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TAR Catania
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 671 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - dell'ordinanza n. -OMISSIS- a firma del Responsabile della 6^ Area del Comune di (omissis), notificata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. il -OMISSIS- così perfezionatasi in data -OMISSIS-, con la quale è stato ordinato al ricorrente di "provvedere alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS-", nonché è stata irrogata una sanzione pecuniaria di Euro 1.000,00; - della nota prot. n. -OMISSIS-, comunicata a mezzo pec in pari data al tecnico incaricato, Ing. -OMISSIS- con cui è stata disposta l'archiviazione della SCIA Urbix -OMISSIS-del -OMISSIS- e della CILA Urbix -OMISSIS-; - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2024 il dott. Francesco Fichera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. -OMISSIS-, odierno ricorrente, è proprietario di un immobile sito in (omissis), in via -OMISSIS-, il quale è parte di un condominio, denominato "-OMISSIS-", composto da n. 2 unità immobiliari. In data -OMISSIS- il ricorrente, congiuntamente al proprietario dell'altra unità immobiliare, presentava al Comune di (omissis) una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (d'ora in poi, SCIA) per "Intervento di efficientamento energetico e sismico di un fabbricato condominiale composto da n. 2 unità immobiliari in -OMISSIS-". La superiore SCIA (URBIX n. -OMISSIS-) veniva assunta in pari data al protocollo n. -OMISSIS- del Comune di (omissis). Nel corso dell'assemblea condominiale tenutasi in data 17.11.2022 i condomini deliberavano di voler procedere alla realizzazione degli interventi di "Adeguamento sismico ed energetico delle parti comuni dell'edificio potendo lo stesso usufruire degli incentivi fi-scali di cui all'art. 119 D.L. n. 34/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 77/2020 (c.d. Superbonus 110%), degli incentivi fiscali di cui all'art. 16-bis, comma 1, lett. a) e b) D.P.R. n. 917/1986 (c.d. Bonus edilizia) e degli incentivi fiscali di cui all'art. 1, commi 219-224, della L. n. 160 del 27 dicembre 2019 (c.d. Bonus facciate)", contestualmente conferendo i relativi e necessari incarichi professionali. In data -OMISSIS- l'amministratore del condominio "-OMISSIS-" presentava al Comune di (omissis), anche nell'interesse dell'odierno ricorrente, una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata per gli interventi di cui all'art. 119 D.L. n. 34/2020 (c.d. CILA Superbonus - da ora CILAS) per "Intervento di efficientamento energetico e sismico di un fabbricato condominiale composto da n. 2 unità immobiliari in (omissis), via -OMISSIS- Coibentazione superfici opache; sostituzione infissi; installazione foto-voltaico; installazione batterie di accumulo; sostituzione generatore di calore; installazione di colonnina di ricarica". La superiore CILAS (URBIX n. -OMISSIS-) veniva assunta in pari data al protocollo n. -OMISSIS-del Comune di (omissis). Avviate le lavorazioni propedeutiche di incantieramento, sopraggiungevano, in data -OMISSIS-, l'Autorizzazione Paesaggistica della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania e, in data -OMISSIS- l'Autorizzazione dell'Ufficio del Genio Civile di Catania prot. n. -OMISSIS- A seguito di nota inoltrata dall'ANAS prot.n. -OMISSIS- la polizia locale effettuava un sopralluogo di controllo in esito al quale, rilevando la presenza di lavori abusivi, provvedeva a trasmettere copia del verbale all'Ufficio Antiabusivismo Edilizio Comunale. Con successiva ordinanza n. -OMISSIS-- notificata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. in pari data e così perfezionatasi il successivo -OMISSIS- - il Responsabile della 6^ Area del Comune di (omissis) ordinava al ricorrente di "provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS- entro giorni 90 (novanta) dalla notifica della presente", contestualmente irrogando "ai sensi del comma 3 dell'art. 33 DPR 380/2001 e s.m.i., una sanzione pecuniaria fissata in Euro 1.000,00 (mille/00) relativamente agli abusi sopra descritti". Nello specifico, il superiore provvedimento repressivo fondava la propria ratio giustificatrice sulla circostanza secondo cui risultano eseguiti i seguenti lavori abusivi: - demolizione su tre lati e ricostruzione del corpo di fabbrica facente parte delle due unità immobiliari; - i cordoli, non previsti nel progetto architettonico e paesaggistico ma solo nel progetto strutturale (di altezza 40 cm), erano stati realizzati con un'altezza variabile da 40 cm a 60 cm; - era stato realizzato l'innalzamento della linea di gronda della copertura del corpo di fabbrica sul fronte est di circa 60 cm; - le coperture in atto realizzate risultano estese oltre i cordoli. Per l'effetto, con nota prot. n. -OMISSIS- il medesimo Responsabile della 6^ Area, rilevato, alla luce dell'ordinanza di demolizione emessa, "che il progetto per come presentato appare non più procedibile", comunicava l'archiviazione della SCIA e della CILAS. 2. Con ricorso notificato in data 3.04.2024 e depositato il 10.04.2024 il ricorrente ha agito per l'annullamento, previa sospensione cautelare dei relativi effetti: 1) della predetta ordinanza n. -OMISSIS- a firma del Responsabile della 6^ Area del Comune di (omissis), notificata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. il -OMISSIS- così perfezionatasi in data -OMISSIS-, con cui è stato ordinato al ricorrente di "provvedere alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS-", nonché irrogata una sanzione pecuniaria di Euro 1.000,00; 2) della nota prot. n. -OMISSIS- comunicata a mezzo pec in pari data al Tecnico incaricato, con cui è stata disposta l'archiviazione della SCIA Urbix -OMISSIS-del -OMISSIS- e della CILA Urbix-OMISSIS- del -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-; 3) di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e consequenziale. I suddetti atti sono stati avversati per il seguente, unico, motivo di diritto: Violazione e falsa applicazione art. 119, commi 3 e 13-ter D.L. n. 34/2020, conv. in Legge n. 77/2020. Violazione e falsa applicazione art. 3, comma 1 lett. b), D.P.R. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione art. 14, comma 7, D. Lgs. n. 102/2014. Violazione e falsa applicazione punto 8.4.1 D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008) e successive NTC 2018. Violazione e falsa applicazione art. 149, lett. a), D. Lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per errore sui presupposti in fatto ed in diritto. Falsa rappresentazione della realtà . Erronea istruttoria. Perplessità dell'azione amministrativa. Ingiustizia grave e manifesta. Illogicità . 2.1. Con il suddetto motivo di gravame la parte deduce che dal combinato disposto degli artt. 119 del d.l. n. 34/2020 e 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 debba desumersi che rientrino nell'ambito della c.d. CILAS gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico - anche laddove incidenti sulle parti strutturali degli edifici, purché non sostanziantisi in termini di integrale demo-ricostruzione - da equipararsi agli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 380/2001. Da ciò discenderebbe, secondo la prospettazione di parte, che l'attività edificatoria posta in essere abbia mantenuto la propria fonte di legittimazione nella CILAS del -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-, costituendo una sostituzione di porzioni strutturali ammalorate, resasi necessaria ai fini della corretta esecuzione del rassegnato progetto di efficientamento energetico e adeguamento sismico, senza assurgere al livello della totale demo-ricostruzione, esclusa dall'art. 119, comma 13-ter, d.l. n. 34/2020 dal proprio ambito applicativo. Viene altresì rilevato che l'ordinanza di demolizione impugnata sia illegittima anche nella parte in cui si afferma che "i cordoli, non previsti nel progetto architettonico e paesaggistico ma solo nel progetto strutturale (di altezza 40 cm), sono stati realizzati di altezza variabile da 40 a 60 cm" con conseguente "modifica all'altezza ed alla volumetria dell'edificio". Viene osservato, in particolare, che: 1) i predetti cordoli abbiano un'altezza unica di 40 cm e non già di 60 cm; 2) la realizzazione del cordolo non rappresenterebbe un ampliamento o una sopraelevazione, in coerenza con la disciplina prevista dall'art. 14, comma 7, del d.lgs. 104/2012, dall'art. 119, comma 3, del d.l. n. 34/2020, e dal punto 8.4.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni approvate con D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008). Da quanto sopra deriverebbe l'erroneità dell'ordinanza avversata anche laddove ritiene "necessaria" una verifica in ordine "agli aspetti paesaggistici di competenza della Soprintendenza BCA di Catania", tenuto altresì conto che l'ANAS, per quanto di propria competenza, in accoglimento delle osservazioni presentate da parte ricorrente a seguito del preavviso di diniego - con cui si contestava "l'innalzamento della copertura per un'altezza pari a 40 cm (e, dunque, la realizzazione dei cordoli sommitali)" - in data 2.04.2024 ha rilasciato Parere favorevole "valutate le controdeduzioni presentate da Codesta Ditta". Per le stesse ragioni viene contestato anche quanto rilevato dal Comune di (omissis) relativamente "all'innalzamento della linea di gronda della copertura del corpo di fabbrica sul fronte Est di circa 60 cm", atteso che tale intervento sarebbe conseguenza della realizzazione dei cordoli sismici. Quanto, infine, alla contestata "estensione delle coperture in atto realizzate oltre i cordoli" è in ultimo evidenziato che essa sia esclusivamente conseguenza della sospensione dei lavori disposta autonomamente da parte ricorrente a seguito di sopralluogo del 28.11.2023 e comunicata a mezzo pec al Comune di (omissis) "al fine di consentire gli accertamenti agli Enti preposti". 3. Con memoria di costituzione dell'11.04.2024 il Comune di (omissis) ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Con successiva memoria del 2.05.2024 lo stesso Ente resistente ha controdedotto in ordine alle censure sollevate da chi ricorre in giudizio, rilevando, in particolare, che ad esito del sopralluogo eseguito nell'area interessata siano state riscontrate delle difformità rispetto ai titoli abilitativi presentati tali da rendere necessaria la richiesta di permesso di costruire in luogo degli originari titoli. Viene a tal fine specificato che: - le dimensioni dei cordoli hanno comportato modifiche all'altezza e alla volumetria dell'edificio e, pertanto, devono essere verificate sia in ordine alla coerenza con quanto depositato presso il Genio Civile di Catania circa l'assentibilità strutturale, che per gli aspetti paesaggistici di competenza della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania e per quelli urbanistici ed edilizi di competenza comunale; - l'avvenuta demolizione di un corpo di fabbrica non era prevista nel progetto strutturale, né in quello paesaggistico, né in quello edilizio, in quanto dette opere non risulterebbero rappresentate negli elaborati depositati nel portale Urbix-Sue (CILAS prot. -OMISSIS-del -OMISSIS-, Urbix -OMISSIS- Urbix -OMISSIS-) e quindi costituiscono difformità sotto l'aspetto urbanistico; - i lavori abusivi riscontrati durante il sopralluogo non rientrerebbero nell'alveo degli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett b), del D.P.R. n. 380/2001. Anche a voler qualificare l'intervento realizzato quale ristrutturazione edilizia, conclude l'Ente resistente, l'intervento eseguito sui cordoli sarebbe in ogni caso sovradimensionato rispetto alla necessità dell'asserito consolidamento ed in contrasto con l'art. 1 della L.R. 4/2005, ritenendosi che i 30 cm di cordolo costituiscano incremento di volumetria e modifica di altezza non assentibili. 5. Alla camera di consiglio dell'8.05.2024 parte ricorrente ha rinunciato alla propria istanza di misura cautelare. 6. Con memoria del 30.07.2024 il ricorrente ha insistito per l'accoglimento del proprio gravame. 7. All'udienza pubblica dell'1.10.2024, presenti i difensori delle parti come da verbale, la causa è stata posta in decisione. 8. Il ricorso è infondato per quanto di seguito esposto e considerato. 8.1. Deve preliminarmente ricostruirsi il quadro normativo di riferimento entro il quale si colloca la fattispecie per cui è causa. Ai sensi dell'art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020 ("Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19"), gli interventi agevolati di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico, "anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)". Secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. 380/2001 rientrano negli interventi di manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l'agibilità dell'edificio ovvero per l'accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell'edificio, purché l'intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42". L'art. 3, comma 1, lett. d), dello stesso D.P.R. 380/2001 qualifica, invece, come interventi di ristrutturazione edilizia "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi ((degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142)) del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria". Ai sensi dell'art. 10, comma 1, del D.P.R. 380/2001, sono subordinati a permesso di costruire, tra gli altri, "gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria". Dal combinato disposto delle predette norme deve, quindi, desumersi che: - gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico sono realizzabili mediante CILA ove classificabili quale "manutenzione straordinaria", al di fuori di cui si collocano "la demolizione e la ricostruzione degli edifici"; - affinché si concretizzi un intervento di "manutenzione straordinaria" è necessario che le opere e le modifiche rese necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici "non alterino la volumetria complessiva degli edifici"; - rientrano nell'ambito della "ristrutturazione edilizia" gli interventi che portano a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, tra cui anche gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica e per l'efficientamento energetico; - gli interventi di "ristrutturazione edilizia" che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente sono subordinati al permesso di costruire ove comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici. 8.2. Orbene, dal contenuto della CILAS prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- si desume che gli interventi posti in essere avrebbero dovuto essere i seguenti: coibentazione superfici opache; sostituzione infissi; installazione fotovoltaico; installazione batterie di accumulo; sostituzione generatore di calore; installazione di colonnina di ricarica. Dall'esito del sopralluogo eseguito nell'area, come riportato nell'ordinanza impugnata, si ricava che gli interventi realizzati abbiano determinato, tra gli altri, la demolizione su tre lati e la ricostruzione del corpo di fabbrica, una modifica dell'altezza dei cordoli, un innalzamento della linea di gronda della copertura di una parte del corpo di fabbrica e l'estensione delle coperture, con conseguente modifica alla "sagoma", alla "altezza" e alla "volumetria" dell'edificio. Da ciò discende, pertanto, che gli interventi posti in essere: - abbiano determinato una consistente attività di demolizione e di ricostruzione del corpo di fabbrica (il quale è stato interessato su tre lati); - abbiano modificato, oltreché l'altezza e la sagoma dell'immobile, anche la sua volumetria. 8.3. In coerenza con quanto previsto dall'art. 10, comma 1, del D.P.R. 380/2001 la realizzazione di un "organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente" e la correlata modifica della "volumetria complessiva" del corpo di fabbrica, ad avviso del Collegio, sono da subordinarsi al rilascio del permesso di costruire, difettando le condizioni per qualificare tali interventi quale mera "manutenzione straordinaria", suscettibile di essere realizzata mediante comunicazione di inizio lavori asseverata secondo la disciplina di cui all'art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020. Non può ritenersi, in particolare, che l'esclusione dal perimetro della CILAS di cui al predetto art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020 riguardi solo gli "integrali" interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici, in quanto anche gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico devono essere collocati entro la cornice generale del D.P.R. 380/2001, la quale costituisce l'insopprimibile fonte normativa di riferimento da cui non si può prescindere per qualificare una determinata opera e inquadrarla entro uno specifico titolo edilizio. Deve evidenziarsi, in particolare, che l'art. 119 del d.l. n. 34/2020 non faccia alcun riferimento letterale (o comunque espresso) alla necessità che, al fine di escludere l'operatività della CILAS, l'intervento demolitorio e ricostruttivo sia "integrale". Se portata alle estreme conseguenze, la tesi propugnata dalla parte che ricorre in giudizio porterebbe a non qualificare come "ristrutturazione edilizia" - da subordinare al permesso di costruire in presenza dei requisiti di cui all'art. 10 del D.P.R. 380 del 2001 - un intervento di demolizione e ricostruzione che interessi il 99% dell'edificio, solo perché quest'ultimo non sia "integrale". Da ciò l'evidente aporia applicativa in cui si incorrerebbe, dettata dal fatto di dover qualificare come "manutenzione straordinaria" sottoposta a CILAS un intervento che, avendo - piuttosto - comportato (ai fini dell'adeguamento alla normativa antisismica e dell'efficientamento energetico) la "demolizione e ricostruzione di edifici esistenti", determinando "diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche", ai sensi del D.P.R. 380/2001 andrebbe invece qualificato come "ristrutturazione edilizia" (cfr. art. 3, comma 1, lett. d)), da subordinare al permesso di costruire ove sia suscettibile di portare ad un "organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", determinando anche "modifiche della volumetria complessiva" (cfr. art. 10, comma 1). Risulta allora più coerente, sul piano sistematico, inquadrare la disciplina dell'art. 119 del d.l. n. 34/2020 all'interno dell'impianto normativo generale di riferimento, ritenendosi che un intervento sia realizzabile mediante CILAS, anche qualora riguardi "le parti strutturali degli edifici o i prospetti", ove abbia le caratteristiche della manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. 380/2001 e non comporti la "demolizione e la ricostruzione" dell'edificio interessato, la quale, anche ove non integrale, porta a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e, come tale, è da sottoporsi alla disciplina di cui agli artt. 3, comma 1, lett. d), e 10 del predetto D.P.R. 380/2001. 8.4. A nulla rileva, inoltre, che ai sensi dell'art. 14, comma 7, del d.lgs. 102/2014 "Nel caso di interventi di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia, il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori, necessario per ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo decreto legislativo, non è considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura. Entro i limiti del maggior spessore di cui sopra, è permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile". L'applicazione di tale disposizione, invocata dalla parte ricorrente insieme all'art. 119, comma 3, del d.l. n. 34/2020, e al punto 8.4.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni approvate con D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008), non sortisce alcun effetto sull'esito dello scrutinio della presente controversia, in quanto: - la consistente attività di demolizione e di ricostruzione del corpo di fabbrica - il quale, lo si ribadisce, è stato interessato su tre lati - determina ex se la necessità di subordinare l'intervento per cui è causa alla richiesta di permesso di costruire, secondo quanto sopra osservato, determinandosi la realizzazione di un "organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente" e la conseguente modifica della "volumetria complessiva dell'edificio"; - ai sensi della disposizione in argomento, "il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori", non è considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura agli specifici fino dell'ottenimento della riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal d.lgs. 192/2005 e determina la possibilità di "...derogare a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle altezze massime degli edifici", purché ciò avvenga "nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La deroga è quindi limitata a quanto previsto a livello normativo in materia di distanze minime e altezze massime degli edifici. Ugualmente inconferente risulta il richiamo alle altre due disposizioni, in quanto: - l'art. 119, comma 3, del d.l. 34/2020 stabilisce, al suo ultimo capoverso, che "Gli interventi di dimensionamento del cappotto termico e del cordolo sismico non concorrono al conteggio della distanza e dell'altezza, in deroga alle distanze minime riportate all'articolo 873 del codice civile, per gli interventi di cui all'articolo 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e al presente articolo". Da tale disposto normativo si desume che il dimensionamento del cordolo sismico non concorra al conteggio delle distanze e dell'altezza esclusivamente agli esclusivi fini della disciplina sulle distanze minime prevista dall'art. 873 c.c., senza alcun rilievo, invece, sotto il profilo della normativa settoriale in materia di edilizia; - il punto 8.4.1. delle NTC 2008 stabilisce che "Una variazione dell'altezza dell'edificio, per la realizzazione di cordoli sommitali, sempre che resti immutato il numero di piani, non è considerata sopraelevazione o ampliamento" agli specifici fini dell'obbligo, o meno, di procedere all'adeguamento della costruzione atto a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle stesse NTC. Posto, quindi, che la variazione dell'altezza in questo caso non ha alcuna attinenza con la disciplina edilizia (e che non può essere richiamata al fine di escludere che l'intervento de quo sia da subordinarsi al permesso di costruire), si rammenta, in ogni caso, che secondo quanto previsto dalle suddette NTC 2008 l'intervento di adeguamento è comunque richiesto ove, come nel caso di specie, si concretizzi un intervento strutturale che porta a "un organismo edilizio diverso dal precedente". La modifica dell'altezza dei cordoli, l'innalzamento della linea di gronda della copertura di una parte del corpo di fabbrica e l'estensione delle coperture, come accertate dal Comune resistente nell'ambito del sopralluogo svolto nell'area interessata dall'intervento, si innestano - quindi - nel quadro di un'attività di demolizione e ricostruzione per la quale, determinandosi anche una modifica volumetrica dell'edificio, sotto il profilo edilizio opera la procedura di rilascio del richiesto titolo abilitativo del permesso di costruire. 9. Pertanto, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell'Amministrazione resistente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (euro duemila/00) oltre oneri accessori così come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati: Daniele Profili - Presidente FF Valeria Ventura - Referendario Francesco Fichera - Referendario, Estensore
TAR Catania
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 669 del 2024, proposto da -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - dell'ordinanza n. -OMISSIS- a firma del Responsabile della 6^ Area del Comune di (Omissis), notificata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. il -OMISSIS- così perfezionatasi in data -OMISSIS-con la quale è stato ordinato al ricorrente di “provvedere alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS-”, nonché è stata irrogata una sanzione pecuniaria di € 1.000,00; - della nota prot. n. -OMISSIS-comunicata a mezzo pec in pari data al tecnico incaricato, ing. -OMISSIS-con cui è stata disposta l'archiviazione della SCIA Urbix -OMISSIS-e della CILA Urbix -OMISSIS- - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2024 il dott. Francesco Fichera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. -OMISSIS- odierno ricorrente, è proprietario di un immobile sito in (Omissis), in via -OMISSIS-censito in Catasto Fabbricati al Foglio n.-OMISSIS-, il quale è parte di un condominio, denominato “-OMISSIS-”, composto da n. 2 unità immobiliari. In data -OMISSIS- il ricorrente, congiuntamente al proprietario dell’altra unità immobiliare, presentava al Comune di (Omissis) una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (d’ora in poi, SCIA) per “Intervento di efficientamento energetico e sismico di un fabbricato condominiale composto da n. 2 unità immobiliari in (Omissis), via -OMISSIS-”. La superiore SCIA (URBIX n. -OMISSIS-) veniva assunta in pari data al protocollo n. -OMISSIS- del Comune di (Omissis). Nel corso dell’assemblea condominiale tenutasi in data-OMISSIS-i condomini deliberavano di voler procedere alla realizzazione degli interventi di “Adeguamento sismico ed energetico delle parti comuni dell’edificio potendo lo stesso usufruire degli incentivi fiscali di cui all’art. 119 D.L. n. 34/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 77/2020 (c.d. Superbonus 110%), degli incentivi fiscali di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. a) e b) D.P.R. n. 917/1986 (c.d. Bonus edilizia) e degli incentivi fiscali di cui all’art. 1, commi 219-224, della L. n. 160 del 27 dicembre 2019 (c.d. Bonus facciate)”, contestualmente conferendo i relativi e necessari incarichi professionali. In data-OMISSIS- il sig. -OMISSIS- in proprio e nella qualità di amministratore del condominio “-OMISSIS-”, presentava al Comune di (Omissis) una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata per gli interventi di cui all’art. 119 D.L. n. 34/2020 (c.d. CILA Superbonus – da ora CILAS) per “Intervento di efficientamento energetico e sismico di un fabbricato condominiale composto da n. 2 unità immobiliari in Aci Castello, via Nazionale n. 56 – Foglio 12 Particella 324 Sub. 3-4. Coibentazione superfici opache; sostituzione infissi; installazione foto-voltaico; installazione batterie di accumulo; sostituzione generatore di calore; installazione di colonnina di ricarica”. La superiore CILAS (URBIX n. -OMISSIS-) veniva assunta in pari data al protocollo n.-OMISSIS-del Comune di (Omissis). Avviate le lavorazioni propedeutiche di incantieramento, sopraggiungevano, in data-OMISSIS-, l’Autorizzazione Paesaggistica della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania e, in data -OMISSIS- l’Autorizzazione dell’Ufficio del Genio Civile di Catania prot. n. -OMISSIS- A seguito di nota inoltrata dall’ANAS prot. n. -OMISSIS- la polizia locale effettuava un sopralluogo di controllo in esito al quale, rilevando la presenza di lavori abusivi, provvedeva a trasmettere copia del verbale all’Ufficio Antiabusivismo Edilizio Comunale. Con successiva ordinanza n. -OMISSIS- - notificata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. in pari data e così perfezionatasi il successivo -OMISSIS- - il Responsabile della 6^ Area del Comune di (Omissis) ordinava al ricorrente di “provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS- entro giorni 90 (novanta) dalla notifica della presente”, contestualmente irrogando “ai sensi del comma 3 dell’art. 33 DPR 380/2001 e s.m.i., una sanzione pecuniaria fissata in € 1.000,00 (mille/00) relativamente agli abusi sopra descritti”. Nello specifico, il superiore provvedimento repressivo fondava la propria ratio giustificatrice sulla circostanza secondo cui risultavano eseguiti i seguenti interventi abusivi: - demolizione su tre lati e ricostruzione del corpo di fabbrica facente parte delle due unità immobiliari; - i cordoli, non previsti nel progetto architettonico e paesaggistico ma solo nel progetto strutturale (di altezza 40 cm), erano stati realizzati con un’altezza variabile da 40 cm a 60 cm; - era stato realizzato l’innalzamento della linea di gronda della copertura del corpo di fabbrica sul fronte est di circa 60 cm; - le coperture in atto realizzate risultavano estese oltre i cordoli. Per l’effetto, con nota prot. n. -OMISSIS-il medesimo Responsabile della 6^ Area, rilevato, alla luce dell’ordinanza di demolizione emessa, “che il progetto per come presentato appare non più procedibile”, comunicava l’archiviazione della SCIA e della CILAS. 2. Con ricorso notificato in data 3.04.2024 e depositato il 10.04.2024 il ricorrente ha agito per l’annullamento, previa sospensione cautelare dei relativi effetti: 1) della predetta ordinanza n. -OMISSIS- a firma del Responsabile della 6^ Area del Comune di (Omissis), notificata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. il -OMISSIS- così perfezionatasi in data -OMISSIS-, con cui è stato ordinato al ricorrente di “provvedere alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dei luoghi come da SCIA presentata in data -OMISSIS-”, nonché irrogata una sanzione pecuniaria di € 1.000,00; 2) della nota prot. n. -OMISSIS-comunicata a mezzo pec in pari data al tecnico incaricato, con cui è stata disposta l’archiviazione della SCIA Urbix -OMISSIS-e della CILA Urbix -OMISSIS- 3) di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e consequenziale. I suddetti atti sono stati avversati per il seguente, unico, motivo di diritto: Violazione e falsa applicazione art. 119, commi 3 e 13-ter D.L. n. 34/2020, conv. in Legge n. 77/2020. Violazione e falsa applicazione art. 3, comma 1 lett. b), D.P.R. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione art. 14, comma 7, D. Lgs. n. 102/2014. Violazione e falsa applicazione punto 8.4.1 D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008) e successive NTC 2018. Violazione e falsa applicazione art. 149, lett. a), D. Lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per errore sui presupposti in fatto ed in diritto. Falsa rappresentazione della realtà. Erronea istruttoria. Perplessità dell’azione amministrativa. Ingiustizia grave e manifesta. Illogicità. 2.1. Con il suddetto motivo di gravame la parte deduce che dal combinato disposto degli artt. 119 del d.l. n. 34/2020 e 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 debba desumersi che rientrino nell’ambito della c.d. CILAS gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico – anche laddove incidenti sulle parti strutturali degli edifici, purché non sostanziantisi in termini di integrale demo-ricostruzione – da equipararsi agli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001. Da ciò discenderebbe, secondo la prospettazione di parte, che l’attività edificatoria posta in essere abbia mantenuto la propria fonte di legittimazione nella CILAS del-OMISSIS- prot. n. -OMISSIS- costituendo una sostituzione di porzioni strutturali ammalorate, resasi necessaria ai fini della corretta esecuzione del rassegnato progetto di efficientamento energetico e adeguamento sismico, senza assurgere al livello della totale demo-ricostruzione, esclusa dall’art. 119, comma 13-ter, d.l. n. 34/2020 dal proprio ambito applicativo. Viene altresì rilevato che l’ordinanza di demolizione impugnata sia, in particolare, illegittima nella parte in cui si afferma che “i cordoli, non previsti nel progetto architettonico e paesaggistico ma solo nel progetto strutturale (di altezza 40 cm), sono stati realizzati di altezza variabile da 40 a 60 cm” con conseguente “modifica all’altezza ed alla volumetria dell’edificio”. È osservato, nello specifico, che: 1) i predetti cordoli abbiano un’altezza unica di 40 cm e non già di 60 cm; 2) la realizzazione del cordolo non rappresenterebbe un ampliamento o una sopraelevazione, in coerenza con la disciplina prevista dall’art. 14, comma 7, del d.lgs. 104/2012, dall’art. 119, comma 3, del d.l. n. 34/2020, e dal punto 8.4.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni approvate con D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008). Da quanto sopra deriverebbe l’erroneità dell’ordinanza avversata anche laddove ritiene “necessaria” una verifica in ordine “agli aspetti paesaggistici di competenza della Soprintendenza BCA di Catania”, tenuto altresì conto che l’ANAS, per quanto di propria competenza, in accoglimento delle osservazioni presentate da parte ricorrente a seguito del preavviso di diniego – con cui si contestava “l’innalzamento della copertura per un’altezza pari a 40 cm (e, dunque, la realizzazione dei cordoli sommitali)” – in data 2.04.2024 ha rilasciato Parere favorevole “valutate le controdeduzioni presentate da Codesta Ditta”. Per le stesse ragioni viene contestato anche quanto rilevato dal Comune di (Omissis) relativamente “all’innalzamento della linea di gronda della copertura del corpo di fabbrica sul fronte Est di circa 60 cm”, atteso che tale intervento sarebbe conseguenza della realizzazione dei cordoli sismici. Quanto, infine, alla contestata “estensione delle coperture in atto realizzate oltre i cordoli”, è in ultimo evidenziato che essa sia esclusivamente conseguenza della sospensione dei lavori disposta autonomamente da parte ricorrente a seguito di sopralluogo del 28.11.2023 e comunicata a mezzo pec al Comune di (Omissis) “al fine di consentire gli accertamenti agli Enti preposti”. 3. Con memoria di costituzione dell’11.04.2024 il Comune di (Omissis) ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Con successiva memoria del 2.05.2024 lo stesso Ente resistente ha controdedotto in ordine alle censure sollevate da chi ricorre in giudizio, rilevando, in particolare, che ad esito del sopralluogo eseguito nell’area interessata siano state riscontrate delle difformità rispetto agli atti abilitativi presentati tali da rendere necessaria la richiesta di permesso di costruire in luogo degli originari titoli. Viene a tal fine specificato che: - le dimensioni dei cordoli hanno comportato modifiche all’altezza e alla volumetria dell’edificio e, pertanto, devono essere verificate sia in ordine alla coerenza con quanto depositato presso il Genio Civile di Catania circa l’assentibilità strutturale, sia per gli aspetti paesaggistici di competenza della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania e per quelli urbanistici ed edilizi di competenza comunale; - l’avvenuta demolizione di un corpo di fabbrica non era prevista nel progetto strutturale, né in quello paesaggistico, né in quello edilizio, in quanto dette opere non risulterebbero rappresentate negli elaborati depositati nel portale Urbix-Sue (CILAS prot.-OMISSIS-del-OMISSIS-, Urbix -OMISSIS- e SCIA prot. n° -OMISSIS- del -OMISSIS-Urbix -OMISSIS-) e quindi costituiscono difformità sotto l’aspetto urbanistico; - i lavori abusivi riscontrati durante il sopralluogo non rientrerebbero nell’alveo degli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett b), del D.P.R. n. 380/2001. Anche a voler qualificare l’intervento realizzato quale ristrutturazione edilizia, conclude l’Ente resistente, l’intervento eseguito sui cordoli sarebbe in ogni caso sovradimensionato rispetto alla necessità dell’asserito consolidamento ed in contrasto con l’art. 1 della L.R. 4/2005, ritenendosi che i 30 cm di cordolo costituiscano incremento di volumetria e modifica di altezza non assentibili. 5. Alla camera di consiglio dell’8.05.2024 parte ricorrente ha rinunciato alla propria istanza di misura cautelare. 6. Con memoria del 30.07.2024 il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del proprio gravame. 7. All’udienza pubblica dell’1.10.2024, presenti i difensori delle parti come da verbale, la causa è stata posta in decisione. 8. Il ricorso è infondato per quanto di seguito esposto e considerato. 8.1. Deve preliminarmente ricostruirsi il quadro normativo di riferimento entro il quale si colloca la fattispecie per cui è causa. Ai sensi dell’art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020 (“Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”), gli interventi agevolati di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico, “anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)”. Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. 380/2001 rientrano negli interventi di manutenzione straordinaria “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d' uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l'agibilità dell'edificio ovvero per l'accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell'edificio, purché l'intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. L’art. 3, comma 1, lett. d), dello stesso D.P.R. 380/2001 qualifica, invece, come interventi di ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi ((degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142)) del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”. Ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. 380/2001, sono subordinati a permesso di costruire, tra gli altri, “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria”. Dal combinato disposto delle predette norme deve, quindi, desumersi che: - gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico sono realizzabili mediante CILA ove classificabili quale “manutenzione straordinaria”, al di fuori di cui si collocano “la demolizione e la ricostruzione degli edifici”; - affinché si concretizzi un intervento di “manutenzione straordinaria” è necessario che le opere e le modifiche rese necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici “non alterino la volumetria complessiva degli edifici”; - rientrano nell’ambito della “ristrutturazione edilizia” gli interventi che portano a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, tra cui anche gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica e per l'efficientamento energetico; - gli interventi di “ristrutturazione edilizia” che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente sono subordinati al permesso di costruire ove comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici. 8.2. Orbene, dal contenuto della CILAS prot. -OMISSIS- si desume che gli interventi posti in essere avrebbero dovuto essere i seguenti: coibentazione superfici opache; sostituzione infissi; installazione fotovoltaico; installazione batterie di accumulo; sostituzione generatore di calore; installazione di colonnina di ricarica. Dall’esito del sopralluogo eseguito nell’area, come riportato nell’ordinanza impugnata, si ricava che gli interventi realizzati abbiano determinato, tra gli altri, la demolizione su tre lati e la ricostruzione del corpo di fabbrica, una modifica dell’altezza dei cordoli, un innalzamento della linea di gronda della copertura di una parte del corpo di fabbrica e l’estensione delle coperture, con conseguente modifica alla “sagoma”, alla “altezza” e alla “volumetria” dell’edificio. Da ciò discende, pertanto, che gli interventi posti in essere: - abbiano determinato una consistente attività di demolizione e di ricostruzione del corpo di fabbrica (il quale è stato interessato su tre lati); - abbiano modificato, oltreché l’altezza e la sagoma dell’immobile, anche la sua volumetria. 8.3. In coerenza con quanto previsto dall’art. 10, comma 1, del D.P.R. 380/2001 la realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” e la correlata modifica della “volumetria complessiva” del corpo di fabbrica, ad avviso del Collegio, sono da subordinarsi al rilascio del permesso di costruire, difettando le condizioni per qualificare tali interventi quale mera “manutenzione straordinaria”, suscettibile di essere realizzata mediante comunicazione di inizio lavori asseverata secondo la disciplina di cui all’art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020. Non può ritenersi, in particolare, che l’esclusione dal perimetro della CILAS di cui al predetto art. 119, comma 13-ter, del d.l. n. 34/2020 riguardi solo gli “integrali” interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici, in quanto anche gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico devono essere collocati entro la cornice generale del D.P.R. 380/2001, la quale costituisce l’insopprimibile fonte normativa di riferimento da cui non si può prescindere per qualificare una determinata opera e inquadrarla entro uno specifico titolo edilizio. Deve evidenziarsi, in particolare, che l’art. 119 del d.l. n. 34/2020 non faccia alcun riferimento letterale (o comunque espresso) alla necessità che, al fine di escludere l’operatività della CILAS, l’intervento demolitorio e ricostruttivo sia “integrale”. Se portata alle estreme conseguenze, la tesi propugnata dalla parte che ricorre in giudizio porterebbe a non qualificare come “ristrutturazione edilizia” – da subordinare al permesso di costruire in presenza dei requisiti di cui all’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001 – un intervento di demolizione e ricostruzione che interessi il 99% dell’edificio, solo perché quest’ultimo non sia “integrale”. Da ciò l’evidente aporia applicativa in cui si incorrerebbe, dettata dal fatto di dover qualificare come “manutenzione straordinaria” sottoposta a CILAS un intervento che, avendo - piuttosto - comportato (ai fini dell’adeguamento alla normativa antisismica e dell’efficientamento energetico) la “demolizione e ricostruzione di edifici esistenti”, determinando “diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”, ai sensi del D.P.R. 380/2001 andrebbe invece qualificato come “ristrutturazione edilizia” (cfr. art. 3, comma 1, lett. d)), da subordinare al permesso di costruire ove sia suscettibile di portare ad un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, determinando anche “modifiche della volumetria complessiva” (cfr. art. 10, comma 1). Risulta allora più coerente, sul piano sistematico, inquadrare la disciplina dell’art. 119 del d.l. n. 34/2020 all’interno dell’impianto normativo generale di riferimento, ritenendosi che un intervento sia realizzabile mediante CILAS, anche qualora riguardi “le parti strutturali degli edifici o i prospetti”, ove abbia le caratteristiche della manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) del D.P.R. 380/2001 e non comporti la “demolizione e la ricostruzione” dell’edificio interessato, la quale, anche ove non integrale, porta a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e, come tale, è da sottoporsi alla disciplina di cui agli artt. 3, comma 1, lett. d), e 10 del predetto D.P.R. 380/2001. 8.4. A nulla rileva, inoltre, che ai sensi dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. 102/2014 “Nel caso di interventi di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia, il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori, necessario per ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo decreto legislativo, non è considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura. Entro i limiti del maggior spessore di cui sopra, è permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile”. L’applicazione di tale disposizione, invocata dalla parte ricorrente insieme all’art. 119, comma 3, del d.l. n. 34/2020 e al punto 8.4.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni approvate con D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008), non sortisce alcun effetto sull’esito dello scrutinio della presente controversia, in quanto: - la consistente attività di demolizione e di ricostruzione del corpo di fabbrica – il quale, lo si ribadisce, è stato interessato su tre lati – determina ex se la necessità di subordinare l’intervento per cui è causa alla richiesta di permesso di costruire, secondo quanto sopra osservato, determinandosi la realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” e la conseguente modifica della “volumetria complessiva dell’edificio”; - ai sensi della disposizione in argomento, “il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori” non è considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura agli specifici fino dell’ottenimento della riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal d.lgs. 192/2005 e determina la possibilità di “…derogare a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle altezze massime degli edifici”, purché ciò avvenga “nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. La deroga è, quindi, limitata a quanto previsto a livello normativo in materia di distanze minime e altezze massime degli edifici. Ugualmente inconferente risulta il richiamo alle altre due disposizioni, in quanto: - l’art. 119, comma 3, del d.l. 34/2020 stabilisce, al suo ultimo capoverso, che “Gli interventi di dimensionamento del cappotto termico e del cordolo sismico non concorrono al conteggio della distanza e dell'altezza, in deroga alle distanze minime riportate all'articolo 873 del codice civile, per gli interventi di cui all'articolo 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e al presente articolo”. Da tale disposto normativo si desume che il dimensionamento del cordolo sismico non concorra al conteggio delle distanze e dell’altezza esclusivamente agli esclusivi fini della disciplina sulle distanze minime prevista dall’art. 873 c.c., senza alcun rilievo, invece, sotto il profilo della normativa settoriale in materia di edilizia; - il punto 8.4.1. delle NTC 2008 stabilisce che “Una variazione dell'altezza dell'edificio, per la realizzazione di cordoli sommitali, sempre che resti immutato il numero di piani, non è considerata sopraelevazione o ampliamento” agli specifici fini dell’obbligo, o meno, di procedere all’adeguamento della costruzione atto a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle stesse NTC. Posto, quindi, che la variazione dell’altezza in questo caso non ha alcuna attinenza con la disciplina edilizia (e che non può essere richiamata al fine di escludere che l’intervento de quo sia da subordinarsi al permesso di costruire), si rammenta, in ogni caso, che secondo quanto previsto dalle suddette NTC 2008 l’intervento di adeguamento è comunque richiesto ove, come nel caso di specie, si concretizzi un intervento strutturale che porta a “un organismo edilizio diverso dal precedente”. La modifica dell’altezza dei cordoli, l’innalzamento della linea di gronda della copertura di una parte del corpo di fabbrica e l’estensione delle coperture, come accertate dal Comune resistente nell’ambito del sopralluogo svolto nell’area interessata dall’intervento, si innestano – quindi – nel quadro di un’attività di demolizione e ricostruzione per la quale, determinandosi anche una modifica volumetrica dell’edificio, sotto il profilo edilizio opera la procedura di rilascio del richiesto titolo abilitativo del permesso di costruire. 9. Pertanto, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, che liquida in complessivi € 2.000,00 (euro duemila/00) oltre oneri accessori così come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati: Daniele Profili, Presidente FF Valeria Ventura, Referendario Francesco Fichera, Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1788 del 2024, proposto da Re. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di mandataria del RTI costituito con I.F. It. Fa. Ma. s.p.a., E.P.. s.r.l., Ro.Am. s.r.l., in relazione alla procedura CIG 9182528DCF, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cl., Ge. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); contro Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma (ATER Roma), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mo. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Agenzia Nazionale per l'A. degli In. e lo Sv. D'I. S.p.A. - In., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lo Pi., Fa. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Lo Pi. