Via (...), presso lo studio del difensore APPELLANTE CONTRO CONDOMINIO (...), in persona dell'Amministratore p.t., (P.L (...)), rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione in appello, dagli avv.ti Fa.Ce., Fr.Pi. e La.Ce., elettivamente domiciliato in Camposano (NA) alla Via (...), presso lo studio dei difensori APPELLATO NONCHE' CONTRO (...) S.R.L., in persona del legale rapp.te p.t., (P.I. (...)), rappresentata e difesa, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado, dall'avv. Ni.Se., elettivamente domiciliata in Potenza alla Via (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Ca. APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato il Condominio (...) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sala Consilina - Sezione di Sapri il Condominio (...) e la (...) s.r.l. onde sentir accertare e dichiarare l'obbligo dei convenuti di corrispondere la quota di partecipazione alle spese di gestione e di amministrazione delle parti comuni e, per l'effetto, condannare gli stessi al pagamento dell'importo complessivo di Euro 64.371,60, oltre interessi e rivalutazione. Vinte le spese di giudizio. In via istruttoria, deferiva interrogatorio formale nei confronti dell'ing. (...), Amministratore Unico della (...) s.r.l., originario proprietario e venditore dei singoli lotti, sui capi articolati nella premessa, e chiedeva, ove ritenuto necessario, ammettersi prova testimoniale sulle circostanze di cui alla premessa, riservandosi di indicare i testi nel corso del giudizio e di avanzare ogni altra richiesta istruttoria. In punto di fatto l'attore premetteva che: 1) il Condominio (...) aveva competenza generate ed amministrava tutte le parti del complesso residenziale, realizzato, in varie fasi, nel Comune di Santa Marina - Località S. L., avente accesso dalla S.S. 18 al Km 203,400, in virtù della lottizzazione ottenuta dalla società "(...) s.a.s."; 2) nella parte a monte del complesso edilizio era stato costruito il residence, denominato (...), dalla (...) s.r.l. di Aversa, che aveva acquistato, con atto di compravendita del 2.12.1999, dalla (...) s.r.l. un lotto di terreno edificatorio; 3) nel capo Primo dell'atto di compravendita l'ing. (...), Amministratore Unico della (...) s.r.l., si era impegnato a concorrere alle spese di gestione, di manutenzione ordinaria e straordinaria e di miglioramento delle opere di urbanizzazione realizzate nella lottizzazione (...), nella misura del 20%, pur essendo tali opere di proprietà comune dei soli lotti facenti parte della lottizzazione stessa; 4) il Condominio (...), per le parti comuni a tutti gli edifici, aveva ripartito le spese per i singoli lotti (singoli condomini) con criteri millesimali fino alla concorrenza dell'80% dell'importo, mentre aveva attribuito un valore, pari al residue 20% del totale, al fabbricato denominate "(...)", per obbligo imposto nell'atto di compravendita dalla (...) s.r.l.; 5) nonostante i continui solleciti, il Condominio denominate (...) era risultato inadempiente, con grave ripercussione sul buon andamento dell'amministrazione, pregiudizio alla sicurezza delle persone e notevole esposizione finanziaria per le proprie casse; 6) a fronte dell'obbligazione reale risultante dal patto stabilito, nella libera contrattazione tra le parti della vendita del lotto, la (...) s.r.l., nella fase di costruzione del Residence (...) non aveva rispettato i numeri 3, 4 e 5 del capo Primo, avendo fatto transitare, senza renderne alcun conto, i mezzi meccanici sul viale principale del Condominio P., con conseguenti notevoli disagi e danni; 7) l'inadempimento delle richiamate obbligazioni rendeva necessaria una pronuncia giudiziale per la condanna dei convenuti ad adempiere, in via alternativa o concorrente, e, laddove occorrente, per chiarire l'ambito e l'efficacia dei patti sottoscritti nell'atto notarile, nonché la ricaduta dell'obbligo sul costituito Condominio; 8) dette inadempienze avevano cagionato ingenti danni, pregiudicato la sicurezza ed il normale godimento della cosa comune, comportato maggiori costi per il Condominio (...) a causa del ritardo nell'adempimento delle proprie obbligazioni, determinato dalla morosità dei creditori; 9) il debito per gli esercizi 2006, 2007, 2008 e 2009 ammontava a complessivi Euro 64.371,60, cui andavano aggiunti interessi e rivalutazione. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 10.11.2010, si costituiva in giudizio il Condominio (...), che concludeva chiedendo il rigetto della domanda, perché inammissibile, improponibile ed infondata. In via preliminare, eccepiva la nullità dell'atto introduttivo per incertezza del petitum ed inesatta determinazione dell'oggetto della pretesa. In sintesi, sosteneva che l'attore aveva fatto riferimento, in maniera assolutamente indifferente, a quote condominiali e a quote di partecipazione alle spese di gestione e di amministrazione e che aveva omesso di indicate gli elementi a chiarimento delle domande formulate. Il tutto in palese violazione del principio del contraddittorio, non essendogli stato consentito di formulate, in via immediata ed esauriente, le proprie difese. Inoltre, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva non esistendo una situazione di condominio e/o di comunione tra lo stesso e l'attore, come, peraltro, dichiarato nell'atto di citazione, da cui poter dedurre che i singoli proprietari del Condominio (...) fossero titolari di una servitù di passaggio sulle strade della lottizzazione (...). Pertanto, trattandosi di un diritto reale dovevano essere coinvolti i singoli proprietari e non il Condominio, privo di legittimazione attiva e passiva. Sul punto, dopo aver precisato il concetto di legittimazione passiva, intesa quale dovere del convenuto di subire il giudizio instaurato dall'attore secondo una determinata prospettazione del rapporto oggetto della controversia, richiamava l'art. 1131, comma 2, c.c., relative alla legittimazione passiva dell'amministratore solo in ordine alle liti riguardanti le parti comuni dell'edificio, nonché l'art. 1130 c.c. in merito alle attribuzioni, ai compiti ed ai poteri dell'amministratore del condominio, estraneo ai diritti autonomi di ciascun condomino. In linea gradata, eccepiva la non integrità del contraddittorio, riguardando la controversia non solo l'amministratore, ma tutti i condomini. Pertanto, trattandosi di litisconsorzio necessario, assumeva la necessità che il contraddittorio fosse integrate nei confronti degli stessi. In linea ancor più gradata, contestava nel merito la domanda attorea stante l'insussistenza di un titolo idoneo a giustificare la richiesta di pagamento. In particolare, ribadiva l'esistenza di un rapporto di servitù a favore dei singoli proprietari costituenti il Condominio (...) sui beni comuni con il Condominio (...), ab origine costituito gratuitamente e giammai regolamentato. In linea ulteriormente gradata contestava il quantum richiesto. In via istruttoria, contestava la richiesta di ammissione della prova per testi e, nella denegata ipotesi di accoglimento della stessa, chiedeva di essere ammesso alla prova contraria. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 3.12.2010, si costituiva in giudizio la (...) s.r.l., che concludeva chiedendo il rigetto della domanda, perché inammissibile, improcedibile, infondata in fatto e in diritto, stante la propria estraneità ai fatti di causa. Innanzitutto, evidenziava che il Condominio (...) aveva fondato la propria pretesa di pagamento sull'atto di compravendita dalla stessa stipulato il 2.12.1999 con la (...) s.r.l., nel quale l'attore non era intervenuto. Di conseguenza, lo stesso non poteva pretendere alcuna prestazione. Inoltre, evidenziava che, dopo aver realizzato sul lotto oggetto del contratto il complesso residenziale (...), aveva alienato le singole unita abitative, i cui acquirenti si erano espressamente assunti l'obbligo oggetto di controversia. Il Tribunale ammetteva solo l'interrogatorio formale dell'Amministratore Unico della (...) s.r.l., che, però, non compariva. In assenza di attività istruttoria, all'udienza del 7.6.2018, la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Con sentenza n. 134/2018, pubblicata in data 8.10.2018, il Tribunale di Lagonegro in composizione monocratica rigettava la domanda e, per l'effetto, condannava il Condominio (...) al pagamento, in favore del Condominio (...) e della (...) s.r.l., delle spese di giudizio. Preliminarmente, il Tribunale rigettava l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio sollevata dal Condominio (...) per insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 164, comma 4, c.p.c.. Sempre in via preliminare, il Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione attiva del Condominio (...), così come eccepito dalla convenuta (...) s.r.l., non risultando dagli atti di causa un rapporto contrattuale tra lo stesso e la società (...) s.r.l., che aveva venduto il suolo alla (...) s.r.l. Inoltre, accoglieva l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Condominio (...), non avendo l'attore provato se i condomini, negli atti di acquisto, avessero o menu assunto gli obblighi di pagamento e dovendo, in tal case, ritenersi legittimati passivi i singoli condomini. Pertanto, ritenuta la carenza di titolarità attiva del Condominio (...) e quella di legittimazione passiva del Condominio (...), affermava l'infondatezza della pretesa, anche ai sensi dell'art. 1372 c.c. Con atto di appello notificato il 23.11.2018 il Condominio (...) impugna la suindicata sentenza, formula istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa e conclude chiedendo di: I) accertare e dichiarare la sussistenza dell'obbligo dei convenuti di corrispondere la quota di partecipazione alle spese di gestione e di amministrazione delle parti comuni e, per l'effetto; 2) condannare gli stessi, in via alternativa o concorrente, al pagamento delle quote condominiali, sia ordinarie che straordinarie, relativamente agli esercizi 2006, 2007, 2008 e 2009, pari ad Euro 64.371,60, oltre interessi e rivalutazione; 3) in subordine, accertare l'ambito di efficacia dei patti sottoscritti nell'atto di vendita del 2.12.1999 e della ricaduta di tale obbligo sul costituito Condominio, nascente dagli aventi causa (acquirenti) degli immobili edificati su tale lotto; 4) in ogni caso, condannare le controparti al pagamento delle spese e competenze dei due gradi di giudizio. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 20.3.2019, si costituisce in giudizio il Condominio (...) s.r.l., che conclude chiedendo di rigettare la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata e, quindi, di rigettare l'impugnazione, perché inammissibile, improcedibile ed infondata. Vinte le spese di lite. In via preliminare, eccepisce la tardività dell'appello avendo notificato la sentenza di primo grado il 24.10.2018. Sempre in via preliminare, eccepisce la violazione dell'art. 342 c.p.c. non avendo l'appellante ottemperato all'onere della specificazione dei motivi di impugnazione e, quindi, evidenziato come dovrebbe essere innovata la pronuncia di primo grado. Ancora in via preliminare, eccepisce l'inammissibilità dell'appello in quanto contenente deduzioni e domande nuove, in particolar modo la richiesta di un provvedimento ulteriore rispetto a quelli invocati nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado. In relazione al primo motivo di gravame assume che l'appellante non ha provato la propria legittimazione attiva, ossia la titolarità del presunto diritto di credito o la rinuncia o il trasferimento allo stesso da parte dell'originario sottoscrittore del contralto. Al riguardo precisa che l'atto di vendita del 2.12.1999 era stato sottoscritto dalla (...) s.r.l. e dalla (...) s.r.l. e giammai dal Condominio (...) e che non vi e documentazione che attesti se e con quali modalità la posizione contrattuale dal late attivo sia stata trasferita dalla società (...) s.r.l. alla società (...) s.a.s. e successivamente da questa al Condominio appellante. Fermo ciò, assume che la titolarità della posizione creditoria non può derivare dalla naturale insistenza del Condominio (...) sui lotti oggetto del contralto di compravendita, trattandosi di una mera circostanza in virtù della quale non può concedersi alcuna titolarità di diritti di obbligazione, peraltro giammai dedotta in primo grado, ne in alcun modo provata nel presente grado di giudizio. Inoltre, assume l'inammissibilità del secondo e quarto motivo di gravame e la propria carenza di legittimazione passiva. In sintesi, afferma che l'appellante non ha indicate le argomentazioni dirette a contrapporre la decisione del Tribunale, ne prospettato le modifiche in concrete richieste, essendosi limitato a riproporre quanto dedotto nel giudizio di primo grado. Nel merito, sostiene di non aver mai sottoscritto il contratto di compravendita immobiliare stipulate tra la (...) s.r.l., e la (...) s.r.l. -nel quale l'acquirente si sarebbe impegnato a partecipare, nella misura del 20%, alle spese di gestione e manutenzione relative alle parti comuni del contiguo condominio appellante, obbligo poi trasferito dall'originario acquirente ai suoi aventi causa-, e di non essere avente causa delle parti, ma solo il soggetto che, per conto degli aventi causa, amministra gli spazi comuni. Pertanto, anche in virtù di quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione e statuito dall'art. 1131, comma 2, c.c., va confermata la propria carenza di legittimazione