Sentenze recenti tamponamento

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Do.Lu. nato a C il (Omissis) avverso la sentenza del 12/07/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso È presente l'avvocato GU.AL. del foro di MESSINA in difesa di Do.Lu. il quale chiede l'accoglimento del ricorso È presente l'avvocato MA.AN. del foro di PATTI in difesa delle parti civili la quale si riporta alla memoria depositata precedentemente. deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 12 luglio 2023 la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Patti in data 31 ottobre 2022 ha ritenuto Do.Lu. colpevole del reato di cui all'art. 589 cod. pen. condannandola alla pena sospesa di mesi sei di reclusione nonché al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili da liquidarsi in separata sede con provvisionale di Euro 50.000 per ciascuna. 2. L'addebito colposo contestato all'imputata era quello di avere, quale sanitario in servizio presso l'ospedale di (Omissis), cagionato la morte della puerpera Pr.Oa., affetta da accretismo placentare successivo al parto, per colpa specifica consistita nel non aver adeguatamente effettuato la rimozione della placenta dalla parete uterina e nel non aver trattato adeguatamente, in conformità alle linee guida ed alle buone pratiche mediche la copiosa emorragia ostetrica nel frattempo innescatasi, responsabile della coagulazione intravasale disseminata, che avrebbe poi determinato l'evento morte. In particolare la Do.Lu., in presenza di un secondamento incompleto della placenta e di un copioso sanguinamento della paziente, aveva omesso di effettuare un'adeguata revisione della cavità uterina di cui avrebbe potuto accorgersi dello stato di atonia dell'utero e di procedere ad una totale rimozione del predetto organo praticando un'isterectomia che avrebbe avuto efficacia salvifica (trattamento peraltro raccomandato dalle linee guida in presenza di un'emorragia post partum) (fatto commesso in P il 23.3.2016) 3. Il fatto, come ricostruito dalle due conformi sentenze di merito, a loro volta fondate sulle prove testimoniali ed in particolare sulle consulenze del P.M., della difesa dell'imputata e delle parti civili, è il seguente: come riferito da Ca.Al., compagno della vittima, Pr.Oa. era stata seguita durante la gravidanza dal Dott. Ce.Be. e nell'ultimo mese, proprio dietro consiglio di questi, era stata visitata periodicamente dai medici del reparto di ginecologia ed ostetricia dell'ospedale di (Omissis) dove avrebbe partorito. La sera del 22 marzo 2016, poiché la Pr.Oa. accusava forti dolori, veniva portata in ospedale dove veniva visitata e condotta in sala parto; alle ore 2 e 02 del 23.3.2016 avveniva il parto. Il Ca.Al. veniva informato che era andato tutto bene ma che l'espulsione della placenta era avvenuta solo in parte per cui era necessario procedere ad un piccolo intervento. Alle ore 2 e 20 il personale sanitario somministrava alla paziente un flacone di plasma expander e le erogava ossigeno dopo averle somministrato uterotonici. Alle ore 3 e 05 si riscontrava un marcato stato ipotensivo per il quale si somministrava idrocortisone, ulteriori soluzioni venivano somministrate alle ore 3 e 30, successivamente ossitocina. Alle ore 3 e 40 avveniva il secondamento con espulsione incompleta della placenta cui seguiva la revisione della cavità uterina. Vista la mancanza di annotazioni nella cartella clinica, su cui convergevano consulenti sia del P.M. che della parte civile, si ipotizzava che la revisione fosse avvenuta senza anestesia e tale ipotesi veniva confermata dal Ca.Al. il quale riferiva di aver sentito le urla della compagna provenire dalla sala parto e subito dopo la dott.ssa Do.Lu. uscire dicendo che l'espulsione era avvenuta senza necessità di intervento. Condotta nella sala di degenza, la Pr.Oa. era cosciente ed aveva la flebo in entrambe le braccia; dopo circa venti minuti lamentava una intensa sudorazione fredda ed aveva sete ed inoltre presentava delle chiazze rosso scuro sulle gambe; poi lamentava forti dolori addominali. Le veniva quindi praticata una fiala intramuscolo; poi la Do.Lu. le misurava la pressione e la funzionalità cardiaca non senza applicarle dei "sensori alle dita". A quel punto la Do.Lu._chiedeva l'intervento di altro personale medico ed i parenti erano invitati ad uscire dalla stanza di degenza. Solo in mattinata la Do.Lu. informava il Ca.Al. che era stato necessario trasfonderle alcune sacche di sangue e che nonostante ciò la pressione non si era normalizzata, motivo per cui veniva disposto il trasferimento della Pr.Oa. presso il reparto di rianimazione dell'ospedale di P dove la paziente veniva sottoposta ad una Tac. Alle ore 12 e l0 interveniva il decesso della Pr.Oa. Il consulente necroscopico del Pubblico Ministero, Dott.ssa Sa., concludeva che il decesso era avvenuto per arresto cardio circolatorio con edema polmonare per anemia acuta emorragica post-partum da atonia uterina per ritenzione di gettone placentare in soggetto con secondamento viziato da abnorme adesione placentare. L'esame autoptico dava atto di un cadavere pressocché esangue. Il consulente ginecologo nominato dal Pubblico Ministero, Prof. Ac., rilevava che avvenuto il parto alle ore 2 e 02, il secondamento, che di solito avviene nel volgere di venti minuti successivi e che non può protrarsi pia lungo in assenza di fenomeni patologici, era avvenuto alle ore 3 e 40 peraltro con ritenzione di frammenti. Rilevava il consulente che dopo l'espulsione, peraltro incompleta, della placenta era stata effettuata la revisione della cavità uterina non essendovi indicazione circa le modalità con cui la stessa era stata eseguita, ragione per la quale riteneva che si fosse proceduto senza anestesia (particolare che si salda con le urla avvertite dal Ca.Al. Alle ore 4 e 30 il quadro clinico della paziente era precipitato in quanto la donna versava in stato di shock ipovolemico, che si tentava di contrastare con cortisonici, ossigeno, cardiocinetici dal che concludeva il consulente che il distacco incompleto della placenta, seguito a distanza di tempo dal distacco incompleto dei cotiledoni, è stato la causa determinante dell'insorgenza della emorragia uterina post partum. Chiariva il Prof. Ac. che l'aderenza patologica della placenta alla parete uterina, osservata in sede autoptica, ha consentito di concludere che il secondamento non era avvenuto fisiologicamente, essendosi resa necessaria la rimozione manuale e/o strumentale della placenta a causa della patologica aderenza dei villi cariali al miometrio. Del pari spiegava che nei casi in cui non sia stata posta diagnosi prenatale ecografica di accretismo placentare, lo stesso viene individuato nel momento in cui la placenta non si stacca spontaneamente dopo la fuoriuscita del feto ed il personale medico non riesce a separare l'annesso fetale dalla base di impianto, precisando che l'emorragia non compare finché la placenta è adesa alla parete uterina ma nel momento in cui vengono eseguiti tentativi per staccare manualmente la base di impianto. Secondo il suo parere, al secondamento manuale deve seguire il raschiamento uterino per asportare i residui placentari, verificando che a ciò segua l'assenza di sanguinamento e la formazione di una efficace e duratura contrazione; quando invece il sanguinamento continua è necessario in presenza della compromissione delle condizioni generali della paziente procedere all'embolizzazione delle arterie uterine o far ricorso all'isterectomia. Nel caso in esame, secondo le conclusioni dei consulenti del P.M., il tentativo di reintegrare la parte corposculata del sangue è stato tardivo. Evidenziavano inoltre che già l'esame clinico della paziente sarebbe stato sufficiente facendo comprendere quanto fosse importante la perdita ematica senza fare ricorso alla relativa quantificazione. I consulenti della difesa hanno invece ritenuto che le cause del decesso della Pr.Oa. sarebbero da ascriversi all'insorgenza di una embolia di liquido amniotico, ipotizzata sulla scorta di tre dei quattro criteri AFE. A riguardo i consulenti della parte civile, Proff.ri Ce. e Ra., esaminata tale ipotesi alternativa ritenevano che non ne ricorressero i criteri diagnostici, ritenendo invece che il decesso fosse da ascriversi alla Cid scaturita dall'emorragia. In particolare l'esame post mortem non ha mostrato dei polmoni interessati da fenomeni necrotico emorragici ischemici che solitamente si riscontrano nei casi di embolia polmonare e neanche vi erano segni dal punto di vista clinico. Altro tema su cui si sono misurati i consulenti delle parti è stato il sanguinamento. Secondo i consulenti della difesa le perdite ematiche stimate entro i 1000-1200 e.e. non avrebbero giustificato l'imponente quadro di shock cosicché hanno assunto che il decesso sia derivato da una pancreatite, tesi sconfessata dai valori delle analisi ematochimiche. Con riguardo ai profili di colpa della Dott.ssa Do.Lu. si è ritenuto che l'assistenza alla puerpera sia stata estremamente carente e dalla luce delle linee guida nazionali ed internazionali sulla gestione della emorragia post partum; in particolare non è stata ricercata adeguatamente la causa della discoagulopatia che era in atto ed i meccanismi che determinavano il sanguinamento, sicché stante la mancata individuazione della causa non sono stati neanche attivati protocolli. Inoltre la paziente non è stata neppure adeguatamente monitorata. In conclusione entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che dalla documentazione clinica e dall'esame necroscopico emerge che la paziente è deceduta per arresto cardiocircolatorio con edema polmonare per anemia acuta emorragica determinata da atonia uterina per ritenzione di gettone placentare in puerpera con secondamento viziato da abnorme adesione placentare. Tale condizione ha determinato, in mancanza di un adeguato e costante monitoraggio e di un approccio terapeutico adeguato, l'insorgenza della Cid che avrebbe dovuto e potuto essere evitata ove in ultimo si fosse optato per l'isterectomia. 4. Avverso la sentenza d'appello l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Con il primo motivo deduce ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione dell'art. 589 cod. pen. in relazione agli artt. 530 e 533 cod. proc. pen. in particolare la violazione e l'erronea applicazione di tali norme e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del fatto e del nesso causale tra condotta ed evento. Si assume che la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica e gravemente carente in ordine a punti decisivi, incorrendo nel medesimo vizio che affliggeva quella di primo grado, ovvero la sopravvalutazione delle consulenze dell'accusa e della parte civile a fronte di una ingiustificata svalutazione e spesso totale obliterazione delle argomentazioni difensive poste a sostegno delle censure d'appello. La successione causale degli eventi che secondo il giudice d'appello ha condotto alla morte della paziente è nei singoli passaggi contraddetta da elementi probatori non presi in considerazione dal giudice d'appello nonostante siano stati compiutamente devoluti al loro giudizio nell'atto di gravame. 5 Con riguardo all'erronea manovra di revisione della cavità uterina, la sentenza la ravvisa sulla base delle conclusioni dei consulenti del PM secondo cui nonostante tale manovra sarebbe rimasto in utero un grosso gettone placentare, non misurandosi con il secondo motivo di appello in cui si era evidenziato che al tavolo settario risultava una descrizione macroscopica della placenta in cui si legge che non si evidenziano alterazioni di rilievo, circostanza che toglie ogni fondamento all'ipotesi da cui muove tutto il costrutto del Prof. Ac. e su cui si basa la ricostruzione avversata, ovvero che il secondamento non fu spontaneo ma manuale e che la placenta sia stata scompaginata. La placenta invece era sostanzialmente integra. Inoltre la sentenza non si è confrontata con la censura contenuta al punto 2) dell'atto di appello che evidenziava il dato anch'esso incontrovertibile che alle ore 4 e 30 del 23 marzo l'utero trovandosi tre dita sotto la linea dell'ombelico era tutt'altro che atono ma anzi era ipercontratto, come risulta dal referto della Tac post partum redatto dal Prof. Ga.. Quanto alla copiosa emorragia, punto nodale dell'intero processo, la sentenza impugnata nulla dice in ordine agli elementi indicati al punto 2) dell'appello che la escludevano e quindi, oltre alla già ricordata integrità della placenta ed alla riscontrata non atonia dell'utero, anche e soprattutto: i calcoli effettuati dai ctp Fl. e Lu.; la circostanza che la Tac effettuata post partum alle 9 e 30 del 23 marzo 2016 non mise in evidenza alcuna emorragia in atto come confermato dalla radiologa Dott.ssa Pa.; le dichiarazioni di tutti i testi che affermano essersi verificata l'unica perdita ematica abbondante dopo il parto ma non dopo il secondamento, circostanza dirimente perché secondo la sentenza impugnata l'emorragia copiosa fu provocata dall'atonia dell'utero che a sua volta fu provocata dal mancato completo secondamento della placenta con ciò necessariamente presupponendosi che l'emorragia fu conseguente a tale secondamento incompleto non avendo alcuna incidenza causale l'eventuale e precedente perdita ematica susseguente al reato; il dato che tale perdita fu copiosa e non misurabile perché al contrario venne misurata in 800 cc e che calcolando anche il sangue presente nei tamponi non poteva certo superare i 1200 cc certamente insufficienti a causare il gravissimo danno riportato dalla Pr.Oa. Inoltre la sentenza erra anche allorché trae supporto alla tesi della copiosa emorragia dal fatto che il cadavere in sede autoptica venne riscontrato praticamente esangue, non tenendo conto che ciò potesse invece ricondursi a fenomeni putrefattivi. Peraltro della imponente emorragia non vi è traccia né all'osservazione visiva né a quella strumentale né infine all'esame necroscopico macroscopico ed istologico. Nessuna spiegazione inoltre la sentenza impugnata ha fornito sul fatto che fosse sfuggito al medico legale che ha effettuato l'autopsia il verificarsi di una CID (coagulazione intravasale disseminata). Quanto alla sussistenza di eventuali cause di morte alternative ed al nesso causale con l'evento, la Corte territoriale ha escluso che possano individuarsi in quelle indicate dai consulenti di parte, ovvero l'embolia di liquido amniotico e la pancreatite, sposando in pieno le conclusioni dei consulenti della parte civile, così disapplicando la regola secondo cui ai fini della esclusione del nesso causale non è necessaria la prova certa di una causa mortis diversa bastando il ragionevole dubbio circa la sua sussistenza. Con il secondo motivo deduce ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione dell'art. 589 cod. pen. in relazione agli artt. 530 e 533 cod. proc. pen., in particolare la violazione e l'erronea applicazione di tali norme e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di condotte colpose in capo alla ricorrente. Si assume che la sentenza impugnata, nel ritenere quale profilo di colpa il non aver saputo riconoscere e quindi non aver trattato l'emorragia ed il comportamento attendista non tiene conto delle argomentazione sviluppate al punto 8) del secondo motivo di appello, secondo cui tutti i sanitari che ebbero in cura la paziente affermano che la revisione fu fatta correttamente ed il sanguinamento si arrestò; la Do.Lu. sulla base della perdita ematica e del calo pressorio somministrò un'unità di plasma expander nonché farmaci uterotonici al fine di garantire la prevenzione di instabilità delle condizioni cliniche della paziente; la scelta attendista è indicata nelle linee guida ed è frutto di un atteggiamento prudente rispetto alle condizioni date. Inoltre in nessun documento clinico vi è la descrizione di elementi macroscopicamente suggestivi di un cospicuo sanguinamento manifestato dalla puerpera a seguito dell'espletamento del parto ovvero del secondamento placentare. Con il terzo motivo deduce ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione dell'art. 589 cod. pen. in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen., in particolare la violazione e l'erronea applicazione di tali norme e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta non concedibilità delle generiche e del minimo della pena. A riguardo la sentenza impugnata si è limitata a richiamare la asserita gravità della colpa in presenza di elementi che avrebbe quanto meno integrato un'ipotesi di colpa lieve. 5. La difesa dell'imputata ha depositato memoria difensiva con motivi nuovi. 6. Le parti civili Ca.Al. e Ca.Ma. hanno depositato memoria difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile per le ragioni che si andranno analiticamente ad esporre. Quale premessa, giova evidenziare che la sentenza impugnata nel ricostruire la vicenda si sviluppa attraverso un'attenta analisi del materiale probatorio presente in atti, sicché, la considerazione dei dati provenienti dall'elaborato tecnico dei consulenti nominati, procede di pari passo con la considerazione degli aspetti fattuali della vicenda. Deve peraltro aggiungersi che l'ambito della valutazione del sapere scientifico acquisito nel giudizio, attiene alla sfera dell'apprezzamento del Giudice di merito, rispetto al quale la Corte di cassazione non può esercitare alcun sindacato, se non in presenza di manifeste illogicità che, nel caso in esame, risultano essere assenti (ex multis Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, Rv. 276151 "In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle Informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato). 1.1. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile. La censura reitera le singole doglianze esposte nell'atto di appello, senza confrontarsi con l'apparato logico-argomentativo della sentenza impugnata che, misurandosi sui singoli punti evidenziati, risulta logico e conseguenziale. Ed invero, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). Inoltre, attraverso una parcellizzazione degli esiti degli esami effettuati e delle valutazioni espresse dai consulenti tecnici, che secondo le rispettive competenze, si sono cimentati nella presente vicenda processuale, la doglianza mira ad isolare il singolo dato probatorio, senza porlo in correlazione con gli altri nel complessivo iter motivatorio che ha condotto entrambi i giudici di merito ad affermare con motivazione adeguata e scevra da aporie logiche la penale responsabilità dell'imputata. Esaminando i singoli aspetti evidenziati nel ricorso, a cominciare dalla errata manovra di revisione della cavità uterina, il giudice d'appello muove dal rilievo che tanto i consulenti del Pubblico Ministero quanto quelli della parte civile hanno evidenziato come la cartella clinica sia risultata assolutamente carente. In particolare, si osserva, dopo il secondamento incompleto della placenta, non è dato leggere alcunché in merito alla revisione della cavità uterina. Non solo non sono state descritte le modalità con cui la stessa è avvenuta ma soprattutto se la stessa sia stata eseguita o meno in anestesia generale o a paziente sveglia, considerato peraltro che tutte le linee guida raccomandano che a detta operazione si proceda in anestesia per evitare il rischio della verificazione di uno shock nEurogeno che, unitamente alla perdita ematica, possa determinare un aggravamento del quadro clinico. Con riguardo all'asserita contraddittorietà tra gli esiti della consulenza medico legale della Dott.ssa Sa. e quelli del Prof. Ac., a prescindere dal rilievo secondo cui si tratta di prospettive differenti, in ogni caso la prima registra un secondamento viziato da abnorme adesione placentare ed il Prof. Ac. ha chiarito che l'aderenza patologica della placenta alla parete uterina, osservata in sede autoptica, consente di concludere che il secondamento non era avvenuto fisiologicamente, essendosi resa necessaria la rimozione manuale della placenta a causa dell'aderenza dei villi cariali al miometrio. In merito alla circostanza che alle ore 4 e 30 del 23 marzo l'utero, trovandosi tre dita sotto la linea dell'ombelico era tutt'altro che atono, ma anzi era ipercontratto come risulta dal referto della Tac post partum redatto dal Prof. Ga., si tratta di dato smentito dagli esiti dell'esame necroscopico da cui risulta sia da un punto di vista macroscopico che microscopico l'assenza di atonia uterina. Di particolare rilievo nel processo è il tema dell'entità della emorragia. Sul punto la sentenza impugnata, a fronte della valutazione dei consulenti tecnici della difesa che hanno quantificato la perdita ematica in 800 cc e che, anche ipotizzando una perdita fino a 1000/1200 e.e. hanno ritenuto non giustificati i dati clinici della Pr.Oa., così dovendosi ritenere altra causa scatenante dell'evento, ha conferito rilievo alle conclusioni espresse dai consulenti della parte civile Proff.ri Ce. e Ra. i quali, ritenendo che i valori dell'emoglobina presi in considerazione non fossero probanti fornendo gli stessi solo una stima e non una misurazione, hanno concluso che nella specie i sintomi lamentati dalla paziente erano tali da andare incontro ad uno shock ipovolemico, trattandosi, pertanto, di sintomi rilevanti. Il dato della "copiosa" emorragia trova ulteriore riscontro nell'esame della Tac eseguito sulla paziente che descriveva un'aorta filiforme che secondo il Prof. Ga. deponeva per una sindrome da shock ipovolemico. Peraltro, come posto in rilievo dai medesimi consulenti, proprio la successione degli interventi farmacologici adottati dalla Do.Lu. (dose iniziale alta di uretotonici, due fiale intramuscolo di Metergin oltre ad Emagel) fanno ritenere che ci si trovasse di fronte ad una perdita ematica post partum non usuale. Nello stesso senso il Prof. Ac. consulente del Pubblico Ministero faceva presente che l'ossitocina viene somministrata a secondamento avvenuto, ciche non era nella specie, e quindi tale scelta era funzionale a frenare un sanguinamento in atto. Ad ulteriormente suffragare la tesi di una perdita ematica importante, sono state addotte anche le prove testimoniali. In particolare l'ostetrico Go., dopo che circa un'ora e mezza dopo il parto era avvenuto il secondamento, aveva rilevato una perdita di sangue superiore alla norma tanto da suggerire alla Do.Lu. di effettuare delle trasfusioni. Tale dato trova infine una conferma nell'esame autoptico effettuato dalla Dott.ssa Sa., ove si dà atto di un cadavere pressocché esangue con pallore cutaneo e delle mucose, organi praticamente esangui con scarsissime macchie ipostatiche ritenendosi, per converso, priva di fondamento la tesi difensiva secondo cui tale dato era giustificato da fenomeni putrefattivi e ciò in quanto detti processi non determinano perdite ematiche nel cadavere. La Corte territoriale, contrariamente a quanto assume la difesa, si è altresì compiutamente confrontata con le due cause di morte alternative ipotizzate, ovvero la pancreatite acuta necrotica emorragica e l'embolia da liquido amniotico. Quanto alla prima, ne ha escluso la ricorrenza, non trovando riscontro nell'analisi al tavolo settorio laddove il pancreas risulta nella norma né tale ipotesi trova rispondenza nelle analisi ematochimiche. Quanto alla seconda, i consulenti della parte civile, sulla base della lettura dei vetrini istologici, ne hanno escluso l'ipotizzabilità, oltre per la mancanza di evidenze dall'esame ecocardiografico (esame ritenuto dirimente in caso di embolia polmonare), dall'esame strumentale eseguito in vita nonché dall'esame post mortem che non ha evidenziato polmoni interessati da fenomeni necrotico-emorragici ischemici, concludendo quindi per la non ricorrenza dei criteri diagnostici internazionali previsti per l'individuazione di detta patologia e confermando invece quale causa del decesso l'emorragia. 2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. Va premesso che la sentenza impugnata sulla scorta dell'ampia ricostruzione della vicenda che ha portato al decesso della Pr.Oa., della documentazione clinica e dall'esame necroscopico ha concluso che la paziente è deceduta per arresto cardio respiratorio con edema polmonare per anemia acuta emorragica determinata da atonia uterina per ritenzione di gettone placentare in puerpera con secondamento viziato da abnorme adesione placentare. I consulenti del P.M. e della parte civile sono stati concordi nel ritenere con una probabilità prossima alla certezza che c'erano i tempi per intervenire adeguatamente e per bloccare l'emorragia che peraltro la paziente aveva cercato di compensare; l'insorgenza della CID poteva essere evitata optando quale ultima ipotesi salvifica per una isterectomia. Giova ribadire che in tema di nesso causale nei reati omissivi, sussiste la responsabilità del medico il quale non si attivi laddove nel giudizio controfattuale l'adozione di una misura idonea avrebbe, con l'alta credibilità razionale o probabilità logica richieste ai fini della certezza penale, evitato il decesso. Una volta ricostruito nei termini rappresentati il nesso causale tra la condotta e l'evento (giudizio esplicativo) nonché il giudizio controfattuale, i profili di colpa addebitabili alla Do.Lu. sono stati individuati nella mancanza di un'adeguata assistenza della paziente e di un costante monitoraggio della medesima nonché nel mancato rispetto delle linee guida nazionali ed internazionali sulla gestione della emorragia post partum. A fronte di tale ricostruzione la censura mira a contestare la sussistenza di profili colposi addebitabili all'odierna imputata articolando una serie di rilievi, peraltro in larga parte confutati da quanto già prima esposto. Ed invero la sentenza impugnata ha accertato la sussistenza di una importante emorragia post partum che ove trattata secondo le linee guida nazionali ed internazionali avrebbe richiesto l'adozione di farmaci idonei che avrebbero favorito l'arresto del sanguinamento (farmaci uterotonici di seconda generazione) nonché un idoneo tamponamento ma soprattutto una tempestiva trasfusione di sangue. Per converso la sentenza impugnata ha evidenziato, in particolare sulla scorta delle testimonianze dei testi Pa. e Go., che l'approccio terapeutico al caso da parte dell'odierna imputata è stato inadeguato sotto plurimi profili a fronte di una paziente che dopo il parto presentava accretismo placentare ed una copiosa emorragia. Il rispetto delle linee guida e le buone pratiche mediche avrebbero richiesto una corretta rimozione della placenta dalla cavità uterina ed un adeguato trattamento del sanguinamento ed in caso di persistenza del medesimo era infine imposta la terapia salvifica dell'isterectomia. Tali interventi, in base alla ricostruzione offerta dalle due conformi sentenze di merito che costituiscono un unico apparto logico argomentativo, non sono stati adottati dall'odierna imputata caratterizzandosi il suo approccio terapeutico al caso da un atteggiamento attendista laddove invece la delicatezza della situazione richiedeva un intervento tempestivo essendo notoriamente associata a massive perdite ematiche ed alta morbilità e mortalità materna. Ed invero la sentenza impugnata ha ricostruito che, a fronte di uno stato di agitazione e dei dolori lamentati dalla paziente dopo il parto nonché della comparsa di un rush cutaneo, peraltro denunziato con solerzia dalla infermiera, la Do.Lu. si limitava a prescrivere un Toradol per alleviare il dolore e a fronte della sollecitazione proveniente anche dall'ostetrico che, dopo il secondamento, suggeriva alla Do.Lu. di procedere con delle trasfusioni, si procedeva in tal senso solo alle 5 e 15 con una scelta peraltro ritenuta inadeguata in quanto si trattava di emazie concentrate piuttosto che di sangue intero e per di più in un momento in cui i dati di laboratorio attestavano la irreversibilità del processo patologico. 3. Manifestamente infondato è il terzo motivo. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato correttamente motivato con l'assenza di elementi di segno positivo ai quali ancorare la relativa valutazione, così facendo corretta applicazione del principio ·secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4 , n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489). In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Ca.Al. e Ca.Ma. che liquida in complessivi Euro 3900,00 oltre accessori di legge. Così deciso il 5 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CATANIA QUINTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Catania, Quinta Sezione Civile, nella persona del giudice (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2015 R.G. promossa da: (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (nel giudizio n. (...)/16 R.G.) (...) nato a (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) contro (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), difeso avanti al giudice di pace, prima della riassunzione dall'avv. (...) non costituito dopo la riassunzione CONVENUTO (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) - contumace dopo riassunzione (...) - (...) s.p.a. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, nella qualità di impresa designata per il (...) di (...) della (...) con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA (nel giudizio n.(...)/16 R.G.) (...) nata ad (...) il (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA E (...) s.p.a. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTA (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)), (...) - contumace (...) p.l.c. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONCLUSIONI All'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni, trattata con deposito di note ex art.127 ter c.p.c., con ordinanza dell'08.09.2023 la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini ex art.190 c.p.c.. concisa esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) chiedendo accertarsi la esclusiva responsabilità della predetta (...) nel sinistro occorso in data (...) con conseguente condanna della convenuta al risarcimento dei danni fisici ed al veicolo nonché al rimborso delle spese di assistenza legale stragiudiziale. La difesa di parte attrice rappresentava che in data (...), alle ore 12,00 circa, il DI (...) a bordo del proprio autocarro (...) targato (...) percorreva la S.S. 114 (...) - (...) in direzione (...) allorquando, giunto al km 81,60, veniva coinvolto in un tamponamento a catena nel quale risultavano interessati, dal primo all'ultimo: - il veicolo (...) (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) - il veicolo (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) Antonino; - il veicolo (...) targato (...) di proprietà di (...) e condotto da (...) - il veicolo targato (...) condotto dal (...) la ricostruzione di parte attrice, la prima delle auto coinvolte (la (...) (...) di (...) aveva arrestato bruscamente la marcia al centro della carreggiata creando improvviso turbamento alla circolazione, determinando così il primo tamponamento ad opera della (...) , cui seguiva quello della (...) e, infine, quello del (...) che, pur rispettando la distanza di sicurezza, non aveva potuto avvedersi dell'ostacolo. Indi, veniva rappresentato che il (...) aveva finito per cappottarsi riportando danni alla carrozzeria pari ad euro 6.000,00 mentre il (...) riportava lesioni personali (in particolare, una IP pari al 22%, una ITA al 100% per 30 giorni, una ITP al 75% per 30 giorni ed una ulteriore ITP al 50% per altri 30 giorni. Sulla base di quanto sopra esposto, la difesa di parte attrice concludeva chiedendo il risarcimento dei danni nei termini sopra sinteticamente richiamati. (...) costituitasi in giudizio (a seguito di autorizzata notifica in rinnovazione), contestava le domande svolte dal (...) e, a sua volta, formulava domanda risarcitoria nei confronti del terzo (...) e della (...) (che assicurava il mezzo del (...). La difesa di (...) come detto, contestava la ricostruzione offerta dal (...) e sosteneva che, in occasione del sinistro, mentre percorreva la S.S.114, poco prima dell'incrocio verso via santa (...) aveva rallentato l'andatura dovendo immettersi nella predetta via (...) - (...) allorquando veniva tamponata da tergo dalla autovettura (...) targata (...) di proprietà e condotto da (...) che, senza rispettare la distanza di sicurezza e sopraggiungendo a velocità sostenuta, urtava la propria autovettura, finendo poi per essere tamponata dalla auto (...) che seguiva e, infine, dal (...) Pertanto, la difesa della convenuta sosteneva come non fosse sussistente alcuna responsabilità a carico della (...) e che il (...) doveva considerarsi responsabile dei danni da essa subìti, con conseguente infondatezza delle domande del (...) In via subordinata, veniva contestata la quantificazione dei danni operata dal (...) con l'atto di citazione. A sua volta, come detto, la (...) rappresentava di avere subìto danni patrimoniali e non patrimoniali, segnatamente lesioni fisiche e conseguente invalidità permanente e temporanea nei termini specificati in comparsa, danno alla vita di relazione e danno morale, nonché diritto al rimborso delle spese mediche e danno al proprio veicolo. (...) s.p.a., costituitasi in giudizio, eccepiva in via preliminare la nullità della citazione in quanto la copia notifica non conteneva la sottoscrizione del difensore e, quindi, contestava le domande svolte dal (...) e, in particolare, contestava la ricostruzione dei fatti sostenendo come non poteva ritenersi alcuna responsabilità in capo alla (...) conducente del primo dei veicoli coinvolti, mentre i danni subiti dall'attore erano ascrivibili unicamente a propria colpa per non avere mantenuto la distanza di sicurezza e per non avere mantenuto una velocità adeguata; veniva anche sostenuto che il (...) privo di copertura assicurativa, non avrebbe potuto essere posto in circolazione. In via subordinata, la difesa della (...) contestava la quantificazione dei danni operata dal (...) (...)udienza del 27.05.2015 veniva autorizzata la chiamata in causa di (...) e di (...) - (...) successiva udienza del 27.04.2016 la difesa di (...) documentava la avvenuta notifica nei confronti dei terzi chiamati in causa mentre la difesa del (...) rappresentava di avere rinnovato la notifica della citazione. Si costituiva in giudizio solo (...) plc mentre (...) nonostante la ritualità della notifica, riteneva di non doverlo fare. La difesa della (...) contestava le allegazioni operate dalla difesa della (...) ed evidenziava la assenza di elementi probatori a supporto, sostenendo che 'in assenza di prove che consentano la ricostruzione certa e rigorosa della dinamica del sinistro' le domande nei confronti del (...) e della (...) dovevano essere rigettate. (...) stessa udienza comparivano i difensori di (...) e (...) nonché di (...) s.p.a., parti della causa n.(...)/2016 R.G., che era stata riunita al presente giudizio, e venivano assegnati i termini ex art.183 comma 6 c.p.c.. (...) alla causa iscritta al n.(...)/2016 R.G., (...) e (...) avevano citato in riassunzione la (...) s.p.a. ed (...) (dopo averli citati in precedenza avanti al giudice di pace) chiedendo accertarsi che, in occasione del sinistro occorso in data (...), la autovettura targata (...) condotta dal (...) e di proprietà del (...) era stata tamponata dall'automezzo targato (...) condotto da (...) e di proprietà di (...) ed aveva a sua volta tamponato l'autovettura tarata (...) (che a sua volta aveva tamponato la autovettura targata (...) per esclusiva colpa del conducente del predetto mezzo targato (...) vale a dire (...), privo di copertura assicurativa. Indi, la difesa dei signori (...) chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni (danno al mezzo e cd. fermo tecnico nonché lesioni subite da (...) (...) - (...) s.p.a., costituitasi nel giudizio n.(...)/2016 R.G., contestava le domande svolte dai signori (...) sostenendo che, in occasione del sinistro, la autovettura condotta da (...) la prima coinvolta nel cd. tamponamento a catena, aveva arrestato bruscamente la marcia così determinando i tamponamenti delle auto che seguivano; inoltre, veniva sostenuto che la autovettura che precedeva l'autocarro di proprietà di (...) aveva a sua volta frenato bruscamente e non aveva le luci di 'stop' funzionanti e per tale ragione, occupando la carreggiata, non aveva potuto essere evitata dal conducente dell'autocarro. Dal fascicolo relativo al giudizio avviato avanti al giudice di pace, come detto poi riassunto da (...) e (...) avanti al (...) iscritto al n.(...)/16 R.G. e riunito, infine al presente, atti acquisiti - come si dirà - con note del 31.08.2021 della difesa dei signori (...) risulta la costituzione di (...) il quale aveva in via preliminare chiesto la riunione, per l'appunto, con il già pendente giudizio avviato dal (...) (vale a dire il presente giudizio n.(...)/15 R.G.). Nel merito, (...) ribadiva le difese svolte dal (...) con la citazione sopra esaminata, rappresentando che la causa del sinistro era da ascrivere alla (...) che aveva improvvisamente arrestato la marcia così determinando i tamponamenti a seguire. Indi sosteneva che la autovettura di (...) che precedeva quella di sua proprietà condotta dal (...) aveva i segnalatori 'stop' non funzionanti, così non consentendo al predetto DI (...) di percepirne l'arresto istantaneamente, e pertanto, sebbene a distanza di sicurezza (il (...), aveva finito per tamponarlo. Contestati i danni lamentati di signori (...) veniva riprodotta la citazione spiegata dal DI (...) avanti al (...) Infine, la difesa di (...) concludeva chiedendo: 1) dichiararsi la connessione con il giudizio n.(...)/15 R.G. pendente avanti al (...) con adozione dei provvedimenti conseguenti; (...) - (...) 2) rigettare le domande dei signori (...) non sussistendo responsabilità del DI (...) ma dovendosi imputare il sinistro alla conducente del primo veicolo coinvolto, signora (...) o allo stesso (...) (...) la riassunzione della causa originariamente incoata avanti al giudice di pace dai signori (...) iscritta al n.(...)