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. V, 19 gennaio 2024, n. 927, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di ATER del Comune di Roma e di Agenzia Nazionale per l'A. degli In. e lo Sv. D'I. S.p.A. - In.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Vi., Ci.e La Fa. in dichiarata delega dell'Avv. Cl.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con Bando pubblicato sulla G.U. n. 48 del 27 aprile 2022 In. S.p.A. (d'ora in poi In.) ha indetto, nella qualità di centrale di committenza per l'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale pubblica del Comune di Roma - ATER Roma (di seguito ATER), ai sensi degli artt. 37 e 38, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, una procedura per la conclusione di un accordo quadro per l'affidamento dei lavori volti alla riqualificazione degli immobili di proprietà dell'ATER, da attuarsi ai sensi dell'art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (cd. Superbonus 110%). 1.1. L'art. 7 del Disciplinare di gara ha previsto, in conformità all'indicata disciplina normativa, che "affinché gli interventi possano accedere alle detrazioni fiscali di cui agli artt. 119 e ss. della legge 17.07.2020 n. 77 e ss.mm.ii., i lavori oggetto della presente procedura dovranno essere conclusi entro e non oltre il 31.12.2023, e comunque entro la data del 30.06.2023 dovranno essere eseguiti per almeno il 60 % per cento dell'intervento complessivo, salvo nuovi termini disposti da proroghe di legge per le quali l'ATER si riserva l'eventuale opzione di validità ". 1.2. La gara era suddivisa in sei lotti di aggiudicazione, ciascuno per un valore di Euro 7.500.000,00 (comprensivi di oneri della sicurezza per Euro 1.000.000,00), con 2 operatori per ciascun lotto, da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 1.3. L'art. 4, sub 4.1., del Disciplinare, ha stabilito che "Nel caso in cui il numero di operatori economici partecipanti non risultasse sufficiente a garantire l'aggiudicazione di tutti i lotti in appalto, gli eventuali lotti deserti e i relativi plafond potranno essere assegnati agli operatori economici già aggiudicatari di altri lotti...". 1.3.1. Era, altresì, previsto che le prestazioni dell'aggiudicatario sarebbero state compensate mediante il cd. "Sconto in fattura", su ciascuno stato di avanzamento, ai sensi dell'art. 121, commi 1 e 1 bis, d.l. 19 maggio 2020, n. 34. 1.4. Alla procedura ha partecipato anche il RTI costituendo capeggiato da Re. S.p.A., capogruppo mandataria, con le società mandanti I.F. It. Fa. Ma. S.p.A., E.P.. S.r.l., Ro.Am. S.r.l. (d'ora innanzi RTI Re. o Re.), presentando offerta per il solo lotto n. 4 che gli veniva aggiudicato da In. in data 14 luglio 2022 (in relazione alla prima posizione conseguita, che l'abilitava ad eseguire lavori tra il 50 e il 70%). 1.4.1. Nel contempo In. ha richiesto la disponibilità del RTI Re. all'affidamento di altri due lotti, le cui gare erano andate deserte, ovvero i lotti nn. 2 e 6, nonché della restante quota dei lavori del lotto n. 4. 1.4.2. Re. ha assentito all'affidamento dei suddetti lotti e, pertanto, in data 24 ottobre 2022, In. ha disposto in favore del RTI Re. l'aggiudicazione definitiva dei suddetti lotti, dichiarata efficace, all'esito delle verifiche sui requisiti, in data 27 ottobre 2022. 1.5. Nelle more della stipula dei contratti (fissata per il 9 gennaio 2023), l'ATER, in data 4 novembre 2022, ha trasmesso una prima trance di documentazione di progetto in fase di approvazione; in data 18 novembre 2022 ha consegnato sotto le riserve di legge le aree relative agli interventi del lotto n. 4 (omissis); in data 23 novembre 2022 il progetto approvato del lotto n. 4, (omissis), fabbr. n. 2, 3, 4, 5; in data 2 dicembre 2022 il progetto approvato del lotto n. 2, (omissis) B1, B2, C1, C2; infine, in data 19 dicembre 2022 è stata effettuata la consegna dei lavori relativi al lotto n. 4, (omissis). 1.6. La ricorrente ha prodotto in data 15 dicembre 2022 l'atto di costituzione del R.T.I. e in data 21 dicembre 2022 l'ATER ha convocato le imprese aggiudicatarie per la sottoscrizione del contratto di accordo quadro in via telematica, fissandolo per la data del 9 gennaio 2023. 1.7. Peraltro, con nota del 4 gennaio 2023, la Re. ha evidenziato che "Il ritardo patito dall'RTI nella ricezione della documentazione progettuale esecutiva ed, in generale, nella definizione contrattuale definitiva dell'intervento costituiscono elementi oggettivamente ostativi alla realizzazione integrale delle lavorazioni potenzialmente richiedibili da parte dell'Amministrazione a causa dei limiti di carattere temporale che caratterizzano i benefici fiscali...", domandando di procedere pertanto a diverse modifiche della proposta di accordo quadro (cfr. p. 5 del provvedimento impugnato). 1.8. L'ATER ha accolto le richieste di modifiche proposte dalla ricorrente in minima parte, mentre per la parte più consistente ha confermato il contenuto dell'accordo quadro. 1.9. In data 14 gennaio 2023 si è svolto un confronto telematico tra Re. ed ATER e all'esito di tale confronto Re., con nota del 16 gennaio 2023, ha rappresentato di essere impossibilitata a stipulare il contratto del lotto n. 6. 1.10. Con successiva nota del 20 gennaio 2023 Re. ha comunicato la decisione di non voler più stipulare i contratti afferenti a tutti i lotti di gara, considerata "la mancata sussistenza delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività ". 1.11. Nonostante la suddetta nota, l'ATER lo stesso giorno ha trasmesso la bozza dei tre accordi quadro, con invito alla firma entro il 24 gennaio 2023. 1.12. In data 23 gennaio 2023, l'ATER ha inoltrato alla ricorrente l'atto di diffida e costituzione in mora, intimando la stipula dei contratti, a cui la società ha replicato con comunicazione del 25 gennaio 2023, confermando la volontà di non stipulare. 1.13. Con PEC del 2 febbraio 2023 l'ATER ha notificato formale atto di diffida e costituzione in mora, al quale Re. ha replicato con nota del 3 febbraio 2023. 1.14. In data 30 maggio 2023, con nota prot. 26682, l'ATER, ha comunicato l'avvio del procedimento di revoca dei provvedimenti di aggiudicazione della gara. Re. ha formulato all'uopo le proprie controdeduzioni, con PEC del 13 giugno 2023, contestando integralmente il contenuto dell'atto di avvio del procedimento e replicando a tutti i rilievi formulati dall'ATER. 1.15. Con nota dell'11 luglio 2023, l'ATER, ritenute non condivisibili le osservazioni di Re., ha comunicato l'intervenuta adozione della Determinazione Direttoriale n. 185 del 10 luglio 2023, recante revoca dell'aggiudicazione dei lotti d'appalto n. 2, Cod. CIG: 9182528DCF - n. 4, cod. CIG 9182535399 - n. 6, cod. CIG 918253753F. Con la suddetta Determinazione l'ATER, oltre alla revoca, ha disposto di chiedere ad In. di escutere la polizza fideiussoria presentata dal RTI Re. in sede di presentazione dell'offerta; di chiedere al RTI il rimborso delle spese di pubblicità sostenute dall'ATER; di procedere con la segnalazione del provvedimento all'ANAC. 2. La società pertanto ha impugnato innanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, detto provvedimento ed i relativi atti presupposti, con tre distinti ricorsi - uno per ciascun lotto - e segnatamente, relativamente al lotto n. 2, con il ricorso R.G. n. 10385 del 2023, per i seguenti motivi: "1) Violazione dell'art. 21 septies l. 241/1990 e/o dell'art. 21 octies l. 241/1990. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Incompetenza. Nullità del provvedimento di revoca. 2) Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies, l. 241/1990. Violazione dell'art. 1256 c.c. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 3) Violazione dell'art. 32, comma 8 d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 4) Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 3. Si sono costituite innanzi al Tar capitolino l'ATER, depositando documenti e controdeducendo a quanto sostenuto nell'atto introduttivo, nonché In., instando per il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo comunque nel merito il rigetto del ricorso. 4. Il primo giudice con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il ricorso. 5. Avverso tale sentenza il RTI Re. ha formulato, in tre motivi di appello, le seguenti censure: 1) Errores in procedendo ed in iudicando. Violazione dell'art. 112 c.p.c.. Carenza di motivazione. Illogicità ; difetto di istruttoria. 2) Errores in iudicando. Violazione dell'art. 21 septies l. 241/1990 e/o dell'art. 21 octies l. 241/1990. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Incompetenza. Nullità del provvedimento di revoca. 3) Errores in iudicando. Violazione dell'art. 112 c.p.c.. Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Violazione dell'art. 1256 c.c.. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 6. Si sono costituite in resistenza l'ATER ed In.. 6.1. In particolare In., con la memoria di costituzione ha riproposto, ex art. 101 comma 2 c.p.a., l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, chiedendo la propria estromissione dal giudizio, per essere la revoca dell'aggiudicazione imputabile unicamente all'ATER e per non potere comunque escutere la cauzione, come richiesto da quest'ultima, essendo la stessa venuta a scadenza senza che ne fosse stata chiesta l'estensione. 7. In vista della trattazione di merito della causa, le parti hanno depositato memoria di discussione diretta, ex art. 73 comma 1 c.p.a., e il RTI Re. ed In. altresì memoria di replica, illustrando ulteriormente le loro posizioni. 7.1. L'ATER in particolare ha evidenziato di avere anticipato la trasmissione dei progetti, nonostante la lex specialis di gara prevedesse che gli stessi dovessero essere trasmessi al momento della stipula dei contratti attuativi, e di avere offerto in consegna anche l'area del lotto B in data 4 gennaio 2023, offerta rifiutata da Re. perché non si dava conto della reale disponibilità della stessa. Ha pertanto insistito per il rigetto dell'appello, sulla base del rilievo che il RTI Re. era stata posto nelle condizioni di dare avvio ai lavori in tempo utile. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 9 maggio 2024. DIRITTO 9. Il presente giudizio inerisce la legittimità del provvedimento con cui l'ATER, imputando al RTI Re. la mancata stipula dell'accordo quadro, ha revocato l'aggiudicazione del lotto d'appalto n. 2 Cod. CIG: 9182528DCF della procedura di gara curata da In., quale centrale unica di committenza, per conto dell'ATER, volta alla conclusione di un accordo quadro e dei successivi contratti attuativi per l'affidamento dei lavori relativi alla riqualificazione degli immobili di proprietà dell'ATER, da attuarsi ai sensi dell'art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (cd. Superbonus 110%). 9.1. Segnatamente, come esposto nella parte in fatto, l'appalto de quo è stato suddiviso in sei lotti territoriali, ai sensi dell'art. 51, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, individuati con il criterio dell'indipendenza e dell'autonomia funzionale. In ragione di tale "suddivisione", infatti, è stato previsto un "vincolo" di partecipazione e di aggiudicazione, in base al quale ciascun operatore economico avrebbe potuto partecipare e presentare offerta per un solo lotto, con la precisazione che "ciascun lotto è finalizzato alla conclusione di un Accordo Quadro" da stipularsi "con un numero di 2 (due) operatori economici per ogni lotto, purché il numero di operatori che soddisfino i requisiti richiesti ovvero abbiano presentato offerte valide e convenienti, sia in numero sufficiente" (cfr. art. 4.1 del Disciplinare di Gara). 9.2. In considerazione del livello di complessità degli interventi da eseguire, la lex specialis ha previsto che la documentazione progettuale sarebbe stata fornita al momento della sottoscrizione dei singoli contratti attuativi e che, conseguentemente, i lavori oggetto di accordo quadro sarebbero stati affidati "mediante la sottoscrizione di singoli contratti attuativi" (cfr. art. 4 del Disciplinare di Gara). 9.3. Il RTI Re., odierno appellante, aveva presentato offerta per il solo lotto n. 4 che gli veniva aggiudicato da In. in data 14 luglio 2022 (in relazione alla prima posizione conseguita, che l'abilitava ad eseguire lavori tra il 50 e il 70%); tuttavia In., in applicazione dell'art. 4, sub 4.1., del Disciplinare, secondo cui "Nel caso in cui il numero di operatori economici partecipanti non risultasse sufficiente a garantire l'aggiudicazione di tutti i lotti in appalto, gli eventuali lotti deserti e i relativi plafond potranno essere assegnati agli operatori economici già aggiudicatari di altri lotti..." richiedeva la disponibilità del RTI Re. all'affidamento di altri due lotti, le cui gare erano andate deserte, ovvero i lotti nn. 2 e 6, nonché della restante quota dei lavori del lotto n. 4. 9.3.1. Re. assentiva all'affidamento dei suddetti lotti e, pertanto, in data 24 ottobre 2022, In. disponeva in suo favore l'aggiudicazione definitiva dei suddetti lotti, dichiarata efficace, all'esito delle verifiche sui requisiti, in data 27 ottobre 2022. 9.4. Una volta espletata la procedura di gara e, dunque, richiesto agli operatori aggiudicatari di trasmettere la documentazione necessaria ai fini della sottoscrizione dei contratti, è insorto un carteggio tra l'ATER ed il RTI Re., dettagliato nella parte in fatto, all'esito del quale si è prevenuti all'adozione da parte dell'ATER del provvedimento di revoca delle aggiudicazioni per tutti e tre i lotti (nn. 2, 4 e 6). 9.5. In particolare, avendo l'ATER trasmesso i progetti "definitivo - esecutivi" di alcuni interventi riferiti ai lotti nn. 2 e 4, senza trasmettere in particolare i progetti definitivi - esecutivi del lotto n. 6, (avendo trasmesso una mera bozza prima della loro approvazione), Re., a fronte dell'invito alla stipula dell'accordo quadro, fissato per la data del 9 gennaio 2023, con nota del precedente 4 gennaio, manifestava la difficoltà alla realizzazione integrale delle lavorazioni potenzialmente richiedibili da parte dell'Amministrazione, a causa dei limiti di carattere temporale caratterizzante i benefici fiscali, richiedendo pertanto nel contempo alcune modifiche contrattuali, in tesi idonee a garantire la realizzazione degli interventi e la copertura finanziaria degli stessi. 9.6. L'ATER accoglieva solo in parte le richieste di modifiche e all'esito di ulteriore interlocuzione, volta alla ricerca di una soluzione condivisa, Re. comunicava di non voler più procedere alla realizzazione anzitutto dei lavori di cui al lotto n. 6, dichiarandosi disponibile, a determinate condizioni, a sottoscrivere un unico accordo quadro per i lotti nn. 2 e 4 (cfr. doc. 19 del fascicolo di primo grado dell'ATER), posizione questa che non veniva condivisa dall'ATER, la quale, non solo richiedeva di procedersi alla sottoscrizione di tutti gli accordi quadro (cfr. docc. 20, 21 e 22 del fascicolo di primo grado dell'ATER), ma provvedeva a trasmettere la progettazione "definitivo-esecutiva" di alcuni interventi, "ricadenti" proprio nel lotto n. 6 (cfr. docc. 23 e 24 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 9.7. Il RTI Re. manifestava quindi la propria volontà di svincolarsi da qualsiasi impegno contrattuale con l'ATER, attesa l'insussistenza "delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività " con riferimento a tutti e tre i lotti aggiudicati (cfr. docc. 25 e 26 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 9.8. A ciò è conseguito l'avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione, culminato nel provvedimento oggetto di impugnativa in prime cure, con cui l'ATER, nel revocare l'aggiudicazione in relazione a tutti e tre i lotti ha disposto altresì : (i) l'escussione della polizza fideiussoria presentata dal RTI Re. in sede di presentazione dell'offerta, per il tramite di In.; (ii) il rimborso delle spese di pubblicità sostenute dall'Azienda per la procedura; infine, (iii) di procedere con la segnalazione del provvedimento all'ANAC (cfr. doc. 33 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 10. Il giudice di prime cure, pur avendo chiarito che "l'effetto pregiudizievole dell'escussione della garanzie fideiussorie non si è avverato", in ragione del fatto che le stesse erano venute a scadere prima dell'adozione del provvedimento impugnato e, quanto alla contestata segnalazione all'ANAC, che la stessa "si configura come atto prodromico ed endoprocedimentale e, come tale, non impugnabile, perché non dotato di autonoma lesività, potendo essere fatti valere eventuali vizi solo in via derivata impugnando il provvedimento finale dell'Autorità di Vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo", ha deciso nel merito il ricorso, avendo riguardo alla sola legittimità del provvedimento di revoca, respingendolo. 11. Quanto all'asserita incompetenza di ATER a disporre la revoca dell'aggiudicazione, ha osservato che In. era stata incaricata della selezione dei potenziali contraenti, rientrando invece nelle competenze della sola ATER la sottoscrizione e l'esecuzione dei successivi contratti; pertanto ogni determinazione susseguente l'aggiudicazione del contratto doveva ritenersi di competenza della stazione appaltante, unico soggetto a cui era rimessa la valutazione discrezionale in merito all'opportunità di sottoscrivere il contratto, ovvero di revocare l'aggiudicazione. 12. Ha inoltre disatteso le restanti censure, inerenti la legittimità del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione, invocando quell'orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questa sezione, secondo il quale la revoca dell'aggiudicazione dell'appalto disposta dalla stazione appaltante a seguito del rifiuto, da parte dell'aggiudicatario, di stipulare il relativo contratto d'appalto, e ciò anche quando il termine per la stipula del contratto sia scaduto, è del tutto legittima atteso che l'infruttuoso decorso del termine di cui all'art. 32, comma 8, del d.gs. n. 50 del 2016 previsto per la sottoscrizione del contratto di appalto non preclude affatto la possibilità di stipularlo, stante la natura meramente ordinatoria dello stesso, posto a tutela dell'aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi. 12.1. Da ciò deriverebbe, secondo il primo giudice che, di fronte all'inerzia dell'amministrazione che si sottrae all'obbligo di stipulare il contratto, l'operatore economico avrebbe di fronte a sé due opzioni: a) svincolarsi dalla propria offerta; b) proporre azione avverso il silenzio, di cui agli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104 del 2010 al fine di ottenere la condanna dell'amministrazione pubblica a provvedere. In entrambi i casi, il presupposto legittimante sarebbe l'inerzia dell'amministrazione, inerzia che secondo il primo giudice non vi era stata, in quanto la ricorrente si era aggiudicata la gara, pretendendo poi di stipulare un contratto diverso rispetto a quello scaturito dalla procedura ad evidenza pubblica. 12.2. Secondo il primo giudice l'art. 32 comma 8 del Codice dei contratti, che la ricorrente assumeva violato sarebbe, a ben vedere, una disposizione applicabile solo quando il contratto che l'amministrazione rifiuta di stipulare è quello scaturito dalla procedura di gara, non quello che l'operatore economico pretende di stipulare dopo le modifiche cui aspira. La ripetuta manifestazione di volontà di addivenire alla stipula con condizioni contrattuali frutto di rinegoziazione tra le parti era pertanto del tutto incompatibile con quella di sciogliersi dal vincolo contrattuale. 12.3. A prescindere, inoltre, dall'imputazione della mancata conclusione del contratto all'una o all'altra parte contrattuale (accertamento che assumerebbe rilevanza solo quanto alle conseguenze che dalla revoca derivano, quali l'escussione della polizza fideiussoria o la segnalazione all'ANAC), il primo giudice ha ricordato che la giurisprudenza è consolidata nel senso di ritenere che negli appalti pubblici non sia precluso all'amministrazione di revocare l'aggiudicazione, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale si sia dato atto nella motivazione del provvedimento di autotutela, evidenziando come il rifiuto di stipulare il contratto a seguito di aggiudicazione di gara pubblica costituisca un fatto che può giustificare la revoca dell'aggiudicazione. 13. Ciò posto, in limine litis, prima di procedere alla disamina dei motivi di appello, occorre esaminare l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da In., sulla quale il giudice di prime cure non si è pronunciato, ritualmente riproposta nei termini di rito, ex art. 101 comma 2 c.p.a.. 13.1. Infatti secondo la giurisprudenza in materia solo nell'ipotesi in cui l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sia stata respinta dal primo giudice con pronuncia espressa, il relativo capo deve essere oggetto di impugnazione, formandosi su di esso il giudicato (Cons. Stato, ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2; Id., 22 dicembre 1982, n. 21; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4215; C.G.A.R.S. 13 maggio 2019, n. 428). Pertanto se sull'eccezione il primo giudice non si è pronunciato, come nell'ipotesi di specie, la stessa può essere ritualmente riproposta con la memoria di costituzione, depositata nei termini di rito, ex art. 101 comma 2 c.p.a. 13.2. Ciò posto l'eccezione va respinta, dovendo la legittimazione passiva essere vagliata avuto riguardo a tutti gli atti oggetto di impugnativa. Pertanto, in considerazione del rilievo che il RTI Re. in prime cure aveva impugnato, per quanto di interesse, la clausola della lex specialis di gara che prevedeva che la trasmissione della documentazione progettuale avvenisse al momento della sottoscrizione dei singoli contratti attuativi (cfr. art. 4 del Disciplinare di Gara), e che detta clausola è stata redatta da parte della medesima In., in qualità di centrale di committenza, sia pure sulla base delle indicazioni al riguardo fornite da ATER in qualità di stazione appaltante, l'eccezione va disattesa, restando per contro questione di merito la disamina della rilevanza di detta impugnativa rispetto al provvedimento di revoca, lesivo della posizione del RTI appellante, e attenendo pertanto semmai detta disamina alla regolamentazione delle spese processuali. 14. Quanto alla lesività del provvedimento di revoca va evidenziato, anticipando quanto verrà precisato nella disanima del primo motivo di appello, che - ad onta di quanto sottinteso dal primo giudice, con riferimento all'impossibilità di escussione della cauzione e alla non lesività della comunicazione del medesimo provvedimento ad ANAC - come la stessa vada ravvisata non tanto nella revoca ex se (attesa la volontà di Re. di non sottoscrivere più l'accordo quadro ed i contratti attuativi di tutti e tre i lotti) ma nell'accertamento compiuto dall'ATER dell'imputabilità della revoca al RTI Re., considerazione questa che, sebbene inespressa nel pronunciamento del giudice di prime cure, è sottintesa alla pronuncia resa nel merito, che ha comunque ricondotto la revoca ad una fattispecie di (indebito) rifiuto alla stipula del contratto. 14.1. Infatti, a ragionare diversamente, a fronte della constatata volontà del RTI Re. di non addivenire comunque alla conclusione del contratto, alle condizioni previste dalla stazione appaltante (ovvero con riferimento indistintamente a tutti i lotti e senza le ulteriori modifiche richieste da Re. alle clausole contrattuali), il primo giudice sarebbe dovuto pervenire ad una pronuncia in rito di improcedibilità (quanto agli effetti pregiudizievoli relativi all'escussione della cauzione) ovvero di inammissibilità (quanto alla segnalazione ad ANAC), non avendo in particolare detto alcunché quanto alla richiesta di refusione delle spese di pubblicità, laddove, proprio sul presupposto dell'imputabilità della revoca alla condotta del RTI Re., con il provvedimento impugnato sono state richieste all'operatore economico anche dette spese. 15. Ciò posto, quanto ai profili preliminari di rito, può procedersi al vaglio dei motivi di appello. 16. Con il primo motivo l'appellante critica la sentenza di prime cure per non avere debitamente considerato come il rifiuto di Re. di addivenire alla stipula dell'accordo quadro dovesse ritenersi del tutto giustificato, posto che a gennaio 2023, gli interventi dei tre lotti non erano ancora programmabili, in ragione della mancata stipula dei contratti entro i sessanta giorni dall'aggiudicazione, di problematiche riscontrate durante le consegne (peraltro parziali) delle aree, di carenze nella trasmissione degli elaborati progettuali, di esigenze di adeguamento del rapporto alla disciplina prevista per l'ottenimento del c.d. "superbonus" (e ciò al fine di poter ottenere la copertura finanziaria per un intervento del valore complessivo di euro 22.500.000, a totale carico dell'appaltatore). Pertanto legittimamente Re. aveva comunicato all'ATER di sciogliersi dall'impegno, considerato lo spirare del termine dei sessanta giorni per la stipula del contratto ex art. 32, comma 8, d.lgs. 50 del 2016 ed art. 23 del Disciplinare e "la mancata sussistenza delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività ". La revoca delle aggiudicazioni disposta da ATER nel luglio 2023 (Determinazione Direttoriale n. 185 del 10.07.2023) si porrebbe pertanto, in tesi attorea, a valle di una vicenda in cui Re. aveva già formalizzato da tempo la decisione di non voler stipulare i contratti, in ragione della preclusione all'esecuzione di almeno il 60% dei lavori entro il 30.06.2023, ai fini dell'ottenimento del superbonus e quindi della copertura finanziaria dell'intervento. Peraltro in alcun modo potrebbe essere imputata, nei termini ritenuti dall'ATER e con le connesse conseguenze pregiudizievoli, a Re. la revoca dell'aggiudicazione in relazione al lotto n. 2, in relazione al quale non aveva neppure presentato domanda di partecipazione. Secondo la prospettazione di parte appellante il Tar erroneamente non era entrato nel merito dell'accertamento della responsabilità della revoca dell'aggiudicazione, senza indagare, quindi, le ragioni che avevano giustificato la decisione di Re. di sciogliersi dal vincolo, con conseguente violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c., oltre che con conseguente difetto di motivazione. In tesi attorea il riferimento contenuto in sentenza al potere dell'amministrazione "di valutare e rivalutare la convenienza dell'operazione contrattuale alla luce degli interessi pubblici perseguiti" rappresenterebbe un assunto del tutto sganciato dai temi della controversia. Infatti l'ATER non aveva revocato l'aggiudicazione per una sopravvenuta valutazione dell'interesse pubblico, bensì per fatto imputabile all'aggiudicatario, circostanza contestata sotto diversi profili dalla Re., senza che il Tar avesse svolto alcun esame al riguardo. 17. Con il secondo motivo Re. lamenta l'erroneità della sentenza di prime cure, nel punto in cui aveva rigettato la censura di incompetenza dell'ATER ad adottare il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione, richiamando al riguardo la giurisprudenza secondo la quale la revoca deve essere posta in essere dallo stesso organo che ha emanato il provvedimento di primo grado. Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, la circostanza che "ogni determinazione susseguente l'aggiudicazione del contratto sia di competenza della stazione appaltante" non poteva certamente comportare che la committente potesse adottare provvedimenti di autotutela inerenti atti adottati da altri soggetti; semmai post aggiudicazione si esauriva la fase pubblicistica, senza quindi che l'ATER potesse adottare atti autoritativi, oltretutto in termini di revoca. 18. Con il terzo motivo di appello il RTI Re. critica la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva configurato la revoca come giustificabile in forza del rifiuto alla stipula del contratto, laddove per contro Re. aveva inteso sciogliersi dal vincolo avuto riguardo al decorso del termine per la stipula, ex art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, e del rilievo che, avuto riguardo alla criticità dei progetti e alla non completa disponibilità delle aree, era diventato impossibile raggiungere l'obiettivo della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023 e pertanto si era ritenuta vanificata la copertura finanziaria dell'intervento, incentrata esclusivamente sul c.d. superbonus, non essendo assolutamente prevedibile l'ipotizzato inizio dei lavori al 1.02.2023. 18.1. In tesi attorea la circostanza che l'ATER avesse fornito il progetto di qualche quartiere rendeva palese che al momento della pretesa di assunzione dell'impegno contrattuale da parte del RTI Re., la committente non avesse ancora contezza di tutti gli interventi da eseguire, avendone istruiti solo alcuni, pretendendo quindi l'assunzione unilaterale da parte dell'appaltatore di obblighi ancora indefiniti nell'an e nel quantum. 18.2. Parimenti la sussistenza di problematiche nelle aree, non risolte dall'ATER prima della stipula dei contratti, era circostanza che non consentiva di programmare e realizzare i lavori (almeno il 60%) entro 5 mesi. 18.3. Inoltre i cronoprogrammi forniti dall'ATER non permettevano in alcun modo di poter rispettare la condizione della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023, trattandosi di generici diagrammi che avevano come presupposto l'avvio già a gennaio, quando era pacifico che a quella data ancora non vi era traccia dei contratti attuativi (necessari per avviare la pratica del superbonus) e gli stessi non consideravano i tempi necessari per l'espletamento delle attività propedeutiche all'avvio dei lavori 18.4. Pertanto, considerate dette criticità, non essendo intervenuta la stipula del contratto nel termine previsto dall'art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, l'appaltatore era nel pieno diritto di potersi sciogliere dal vincolo, a maggior ragione considerata la stringente tempistica prevista per il finanziamento delle opere. 18.5. In tesi attorea pertanto del tutto illegittimo doveva intendersi il provvedimento di revoca, non avendo l'ATER congruamente valutato la problematica della copertura finanziaria dell'intervento, ed il giudice di prime cure erroneamente trascurato detto profilo. 18.6. Non condivisibile pertanto sarebbe la considerazione del Tar secondo cui non poteva trovare applicazione il disposto dell'art. 32 comma 8, d.lgs. 50 del 2016, in quanto l'ATER non era rimasta inerte e l'appaltatore aveva preteso "di stipulare un contratto diverso rispetto a quello scaturito dalla procedura ad evidenza pubblica", valorizzando un precedente di questo Consiglio di Stato del tutto inconferente rispetto alla fattispecie de qua, posto che Re. aveva solo richiesto di inserire nei contratti alcune precisazioni volte a garantire la copertura dell'intervento con il c.d. superbonus (anche nell'interesse dei cessionari del credito), precisazioni che non avevano alcuna valenza sostanziale, non alteravano la natura generale del contratto, né implicavano esborsi da parte dell'ATER. Peraltro l'unica giustificazione fornita al riguardo dall'ATER per negare detta modifica era costituita dall'esigenza di rispettare la par condicio concorrentium, giustificazione, in tesi attorea, del tutto priva di fondamento, posto che per i lotti nn. 2 e 6 non era stata presentata alcuna domanda e per il lotto n. 4 aveva presentato domanda solamente il RTI Re.. 18.7. Né peraltro, in tesi attorea, poteva valere la circostanza che l'ATER avesse presentato nel novembre 2022 progetti del tutto parziali e ineseguibili, trattandosi di bozze non definitive, con espressa avvertenza che i progetti potevano essere modificati in fase di approvazione. 18.7.1. Re. inoltre critica la sentenza di prime cure per non avere considerato le censure con le quali aveva confutato le contestazioni formulate dall'ATER (circa il rifiuto alla stipula dell'accordo quadro e dei conseguenti contratti attuativi, il mancato avvio dei lavori e l'infondatezza delle ragioni addotte all'esito della comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione), né l'impugnazione in via subordinata dell'art. 4 del Disciplinare, in quanto contrastante con gli artt. 33 Dir. UE 24/2014 e 54 d.l.gs. 50/2016 in tema di disciplina degli accordi quadro, nonché con la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia (C- 216/17), tutti univoci nell'esigere che già in sede di affidamento di accordi quadro siano rese note agli operatori tutte le informazioni necessarie (quindi nella specie le progettazioni) per consentire di formulare un'offerta seria e consapevole. 18.8.Peraltro i contratti di accordo quadro da stipularsi avevano ad oggetto tutti i lavori dei vari lotti aggiudicati, per cui contrariamente a quanto ritenuto da ATER, la trasmissione frammentata della progettazione afferente agli edifici in qualche quartiere ((omissis) e (omissis) per il lotto 4, (omissis) per il lotto 2, (omissis) per il lotto 6) non poteva assumere alcun significato ai fini dell'asserito adempimento dell'ATER, in quanto per nessuno dei tre lotti vi era la progettazione completa degli interventi da assumere con gli accordi quadro; pertanto l'appaltatore non era in grado di stabilire o quantomeno non aveva sufficiente contezza del quadro e dell'entità degli interventi da dover eseguire ai fini dell'ottenimento della provvista finanziaria. 18.9. Peraltro non corrispondeva al vero che Re. avesse accettato senza riserve le aree; in particolare, con riferimento al lotto n. 2, il verbale di consegna non era stato sottoscritto, essendo emerso che le aree non erano ancora sgombre. 18.10 Né, in tesi si parte appellante, assumerebbe rilievo la contestata tardiva trasmissione dei documenti per la stipula del contratto, posto che il contratto andava stipulato, al fine di rispettare i sessanta giorni di cui all'art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, entro il 26 dicembre 2022 - non avendo l'ATER richiesto alcuna differimento a Re. - per cui la trasmissione al 15 dicembre doveva considerarsi senz'altro tempestiva. 18.11. Né corrisponderebbe al vero che Re. avesse manifestato l'intenzione di sottoscrivere il contratto anche dopo lo spirare del termine dei sessanta giorni, in quanto il RTI, già con la missiva del 4 gennaio 2023, aveva evidenziato che il ritardo patito nella ricezione della documentazione progettuale fosse impeditivo alla realizzazione di tutti gli interventi richiedibili dall'ATER ed in questo senso aveva manifestato la disponibilità ad addivenire ad una stipula solo sulla scorta di modifiche da apportare alla disciplina contrattuale, all'uopo esplicitate, rappresentando poi con successiva missiva del 16 gennaio 2023 di non voler stipulare il contratto per il lotto n. 6. 18.12. Parimenti illogici, in tesi attorea, dovevano intendersi i rilievi dell'ATER sulle proposte di modifica degli accordi formulate da Re.. 19. Nel procedere al vaglio dei motivi di appello, quali innanzi esposti, giova precisare che il primo motivo di appello verrà esaminato per primo solo nella parte in cui il RTI Re. lamenta la contraddittorietà della sentenza che, pur avendo ricondotto la revoca de qua ad una fattispecie di rifiuto alla stipula del contratto, non si era fatta carico di esaminare le ragioni di detto rifiuto e dunque la riconducibilità della responsabilità al RTI Re., ovvero ad ATER, trattandosi di profilo che inerisce anche e soprattutto una questione preliminare di rito, ovvero l'interesse a ricorrere. 20. In questi termini il motivo è fondato posto che la sentenza per un verso sembrerebbe considerare irrilevante l'accertamento della responsabilità - in quanto avente riflessi solo sull'incameramento della cauzione, non più possibile, ovvero sulla segnalazione all'ANAC, ritenuta atto non immediatamente lesivo in quanto endoprocedimentale - per altro verso, nel momento in cui ha ricondotto la fattispecie de qua ad una figura di (indebito) rifiuto alla stipula del contratto, entrando peraltro nel merito, con rigetto del ricorso, ha evidentemente ritenuto sussistente la responsabilità di Re., senza peraltro indagare le ragioni del rifiuto alla stipula e senza avere riguardo alla circostanza che nella fattispecie de qua non veniva in rilievo una revoca per sopravvenute ragioni di interesse pubblico, ma una revoca imputabile all'asserito comportamento inadempiente di Re., avente riflessi non solo sull'incameramento della cauzione e sulla segnalazione all'ANAC ma anche sulla richiesta di refusione delle spese sostenute per la pubblicità . 20.1. La restante parte del primo motivo di appello, ovvero l'erroneità della sentenza di prime cure, nel punto in cui aveva ritenuto sussistente un indebito rifiuto alla stipula del contratto, in quanto inerente la legittimità del provvedimento impugnato, verrà per contro trattato unitamente al terzo motivo di appello, non solo per l'indubbia connessione fra i due motivi, in quanto fondati sugli stessi presupposti di fatto e di diritto, ma anche perché i motivi inerenti i vizi del provvedimento impugnato non possono che essere vagliati avendo riguardo a quanto statuito nel famoso arresto di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 5 del 2015, avendo parte appellante con il secondo motivo criticato la sentenza di prime cure nel punto in cui aveva respinto il primo motivo di ricorso, riferito al vizio di incompetenza. Infatti, secondo quanto chiarito dall'Adunanza Plenaria con tale sentenza, pur essendo rimessa in generale alla parte ricorrente la graduazione dei motivi di ricorso, in senso vincolante per il giudice (graduazione peraltro da non confondersi con la mera numerazione dei motivi), a tale principio sfuggono le censure di carattere assorbente ex lege, come la censura di incompetenza, nelle sue varie configurazioni, non potendo in tal caso il giudice pronunciarsi su poteri non ancora esercitati, ex art. 34, comma 2, c.p.a., e dovendo pertanto tale censura essere esaminata per prima. 21. Pertanto, avuto riguardo alla tassonomia dei motivi di ricorso, quale fissata con tale arresto, verrà delibato primariamente il secondo motivo, ferme restando le precedenti riflessioni sul primo motivo, in quanto investenti il profilo preliminare di rito dell'interesse al ricorso. 22. Il motivo è infondato, dovendosi aderire sul punto alla prospettazione dell'ATER, peraltro condivisa dal primo giudice. 22.1. Infatti In. ha operato quale centrale di committenza dell'ATER in virtù di una Convenzione con cui la seconda ha delegato alla prima il potere di compiere attività per la ricerca del contraente (doc. 10 fascicolo di primo grado). Come previsto dalla "Convenzione Quadro" tra l'ATER e In. quest'ultima avrebbe dovuto svolgere esclusivamente "attività di centrale di committenza" (e, conseguentemente, indire e gestire "tutte le procedure volte all'aggiudicazione dei contratti di lavori, di prestazione di servizi, di acquisto di beni e forniture..."), mentre il contratto pubblico aggiudicato dalla centrale di committenza sarebbe stato stipulato direttamente tra l'ATER e l'operatore economico aggiudicatario del contratto stesso (cfr. punto 2.2 della convenzione). 22.2. Per tale motivo le aggiudicazioni disposte dalla prima hanno assunto valore vincolante come se assunte dalla seconda in virtù di un rapporto di mandato. A ciò consegue che il provvedimento di aggiudicazione di In. era rimasto nella disponibilità della stazione appaltante, che poteva disporne la revoca senza alcuna violazione dell'art. 21 quinques della l. 241 del 90, posto che la delega non comprendeva il potere di autotutela, pertanto correttamente esercitato dalla stazione appaltante, unica destinataria degli effetti dell'aggiudicazione. Tutta l'attività successiva alla fase di aggiudicazione, anche di tipo autoritativo, non era pertanto nella competenza di In. che mai avrebbe potuto esercitare un potere che non era stato oggetto di delega. 22.3. Ciò si evince incontrovertibilmente anche dal doc. n. 32 depositato in prime cure da In., con cui la stessa ha trasmesso all'ATER tutta la documentazione inerente la procedura di gara all'esito della verifica dei requisiti, ex art. 32 comma 7 d.lgs. n. 50 del 2016, rappresentando pertanto che le attività espletate dalla Centrale di Committenza per conto dell'ATER dovevano intendersi concluse. 22.4. Pertanto fuori luogo appare il richiamo di parte appellante alla tesi del contrarius actus, posto che In. aveva espletato la procedura di gara nell'ambito di una competenza delegata, per cui rimaneva intatto il potere di intervento in autotutela dell'ATER, in forza della competenza ad essa spettante in via propria, avuto riguardo alle sue funzioni istituzionali. 23. Per contro fondati, nel senso di seguito specificato, sono le censure di cui al primo motivo - per la parte non esaminata - e al terzo motivo di appello, da analizzarsi congiuntamente in quanto strettamente connesse. 23.1. La sentenza di prime cure ha infatti ritenuto legittimo il provvedimento di revoca sulla base del rilievo dell'indebito rifiuto di Re. alla stipula dell'accordo quadro e dei successivi contratti attuativi e del non ricorrere di alcuna inerzia da parte di ATER - ad onta di quanto ritenuto circa l'irrilevanza dell'addebitabilità della revoca all'una o all'altra parte - facendo peraltro riferimento ad un precedente di questa sezione (sentenza 14 luglio 2022, n. 5991) riferito ad una fattispecie del tutto differente, in cui l'operatore economico aveva richiesto ancora prima che fosse decorso il termine per la stipula del contratto, ex art. 32 comma 8 d.lgs. 50 del 2016, modifiche al contratto, pretendendo di stipulare un contratto diverso da quello scaturito dalle operazioni di gara e, stante il rifiuto della stazione appaltante ed il successivo maturare del termine di cui sopra, aveva inteso rifiutare la sottoscrizione del contratto, laddove nell'ipotesi di specie tutto il carteggio tra Re. e l'ATER ha avuto inizio dopo il decorso di tale termine, ovvero a partire dalla nota del 4 gennaio 2023, alla ricerca di una soluzione concordata, nell'interesse comune delle parti. In particolare con le note inviate Re. ha rappresentato le difficoltà all'esecuzione integrale degli interventi richiedibili dall'ATER sulla base dell'accordo quadro, richiedendo modifiche alle clausole contrattuali, atte ad evitare il superamento dei termini per l'esecuzione degli interventi, quali fissati dalla disciplina di gara in conformità della normativa sul superbonus, nonché volte all'eliminazione dell'alea che in caso contrario sarebbe rimasta a suo totale carico. 23.2. Pertanto rispetto alla fattispecie de qua, il nodo cruciale è incentrato sul pericolo avvertito da Re. e palesato con le note trasmesse all'ATER, del venire meno della copertura finanziaria dell'appalto finanziato con i proventi del Super Bonus, avuto riguardo all'impossibilità di raggiungere entro una certa data un determinato importo dei lavori, circostanza determinante la decadenza delle risorse. 23.3. Al riguardo va infatti evidenziato che, come rappresentato nelle difese di parte appellante, l'appalto de quo non comportava un corrispettivo a carico della stazione appaltante, dovendo lo stesso essere conseguito dall'appaltatore tramite il c.d. superbonus 110%, ma alla condizione (prevista sia dalla legge che dalla lex specialis) che entro il 30.06.2024 venisse realizzato almeno il 60% dei lavori. Pertanto era necessario che sussistessero i presupposti per la realizzazione di tale obbiettivo, laddove, come lamentato da parte appellante ed emergente ex actis: - l'aggiudicazione del lotto al quale aveva partecipato Re. risaliva al 14.07.2022; in considerazione del rilievo che era andata deserta la gara per l'affidamento della restante parte del lotto n. 4, nonché dei lotti nn. 2 e 6, In. aveva chiesto a Re. la disponibilità all'affidamento anche di tali lotti e l'aggiudicazione era stata dichiarata efficace in data 27 ottobre 2022; - per la stipula del solo accordo quadro era stata fissata la data del 9 gennaio 2023, allorquando peraltro non erano stati trasmessi i progetti definitivi ed esecutivi approvati relativamente a tutti i quartieri e a tutti gli edifici oggetto di appalto (cfr art. 4 del Disciplinare), ovvero un termine successivo al termine di sessanta giorni di cui all'art. 32 comma 8, d.lgs 50 del 2016 e dell'art. 23 del Disciplinare, senza che ATER avesse concordato con Re. il superamento di tale termine; - alcuna data era stata ancora fissata per la stipula dei contratti attuativi, dai quali soltanto poteva sorgere il rapporto sinallagmatico, potendo darsi avvio ai lavori. Basti pensare che quanto al lotto n. 6, solo in data 27 gennaio, allorquando era già intervenuto il rifiuto di Re. alla stipula di tale lotto (in data 16 gennaio) nonché il rifiuto alla stipula per la totalità dei lotti (in data 20 gennaio) l'ATER aveva trasmesso la progettazione, peraltro parziale del lotto n, 6, riferita al quartiere (omissis) fabbr. 2,3,4,5,7 (doc. 24 di primo grado), avendo in precedenza trasmesso una mera bozza precedente l'approvazione, nonché in data 20 gennaio, dopo la ricezione della nota di Re., il progetto relativo al Lotto 6, quartiere (omissis) lotto unico fabbricato K. 24. Né rileva, onde imputare il ritardo alla stipula del contratto al RTI Re., la circostanza che lo stesso avesse trasmesso la documentazione necessaria solo in data 15 dicembre, posto che detta trasmissione era comunque intervenuta in tempo utile per la stipula entro il termine di legge di sessanta giorni. 25. Neppure rileva che in base alla lex specialis di gara (art. 4 del Disciplinare) gli elaborati progettuali avrebbero dovuto essere trasmessi al momento della stipula dei contratti attuativi, posto che - in disparte dalla circostanza che detta clausola è stata oggetto di impugnativa in via subordinata ad opera di Re. - la stessa non poteva che presupporre la tempestività della stipula, non solo dell'accordo quadro, ma anche dei contratti attuativi, in tempo utile per l'avvio dei lavori e la fruizione del beneficio del superbonus. 25.1. Ciò senza tralasciare di considerare la ravvisata non totale disponibilità delle aree dei lotti n. 2 e 4 (l'area del lotto n. 6 non era stata neppure consegnata) e pertanto l'impossibilità di avvio dei lavori nei termini indicati nel cronoprogramma predisposto dall'ATER, che non aveva neppure tenuto conto delle attività propedeutiche (es. acquisto dei materiali dai fornitori, definizione delle pratiche per l'occupazione del suolo pubblico etc..). 26. Nonostante tali problematiche il RTI Re. non ha chiuso nell'immediato alla prosecuzione del rapporto, richiedendo alcuni aggiustamenti alla disciplina dell'accordo quadro al fine di pervenire all'obiettivo della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023 e quindi alla copertura economico - finanziaria dell'intervento. 26.1. A fronte della chiusura della stazione appaltante sul punto, ha dapprima dimostrato la disponibilità all'esecuzione dei lavori per alcune parti dei lotti n. 2 e 4, con stralcio del lotto n. 6, relativamente al quale non era stata trasmessa la documentazione progettuale, e poi, considerato il rifiuto della stazione appaltante ad addivenire alla stipula per una sola parte degli interventi programmati, ha inteso sciogliersi dal vincolo, considerato tra l'altro il decorso del termine fissato dall'art. 32 comma 8, d.l.gs. 50 del 2016. 