passiva. Per completezza, evidenzia che le sentenze richiamate dall'appellante riguardano l'istituto della servitù e non delle obbligazioni e che, comunque, l'amministratore non può avere legittimazione alcuna in relazione agli autonomi atti di compravendita, nei quali gli acquirenti potrebbero aver escluso o accettato o modificato la clausola contenente il presunto obbligo assunto dal loro dante causa, peraltro giammai depositati. In relazione a tale ultima circostanza -oggetto di specifico motive di appello- richiama l'art. 2697 c.c., in virtù del quale l'onere della prova grava su colui che allega i fatti posti a fondamento della domanda, principio non derogabile anche in presenza di fatti negativi. Inoltre, fa rilevare che, contrariamente a quanto affermato dall'appellante, il Tribunale ha correttamente escluso che l'obbligazione azionata possa essere qualificata come "propter rem". Ciò in quanto tali ipotesi di obbligazione costituiscono un numero chiuso e, quindi, oltre ad essere caratterizzate dall'accessorietà e dall'ambulatorietà, non possono essere create dall'autonomia privata. Per completezza, evidenzia che nelle obbligazioni reali i soggetti del rapporto sono i titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento della cosa e, quindi, solo il collegamento con la stessa individua il soggetto che deve rispondere, anche in giudizio, delle obbligazioni. E, nel caso di specie, titolari della cosa sono i proprietari e non l'ente, che, per conto di essi, amministra gli spazi comuni. In subordine, evidenzia che tale qualificazione della domanda, peraltro nuova in quanto prospettata solo in sede di gravame, e in contraddizione con le conclusioni rassegnate negli atti introduttivi di entrambi i giudizi, volte ad ottenere la condanna dei convenuti al pagamento degli oneri condominiali e non già di un'obbligazione reale. Pertanto, assume che la richiesta sia temeraria in quanto formulata nei confronti di soggetti estranei alle dinamiche condominiali, non essendovi parti comuni ad entrambi i condomini e trattandosi di spese riguardanti parti di esclusiva pertinenza ed uso dell'appellante. In relazione al terzo motive di appello osserva che l'atto di compravendita vincola unicamente le parti che lo hanno sottoscritto, non pud produrre effetti nei confronti dei terzi e che giammai e stata provata la sussistenza di atti previsti dall'ordinamento per la circolazione delle obbligazioni, come, ad esempio, la delegazione, l'estromissione, l'accollo, la cessione. Pertanto, assume che il Condominio (...) ha correttamente citato in giudizio la (...) s.r.l., ma ha erroneamente ampliato la platea dei convenuti coinvolgendo lo stesso, soggetto di sicura solvibilità. In via subordinata, rileva la nullità della clausola contrattuale posta a fondamento della richiesta di pagamento, con la quale la (...) s.r.l. "assume l'obbligo anche per i suoi aventi causa di concorrere alle spese di gestione, di manutenzione e di miglioramento delle opere di urbanizzazione realizzate nella lottizzazione (...) nella misura del 20%, pur essendo tali opere di proprietà comune dei soli lotti facenti parte della lottizzazione stessa", trovandosi i presunti obbligati in una posizione di assoggettamento al supercondominio (...) a tempo indeterminato e senza poter concorrere a deliberare le prestazioni per le quali dovrebbero corrispondere ingenti somme di denaro, peraltro relative alla manutenzione di aree di cui non sono proprietari e, pertanto, di cui non possono godere. Quindi, sostiene che il contratto e nullo e/o annullabile e precisa di non aver agito in via riconvenzionale onde ottenere una pronuncia in tal senso essendo privo di legittimazione attiva e passiva. Con riguardo alla prova del credito evidenzia che il Condominio (...) non ha prodotto alcuna fattura o documento giustificativi delle somme risultanti dal bilancio, unico atto depositato. Sul punto evidenzia che il bilancio condominiale e idoneo a sostenere la pretesa creditoria solo nei confronti dei condomini -che hanno la possibilità di consultare e controllare i documenti giustificativi delle spese effettuate in sede di approvazione- e non dei terzi, trattandosi di negozio unilaterale plurisoggettivo. In via ulteriormente subordinata, contesta il quantum debeatur richiesto, in considerazione della propria insistenza solo su una parte del lotto oggetto della compravendita, con la conseguenza che la somma indicata va imputata ai proprietari delle altre parti del lotto oggetto del contratto. Al riguardo evidenzia che, anche in tal caso, la richiesta dell'attore, odierno appellante, è sfornita di qualsiasi prova, in violazione di quanto statuito dall'art. 2967 c.c.. Da ultimo, si oppone alla richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, innanzitutto perché l'appellante non ha argomentato in merito ai gravi e fondati motivi richiesti dall'art. 283 c.p.c., poi perché il supercondominio e costituito da centinaia di condomini e, quindi, l'esecuzione della sentenza di prime grado si sostanzierebbe nel pagamento di poche decine di euro da parte di ciascuno di essi, infine perché non sussiste alcun dubbio di insolvenza dello stesso, essendo costituito da villette con affaccio sul mare, il cui valore, di per se, garantisce una futura solvibilità. Pertanto, assume che la richiesta, essendo pretestuosa e temeraria, non solo andrebbe rigettata, ma anche sanzionata. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 10.5.2019 si costituisce in giudizio la (...) s.r.l., che chiede il rigetto dell'appello essendo il Condominio (...) estraneo al contratto di compravendita ed avendo la stessa, dopo aver realizzato il complesso residenziale denominato (...), trasferito le singole unità immobiliari. All'udienza del 14.5.2019 l'appellante rinuncia all'istanza di inibitoria. Con decreto del 5.4.2022, la Corte dispone la trattazione della causa mediante lo scambio e il deposito, con modalità telematica, di note scritte, ai sensi degli artt. 83, comma 7, lett. h) del D.L. n. 18 del 2020 e 221 del D.L. n. 34 del 2020, come modificato dalla legge di conversione n. 77/2020. Le parti depositano le note di trattazione scritta reiterando le proprie difese. All'udienza del 26.4.2022 la Corte assegna la causa in decisione e concede i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare va esaminata l'eccezione sollevata dall'appellato Condominio (...) di tardività dell'appello avendo notificato la sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, il 24.10.2018. L'eccezione è infondata e, pertanto, va rigettata. Dalla documentazione prodotta nel presente grado di giudizio emerge che il Condominio (...), con pec del 23.11.2018, ha notificato l'atto di citazione in appello al Condominio (...) e alla (...) s.r.l. Pertanto, avendo il Condominio (...) notificato la sentenza il 24.10.2018, l'appello è tempestivo. Per quanto concerne la prova dell'avvenuta notifica occorre considerare quanto segue. La L. n. 53 del 1994 riconosce agli avvocati la facoltà di procedere alla notifica degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale e/o a mezzo posta elettronica certificata. In particolare, l'art. 9 della predetta legge dispone che nel caso in cui la notifica venga eseguita a mezzo pec, la prova deve essere fornita mediante il deposito dei file elettronici in formato "eml" o "msg". Fermo ciò, con l'ordinanza n. 20214/2021, pubblicata il 15 luglio 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulle conseguenze derivanti dal deposito in forma cartacea di un atto notificato a mezzo posta elettronica certificata tutte le volte in cui è possibile procedere con il deposito in modalità telematica. Secondo la Corte di Cassazione la violazione delle forme digitali non integra una causa di inesistenza, ma di nullità della notifica sanabile con il principio del raggiungimento dello scopo dell'atto. Ebbene, il Condominio (...) ha depositato i messaggi pec di avvenuta consegna ed accettazione in formato pdf. e, con le note di trattazione scritta per l'udienza del 26.4.202, fissata per la precisazione delle conclusioni, a fronte delle contestazioni sollevate dal Condominio B., ha effettuato il deposito dei file in formato "eml". Pertanto, trattandosi di una causa di nullità della notifica, la costituzione in giudizio de Condominio (...) e della (...) s.r.l. ha sana il vizio della prova dell'avvenuta notifica. Irrilevante è anche la circostanza della mancata attestazione di conformità dei messaggi pec di avvenuta consegna ed accettazione in formato cartaceo ai corrispondenti messaggi in formato elettronico, non avendo il Condominio (...) disconosciuto la conformità della copia all'originale notificatogli. Sempre in via preliminare va esaminata l'eccezione sollevata dall'appellato Condominio (...) di inammissibilità dell'appello per violazione dell'obbligo imposto dall'art. 342 c.p.c.. L'eccezione è infondata e, pertanto, va rigettata. Con la sentenza n. 10916/2017 la Corte di Cassazione ha affermato che non è necessario un "progetto alternativo di sentenza...", "...né alcuna trascrizione della sentenza appellata, ma la chiara ed inequivoca indicazione delle censure". Dalla lettura dell'atto introduttivo risultano individuabili le censure mosse dall'appellante alla sentenza impugnata e le modifiche richieste, così come sinteticamente riportate nei motivi di appello sopra riportati. Ancora in via preliminare va esaminata l'eccezione sollevata dall'appellato Condominio (...) di inammissibilità dell'appello in quanto contenente deduzioni e domande nuove, non proposte nel giudizio di primo grado, neppure all'esito delle memorie depositate ai sensi dell'art. 183, comma VI, c.p.c.. In particolare, evidenzia che al capo C) delle conclusioni dell'atto d'impugnazione l'appellante chiede, in subordine, di accertare l'ambito e l'efficacia dei patti sottoscritti nell'atto di vendita del 2.12.1999 per Notar (...) e della ricaduta di tale obbligo sul costituito Condominio e, quindi, sugli acquirenti degli immobili, soggetti diversi dalle parti in causa. Pertanto, sostiene che l'appellante, consapevole dell'insussistenza dei presupposti della richiesta formulata in primo grado, tenta, in sede di gravame, di formulare una domanda diversa, peraltro non considerando che i patti di cui chiede accertarsi l'efficacia riguardano soggetti diversi dalle parti in causa. L'eccezione è fondata e, pertanto, va accolta. Il divieto di ius novorum sancito dall'art. 345 c.p.c. riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le eventuali contestazioni nuove, ossia quelle non esplicate in primo grado; ciò in quanto le nuove contestazioni così mosse in secondo grado, nel modificare i temi di indagine, trasformerebbero il giudizio d'appello in un iudicium novum. Detto divieto risponde, pertanto, ad esigenze di ordine pubblico, concludendosi in un'applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione (Cass. Civ., sent. n. 383/2007; Cass. Civ., sent. n. 12147/2004). Nella fattispecie, con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado il Condominio (...) ha chiesto al Tribunale di "Accertare e dichiarare, visto l'atto pubblico del 2 Dicembre 1999 per notaio (...), reg.to Ufficio delle Entrate di Aversa (NA) il 20.12.1999 al n. 2153-T, sussistere l'obbligo per i convenuti tutti, di corrispondere la quota di partecipazione alle spese di gestione ed amministrazione, relative alle parti comuni generali del. Condominio "(...)", silo nel Comune di Santa Marina (SA), località S. L., Strada S. 18 - Km. 203,400; - Per l'effetto, condannare essi convenuti al pagamento delle quote condominiali, sia ordinarie che straordinarie, relativamente agli esercizi 2006, 2007, 2008 e 2009, ammontante a complessivi Euro 64.371,60, il tutto gravato di interessi e rivalutazione come per legge...". Invece, con l'atto di citazione in appello ha chiesto in subordine di "accertare l'ambito e l'efficacia dei patti sottoscritti nel richiamato atto di vendita del 2 dicembre 1999 per Notar Dott. Do.Fa. - Reg.to Ufficio delle Entrate di Aversa il 20 dicembre 1999 al n. 2153-T, e della ricaduta di tale obbligo sul costituito Condominio nascente dagli aventi causa (acquirenti) degli immobili su tale lotto edificati". Ebbene, tale domanda, essendo stata introdotta per la prima volta nel presente grado di giudizio, è inammissibile per violazione del divieto dei nova ex art. 345 c.p.c.. Con un primo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma la propria carenza di legittimazione attiva. In sintesi, assume che la propria legittimazione ad agire deriva dall'incontestata qualità di ente di gestione delle parti comuni tra i lotti realizzati sul suolo a valle di quello oggetto della compravendita tra la (...) s.r.l. e la (...) s.r.l., costruttrice del Condominio (...), circostanza pacifica ed incontestata, risultante dall'atto di compravendita per Notar (...) di Aversa e dalla Convenzione Urbanistica stipulata con il Comune di Santa Marina il 2.9.1977, regolarmente trascritta. Pertanto, sostiene che la (...) s.r.l. e gli aventi causa hanno l'obbligo di concorrere, nella misura del 20%, alle spese di gestione e manutenzione, ivi compreso il miglioramento delle opere di urbanizzazione di proprietà comune dei soli lotti allo stesso appartenenti. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato. Con l'art. 2 dell'atto di vendita sottoscritto il 2.12.1999 dalla (...) s.r.l. e dalla (...) s.r.l. la prima assumeva l'obbligo: "di concorrere alle spese di gestione, di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e di miglioramento delle opere di urbanizzazione realizzate nella lottizzazione (...) nella misura del 20% (venti per cento), pur essendo tali opere proprietà comune dei soli lotti facenti parte della lottizzazione". Il Condominio (...) fa discendere la propria legittimazione attiva dalla qualità di "Ente di gestione delle parti comuni dei lotti costruiti in base all'originaria lottizzazione ottenuta dalla Soc. "(...) SaS". Tuttavia, omette di dimostrare sia la titolarità del diritto di credito discendente dall'art. 2 dell'atto pubblico, sia il trasferimento di tale diritto in suo favore dalla "(...) s.a.s.", proprietaria dei lotti oggetto del richiamato contratto di vendita. Pertanto, come correttamente ritenuto dal Giudice di prime cure, il Condominio (...) non ha adeguatamente provato la sua legittimazione attiva. Il secondo ed il terzo motivo di appello devono essere esaminati congiuntamente perché connessi. Con un secondo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma la carenza di legittimazione passiva del Condominio (...). In sintesi, assume che: 1) trattandosi di partecipazione agli oneri relativi all'uso delle parti comuni generali, le opposte amministrazioni sono titolari, rispettivamente, della legittimazione attiva e passiva; 2) il patto -vincolante per tutti e ciascuno degli aventi causa dalla società acquirente del suolo, futura costruttrice e venditrice del complesso (...) -, prevedendo una partecipazione complessiva nella misura del 20%, esclude qualsiasi riferimento diretto ai singoli condomini, salva la ripartizione dell'importo in base alle singole quote millesimali, circostanza per lo stesso irrilevante; 3) la Suprema Corte ha affermato che la legittimazione processuale dell'amministratore di condominio, accordata dall'art. 1131 c.c., costituisce una deroga alla disciplina dettata per le ipotesi di pluralità di soggetti in un rapporto oggetto di lite, prevista al fine di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio senza dover promuovere il litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i condomini; 4) la dottrina ammette una forma di rappresentanza processuale cd. reciproca tra il singolo condomino e l'amministratore, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, in tutte quelle controversie in cui si contenda l'uso e il godimento delle parti comuni; 5) la sentenza di primo grado è errata, sia perché ritiene che la legittimazione passiva spetti ai singoli condomini, sia perché riversa in capo al condominio l'onere di dimostrare l'esistenza, nei diversi atti di acquisto, di eventuali clausole di esclusione degli oneri assunti dalla (...) s.r.l.. Con un terzo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui omette di pronunciarsi sull'istanza di condanna della (...) s.r.l.. In sintesi, assume che, ferma restando la legittimazione passiva della (...) s.r.l., il Tribunale si è limitato a rigettare la richiesta solo con riferimento al Condominio (...) e che la (...) s.r.l., per non essere condannata, avrebbe dovuto produrre in giudizio eventuali atti di trasferimento degli immobili contenenti espressa esclusione dell'onere assunto dal dante causa, consistente nel concorso alle spese relative alle parti comuni. I motivi sono infondati e, pertanto, vanno rigettati. Ai sensi dell'art. 2697 c.c. l'onere di provare un fatto ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della propria tesi. Quindi, chi vuol far valere in giudizio un diritto deve dimostrare i fatti costitutivi che ne hanno determinato l'origine. Invece, colui che contesta la rilevanza di tali fatti in giudizio ha l'onere di dimostrarne l'inefficacia o provare eventuali altre circostanze che abbiano modificato o fatto venir meno il diritto vantato, chiamate rispettivamente circostanze impeditive, modificative ed estintive. Ebbene, nel caso di specie, il Condominio (...) non ha fornito elementi idonei a dimostrare la sussistenza del suo diritto di credito nei confronti delle odierne appellate. Nel corso del giudizio è emerso che la (...) s.r.l., dopo la costruzione del complesso residenziale "(...)", ha alienato le singole unità immobiliari. Pertanto, il Condominio (...), su cui incombeva l'onere della prova, avrebbe dovuto dimostrare, mediante la produzione in giudizio dei contratti di compravendita, l'assunzione da parte degli acquirenti/condomini dell'obbligo di pagamento oggetto di causa, prova in nessun modo fornita. Da ultimo, l'appellante censura la sentenza impugnata per aver negato alle obbligazioni assunte dalla (...) s.r.l. la natura reale o cd. di obbligazione propter rem, essendo detta affermazione in contrasto con quanto disposto nell'atto a firma del Notaio (...), oltre che con quanto affermato al riguardo da dottrina e giurisprudenza. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato. Le obbligazioni propter rem si atteggiano come obblighi gravanti su uno specifico soggetto che entra in relazione con una res, che è tenuto a sopportarli a causa del proprio status di proprietario del bene medesimo. In tale modello di obbligazione, il riferimento al bene ha come scopo proprio l'individuazione del soggetto debitore, il quale, dunque, sarà soggetto a tutte le disposizioni codicistiche in tema di obbligazioni. La giurisprudenza, inizialmente espressa in favore della atipicità, oggi è attestata nel senso della tipicità delle obbligazioni propter rem, che, quindi, devono considerarsi un numero chiuso. Al riguardo afferma che "in tema di condominio negli edifici tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c. soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono obbligazioni "propter rem" per le quali il condomino non vi si può sottrarre (Cass. 6923/01, Cass. 19893/11). Invece quelle sostenute per il godimento delle cose comuni, avendo diversa natura, possono diversamente legittimamente essere unilateralmente rinunciate". Ebbene, nel caso in esame, non risultando che la clausola invocata sia stata espressamente oggetto di accettazione, al momento dell'acquisto, da parte dei singoli acquirenti degli immobili facenti parte del complesso residenziale "(...)", non è opponibile a quest'ultimi. Le spese del presente grado di giudizio vanno liquidate a carico dell'appellante come indicato in dispositivo, secondo il criterio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., considerati i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dei valori medi, inclusa, per l'appello, la fase istruttoria, alla luce del valore della causa come dichiarato. Il rigetto dell'impugnazione impone all'appellante, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto all'atto dell'iscrizione a ruolo del giudizio. P.Q.M. La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza n. 134, pubblicata in data 8.10.2018 dal Tribunale di Lagonegro in composizione monocratica, proposto dal Condominio (...) nei confronti del Condominio (...) e della (...) s.r.l., ogni diversa istanza, domanda, richiesta o eccezione disattesa o assorbita, così provvede: A) Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza n. 134, pubblicata in data 8.10.2018 dal Tribunale di Lagonegro in composizione monocratica. B) Condanna il Condominio (...) al pagamento, in favore del Condominio B., delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 9.515,00 per compensi professionali, oltre magg. forf., IVA e CAP, come per legge, con attribuzione ai procuratori antistatari. C) Condanna il Condominio (...) al pagamento, in favore della (...) s.r.l., delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 9.515,00 per compensi professionali, oltre magg. forf., IVA e CAP, come per legge, con attribuzione al procuratore antistatari. C) Dispone, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, che l'appellante versi un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto all'atto dell'iscrizione a ruolo del giudizio. Così deciso in Potenza il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dai Signori Magistrati Dott. Lisa Micochero - Presidente Dott. Enrico Schiavon - Consigliere Dott. Francesco Marchio - Cons. Ausiliario rel. ed est. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado d'appello iscritta al n. 1828 del Ruolo Generale dell'anno 2020. TRA (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Fr.Ba., con domicilio eletto presso il suo studio in Castelfranco Veneto (TV), Via (...). PARTE APPELLANTE E (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Ro. e Lu.Za., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Pieve del Grappa, Piazza (...). PARTE APPELLATA E (...), (...) e (...) - SOCIETA' COOPERATIVA, contumaci. PARTE APPELLATA Oggetto della causa: appello avverso la sentenza definitiva n. 1128 del Tribunale di Treviso pubblicata il 4/8/2020. Causa decisa nella camera di consiglio del 3/11/2022. FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato innanzi al Tribunale di Treviso, (...) e (...) convenivano in giudizio (...) per sentire accertata l'inesistenza di una servitù di passaggio sul loro fondo, mapp. (...), ed in favore dei fondi del convenuto, mappali (...) e (...). Con condanna ad astenersi dal transito, anche per interposta persona o, in subordine, accertata l'inesistente di qualunque diritto di godimento sul mappale (...) con condanna ad astenersi dal transito. 2. Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale che venisse accertato l'intervenuto acquisto per usucapione del diritto di passaggio per veicoli e pedoni a carico del fondo degli attori ed in favore dei propri mappali (...) e (...) o, in subordine, la costituzione di una servitù coattiva di passaggio a favore ed a carico degli stessi fondi. 3. Autorizzata, previo mutamento del rito, ed effettuata la chiamata in causa di (...), (...) e della (...) soc. coop., quali proprietari di fondi interposti tra i mappali n. (...) e (...) e la via pubblica, gli stessi restavano contumaci. 4. Il Tribunale di Treviso, istruita la causa con l'acquisizione di documenti e c.t.u., così disponeva: 1. Rigetta le domande attoree. 2. Accertata l'interclusione del fondo del convenuto, costituisce una servitù di passaggio coattivo per veicoli e pedoni a favore dei fondi censiti al Catasto Terreni del Comune di (...), Foglio (...), MMNN 1478 e 1479 (il secondo anche censito al Catasto Fabbricati del medesimo Comune, Sezione C, Foglio (...), MN 1479), ed a carico dei fondi censiti al Catasto Fabbricati del Comune di (...), Sezione C, Foglio (...), MMNN 1402 e 1403 (altresì censiti al Catasto Terreni del medesimo Comune, Foglio (...), MMNN 1402 e 1403) e della porzione del fondo censito ai medesimi Comune, Catasto Fabbricati, Sezione e Foglio, MN 470 sub (...) (anche censito al Catasto Terreni del medesimo Comune, Foglio (...), MN 470) della medesima larghezza dei MMNN 1402 e 1403, nonché sul fondo stessi Comune, Catasto e Foglio, MN 1846, necessaria per collegare tali mappali alla via pubblica, con le modalità indicate a pag. 50 della CTU. 3. Condanna il sig. (...) a corrispondere agli attori, a titolo di indennità ex art. 1053 c.c., la somma di Euro 4.400. 4. Condanna gli attori a corrispondere al convenuto le spese di lite, che liquida, ex D.M. n. 55 del 2014, in Euro 7.254,00 oltre spese generali al 15%, IVA e CPA. 5. Pone definitivamente a carico degli attori le spese di CTU già liquidate. 5. Rilevava il Tribunale per quanto ancora di interesse: - in relazione alla domanda riconvenzionale, il fondo del convenuto doveva ritenersi intercluso, nonostante la contiguità con la pubblica via (...), avendo il Comune di Asolo escluso la possibilità di aprire un varco su detta via come emerso dalla c.t.u.; - inoltre, aggiungeva il primo giudice, la predetta domanda di costituzione di servitù di passaggio coattivo sul fondo degli attori doveva essere accolta non essendo possibile per il convenuto procurarsi l'accesso alla via pubblica senza eccessivo disagio o dispendio, richiedendo azioni giudiziarie, accesso che, comunque, per stessa ammissione di parte attrice, sarebbe stato limitato al solo passaggio pedonale. 6. Per la riforma della sentenza proponevano appello (...) e (...). Si costituiva (...) chiedendo il rigetto dell'appello e sostenendo le ragioni degli appellati come da comparsa di costituzione e risposta. (...), (...) e (...) - Società Cooperativa restavano contumaci. Disposta ed espletata c.t.u., precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. I motivi di appello 7. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all'interclusione del fondo dell'appellato, il mancato accertamento del presupposto ovvero se sia "autorizzabile" dal Comune "la realizzazione di un varco pedonale ed eventualmente anche di un varco carraio sul muro che attualmente separa il m.n. 1478 dalla citata via (...)". Aggiunge l'appellante che: "la legislazione regionale e la normativa locale richiamata dal Comune di Asolo...non vieta... l'apertura di un varco sul muro di confine che separa il m.n. 1478 dalla via pubblica Noè, ma unicamente la realizzazione all'interno dello stesso m.n. 1478 di un marciapiedi o di una stradina o di un percorso comunque ideato". Sul punto, l'appellante chiedeva una integrazione della c.t.u. su quali: "conseguenze abbia determinato l'adeguamento (o l'omesso adeguamento) degli strumenti urbanistici comunali di Asolo previsto entro il 31.12.2019 sulla possibilità di realizzare una via di accesso interna al m.n. 1478, con inizio dal punto di sbocco su via (...)". Con il secondo motivo si deduce l'erronea regolamentazione delle spese di lite di primo grado e di c.t.u. poste a carico di parte attrice chiedendo la compensazione delle stesse in considerazione dell'implicito accertamento dell'inesistenza di servitù di passaggio a carico del fondo dell'appellante e del conseguente illecito transito esercitato dal (...). 