/16 R.G., (...) riteneva di non doversi costituire in giudizio. (...) i relativi termini, la difesa dei signori (...) depositava memorie ex art.183 comma 6 n.1 c.p.c.. Seguivano memorie ex art.183 comma 6 n.2 c.p.c. nell'interesse di (...) DI (...) ed (...) Indi venivano depositate memorie ex art.183 comma 6 n.3 c.p.c. nell'interesse di (...) e DI (...) Con ordinanza del 18/21.11.2016 veniva disposto procedersi ad accertamenti tecnici di tipo dinamico. Acquisita la relazione tecnica, depositata in data (...), con ordinanza del 14/15.04.2017 veniva ammessa la richiesta di prova testi. All'udienza del 25.10.2017 si procedeva alla escussione dei testimoni. Con ordinanza del 30.11.2017 (dep. l'11.12.2017) veniva disposto procedersi ad accertamenti medico-legali sulla persona di (...) e (...) mentre veniva rigettata la richiesta di C.T.U. medico-legale sulla persona di (...) Le relazioni medico-legali venivano depositate in data (...). (...) una prima volta in decisione, la causa veniva rimessa sul ruolo in quanto non risultavano acquisiti, neanche in copia, gli atti relativi al giudizio avanti al giudice di pace. La difesa dei signori (...) con note del 30.08.2021, depositava in copia gli atti del fascicolo del giudice di pace. (...) - (...)udienza del 10.11.2021 le altre parti davano atto della completezza della produzione e veniva così operata la ricostruzione. Con ordinanza del 07.06.2023 la causa veniva rimessa sul ruolo in quanto non risultava documentata la notifica della riassunzione nei confronti di (...) che, come anticipato, aveva ritenuto di non doversi costituire nel presente giudizio riassunto. Con note del 09.06.2023 la difesa dei signori (...) produceva documentazione comprovante la ritualità della notifica nei confronti di (...) (eseguita nei confronti del difensore costituito nel suo interesse avanti al giudice di pace). All'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni, trattata con deposito di note ex art.127 ter c.p.c., con ordinanza dell'08.09.2023 la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini ex art.190 c.p.c.. Il presente giudizio ha ad oggetto domande risarcitorie legate a sinistro occorso in data (...). Va sinteticamente rappresentato, quanto alla struttura delle domande e premesso, come più approfonditamente si dirà, che la vicenda è relativa a cd. tamponamento a catena con auto condotte rispettivamente dalla prima all'ultima della colonna da (...) e (...) che: - il presente giudizio, iscritto al n.(...)/15 R.G., aveva preso avvio con la citazione di (...) nei confronti di (...) e di (...) s.p.a. sostenendosi da parte del conducente dell'ultimo veicolo ((...) responsabilità esclusiva del conducente del primo veicolo ((...); - (...) oltre a contestare le domande del (...) ha svolto a sua volta domanda nei confronti di (...) (conducente del secondo veicolo) e (...) (cui ha notificato atto di citazione per chiamata in causa); (...) - (...) - (...) non si è costituito; si è costituita (...) ed ha contrastato le domande della (...) - parallelamente (...) e (...) (proprietario e conducente del terzo veicolo) hanno convenuta avanti al giudice di pace (...) (proprietario del quarto veicolo) ed (...) s.p.a. quale impresa designata per il F.G.V.S.; nessuna domanda è stata svolta nei confronti del conducente del veicolo, (...) - (...) si era costituito nel giudizio avanti al giudice di pace ed aveva solo chiesto dichiararsi connessione con il giudizio pendente avanti al (...) e rigettarsi le domande dei signori (...) - (...) si era costituita nel giudizio avanti al giudice di pace contrastando le domande dei signori (...) - disposta la riunione del giudizio originariamente avviato avanti al giudice di pace e riassunto avanti al (...) non si è costituito, rimanendo contumace. Operato schematicamente riepilogo delle posizioni oggetto del presente giudizio, deve procedersi con l'esame delle questioni preliminari. La eccezione di nullità svolta dalla difesa di (...) s.p.a. con riguardo alla notifica della citazione, peraltro non più riproposta, deve ritenersi superata dalle produzioni operate dalla difesa di (...) in ogni caso sanata dalla costituzione della (...) e dallo svolgimento di specifiche ed articolate difese. (...) la eccezione di prescrizione formalizzata da (...) plc deve rigettarsi in via preliminare in quanto tardiva; ed invero, la (...) risulta ritualmente citata con notifica di atto di chiamata in causa per comparire all'udienza del 27.04.2016 e la comparsa di (...) - (...) costituzione in giudizio risulta depositata in data (...), oltre il termine di venti giorni prima della detta udienza. Per completezza, va ricordato che la difesa di (...) aveva contestato anche nel merito la eccezione. (...) adesso procedersi alla ricostruzione della dinamica del fatto. Dal rilevamento tecnico descritto del sinistro stradale prodotto dalle difese di (...) e (...) risulta che, effettivamente, in data (...), alle ore 12,00 circa, sulla S.S. 114 al km 81, (...)si era verificato sinistro ed era intervenuto, a seguito di chiamate alle successive ore 12,10, personale del (...) di (...) del Comune di (...) giunto sui lughi 5 minuti dopo. Il personale di (...) ha, in primo luogo, dato atto del coinvolgimento dei veicoli - auto (...) (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) (veicolo A); - auto (...) targato (...) di proprietà e condotto da (...) (veicolo B); - auto (...) targato (...) di proprietà di (...) e condotto da (...) (veicolo C); - autocarro (...) targato (...) condotto dal (...) e di proprietà di (...) (veicolo D). I quattro veicoli, indicati come A, B, C e D nell'ordine di incolonnamento, corrispondono a quelli indicati nelle difese delle parti costituite. Il personale di (...) raccoglieva anche le dichiarazioni rese da (...) e (...) come da verbali ai fogli 27-29 dell'atto di rilevamento e procedeva a rilievi fotografici, allegati al documento in esame. La posizione di quiete assunta dai singoli veicoli non era stata rilevata, ad esclusione del quarto veicolo, in quanto gli stessi 'erano stati spostati prima del nostro intervento' (cfr. foglio 30). (...) - (...) stata rilevata, invece, la posizione del quarto veicolo che si trovava 'ribaltato' e con 'parte anteriore totalmente distrutta' (cfr. foglio 18). Da ciò discende che la ricostruzione della dinamica è stata operata dal personale di (...) essenzialmente sulle dichiarazioni rese dai conducenti dei veicoli; la dinamica risulta offerta nei seguenti termini (cfr. foglio 30): La conducente del veicolo A (...) giunta nei pressi del km 81,(...) sembra arresti la marcia del proprio mezzo repentinamente e senza alcun apparente motivo (così come dichiarato dai coinvolti nel sinistro); in conseguenza a tale arresto viene tamponata dalla macchina che la segue atv (...) veicolo B che a sua volta viene tamponata dal veicolo C atv (...) che viene a sua volta tamponata dall'atc (...) veicolo D. Il personale di (...) dava atto che: sul piano viabile interessante il campo del sinistro non si sono evidenziate tracce di frenata che avessero attinenza col sinistro in questione e ancora che il tratto di strada in oggetto (km 81,(...)) risulta essere privo di intersezioni accessi o passi carrabili, e diviso in due semi carreggiate separate da un cordolo centrale di gomma (...) il personale di (...) rassegnava che: sul posto interveniva personale dei VV.F che provvedeva ad estrarre gli occupanti la cabina dell'atc (...) veicolo D in quanto rimasti incastrati tra le lamiere; subito dopo interveniva personale del 118 che provvedeva a soccorrere i feriti e a trasportarli presso il locale pronto soccorso. In corso di causa è stata svolta ulteriore attività istruttoria volta a ricostruire la dinamica, sia con attività tecnica che con assunzione di dichiarazioni in sede di interrogatorio formale e prova testi. (...) - (...) (...) alla attività tecnica, il consulente nominato dal (...) dopo attento ed approfondito esame della documentazione in atti ed in particolare dei rilievi fotografici e eh sto attenta approfondire, aveva offerto una ricostruzione dello stato e condizione dei luoghi teatro del sinistro e, dopo avere valutato la entità dei danni dei mezzi coinvolti (nei termini di cui si dirà) aveva rassegnato che: La carente documentazione fotografica proposta e soprattutto l'assenza di rilevamento delle posizioni di quiete post-urto dei mezzi coinvolti nel sinistro (tranne per il furgone), di fondamentale importanza ai fini della comprensione della progressione degli urti, non consentono valorizzare appieno le energie dissipate nei vari urti prodotti o subiti dai mezzi stessi nella sequenza dei contatti. Pertanto, il C.T.U., nella oggettiva impossibilità di procedere a ricostruzione sulla base di elementi esclusivamente oggettivi, offriva una ricostruzione fondata anch'essa, fra l'altro, sulle dichiarazioni dei conducenti raccolte in occasione del sinistro: la (...) (...) targata (...) condotta dalla (...)ra (...) percorrente la SS 114 all'altezza progressiva km 81,(...) in sua velocità nei pressi della progressiva km 81,(...) in direzione (...) riduce la sua velocità nei pressi della svolta a d(...) su via (...) in questa fase viene tamponata dalla (...) targata (...) condotta dal (...) inosservante distanza di sicurezza; da tergo l'autovettura (...) targata (...) condotta dal (...) percependo l'antistante pericolo, cerca di arrestare la marcia deviando verso s(...) ma viene violentemente tamponato dal furgone (...) targato (...) condotto dal sig. (...) e sospinto tangenzialmente sulla antistante (...) che non urta ulteriormente la (...) (...) precedentemente tamponata precedentemente tamponata. (...) - (...) C.T.U. offriva anche, oggettivamente specifica indicazione sulla velocità del (...) desunta dai danni riportati e dal ribaltamento, che definiva 'sostenuta'. (...) udienza del 25.10.2017 (...) rendeva interrogatorio formale e negava di avere arrestato improvvisamente la marcia, sostenendo di avere rallentato in quanto intendeva effettuare una svolta a destra, avendo anche segnalato tale intenzione con l'indicatore di direzione. (...) stessa udienza del 25.10.2017 sono stati sentiti i due testimoni indicati dalla difesa di (...) persone che, a loro dire, si trovavano a transitare sui luoghi percorrendo la opposta direzione di marcia ed avrebbero assistito al sinistro. (...) aveva riferito di trovarsi a bordo dell'auto condotta dal (...) (altro teste) e di avere notato che 'la (...) (...) all'improvviso si è fermata di colpo senza alcun motivo visto che non c'erano svolte da fare'. Lo (...) dichiarava di non essere in grado di 'dire nulla' sui conducenti della seconda e terza autovettura coinvolte (che indicava una per colore e l'altra per marca e modello). (...) al quarto veicolo, riferiva che 'era condotto da un ragazzo'. Lo (...) ha riferito che insieme al (...) erano rimasti in auto fermi lateralmente e che erano spaventati. Il teste ha riferito dell'arrivo di (...) e dei (...) ribadendo che 'noi eravamo sempre in macchina'. Indi, lo (...) ha riferito che dopo l'arrivo dei (...) era arrivato un 'signore che gesticolava e si è avvicinato alla nostra macchina chiedendo se avessimo visto l'incidente. Non so chi fosse questo signore'; a questa persona, che aveva 'una trentina d'anni' lo (...) riferiva di avere 'dato a lui i nostri recapiti telefonici'. (...) riferiva di non avere parlato con i (...) in quanto, ribadiva, era rimasto in auto. (...) - (...) alla posizione in cui si trovavano, lo (...) riferiva che 'noi avevamo appena passato il punto in cui si trova l'(...) (...). Il teste (...) ha riferito che, effettivamente, si trovava a bordo della propria auto sulla S.S. 114 in direzione (...) unitamente allo (...) in quanto 'stavamo andando a lavoro', salvo poi rettificare nel senso che 'io solo stavo andando a lavorare mentre (...) mi accompagnava solo per farmi compagnia'. (...) alla loro posizione al momento del sinistro, il (...) riferiva che 'noi non avevamo ancora superato l'(...)# posto alla nostra destra' mentre i mezzi si trovavano ad una distanza di 60 metri dall'(...) 'che ancora non avevano raggiunto'. (...) il (...) ha riferito di avere 'visto una (...) (...) bianca fermarsi all'improvviso, non aveva alcun freccia' ed era 'condotta da una signora di mezza età che ho visto dentro l'abitacolo'; indi il teste ha riferito che 'poi c'è stato un tamponamento a catena'. (...) non è stato in grado di riferire alcunché sugli altri veicoli coinvolti salvo che per l'ultimo, un '(...) al cui interno 'c'erano due ragazzi'. (...) ha riferito che lui e lo (...) ('entrambi') 'siamo scesi dall'autovettura e ci siamo avvicinati al furgoncino che si era ribaltato', riferendo anche di non avere prestato alcun soccorso né di avere richiesto l'intervento di (...) o ambulanza. (...) ha ancora detto che erano intervenuti sui luoghi i (...) urbani ma 'non sono intervenuti i (...). (...) il (...) ha riferito dell'arrivo di una persona, di cui ha detto essere giunta in auto e di avere detto essere lo zio del (...) prima di andare via 'abbiamo detto a questo signore se aveva bisogno e abbiamo dato i nostri numeri di telefono'. A specifica domanda, il (...) ha riferito di non ricordare nulla sulla evoluzione e sulla posizione di quiete dell'autocarro ('non ricordo dove fosse finito il furgoncino dopo il ribaltamento; non ricordo se il furgoncino avesse sbattuto contro il muro'). (...) - (...) questo giudice di dovere procedere, prima di proseguire nella analisi, a valutare l'esito fin qui esposto dei risultati della attività istruttoria svolta all'udienza del 25.10.2017.. (...) all'interrogatorio formale, va ricordato che lo stesso è strumento processuale finzionale a provocare la confessione della controparte; solo in detti termini esso può assumere valenza probatoria. Pertanto, deve solo prendersi atto che (...) ha negato di essersi arrestata improvvisamente mentre le sue ulteriori dichiarazioni sul contegno di marcia non possono assumere valore di prova nei confronti delle altre parti. (...) alle dichiarazioni testimoniali, le stesse sono palesemente inattendibili. Ed invero, le dichiarazioni rese da (...) e (...) presentano molteplici profili di contrasto sia in comparazione fra esse sia con elementi esterni che avrebbero dovuto fungere da 'riscontro'. Già dall'esame delle dichiarazioni come sopra riportate i profili di contrasto sono eclatanti ed evidenti; tuttavia giova esporli partitamente: - essi hanno offerto una diversa ragione del fatto che si trovavano a transitare dai luoghi: o (...) 'l'intenzione era di fare un giro nei paraggi' o (...) 'stavamo andando a lavoro', salvo poi rettificare nel senso che 'io solo stavo andando a lavorare mentre (...) mi accompagnava solo per farmi compagnia'; - essi hanno indicato in maniera difforme il loro punto di osservazione del sinistro: o (...) 'noi avevamo appena passato il punto in cui si trova l'(...)#' o (...) 'noi non avevamo ancora superato l'(...)# posto alla nostra destra' (...) - (...) - essi hanno offerto una diversa e contrastante posizione dopo il sinistro e per tutta la durata della permanenza sui luoghi o (...) 'sono rimasto all'interno della macchina perché ero spaventato anche il (...) è rimasto all'interno della macchina'; 'poi sono arrivati i (...) urbani e i (...) ma noi siamo rimasti sempre in macchina'; la permanenza in auto per tutto il tempo si desume ulteriormente con certezza da quanto riferito sul 'signore' giunto alla fine, che, per l'appunto, 'si è avvicinato alla nostra macchina chiedendo...' o (...) 'entrambi siamo scesi dall'autovettura e ci siamo avvicinati al furgoncino che si era ribaltato'; - essi hanno indicato interventi di (...) in modo diverso: o (...) 'poi sono arrivati i (...) e i (...) o (...) 'sono arrivati i (...) con cui non abbiamo parlato, non sono intervenuti i (...) - essi hanno offerto divergenti indicazioni sul contatto con il 'signore' giunto dopo, al quale avevano lasciato i recapiti: o (...) lo ha indicato come persona che si era avvicinata alla loro auto in sosta davanti all'(...) e di avere chiesto tale soggetto essi se avessero visto qualcosa; o (...) ha indicato tale persona, specificando anche di sapere essere lo zio di (...) come soggetto che si era avvicianato a loro mentre erano anche vicino al furgone ribaltato e di avere loro stessi di essere disponibili a testimoniare ('abbiamo detto a questo signore se aveva bisogno e abbiamo dato i nostri numeri di telefono'). Ancora, sono state rese dichiarazioni in contrasto con elementi positivamente accertati: (...) - (...) - (...) ha riferito che non erano intervenuti i (...) del (...) che, al contrario, sono intervenuti ed hanno anche posto in essere una rilevante ed evidente azione, estraendo i due a bordo dell'autocarro, proprio quelli a cui egli dice di essersi avvicinato Le dichiarazioni rese, oltre ad essere in contrasto nei termini, evidenti, sopra riportati, risultano incongrue ed inverosimili in quanto, quanto alle dichiarazioni del (...) - non appare ragionevole che il (...) si stesse recando a lavoro e lo (...) lo accompagnava per fare compagnia, posto anche che era il (...) a condurre l'auto; non appare comprensibile la ragione di ciò; - non appare logico e coerente avvicinarsi ad un mezzo dove, sulla base degli atti della (...) risulta che all'interno vi erano, incastrati, due soggetti e non avere chiesto intervento delle (...) e dei soccorsi senza peraltro riferire di avere appreso che altri lo avevano fatto; ovviamente in questo caso avrebbero dovuto riferire chi aveva chiamato i soccorsi, ma, come si dirà, né (...) né (...) chiesto di riferire circostanze che potessero avere riscontro esterno (al di fuori della traccia: 'colpa della (...) che ha arrestato improvvisamente la marcia), hanno riferito di non sapere o non ricordare; - risulta inverosimile che il (...) mentre era alla guida del proprio veicolo in direzione di marcia opposta a quella della (...) (...) condotta dalla (...) abbia potuto notare che la stessa non aveva azionato freccia di direzione (va evidenziato che eravamo in pieno giorno e che le frecce in questione erano quella anteriori); - non appare logico quanto riferito dal (...) che, allo zio del (...) avrebbe offerto spontaneamente disponibilità per futura testimonianza mentre non aveva sentito analogo dovere presentandosi al personale di (...) intervenuto. (...) - (...) già detto, ulteriore elemento di inattendibilità è costituito da tutte le risposte fuori 'tema centrale' con le quali hanno riferito di non sapere o non ricordare: - entrambi non hanno offerto alcuna indicazione sui componenti delle vetture seconda e terza nemmeno se di genere maschile o femminile; - (...) ha riferito di non sapere indicare a che andatura marciasse la (...) (...); - (...) non è stato in grado di offrire un riscontro di tipo cronologico sullo svolgimento della vicenda ('non so quantificare il tempo in cui siamo rimasti fermi in macchina') da ciò potendosi verificare corrispondenza o meno con i tempi effettivi di arrivo dei (...) dei (...) ed altro; - (...) ha riferito di non sapere riferire sulla distanza fra un veicolo e l'altro, neanche in termini indicativi; - (...) ha riferito di non sapere dire a che velocità andasse il (...) (e ciò nonostante l'evidenza del ribaltamento). Ebbene, ritiene questo giudice che gli elementi di contrasto, oltre che numerosi ed eclatanti, vertano anche su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti e per la valutazione della attendibilità; fra tutte, può evidenziarsi quella relativa alla permanenza in auto offerta dallo (...) e dalla uscita dal veicolo e l'avvicinamento al furgone ribaltato riferita dal (...) Trattandosi di due eventi che ognuno dei protagonisti non potrebbe avere difficoltà a riferire nei termini in cui si sono svolti i fatti; o, ancora, non riferire dei due a bordo dell'autocarro incastrati e della seguente opera, tutt'altro che ordinaria, dei (...) che li hanno estratti. In conclusione, le dichiarazioni sono entrambe inattendibili e nessuna di esse può essere utilizzata ai fini della decisione. (...) - (...) base di tutti gli elementi acquisiti e, in concreto, quanto oggetto dei rilevamenti della (...) e delle note tecniche del C.T.U. (ma non, per le ragioni anzidette, di quanto acquisito in sede di istruttoria all'udienza del 25.10.2017), deve affermarsi come non sia possibile ricostruire la dinamica del sinistro e, in particolare, non sia possibile individuare responsabilità esclusive a carico di uno dei conducenti dei quattro mezzi coinvolti. Può senz'altro affermarsi che il tamponamento è avvenuto fra auto in movimento (e non fra auto ferme tamponate da tergo da una o più auto sopraggiunte) e, ancora, che il quarto veicolo, il mezzo condotto dal (...) procedeva a velocità non consona. Tuttavia, neanche per la posizione di (...) può dirsi che egli abbia responsabilità esclusiva e, in particolare, che egli avesse provocato non solo il tamponamento del vicolo (...) (terzo della colonna) ma anche gli altri due tamponamenti 'a catena' dei due restanti veicoli che lo precedevano. Le difese di (...) e (...) hanno sostenuto che dovesse individuarsi responsabilità esclusiva della (...) che avrebbe arrestato improvvisamente la marcia compiendo una manovra imprevista. Le argomentazioni svolte hanno posto a fondamento quanto risulta dai rilevamenti della (...) (dichiarazioni rese nell'immediatezza dai conducenti sentiti e ricostruzione dinamica) e dalle dichiarazioni rese dai testimoni. Della inutilizzabilità ai fini probatori delle dichiarazioni dei testi si è già detto. (...) a quanto risulta dai rilevamenti della P.M. va chiarito che le dichiarazioni rese nell'immediatezza dai conducenti sono, per l'appunto, dichiarazioni provenienti da persone personalmente e direttamente coinvolte quali parti del presente giudizio e le stesse, pertanto, possono valere a carico degli altri solo alla stregua di allegazione da provare. Da ciò discende che non possa ritenersi provato che la (...) (...) si sia arrestata improvvisamente né sulla base delle dichiarazioni del (...) né sulla ricostruzione dei (...) - (...) fondata su tali dichiarazioni, e peraltro offerta in termini dubitativi ('La conducente della (...) (...) ... sembra arresti la marcia...'). (...) poi, sostenuto dalla difesa di (...) con le difese conclusive circa la valenza di atto pubblico dei rilevamenti in questione, va solo precisato che, pur corretta la impostazione tecnica, la valenza di atto che fa fede fino a querela di falso è limitata a quanto i pubblici ufficiali attestano avere fatto o rilevato o alle dichiarazioni che assumono di avere ricevute; le valutazioni, tanto più quelle fondate sulle dichiarazioni dei protagonisti, non hanno fede privilegiata. (...) quanto sostenuto da (...) circa il mancato funzionamento dei segnalatori di 'stop' dell'auto del (...) nonché ad una brusca frenata dello stesso quale causa esclusiva di responsabilità non hanno trovato alcun supporto probatorio. In conclusione, non va ribadito che vi sono elementi oggettivi per ricostruire la dinamica ed individuare specifiche colpe esclusive di uno o più dei soggetti coinvolti. In punto di diritto, va richiamato il risalente ed ormai consolidato orientamento interpretativo della Suprema Corte secondo cui: In tema di circolazione stradale, nell'ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l'art. 2054, comma 2, c.c., con conseguente presunzione "iuris tantum" di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull'inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013 n.4021; in senso conforme, ex - (...) multis, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2015 n. 8487; Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2021 n. 4304; Cass. civ. sez. VI, 1 giugno 2022 n. 17896). (...) base dei superiori principi, pienamente condivisi da questo giudice, deve in conclusione affermarsi pari responsabilità dei protagonisti del sinistro in esame con conseguenti responsabilità, tenendo conto delle domande svolte nel presente giudizio (in cui (...) e rimasto contumace): - di (...) nonché di (...) per i danni subiti da (...) nella misura del 50%; - di (...) e di (...) nonché di (...) per i danni subiti da (...) e (...) nella misura del 50%. Le domande svolte da (...) nei confronti di (...) fondate sul presupposto, rimasto indimostrato, di colpa esclusiva della predetta, devono considerarsi infondate. (...) quindi procedersi con la quantificazione dei danni. (...) a (...) proprietaria del veicolo (...) (...) targato (...) dalla C.T.U. del geom. (...) risultano danni pari ad euro 942,52 IVA compresa, a fronte di un valore del veicolo stimato in euro 1.000,00, oltre ad un danno per fermo tecnico (per tre giorni) di euro 120,00 (euro 40,00 pro die) (cfr. pagg-7-8 della relazione tecnica). Con riguardo ai danni fisici, il C.T.U. dott. (...), effettuata visita medica ed esaminata la documentazione in atti, aveva in primo luogo rilevato che, all'epoca dei fatti, presso l'(...) di (...) era stata refertata 'cervicalgia post traumatica. Trauma gamba d(...)'. (...) - (...) lesioni sono state valutate 'in rapporto causale, secondo i criteri medico legali di giudizio, con l'incidente per cui è causa. (...) lesioni hanno avuto una evoluzione in guarigione con postumi e sono state sottoposte a trattamento farmacologico e fisioterapico'. Il C.T.U. ha, quindi, riscontrato un peggioramento temporaneo delle condizioni della (...) che ha quantificato in: - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%; - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%; - 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 25%; senza riscontrare postumi permanenti. Il C.T.U. ha anche ritenuto la congruità delle spese mediche documentate, apri ad euro 543,76. (...) a (...) proprietario del veicolo (...) targata (...) dalla C.T.U. del geom. (...) risultano danni pari ad euro 3.877,07 IVA compresa, a fronte di un valore del veicolo stimato in euro 4.000,00, oltre ad un danno per fermo tecnico (per sei giorni) di euro 300,00 (euro 50,00 pro die) (cfr. pag.10 della relazione tecnica). (...) a (...) il C.T.U. dott. (...), effettuata visita medica ed esaminata la documentazione in atti, aveva in primo luogo rilevato che, all'epoca dei fatti, presso l'(...) di (...) era stata refertata 'cervicalgia post traumatica'. (...) lesioni sono state valutate 'in rapporto causale, secondo i criteri medico legali di giudizio, con l'incidente per cui è causa. (...) lesioni hanno avuto una evoluzione in guarigione con postumi e sono state sottoposte a trattamento farmacologico e fisioterapico'. Il C.T.U. ha, quindi, riscontrato un peggioramento temporaneo delle condizioni della (...) che ha quantificato in: (...) - (...) - 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%; - 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%; senza riscontrare postumi permanenti. Il C.T.U. ha anche ritenuto la congruità delle spese mediche documentate, apri ad euro 263,95. (...) questo giudice che le conclusioni offerte dal C.T.U. geom. (...) siano pienamente condivisibili, fondate su specifica analisi della documentazione in atti con quantificazione dei danni operata applicando criteri tecnici ben esplicitati. Parimenti, anche le conclusioni del C.T.U. dott. (...) vanno integralmente condivise, fondate su visita medica ed analisi della documentazione sanitaria, con conclusioni fondate sui principi che regolano la materia. Va evidenziato che le parti non hanno svolto censure tecniche alle relazioni nelle parti in esame (salvo la difesa di (...) che le ha definite, con gli scritti conclusivi, 'parsimoniose'. I danni, applicando le (...) del (...) di Milano 2021, possono liquidarsi nei seguenti temini: A) quanto a (...) - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 75% euro 822,00 - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 50% euro 548,00 - per 20 giorni di inabilità temporanea parziale al 25% euro 274,00 pari a complessivi euro 1.644,00 (...) - (...) B) quanto a (...) - per 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 75% euro 411,00 - per 10 giorni di inabilità temporanea parziale al 50% euro 274,00 pari a complessivi euro 685,00 Le somme in questione vanno devalutate fino alla data del sinistro 07.09.2013 e, quindi, rivalutate fino a quella di pubblicazione della presente decisione, applicando gli indici della rivalutazione monetaria ricavati dalle pubblicazioni ufficiali dell'(...) di (...) oltre interessi al tasso legale sulla somma devalutata dal 07.09.2013 fino al momento della liquidazione, calcolati sulla somma via via rivalutata con periodicità annuale. (...) al fermo tecnico, premesso che, secondo il più recente orientamento interpretativo della Suprema Corte: Il danno da fermo tecnico di un veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato, non essendo sufficiente la prova della mera indisponibilità del veicolo; il danneggiato deve infatti dimostrare la spesa sostenuta per procurarsi un altro veicolo sostitutivo o la perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall'uso dell'auto (nella specie, la Corte ha ritenuto errata l'affermazione del giudice di merito che aveva richiesto anche la dimostrazione della necessità della spesa, pur essendo stata fornita la prova dell'esborso effettuato) (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2023 n.7358; in senso conforme, ex multis, Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2017 n.13718; (...) Civ., sez. VI, 28 febbraio 2020 n.5447; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2022 n.27389) (...) - (...) darsi atto che (...) non aveva svolto alcuna domanda in tal senso mentre (...) ne aveva chiesto la liquidazione (peraltro solo in sede di richieste conclusive in citazione) solo sulla base di ragionamento di tipo deduttivo. Pertanto, in accoglimento della specifica contestazione formalizzata dalla difesa di (...) la 'posta' in questione non può essere liquidata. Al contrario, non assume rilevanza la circostanza, sostenuta dalla difesa di (...) che l'esborso per le spese di riparazione non sia stato documentato trattandosi, nel caso in questione, di risarcimento danni e non di rimborso spese. (...) al danno biologico patito da (...) con gli scritti conclusivi la difesa di (...) s.p.a. ha eccepito il mancato uso dele cinture di sicurezza. La questione relativa al mancato uso delle cinture risulta introdotta tardivamente posto che, con la comparsa di costituzione, tale eccezione limitativa della responsabilità non risulta formulata. In conclusione, le domande possono trovare accoglimento nei seguenti termini (operando la decurtazione nella misura del 50% per effetto della applicazione dell'art.2054 comma 2 c.c.): - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 471,26 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo (somma pari alla metà del danno di euro 942,52); o in euro 822,00, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali (somma pari alla metà del danno di euro 1.644,00); o in euro 271,88 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (somma pari alla metà delle spese per euro 543,76); (...) - (...) - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 1.938,54 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo (somma pari alla metà del danno di euro 3.877,07); - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, altresì al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 342,50, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali (somma pari alla metà del danno di euro 685,00); o in euro 131,98 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (somma pari alla metà delle spese per euro 263,95) Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in relazione alle domande svolte ed al loro esito; pertanto: 1) (...) va condannato al pagamento delle spese in favore di (...) e (...) s.p.a. tenendo conto del valore della domanda svolta nei loro confronti; 2) (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese in favore di (...) tenendo conto della domanda nei termini in cui è stata accolta; 3) (...) e (...) s.p.a. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese in favore di (...) e (...) e per essi, in favore dell'avv. (...) difensore antistatario, sia per le attività avanti al giudice di pace che per quelle avanti al (...) tenendo conto delle domande svolte dai predetti signori (...) nei termini in cui sono state accolte (...) - (...) spese vengono, pertanto, liquidate secondo i criteri sopra esposti nei seguenti termini: - (...) va condannato al pagamento delle spese che si liquidano o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) s.p.a. - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) - (...) e (...) s.p.a. nella qualità, in solido, vanno condannati al pagamento delle spese processuali relative alla fase avanti al giudice di pace che si liquidano: o in euro 740,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); o in euro 3.445,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); Le spese di C.T.U. liquidate in corso di causa vanno poste definitivamente a carico delle parti soccombenti nei seguenti termini: (...) - (...) - C.T.U. geom. (...), definitivamente a carico di (...)(...) p.l.c. e (...) s.p.a., in solido; - C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) s.p.a., in solido; - C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) p.l.c., in solido. P.Q.M. il Tribunale di Catania in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n.(...)/2015 R.G. (cui è riunita la causa (...)/2016 R.G., così statuisce: CONDANNA - (...) e (...) p.l.c., in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 471,26 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo o in euro 822,00, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali o in euro 271,88 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, in solido, al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida (...) - (...) o in euro 1.938,54 IVA compresa per i danni materiali, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, in solido, altresì al risarcimento del danno in favore di (...) che si liquida o in euro 342,50, devalutati e rivalutati, oltre interessi come sopra specificato, per danni non patrimoniali o in euro 131,98 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo per rimborso spese (...) - ogni altra domanda; CONDANNA - (...) al pagamento delle spese processuali che si liquidano o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) o in euro 14.103,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) s.p.a. - (...) e (...) p.l.c. vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore di (...) - (...) e (...) s.p.a. nella qualità, in solido, vanno condannati al pagamento delle spese processuali relative alla fase avanti al giudice di pace che si liquidano: (...) - (...) o in euro 740,00 oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); - (...) e (...) s.p.a., nella qualità, vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese per il giudizio avanti al (...) processuali che si liquidano: o in euro 2.650,00 (di cui euro 98,00 per spese vive) oltre (...) CP e rimborso forfetario spese generali in favore dell'avv. (...) difensore antistatario di (...) e (...) che ne ha fatto rituale richiesta (cfr. comparsa di replica ex art.190 c.p.c. depositata in data (...)); PONE - le spese di C.T.U. liquidate in corso di causa definitivamente a carico delle parti soccombenti nei seguenti termini: o spese per C.T.U. geom. (...), definitivamente a carico di (...)(...) p.l.c. e (...) s.p.a., in solido; o spese per C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) s.p.a., in solido; o spese per C.T.U. dott. (...) per accertamenti sulla persona di (...) definitivamente a carico di (...) e (...) p.l.c., in solido. DISPONE (...) - (...) - che somme eventualmente corrisposte ai C.T.U. da parti diverse da quelle sopra indicate o in quote diverse dal riparto paritario sino rimborsate in favore di chi ha effettuato il pagamento anticipato.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ni.An., nato a G il (omissis); avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere UGO BELLINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. È presente l'avvocato LI.MI. del foro di CATANIA in difesa delle parti civili Da.Bi. e Pe.Gi., che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese chiedendo la conferma della sentenza impugnata. L'avv. LI. deposita nomina a sostituto processuale dell'avv. DA.GI. del foro di CALTANISETTA difensore della parte civile Da.Lu. unitamente alle conclusioni scritte ed alla nota spese alle quali si riporta. Sono presenti l'avvocato GA.AN. del foro di GELA e l'avv. SI.SA. del foro di GELA in difesa di Ni.An., che chiedono l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Caltanisetta, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Gela assunta all'sito di giudizio abbreviato, ha rideterminato la pena nei confronti di Ni.An., in relazione al reato di omicidio colposo e di lesioni personali plurime, intervenuto sulla Strada Statale (omissis) C-G in data (omissis), in anni cinque mesi quattro di reclusione. Veniva peraltro escluso il riconoscimento del beneficio delle circostanze attenuanti generiche e veniva altresì rigettato il motivo di appello con il quale l'imputato aveva richiesto la riduzione della pena in ragione del concorso nella determinazione del sinistro di cause estranee al fatto dell'imputato di cui all'art.589-bis comma 7 cod. pen. 2. Al Ni.An. veniva contesta la inosservanza di specifiche disposizioni del codice della strada e in particolare dell'art.141 commi 1 e 2, dell'art.142 comma 1 e dell'art. 163 C.d.S. per avere proceduto lungo arteria statale, ove vigeva il limite di 90 Km/h in direzione di Gela mantenendo una velocità superiore ai limiti previsti per quella tratta stradale e comunque eccessiva e inadeguata sia in relazione alle condizioni ambientali e metereologiche, sia alla presenza di una curva pericolosa, che determinavano la fuoriuscita del veicolo dalla corsia di marcia di pertinenza fino ad invadere obliquamente l'opposta corsia di marcia finendo per collidere con altro veicolo che percorreva l'opposta direttrice di marcia ed impattare con altro automezzo che lo seguiva e il cui conducente aveva tentato una manovra diversiva verso sinistra. In ragione dei plurimi impatti conseguiva la morte di uno dei quattro passeggeri del veicolo condotto dell'imputato (che era collocato sul sedile anteriore lato passeggero) e lesioni gravissime ad altre due passeggere, nonché la morte del conducente della Lancia Y 10 proveniente dall'opposta corsia di marcia e lesioni semplici nei confronti dei due occupanti l'autoarticolato che seguiva nella marcia la autovettura Y 10. 3. La Corte di Appello, dopo avere proceduto alla parziale rinnovazione del dibattimento mediante l'esperimento di una perizia cinematica, escludeva che ricorresse ipotesi di esclusione del rapporto di causalità materiale tra la condotta dell'imputato che, mediante l'invasione dell'opposta corsia di marcia aveva innescato la serie di urti tra veicoli che avevano determinato le conseguenze offensive suddette ed escludeva altresì che la condotta di guida del Ni.An. fosse risultata condizionata da elementi perturbatori imprevedibili ed eccezionali quali le denunciate irregolarità del manto stradale o fenomeni di acquaplaning la cui ricorrenza, ovvero, la cui incidenza sull'azione del Ni.An. non risultavano dimostrati. 3.1 La Corte di appello escludeva altresì la mitigazione del trattamento sanzionatorio in ragione del concorso di cause esterne al fatto dell'imputato, a fronte della assoluta correttezza dell'operato dei conducenti degli altri mezzi coinvolti, nonché dell'assenza di ulteriori elementi concausali, non potendosi riconoscere rilievo sinergico, ai fini della disciplina di cui all'art. 589-bis comma 7 cod. pen., all'eventuale inosservanza da parte del conducente del veicolo antagonista Y 10 all'obbligo di indossare la cintura di sicurezza, in considerazione delle caratteristiche e della violenza dell'urto. Escludeva altresì il beneficio delle circostanze attenuanti generiche in ragione della gravità della colpa e della pluralità delle violazioni di specifiche regole cautelari, della portata offensiva della condotta e all'assenza di profili di meritevolezza da valorizzare, se non lo stato di incensuratezza dell'imputato. 