27. Alla luce delle evidenziate emergenze fattuali il rifiuto alla stipula del contratto non poteva essere considerato come indebito, con conseguente imputazione della responsabilità della revoca dell'aggiudicazione a Re.. 27.1. Ed invero, come osservato di recente da questa sezione con la sentenza 22 febbraio 2024 n. 1774 riferita a fattispecie per certi versi analoga "sebbene il termine per la stipula del contratto sia ordinatorio, non può essere rimesso ad libitum alla stazione appaltante in quanto, ove l'amministrazione procedente potesse costringere in ogni tempo l'operatore a concludere il contratto d'appalto, la relativa disposizione di legge risulterebbe completamente svuotata della funzione che le è propria; vale a dire quella di tutelare "l'aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2022, n. 5991, § 28.5, nonché Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2020, n. 6620). Infatti una volta che sia decorso il termine di centottanta giorni di validità dell'offerta, anche a volerlo considerare interrotto al momento dell'aggiudicazione, come rilevato dal primo giudice, e quello di sessanta giorni previsto per la stipulazione del contratto, l'ordinamento consente all'operatore economico, specie ove questi abbia visto mutare in senso peggiorativo le condizioni di esecuzione dell'appalto, di affrancarsi dall'impegno originariamente assunto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2020 n. 6620). E' pur vero che secondo quanto ritenuto da questa sezione con la sentenza 14 luglio 2022, n. 5991, che l'art. 32 comma 8 del Codice dei contratti è una disposizione che si applica quando il contratto che l'amministrazione rifiuta di stipulare è quello scaturito dalla procedura di gara, non quello che l'operatore economico pretende di stipulare dopo le modifiche cui aspira, ma il condivisibile principio individuato in tale sentenza è riferito a fattispecie del tutto differente da quella di cui è causa, come ben evidenziato da parte appellata: in quel caso, l'operatore economico aggiudicatario aveva sin da subito avanzato richieste di modifica delle condizioni contrattuali, e proprio per tale ragione, e cioè per la necessità di interloquire sul punto tramite un apposito carteggio, la stazione appaltante aveva formulato tardivamente la convocazione alla stipula del contratto d'appalto....Per contro nell'ipotesi di specie, si è dapprima assistito all'infruttuoso decorso del termine stabilito dalla legge per la stipulazione del contratto; e solo in un secondo momento, a partire dal mese di aprile 2022, quando ormai l'impresa poteva legittimamente decidere di svincolarsi dall'impegno assunto in gara, essa aveva fatto presente che sarebbe stata disponibile a realizzare l'opera unicamente a fronte di un integrale riequilibrio del sinallagma. La circostanza che l'amministrazione non intendesse dar seguito alla richiesta dell'aggiudicataria, considerandola contra legem,........non legittimava pertanto l'Amministrazione a tenere un comportamento inerte per altri mesi, per poi imputare all'aggiudicataria la mancata stipula del contratto, in quanto la medesima amministrazione, come correttamente ritenuto dal primo giudice "laddove avesse ritenuto (come, di fatto, ha ritenuto) che non vi fosse margine in tal senso, altro non avrebbe potuto/dovuto fare che prendere lealmente atto della volontà legittimamente manifestata dall'aggiudicataria e, poi, assumere le conseguenti determinazioni per assicurare, se ancora di suo interesse, la realizzazione dei lavori che qui vengono in rilievo". 27.2. Né peraltro può assumere rilievo la circostanza che fosse stata disposta una consegna senza riserve per alcune aree del lotto 4 e del lotto n. 2. Infatti come chiarito da questa sezione con l'indicata sentenza 22 febbraio 2024 n. 1774 "la consegna anticipata ed urgente dei lavori, nelle more della stipula del contratto, deve comunque intendersi sotto la riserva di legge della successiva stipula, che non può che avvenire in tempi celeri, una volta concluse le verifiche ad opera della stazione appaltante ed acquistata l'efficacia del contratto, non potendo i tempi di detta stipula essere ad libitum rimessi alla volontà della stazione appaltante..." [....]. "La stazione appaltante può certamente procedere alla consegna dei lavori in via d'urgenza, "nelle more della verifica dei requisiti di cui all'art. 80, d.lgs. 50 del 2016, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura"; ma ciò evidentemente non la esime dal dare tempestivamente corso alla stipulazione del contratto, una volta che le predette verifiche si siano concluse". 28. Pertanto, a fronte del quadro fattuale innanzi delineato, avuto riguardo al mancato raggiungimento di una soluzione concordata volta in primis alla delineazione degli interventi effettivamente eseguibili nei termini di legge per potere usufruire del superbonus - unica forma di corrispettivo per l'appaltatore - questi era nel pieno diritto di sciogliersi dal rapporto. 29. In tale quadro la stazione appaltante ben avrebbe potuto consentire questo scioglimento e procedere alla revoca dell'aggiudicazione non per responsabilità dell'aggiudicatario - come avvenuto - ma per venire meno della copertura finanziaria. E' infatti noto che la carenza originaria o sopravvenuta della copertura finanziaria rappresenti una valida ragione per disporre la revoca dell'affidamento di un appalto pubblico, anche all'indomani della stipula di quest'ultimo e, quindi, a fortiori allorquando il contratto non sia stato ancora concluso. 30. Ciò senza tralasciare di considerare che le condotte stigmatizzate da parte appellante - ovvero il ritardo dell'ATER nella stipula del contratti e nella definizione dei progetti, oltre la totale chiusura dalla stessa dimostrata alla ricerca di una soluzione concordata, che consentisse la realizzazione almeno di alcuni interventi - avuto riguardo alla circostanza che in relazione ai lotti oggetto di aggiudicazione a Re. non era stata presentata alcun'altra domanda e che era impossibile bandire una nuova gara, stante la tempistica degli interventi per l'utilizzo del superbonus, non si sono rilevate dal tutto in linea con il principio del risultato. Trattasi di principio che seppure codificato solo con il nuovo codice dei contratti (d.lgs. n. 36 del 2023), non applicabile ratione temporis alla fattispecie di cui è causa, doveva intendersi immanente nel sistema, come evidenziato dalla giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, sez. III, 15 novembre 2023, n. 9812; Cons. Stato sez. VII, n. 5789 del 2024) o comunque utilizzabile in chiave interpretativa anche rispetto a fattispecie regolate dal d.lgs. 50 del 2016 (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924). Del pari la condotta tenuta da ATER si pone in contrasto con il principio della fiducia, codificato dal d.lgs. 36 del 2023, e da utilizzarsi in chiave interpretativa in quanto strettamente correlato con il principio del risultato. 30.1. L'art. 1, d.lgs. n. 36 del 2023 che ha codificato il principio del risultato è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici ed è principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri. Tale articolo, collocato in apertura della disciplina del nuovo codice, dispone che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza Si tratta pertanto di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l'azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell'obiettivo finale che è : a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto; b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l'intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto (Cons. Stato, sez. V, n. 1924 del 2024 cit.) Il principio della fiducia di cui all'art. 2 del nuovo Codice amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della P.A., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Tale fiducia, tuttavia, non può tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un'interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l'interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento (Tar Campania Napoli, sez. V, 6 maggio 2024, n. 2959). Il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l'intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell'intervento medesimo (Cons. Stato, sez. V, n. 1294 del 2024; Cons. Stato, sez. VII, n. 5789 del 2024 che ha ritenuto che nell'ipotesi di specie l'eccessiva "rigidità " della piattaforma informatica approntata per la presentazione delle offerte, unita all'eccessivo "formalismo" con cui la stazione appaltante aveva gestito la gara, arrestata sul nascere, avessero nella sostanza frustrato i riportati principi che sebbene codificati soltanto con il d.lgs. n. 36 del 2023, non applicabile ratione temporis alla fattispecie, rappresentano comunque principi già immanenti dell'ordinamento). 31. Alla stregua degli indicati rilievi, l'appello va accolto e per l'effetto in riforma della sentenza appellata, va annullato il provvedimento impugnato. 32. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie - mancata presentazione di altre domande per i lotti oggetto del provvedimento di revoca, con conseguente necessità di affidamento al RTI Re., unitamente alla ristrettezza dei tempi per l'esecuzione dei lavori - per compensare le spese del doppio grado di giudizio fra tutte le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la Determinazione Direttoriale dell'ATER n. 185 del 10.07.2023 nella parte recante revoca dell'aggiudicazione del lotto d'appalto n. 2 Cod. CIG: 9182528DCF. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1790 del 2024, proposto da Re. S.p.A. in proprio e in qualità di mandataria del RTI costituito con I.F. It. Fa. Ma. s.p.a., E.P. s.r.l., Ro. Am. s.r.l., in relazione alla procedura CIG 918253753F, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cl., Ge. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); contro Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma (ATER Roma), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mo. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Agenzia Nazionale per l'A. degli In. e lo Sv. D'I. S.p.A. - In., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lo Pi., Fa. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Lo Pi. in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. V, 19 gennaio 2024, n. 926, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ater del Comune di Roma e di Agenzia Nazionale per l'A. degli In. e lo Sv. D'I. S.p.A. - In.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Vi., Ci. e La Fa. in dichiarata delega dell'Avv. Cl.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con Bando pubblicato sulla G.U. n. 48 del 27 aprile 2022 In. S.p.A. (d'ora in poi In.) ha indetto, nella qualità di centrale di committenza per l'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale pubblica del Comune di Roma - ATER Roma (di seguito ATER), ai sensi degli artt. 37 e 38, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, una procedura per la conclusione di un accordo quadro per l'affidamento dei lavori volti alla riqualificazione degli immobili di proprietà dell'ATER, da attuarsi ai sensi dell'art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (cd. Superbonus 110%). 1.1. L'art. 7 del Disciplinare di gara ha previsto, in conformità all'indicata disciplina normativa, che "affinché gli interventi possano accedere alle detrazioni fiscali di cui agli artt. 119 e ss. della legge 17.07.2020 n. 77 e ss.mm.ii., i lavori oggetto della presente procedura dovranno essere conclusi entro e non oltre il 31.12.2023, e comunque entro la data del 30.06.2023 dovranno essere eseguiti per almeno il 60 % per cento dell'intervento complessivo, salvo nuovi termini disposti da proroghe di legge per le quali l'ATER si riserva l'eventuale opzione di validità ". 1.2. La gara era suddivisa in sei lotti di aggiudicazione, ciascuno per un valore di Euro 7.500.000,00 (comprensivi di oneri della sicurezza per Euro 1.000.000,00), con 2 operatori per ciascun lotto, da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 1.3. L'art. 4, sub 4.1., del Disciplinare, ha stabilito che "Nel caso in cui il numero di operatori economici partecipanti non risultasse sufficiente a garantire l'aggiudicazione di tutti i lotti in appalto, gli eventuali lotti deserti e i relativi plafond potranno essere assegnati agli operatori economici già aggiudicatari di altri lotti...". 1.3.1. Era, altresì, previsto che le prestazioni dell'aggiudicatario sarebbero state compensate mediante il cd. "Sconto in fattura", su ciascuno stato di avanzamento, ai sensi dell'art. 121, commi 1 e 1 bis, d.l. 19 maggio 2020, n. 34. 1.4. Alla procedura ha partecipato anche il RTI costituendo capeggiato da Re. S.p.A., capogruppo mandataria, con le società mandanti I.F. It. Fa. Ma. S.p.A., E.P. S.r.l., Ro. Am. S.r.l. (d'ora innanzi RTI Re. o Re.), presentando offerta per il solo lotto n. 4 che gli veniva aggiudicato da In. in data 14 luglio 2022 (in relazione alla prima posizione conseguita, che l'abilitava ad eseguire lavori tra il 50 e il 70%). 1.4.1. Nel contempo In. ha richiesto la disponibilità del RTI Re. all'affidamento di altri due lotti, le cui gare erano andate deserte, ovvero i lotti nn. 2 e 6, nonché della restante quota dei lavori del lotto n. 4. 1.4.2. Re. ha assentito all'affidamento dei suddetti lotti e, pertanto, in data 24 ottobre 2022, In. ha disposto in favore del RTI Re. l'aggiudicazione definitiva dei suddetti lotti, dichiarata efficace, all'esito delle verifiche sui requisiti, in data 27 ottobre 2022. 1.5. Nelle more della stipula dei contratti (fissata per il 9 gennaio 2023), l'ATER, in data 4 novembre 2022, ha trasmesso una prima trance di documentazione di progetto in fase di approvazione; in data 18 novembre 2022 ha consegnato sotto le riserve di legge le aree relative agli interventi del lotto n. 4 (omissis); in data 23 novembre 2022 il progetto approvato del lotto n. 4, (omissis) fabbr. n. 2, 3, 4, 5; in data 2 dicembre 2022 il progetto approvato del lotto n. 2, (omissis) B1, B2, C1, C2; infine, in data 19 dicembre 2022 è stata effettuata la consegna dei lavori relativi al lotto n. 4, (omissis). 1.6. La ricorrente ha prodotto in data 15 dicembre 2022 l'atto di costituzione del R.T.I. e in data 21 dicembre 2022 l'ATER ha convocato le imprese aggiudicatarie per la sottoscrizione del contratto di accordo quadro in via telematica, fissandolo per la data del 9 gennaio 2023. 1.7. Peraltro, con nota del 4 gennaio 2023, la Re. ha evidenziato che "Il ritardo patito dall'RTI nella ricezione della documentazione progettuale esecutiva ed, in generale, nella definizione contrattuale definitiva dell'intervento costituiscono elementi oggettivamente ostativi alla realizzazione integrale delle lavorazioni potenzialmente richiedibili da parte dell'Amministrazione a causa dei limiti di carattere temporale che caratterizzano i benefici fiscali...", domandando di procedere pertanto a diverse modifiche della proposta di accordo quadro (cfr. p. 5 del provvedimento impugnato). 1.8. L'ATER ha accolto le richieste di modifiche proposte dalla ricorrente in minima parte, mentre per la parte più consistente ha confermato il contenuto dell'accordo quadro. 1.9. In data 14 gennaio 2023 si è svolto un confronto telematico tra Re. ed ATER e all'esito di tale confronto Re., con nota del 16 gennaio 2023, ha rappresentato di essere impossibilitata a stipulare il contratto del lotto n. 6. 1.10. Con successiva nota del 20 gennaio 2023 la Re. ha comunicato la decisione di non voler più stipulare i contratti afferenti a tutti i lotti di gara, considerata "la mancata sussistenza delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività ". 1.11. Nonostante la suddetta nota, l'ATER lo stesso giorno ha trasmesso la bozza dei tre accordi quadro, con invito alla firma entro il 24 gennaio 2023. 1.12. In data 23 gennaio 2023, l'ATER ha inoltrato alla ricorrente l'atto di diffida e costituzione in mora, intimando la stipula dei contratti, a cui la società ha replicato con comunicazione del 25 gennaio 2023, confermando la volontà di non stipulare. 1.13. Con PEC del 2 febbraio 2023 l'ATER ha notificato formale atto di diffida e costituzione in mora, al quale la Re. ha replicato con nota del 3 febbraio 2023. 1.14. In data 30 maggio 2023, con nota prot. 26682, l'ATER, ha comunicato l'avvio del procedimento di revoca dei provvedimenti di aggiudicazione della gara. Re. ha formulato all'uopo le proprie controdeduzioni, con PEC del 13 giugno 2023, contestando integralmente il contenuto dell'atto di avvio del procedimento e replicando a tutti i rilievi formulati dall'ATER. 1.15. Con nota dell'11 luglio 2023, l'ATER, ritenute non condivisibili le osservazioni di Re., ha comunicato l'intervenuta adozione della Determinazione Direttoriale n. 185 del 10 luglio 2023, recante revoca dell'aggiudicazione dei lotti d'appalto n. 2, Cod. CIG: 9182528DCF - n. 4, cod. CIG 9182535399 - n. 6, cod. CIG 918253753F. Con la suddetta Determinazione l'ATER, oltre alla revoca, ha disposto di chiedere ad In. di escutere la polizza fideiussoria presentata dal RTI Re. in sede di presentazione dell'offerta; di chiedere al RTI il rimborso delle spese di pubblicità sostenute dall'ATER; di procedere con la segnalazione del provvedimento all'ANAC. 2. La società pertanto ha impugnato innanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, detto provvedimento ed i relativi atti presupposti, con tre distinti ricorsi - uno per ciascun lotto - e segnatamente, relativamente al lotto n. 6, che viene qui in rilievo, con il ricorso R.G. n. 10318 del 2023, per i seguenti motivi: 1) Violazione dell'art. 21 septies l. 241/1990 e/o dell'art. 21 octies l. 241/1990. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Incompetenza. Nullità del provvedimento di revoca. 2) Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Violazione dell'art. 1256 c.c. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 3) Violazione dell'art. 32, comma 8 d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 4) Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 3. Si sono costituite innanzi al Tar capitolino l'ATER, depositando documenti e controdeducendo a quanto sostenuto nell'atto introduttivo, nonché In., instando per il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo comunque nel merito il rigetto del ricorso. 4. Il primo giudice con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il ricorso. 5. Avverso tale sentenza il RTI Re. ha formulato, in tre motivi di appello, le seguenti censure: 1) Errores in procedendo ed in iudicando. Violazione dell'art. 112 c.p.c.. Carenza di motivazione. Illogicità ; difetto di istruttoria. 2) Errores in iudicando. Violazione dell'art. 21 septies l. 241/1990 e/o dell'art. 21 octies l. 241/1990. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Incompetenza. Nullità del provvedimento di revoca. 3) Errores in iudicando. Violazione dell'art. 112 c.p.c.. Violazione dell'art. 32, comma 8, d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990. Violazione dell'art. 1256 c.c.. Eccesso di potere; illogicità manifesta; difetto del presupposto; difetto di istruttoria; perplessità . 6. Si sono costituite in resistenza l'ATER ed In.. 6.1. In particolare In., con la memoria di costituzione ha riproposto, ex art. 101 comma 2 c.p.a., l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, chiedendo la propria estromissione dal giudizio, per essere la revoca dell'aggiudicazione imputabile unicamente all'ATER e per non potere comunque escutere la cauzione, come richiesto da quest'ultima, essendo la stessa venuta a scadenza senza che ne fosse stata chiesta l'estensione. 7. In vista della trattazione di merito della causa, le parti hanno depositato memoria di discussione diretta, ex art. 73 comma 1 c.p.a., e il RTI Re. ed In. altresì memoria di replica, illustrando ulteriormente le loro posizioni. 7.1. L'ATER in particolare ha evidenziato di avere iniziato ad anticipare, ancor prima della sottoscrizione del contratto di accordo quadro, agli operatori aggiudicatari i progetti ed in particolare di avere trasmesso in data 4 novembre 2022, una prima trance di documentazione di progetto (doc. 13 di primo grado) sebbene in fase di approvazione e di avere inviato in dato 20 gennaio 2023 anche il progetto relativo al Lotto 6, quartiere (omissis) lotto unico fabbricato K (doc. 23 di primo grado), nonché in data 27 gennaio 2023 il progetto relativo Lotto di appalto 6, (omissis) lotto 1 fabbr. 2,3,4,5,7 (doc. 24 di primo grado), il tutto, in tesi, in tempo utile perché i lavori venissero realizzati secondo la tempistica dettata dalla legge, rimarcando che la lex specialis di gara prevedesse che i progetti dovessero essere trasmessi al momento della stipula dei contratti attuativi. Ha pertanto insistito per il rigetto dell'appello, sulla base del rilievo che il RTI Re. era stata posto nelle condizioni di dare avvio ai lavori in tempo utile. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 9 maggio 2024. DIRITTO 9. Il presente giudizio inerisce la legittimità del provvedimento con cui l'ATER, imputando al RTI Re. la mancata stipula dell'accordo quadro, ha revocato l'aggiudicazione del lotto d'appalto n. 6, cod. CIG 918253753F, della procedura di gara curata da In., quale centrale unica di committenza, per conto dell'ATER, volta alla conclusione di un accordo quadro e dei successivi contratti attuativi per l'affidamento dei lavori relativi alla riqualificazione degli immobili di proprietà dell'ATER, da attuarsi ai sensi dell'art. 119, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (cd. Superbonus 110%). 9.1. Segnatamente, come esposto nella parte in fatto, l'appalto de quo è stato suddiviso in sei lotti territoriali, ai sensi dell'art. 51, comma 1 d.lgs. n. 50 del 2016, individuati con il criterio dell'indipendenza e dell'autonomia funzionale. In ragione di tale "suddivisione", infatti, è stato previsto un "vincolo" di partecipazione e di aggiudicazione, in base al quale ciascun operatore economico avrebbe potuto partecipare e presentare offerta per un solo lotto, con la precisazione che "ciascun lotto è finalizzato alla conclusione di un Accordo Quadro" da stipularsi "con un numero di 2 (due) operatori economici per ogni lotto, purché il numero di operatori che soddisfino i requisiti richiesti ovvero abbiano presentato offerte valide e convenienti, sia in numero sufficiente" (cfr. art. 4.1 del Disciplinare di Gara). 9.2. In considerazione del livello di complessità degli interventi da eseguire, la lex specialis ha previsto che la documentazione progettuale sarebbe stata fornita al momento della sottoscrizione dei singoli contratti attuativi e che, conseguentemente, i lavori oggetto di accordo quadro sarebbero stati affidati "mediante la sottoscrizione di singoli contratti attuativi" (cfr. art. 4 del Disciplinare di Gara). 9.3. Il RTI Re., odierno appellante, aveva presentato offerta per il solo lotto n. 4 che viene qui in considerazione, che gli veniva aggiudicato da In. in data 14 luglio 2022 (in relazione alla prima posizione conseguita, che l'abilitava ad eseguire lavori tra il 50 e il 70%); tuttavia In., in applicazione dell'art. 4, sub 4.1., del Disciplinare, secondo cui "Nel caso in cui il numero di operatori economici partecipanti non risultasse sufficiente a garantire l'aggiudicazione di tutti i lotti in appalto, gli eventuali lotti deserti e i relativi plafond potranno essere assegnati agli operatori economici già aggiudicatari di altri lotti..." richiedeva la disponibilità del RTI Re. all'affidamento di altri due lotti, le cui gare erano andate deserte, ovvero i lotti nn. 2 e 6, nonché della restante quota dei lavori del lotto n. 4. 9.3.1. Re. assentiva all'affidamento dei suddetti lotti e, pertanto, in data 24 ottobre 2022, In. disponeva in suo favore l'aggiudicazione definitiva dei suddetti lotti, dichiarata efficace, all'esito delle verifiche sui requisiti, in data 27 ottobre 2022. 9.4. Una volta espletata la procedura di gara e, dunque, richiesto agli operatori aggiudicatari di trasmettere la documentazione necessaria ai fini della sottoscrizione dei contratti, è insorto un carteggio tra l'ATER ed il RTI Re., dettagliato nella parte in fatto, all'esito del quale si è prevenuti all'adozione da parte dell'ATER del provvedimento di revoca delle aggiudicazioni per tutti e tre i lotti (nn. 2, 4 e 6). 9.5. In particolare, avendo l'ATER trasmesso i progetti "definitivo - esecutivi" di alcuni interventi riferiti ai lotti nn. 2 e 4, senza trasmettere in particolare i progetti definitivi - esecutivi del lotto n. 6 (avendo trasmesso una mera bozza prima della loro approvazione), Re., a fronte dell'invito alla stipula dell'accordo quadro, fissato per la data del 9 gennaio 2023, con nota del precedente 4 gennaio, manifestava la difficoltà alla realizzazione integrale delle lavorazioni potenzialmente richiedibili da parte dell'Amministrazione, a causa dei limiti di carattere temporale caratterizzante i benefici fiscali, richiedendo pertanto nel contempo alcune modifiche contrattuali, in tesi idonee a garantire la realizzazione degli interventi e la copertura finanziaria degli stessi. 9.6. ATER accoglieva solo in parte le richieste di modifiche e all'esito di ulteriore interlocuzione, volta alla ricerca di una soluzione condivisa, Re. comunicava di non voler più procedere alla realizzazione anzitutto dei lavori di cui al lotto n. 6, che viene qui in considerazione, dichiarandosi disponibile, a determinate condizioni, a sottoscrivere un unico accordo quadro per i lotti nn. 2 e 4 (cfr. doc. 19 del fascicolo di primo grado dell'ATER), posizione questa che non veniva condivisa dall'ATER, la quale, non solo richiedeva di procedersi alla sottoscrizione di tutti gli accordi quadro (cfr. docc. 20, 21 e 22 del fascicolo di primo grado dell'ATER), ma provvedeva a trasmettere la progettazione "definitivo-esecutiva" di alcuni interventi, "ricadenti" proprio nel lotto n. 6 (cfr. docc. 23 e 24 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 9.7. Il RTI Re. manifestava quindi la propria volontà di svincolarsi da qualsiasi impegno contrattuale con l'ATER, attesa l'insussistenza "delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività " con riferimento a tutti e tre i lotti aggiudicati (cfr. docc. 25 e 26 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 9.8. A ciò è conseguito l'avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione, culminato nel provvedimento oggetto di impugnativa in prime cure, con cui l'ATER, nel revocare l'aggiudicazione in relazione a tutti e tre i lotti ha disposto altresì : (i) l'escussione della polizza fideiussoria presentata dal RTI Re. in sede di presentazione dell'offerta, per il tramite di In.; (ii) il rimborso delle spese di pubblicità sostenute dall'Azienda per la procedura; infine, (iii) di procedere con la segnalazione del provvedimento all'ANAC (cfr. doc. 33 del fascicolo di primo grado dell'ATER). 10. Il giudice di prime cure, pur avendo chiarito che "l'effetto pregiudizievole dell'escussione della garanzie fideiussorie non si è avverato", in ragione del fatto che le stesse erano venute a scadere prima dell'adozione del provvedimento impugnato e, quanto alla contestata segnalazione all'ANAC, che la stessa "si configura come atto prodromico ed endoprocedimentale e, come tale, non impugnabile, perché non dotato di autonoma lesività, potendo essere fatti valere eventuali vizi solo in via derivata impugnando il provvedimento finale dell'Autorità di Vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo", ha deciso nel merito il ricorso, avendo riguardo alla sola legittimità del provvedimento di revoca, respingendolo. 11. Quanto all'asserita incompetenza di ATER a disporre la revoca dell'aggiudicazione, ha osservato che In. era stata incaricata della selezione dei potenziali contraenti, rientrando invece nelle competenze della sola ATER la sottoscrizione e l'esecuzione dei successivi contratti; pertanto ogni determinazione susseguente l'aggiudicazione del contratto doveva ritenersi di competenza della stazione appaltante, unico soggetto a cui era rimessa la valutazione discrezionale in merito all'opportunità di sottoscrivere il contratto, ovvero di revocare l'aggiudicazione. 12. Ha inoltre disatteso le restanti censure, inerenti la legittimità del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione, invocando quell'orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questa sezione, secondo il quale la revoca dell'aggiudicazione dell'appalto disposta dalla stazione appaltante a seguito del rifiuto, da parte dell'aggiudicatario, di stipulare il relativo contratto d'appalto, e ciò anche quando il termine per la stipula del contratto sia scaduto, è del tutto legittima, atteso che l'infruttuoso decorso del termine di cui all'art. 32, comma 8, del d.gs. n. 50/2016 previsto per la sottoscrizione del contratto di appalto non preclude affatto la possibilità di stipularlo, stante la natura meramente ordinatoria dello stesso, posto a tutela dell'aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi. 12.1. Da ciò deriverebbe, secondo il primo giudice che, di fronte all'inerzia dell'amministrazione che si sottrae all'obbligo di stipulare il contratto, l'operatore economico avrebbe di fronte a sé due opzioni: a) svincolarsi dalla propria offerta; b) proporre azione avverso il silenzio, di cui agli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010 al fine di ottenere la condanna dell'amministrazione pubblica a provvedere. In entrambi i casi, il presupposto legittimante sarebbe l'inerzia dell'amministrazione, inerzia che secondo il primo giudice non vi era stata, in quanto la ricorrente si era aggiudicata la gara, pretendendo poi di stipulare un contratto diverso rispetto a quello scaturito dalla procedura ad evidenza pubblica. 12.2. Secondo il primo giudice l'art. 32 comma 8 del Codice dei contratti, che la ricorrente assumeva violato sarebbe, a ben vedere, una disposizione applicabile solo quando il contratto che l'amministrazione rifiuta di stipulare è quello scaturito dalla procedura di gara, non quello che l'operatore economico pretende di stipulare dopo le modifiche cui aspira. La ripetuta manifestazione di volontà di addivenire alla stipula con condizioni contrattuali frutto di rinegoziazione tra le parti era pertanto del tutto incompatibile con quella di sciogliersi dal vincolo contrattuale. 12.3. A prescindere, inoltre, dall'imputazione della mancata conclusione del contratto all'una o all'altra parte contrattuale (accertamento che assumerebbe rilevanza solo quanto alle conseguenze che dalla revoca derivano, quali l'escussione della polizza fideiussoria o la segnalazione all'ANAC), il primo giudice ha ricordato che la giurisprudenza è consolidata nel senso di ritenere che negli appalti pubblici non sia precluso all'amministrazione di revocare l'aggiudicazione, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale si sia dato atto nella motivazione del provvedimento di autotutela, evidenziando come il rifiuto di stipulare il contratto a seguito di aggiudicazione di gara pubblica costituisca un fatto che può giustificare la revoca dell'aggiudicazione. 13. Ciò posto, in limine litis, prima di procedere alla disamina dei motivi di appello, occorre esaminare l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da In., sulla quale il giudice di prime cure non si è pronunciato, ritualmente riproposta nei termini di rito, ex art. 101 comma 2 c.p.a.. 13.1. Infatti secondo la giurisprudenza in materia solo nell'ipotesi in cui l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sia stata respinta dal primo giudice con pronuncia espressa, il relativo capo deve essere oggetto di impugnazione, formandosi su di esso il giudicato (Cons. Stato, ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2; Id., 22 dicembre 1982, n. 21; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4215; C.G.A.R.S. 13 maggio 2019, n. 428). Pertanto se sull'eccezione il primo giudice non si è pronunciato, come nell'ipotesi di specie, la stessa può essere ritualmente riproposta con la memoria di costituzione, depositata nei termini di rito, ex art. 101 comma 2 c.p.a. 13.2. Ciò posto l'eccezione va respinta, dovendo la legittimazione passiva essere vagliata avuto riguardo a tutti gli atti oggetto di impugnativa. Pertanto, in considerazione del rilievo che il RTI Re. in prime cure aveva impugnato, per quanto di interesse, la clausola della lex specialis di gara che prevedeva che la trasmissione della documentazione progettuale avvenisse al momento della sottoscrizione dei singoli contratti attuativi (cfr. art. 4 del Disciplinare di Gara), e che detta clausola è stata redatta da parte della medesima In., in qualità di centrale di committenza, sia pure sulla base delle indicazioni al riguardo fornite da ATER in qualità di stazione appaltante, l'eccezione va disattesa, restando per contro questione di merito la disamina della rilevanza di detta impugnativa rispetto al provvedimento di revoca, lesivo della posizione del RTI appellante, e attenendo pertanto semmai detta disamina alla regolamentazione delle spese processuali. 14. Quanto alla lesività del provvedimento di revoca va evidenziato, anticipando quanto verrà precisato nella disanima del primo motivo di appello, che - ad onta di quanto sottinteso dal primo giudice, con riferimento all'impossibilità di escussione della cauzione e alla non lesività della comunicazione del medesimo provvedimento ad ANAC - come la stessa vada ravvisata non tanto nella revoca ex se (attesa la volontà di Re. di non sottoscrivere più l'accordo quadro ed i contratti attuativi di tutti e tre i lotti) ma nell'accertamento compiuto dall'ATER dell'imputabilità della revoca al RTI Re., considerazione questa che, sebbene inespressa nel pronunciamento del giudice di prime cure, è sottintesa alla pronuncia resa nel merito, che ha comunque ricondotto la revoca ad una fattispecie di (indebito) rifiuto alla stipula del contratto. 14.1. Infatti, a ragionare diversamente, a fronte della constatata volontà del RTI Re. di non addivenire comunque alla conclusione del contratto, alle condizioni previste dalla stazione appaltante (ovvero con riferimento indistintamente a tutti i lotti e senza le ulteriori modifiche richieste da Re. alle clausole contrattuali), il primo giudice sarebbe dovuto pervenire ad una pronuncia in rito di improcedibilità (quanto agli effetti pregiudizievoli relativi all'escussione della cauzione) ovvero di inammissibilità (quanto alla segnalazione ad ANAC), non avendo in particolare detto alcunché quanto alla richiesta di refusione delle spese di pubblicità, laddove, proprio sul presupposto dell'imputabilità della revoca alla condotta del RTI Re., con il provvedimento impugnato sono state richieste all'operatore economico anche dette spese. 15. Ciò posto, quanto ai profili preliminari di rito, può procedersi al vaglio dei motivi di appello. 16. Con il primo motivo l'appellante critica la sentenza di prime cure per non avere debitamente considerato come il rifiuto di Re. di addivenire alla stipula dell'accordo quadro dovesse ritenersi del tutto giustificato, posto che a gennaio 2023 gli interventi dei tre lotti non erano ancora programmabili, in ragione della mancata stipula dei contratti entro i sessanta giorni dall'aggiudicazione, di problematiche riscontrate durante le consegne (peraltro parziali) delle aree, di carenze nella trasmissione degli elaborati progettuali, di esigenze di adeguamento del rapporto alla disciplina prevista per l'ottenimento del c.d. "superbonus" (e ciò al fine di poter ottenere la copertura finanziaria per un intervento del valore complessivo di Euro 22.500.000, a totale carico dell'appaltatore). Pertanto legittimamente Re. aveva comunicato all'ATER di sciogliersi dall'impegno, considerato lo spirare del termine dei sessanta giorni per la stipula del contratto ex art. 32, comma 8, d.lgs. 50 del 2016 ed art. 23 del Disciplinare e "la mancata sussistenza delle condizioni di tipo contrattuale-finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività ". La revoca delle aggiudicazioni disposta da ATER nel luglio 2023 (Determinazione Direttoriale n. 185 del 10.07.2023) si porrebbe pertanto, in tesi attorea, a valle di una vicenda in cui Re. aveva già formalizzato da tempo la decisione di non voler stipulare i contratti, in ragione della preclusione all'esecuzione di almeno il 60% dei lavori entro il 30.06.2023, ai fini dell'ottenimento del superbonus e quindi della copertura finanziaria dell'intervento. Peraltro in alcun modo potrebbe essere imputata, nei termini ritenuti dall'ATER e con le connesse conseguenze pregiudizievoli, a Re. la revoca dell'aggiudicazione in relazione al lotto n. 6 in relazione al quale non aveva neanche presentato domanda. Secondo parte appellante pertanto il Tar erroneamente non era entrato nel merito dell'accertamento della responsabilità della revoca dell'aggiudicazione, senza indagare, quindi, le ragioni che avevano giustificato la decisione di Re. di sciogliersi dal vincolo, con conseguente violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c., oltre che con conseguente difetto di motivazione. In tesi attorea il riferimento contenuto in sentenza al potere dell'amministrazione "di valutare e rivalutare la convenienza dell'operazione contrattuale alla luce degli interessi pubblici perseguiti" rappresenterebbe un assunto del tutto sganciato dai temi della controversia. Infatti l'ATER non aveva revocato l'aggiudicazione per una sopravvenuta valutazione dell'interesse pubblico, bensì per fatto imputabile all'aggiudicatario, circostanza contestata sotto diversi profili dalla Re., senza che il Tar avesse svolto alcun esame al riguardo. 17. Con il secondo motivo Re. lamenta l'erroneità della sentenza di prime cure, nel punto in cui aveva rigettato la censura di incompetenza dell'ATER ad adottare il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione, richiamando al riguardo la giurisprudenza secondo la quale la revoca deve essere posta in essere dallo stesso organo che ha emanato il provvedimento di primo grado. Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, la circostanza che "ogni determinazione susseguente l'aggiudicazione del contratto sia di competenza della stazione appaltante" non poteva certamente comportare che la committente potesse adottare provvedimenti di autotutela inerenti atti adottati da altri soggetti; semmai post aggiudicazione si esauriva la fase pubblicistica, senza quindi che l'ATER potesse adottare atti autoritativi, oltretutto in termini di revoca. 18. Con il terzo motivo di appello il RTI Re. critica la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva configurato la revoca come giustificabile in forza del rifiuto alla stipula del contratto, laddove per contro Re. aveva inteso sciogliersi dal vincolo, avuto riguardo al decorso del termine per la stipula, ex art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, e del rilievo che, avuto riguardo alla criticità dei progetti e alla non completa disponibilità delle aree, era diventato impossibile raggiungere l'obiettivo della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023 e pertanto si era ritenuta vanificata la copertura finanziaria dell'intervento, incentrata esclusivamente sul c.d. superbonus, non essendo assolutamente prevedibile l'ipotizzato inizio dei lavori al 1.02.2023. 18.1. In tesi attorea la circostanza che l'ATER avesse fornito il progetto di qualche quartiere rendeva palese che al momento della pretesa di assunzione dell'impegno contrattuale da parte del RTI Re., la committente non avesse ancora contezza di tutti gli interventi da eseguire, avendone istruiti solo alcuni, pretendendo quindi l'assunzione unilaterale da parte dell'appaltatore di obblighi ancora indefiniti nell'an e nel quantum. In particolare in relazione al Lotto 6, ad oltre metà gennaio 2023, non vi era alcuna informazione, e nemmeno i progetti. 18.2. Parimenti la sussistenza di problematiche nelle aree, non risolte dall'ATER prima della stipula dei contratti, era circostanza che non consentiva di programmare e realizzare i lavori (almeno il 60%) entro 5 mesi. 18.3. Inoltre i cronoprogrammi forniti dall'ATER non permettevano in alcun modo di poter rispettare la condizione della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023, trattandosi di generici diagrammi che avevano come presupposto l'avvio già a gennaio, quando era pacifico che a quella data ancora non vi era traccia dei contratti attuativi (necessari per avviare la pratica del superbonus) e gli stessi non consideravano i tempi necessari per l'espletamento delle attività propedeutiche all'avvio dei lavori 18.4. Pertanto, considerate dette criticità, non essendo intervenuta la stipula del contratto nel termine previsto dall'art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, l'appaltatore era nel pieno diritto di potersi sciogliere dal vincolo, a maggior ragione considerata la stringente tempistica prevista per il finanziamento delle opere. 18.5. In tesi attorea pertanto del tutto illegittimo doveva intendersi il provvedimento di revoca, non avendo l'ATER congruamente valutato la problematica della copertura finanziaria dell'intervento, ed il giudice di prime cure erroneamente trascurato detto profilo. 18.6. Non condivisibile pertanto sarebbe la considerazione del Tar secondo cui non poteva trovare applicazione il disposto dell'art. 32 comma 8, d.lgs. 50 del 2016, in quanto l'ATER non era rimasta inerte e l'appaltatore aveva preteso "di stipulare un contratto diverso rispetto a quello scaturito dalla procedura ad evidenza pubblica", valorizzando un precedente di questo Consiglio di Stato del tutto inconferente rispetto alla fattispecie de qua, posto che Re. aveva solo richiesto di inserire nei contratti alcune precisazioni volte a garantire la copertura dell'intervento con il c.d. superbonus (anche nell'interesse dei cessionari del credito), precisazioni che non avevano alcuna valenza sostanziale, non alteravano la natura generale del contratto, né implicavano esborsi da parte dell'ATER. Peraltro l'unica giustificazione fornita al riguardo dall'ATER per negare detta modifica era costituita dall'esigenza di rispettare la par condicio concorrentium, giustificazione, in tesi attorea, del tutto priva di fondamento, posto che per i lotti nn. 2 e 6 non era stata presentata alcuna domanda e per il lotto n. 4 aveva presentato domanda solamente il RTI Re.. 18.7. Né peraltro, in tesi attorea, poteva valere la circostanza che l'ATER avesse presentato nel novembre 2022 progetti del tutto parziali e ineseguibili, trattandosi di bozze non definitive, con espressa avvertenza che i progetti potevano essere modificati in fase di approvazione. 18.7.1. Re. inoltre critica la sentenza di prime cure per non avere considerato le censure con le quali aveva confutato le contestazioni formulate dall'ATER (circa il rifiuto alla stipula dell'accordo quadro e dei conseguenti contratti attuativi, il mancato avvio dei lavori e l'infondatezza delle ragioni addotte all'esito della comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione), né l'impugnazione in via subordinata dell'art. 4 del Disciplinare, in quanto contrastante con gli artt. 33 Dir. UE 24/2014 e 54 d.l.gs. 50/2016 in tema di disciplina degli accordi quadro, nonché con la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia (C- 216/17), tutti univoci nell'esigere che già in sede di affidamento di accordi quadro siano rese note agli operatori tutte le informazioni necessarie (quindi nella specie le progettazioni) per consentire di formulare un'offerta seria e consapevole. 18.8.Peraltro i contratti di accordo quadro da stipularsi avevano ad oggetto tutti i lavori dei vari lotti aggiudicati, per cui contrariamente a quanto ritenuto da ATER, la trasmissione frammentata della progettazione afferente agli edifici in qualche quartiere ((omissis) e (omissis) per il lotto 4, (omissis) per il lotto 2, (omissis) per il lotto 6) non poteva assumere alcun significato ai fini dell'asserito adempimento dell'ATER, in quanto per nessuno dei tre lotti vi era la progettazione completa degli interventi da assumere con gli accordi quadro; pertanto l'appaltatore non era in grado di stabilire o quantomeno non aveva sufficiente contezza del quadro e dell'entità degli interventi da dover eseguire ai fini dell'ottenimento della provvista finanziaria. 18.9. Per il lotto n. 6 peraltro non era stata mai consegnata alcuna area, senza che quindi vi fosse contezza degli interventi da eseguire. Ed in relazione a tale lotto, senza alcuna area consegnata e con una progettazione limitata ad un solo quartiere pervenuta a fine gennaio, risultava contrario ad ogni logica stigmatizzare l'omessa sottoscrizione dell'impegno negoziale, considerato che alla data del 9.01.2023 non solo non vi era una compiuta rappresentazione dell'oggetto contrattuale, ma difettavano altresì i presupposti per procedere alla sottoscrizione dei successivi contratti attuativi, risultando pacifico che a quella data non vi erano ancora le progettazioni. 18.10 Né, in tesi si parte appellante, assumerebbe rilievo la contestata tardiva trasmissione dei documenti per la stipula del contratto, posto che il contratto andava stipulato, al fine di rispettare i sessanta giorni di cui all'art. 32 comma 8 d.l.gs. 50 del 2016, entro il 26 dicembre 2022 - non avendo l'ATER richiesto alcuna differimento a Re. - per cui la trasmissione al 15 dicembre doveva considerarsi senz'altro tempestiva. 18.11. Né corrisponderebbe al vero che Re. avesse manifestato l'intenzione di sottoscrivere il contratto anche dopo lo spirare del termine dei sessanta giorni, in quanto il RTI, già con la missiva del 4 gennaio 2023, aveva evidenziato che il ritardo patito nella ricezione della documentazione progettuale fosse impeditivo alla realizzazione di tutti gli interventi richiedibili dall'ATER ed in questo senso aveva manifestato la disponibilità ad addivenire ad una stipula solo sulla scorta di modifiche da apportare alla disciplina contrattuale, all'uopo esplicitate, rappresentando poi con successiva missiva del 16 gennaio 2023 di non voler stipulare il contratto per il lotto n. 6. 18.12. Parimenti illogici, in tesi attorea, dovevano intendersi i rilievi dell'ATER sulle proposte di modifica degli accordi formulate da Re.. 19. Nel procedere al vaglio dei motivi di appello, quali innanzi esposti, giova precisare che il primo motivo verrà esaminato per primo solo nella parte in cui il RTI Re. lamenta la contraddittorietà della sentenza che, pur avendo ricondotto la revoca de qua ad una fattispecie di rifiuto alla stipula del contratto, non si era fatta carico di esaminare le ragioni di detto rifiuto e dunque la riconducibilità della responsabilità al RTI Re., ovvero ad ATER, trattandosi di profilo che inerisce anche e soprattutto una questione preliminare di rito, ovvero l'interesse a ricorrere. 20. In questi termini il motivo è fondato posto che la sentenza per un verso sembrerebbe considerare irrilevante l'accertamento della responsabilità - in quanto avente riflessi solo sull'incameramento della cauzione, non più possibile, ovvero sulla segnalazione all'ANAC, ritenuta atto non immediatamente lesivo in quanto endoprocedimentale - per altro verso, nel momento in cui ha ricondotto la fattispecie de qua ad una figura di (indebito) rifiuto alla stipula del contratto, entrando peraltro nel merito, con rigetto del ricorso, ha evidentemente ritenuto sussistente la responsabilità di Re., senza peraltro indagare le ragioni del rifiuto alla stipula e senza avere riguardo alla circostanza che nella fattispecie de qua non veniva in rilievo una revoca per sopravvenute ragioni di interesse pubblico, ma una revoca imputabile all'asserito comportamento inadempiente di Re., avente riflessi non solo sull'incameramento della cauzione e sulla segnalazione all'ANAC ma anche sulla richiesta di refusione delle spese sostenute per la pubblicità . 