8. Il primo motivo di appello è infondato. In tema di servitù coattiva di passaggio, infatti, è onere del proprietario del fondo che chiede la costituzione della servitù coattiva a favore del medesimo - o l'ampliamento di quella preesistente - dimostrare il fatto costitutivo della pretesa e cioè l'interclusione del suo fondo - ovvero l'impossibilità di accedervi con mezzi meccanici - mentre spetta al proprietario del fondo su cui dovrà esser costituita la servitù eccepire e provare l'esistenza di un diritto di passaggio a favore del fondo intercluso e a carico di uno di quelli che lo circondano che consenta lo sbocco sulla pubblica via - ovvero la sufficienza dell'ampiezza del passaggio esistente per l'utilizzazione del fondo - configurando queste circostanze un fatto impeditivo della pretesa attorea (cfr. Cass. 11592/2004). 8.1. Inoltre, nella fattispecie non è in discussione l'inaccessibilità con veicoli dal fondo dell'appellato alla pubblica via, quanto l'asserita possibilità, secondo l'assunto dell'appellante, di ottenere un'autorizzazione da parte del Comune, limitata all'apertura di un varco per la conformazione dei luoghi dal fondo di (...) sulla via pubblica, ma senza la realizzazione di "una stradina o di un percorso" fino alla predetta via pubblica e dunque, al più, per consentire un transito pedonale senza una pratica possibilità di uscita sulla pubblica via con mezzi meccanici. 8.2. Ciò posto, per completezza, si osserva ulteriormente: - dalla c.t.u. svolta in primo grado è emerso che la normativa locale non consente la possibilità di aprire alcun varco tra Via (...) ed il fondo dell'appellato; - dalla integrazione della c.t.u. disposta dalla Corte si evince che il Comune di A. in data 3/12/2021 ha confermato che non risulta: "ammissibile, ad oggi, l'apertura di accessi dalla Via pubblica Via D. C. (...), verso la proprietà identificata catastalmente al N.C.T. fg. (...) mapp. nr. (...)-(...)...", v. pag. 6 della c.t.u. del 28/1/2022. 8.3. In altre parole, come già legittimamente evidenziato dal giudice di prime cure, l'accertata attuale interclusione del fondo (...) e la mancata allegazione e prova di un precedente accesso alla via pubblica, escludono l'applicabilità dell'art. 1052 c.c. invocata dall'appellante, mentre appare irrilevante, in caso di mutamento della normativa, l'eventuale ipotetica realizzabilità di un accesso futuro. 9. Anche l'ultimo motivo, sulle spese di lite liquidate dal Tribunale alla parte convenuta vittoriosa, è infondato. Contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, non sussiste alcuna violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. E' incontrovertibile, infatti, la soccombenza della parte attrice nel giudizio di primo grado ad esito del quale risulta accolta, invece, la domanda riconvenzionale del convenuto ora appellato. 10. In conclusione, l'appello viene rigettato e le spese del grado vengono liquidate come da dispositivo, tenuto conto della valore indeterminabile e della non particolare complessità della controversia, in favore di (...). Nulla per le spese per le parti non costituite. Le spese di c.t.u. sono poste definitivamente a carico degli appellanti in solido come già liquidate. P.Q.M. La Corte d'Appello di Venezia, definitivamente pronunziando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa così provvede: 1) rigetta l'appello proposto da (...) e (...) e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado; 2) condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese di lite del grado che si liquidano complessivamente in Euro 6.025,00 oltre spese generali (15%) e oneri accessori come per legge in favore di (...); 3) pone le spese di c.t.u. definitivamente a carico degli appellanti in solido come già liquidate; 4) dà atto che sussistono a carico della parte appellante i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1, quater del D.P.R. n. 115 del 2002 (T.U. in materia di spese di giustizia). Così deciso in Venezia il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE di APPELLO DI POTENZA La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati: Dott. Alberto IANNUZZI - Presidente rel. est. Dott. Michele VIDETTA - Consigliere Dott.ssa Mariadomenica MARCHESE - Consigliere ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 705 R.G. del 2018, avente ad oggetto appello avverso la sentenza n. 56/2018, emessa il 24.04.2018 e depositata in pari data dal Tribunale di Lagonegro, in composizione monocratica, vertente tra COMUNE DI SANTA MARINA (P. IVA (...)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce all'atto di appello, dall'avv. Gi.Po., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa, gi usta procura in calce della comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Vi.De., elettivamente domiciliate presso lo studio dell'avv. Sa.Be., sito in Potenza alla Via (...) APPELLATA SVOLGIMENTO del PROCESSO 1. Con atto di citazione notificato il 15.11.2010, (...) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Sala Consilina-Sez. Distaccata di Sapri il Comune di Santa Marina, al fine di far dichiarare in suo favore, ai sensi dell'art. 1158 c.c., l'avvenuta usucapione del terreno ubicato in (...) M., identificato in catasto al foglio (...), p.lla (...) e parte della p.lla (...) e (...), e per l'effetto dichiararsi la proprietà esclusiva dell'immobile in capo all'attrice. A sostegno della domanda deduceva: - che il terreno, coltivato dagli antenati della Sig.ra (...) e dalla stessa da circa 50 anni, era stato oggetto di possesso da oltre 100 anni; - che l'attrice aveva pagato costantemente il canone dell'energia elettrica e della fornitura idrica, nonché la tassa sui rifiuti e P., così come avevano fatto anche i propri genitori; - che il terreno, sul quale insisteva un fabbricato per civile abitazione con annesse pertinenze, non era un bene demaniale né era gravato da usi civici; - che i confini dei terreni erano delineati da piccoli muri e reti metalliche; - che le pertinenze erano state successivamente condonate. Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio il Comune di Santa Marina, chiedendo di dichiararsi la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza del petitum, ed in via subordinata il rigetto della domanda. Proponeva, inoltre, domanda riconvenzionale volta all'accertamento della titolarità del terreno in capo all'Ente, anche per intervenuta usucapione, con condanna dell'attrice alla restituzione del cespite, previo rispristino dello status quo ante e risarcimento del danno per il mancato godimento. La causa, istruita a mezzo di prove testimoniali e di consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza del 07.03.2018 veniva trattenuta in decisione con rinuncia ai termini. Con sentenza n. 544/2009, emessa il 28.10.2009 e depositata il 29.10.2009, il Tribunale di Lagonegro, in composizione monocratica, accoglieva la domanda proposta da (...), rigettava la domanda riconvenzionale avanzata dal Comune di Santa Marina e, per l'effetto, dichiarava avvenuta l'usucapione in favore della parte attrice del diritto di proprietà sui terreni siti in (...) M., individuati in catasto al foglio (...), particella (...) e parte delle particella (...) e (...), ordinando al Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente, con esonero di sue responsabilità al riguardo, di provvedere alle trascrizioni di legge. Il Tribunale evidenziava a suffragio della decisione la sussistenza del requisito dell'animus possidendi, da intendere quale intenzione della sig.ra (...) di comportarsi come proprietaria del bene, avendo la stessa posseduto uti dominus l'immobile oggetto di controversia, a far tempo dall'anno 1952. 2. Con atto di appello, notificato in data 26.11.2018, il Comune di Santa Marina ha impugnato la suindicata sentenza. Con un unico motivo di gravame, ha sostenuto: - che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per il riconoscimento dell'usucapione, non essendo stata provata la ricorrenza dei requisiti necessari; - che, in particolare, poiché nell'anno 1952 la sig.ra (...) aveva solo 11 anni, non avrebbe potuto esercitare una signoria di fatto piena, indiscussa e corrispondente al diritto di proprietà sulla res, peraltro sconfessata dalla prova orale e dalla prova documentale; - che il teste (...) aveva dichiarato che "i sigg. (...) e (...) coltivavano questo pezzo di terra " e rientrando dagli Stati Uniti nel 1964, aveva trovato "gli stessi soggetti sul terreno ", affermando di non essere in grado di "precisare il periodo in cui sono subentrati i figli"; - che i testimoni (...) e (...) avevano riferito della coltivazione del terreno ad opera dei nonni e dei genitori della sig.ra (...), ma non avevano precisato l'epoca in cui (...) avrebbe iniziato a coltivare il terreno; - che la coltivazione del terreno, attività irrilevante ai fini dell'usucapione, "non aveva comportato una situazione oggettivamente incompatibile con la proprietà altrui - che il contratto di somministrazione di energia elettrica era stato stipulato dal Sig. (...); - che la sig.ra (...), domandando al Comune di Santa Marina l'acquisto della proprietà, aveva riconosciuto il diritto di proprietà altrui e interrotto il termine utile per usucapire; - che il Comune, chiudendo la strada di accesso del terreno durante la realizzazione di opere di urbanizzazione, aveva esercitato sul terreno i poteri e le facoltà del proprietario; - che l'amministrazione, quale titolare del diritto di proprietà, aveva giustamente domandato il rilascio dell'immobile proponendo la domanda riconvenzionale. L'appellante ha concluso chiedendo di rigettare, previa declaratoria di inammissibilità del gravame, la domanda avanzata da parte attrice in primo grado, con riforma della sentenza ed accoglimento della domanda riconvenzionale, con vittoria di spese e compensi, comprese le spese di ctu. 3. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata il 09.5.2019, si è costituita in giudizio (...), che ha chiesto di rigettare l'appello e confermare la sentenza impugnata, evidenziando: - che il possesso del de cuius si era trasferito agli eredi, i quali erano subentrati nel possesso senza necessità di una materiale apprensione del bene; - che considerata l'esistenza di una recinzione e di muretti, riferita dal teste (...), e la presenza del cancello, affermata dal teste (...) e dalla perizia di parte, alla sig.ra (...) era stato chiesto il permesso di accedere ai terreni da Via T.; - che non essendovi più accessi lungo Via T. perché la strada era stata chiusa dal Comune per lavori di urbanizzazione, la sig.ra (...) aveva fatto una denuncia ai Carabinieri; - che al fine di ottenere il riconoscimento della proprietà, nel 1995 la sig.ra (...) aveva presentato istanza di legittimazione dei suoli posseduti; - che il terreno non era un bene demaniale e non era gravato da usi civici; - che essendosi l'ente locale disinteressatosi dei beni per circa 80 anni, sussistevano i presupposti del corpus e dell'animus possidendi. La causa è stata riservata a sentenza all'udienza del 19.4.2022, con la concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 4. L'appello è fondato e, pertanto, va accolto. Con l'unico motivo di gravarne, parte appellante sostiene che il G. di prime cure abbia errato nel ritenere sussistenti i requisiti necessari ai fini del perfezionamento dell'acquisto per usucapione del terreno di proprietà del Comune di Santa Marina. Quanto al requisito dell'animus possidendi, ritiene che, avendo la sig.ra (...) detenuto illegittimamente il fondo in questione, difetterebbe l'esercizio pacifico, pubblico ed ininterrotto per oltre vent'anni, non essendo, peraltro, provati questi elementi. Inoltre, evidenzia l'irrilevanza dell'attività di coltivazione svolta da parte dei genitori, nonché l'infondatezza della circostanza dedotta dalla parte attrice, secondo la quale quest'ultima avrebbe posseduto il fondo uti dominus, a far tempo quanto meno dal 1952, data in cui aveva soli 11 anni. Ciò premesso in fatto, in punto di diritto il collegio osserva quanto segue. In primo luogo, va ribadito il principio, più volte affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, secondo cui non è sufficiente la mera coltivazione del fondo ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem, in quanto essa "...non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l'intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l'attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario " (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 6123 del 05/03/2020, Rv. 657277; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013, Rv. 627301). Al riguardo, il teste (...) ha riferito "preciso che sono stato negli Stati Uniti dal 1952 al 1964. Prima che io partissi per gli Stati Uniti ricordo che i sig. (...) e (...) coltivavano il terreno " ma su di esso "non insistevano abitazioni mentre (...) ha dichiarato "preciso che non è una vera e propria abitazione, ma una baracca in cui si appoggiano di giorno Ebbene, considerato che la mera coltivazione di un fondo è compatibile con una relazione materiale basata sulla mera tolleranza del proprietario, in