4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato la quale ha articolato tre motivi di ricorso. 4.1 Con il primo motivo di ricorso assume violazione di legge processuale e mancanza di motivazione in ragione dell'omesso esame di specifici motivi di doglianza articolati nella dichiarazione di appello, correlati a precise risultanze probatorie acquisite anche in grado di appello mediante la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, nonché manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova sul punto. Conseguente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli art.40, 41, 43 e 589-bis cod. pen. nonché travisamento della prova in punto di sussistenza e ricostruzione di una condotta colposa e del nesso causale tra questa e l'evento. Assume in particolare che il giudice di appello aveva omesso di valutare decisivi contributi tecnici veicolati nel processo dai consulenti tecnici della difesa e oggetto di note difensive dal contenuto tecnico, contributi che evidenziavano la ricorrenza di un difetto strutturale della pavimentazione stradale che aveva creato, in relazione alla congiunzione di impalcati, un dislivello e pertanto un avvallamento della pavimentazione stradale che pure il perito aveva riconosciuto quale un'anomalia in grado di costituire un disturbo nella guida. Illogico e viziato era pertanto il ragionamento del giudice distrettuale il quale, a fronte di scenari causali del tutto nuovi emersi nel giudizio di appello, all'esito della rinnovazione istruttoria, era rimasta agganciata al ragionamento svolto dal giudice di primo grado, il quale peraltro era stato condotto, sulla base degli indici di responsabilità per colpa enunciati in imputazione, senza confrontarsi con gli elementi acquisiti nel giudizio di appello, cosi come il giudice distrettuale aveva mantenuto fermo il giudizio di responsabilità anche a fronte delle nuove evidenze acquisite in ordine alla velocità tenuta dal veicolo del Ni.An. e alla prospettata interazione rappresentata da un fondo stradale reso pericoloso dalla presenza di pozze di acqua ovvero da un velo di acqua dovuto alle incessanti precipitazioni di quel giorno, verosimilmente idoneo a determinare il fenomeno dell'acquaplaning. Il giudice distrettuale in tale modo aveva del tutto disatteso i principi secondo cui, per procedere al l'accertamento del rapporto di causalità materiale tra un antecedente rispetto all'evento, sarebbe stato preliminarmente necessario svolgere il giudizio esplicativo per indicare i fatti che avevano attivato la serie causale, fino al tragico epilogo, laddove l'addebito mosso al ricorrente di avere invaso l'opposta corsia fino a collidere con i mezzi che ivi transitavano, non poteva, di per sé, contenere alcun giudizio di antidoverosità se solo si fosse accertato che la condotta doverosa fosse risultata inesigibile per fatti estranei alla sfera di controllo dell'imputato, quali le condizioni dell'asfalto e la presenza di allagamenti o di pozze d'acqua. Il vizio di armonizzazione tra gli elementi conoscitivi acquisiti dal primo giudice, rispetto alle maggiori informazioni acquisite al giudizio di appello e compendiate anche attraverso un perizia, a fronte del deficit motivazionale in cui era incorso il giudice di appello, che si era limitato a selezionare e a valutare soltanto alcuni degli elementi conoscitivi posti alla sua attenzione, impediva che si fosse in presenza di una doppia sentenza conforme di condanna e imponeva una nuova valutazione complessiva di tutti gli elementi istruttori presenti agli atti. 4.2 Con una seconda articolazione deduce la violazione di legge e vizio motivazionale, anche per profili di apparenza della motivazione e travisamento della prova in relazione al mancato riconoscimento della ipotesi attenuata di cui all'art.589-bis comma 7 cod. pen. anche con riferimento agli art. 40 e 42 cod. pen. Anche con riferimento a tale aspetto denuncia la totale pretermissione della verifica delle ragioni che avevano determinato lo sbandamento del veicolo e la conseguente invasione dell'opposta corsia di marcia, laddove il perito nominato dal giudice aveva escluso che tale fuoriuscita potesse essere dipesa esclusivamente dalla velocità mantenuta dal veicolo, mentre era pacifico che la strada presentava delle anomalie nella pavimentazione e che la pioggia battente aveva determinato una condizione di scivolosità e di sbandamento del veicolo che potevano riconoscersi quale fattore in tutto o in parte imprevedibile e comunque estraneo alla sfera volitiva e di controllo del prevenuto, così da avere contribuito sinergicamente alla determinazione dello sconfinamento e alle successive collisioni, in modo tale da giustificare il riconoscimento della speciale attenuante di cui all'art. 589-bis comma 7 cod. pen.; rilievo sinergico che avrebbe dovuto altresì essere riconosciuto al fatto che il conducente del veicolo antagonista, deceduto a causa della collisione, non indossava, come previsto dalla legge, le cinture di sicurezza, circostanza questa che pure inidonea a interrompere il rapporto di causalità rispetto al primo antecedente, ben avrebbe dovuto essere valutata in termini concorsuali ai sensi della disposizione in esame. 4.3 Con una terza articolazione lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione di una motivazione apparente, che non considerava gli elementi, pure indicativi di meritevolezza, allegati dalla difesa dell'imputato, che invece valorizzava in termini negativi il comportamento processuale, per avere l'imputato negato gli addebiti pure in presenza di un quadro probatorio affatto conducente, laddove anche il grado della colpa riconosciuto con fermezza dal giudice distrettuale, non poteva che essere misurato sulla base degli elementi di incertezza probatoria o, comunque, di inadeguata o illogica valutazione, segnalati nei primi due motivi di ricorso. RITENUTO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. In relazione ai dedotti profili di violazione di legge e vizio motivazionale in punto di non corretta esplorazione del rapporto di causalità materiale e della colpa ravvisata nei confronti del Ni.An., con particolare riferimento alla violazione degli obblighi relativi alla mano da tenere, all'adeguamento della velocità in ragione delle avverse condizioni ambientali e alle caratteristiche della sede stradale (tratto di scorrimento in discesa, in corrispondenza di curva pericolosa volgente a destra preceduta da specifica segnaletica) e ad una condizione di distrazione del conducente nelle fasi precedenti alla perdita di controllo del mezzo, determinato dall'uso di telefono in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 173 C.d.S., con particolare riferimento alla omessa considerazione di decisivi elementi di fatto, veicolati nelle note tecniche dei consulenti tecnici dell'imputato, va preliminarmente osservato, in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: sez.4, n.4842 del 2/12/2003, Elia, Rv. 22936; sez. 1, n.45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504). Non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più corretta valutazione delle risultanze processuali, come appare richiedere la difesa del Ni.An. riportando elementi fattuali che, nell'interesse del ricorrente, giustificherebbero una diversa ricostruzione delle fasi del sinistro stradale (disomogeneità della sede stradale che avrebbe favorito fenomeni di acquaplaning con conseguente ostacolo alla guida per l'imputato). È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato". La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica e la coerenza strutturale della decisione. Precisazione, quella appena svolta, necessaria, avendo il ricorrente denunciato anche il vizio di travisamento della prova per non essere stati considerati elementi fattuali (concernenti le condizioni di disomogeneità della pavimentazione della sede stradale) che avrebbero dovuto diversamente orientare la valutazione del giudicante in punto di causalità della colpa. 2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta i vizi dedotti nel primo e in parte, nel secondo motivo di ricorso, in quanto la ricostruzione della dinamica del sinistro è intervenuta sulla base di un coacervo di elementi oggettivi, dichiarativi e logici, che hanno condotto il giudicante a ravvisare profili di responsabilità per colpa in capo al Ni.An. sulla base di una valutazione non manifestamente illogica, coerente con le emergenze processuali e priva di contraddizioni. In particolare il giudice territoriale, del tutto coerentemente con gli argomenti utilizzati dal primo giudice, ha motivatamente escluso la rilevanza eziologica, sia pure in termini concausali, della presenza di anomalie stradali determinate dalla presenza di pozze di acqua stagnante, ovvero da fenomeni di acquaplaning, per non essere stati evidenziati negli atti di indagine, al contempo escludendone la rilevanza perturbativa anche in termini assoluti, a fronte di una spiegazione causale fondata sulla condotta di guida del conducente del veicolo, dotata di una propria ed assorbente rilevanza finalistica, in quanto del tutto inadeguata in presenza di tratto stradale particolarmente insidioso in corrispondenza di curva pericolosa in discesa, appositamente segnalata con pannelli fissi, e di fondo stradale reso insidioso dalla pioggia battente e pertanto pienamente idonea a determinare lo sconfinamento del veicolo e ad innescare la serie di collisioni che portarono a morte due persone e determinarono lesioni personali ad altre cinque. 2.1 Da tali elementi obiettivi, peraltro coerenti con le dichiarazioni rese dai testimoni e degli accertamenti tecnici, il giudice di primo grado e quello di appello inferivano la ricorrenza di nesso eziologico tra la condotta del ricorrente e l'evento escludendo, in termini altrettanto motivati, il decorso di serie causali alternative, peraltro prospettate dal ricorrente in termini specifici soltanto nel corso del giudizio di secondo grado (anomalie della pavimentazione stradale), declinando la corretta interpretazione giurisprudenziale degli obblighi che gravano sul conducente sui limiti di velocità ai sensi degli art. 141 e 142 C.d.S. ed escludendo la sussistenza di condotte ascrivibili alla persona offesa o a terzi di tale rilievo eziologico da interrompere la serie causale attivata dal primo tamponamento. 2.2 In termini assolutamente congruenti con le emergenze processuali la Corte di appello ha pertanto ritenuto irrilevante, ai fini dell'accertamento del rapporto di causalità, la presenza di fattori di disturbo quali il fenomeno di acquaplaning o eventuali disomogeneità della sede stradale che tali fenomeni avrebbero potuto esaltare, tenuto conto della assorbente rilevanza causale rappresentata dalla condotta di guida dell'imputato, inosservante di plurime regole cautelari anche specifiche. L'analisi relativa al rapporto di causalità materiale appare logicamente sviluppato atteso che la improvvida condotta di guida del Ni.An., con la specifica inosservanza di regole sancite dal codice della strada, costituì antecedente adeguato ed etiologicamente efficiente a determinare la tragica collisione, in quanto non consentì ai conducenti degli altri mezzi coinvolti di approntare idonee manovre diversive. 3. Giova sul punto evidenziare come in tema di causalità, a fronte di una giustificazione causale del tutto logica, la prospettazione di una spiegazione causale alternativa, idonea ad inficiare o a caducare la prima non può essere affidata solo ad una indicazione meramente possibilista ma deve connotarsi, alla stregua delle risultanze processuali, di elementi che la rendano "hic et nunc" concretamente probabile (sez.4, n. 15558 del 13/02/.2008 Maggini, Rv.239809) e il giudice distrettuale si è attenuto a tali indicazioni, esplorando i vari ambiti di eventuali causalità alternative e finendo per escluderne la operatività. 4. Infondata è l'ulteriore argomentazione, sollevata nella parte conclusiva del secondo motivo di ricorso, concernente una violazione di legge, ovvero una carenza motivazionale, per non essere stata offerta dalla Corte di appello adeguata giustificazione all'apporto sinergico, quantomeno in relazione al decesso del conducente del veicolo antagonista Y10, riconducibile al mancato utilizzo della cintura di sicurezza. Anche sotto questo profilo la doglianza non coglie nel segno, considerato che il giudice di primo grado aveva già fornita adeguata risposta a tale doglianza e che la stessa non era stata riproposta nei motivi di impugnazione in appello, ed è stata coltivata nel presente ricorso ai limitati riflessi della ricorrerne di una causa concorrente dell'evento estranea alla serie causale innescata dalla condotta dell'agente ai finì del conseguimento della circostanza attenuante di cui all'art. 589-bis comma 7 cod. pen. Invero, anche a tali fini, risulta invero del tutto indimostrato, come evidenziato dai giudici di merito, che a fronte di collisione così devastante e dalle conseguenze parimenti distruttive delle carrozzerie e delle componenti meccaniche dei mezzi coinvolti e, in assenza di proiezione dei corpi dei passeggeri dagli abitacoli dei mezzi, l'utilizzo delle cinture di sicurezza possa avere contribuito a provocare, ovvero ad aggravare, gli effetti mortali e lesivi per cui è imputazione, fermo restando la logicità dell'inferenza utilizzata dagli stessi giudici di merito per ricondurre a responsabilità dello stesso imputato la mancata osservanza da parte dei passeggeri del proprio veicolo di indossare i presidi di sicurezza (sez.4, n.42492. del 3/10/2012, Campailla, Rv.253737; n.25560 del 2/05/2017, Schiavone, Rv.269975). 5. Infondata è infine la doglianza, articolata nel terzo motivo di ricorso, relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Invero, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, come più volte ribadito da questa Corte, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale). 5.1 Il giudice di appello, interpretando e al contempo integrando la motivazione del giudice di primo grado, ha giustificato il mancato riconoscimento del beneficio in ragione dell'assenza di profili di meritevolezza e della obiettiva gravità del reato e delle sue conseguenze, del grado della colpa specifica in ragione delle molteplici inosservanze accertate alla disciplina della circolazione stradale da parte di soggetto che di detta normativa avrebbe dovuto essere rigoroso interprete, operando nel settore delle scuole guida. Ha anche avuto modo di rilevare che, a seguito delle intervenute modifiche normative, il beneficio in parola non costituisce più una sorta di automatico riconoscimento in ragione della incensuratezza del reo, ma una attribuzione dalla valenza premiale (sez. 1, n.46568 del 18/05/2017, Lamina, Rv.271315) che necessita di specifica motivazione sugli elementi posti a fondamento del beneficio. La motivazione del giudice di appello a sostegno della esclusione del beneficio risulta congrua e priva di difetti logici e si presenta pertanto insindacabile dinanzi al giudice di legittimità. 6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civile costituite che hanno controdedotto nel presente giudizio di legittimità, che si determinano sulla base dei criteri tariffari di cui al D.M. 10 Marzo 2014 n. 55. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida, quanto a Pe.Gi. e Da.Bi., in complessivi euro tremila novecento oltre accessori come per legge. Quanto a Da.Lu. in euro tremila, oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8694 del 2021, proposto da Re. Di Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ca. e La. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Ca. in Roma, via (...); contro Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 595/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: 1) del provvedimento prot. n. 20364 in data 16.7.2013, notificato il 29.7.2013, con il quale la Soprintendenza per i BAP di Salerno e Avellino ha adottato parere negativo relativamente all'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica per la realizzazione di opere in difetto di autorizzazione paesaggistica; 2) della determina n. 44 in data 29.7.2013, notificata il 30.7.2013, con la quale il Comune di (omissis) determinava di non concedere, per la realizzazione delle opere previste nel progetto anzidetto, il prescritto provvedimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42/2004, in conformità al parere espresso dalla Soprintendenza per i BAP di Salerno e Avellino; 3) nonché per l'annullamento di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellante l'avvocato La. Cl.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Re. Di Ma. è proprietario di un'unità immobiliare ad uso residenziale nel complesso condominiale "Le Es." nel Comune di (omissis) in via (omissis), censita nel catasto al foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis), int. (omissis) (nel PRG zona B1-residenziale). L'area ricade nella zona (omissis) del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ed è vincolata ai sensi del D.M. 8.11.1968 oltre ad essere assoggettata al vincolo di natura paesaggistica ai sensi degli artt. 134 e 142 del d.lgs. n. 42/2004. 2. Nel febbraio del 2012 il signor Di Ma. ha chiesto al Comune di (omissis) l'accertamento di conformità edilizia e il contestuale accertamento di compatibilità paesaggistica relativamente ad un intervento edilizio eseguito senza titolo, consistente nella chiusura con infisso di un porticato. 3. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino, investita del parere di competenza, con nota del 3 giugno 2013, ha comunicato all'interessato i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, con specifico riferimento all'impossibilità di riconoscere la compatibilità paesaggistica di opere comportanti la formazione di volumi e superfici utili, ai sensi dell'art. 167 comma 4 del d.lgs. n. 42/2004. 4. Il signor Di Ma. ha inviato controdeduzioni il 24.6.2013, ma la Soprintendenza ha confermato il parere negativo con provvedimento del 16.7.2013, prot. 20364. 5. Il Comune di (omissis) ha pertanto respinto la domanda del signor Di Ma. con provvedimento del 30.7.2013, prot. 5812. 6. L'odierno appellante ha quindi impugnato avanti il TAR per la Campania il parere negativo ed il provvedimento comunale di rigetto spiegando le seguenti censure: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004, incompetenza, violazione della circolare MIBAC ufficio legislativo n. 16721 del 13.9.2010, eccesso di potere per violazione dell'autovincolo e per contraddittorietà, violazione art. 10 bis legge n. 241/90, eccesso di potere per carente istruttoria, per travisamento di presupposto e per illogicità, difetto di motivazione, violazione art. 3, legge n. 241/90; b) eccesso di potere per carente istruttoria ed erroneità di presupposti, violazione dell'art. 6 legge n. 241/90, violazione del principio di adeguatezza dell'istruttoria; c) eccesso di potere per sviamento della causa tipica e dall'interesse pubblico; d) eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza, illogicità manifesta; e) violazione dell'art. 55 del regolamento edilizio del Comune di (omissis), violazione della Convenzione Europea sul paesaggio ratificata con la legge n. 14/2006, eccesso di potere per travisamento di presupposto, violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità . 7. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR adito ha respinto il ricorso, ritenendo che: - l'intervento consiste nella chiusura di un preesistente porticato mediante un infisso, con la conseguente realizzazione di un nuovo vano dell'immobile, e l'art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, in un'ottica di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude dalla compatibilità paesaggistica interventi già realizzati che abbiano comportato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; - la nozione di superficie utile va infatti intesa in senso ampio e finalistico, non limitata agli spazi chiusi od agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto del territorio; - la preclusione al conseguimento della sanatoria postuma opera per effetto della creazione di superficie utile, anche a prescindere dall'incremento di volumetria. 8. Il signor Di Ma. ha proposto appello (notificato al Comune ed al Ministero l'11.10.2021 e depositato il 13.10.2021) contro la decisione del TAR della Campania, sezione staccata di Salerno (sez. II), articolando due motivi di censura. 9. Con il primo motivo, rubricato "ERROR IN IUDICANDO IN RELAZIONE ALLE CENSURE DEDOTTE CON IL I^ MEZZO DI GRAVAME: VIOLAZIONE ART. 167 D.LGS. N. 42/2004 - VIOLAZIONE ART. 55 REGOLAMENTO EDILIZIO DEL Comune di (omissis) - VIOLAZIONE ART. 5, COMMA 2, LETT. A) DECRETO SVILUPPO N. 106/2011 MODIFICATO DALL'ART. 34 D.P.R. N. 380/2001 - VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI PROPORZIONALITÀ E DI RAGIONEVOLEZZA", l'appellante ha ribadito che il TAR avrebbe ritenuto erroneamente che nell'intervento oggetto del giudizio venisse creato un nuovo vano dell'immobile ed ulteriore superficie utile, ma l'installazione di un infisso a giorno (vetrata), su parapetto esistente di un porticato esistente, pienamente computato nell'assentito, sia in termini volumetrici che di superficie utile ai sensi dell'art. 55 del Regolamento Edilizio. Non avrebbe alterato la superficie, il volume e la sagoma dell'immobile. L'infisso avrebbe solo apposto una vetrata sul parapetto del preesistente porticato, già delimitato da volumi su tre lati, costituendo già volumetria effettiva. La diversa destinazione d'uso impressa al volume esistente non rileverebbe al fine di negare l'accertamento di compatibilità paesaggistica. L'infisso non comporterebbe percepibili modificazioni dell'aspetto esteriore dell'immobile, non risulterebbe visibile da qualsiasi punto di belvedere e non creerebbe alcuna turbativa all'ambiente circostante. Il parere della Soprintendenza sarebbe fondato su valutazioni negative, di tipo essenzialmente urbanistico, ma di competenza del Comune, mentre la Soprintendenza nulla avrebbe detto in ordine al contrasto dell'intervento con i valori tutelati dal decreto ministeriale di riferimento. Il Giudice di primo grado non avrebbe nemmeno considerato che l'istanza del signor Di Ma. aveva conseguito il parere favorevole sotto il profilo urbanistico. L'apposizione di un vetro con cornice lignea incassato nella sagoma dell'edificio, senza alcuna sporgenza, sarebbe privo di modifiche sostanziali all'impatto percettivo. L'intervento sarebbe manutentivo, di integrazione di un infisso, all'interno della sagoma e della volumetria preesistenti. La sentenza avrebbe omesso di valutare l'errore della Soprintendenza consistente nella disapplicazione dell'art. 34-ter del DPR n. 380/2001 (variazioni al titolo edilizio comprese nella misura del 2% per altezza, distacchi, cubatura e superficie): l'incremento di superficie di 7,11 m2 sarebbe l'1,4% della superficie preesistente ed un incremento di volume di 20,612 m3 pari dell'1,59% della volumetria preesistente. 10. Con il secondo motivo, rubricato "II - ERROR IN IUDICANDO IN RELAZIONE ALLE CENSURE DEDOTTE CON IL III^ MEZZO DI GRAVAME: VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA DOMANDA - CARENTE ISTRUTTORIA - VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA DIFESA - VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCESSO - VIOLAZIONE ARTT. 24, 111 E 113 COST.", l'appellante si è lamentato dell'omessa pronuncia sul contrasto del provvedimento della Soprintendenza con la Circolare del MIBAC n. 0016721 del 13.9.2010, che escluderebbe qualsiasi illecito nel caso in cui l'intervento non sia percepibile, in quanto la sua non percepibilità escluderebbe in radice la configurabilità dell'illecito. 11. Nonostante la rituale notifica, entrambe le Amministrazioni intimate non si sono costituite. 12. In vista dell'udienza pubblica l'appellante ha depositato una memoria conclusionale, insistendo sulle sue conclusioni e chiedendo l'annullamento dei provvedimenti gravati. 13. All'udienza pubblica del 18 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 14. I motivi dell'appello - che si possono esaminare congiuntamente - non meritano condivisione. 15. In base al comma 4 dell'articolo 167 del d.lgs. n. 42/2004 "l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati". 16. Il TAR ha correttamente ritenuto che l'intervento in questione integra un aumento volumetrico e, pertanto, non può essere oggetto di compatibilità paesaggistica postuma alla stregua della norma citata. Tale conclusione risulta conforme a quanto attestato dallo stesso appellante nella propria richiesta di sanatoria, ove si dà atto dell'aumento volumetrico e di superficie che si intende sanare. Vale inoltre la pena di precisare che non si tratta della mera chiusura del porticato, ma della creazione, tramite la chiusura del detto porticato, di un nuovo volume residenziale. Non coglie nel segno neppure il tentativo di ridimensionare l'abuso, dal momento che la chiusura del precedente porticato incide evidentemente anche sulla conformazione estetica del fabbricato, risultando per l'effetto percepibile dall'esterno (le fotografie versate nel giudizio lo provano sufficientemente). 17. L'infisso di cui si discute è poggiato su di un muretto rivestito in pietra, dell'altezza di 1 metro e si iscrive in una parete, anch'essa rivestita in pietra, precedentemente inesistente, pertanto risulta evidente che l'intervento non autorizzato ha creato un vero e proprio nuovo vano, con conseguente creazione di superfici e volumi ulteriori, che inibisce la valutazione di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004. 18. Da questo discende che la verifica in ordine all'aumento di superfici e/o volumi è preliminare rispetto alla valutazione di compatibilità paesaggistica, sicché qualora venga riscontrato tale aumento la Soprintendenza non è tenuta ad eseguire ulteriori accertamenti. Pertanto non può ritenersi ostativa all'adozione del censurato parere soprintendentizio vincolato la presunta non "percepibilità della modificazione apportata al contesto paesaggistico". 19. Il Collegio non concorda con l'appellante sul fatto che la chiusura del porticato ai sensi del regolamento edilizio comunale non comporti un maggior volume e superficie (in quanto già calcolato nel volume nella concessione edilizia) ed abbia pertanto un effetto sul parere paesaggistico. Preliminarmente giova ricordare che le norme urbanistiche e quelle paesaggistiche hanno finalità diverse, e anche quando utilizzano gli stessi parametri (ad esempio, volumi e superfici utili) associano agli stessi un significato diverso: un volume utile per la disciplina urbanistica è tale anche per la disciplina paesaggistica solo se ha un impatto evidente sul paesaggio tutelato. Per converso, un'opera di contenuto edilizio ridotto o minimo richiede comunque l'autorizzazione paesaggistica, quando intercetti un elemento paesaggistico di pregio. L'appellante non ha però fornito, al di là di un generico richiamo al regolamento edilizio, un elemento concreto o un calcolo preciso dove risulta che tale volumetria abitabile sia stata autorizzata dal Comune nel previo titolo edilizio. Contro questa tesi poi depone la stessa istanza al Comune: non si vede alcuna utilità di tale domanda se il Comune la avesse già espressamente inclusa nella concessione edilizia. Né convince la tesi che si tratta di un'opera di manutenzione, atteso che, come descritto supra, l'intervento per il quale si chiedeva la sanatoria non era prima presente. Risulta invece dal parere gravato (senza che questo accertamento sia stato confutato dall'appellante) che è stata eseguita: i) l'eliminazione del tamponamento interno del preesistente portico; ii) l'aumento del volume abitabile con cambio di destinazione da portico a civile abitazione, oltre ad una diversa distribuzione interna senza modifica dei prospetti. Questi elementi comprovano l'evidente trasformazione di una pertinenza in effettivo volume residenziale abitabile. 20. I parametri delle tollerabilità costruttive (2%) previste dall'art. 34, comma 2-ter del DPR n. 380/2001 non possono essere invocati nel caso di specie, in quanto con essi il legislatore ha voluto evitare la sanzione di errori costruttivi, ma che dovrebbero essere distribuiti uniformemente sull'intero immobile, e non come in questo caso, applicati alla realizzazione di un nuovo vano abitabile. Ma anche se così fosse, tale norma non è comunque riferibile alla materia paesaggistica. 21. Ne consegue la legittimità del parere della Soprintendenza che ha escluso l'ammissibilità dell'istanza di compatibilità paesaggistica per le opere, in quanto comportanti non consentiti incrementi plano-volumetrici rispetto alle consistenze legittimamente asserite, non potendo assumere rilievo l'assunto di controparte secondo il quale la Soprintendenza avrebbe esorbitato dai suoi poteri, adducendo elementi ostativi alla condonabilità rilevanti soltanto sotto il profilo urbanistico-edilizio. 22. La circolare del MIBAC 2010, che escluderebbe qualsiasi illecito nel caso in cui l'intervento non sia percepibile, è irrilevante nel caso di specie, in quanto l'atto impugnato si giustifica - legittimamente per le ragioni già esposte - sull'impossibilità alla stregua del citato art. 167 di sanare interventi che abbiano comportato un aumento volumetrico. Infatti, l'art. 146, comma 4, l'art. 159, comma 5, e l'art. 167, comma 4 e 5, del citato d.lgs. n. 42/2004 non consentono la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza o in difformità dall'autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori nei quali non possono essere inclusi gli aumenti volumetrici (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2014, n. 1472; id., 30 maggio 2014, n. 2806). Ne deriva come risulti del tutto irrilevante qualunque altro argomento, tanto più che la giurisprudenza, in questa materia ha chiarito che la Pubblica Amministrazione non è tenuta a confutare in maniera analitica ogni singolo punto, ma si può limitare ad una replica che faccia intendere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del privato (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355). L'appellante non può neanche essere seguito laddove denuncia l'incompetenza della Soprintendenza a rilevare l'aumento di superficie e cubatura, in quanto: a) le competenze di entrambi le amministrazioni coinvolte sono parallele e non escludenti; b) l'esame della Soprintendenza è circoscritta solo al rilevamento di eventuale maggior superficie e volume creata, ma rimangono ferme le competenze del Comune sulla valutazione urbanistico-edilizie. Il Collegio rileva che è proprio l'appellante a confermare la creazione di nuovo volume e superficie, laddove cerca di invocare - come si è visto senza successo - l'applicazione dell'art. 34 comma 2-ter del DPR n. 380/2001 sulla variazione volumetrica. 23. Per le ragioni esposte, l'appello va respinto. 24. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che si liquideranno nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla refusione delle spese di lite del presente grado di giudizio a favore dell'amministrazione appellata, che si liquidano in 4.000 Euro (quattromila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2345 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Pa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo (...); contro Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato El. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'Avvocato An. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; sul ricorso numero di registro generale 2346 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Pa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo (...); contro Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato El. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti -OMISSIS- e -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 2348 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Pa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, largo (...); contro Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Roma, via (...); Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato El. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'Avvocato An. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma quanto al ricorso n. 2345 del 2020: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -OMISSIS-del 5 agosto 2019, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 2346 del 2020: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -OMISSIS-del 5 agosto 2019, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 2348 del 2020: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione seconda bis n. -OMISSIS-del 5 agosto 2019, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Lazio, di -OMISSIS- e -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il Signor -OMISSIS-, proprietario in Lubriano di un lotto edificabile ricadente in Zona C/2 del P.R.G. sottoposto al "vincolo paesistico di cui al D. Lgs. 490/99 (ex legge 1497/39)", nonché, al "vincolo di cui agli artt. 52 e 61 del T.U. 380/2001", in data 13 ottobre 2001 conseguiva dall'amministrazione comunale la concessione edilizia n. 10/2001 per la "costruzione di un fabbricato di civile abitazione da edificare in lottizzazione (omissis) sul lotto (omissis)". Il progetto presentato, come da Relazione tecnica allegata al titolo, prevedeva la realizzazione di un "fabbricato a due piani fuori terra adibito ad abitazione familiare". Con verbale del 20 settembre 2003 la Polizia Municipale, sollecitata da una segnalazione dei proprietari confinanti, accertava la realizzazione, in difformità del titolo edilizio conseguito, di un piano sottostrada (che il proprietario indica come una palificazione in cemento armato resasi necessaria per conferire stabilità al fabbricato ovviando alle irregolarità del piano di campagna). L'amministrazione disponeva, quindi, la sospensione dei lavori con ordinanza n. 6/2003 cui seguiva, in data 21 ottobre 2003, l'istanza del proprietario di concessione della variante in sanatoria ex art. 13 della L. n. 47/1985 riferita (come da allegata relazione tecnica): - alla realizzazione del piano seminterrato; - alle "maggiori dimensioni del piano terra superiori al 2% rispetto alla concessione edilizia n° 10/2001"; - alla "mancanza della denuncia di cui agli art. 64 e seguenti del TU n° 380/2001". Il progetto contemplava la riduzione delle volumetrie fuori terra con conseguente recupero di quelle realizzate in eccesso "diminuendo il piano primo della costruzione" e "togliendo le scale interne e prevedendo una sola scala peraltro esterna e non chiusa" con realizzazione di n. 4 alloggi in luogo dei due originariamente previsti. Con ordinanza n. 7 del 3 novembre 2003, che richiamava il verbale della Polizia Municipale di contestazione della realizzazione del piano sottostrada, veniva ingiunta la demolizione dell'abuso. Con atto del 3 luglio 2004, in esito alla citata istanza del 21 ottobre 2003, il Comune comunicava al proprietario il parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale; disponeva un'integrazione documentale ed imponeva quale unica prescrizione che "l'intercapedine, sul lato rampa di accesso ai garage" dovesse avere "quota all'estradosso complanare con la rampa stessa". Contestualmente veniva richiesta la produzione dei nulla osta regionali ex D. Lgs. n. 490/99, L.R. n. 59/1995 e L. n. 64/1974, nonché, l'assenso della USL. Il Signor -OMISSIS-richiedeva, quindi, alla Regione Lazio il rilascio del nulla osta ex art. 2 della L. n. 64/1974 ("Abitati da consolidare") con istanza del 29 ottobre 2004 in esito alla quale, con nota dell'11 novembre successivo, veniva dall'amministrazione richiesta la produzione della determinazione di "ammissibilità a Sanatoria Edilizia" da acquisire "dalla competente Area Tecnica". In data 18 gennaio 2005 il Signor -OMISSIS-chiedeva alla Regione Lazio, alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Artistico e Demoetnoantropologico del Lazio (che si dichiarava incompetente trasmettendo l'istanza alla Regione con nota del 26 aprile 2005) e al Comune (che si dichiarava a sua volta incompetente trasmettendo l'istanza alla Regione con nota del 6 maggio 2005) l'accertamento di compatibilità ambientale ai sensi dell'art. 1, comma 39 della L. n. 308/2004 dichiarando che "i lavori abusivi sono stati compiuti in data anteriore al 30/09/2004". Con atto dell'8 marzo 2005 la Regione comunicava al Comune, alla Soprintendenza e ai proprietari confinanti che la domanda di condono ex L. n. 326/2003 e di accertamento di compatibilità ai sensi della L. n. 308/2004 presentate dal Signor -OMISSIS-, non potevano trovare accoglimento in quanto relative ad un intervento da eseguirsi in ambito sottoposto a vincolo preesistente alla realizzazione e perché eseguite oltre il termine perentorio del 30 settembre 2004 di cui alla L. n. 308/2004. Contestualmente l'Ente regionale richiedeva al Comune chiarimenti in merito alla mancata esecuzione dell'ordinanza di demolizione n. 7/2003. Con atto del 18 maggio 2005, il Comune comunicava al Signor -OMISSIS-il preavviso di diniego relativo all'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (riferito alla già richiamata istanza del 21 ottobre 2003) e con provvedimento del 18 giugno 2005 successivo la respingeva sul rilievo: - che l'autorizzazione paesaggistica non potesse essere rilasciata successivamente alla realizzazione anche solo parziale degli interventi; - che l'istanza di compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'art. 1, comma 39 della legge n. 308 del 2004 non fosse attinente al profilo autorizzatorio amministrativo, ma soltanto a quello penale e riguardasse unicamente opere già completate; - che era mancante il nulla osta relativo al vincolo di cui all'art. 2 della L. n. 64/1974. Con atto del 1° luglio 2005, richiamata l'ordinanza n. 7 del 3 novembre 2003 e il rigetto da ultimo citato, l'amministrazione avviava il procedimento teso alla demolizione dell'abuso. I menzionati atti e provvedimenti (avvio del procedimento demolitorio e diniego di accertamento di conformità ) venivano impugnati innanzi al Tar Lazio con ricorso iscritto al n. 8148/2005 R.R. cui seguiva, con motivi aggiunti proposti nell'ambito del medesimo giudizio, l'impugnazione dell'acquisizione gratuita del fondo interessato all'abuso comunicata con atto del 1° ottobre 2005. Ricorso e motivi aggiunti venivano accolti con sentenza n. 25707 del 14 luglio 2010 valorizzando le incertezze interpretative sorte a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 42/2004 in merito al rapporto tra nulla osta paesistico e titolo edilizio che imponevano, a parere del Tar, la necessità di sospendere il procedimento in attesa della pronuncia dell'autorità competente in materia paesistico-ambientale. Per completezza di esposizione si evidenzia che la sentenza da ultimo richiamata veniva impugnata dal Comune dinanzi al Consiglio di Stato che, con decisione n. 6652 del 21 dicembre 2012 (Sez. IV), "in riforma della sentenza appellata, che annulla(va) senza rinvio, dichiara(va) improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso originario" per essersi l'amministrazione rideterminata nelle more. Nel frattempo perveniva a definizione il procedimento penale a carico del Signor -OMISSIS-, iscritto per i medesimi abusi, con condanna dello stesso confermata all'esito dei tre gradi di giudizio dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2629 del 18 dicembre 2008 accertando, fra gli altri profili, che la costruzione non era stata completata alla data del 30 settembre 2004. Il Signor -OMISSIS-in data 29 luglio 2009 presentava una nuova richiesta di permesso di costruire avente ad oggetto la riduzione in pristino dei luoghi in conformità al giudicato penale e la sanatoria urbanistica dell'interrato senza modifica dell'aspetto esteriore dei luoghi. Con nota del 15 giugno 2011 la Regione, in esito alla richiesta avanzata dal Comune tesa ad acquisire il parere circa la compatibilità paesaggistica dell'intervento, forniva una risposta interlocutoria comunicando di essere in attesa della definizione di un protocollo d'intesa con il Ministero circa l'attuazione dei procedimenti ex art. 1, comma 39, della L. n. 308/2004. Con atto di "accertamento istruttorio" del 16 novembre 2011, emanato a seguito della ricezione di un ulteriore esposto che documentava il permanere delle difformità rispetto al progetto assentito (e quindi la non conformità del ripristino eseguito a quanto ordinato in sede penale), la Regione richiamava il rigetto dell'autorizzazione paesaggistica determinato dalle Direzioni delle Aree Autorizzazioni Paesaggistiche e Legislativo, Contenzioso e Vigilanza disponendo che il Comune concludesse il procedimento ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 avviato dal Signor -OMISSIS-"con l'emissione di un provvedimento di rigetto", adottando "una nuova Ordinanza di demolizione e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi in sostituzione della precedente recante il n. 7/2003, annullata dal Tar..." (tale nota interveniva prima dell'annullamento della sentenza da parte del Consiglio di Stato nel 2012). A seguito della richiamata sentenza del Tar (n. 25707/2010, cit.) e nelle more della definizione del giudizio di appello, il Comune, con provvedimento del 30 maggio 2012, riassunta sinteticamente la vicenda amministrativa e penale, respingeva nuovamente l'istanza di accertamento di conformità presentata dal Signor -OMISSIS-il 21 ottobre 2003 richiamando la citata nota regionale dell'8 marzo 2005 con la quale si rappresentava che la domanda di condono ex L. n. 326/2003 e di accertamento di compatibilità ai sensi della L. n. 308/2004 presentate dal proprietario non potevano trovare accoglimento. Si anticipa che avverso le richiamate note regionali veniva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato il 22 maggio 2012. Veniva ulteriormente riavviato il procedimento sanzionatorio che si concludeva con l'adozione dell'ordinanza n. 35 del 20 agosto 2012 recante "Nuova ordinanza di rimessa in pristino delle opere eseguite in totale difformità da concessione edilizia in Via -OMISSIS-" con la quale, richiamato il verbale della Polizia Municipale del 20 settembre 2003 nella parte in cui "è stato accertato un abuso edilizio per aver realizzato il piano sottostrada non previsto negli elaborati progettuali", e preso atto che l'ordinanza di demolizione n. 7/2003 veniva annullata con sentenza del Tar n. 25707/2010, il Comune disponeva nuovamente il ripristino del piano interrato. PRIMO RICORSO AL TAR (cui seguiva l'appello n. 2345/2020) Con ricorso iscritto al n. 6495/2012 R.R., il Signor -OMISSIS-, impugnava dinanzi al Tar Lazio il diniego opposto dal Comune di (omissis) all'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 riferita ad interventi edilizi eseguiti in difformità dal permesso di costruire n. 10 del 13 ottobre 2001, unitamente alle note della Regione nell'atto richiamate (n. 23262 dell'8 maggio 2005 e n. 8756 del 15 giugno 2011 già gravate con ricorso straordinario) con le quali l'Ente esprimeva parere negativo sul rilievo che "il fabbricato posto in via -OMISSIS- n. 4 non... (era) stato ancora completato e i lavori non (erano) stati ultimati entro il 30.09.2004, termine che la legge n. 308 intende come perentorio per poter ottenere il parere di compatibilità paesaggistica ivi previsto". Con un primo ricorso per motivi aggiunti impugnava l'ordinanza n. 35 del 20 agosto 2012 con la quale il Comune ingiungeva la demolizione delle opere abusivamente realizzate. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti impugnava la nota regionale del 19 giugno 2012 con la quale, richiamando le precedenti note del 16 novembre 2011 e dell'8 marzo 2005, veniva ribadita l'insanabilità delle opere abusive. Con ordinanza n. 5250/2014, il Tar, preso atto che avverso gli atti regionali dell'8 marzo 2005 e 15 giugno 2011, come anticipato, pendeva ricorso straordinario, sospendeva il giudizio. Con d.P.R. del 14 marzo 2018, sopravveniva la decisione del richiamato ricorso straordinario che veniva dichiarato improcedibile "in ossequio al canone del "ne bis in idem" (perché il ricorrente aveva già proposto innanzi al TAR - nell'ambito di un precedente giudizio, RG 8148/2005- con i secondi motivi aggiunti, l'impugnazione del provvedimento... dell'Area Legislativo, Contenzioso e Vigilanza della Regione Lazio dell'8.03.2005 prot. n. 23262 con il quale... si era esclusa la possibilità di sanatoria per mancato completamento delle opere nel termine del 30 settembre 2004)" e in quanto anche il parere del 2011 era stato "adottato sul presupposto sostanziale di quello del 2005". In detta sede, "per ragioni di giustizia" il Consiglio di Stato si pronunciava, altresì, nel merito ritenendo il ricorso "infondato" rilevando come "l'Area Vigilanza Urbanistica e Lotta all'Abusivismo legittimamente" avesse "sottolineato che avendo il ricorrente solo apposto i blocchi tra i plinti di sostegno, non aveva affatto completato le opere entro il termine del 30 settembre 2004, tassativamente richiesto dal decreto-legge 30 settembre 2003 convertito in legge 24 novembre 200 n. 326" evidenziando come il mancato completamento dell'intervento escludesse la "necessità procedimentale di far luogo alla valutazione tecnico-discrezionale dell'incidenza dell'abuso sui valori ambientali e paesaggistici". Con sentenza n. -OMISSIS-del 5 agosto 2019 il Tar respingeva il ricorso introduttivo evidenziando come "alla luce del suddetto esito del ricorso straordinario, l'impugnativa del diniego di accertamento di conformità, a prescindere dall'esame delle eccezioni di inammissibilità, deve essere rigettata, stante l'ostatività all'accoglimento della richiesta sig. -OMISSIS-dei provvedimenti regionali presupposti, validi ed efficaci" riconoscendo nel contempo la perdurante validità ed efficacia delle impugnate note regionali (già oggetto del ricorso straordinario) che ostavano all'accoglimento dell'istanza ex art. 36. Quanto ai motivi aggiunti: - respingeva i primi stante la doverosità della misura demolitoria non inibita dalla presentazione dell'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001; - dichiarava inammissibili i secondi poiché le note regionali impugnate erano meramente ripetitive dei contenuti dei precedenti pareri, la cui legittimità non veniva scalfita dall'esito del ricorso straordinario. La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 10 marzo 2020 e iscritto al n. 2345/2020 deducendo con un unico capo d'impugnazione "Erroneità della sentenza appellata n. 10315/2019 per errata od omessa applicazione dell'art. 35 c.p.a., anche in relazione all'art. 34 c.p.a., con difetto di istruttoria, nell'esame e nella valutazione dei documenti di causa, con violazione dell'art. 64 c.p.a., e delle pronunce giurisdizionali già rese nella medesima questione". La Regione si costituiva formalmente in giudizio il 12 ottobre 2020. I confinanti, intervenienti ad opponendum in primo grado, si costituivano con memoria depositata il 4 dicembre 2022 eccependo l'inammissibilità del gravame in quanto afferente profili già definiti in sede di impugnazione straordinaria determinando il carattere vincolato del successivo intervento comunale. SECONDO RICORSO AL TAR (cui seguiva l'appello n. 2348/2020) Il 15 giugno 2015 l'appellante presentava una C.I.L. per l'esecuzione di lavori di rispristino che, a seguito di un nuovo esposto dei confinanti, veniva inibita con determinazione comunale del 26 giugno successivo. Con atto del 14 settembre 2015 la Soprintendenza, in esito alla richiesta della Regione del 25 maggio precedente, sul rilievo che "il piano interrato è stato interamente chiuso e reso inaccessibile", rilasciava "parere positivo nel merito della compatibilità paesaggistica delle opere sopra citate così per come sono rappresentate negli elaborati progettuali allegati limitatamente a quanto già realizzato". In detta sede veniva precisato che il Comune non avrebbe potuto rilasciare alcun atto autorizzativo sino a definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica di competenza regionale. Il parere veniva sospeso con atto del 5 ottobre 2015 a seguito della ricezione di un ulteriore esposto dei confinanti che segnalavano la perdurante accessibilità al piano interrato e che il piano terra presentava un incremento di superfici e volumi rispetto a quanto assentito. Gli esiti del sopralluogo effettuato dalla Regione il 7 ottobre 2015 dall'esterno (il cantiere si presentava chiuso e non accessibile) consentivano di rilevare che "l'opera di rimozione dell'abuso si presenta in forma posticcia e non risolutiva" e che "il dispositivo di sentenza che impone il ripristino dello stato deli luoghi non risulta convenientemente rispettato in quanto il piano sottostrada si presenta soltanto oggetto di un accumulo artificiale di terreno sulle fronti del medesimo" non interessante i locali realizzati a detto livello che venivano solo tamponati con mattoni posti a nido d'ape. A parere della Regione "lo stato dei luoghi non risulta(va) ripristinato per modifica delle quote di campagna del lotto e della elusione dell'abolizione del piano sottostrada abusivo avvenuta mediante sostanziale parziale occultamento della porzione di edificio abusiva con accumulo di terreno artificiale". Le suesposte risultanze venivano compendiate nella nota del 13 ottobre 2015 indirizzata alla Soprintendenza, al Comune e al Signor -OMISSIS-. Con nota di pari data il Comune riassumeva, a beneficio della Soprintendenza e della Regione, lo stato della pratica precisando che "lo stato dei luoghi risultante a questo Ufficio è quello precedentemente comunicato e rappresentato nella corrispondenza intercorsa". Il parere espresso il 14 settembre 2015 veniva pertanto definitamente annullato dalla Soprintendenza con atto del 15 dicembre 2015. Nel successivo sviluppo del parallelo procedimento di compatibilità paesaggistica, con atto del 23 dicembre 2015 la Regione comunicava l'avvio del procedimento di annullamento del parere di ammissibilità del 25 giugno 2015 emesso su richiesta del -OMISSIS-del 12 agosto 2014 ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5 del d. Lgs. n. 42/2004. Per completezza di esposizione si evidenzia che la citata sospensione del parere del 14 settembre 2015, disposta con atto del 5 ottobre, veniva impugnata dinanzi al Tar con ricorso iscritto al n. 15930/2015 R.R., dichiarato improcedibile con sentenza n. 7513 del 30 giugno 2016 (non appellata) in ragione dell'intervenuto definitivo annullamento del parere sospeso. Con ricorso n. 2654/2016 R.R. l'appellante impugnava dinanzi al Tar: - la nota della Soprintendenza del 15 dicembre 2015 di annullamento del parere favorevole del 14 settembre 2015 precedentemente espresso; - la nota della Regione Lazio del 13 ottobre 2015 di accertamento dello stato dei luoghi relativo al suddetto immobile; - la nota della Regione Lazio del 23 dicembre 2015 di comunicazione dell'avvio del procedimento per l'annullamento del parere di ammissibilità di cui alla nota n. del 25 giugno 2015 relativa all'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica; - la nota del Comune di (omissis) del 13 ottobre 2015 di comunicazione degli atti depositati e di conferma dello stato dei luoghi in precedenza rappresentato richiamata dalla Regione nella nota del 23 dicembre 2015. Il ricorrente deduceva, in particolare, l'incompetenza della Regione a verificare la correttezza delle modalità di esecuzione dell'ordine di ripristino emesso in sede penale e, di conseguenza, l'illegittimità del provvedimento della Soprintendenza che lo richiamava. L'annullamento del precedente parere favorevole sarebbe inoltre avvenuto, a parere del proprietario, in violazione della disciplina in tema di autotutela per omessa comunicazione dell'avvio del procedimento, difetto del requisito dell'illegittimità dell'atto e omessa motivazione in ordine all'affidamento maturato del privato alla conservazione dell'atto. Il Tar con sentenza n. 13319 del 5 agosto 2019 in parte respingeva e in parte dichiarava inammissibile il ricorso ritenendo: - la competenza delle amministrazioni intimate ad esprimersi; - l'insussistenza delle pretese illegittimità del procedimento di autotutela posto che il precedente parere, oggetto di ritiro, veniva espresso a seguito di una errata rappresentazione dei fatti da parte del proprietario che affermava di aver proceduto al ripristino. L'impugnazione degli ulteriori atti veniva dichiarata inammissibile in ragione della loro natura endoprocedimentale. La sentenza veniva impugnata con appello depositato il 10 marzo 2020 e iscritto al n. 2348/2020 R.R. deducendo: I. "Erroneità della sentenza appellata in relazione alla violazione dell'art. 655 e ss. del c.p.p., anche in relazione all'art. 21 septies della L.n. 241/90, come dedotta con il I motivo del ricorso di primo grado. Erroneità della sentenza appellata per travisamento di elementi probatori, con violazione dell'art. 64 c.p.a. recante i principi sulla disponibilità, onere e valutazione delle prove nel giudizio amministrativo, in relazione alla censura articolata con il II motivo del ricorso di primo grado in ordine all'eccesso di potere per travisamento in fatto ed in diritto e per difetto di istruttoria"; II. "Erroneità della sentenza con riguardo alla violazione dei principi di autotutela decisoria - come trasfusi nell'art. 21 nonies L.n. 241/90, anche in relazione all'art. 167 D. Lgvo n. 42/2004 ed agli artt. 3, 7 e 10 L.n. 241/90 - dedotta con il III motivo del ricorso di primo grado" Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione si costituivano formalmente in giudizio, rispettivamente, l'8 maggio e il 12 ottobre 2020. I controinteressati si costituivano in giudizio il 4 febbraio 2022 confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione dell'appello. TERZO RICORSO AL TAR (cui seguiva l'appello n. 2346/2020) In data 7 marzo 2016 la Regione comunicava il preavviso di rigetto dell'istanza di compatibilità paesaggistica (come anticipato, impugnato con ricorso iscritto al n. 6086/2016 R.R. dichiarato inammissibile con sentenza n. 10316 del 5 agosto 2019, non impugnata). In data 4 aprile 2016 la Regione effettuava un nuovo accertamento ispettivo con accesso ai luoghi confermando l'esecuzione dei lavori di ripristino. Tale accertamento, tuttavia, (si precisa in quanto l'atto è ripetutamente richiamato dall'appellante a sostegno delle proprie tesi) non fugava ogni dubbio circa la conformità di quanto realizzato in sede di ripristino atteso che la rilevata conformazione del lotto, compreso fra due strade poste a quote diverse (con dislivello di circa 4 metri) e la ammessa (nello stesso atto) "alterata morfologia del terreno ante realizzazione dei fabbricati" non consentivano di ricostruire l'originario declivio del terreno e, quindi, la piena conformità del manufatto al titolo edilizio del 2001. In ogni caso, deve precisarsi sin d'ora, che l'affermazione contenuta nell'atto per la quale il ripristino veniva effettuato "tramite il ristabilimento delle precedenti originarie quote di campagna del lotto ante costruzione" trova smentita negli esiti della Verificazione disposta in questa sede (di seguito illustrati). Il 20 aprile 2016 la Regione richiedeva notizie circa lo stato del ripristino al Comune che, con atto del 26 maggio successivo, comunicava che non era stato eseguito precisando, tuttavia, con riferimento al terreno esterno al fabbricato, che non era possibile ricostruire lo stato di fatto preesistente e l'eventuale difformità da quanto rappresentato in progetto. Con determinazione del 7 settembre 2016 (trasmessa con nota del 12 settembre successivo) la Regione: - negava l'accertamento di compatibilità paesaggistica relativo alla "realizzazione di un piano interrato sottostrada e di un piano terra rialzato allo stato grezzo (pilastri e parte della tamponatura) con marginale debordamento rispetto alla sagoma assentita"; - annullava il "parere di ammissibilità dell'accertamento di compatibilità paesaggistica di cui alla nota prot. N. 464880 del 25/06/2015" relativo al medesimo intervento; - disponeva che il Comune procedesse alla repressione dell'abuso ai sensi della L.R. n. 15/2008. Le sfavorevoli determinazioni da ultimo richiamate trovavano fondamento nel più volte citato provvedimento del 15 dicembre 2015 della Soprintendenza che annullava il precedente parere del 14 settembre. Con nota del giorno successivo, il Comune affermava che l'andamento plano-altimetrico originario, come risultante dagli elaborati al piano di lottizzazione approvati, non era congruente con quello rappresentato negli elaborati progettuali di cui alla concessione n. 10/2001. Il Signor -OMISSIS-impugnava la determinazione da ultimo citata, unitamente alla nota di trasmissione della stessa, al richiamato parere della Soprintendenza del 15 dicembre 2015, e ad una pluralità di note interlocutorie e lettere di trasmissione comunali (27 giugno 2015, 13 ottobre 2015 e 26 maggio 2016) con ricorso iscritto al n. 13558/2016 R.R., definito con dal Tar con sentenza n. -OMISSIS-del 5 agosto 2019 che respingeva l'impugnazione del diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica (nota Soprintendenza del 15 dicembre 2015 e nota della Regione del 24 ottobre 2015) e dichiarava inammissibile l'impugnazione degli ulteriori atti gravati. In particolare, il Tar (che richiamava i già descritti esiti della CTU disposta in sede penale) rilevava: - che "nel ricorso contro l'esito negativo del procedimento di compatibilità paesaggistica il sig. -OMISSIS-ha, inoltre, riproposto le censure già formulate contro precedenti atti quali l'annullamento da parte della Soprintendenza, in data 15.12.2015, del parere favorevole alla compatibilità paesaggistica e la nota della Regione Lazio del 20.04.2016 di richiesta al Comune di (omissis) di pronunciarsi sull'avvenuta esecuzione da parte del ricorrente dell'ordine di demolizione e di rimessione in pristino impartito con ordinanza del 20.08.2012. Tali censure, riguardando direttamente atti che - come espressamente riconosciuto anche dal ricorrente - sono stati autonomamente impugnati in altri precedenti giudizi n. RG 2654/2016 e n. RG 6086/2016 già decisi con sentenza da questo Tribunale, sono inammissibili"; - che "devono essere, invece, rigettate le suesposte doglianze svolte dal ricorrente contro la determinazione della Regione Lazio del 7.09.2016 di diniego di compatibilità paesaggistica": - che "nessun adeguamento è stato previsto per tali difformità che, peraltro, non appaiono essere state neppure prese in considerazione nel progetto inoltrato ai fini della richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica": - che "anche la nota dell'Area Vigilanza Urbanistico-edilizia e Contrasto all'abusivismo del 4.04.2016, addotta dal ricorrente come piena dimostrazione del completo ripristino dello stato dei luoghi risulta, in verità, avere riguardo solo ad uno dei profili (anche se al più evidente) di abusività dell'edificio, quello relativo al piano interrato - realizzato in aperta violazione della C.E. 10/2001 - e non agli altri aspetti di aumento della superficie dell'immobile (concernenti il piano terra ed autonomamente ostativi al rilascio della compatibilità paesaggistica) la cui eliminazione non appare in alcun modo, allo stato, provata"; - che "quanto, infine, all'impugnazione degli ulteriori atti citati nell'epigrafe del ricorso -le note della Direzione Regionale Territorio Urbanistica Mobilità e Rifiuti - Area Autorizzazioni Paesaggistiche e Valutazione Ambientale Strategica del 12.09.2016 (di comunicazione del provvedimento del 7.09.2016), del Comune di (omissis) del 27.06.2015 (di trasmissione dell'ordinanza di sospensione lavori), del 13.10.2015 (di semplice riscontro alla nota MBAC - Soprintendenza del 5.10.2015) e del 26.05.2016 (di comunicazione dell'impossibilità di esprimere un giudizio sull'avvenuto completo ripristino dello stato dei luoghi per mancanza di documentazione sulla situazione preesistente del terreno)- in realtà riconducibili a semplici comunicazioni di altri atti e di aggiornamenti tra Amministrazioni nel corso del procedimento complesso - essa deve essere dichiarata inammissibile per la mancanza in capo ai suddetti atti della natura provvedimentale e di qualsiasi valenza immediatamente lesiva per gli interessi del ricorrente". La sentenza veniva impugnata con appello n. 2346/2020 R.R. depositato il 10 marzo 2020 deducendo: I. "Erroneità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c." per avere il giudice di prime cure affermato la legittimità del diniego di compatibilità paesaggistica impugnato sulla base di elementi dedotti dalle risultanze del parallelo procedimento penale non oggetto di contestazione da parte dell'amministrazione; II. "Erroneità della sentenza per travisamento di circostanze di fatto e di elementi processuali. Violazione dell'art. 64 c.p.a. recante i principi sulla disponibilità, onere e valutazione delle prove nel giudizio amministrativo" in ragione del mancato rilievo dell'intervenuta eliminazione della difformità specificata nella modifica delle quote di campagna; III. "Erroneità della sentenza in relazione alla affermata irrilevanza delle doglianze diverse da quelle sollevate con i motivi I e II del ricorso di primo grado" deducendo, quale effetto del preteso fondamento dei precedenti capi d'impugnazione, l'erroneità della decisione ove afferma il carattere vincolato del diniego di compatibilità paesaggistica gravato sul rilievo del permanere del contrasto delle opere realizzate con la disciplina urbanistica. La Regione si costituiva formalmente il 12 ottobre 2020. I confinanti, odierni controinteressati, si costituivano nel giudizio con memoria del 4 febbraio 2022, confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso. La Regione sviluppava le proprie difese con memoria unica per tutti e tre gli appelli depositata il 21 maggio 2023 mentre l'appellante, anch'esso con memoria unica, ribadiva le proprie cesure con memoria del 25 maggio successivo. All'esito della pubblica udienza del 27 giugno 2023, con ordinanza n. 6728/2023 veniva disposta un'integrazione istruttoria mediante verificazione (i cui questi verranno di seguito illustrati) Il Verificatore incaricato depositava la relazione istruttoria in data 6 novembre 2023. Il Ministero depositava sintetica memoria il 21 novembre 2023 nel giudizio n. 2348/2020. La Regione depositava memoria unica per i tre appelli il 21 marzo 2024. I controinteressati depositavano memoria nei giudizi nn. 2345/2020 e 2348/2020 il 22 marzo 2024 replicando alle avverse difese il 2 aprile successivo. Il 22 marzo 2024 depositava memoria unica anche l'appellante replicando alle avverse difese con memoria depositata il 2 aprile 2024 limitatamente ai giudizi n. 2348/2020 e 2345/2020. All'esito della pubblica udienza del 23 aprile 2024, la causa veniva decisa. La vicenda oggetto del presente giudizio origina dall'avviata realizzazione, da parte dell'appellante, di un fabbricato destinato ad uso abitativo su un lotto di proprietà facente parte di un più vasto comprensorio, oggetto di un piano di lottizzazione: intervento che si inserisce in un contesto già edificato da altri proprietari di lotto, fra i quali gli odierni controinteressati. In particolare, la proprietà dell'appellante presenta l'ingresso sulla via -OMISSIS- (lato sud) e il lato posteriore (lato nord) affaccia su una stradina sterrata che si trova ad una quota inferiore di circa 4 metri. Le proprietà degli odierni controinteressati si trovano ai lati est e ovest e, precedentemente all'intervento del Signor -OMISSIS-, erano separate da un piano di campagna non edificato caratterizzato da un pronunciato declivio. Deve sin d'ora evidenziarsi che il progetto approvato con l'originaria concessione del 2001 prevedeva (e non poteva essere altrimenti) che il manufatto edificando presentasse un piano di calpestio del piano terra orizzontale. Evidenti ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, escludono, infatti, che l'irregolare andamento del terreno dovesse imporre l'edificazione dell'edificio perpendicolarmente ad un piano di calpestio inclinato. Preso atto che il piano di calpestio del piano terra assentito doveva essere posto alla medesima quota del piano strada della via -OMISSIS- e che il lotto, sull'asse sud-nord, presenta un dislivello di 4 metri, non può che riconoscersi la necessità (pena la realizzazione di un fabbricato obliquo) di una struttura di sostegno tale da garantire, a dispetto dell'andamento del terreno, il posizionamento del manufatto su un piano orizzontale. Come, invece, si evidenzierà, il proprietario, eccedendo quanto necessario per soddisfare detta esigenza, realizzava al di sotto del progettato fabbricato un piano interrato con caratteristiche (in particolare l'altezza) tali da determinare l'innalzamento della quota del soprastante piano di calpestio del piano terra: intervento che, restando invariate le caratteristiche progettuali dei due piani fuori terra assentiti determinerebbe, altresì, la realizzazione di un fabbricato di altezza e volumi superiori a quanto assentito. Ai fini di un corretto inquadramento della presente fattispecie deve rilevarsi che oggetto di contestazione, tanto in virtù dell'ordine di ripristino n. 7/2003 quanto che dell'analoga ordinanza n. 35/2012, come già evidenziato, era il solo piano interrato. Controverso è, pertanto, il ripristino mediante eliminazione del piano interrato che l'appellante ritiene di aver eseguito: circostanza avversata dai resistenti Circa tale questione, come anticipato, il Collegio riteneva di disporre una verificazione i cui esiti, come si illustrerà, consentivano l'acquisizione degli elementi necessari alla presente decisione. Sempre ai fini di un corretto inquadramento della presente controversia, e rinviando alle considerazioni che seguiranno, deve prendersi atto che l'edificio residenziale del -OMISSIS-non è completato essendo stato realizzato (oltre al vano interrato, da valutare se ripristinato o meno) il solo primo piano fuori terra, peraltro al grezzo con la conseguenza che, allo stato, superfici e volumi non eccedono ancora i limiti assentiti. Come già ampiamente evidenziato, la vicenda edilizia oggetto del presente giudizio determinava un articolato contenzioso che, nei limiti di quanto d'interesse ai presenti fini, sfociava in tre giudizi di impugnazione definiti in primo grado dal Tar con tre distinte sentenze. Dapprima (vicenda oggetto dell'appello n. 2345/2020) venivano contestati il rigetto dell'accertamento di conformità richiesto dal -OMISSIS-per la regolarizzazione delle difformità riscontrate dall'amministrazione in sede di sopralluogo e la conseguente ordinanza di demolizione del piano sottostrada (n. 7/2003). In un secondo tempo venivano censurati i plurimi provvedimenti che, nel delineato sviluppo procedimentale, determinavano il definitivo diniego della conformità paesaggistica dell'intervento, che seguiva l'espressione di un primo parere favorevole (vicenda oggetto degli appelli n. 2346/2020 e n. 2348/2020). Sintetizzati nei suesposti sensi i termini della controversia, deve preliminarmente procedersi alla riunione dei tre appelli stante l'unicità della vicenda che ne costituisce oggetto e la parziale identità delle parti. È, infatti parte di tutti e tre i giudizi, oltre all'appellante, anche la Regione; i proprietari confinanti sono costituiti nei soli giudizi 2345/2020 e 2348/2020 e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è parte nel solo giudizio n. 2348/2020 Di seguito le molteplici censure formulate dall'appellante verranno scrutinate seguendo lo sviluppo cronologico della vicenda e non l'ordine di proposizione dei tre appelli. PRIMO APPELLO (n. 23 di ruolo) Con l'appello n. 2345/2020, come espressamente precisato, la sentenza è contestata nella parte in cui afferma che "parimenti infondati sono i primi motivi aggiunti, proposti contro l'ordinanza n. 35/2012 del 20.08.2012 di riduzione in pristino delle opere abusive sia nella parte relativa all'illegittimità derivata dalle già esaminate censure mosse al diniego di accertamento di conformità (integralmente riproposte) sia nella parte riguardante la formulazione di autonome doglianze in merito alla pretesa impossibilità per il Comune di ingiungere la demolizione dei manufatti abusivi a causa dell'avvenuta presentazione di domanda di sanatoria in data 29.07.2009 ex art. 36 del DPR n. 380/2001 e della mancata pronuncia dell'Amministrazione su di essa". Le censure di parte appellante sono sviluppate in un unico capo di impugnazione con il quale è dedotta la "Erroneità della sentenza appellata n. 10315/2019 per errata od omessa applicazione dell'art. 35 c.p.a., anche in relazione all'art. 34 c.p.a., con difetto di istruttoria, nell'esame e nella valutazione dei documenti di causa, con violazione dell'art. 64 c.p.a., e delle pronunce giurisdizionali già rese nella medesima questione". A sostegno della pretesa erroneità della sentenza l'appellante espone di aver proceduto al ripristino dei luoghi e di averne fornito prova avendo depositato in giudizio: a) la nota della Regione Lazio, Direzione Territorio, Area Vigilanza Urbanistico-Edilizia e Contrasto dell'abusivismo del 4 aprile 2016 ove si afferma che si sarebbe perfezionata la riduzione in pristino delle porzioni di manufatto eseguite in difformità dalla C.E. n. 10/2001; b) l'ordinanza 11 aprile 2017, proc. esec. pen. n. 120/2016, resa dal Giudice dell'Esecuzione Penale del Tribunale di Viterbo con la quale si accerta l'avvenuta rimozione della difformità contestate e viene revocata la precedente ordinanza di demolizione; c) la sentenza 14 luglio 2017, n. 34548-17, della Terza Sezione Penale della Suprema Corte Cassazione che confermerebbe l'avvenuto ripristino dei luoghi, accertato dal Tribunale Penale di Viterbo, dichiarando, per l'effetto, la sopravvenuta carenza d'interesse all'esecuzione dell'originario ordine penale di rimessione in pristino; d) la perizia tecnica dell'Ing. -OMISSIS-, CTU del Tribunale Penale di Viterbo nel giudizio n. 15229/04 che riteneva ripristinabili le difformità contestate all'odierno appellante, secondo il progetto dallo stesso eseguito; e) la nota dell'Arch. -OMISSIS-, proprio tecnico di parte. In sintesi, con il presente appello l'appellante afferma l'interesse a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui, "a fronte del comprovato, avvenuto, totale e fedele ripristino dello stato dei luoghi, in conformità col titolo edilizio ritualmente rilasciato" il Tar non dichiarava "inammissibile il ricorso, ed in specie i primi motivi aggiunti, stante l'evidente sopravvenuta carenza d'interesse alla delibazione nel merito di un gravame avente ad oggetto difformità in toto già ripristinate". Il fondamento del proprio interesse a tale pronuncia viene specificato nella circostanza che il rigetto dell'accertamento di conformità determinerebbe quale conseguenza l'efficacia della misura demolitoria, nella specie dell'ordinanza n. 35/2012 del 20 agosto 2012, "sia pur su un piano solo formale... sebbene già da tempo si fosse, in concreto, proceduto all'integrale riduzione in pristino di quelle difformità ". Il pregiudizio che sorregge l'interesse viene specificato nel fatto che, gravando sull'immobile un provvedimento sanzionatorio formalmente ineseguito, non sarebbe possibile procedere all'ultimazione dell'edificio né alla futura commercializzazione dello stesso. Il Tar avrebbe quindi errato nel non rilevare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione avendo l'appellante provveduto al completo ripristino delle difformità edilizie contestate sicché "finanche ove il suo ricorso fosse stato accolto, egli non ne avrebbe tratto alcuna utilità ". La sentenza, pertanto, a parere dell'appellante dovrebbe essere "annullata e/o riformata, sia pur al sol fine di dichiarare la sopravvenuta carenza d'interesse dell'appellante alla decisione del ricorso di prime cure". Le suesposte contestazioni impongono lo scrutinio della controversa questione riferita all'esecuzione del ripristino. Ai fini di una più agevole comprensione delle articolate censure formulate dall'appellante anche nei successivi appelli, si rende opportuno effettuare un sintetico richiamo agli esiti della CTU disposta nel parallelo giudizio penale, nonché, alle conclusioni cui perviene il Verificatore in questa sede incaricato (che il Collegio ritiene di recepire). ESITI DELLA CTU DISPOSTA IN SEDE PENALE Come anticipato, in parallelo alla descritta vicenda amministrativa, giungeva a definizione anche il contenzioso penale con la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 2629/2008 cui seguiva il procedimento di esecuzione dinanzi al Tribunale di Viterbo. In detta sede veniva disposta una CTU per accertare la possibilità di procedere alla demolizione dell'abuso con salvezza delle parti legittime del manufatto. Il perito incaricato, premesso che non era possibile "comprendere" l'andamento altimetrico ante operam del lotto compreso fra due strade poste a quote diverse (per un dislivello pari a 4 metri), evidenziava che: - l'art. 2 delle N.T.A. del P.R.G. approvato dalla Giunta regionale con delibera n. 1825/1982 e relativa variante generale approvata con delibera n. 835/2005, stabilisce che "qualsiasi costruzione situata sul terreno in pendio non può sviluppare un volume abitabile fuori terra maggiore di quello realizzabile sullo stesso terreno se pianeggiante"; - il "progetto assentito prevedeva la sistemazione del terreno all'intorno edificio su di un piano orizzontale corrispondente alla quota di calpestio del piano terra e alla quota del marciapiede sulla strada" che esprime l'andamento del terreno nord-sud ma senza indicazioni ulteriori circa la sistemazione del terreno sul piano ortogonale est-ovest; - l'art. 167, comma 4, lett. a) dispone che "l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati"; - la circolare n. 33 del 26 giugno 2009 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali stabilisce che costituisce volume "qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d'uso del manufatto, ad esclusione dei volumi tecnici". Il Perito evidenziava, altresì, che il progetto di ripristino presentato il 29 luglio 2009 prevedeva l'interramento del piano sottostrada mediante riporto di terreno tutt'intorno apportando le seguenti modifiche: - riduzione della larghezza dell'edificio dal m. 16,5 a m. 16,1; - riduzione della profondità da m. 12,5 a m. 11,7; - riduzione dell'altezza interna oltre che dell'ingombro in pianta. Tuttavia, il perito afferma che la riduzione in pianta "sembrerebbe irrealizzabile in quanto: o le modifiche resterebbero solo sulla carta; oppure si dovrebbe procedere a demolizione almeno parziale della parte fuori terra". Il rispetto di quanto prescritto dall'art. 5.1 delle NTA alla variante generale al P.R.G. (che fissa le altezze massime e i criteri per il loro calcolo), affermava il perito, potrebbe avvenire "solo mediante l'interramento completo del piano sotto strada" poiché era rilevabile allo stato un dislivello fra il piano terra e la rampa di accesso al seminterrato (lato est) pari a m. 1,4 che, per rendere conforme l'opera, dovrebbe essere colmato con riporto di terreno che richiederebbe la realizzazione di un muro di contenimento al confine di proprietà da assentirsi a cura dell'autorità competente, mentre, sul lato nord il dislivello pari a m. 4,7 "non può essere raccordato a gradoni se si vuole evitare un altro muro di contenimento e un forte impatto ambientale". In ogni caso, l'interramento del piano sottostrada, non eliminerebbe l'ulteriore difformità consistente nella traslazione verticale del piano di calpestio del piano terra pari a 50 cm. che necessiterebbe di un atto di assenso da parte del Comune. In conclusione, rispondendo al quesito formulato dal Tribunale circa la realizzabilità del ripristino sulla base del progetto presentato, il Tecnico incaricato concludeva ritenendolo possibile unicamente con le modalità sopra illustrate mediante interramento del sottostrada e riduzione dell'ingombro e delle altezze del fuori terra entro i limiti assentiti. Contestualmente rilevava che l'interramento come da progetto era "incompleto nei dettagli, soprattutto della sezione trasversale A-A nella quale non si è messa in evidenza la necessità di un muro di sostegno sul confine est" e che "quanto al piano terra, la riduzione dell'ingombro e dell'altezza entro i limiti assentiti comporterebbe la demolizione almeno parziale della struttura emergente dal terreno e non sembra facilmente perseguibile". ESITI DELLA VERIFICAZIONE DISPOSTA DAL COLLEGIO Quanto agli esiti del supplemento istruttorio disposto in questa sede il Professionista incaricato accertava che il corpo di fabbrica oggi esistente si sviluppa su due livelli fuori terra, piano terra e piano primo più uno interrato, e si presenta allo stato grezzo (struttura in cemento armato, solai e tamponature parziali del primo terra) e privo di copertura finiture e predisposizioni per impianti. Il piano interrato non è accessibile e veniva ispezionato e fotografo dall'esterno: operazione resa possibile dalla presenza di una apertura sovrastante il terrapieno creato dall'appellante per interrarlo e il soprastante solaio del piano terra. Allo stato il piano interrato non è tombato ed è "totalmente tamponato" in parte mediante "muratura disposta a secco nido d'ape" e in parte con "muratura piena su letto di malta". Rileva il Tecnico che la concessione edilizia n. 10/2001 prevedeva una pianta, posta alla quota del piano stradale, di m. 16,10 x 11,70 ed una altezza per piano di m. 2,70 per un totale, considerando il solaio di cm. 20 pari a m. 5,60 (copertura a doppia falda esclusa) Con il primo quesito veniva richiesto di accertare "la conformità dell'intero fabbricato di proprietà del Signor -OMISSIS-alla originaria concessione edilizia n. 10/2001 approfondendo, in particolare, i profili di non conformità