20.1. La restante parte del primo motivo di appello, ovvero l'erroneità della sentenza di prime cure, nel punto in cui aveva ritenuto sussistente un indebito rifiuto alla stipula del contratto, in quanto inerente la legittimità del provvedimento impugnato, verrà per contro trattato unitamente al terzo motivo, non solo per l'indubbia connessione fra i due motivi, in quanto fondati sugli stessi presupposti di fatto e di diritto, ma anche perché i motivi inerenti i vizi del provvedimento impugnato non possono che essere vagliati avendo riguardo a quanto statuito nel famoso arresto di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 5 del 2015, avendo parte appellante con il secondo motivo criticato la sentenza di prime cure nel punto in cui aveva respinto il primo motivo di ricorso, riferito al vizio di incompetenza. Infatti, secondo quanto chiarito dall'Adunanza Plenaria con tale sentenza, pur essendo rimessa in generale alla parte ricorrente la graduazione dei motivi di ricorso, in senso vincolante per il giudice (graduazione peraltro da non confondersi con la mera numerazione dei motivi), a tale principio sfuggono le censure di carattere assorbente ex lege, come la censura di incompetenza, nelle sue varie configurazioni, non potendo in tal caso il giudice pronunciarsi su poteri non ancora esercitati, ex art. 34, comma 2, c.p.a., e dovendo pertanto tale censura essere esaminata per prima. 21. Pertanto, avuto riguardo alla tassonomia dei motivi di ricorso, quale fissata con tale arresto, verrà delibato primariamente il secondo motivo, ferme restando le precedenti riflessioni sul primo motivo, in quanto investenti il profilo preliminare di rito dell'interesse al ricorso. 22. Il motivo è infondato, dovendosi aderire sul punto alla prospettazione dell'ATER, peraltro condivisa dal primo giudice. 22.1. Infatti In. ha operato quale centrale di committenza dell'ATER in virtù di una convenzione con cui la seconda ha delegato alla prima il potere di compiere attività per la ricerca del contraente (doc. 10 fascicolo di primo grado). Come previsto dalla "Convenzione Quadro" tra l'ATER e In. quest'ultima avrebbe dovuto svolgere esclusivamente "attività di centrale di committenza" (e, conseguentemente, indire e gestire "tutte le procedure volte all'aggiudicazione dei contratti di lavori, di prestazione di servizi, di acquisto di beni e forniture..."), mentre il contratto pubblico aggiudicato dalla centrale di committenza sarebbe stato stipulato direttamente tra l'ATER e l'operatore economico aggiudicatario del contratto stesso (cfr. punto 2.2 della Convenzione). 22.2. Per tale motivo le aggiudicazioni disposte dalla prima hanno assunto valore vincolante come se assunte dalla seconda in virtù di un rapporto di mandato. A ciò consegue che il provvedimento di aggiudicazione di In. era rimasto nella disponibilità della stazione appaltante, che poteva disporne la revoca senza alcuna violazione dell'art. 21 quinques della l. 241 del 90, posto che la delega non comprendeva il potere di autotutela, pertanto correttamente esercitato dalla stazione appaltante, unica destinataria degli effetti dell'aggiudicazione. Tutta l'attività successiva alla fase di aggiudicazione, anche di tipo autoritativo, non era pertanto nella competenza di In. che mai avrebbe potuto esercitare un potere che non era stato oggetto di delega. 22.3. Ciò si evince incontrovertibilmente anche dal doc. n. 32 depositato in prime cure da In., con cui la stessa ha trasmesso all'ATER tutta la documentazione inerente la procedura di gara all'esito della verifica dei requisiti, ex art. 32 comma 7 d.lgs. n. 50 del 2016, rappresentando pertanto che le attività espletate dalla Centrale di Committenza per conto dell'ATER dovevano intendersi concluse. 22.4. Pertanto fuori luogo appare il richiamo di parte appellante alla tesi del contrarius actus, posto che In. aveva espletato la procedura di gara nell'ambito di una competenza delegata, per cui rimaneva intatto il potere di intervento in autotutela dell'ATER, in forza della competenza ad essa spettante in via propria, avuto riguardo alle sue funzioni istituzionali. 23. Per contro fondati, nel senso di seguito specificato, sono le censure di cui al primo motivo - per la parte non esaminata - e al terzo motivo di appello, da analizzarsi congiuntamente in quanto strettamente connesse. 23.1. La sentenza di prime cure ha infatti ritenuto legittimo il provvedimento di revoca sulla base del rilievo dell'indebito rifiuto di Re. alla stipula dell'accordo quadro e dei successivi contratti attuativi e del non ricorrere di alcuna inerzia da parte di ATER - ad onta di quanto ritenuto circa l'irrilevanza dell'addebitabilità della revoca all'una o all'altra parte - facendo peraltro riferimento ad un precedente di questa sezione (sentenza 14 luglio 2022, n. 5991) riferito ad una fattispecie del tutto differente, in cui l'operatore economico aveva richiesto, ancora prima che fosse decorso il termine per la stipula del contratto, ex art. 32 comma 8 d.lgs. 50 del 2016, modifiche al contratto, pretendendo di stipulare un contratto diverso da quello scaturito dalle operazioni di gara e, stante il rifiuto della stazione appaltante ed il successivo maturare del termine di cui sopra, aveva inteso rifiutare la sottoscrizione del contratto, laddove nell'ipotesi di specie tutto il carteggio tra Re. e l'ATER ha avuto inizio dopo il decorso di tale termine, ovvero a partire dalla nota del 4 gennaio 2023, alla ricerca di una soluzione concordata, nell'interesse comune delle parti. In particolare con le note inviate Re. ha rappresentato le difficoltà all'esecuzione integrale degli interventi richiedibili dall'ATER sulla base dell'accordo quadro, richiedendo modifiche alle clausole contrattuali, atte ad evitare il superamento dei termini per l'esecuzione degli interventi, quali fissati dalla disciplina di gara in conformità della normativa sul superbonus, nonché volte all'eliminazione dell'alea che in caso contrario sarebbe rimasta a suo totale carico. 23.2. Pertanto rispetto alla fattispecie de qua, il nodo cruciale è incentrato sul pericolo avvertito da Re. e palesato con le note trasmesse all'ATER, del venire meno della copertura finanziaria dell'appalto finanziato con i proventi del superbonus, avuto riguardo all'impossibilità di raggiungere entro una certa data un determinato importo dei lavori, circostanza determinante la decadenza delle risorse. 23.3. Al riguardo va infatti evidenziato che, come rappresentato nelle difese di parte appellante, l'appalto de quo non comportava un corrispettivo a carico della stazione appaltante, dovendo lo stesso essere conseguito dall'appaltatore tramite il c.d. superbonus 110%, ma alla condizione (prevista sia dalla legge che dalla lex specialis) che entro il 30.06.2024 venisse realizzato almeno il 60% dei lavori. Pertanto era necessario che sussistessero i presupposti per la realizzazione di tale obbiettivo, laddove, come lamentato da parte appellante ed emergente ex actis: - l'aggiudicazione del lotto n. 4 al quale aveva partecipato Re., risaliva al 14.07.2022; in considerazione della circostanza che era andata deserta la gara per l'affidamento della restante parte del lotto n. 4, nonché dei lotti nn. 2 e 6, In. aveva chiesto a Re. la disponibilità all'affidamento anche di tali lotti e l'aggiudicazione era stata dichiarata efficace in data 27 ottobre 2022; - per la stipula del solo accordo quadro era stata fissata la data del 9 gennaio 2023, allorquando peraltro non erano stati trasmessi i progetti definitivi ed esecutivi approvati relativamente a tutti i quartieri e a tutti gli edifici oggetto di appalto (cfr art. 4 del Disciplinare), ovvero un termine successivo al termine di sessanta giorni di cui all'art. 32 comma 8, d.lgs 50 del 2016 e dell'art. 23 del Disciplinare, senza che ATER avesse concordato con Re. il superamento di tale termine; - alcuna data era stata ancora fissata per la stipula dei contratti attuativi, dai quali soltanto poteva sorgere il rapporto sinallagmatico, potendo darsi avvio ai lavori. Quanto al lotto n. 6, solo in data 27 gennaio, allorquando era già intervenuto il rifiuto di Re. alla stipula di tale lotto (in data 16 gennaio) nonché il rifiuto alla stipula per la totalità dei lotti (in data 20 gennaio) l'ATER aveva trasmesso la progettazione, peraltro parziale del lotto n, 6, riferita al quartiere (omissis) fabbr. 2,3,4,5,7 (doc. 24 di primo grado), avendo in precedenza trasmesso una mera bozza precedente l'approvazione, nonché in data 20 gennaio, dopo la ricezione della nota di Re., il progetto relativo al Lotto 6, quartiere (omissis) lotto unico fabbricato K. 24. Né rileva, onde imputare il ritardo alla stipula del contratto al RTI Re., la circostanza che lo stesso avesse trasmesso la documentazione necessaria solo in data 15 dicembre, posto che detta trasmissione era comunque intervenuta in tempo utile per la stipula entro il termine di legge di sessanta giorni. 25. Del pari non rileva che in base alla lex specialis di gara (art. 4 del Disciplinare) gli elaborati progettuali avrebbero dovuto essere trasmessi al momento della stipula dei contratti attuativi, posto che - in disparte dalla circostanza che detta clausola è stata oggetto di impugnativa in via subordinata ad opera di Re. - la stessa non poteva che presupporre la tempestività della stipula, non solo dell'accordo quadro, ma anche dei contratti attuativi, in tempo utile per l'avvio dei lavori e la fruizione del beneficio del superbonus. 25.1. Ciò senza tralasciare di considerare la ravvisata non totale disponibilità delle aree dei lotti n. 2 e 4 e pertanto l'impossibilità di avvio dei lavori nei termini indicati nel cronoprogramma predisposto dall'ATER, che non aveva neppure tenuto conto delle attività propedeutiche (es. acquisto dei materiali dai fornitori, definizione delle pratiche per l'occupazione del suolo pubblico etc..). 26. Nonostante tali problematiche il RTI Re. non ha chiuso nell'immediato alla prosecuzione del rapporto, richiedendo alcuni aggiustamenti alla disciplina dell'accordo quadro al fine di pervenire all'obiettivo della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023 e quindi alla copertura economico - finanziaria dell'intervento. 26.1. A fronte della chiusura della stazione appaltante sul punto, ha dapprima dimostrato la disponibilità all'esecuzione dei lavori per alcune parti dei lotti nn. 2 e 4, con stralcio del lotto n. 6, relativamente al quale non era stata trasmessa la documentazione progettuale, e poi, considerato il rifiuto della stazione appaltante ad addivenire alla stipula per una sola parte degli interventi programmati, ha inteso sciogliersi dal vincolo, considerato tra l'altro il decorso del termine fissato dall'art. 32 comma 8, d.l.gs. 50 del 2016. 27. Alla luce delle evidenziate emergenze fattuali, il rifiuto alla stipula del contratto non poteva essere considerato come indebito, con conseguente imputazione della responsabilità della revoca dell'aggiudicazione a Re.. 27.1. Ed invero, come osservato di recente da questa sezione con la sentenza 22 febbraio 2024 n. 1774, riferita a fattispecie per certi versi analoga "sebbene il termine per la stipula del contratto sia ordinatorio, non può essere rimesso ad libitum alla stazione appaltante in quanto, ove l'amministrazione procedente potesse costringere in ogni tempo l'operatore a concludere il contratto d'appalto, la relativa disposizione di legge risulterebbe completamente svuotata della funzione che le è propria; vale a dire quella di tutelare "l'aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2022, n. 5991, § 28.5, nonché Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2020, n. 6620). Infatti una volta che sia decorso il termine di centottanta giorni di validità dell'offerta, anche a volerlo considerare interrotto al momento dell'aggiudicazione, come rilevato dal primo giudice, e quello di sessanta giorni previsto per la stipulazione del contratto, l'ordinamento consente all'operatore economico, specie ove questi abbia visto mutare in senso peggiorativo le condizioni di esecuzione dell'appalto, di affrancarsi dall'impegno originariamente assunto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2020 n. 6620). E' pur vero che secondo quanto ritenuto da questa sezione con la sentenza 14 luglio 2022, n. 5991, che l'art. 32 comma 8 del Codice dei contratti è una disposizione che si applica quando il contratto che l'amministrazione rifiuta di stipulare è quello scaturito dalla procedura di gara, non quello che l'operatore economico pretende di stipulare dopo le modifiche cui aspira, ma il condivisibile principio individuato in tale sentenza è riferito a fattispecie del tutto differente da quella di cui è causa, come ben evidenziato da parte appellata: in quel caso, l'operatore economico aggiudicatario aveva sin da subito avanzato richieste di modifica delle condizioni contrattuali, e proprio per tale ragione, e cioè per la necessità di interloquire sul punto tramite un apposito carteggio, la stazione appaltante aveva formulato tardivamente la convocazione alla stipula del contratto d'appalto....Per contro nell'ipotesi di specie, si è dapprima assistito all'infruttuoso decorso del termine stabilito dalla legge per la stipulazione del contratto; e solo in un secondo momento, a partire dal mese di aprile 2022, quando ormai l'impresa poteva legittimamente decidere di svincolarsi dall'impegno assunto in gara, essa aveva fatto presente che sarebbe stata disponibile a realizzare l'opera unicamente a fronte di un integrale riequilibrio del sinallagma. La circostanza che l'amministrazione non intendesse dar seguito alla richiesta dell'aggiudicataria, considerandola contra legem, [.......] non legittimava pertanto l'Amministrazione a tenere un comportamento inerte per altri mesi, per poi imputare all'aggiudicataria la mancata stipula del contratto, in quanto la medesima amministrazione, come correttamente ritenuto dal primo giudice "laddove avesse ritenuto (come, di fatto, ha ritenuto) che non vi fosse margine in tal senso, altro non avrebbe potuto/dovuto fare che prendere lealmente atto della volontà legittimamente manifestata dall'aggiudicataria e, poi, assumere le conseguenti determinazioni per assicurare, se ancora di suo interesse, la realizzazione dei lavori che qui vengono in rilievo". 27.2. Né peraltro può assumere rilievo la circostanza che fosse stata disposta una consegna senza riserve per alcune aree del lotto n. 4 e n. 2. Infatti come chiarito da questa sezione con l'indicata sentenza 22 febbraio 2024 n. 1774 "la consegna anticipata ed urgente dei lavori, nelle more della stipula del contratto, deve comunque intendersi sotto la riserva di legge della successiva stipula, che non può che avvenire in tempi celeri, una volta concluse le verifiche ad opera della stazione appaltante ed acquistata l'efficacia del contratto, non potendo i tempi di detta stipula essere ad libitum rimessi alla volontà della stazione appaltante..." [....]. "La stazione appaltante può certamente procedere alla consegna dei lavori in via d'urgenza, "nelle more della verifica dei requisiti di cui all'art. 80, d.lgs. 50 del 2016, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura"; ma ciò evidentemente non la esime dal dare tempestivamente corso alla stipulazione del contratto, una volta che le predette verifiche si siano concluse". 28. Pertanto, a fronte del quadro fattuale innanzi delineato, avuto riguardo al mancato raggiungimento di una soluzione concordata volta in primis alla delineazione degli interventi effettivamente eseguibili nei termini di legge per potere usufruire del superbonus - unica forma di corrispettivo per l'appaltatore - questi era nel pieno diritto di sciogliersi dal rapporto. 29. In tale quadro la stazione appaltante ben avrebbe potuto consentire questo scioglimento e procedere alla revoca dell'aggiudicazione non per responsabilità dell'aggiudicatario - come avvenuto - ma per venire meno della copertura finanziaria. E' infatti noto che la carenza originaria o sopravvenuta della copertura finanziaria rappresenti una valida ragione per disporre la revoca dell'affidamento di un appalto pubblico, anche all'indomani della stipula di quest'ultimo e, quindi, a fortiori allorquando il contratto non sia stato ancora concluso. 30. Ciò senza tralasciare di considerare che le condotte stigmatizzate da parte appellante - ovvero il ritardo dell'ATER nella stipula del contratti e nella definizione dei progetti, oltre la totale chiusura dalla stessa dimostrata alla ricerca di una soluzione concordata, che consentisse la realizzazione almeno di alcuni interventi - avuto riguardo alla circostanza che in relazione ai lotti oggetto di aggiudicazione a Re. non era stata presentata alcun'altra domanda e che era impossibile bandire una nuova gara, stante la tempistica degli interventi per l'utilizzo del superbonus, non si sono rilevate dal tutto in linea con il principio del risultato Trattasi di principio che seppure codificato solo con il nuovo codice dei contratti (d.lgs. n. 36 del 2023), non applicabile ratione temporis alla fattispecie di cui è causa, doveva intendersi immanente nel sistema, come evidenziato dalla giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, sez. III, 15 novembre 2023, n. 9812; Cons. Stato sez. VII, n. 5789 del 2024) o comunque utilizzabile in chiave interpretativa anche rispetto a fattispecie regolate dal d.lgs. 50 del 2016 (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924). Del pari la condotta tenuta da ATER si pone in contrasto con il principio della fiducia, codificato dal d.lgs. 36 del 2023, e da utilizzarsi in chiave interpretativa in quanto strettamente correlato con il principio del risultato. 30.1. L'art. 1, d.lgs. n. 36 del 2023 che ha codificato il principio del risultato è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici ed è principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri. Tale articolo, collocato in apertura della disciplina del nuovo codice, dispone che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza Si tratta pertanto di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l'azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell'obiettivo finale che è : a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto; b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l'intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto (Cons. Stato, sez. V, n. 1924 del 2024 cit.) Il principio della fiducia di cui all'art. 2 del nuovo Codice amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della P.A., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Tale fiducia, tuttavia, non può tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un'interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l'interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento (Tar Campania Napoli, sez. V, 6 maggio 2024, n. 2959). Il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l'intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell'intervento medesimo (Cons. Stato, sez. V, n. 1294 del 2024; Cons. Stato, sez. VII, n. 5789 del 2024 che ha ritenuto che nell'ipotesi di specie l'eccessiva "rigidità " della piattaforma informatica approntata per la presentazione delle offerte, unita all'eccessivo "formalismo" con cui la stazione appaltante aveva gestito la gara, arrestata sul nascere, avessero nella sostanza frustrato i riportati principi che sebbene codificati soltanto con il d.lgs. n. 36 del 2023, non applicabile ratione temporis alla fattispecie, rappresentano comunque principi già immanenti dell'ordinamento). 31. Alla stregua degli indicati rilievi, l'appello va accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, va annullato il provvedimento impugnato. 32. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie - mancata presentazione di altre domande per i lotti oggetto del provvedimento di revoca, con conseguente necessità di affidamento al RTI Re., unitamente alla ristrettezza dei tempi per l'esecuzione dei lavori - per compensare le spese del doppio grado di giudizio fra tutte le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la Determinazione Direttoriale dell'ATER n. 185 del 10.07.2023 nella parte recante revoca dell'aggiudicazione del lotto d'appalto n. 6 Cod. CIG: 918253753F. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 881 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. Re., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Fe., St. Va. e Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: -delle note dell'Ufficio Servizi Territoriali e Urbanistici - Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Messina prot. n. 64586 del 9 marzo 2023, prot. n. 77978 del 23 marzo 2023 e prot. n. 114913 del 18 aprile 2023 con le quali è stata vietata l'attività edilizia di cui alla SCIA presentata dalla ricorrente; -nonché delle note dell'Ufficio Servizi Territoriali e Urbanistici - Edilizia Privata - Condono Edilizio prot. n. 57916 del 2 marzo 2023 e prot. n. 83012/2023 del 28 marzo 2023; per quanto riguarda i motivi aggiunti: -della determinazione del Dirigente del Dipartimento Servizi Territoriali e Urbanistici - Servizio - Edilizia Privata n. 4455 del 23 maggio 2023 - prot. n. 0151611/2023 del 29 maggio 2023, avente ad oggetto "annullamento in autotutela del titolo abilitativo in sanatoria (auto assentito con perizia giurata ex art. 28 della L.R. 16/2026, pervenuta con prot. n. 234163 del 13/09/2021 ID 77934) ai sensi dell'art. 21 nonies della L. 241/90 e s.m.i.". Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Messina; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 la dott.ssa Valeria Ventura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la ricorrente ha esposto in punto di fatto quanto segue: a) di essere proprietaria di un immobile, composto da un edificio a due piani fuori terra per civile abitazione e da due bassi fabbricati pertinenziali, sito in Messina, contrada Sa. Gr. - località (omissis), censito al Fg. (omissis), partt. (omissis); b) che in data 16 giugno 1986 è stata presentata istanza di sanatoria prot. n. 5614/1986, ai sensi della L. 47/1985, per la conservazione dei suddetti fabbricati; c) sono stati acquisiti i nulla osta delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli paesistico-ambientale e idrogeologico e sono state versate le somme dovute a titolo di oblazione e il corrispettivo per gli oneri concessori; d) ciò nonostante il Comune di Messina non ha rilasciato alcun titolo edilizio in sanatoria; e) pur ritenendo che sulla istanza di condono si fosse ormai formato il silenzio-assenso, la ricorrente ha comunque depositato in data 13 settembre 2021 la perizia giurata ex art. 28 L.R. n. 16/2016; f) in data 18 novembre 2022, la ricorrente ha presentato una SCIA alternativa al permesso di costruire per la realizzazione di opere di manutenzione straordinaria sull'edificio residenziale e su uno dei bassi fabbricati, nonché per la demolizione e ricostruzione dell'altro basso fabbricato; g) al fine di accedere ai contributi previsti dalla normativa per l'efficientamento energetico e sismico, in data 24 novembre 2022, la ricorrente ha presentato una comunicazione di inizio lavori asseverata per gli interventi di cui all'art. 119 del d.l. n. 34 del 2020 (c.d. CILA superbonus); h) in data 2 marzo 2023, con nota prot. n. 57916/2023, è stata notificata alla ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela ex art. 21 nonies, comma 1. L. n. 241/90 della perizia giurata ex art. 28 L.R. 16/2016, in quanto carente del parere dell'Autorità di Bacino visto che i fabbricati ricadono all'interno del sito di attenzione PAI; i) con atto prot. n. 83012/2023 del 28 marzo 2023 il Comune, in riscontro alle osservazioni presentate dalla ricorrente, ha sostanzialmente ribadito la posizione assunta nella precedente comunicazione volta all'annullamento in autotutela del titolo abilitativo in sanatoria in quanto auto assentito "sulla scorta di una perizia giurata di parte che non ha fornito una rappresentazione esatta e completa delle circostanze in fatto e in diritto"; l) nel frattempo, in data 9 marzo 2023, è stato notificato alla ricorrente l'atto prot. n. 64586 con cui i Servizi Territoriali e Urbanistici -Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Messina che ha ordinato alla ricorrente di non eseguire i lavori oggetto della SCIA prot. n. 309942 del 25.11.2022, invitandola ad adeguare l'attività edilizia in esame alle prescrizioni necessarie per renderla conforme agli strumenti urbanistici e alla normativa vigente in materia. Avverso i provvedimenti indicati in epigrafe, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di gravame: I) - Violazione ed errata applicazione dell'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 nonché degli artt. 2, 19 e 21 nonies della legge n. 241/1990 e 27 della L.R. n. 7/2019. Violazione ed errata applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Lamenta parte ricorrente che in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti previsti per la SCIA, l'amministrazione può vietare la prosecuzione dell'attività e ordinarne la rimozione entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della segnalazione, trascorso il quale essa può esercitare il potere inibitorio soltanto in presenza dei presupposti fissati dall'art. 21 nonies della L.241/90. La SCIA oggetto di contestazione è stata presentata il 25 novembre 2022 e il provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività è intervenuto ben oltre 3 mesi, in data 9 marzo 2023, senza che l'amministrazione abbia operato alcuna valutazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione degli effetti della SCIA medesima, né alcuna comparazione con l'interesse della ricorrente come invece impone l'art. 21 nonies. II) - Violazione ed errata applicazione dell'art. 9 bis del D.P.R. n. 380/2001. Violazione ed errata applicazione degli artt. 35 della legge n. 47/1985 e 26 della L.R. n. 37/1985. Violazione ed errata applicazione dell'art. 28 della L.R. n. 16/2016. Eccesso di potere per travisamento ed errore essenziale. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, atteso che sull'istanza di condono edilizio del 1986 si sarebbe formato, quantomeno dal 2014, il silenzio-assenso ai sensi degli artt. 35 della L. n. 47/1985 e 26 della L.R. n. 37/1985, essendo detta pratica completa di tutti i pareri e nulla-osta a suo tempo richiesti e non potendo sul perfezionamento della stessa rilevare le prescrizioni imposte dal vincolo paesaggistico ambientale (PAI) intervenuto soltanto nel 2021. Gli immobili sui quali è stata presentata la SCIA, sarebbero quindi, secondo la prospettazione della ricorrente assistiti da idoneo titolo edilizio; nè tantomeno sussisterebbero nel caso di specie i presupposti previsti dall'art. 21 nonies della L. n. 241/1990 per l'annullamento in autotutela del silenzio formatosi. III) -Violazione ed errata applicazione dell'art. 28 della L.R. n. 16/2016. Violazione ed errata applicazione delle disposizioni contenute nel Decreto del Presidente della Regione Siciliana n. D.P. n. 09/AdB del 6 maggio 2021 e del Piano stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico della Regione Siciliana. Violazione ed errata applicazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Eccesso di potere per difetto di motivazione, atteso che il decreto istitutivo del vincolo PAI prevede espressamente all'art. 2 che "le norme allegate al presente decreto entrano in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla G.U.R.S, e non si applicano alle pratiche avviate prima della pubblicazione del presente provvedimento", ne consegue che, poiché nel caso di specie, la pratica di condono edilizio è stata "avviata" nel 1986, ad essa non sarebbe applicabile la nuova normativa introdotta dal D.P. n. 09/AdB del 06.05.2021. Anche sulla perizia giurata si sarebbe pertanto formato il silenzio-assenso ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 16/2016 per effetto del decorso del termine di 90 giorni, con conseguente illegittimità del disposto annullamento in autotutela (per l'esercizio del quale, in ogni caso, non sussisterebbero nella fattispecie esaminata nemmeno i presupposti di legge previsti dall'art. 21 nonies). 2. Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato il provvedimento n. 4455 del 23 maggio 2023 (prot. n. 0151611/2023 del 29 maggio 2023), avente ad oggetto l'annullamento in autotutela del titolo abilitativo in sanatoria "auto assentito con perizia giurata ex art. 28 della L.R. 16/2016", ai sensi dell'art. 21 nonies della L. 241/90, ribadendo in sostanza la censura già articolata con il ricorso principale secondo cui il vincolo PAI non poteva applicarsi per le pratiche di sanatoria avviate prima della sua imposizione, nel caso di specie nel 1986, con la conseguenza che la ricorrente non era tenuta ad acquisire alcun parere dell'Autorità di Bacino. 3. Si è costituito in giudizio il Comune di Messina ed ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso nella parte in cui con esso sono state impugnate le comunicazioni di avvio del procedimento, in quanto atti endoprocedimentali non immediatamente lesivi e, comunque, la tardività delle doglianze sollevate, con il ricorso notificato in data 5 maggio 2023, nei confronti della nota prot. n. 57916 del 2 marzo 2023, notificata in pari data. Nel merito, il Comune ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato. In particolare, quanto alla dedotta intervenuta formazione del silenzio-assenso, afferma la difesa dell'Ente che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ciò che rileva non è la presentazione dell'istanza di condono nel 1986, ma la presentazione della perizia giurata ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 16/2016 in data 13 settembre 2021, sarebbe questo il momento da prendere in considerazione ai fini della verifica della sussistenza di tutti i presupposti per la sanatoria e non vi sarebbe dubbio che a quella data avrebbe dovuto essere acquisito il parere dell'autorità di bacino preposta alla tutela del vincolo introdotto con il D.P. n. 09/AdB del 6 maggio 2021. 4. Successivamente sull'intervento di manutenzione straordinaria oggetto di SCIA l'Autorità di bacino ha rilasciato parere favorevole con nota prot. n. 15433 del 20 giugno 2023 (cfr doc. n. 13); per l'immobile oggetto di condono edilizio il Comune di Messina, acquisito il parere favorevole dell'Autorità di Bacino - Distretto Idrografico della Sicilia prot. n. 1800 del 18.07.2023, ha esitato favorevolmente l'istanza di condono edilizio presentata in data 16.06.1986 e ha rilasciato alla ricorrente la concessione edilizia in sanatoria n. 13 del 20.12.2023, versata in atti in data 27 marzo 2024, avente ad oggetto il compendio immobiliare per cui è causa. Sempre in data 27 marzo 2024, il Comune ha inoltre depositato la nota prot. n. 54309 del 26.01.2024 con cui l'amministrazione, in relazione alla SCIA presentata, ha chiesto una integrazione documentale ed ha, inoltre, comunicato che qualora i lavori intrapresi "siano stati eseguiti senza i requisiti necessari, tali attività dovranno essere regolarizzate mediante l'istituto dell'accertamento di conformità ". 5. Con memoria in data 5 aprile 2024, la ricorrente ha rappresentato di aver depositato in data 2 aprile 2024, in riscontro alla nota del Comune del 26 gennaio 2024, una relazione in cui ha illustrato tutti gli interventi effettuati ed ha chiarito che, a suo avviso, per le opere realizzate sul basso fabbricato fosse necessaria la presentazione di una SCIA in sanatoria ai sensi dell'art. 37, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001, che ha poi effettivamente presentato. Inoltre ha precisato di avere comunque interesse alla decisione dei ricorsi, nonostante l'intervenuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985. 6. Con memoria di replica il Comune ha, infine, rappresentato di aver adottato, a seguito della documentazione prodotta dalla ricorrente in data 2 aprile 2024, il provvedimento prot. n. 141810 del 16 aprile 2024, inerente il procedimento di CILA Superbonus 110%. 7. Alla pubblica udienza in data 8 maggio 2024, la causa è stata discussa e posta in decisione. 8. Preliminarmente, il Collegio, esaminate le eccezioni in rito sollevate dal Comune resistente, ritiene fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo nella parte in cui con esso si impugnano le note prot. n. 57916 del 2 marzo 2023 e prot. n. 83012 del 28 marzo 2023, in quanto atti endoprocedimentali non immediatamente lesivi. Ed invero si tratta di due comunicazioni di avvio del procedimento (volto all'annullamento in autotutela della perizia giurata presentata nel 2021 dalla ricorrente), prive per giurisprudenza pacifica di portata lesiva, come tali non immediatamente impugnabili. 9. Per il resto, il ricorso ed i motivi aggiunti, vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse relativamente all'istanza caducatoria, in quanto, nelle more del giudizio parte ricorrente ha conseguito il bene della vita, avendo tutte le opere in contestazione ottenuto il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo oggi vigente (cfr i pareri favorevoli rilasciati dall'Autorità di Bacino, con nota prot. n. 15433 del 20 giugno 2023, con riferimento all'intervento di manutenzione straordinaria oggetto di SCIA, e con nota prot. n. 1800 del 18.07.2023 con riguardo al condono) ed essendo stata, conseguentemente, rilasciata dal Comune la concessione edilizia in sanatoria n. 13 del 20.12.2023 sul compendio immobiliare interessato. Ne consegue che è certamente venuto meno l'interesse alla decisione sia del ricorso principale - nella parte in cui con esso è stato impugnato il provvedimento con cui il Comune di Messina, con riferimento alla SCIA presentata dalla ricorrente (acquisita al prot. n. 309942 del 25/11/2022) ha disposto che: "non si procede con l'esame istruttorio in quanto, a seguito della nota prot. 0057916/2023 del 02/03/2023 (che si allega) del Servizio Condono Edilizio di questo Dipartimento, gli immobili oggetto di intervento sono privi dello stato legittimo di cui all'art. 9 bis del DPR 380/2001 (...)" - sia dei motivi aggiunti aventi ad oggetto il provvedimento 4455/2023 di "annullamento in autotutela della perizia giurata ex art. 28 della L.R. 16/2026, ai sensi dell'art. 21 nonies della L. 241/90 e s.m.i.". Il giudizio deve, però, proseguire quanto all'accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti impugnati, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., in considerazione della dichiarazione di parte ricorrente circa il persistente interesse alla decisione ai fini risarcitori. Vanno, sotto tale profilo, richiamati i principi di diritto, affermati nella sentenza dell'Adunanza plenaria n. 8 del 2022, secondo cui "per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm."; "una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda". 10. Nel merito, il ricorso e i motivi aggiunti sono fondati per l'assorbente considerazione che sull'istanza di condono prot. n. 5614/1986, presentata dal dante causa della ricorrente in data 16 giugno 1986, deve ritenersi formato il silenzio assenso disciplinato dall'art. 35, comma 17 della legge n. 47/85 ove si prevede che "Fermo il disposto del primo comma dell'art. 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'art. 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto conguaglio o al rimborso spettanti". A tal fine il citato articolo prescrive, altresì, che: "Nelle ipotesi previste nell'art. 32 il termine di cui al dodicesimo comma del presente articolo decorre dall'emissione del parere previsto dal primo comma dello stesso art. 32." La normativa regionale contenuta nell'art. 26 della L.R. n. 37/1985 ricalca quella statale prevedendo per quanto di interesse che: "Fermo il disposto del primo comma dell'art. 40, decorso il termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda, nei casi previsti dal primo comma dell'art. 23 della presente legge, la stessa si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute ed abbia altresì esibito al comune la prova dell'avvenuta presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento. Negli altri casi previsti dall'art. 23 della presente legge, con esclusione comunque dei casi di insanabilità di cui al decimo comma dello stesso articolo, il termine perentorio di 24 mesi decorre dalla data di rilascio del parere, nulla - osta o comunque delle determinazioni favorevoli delle competenti autorità o dalla data di approvazione del piano particolareggiato di recupero di cui al tredicesimo comma del citato art. 23.". Come chiarito anche dalla consolidata giurisprudenza, la formazione del silenzio assenso è ricollegata, non solo alla presentazione della domanda di condono ed al decorso infruttuoso del termine di legge, ma richiede che siano soddisfatte tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti stabiliti dalla legge per il rilascio del titolo stesso. Nel caso di specie, la ricorrente ha rappresentato e documentato - e la circostanza non è stata contestata dal Comune resistente - che la pratica di condono edilizio presentata nel 1986, come successivamente integrata in data 1.9.1997, risultava corredata da tutta la produzione documentale richiesta, che la ditta richiedente aveva versato tutte le somme dovute, che era stata effettuata la denuncia all'Agenzia delle Entrate risultando gli immobili regolarmente censiti e, per quanto riguarda la compatibilità con i vincoli a suo tempo gravanti sull'area interessata, che erano stati acquisiti tutti i pareri favorevoli delle autorità preposte e, cioè, il nulla osta del Corpo forestale - Ispettorato Ripartimento delle Foreste rilasciato in data 27.10.1997 con prot. n. 22824/1997, riguardante il vincolo idrogeologico, e il nulla osta paesistico-ambientale rilasciato dalla Soprintendenza ai beni Culturali ed Ambientali in data 25.12.2012, prot. n. 3230/2012. Pertanto, deve ritenersi che allo scadere del termine di 24 mesi dalla emissione, a dicembre 2012, del parere paesistico-ambientale, previsto per la formazione del silenzio assenso in caso di immobili vincolati, sussistessero tutti i presupposti di fatto e di diritto richiesti dalla normativa al tempo vigente. Ed invero il Comune ha individuato quale unica causa ostativa alla formazione del titolo abilitativo per silentium il mancato rilascio del parere di competenza dell'Autorità di Bacino preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ambientale (PAI) intervenuto, tuttavia, soltanto nel 2021, quindi successivamente alla intervenuta maturazione del titolo. Gli immobili sui quali è stata presentata la SCIA devono, quindi, come correttamente prospettato della ricorrente, ritenersi assistiti da idoneo titolo edilizio quantomeno sin dal dicembre 2014 (24 mesi dal rilascio del nulla osta paesaggistico), potendo affermarsi che la formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio del 1986, accertata la presenza di tutti i presupposti di legge, abbia determinato in definitiva tutti gli stessi effetti che la legge riconnette al rilascio del provvedimento espresso di sanatoria. Né a diversa conclusione può condurre la circostanza della intervenuta presentazione nel novembre 2021 della perizia giurata ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 16/2016, la quale è stata evidentemente presentata dalla ricorrente solo cautelativamente ed al fine di ottenere il rilascio di un provvedimento espresso, nonostante la già intervenuta maturazione, per quanto detto, del provvedimento tacito di assenso. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, gli immobili della ricorrente sono stati comunque ritenuti compatibili anche con il sopravvenuto vincolo PAI dall'Autorità di Bacino che sugli stessi ha espresso parere favorevole con nota prot. n. 1800 del 18.07.2023 e, di conseguenza, il Comune ha rilasciato la concessione in sanatoria n. 13 in data 20.12.2023. 11. In conclusione, il ricorso introduttivo va dichiarato inammissibile nella parte in cui si impugnano le note prot. n. 57916 del 2 marzo 2023 e prot. n. 83012 del 28 marzo 2023 e per la restante parte va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, relativamente alla domanda di annullamento dei provvedimenti con esso impugnati e, cioè, le note dell'Ufficio Servizi Territoriali e Urbanistici - Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Messina prot. n. 64586 del 9 marzo 2023, prot. n. 77978 del 23 marzo 2023 e prot. n. 114913 del 18 aprile 2023 con le quali è stata vietata l'attività edilizia di cui alla SCIA presentata dalla ricorrente; il ricorso per motivi aggiunti va anch'esso dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con riguardo alla domanda di annullamento del provvedimento n. 4455 del 23 maggio 2023 (prot. n. 0151611/2023 del 29 maggio 2023) impugnato. Il ricorso ed i motivi aggiunti vanno, invece, accolti con riferimento alla domanda di accertamento di illegittimità dei provvedimenti con essi impugnati. 12. Le spese possono essere compensate tra le parti costituite in ragione della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: a) dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile, in parte improcedibile, mentre lo accoglie con riferimento alla domanda di accertamento della illegittimità ; b) dichiara il ricorso per motivi aggiunti improcedibile relativamente alla domanda di annullamento del provvedimento con esso impugnato, lo accoglie per quanto attiene l'accertamento della sua illegittimità . Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Daniele Profili - Primo Referendario Valeria Ventura - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), promosso dal Consiglio di Stato, sezione settima, nel procedimento vertente tra M. N., l’Associazione nazionale tributaristi LAPET e l’Agenzia delle entrate, con ordinanza del 31 gennaio 2024, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2024. Visti l’atto di costituzione di M. N. e dell’Associazione nazionale tributaristi LAPET, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2024 il Giudice relatore Marco D’Alberti; uditi gli avvocati Massimo Luciani per il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e Antonio Martini per M. N. e l’Associazione nazionale tributaristi LAPET, nonché l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 19 giugno 2024. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 31 gennaio 2024, iscritta al n. 23 reg. ord. 2024, il Consiglio di Stato, sezione settima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e 16 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. La disposizione è censurata nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) nell’elenco di professionisti contenuto nelle sole lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 3 del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), ossia «gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro» (lettera a) e «i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria» (lettera b), e non li individua anche «negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e)», ossia «gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze». 1.1.– Le questioni sono sollevate nel giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, che ha respinto il ricorso presentato da M. N., di professione tributarista, e dall’Associazione nazionale tributaristi LAPET (di seguito: LAPET), alla quale la prima è iscritta, per l’annullamento della «nota» di data 11 febbraio 2021 con cui l’Agenzia delle entrate - Direzione regionale per la Puglia ha negato a M. N. l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA, inviate dalla stessa all’amministrazione finanziaria. Il rimettente premette che: – il diniego impugnato davanti al TAR Puglia si fonda sul disposto dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, in quanto tale disposizione, nel rinviare all’art. 3, comma 3, lettere a) e b), del d.P.R. n. 322 del 1998, riserva il rilascio del visto di conformità ai soli soggetti abilitati all’invio in forma telematica delle dichiarazioni dei redditi indicati nelle citate lettere a) e b); – il medesimo art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998 prevede ulteriori categorie di soggetti abilitati all’invio in forma telematica delle dichiarazioni dei redditi, tra le quali, in via residuale, quella degli «altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze», di cui alla lettera e); – in attuazione di quest’ultima disposizione, il decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 2001, recante «Ampliamento delle categorie di soggetti da includere tra gli incaricati alla trasmissione telematica dei dati contenuti nelle dichiarazioni. Art. 3, comma 3, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 1999, n. 542», ha abilitato all’invio in forma telematica delle dichiarazioni dei redditi «coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale», categoria in cui rientrerebbero i tributaristi iscritti alla LAPET; – la LAPET è «un’associazione professionale a carattere nazionale, costituita tra coloro che esercitano la consulenza nelle materie contabili, fiscali e tributarie, senza iscrizione in albi professionali», con compiti statutari di «vigilanza sulla attività professionale degli associati nei confronti dei terzi e della pubblica amministrazione»; – tra le parti del giudizio a quo è pacifico che la professione di tributarista, oltre ad essere «riconosciuta da numerose norme di legge», consisterebbe «nella tenuta della contabilità delle imprese; nell’assistenza fiscale comprensiva della compilazione delle dichiarazioni fiscali e dell’abilitazione alla trasmissione telematica delle dichiarazioni stesse; ed inoltre in tutte le altre attività riferibili ai servizi contabili, fiscali, tributari amministrativi e/o aziendali, tranne quelli riservati a professionisti iscritti in albi, ruoli od elenchi»; – l’art. 23 del decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164 (Regolamento recante norme per l’assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza fiscale per le imprese e per i dipendenti, dai sostituti d’imposta e dai professionisti ai sensi dell’articolo 40 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241), nel disporre che «[i] professionisti rilasciano il visto di conformità se hanno predisposto le dichiarazioni e tenuto le relative scritture contabili» (comma 1), porrebbe una regola di identità tra il soggetto che appone il visto di conformità e colui che predispone le dichiarazioni e cura la tenuta delle scritture contabili, «senza tuttavia consentire il reciproco, [...] cioè il rilascio del visto di conformità da parte del professionista [non abilitato a tale rilascio] che abbia presentato all’amministrazione finanziaria la dichiarazione dei redditi»; – il visto di conformità avrebbe lo scopo (indicato nella circolare del Ministero delle finanze del 17 giugno 1999, n. 134, in tema di «Disposizioni in materia di assistenza fiscale – Visto di conformità di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 241 del 1997») di «garantire ai contribuenti assistiti un corretto adempimento di taluni obblighi tributari» e di «agevolare l’Amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare e nell’esecuzione dei controlli di propria competenza». Esso si distinguerebbe, secondo le definizioni enunciate nell’art. 2 del citato d.m. 31 maggio 1999, n. 164, in un visto cosiddetto “leggero” e in uno cosiddetto “pesante”, corrispondenti ad altrettanti livelli di certezza sulla correttezza delle dichiarazioni fiscali. Il primo, previsto dall’art. 35, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 241 del 1997, consisterebbe nell’attestazione di conformità tra i dati esposti nella dichiarazione dei redditi e la documentazione ad essa relativa, implicando «il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto» (art. 2, comma 1, del d.m. 31 maggio 1999, n. 164); il secondo, previsto al comma 1, lettera a), dello stesso art. 35, attesterebbe la regolare tenuta della contabilità da parte del contribuente e la corrispondenza ad essa dei dati esposti nella dichiarazione dei redditi (art. 2, comma 2, del medesimo decreto ministeriale); – M. N. e la LAPET hanno riproposto in appello le censure già disattese dal TAR Puglia, sostenendo, in primo luogo, che il rinvio alla norma regolamentare di cui al d.P.R. n. 322 del 1998, contenuto nell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, sarebbe interpretabile estensivamente, così da potersi riferire anche ai tributaristi non costituiti in un ordine, e prospettando, in secondo luogo, questioni di legittimità costituzionale e «pregiudiziali comunitarie», per l’esistenza di un’ingiustificata discriminazione in danno dei tributaristi. 