termini di detenzione, dalle suddette circostanze non può evincersi affatto che i signori (...) abbiano esercitato il diritto di proprietà sul terreno, né può affermarsi che la parte attrice abbia posseduto, uti dominus, a far tempo dall'anno 1952. Inoltre, posto che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "la più eclatante espressione del diritto di proprietà è rappresentata dalla facoltà di chiudere il fondo, ai sensi dell'art. 841 c.c.", occorre verificare se nel caso concreto, gli antenati o lo stessa (...) abbiano costruito una recinzione, espressione dello ius excludendi alios. Sul punto, il teste C., riferendo che per accedere dall'esterno al terreno della sig.ra (...) occorreva superare un cancello, aperto e chiuso dalla sua famiglia, e che esso "è su Via M.", non ha indicato l'anno di costruzione, fondamentale per fissare l'inizio dell'attività idonea a realizzare l'esclusione dei terzi dal godimento del bene. Invero, il teste (...) ha affermato "la sig.ra (...) entrava sul suo terreno da Via T.. Tale entrata è stata poi chiusa perché il Comune di è preso parte del terreno". Questa circostanza è stata confermata dalla perizia di parte, a firma del geom. (...), che, in merito all'accessibilità, ha riferito "l'area è complessivamente recintata, con muri in cemento armato realizzati dal Comune di Santa Marina per lavori di ampliamento delle adiacenti strade comunali e con rete metallica. Gli accessi carrabili, per ogni appezzamento di terreno, sono posizionati lungo le predette strade comunale che racchiudono e circondano tutti gli appezzamenti di terreno in oggetto", Conferma questa circostanza anche la consulenza tecnica d'ufficio, depositata il 2.09.2019 dall'Ing. (...), che ha precisato "ad oggi non vi sono accessi diretti all'area, in quanto la strada di accesso esistente è stata chiusa dall'amministrazione comunale durante la realizzazione di alcune opere di urbanizzazione, pertanto, vi si accede attraverso una servitù di passaggio dalle aree adiacenti sul lato nord-est". Dunque, il fatto che la recinzione del fondo non sia stata realizzata dalla sig.ra (...), palesa la volontà non equivoca del Comune di Santa Marina di esercitare il diritto di proprietà su questo terreno e di avere, al più, tollerato la presenza della parte appellata, che in realtà non ha svolto nessuna attività idonea a realizzare l'esclusione di terzi dal godimento del bene, tale non potendosi ritenere la coltivazione del terreno. Particolarmente significativa è la deposizione del teste (...), laddove ha riferito "...c'è un cancello in Via M. sul terreno di (...). In precedenza, c'era l'accesso di (...) da Via T., che è stato chiuso successivamente, e adesso la sig.ra (...) accede dal cancello di Via M.". Ebbene, una volta chiuso l'accesso al fondo da parte del Comune, la Sig.ra (...) ha fatto accesso all'immobile utilizzando il cancello posto sul terreno confinante, lotto B, come da relazione tecnica predisposta dall'Arch. (...) (cfr. allegati in atti), e non sull'area occupata dalla parte appellata, lotto A, come indentificata sia dalla perizia asseverata sia dalla consulenza tecnica d'ufficio. A tal riguardo, occorre richiamare l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, a mente della quale, ai fini dell'usucapione, è necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (cfr. ex multis, Cass. Civile sez. II 22.10.2021). Alla luce delle risultanze probatorie acquisite, deve escludersi che (...) abbia posseduto ininterrottamente, continuativamente e pacificamente il terreno, potendosi configurare, invece, una situazione di detenzione qualificata. 5. E, comunque sia, considerando che ai fini dell'usucapione è indispensabile una prova certa circa l'inizio del possesso, quest'ultimo non può ritenersi perfezionato, nella durata ventennale, nemmeno facendo decorrere il suo inizio dalla data indicata nelle ricevute di pagamento della bolletta della fornitura elettrica (cfr. allegati in atti), in quanto dal 1996 al 2010, anno in cui la sig.ra (...) ha agito in giudizio, sono trascorsi soli 14 anni. E, in ogni caso, considerato che la relazione inziale instaurata tra i genitori della (...) ed il terreno era meramente detentiva, in applicazione della giurisprudenza di legittimità, occorre ritenere che la "traditio" del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l'insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una "interversio possessionis", mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso "uti dominus ", atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile "ad usucapionem", previsto dall'art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto". inoltre, seppur nella comparsa di costituzione e risposta si menzionino una denuncia presentata ai Carabinieri dalla (...), in seguito alle opere di urbanizzazione del Comune, ed alcune istanze di condono, va evidenziato che non risulta agli atti la produzione degli anzidetti documenti. Infine, ad avvalorare il mancato perfezionamento dell'acquisto ad usucapionem vi è la circostanza che nel 1995 la (...) avanzò un'istanza al Comune di Santa Marina, volta ad acquistare la proprietà ovvero il diritto di superficie del fondo, palesando in tal modo non solo la conoscenza dell'appartenenza dell'immobile al Comune, ma anche la consapevolezza di riconoscere il diritto di proprietà dell'ente, sì da interrompere il decorso del termine necessario per usucapire il terreno. 6. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, la riforma della decisione impugnata e, quindi, il rigetto della domanda attrice. Quanto alle spese processuali, occorre rilevare che il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito tenendo presente l'esito complessivo della lite, in base ad un criterio unitario e globale, esito che nel caso di specie risulta favorevole all'appellante (cfr. Cass. Civ. sez. 3, ord. N. 9064/2018; Cass. Civ. sez. 3, sent. n. 27606/2019). In merito alle spese del primo e del secondo grado di giudizio, le stesse vanno liquidate a carico dell'appellata (...), in applicazione dei parametri stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 e degli importi vigenti alla data di definizione del giudizio, tenuto conto dei valori medi dello scaglione compreso tra 5.201,00 curo e 26.000,00 euro, con esclusione della fase istruttori a/trattazione per il giudizio di appello. P.Q.M. La Corte di Appello di Potenza - Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dal COMUNE DI SANTA MARINA, in persona del sindaco p.t., nei confronti di (...), con atto di citazione notificato il 26.11.2018, avverso la sentenza del Tribunale di Lagonegro n.56/2018, pubblicata il 24.04.2018, così provvede: accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata: 1) rigetta la domanda di riconoscimento dell'usucapione proposta da (...); 2) condanna (...), al pagamento delle spese processuali in favore del COMUNE DI SANTA MARINA, che liquida con riferimento al primo grado di giudizio in complessive Euro 4.835,00, di cui Euro 875,00 per la fase di studio, Euro 740,00 per la fase introduttiva, Euro 1.600,00 per la fase istruzione/trattazione ed Euro 1.620,00 per la fase decisionale, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge, cd al presente grado di giudizio, in complessivi Euro 3.966,00, di cui Euro 1.134,00 per la fase di studio, Euro 921,00 per la fase introduttiva ed Euro 1.911,00 per la fase decisionale, oltre maggiorazione per spese generali, IVA e CAP come per legge; 3) Dispone la cancellazione della trascrizione della citazione e della sentenza di primo grado presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Salerno. Così deciso in Potenza il 17 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • Precisa la Corte d'Appello di Roma che, sebbene, di norma, l'indagine diretta ad accertare l'interclusione di un fondo, ai fini della costituzione di una servitù di passaggio ai sensi dell'art. 1051 c.c., postuli la considerazione di questo nella sua unitarietà, il concreto stato dei luoghi è suscettibile di diversa valutazione allorché le unità di cui si compone il bene siano distinte ed autonome per l'impossibilità di porle in comunicazione fra loro oppure quando, pur sussistendo astrattamente tale possibilità di comunicazione che farebbe venire meno l'interclusione che caratterizza una soltanto di dette unità, la sua concreta realizzazione implichi l'esecuzione di opere che comportino eccessivo dispendio o disagio, non rilevando che quello stato sia la conseguenza di ostacoli naturali ovvero del fatto dello stesso proprietario del bene, in quanto, nell'ipotesi in cui la trasformazione dei luoghi determinante l'interclusione sia stata effettuata da colui che chiede la costituzione della servitù, devono nondimeno riconoscersi sussistenti le condizioni di cui alla citata norma, se la trasformazione stessa è stata operata avendo di mira il conveniente uso del fondo. Ancora evidenzia la Corte adita come gli elementi necessari per l'accoglimento delle domande ex art 1051 c.c. e 1052 c.c. sono diversi, posto che l'art.1051 c.c. tende a tutelare soltanto l'interesse del fondo dominante, mentre l'art. 1052 c.c. mira a tutelare un effettivo interesse della collettività, perché il passaggio richiesto può essere concesso dal Giudice solo qualora accerti che la domanda risponde alle esigenze dell'agricoltura o dell'industria. Con la precisazione che la domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via, poiché solo con la costituzione del passaggio nella sua interezza si realizza la funzione propria del diritto riconosciuto al proprietario del fondo intercluso dall'art. 1051 c.c.; ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta, perché diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi. (Gi.Ca.)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI NAPOLI SESTA SEZ CIVILE La Corte d'Appello di Napoli, sezione sesta civile, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Assunta d'Amore - Presidente dott.ssa Erminia Baldini - Consigliere dott. Fabio Magistro - Consigliere relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1749/2018 - avente ad oggetto appello avverso la sentenza n. 318/2018, emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, articolazione territoriale di Caserta, in data 22.1.2018 nel procedimento 600686/2010 RG - vertente tra (...) (CF (...)) e (...) (CF (...)), rapp.ti e difesi dagli Avv.ti Pa.Fe. e Cl.Ur., elettivamente dom.ti presso lo studio dei loro difensori, in Napoli, Corso (...); appellanti e (...) (C.D.), (...) (C.D.), (...) (C.D.), (...) (CF (...)), (...) (CF (...)), rapp.ti e difesi dagli Avv.ti Um.De. e Fr.Ce., elettivamente dom.ti presso lo studio del primo difensore in Maddaloni (CE), Via (...); appellati nonché (...); appellato contumace RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Si richiamano gli atti delle parti ed i verbali di causa per ciò che concerne lo svolgimento del processo e ciò in ossequio al disposto contenuto al n. 4 dell'art. 132 c.p.c. così come inciso dall'art. 45, comma 17 L. 18 giugno 2009, n. 69. Occorre una breve ricostruzione storica della vicenda processuale, caratterizzata dall'emissione di provvedimento interdettale di rigetto, riformato dal Collegio in sede di reclamo, nonché da statuizione di nuova reiezione, con la sentenza impugnata. (...) e (...), con il ricorso originario, premettendo di essere proprietari di terreno sito nel Comune di San Felice a Cancello, distinto in catasto al foglio (...), particella (...), hanno dedotto che, per raggiungere il loro fondo devono transitare necessariamente attraverso un sentiero esistente nella proprietà degli eredi (...), distinto al foglio (...), particella (...). I ricorrenti hanno evidenziato che, sin dall'acquisto del loro terreno, hanno sempre usufruito del suddetto passaggio, finché, in data 22.5.2009, si avvedevano di una recinzione apposta su di un unico lato del terreno dei Signori (...), che impediva il transito. I ricorrenti, deducendo, appunto, una lesione al loro possesso corrispondente al diritto di servitù di passaggio, hanno chiesto "ordinare ai sig.ri ... l'immediata reintegrazione nel possesso relativo al passaggio attraverso il sentiero di loro proprietà, ed ordinare la rimozione della recinzione o, quanto meno, la predisposizione di un varco che permetta il passaggio ai ricorrenti, nonché il ripristino di tutte le eventuali opere che comportino la lesione del possesso dell'immobile di proprietà dei coniugi (...) e (...), oltre all'esecuzione, a cura e spese dei precitati sig. eredi (...), dei lavori necessari". Sebbene non sia cristallino il tenore delle conclusioni, il complessivo contenuto del ricorso autorizza a ritenere necessariamente che la recinzione si trovi nel terreno di pertinenza di parte resistente. Inoltre, con il ricorso originario, si è chiesta l'emissione del provvedimento interdettale nei riguardi di (...), (...), (...) (o (...)), (...) e (...), nella qualità di eredi di (...), nonché (...), (...), (...) (evidentemente (...): cfr. subito infra), nella qualità di eredi di (...). Nel ricorso si richiamano certificati anagrafici che, nondimeno, non appaiono materialmente prodotti, né rinvenuti. Nel giudizio si sono costituiti (...) ed altri, senza tuttavia specificare in maniera univoca la loro qualità (a pag. 2 della comparsa di costituzione si legge che in ricorso si fa riferimento astratto e generico a ben otto soggetti pretesi eredi di (...)). Neppure la visura catastale prodotta appare