rilevati dall'Ing. -OMISSIS- con perizia "richiesta dal Giudice dell'Esecuzione Dr. I.E. CENTARO" disposta dal Tribunale Penale di Viterbo - Sezione Distaccata di Montefiascone (depositata in giudizio)". Il Verificatore accerta che l'opera differisce dal progetto assentito in quanto la pianta presenta le dimensioni di m. 16,50 x m. 12,20 (in luogo di 16,10 x 11,70: maggiorazioni rispettivamente del 2% e del 4%). Anche le altezze (per la parte di fabbricato allo stato realizzata) non corrispondono allo stato di progetto posto che a fronte di un un'altezza interpiano di m. 2,70 è rilevata un'altezza interpiano pari a circa m. 3,00. Il progetto, inoltre, non prevedeva un piano interrato. Non conforme è, altresì, la zona cementata a servizio dell'abitazione antistante il porticato che funge "da copertura di un'intercapedine, tra i pilastri ed il muro di sostegno" che, tuttavia, il Verificatore indica come "dettata da esigenze funzionali e di cantiere dovute a seguito della realizzazione del piano sottostrada, non contemplabili in fase progettuale". Difforme dal progetto assentito è inoltre la quota del fabbricato fuori terra che non corrisponde alla quota del piano strada ma è sovralzata di cm. 50. Perviene, quindi, alla conclusione che quanto realizzato non è conforme al progetto assentito per quanto riguarda le dimensioni della pianta, la quota del solaio del piano terra e la presenza del piano interrato. Con il secondo quesito, veniva chiesto "se il ripristino del piano sottostrada sia avvenuto mediante il solo tamponamento con paratie di mattoni disposti a nido d'ape, come sostenuto e parzialmente documentato dai controinteressati (mediante rilievi fotografici esterni), o sia stato, altresì, tombato, ovvero, riempito ripristinando l'originario andamento del terreno sottostante il fabbricato assentito del Signor -OMISSIS-". Il Verificatore documenta come il piano seminterrato non sia del tutto tombato con riempimento ma solo tamponato, in parte con posa di mattoni a secco posti a nido d'ape allo scopo di "realizzare un muro che facesse da sostegno al terrapieno". Con il terzo quesito veniva richiesto di accertare "se gli spazi interni alle citate tamponature a nido d'ape, presentino allo stato un vano (o sia agevolmente ripristinabile mediante rimozione di eventuale materiale di riporto) e se in detto vano, siano presenti finiture che ne tradiscano un possibile utilizzo anche a fini abitativi quali, a mero titolo esemplificativo, pavimentazione, predisposizioni per impianti, allacci per utenze, tramezzature, aperture potenzialmente sfruttabili per realizzare accessi o superfici aeroilluminanti". Il Verificatore afferma che il piano interrato si presenta allo stato grezzo ed è privo di finiture. Con il quarto motivo, infine, veniva chiesto di accertare "se il vano in questione, nell'ipotesi in cui ne sia rilevata la presenza, sia collegato al piano soprastante o si presenti, per conformazione e caratteristiche costruttive, facilmente collegabile". Il Verificatore afferma che il vano interrato è indipendente, scollegato dalla restante struttura e non accessibile, pur riconoscendo la possibilità tecnica di mediante creazione di un foro nel solaio di primo calpestio: intervento che richiederebbe in ogni caso un titolo abilitativo. Accertata nei sopra descritti termini la consistenza attuale dell'immobile, con specifico riguardo alla struttura sottostante i due piani assentiti, deve riconoscersi che il risputino ripetutamente ingiunto, non può considerarsi come eseguito. Sul punto si rendono necessarie alcune precisazioni. È pacifico che il lotto di proprietà dell'appellante presentasse un andamento non pianeggiante come è attestato univocamente dal CTU nominato in sede penale e dal Verificatore nominato dalla Sezione e che tale caratteristica morfologica comportasse, come già affermato, la necessità di un sostegno alla pianta del fabbricato per consentirne il posizionamento del fabbricato su un piano orizzontale. È, peraltro, altrettanto pacifico che l'intervento in questione non possa determinare la creazione di superfici o volumi in eccedenza a quanto assentito. Allo stato, come evidenziato, il vano sottostrada, ancorché privo di finiture, è esistente e solo apparentemente e temporaneamente inutilizzabile posto che la tamponatura è parziale e in parte precaria, come posticcio e non completo è l'interramento del Piano: condizioni che ne consentirebbero la fruibilità mediante interventi di non eccessiva complessità . Preso atto di quanto accertato, non può che richiamarsi la pacifica posizione della giurisprudenza che, in presenza di una fattispecie analoga, ha già avuto modo di affermare che "la definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, n. 1, del D.P.R n. 380 del 2001 include nella nozione di "interventi di nuova costruzione" la costruzione di "manufatti edilizi fuori terra o interrati", a conferma del fatto che è indifferente la collocazione dell'edificio al di sotto del piano di campagna, e che solo in via eccezionale è consentito a livello amministrativo di non computare piani interrati di edifici per il resto realizzati fuori terra" (Cons. Stato Sez. VII, 09/02/2023, n. 1440)" (Cons. Stato, Sez. VII, 15 settembre 2023, n. 8358). Richiamata la descrizione dell'attuale stato dei luoghi accertata dal Verificatore, deve, pertanto, riconoscersi che il ripristino, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, non può considerarsi eseguito essendo necessaria la rimozione dell'opera e quindi del piano sottostrada con interramento dello stesso eliminando ogni possibile volume accessibile dall'esterno. Quanto alla, eccepita (da parte dei controinteressati) intervenuta irreversibile trasformazione del territorio determinata dalla modifica del declivio preesistente, non può che rilevarsi, sotto un primo profilo, che, come evidenziato dal CTU in sede penale, dalle produzioni documentali acquisite al giudizio, non emerge con certezza lo stato di fatto ante operam, né tale prova può ricavarsi dalle rappresentazioni grafiche (disegni) riportate dai controinteressati nei propri atti difensivi, non meglio supportate sotto il profilo probatorio. Esula inoltre dal presente giudizio la valutazione circa la possibilità materiale di procedere alla eliminazione del vano interrato anche quanto tombato e sigillato, che potrebbe astrattamente determinare la fiscalizzazione dell'abuso ai sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 posto che, come ripetutamente affermato dalla Sezione, "le disposizioni dell'art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001, devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell'originario ordine di demolizione (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 10/05/2021, n. 3666)" (Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2023, n. 1999). II APPELLO (n. 25 di ruolo) Quanto all'appello n. 2348/2020, con il primo motivo, l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l'adozione dei provvedimenti impugnati fosse espressione di un potere autonomo della Regione esercitabile a prescindere dalle "risultanze penali" atteso che il "parametro di riferimento posto a fondamento dell'accertamento svolto dall'ufficio regionale suddetto è proprio il solo giudicato penale", come comproverebbero i riferimenti in esso contenuti (e riportati a pag. 12 dell'appello). In altri termini, la Regione si sarebbe attribuita il potere di verificare la corretta esecuzione del ripristino ordinato in sede penale nonostante a seguito di un pronunciamento in detta sede "il provvedimento conseguente, compreso nella sentenza passata in giudicato, al pari delle altre statuizioni della sentenza medesima, è assoggettato all'esecuzione nelle forme previste dall'art. 655 c.p.p., il cui organo promotore è identificato nel pubblico ministero e non in altri organi amministrativi" (cfr. per tutte TAR Calabria, n. 399/2011; TAR Calabria, n. 476/2012)" (pag. 13 dell'appello). Nel caso di specie, inoltre, la decisione di primo grado sarebbe in ogni caso errata anche aderendo alla posizione del Tar posto doveva ritenersi definitivamente accertato "sia in sede amministrativa che in di esecuzione penale" l'avvenuto ripristino tanto della "modifica delle quote" quanto del "mancato interramento del piano sottostrada". La circostanza troverebbe conferma negli esiti dell'accertamento svolto dell'Area Vigilanza Urbanistica della Regione Lazio, i cui esiti venivano illustrati in quel giudizio dal tecnico regionale incaricato. Il giudice dell'esecuzione, infatti, sulla base di tale acquisizione revocava l'ingiunzione di demolizione con provvedimento dell'11 aprile 2017 ritenendo "eseguito il ripristino dello stato dei luoghi in guisa tale da salvaguardare la porzione del fabbricato legittimamente assentita". Tale esito vincolerebbe "ex art. 654 c.p., anche gli Organi delle altre Giurisdizioni, che sono tenuti ad attenersi alla ricostruzione del fatto accertata dal Giudice penale, salva ovviamente l'autonoma valutazione degli effetti giuridici che gli esiti di tale accertamento fattuale comportino nell'ambito di cognizione affidato alle Giurisdizioni Ordinarie ed Amministrative (così, ex plur., Cons. Stato, Sez. VI, 23 novembre 2017, n. 5473; id., Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1487; id., Sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3556; id., Sez. IV, 19 maggio 2003, n. 7765)" (pag. 14 dell'appello) Da quanto esposto risulterebbe comprovato il dedotto vizio di istruttoria. Il motivo è infondato. Deve in primis richiamarsi quanto già esposto in merito all'omesso ripristino dello stato dei luoghi che é accertato dal Verificatore incaricato nei termini già illustrati. In tema di applicazione dell'art. 654 c.p. occorre precisare che l'efficacia vincolante del giudicato penale si esplica unicamente in relazione all'accertamento di fatti materiali e non anche relativamente alla qualificazione giuridica del fatto Va ricordato in proposito quanto stabilito da CdS VI n. 9656 del 2022 che ha statuito che nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo, il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'Amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza edilizia, né può condizionare in modo inderogabile il processo amministrativo. Anche quando sono stati commessi gli abusi che hanno comportato l'emanazione da parte del aiudice penale, della misura prevista dall'art. 31, d.P.R. n. 380/2001, l'Amministrazione Comunale continua a esercitare il potere di vigilanza sull'attività di natura urbanistico- edilizia svolta sul territorio comunale, il che comprende anche il compito di disporre e procedere direttamente alla demolizione delle opere abusive e al ripristino dello stato dei luoghi, così come quello, ove del caso, e sussistendone i presupposti, di deliberare, con provvedimento del Consiglio Comunale, l'esistenza di prevalenti interessi pubblici in contrasto con quelli sottesi alla demolizione. Pur tuttavia, ai predetti fini, è indispensabile che l'Amministrazione compia una valutazione autonoma delle risultanze processuali e dei fatti materiali accertati in sede penale, instaurando una doverosa istruttoria in cui, acquisiti i necessari elementi, ne fornisca una propria qualificazione giuridica e si determini conseguenzialmente. Ciò in quanto l'autonomia dei due poteri in esame (quello amministrativo e quello giurisdizionale penale) è tale che un provvedimento amministrativo illegittimo può, nello stesso momento, assurgere a elemento costitutivo di un reato edilizio e tuttavia non essere, per ciò solo, annullabile in via di autotutela sul piano amministrativo poiché l'esercizio di quest'ultimo potere amministrativo è soggetto a requisiti, sostanziali e temporali, propri e diversi, a meno che non sussista una diversa previsione normativa di espresso raccordo tra il processo penale e il procedimento amministrativo. Va altresì tenuto conto della natura dell'ordine di demolizione pronunciato in sede penale che è una mera statuizione accessoria all'accertamento penale dei fatti e mira a supplire ad inerzie amministrative. Ne deriva che la revoca del provvedimento di demolizione pronunciato in sede penale non impedisce affatto - stante la natura di tale statuizione - la permanenza dell'efficacia di un ordine di demolizione adottato - con autonoma valutazione - in sede amministrativa. Ciò posto, e fermo restando l'accertamento dello stato di fatto considerato in sede penale, ovvero il tamponamento e l'interramento nei termini già illustrati, la qualificazione di detto intervento quale ripristino, ovvero riconduzione a legittimità di quanto realizzato in conformità al titolo edilizio rilasciato e la sua valutazione sotto il profilo paesaggistico, non possa che competere all'autorità amministrativa. L'ordinanza del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Viterbo, invocata dall'appellante, si fonda sulla testimonianza del Geom. -OMISSIS-, in servizio presso la Regione Lazio - Direzione Regionale Territorio Urbanistica e Mobilità che, sentito all'udienza del 19 gennaio 2017, affermava che all'esito di un sopralluogo del marzo 2016, avrebbe accertato che "il piano sottostrada era stato tombato ed era completamente inaccessibile attraverso il piano sovrastante che recava il solaio integro" e sui contenuti della nota regionale del 4 aprile 2016 (in questa sede già richiamata) che dava atto della "avvenuta riduzione in pristino dello status quo ante". A tacere del fatto che i contenuti della citata nota del 4 aprile 2016 venivano superati dalle successive determinazioni dell'amministrazione intervenute all'esito di ulteriori accessi (e ritenuto che la testimonianza resa a titolo personale dal tecnico regionale in diverso giudizio al quale l'amministrazione è estranea non possa assurgere a interpretazione autentica dei provvedimenti di quest'ultima) non può che evidenziarsi come quanto riferito dal Tecnico e fatto proprio dal giudice dell'esecuzione non smentisce la diversa valutazione dell'amministrazione posto che si limita ad attestare una inaccessibilità al vano sottostrada dai piani superiori che non è controversa ed è accertata anche dal Verificatore in questa sede incaricato, essendo invece rilevante ai presenti fini la potenziale accessibilità al vano allo stato libero perché non interrato. Con il secondo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui non rileva il fondamento della dedotta violazione "dei principi di autotutela decisoria" superando la censura sul rilievo del duplice presupposto che le prerogative difensive sarebbero state esercitate in sede di procedimento di sospensione del parere già rilasciato e che il mancato ripristino dello stato dei luoghi, allegato come eseguito dal proprietario, giustificasse di per sé il travolgimento della precedente posizione. L'appellante lamenta l'omessa comunicazione dell'avio del procedimento teso all'annullamento del parere favorevole che non potrebbe ritenersi surrogato dal precedente provvedimento di sospensione dello stesso, né superato allegando una inesistente natura vincolata della determinazione conclusiva, ben potendo l'appellante dimostrare l'avvenuto ripristino dell'abuso atteso che, come esposto nel precedente capo di impugnazione, doveva intendersi ristabilita l'originaria quota di campagna e realizzato l'interramento del volume sottostrada. A prescindere poi dall'avvenuto ripristino o meno, l'amministrazione sarebbe stata in ogni caso tenuta a considerare il legittimo affidamento del privato "in senso distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata, bilanciandolo con l'interesse del privato" né la "Soprintendenza poteva esimersi dal fornire, in sede di annullamento, la rafforzata motivazione richiesta dal combinato disposto degli artt. 3 e 21 nonies della L. n. 241/90" (pag. 20 dell'appello). Deduce infine che esulerebbe dal perimetro decisorio l'affermazione del Tar per la quale nell'istanza sarebbe stata fornita "una rappresentazione non del tutto corrispondente alla situazione allo stato esistente" quando, invece, era l'accertamento dell'Area Vigilanza regionale del 13 ottobre 2015 dalla quale originava l'annullamento del parere a fondarsi su un'errata rappresentazione dei luoghi correlata all'espletamento di una verifica "dall'esterno" del lotto e che, al contrario, come chiaramente affermato nel secondo sopralluogo dell'Area Vigilanza regionale del 4 aprile 2016, solo "l'accesso al fondo" avrebbe consentito di ricostruire correttamente. Le suesposte censure sono infondate. Come già evidenziato, ogni profilo riferito alla pretesa esecuzione del ripristino deve considerarsi superato dal supplemento istruttorio disposto in questa sede che smentisce le premesse dalle quali muove l'appellante. Infondata è, altresì, la pretesa illegittimità dell'intervenuto annullamento del parere paesaggistico favorevole in un primo tempo rilasciato posto che, come correttamente affermato dal Tar, l'intervento Regionale censurato si fonda sulla rilevata non corrispondenza di quanto prospettato dall'appellante circa il preteso avvenuto rispristino del piano sottostrada che, si ribadisce, è accertato non essere intervenuto e che, invece, costituiva il presupposto della precedente espressione favorevole. In ogni caso non può che rilevarsi l'inesistenza della pretesa violazione dei diritti partecipativi e di difesa dell'appellante che, come documentato in atti, veniva convolto del procedimento di riforma del parere. Il ritiro dell'assenso regionale era, infatti, preceduto dalla nota della Soprintendenza del 5 ottobre 2015 con la quale veniva comunicato che l'amministrazione "intende(va) sospendere il proprio provvedimento positivo espresso con nota prot. 16192 del 14.09.1...fino a quando non verrà accertata la reale considerata dello stato dei luoghi" invitando l'interessato, "ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 10 bis della l. 241/90" a "presentare osservazioni per iscritto". L'accertata mancata esecuzione del ripristino, prospettato dall'appellante come eseguito ed assunto a presupposto del precedente parere favorevole, e quindi la sussistenza di una condizione di non conformità, esclude che possa configurarsi in capo allo stesso un affidamento tutelabile alla conservazione dell'atto la cui rimozione da parte dell'amministrazione non poteva che ritenersi doverosa (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 19 settembre 2023, n. 8420). III APPELLO (n. 24 di ruolo) Con il primo motivo dell'appello n. 2346/2020, proposto avverso la sentenza n. 10317/2019, l'appellante deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. poiché il Tar si sarebbe espresso in merito alla legittimità del diniego di compatibilità paesaggistica opposto dalla Regione con atto del 7 settembre 2016 ritenendo che le difformità dal titolo edilizio conseguito nel 2001 non riguardassero unicamente il piano interrato ma anche il "piano terra traslato di circa 50 cm verso l'alto (profilo oggetto del successivo capo di impugnazione, ndr) e le differenze rispetto a quanto autorizzato evidenziate al paragrafo 7.2...(costituite dal fatto che) il piano terra del manufatto realizzato risulta 40 cm più largo di quello assentito, 81 cm più profondo nella parte centrale e 30 cm più profondo nelle rientranze laterali. Vi sono, inoltre, delle parti aggettanti sul fronte e sui lati che corrispondono alla copertura di una intercapedine ed altre sul retro a sbalzo" nonché al "piano terra dell'edificio è stato impostato a quota diversa da quella assentita...". Sostiene l'appellante che l'oggetto del giudizio, perimetrato dai motivi d'impugnazione formulati, doveva intendersi limitato alla modifica della quota di campagna e all'elusione dell'ordine di ripristino del piano sottostrada (come attesterebbero i docc. nn. 25, 28 e 40 depositati in primo grado - pag. 15 dell'appello) restando estranee le ulteriori difformità evidenziate nella CTU disposta in sede penale e, precisamente, i debordamenti in larghezza e profondità del piano terra. La censura è infondata. Preliminarmente si evidenzia che la nota della Soprintendenza del 14 settembre 2015 (doc. 25) e la nota regionale del 13 ottobre 2015 (doc. 28) entrambe, come correttamente rilevato dal Tar, già impugnate in diverso giudizio e da intendersi come atti interlocutori, contengono riferimenti, rispettivamente, alla realizzazione del manufatto "con marginale debordamento rispetto alla sagoma assentita" ed alla presenza di "limitate opere di debordamento in sagoma del superiore piano terra". La nota regionale del 7 settembre 2016 (doc. 40), invece impugnata nel giudizio di primo grado n. 13558/2016, contiene plurimi riferimenti al "marginale debordamento rispetto alla sagoma assentita". Il richiamo operato dal Tar agli esiti della CTU resa in sede penale a conferma dell'esistenza delle citate difformità deve pertanto ritenersi pertinente posto che è lo stesso appellante che in primo grado ne invocava i contenuti per supportare la tesi dell'avvenuto integrale rispristino delle difformità in questione, peraltro, riscontrate come tuttora esistenti anche all'esito della Verificazione disposta dal Collegio. Nessun vizio di ultrapetizione può quindi riscontrarsi nella sentenza impugnata. Irrilevante, nei sensi invocati in appello, è da ritenersi la circostanza dell'estraneità dei citati debordamenti alle due ordinanza di rispristino n. 7/2003 e 35/2012 (che come più volte evidenziato si riferivano al solo locale interrato) posto che il fabbricato, allo stato, presenta, come già descritto, il solo piano terra e non anche il piano primo. Ciò comporta che, pur in presenza delle difformità rilevate, non sia al momento configurabile il superamento dei limiti planivolumetrici assentiti. Come già evidenziato anche in sede di Verificazione, il fabbricato, assentito nella consistenza di due piani fuori terra, dell'altezza di m. 2,70 ciascuno oltre cm. 20 di solaio (per un'altezza totale m. 5,60 oltre al tetto), allo stato presenta una sopraelevazione del piano di campagna di cm. 50 ed un'altezza del solaio del piano terra (l'unico esistente) di circa m. 3,00. Quanto alle ulteriori difformità (si ribadisce non oggetto dei provvedimenti ripristinatori sino ad ora adottati dall'amministrazione) il Verificatore rileva "piccole differenze tra le dimensioni in pianta dell'edificio da progetto e quanto rilevato in situ" precisando che "corrispondono a spazi esterni alla tamponatura" mentre le aree interne alla tamponatura "tra stato di fatto e progetto, coincidono". Quanto alla zona cementata esterna antistante il porticato, non presente nelle piante allegate al progetto originale, il Verificatore evidenzia che fungono da copertura di una intercapedine la cui realizzazione è "dettata da esigenze funzionali e di cantiere dovute a seguito della realizzazione del piano sottostrada". L'attuale consistenza del fabbricato, pertanto, sebbene escluda la possibilità di un completamento della costruzione in conformità alle altezze assentite con il progetto originario, come peraltro rilevato dalle Autorità chiamate a pronunciarsi (in quanto la realizzazione del primo con altezza pari a quella originariamente assentita di m. 2,70 comporterebbe il superamento dell'altezza assentita di m. 5,60, oltre ad un incremento delle superfici e dei volumi in ragione del più volte evidenziato debordamento) potrebbe non escludere la possibilità di una riconduzione a conformità del manufatto previa esecuzione di correttivi progettuali che dovranno, tuttavia, ricorrendone i presupposti, essere espressamente assentiti dalle autorità competenti in materia edilizia e paesaggistica. Con il secondo motivo, l'appellante deduce l'erroneità della contestazione relativa all'innalzamento del piano di campagna, e di conseguenza del piano di calpestio del piano terra, invocando a conforto delle proprie tesi la già ritenuta inattendibile (poiché smentita da ultimo dalla Verificazione disposta) nota regionale del 4 aprile 2016. Nessun travisamento può essere quindi imputato al giudice di primo grado per non aver rilevato l'avvenuto ripristino di detta difformità . Infondato è, altresì, il terzo motivo di appello con il quale viene dedotta l'erroneità della sentenza laddove afferma che "il carattere vincolato del diniego di compatibilità paesaggistica dinanzi al permanere del contrasto delle opere realizzate con la disciplina urbanistica ed edilizia ed il contenuto tutt'altro che decisivo ai fini della prova della integrale eliminazione degli abusi della nota del 4.04.2016 rendono, infine irrilevanti le ulteriori doglianze espresse dal ricorrente in rapporto alla omessa menzione della nota stessa nel provvedimento impugnato o alla pretesa violazione delle regole di esercizio dell'autotutela" poiché la censura è formulata sul già smentito presupposto del fondamento delle doglianze oggetto dei precedenti capi di impugnazione. Privi di pregio sono, altresì, i due ulteriori sotto-capi di impugnazione (III.1° e III.2.B) con i quali viene dedotta, rispettivamente, la violazione dell'art. 3 e dell'art. 21 nonies della L. n. 241/1990. La prima censura è infondata poiché formulata sul ritenuto decisivo contrasto del provvedimento impugnato con la più volte citata nota regionale del 4 aprile 2016, la cui decisività, nei sensi invocati, è stata già smentita; la seconda poiché formulata sul rilievo dell'illegittimità del già illustrato annullamento in autotutela del parere favorevole della Soprintendenza (richiamato per relationem nell'atto impugnato quale presupposto del diniego di compatibilità paesaggistica), ritenuto invece legittimo dal Tar con statuizione già confermata in questa sede. Infondato è, ulteriormente, il sottocapo di impugnazione III.2 con il quale l'appellante lamenta, sotto un primo profilo, il rigetto del quinto motivo del ricorso di primo grado con il quale era dedotta l'illegittimità della richiesta avanzata dalla Regione al Comune di verificare il ripristino delle quote di campagna che avrebbe integrato un illegittimo aggravamento procedimentale trattandosi di profilo già accertato con la più volte citata nota regionale del 4 aprile 2016; sotto altro profilo, la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione della nota regionale del 12 settembre 2016, nonché, delle note comunali del 27 giugno 2015, 13 ottobre 2015 e 26 maggio 2016. Quanto al primo profilo, come già evidenziato gli esiti compendiati nella nota del 4 aprile 2016 risultano smentiti dall'accertamento delegato al Verificatore nell'ambito del presente giudizio. Quanto al secondo profilo, è pacifico il carattere non provvedimentale e non lesivo degli atti impugnati poiché, come già illustrato in precedenza, la nota della Regione del 12 settembre 2016 e le note comunali del 27 giugno 2015 e del 13 ottobre 2015 sono atti di trasmissione e la nota comunale del 26 maggio 2016 integra un mero atto interlocutorio con il quale veniva rappresentata alla Regione una carenza documentale. Per quanto precede gli appelli n. 2345/2020, n. 2346/2020 e n. 2348/2020, previa riunione, devono essere respinti con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite nei seguenti termini: - Euro 4.500,00 oltre oneri di legge se dovuti in favore della Regione Lazio; - Euro 3.000,00 oltre oneri di legge in favore dei controinteressati; - Euro 1.500,00 in favore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Sono posti a carico dell'appellante anche i costi di verificazione, da corrispondersi al Verificatore delegato nell'importo dallo stesso liquidato, da ritenersi congruo valutata la complessità e qualità dell'accertamento eseguito, nella misura di Euro 8.626,20. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Spese a carico come da motivazione. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti costituite o intimate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Marco Poppi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE SESTA CIVILE composta dai magistrati: dott. (...) Presidente dott. (...) (...) relatore dott. (...) (...) all'udienza del 15 maggio 2024 ha pronunciato ai sensi dell'art. 281sexies c.p.c. la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile in grado di appello iscritta al n. (...) del registro generale degli affari contenziosi dell'anno 2018, vertente tra (...) (c.f. (...)), nata a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...), tutti in proprio e quali eredi di (...) elettivamente domiciliati in (...) Via (...) n. (...), presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende unitamente all'avv. (...) giusta procura in atti appellanti principali ed appellati incidentali e (...) s.p.a. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata principale ed appellante incidentale e (...) appellati contumaci e (...) s.r.l. (p.iva (...)), elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellata e MINISTERO DELL'INTERNO DIPARTIMENTO DEI VIGILI DEL FUOCO, DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE (c.f.: (...)), rappresentato e difeso e(...) lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in (...) Via dei (...) n. 12 è domiciliato appellato Motivi di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data (...), (...) e (...) in proprio ed in qualità di eredi di (...) hanno proposto appello avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), resa nel giudizio di primo grado promosso dall'odierna parte appellante nei confronti di (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. Nel corso del giudizio di primo grado è stata autorizzata la chiamata in causa del Ministero dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) Par. 1.1 I fatti di causa sono esposti nella sentenza impugnata come di seguito riportato. " Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) in proprio e nella qualità di eredi della vittima, chiedevano dichiararsi l'esclusiva responsabilità di (...) (quale conducente della vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l.) nella causazione del sinistro che aveva cagionato la morte di (...) nonché la condanna, in solido tra loro, dello stesso (...) della (...) dei (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. quest'ultima anche con responsabilità ultramassimale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti, con vittoria di spese. Gli attori esponevano a sostegno della domanda che il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50, (...) era stato investito dalla vettura di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., condotta dal (...) mentre la vittima era alla guida del suo motociclo, rimanendo poi incastrata tra le ruote dell'auto e decedendo per insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. La responsabilità esclusiva del (...) nel decesso del (...) emergeva dalla sentenza di applicazione della pena resa dal Tribunale penale di (...) divenuta irrevocabile, con la quale al (...) era stata applicata la pena di mesi dodici di reclusione per il reato di omicidio colposo, nonché dalla consulenza tecnica sulla dinamica del sinistro e da quella medico legale sulle cause del decesso effettuate su incarico del (...) oltre che dalle sommarie informazioni assunte nel corso delle indagini preliminari. Veniva chiesto il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sia iure hereditario (danno da perdita della vita), sia iure proprio, assumendosi che la sig.ra (...) soffriva, a seguito della morte del figlio, di un grave stato depressivo con attacchi di panico e che aveva perso gli apporti economici che la vittima le avrebbe assicurato "durevolmente e spontaneamente". Si costituiva in giudizio l'(...) s.p.a. non contestando la responsabilità del (...) nel tamponamento del motociclo del (...) ma deducendo che erano intervenuti fattori interruttivi del nesso causale tra la condotta del conducente della vettura e il decesso della vittima (ritardo con cui erano giunti i soccorsi, vigili del fuoco intervenuti con le bombole di gas scariche e quindi impossibilitati a sollevare il veicolo investitore, allontanamento degli intervenuti che stavano azionando il cric per sollevare il veicolo da parte delle forze di polizia). Contestava inoltre il quantum debeatur e l'esistenza di un danno patrimoniale, deduceva di aver corrisposto alcune somme in favore degli attori e precisava che la polizza prevedeva un massimale di euro 2.500.000,00. Concludeva chiedendo dichiararsi la nullità della citazione per incertezza del petitum, accertarsi che la compagnia aveva già corrisposto euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima e rigettarsi la domanda con vittoria di spese. Si costituivano altresì il (...) e la (...) dei (...) s.r.l. non contestando la dinamica del sinistro ma negando la responsabilità del (...) nella causazione del decesso del (...) in quanto l'investimento non ne aveva provocato la morte, cagionata piuttosto da una serie di fatti (quelli stessi indicati dalla compagnia assicurativa) atipici, anomali ed eccezionali (la circostanza che le bombole di gas necessarie per il sollevamento del veicolo fossero scariche), che avevano determinato l'interruzione del nesso causale. Chiedevano pertanto la chiamata in causa del (...) dell'(...) del (...) e del (...) dei (...) del (...) di (...) e la condanna degli stessi, in via solidale, al risarcimento dei danni in favore degli attori, con rigetto della domanda attorea nei confronti di essi convenuti. In subordine chiedevano accertarsi la concorrente responsabilità del (...) e del (...) nella determinazione del decesso della vittima e la loro condanna al risarcimento per quanto di loro responsabilità, con vittoria di spese. A seguito della chiamata di terzo si costituiva il (...) dell'(...) Dipartimento dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) eccependo preliminarmente l'inammissibilità sia della domanda principale che di quella subordinata proposta dal convenuto (...) e dall'(...) dei (...) in quanto domanda risarcitoria riservata all'iniziativa esclusiva di parte attrice. Eccepiva altresì la nullità della citazione introduttiva per assoluta incertezza del petitum in difetto di specificazione del quantum debeatur richiesto e la prescrizione del diritto risarcitorio essendo decorso il biennio tra l'epoca del sinistro e la notifica dell'atto di citazione avversario. Nel merito assumeva la responsabilità esclusiva del (...) nella causazione del decesso del (...) e negava qualunque profilo di colpa nella condotta dei vigili del fuoco intervenuti, attesa la tempestività dell'intervento ancora precedente all'arrivo dell'ambulanza e stante l'avvenuto utilizzo, per il sollevamento della vettura, della pinza divaricatrice. Contestava inoltre il profilo dell'entità del danno, rilevando come non fosse risarcibile né il danno da perdita della vita, né quello biologico temporaneo, difettando la prova dello stato cosciente della vittima nel periodo antecedente il decesso, né quello patrimoniale, non godendo il (...) di reddito stabile e versando in condizioni di difficoltà economica. Concludeva quindi per il rigetto della domanda con vittoria di spese di lite. All'udienza del 18.12.2014 il procuratore degli attori, alla luce delle difese dei convenuti, dichiarava di voler estendere la domanda nei confronti del (...) chiedendone la condanna in solido con i convenuti al risarcimento del danno subìto. Con ordinanze in data (...) e 29.4.2016 venivano respinte le richieste di provvisionale avanzate dagli attori. La causa, istruita mediante produzioni documentali, assunzione di prova per testi e consulenza tecnica medico legale, perveniva alla fase decisoria con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche". Par. 1.2 (...) Tribunale, con detta sentenza, ha così deciso: "rigetta le eccezioni preliminari sollevate dal (...) dell'(...) dichiara che il sinistro stradale verificatosi in (...) il 19 luglio 2011, intorno alle ore 19,50 sulla rampa di uscita per via (...) GRA tra la vettura (...) 307 SW condotta da (...) e di proprietà della (...) dei (...) s.r.l., ed il ciclomotore (...) condotto da (...) è ascrivibile in via esclusiva alla responsabilità di (...) per l'effetto condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, già detratti gli acconti in precedenza corrisposti, al pagamento in favore di (...) e (...) rispettivamente madre e fratelli del deceduto (...) delle seguenti somme; euro 91.862,29 in favore di (...) ed euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi e rivalutazione come da parte motiva, nonché interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza all'effettivo soddisfo; rigetta la domanda risarcitoria proposta dagli attori, nonché dal (...) e dalla (...) dei (...) s.r.l. nei confronti del (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del soccorso pubblico e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) condanna (...) dei (...) s.r.l. ed (...) spa, in solido tra loro, a rifondere agli attori le spese del presente grado di giudizio che liquida, in applicazione del D.M. n. 55/2014, in euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre euro 450,00 per spese di contributo unificato, euro 600,00 di consulenza di parte, spese generali (15%), IVA e (...) le spese di CTU vengono poste definitivamente a carico di (...) dei (...) s.r.l. ed (...) s.p.a., in solido tra loro". Par. 1.3 La sentenza è motivata come di seguito riportato. "1. le eccezioni preliminari. Va respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione sollevata dal (...) sull'assunto della assoluta genericità del petitum per non essere stata quantificata la somma richiesta a titolo risarcitorio. (...) l'orientamento della S.C., dal quale non vi è motivo di discostarsi, la nullità della citazione per omessa od incerta determinazione del petitum, inteso sotto il profilo formale come il provvedimento giurisdizionale richiesto dall'attore, e sotto quello sostanziale come il bene della vita del quale si chiede il riconoscimento, non sussiste qualora nell'atto introduttivo del giudizio non sia stata esattamente quantificata monetariamente la pretesa, se l'attore abbia indicato i titoli dai quali la stessa trae fondamento, permettendo in tal modo al convenuto di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7074 del 05/04/2005; (...) 