1.2.– Ciò premesso, il rimettente osserva che l’interpretazione estensiva prospettata dagli appellanti nel processo principale non sarebbe percorribile, in quanto, «lungi dal rimanere circoscritta al dato testuale, [...] si tradurrebbe nell’integrazione del precetto normativo fissato dalla richiamata norma primaria». Da qui, secondo il rimettente, la rilevanza delle eccepite questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, «poiché il disposto della norma primaria con il rinvio in essa contenuto, non interpretabile estensivamente [...], costituisce l’unico fondamento del diniego di abilitazione al rilascio del visto di conformità impugnato nel [...] giudizio [a quo]». Di tali questioni, tuttavia, sarebbero non manifestamente infondate solo quelle riferite agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione ai parametri interposti sopra indicati. 1.3.– In primo luogo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., per lesione dei principi di ragionevolezza e di non discriminazione. Il rimettente osserva, preliminarmente, che il rilievo pubblicistico del visto di conformità, correlato all’attività di controllo spettante all’amministrazione finanziaria, esige che l’individuazione delle figure professionali abilitate al suo rilascio risponda a ragioni di affidabilità e di competenza. Tali ragioni, tuttavia, non varrebbero a giustificare la riserva a favore dei soli professionisti iscritti negli albi e nei ruoli indicati alle lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 3 del d.P.R. n. 322 del 1998. L’ordinamento, infatti, consentirebbe ai tributaristi, benché non iscritti, di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, nonché di trattare e conservare i dati contabili, rendendo così ingiustificata la loro esclusione dal rilascio del visto di conformità, non solo di quello “leggero”, consistente in un controllo di carattere formale sulla corrispondenza della documentazione utilizzata per le dichiarazioni fiscali con i dati in esse esposti, ma anche di quello “pesante”, esteso al controllo sostanziale sulla regolare tenuta della contabilità da parte del contribuente e sulla corrispondenza ad essa dei dati esposti nelle dichiarazioni. Né la riserva in esame – e la conseguente diversità di trattamento – sarebbero ragionevolmente giustificate da un «principio di preferenza per le professioni organizzate in ordini o collegi», discendente dalla loro organizzazione in un ente esponenziale istituito per legge e titolare di poteri di carattere pubblicistico sui relativi appartenenti, tra cui il potere di vigilanza sul rispetto della deontologia richiesta per l’esercizio dell’attività. Questo principio, di cui sarebbe espressione la disposizione censurata, poggerebbe sul presupposto che solo una vigilanza deontologica istituzionale sui soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità sia in grado di offrire all’amministrazione finanziaria garanzie adeguate ai fini dell’attività di controllo delle dichiarazioni fiscali. Tuttavia, l’evoluzione del quadro normativo avrebbe reso non più «attuale» un simile presupposto, così da giustificare l’abbandono dell’orientamento giurisprudenziale «contrario alle tesi degli appellanti», espresso dal medesimo Consiglio di Stato, sezione quarta, nella sentenza 28 novembre 2012, n. 6028. Infatti, la legge 14 gennaio 2013, n. 4 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate), sancendo il principio del libero esercizio delle professioni non ordinistiche, con l’obiettivo di adeguare l’ordinamento giuridico nazionale ai «principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione» (art. 1, comma 1), avrebbe introdotto elementi di assimilazione tra professioni organizzate in ordini o collegi e professioni che tali non sono. In particolare, il rimettente osserva che la legge n. 4 del 2013: – prevede la libera costituzione di associazioni professionali «di natura privatistica [...] con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza», e con i compiti di promuovere «la formazione permanente dei propri iscritti», di «vigila[re] sulla condotta professionale degli associati e stabili[re] le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni» del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229) (art. 2, commi 1 e 3); – consente alle associazioni in questione di iscriversi in un elenco «pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico [ora Ministero delle imprese e del made in Italy] nel proprio sito internet», da cui deriva la «assunzione di responsabilità» sul possesso dei requisiti previsti dalla legge per queste forme associative professionali e sul rispetto delle prescrizioni della medesima legge (art. 2, comma 7); – collega all’iscrizione nel menzionato elenco – di cui la LAPET si sarebbe avvalsa – l’assoggettamento al potere ministeriale di vigilanza e di irrogazione di sanzioni. Pur riconoscendo (all’art. 2, comma 6) l’antitesi tra la libera professione, da un lato, e l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti iscritti al relativo albo professionale, d’altro lato, la legge n. 4 del 2013 avrebbe dunque promosso la costituzione di organizzazioni privatistiche a base associativa finalizzate a garantire che l’attività professionale prestata dai propri aderenti sia svolta secondo adeguati criteri di capacità e competenza professionale e nel rispetto delle relative norme deontologiche. Il raggiungimento di tale risultato determinerebbe, quanto al controllo sui requisiti di capacità e correttezza, anche sul piano deontologico, richiesti per il rilascio del visto di conformità, l’equiparazione delle due categorie di professioni, che si distinguerebbero ormai solo per la natura del mezzo (pubblicistica nell’un caso, privatistica nell’altro) utilizzato a questo fine. Risultando tali funzioni di controllo adeguatamente perseguibili attraverso strumenti privatistici, «tanto più quando questi siano a loro volta inquadrati in un sistema pubblicistico di vigilanza ministeriale», la disposizione censurata avrebbe creato una disparità di trattamento non giustificata rispetto ai professionisti iscritti all’ordine. 1.4.– L’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997 violerebbe anche l’art. 41 Cost. Dalla descritta riserva ex lege deriverebbe l’effetto di limitare, per le categorie non comprese in essa, il libero esercizio dell’attività professionale, incidendo negativamente sulla libertà di iniziativa economica dei tributaristi, dovendo i singoli professionisti e le loro associazioni rappresentative essere considerate imprese ai sensi del diritto della concorrenza. In particolare, i professionisti non iscritti agli ordini subirebbero uno sviamento di clientela verso i professionisti iscritti anche per attività non riservate a questi ultimi, in contrasto con il principio di concorrenza. Infatti, la mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni fiscali, senza possibilità di apporre il visto di conformità, priverebbe la clientela dei primi dei rilevanti vantaggi prodotti sulla posizione fiscale e amministrativa dall’apposizione del visto, con conseguente maggiore convenienza a rivolgersi ai professionisti iscritti all’ordine anche per la predisposizione e la trasmissione delle dichiarazioni fiscali, essendo costoro gli unici in grado di rilasciare il visto di conformità. In tal modo, la limitazione dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità avrebbe l’effetto di estendere la riserva, di fatto, anche ad attività liberalizzate, in contrasto con il carattere tassativo ed eccezionale, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, delle attività riservate agli iscritti all’ordine, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (sono citate le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 28 marzo 2019, n. 8683, e 11 giugno 2010, n. 14085). 1.5.– Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 56 TFUE e 16 della direttiva 2006/123/CE, «la quale osta a restrizioni normative nazionali non conformi ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità (par. 3 della disposizione da ultimo richiamata)». Premesso che secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea (grande camera, sentenza 30 gennaio 2018, in cause riunite C-360/15 e C-31/16, X e Visser) la richiamata direttiva si applicherebbe non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato e dunque anche in situazioni puramente interne, la discriminazione in danno della categoria dei professionisti non costituiti in un ordine violerebbe il «loro diritto di matrice sovranazionale alla libera prestazione dei [...] servizi», in quanto non necessaria, mancando un sottostante motivo imperativo di interesse generale, né proporzionata, eccedendo rispetto agli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato. 2.– M. N. e la LAPET, parti appellanti nel giudizio a quo, si sono costituite in giudizio con atto depositato il 26 marzo 2024, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata. 2.1.– Esse aderiscono alle questioni sollevate dal rimettente e prospettano ulteriori profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., evocando quali parametri interposti anche l’art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sulla tutela del diritto di ogni individuo «di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata», nonché «il combinato disposto» dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, e dell’art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, «considerata la normativa interna, ovvero l’art. 35, comma terzo del d.lgs. n. 241 del 1997, quale ostacolo alla piena espansione della concorrenza e, in ogni caso, capace [di] restringere e/o falsare il gioco della concorrenza interna». Infine, chiedono che questa Corte, ove ritenga necessario chiarire il significato e gli effetti delle norme dell’Unione europea evocate nel presente giudizio, promuova un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE. 3.– Con atto depositato il 26 marzo 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni. 3.1.– Secondo l’interveniente, tutte le questioni muovono dall’asserita irragionevolezza della distinzione tra professioni ordinistiche e non ordinistiche ai fini del rilascio del visto di conformità, sia “pesante” che “leggero”, non sussistendo più, ad avviso del rimettente, una differenza apprezzabile tra le due categorie professionali, tenuto conto dell’approvazione della legge n. 4 del 2013 e del fatto che i tributaristi non iscritti possono inviare le dichiarazioni dei redditi all’amministrazione finanziaria. Tale distinzione, tuttavia, sarebbe più che ragionevole e costituirebbe in ogni caso il frutto di una scelta discrezionale del legislatore non manifestamente irragionevole. 3.1.1.– Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., non sarebbe condivisibile l’assunto del rimettente per cui la citata legge n. 4 del 2013 avrebbe sostanzialmente equiparato professioni ordinistiche e non, sotto il profilo della garanzia di esercizio della professione nel possesso di requisiti di capacità e correttezza. L’interveniente osserva che i professionisti indicati nella disposizione censurata garantiscono in modo intenso l’amministrazione finanziaria circa la professionalità e la correttezza nell’apposizione del visto, in quanto hanno superato un esame di Stato o hanno conseguito una laurea abilitante alla professione; inoltre, essendo iscritti ad un albo vigilato da uffici ministeriali, sono soggetti a pregnanti obblighi deontologici, al controllo sullo svolgimento corretto e regolare dell’attività professionale e al potere disciplinare esercitato dall’ordine o collegio di appartenenza. La legge n. 4 del 2013, lungi dall’avere sostanzialmente assimilato le due categorie di professioni, ne avrebbe confermato la «scissione [...] in ordine alle attività», là dove, all’art. 2, comma 6, ha previsto che ai professionisti non organizzati in ordini o collegi, anche se iscritti alle associazioni professionali di natura privatistica disciplinate dallo stesso art. 2, «non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale». Sarebbe pertanto evidente che il legislatore del 2013 non ha parificato, ai fini che qui interessano, «i soggetti di cui alle lettere a) e b) rispetto a quelli di cui alla lettera e)», avendo ribadito il divieto per i secondi, in quanto non iscritti, di svolgere un’attività riservata dalla legge solo ai primi, in quanto iscritti. Né sarebbe sufficiente, ai fini dell’assimilazione prospettata dal giudice a quo, la prevista possibilità che le menzionate associazioni professionali siano iscritte in un apposito elenco pubblicato nel sito internet del Ministero delle imprese e del made in Italy, in quanto l’attività ministeriale di vigilanza conseguente a tale iscrizione non sarebbe esercitata sulle professioni non organizzate, ma esclusivamente sulla «corretta attuazione delle disposizioni della […] legge» (art. 10, comma 1, della legge n. 4 del 2013). Inoltre, il citato Ministero, qualora venissero meno i requisiti e le prescrizioni previste per l’iscrizione, non potrebbe esercitare un potere di sospensione o di cancellazione dell’associazione dall’elenco, mentre il potere sanzionatorio attribuito in via generale all’Autorità garante della concorrenza e del mercato opererebbe nelle sole ipotesi in cui la condotta delle associazioni iscritte configuri una pratica commerciale scorretta. Quanto ai singoli esercenti le professioni non ordinistiche, invece, non sussisterebbe un sistema generale di vigilanza e di controllo pubblicistico sulle attività professionali da essi svolte nei confronti dei terzi e della pubblica amministrazione. I tributaristi, peraltro, potrebbero esercitare la professione anche in assenza di iscrizione ad un’associazione, onde in tali ipotesi non sarebbe svolto nei loro confronti alcun controllo, né da parte dell’associazione, né da parte del ministero competente. La novella del 2013 non avrebbe dunque il fine di rimuovere dall’ordinamento le riserve di attività in favore dei professionisti iscritti (assunto, questo, implicitamente sotteso al ragionamento del giudice a quo), bensì il fine di disciplinare le professioni non ordinistiche, in precedenza non regolamentate, onde tutelare non soltanto i professionisti, ma soprattutto i consumatori e il mercato. Ciò posto, l’interveniente osserva che la scelta del legislatore rientrerebbe nella sua insindacabile sfera di discrezionalità, non potendosi nutrire dubbi sulla non manifesta irragionevolezza del diverso trattamento previsto dalla disposizione censurata. L’attività di rilascio del visto di conformità costituirebbe una specifica funzione pubblicistica delegata a soggetti privati, apparendo dunque ragionevole riservarla a professionisti che, essendo iscritti in albi o collegi, sono soggetti ai poteri di carattere pubblicistico – tra cui quello di far osservare la deontologia professionale – di cui è titolare il loro ente esponenziale istituito per legge. Le medesime considerazioni giustificherebbero la scelta di non delegare la suddetta funzione pubblicistica a professionisti iscritti ad associazioni di diritto privato, le quali potrebbero esercitare nei loro confronti, in linea di principio, poteri di natura meramente privatistica, dovendosi considerare, al riguardo, che l’apposizione del visto di conformità produce effetti giuridici di particolare rilevanza (in particolare, ai fini del rimborso dei crediti IVA e dell’utilizzo in compensazione di crediti tributari). Questioni analoghe – osserva ancora l’interveniente – sarebbero state comunque già esaminate da questa Corte, che con la sentenza n. 307 del 2002 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 del d.lgs. n. 241 del 1997, alla cui stregua il rilascio della «certificazione tributaria» è riservata ai revisori contabili, iscritti in determinati e specifici albi professionali, con una anzianità professionale di cinque anni. 3.1.2.– Le precedenti argomentazioni difensive consentirebbero di rigettare anche le questioni riferite agli artt. 41 e 117, primo comma, Cost., in quanto la violazione di tali parametri dovrebbe pur sempre presupporre l’irragionevolezza del diverso trattamento censurato dal rimettente. Si dovrebbe considerare, al riguardo, che la contestata riserva a favore delle professioni ordinistiche tende alla salvaguardia di altri interessi di rilievo costituzionale, tra i quali il buon andamento dell’amministrazione, la tutela delle pubbliche finanze nonché la tutela dei contribuenti, «potenzialmente rilevanti anche come consumatori». Alla luce della giurisprudenza costituzionale sulla necessità di bilanciare tutti i valori e i principi costituzionali, la questione si risolverebbe – nuovamente – nell’accertare se, in concreto, il bilanciamento tra i contrapposti interessi sia stato ragionevolmente operato dal legislatore. Quanto alla violazione dell’art. 41 Cost., l’attuale regime non pregiudicherebbe la libertà di iniziativa economica dei tributaristi non iscritti agli ordini professionali, in quanto costoro sono abilitati allo svolgimento di una serie di altre rilevanti attività in ambito fiscale. Il sistema vigente garantirebbe la tutela della concorrenza anche nell’ambito delle professioni ordinistiche, permettendo lo svolgimento dell’attività consistente nel rilascio del visto di conformità agli iscritti a diversi ordini professionali (l’ordine dei consulenti del lavoro e l’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili). Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., le motivazioni che hanno indotto il legislatore a limitare ad alcune categorie il rilascio del visto giustificherebbe, per le ragioni già esposte, il superamento dei principi della direttiva europea relativa ai servizi nel mercato interno, che prevede la derogabilità dei suoi principi generali per soddisfare un’esigenza imperativa di pubblico interesse, sempre che la deroga sia proporzionale. 4.– Con atto depositato il 26 marzo 2024 è intervenuto in giudizio anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che ha concluso per la manifesta inammissibilità e, in subordine, per la non fondatezza delle questioni. Il Consiglio ha anche depositato una memoria il 15 maggio 2024. 5. – Anche M. N. e la LAPET hanno depositato il 15 maggio 2024 una memoria illustrativa, in cui contestano l’ammissibilità dell’intervento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, richiamando la sentenza di questa Corte n. 307 del 2002. Contestano, altresì, l’eccezione di inammissibilità delle questioni per ambiguità del petitum, sollevata dall’interveniente, osservando che il risultato avuto di mira dal giudice a quo sarebbe quello di consentire anche ai professionisti non compresi nelle categorie di cui alle lettere a) e b), e individuati con riferimento alla lettera e), di apporre il visto di conformità. Nel merito, replicano alle deduzioni difensive del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’interveniente, deducendo, riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., che l’irragionevolezza della disposizione denunciata deriverebbe in modo evidente dalla discriminazione dei professionisti “non ordinistici” indicati nella lettera e) rispetto a quelli rientranti nella lettera b), considerato che «questi ultimi sono professionisti non ordinistici al pari dei ricorrenti, perché non iscritti ad albi ma inseriti nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, in esito ad una semplice domanda e senza aver superato un esame abilitante». Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. lamentano il contrasto con i seguenti ulteriori parametri interposti: artt. 3, paragrafo 3, e 5, paragrafi 1, 3 e 4, TUE; artt. 49 e 56 TFUE; art. 15 della direttiva 2006/123/CE; art. 59, paragrafo 9, della direttiva (UE) 2013/55 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, recante modifica della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno; artt. 1 e 7 della direttiva (UE) 2018/958 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018, relativa a un test della proporzionalità prima dell’adozione di una nuova regolamentazione delle professioni; artt. 15 e 16 CDFUE. 6.– L’intervento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili è stato dichiarato inammissibile con ordinanza letta in udienza. Considerato in diritto 1.– Il Consiglio di Stato, sezione settima, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 56 TFUE e 16 della direttiva 2006/123/CE. Tale disposizione è censurata nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA nei professionisti incaricati della trasmissione in via telematica delle dichiarazioni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998, ossia «gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro» (lettera a) e «i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria» (lettera b), e non li individua anche «negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e)», ossia «gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze», tra i quali rientrano «coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale», in forza del d.m. 19 aprile 2001. Le questioni sono sollevate nel giudizio di appello avverso la sentenza del TAR Puglia che ha respinto il ricorso presentato da M. N., tributarista, e dalla LAPET, alla quale la prima è iscritta, per l’annullamento del provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate le ha negato l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA, inviate dalla stessa all’amministrazione finanziaria. 1.1.– Secondo il rimettente, l’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, nel riservare il rilascio del visto di conformità solo a taluni professionisti, violerebbe in primo luogo i principi di ragionevolezza e di non discriminazione di cui all’art. 3 Cost., in quanto l’ordinamento consente ai tributaristi, benché non iscritti in ordini o collegi, di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, nonché di trattare e conservare i dati contabili. Ne conseguirebbe una disparità di trattamento non giustificata, alla luce del riconoscimento delle professioni non organizzate in ordini o collegi di cui alla legge n. 4 del 2013, in base alla quale il controllo sull’esistenza dei requisiti di capacità e correttezza e sul rispetto della deontologia professionale risulta adeguatamente perseguibile attraverso strumenti privatistici, quali sono le associazioni professionali disciplinate all’art. 2 della stessa legge. In secondo luogo, sarebbe violato l’art. 41 Cost., in quanto dalla disposizione censurata deriverebbe l’effetto di limitare, per le categorie non comprese nella riserva ex lege, il libero esercizio dell’attività professionale, incidendo negativamente sulla libertà di iniziativa economica dei tributaristi, i quali subirebbero uno sviamento di clientela verso i professionisti iscritti agli ordini anche per attività non riservate a questi ultimi, in contrasto con il principio di concorrenza. Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 56 TFUE e 16 della direttiva 2006/123/CE, per lesione del diritto alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione, in quanto la prospettata discriminazione in danno della categoria di professionisti non costituiti in un ordine non sarebbe necessaria, mancando un sottostante motivo imperativo di interesse generale, né sarebbe proporzionata, eccedendo rispetto agli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato. 2.– Va innanzitutto ribadita l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato in giudizio dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, per le ragioni indicate nell’ordinanza letta all’udienza del 5 giugno 2024, allegata alla presente sentenza. 3.– Nell’atto di costituzione in giudizio e nella successiva memoria illustrativa le parti appellanti nel processo principale hanno prospettato la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. anche in relazione a numerosi parametri interposti non evocati nell’ordinanza di rimessione, quali: gli artt. 15 e 16 CDFUE; gli artt. 49 e 101, paragrafo 1, TFUE; gli artt. 3, paragrafo 3, 4, paragrafo 3, e 5, paragrafi 1, 3 e 4, TUE; l’art. 15 della direttiva 2006/123/CE; l’art. 59, paragrafo 9, della direttiva 2013/55/UE; gli artt. 1 e 7 della direttiva 2018/958/UE. Per costante giurisprudenza costituzionale, «l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, mentre non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo [...], sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017, n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 271 del 2011 e n. 86 del 2008)» (sentenza n. 35 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 149 del 2021). Le ulteriori censure prospettate dalle parti del giudizio a quo sono dunque inammissibili, in quanto dirette a estendere il thema decidendum oltre i termini definiti nell’ordinanza di rimessione. Nella stessa memoria illustrativa le suddette parti deducono, in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., che l’irragionevolezza della disposizione censurata deriverebbe dalla discriminazione dei professionisti indicati nella lettera e) dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998 rispetto a quelli indicati nella precedente lettera b), considerato che «questi ultimi sono professionisti non ordinistici al pari dei ricorrenti, perché non iscritti ad albi ma inseriti nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, in esito ad una semplice domanda e senza aver superato un esame abilitante». Anche questo profilo di illegittimità costituzionale è inammissibile, non essendo contenuto nell’ordinanza di rimessione. Il giudice a quo, infatti, lamenta la sussistenza di una discriminazione lesiva dell’art. 3 Cost. perché la disposizione censurata costituirebbe l’espressione, irragionevole in quanto non più coerente con il mutato quadro normativo, di un principio di preferenza per le professioni del sistema ordinistico. A tal fine, egli mette a confronto soltanto i professionisti non organizzati in ordini o collegi, compresi tra i soggetti di cui alla lettera e), e quelli iscritti negli albi professionali, con evidente riferimento ai soggetti indicati nella lettera a) dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998 («gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro»). 4.– Nel merito, va innanzitutto precisato che il visto di conformità ha lo scopo di garantire ai contribuenti assistiti un corretto adempimento di taluni obblighi tributari e di agevolare l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare e nell’esecuzione dei controlli di propria competenza. Come questa Corte ha già osservato nella sentenza n. 307 del 2002, con riferimento alla «certificazione tributaria» di cui all’art. 36 del medesimo d.lgs. n. 241 del 1997, ma con argomenti estensibili anche al visto di conformità di cui all’art. 35, quest’ultimo fa parte degli strumenti adottati dal legislatore per semplificare gli adempimenti e riorganizzare il lavoro degli uffici. Queste finalità sono state perseguite mediante l’individuazione di “strutture intermedie” tra contribuente e amministrazione finanziaria, con il proposito di avvalersene non solo per l’assistenza fiscale a favore e nell’interesse del contribuente, ma anche per l’affidamento di compiti a dette “strutture” qualificate (individuate entro limitate fasce di soggetti), nel quadro di un alleggerimento del lavoro degli stessi uffici. Ciò all’evidente scopo di consentire controlli e verifiche degli uffici finanziari più agevoli e concentrati su dati in vario modo già oggetto di elaborazione e riscontro da parte delle anzidette “strutture intermedie”, che ne assumono la responsabilità. Si sono così attribuiti, in linea con il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, ultimo comma, Cost., compiti di collaborazione a soggetti qualificati, estranei all’apparato degli uffici pubblici, con affidamento di oneri e adempimenti da svolgere nell’interesse prevalente dell’amministrazione. Questo rapporto collaborativo si inquadra in una metodologia di riorganizzazione dell’attività amministrativa rivolta principalmente alla verifica e al riscontro di dati ed elementi raccolti e basati su dichiarazioni e asseverazioni, con assunzione di responsabilità da parte del soggetto dichiarante. In questa sede rilevano il visto di conformità di cui al comma 2, lettera a), dell’art. 35 del d.lgs. n. 241 del 1997 (comunemente detto “leggero”) e quello di cui al comma 1, lettera a), della stessa disposizione (comunemente detto “pesante”). Il primo ha per oggetto la «conformità dei dati delle dichiarazioni unificate alla relativa documentazione». Il regolamento di cui al d.m. 31 maggio 1999, n. 164, emanato ai sensi dell’art. 40 del d.lgs. n. 241 del 1997, precisa che esso implica «il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto» (art. 2, comma 1). Ne consegue che l’apposizione del visto attesta la corretta determinazione anche degli imponibili e dei relativi importi dovuti a titolo di saldo o di acconto ovvero dei rimborsi spettanti al contribuente assistito. Il secondo visto ha per oggetto la «conformità dei dati delle dichiarazioni predisposte […] alla relativa documentazione e alle risultanze delle scritture contabili, nonché di queste ultime alla relativa documentazione contabile». Lo stesso regolamento precisa (all’art. 2, comma 2) che esso implica, inoltre: «a) la verifica della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte sul valore aggiunto; b) la verifica della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e di queste ultime alla relativa documentazione». 4.1.– Ciò premesso, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata. La censura di irragionevole disparità di trattamento, con effetti discriminatori, si impernia sull’equiparabilità dei professionisti appartenenti al sistema ordinistico ai professionisti che, pur non essendo organizzati in ordini o collegi, possono operare come consulenti fiscali, predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, nonché trattare e conservare i dati contabili, ma non sono abilitati al rilascio del visto di conformità. L’equiparabilità – e quindi l’omogeneità tra le situazioni poste a confronto – deriverebbe dall’assoggettamento di entrambe le categorie professionali ad adeguate funzioni di controllo, anche sul piano deontologico, circa l’esistenza dei requisiti di capacità e correttezza professionale, funzioni che si distinguerebbero ormai solo per la natura (pubblicistica nell’un caso, privatistica nell’altro) del mezzo utilizzato per raggiungere lo scopo. Artefice di tale risultato sarebbe stata la legge n. 4 del 2013, che ha promosso la costituzione di organizzazioni privatistiche a base associativa finalizzate a garantire che l’attività professionale prestata dai propri aderenti sia svolta secondo adeguati criteri di capacità e competenza professionale e nel rispetto delle relative norme deontologiche. Al riguardo, si osserva in primo luogo che la stessa legge n. 4 del 2013 prevede, al comma 6 dell’art. 2, che «[a]i professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale». Il legislatore del 2013 distingue, quindi, le due categorie sotto lo specifico profilo delle attività che la legge può riservare ai professionisti organizzati in ordini o collegi. Nessuna equiparazione è dunque predicabile, ai fini che qui interessano, avendo proprio la legge n. 4 del 2013 ribadito il divieto per i professionisti non organizzati, anche se iscritti alle associazioni, di svolgere un’attività riservata dalla legge a specifiche categorie di soggetti. In secondo luogo, non rileva che le associazioni professionali di cui all’art. 2 della legge n. 4 del 2013 siano «inquadrat[e] in un sistema pubblicistico di vigilanza ministeriale», come afferma il giudice a quo, attesa la possibilità che esse si iscrivano volontariamente nel menzionato elenco pubblicato nel sito internet del Ministero (ora) delle imprese e del made in Italy. Tale iscrizione comporta esclusivamente, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 4 del 2013, un’attività ministeriale di vigilanza sulla corretta attuazione delle disposizioni della legge da parte delle associazioni, senza poteri di cancellazione dall’elenco e di vigilanza sui professionisti. È vero che le associazioni, comprese o non comprese nell’elenco, promuovono la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis cod. consumo, vigilano sulla condotta professionale degli associati e stabiliscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice (art. 2, comma 3, della legge n. 4 del 2013), ma l’esercizio di tali funzioni, in violazione delle regole di condotta, potrebbe comportare al massimo, sul piano deontologico e disciplinare, l’esclusione dell’associato dall’associazione, in base alle regole statutarie e civilistiche, senza incidere direttamente sulla continuità dell’esercizio della professione. Il professionista rimane esposto solo alla responsabilità per le pratiche commerciali scorrette, prevista dall’art. 27 cod. consumo. Quanto agli ordini professionali (come quelli a cui appartengono i professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità), la costante giurisprudenza di questa Corte, «peraltro in armonia con la giurisprudenza di legittimità (fra le altre, Cassazione civile, sezione prima, sentenza 14 ottobre 2011, n. 21226) e con la giurisprudenza amministrativa (fra le tante, Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 16 marzo 2004, n. 1344), li ha configurati come “enti pubblici ad appartenenza necessaria” (sentenza n. 405 del 2005)» (sentenza n. 259 del 2019). Questa Corte ha, inoltre, riconosciuto che la loro istituzione e disciplina «“risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso”, affidando loro “il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi”, in vista dell’obiettivo di “garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività” (sentenza n. 405 del 2005). Si tratta, in altri termini, di organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati “alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale” (sentenza n. 173 del 2019, inerente all’Ordine forense), connessi all’esercizio di attività professionali» (ancora, sentenza n. 259 del 2019). Tali poteri, funzioni e prerogative sono dunque più estesi ed effettivi di quelli esercitati dalle associazioni previste dalla legge n. 4 del 2013, in quanto sottoposti a diretta vigilanza da parte di organi statali e corredati da incisive potestà disciplinari nei confronti degli iscritti, che possono determinare, tra l’altro, la sospensione o la radiazione, con conseguente impossibilità (temporanea o definitiva) di esercitare legittimamente la professione, e quindi tutte le attività per cui è richiesta l’iscrizione all’albo. A ciò va aggiunto che il legittimo accesso agli albi presuppone il superamento di un apposito esame di Stato diretto alla verifica dei requisiti necessari per l’esercizio della professione, non previsto per l’iscrizione alle citate associazioni. 4.1.1.– Accertato che permane una diversità sostanziale tra le due categorie di professionisti, resta da verificare la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore, in quanto di fronte a norme che differenziano alcuni soggetti dagli altri «gli argomenti relativi all’eguaglianza e quelli relativi alla ragionevolezza si sovrappongono e si intrecciano, costituendo la ragionevolezza, oltre che canone autonomo di legittimità della legge, anche – e prima ancora – criterio applicativo del principio di eguaglianza (sentenza n. 148 del 2017 e ordinanza n. 184 del 2018)» (sentenza n. 77 del 2023). La verifica conduce a un esito positivo. È da considerare il rilevante interesse pubblico correlato al rilascio del visto di conformità, che non si risolve nella mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni o nella tenuta delle scritture e dei dati contabili, ma è diretto ad agevolare e rendere più efficiente l’esercizio dei poteri di controllo e di accertamento dell’amministrazione finanziaria, con assunzione della relativa responsabilità (si pensi, ad esempio, alla corretta determinazione degli oneri detraibili collegati al cosiddetto “superbonus edilizio”). Non è dunque irragionevole abilitare al rilascio del visto i professionisti iscritti a ordini, che, avendo superato un esame di Stato per accedere agli albi ed essendo soggetti alla penetrante vigilanza degli ordini anche sul piano deontologico, sono muniti di particolari requisiti attitudinali e di affidabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione alla corretta esecuzione dell’adempimento. È evidente, sotto questo profilo, non già la conformità della disposizione censurata a un generale principio di preferenza dell’ordinamento per le professioni ordinistiche, ipotizzato dal rimettente, bensì il rapporto tra le scelte operate dal legislatore e «le esigenze di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione» (sentenza n. 307 del 2002). 4.1.2.– In definitiva, sono da escludere sia la discriminazione che l’irragionevolezza prospettate dal rimettente, in riferimento all’art. 3 Cost. 4.2.– La violazione dell’art. 41 Cost. deriverebbe dall’incidenza negativa della disposizione censurata sulla libertà di iniziativa economica dei tributaristi non iscritti agli ordini, i quali subirebbero uno sviamento di clientela verso i professionisti iscritti anche per attività non riservate a questi ultimi, in contrasto con il principio di concorrenza. Il giudice a quo osserva che i contribuenti sarebbero indotti a rivolgersi con preferenza ai professionisti che possono rilasciare il visto di conformità anche per la predisposizione e la trasmissione delle dichiarazioni fiscali, poiché in tal modo potrebbero giovarsi dei vantaggi connessi all’apposizione del visto. Ciò estenderebbe la riserva, di fatto, anche ad attività liberalizzate, in contrasto con il carattere tassativo ed eccezionale delle attività riservate agli iscritti all’ordine. 4.2.1.– La questione non è fondata. Secondo il costante orientamento di questa Corte (tra le molte, sentenze n. 150 del 2022, n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 56 del 2015), non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica privata allorché, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, all’utilità sociale, purché l’individuazione di quest’ultima, che spetta al legislatore, non appaia arbitraria e non venga perseguita mediante misure palesemente incongrue. In altri termini, in forza dell’art. 41 Cost., «sono ammissibili limiti della libertà d’iniziativa economica privata, purché giustificati dall’esigenza di tutelare interessi di rango costituzionale», ferma la necessaria «congruità e proporzionalità delle relative misure, risultando in tal modo chiara la correlazione esistente tra tale parametro e l’art. 3 Cost.» (sentenza n. 94 del 2013). Questi principi valgono anche per la tutela della libertà di concorrenza, che pure trova fondamento nell’art. 41 Cost. Libertà di rilievo essenziale nell’ordinamento giuridico, che può tuttavia incontrare limiti, purché ragionevoli e proporzionati, quando entri in gioco lo svolgimento di funzioni di tipo pubblicistico, come certamente è quella del rilascio del visto di conformità qui in esame. Ebbene, richiamate le precedenti considerazioni sullo scopo perseguito dal legislatore (punti 4 e 4.1.1. del Considerato in diritto), i limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica censurati dal rimettente sono giustificati dall’utilità sociale non arbitrariamente individuata nelle già indicate esigenze, corrispondenti a interessi di rango costituzionale, di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione finanziaria, ex art. 97 Cost. Né la misura disposta dal legislatore risulta palesemente incongrua rispetto a tale finalità, per le ragioni già individuate nello scrutinio di ragionevolezza. Profili di arbitrarietà o di palese incongruità non derivano nemmeno dagli asseriti effetti di sviamento della clientela a favore dei professionisti iscritti agli albi, prospettati dal giudice a quo. A tal proposito, va precisato che si tratta di conseguenze ipotetiche ed eventuali, in quanto la scelta del professionista cui affidare la predisposizione e la trasmissione delle dichiarazioni, nonché la tenuta della contabilità, non è necessariamente condizionata dall’interesse del cliente ad ottenere il visto di conformità, potendo entrare in gioco fattori diversi (non da ultimo, il corrispettivo della prestazione). D’altra parte, non si può ritenere che la disposizione censurata consenta un’estensione della riserva anche ad attività liberalizzate, poiché essa ragionevolmente integra e rafforza le garanzie di corretta esecuzione dell’adempimento, assicurando che il visto sia rilasciato da un qualificato professionista che abbia direttamente elaborato e riscontrato i dati utilizzati per le dichiarazioni, nell’ambito di una prestazione che il legislatore considera inscindibile. Anche da questo angolo visuale, dunque, la scelta dei professionisti abilitati operata dal legislatore è congrua rispetto al perseguimento dell’utilità sociale sopra indicata. Finalità, quest’ultima, che vale di per sé ad escludere che l’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997 abbia perseguito il diverso scopo, censurato dal rimettente, di «tutelare [...] l’interesse corporativo di una categoria professionale a mantenere sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica». 4.3.– Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., per lesione del diritto dei professionisti non costituiti in ordini o collegi alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea. In particolare, la discriminazione di tale categoria di professionisti non sarebbe necessaria, mancando un sottostante motivo imperativo di interesse generale, né sarebbe proporzionata, eccedendo rispetto agli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato. 4.3.1.– Anche tale questione non è fondata. Il rimettente indica quali parametri interposti gli artt. 56 TFUE e 16 della direttiva 2006/123/CE. L’art. 56 TFUE prevede che «[...] le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione» (paragrafo 1). La libertà di prestazione dei servizi trova dunque applicazione in presenza di un elemento transfrontaliero e non invece in situazioni puramente interne, come quella in esame. La medesima conclusione vale anche per l’art. 16 della direttiva 2006/123/CE. Questa disposizione, contenuta nel Capo IV della direttiva, relativo alla libera circolazione dei servizi, prevede che «[g]li Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti» (paragrafo 1). È vero che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la direttiva 2006/123/CE si applica non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato, e dunque anche in situazioni puramente interne, ma tale principio, invocato dal rimettente, è stato affermato dalla giurisprudenza europea con riguardo alle disposizioni relative alla libertà di stabilimento di cui al Capo III della medesima direttiva (X e Visser, punti 103, 105, 108 e 110; nello stesso senso, sentenze 21 dicembre 2023, in causa C-278/22, Autotechnica Fleet Services, punto 31; 13 gennaio 2022, in causa C-55/20, Minister Sprawiedliwości, punto 89; 4 luglio 2019, in causa C-393/17, Kirschstein, punto 2: tutte relative a disposizioni del Capo III). Invece, «per quanto concerne le disposizioni del capo IV della direttiva 2006/123, relativo alla libera circolazione dei servizi», la Corte di giustizia ha osservato che «il legislatore dell’Unione si è dato cura di precisare più volte, in particolare all’articolo 16, paragrafo 1, e all’articolo 18, paragrafo 1, di tale direttiva, che dette disposizioni riguardano il diritto dei prestatori “di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti” e sono relative al caso “di un prestatore stabilito in un altro Stato membro”» (sentenza X e Visser, punto 102). 4.3.2.– Anche qualora si volesse sostenere che si tratti di una situazione transfrontaliera, la questione non sarebbe fondata. Sotto questo profilo, occorrerebbe verificare se l’applicazione della disposizione censurata a soggetti stabiliti in altri Stati membri sia compatibile con la libera prestazione dei servizi. Secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, una restrizione alla libera prestazione dei servizi è comunque giustificata a condizione che essa persegua un obiettivo di interesse generale (ossia risponda a motivi imperativi di interesse pubblico), sia idonea a garantire la realizzazione dello stesso e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo (tra le molte, sentenza 17 dicembre 2015, in causa C-342/14, X-Steuerberatungsgesellschaft, punto 52; sentenza 17 ottobre 2002, in causa C-79/01, Payroll, punto 28). La disposizione censurata rispetta queste condizioni. I motivi imperativi di interesse pubblico che ne giustificano l’adozione sono individuabili nell’interesse generale «collegato alla tutela dei destinatari dei servizi [...] nei confronti del danno che essi potrebbero subire a causa di servizi prestati da soggetti che non abbiano le necessarie qualifiche professionali o morali» (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 30 marzo 2006, in causa C-451/03, Servizi ausiliari dottori commercialisti, punto 38), nella «prevenzione dell’evasione fiscale» (sentenza X-Steuerberatungsgesellschaft, punto 53) e nella «efficacia dei controlli fiscali» (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 11 dicembre 2014, in causa C-678/11, Commissione europea, punto 45). L’idoneità a realizzare i predetti obiettivi deriva dagli stessi elementi che rendono la disposizione censurata non irragionevole (punto 4.1.1. del Considerato in diritto). Infine, la scelta operata dal legislatore non è sproporzionata, in quanto una disciplina meno restrittiva, che consentisse il rilascio del visto di conformità a chiunque presti liberamente consulenza fiscale, non offrirebbe le medesime garanzie di attitudine, di affidabilità e di sottoposizione dei professionisti a controlli stringenti, che possono condurre alla sospensione o alla cessazione della loro attività. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e 16 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, dal Consiglio di Stato, sezione settima, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Marco D'ALBERTI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Allegato: Ordinanza letta all'udienza del 5 giugno 2024 ORDINANZA Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), promosso dal Consiglio di Stato, sezione settima, con ordinanza del 31 gennaio 2024 (reg. ord. n. 23 del 2024) e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2024. Rilevato che nel giudizio è intervenuto, con atto depositato il 26 marzo 2024, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; che l'interveniente afferma di essere titolare di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto nel giudizio a quo, in quanto esso, ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139 (Costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell'articolo 2 della legge 24 febbraio 2005, n. 34), rappresenta istituzionalmente gli iscritti all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ai quali la disposizione censurata riserva, insieme a professionisti iscritti in altri albi o ruoli, il rilascio del visto di conformità delle dichiarazioni fiscali, ed è dotato di prerogative (in materia disciplinare, di formazione professionale continua e obbligatoria nonché di iscrizione e cancellazione dall'albo) direttamente incise dall'accoglimento della questione, venendo equiparate, per quanto riguarda l'attribuzione di affidabilità e di competenza ai propri iscritti, alle prerogative di un'associazione privata ad adesione volontaria, quale è l'Associazione nazionale tributaristi LAPET, parte del giudizio a quo; che la legittimazione all'intervento deriverebbe, inoltre, dall'essere il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili un controinteressato pretermesso nel giudizio a quo, il cui diritto di difesa, già leso da tale pretermissione, sarebbe definitivamente annullato ove fosse negata la possibilità di intervenire nel presente giudizio. Considerato che l'interveniente non è parte del giudizio a quo, né tale posizione discende dalla sua asserita qualità di controinteressato pretermesso nel medesimo giudizio; che ogni relativa questione, infatti, è di pertinenza del Giudice a quo; che, ai sensi dell'art. 4, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nei giudizi in via incidentale «[p]ossono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio»; che tale disposizione ha recepito la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4, commi 1 e 2, delle Norme integrative), essendo possibile derogare a ciò, senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio, soltanto a favore di terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio a quo (tra le molte, ordinanze n. 225 del 2021, n. 271 e n. 37 del 2020) e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (tra le molte, sentenze n. 108 del 2023, con allegata ordinanza letta all'udienza del 4 aprile 2023, n. 46 del 2021, n. 206, con allegata ordinanza letta all'udienza del 4 giugno 2019, n. 159, n. 106, n. 98 e n. 13 del 2019, con allegata ordinanza letta all'udienza del 4 dicembre 2018; ordinanze n. 225, n. 191 e n. 24 del 2021, n. 202 del 2020 e n. 204 del 2019); che tale interesse sussiste allorché si configuri una «posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata immediatamente e irrimediabilmente dall'esito del giudizio incidentale» (sentenza n. 159 del 2019; ordinanze n. 271 e n. 111 del 2020); che non è dunque sufficiente che l'interesse del terzo possa essere toccato dagli effetti della sentenza di accoglimento, ma deve sussistere un nesso diretto tra la sua posizione soggettiva e l'oggetto del giudizio a quo, poiché l'incidenza su tale posizione deve derivare non già, come per tutte le altre situazioni sostanziali disciplinate dalla disposizione denunciata, dalla pronuncia di questa Corte sulla legittimità costituzionale della disposizione stessa, ma dall'immediato effetto che tale pronuncia produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo (tra le molte, sentenze n. 77 del 2023, n. 218 del 2021, con allegata ordinanza letta all'udienza del 5 ottobre 2021, e n. 253 del 2019, con allegata ordinanza letta all'udienza del 22 ottobre 2019; ordinanza n. 37 del 2020); che, alla luce di questi principi, non vale a legittimare l'intervento la funzione di rappresentanza istituzionale degli iscritti all'albo svolta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, «tanto più a fronte della [...] introduzione dell'art. 4-ter [attuale art. 6] delle Norme integrative, che consente alle formazioni sociali senza scopo di lucro e ai soggetti istituzionali "portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità" di presentare alla Corte un'opinione scritta in qualità di amici curiae» (ordinanza n. 37 del 2020); che neppure valgono a legittimare l'intervento le ulteriori funzioni svolte dal medesimo Consiglio nazionale in materia disciplinare, nonché in materia di vigilanza sulla formazione professionale degli iscritti all'albo, poiché manca un nesso qualificato e diretto fra le prerogative collegate a tali funzioni e lo specifico rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo; che quest'ultimo, infatti, pur potendo riguardare interessi professionali degli iscritti, concerne profili non idonei a compromettere immediatamente e irrimediabilmente le suddette prerogative, che non sarebbero menomate o comunque messe in gioco in via diretta dall'esito del presente giudizio; che l'intervento va pertanto dichiarato inammissibile. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile l'intervento in giudizio del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 233 del 2024, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. - Con provvedimento del 19 giugno 2023 la Prefettura di Crotone, Sportello Unico per l'immigrazione, ha revocato il nulla osta all'ingresso rilasciato al signor -OMISSIS- su istanza del datore di lavoro signor -OMISSIS- perché, a seguito di controlli posteriori al rilascio del nulla osta, è emerso che l'istanza era originariamente priva dell'asseverazione di cui all'art. 24-bis, co. 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e l'asseverazione successivamente depositata, a firma del dottore commercialista -OMISSIS-, non era valida, provenendo da soggetto non ancora iscritto all'albo dei consulenti del lavoro. L'Ispettorato territoriale del lavoro di Crotone ha aggiunto che la ditta svolgeva prevalentemente attività edilizia e non agricola o turistico alberghiera, che aveva solo due dipendenti e che il suo titolare aveva presentato istanza di regolarizzazione per 101 lavoratori. 2. - La revoca è stata impugnata dinanzi al Tar per la Calabria sul rilievo che l'Amministrazione non avrebbe tenuto conto che, dopo la comunicazione di avvio del procedimento di revoca del nulla osta, il datore di lavoro ha provveduto al deposito dell'asseverazione richiesta, a firma del dottore commercialista -OMISSIS-. In ogni caso, la mancanza dell'asseverazione non avrebbe potuto comportare la revoca del nulla osta, posto che essa è solo una modalità alternativa di espletamento delle verifiche già demandate all'Ispettorato del Lavoro. La sussistenza dei requisiti, quindi, avrebbe dovuto essere accertata dalla stessa amministrazione. 3. - Il Tar Catanzaro, con sentenza della sez. II, -OMISSIS-, ha respinto il ricorso sul rilievo che l'asseverazione non è stata presentata dal datore di lavoro al momento della presentazione della richiesta, né quella depositata successivamente è valida, provenendo, come dedotto dall'Amministrazione nelle proprie difese, da soggetto non ancora iscritto all'albo dei consulenti del lavoro. 4. - La sentenza della sez. II del Tar Catanzaro -OMISSIS- è stata impugnata con rituale ricorso in appello, riproducendo in chiave critica i motivi dedotti in primo grado. Ha dedotto l'appellante che l'asseverazione ex art. 44, d.l. n. 73 del 2022 può essere rilasciata anche da dottore commercialista, salvo l'obbligo di comunicare l'ambito territoriale dove ha intenzione di operare; tale comunicazione però non incide sulla validità e sulle capacità di poter rilasciare l'asseverazione, derivando tale facoltà direttamente dall'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti così come indicato dalla norma. La revoca si fonda sulla mancata produzione dell'asseverazione, ma tale circostanza non attiene alla sfera giuridica e personale del lavoratore. Ha aggiunto, con riferimento ai rilievi dell'Ispettorato del lavoro, che i principali settori di occupazione del lavoro stagionale non sono solo quelli agricolo e turistico perché negli anni c'è stato un incremento notevole delle attività a cui è risultato necessario includere la possibilità di contratto di lavoro a tempo determinato di carattere stagionale, nel quale inevitabilmente è rientrato anche il settore dell'edilizia; quanto al numero di lavoratori (101) per i quali il signor -OMISSIS-ha presentato l'istanza di regolarizzazione, l'appellante ha chiarito che il settore dell'edilizia, in virtù della possibilità di ottenere il cd. "superbonus 110%" ha registrato una notevole espansione, tale da determinare l'esigenza incrementale di manodopera. Infine, in merito alla sussistenza di irregolarità nel Durc nei confronti dell'Inps, Inail, Cassa Edile della Provincia di Potenza e con -OMISSIS-di Basilicata, essa, se mai fosse effettivamente confermata, non comporterebbe in nessun caso l'invalidità dell'asseverazione. Infine, l'appellante ha chiarito che la documentazione relativa alla sussistenza dei presupposti per la regolarizzazione avrebbe dovuto essere recuperata dalla stessa Amministrazione, in applicazione dell'art. 15, l. 12 novembre 2011, n. 183 giusta il quale non è possibile richiedere ai cittadini documenti detenuti da altre Amministrazioni. 5. - Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno sostenendo l'infondatezza, nel merito, dell'appello. 6. - Con ordinanza n. 384 del 2 febbraio 2024 è stata respinta l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata. 7. - Alla pubblica udienza del 4 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. - Come esposto in narrativa, il provvedimento emesso dalla Prefettura di Crotone, Sportello Unico per l'immigrazione, in data 19 giugno 2023, con il quale è stato revocato il nulla osta all'ingresso rilasciato all'appellante, contiene plurime motivazioni, di cui una espressa, rappresentata dalla mancanza dell'asseverazione di cui all'art. 24-bis, comma 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e le altre ob relationem, con il richiamo al parere negativo alla regolarizzazione, opposto dall'Ispettorato territoriale del lavoro di Crotone, che ha evidenziato che la ditta svolge prevalentemente attività edilizia e non agricola o turistico alberghiera, che ha solo due dipendenti a fronte di 101 domande di regolarizzazione presentate dal datore di lavoro in sette Sportelli (Bari, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Matera, Potenza, Vibo Valentia). Si tratta di motivi autonomi tra loro, ed è dunque applicabile la costante giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3970; id. 6 giugno 2011, n. 3382) secondo cui quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l'eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l'illegittimità . Il Tar ha respinto il ricorso ritenendo sufficiente il motivo legato alla mancata asseverazione di cui all'art. 24-bis, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998. Il Collegio ritiene condivisibile la conclusione alla quale è pervenuto il Tar nel ritenere non valida l'asseverazione del dottore commercialista perché la comunicazione di inizio attività di gestione del personale ex art. 1, l. 1 gennaio 1979, n. 12 è stata data il 12 luglio 2023, mentre l'asseverazione è stata trasmessa in data anteriore, il 16 giugno 2023. Giova ricordare che ai sensi dell'art. 1, l. n. 12 del 1979 "tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro a norma dell'articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra". Ne deriva che in tanto il commercialista può effettuare le attività indicate dalla legge, in quanto abbia provveduto a comunicare la sua intenzione di svolgere l'attività (di asseverazione), risultando conseguentemente invalido (rectius, inefficace) il compimento di ogni suo atto prima dell'incombenza descritta, a nulla rilevando sotto questo profilo le ulteriori conseguenze in capo al professionista che tale adempimento non abbia rispettato. In altri termini, contrariamente a quanto assume l'appellante la mancata comunicazione ha plurime conseguenze, sia in seno al procedimento per il quale l'asseverazione era stata resa sia in capo al professionista. La riprova è nell'art. 42, co. 2, d.l. 21 giugno 2022, n. 73, convertito dalla l. 4 agosto 2022, n. 122, che prevede una sanzione per l'inosservanza di tale obbligo, consistente nella revoca del nulla osta rilasciato. L'appellante non può essere seguito neanche allorché afferma che era onere dell'Amministrazione rinvenire la documentazione alla quale l'asseverazione si riferisce, facendo riferimento a certificati in possesso di Pubbliche amministrazioni che, ai sensi dell'art. 15, l. 12 novembre 2011, n. 183 non potevano essere richiesti, non essendo possibile richiedere ai cittadini documenti detenuti da altre Amministrazioni. L'art. 44, comma 2, d.l. n. 73 del 2022 ha chiarito che il datore di lavoro deve depositare, unitamente alla richiesta di assunzione del lavoratore straniero, l'asseverazione dell'esito positivo delle verifiche di congruità dei requisiti concernenti l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e del numero delle richieste presentate di cui all'art. 30-bis, comma 8, d.P.R. 31 agosto 1999, n. 39, verifiche che tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato e del numero dei dipendenti. Tale normativa, specifica in materia di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, costituisce ius speciale destinato a prevalere sulla disciplina generale dettata dalla l. n. 183 del 2011. Aggiungasi - ed il rilievo assume carattere assorbente di ogni altra considerazione - che l'asseverazione richiesta al professionista non si traduce in una mera rappresentazione riepilogativa di dati altrimenti verificabili dall'Amministrazione attraverso la consultazione di documenti a sue mani, ma implica un'attività di tipo sintetico-valutativo, che deve tenere conto di parametri di giudizio articolati e complessi, come ad esempio della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato e del numero dei dipendenti. Dunque, l'asseverazione è l'esito di una verifica non meramente documentale, ma necessariamente filtrata dal vaglio tecnico di una serie elementi valutativi complessi, il che ne giustifica e motiva la devoluzione ad un soggetto abilitato sulla base di specifici titoli di qualificazione professionale. 2. - Come chiarito sub 1, essendo l'atto impugnato fondato su plurime ragioni autonome tra loro e ciascuna in grado di supportare la revoca del nulla osta, la corretta conclusione in ordine alla mancanza dell'asseverazione è sufficiente a ritenere legittima la revoca. Tuttavia, per completezza espositiva, il Collegio ritiene di dover confermare anche il giudizio di non affidabilità (e veridicità ) della istanza di regolarizzazione, reso dall'Ispettorato in ordine alla circostanza che a fronte di soli due dipendenti nell'organico della società, la richiesta di nulla osta in ben sette Sportelli diversi (Bari, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Matera, Potenza, Vibo Valentia) riguardava 101 lavoratori. 3. - L'appello deve, dunque, essere respinto. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensati tra le parti in causa in considerazione della natura degli interessi coinvolti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Mario Luigi Torsello - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. DI PAOLA Sergio - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Relatore Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: BANCA (...) - SOCIETÀ COOPERATIVA avverso l'ordinanza del 06/02/2024 del TRIBUNALE di VARESE udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. n. 137 del 2020, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Assunta Cocomello ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Varese rigettava la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo "impeditivo" emesso, ai sensi dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., dal giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio, con il quale erano stati vincolati i crediti di imposta ceduti alla "Banca (...)" dalla "N. Group Srl" e dalla "Da. s.r.l", società i cui amministratori erano indagati per truffa ai danni dello Stato, in relazione all'abuso delle agevolazioni tributarie previste dalla disciplina relativa al c.d. "superbonus" edilizio (D.L. n. 34 del 2020). 2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore, munito di procura speciale, della Banca (...), che deduceva: 2.1. violazione di legge (art. 121, comma 6, D.L. n. 34 del 2020): il sequestro sarebbe in contrasto con quanto previsto dall'art. 121, comma 4, D.L. 34 del 2020 a tutela dei ¦ cessionari dei crediti di imposta generati dagli sgravi fiscali previsti dalla disciplina del c.d. "superbonus" edilizio. La norma tutelerebbe i cessionari del credito, impedendo anche i sequestri penali e la sua operatività non sarebbe intaccata dalle modifiche normative intervenute successivamente - introdotte dall'art. 28-ter D.L. n. 4 del 2022 -, che non sarebbero retroattive; 2.2. violazione di legge (art. 321 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora; 2.3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla omessa identificazione del vincolo di pertinenzialità tra i crediti sequestrati e quelli riferibili alla truffa contestata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce che la protezione del credito di imposta ceduto alle Banche in relazione alle agevolazioni correlate al c.d. "superbonus" edilizio, si estende ai sequestri penali è infondato. 1.1. In via preliminare, con riguardo alle condizioni che legittimano il sequestro cautelare previsto dall'art. 321, comma 1 cod. proc. pen., il collegio riafferma che il sequestro preventivo "non" finalizzato alla confisca, ma diretto ad impedire l'aggravamento delle conseguenze del reato, implica l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Sez. 3, n. 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691 - 01; Sez. 5, n. 37033 del 16/06/2006, Silletti, Rv. 235283 - 01; Sez. 2 n.3108 del 29/11/2023 n.m.; Sez. 3 n. 40865 del 21/09/2022, Desio, Rv. 283701; sez. 2, n. 33463 del 09/12/2022, dep. 2023, n.m.; sez. 2, n. 16728 del 12/01/2023, n.m). Nel rispetto di tali consolidate coordinate ermeneutiche è stato affermato che sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all'art. 121, comma 1, lett. b), D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del ed. "superbonus 110%"), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose "pertinenti" al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processual-penalistiche, che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Desio, Rv. 283701 - 01). Il collegio condivide tale approdo interpretativo e ribadisce che la protezione che l'art. 121, comma 4, D.L.n. 34 del 2020 accorda ai crediti generati dalla cessione del diritto del committente alla detrazione fiscale è limitata al solo settore tributario, ma non si estende a quello penale. La protezione in questione è stata prevista al fine di incentivare le opere edilizie, nell'ottica di "rilancio" dell'economia nazionale, prostrata dalle conseguenze della pandemia, ma non impedisce che i crediti d'imposta generati illecitamente, attraverso frodi allo Stato ed alle banche, siano vincolati con sequestri penali. Invero nei casi in cui le agevolazioni tributarie - ovvero la detrazione fiscale spettante al committente, e convertita in credito di imposta "cedibile" - siano state ottenute con modalità fraudolente, il diritto alla detrazione è inesistente, sicché non sussiste alcun credito cedibile, mancando il suo "presupposto costitutivo" (cosi Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, par. 10): inesistente il diritto alla detrazione, è inesistente anche il suo correlato cartolare, che non può né circolare, né essere compensato. Si è già affermato, sul punto, che i crediti dì imposta ceduti ai sensi dell'art. 121 D.L. 19 maggio 2020, n. 34 possono dar luogo, in quanto derivanti direttamente dal diritto originario in capo al committente alla detrazione d'imposta di "costi in realtà non sostenuti", al delitto previsto dall'art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, se utilizzati in compensazione dal cessionario, avendo natura di crediti non spettanti o inesistenti (Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054 - 01). La conferma della "limitazione" della protezione offerta dal comma 4 dell'art. 121 D.L. n. 34 del 2020 all'area tributaria si rinviene nella stessa normativa di settore e, segnatamente: (a) in quanto previsto dall'art. 121 D.L. 34 del 2020 che, ai commi 5 e 6, prevede che, qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d'imposta, l'Agenzia delle entrate provvede al "recupero" dell'importo corrispondente alla detrazione, maggiorato degli interessi nei confronti del committente e dei cessionari che hanno agito con dolo o colpa grave. Tale norma, che riguarda le anomalie non fraudolente, dunque non penalmente rilevanti, evidenzia che assente il diritto alla detrazione, viene meno qualunque credito fiscale, dato che l'Agenzia delle entrate provvede direttamente al recupero del valore corrispondente, eliminando la base del credito; (b) in quanto previsto dall'art. 28 del D.L. n. 4 del 2022 che, al comma 3, stabilisce espressamente, effettuando un'interpretazione autentica, la nullità dei "contratti di cessione", quando gli stessi siano stati conclusi in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 121, comma 1, 122, comma 1, e del comma 2 dello stesso art. 28, del D.L. n. 34 del 2020. Invero la nullità dei contratti, per inesistenza dell'oggetto era dichiarabile anche in assenza di tale intervento normativo. Si tratta di norme che evidenziano come la protezione dei cessionari trovi un limite nella liceità - civile e penale dell'operazione; e che evidenziano la dipendenza "genetica" del credito di imposta ceduto alle banche dal diritto alla detrazione, in ipotesi, spettante al committente. Il credito ceduto è, infatti, la proiezione cartolare del profitto nummario generato dalla truffa, ovvero del denaro versato dalle banche cessionarie alle imprese che hanno falsamente rappresentato di avere sostenuto costi per la realizzazione di opere assistite dalle agevolazioni tributarie. L'attività fraudolenta si esprime, dunque, non solo nella falsa rappresentazione dell'esistenza dei requisiti per la detrazione, ma anche nella cessione di un credito "vuoto", perché fondato su un inesistente diritto del committente alla detrazione fiscale. Né su tale interpretazione può incidere la incostante interpretazione offerta dalle circolari della Agenzia delle entrate. Sul punto si riafferma (in linea con quanto ritenuto da Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054, par. 5) che la circolare interpretativa è atto interno alla pubblica amministrazione che si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari poiché non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo (v., in termini, Sez. 3, n. 6619 del 7.2.2012, dep. il 17.2.2012, Rv. 252541; Sez. 3, ord. n. 25170 del 13.6.2012, dep. 2012, Rv. 252771; Sez. 3, n. 2757 del 6.12.2017, dep. 2018, Rv. 272029). Sulla natura ed efficacia delle circolari va peraltro ricordato che si sono già pronunciate le Sezioni Unite Civili evidenziando, proprio con riferimento a quelle interpretative in materia tributaria, la loro natura di atti interni alla pubblica amministrazione che esprimono un parere non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per la stessa autorità che l'ha emanata e per il giudice (S. U. civili n. 23031, 2 novembre 2007). 1.2. Tanto chiarito, deve essere anche rilevato che le banche, monetizzando il credito, ne ricavano un profitto, dato che i crediti vengono ceduti ad un valore inferiore rispetto al valore nominale. E che ciò determina un utile in capo al cessionario, che "acquista" il credito di imposta ad un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando così un ipotetico utile sui crediti acquistati. Tale meccanismo impone il massimo rigore nella valutazione della condotta dei cessionari che - se in buona fede - sono essi stessi vittime della attività decettiva. La cessione fraudolenta del credito, che danneggia direttamente i cessionari, può concorrere con la condotta fraudolenta consumata ai danni dello Stato, e da essa si distingue. È possibile infatti che i cessionari in buona fede siano stati tratti, autonomamente, in inganno circa la sussistenza del credito da detrazione, che potrebbero avere acquistato non avendo la consapevolezza che si tratta di un titolo "vuoto" e, dunque, inutilizzabile. 1.3. In conclusione, si ritiene che le frodi generate dall'abuso delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa sul c.d. "superbonus" possono - in astratto - essere dirette sia nei confronti degli Istituti di credito, che dello Stato, con condotte concorrenti. E che le stesse generano un profitto identificabile sia nel denaro derivante dalla monetizzazione del credito, che nella proiezione cartolare di tale credito, ceduto alle banche. Sia il credito di imposta che il suo correlato nummario - ovvero il denaro generato dalla sua liquidazione - costituiscono il "profitto" della truffa, in quanto sono stati direttamente generati dalla condotta illecita e, come tali, possono essere (a) oggetto di sequestro preventivo funzionale a garantire la confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 640-quater cod. pen., (b) oggetto di sequestro preventivo impeditivo funzionale ad evitare l'utilizzo del credito inesistente e, dunque, ad impedire l'aggravamento delle conseguenze del reato. In questo quadro, (a) la buona fede degli istituti di credito cessionari è del tutto irrilevante quando il sequestro cautelare è "impeditivo"; (b) rileva, invece, nel caso in cui il sequestro sia funzionale a garantire la confisca, dato che, in previsione della possibile definitività del vincolo, è necessario verificare se la banca è "vittima" della frode, dunque titolare di un diritto alla restituzione, o se, essendo "concorrente" nel reato, è esposta ad una ablazione definitiva. 1.4. Nel caso in esame è stato disposto il sequestro cautelare impeditivo dei crediti generati dalla truffa, sicché non emerge alcun profilo di illegittimità del vincolo, che è del tutto indipendente dalla verifica della buona fede del cessionario ricorrente. 2. Il secondo motivo che contesta il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. Il Tribunale ha rilevato con motivazione non apparente che era "estremamente probabile" l'inesistenza del credito ceduto, del quale era stato disposto il sequestro ed aveva evidenziato sia il suo collegamento per derivazione con i reati descritti nei capi di incolpazione provvisoria, sia il pericolo cautelare derivante dall'elevata probabilità di ulteriore circolazione del credito (ad esempio ali fine di sottoscrivere buoni del tesoro poliennali ai sensi dell'art. 121, comma 1 -sexies D.L. n. 34 del 2020). Dalla motivazione offerta dal Tribunale, emerge che la possibile, nonché probabile, ulteriore circolazione del credito fittizio, integri il concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato. Si tratta di una valutazione non apparente che non si presta ad alcuna censura in questa sede. 3. Appare, infine, generica e non autosufficiente - con conseguente inammissibilità del motivo - la censura relativa alla mancanza di motivazione sulla effettiva pertinenza dei crediti alle ipotesi contestate, fondata sull'asserito presupposto che la "N. Group Srl" abbia movimentato "altri" crediti oltre quelli indicati nelle imputazioni e che, pertanto, quelli ceduti alla Banca (...), potrebbe essere tra quelli legittimamente acquisiti. Si rimarca peraltro, che anche ove fossero state fornite indicazioni esaustive circa la identificazione dei crediti vincolati e la loro ipotetica estraneità ai fatti contestati, tale doglianza non concerne l'imposizione del vincolo, ma la sua fase esecutiva. 4. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il giorno 30 maggio 2024. Depositato in cancelleria il 12 luglio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE composta dai signori: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere est. Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sui ricorsi proposti da: 1) Ba. S.C., 2) Ce. Spa, avverso l'ordinanza del 06/12/2023 del Tribunale di Treviso; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Treviso ha rigettato le istanze di riesame proposte nell'interesse della Ba. S.C. e della Ce. S.C.P.A., quali terze interessate, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Treviso il 20/04/2023, avente ad oggetto i beni di cui ai punti E e G della richiesta del Pubblico Ministero, in relazione ai reati di truffa e di autoriciclaggio, contestati a vari soggetti, per condotte illecite consistite nella mancata esecuzione di opere edili appaltate dal Co., ammesse all'agevolazione fiscale denominata "Superbonus 110%", oggetto di S.A.L., di false asseverazioni e fatturazioni al committente, con conseguente riconoscimento di crediti di imposta, monetizzati attraverso la successiva cessione a istituti di credito. 2. Le ricorrenti propongono ricorso per cassazione con distinti atti, dal contenuto sovrapponibile, attraverso i quali deducono: 1) difetto assoluto di motivazione del provvedimento impugnato, non avendo il Tribunale preso in considerazione i motivi di riesame, con i quali, come si ribadisce in ricorso, era stata censurata l'omessa valutazione del "periculum della misura disposta ai danni della banca, soggetto terzo estraneo al reato: il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato la misura del sequestro preventivo impeditivo senza però individuare il necessario collegamento fra i beni vincolati e l'autore del reato tale da consentire di desumere che tali beni siano in effetti nella disponibilità di quest'ultimo". Inoltre, era stata eccepita la nullità del decreto di sequestro preventivo in quanto disposto per equivalente ai danni del terzo danneggiato dal reato in violazione delle norme di legge". Anche su tale eccezione il Tribunale non si sarebbe pronunciato, "applicando un sequestro preventivo finalizzato alla confisca senza tenere minimamente in conto l'evidente vizio di motivazione del sequestro impeditivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti dei terzi cessionari"; 2) violazione di legge per avere il Tribunale applicato una diversa misura ablativa - quella del sequestro preventivo finalizzato alla confisca - rispetto al provvedimento genetico, con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro impeditivo ai sensi dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen.. Al contrario, il Tribunale avrebbe dovuto rilevare la nullità del provvedimento del primo giudice per carenza assoluta di motivazione in ragione di quanto precisato con il primo motivo; 3) violazione di legge per avere il Tribunale disposto un sequestro per equivalente in danno delle ricorrenti terze interessate, avendo sottoposto alla misura crediti non tracciabili - tali essendo, secondo le ricorrenti, i crediti di imposta ceduti dal titolare, privi di codice identificativo all'epoca del fatto, rivenienti dalla disciplina del cosiddetto Superbonus 110%, nel momento in cui erano entrati nel cassetto fiscale del cessionario (la banca) perdendo la loro individualità secondo quanto evidenziato dettagliatamente nei ricorsi - beni per i quali, come sarebbe dimostrato dalle difficoltà avute in sede esecutiva per la loro identificazione, sarebbe impossibile individuare lo specifico e concreto collegamento fra la cosa e l'autore del reato che consentirebbe di estendere il vincolo al di fuori della sfera patrimoniale dell'indagato. Tanto avrebbe comportato una duplicazione dei beni sottoposti a sequestro in quanto relativi sia ai crediti di imposta ceduti dagli indagati e presenti nel cassetto fiscale dei terzi cessionari, sia alle somme ottenute dagli indagati a seguito della vendita dei medesimi crediti. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono infondati. Sulle questioni poste dalle ricorrenti si è già formato un orientamento giurisprudenziale di legittimità che il Collegio intende avallare e ribadire. 1. In ordine al primo motivo - premesso che al disposto sequestro è stata attribuita dal Giudice per le indagini preliminari natura impeditiva ai sensi dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., come anche le ricorrenti affermano - deve essere richiamato il principio di diritto secondo cui, in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all'art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del c.d. "superbonus 110%"), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto. (Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701; conformi, Sez. 2, n. 3108 del 2024 n.m.; sez. 2, n. 33463 del 09/12/2022, dep. 2023, n.m.; sez. 2, n. 16728 del 12/01/2023, n.m.). Nella motivazione di tali decisioni, è stato affermato, più dettagliatamente e testualmente, che il sequestro impeditivo di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (tra le altre, Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513). In particolare, i crediti sequestrati alle ricorrenti sono stati a ragione considerati cosa pertinente al reato, risultando infondata la tesi difensiva secondo cui, esercitata l'opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l'originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe - in capo al cessionario - a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione. Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre "garantito" dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, è all'evidenza infondata, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria. L'art. 121, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi (di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: 1) per il ed. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d'imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione; 2) per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali. 4. Dalla lettura dell'art. 121, comma 1, emerge, dunque, che il meccanismo del Superbonus in oggetto è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall'identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all'utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni appena richiamate, che - rimesse alla scelta dell'unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) - costituiscono un'evidente derivazione della prima, utile per ottenere un'immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione. Con particolare riguardo alla cessione del credito, oggetto del ricorso, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste - nell'identico contenuto patrimoniale - di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto. Non si riscontra, dunque, l'estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalle ricorrenti, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l'evoluzione - non la sostituzione - del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res - anche in capo allo stesso terzo - sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen.. Il periculum in mora deve ravvisarsi, allora, in quanto la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall'art.321, comma 1, cod. proc. pen.". 2. Anche la seconda questione posta dalle ricorrenti, con i successivi motivi, è già stata sviscerata nelle sentenze di legittimità prima indicate e in quel senso deve essere qui ribadita, dovendosi sottolineare che, essendo stata dedotta una violazione di legge che fa capo alla natura del sequestro, in questa sede la problematica può e deve essere risolta anche in assenza di una specifica indicazione nell'ordinanza impugnata. Giova premettere che l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari fanno dettagliato riferimento ai crediti di imposta ottenuti dal Co. e dalle società del gruppo con l'indicazione dell'importo e della riconducibilità al Superbonus 110% ed al codice tributo, con particolare riferimento, per quanto qui interessa, ai punti E e G della richiesta del Pubblico ministero. Detto ciò, sulla questione posta dalla ricorrente, in particolare, nella motivazione della sentenza di questa Corte, prima indicata (Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701), si afferma l'infondatezza della censura esattamente riproposta nel caso in esame. "Censura con la quale ci si duole dell'applicazione surrettizia di un indebito sequestro per equivalente a danno di un terzo estraneo al reato (ciò sul presupposto che, in assenza di elementi identificativi, la misura colpirebbe non esattamente i crediti originati dalle artificiose condotte poste in essere dagli indagati, ma crediti pari alla somma del valore nominale di tutti i crediti d'imposta originatisi in capo al consorzio e poi ceduti (anche indirettamente) alle ricorrenti. Con la conseguenza che la misura, pur disposta nei confronti dei crediti d'imposta individuati con richiamo alle condotte contestate, sarebbe stata concretamente eseguita su una massa indistinta di crediti solo di importo equivalente a quello oggetto di indagine, in quanto presenti nel cassetto fiscale delle ricorrenti". Sul punto, si specifica che: "questa tesi, pur suggestiva, non può però essere accolta. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l'assenza di uno specifico codice identificativo (introdotto soltanto con disposizioni successive) non si traduce nell'assegnazione al credito di una natura prettamente fungibile, come fosse una somma di denaro; per come riportato nell'ordinanza impugnata (pag. 1), infatti, il provvedimento genetico ha individuato l'oggetto della misura in modo specifico e sufficientemente dettagliato, richiamando i "crediti d'imposta correlati alle detrazioni fiscali previste dagli artt. 119-121. D.I. n. 34/2020 (c.d. Superbonus per attività edilizia) intestati al CONSORZIO SGAI con sede - in Napoli e di quelli ceduti da detto ente a terzi". Tale espressione, dunque, non consente alcuna assimilazione di questi crediti ad una indistinta somma di denaro, né trasforma in un bene fungibile ciò che, per contro, possiede ab origine un'effettiva e propria individualità. In senso contrario, peraltro, non risultano decisive neppure le considerazioni svolte infine dalla difesa, dalle quali, anzi, emerge con chiarezza che il vizio denunciato atterrebbe non al provvedimento impositivo del vincolo, ma alla sua concreta esecuzione; un argomento, dunque, estraneo al giudizio di questa Corte, in forza del costante principio per cui i provvedimenti riguardanti le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni ad essi attinenti vanno proposte in sede di incidente di esecuzione (per tutte, Sez. 1, n. 8283 del 24/11/2020, Sforza, Rv. 280604). Ne consegue che la misura è stata legittimamente disposta e non si è verificata alcuna duplicazione di poste, secondo quanto infine affermato dalle ricorrenti. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 17 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Napoli XII SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. (...) viste le note scritte depositate da parte attrice, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c. Nella causa civile di primo grado iscritta al R.G. n. (...)/2023 avente ad oggetto: prestazione d'opera intellettuale TRA Avv. (...) nata a Napoli il (...) (C.F. (...)), elett.te dom.ta in Napoli alla (...) n. (...) presso lo studio dell'avv. (...) (C.F.: (...)), dal quale è rapp.ta e difesa giusta procura in calce all'atto introduttivo il giudizio (...) E (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (...)ra (...) (C.F. (...)), con sede (...), C.F. (...) Convenuta contumace (...) Con note scritte depositate in atti, il difensore di parte attrice si richiamava ai propri scritti difensivi. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE - Con atto di citazione, notificato in data (...), l'Avv. (...) conveniva in giudizio la società (...) S.r.l. e chiedeva accogliere le seguenti conclusioni: "A) accertare e dichiarare la sussistenza del credito vantato dall'Avv. (...) nei confronti della (...) s.r.l. nell'ammontare complessivo di Euro 10.100,16; B) per l'effetto condannare la convenuta (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento dell'importo di Euro 10.100,16 in favore dell'Avv. (...)to". Parte attrice esponeva: 1. che con lettera d'incarico del giorno 1° novembre 2021 l'istante accettava la nomina quale responsabile dei lavori conferitale dal Condominio sito in Napoli, alla (...) n. 64, nell'ambito dei lavori di ristrutturazione delle facciate esterne dello stabile con adesione al "bonus facciate". (...), nello specifico, prevedeva un compenso di Euro 7.565,00, oltre spese generali (15%) e cassa previdenziale (4%) da corrispondersi all'avvenuta consegna della documentazione per ottenere il visto di conformità o, in ogni caso, entro il giorno 31.12.2022; 2. che il contratto d'appalto stipulato tra il (...) e la società (...) S.r.l., all'art. 5, testualmente prevedeva: "(...) precisato in premessa il committente condominio ha deliberato di usufruire dei benefici fiscali optando la scelta del cd "sconto in fattura" del 90%, da parte dell'impresa che ha accettato, dell'importo complessivo indicato nel QTE allegato comprensivo dei compensi delle relative figure professionali ed oneri tecnici ed amministrativi, di cui all'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n 77; (...) l'impresa nell'accettare tale forma di agevolazione si obbliga a praticare in fattura lo sconto del 90% sull'importo risultante dal (...) e di cui innanzi, comprensivo delle spese accessorie previste nel quadro tecnico economico allegato e tutte quelle spese ricomprese nella risposta n. 191/2020 di interpello su (...) facciate da parte dell'(...) delle (...) queste spese saranno anticipate dall'impresa e saranno saldate alla stessa previa emissione di fattura di riaddebito, senza alcun ricarico sulla prestazione fatturata all'impresa in nome del (...) dominio, anch'essa pagabile con le modalità di cui innanzi, come previsto dalla risposta 480/2021 ad interpello reso dall'(...) delle entrate". La attrice deduceva che tra le spese agevolate, e ricomprese nella risposta n. (...)/2020 di interpello sul (...) facciate dell'(...) delle (...) vi era anche quella sostenuta dal (...) per il (...) dei (...) e che l'impresa (...) si era impegnata a saldare come sopra riferito. Tale schema, secondo cui l'impresa (...) assumeva su di sé un debito contratto dal (...) nei confronti del (...) dei (...) era assimilabile alla forma tipica dell'accollo; inoltre, secondo l'art. 1273 c.c. "Se il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito dell'altro, il creditore può aderire alla convenzione, rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore"; 3. che con raccomandata a mano del 3 novembre 2021 l'Avv. (...) comunicava al (...) di (...) n. 64 di aderire alla convenzione siglata con l'impresa (...) S.r.l. contenuta nel contratto d'appalto all'art. 5, e, con bonifico del 30.12.2021 il (...) di (...) n. 64 provvedeva a saldare integralmente la fattura di riaddebito 73-2021 dell'impresa convenuta corrispondendo, pertanto, l'integrale importo dovuto per il responsabile dei lavori; 4. che l'istante Avv. (...) aveva maturato da tempo il diritto al suo compenso, non soltanto perché era decorso il termine ultimo pattuito (del 31.12.2022), ma anche perché aveva effettivamente svolto l'incarico assunto, consentendo al (...) di usufruire del bonus facciate, ed alla (...) S.r.l. di ottenere il riconoscimento degli importi concordati sotto forma di crediti d'imposta. Riferiva, inoltre, che dovuti in aggiunta al compenso erano anche gli interessi moratori previsti dalla lettera d'incarico all'art. 10 per complessivi Euro 902,42 (calcolati sulla base del compenso di cui al sub. B); 5. che secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, anche in caso di accollo cumulativo il vincolo solidale corrente tra accollato e accollante comportava il riconoscimento del beneficium ordinis nei confronti del debitore principale, il quale poteva essere escusso solo in seguito ad una richiesta infruttuosa dell'accollante (Cass. n. 9982/2004). (...) l'istante era obbligata a richiedere l'adempimento alla (...) S.r.l. in virtù della convenzione di accollo stipulata tra l'impresa medesima ed il (...) di (...) n. 64; 6. che il totale debito della (...) S.r.l. nei confronti dell'Avv. (...) ammontava ad Euro 9.950,16 di cui: Euro 7.565,00 per compensi, Euro 1.134,75 per spese generali (15%), Euro 347,99 per C.P.A. (4%), ed Euro 902,42 per interessi moratori; 7. che ricorrevano i presupposti per condannare la convenuta al pagamento di una somma a titolo di danno da ritardato pagamento ex. art. 1224 c.c. da quantificarsi equitativamente nell'importo di Euro 150,00, poiché l'attrice non aveva potuto godere delle somme a lei spettanti, dovendo rinunciare alla possibilità di investirle e ricavarne proventi, consentendole di far fronte all'inevitabile svalutazione, a cui il danaro risulta soggetto. Sulla base di tali premesse, l'istante formulava le conclusioni come sopra riportate. - il G.I. dichiarava la contumacia della convenuta società (...) S.r.l. e, successivamente, con ordinanza del 25-3-2024, sollecitava il contraddittorio sulla questione relativa alla competenza per valore dell'adito Tribunale di Napoli, in quanto sommando alla sorta capitale (pari ad Euro 7565,00), gli interessi (pari ad Euro 754,53), le spese generali (pari ad Euro 1134,75) e la cassa (pari ad Euro 347,99), nonché l'importo di Euro 150,00 richiesto quale maggior danno da svalutazione monetaria, si perveniva a un totale di Euro 9952,27, ragion per cui sembrava radicarsi la competenza per valore del Giudice di (...) Rinviava la causa per la discussione ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza dal 03.06.2024, successivamente sostituita mediante il deposito di note scritte ex art.127 ter cpc. - Con note di trattazione scritta, depositate in data (...) l'istante Avv. (...) osservava che gli interessi moratori, decorrenti dalla data del 31.12.2022, andavano calcolati non soltanto sul compenso (pari ad Euro 7.565,00) ma anche sulle spese generali (pari ad Euro 1.134,75) e quindi sulla totale cifra di Euro 8.699,75. Infatti, seguendo l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, il rimborso forfettario delle spese generali era da intendersi quale componente delle spese giudiziali, la cui misura viene predeterminata dalla legge, e spettante automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica (Cass. Civ. sez. Lavoro, ordinanza n. 17076/20; depositata il 13 agosto). Ciò comportava che il diritto di credito relativo al rimborso forfettario delle spese generali maturava automaticamente, nel medesimo momento in cui maturava il diritto al compenso dell'avvocato, divenendo in quel momento, e con esso, esigibile. Conseguentemente, gli interessi previsti dalla lettera d'incarico dovevano essere calcolati su tutti i crediti esigibili dall'attrice e, quindi, nel caso di specie, sia sul compenso, che sulle spese generali. (...) più precisamente, gli interessi in questione andavano ad ammontare ad Euro 864,85 dalla data del 31.12.2022 alla data della notifica dell'atto di citazione. Dunque, il totale dovuto, al momento della notifica dell'atto di citazione, risultava pari ad Euro 10.062,59 (di cui Euro 7.565,00 per compensi, Euro 1.134,75 per spese generali, Euro 347,99 per C.P.A., Euro 864,85 per interessi, ed Euro 150,00 per maggior danno da svalutazione monetaria) e di pari importo era il valore della causa che, pertanto, rientrava nella competenza del Tribunale Ordinario. Tanto premesso, si osserva quanto segue. 