risolvente. In ogni caso, nel corso della fase sommaria, il Tribunale - come detto - ha rigettato il ricorso. Il provvedimento è stato oggetto di impugnazione ed è stato riformato in sede di reclamo, con accoglimento della domanda originaria. A tal proposito, si rileva altra discrasia poiché, a fronte dell'indicazione, nel ricorso per reclamo, di entrambi gli appellanti, il provvedimento collegiale sembra essere stato reso in favore del solo (...). Il processo è proseguito nel merito, con istanza degli odierni appellati e si è concluso - a sua volta - con una pronuncia di rigetto dell'originaria domanda. In intestazione della sentenza, non oggetto di analitica impugnazione sul punto, si legge che (...), (...), (...), (...), (...), stano in giudizio nella qualità di eredi di (...). Ancora, con la sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che "la domanda nei confronti di (...) va, inoltre, rigettata anche per la mancata prova della sua qualità di erede di (...) e, pertanto, di proprietario del fondo". Ciò posto, (...) e (...) hanno proposto appello, deducendo error in iudicando, la violazione e falsa applicazione dell'art. 1066 c.c., dell'art. 115 c.p.c., il difetto ed in ogni caso l'erronea motivazione e l'insufficiente valutazione degli elementi di fatto e di diritto. Con l'atto di appello, (...) e (...) hanno citato (...), (...), (...), (...) (erroneamente indicata (...)) e (...), n.q. di Eredi di (...). Con ordinanza del 4.3.2022, la Corte, ha evidenziato che i ricorrenti (erroneamente definiti appellati nell'ordinanza), i quali, con l'originario ricorso avevano dedotto dell'esistenza di recinzione sul terreno allegato come di proprietà degli originari resistenti che impediva il transito, ed avevano chiesto la reintegrazione attraverso, tra l'altro, la rimozione della recinzione, hanno chiamato in giudizio, oltre agli attuali appellati, anche (...) e (...), nella qualità di eredi di (...), nonché (...) quale erede di (...). La Corte ha anche rilevato che, ad onta di quanto scritto nel verbale del 16.12.2009 nel procedimento sommario di primo grado, con il ricorso per la prosecuzione del giudizio di primo grado, gli originari resistenti hanno dedotto che alcuna notifica è stata mai ricevuta da (...) e da (...), definiti coeredi e comproprietari. Il Collegio, oltre a rilevare altre questioni, ha anche ritenuto necessario invitare le parti a dedurre su quanto prospettato, in ragione delle conseguenze in rito derivanti, nonché a dedurre in ordine a tutti gli effettivi proprietari del terreno distinto al foglio (...), particella (...), ed alla perdurante esistenza o meno di usufrutto (pure desumibile da visura catastale). La Corte ha anche invitato gli appellanti a fornire prova della notificazione del ricorso introduttivo a (...) e (...). Le parti costituite hanno dedotto sul punto ed all'udienza del 20.5.2022 hanno altresì evidenziato che gli eredi di (...) (dunque, deceduta) sono tutti costituiti in giudizio (forse, ad accezione di (...), anche se la questione è irrilevante come subito si dirà) e che i "proprietari del fondo servente in possessoria sono tutti costituiti tranne (...)". Successivamente, la Corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...) in proprio, fermi i rilievi mossi e riservata ogni valutazione, sia di rito che di merito. (...) non si è costituito in proprio, per cui ne va dichiarata la contumacia. Fatta questa necessaria premessa - in rito - si è posto in problema della corretta partecipazione, nel giudizio di primo grado, di (...) e di (...). Orbene, per ciò che concerne quest'ultimo, va detto che, a verbale di udienza del 16.12.2009 della fase sommaria del giudizio di primo grado, si dà atto del deposito di cartolina di ritorno dell'avvenuta notifica a (...), mentre, per ciò che concerne la posizione di (...), come visto, le parti costituite, all'udienza del 20.5.2022, hanno altresì evidenziato che gli eredi di (...) sono tutti costituiti in giudizio (non si comprende, come visto, la posizione di (...), ma sul punto, come si vedrà, è possibile procedere oltre). (...) ed altri, con note del 30.4.2022, hanno dedotto: "che (...),quale coniuge superstite erede di (...) non è stata chiamata ingiudizio; come (...), quale figlio erede dello stesso (...) non è stato altresì chiamato né nel corrente grado di appello, né nellaprima fase sommaria, interdittale, ad onta delle disposte rinnovazioni di notifichecome quella di cui all'udienza del 13.10.2009 oltre che alla precedente udienza del09.07.2007 - ma soltanto dal ricorso 16-20.09.2010 e pedissequo decreto22.09.2010 per la prosecuzione del giudizio di merito notificato il 24.12.2010; e (...) che comunque non è erede di (...), figlia premorta di (...); b) che il predetto (...) (e non (...)) si è costituito in proprio (e non come (...)); c) che l'originaria comproprietaria (usufruttuaria?), (...), genitrice del (...) genitore della (...) premortagli; d) che (...) non ha mai ricevuto alcuna notifica mentre (...) ha ricevuto soltanto la tardiva notifica: e) che (...), altro comproprietario se non l'omonimo nonno coniugato con (...), sono tutti deceduti". Ciò posto, non si comprende appieno il richiamo a costituzione di (...) (soggetto diverso da (...): cfr. anche verbale di udienza del 20.5.2022), ma non occorre ulteriore approfondimento, posto che, non solo non vi è prova della rituale notifica nella fase sommaria a (...) (non vi è possibilità di verifica della documentazione prodotta all'udienza del 16.12.2009, stante il mancato rinvenimento di detti documenti), ma - in ogni caso ed in maniera dirimente - neppure vi è prova della notifica - al predetto - nella fase di merito, posto che è stato prodotto solo il ricorso senza gli avvisi di ricevimento a mezzo posta (cfr. verbale di udienza del 20.5.2022; tenuto conto di quanto appena detto, alcuna rilevanza può inoltre assumere procedimento di notificazione di obbligo di fare contenuto nella produzione di parte appellante riferito ad (...)). Ebbene, è noto che la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell'atto ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario e l'avviso di ricevimento prescritto dall'art. 149 c.p.c. è il solo documento idoneo a provare sia l'intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l'identità della persona a mani della quale è stata eseguita; ne consegue che, ove tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso per cassazione, la mancata produzione dell'avviso di ricevimento comporta non la mera nullità bensì l'inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.) e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso medesimo (Cass. civ. Sez. VI - 5 Ord., 27/10/2017, n. 25552; cfr. anche Cass. civ. Sez. III, 17/10/2019, n. 26287; Cass. civ. Sez. II Sent., 04/06/2010, n. 13639). Solo per doverosa completezza, va detto che (...), che sembra essere lo stesso difensore degli appellati (ma anche (...), come si desume, per entrambi, dal codice fiscale), come accennato, non è comunque parte, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche in termini di allegazione e di non contestazione (principi non applicabili in caso di mancata costituzione). Dunque, in forza di quanto sin qui detto non si ha prova del completamento, in primo grado, del procedimento di notificazione quantomeno nei riguardi di (...), per cui la notifica deve pertanto considerarsi omessa. Ciò posto, come noto, in tema di tutela possessoria, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso richieda, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un'opera in proprietà o possesso di più persone, il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio è litisconsorte necessario non solo quando egli, nella disponibilità materiale o solo "in iure" del bene su cui debba incidere l'attività ripristinatoria, abbia manifestato adesione alla condotta già tenuta dall'autore dello spoglio o abbia rifiutato di adoperarsi per l'eliminazione degli effetti dell'illecito, ovvero, al contrario, abbia dichiarato la disponibilità all'attività di ripristino, ma anche nell'ipotesi in cui colui che agisca a tutela del suo possesso ignori la situazione di compossesso o di comproprietà, perché in tutte queste fattispecie anche il compossessore o comproprietario non autore della condotta di spoglio è destinatario del provvedimento di tutela ripristinatoria (Cass. SS. UU, 23/01/2015, n. 1238). Ancora: "in tema di azioni a difesa del possesso, lo spoglio e la turbativa, costituendo fatti illeciti, determinano la responsabilità individuale dei singoli autori secondo il principio di solidarietà di cui all'art. 2055 cod. civ., sicché, nel giudizio possessorio non ricorre tendenzialmente l'esigenza del litisconsorzio necessario, che ha la funzione di assicurare la partecipazione al processo di tutti i titolari degli interessi in contrasto. Tuttavia, il litisconsozio necessario tra gli anzidetti soggetti si impone qualora la reintegrazione o la manutenzione delpossesso comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone (nella specie, l'abbattimento di una recinzione con paletti in ferro e rete metallica).In tale ipotesi, infatti, la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell'opera sarebbe "inutiliter data", giacchè la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, atteso che non è configurabile una demolizione limitatamente alla quota indivisa del comproprietario o del compossessore convenuto in giudizio (Cass. civ., II, 18/02/2010, n. 3933). Nella specie, con l'originario ricorso, (...) e (...) hanno chiesto, tra l'altro, la rimozione di recinzione, mentre, con l'appello, seppure in maniera non perfettamente cristallina, hanno chiesto "rigettare l'avversa domanda per infondatezza della stessa, e per l'effetto confermare l'efficacia dell'ordinanza NRG 281/2010 del Tribunale di Santa Maria CV di declaratoria del possesso della servitù di passaggio dei coniugi (...)". Si tratta, evidentemente, dell'ordinanza con la quale la domanda originaria "veniva accolta in sede di reclamo ... con la quale veniva ordinato agli eredi (...) il ripristino del passaggio mediante la rimozione della recinzione apposta" (cfr. pag. 2 dell'appello; cfr. anche provvedimento di reclamo prodotto). Alla luce di quanto rilevato non occorre affrontare le ulteriori questioni rilevate dalla Corte, ad esempio, inerenti alle posizioni di (...), di (...), di (...) e di (...), nonché della titolarità, in capo a (...), del fondo distinto al foglio (...), particella (...). Ed infatti, le nullità conseguenti al principio della violazione del contraddittorio ed alla invalida costituzione del rapporto processuale sono rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, per cui la pronuncia su di esse non è censurabile sotto il profilo del vizio di ultrapetizione (Cass. civ., I, 21/05/1998, n. 5067). Ancora, ad esempio, si è sostenuto che, quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l'integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l'intero processo e s'impone, in sede di giudizio di cassazione, l'annullamento, anche d'ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell'art. 383, comma 3, c.p.c (Cass. civ. Sez. III Ord., 22/02/2021, n. 4665; cfr. anche Cass. civ. Sez. II Ord., 23/10/2020, n. 23315; cfr. anche Cass. civ. Sez. III Sent., 28/04/2011, n. 9452, secondo cui la sentenza pronunciata in contraddittorio non integro è nulla e tale vizio può essere rilevato d'ufficio). Pertanto, va dichiarato nullo il giudizio di primo grado e la sentenza impugnata. In forza del combinato disposto degli artt. 353, comma secondo e 354, comma terzo, c.p.c., le parti dovranno provvedere a riassumere il giudizio nei termini ivi previsti. Il giudice di appello, allorché riforma in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio ad una nuova regolamentazione delle intere spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, poiché l'onere delle stesse deve essere attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della controversia (Cass. civ., Sez. III, 04/06/2007, n. 12963). E tuttavia, quanto alle spese processuali sia del primo che del secondo grado del giudizio, ritiene la Corte, alla luce della particolare natura della controversia esaminata, nonché del tenore della pronuncia preliminare, che, nella specie, sussistano i presupposti per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. E' infatti giustificata la compensazione, per il giudizio di appello, anche per il dovere di disporre la rimessione al primo giudice per il rilievo d'ufficio di una questione (l'integrità del contraddittorio) che nessuna delle parti costituite ha ritenuto di sottoporre all'attenzione del giudice di primo grado e che neppure ha costituito motivo di gravame. La giurisprudenza di legittimità, se è ferma nel ritenere che il giudice di appello, nel rimettere la causa al giudice di primo grado ex artt. 353 e 354 c.p.c., ha l'obbligo di provvedere sulle spese del giudizio di secondo grado (con il solo precedente contrario di Cass. 2273/85), è, invece, divisa in ordine alla decisione sulle spese del primo grado. Secondo alcune pronunce il giudice che dichiari la nullità della sentenza di primo grado deve provvedere sulle spese del solo grado di appello (cfr. Cass. 13550/06 che richiama Cass. 1711/80). Più spesso si è invece affermato (cfr. Cass. S.U. 2431/83, Cass. 11441/98, Cass. 11668/00, Cass. 6762/03, Cass. 16765/10) che il giudice di appello possa provvedere anche sulle spese del giudizio di primo grado (in parte) dichiarato nullo. Peraltro, questo secondo orientamento configura il potere del giudice di appello sulle spese del primo grado come una facoltà piuttosto che un obbligo, da esercitare quando tale giudice ritenga di avere sufficienti elementi per stabilire a quali delle parti debba essere attribuita l'irregolarità che ha dato luogo alla rimessione della causa al primo giudice. P.Q.M. La Corte d'appello di Napoli, definitivamente decidendo, sull'appello proposto avverso la sentenza n. 318/2018, emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, articolazione territoriale di Caserta, in data 22.1.2018 nel procedimento 600686/2010 RG, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - dichiara la contumacia di (...); - dichiara nullo il giudizio di primo grado e la sentenza impugnata; - rimette la causa al primo Giudice, con onere di riassunzione a norma del combinato disposto degli artt. 353, secondo comma e 354, terzo comma, c.p.c.; - dichiara integralmente compensate le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Napoli il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE SECONDA CIVILE composta dai magistrati Dott. Carlo Maddaloni - Presidente Dott. Giovanna Ferrero - Consigliere rel. Dott. Andrea Francesco Pirola - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta la numero di ruolo sopra riportato promossa in grado d'Appello da (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. GI.AN. e dell'avv. ST.RA. ((...)) VIA (...) 