3, Sentenza n. 12567 del 28/05/2009). Nel caso di specie gli attori, pur non quantificando l'importo richiesto a titolo risarcitorio, hanno esattamente indicato i danni di cui chiedono il ristoro (danno da perdita della vita del congiunto, danno da perdita del rapporto parentale, danno biologico iure proprio, danno patrimoniale ecc.), sicché i convenuti sono stati posti in grado di esercitare le loro difese sia in punto di an che di quantum (tanto che sia il (...) che l'(...) nonché il (...) hanno dedotto sul punto). Va poi disattesa anche l'eccezione, sempre sollevata dal (...) di inammissibilità della chiamata di terzo del (...) Ha affermato infatti il (...) che quest'ultimo non avrebbe potuto avanzare nei suoi confronti una domanda risarcitoria riservata esclusivamente agli attori (né quella formulata in via principale, né quella subordinata di condanna del (...) al risarcimento del danno per la sua quota di responsabilità). Ebbene, la giurisprudenza della S.C. è orientata nel senso che qualora il convenuto effettui una chiamata di terzo indicando quest'ultimo come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, purché il titolo in base al quale il convenuto ritiene la responsabilità del terzo non sia diverso da quello della domanda attorea. Si è infatti affermato che il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. Il suddetto principio, invece, non opera, allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come "causa petendi" ed in particolare, ove l'azione dell'attore sia di natura risarcitoria, qualora venga dedotto un titolo di responsabilità del terzo verso l'attore diverso da quello da lui invocato, al fine non già dell'affermazione della responsabilità diretta ed esclusiva del terzo verso l'attore sulla base del rapporto dedotto dal medesimo, bensì allo scopo di ottenere, sulla base del diverso rapporto di responsabilità dedotto, il rilievo dalla responsabilità invocata dall'attore con la domanda introduttiva della lite; e in questo secondo caso resta ferma l'autonomia sostanziale dei due rapporti confluiti nello stesso processo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005). Nel caso di specie, la domanda fatta valere dal convenuto (...) nei riguardi del (...) non si richiama ad un titolo diverso ma alla stessa causa petendi fatta valere da parte attrice, ovvero la responsabilità aquiliana per il decesso del (...) nel sinistro di cui trattasi, sebbene in conseguenza di due diverse condotte poste in essere in contiguità temporale (l'investimento della vittima da parte del (...) e l'omesso tempestivo intervento di soccorso da parte dei vigili del fuoco). Giova ancora sottolineare che "in ipotesi di intervento di terzo su istanza di parte, posto che in virtù della chiamata in causa la domanda attorea si estende automaticamente nei confronti del terzo indicato quale unico responsabile, per escludere la volontà dell'attore di estendere la domanda nei confronti del terzo chiamato non bisogna aver riguardo al momento della proposizione della domanda nei confronti del convenuto, bensì a quello, successivo, della chiamata in causa, che può indurre l'attore medesimo a modificare la strategia processuale in un primo tempo scelta" (Cass. sez. 2, Sentenza n. 3643 del 24/02/2004). Ora, all'udienza del 18.12.2014, a seguito delle difese del convenuto (...) gli attori hanno inteso estendere la domanda anche al (...) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in solido col conducente, col proprietario della vettura e la compagnia assicuratrice, per cui non vi è dubbio che la domanda risarcitoria sia stata estesa al (...) Peraltro, si è anche ritenuto che qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo, indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza incorrere nel vizio di e(...)trapetizione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13165 del 05/06/2007). Va ancora respinta l'eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla difesa del (...) E' noto che se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, essa si applica anche all'azione civile (art. 2947). Se è intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, il diritto al risarcimento si prescrive nel termine biennale con decorrenza dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Nel caso di specie è intervenuta sentenza di patteggiamento passata in giudicato il (...), data dalla quale decorre il termine di prescrizione biennale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 07/11/2013, secondo cui in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, dal disposto del terzo comma dell'art. 2947 cod. civ. emerge, per l'ipotesi in cui il fatto costituisce anche reato, che il risarcimento del danno si prescrive in due anni quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile nel procedimento penale, rientrando tra queste anche la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. c.d. patteggiamento perché essa non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna, alla quale è invece applicabile, e(...) art. 2953 cod. civ., il termine di prescrizione di dieci anni). Nel caso di specie l'atto di citazione è stato notificato al (...) il (...), quindi prima che maturasse la prescrizione biennale, sicché l'eccezione è priva di pregio. 2. ricostruzione della dinamica del sinistro. La relazione conclusiva redatta dalla polizia municipale ricostruisce la dinamica del sinistro nei termini seguenti. Il sinistro si era verificato in (...) intorno alle ore 19:55 del 19.7.2011, sulla rampa di uscita per via (...) (...) in presenza di luce solare (atteso il periodo estivo), in condizioni di tempo sereno e con strada in discesa a senso unico di marcia e con curva destrorsa, in tratto con limite di velocità di 40 km/h. (...), giunto intorno alle ore 20:52 (circa 57 minuti dopo il verificarsi del sinistro) quando già era stato constatato il decesso del (...) dava atto della posizione statica assunta dai veicoli coinvolti nell'incidente. In particolare, la vettura (...) 307 SW condotta dal (...) si trovava quasi al centro della rampa, parallela all'asse della carreggiata, con la parte anteriore rivolta verso via (...) mentre il ciclomotore (...) era riverso a terra sul lato destro alcuni metri prima della (...) con la ruota anteriore a ridosso del guardrail. (...) poteva essere ricostruito come segue: entrambi i veicoli (il ciclomotore marciando davanti alla (...), provenienti da via del (...) percorrevano la circonvallazione (...) in direzione S. (...) e imboccavano la rampa di uscita per via (...) in direzione (...) nell'affrontare la curva destrorsa la (...) tamponava con la parte anteriore destra la parte posteriore del ciclomotore (come risulta dall'abrasione e dall'impronta di forma circolare presente sul paraurti anteriore lato destro della vettura); il ciclomotore cadeva sul fianco destro per effetto dell'urto scivolando sull'asfalto (dove lasciava tracce di abrasione) per poi fermarsi sul margine sinistro della carreggiata; la vettura proseguiva la marcia nonostante la collisione passando verosimilmente con la ruota anteriore sinistra sul corpo del motociclista e trascinandolo con il casco ancora indossato per circa 24 metri. Sempre dalla relazione della polizia municipale risulta che delle persone presenti in loco, nessuna era stata in grado di fornire chiarimenti sulla dinamica del sinistro, ma solo sui successivi soccorsi. (...) riferiva oralmente agli operanti della municipale di essere stato sorpassato sulla sinistra dal ciclomotore, che dopo essersi spostato sulla destra della carreggiata avrebbe poi rallentato improvvisamente la marcia, mentre il coniuge del (...) ((...) riferiva di non aver assistito alla dinamica del sinistro in quanto intento a guardare il display del cellulare. In definitiva la polizia municipale riteneva inattendibile la versione del (...) reputando di contro che esso avesse tenuto una condotta di guida distratta in quanto, nonostante la velocità moderata, non era stato in grado di arrestare immediatamente la marcia dopo l'urto e non si era avveduto della caduta del motociclista e del trascinamento del corpo sotto la propria autovettura. A conclusioni conformi giunge anche la consulenza cinematica eseguita su disposizione del PM. Rilevava infatti il consulente come dall'esame della posizione dei veicoli emergesse che al momento dell'urto essi si trovavano a marciare su linee perfettamente parallele, dovendosi quindi escludere che nell'immediatezza fosse stata effettuata una manovra di sorpasso da parte del ciclomotore. Dall'esame delle tracce rilevate sulla pavimentazione stradale appariva altamente probabile che il ciclomotore marciasse al centro dello svincolo e che la vettura lo seguisse spostata verso sinistra. La velocità della (...) al momento dell'urto era stata stimata 1520 km/h superiore a quella del ciclomotore, sicché appariva possibile che il motociclista avesse sensibilmente ridotto la velocità nell'ingresso in curva e fosse stato raggiunto dalla vettura in velocità libera. Appariva infine indubbio che la vettura avesse tamponato con la sua parte anteriore il parafango posteriore del ciclomotore in posizione eretta e su traiettorie parallele. Dall'autopsia effettuata nella fase delle indagini preliminare emerge che la morte del (...) è stata constatata in sede clinica alle ore 20:40 del 18.7.2011, che il decesso è riconducibile al sinistro stradale per cui è causa e che esso appare compatibile con una insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace. E' importante sottolineare, anche tenuto conto delle eccezioni sollevate dalle parti e che verranno trattate infra, la circostanza che il (...) in conseguenza dell'urto, non ebbe a riportare una lesività fisica rilevante ai fini del determinismo della morte, in quanto l'esame necroscopico ha evidenziato l'assenza di alterazioni rilevanti a carico di pressoché tutti gli organi ed apparati del corpo. Dunque, il consulente del PM ha ritenuto che il decesso sia riconducibile al fatto che il corpo della vittima è rimasto compresso sotto il veicolo, così da impedire la normale dinamica respiratoria attraverso una pressione esercitata a livello toracico. Va a questo punto rilevato che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015; n. 4652 del 2011; n. 5440 del 2010; n. 11555 del 2013; (...) n. 9040 del 2008). (...) canto, nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. Sentenza n. 1593 del 20/01/2017). Ancora, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. "patteggiamento") non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna (cfr. art. 445 co. 2 c.p.p.), sicché il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, pur non essendogli precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10847 del 11/05/2007; n. 6863 del 2003), la quale costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9358 del 05/05/2005). Ciò premesso, deve anzitutto rilevarsi che il (...) ha patteggiato la pena per il reato di omicidio colposo e che, pur non contestando in questa sede la propria responsabilità nell'investimento del motociclista, si è difeso sostenendo che il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso del (...) sarebbe stato interrotto da un elemento assolutamente atipico ed eccezionale costituito dal mancato tempestivo sollevamento del veicolo da parte dei vigili del fuoco intervenuti. Ora, riservando al prosieguo l'analisi più approfondita di questo aspetto della vicenda, deve rilevarsi che tale strategia difensiva si pone in palese conflitto con la richiesta di applicazione della pena da parte del (...) atteso che ove quest'ultimo avesse ritenuto effettivamente interrotto il nesso causale tra la propria condotta di guida e il decesso della vittima, non avrebbe dovuto chiedere di patteggiare la pena (ponendosi la questione relativa all'interruzione del nesso causale in termini omologhi sia nel processo penale che in quello civile). Né d'altro canto egli ha fornito una spiegazione plausibile del motivo per il quale si sarebbe appunto deciso a patteggiare la pena pur nella convinzione di non aver cagionato la morte del (...) In ogni caso, le risultanze della relazione della polizia municipale intervenuta sul luogo del sinistro e della CT modale del P.M. appaiono assolutamente persuasive e condivisibili. Può quindi ritenersi che la (...) abbia tamponato il ciclomotore guidato dal (...) (come emerge dalle tracce di urto tra la zona anteriore della vettura e quella posteriore del ciclomotore) per poi trascinarlo sotto l'auto per diversi metri prima di fermarsi. Che vi sia stata una condotta gravemente negligente del (...) nella guida del veicolo emerge poi in maniera eclatante sia dal fatto che l'urto si è verificato da tergo (ciò che denota il mancato rispetto della distanza di sicurezza tra i veicoli), sia dal trascinamento del corpo della vittima incastrata sotto la scocca dell'auto investitrice per ben 24 metri senza che il (...) se ne rendesse conto. 3. il nesso causale tra la condotta di guida imprudente del (...) e il decesso del (...) la questione dell'eccepita interruzione del nesso causale. Giova a questo punto soffermarsi sulla questione dell'eccepita interruzione del nesso causale, la quale impone anzitutto di far luce su quanto accaduto dopo l'investimento e sui soccorsi intervenuti. Dall'annotazione di servizio del (...) del 20.7.2011 risulta che all'arrivo della polizia (tra le ore 20:00 e le 20.10) alcune persone avevano già posto un cric sul lato destro della (...) allo scopo di tentare di sollevare il mezzo (si rammenta che il sinistro si è verificato intorno alle ore 19:55). Sempre secondo detta annotazione, alle ore 20:10 giungeva la (...) dei (...) del (...) che mediante un martinetto idraulico sollevava l'auto ed estraeva il corpo della vittima, mentre alle 20:26 il personale del 118 constatava il decesso del (...) Occorre poi esaminare le sommarie informazioni testimoniali rese alla polizia municipale da (...) e (...) giunto sul posto subito dopo il sinistro (e quindi verosimilmente intorno alle ore 20:00 o poco prima), dichiarava di aver verificato che la persona investita era ancora in vita, poiché a circa 10 minuti dal suo arrivo aveva notato che il (...) da lui sollecitato in tal senso aveva mosso leggermente un piede. Un motociclista intervenuto prima di lui aveva sollevato la parte anteriore destra della vettura mediante un cric, ma in tale frangente era intervenuta una pattuglia della (...) che aveva fatto allontanare gli astanti. Verso le 20:15 era giunto sul posto il primo mezzo dei (...) del (...) che aveva approntato le operazioni per il sollevamento del mezzo. Tuttavia, il teste aveva udito uno dei (...) affermare che le bombole erano scariche e che occorreva trovare una soluzione alternativa. Immediatamente dopo però i (...) del (...) avevano interrotto ogni operazione a seguito della constatazione del decesso della vittima, sulla quale era stato steso un telo bianco. Era poi sopraggiunto un secondo mezzo dei (...) del (...) che aveva rimosso la vettura liberando il corpo del ragazzo. (...) ha riferito di essere giunto anch'egli poco dopo il sinistro e di aver notato che la vittima muoveva lentamente il braccio destro e respirava ancora muovendo in maniera accelerata il torace. Reperito un cric, lo aveva azionato, ma appena sollevata la vettura era stato fatto allontanare dai (...) del (...) nel frattempo sopraggiunti. Tuttavia, costoro non erano riusciti a sollevare l'auto in quanto, pur avendo posizionato l'attrezzatura gonfiabile, si erano resi conto che le bombole in dotazione erano scariche. La fase del tentativo di sollevamento della vettura con il cric è stata meglio chiarita nel corso dell'escussione dei due testi in fase istruttoria. (...) ha specificato che il (...) aveva sì sollevato la parte anteriore della vettura con un cric, ma che l'azione non era stata sufficiente a liberare il giovane. Ha inoltre precisato che qualcuno dei presenti voleva sollevare l'auto di forza, mentre altri temevano che ciò potesse peggiorare la situazione, sicché alla fine non se ne era fatto nulla in attesa dell'arrivo della polizia. (...) dal canto suo, ha dichiarato di essere riuscito a sollevare il veicolo con il cric solo di qualche centimetro. Entrambi i testi hanno poi confermato la circostanza che le bombole erano scariche e quindi l'esito negativo del primo tentativo di sollevamento del mezzo da parte dei (...) del (...) Occorre ora prendere in considerazione il materiale prodotto dal (...) Dal rapporto di intervento dei (...) del (...) in data (...) risulta che il primo mezzo è giunto in loco alle ore 20.11 e che l'intervento medesimo è consistito nel sollevare la vettura tramite martinetto idraulico manuale con l'ausilio del carro sollevamenti al fine di liberare il corpo del (...) La relazione redatta il (...) dal responsabile del reparto che operò l'intervento ((...) dà atto che all'arrivo sul posto la vittima si trovava incastrata sotto la vettura e si presentava in stato di incoscienza, dato che ad un controllo ravvicinato "non si scorgeva alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". La squadra aveva quindi proceduto all'allestimento della manovra di sollevamento del veicolo tramite impiego di cuscini pneumatici di sollevamento che però "al momento della messa in pressione risultavano inefficaci per un mal funzionamento della centralina di comando", per cui si era proceduto immediatamente all'uso della pinza divaricatrice oleodinamica in dotazione. La durata complessiva delle manovre di allestimento delle attrezzature aveva richiesto circa due minuti. Poiché tuttavia la pinza divaricatrice a parità di capacità di sollevamento presentava minore stabilità e sicurezza per il personale operante, era stato richiesto l'intervento di un (...) sollevamenti dei (...) che con l'impiego di un martinetto idraulico manuale aveva messo definitivamente in sicurezza la vettura. Giova a questo punto precisare che in tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di equivalenza di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano ad una valutazione "e(...) ante" del tutto inverosimili (Cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008). In particolare, il principio dell'equivalenza delle cause (se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale) trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente desumibile dall'art. 41 c.p., comma 2, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268). Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale (e(...) multis: Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass.27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.2000 n. 5962). Per quanto attiene più da vicino la fattispecie in esame, si è osservato che il concetto di causalità sopravvenuta da sola sufficiente ad escludere il rapporto causale a norma dell'art. 41, comma secondo, cod. pen. (norma pacificamente applicabile anche in sede (...)postula necessariamente la completa autonomia del fattore causale prossimo rispetto a quello più remoto, esige comunque che il primo non sia strettamente dipendente dall'altro e che si ponga al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo dello stesso, di talché la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell'agente) ad opera di terzi non rappresenta una distinta causa che si innesti nella prima, ma solo una ovvia condizione negativa perché quella continui ad essere efficiente e operante. (Fattispecie in tema di colpevole omissione della corretta diagnosi che, se tempestivamente formulata, avrebbe consentito di salvare la vita del malato) (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 11024 del 10/06/1998). Nello stesso senso, in ambito propriamente civilistico, la S.C. ha affermato che si ha interruzione del nesso di causalità per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato) quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione (sempreché rispetto ad essa coerenti ed adeguate). (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18094 del 12/09/2005; n. 11087 del 1993, n. 11386 del 1997, n. 6640 del 1998). Ora, alla luce dei principi sopra riportati e che questo giudice condivide, non è chi non veda come non sia ravvisabile nel caso che occupa alcuna interruzione del nesso causale. In primo luogo, non sussiste prova sufficiente del fatto asseritamente interruttivo allegato dal (...) e dalla compagnia assicuratrice secondo cui la condotta omissiva dei (...) intervenuti rectius il ritardo nell'intervento di sollevamento del veicolo investitore abbia cagionato (o meglio non evitato) il decesso del (...) poiché non è possibile stabilire con sicurezza che il giovane, al momento del sopraggiungere dei (...) fosse ancora vivo. Indubbiamente può affermarsi che egli desse ancora deboli segni di vita al momento in cui si sono avvicinati i primi soccorritori (cfr. deposizioni (...) e (...), ma non si può invece ritenere con certezza che lo stesso non fosse deceduto all'arrivo del primo mezzo dei (...) del (...) (secondo la relazione del capo squadra, come si è visto, il (...) non respirava e non aveva polso). Inoltre, dal rapporto del capo squadra dei (...) emerge che una volta constatato che i cuscinetti di sollevamento non potevano funzionare (per un addotto malfunzionamento della centralina), fu tempestivamente azionata una pinza idraulica che sollevò il veicolo investitore, così raggiungendosi il medesimo risultato ottenibile mediante i cuscini pneumatici, mentre l'intervento del secondo mezzo ((...) sollevamento) fu richiesto solo per maggior sicurezza degli operanti. In secondo luogo, anche a voler ipotizzare che i (...) del (...) avrebbero potuto eseguire un intervento più tempestivo, così impedendo il decesso del (...) per soffocamento, ciò comporterebbe, per il principio dell'equivalenza causale, un concorso di cause efficienti nella determinazione del decesso della vittima e non già una interruzione del nesso causale tra la condotta di guida del (...) e la morte del giovane. Invero, un eventuale (ma come si è detto non provato) ritardo nelle operazioni di soccorso in caso di sinistro stradale non costituisce affatto una serie causale atipica ed eccezionale, ben potendosi prevedere, in base alla migliore scienza ed esperienza, che in caso di incidente molteplici e talora imponderabili siano i fattori che condizionano un tempestivo intervento di soccorso (condizioni del traffico, distanza e raggiungibilità del luogo del sinistro da parte dei mezzi di soccorso, disponibilità di tali mezzi ove non altrimenti impegnati in altre operazioni ecc.). Di tale ovvia constatazione è espressione il principio più volte affermato dalla giurisprudenza e sopra riportato secondo cui quando il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente sia ancora in atto ed in fase di sviluppo e nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, neutralizzare le conseguenze di quell'illecito, lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive purché congrue e adeguate a quella situazione. Nella fattispecie non occorre spendere ulteriori parole per rilevare che il sinistro e le conseguenze del medesimo, che hanno condotto il (...) al decesso, sono pienamente riconducibili alla distratta e negligente condotta di guida del (...) che non solo ha investito il motociclista, ma nemmeno si è reso conto di averlo trascinato per diversi metri sotto la propria autovettura prima di fermarsi. Dunque, non solo non sussiste la dedotta interruzione del nesso causale, ma nemmeno è ravvisabile un concorso di cause efficienti (condotta del conducente del veicolo, ritardo nel sollevamento del veicolo da parte dei (...) per i motivi che sopra sono stati illustrati. Per completezza deve anche sottolinearsi come il pur meritorio e lodevole intervento posto in essere dai primi soccorritori non si sia rivelato decisivo per liberare il corpo del (...) atteso che come precisato dai testi escussi in fase istruttoria il cric aveva sollevato il veicolo di soli pochi centimetri (insufficienti per liberare il giovane) e che la successiva proposta di sollevamento manuale non aveva trovato sufficienti adesioni tra i presenti, avendo alcuni temuto che lo stesso potesse cagionare un ulteriore danno alla vittima. 4. risarcimento del danno. Si esaminano qui di seguito le varie voci di danno richieste dagli attori. a) Danno tanatologico o da perdita della vita b) (...) catastrofale Va respinta la domanda di risarcimento del danno biologico derivante dalla perdita della vita della vittima richiesto dagli attori iure hereditatis. Invero la lesione dell'integrità fisica con esito letale (cd. danno tanatologico), intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere (Cass. Sentenza n. 6404 del 1998; n. 8970 del 1998; n. 12083 del 1998; n. 491 del 20/01/1999; n. 3760 del 19/02/2007). Invece, nel caso in cui tra le lesioni e il decesso intercorra un apprezzabile lasso di tempo, è configurabile un danno nel quale sono ricompresi da un lato il danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale, e dall'altro una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale) costituita dalla lucida percezione dell'approssimarsi della propria morte, che va liquidato in relazione all'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica subita sino al decesso (e quindi con riferimento al periodo di tempo compreso tra il verificarsi dell'illecito e la morte), con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18163/2007; n. 22228/2014; n. 23183/2014). Tale diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante "jure hereditatis" (Cass. n. 13066/2004; n. 24/2002; n. 3728/2002; n. 1131/1999). Da ultimo le (...) componendo un precedente contrasto emerso con la sentenza n. 1361 del 23/01/2014 (che aveva riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita della vita anche in caso di morte istantanea o dopo un breve lasso di tempo, a prescindere dalla consapevolezza che la vittima avesse avuto dell'approssimarsi imminente del proprio decesso), hanno ribadito l'indirizzo tradizionale secondo cui in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione nel primo caso dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo ((...) U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015). In altri termini, sotto il profilo della quantificazione del risarcimento, posto che trattasi di un danno alla salute che, seppur temporaneo, riveste massima intensità (tanto da aver condotto la vittima al decesso in un limitato arco di tempo), non appare ragionevole applicare sic et simpliciter i medesimi criteri tabellari che sono predisposti per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso, essendo invece necessario, in un'ottica di personalizzazione e tenuto conto della maggiore intensità della sofferenza, adottare un criterio equitativo puro. Nel caso di specie si è visto trattando della dinamica del sinistro e delle successive operazioni di soccorso che il (...) nei minuti immediatamente successivi all'urto, ebbe a dare seppur deboli segnali di vita, come riferito dai testimoni (...) e (...) (tra i primi ad intervenire). Si può anche ritenere che nel breve arco temporale tra l'urto con la vettura e il decesso, quantificabile tra i 15 e i 45 minuti (la morte è stata accertata clinicamente alle 20:40 ma secondo i (...) del (...) il (...) non dava segni di vita già al momento del loro intervento, avvenuto intorno alle ore 20:10), vi sia stato qualche minuto in cui il giovane è rimasto cosciente della sua condizione e dell'approssimarsi del decesso, come dimostra il fatto che egli abbia mosso leggermente il piede su sollecitazione del (...) Si può quindi riconoscere agli attori, in qualità di eredi, il risarcimento del danno catastrofale, liquidabile in via equitativa tenuto conto della brevità del periodo intercorrente tra sinistro e decesso, ma anche dell'elevatissima intensità della sofferenza fisica e morale della vittima in euro 50.000,00. Tale somma va ripartita tra gli eredi secondo le norme della successione legittima, non essendo stata dedotta l'esistenza di un titolo testamentario, e quindi in base all'art. 571 c.c. (concorso di genitori con fratelli o sorelle) in euro 25.000,00 in favore di (...) ed euro 12.500,00 per ciascun fratello. c) danno da perdita del rapporto parentale. E' ormai consolidato il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti di persona che in conseguenza di un fatto illecito abbia subìto gravi lesioni o sia deceduto, costituendo dato di comune esperienza che eventi di siffatta portata incidano sul diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e sulla reciproca solidarietà familiare. Quanto ai soggetti legittimati, devono considerarsi senz'altro aventi diritto al risarcimento i componenti della cd. famiglia nucleare (coniuge, figli, genitori, fratelli) mentre avuto riguardo ai parenti meno stretti (nonni, nipoti, zii, cugini, suocero e nuora, cognati), occorre fornire la prova della qualità e intensità del rapporto affettivo e quindi della perdita che la lesione o il decesso hanno comportato in termini di sostegno morale. Trattasi di danno che trova collocazione nella previsione dell'art. 2059 c.c. e che, sfuggendo ad una valutazione economica vera e propria, deve essere liquidato in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., facendo ricorso ai criteri enucleati nelle tabelle del Tribunale di (...) predisposte per evitare disparità di pronunce all'interno dell'ufficio giudiziario. Non ignora questo giudicante che con sentenza n. 12408/2011 la Suprema Corte ha riconosciuto alle tabelle milanesi la valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni contenute negli artt. 1226 e 2056 c.c., salva la sussistenza in concreto di circostanze idonee a giustificare il ricorso ad un diverso criterio, nell'ottica di assicurare una uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. Tuttavia, si ritiene che l'esigenza di garantire la parità di trattamento di casi analoghi possa essere del pari soddisfatta attraverso l'utilizzo dei parametri contenuti nella tabella uniformemente utilizzata dal Tribunale di (...) elaborata in relazione alla media dei risarcimenti liquidati in loco, secondo un sistema di risarcimento non standardizzato (come quello milanese, che offre limitati spazi di personalizzazione). (...) parte, non sussiste il diritto del danneggiato a pretendere la liquidazione del danno mediante l'applicazione di una tabella in uso a un determinato ufficio giudiziario piuttosto che in un altro (Cass. n. 1524/2010) e qualora il giudice si discosti dall'applicazione delle tabelle in uso nel proprio ufficio è tenuto a dare ragione della diversa scelta (Cass. n. 13130/2006). Le tabelle romane, nel caso di danno da perdita del rapporto parentale, prevedono un sistema di attribuzione di un punteggio numerico che varia in ragione della presumibile entità del danno, sulla base di cinque parametri di riferimento, ovvero la relazione di parentela con il de cuius (dovendo presumersi che il danno sarà tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto), l'età della vittima e l'età del congiunto (il danno sarà tanto maggiore quanto minore è l'età di vittima e congiunto, siccome il pregiudizio è destinato a protrarsi per un tempo maggiore), l'eventuale convivenza e la composizione del nucleo familiare. Si è dunque ritenuto di fare ricorso ad un sistema di calcolo non fondato su un'entità risarcitoria di base da variare in più o in meno, ma sul modello "a punto", vale a dire attribuendo un certo numero di punti per ciascuno dei parametri di riferimento sopra considerati e moltiplicando il punteggio finale per una somma di denaro (valore del punto) che costituisce il valore ideale di ogni punto di danno non patrimoniale. Per adeguare ulteriormente l'entità risarcitoria alla fattispecie concreta si è inoltre prevista la possibilità di applicare una riduzione (dal 2011 fino alla metà del punteggio complessivo) in caso di assenza di convivenza con la vittima, anche allo scopo di diversificare la posizione dei non conviventi. Il valore a punto (da moltiplicarsi, come si è detto, per un'entità numerica variabile a seconda dei cinque parametri sopra menzionati), è convenzionalmente stabilita in via equitativa, sulla base della media di un campione di decisioni adottate dal Tribunale di (...) nell'importo di euro 9.443,50. Orbene, nel procedere all'esame della fattispecie concreta sottoposta all'esame del Tribunale occorre considerare l'età della vittima (anni 28 al momento del decesso) e di quella dei congiunti ((...) anni 69; (...) anni 44; (...) anni 46), al momento dell'evento. Devesi altresì tener conto della circostanza che, come risulta dalle deposizioni testimoniali di (...) e (...) coniugi dei fratelli della vittima, quest'ultima abitava da solo pur mantenendo stretti rapporti sia con la madre che con i germani. Pertanto, alla luce dei criteri sopra menzionati appare equo liquidare: in favore di (...) la somma complessiva di euro 245.531,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 26, ovvero punti 20 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 2 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite); in favore di (...) la somma complessiva di euro 132.209,00 (Euro 9.443,50 quale valore del punto moltiplicato per 14, ovvero punti 7 per il rapporto di parentela, punti 4 per l'età della vittima, punti 3 per l'età del congiunto superstite). Occorre altresì precisare che in detto importo, così liquidato, è già ricompreso il danno esistenziale, atteso che le tabelle romane per la liquidazione del danno da morte tengono in considerazione le conseguenze pregiudizievoli di natura esistenziale che discendono dalla perdita del congiunto, sicché il riconoscimento di ulteriori importi darebbe luogo ad una indebita duplicazione risarcitoria. Non sono state dimostrate particolari peculiarità del caso concreto suscettive di richiedere una ulteriore personalizzazione nel risarcimento del danno. d) danno patrimoniale da perdita di futuro contributo economico. (...) chiede inoltre il danno conseguente agli aiuti economici "che sicuramente il figlio le avrebbe assicurato durevolmente e spontaneamente", compreso quello inerente alla promessa di regalarle una casa. In realtà dall'istruttoria di causa non emergono elementi, nemmeno indiziari, che possano far ritenere che il figlio in futuro avrebbe destinato parte dei propri risparmi alla madre. In primo luogo, per la precarietà dei vari lavori che egli saltuariamente svolgeva (molti dei quali allegati ma non provati) e che fanno emergere una situazione economica del medesimo ancora tutta da definirsi, anche in considerazione della giovane età e del campo lavorativo prescelto (spettacolo, doppiaggio). In secondo luogo, perché non è stato provato che già in precedenza il de cuius avesse elargito del denaro o altre prestazioni in favore della madre (la quale presta attività lavorativa e convive con altro uomo, come indicato nell'atto introduttivo del giudizio). La domanda sotto tale profilo deve quindi essere disattesa. e) danno psichico iure proprio di (...) la relazione peritale svolta in fase istruttoria, adeguatamente motivata e priva di errori o vizi logici e che quindi si condivide pienamente, la sig.ra (...) ha sviluppato una sindrome depressiva con sicure caratteristiche di consistenza e di persistenza a causa dell'esperienza di lutto sofferta a seguito della prematura scomparsa del figlio (...) presentando dunque una sindrome depressiva cronica che per caratteristiche ed entità costituisce stabile menomazione della integrità psicofisica riconducibile ad un danno biologico parziale permanente del 15% (quindici per cento). Sempre applicando le tabelle romane predisposte per la liquidazione del danno biologico, tenuto conto dell'età della (...) all'epoca in cui presumibilmente la patologia ha avuto origine e quindi con riferimento all'epoca del decesso del figlio (anni 69), nonché considerando il grado di invalidità permanente (15%), si giunge alla liquidazione dell'importo, ai valori attuali, di euro 24.347,29. f) riepilogo degli importi dovuti. Riassuntivamente avremo quindi i seguenti importi risarcitori: (...) la somma complessiva di euro 295.062,29 (245.531,00 + 24.531,29 + 25.000,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00); (...) la somma complessiva di euro 144.709,00 (132.209,00 + 12.500,00). Gli importi così liquidati non superano il massimale di polizza, sicché non si pone un problema di riduzione del risarcimento e ripartizione del massimale tra gli aventi diritto. g) detrazione degli acconti ricevuti e liquidazione finale. Costituisce dato pacifico che la compagnia ha già corrisposto in data 30 ottobre 2012 euro 200.000,00 in favore di (...) ed euro 63.000,00 per ciascun fratello della vittima, somme da costoro trattenute a titolo di acconto sul maggior avere. La Suprema Corte (Cass. n. 1163 del 5.2.1998) ha stabilito che in materia di risarcimento del danno da illecito civile, qualora il responsabile (od il suo assicuratore), nelle more tra l'illecito e la definizione del giudizio di risarcimento, corrisponda al danneggiato un acconto sul risarcimento dovuto, il giudice deve: a) o sottrarre l'acconto dall'ammontare del risarcimento calcolato con riferimento al momento del sinistro, e quindi rivalutare la differenza; b) oppure rivalutare l'acconto già pagato e sottrarlo dall'ammontare del risarcimento liquidato in moneta attuale (Cass. n. 1163/98). Più di recente, confermandosi tale orientamento, si è precisato che "qualora, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso un'operazione che consiste, preliminarmente, nel rendere omogenei entrambi (devalutandoli, alla data dell'illecito ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione), per poi detrarre l'acconto dal credito e, infine, calcolando, gli interessi compensativi finalizzati a risarcire il danno da ritardato adempimento sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, solo sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto rivalutato, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva" (Cass. n. 6347 del 19/03/2014). Ciò posto, rivalutando l'acconto di Euro 200.000,00 corrisposto alla (...) all'attualità si ottiene l'importo di Euro 203.200,00 mentre rivalutando quello corrisposto a ciascuno dei fratelli del de cuius si ottiene l'importo di euro 64.008,00. Tali importi vanno dunque detratti alle somme sopra indicate a titolo di liquidazione del danno, pervenendosi infine all'importo da liquidarsi, sempre ai valori attuali, in Euro 91.862,29 per la (...) e di euro 80.701,00 per ciascun germano. Per quanto concerne gli interessi dovuti per il ritardo nel pagamento (ovvero per il lucro cessante conseguente al mancato godimento della somma dalla data del fatto illecito alla liquidazione del danno), escludendosi la possibilità di porre a base del calcolo la somma già rivalutata all'attualità, occorre procedere come segue: a) gli interessi vanno computati sulla sorte capitale come sopra liquidata e svalutata all'epoca del fatto illecito, quindi rivalutata anno per anno secondo gli indici (...) b) il tasso di interesse da applicare (non sussistendo elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo delle somme in questione) è pari al rendimento medio degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma; c) gli interessi vanno calcolati sull'intero capitale per il periodo intercorrente tra la data del fatto al pagamento dell'acconto e quindi solo sulla somma residua dopo detratto l'acconto per il periodo successivo fino alla liquidazione definitiva. Poiché l'entità risarcitoria, una volta liquidata, assume natura di debito di valuta, dalla data della pubblicazione della presente sentenza a quella dell'effettivo pagamento decorrono gli interessi legali sulla somma complessiva come sopra liquidata. Le spese di giudizio sostenute dagli attori vanno poste a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e della (...) in ossequio al principio di soccombenza, mentre appare opportuno disporne l'integrale compensazione tra le parti quanto ai rapporti con il (...) stante l'oggettiva complessità delle questioni affrontate. Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico dei convenuti (...) dei (...) s.r.l. e (...)". Par. 2.1 Con l'atto di appello (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno formulato le seguenti conclusioni: " Piaccia all'(...)ma Corte di Appello di (...) ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, confermate le parti della sentenza impugnata non censurate, accogliere per tutti i motivi dedotti in narrativa l'appello proposto e, per l'effetto, in parziale riforma nei punti indicati nella parte motiva della sentenza n. (...)/2017, emessa dal Tribunale di (...) all'esito del giudizio r.g. n. 20990/2014, pubblicata il (...) e non notificata, accogliere le conclusioni avanzate in prime cure all'udienza di precisazione delle conclusioni del 20.7.2017, che si riportano: in via istruttoria, per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015; nel merito, chiedendo l'applicazione delle (...) di liquidazione del danno del Tribunale di Milano: ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, accertata e dichiarata la esclusiva responsabilità del sig. (...) conducente l'autovettura di proprietà dell'(...) dei (...) S.r.l., nel verificarsi del sinistro che ha provocato in data 19 luglio 2011 la morte di (...) condannare i convenuti in solido, e con riferimento all'(...) S.p.a. Div. RAS anche ultra massimale, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; per l'ipotesi che venga accertato che il sinistro non è causa unica o esclusiva della morte di (...) e che la stessa sia attribuibile in tutto o in parte alla responsabilità del (...) chiamato in causa, condannare lo stesso (...) in solido con i convenuti, all'integrale risarcimento agli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da costoro subiti in seguito ai fatti di causa, sia iure proprio che iure hereditatis ivi compresi i danni per la perdita delle chances evidenziate nell'atto introduttivo , sotto tutti gli aspetti risarcibili, nella misura che sarà accertata e quantificata in corso di causa e comunque nella misura ritenuta di giustizia in esito agli accertamenti istruttori; in ogni caso, oltre a tutti i danni da quantificarsi utilizzando il valore dei beni perduti al momento del fatto illecito espresso poi in termini monetari tenendo conto della svalutazione intervenuta al momento dell'emissione della sentenza definitiva , condannare in solido i convenuti e il terzo chiamato in causa al pagamento degli interessi compensativi del mancato godimento della somma liquidata, interessi da calcolarsi, secondo i principi della richiamata sentenza n.21396/2014 Cass., nella misura scelta in via equitativa dal Giudice e da applicarsi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e il credito espresso in moneta dell'epoca dell'illecito, ovvero da calcolarsi nella diversa somma ritenuta di giustizia, a decorrere dalla data in cui si sono verificati i danni a quella di liquidazione, oltre interessi legali sull'intera somma così liquidata dalla data di liquidazione al saldo. In ogni caso, con vittoria dei compensi e delle spese di causa, ivi comprese quelle di CTU e di (...) Con vittoria dei compensi e delle spese anche del presente grado di giudizio". Par. 2.2 (...) s.p.a., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello. Ha inoltre proposto appello incidentale formulando le seguenti conclusioni: "1) disattesa ogni contraria istanza: 2) in via principale e nel merito: rigettare l'appello come proposto siccome infondato in fatto ed in diritto oltre che non provato; 3) in accoglimento dell'appello incidentale qui svolto da (...) accertare e dichiarare il concorrente contributo causale nella determinazione dell'e(...)itus da parte degli agenti del (...) dell'(...) ((...) e (...) del (...), con determinazione della rispettiva quota di responsabilità e, conseguentemente, condannare il (...) in persona del ministro pro tempore: al risarcimento del danno per quanto di responsabilità dei suoi dipendenti (in ciò tenendo conto del grado di colpa che sarà affermato); a manlevare i convenuti per il loro, residuo grado responsabilità; al conseguente versamento in favore di (...) pro quota, delle somme che saranno ritenute dovute in considerazione dell'accertato concorso di colpa, tenendo conto che la deducente ha già provveduto al pagamento, in favore degli appellanti, della complessiva somma di euro 631.833,00 (di cui euro 326.000,00 ante causam, ed euro 305.833,07 post sentenza di prime cure); ovvero, in via alternativa, con condanna degli appellanti alla restituzione delle somme percepite in eccesso rispetto a quanto risulterà provato e dovuto in considerazione del richiamato concorso di colpa; 4) con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre accessori di legge". Par. 2.3 (...) dei (...) s.r.l., costituitasi con comparsa di risposta depositata il (...), ha formulato le seguenti conclusioni: "in rito in via principale, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo dei requisiti di forma previsti e richiesti a pena di inammissibilità dell'art. 342 c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; in rito in via subordinata, ove non fosse accolta la eccezione che precede, accertare e dichiarare che l'avverso atto di appello è privo di una ragionevole probabilità di essere accolto e(...) art. 348 bis c.p.c. e per l'effetto dichiararne la inammissibilità; con vittoria di spese e compenso professionale; nel merito, accertare e dichiarare la infondatezza dei motivi di appello proposti dagli odierni appellanti, (...) ed (...) ed (...) e per l'effetto respingere in toto l'avverso atto di appello e di gravame; con vittoria di spese e compenso professionale. (...) l'obbligo di manleva della compagnia (...) s.p.a. nei riguardi della odierna comparente e con riguardo a qualsiasi somma che a qualsiasi titolo quest'ultima fosse condannata ad esborsare in relazione al giudizio de quo". Par. 2.4 (...) dell'(...) (...) dei (...) del (...) del (...) e della Difesa Civile e (...) dei (...) del (...) di (...) costituitosi con comparsa di risposta depositata il (...), ha resistito all'impugnazione e ha chiesto il rigetto dell'appello formulando le seguenti conclusioni: " Voglia Codesta Corte di Appello: dichiarare l'inammissibilità dell'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e (...) e dell'appello incidentale proposto dalla (...) in subordine, rigettare, perché infondati, l'appello principale proposto dai (...)ri (...) e (...) e l'appello incidentale proposto dalla (...) Con vittoria delle spese di lite". Par. 2.5 All'udienza del 25/09/2018 è stata dichiarata l'interruzione del processo per l'intervenuto decesso di (...) Par. 2.6 Con ricorso e(...) art. 303 c.p.c. (...) in proprio e quali eredi di (...) hanno riassunto il giudizio, notificando detto ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza anche impersonalmente agli eredi del (...) che non si sono costituiti in giudizio. Par. 2.7 All'odierna udienza i difensori delle parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi ai rispettivi scritti, e hanno discusso oralmente la causa. Par. 3.1 Con il primo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "omessa pronuncia sui danni da perdita di chance per (...) e per (...)". In particolare, quanto alla vittima, si deduce che si sarebbe trovato in un momento particolarmente propizio della sua carriera, caratterizzato da importante crescita professionale; per lui, dunque, si sarebbero avverati i presupposti per ottenere i risultati professionali da tempo attesi, impediti dalla condotta illecita che lo ha portato alla morte. Così come quest'ultima condotta avrebbe comportato la perdita delle chance di sopravvivenza, atteso il mancato approntamento di strumenti immediati ed idonei per salvarlo. Quanto alla madre della vittima ci si duole della perdita, a seguito del decesso del figlio, di concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire nel prossimo futuro consistenti apporti economici da costui. La censura è infondata. La risarcibilità del danno da perdita di chance richiede, come noto, i consueti presupposti di serietà, apprezzabilità, concretezza e certa riferibilità eziologica della suddetta perdita alla condotta in rilievo. Orbene, il consulente tecnico del P.M. ha precisato che il decesso di (...) non è stato causalmente riconducibile all'urto patito, che non ebbe a determinare lesività fisiche ai fini del determinismo della morte; bensì da insufficienza respiratoria acuta da compressione del torace causata dalla autovettura guidata dal (...) che, investitolo, lo aveva bloccato sotto di sé; ciò posto deducono gli appellanti principali che la vittima avrebbe certamente potuto salvarsi se i soccorsi non fossero arrivati in ritardo e se, una volta giunti, non si fossero presentati con le bombole del gas per azionare i gonfiabili scariche, sicché il sollevamento della autovettura investitrice, con conseguente liberazione del corpo della vittima, sarebbe avvenuto troppo tardi, con l'arrivo del secondo mezzo dei vigili del fuoco, quando il (...) bloccato ormai da tempo in stato di respirazione fortemente dispnoica, era infine ormai deceduto. Invero, alcun ritardo o negligenza appare addebitabile ai soccorsi, atteso che, come risulta dal rapporto di intervento n. 26292/1 del 19 luglio 2011, i vigili del fuoco, chiamati alle 20,05 e partiti alle 20,06, giunsero sul luogo del sinistro, distante 7 Km, alle ore 20,11 e procedettero immediatamente a sollevare l'autovettura mediante l'uso di un martinetto idraulico manuale. Premesso che tale rapporto già di per sé integra gli estremi dell'atto pubblico, condividendone pertanto l'efficacia probatoria privilegiata (cfr. Cass. sez. III, n. 13223 del 27 giugno 2016; Cass. civ., sez. III, n. 8999 del 6 maggio 2015), la tempestività dell'intervento e la sua efficacia è comunque confermata dalla relazione conclusiva delle indagini di polizia giudiziaria eseguite dalla (...) prot. n. 3249 del 18 gennaio 2012. In essa, infatti, si precisa, nel paragrafo rubricato "(...) esperiti in sede di sopralluogo", che la prima squadra dei vigili del fuoco arrivò, per l'appunto, "verso le ore 20,10" e che fu essa "a sollevare l'autovettura con apposita attrezzatura". Quanto alla lamentata perdita di chance di carriera, in tal caso, piuttosto che il difetto di riferibilità eziologica, appare rilevante l'assenza dei presupposti di serietà, apprezzabilità e concretezza. Infatti, la carriera di doppiatore di (...) era appena cominciata da due anni, sicché nonostante i lusinghieri commenti rilasciati dai colleghi con dichiarazioni scritte versate in atti (doc. 16 24 fascicolo attoreo), essa appariva ancora del tutto in nuce, come comprovato dalle dichiarazioni dei redditi, le quali se pur migliori rispetto agli anni passati, erano comunque contenute, evidenziando introiti di poco superiori ai 20.000,00 euro annui (doc. 12 fascicolo attoreo). Del resto nelle suddette dichiarazioni scritte dei colleghi, al di là di generiche affermazioni al riguardo, non si specificano quali sarebbero state le attività di doppiatore effettivamente in corso in quel momento o che comunque la vittima si sarebbe accinta a compiere; a riprova che, per quanto talentuoso, il suo lavoro era ancora saltuario. Sicché prendere a parametro i guadagni di professionisti già affermati nel campo (v. doc. 43, 44 e 45 fascicolo attoreo) appare incongruo, ed asserire che la vittima avesse "davanti una vita non comune, con il successo alle porte" risulta eccessivo. Dal rigetto della asserita perdita di chance di carriera per (...) deriva di riflesso anche quella della asserita perdita di chance economiche della madre (...) atteso che quest'ultima chance secondo la stessa prospettazione degli appellanti principali non sarebbe stata altro che la conseguenza della prima. Tanto più che non vi è prova che il defunto aiutasse la madre, la quale aveva comunque una vita autonoma ed un compagno. Par. 3.2 Con il secondo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la carente personalizzazione del danno non patrimoniale, atteso che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valorizzato la peculiarità del caso concreto. La censura, per come formulata, è infondata (...) al riguardo gli appellanti principali che "avere del tutto trascurato l'esame delle circostanze che sostanziano i danni per le perdite di chance" renderebbe evidente che non sarebbero state "considerate tutte le eccezionali circostanze del caso concreto e che non sia stata quindi valutata l'effettiva consistenza di tutti i danni subiti dagli attori". In particolare, si deduce che "non solo della morte di un ragazzo di 28 anni in ottima salute si tratta, ma di questa morte, in questo modo e in questo momento della sua vita anche professionale. E proprio queste peculiarità hanno reso enormi le sue sofferenze e insuperabili le sofferenze di chi lo ha amato". Orbene, appare evidente che l'asserito difetto di personalizzazione del danno non patrimoniale non può essere trattato autonomamente, pena una indebita duplicazione delle voci risarcitorie, ma che dovrà essere affrontato, piuttosto, nella disamina dei diversi aspetti di tale danno riconosciuti dal giudice di prime cure, ossia il c.d. danno catastrofale, il danno da perdita di rapporto parentale ed, infine il danno psichico, su cui gli appellanti principali hanno formulato specifici motivi di doglianza lamentando la loro liquidazione, ritenuta, per l'appunto, del tutto riduttiva. Par. 3.3 Con il terzo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando "il mancato riconoscimento del danno da perdita della vita". Si deduce al riguardo che l'irrisarcibilità del danno da perdita della vita immediatamente conseguente come nel presente caso alle lesioni di un fatto illecito appare superato dal dibattito dottrinario, nel quale: sono state considerate interne al sistema anche la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile; è stato considerato che comunque nel rispetto della funzione compensativa del risarcimento del danno da perdita della vita, tale diritto accrescerebbe il patrimonio ereditario della vittima; è stato considerato che la lesione mortale interviene quando la vittima è in vita e può quindi soffrire il danno ingiusto provocatole da tale lesione, il cui processo causale si concluderebbe proprio con la morte; è stato considerato che nell'illecito che abbia provocato il decesso verrebbe menomata una capacità dell'individuo, ossia la sua attitudine alla sopravvivenza e, così configurato il pregiudizio per la lesione del diritto alla vita, si rimarrebbe nella dimensione tipica del danno conseguenza. La censura è infondata. Come noto, a seguito della morte sopraggiunta dopo lesioni personali e da esse provocata, la vittima può acquisire un diritto al risarcimento del danno da perdita di vita (rectius, danno biologico terminale), trasmissibile agli eredi, soltanto se sia sopravvissuta per un tempo apprezzabile, anche se incosciente. E ciò perché in tal caso si risarcisce la oggettiva forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità. Sicché per un verso quel che rileva è la perdita in sé, e non anche la consapevolezza di essa; e per l'altro è necessario che la vita, sia pur menomata, prosegua quel tanto da determinare che la lesione si possa riflettere in una concreta perdita delle attività realizzatrici dell'individuo nel suo ambiente di vita. In particolare, la durata apprezzabile minima della sopravvivenza è ritenuta essere 24 ore, atteso che per risalente convenzione medicolegale il danno alla salute da invalidità temporanea si apprezza in giorni e non in frazioni di esso; infatti, sarebbe un esercizio meramente teorico pretendere di dare un peso monetario alle attività di cui la vittima è stata privata durante un periodo di sopravvivenza protrattosi per poche ore o per pochi minuti (in particolare, v. Cass. civ., sez. III, ord. n. 18056 del 5 luglio 2019; da ultimo, Cass. civ., sez. III, ord. 1627 dell'8 giugno 2023). Pertanto, atteso che nel presente caso la sopravvivenza della vittima si è protratta per pochi minuti (sul punto v. amplius il seguente paragrafo Par. 3.4), non può ritenersi integrato l'invocato danno "da perdita della vita". Par. 3.4 Con il quarto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una inadeguata quantificazione del c.d. danno morale catastrofale, atteso che il primo giudice avrebbe sia sottostimato l'intensità della lucida agonia, che, per un soggetto che soffriva da anni dell'emergere di angosce ipocondriache innescate talvolta da ansia somatizzata con difficoltà respiratorie, sarebbe stata, per le modalità del fatto, "la massima (...) concepibile"; sia sottostimato il periodo di lucida agonia, atteso che a fronte di un incidente verificatosi poco prima delle ore 20.00 l'unico dato sicuro è che la morte è stata ufficialmente constatata soltanto alle ore 20.40. La censura è infondata. Nella relazione prot. n. (...) del 20 novembre 2014 redatta da (...) responsabile della squadra dei vigili del fuoco che operò l'intervento di soccorso, ritualmente prodotta dall'Avvocatura dello Stato, è precisato che all'arrivo la vittima, che si trovava incastrata sotto la vettura, non presentava " alcun segno vitale quale respirazione e polso carotideo". E' ben vero che trattasi di relazione redatta a chiarimenti a processo in corso e dopo oltre tre anni dallo svolgimento dei fatti, sicché ad essa non può attribuirsi la forza probatoria privilegiata del verbale di intervento, ove tale specificazione non era contenuta. Tuttavia, premesso che il suddetto verbale è costituito da un formulario standard che non appare consentire una siffatta specificazione (sicché tale assenza non è di per sé incompatibile con la veridicità delle successive dichiarazioni scritte), deve essere evidenziato che in effetti già poco prima dell'intervento dei vigili del fuoco un passante presente sul posto non aveva più rinvenuto segni vitali sul (...) (v. sommarie informazioni testimoniali rese e(...) art. 351 c.p.p. da (...) "mi sono preoccupato di fare qualcosa per la persona sotto la macchina, che, nonostante gli parlassi, non dava segni di vita"). Ciò rende plausibile ritenere che i segni di vita percepiti dai privati cittadini per primi intervenuti, ed in particolare da (...) (v. s.i.t. del 4 ottobre 2011) e da (...) (v. s.i.t. del 29 settembre 2011), siano da circoscrivere ai momenti immediatamente successivi al sinistro, verificatosi qualche minuto prima delle 20.00; e che in poco tempo, e comunque prima dell'arrivo dei vigili del fuoco alle 20.11, fossero già scomparsi come riferito dal (...) così corroborando la dichiarazione scritta del capo squadra dei soccorritori. Peraltro, premesso che la data formale di constatazione della morte non coincide necessariamente con il momento effettivo della stessa tanto più nel presente caso ove è circostanza pacifica in atti che l'autoambulanza con il personale medico giunse sul posto soltanto successivamente alle 20.30 , deve altresì essere evidenziato che tra coloro che percepirono segni di vita del (...) fu soltanto il (...) ad aver ottenuto una risposta cosciente della vittima ("avvicinandomi a lui lo sollecitavo a muovere un piede, cosa che faceva, anche se in maniera lieve"); ma già il (...) non percepì risposte del genere ("il predetto, però, non rispondeva alle mie domande"). In conclusione, appare ragionevole desumere, sulla scorta delle circostanze suddette, che la sopravvivenza si sia protratta al massimo poco più di 10 minuti, ossia tra qualche minuto prima delle 20.00 e l'arrivo dei vigili del fuoco verso le 20.10; e che durante questo lasso temporale la vittima ha manifestato segni di coscienza assai labili. Pertanto, pur sussistendo gli estremi per il riconoscimento del danno morale catastrofale, la liquidazione del primo giudice pari ad Euro 50.000,00 appare congrua rispetto al tempo minimo di sopravvivenza ed alla limitata caratterizzazione dei segni di coscienza e consapevolezza. Par. 3.5 Con il quinto motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza per una riduttiva liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale, sia per una sua inadeguata personalizzazione, conseguenza della mancata ammissione delle prove testimoniali richieste; sia per l'utilizzazione delle tabelle previste dal Tribunale di (...) anziché di quelle del Tribunale di Milano. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove testimoniali, che avrebbe impedito, fra l'altro, di far emergere le eccezionali conseguenze subite dagli attori/odierni appellanti principali, si rinvia al successivo paragrafo Par. 3.8, ove si tratta lo specifico motivo di doglianza. Quanto all'uso delle tabelle del Tribunale di (...) si osserva che in merito al criterio equitativo da utilizzarsi per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di rapporto parentale, la S.C. ha affermato il seguente consolidato principio di diritto: "al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (Cass. civ., sez. III, n. 10579 del 21 aprile 2021). Orbene, al tempo della decisione impugnata (e fino al giugno 2022) le tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita di relazione parentale non seguivano ancora il meccanismo del punto variabile, bensì quello a forbice; e pertanto all'epoca della aestimatio dei danni in questione erano maggiormente conformi al predetto principio di diritto le (...) del Tribunale di (...) la cui applicazione nel caso specifico, pertanto, non è in alcun modo censurabile (Cass. civ., sez. III, n. 11689 dell'11 aprile 2022). Par. 3.6 Con il sesto motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza per l'omesso riconoscimento in suo favore del danno patrimoniale futuro da perdita del contributo economico che le avrebbe garantito il figlio (...) Al riguardo ci si duole della mancata ammissione delle prove testimoniali volte a dimostrare l'esistenza tra madre e figlio di un ménage familiare di reciproco scambio e sostegno nonché il momento particolarmente propizio per la carriera della vittima e le connesse importanti possibilità anche economiche, peraltro avendo il primo giudice erroneamente omesso di valorizzare le prove documentali già presenti e rilevanti in tal senso. La censura è infondata. Quanto alla mancata ammissione delle prove orali, si rinvia al prossimo Par. 3.8, specifico sul punto. Relativamente alle prove documentali che sarebbero state ingiustamente disattese, invero gli appellanti principali richiamano quelle già invocate in materia di danno da asserita perdita di chance di cui al primo motivo di appello, la cui limitata valenza euristica invero è già stata vagliata nella seconda parte del precedente Par. 3.1., a cui anche in tal caso si rinvia. Par. 3.7 Con il settimo motivo di impugnazione, l'appellante principale (...) censura la gravata sentenza, lamentando, a seguito di un acritico recepimento da parte del primo giudice delle conclusioni del (...) una riduttiva liquidazione del danno psichico, atteso che l'ausiliario del giudice non avrebbe tenuto in alcun conto dei risvolti pregiudizievoli di carattere esistenziale. La censura è infondata. Il danno psichico è quella forma di danno biologico che consiste in una alterazione delle funzioni psichiche accertabile mediante criteri medicolegali. Ciò posto, come qualsiasi danno biologico esso è rilevante soltanto se implica una riduzione delle potenzialità realizzatrici della persona, sia rispetto al suo ambiente di vita che ai rapporti interpersonali; infatti, sono proprio tali conseguenze pregiudizievoli il necessario presupposto per la risarcibilità dell'evento lesivo della salute. Ne consegue che la liquidazione secondo il valore monetario base, espressione di una valutazione media uniforme, già ingloba quelle conseguenze negative sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato che secondo l'id quod plerumque accidit sono da ritenersi normali ed indefettibili, ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire (Cass. civ., sez. III, n. 8127 del 23 aprile 2020). Ai fini dell'aumento per la personalizzazione, la vittima avrebbe dovuto dimostrare, dunque, di aver subito conseguenze anomale o del tutto peculiari, eccedenti tale ordinarietà (cfr. Cass. civ., sez. VI 3, ord. n. 5865 del 4 marzo 2021). In tal senso l'appellante principale rinvia alla (...) ove viene evidenziato che insieme alla sindrome depressiva scaturita dall'incapacità di elaborazione del lutto coesistono "spunti ansiosi e ossessivi", tali da determinare "importanti risvolti negativi (...) non solo come sofferenza individuale, ma anche come sofferenza sociale". Tuttavia, trattasi di aspetto che il CTU non ha omesso di valutare ("il contenuto sintomatologico è di tipo prevalentemente depressivo con qualche spunto di tipo ansioso ed ossessivo, come non infrequente in siffatti profili psicopatologici"), e che, pertanto, deve ritenersi essere già stato preso in considerazione dal medesimo ai fini della quantificazione, a monte, dello stesso grado di invalidità nella misura del 15%. Par. 3.8 Con l'ottavo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando la mancata ammissione di prove testimoniali da ritenersi invece rilevanti per dimostrare compiutamente, anche in termini di personalizzazione, tutte le componenti dei danni patrimoniale e non patrimoniale per cui essi hanno agito in giudizio. La censura è infondata. Nell'atto di appello, al riguardo, si insta "per l'ammissione di tutte le richieste istruttorie di cui al verbale di udienza del 21.10.2015". Orbene, le richieste di prove orali, articolate con mero rinvio alle circostanze così come capitolate negli atti di causa e non specificamente riprodotte in questa sede (...)possono essere accolte, atteso che "In osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado" (Cass. civ., sez. III, ord. n. 16420 del 9 giugno 2023). Par. 3.9 Con il nono motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una omessa pronuncia sulla richiesta di condanna ultramassimale della compagnia assicuratrice per asserita mala gestio impropria. La censura è inammissibile; infatti, in ragione del rigetto dei precedenti motivi di gravame, l'entità risarcitoria riconosciuta è ampiamente contenuta nel massimale assicurato, sicché ne consegue la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare in parte qua. Par. 3.10 Con il decimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando il mancato riconoscimento di alcune spese, quantificate complessivamente in Euro 7.750,67. In particolare, il dettaglio delle somme richieste è contenuto nelle note difensive conclusionali autorizzate, depositate il 7 gennaio 2022, di seguito ritrascritto: "Euro 3.500,67 per spese funebri (fattura n. 443 del 20.08.2011 doc. 36 fascicolo di primo grado): Euro 2.420,00 per spese del (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 35 fascicolo di primo grado); Euro 610,00 per anticipo spese al (...) (fattura n. 19 del 20.1.2016 doc. 56 fascicolo di primo grado); Euro 1.220,00 per spese del (...) (fattura n. 31 dell'1.3.2016 doc. 55 fascicolo di primo grado)". La censura è infondata. Orbene, come risulta dal suddetto dettaglio, trattasi di fatture, le quali non comprovano anche l'effettivo esborso. Invero, con specifico riferimento alle (...) la S.C. ha statuito che "la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell'avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova dell'effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione" (Cass. civ., sez. I, n. 4357 del 25 marzo 2003). Al riguardo occorre allora ulteriormente precisare che la fattura n. 91 del 21 maggio 2012 non può essere rimborsata, attenendo non al presente procedimento civile, bensì al procedimento penale nei confronti del (...) Mentre le spese di cui alla fattura n. 31 del 1° marzo 2016, che attengono al presente procedimento, sono state comunque liquidate dal primo giudice, anche se in maniera ridotta (Euro 600,00 anziché Euro 1.226,00), ma ciò in base all'esercizio di un potere del tutto legittimo del giudicante, che è quello di verificare la congruità dell'importo (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 3380 del 20 febbraio 2015). Par. 3.11 Con l'undicesimo motivo di impugnazione, gli appellanti principali (...) e (...) censurano la gravata sentenza, lamentando una liquidazione eccessivamente ridotta delle spese di lite, che sarebbero inferiori ai minimi tabellari. La censura è infondata. Tenuto conto del decisum, ossia Euro 91.862,29 in favore di (...) ed Euro 80.701,00 ciascuno in favore di (...) e (...) oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, doveva applicarsi il sesto scaglione (superiore ad Euro 260.000,00); secondo le tabelle del D.M. n. 55/2014, all'epoca non ancora aggiornate, i minimi ammontavano ad Euro 12.678,00. Conseguentemente, pur computando l'aumento, comunque non obbligatorio ("il compenso unico può di regola essere aumentato"), del 20% per ogni soggetto ulteriore al primo avente la medesima posizione processuale (art. 4, comma 2, D.M. cit.), il compenso finale di Euro 18.000,00 riconosciuto dal primo giudice, anche se per poco, non è inferiore ai predetti minimi comprensivi di siffatto aumento. Laddove tale quantificazione appare congrua tenuto conto, per un verso, della notevole divergenza tra quanto richiesto (Euro 2.600.000,00) ed il decisum e, per l'altro, della circoscritta entità del superamento del precedente quinto scaglione. Par. 4 Con unico motivo di impugnazione, l'appellante incidentale (...) s.p.a. censura la gravata sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto "la corresponsabilità del (...) per il fatto e la colpa, anche omissiva, dei propri dipendenti, nella causazione del decesso di (...) e/o nell'aggravamento delle sue conseguenze". Preliminarmente debbono essere rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dall'Avvocatura di Stato. Quanto alla prima, ossia al non essere stato l'appello incidentale notificato al (...) dell'(...) devesi evidenziare che dal verbale della prima udienza del 26 settembre 2018 non risulta alcuna declaratoria di contumacia di tale ente, bensì esclusivamente la pronuncia di sospensione del giudizio per sopravvenuta comunicazione del decesso della parte (...) mentre nella successiva udienza del 25 giugno 2019 il (...) risulta regolarmente costituito. Tanto più che nella comparsa di costituzione l'Avvocatura dello Stato ha comunque ampiamente preso posizione contro tale gravame, sicché qualsivoglia eventuale irregolarità deve comunque ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo e(...) art. 156 c.p.c. Quanto alla seconda eccezione, anche se il primo giudice nell'escludere il concorso causale dell'(...) ha pronunciato su domanda proposta da soggetti diversi dalla (...) s.p.a., la legittimazione di quest'ultima ad impugnare la sentenza di primo grado in parte qua deriva dalla circostanza che essa potrebbe subire un aggravamento della propria responsabilità indennitaria dall'accoglimento dell'appello principale (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. n. 10477 del 17 aprile 2024). Tanto premesso in rito, nel merito la censura è infondata. Al riguardo può rinviarsi a quanto già argomentato nella prima parte del Par. 3.1 sulla assenza in capo alla vittima del danno da asserita perdita della chance di sopravvivenza. Par. 5 In conclusione, debbono essere rigettati tanto l'appello principale quanto l'appello incidentale. Par. 6 Le spese di lite del grado vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della generale complessità degli accertamenti oggetto di causa. Ai sensi dell'art. 13, comma 1quater, d.P.R. n. 115/2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti principali e dell'appellante incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettata, a norma del comma 1bis, medesimo art. 13. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) e (...) nonché sull'appello incidentale proposto da (...) s.p.a., avverso la sentenza n. (...)/2017 emessa dal Tribunale ordinario di (...) e pubblicata il (...), così provvede: a) rigetta l'appello principale; b) rigetta l'appello incidentale; c) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite del grado; d) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002 a carico sia degli appellanti principali (...) e (...) sia dell'appellante incidentale (...) s.p.a.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6640 del 2022, proposto dalla società Ho. Mi. di Fo. Er. e Ri. Ri. & C Snc, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Al. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Gr. & Associati S.r.l. in Roma, corso (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Fo. Na., rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avvocati An. Mu. e An. Ba., con domicilio digitale presso i medesimi in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma; per la riforma delle ordinanze del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, sezione seconda, del 13 luglio 2022, n. 544, e del 27 luglio 2022, n. 608, rese tra le parti, e la conseguente nomina di un commissario ad acta; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. Na. Fo.; Visti tutti gli atti della causa; Vista la sentenza non definitiva del 10 febbraio 2023, n. 1470; Viste le ordinanze collegiali del 22 marzo 2023, n. 2900, e del 6 giugno 2023, n. 6083; Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2024 il cons. Francesco Guarracino e uditi per le parti l'avv. La. Ma., in sostituzione dell'avv. Al. Ma., l'avv. An. Mu. e l'avv. An. Ba.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. - Con sentenza n. 96 del 2022 il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna accertava l'illegittimità del silenzio del Comune di (omissis) sulla diffida della società Ho. Mi. di Fo. Er. e Ri. Ri. & C S.n. c. in data 30 luglio 2021 a portare a esecuzione l'ingiunzione di demolizione, n. 114 del 23 giugno 1999, delle opere realizzate in difetto di titolo edilizio nel limitrofo Ho. Fo. e dichiarava il conseguente obbligo dell'Amministrazione comunale di provvedere mediante l'adozione degli atti e il compimento delle operazioni materiali all'uopo occorrenti sotto la responsabilità del dirigente o funzionario preposto. 2. - Col ricorso in epigrafe la società Ho. Mi. ha appellato l'ordinanza interlocutoria n. 544 del 2022 e l'ordinanza n. 608 del 2022 con cui il T.A.R. Emilia Romagna non ha accolto l'istanza di nomina di un commissario ad acta perché, in sostituzione del Comune, eseguisse il giudicato formatosi sulla sentenza predetta. 3. - Ha resistito in giudizio il sig. Na. Fo. in qualità di titolare dell'H. Fo.. 4. - Con sentenza non definitiva di questa Sezione, n. 1470 del 10 febbraio 2023, l'appello è stato in parte respinto e, per il resto, è stata disposta una verificazione per accertare il completo e totale abbattimento delle opere e il rientro nel ripristino stato di legittimità dei luoghi rispetto all'ampliamento abusivo della sala da pranzo del'H. Fo., oggetto della summenzionata ingiunzione di demolizione, affidando l'incombente istruttorio al Settore Governo e Qualità del Territorio della Regione Emilia Romagna. 5. - Con l'ordinanza n. 2900 del 22 marzo 2023, preso atto della rappresentata impossibilità di svolgimento dell'incarico da parte dell'organismo a ciò designato per indisponibilità delle figure professionali, strumentazioni tecniche e regolamentazioni interne necessarie, si è provveduto a sostituirlo indicando quale nuovo verificatore la Provincia di Rimini. 6. - Con l'ordinanza n. 6083 del 6 giugno 2023, avendo anche la Provincia di Rimini comunicato di trovarsi nell'assoluta impossibilità di individuare un tecnico in grado di assicurare l'espletamento dell'incarico e considerata la difficoltà di individuare un organismo verificatore tra le amministrazioni romagnole anche per la situazione emergenziale in cui versavano larghe aree del territorio locale, si è disposta, in luogo della verificazione, una consulenza tecnica di ufficio rimessa al direttore del DICAM Dipartimento di Ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell'Università di Bologna con facoltà di delega ad altro docente del Dipartimento medesimo. 7. - La relazione conclusiva del consulente tecnico di ufficio delegato dal direttore del DICAM è stata comunicata per posta elettronica certificata alla Segreteria della Sezione e alle parti in causa e depositata telematicamente dall'appellante insieme a copia della suddetta comunicazione, con cui il C.T.U. ha rappresentato che il sistema di firma digitale PAdES dell'Università di Bologna non risultava compatibile con le funzionalità del modulo per il deposito telematico nel Sistema informatico della giustizia amministrativa. 8. - Il sig. Fo., controinteressato appellato, ha prodotto una memoria di discussione e l'appellante una memoria di replica. 9. - Alla camera di consiglio del 6 febbraio 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO 1. - In via preliminare, in ossequio al principio di strumentalità delle forme va ammesso il deposito telematico della relazione conclusiva del consulente tecnico di ufficio effettuato dall'appellante per ovviare alle difficoltà tecniche rappresentante dal consulente, che non ha impedito il pieno esplicarsi del contraddittorio tra le parti e non ha incontrato obiezioni di sorta. 2. - Nel merito, con la sentenza non definitiva n. 1470 del 2023 la Sezione ha già provveduto a circoscrivere l'oggetto del presente giudizio chiarendo che l'esatto oggetto dell'obbligo di provvedere di cui si discute è delimitato dall'ordine di demolizione del 23 giugno 1999. In quella sede, alla cui più dettagliate argomentazioni si rimanda, ha osservato infatti che "Sia l'istanza del privato che la sentenza del T.A.R. sul ricorso contro il silenzio del Comune della cui esecuzione ora si tratta riferiscono la doverosa attività necessaria all'adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto alla "rimozione delle opere abusive" (così la sentenza), ovvero alla "demolizione dell'accertata opera abusiva e delle opere successivamente realizzate" (così l'istanza), vale a dire a quel ripristino delle condizioni quo ante che costituisce l'utilità che in concreto definisce e circoscrive l'interesse ad agire per la repressione dell'abuso edilizio oltre il quale l'iniziativa del privato finirebbe per trasmodare in un fine meramente emulativo o in un'azione popolare". Ne ha tratto, quindi, la conseguenza che "è estranea al perimetro dell'esatta adozione del provvedimento richiesto ogni questione relativa a una pretesa all'acquisizione al patrimonio pubblico dell'area di sedime e all'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie al soggetto controinteressato, che costituiscono misure repressive e non ripristinatorie, rispetto alla cui adozione il terzo, in una giurisdizione di diritto soggettivo, e non oggettivo, quale pure è quella amministrativa, non è portatore di un interesse tutelabile". 