1. Preliminarmente ed in relazione alla questione inerente la competenza per valore dell'adito Tribunale Ordinario, si osserva che la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema delle spese giudiziali liquidate, affermando il principio secondo il quale "il rimborso cd. forfettario delle spese generali è una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge e spettante automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza: questa dovendosi ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (Cass. 30 maggio 2018, n. 13693, proprio in riferimento al periodo di vigore del D.M. n. 140 del 2012)". (Cass. Civ. sez. Lavoro, Ordinanza n. 17076/20; depositata il 13 agosto). (...) essendo il rimborso forfettario delle spese generali una componente delle spese giudiziali, spettante automaticamente al difensore, dal momento in cui matura in capo all'avvocato il diritto al compenso, matura conseguentemente, altresì, il diritto di credito dello stesso relativo al rimborso forfettario delle spese generali. Ne deriva che gli interessi moratori vanno calcolati sulla somma totale ottenuta dall'addizione dei compensi spettanti al professionista e delle spese di giustizia, in cui, si ribadisce, rientrano, altresì, le spese generali. In virtù di quanto appena esposto ed alla luce dell'art. 10 c.p.c., per cui ai fini della determinazione della competenza per valore si sommano, con il capitale, gli interessi scaduti anteriori alla proposizione della domanda giudiziale, nel caso di specie, gli interessi ex D.L.no n. 231/2002 vanno calcolati dalla data del 31.12.2022 (termine fissato contrattualmente all'art. 4.a) della lettera d'incarico versata in atti, non essendo stato allegato, né provato un momento antecedente) e fino alla data di notifica della citazione (22.11.2023), sicché il totale degli interessi moratori, così calcolati, ammonta ad Euro 867,71. Sommando tale ultima somma agli importi richiesti dall'attrice (Euro 7.565,00 per compensi, Euro 1.134,75 per spese generali (15%), Euro 347,99 per C.P.A. (4%) ed euro 150,00 per danno da svalutazione monetaria), si perviene ad un totale di euro 10.065,45, con conseguente competenza per valore dell'adito Tribunale. 2. Passando al merito della controversia, relativamente alla determinazione delle caratteristiche inerenti la figura del (...) bile dei lavori e del corrispettivo spettante allo stesso, è necessario fornire talune precisazioni in merito, alla luce di quanto a più riprese puntualizzato, mediante pareri, dalla (...) delle (...) te. Ebbene, con la circolare n. 28/E del 25 luglio 2022 l'(...) delle (...) ha fornito chiarimenti sulla materia relativa ai superbonus. La appena menzionata circolare costituisce il seguito della circolare n. 24/E del 7 luglio 2022 e contiene indicazioni in tema di elementi quali detrazioni pluriennali relative a spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio, sismabonus, bonus verde, bonus facciate, ecobonus e superbonus. Nello specifico, la circolare n. 28/E/2022 fornisce chiarimenti in ordine alla disciplina vigente al 31 dicembre 2021. Tra le spese che rientrano nel superbonus, risultano detraibili nella misura del 110%, nei limiti previsti per ciascun intervento, le spese sostenute per il rilascio del visto di conformità, nonché delle attestazioni e delle asseverazioni. La detrazione, inoltre, spetta anche per talune spese sostenute in relazione agli interventi che beneficiano del superbonus, a condizione, tuttavia, che l'intervento a cui si riferiscono sia effettivamente realizzato. Si tratta, in particolare delle spese sostenute per l'acquisto dei materiali, la progettazione e le altre spese professionali connesse, comunque richieste dal tipo di lavori. In particolar modo, quanto agli altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi non è agevolabile il compenso straordinario dell'amministratore di condominio, non trattandosi di un costo caratterizzato da un'immediata correlazione con gli interventi che danno diritto alla detrazione, in quanto gli adempimenti amministrativi rientrano tra gli ordinari obblighi posti a carico dell'amministratore da imputare alle spese generali di condominio. Diverso è il caso, invece, in cui l'amministratore del condominio - o un terzo soggetto - sia nominato responsabile dei lavori: in tal caso, il compenso che gli viene riconosciuto per lo svolgimento di tale ruolo rientra tra le spese ammesse alla detrazione in quanto strettamente correlate all'esecuzione degli interventi agevolabili. Altresì, dal parere n. 191/2020 emesso della (...) delle (...) emerge che "...rientrano nel "bonus facciate" anche le spese sostenute per le opere accessorie che servono per l'esecuzione dei lavori agevolabili, comprese quelle indicate dall'(...) per la direzione lavori, il coordinamento per la sicurezza, la sostituzione dei pluviali." Ebbene, nel caso che ci occupa l'istante Avv. (...) è stata nominata (...) dei lavori; la stessa non figurava, altresì, come amministratore di condominio, bensì come professionista, che in virtù di incarico conferitole in data (...) dal (...) nonché come da contratto stipulato tra la (...) S.r.l. e il (...) di (...) n. 64, ha svolto i compiti ad essa attribuiti dal D.Lgs. n. 81/2008 (relativamente alla figura del (...) dei lavori). Ebbene, sulla base delle risultanze documentali acquisite al presente giudizio, devono ritenersi fondate le pretese attoree. (...) ha, infatti, assolto all'onere probatorio su di essa gravante, fornendo prova della fonte del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio mediante la produzione della lettera d'incarico del 1-11- 2021, con la quale il (...) di via (...) 64, in persona dell'amministratore, le conferiva l'incarico di responsabile dei lavori, concordando con la stessa un compenso pari ad euro 7565,00, oltre spese generali al 15% e cassa di previdenza al 4%, per un importo totale di euro 9047,74. Dal contratto d'appalto concluso tra il (...) e la società (...) S.r.l. in data (...) si desume, poi, che la società appaltatrice si accollava, anticipandole, le spese sostenute dal condominio per il responsabile dei lavori. All'art. 5 del contratto si legge, infatti: "(...) precisato in premessa, il committente condominio ha deliberato di usufruire dei benefici fiscali optando la scelta del cd "sconto in fattura" del 90%, da parte dell'impresa che ha accettato, dell'importo complessivo indicato nel QTE allegato comprensivo dei compensi delle relative figure professionali ed oneri tecnici ed amministrativi, di cui all'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n 77; (...) l'impresa nell'accettare tale forma di agevolazione si obbliga a praticare in fattura lo sconto del 90% sull'importo risultante dal SAL e di cui innanzi, comprensivo delle spese accessorie previste nel quadro tecnico economico allegato e tutte quelle spese ricomprese nella risposta n. 191/2020 di interpello su (...) facciate da parte dell'(...) delle (...) queste spese saranno anticipate dall'impresa e saranno saldate alla stessa previa emissione di fattura di riaddebito, senza alcun ricarico sulla prestazione fatturata all'impresa in nome del (...) anch'essa pagabile con le modalità di cui innanzi, come previsto dalla risposta 480/2021 ad interpello reso dall'(...) delle entrate". Inoltre, l'attrice ha depositato la lettera raccomandata, a mani, del 3-11-2021, indirizzata al condominio, contenente la sua adesione alla convenzione del 2-11-2021, conclusa tra il condominio e la (...) srl. Risulta, infine, versata in atti prova del pagamento da parte del (...) in favore dell'impresa edile, dell'importo dovuto per il responsabile dei lavori (v. bonifico del 30-12-2021 per euro 1746,72, eseguito dal condominio in favore della (...) srl, e fattura di riaddebito n.73/2021, emessa dalla (...) srl e intestata al condominio). Non va, invece, riconosciuto all'istante il danno da svalutazione monetaria, che la (...) ha chiesto liquidarsi in via equitativa nella misura di euro 150,00. Si rammenta che " - (...) obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, cod. civ. (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 cod. civ. (Cassazione n.19499/2008). Ebbene, la domanda formulata sul punto dall'attrice si appalesa del tutto generica, non avendo la stessa fornito indicazione alcuna in ordine al tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi, applicabile nella fattispecie e non avendo, quindi, offerto nessun elemento, da cui desumere la eventuale differenza tra il detto tasso ed il saggio degli interessi legali di anno in anno vigente. La convenuta società (...) S.r.l. va, quindi, condannata al pagamento, in favore dell'attrice, della somma di euro 9915,45, di cui euro 7565,00 per compenso, Euro 1.134,75 per spese generali (15%), Euro 347,99 per C.P.A. (4%), ed Euro867,71 per interessi moratori. - Le spese di lite seguono le regole della soccombenza e sono liquidate d'ufficio come in dispositivo, determinando gli onorari nei valori minimi per tutte le fasi in cui si è articolato il processo, stante la semplicità delle questioni trattate, in assenza, peraltro, di contestazioni della controparte, la limitata attività processuale svolta e l'esaurimento della fase decisionale nel deposito di note ex art. 127 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, XII sez. civile, in persona del Giudice dott.ssa (...) definitivamente pronunziando in funzione di giudice monocratico in primo grado, così decide: 1. accoglie la domanda e per l'effetto condanna la convenuta (...) S.r.l. al pagamento della somma di Euro 9915,45 in favore dell'Avv. (...) 2. condanna la convenuta (...) S.r.l. al pagamento, in favore della attrice Avv. (...) delle spese di lite, liquidate in Euro 2540,00 per onorari ed euro 264,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO La giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, dott.ssa (...), in funzione di giudice monocratica, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la sentenza che segue mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e dritto della decisione facenti parte integrante del presente verbale di causa, sentenza riservata all'udienza dell'11 aprile 2024, nella causa civile iscritta al n.1833/2023 R.G.C.A. e vertente tra (...), residente in (...) elettivamente domiciliato in (...) alla (...) presso lo studio delle avv.te (...) e (...) che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce all'atto di citazione del 12.7.2023- Opponente contro (...) in persona dell'amministratore p.t. (...) in persona del suo legale rappresentante dott. (...), con sede in (...) ivi elettivamente domiciliato alla (...), presso e nello studio dell'Avv. (...) che lo appresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta- Convenuto Nonché (...), residente in (...) Convenuta contumace. OGGETTO: impugnativa delibera condominiale. RAGIONI DI FATO E DI DIRITIO DELLA DECISIONE Con atto del 12.7.2023, il sig. (...) citava in giudizio il (...) in persona del suo amministratore pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "a) accertare e dichiarare la nullità delle delibere dell'Assemblea del (...) di (...) in data 8/6/2023 e in data 7/7/2023, ovvero pronunciare l'annullamento delle stesse per le causali tutte di cui alla narrativa, con ogni conseguente ed opportuna statuizione; b) in ogni caso, accertare e dichiarare e comunque pronunciare l'esclusione del sig. (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento a lavori e interventi genericamente e/o illegittimamente deliberati, relativi a modificazioni e/o innovazioni di carattere voluttuario, insuscettibili di utilizzazione separata e/o con particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale, con ogni conseguente ed opportuna statuizione in ordine all'imputazione di tutte le spese sui soli condomini interessati; c) con vittoria di spese e competenze di lite, rimborso forfettario del 15% sulle competenze, IVA e CPA come per legge.". A sostengo della domanda l'attore deduceva: di essere proprietario di una unità immobiliare facente parte di un fabbricato sito in (...) realizzato negli anni 1973-1976 e accatastato come "casalbergo"; che, attraverso varie delibere adottate, in date diverse, l'assemblea condominiale aveva deciso l'esecuzione di lavori finalizzati ad un "adeguamento" o "miglioramento" sismico, indicati dal tecnico ing. (...) senza la necessaria definizione degli interventi, delle modalità di esecuzione e dei relativi costi; che, con deliberazione in data 8.6.2023 l'assemblea condominiale aveva confermato "la volontà di procedere con i lavori progettati dall'ingegnere (...) e già approvati alle precedenti sedute" ed aveva invitato il tecnico a trasmettere un computo metrico definitivo "parzialmente modificato ed integrato con alcune lavorazioni che si rendono necessarie a seguito dei nuovi sopralluoghi effettuati e dalle verifiche sul cemento armato per poter procedere alla gara di affidamento lavori", precisando altresì che l'amministratore avrebbe provveduto "ad inviare la ripartizione delle spese e l'iban su cui versare la somma derivante dal primo computo salvo conguaglio con le modifiche al computo metrico proposte dall'ing. (...); che, con successiva deliberazione in data 7.7.2023, incurante della richiesta di rinvio della seduta formulata dall'attore e delle censure mosse, attraverso un elaborato di parte, all'opera professionale dell'ing. (...) l'assemblea aveva approvato a maggioranza "il progetto di sisma bonus ed il relativo computo", come predisposti dal tecnico ed inviati dall'Amministratore a tutti condomini con mail del 4.7.2023; di non aver partecipato alle assemblee, ma di aver espresso più volte il proprio dissenso all'effettuazione di lavori e alla realizzazione di opere in regime di c.d. super-bonus 110%; di aver attivato, contestualmente alla notifica dell'atto introduttivo, il procedimento di mediazione dinanzi all'Organismo di Mediazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Teramo (Proc. N. 246/2023); che i motivi di impugnazione erano sostanzialmente: 1) nullità/annullabilità delle delibere in quanto concernenti decisioni su argomenti estranei all'ordine del giorno, eccesso di potere, violazione degli artt. 1136-1137 c.c. e 66 disp. att. c.c.; secondo le prospettazioni attoree, con la delibera in data 8.6.2023, l'assemblea aveva conferito un nuovo mandato all'ing. (...) per la predisposizione di un computo metrico "definitivo", modificato e integrato con ulteriori lavorazioni rese necessarie all'esito di nuovi sopralluoghi e nuove verifiche sul cemento armato, laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto la comunicazione di aggiornamenti sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenzioni in corso; con la successiva delibera del 7.7.2023, era stato conferito all'ing. (...) il nuovo incarico per la "sanatoria paesaggistica", laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto l'esame e l'approvazione del progetto definitivo "sisma bonus"; 2) nullità/annullabilità delle delibere in quanto prive di oggetto e/o con oggetto impossibile, non determinato né determinabile, eccesso di potere, violazione dell'art. 1120 c.c.; con la delibera in data 8.6.2023 era stato affidato al tecnico un incarico assolutamente indeterminato (predisposizione di un computo metrico definitivo per i lavori di adeguamento o miglioramento sismico, modificato e integrato con "alcune lavorazioni"), senza un preventivo studio di fattibilità tecnico-giuridica, senza una descrizione dei lavori da progettare e delle varie soluzioni operative, senza indicazione delle modalità di svolgimento e dei diversi gradi di invasività anche sulle proprietà esclusive; con la successiva delibera del 7.7.2023, erano stati approvati elaborati progettuali e un computo metrico che prevedeva l'esecuzione di opere e lavori diversi rispetto a quelli già licenziati precedenza dall'assemblea condominiale (computo metrico approvato nella seduta del 5.4.2023), con ciò generando incertezza sui lavori effettivamente da eseguire e sui relativi costi; veniva inoltre lamentata la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c. posto che i lavori deliberati non erano stati indicati in modo specifico e che, trattandosi di innovazione voluttuaria (nel senso di non necessaria, non essendoci criticità strutturali e/o di sicurezza sismica nel fabbricato condominiale) o comunque comportante una spesa molto gravosa, la relativa deliberazione assembleare poteva considerarsi legittima soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'aveva deliberata o accettata avesse dichiarato di essere disponibile a sopportarne integralmente la spesa; 3) violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c., violazione dell'art. 1117 ter c.c.; le tavole progettuali e il computo metrico approvati dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 lasciavano chiaramente intendere che i lavori riguardassero non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con la conseguenza che sarebbe stato necessario il consenso unanime di tutti i proprietari (che, nel caso di specie, non c'era stato); 4) violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c.; con le delibere impugnate l'assemblea aveva approvato lavori di adeguamento o miglioramento sismico che avrebbero potuto pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Il (...) si costituiva in giudizio, contestando la domanda attrice e chiedendone l'integrale rigetto. Spiegava, in particolare, che le delibere impugnate presentavano un ordine del giorno completo e puntuale; che la volontà dell'assemblea condominiale era stata chiara ed univoca, dal momento che nella seduta deU'S.6.2023 era stata espressa la volontà di confermare i lavori già deliberati nella precedente riunione del 5.4.2023 e il tecnico era stato invitato a predisporre il computo metrico definitivo che sarebbe stato approvato (come in effetti era stato approvato) nella successiva seduta del 7.7.2023; che era stata adottata correttamente la decisione di approvare il progetto sisma bonus ed il relativo computo metrico delibera del 7.7.2023), nel rispetto delle prescritte maggioranze e dei quorum di costituzione dell'assemblea, rispondenti alla volontà della maggioranza dei condomini; che i verbali erano stati redatti in forma sintetica ma comunque completa e comprensibile; che la documentazione messa a disposizione di tutti i condomini prima della seduta del 7.7.2023 era dirimente e chiara; che i lavori deliberati erano comunque necessari, essendo l'immobile condominiale "affetto da problematiche strutturali che minano finanche la stabilità dell'intero edificio", paventando l'ing. (...) anche il "rischio crollo"; che gli interventi approvati dall'assemblea riguardavano soltanto le parti comuni, senza alcuna intromissione nelle proprietà esclusive; che la volontà espressa dalla maggioranza, secondo le previsioni di cui all'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020, vincolava necessariamente anche il condomino dissenziente; che, infine, la problematica del decoro architettonico era ancora di là da venire, posto che le decisioni assunte riguardavano s0ltanto aspetti "tecnici" e di sicurezza del fabbricato. Il (...) convenuto rassegnava le seguenti conclusioni: "Piaccia all'On. Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: 1) Rigettare la domanda attrice; 2) Condannare parte attrice al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio". Non si costituiva l'altra parte convenuta (a soli fini conoscitivi) sig.ra (...). Così costituitosi il contraddittorio, in corso di causa veniva instaurato procedimento ex (...) 1). Nominato il CTU nella persona dell'ing. (...) e sottoposti i quesiti suggeriti dalle parti (udienza del 31.7.2023), l'ausiliare provvedeva al deposito dell'elaborato definitivo in data 10.2.2024. La causa veniva istruita documentalmente (all'esito delle memorie e ex art. 171 ter c.p.c. depositate dalle parti; la difesa attorea produceva anche la documentazione comprovante il regolare espletamento e l'esito negativo del procedimento di mediazione) e perveniva all'udienza dell"11.4.2024 per la precisazione delle conclusioni e contestuale discussione orale. ln via preliminare si dichiara la contumacia della sig.ra (...), regolarmente citata e non costituita. In via preliminare e istruttoria, si dispone l'acquisizione e si dichiara la piena utilizzabilità, ai fini della, decisione dell'elaborato peritale acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa. Nel merito, la domanda è fondata e va accolta nel senso e nei limiti di cui appresso. 1. In tema di condominio negli edifici, bisogna distinguere le delibere nulle da quelle annullabili: debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; sono invece annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione (cfr., per tutte, Cass. Civ. S.U. n. 4806/2005; conf. Cass. Civ. n. 17014/2010; Cass. Civ. n. 27016/2011; si veda anche Trib. Roma 16/12/2020 n. 17997). Passando quindi all'esame dei motivi di impugnazione delle delibere assembleari oggetto di causa, in relazione alla prima censura svolta dall'attore bisogna innanzitutto premettere che la deliberazione assunta su argomento non compreso nell'ordine del giorno comunicato ai condomini (al pari della mancata comunicazione dell'ordine del giorno), in quanto vizio del procedimento collegiale comporta non la nullità, ma la semplice annullabilità delle delibere (cfr. Cass. Civ. n. 31/2000). Nella fattispecie concreta, sia la decisione di eseguire "ulteriori lavori", con conseguente incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo" (delibera in data 8.6.2024) e sia la decisione di affidare al tecnico l'incarico per la "sanatoria paesaggistica" (delibera del 7.7.2023) non so io coerenti con l'ordine del giorno indicato nelle rispettive convocazioni, posto eh la seduta dell'8.6.2023 era finalizzata alla comunicazione di "aggiornamenti amministratore" sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenziosi in corso, mentre la seduta del successivo 7.7.2023 era stata fissata soltanto per l'esame e l'approvazione del progetto definitivo. Nella prima delle riunioni sopra indicate, l'assemblea condominiale avrebbe dovuto valutare le notizie fomite dall'amministratore e sulla base di queste, ove emersa la necessità di assumere ulteriori decisioni sull'ampliamento o sulla modifica dei lavori già deliberati in precedenza, avrebbe dovuto rinviare ad una nuova seduta per dar modo a tutti i condomini di prendere cognizione delle circostanze riferite in sede assembleare ed assumere le conseguenti determinazioni (partecipare o non partecipare alla successiva assemblea, approvare o non approvare i nuovi interventi); né è possibile affermare che la decisione di eseguire ulteriori lavori sia consequenziale alle informazioni fomite nel corso della riunione, posto che in delibera si parla di "nuovi sopralluoghi effettuati" e di "verifiche sul cemento armato", ma non si spiega affatto quali siano stati gli elementi emersi da tali attività (peraltro genericamente indicate) e i motivi per i quali sia scaturita la necessità di procedere alla redazione di un computo metrico "definitivo", parzialmente modificato e integrato. Nella successiva seduta del 7.7.2023, nel corso della quale l'assemblea avrebbe dovuto discutere ed assumere decisioni sul nuovo computo metrico redatto dall'ing. (...) è stato attribuito al medesimo un incarico completamente diverso (per la "sanatoria paesaggistica") del quale non viene fatta menzione nell'ordine del giorno. È vero che, per garantire una partecipazione informata dei condomini all'assemblea, è sufficiente che nell'avviso di convocazione gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno in termini sintetici ed essenziali, tali da essere comprensibili, senza necessità di prefigurare lo sviluppo della discussione e il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea (cfr. Trib. Vicenza 10.4.202 n. 631; Trib. Roma 9.10.2023 n. 14299), ma è altrettanto innegabile che l'ordine del giorno deve consentire a ciascun condominio di comprendere esattamente il tenore e l'importanza degli argomenti da trattare, in modo da poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia all'opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti (cfr.Trib. Firenze 27.1.2021 n. 167). Quindi, pur non essendo possibile prestabilire lo sviluppo e l'esito finale della discussione, l'ordine del giorno dovrebbe comunque delineare i confini di massima della delibera che l'assemblea può validamente assumere; possono considerarsi legittime decisioni strettamente consequenziali, ma non si può consentire all'assemblea condominiale di assumere, sempre e comunque, decisioni che si traducano in atti di straordinaria amministrazione e che comportino anche spese di rilevante importo (come nel caso di specie), se tutti i condomini non vengono preventivamente informati e messi in condizione di autodeterminarsi. Si deve concludere, pertanto, per l'annullabilità in parte qua di entrambe le delibere in contestazione (delibera 8.6.2023: conferimento incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo"; delibera 7.7.2023: conferimento incarico allo stesso tecnico per la "sanatoria paesaggistica") in quanto adottate su argomenti che non erano all'ordine del giorno. 2. La prima censura non esaurisce i profili di illegittimità delle delibere in questione. Con specifico riferimento alla delibera assembleare in data 8.6.2023, risulta evidente come la stessa, pur esprimendo la naturale prosecuzione della volontà già espressa nella precedente seduta del 5.4.2023 (approvazione del primo computo metrico redatto dall'ing. (...) per intervento di "adeguamento" o "miglioramento" sismico del fabbricato condominiale), non abbia specificato alcunché sui nuovi sopralluoghi e sulle ulteriori verifiche sul cemento armato e, soprattutto, anche a voler soprassedere sull'opportunità cli mia qualche descrizione (anche sintetica) dei controlli asseritamente effettuati, non abbia neppure accennato ai risultati dei medesimi e alle necessità che ne sarebbero derivate, parlando genericamente di "modifica" e di "integrazione" del computo metrico già approvato con alcune "lavorazioni". Allo stato, tenuto anche conto delle difese svolte dal (...) convenuto (che non ha fornito elementi utili per delineare un contenuto della delibera assembleare più preciso rispetto a quello risultante dal verbale), non è dato sapere (non risulta neppure una descrizione di massima) quali siano le ulteriori lavorazioni ritenute necessarie dall'assemblea all'esito degli aggiornamenti forniti e discussi nella seduta dell'8.6.2023. Il verbale di assemblea costituisce il resoconto ufficiale della riunione di condominio; esso rappresenta una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione, ecc.) e la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non resa in conformità alla legge (art. 1137 c.c.). Oltre agli elementi per così dire formali (luogo, data e ora di apertura dell'assemblea, ordine del giorno, indicazione dei condomini, indicazione del valore millesimale di ciascun partecipante all'assemblea, ecc.), il verbale deve contenere la sintesi della discussione e della decisione su ciascun argomento posto all'ordine del giorno. Pur non sussistendo prescrizioni vincolanti per la redazione del verbale assembleare (la disciplina è simile a quella del verbale di assemblea dei soci della società per azioni) e pur potendo essere predisposto in forma sintetica senza l'obbligatorietà del rispetto di schemi o forme, una volta che l'assemblea sia stata convocata, occorre dare conto, tramite la verbalizzazione, di tutte le attività compiute, anche se le stesse non si sono perfezionate o non sono state adottate delle deliberazioni, allo scopo di permettere a tutti i condomini, compresi quelle dissenzienti ed assenti, di controllare lo svolgimento del procedimento collegiale e di assumere le opportune iniziative e ciò proprio al fine di dare certezza a tutti i condomini della attività svolte durante l'assemblea (cfr. Cass. civ. n. 5014/1999; Trib. Taranto 15.3.2016 n. 903). È stato anche precisato che costituisce una garanzia per tutti i condomini la circostanza per cui il verbale contenga un compendio delle discussioni svolte nell'assemblea; tra l'altro, le delibere assembleari devono essere interpretate secondo canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e segg. c.c., secondo il senso letterale delle affermazioni e, solo ove questo sia insufficiente, si può consentire il ricorso ad altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui il comportamento delle parti e il principio della conservazione degli effetti dell'atto (cfr. Trib. Roma 5.8.2020 n. 11396, inedita). L'estrema genericità del verbale si traduce, in mancanza di ulteriori elementi utili a superare tale criticità, nel vizio di genericità della delibera assembleare. Trattasi, quindi, di deliberazione dal contenuto indeterminato e inattuabile, tant'è che, per quanto si dirà anche in prosieguo, il nuovo computo metrico approvato nella seduta del 7.7.2023 non è affatto integrativo rispetto a quello approvato con la delibera del 5.4.2023, ma è un documento attraverso il quale è stato sottoposto all'approvazione dell'assemblea un intervento completamente diverso e non è dato sapere se di questo si sia effettivamente discusso, sia pure a grandi linee, anche ella seduta dell'8.6.2023. Sotto tale profilo, la delibera in data 8.6.2023 deve essere annullata. 3. Nella seduta del 7.7.2023, l'assemblea condominiale ha approvato "il progetto sisma bonus ed il relativo computo", ovvero le tavole progettuali e il computo denominato "Computo metrico cerchiatura pilastri etc." inviati dall'amministratore a tutti i condomini con mail (posta ordinaria) in data 4.7.2023. Il tecnico ha proposto e l'assemblea ha approvato un intervento che prevede la "cerchiatura" dei pilastri con applicazione di barre di acciaio, inserimento di piastre in acciaio tra pilastri e travi oltre alla fasciatura antiribaltamento delle tamponature, per l'importo di Euro. 597.877,17 (e un totale, comprensivo di IVA, spese tecniche ed oneri di legge, pari ad Euro. 770.663,67). Come già anticipato, si tratta di lavori differenti rispetto a quelli elencati nel "Computo metrico Sisma Bonus No Eco" approvato dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (sul punto, a parte le inequivoche risultanze istruttorie - è sufficiente mettere a confronto i due computi metrici -, deve essere anche considerata la completa assenza di contestazioni da parte del (...) a fronte delle allegazioni di parte attrice) e che comportano un costo sensibilmente superiore. Con riferimento alla delibera in data 7.7.2023 l'attore ha lamentato: a) la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c., trattandosi di innovazione di carattere voluttuario o con una spesa particolarmente gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio condominiale; b) la violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che non riguardano soltanto le parti comuni del fabbricato, ma anche le proprietà esclusive dei singoli condomini; c) la violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che possono pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Per quanto attiene al primo aspetto, bisogna preliminarmente stabilire se l'intervento approvato, sia che si tratti in un semplice intervento di "rinforzo locale" - punto 8.4.1 delle NTC 2018, D.M. 17.1.2018 in G.U. n. 42 in data 20.2.2018 -, sia che possa qualificarsi come "miglioramento sismico" - punto 8.4.2 delle NTC 2018 - (escludendo, invece, che si tratti di un vero e proprio "adeguamento" - art. 8.4.3 delle NTC 2018, come spiegato dal CTU ing. (...) nell'elaborato acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa, le cui valutazioni e conclusioni vengono integralmente condivise in quanto congrue, coerenti ed immuni da vizi logici), possa o meno considerarsi come "necessario" in considerazione delle specifiche condizioni in cui versa il fabbricato, come descritte dal CTU. Sul punto, giova ricordare che l'innovazione voluttuaria è quella che non riveste carattere di necessità e non procrastinabilità; essa può comunque essere approvata dall'assemblea condominiale, ma anche laddove si tratti di innovazione favorita (per la quale, ai sensi del comma 2 dell'art. 1120 c.c., è sufficiente un quorum inferiore per la deliberazione), sarà comunque necessario rispettare il meccanismo disciplinato dall'art. 1121 c.c., distinguendo tra opere, impianti e manufatti suscettibili di utilizzazione separata (per quali il condomino dissenziente viene esonerato da qualsiasi contributo alla pesa) e opere, impianti e manufatti per i quali l'utilizzazione separata non è possibile e, quindi, l'innovazione è consentita soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata sia anche disposta a sopportarne integralmente la spesa. Ciò in quanto le innovazioni voluttuarie o gravose non costituiscono un tertium genus rispetto a quelle ordinarie (comma 1, art. 1120 c.c.) o a quelle favorite (comma 2, art. 1120 c.c.), ma la voluttuarietà o la gravosità sono caratteristiche che tutte le innovazioni (sia ordinarie che favorite) possono assumere in rapporto alla condizione e all'importanza dell'edificio. Anche i quorum deliberativi ridotti previsti dall'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020, vanno necessariamente coordinati con la normativa codicistica relativa ai poteri o, meglio, alle attribuzioni, dell'assemblea condominiale (cfr., da ultimo, Tribunale di Teramo 19.3.2024 n. 311, inedita). Nella fattispecie che ci occupa, il CTU ing. (...) ha concluso che il complesso residenziale non presenta un quadro fessurativo apprezzabile riferito agli elementi strutturali del telaio resistente in cemento armato, né tantomeno cedimenti strutturali o gravi indebolimenti o pericolo di crollo imminente; l'ausiliare, inoltre, ha spiegato che sui fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore delle NTC 2018 sono possibili lavori sia di miglioramento che di adeguamento sismico, secondo le citate NTC 2018 e su libera scelta dei proprietari, ma non sussiste alcun obbligo, con l'ulteriore conseguenza che non esiste un'attività "minima" da eseguire. Viene meno, quindi, la motivazione della delibera adottata dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (intervento di sisma-bonus "assolutamente necessario per garantire l'agibilità dell'edificio nonché la sicurezza delle persone"), ripresa e confermata nelle successive delibere in data 8.6.2023 e 7.7.2023, non essendoci pericolo né per il fabbricato né per i suoi occupanti né per soggetti terzi. L'intervento (di rinforzo locale o di miglioramento sismico) non è quindi obbligatorio, né necessario né urgente. L'innovazione è voluttuaria o, più precisamente, deve ritenersi un'innovazione favorita (che può essere decisa con un quorum deliberativo ridotto, anche per effetto delle previsioni di cui all'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020), ma con carattere voluttuario. Né si deve cadere nella tentazione di enfatizzare l'aggettivo "auspicabile" utilizzato dal CTU in riferimento all'intervento proposto dall'ing. (...) e approvato dall'assemblea condominiale: le innovazioni previste dal comma 2 dell'art. 1120 c.c., così come elle incentivate dalla normativa sul c.d. Superbonus 110%, sono tutte auspicabili perché finalizzate a migliorare le prestazioni energetiche e la risposta alle sollecitazioni sismiche di un patrimonio edilizio obsoleto, realizzato in (...), per la massima parte, in epoca antecedente ai primi provvedimenti normativi per il risparmio energetico e ben prima delle nuove regole tecniche per le costruzioni in zona sismica. Il favor verso questa tipologia di interventi è previsto dalla legge, ma questo non significa che siano state sovvertite e superate le regole civilistiche sui compiti e sulle attribuzioni dell'assemblea di condominio; detto in altri termini, l'approvazione può senz'altro intervenire con il quorum agevolato, ma restano fermi tutti gli ulteriori limiti ai poteri dell'assemblea condominiale. Va aggiunto, inoltre, che l'innovazione deliberata dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 comporta anche una spesa particolarmente gravosa, in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale. Risulta, infatti, dalla documentazione prodotta dall'attore (si veda, in particolare, la CILAS depositata al (...) con gli elaborati allegati) che l'intervento di cerchiatura dei pilastri e di fasciatura antiribaltamento delle tamponature, con un costo già aumentato dopo l'approvazione (si veda il computo metrico denominato "Sismabonus rev. 1 21.11.2023 Computo metrico cerchiatura pilastri etc. ("sismabonus")" approvato dall'assemblea nella seduta del 30.11.2023), comporterà per il fabbricato un beneficio limitatissimo, rappresentato dal passaggio di una sola classe di rischio sismico (dalla classe G alla classe F), ferma restando la necessità di eseguire tutti gli ulteriori interventi indicati come necessari dal CTU per la manutenzione straordinaria (che, come sottolineato dall'ausiliare, è cosa diversa rispetto al "miglioramento sismico"). Così l'intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico poteva essere deliberato dall'assemblea condominiale con la maggioranza concretamente espressa, ma doveva anche essere contestualmente manifestata la volontà dei condomini favorevoli a sostenere per intero la relativa spesa, escludendo dalla contribuzione i condomini dissenzienti. Tale passaggio è completamente mancato e, quindi, l'innovazione non può ritenersi consentita e la delibera in data 7.7.2023 deve essere annullata anche sotto tale profilo. Per i lavori già avviati (come risulta anche dalla CTU e dai relativi allegati), l'attore deve essere escluso dalla ripartizione delle spese e dal pagamento della quota corrispondente ai millesimi di proprietà, avendo formulato espressa domanda in tal senso. Infine, dall'esame delle tavole progettuali e del computo metrico approvati con la menzionata delibera in data 7.7.2023, dalla lettura dell'ordine di servizio n. 1 in data 21.11.2023 dell'ing. (...) e della (...) con i relativi allegati depositata presso il (...) (documenti prodotti dall'attore e non contestati dal (...) convenuto), risulta chiaramente che i lavori deliberati (intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico) coinvolgono non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini. In particolare, si legge nella CILA-Superbonus che i lavori "riguardano sia parti comuni di un fabbricato condominiale sia parti dell'immobile di proprietà di singoli condomini" (si veda a pag. 2); nella TAV 2A è riportata la pianta del piano rialzato del fabbricato e sono evidenziati i pilastri insistenti nell'unità immobiliare del sig. (...) sui quali dovrebbe essere realizzata la cerchiatura di rinforzo, ma in nessun elaborato e in nessun computo vengono descritti e quantificati i lavori commessi che dovranno necessariamente interessare l'appartamento al suo interno. Nell'"ordine di servizio" n. 1 del 21/11/2023, l'ing. (...) ha ordinato all'Amministratore di mettere a disposizione le singole unità immobiliari. Come recentemente statuito dall'intestato Tribunale in altra controversia, l'assemblea condominiale non può perseguire finalità extra-condominiali e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Invero, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni, ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da difetto assoluto di attribuzioni (Trib. Teramo n. 311/2024 cit.; conforme Trib. Cosenza 2.3.2023 n. 374). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive" (cfr. Cass. Civ. n. 5657/2015; nello stesso senso Cass. Civ. n. 14300/2020; Cass. Civ. n. 26468/2007). I poteri spettanti all'Assemblea possono essere esercitati solo in relazione alle cose comuni e debbono essere contenuti in limiti tali da non implicare una invasione nella sfera di proprietà esclusiva del singolo condomino. Le deliberazioni che dispongano innovazioni o lavori sulle porzioni di proprietà esclusiva non sono semplicemente annullabili, ma addirittura nulle. Come è noto, l'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020) prevede che le decisioni per la realizzazione degli interventi agevolabili con il c.d. Super-bonus (Sisma-bonus ed Eco-bonus) possono essere approvati in assemblea condominiale con la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio. L'assemblea, tuttavia, ha il potere di deliberare a maggioranza solo per interventi che coinvolgono le parti comuni dell'edificio, ma non può decidere a maggioranza in merito ad interventi che coinvolgono le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva; per ovviare a tale inconveniente e permettere quindi di effettuare interventi anche nei singoli appartamenti, è necessario il consenso unanime di tutti i proprietari. I pilastri e le facciate del fabbricato sono sicuramente parti comuni (art. 1117 c.c.), ma per deliberare legittimamente dei lavori su tali porzioni, laddove si debba intervenire anche nelle proprietà private dei singoli condomini è necessario il consenso degli interessati. La giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha più volte affermato che la delibera con la quale, senza il consenso del proprietario esclusivo, venga approvata l'esecuzione di lavori (anche di carattere generale, nell'interesse dell'intero condominio) che incidono su le proprietà individuali, è affetta da nullità assoluta, deducibile in ogni tempo; è stato altresì precisato che la nullità sussiste anche nell'ipotesi in cui i lavori appaiano necessari ed urgenti perché, se manca il consenso del proprietario esclusivo, la valutazione delle condizioni che giustifica :io l'intervento del condominio sulla proprietà del singolo condomino, non può essere rimessa ad una delle due parti interessate, ma deve formare oggetto di apposito giudizio (cfr. Cass. Civ. n. 14300/2020 cit.; Cass. Civ. n. 4726/2016; Cass. Civ. n. 13116/1997; si vedano anche, con specifico riferimento ai lavori in regime di c.d. Superbonus 110%, Trib. Milano, Sez. XIII, Ord. 30/9/2021; Trib. Roma 16.10.2020 n. 17997). Nel caso di specie, non è mai stata espressamente sottoposta all'approvazione dei condomini la possibilità che i lavori in regime di c.d. Superbonus 110% (e, in particolare, di rinforzo locale o di miglioramento sismico) si estendessero anche alle parti private, limitandosi l'assemblea ad approvare il computo metrico predisposto dall'ing. (...) non risulta mai acquisito il consenso dei condomini ad intervenire sulle porzioni di proprietà esclusiva (il tecnico ha emesso un ordine di servizio per conseguire la disponibilità dei singoli appartamenti); vi è ferma opposizione da parte del condomino (...). Quindi, anche laddove possa (ipoteticamente) ravvisarsi una vera e propria necessità degli interventi di cui al computo metrico approvato con la delibera in data 7.7.2023 (necessità esclusa dall'elaborato peritale del CTU ing. (...), per poter eseguire i lavori all'interno delle proprietà esclusive di quei condomini che non hanno prestato il proprio consenso (manifestando il diniego in assemblea o attraverso la tempestiva impugnazione della delibera, come ha fatto il sig. (...), non è sufficiente la decisione adottata con il quorum ridotto di cui al D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020), ma è necessaria una specifica pronuncia giudiziale. Ne consegue la radicale nullità della deliberazione del 7.7.2023 per violazione dell'art. 1135 c.c. e per difetto assoluto di attribuzioni. La nullità può essere affermata anche sotto un ultimo profilo. L'assemblea condominiale ha approvato il computo metrico predisposto dall'ing. (...) senza fare alcun cenno all'estetica del fabbricato, tenuto anche conto dell'esistenza di un vincolo paesaggistico (circostanza pacifica). La salvaguardia dell'euritmia e del decoro architettonico del fabbricato condominiale non può essere rinviata ad un momento successivo all'esecuzione dei lavori (di rinforzo strutturale o di miglioramento sismico), come sostenuto dal (...) ma deve necessariamente essere verificata e programmata ex ante (si pensi, ad esempio, all'inevitabile aumento della sezione dei pilastri in conseguenza dell'intervento di cerchiatura oppure alla riduzione della superficie dei balconi a seguito del posizionamento delle reti antiribaltamento), con indicazioni puntuali alla Ditta appaltatrice. La maggioranza semplice richiesta dalla vigente normativa per la deliberazione degli interventi di riqualificazione energetica e di adeguamento sismico non consente di approvare lavori ed opere che possano in qualche modo pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Secondo la S.C., il decoro architettonico corrisponde all'estetica complessiva data dall'insieme delle linee e strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico (cfr. Cass. Civ. n. 28908/2023; Cass. Civ. n. 23510/2023; Cass. Civ. Ord. n. 14598/2021; Cass. Civ. n. 18928/2020; Cass. Civ. n. 1286/2010). In buona sostanza, il decoro dell'edificio condominiale corrisponde al suo armonico aspetto esteriore, all'estetica del fabbricato. Il decoro architettonico non riguarda solamente i palazzi di pregio, potendosi trovare in ogni edificio nel quale possa individuarsi una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia. Esso costituisce un limite invalicabile alle opere che i condomini possono realizzare, sia sulle singole proprietà private e sia sulle parti comuni: il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico previsto dall'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., è incondizionato e consente anche ad un solo condomino di esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato (cfr. Cass. Civ. n. 851/2007). L'esecuzione di lavori che alterano, ledono e comunque pregiudicano m modo significativo il decoro architettonico esistente "può essere validamente deliberata dall'Assemblea condominiale soltanto all' unanimità. Ma nel caso di specie, la problematica non è stata neppure affrontata, con il rischio concreto che, al termine dei lavori, i condomini non possano fare altro che constatare l'alterazione grave e ormai definitiva dell'euritmia del fabbricato, la cui sorte è stata, di fatto, illegittimamente decisa da soggetti estranei a) (...) Ogni altra questione rimane assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, in applicazione delle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014 e ss.mm.ii., valore indeterminabile, tenendo conto della particolare complessità di tutte le questioni affrontate e del fatto che la fase istruttoria è da considerare assorbita dal procedimento di accertamento tecnico preventivo in corso di causa. P.Q.M. la giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) contro (...) e (...) disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, cosi provvede: -accoglie la domanda attrice e, per l'effetto, annulla le deliberazioni adottate dall'assemblea ordinaria del (...) di (...) dell'8.6.2023 -PUNTO 4 del verbale e dichiara la nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del medesimo (...) di (...) del 7.7.2023 - PUNTO 1 del verbale; -dichiara l'esclusione di (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento agli interventi approvati con le deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del (...) di (...) del 7.7.2023 (PUNTO 1 del verbale), in quanto relativi a innovazione di carattere voluttuario, insuscettibile di utilizzazione separata e con spesa gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale; -condanna il (...) di (...) alla rifusione delle spese e competenze di lite in favore dell'attore che liquida in complessivi Euro.12.831,00, di cui Euro.3.600,00 per competenze relative al procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c., oltre ad Euro.286,00 per rimborso spese non imponibili, Euro.8.400,00 per competenze relative al presente giudizio oltre ad Euro.545,00 per rimborso spese non imponibili, oltre al rimborso forfettario 15% sulle sole competenze, IVA e CPA come per legge; -pone definitivamente a carico del (...) le spese di CTU come liquidate in separato decreto; -nulla per la posizione della sig.ra (...) Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante allegazione al verbale di udienza odierna, in (...) l'11 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Converti - gop - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di 1° Grado iscritta al n. r.g. 974/2023 promossa da: (...), tutti elettivamente domiciliati a (...), nello studio degli Avv.ti (...) che li difendono e li rappresentano, sia separatamente che congiuntamente, come da mandati estesi in calce all'atto di citazione ATTORI contro (...), in qualità di amministratore del (...), residente in (...), rappresentato e difeso (...) ed elettivamente domiciliato nel suo studio in (...), come da procura estesa in calce alla memoria di costituzione CONVENUTO OGGETTO: (...), impugnazione di delibera assembleare - spese condominiale. CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato nelle forme di legge, gli odierni attori hanno evocato in giudizio il (...) in persona dell'amministratore p.t., invocando la nullità o l'annullamento delle deliberazioni assembleari del 25/10/2022 e 3/03/2023, con il favore delle spese di lite. Il (...), costituitosi mediante deposito di memoria difensiva in data 13/07/2023, ha resistito in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda e la conferma delle deliberazioni impugnate. La causa, istruita per tabulas, è pervenuta per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 19/12/2023, tenutasi con le modalità stabilite dall'art. 127 ter c.p.c. Preliminarmente, va osservato che il condominio convenuto è incorso nelle decadenze di cui all'art. 166 c.p.c., essendosi costituito oltre il termine ivi stabilito. Ed invero, il termine di 70 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione (12/09/2023) è spirato in data 3/06/2023, posticipato al successivo 5/06/2023, ricadendo la prima data di sabato, mentre il (...) si è costituito in data 13/07/2023. Ciò posto, i motivi di impugnazione delle delibere assembleari oggetto di causa sono ì seguenti: 1) violazione dell'art. 1108 c.c. in riferimento all'art. 1139 c.c.- Nullità assoluta delle deliberazioni del 25/10/2022 e 3/03/2023, per mancanza del consenso di alcuni condomini all'esecuzione di opere anche sulle loro proprietà esclusive; 2) violazione dell'art. 1418 c.c., in riferimento agli artt. 1325 n. 3 e 1346 c.c. - Nullità della deliberazione del 3/03/2023 per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto di appalto sottoscritto dall'amministratore su mandato dell'assemblea; 3) annullamento della delibera del (...) del 3/03/2023 per eccesso di potere. Con riferimento al primo motivo di opposizione, gli attori deducono che con la delibera del 3/03/2023, l'assemblea dei condomini ha dato mandato all'Amministratore di sottoscrivere il contratto di appalto predisposto dall'Impresa Immobiliare (...) il cui art. 5.1 lettera "b" recita: "il Committente dichiara di essere stato autorizzato dai singoli condomini all'esecuzione dei lavori anche sulle rispettive parti private interessate dalle opere". All'art. 7.1, inoltre, è previsto che il "Committente deve provvedere, prima della data di inizio dei lavori, a far rimuovere, ovvero dotare di adeguata protezione, le cose proprie o di terzi poste nei luoghi interessati ai lavori (e quindi anche nelle proprietà esclusive) che possano intralciare l'esecutorie dei lavori stessi", mentre il successivo comma 2 stabilisce che, in difetto di quanto sopra, l'Appaltatore può provvedere direttamente ai suddetti adempimenti. Pur tuttavia, gli odierni attori dichiarano di non aver mai espresso il loro consenso all'esecuzione delle opere sulle loro proprietà esclusive, sia nell'adunanza del 25/10/2022, che in quella del 3/03/2023. Ciò posto, anzitutto, occorre premettere che gli attuali interventi normativi in tema di Superbonus prevedono forme incentivanti per il rifacimento delle facciate condominiali con abbattimento di almeno due classi energetiche. Al contempo, il Decreto Rilancio n. 34/2020 (convertito in L. 77/2020) ha previsto all'art. 119 comma 9 bis dei quorum deliberativi ridotti, prevedendo che gli interventi in tema di Superbonus richiedano la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 1/3 del valore dell'edificio. Tale normativa, tuttavia, va contemperata con la normativa codicistica relativa ai poteri, o meglio alle attribuzioni, dell'assemblea. Ed invero, l'assemblea dei condomini è, per definizione, competente a deliberare esclusivamente sulle parti comuni. I compiti o "le attribuzioni" dell'assemblea di condominio sono regolati dall'art. 1135 c.c. Rientra nei poteri dell'assemblea la nomina e la revoca dell'amministratore, l'approvazione del preventivo e del rendiconto consuntivo, le decisioni relative alla gestione dei beni condominiali ex art. 1117 c.c. Dunque, i compiti dell'assemblea rappresentano, contemporaneamente, anche i limiti dei poteri dell'assemblea; in altre parole, l'assemblea di condominio non ha poteri fuori dalla gestione dei beni condominiali. Per meglio dire, in materia di condominio, l'assemblea condominiale non può perseguire finalità extra-condominiali e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Invero, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni, ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferita dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da difetto assoluto di attribuzioni (conforme Trb. Cosenza 2/03/2023 n. 374). Di talché, agli interventi sulle parti degli edifici di proprietà privata dei singoli condomini avrebbero richiesto l'approvazione dei singoli proprietari esclusivi, in virtù del metodo contrattuale sopra descritto. In applicazione di tale principio, infatti, le delibere assembleari lesive della proprietà privata sono viziate per "eccesso di potere" essendo in contrasto con l'art. 1135 c.c., in quanto l'assemblea condominiale eccede ì propri poteri interferendo con la proprietà delle singole unità immobiliari. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive" (Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 2015 n. 5657, nello stesso senso Cass. civ., Sez. II, 8 luglio 2020, n. 14300; Cass. 14/12/2007, n. 26468, secondo cui "in tema di condominio, i poteri dell' assemblea condominiale possono invadete la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del regolamento che la preveda, in quanto l'autonomia negoziale consente alle parti di stipulale o di accettare contrattualmente convenzioni e tegole pregresse che, nell'interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei condomini"). Da ciò ne discende che per deliberare lavori che prevedono interventi nelle proprietà private dei singoli condomini è necessario il consenso degli interessati, che, ad avviso dello scrivente, potrebbe dedursi anche dalla votazione da parte del singolo a favore dell'intervento, per cui è comunque opportuno evidenziare il voto contrario in sede assembleare. La delibera adottata in contrasto con la volontà di alcuni proprietari e che al contempo preveda lavori nella loro proprietà lesivi della stessa, secondo la giurisprudenza è quindi da considerarsi radicalmente nulla (in tal senso Cass. Sez. Unite 4806/2005, Cass 7042/2020; di recente, Ord. 13/12/2022 n. 36387) e, quindi, può essere impugnata anche dopo il decorso del termine di 30 giorni (termine di decadenza fissato per contestare le delibere annullabili e decorrente dall'assemblea per i presenti, dalla ricezione del verbale per gli assenti), ciò in applicazione del 2° comma dell'art. 1137 c.c. stabilisce che "Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudicatici chiedendone l'annullamento nel temine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberatone per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicatone della deliberatone per gli assenti". In siffatto contesto normativo e giurisprudenziale, con specifico riferimento ai lavori di straordinaria manutenzione c.d. "Superbonus 110%", vanno segnalate due pronunce di mento. Già nel 2020, infatti, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 17997 del 16 dicembre 2020, si è pronunciato sull'impugnazione della delibera inerente lavori condominiali che hanno interessato il risanamento delle facciate e delle coperture dell'immobile. La delibera impugnata predisponeva la realizzazione di un cappotto termico, che avrebbe però ridotto la superficie dei balconi e dei terrazzi di alcuni proprietari. In questo caso il Tribunale ha sancito la nullità della delibera impugnata perché appariva lesiva del diritto di proprietà dei condomini, andando ad incidere sulla riduzione della superficie utile (piano di calpestio dei balconi), avendo la stessa approvato "tout court" la realizzazione del cappotto termico con l'istallazione di pannelli isolanti e con spessore variabile senza la specifica indicazione nel capitolato delle modifiche da eseguire sui balconi di proprietà degli attori. Nella stessa direzione va pure l'ordinanza del Tribunale di Milano del 30 settembre 2021, che si è invece espressa sulle maggioranze che sarebbero necessarie se in un condominio, il cappotto termico andasse ad incidere sull'estetica e quindi sul decoro architettonico dell'edificio. Anche in questo caso il Tribunale, richiamando la Sentenza n. 18928/2020 della S.C., annullava la delibera condominiale rammentando che "L'installazione del cappotto termico che determini il cambiamento dell'estetica del fabbricato con il mutamento di colori, materiali e l'introduzione di nuovi elementi architettonici necessita dell'approvatone all'unanimità da parte dell'assemblea condominiale ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma c.c. senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico". La corretta valutazione, quindi, della deliberazione assembleare suscettibile di nullità va effettuata sulla precisa classificazione dei lavori oggetto di intervento stando ben attenti a non sconfinare dalle attribuzioni proprie del condominio. Quest'ultimo, infatti, come sopra precisato, può occuparsi esclusivamente della gestione dei beni e servizi comuni e qualsiasi decisione che non attenga strettamente alla propria competenza risulta viziata da "difetto assoluto di attribuzioni determinando la nullità radicale della deliberazione decretando la possibilità, per il condomino dissenziente, di poter essere impugnata in ogni tempo. Alla luce dei suesposti principi, le deliberazioni impugnate sono radicalmente nulle in quanto affette da difetto assoluto di attribuzioni. Ed invero, nella prima deliberazione (25/10/2022), l'assemblea era chiamata a deliberare circa "l'esposizione e approvazione del progetto esecutivo degli interventi in "ecosismabonus". Appalto lavori. Discussione in mento e decisione da adottare". La delibera è stata adottata con voti favorevoli per 641 millesimi e 136 contrari, tra cui i condomini (...) oggi opponenti. Sul punto, va osservato, preliminarmente, che nessuna delle parti ha depositato in atti il progetto esecutivo approvato dall'assemblea del 25/10/2022, sicché non è possibile stabilire con precisione se in detto progetto fossero o meno previste lavorazioni nelle parti di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Pur tuttavia, deve ritenersi che l'intervento riguardasse anche le parti di proprietà privata dei singoli condomini, in primis in quanto il condominio convenuto non ha contestato tale circostanza, ma l'ha addirittura implicitamente confermata, svolgendo specifica attività difensiva in mento e depositando in atti le dichiarazioni degli attori, alcuni dei quali hanno autorizzato preventivamente l'esecuzione dei lavori all'interno delle rispettive proprietà; in secondo luogo, ciò si evince dalla disamina della relazione tecnica di asseverazione allegata alla CILA n. 7/2022, in atti, dove vengono descritte lavorazioni che necessariamente si estendono alle proprietà private, non solo come interventi c.d. trainati, ma persino trainanti. Nel caso di specie, né la delibera del 25/10/2022 ha espressamente sottoposto all'approvazione dei condomini la possibilità che ì lavori del (...) si estendessero anche alle parti private, limitandosi ad approvare tout court il progetto esecutivo, né tale indefettibile presupposto può ritenersi superato dalla preventiva acquisizione di dichiarazioni con le quali ì condomini abbiano manifestato il loro consenso in mento, posto che il voto contrario espresso in assemblea equivale a revoca del consenso precedentemente manifestato. Per le medesime ragioni, anche la deliberazione del 3/03/2023 è affetta da nullità per difetto assoluto di attribuzioni. Tale vizio si è riverberato anche nel contratto di appalto stipulato dall'amministratore in esecuzione di tale ultima deliberazione, nel quale questi dichiarato, al punto G della premessa, che gli interventi di cui al contratto (dunque anche quelli che interessano le parti provate dei singoli condomini) sarebbero stati oggetto di deliberazione dell'assemblea condominiale, circostanza non evincibile dalla disamina della richiamata delibera, così come non risulta che l'assemblea abbia autorizzato l'amministratore, così come riportato al punto H delle premesse, ad adottare il regime dello sconto in fattura ex art. 121 co. 1 lett. a) D.L. n. 34/2020. In base a tali premesse, poi, all'art. 5, co. 1 lett. a) del contratto vi è scritto che l'amministratore all'assemblea del 25/10/2022 sarebbe stato autorizzato dai singoli condomini all'esecuzione dei lavori anche sulle rispettive parti private dalle opere. Ogni altra questione resta assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo in applicazione delle tabelle allegate al DM n. 55/2014 ss.mm.11., valore indeterminabile nella misura minima, attesa la non particolare complessità delle questioni affrontate ed esclusa la fase istruttoria. P.Q.M. il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratico, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione reietta, definitivamente pronunciando, così decide: - in accoglimento della domanda, dichiara la nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del (...) in data 25/10/2022 e 3/03/2023 in quanto affette da difetto assoluto di attribuzioni; - condanna il (...) convenuto alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori, che liquida in complessivi euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso contributo unificato, spese generali (15%), Iva, c.p.a. come per legge. Teramo, lì 16 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. IMPERIALI Luciano - Presiedente Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. MARRA Giuseppe - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SERVIZI IMPRESE - (...) Srl avverso l'ordinanza del 25/09/2023 del TRIB. LIBERTA' di SALERNO udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE MARRA; sentite le conclusioni del P.G. LIDIA GIORGIO che ha chiesto il rigetto del ricorso, udito il difensore, avvocato Sa.Ma. del foro di PALMI in sostituzione dell'avvocato Me.St. del foro di TRENTO in difesa di SERVIZI IMPRESE - (...) Srl, che si riporta ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 25 settembre 2023 il Tribunale del Riesame di Salerno ha rigettato l'istanza di riesame proposta dal legale rappresentate della Servizi Imprese - (...) Srl avverso il decreto di sequestro preventivo ai fini impeditivi emesso dal G.I.P. di Salerno in data 21.07.2023, nell'ambito del proc. pen. n. 4372/2023 nei confronti anche della società (...) Spa ex artt. 24 D.Lgs. n. 231/2001. 2. Il procuratore speciale della Servizi Imprese - (...) Srl, avv. Me.St., in persona del legale rappresentante della società, propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Salerno, chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato e del sotteso decreto di sequestro preventivo e degli atti conseguenti. A tal fine formula cinque distinti motivi. 2.1 Con il primo eccepisce la violazione di legge per erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 321, comma 1, e 655 c.p.p., in quanto il P.M. che ha dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. in data 21.07.2023 mediante l'annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti fiscali, avrebbe debordato il limite del vincolo reale stabilito dal giudice. Nel provvedimento del G.I.P., infatti, sarebbe stato disposto unicamente il sequestro diretto dei crediti di imposta ancora nelle disponibilità delle società (...) soc. coop. sociale, committente per conto del Comune di Laviano dei lavori di ristrutturazione ed efficientamento economico dell'area denominata V(...), e della (...) Spa, ditta che aveva ricevuto l'appalto per l'esecuzione dei lavori edilizi, o comunque dei crediti di imposta ceduti a terzi purché esistenti e circolanti, requisiti non rinvenibili con riguardo ai crediti di imposta acquistati dalla Servizi Imprese - (...) Srl e già da essa interamente compensati in data 17.07.2023, prima del decreto del G.I.P.; quindi, di fatto, crediti non più esistenti, malgrado i dubbi espressi dal Tribunale del Riesame sull'effettiva compensazione, che risulterebbe, invece, per tabulas. 2.2. Con il secondo motivo si duole del vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, che non avrebbe argomentato, malgrado l'eccezione proposta con il riesame, sulla possibilità di sequestrare ex art. 321, comma 1, c.p.p. crediti di imposta inesistenti perché già utilizzati ai fini della compensazione con l'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. n. 241/1997. 2.3 Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge in relazione all'art. 321, comma 1, c.p.p., e all'art. 121 del D.L. n.34/2020 e s.m.i., in quanto il provvedimento cautelare ha come presupposto la necessità che la circolazione di cose pertinenti al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito penale, ovvero agevolare la commissione di ulteriori reati. Tale presupposto non potrebbero ricorrere nel caso di specie perché i crediti fiscali si erano estinti a seguito della compensazione, già prima del provvedimento cautelare. Né sarebbe possibile ricostruire con efficacia retroattiva i detti crediti di imposta mediante l'annullamento delle operazioni di compensazione come disposto dal P.M., con un provvedimento illegittimo se non abnorme, in quanto volto, in realtà, a riparare di fatto un asserito danno erariale. 2.4 Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge in relazione all'art. 121, comma 6 bis 6 quater, D.L. n.34/2020, come introdotti dal D.L. n.11/2023, in quanto il Tribunale del riesame ha erroneamente ritenuto irrilevante la buona fede del ricorrente nell'acquisto del credito di imposta (...) Spa, in spregio alle disposizioni citate che hanno introdotto uno schermo operativo in favore del terzo cessionario in buona fede che porti in compensazione i crediti acquistati. 2.5 Infine, con il quinto motivo eccepisce la violazione di legge in relazione agli artt. 275 e 321 c.p.p., in quanto il vincolo reale apposto in danno della Servizi Imprese - (...) Srl supererebbe l'importo consentito pari a Euro 39.126.000, somma indicata come profitto del reato dal G.I.P. di Salerno, così violando il principio dì proporzionalità. Secondo il ricorrente l'importo dei crediti sottoposti a sequestro preventivo a fini impeditivi ex art. 321, comma 1, c.p.p., ammonta in realtà a 40.626.000 Euro; il Tribunale del Riesame avrebbe, quindi, disatteso la richiesta della società ricorrente di riduzione del sequestro alla somma differenziale di Euro 99.940. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto fuori dai casi consentiti dalla legge. 2. In primo luogo, va evidenziato che il decreto di sequestro preventivo relativo anche ai crediti di imposta in possesso della Servizi Imprese - (...) Srl, da essa acquistati dalla società (...) Spa indagata per il delitto di cui all'art. 640 bis cod. pen., non è invalido. Il Collegio sul punto richiama i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte, precisamente con la sentenza Sez.3, n.40865 del 21.09.2022, Decio, Rv.283701-01, secondo cui: "In tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all'art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del ed. "superbonus 110%"), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalia disciplina in oggetto". Al riguardo, occorre, inoltre, ribadire - secondo la giurisprudenza consolidata - che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sopra richiamato (cfr. oltre alla già citata n.40865/2022, anche Sez. 3, n 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691; Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741). Orbene è evidente che la circolazione del credito di imposta derivante da un'attività illecita a monte, possa creare un pericolo di protrazione e/o aggravamento delle conseguenze del reato, proprio in ragione del fatto che il terzo cessionario può utilizzare il credito acquistato per cederlo a sua volta o per portarlo in compensazione, come avvenuto nel caso di specie. Né rileva la buona fede del cessionario stesso, in quanto non si è in presenza di un acquisto del diritto alla detrazione a titolo originario, impermeabile ad ogni vicenda illecita precedente; si ritiene che tali crediti di imposta, una volta emersa la loro provenienza illecita, diventino inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona, fede, al quale, pertanto, non resta che rivalersi nei confronti del cedente. Le censure relative alla presunta violazione dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sono pertanto manifestamente infondate, dato che ben poteva essere sottoposto a sequestro preventivo impeditivo il credito di imposta acquistato dalla società ricorrente, anche nella veste di cessionario in buona fede. Sotto questo profilo l'ordinanza del Tribunale Di Salerno che rigetta il ricorso per il riesame, confermando il decreto di sequestro del G.I.P., risulta corretta. Tuttavia, nel caso di specie, va sottolineato che il credito erariale de quo era stato portato in compensazione dalla Servizi Imprese - (...) Srl in data 17.07.2023, prima del provvedimento del pubblico ministero del 25.07.2023, che dava esecuzione al decreto di sequestro del G.I.P., in cui si disponeva l'annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti di imposta effettuate dalla (...) Spa e dai cessionari della stessa, delegando per l'incombente la Guardia di Finanza - Compagnia di Battipaglia. Tale provvedimento veniva poi eseguito dalla GdF in data 11.08.2023 e nel relativo verbale si legge espressamente che i verbalizzanti: "procedono all'annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti d'imposta oggetto del provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Salerno in data 21.07.2023 - effettuate dalla parte in relazione ai crediti acquisiti dai (...) Spa per un totale di Euro 1.600.000". Da qui l'eccezione, di cui ai motivi 1 e 3 del ricorso, della violazione di legge per erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 321, comma 1, e 655 c.p.p., in quanto il P.M., che ha dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo disponendo l'annullamento delle operazioni di compensazione, avrebbe emesso un provvedimento illegittimo se non abnorme, con effetti retroattivi rispetto alla procedura amministrativa di compensazione già conclusa. Da queste emergenze appare evidente che il provvedimento da impugnare non era, perciò, l'originario decreto di sequestro preventivo o la successiva ordinanza confermativa del Tribunale del riesame, quanto piuttosto il provvedimento del P.M. che dava esecuzione al decreto del G.I.P., disponendo a tal fine l'annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti di imposta già compiute dalla società ricorrente. Del resto, tale ultima la decisione non è rinvenibile nel decreto di sequestro preventivo, che si limitava legittimamente a disporre che: "Il sequestro diretto a fini impeditivi, dei crediti d'imposta costituenti il profitto del reato, come in motivazione specificato, nei confronti della società (...) società cooperativa sociale e/o della (...) Spa, per l'ammontare complessivo di Euro 39.126.000,00, sia in relazione ai crediti già ceduti a terzi sia in relazione ai crediti che risultino ancora nella disponibilità delle predette società e che siano riferibili ai lavori eseguiti per il Comune di Laviano". A fronte dell'avvenuta compensazione del credito di imposta, il pubblico ministero ben avrebbe potuto astenersi dal procedere oltre con l'annullamento retroattivo, dato che nel decreto di sequestro del G.I.P. non vi è traccia del fatto che il credito della Servizi Imprese - (...) Srl fosse già stato portato in compensazione. Tuttavia, il provvedimento del pubblico ministero di esecuzione del decreto di sequestro preventivo non è, però, ricorribile per cassazione. Si richiama, al riguardo, il principio espresso dalla sentenza Sez.2, n.44504 del 03/07/2015, Rv.265103-01 (conf. Sez. 1, ord. n.8283 del 24.11.2020, Rv.280604-01), la cui massima afferma: "I provvedimenti riguardanti le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni ad essi attinenti vanno proposte in sede di incidente di esecuzione. (Fattispecie in cui, nonostante il Tribunale del riesame avesse disposto H sequestro preventivo fino alla concorrenza di una somma di poco superiore a 3.000 Euro, erano stati sottoposti a vincolo beni per un valore complessivo di circa 30 volte superiore. In applicazione del principio, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, in cui era stata dedotta l'erronea estensione del vincolo reale)". La società ricorrente, per far valere le sue ragioni, avrebbe dovuto, quindi, impugnare il già citato provvedimento del pubblico ministero del 25.07.2023. 5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 3714/21 del Ruolo Generale dell'anno (...) posta in deliberazione all'udienza del (...) e vertente tra (...) in atti gen.ta, personalmente e in qualità di legale rappre.te di (...) corrente in (...), rappresentata e difesa dall'Avv.to (...) del foro di (...) e presso lo stesso elettivamente domiciliata, come da mandato allegato all'atto di citazione Attrici contro (...), in persona dell'amministratore (...) rappresentata e difesa dall'Avv.to (...) del Foro di (...), ed elettivamente domiciliato presso il difensore, come da mandato rilasciato in calce all'atto di citazione notificato Convenuto OGGETTO: pagamento prestazioni professionali e risarcimento danno MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte (...), anche in qualità di legale rappr.te di (...) esponeva di essere stata nominata amministratore del condominio sito in (...) con verbale di assemblea (...). In data (...) l'assemblea condominiale le aveva conferito l'incarico di ricercare un tecnico specializzato che effettuasse uno studio di fattibilità finalizzato alla riqualificazione energetica e sismica del fabbricato condominiale al fine di usufruire del c.d. superbonus del 110% previsto dal c.d. decreto rilancio 77/2020; l'amministratrice si era quindi attivata, era stato effettuato lo studio di diagnosi energetica da parte dell'Ing. (...), dopodiché in data (...) l'assemblea aveva deliberato l'esecuzione dei lavori (per un valore totale di Euro 1.624.000) scegliendo anche l'impresa edile che avrebbe dovuto eseguirli, e dando all'amministratore l'incarico di seguire le pratiche necessarie a tali lavori per il corrispettivo pari all'1% del valore dell'appalto ( e cioè Euro 16.240). Inopinatamente, con assemblea straordinaria del (...), il condominio aveva deliberato la revoca delle delibere assunte nell'assemblea del 24 maggio, ed inoltre aveva revocato alla (...) l'incarico di amministratore del condominio. Tale condotta, in alcun modo giustificata, pur nel pieno diritto del condominio di decidere in ogni momento di revocare l'amministratore, abilitava le parti attrici ad agire per il risarcimento del danno subito, nella fattispecie pari a quanto l'amministratrice avrebbe percepito (Euro 16.240) se i lavori fossero stati regolarmente effettuati come in un primo momento deliberato dall'assemblea, che senza alcun motivo aveva successivamente cambiato le sue decisioni. Il (...) inoltre non aveva pagato alla (...) il compenso annuo forfettario, pari a Euro 1403,00 come da delibera 2, e neppure il compenso extra dovuto per attività varie eseguite dall'amministratore prima della sua revoca, come richiesto dalla (...) con nota pro forma del (...) (doc. 3). Agivano pertanto le parti attrici per ottenere la condanna del (...) al pagamento della complessiva somma di Euro 20.083,00 oltre interessi moratori. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, contestando il diritto di parte attrice alle somme de quo. Quanto al preteso risarcimento evidenziava come la revoca dell'incarico all'amministratrice , ben lungi dall'essere priva di giusta causa, era al contrario giustificata dalla totale perdita di fiducia da parte del (...) nell'operato dell'amministratrice, la quale, nel far deliberare al (...) l'affidamento alla (...) di lavori per la ragguardevole somma di Euro Euro 1.624.000, e nel far nominare Progettista e Direttore dei Lavori l'Ing. (...), ben lontana dal fare gli interessi del (...) aveva agito in patente conflitto di interessi: alcuni condomini avevano infatti successivamente scoperto che (...) era una piccolissima società sottocapitalizzata, senza alcun bene e priva di qualsiasi esperienza lavorativa, costituita in tutta fretta dopo l'adozione della normativa sul Superbonus, di cui erano soci la stessa amministratrice condominiale (...) , il socio accomandante della (...), e la società (...) a sua volta di proprietà per un terzo dell'Ing. (...), legale rappr.te. Sempre il (...) e il (...) erano amministratori della (...). Tutte tali circostanze erano state con malafede taciute dalla (...) nel corso dell'assemblea condominiale del (...) nel corso della quale peraltro la (...) non solo non aveva presentato preventivi di altre imprese edili, come da mandato precedentemente ricevuto dall'assemblea, ma neppure il preventivo della (...); anche successivamente ai condomini che le avevano chiesto chiarimenti, la (...) nulla aveva riferito, sicché una volta venuti a conoscenza per altre vie della situazione reale, al condominio non era rimasta che la possibilità di tornare sui propri passi e revocare precedenti delibere e amministratrice. Chiedeva pertanto il (...) il totale rigetto della domanda attorea, con condanna alle spese legali anche per lite temeraria. La causa, dopo l'esperimento della negoziazione assistita, è stata istruita a mezzo produzioni documentali e l'interrogatorio formale del nuovo amministratore condominiale. All'esito il Tribunale decide come segue. Preliminarmente va precisato che la legittimazione ad agire in questo processo spetta solo a (...) e non a (...) personalmente, atteso che la controversia ha ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali rese dalla (...) in qualità di soggetto che ricopriva l'incarico di amministratore del condominio di (...) ( vedi verbale di conferimento incarico del (...), punto 3, prodotto dalla difesa attorea sub doc., n. 1), mentre non risulta che tale carica sia mai stata ricoperta da (...) personalmente, sicché resta del tutto inspiegato il motivo della sua costituzione in giudizio; il che tuttavia non inciderà sulla regolamentazione delle spese legali, che tra la (...) personalmente e il (...) verranno compensate, posto che la presenza in giudizio di tale parte non ha comportato per il (...) (che ha ignorato la questione) alcuna attività difensiva aggiuntiva. Nel merito le domande attoree sono fondate solo in piccolissima parte. Ritenuto corretto l'inquadramento giuridico operato dalle parti - per quanto riguarda il risarcimento del danno da risoluzione del rapporto di mandato di amministrazione senza giusta causa ritiene il Tribunale che, al contrario di quanto sostenuto da parte attrice e in conformità di quanto sostenuto dal convenuto condominio, la revoca dell'amministratrice condominiale sia stata pienamente giustificata. In altre parole, di fronte a quanto scoperto dai Condomini successivamente all'assemblea del (...), è del tutto comprensibile che questi abbiano perso ogni fiducia nell'amministratrice circa l'idoneità di questa a rappresentare il condominio e a tutelare gli interessi di questo nei rapporti contrattuali che si sarebbero instaurati con l'impresa (...) e con il progettista e Direttore dei Lavori Ing. (...). Risulta infatti dalle visure camerali prodotte dal convenuto (doc.ti 3-5) che i due soci dell'amministratrice condominiale (...) (...) e (...), la prima anche legale rappr.te, erano anche soci della (...) il secondo anche legale rappr.te. Inoltre colui che il (...) , su proposta dell'amministratrice, aveva nominato progettista e Direttore dei Lavori, l'Ing. (...) (con il compito quindi di sorvegliare nell'interesse del condominio committente l'operato di (...), era anche socio dell'impresa esecutrice per mezzo della (...) di cui era amministratore. Si noti che l'Ing. (...) era stato individuato e invitato all'assemblea condominiale del (...) ad opera dell'amministratore (...) (vedi doc. 1 fascicolo convenuto). In tale situazione è vero quanto allegato dal (...) convenuto nelle sue difese e cioè che il contratto di appalto, che il (...) aveva delegato la (...) di stipulare per suo conto, vedi verbale di assemblea (...), sarebbe stato firmato da persone che, per entrambe le parti, erano in chiaro conflitto di interessi. Si tratta di circostanze di innegabile rilievo che l'amministratrice condominiale ha taciuto ai condomini, certamente in malafede posto che risulta anche che la (...) non ha adempiuto al mandato ricevuto all'assemblea del (...)di richiedere "alcuni" preventivi sulla base del computo metrico approvato ( vedi punto 3): come risulta dal verbale di assemblea (...)la (...), lungi dal portare e sottoporre all'esame dell'assemblea condominiale diversi preventivi, si limitò a riferire ( vedi punto 2) dell'offerta pervenuta da (...) affermando ( ma non provando perché come detto non mostrò nessun'altra offerta) che era l'unica impresa contattata ad avere proposto lo sconto in fattura. Tale modalità era certo molto appetibile per il condominio (escludendo l'obbligo di effettuare pagamenti in anticipati) sicché non stupisce che l'assemblea, presa dall'entusiasmo, abbia creduto all'amministratrice di cui fino a quel momento si fidava pienamente, e abbia deliberato di accettare tale offerta. Dallo svolgimento dei fatti appare però chiaro che la (...) ha condotto l'assemblea per ottenere un certo risultato. In conclusione risulta provato che il (...) ha revocato l'amministratrice per giusta causa, il che esclude il diritto al risarcimento del danno vantato da (...). Passando ora alle due ulteriori domande avanzata da parte attrice si osserva quanto segue. Il compenso forfettario di Euro 1440,00 annuali richiesto non appare dovuto in quanto il (...) ha eccepito che per l'esercizio 2020/2021 (l'ultimo ricoperto da (...) che fu revocata subito dopo l'inizio di quello successivo), il compenso è già stato integralmente pagato, come dimostra l'approvazione del rendiconto per il medesimo esercizio prodotto sub doc. n. 8 ( vedi anche doc. 9, verbale di assemblea (...) di approvazione del bilancio): dall'esame di tale documento risulta in effetti che le spettanze dell'amministratore sono conteggiate sia nel bilancio ( vedi pag. 4,) che nel riparto spese ad esso allegato, per cui si può presumere che siano in effetti state pagate dai condomini con il versamento delle rate di esercizio; trattasi inoltre di circostanza che, pur ripetutamente affermata dal (...) nelle sue difese, parte attrice non ha mai contestato. Per quanto concerne invece i compensi straordinari richiesti da (...) con fattura pro forma del (...) per Euro 2000 oltre Iva al 22%, che è stata portata a conoscenza del (...) come risulta dal verbale di assemblea (...) punto 10, trattasi di attività che deve essere ricompensata se rientrante nei compiti dall'assemblea delegati all'amministratore e se effettivamente svolta da quest'ultimo. Sul punto soccorre la documentazione prodotta ( verbali assemblea (...) e (...), 7 e preventivo per 8) da cui risulta che l'amministratore è stato delegato 1) a raccogliere tre preventivi per la diagnosi energetica, cosa che ha fatto, oltre che 2) ad assistere l'ing. (...) nella raccolta di dati presso i vari appartamenti in vista dei lavori da effettuare; 3) su carta intestata della (...) risultano pure le dichiarazioni dei lavori trainati dall'ecobonus effettuate da alcuni condomini; 4) infine per quanto riguarda l'ascensore, risulta raccolto un preventivo, quello della (...) e la richiesta di un altro alla (...) sul punto anche il nuovo amministratore condominiale, sentito in interrogatorio formale, ha ammesso che la raccolta di preventivi per il rifacimento/ammodernamento dell'ascensore rientrava fra i mandati dati dal (...) alla (...). Non risultano invece in alcun modo provate altre attività fatturate e segnatamente : 1) i contatti con imprese varie in relazione ai lavori del superbonus ; 2) la ricerca di tecnici abilitati per conferimento incarichi specifici 3) i sopralluoghi con altre ditte diverse dalla (...) (l'unica (...) che poi fece davvero il preventivo) per la questione ascensore; 4) l'incontro col tecnico. In conclusione delle varie attività oggetto della fattura in questione ne sono state provate la metà; in mancanza di un accordo sul corrispettivo ( il conferimento dell'incarico di amministrazione prevedeva solo il compenso forfettario annuale) come noto spetta al magistrato la liquidazione del giusto compenso ( art. 2233 c.c.) . Ebbene si ritiene che i compensi richiesti da (...) siano assolutamente modesti e commisurati al tipo di lavoro svolto, pertanto , ritenuta ragionevole la richiesta di Euro 2000 per tutte le attività e considerato che di tali attività ne sono state provate circa la metà, si liquida il corrispettivo di Euro 1000 oltre Iva al 22% e quindi di Euro 1220, oltre interessi di mora come richiesti (interessi legali) dalla data della domanda al saldo. Le spese seguono la soccombenza di parte attrice per la domanda risarcitoria e quella di pagamento corrispettivo forfettario annuale e la soccombenza di parte convenuta in relazione alla domanda di pagamento attività extra. La liquidazione delle spese avviene in base al D.M. 55/14 come aggiornato dal D.M. 147/22, tabella 2, secondo scaglione di valore per la domanda relativa ai compensi extra, terzo scaglione per le domande relative al risarcimento del danno e al compenso forfettario, parametri medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, minimi per quella di trattazione/istruttoria, attesa la poca attività espletata. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, così decide: 1) Rigettata ogni altra domanda di parte attrice, condanna il (...) convenuto a pagare a (...) la somma di Euro 1220 a titolo di corrispettivo attività extra, oltre interessi di mora come richiesti (interessi legali) dalla data della domanda al saldo; 2) Condanna (...) a pagare a parte attrice le spese legali relative alle domande di risarcimento del danno e pagamento del compenso forfettario che liquida in Euro 4.237,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPA come per legge; 3) Condanna il (...) convenuto a pagare a (...) le spese relative alla domanda di pagamento attività extra, che liquida in Euro 264 per esborsi e Euro 2.126,50 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPA come per legge; 4) Compensa le spese fra (...) e il (...) convenuto. Così deciso dal Tribunale di Alessandria il 21 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE PENALE Composta da: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Relatore Dott. BORSELLINO Maria Daniela Dott. COSCIONI Giuseppe Dott. D'AURIA Donato ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: (...) Soc. Cooperativa avverso l'ordinanza del 26/05/2023 del Tribunale di Treviso Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; dato atto che si procede nelle forme di cui all'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020 conv. in L. n. 176 del 2020; udita la relazione svolta dal Consigliere Luigi Agostinacchio; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino che ha chiesto respingersi il ricorso. CONSIDERATO IN FATTO 1. Con ordinanza del 26/05/2023 il Tribunale di Treviso ha rigettato le istanze di riesame proposte nell'interesse della (...) - soc. coop., della Banca di Desio e della Brianza s.p.a. e di Fe.Gi. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Treviso il 20/04/2023 avente ad oggetto i beni di cui ai punti C, F ed H della richiesta del Pubblico Ministero, in relazione ai reati di truffa e di autoriciclaggio, contestati a vari soggetti, per condotte illecite consistite nella mancata esecuzione di opere edili appaltate dal Consorzio Casa Zero, ammesse all'agevolazione fiscale denominata "Superbonus 110%", oggetto di S.A.L., di false asseverazioni e fatturazioni al committente, con conseguente riconoscimento di crediti di imposta, monetizzati attraverso la successiva cessione a istituti di credito. 1.1. Per quanto rileva ai fini della presente decisione, il giudice del riesame, richiamando l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, riteneva infondate le censure della (...), secondo cui il periculum in mora - indicato nella possibilità di ulteriori operazioni illecite, a seguito dell'incameramento di somme rilevanti - poteva riferirsi solo agli indagati e non all'istituto bancario, in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall'art. 121 D.L. 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione. 2. Avverso l'ordinanza collegiale propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia della (...), sulla base di due motivi, con i quali eccepisce: - violazione di legge (artt. 119, 121 D.L. 34/2020 - cd. decreto rilancio, art. 7 CEDU, art. 1 Protocollo Addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) per l'impossibilità di sottoporre a sequestro crediti d'imposti sorti in relazione al ed. Superbonus 110, acquistati dal cessionario di buona fede, con conseguente carenza del requisito del periculum in mora; - violazione di legge (art. 321 cod. proc. pen.) per la mancata valutazione in merito alla concretezza e alla attualità del periculum in mora, posto che era sempre possibile il recupero del valore del credito. RITENUTO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato, condividendosi le osservazioni in diritto del tribunale. 1.1. La motivazione del provvedimento impugnato non si limita, infatti, a richiamare il principio di diritto secondo cui in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all'art. 121, comma 1, lett. b), D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del cd. "superbonus 110%"), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701; conf. sez. 2, n. 33463 del 09/12/2022, dep. 2023, n.m.; sez. 2, n. 16728 del 12/01/2023, n.m.); contiene, altresì, espliciti riferimenti alle ragioni in base alle quali è da escludersi la violazione dell'art. 121 D.L. 34/2020, sul solco delle argomentazioni del giudice di legittimità. 1.2. Anche nel caso di specie, come in altri esaminati dalla Corte, deve essere preliminarmente osservato come la ricorrente non contesta la configurabilità dei reati ipotizzati in capo agli attuali indagati (in particolare il capo di imputazione riguardante la truffa aggravata); peraltro, la stessa prospettazione accusatoria sembra qualificare la veste della (...) quale persona offesa dal reato. Il tema - con il quale parte ricorrente non si confronta in termini critici, per gli aspetti processualpenalistici in rilievo - riguarda, invece, la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di circa 27 milioni di Euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti. 2. Il sequestro impeditivo di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (tra le altre, Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513). In particolare, i crediti sequestrati alla ricorrente sono stati a ragione considerati cosa pertinente al reato, risultando infondata la tesi difensiva secondo cui, esercitata l'opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l'originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe - in capo al cessionario - a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione. Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre "garantito" dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, è all'evidenza infondata, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) ampiamente richiamata nel primo motivo di ricorso, alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria. 3. La ricostruzione di tale normativa è puntualmente riportata nella citata sentenza n. 40865/2022, e va ribadita negli stessi termini. L'art. 121, D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi (di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: 1) per il cd. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d'imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione; 2) per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali. 4. Dalla lettura dell'art. 121, comma 1, emerge, dunque, che il meccanismo del Superbonus in oggetto è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall'identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all'utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni appena richiamate, che - rimesse alla scelta dell'unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) - costituiscono un'evidente derivazione della prima, utile per ottenere un'immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione. Con particolare riguardo alla cessione del credito, oggetto del ricorso, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste - nell'identico contenuto patrimoniale - di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto. Non si riscontra, dunque, l'estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalla ricorrente, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l'evoluzione - non la sostituzione - del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese. 4.1. A conclusioni diverse, peraltro, non si può pervenire valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell'art. 121 in esame, in tema di controlli e sanzioni, come invece affermato nel ricorso (la ricorrente ha reiterato, in particolare, il richiamo al comma 4 - "I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d'imposta ricevuto"). Tali commi non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede; ne deriva, che non rileva in questa sede l'eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res - anche in capo allo stesso terzo - sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. 5. Non decisivo, poi, è un altro elemento testuale che l'impugnazione reitera (pag. 11 del ricorso), quale il contenuto della Circolare dell'Agenzia delle entrate n. 24/E dell'8 agosto 2020, nella quale, in particolare, si afferma che "I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d'imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d'imposta, ma durante i controlli dell'ENEA o dell'Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d'imposta". 5.1. È condivisibile, a riguardo, quanto sottolineato nella più volte citata pronuncia di legittimità, secondo cui, per un verso, si tratta soltanto della lettura di un testo normativo compiuta dall'Agenzia delle entrate, e non, invece, di un'interpretazione autentica vincolante erga omnes; per altro verso, la stessa Agenzia - con la successiva circolare n. 23/E del 23 giugno 2022 - ha sostenuto una tesi contraria, ossia che "l'eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell'Autorità giudiziaria (ad esempio, in ragione dell'assenza di periculum in mora in capo al cessionario) non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione. Di conseguenza, in caso di utilizzo in compensazione di crediti d'imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all'Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate". 6. Il secondo motivo di ricorso è reiterativo, oltre che manifestamente infondato. Il periculum in mora, secondo quanto prospettato dalla ricorrente, sarebbe inesistente nel caso in esame per la possibilità, comunque, di recuperare le somme utilizzate in compensazione, nell'ambito dell'attività bancaria, assunto non condivisibile, come sottolineato nell'ordinanza impugnata perché la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall'art.321, comma 1, cod. proc. pen. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il giorno 29 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2024.
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