20123 MILANO; con elezione di domicilio in VIA (...) 20122 MILANO, presso e nello studio dell'avv. GI.AN. APPELLANTE CONTRO (...) - S.P.A. (C.F. (...) ) con il patrocinio dell'avv. PO.SI., con elezione di domicilio in STRADA (...) 23030 BIANZONE presso e nello studio dell'avv. PO.SI. APPELLATO (...) S.R.L. (C.F. (...) ) con il patrocinio dell'avv. CO.ER. con elezione di domicilio in VIA (...) 23100 SONDRIO presso e nello studio dell'avv. CO.ER. APPELLATO OGGETTO: Occupazione senza titolo di immobile RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale così riassumeva lo svolgimento del processo "Con atto di citazione ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio (...) - S.P.A. e (...) S.R.L. al fine di ottenere, previo accertamento dell'insussistenza di un diritto reale di attraversamento del fondo di proprietà dell'attore - mapp. (...) - con l'impianto funiviario in contestazione né di utilizzo del fondo quale pista da discesa - mapp. (...) e (...) - la condanna dei convenuti a indennizzare l'attore per il godimento del fondo o corrispondergli il canone d'affitto o a risarcirlo del relativo danno, nella misura di Euro 15.000,00 annui. Parte attrice, premesso di essere proprietario dell'area individuata al Catasto terreni del Comune di (...) al fg. (...) mapp. (...) e (...) con destinazione E2 e vincolo a piste per lo sci alpino, in particolare esponeva: che al momento dell'acquisto (avvenuto nel 1983 ) gravava sui terreni di proprietà una servitù di passaggio di funicolare aerea a beneficio di (...) SpA per un impianto di risalita allora costituito da ovovia biposto , poi dismesso nel 1986; che in contemporanea alla dismissione di tale impianto (...) aveva realizzato un secondo impianto funiviario ( telecabina esaposto con maggiore capacità di trasporto) occupando abusivamente altra parte della suddetta area (traslata di circa 10 metri), e continuato ad occupare illecitamente la seconda area almeno sino all'estate del 2018 , quando era stato dismesso anche il secondo impianto , senza eliminare i cavi interrati Si costituivano ritualmente in giudizio (...) - S.P.A. e (...) S.R.L. contestando quanto ex averso dedotto e, in particolare, eccependo la prescrizione sulla pretesa di indennizzo o risarcimento e comunque l'infondatezza nel merito della pretesa. Per queste ragioni domandavano il rigetto della domanda attorea. All'esito dell'istruttoria, ritenuta la causa matura per la decisione, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni.". Il Tribunale di Sondrio pronunciava sentenza n.229/2021 pubblicata in data 22/06/2021 con il seguente dispositivo: " ACCOGLIE la domanda proposta da parte attrice nei confronti delle convenute e dichiara, ai sensi e per gli affetti dell'art. 949 c.c., l'inesistenza di alcuna servitù gravante sulla proprietà di parte attrice - area individuata al catasto terreni del Comune di (...) al fg. (...) mapp. (...) e (...) con destinazione E2 - ed in favore di quella di parte attrice; RIGETTA la domanda risarcitoria Spese compensate" Avverso tale sentenza proponeva appello (...) con citazione notificata il 24.1.2022 chiedendo la riforma della sentenza per i motivi dedotti. Si costituivano (...) - S.P.A. e (...) S.R.L contestando l'appello e chiedendo la conferma della sentenza. Alla prima udienza del 28.6.2022 la Corte, su istanza delle parti, fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 11.10.2022 in cui, espletato l'incombente con modalità di trattazione scritta come da Provv. presidenziale del 14 settembre 2022, tratteneva la causa a sentenza assegnando i termini di 50 giorni per il deposito di comparse conclusionali e 20 giorni per le repliche. (...) ha impugnato la sentenza per i seguenti motivi: 1.- Eccezione di difetto di giurisdizione 2.- Sulla infondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata dalle convenute. 3.- Erroneità della sentenza ove si afferma che parte attrice avrebbe svolto domanda di corresponsione di un canone di locazione e non avrebbe specificato o addotto i motivi della richiesta di risarcimento del danno. 4.- Erroneità della sentenza ove viene dichiarato che non risultano allegati elementi idonei a riscontrare il danno sotto il profilo dell'an 5. - Erroneità della sentenza laddove afferma che l'occupazione sarebbe limitata a pochi metri e che parte attrice non avrebbe allegato le circostanze dalle quali inferire la sussistenza del danno da occupazione illegittima. 6.-Erroneità della sentenza nella parte relativa alla compensazione delle spese di lite. Giova premettere, ad avviso della Corte, una breve sintesi della decisione di primo grado. Il tribunale, qualificando la domanda proposta come negatoria servitutis, l'ha accolta rilevando l'insussistenza di qualsiasi diritto, precipuamente in termini di servitù, di passaggio od occupazione del terreno censito al mappali (...) con impianto funiviario e di passaggio sul fondo censito ai mappali (...) e (...) quale pista da sci. R. tuttavia la domanda di condanna dei convenuti al pagamento di un indennizzo per il godimento dei fondi o comunque di un risarcimento dei danni per l'illecita occupazione, ritenendolo non adeguatamente allegato né provato e compensava le spese di lite fra le parti. La sentenza non è stata impugnata con riferimento alle statuizioni di accertamento di insussistenza, per gli effetti di cui all'art. 949 c.c., di alcuna servitù gravante sulla proprietà di parte attrice, area individuata al catasto terreni del Comune di (...) al fg. (...) mapp. (...) e (...) con destinazione E2, ed in favore di quella di parte convenuta, pur dando atto questa Corte del chiaro errore materiale contenuto nel dispositivo dove si menziona "in favore di quella di parte attrice" il luogo di "in favore di quella di parte convenuta", statuizione che è quindi passata in giudicato. Le parti appellate, infatti, non hanno proposto appello incidentale, avendo chiesto il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata. Deve preliminarmente essere esaminata l'eccezione sollevata da (...) di inammissibilità dei documenti n. 2, n. 3, n. 4, n. 5, n. 6, n. 8 e n. 9 prodotti in appello da (...), poiché tardivi. L'eccezione è solo parzialmente fondata con riferimento al documento 2, ossia di una lettera inviata in data antecedente ai termini per le produzioni documentali concessi dal giudice di prime cure, nonchè al documento 5 che raffigura la mappa delle piste da sci di (...), senza data, che parimenti avrebbe dovuto essere prodotto in primo grado ed appare comunque ininfluente ai fini della decisione d'appello, che verte solo sul quantum debeatur. La produzione degli ulteriori documenti, ossia 3,4, 6, 8,9 è ammissibile poiché di formazione successiva alla sentenza di primo grado, rilevando in particolare come il documento 6, essendo un'integrazione di perizia di parte, deve essere qualificato come difesa. Con il primo motivo d'appello (...) eccepisce la nullità della sentenza poiché pronunciata dal tribunale ordinario in difetto di giurisdizione, sollevando quindi in questo grado -del tutto ammissibilmente in linea processuale- eccezione di carenza di giurisdizione. L'eccezione non è fondata, dal momento che, come statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con Sentenza n. 23102 del 17/09/2019 " le controversie risarcitorie, promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, relative alle occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere (riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, anche se l'ingerenza nella proprietà privata sia poi avvenuta senza alcun titolo o nonostante il venir meno di detto titolo) sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia ai sensi dell'art. 7 della L. n. 205 del 2000, giacché l'apprensione, l'utilizzazione e l'irreversibile trasformazione del bene in proprietà privata da parte della pubblica amministrazione sono riconducibili ad un concreto esercizio del potere autoritativo che si manifesta con l'adozione della dichiarazione di pubblica utilità, senza che assuma rilevanza il fatto che quest'ultima perda successivamente efficacia o venga annullata.". La giurisdizione del giudice amministrativo, rileva la Corte, sussiste quindi solo qualora le occupazioni illegittime siano preordinate all'espropriazione e realizzate in presenza di un esercizio del potere della Pubblica Amministrazione, che, nel caso di specie, sono presupposti del tutto mancanti, trattandosi di rapporti fra privati. Venendo al merito della controversia, questa Corte rileva come l'appello sia fondato, nei termini di seguito esposti. I motivi d'appello articolati dal 2 al 5 possono essere congiuntamente trattati, in quanto logicamente connessi. Giova riportare, a giudizio della Corte, costituendo il presupposto del diritto al risarcimento, la motivazione con la quale il giudice di prime cure ha accolto la domanda di negatoria servitutis, con statuzione, come detto, non impugnata. Scrive alle pagine 4 e 5 della sentenza "Nel caso di specie, l'attore ha assolto all'onere sullo stesso gravante producendo l'atto di acquisto del 2/9/1983 dell'area individuata al catasto terreni del Comune di (...) al fg. (...) mapp. (...) e (...) con destinazione E2 e vincolo a piste per lo sci alpino (art. 36 del PRG). Quanto al comportamento addebitato alla parte convenuta ( (...) prima e carosello 3000 poi, in forza della concessione in affitto dell'impianto con l'intero complesso aziendale), l'attore ha dedotto che in contemporanea alla dismissione dell'impianto oggetto di specifico accordo tra le parti (...) ha realizzato un secondo impianto funiviario ( telecabina esposto con maggiore capacità di trasporto) occupando abusivamente altra parte della suddetta area (traslata di circa 10 metri), e che anche dopo la dismissione di tale impianto non sono stati eliminati i cavi interrati, oltre ad aver apprestato e battuto delle piste sui terreni mapp. (...) e (...). Sul punto giova osservare che le convenute non hanno invero contestato la realizzazione dell'impianto di risalita nei termini dedotti dall'attore. Hanno invece contestato di aver mai apprestato e battuto delle piste sui terreni mapp. (...) e (...) dell'attore, circostanza che risulta però confermata dal testimone dei convenuti (...) con riferimento limitato però agli anni 2013, 2014, 2015. In ogni caso le convenute non hanno addotto alcun titolo valido e idoneo a giustificare l'attività così compiuta, sicché la domanda attorea di negatoria servitutis deve essere accolta.". Lamenta l'appellante che il tribunale, senza pronunciarsi sulla infondatezza della eccezione di prescrizione sollevata da entrambi i convenuti, abbia rigettato la domanda di condanna al pagamento di un'indennità per l'utilizzo o comunque di risarcimento del danno per illegittima occupazione, ritenendolo né allegato né provato, in applicazione dell'orientamento della Suprema Corte che afferma come il danno da occupazione illegittima non sia "in re ipsa" ma vada allegato e provato, circostanze queste verificatesi nel giudizio, dal momento che, oltre alle allegazioni documentali in ordine alle precedenti corresponsioni di somme di denaro per il godimento di tali terreni, il (...) aveva depositato una perizia di parte che ha quantificato il danno sulla base del valore locativo in quindi in Euro 15.000,00 annui. Le doglianze sono, in punto di diritto, fondate. Con la recentissima pronuncia a Sezioni Unite n. 33645 del 15/11/2022 che ha composto il contrasto inerente proprio la sussistenza del danno in materia di occupazione senza titolo, la Suprema Corte afferma che "In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale ...In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l'onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l'evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno". Ha detto anche "In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato". Il giudice di primo grado, a giudizio della Corte, non ha compiutamente valutato gli elementi documentali già forniti agli atti a cura di parte attrice, che avrebbero consentito di ritenere provato il danno e di quantificarlo. Costituiscono infatti circostanze pacifiche in atti, in quanto documentate dal (...) e non oggetto di precipue contestazioni, i seguenti fatti: - l'area di cui al Fg. (...) mapp. (...) e (...) sulla cui occupazione si discute, è stata oggetto di contratto per la costituzione di servitù di passaggio di funicolare aerea fra la precedente proprietaria (...) e (...), redatto con scrittura privata con sottoscrizione autenticata da Notaio del 29.04.1968 prodotta sub doc 3 dall'attore in primo grado. - La costituzione della servitù ha previsto un corrispettivo una tantum di Lire 10.000, comprensivo anche di eventuali danni. - Proprio in forza della concessione di tale servitù, (...) ha realizzato nel 1968 un impianto di risalita ovovia lungo il tracciato stabilito in tale contratto. Dopo il suo smantellamento, avvenuto nel 1986, la società (...), non ha più concluso contratti per la servitù di passaggio funicolare e per l'utilizzo come piste da sci dei terreni, ma ha continuato ad occuparli, avendo costruito nel 1986 un secondo impianto di risalita (telecabina esaposto) su un tracciato diverso, ma che comunque attraversa sempre il terreno dell'attore con cavi aerei, cavi e tubi interrati e per l'uso di tutta l'area utilizzata come pista di sci. Tale secondo impianto è rimasto in funzione fino alla stagione estiva del 2018. - Pur in assenza di contratto, il 14 febbraio 1995 (...) riceve somme da (...), sia in pagamento della "servitù di passaggio" che dell'utilizzo piste da sci, attestate dai due documenti prodotti in primo grado con memoria 183 VI comma n. 2 c.p.c. che si riportano testualmente: 1) "a completo pagamento per la servitù di passaggio piste-plinto-cavi e funi, (...) riceve dalla (...) spa la somma di Lire 39.000.000 trentanovemilioni. Gli anni di riferimento sono a partire dal 10/79 al 9/94 e sono relativi ai terreni contraddistinti al foglio (...) mappali (...)-(...)-(...) in Comune di (...)" (doc 12 appellante). 2) "Il sottoscritto (...), proprietario dei terreni mappali (...),(...),(...), concessi in uso alla (...) spa per uso passaggio piste sci, dichiara di ricevere in data odierna dalla (...) spa ... quale totale pagamento per il canone di servitù e manutenzione per il periodo dal 1/10/94 al 30/9/95 l'importo di Lire 1.907.958 + 350.000 cavi ..." (doc 13 appellante). Pertanto, a giudizio della Corte, l'attore ha compiutamente allegato il pregiudizio subito per il perdurare della occupazione, ormai senza titolo, da parte di (...) spa, della porzione di terreni su cui insisteva l'impianto di risalita ed erano collocate le piste da sci, per la quali ha comunque percepito un corrispettivo, che evidentemente dal 1995 non è stato più pagato. In forza delle scritture private e delle lettere non contestate riportate, l'attore ha altresì allegato concreti elementi di prova del danno subito per l'occupazione senza titolo accertata dal giudice di prime cure. Occorre pertanto esaminare l'eccezione di prescrizione sollevata da entrambi i convenuti in primo grado, su cui il primo giudice non ha statuito, in forza della decisione secondo la ragione più liquida, che nella sentenza impugnata è stata quella della declaratoria di omessa allegazione e prova del danno. L'esame delle eccezioni di prescrizione è richiesto sia dall'appellante, con il secondo motivo d'appello, che da (...) spa in via preliminare. Preliminare all'esame delle eccezioni di prescrizioni, è la precisazione come risulti pacificamente dagli atti e non contestato che (...) spa ha avuto la titolarità dell'Azienda sino al 19.07.2004, quando con "verbale di assemblea per aumento di capitale e contestuale sottoscrizione" n. (...) rep.(...) Notaio (...) (doc 2 (...), doc 4 (...) fasc. 1 grado), (...) ha acquistato l'Azienda da (...) spa. Quindi è con tali riferimenti temporali che vengono valutate le eccezioni di prescrizione non esaminate, sollevate da entrambe le parti convenute in primo grado ed odierne appellate. L'eccezione sollevata da (...) spa è fondata, mentre quella sollevata da (...) è solo parzialmente fondata, nei termini che seguono. Sulla prescrizione in tema di occupazione abusiva, la Suprema Corte ha affermato, con giurisprudenza ormai consolidata, che "in caso di illecito permanente, come la detenzione abusiva di un fondo di altrui proprietà, in cui il comportamento lesivo non si esaurisce "uno actu", ma perdura nel tempo fino a quando l'immobile viene rimesso nella disponibilità del proprietario, il diritto al risarcimento del danno sorge con l'inizio del fatto illecito generatore del danno, rinnovandosi di momento in momento, onde la prescrizione di quel diritto ha inizio da ciascun giorno rispetto al danno già verificatosi. Ne consegue l'applicabilità della prescrizione ex art. 2947 cod. civ. per i danni maturati prima del quinquennio anteriore al primo atto interruttivo" (Cassazione, Sentenza n. 14861 del 16/11/2000). La prescrizione è dunque quinquennale, trattandosi di illecito extracontrattuale. (...) assume di aver interrotto la prescrizione nei confronti di entrambi gli appellati, con le lettere prodotte con la citazione di primo grado sub docc 5,6,7,e 8. La prima lettera (doc 5) è del 31 ottobre 2000 ed è indirizzata unicamente a (...) spa, ma non può essere considerata utile ai fini dell'interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, dal momento che in essa si contesta solo il perdurare dell'occupazione e si sollecita una definizione transattiva della questione, senza tuttavia formulare alcuna richiesta di pagamento di indennizzi o di danni. Inoltre è stata depositata senza la prova dell'avvenuta ricezione. La seconda lettera (doc 6) è del 15 maggio 2009, è sempre a indirizzata unicamente a (...) spa, contiene la richiesta di pagamento di un indennizzo per l'occupazione senza titolo, ma è stata inviata e ricevuta quando ormai la prescrizione quinquennale era ormai decorsa, essendo trascorsi più di 5 anni sia dal 1995 ( momento del quale è avvenuto il pagamento delle indennità da parte della (...) spa), sia dal 2000, anche a voler considerare tale lettera valida ai soli fini della contestazione della occupazione senza titolo. Deve quindi essere accertato che nei confronti di (...) spa è prescritto il diritto al risarcimento del danno derivante dall'occupazione senza titolo dei terreni. Al contrario, ed in parziale accoglimento del secondo motivo d'appello, l'eccezione di prescrizione sollevata da (...) è solo parzialmente fondata. La terza lettera prodotta con la citazione sub doc 7 è del 25 gennaio 2015 ed è indirizzata sia a (...) spa che a (...), è stata prodotta unitamente alla prova della ricezione solo da parte di (...) spa, ma (...) non ne ha tempestivamente contestato la ricezione nella comparsa di costituzione risposta e, oltretutto, nella memoria 183 sesto comma numero 2 c.p.c. del 7 febbraio 2019, argomenta in ordine a tale lettera contestandone la valenza di atto interruttivo della prescrizione ma non contestando la sua ricezione. Ritiene al contrario questa Corte che essa è interruttiva della prescrizione dal momento che contesta sia il perdurare dell'occupazione senza titolo dei terreni, che il mancato pagamento delle "relative indennità per tutto il periodo pregresso di esercizio di tali asservimenti" ed ha valore nei confronti di (...), specificamente indicata quale gestore dell'impianto di risalita. Conseguentemente, il documento comprova l'interruzione, a far data dal 25 gennaio 2015, della prescrizione quinquennale del danno da illegittima occupazione nei confronti di (...). L'ulteriore atto di interruzione della prescrizione è rappresentato dalla notifica della citazione di primo grado, avvenuta il 7.3.2018. Il diritto di (...) al risarcimento del danno da illegittima occupazione decorre quindi dal 25 gennaio 2010, rimanendo prescritti gli anni precedenti dal 2004 al 24 gennaio 2010. Osserva questa Corte che l'occupazione senza titolo dei terreni, sia per la presenza ancora attuale di cavi e tubazioni di servizio interrati, perdura ancora allo stato attuale, come risulta dal documento 4 prodotto appello, ossia dalla lettera del 24.9.2021 con cui il legale di (...) comunica a quello del (...) che "la rimozione avverrà nei termini stabiliti dai titoli urbanistici e paesaggistici rilasciati dagli Enti competenti e poi regolati da specifiche norme di legge", circostanze che la parte appellata non ha allegato essere intervenute alla data di stesura della presente sentenza. Deve ora procedersi alla quantificazione del danno. Questa Corte ritiene che non possa essere utilizzata la perizia di parte prodotta sin dal primo grado da (...), oggetto di condivisibili contestazioni da parte di entrambe le convenute, dal momento che accerta il danno nella misura di Euro 15.000,00 annui, utilizzando come parametro il canone di affitto dei terreni stessi, senza valutare che la porzione oggetto dell'occupazione senza titolo è di limitata estensione, rispetto a quella del terreno, e che le facoltà di godimento impedite sono proprio quelle derivanti dalla presenza dei manufatti nonché dalle precipue attività illustrate in precedenza. Appare quindi maggiormente conforme a parametrare il danno da mancato integrale godimento, quanto liberamente e pattiziamente lo stesso (...) ha accettato quale indennizzo sino al 1995, comprovato dai citati documenti 12 e 13 prodotti in primo grado. L'appellante, infatti, nel 1995 ha ricevuto per il "passaggio piste da sci" di un anno Lire 2.257.958 ( doc 13) e per "passaggio piste plinti cavi e funi" Lire 39.000.000 per 15 anni, ossia Lire 2.600.000 annui. Complessivamente la somma pattuita ed accettata dal (...) ammontava nel 1995 a Lire 4.857.958, pari ad Euro 2.508,90. Tale importo deve essere rivalutato al gennaio 2010, al fine di individuare una base attendibile di calcolo per il danno da allora maturato ed ammonta ad Euro 3.361,93, arrotondato ad Euro 3.362,00, che costituisce la base annuale del danno subito. Il danno viene quindi equitativamente liquidato moltiplicando tale importo per 13 anni ( gennaio 2010-gennaio 2023), ed aumentato equitativamente del 10% per la presumibile rivalutazione nelle more maturata su ogni somma ed ammonta quindi a complessivi 48.076,60 in moneta attuale. Sono inoltre dovuti gli interessi calcolati secondo la nota pronuncia Cassazione 1712/1995 dal fatto alla sentenza, mentre dalla sentenza al saldo sono dovuti gli interessi legali sulla somma liquidata di Euro 48.076,60. (...) deve quindi essere condannata al pagamento di tali somme in favore di (...). Anche l'ultimo motivo d'appello è parzialmente fondato. Infatti l'esito della lite vede la soccombenza sostanziale e prevalente di (...) nei confronti di (...) in entrambi i gradi, e viene quindi condannato ex art. 91 c.p.c. alla refusione delle spese processuali del giudizio in suo favore, in parziale riforma della sentenza impugnata. Le spese sono liquidate in dispositivo, sulla base del D.M. n. 55 del 2014 attualmente vigente (come modificato dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147), essendo l'attività difensiva conclusasi dopo il 23.10.2022 (data di entrata in vigore del D.M. n. 147 del 2022), tenendo conto del valore della domanda accolta, escludendosi, solo in relazione al presente grado, la voce relativa alla fase istruttoria in quanto assente. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivounitario per l'opera complessivamente prestata" (così Cass., Sez. Un., 12.10.2012, n. 17405; principio recentemente ribadito da Cass., Sez. Un, ordinanza del 14.11.2022, n. 33482). Mentre fra le parti (...) e (...) spa deve essere valutata la reciproca soccombenza con riferimento all'esito della lite, sussistendo quindi i presupposti per la compensazione integrale delle spese del doppio grado fra tali parti. P.Q.M. La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) contro (...) - S.P.A. e (...) S.R.L. avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 229/2021così provvede: ritenuta la propria giurisdizione ed in accoglimento parziale dell'appello: 1. in parziale riforma del secondo capo della sentenza impugnata, condanna (...) srl al pagamento a titolo risarcitorio per l'occupazione illegittima in favore di (...) della somma di Euro 48.076,60 liquidata in moneta attuale, oltre interessi determinati come in parte motiva, rigettando ogni ulteriore domanda risarcitoria per intervenuta prescrizione, anche nei confronti di (...) spa; 2. in parziale riforma del terzo capo della sentenza, condanna (...) srl alla refusione delle spese processuali del giudizio in favore di (...) così liquidate: -quanto al primo grado, in complessivi Euro 7.616,00, di cui Euro 1.701,00 per fase di studio, Euro 1.204,00 per fase introduttiva, Euro 1.806,00 per fase istruttoria e/o trattazione, Euro 2.905,00 per fase decisionale, oltre rimborso spese generali (15% sul compenso), CPA e IVA come per legge, -quanto al secondo grado in complessivi Euro 6.496,00, di cui Euro 2.058,00 per fase di studio, Euro 1.418,00 per fase introduttiva, Euro 3.470,00 per fase decisionale, oltre rimborso spese generali (15% sul compenso), CPA e IVA come per legge, confermando la compensazione delle spese di primo grado fra (...) e (...) spa; 3. compensa le spese di lite del grado fra (...) e (...) spa; Così deciso in Milano l'11 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

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