3. - Come ricordato ancora nella sentenza non definitiva, l'ordinanza di demolizione del 23 giugno 1999 interessava "l'ampliamento della superficie della sala da pranzo al piano primo determinato dalla installazione di infissi in alluminio e vetro eseguiti con pannelli in parte fissi e in parte apribili su tutto il fronte ed ai lati del primo piano dell'edificio a totale chiusura di pensilina preesistente licenziata con Autorizzazione Edilizia del 16.10.1997 Prog. n. 85/97. La struttura comporta un ampliamento pari a mq. 48,20 ed ha un'altezza pari a ml. 2,70; l'infisso precedentemente esistente, posto a delimitazione della sala da pranzo, è stato completamente rimosso", ordinandosi al destinatario, il sig. Na. Fo., "il completo e totale abbattimento delle opere (...) ed il rientro nel ripristino stato". 4. - In quella decisione si è altresì esaminato il contenuto delle precedenti sentenze assunte dal T.A.R. sulla vicenda, passate in cosa giudicata, con cui era stato acclarato che attraverso l'inserimento di una intelaiatura metallica di congiunzione tra il parapetto del solaio di calpestio e la veletta del solaio di copertura del primo piano ospitante la sala da pranzo dell'albergo era stato ottenuto il risultato di un ampliamento sostanziale in volume e superficie mediante la chiusura delle pensiline della sala ed era stato, altresì, escluso che il ripristino non potesse avvenire senza pregiudizio della parte conforme, cioè rendendo inutilizzabile anche la preesistente e legittima superficie utile del piano primo adibito a sala da pranzo. 5. - Acclarato che i provvedimenti richiesti dall'odierna appellante dovevano consistere in quanto necessario a portare a effettiva esecuzione l'ordine di demolizione e, quindi, a ripristinare le condizioni di conformità dello stato di fatto allo stato di diritto per come accertato all'esito del giudizio di cognizione relativo alla legittimità dell'ingiunzione edilizia, la Sezione ha ritenuto che il materiale probatorio disponibile agli atti di causa non consentisse di accertare se l'obbligo di ripristino fosse stato esattamente osservato oppure eluso e ha, perciò, disposto incombenti istruttori. 6. - Nello specifico, nel corso del presente giudizio è stata espletata una consulenza tecnica di ufficio sui seguenti quesiti: "Esaminati gli atti di causa, acquisiti gli atti e documenti necessari e compiuto, in contraddittorio con le parti, ogni accertamento ritenuto utile ai fini della valutazione peritale, il consulente tecnico d'ufficio: 1) accerti se lo stato attuale dell'edificio sede dell'H. Fo. nel Comune di (omissis) (RN) rispecchi il completo e totale abbattimento delle opere e il rientro nel ripristino stato di legittimità rispetto all'abusivo ampliamento della sala da pranzo al piano primo determinato dalla installazione di infissi in alluminio e vetro eseguiti con pannelli in parte fissi e in parte apribili su tutto il fronte e ai lati del piano medesimo, a totale chiusura di pensilina preesistente, di cui alla ingiunzione di demolizione del 23 giugno 1999 (comportante obbligo di arretramento degli infissi, già illegittimamente avanzati verso il mare, che avevano creato nuovo volume incidente sui parametri ordinari e sulle volumetrie); 2) fornisca, ove il suddetto accertamento abbia esito negativo, le necessarie indicazioni sulle opere ancora a farsi per l'esatta osservanza dell'ingiunzione summenzionata, che non si prestino a soluzioni elusive". 7. - La relazione di consulenza tecnica di ufficio ha descritto l'attuale stato dei luoghi fornendone anche un'esauriente rappresentazione visiva attraverso una serie di nove immagini fotografiche scattate nel corso del sopralluogo del 10 ottobre 2023. 8. - Al primo quesito il consulente tecnico di ufficio ha risposto: "Dall'analisi dei documenti agli atti e dello stato dei luoghi stato dei luoghi risulta: i) la rimozione degli infissi in alluminio e vetro eseguiti con pannelli in parte fissi ed in parte apribili su tutto il fronte ed ai lati del primo paiano dell'edificio, a totale chiusura di pensilina preesistente; ii) il ripristino di un infisso posto a separazione della sala da pranzo dalla "pensilina su piedritti" al primo piano (Titolo 3, punto c.) iii) che il parapetto in vetro presente al primo piano della pensilina (Titolo 3, punto a.), su tutto il perimetro, è coerente con l'elaborato grafico agli atti, allegato alla Autorizzazione Edilizia del 16.10.1997. Risulta quindi che le opere esplicitamente menzionate dall'ingiunzione di demolizione del Comune di (omissis) del 16 giugno 1999, cioè "infissi in alluminio e vetro eseguiti con pannelli ni parte fissi ed in parte apribili su tutto il fronte ed ai lati del primo piano dell'edificio a totale chiusura di pensilina preesistente licenziata con Autorizzazione Edilizia del 16.10.1997" sono state rimosse e che la vetrata a delimitazione della sala da pranzo è stata ripristinata. Emerge però, al primo piano della "pensilina su piedritti", la presenza di infissi (di cui al Titolo 3 punto b. della presente relazione), costituiti da pannelli in vetro trasparente scorrevoli in orizzontale ed elementi di sostegno di colore bianco, che si estendono lungo tutto il perimetro esterno (fronte mare e lati), istallati successivamente alla rimozione degli infissi di cui alla lettera i), che appaiono in contrasto con l'ingiunzione al rientro nel ripristino stato, contenuta nella summenzionata ingiunzione di demolizione". 9. - Al secondo quesito il consulente tecnico di ufficio ha risposto: "Vista l'ingiunzione di demolizione del 23 giugno 1999, che intendeva sanare l'abuso edilizio, di cui all'accertamento del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di (omissis) del 18 Giugno 1999, consistente in ampliamento di superficie della sala da pranzo al piano primo dell'H. Fo., imponendo il rientro nel ripristino stato; considerato che gli infissi, di cui al Titolo 3 punto b. della presente relazione, installati al primo piano della "pensilina su piedritti" lungo tutto il perimetro esterno, configurano un ana ampliamento di superficie della sala da pranzo, con conseguente modifica di destinazione d'uso degli spazi, come risulta anche dalle fotografie allegate al verbale notarile del 25/08/2023, depositato dalla parte Ho. Mi. di Fo. Er. e Ri. Ri. & c. SNC, con memoria del 06 settembre 2023, esibito in originale nel corso della riunione del 16/10/2023, che mostrano la presenza di persone sedute ai tavoli posizionati al primo piano della "pensilina su piedritti", alle ore 13:15 del 25/08/2023; al fine di ottenere l'esatta osservanza della summenzionata ingiunzione di demolizione, ed in particolare il rientro nel ripristino stato, risulta necessaria la rimozione dei sopracitati infissi (di cui al Titolo 3 punto b della presente relazione), costituiti da pannelli scorrevoli in vetro trasparente a tutta altezza ed elementi di sostegno di colore bianco (montanti e guide per lo scorrimento a pavimento ed a soffitto), che si estendono lungo tutto il perimetro esterno della pensilina (fronte mare e lati), al primo piano della stessa". 10. - Nelle osservazioni alla bozza di relazione tecnica di ufficio formulate dal controinteressato appellato tramite il suo difensore, non avendo nominato un consulente di parte, il sig. Fo. aveva sostenuto, invece, che la vetrata scorrevole a protezione del terrazzo al primo piano costituisce una Vetrata Panoramica Amovibile (VEPA) inquadrabile come intervento di edilizia libera ai sensi dell'art. 6, lett. b-bis), del D.P.R. 380/2001, talché sarebbero presenti attualmente due situazioni ben distinte ed entrambe legittime: da una parte, la sala da pranzo delimitata da un sistema di infissi, parzialmente apribili, che vanno a racchiudere uno spazio definito (in ottemperanza all'ordinanza di demolizione del 1999), dall'altra parte, invece, un terrazzo dotato di regolare parapetto oltre a un tamponamento, avente carattere di temporaneità, che in conformità con il predetto dettato normativo non costituirebbe ampliamento della superficie utile. Queste osservazioni non hanno trovato condivisione da parte del C.T.U., per il quale la vetrata non rispetterebbe le condizioni poste dalla normativa per essere classificabile come VEPA, "in quanto l'elemento sul quale è stata installata non è classificabile né come "balcone aggettante dal corpo dell'edificio", né come "loggia rientrante all'interno dell'edificio"; inoltre non rientrerebbe nell'ambito dell'edilizia libera, perché violerebbe la condizione ex art. 6 lett. b-bis) cit. (per cui le opere "non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d'uso dell'immobile anche da superficie accessoria a superficie utile"), essendo che dalle fotografie allegate al verbale notarile del 25 agosto 2023 di cui sopra "risult(a) evidente l'utilizzo degli spazi delimitati dalla VEPA come estensione della sala da pranzo" e che può configurarsi una variazione di destinazione d'uso anche nel caso in cui la funzione di chiusura possa essere potenzialmente stabile e permanente (indicative, nel caso in esame, sarebbero le dimensioni degli spazi chiusi dalla VEPA, le caratteristiche delle finiture e degli arredi, la presenza in quegli spazi di condizionatori a soffitto). 11. - Sulla classificazione della vetrata in parola quale VEPA l'appellante è tornato nelle note di udienza depositate il 31 gennaio 2024, in cui ribatte che le caratteristiche dell'elemento edilizio dove è installata sarebbero coerenti con la possibilità di classificarla come VEPA e che non vi sarebbe alcun mutamento di destinazione d'uso del balcone, perché da un lato non potrebbe essere messa in discussione la possibilità di adibirlo per la consumazione di un pasto (arrivandosi altrimenti all'assurdo di dover interdire la consumazione dei pasti in tavoli collocati su terrazzi e balconi in tutte le strutture sia pubbliche che private) e dall'altro la tesi del mutamento di destinazione d'uso non potrebbe essere validata dalla presenza di un condizionatore "residuato" della situazione antecedente all'avvenuta rimessa in pristino. 12. - Le conclusioni raggiunte dal C.T.U. in merito ai due quesiti sono condivise e fatte proprie dal Collegio, poiché risultano solidamente argomentate e trovano riscontro nella documentazione agli atti del giudizio, tanto nel corredo fotografico alla relazione peritale che nelle numerose fotografie prodotte in giudizio dall'appellante. 13. - Palesemente non colgono nel segno, invece, le obiezioni mosse dal controinteressato appellato nelle note d'udienza, il che esime dal soffermarsi sulla tardività di queste ultime eccepita dalla controparte. Plurimi elementi di fatto convergono, infatti, nel dimostrare l'attitudine dello stato dei luoghi all'utilizzo degli spazi delimitati dalla vetrata come estensione della sala da pranzo: la presenza a soffitto di due condizionatori e di numerosi corpi illuminanti di pregevole fattura e le dimensioni dell'ambiente interamente circoscritto dalle vetrate scorrevoli a tutta altezza rendono possibile, una volta chiusa la vetrata e aperto l'infisso scorrevole che lo separa dalla sala da pranzo, utilizzarlo come una prosecuzione di quest'ultima; il mutamento di destinazione d'uso dell'ambiente trova conferma nelle fotografie prodotte in giudizio dall'appellante, dove per otto di esse le operazioni di rappresentazione dello stato dei luoghi e il contestuale immediato sviluppo delle fotografie sono verbalizzate in un atto pubblico notarile del 25 agosto 2023 al quale le fotografie sono allegate, poiché esse raffigurano l'ambiente in questione interamente chiuso dalla vetrata e arredato con tavoli tovagliati ai quali, ad ora di pranzo (13,15), sedevano numerosi avventori. 14. - Pertanto l'ordine di riduzione in pristino adottato con riferimento all'illegittimo ampliamento della superficie della sala da pranzo al piano primo risulta eluso, essendosi nella sostanza mantenuto quell'ampliamento mediante un espediente. 15. - I provvedimenti del T.A.R. appellati in questa sede in ragione del loro contenuto decisorio hanno quindi erroneamente disatteso la domanda del ricorrente, di nomina di un commissario ad acta per l'esecuzione della sentenza n. 96 del 2022 dello stesso T.A.R., sul falso presupposto che l'ordinanza di demolizione fosse stata ottemperata. 16. - Per queste ragioni l'appello, già in parte respinto con la sentenza non definitiva, va per il resto accolto e di conseguenza nominato un commissario ad acta in persona del Prefetto di Rimini, con facoltà di delega a funzionario del suo ufficio, perché provveda in luogo del Comune di (omissis) all'assolvimento dell'obbligo sancito dal T.A.R. con la sentenza n. 96 del 2022 di provvedere a ripristinare le condizioni di legittimità dello stato dei luoghi mediante l'adozione degli atti e il compimento delle operazioni materiali a ciò necessarie, che per quanto detto implicano la rimozione degli elementi di chiusura esterni in vetro in uno ai binari di scorrimento degli stessi, nel termine di giorni sessanta dalla richiesta di intervento sostitutivo che sarà onere dell'interessato notificare al commissario ad acta unitamente a copia autentica della presente decisione. 17. - Le spese di lite del doppio grado possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza. 18. - Il compenso dovuto al consulente tecnico di ufficio prof. Ing. Ni. Bu., vista la richiesta depositata il 6 febbraio 2024 e valutata la complessità dell'incarico e dell'opera svolta, può essere liquidato nella somma complessiva di 2.500,00 euro, oltre ad oneri e accessori di legge e alle spese documentate. Tale compenso è posto in solido a carico del Comune e del sig. Fo., in considerazione dell'esito della consulenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, già in parte respinto con la sentenza parziale n. 1470 del 10 febbraio 2023, lo accoglie per il resto e, per l'effetto, nomina un commissario ad acta in persona del Prefetto di Rimini, con facoltà di delega a funzionario del suo ufficio, perché provveda in luogo del Comune di (omissis) all'adozione degli atti e al compimento delle operazioni di cui in motivazione nel termine di giorni sessanta dalla data di richiesta del suo intervento sostitutivo ad opera della parte appellante. Liquida in favore del prof. ing. Ni. Bu., a titolo di compenso per la consulenza tecnica di ufficio, la somma complessiva di 2.500,00 euro, oltre ad oneri e accessori di legge e alle spese documentate, che pone in solido a carico del Comune di (omissis) e del sig. Na. Fo.. Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Dario Simeoli - Presidente FF Francesco Guarracino - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6992 del 2020, proposto da Gi. Fe. e Cl. Sa., rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Eg. An. e Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Lu. Co. e An. Ma. Ga., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 144/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e udito per il Comune appellato l'avvocato Ma. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I signori Gi. Fe. e Cl. Sa. propongono appello avverso la sentenza n. 144/2020, con la quale il Tar per il Friuli Venezia Giulia ha rigettato il ricorso proposto dagli stessi signori Fe. e Sa. volto ad ottenere l'annullamento: - del provvedimento 22 ottobre 2018 prot. 14842, con cui il Responsabile dell'area programmazione del territorio e pianificazione territoriale del Comune di (omissis) ha accertato l'inottemperanza all'ordine di demolizione 18649/2014, individuando l'area oggetto di acquisizione nell'immobile censito nel locale catasto al mappale (omissis), sub (omissis), del f. (omissis); - di ogni altro atto comunque connesso e presupposto (richiamato nelle premesse dell'impugnato provvedimento), nonché del provvedimento 27.7.2017 prot. 15817, con il quale venne confermata l'ordinanza di demolizione prot. 18649/2014 ed ogni ulteriore atto conseguente. 1.1 Il Tar ha rigettato anche la domanda con la quale era stato chiesto l'accertamento (ex artt. 31 e 117 d.lgs. 104/2010) dell'inerzia del Comune circa la richiesta autotutela con il conseguente obbligo di provvedere - entro il termine stabilito dall'Amministrazione - sul ripristino dell'immobile con la rimozione dell'abuso ai sensi dell'art. 46 l.r. 19/2009 e con gli eventuali correttivi ex art. 38 d.p.r. n. 380/2001. 2. Le premesse in fatto possono essere così sintetizzate: - con concessione edilizia n. 64 del 4 aprile 1991 i coniugi Fe. - Sa. vennero autorizzati a costruire in zona agricola un capannone ad uso deposito granaglie; - il titolo conteneva fra l'altro due esplicite prescrizioni, che cioè fosse "rispettata la destinazione d'uso a magazzino di granaglie" ed il divieto di realizzare "chiusure perimetrali di tipo fisso"; - per contenere entro il perimetro della struttura coperta i cumuli stoccati all'interno (frumento, orzo, granella di mais e soia) i coniugi Fe. si munirono di strutture mobili non ancorate al suolo; - l'Amministrazione ritenne che quelle paratie andassero regolarizzate sotto il profilo urbanistico e venne quindi rilasciata una concessione in sanatoria, la n. 261/1995, concernente "l'installazione di elementi prefabbricati mobili per contenimento cereali" e talune marginali opere accessorie; - in precedenza i coniugi Fe. avevano presentato un progetto di lottizzazione per dotare quell'area dell'urbanizzazione essenziale (viabilità, asfaltature, marciapiedi, parcheggio, collettori fognari, appendice a verde, illuminazione pubblica): tale piano venne approvato con delibera consiliare n. 155/1989; - questi dati si evincono dalla convenzione attuativa poi stipulata il 23.11.1990, che contemplava il contestuale impegno a cedere i relativi sedimi urbanizzati al demanio comunale; - entro i termini d'efficacia del piano i ricorrenti conseguirono la concessione n. 177 del 20.11.1995 per l'esecuzione delle predette opere d'urbanizzazione; - il Comune rilascio la concessione n. 295/2 del dicembre 1996 per la "costruzione dei tamponamenti laterali fissi del capannone agricolo"; - fidando nella legittimità di quant'era stato assentito nel 1996 circa la perimetrazione fissa, i proprietari integrarono tali interventi con ulteriori opere accessorie anch'esse autorizzate: fu, infatti, loro rilasciata la concessione n. 5/16.1.1997 per l'asfaltatura del piazzale interno con i condotti di scarico da connettere alla fognatura e per la formazione d'una cortina di verde e successivamente la concessione n. 276/5.11.1997 per "ricavo d'una fossa per la raccolta dei cereali" nell'ambito dell'area interna di stoccaggio; - su ricorso dei confinanti, signori Co., il Tar per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 124/2000, annullò sia la concessione in sanatoria 261/95 (quella relativa alle pannellature mobili) sia la concessione 295/1996 che aveva successivamente assentito i tamponamenti laterali con strutture fisse; - con ordinanza del 10.5.2013, prot. 24406, il Comune ordinò la demolizione parziale della struttura; - con ordinanza n. 18649 del 16.10.2014 la demolizione veniva estesa all'intero immobile; - con quest'ultimo provvedimento, il Comune aveva ordinato la demolizione integrale del manufatto in questione, ritenendo che gli abusi riscontrati, confermati dalle sentenze penali definitive nel frattempo intervenute, fossero da qualificare come variazione essenziale, considerati l'aumento a carico della volumetria, l'attività industriale insediatavi nonostante la destinazione agricola e la trasformazione della tettoia aperta in capannone chiuso; - l'ordinanza del 2014 è stata considerata legittima dal Tar per il Friuli Venezia Giulia con sentenza n. 188 del 2015; - l'appello, proposto avverso di essa, è stato respinto dal Consiglio di Sato il quale, con sentenza n. 3559 del 2016, ha statuito che: "i signori Fe. e Sa. hanno realizzato, in assenza dei necessari titoli (e quindi abusivamente), un capannone chiuso, di rilevanti dimensioni (16.800 mc), nel quale, come è stato definitivamente accertato dal giudice penale, svolgono una attività che è stata considerata industriale. Correttamente, come ha ritenuto il T.A.R., il Comune ne ha quindi disposto la demolizione integrale, trattandosi di opere eseguite in totale difformità dalla concessione edilizia (rilasciata per una tettoia aperta sui lati) avendo comportato la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso, per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche e di utilizzazione, da quello oggetto della concessione"; - il Comune, con provvedimento n. 3458 del 2016, dava quindi atto dell'inottemperanza all'originaria ordinanza di demolizione del 2014 e dichiarava la conseguente acquisizione al patrimonio comunale del manufatto nonché dell'area ad esso pertinenziale; - detto provvedimento veniva però annullato dal Tar per il Friuli Venezia Giulia con sentenza n. 196 del 2017, in quanto, fermo l'accertamento, in via definitiva, della legittimità dell'ordine di demolizione a monte, "a prescindere dall'esito del giudizio innanzi al Consiglio di Stato riguardante l'ordine di demolizione, pare meritevole di tutela l'affidamento dei ricorrenti in merito alla possibilità di procedere personalmente alla demolizione volontaria del capannone per cui è causa"; - il Comune, ottemperando all'ultimo giudicato intervenuto, ha dapprima assegnato un nuovo termine di 90 giorni, onde consentire che i proprietari, in conformità alla decisione, potessero procedere alla demolizione del manufatto, già disposta con l'ordinanza prot. n. 18649 del 2014 (provvedimento prot. n. 15817 del 2017); scaduto il termine assegnato, ha poi accertato l'inadempimento all'ordinanza e determinato l'area oggetto dell'acquisizione di diritto al patrimonio comunale (provvedimento prot. 14842 del 2018). 3. Avverso entrambi i provvedimenti (di assegnazione del nuovo termine e di accertamento della mancata esecuzione dell'ingiunzione a demolire) i coniugi Fe., contestando inoltre il silenzio asseritamente serbato riguardo all'istanza di autotutela nel frattempo proposta, proponevano ricorso al Tar sulla base di un unico articolato motivo, così rubricato: - violazione degli artt. 31 e 117 d.lgs. 104/2010 per omessa pronunzia sull'istanza d'autotutela; - violazione dell'art. 2909 c.c. (inopponibilità del giudicato sul precedente ordine di demolizione 18649/2014); - falsa applicazione dell'art. 85 N.T.A. del P.R.G. 2011 (inapplicabile al caso in esame); - violazione dell'art. 38 del d.p.r. 380/2001 (norma di favore che tutela l'affidamento di chi ha costruito in base a titolo concessorio poi annullato); - falsa applicazione degli articoli 101 l.r. 52/1991 e 45 l.r. 19/2009; - omessa applicazione dell'art. 4, n. 1, sub c, l.r. 19/2009 (che qualifica l'intervento del'96 quale ristrutturazione); - violazione degli articoli 103 l.r. 52/1991 e 46 l.r. 19/2009 (che disciplinano le ipotesi di ristrutturazione senza titolo); - con riguardo a tutte le suesposte censure: eccesso di potere per difetto di istruttoria, eccesso di potere per difetto dei presupposti, eccesso di potere per difetto di motivazione e per contraddittorietà . 3.1 I ricorrenti sostenevano che: - al momento di attestare l'inottemperanza all'ordine di demolizione, l'Amministrazione avrebbe dovuto fare riferimento al provvedimento di riassegnazione del termine per provvedere (prot. n. 15817 del 2017) da qualificarsi come autonomo ordine a demolire; - la legittimità del provvedimento confermativo di demolizione (del 27 luglio 2017) - di cui s'era chiesto l'annullamento in via d'autotutela - andava valutata alla stregua delle sopravvenienze e, in particolare, dell'avvenuta cessazione della destinazione industriale e del contestuale ripristino dell'uso agricolo (deposito di granaglie), conformemente all'originario titolo edilizio, circostanze che avrebbero inciso sui presupposti su cui si basava invece l'ordinanza del 2014 e le stesse avverse decisioni, pronunciate dal Tar e dal Consiglio di Stato (i cui capisaldi erano pur sempre riferiti sia alla consistenza materiale delle difformità rilevate sia all'indebito cambio di destinazione d'uso, impresso al fabbricato in difformità dal titolo e dalle destinazioni di zona); - l'Amministrazione, sciolta dal vincolo del giudicato (art. 2909 cod.civ.) essendo venuta meno la situazione fattuale presupposta dagli atti impugnati e dalle corrispondenti decisioni, avrebbe perciò dovuto valutare se sussistessero i presupposti di legge per dare corso alla demolizione integrale ai sensi dell'art. 45 l.r n. 19 del 2009, ovvero se la situazione sopravvenuta potesse invece comportare la rimozione delle sole parti abusive secondo il successivo art. 46; - ai fini dell'invocata applicazione dell'art. 46, l.r. n. 19 del 2009, in ragione del ripristino dell'uso del manufatto come deposito di granaglie, si doveva ritenere irrilevante il rilievo secondo cui tale destinazione sarebbe consentita solo a chi rivesta la qualifica d'imprenditore agricolo a titolo principale (ai sensi dell'art. 85 delle previgenti N.T.A.), qualifica evidentemente non rivestita dai ricorrenti; l'applicazione della suddetta disposizione conseguirebbe, inoltre, alla esatta qualificazione dell'abuso; - in conseguenza del ripristino dell'originaria destinazione d'uso, l'Amministrazione avrebbe dovuto rideterminare la portata dell'intervento di ripristino con la conservazione delle parti non abusive (erette sulla base della concessione del'91) e l'eliminazione degli abusi (frutto dell'annullamento della concessione del'96), senza però che ciò comporti irreversibili alterazioni dell'assetto strutturale originario; - sarebbe stato necessario comparare l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata con le posizioni soggettive del privato che fece affidamento sul titolo rilasciatogli in applicazione dell'art. 38, d.p.r. n. 380 del 2001. 3.2 I ricorrenti proponevano, quindi, azione avverso il silenzio serbato dall'Amministrazione sulle istanze di riesame in autotutela prodotte dagli stessi ricorrenti, con le quali veniva confermato l'impegno a demolire la parte abusiva realizzata nel 1996, conservando tuttavia il manufatto nella sua residua consistenza e nella destinazione attuale. 4. Nel giudizio di primo grado si costituivano: - il Comune chiedendo il rigetto del ricorso; - i signori Co. e Ga., in qualità di interventori proprietari di immobili confinanti, che concludevano per la reiezione del gravame; - la Responsabile dell'Area Programmazione e Pianificazione Territoriale del Comune di (omissis), raggiunta anch'essa dalla notificazione del ricorso, la quale chiedeva la propria estromissione dal giudizio. 5. Con sentenza n. 144/2020 il Tar per il Friuli Venezia Giulia (dopo aver estromesso dal giudizio la Responsabile dell'Area Programmazione e Pianificazione Territoriale del Comune di (omissis)) ha rigettato il ricorso. 6. Avverso la sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia hanno proposto appello i signori Gi. Fe. e Cl. Sa. per i motivi che saranno più avanti esaminati. 7. Si è costituito il Comune di (omissis) eccependo profili di inammissibilità dell'appello e chiedendo comunque il suo rigetto. 8. All'udienza del 21 marzo 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente va dichiarata la tardività della memoria presentata da parte appellante, come eccepito dal Comune di (omissis). Come ribadito da Cons. Stato, sez. IV, 14/09/2022, n. 7977, l'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile. L'udienza pubblica di discussione del presente ricorso in appello era fissata per il giorno 21 marzo 2024. Pertanto, l'ultimo giorno utile per il deposito di memorie veniva a scadenza il 19 febbraio. La memoria di parte appellante - sottoscritta digitalmente dal difensore alle ore 18.22 del 19 febbraio - è stata depositata nello stesso giorno una prima volta alle ore 19.06, e una seconda volta alle ore 19.13: ovvero, oltre il limite temporale delle ore 12.00 dell'ultimo giorno utile, come risultante dal combinato disposto dell'art. 73, comma 1, c.p.a. con l'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a. 1.1 Il Comune di (omissis): a. si oppone alla produzione della concessione edilizia n. 261 del 1995 (citata in narrativa) perché tardiva: si sostiene che tale documento avrebbe potuto e dovuto essere depositato in primo grado; b. ripropone l'eccezione di inammissibilità per tardività del provvedimento n. 15817 del 27 luglio 2017, eccezione già proposta in primo grado; c. sostiene che con l'appello non sono state impugnate autonome e decisive motivazioni contenute nella sentenza. Tali eccezioni sono da ritenersi assorbite alla luce di quanto si dirà sul merito dell'appello. 2. Parte appellante non contesta la statuizione della sentenza che estromette dal giudizio la Responsabile dell'Area Programmazione e Pianificazione Territoriale del Comune di (omissis). 3. Sotto un primo profilo l'appellante si sofferma sul contestato accertamento dell'inottemperanza e, dopo aver trascritto alcuni brani della sentenza impugnata, afferma che: - non si può prescindere dall'avvenuto mutamento della situazione fattuale; - i coniugi Fe. avevano rispristinato la destinazione agricola (mero deposito di granaglie), per cui era venuto meno uno dei due presupposti sulla scorta dei quali il giudice amministrativo aveva ritenuto legittima la totale demolizione; - la seconda ordinanza n. 15817 del 2017 - ignorata nel provvedimento che attesta l'inottemperanza (qui impugnato) - effettivamente assegna nuovi termini per la demolizione, ma non ha contenuto meramente confermativo di quella del 2014, essendo stata adottata dopo il riesame dell'intera precedente posizione; - l'accertamento dell'inottemperanza avrebbe dovuto effettuarsi non con riguardo all'ordinanza del 2014, bensì a quella del successivo 2017. 4. Sotto un secondo profilo l'appellante si sofferma sull'inopponibilità del giudicato affermando che: - non è condivisibile l'assunto dell'Amministrazione secondo il quale non si può non ottemperare ad un ordine di demolizione (quello del 2014) coperto dal giudicato ex art. 2909 c.c.; - l'integrale demolizione fu adottata sul presupposto che sussistessero variazioni essenziali "sia in ragione dell'aumentata volumetria sia in ragione dell'attività industriale ivi svolta" (così nel provvedimento 16.10.2014 prot. 18649), sottolineando "la realizzazione d'un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, volumetriche e di utilizzazione da quello oggetto di concessione"; - la sostanziale abusività del complesso è stata poi recepita con analoga motivazione anche dal Consiglio di Stato nell'ultima decisione del 9 agosto 2016 n. 3559: vi si rimarca infatti il duplice aspetto dell'abuso sotto il profilo dell'indebito incremento dei volumi e dell'utilizzo a fini industriali; - di quei due presupposti, però, uno è venuto meno: l'uso era tornato ad essere lo stoccaggio di cereali; - il venir meno di quest'assorbente presupposto avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione ad una doverosa verifica tramite l'apparato regionale di controllo (cioè il servizio ispettivo dell'Arpa); - la legittimità del provvedimento confermativo di demolizione (del 27 luglio 2017) - di cui s'era chiesto l'annullamento in via d'autotutela - andava valutata alla stregua di queste sopravvenute modifiche, essendo variati i presupposti su cui si basava invece l'ordinanza del 2014; - quest'ultima infatti era stata ritenuta legittima dal giudice amministrativo, ma quel giudicato non era opponibile ex art. 2909 c.c. e non giustificava un provvedimento di carattere meramente confermativo, stante appunto la mutazione dei presupposti intervenuta successivamente; - non si potevano addurre a fondamento dei provvedimenti adottati dall'Amministrazione comunale le pronunzie (del Tar e del Consiglio di Stato), che hanno ritenuto legittimo l'ordine d'integrale demolizione sulla base della congiunta sussistenza d'entrambe le violazioni (aumento della cubatura e variata destinazione d'uso); - se il giudicato non è opponibile, il Comune avrebbe dovuto riesaminare la situazione alla luce delle sopravvenienze. 5. Sotto un terzo profilo l'appellante si sofferma sulla ripristinata destinazione d'uso, e in particolare sull'attività di deposito granaglie che sarebbe consentita solo a chi rivesta la qualifica d'imprenditore agricolo a titolo principale, affermando che: - l'art. 85 delle norme tecniche d'attuazione dello strumento urbanistico richiama una figura (appunto l'imprenditore agricolo a t.p.) introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. 99/2004 e recepita nelle disposizioni attuative del piano regolatore di Cordenons con la variante 30 del 2011; - non era quindi vigente quando ai coniugi Fe. fu rilasciata la concessione edilizia n. 64/1991 e la destinazione d'uso prevista nell'iniziale loro titolo abilitativo prescindeva quindi dal requisito d'imprenditore agricolo a t.p.; - il requisito d'imprenditore agricolo è comunque richiesto per la sola residenza (cioè per l'abitazione) e non per gli annessi, qual è appunto un deposito (od una stalla). 6. Sotto un quarto profilo l'appellante si sofferma sulla omessa applicazione dell'art. 38 t.u. 380/2001, affermando che: - il comportamento tenuto nel tempo dal Comune (il rilascio di numerosi titoli edilizi ancorché annullati dal giudice amministrativo a distanza di tempo) aveva ingenerato la convinzione negli appellanti che l'originaria concessione 205/96 fosse legittima (ancorché successivamente annullata dal Tar per il Friuli Venezia Giulia con sentenza n. 124/2000); - esistevano, pertanto, gli estremi per applicare l'art. 38 del t.u. 380/2001, mentre invece l'Amministrazione non ha operato la comparazione dell'interesse pubblico con le posizioni soggettive del privato che faceva affidamento sul titolo rilasciatogli, in applicazione della norma citata; - secondo il primo giudice questa censura è già stata esaminata dal giudice amministrativo nel procedimento d'impugnazione dell'ordine di demolizione del 2014 ed è stata rilevata l'inapplicabilità dell'art. 38 qualora l'annullamento riguardi una concessione in sanatoria; - in realtà, però, quella sanatoria - dopo il rilascio della successiva concessione (la n. 295/96) per le paratie fisse, che sostituirono quelle mobili - era divenuta inefficace: l'applicazione della norma di favore (art. 38) era stata invece richiesta nel presente procedimento non con riferimento alla sanatoria (peraltro superata dalla concessione successiva n. 295/96) bensì con riguardo all'annullamento di quest'ultima; - gli appellanti realizzarono infatti la perimetrazione fissa e dotarono l'ambito d'un rilevante assetto urbanistico in base a titoli abilitativi non in sanatoria, che suscitarono in loro fondate aspettative circa la legittimità di quelle iniziative e comportarono peraltro rilevanti oneri. 7. Sotto un quinto profilo l'appellante si sofferma sul quadro di riferimento, affermando che: - il Comune ha optato per l'abbattimento totale della costruzione applicando una norma (l'art. 45 della l.r. 19/2009) non pertinente; - i coniugi Fe. hanno chiesto l'autorizzazione a rimuovere la sola parte abusiva, esclusa tuttavia l'acquisizione ex lege che non è affatto contemplata dalla normativa ch'essi ritengono applicabile al loro caso (cioè dall'art. 46 l.r. 19/2009); - l'originario manufatto fu eretto in assoluta conformità al titolo abilitativo (mai impugnato o annullato), mentre il successivo intervento di tamponamento fisso divenne abusivo per sopravvenuto annullamento; - l'accertamento d'inottemperanza (prot. 14842 del 22.10.2018) richiama testualmente - quali norme che legittimerebbero l'integrale demolizione - l'art. 101 della previgente l.r. 52/1991 e l'art. 45 del vigente codice dell'edilizia per il Friuli Venezia Giulia (l.r.19/2009): entrambi dal contenuto speculare; - tali richiami sono errati; - l'art. 45 presuppone che si tratti di un unico intervento effettuato o in assenza del titolo abilitativo o in totale difformità rispetto ad esso; nella vicenda in esame s'ebbero invece due distinti separati interventi: una prima costruzione legittima realizzata in assoluta conformità al titolo nel 1991, cinque anni dopo sulla scorta di altra concessione (nel 1996) venne eseguita la pannellatura perimetrale fissa; - per individuare la norma in concreto applicabile non si può prescindere dalla corretta qualificazione del secondo intervento (quello del'96): esso integra una ristrutturazione edilizia secondo la definizione dettata dall'art. 4 n. 1 sub c l.r.19/2009; - il criterio informatore dell'ordinamento è quello di ripristinare - qualora la concessione venga vanificata dal sopravvenuto annullamento (ad anni di distanza) "con il minimo sacrificio possibile"; - alla vicenda in contesto dovrebbe quindi applicarsi - trattandosi di una ristrutturazione edilizia, il cui titolo abilitativo è caducato - l'art. 46 n. 1 l.r.19/2009, che appunto disciplina quest'ipotesi; - tale norma prevede - quale misura ripristinatoria - la rimozione o la demolizione parziale (limitandola comunque all'abuso) per rendere il manufatto conforme allo strumento urbanistico; e non contempla affatto la demolizione totale anche del primo intervento legittimo; l'art. 46 inoltre non prevede - in caso d'inottemperanza - l'acquisizione di diritto dell'immobile prevista invece dall'art. 45; - la sola parte che andrebbe rimossa è quella oggetto della ristrutturazione del'96. 8. Sotto un sesto profilo l'appellante si sofferma sulle richieste di riesame rimaste inevase, affermando che: - la giurisprudenza ha ampliato le ipotesi nelle quali è configurabile un obbligo di provvedere, affermando che esso sussiste - oltre ai casi espressamente previsti da una norma - anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenziano specifiche ragioni di giustizia sostanziale e di equità tali da imporre l'adozione d'un provvedimento; - gli appellanti avevano prospettato esigenze di giustizia sostanziale che avrebbero dovuto imporre una puntuale riflessione da parte dell'Autorità comunale. 9. L'appello è infondato. 9.1 Occorre ricordare che il presente giudizio costituisce l'ultimo capitolo di un lungo contenzioso che ha contrapposto, per anni, la parte appellante al Comune. Tale contenzioso ha alcuni punti fermi rappresentati dalle sentenze che sono già intervenute tra le parti e che formano cosa giudicata. Tali punti fermi possono essere così sintetizzati: a. esiste una ordinanza di demolizione del 2014 estesa all'intero immobile, la cui legittimità è stata acclarata con sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia n. 188/2015, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3559/2016; b. il Consiglio di Stato, nella citata sentenza, ha affermato che era stato realizzato un organismo edilizio integralmente diverso, per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche e di utilizzazione, da quello oggetto della concessione; c. da quel momento è partito l'iter per giungere alla effettiva attuazione dell'ordinanza di demolizione integrale del 2014. In tale iter si colloca un contenzioso che ha riconosciuto l'astratta possibilità di procedere alla demolizione spontanea del manufatto abusivo (sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia n. 196/2017); d. in ogni caso l'iter per giungere alla effettiva attuazione dell'ordinanza di demolizione integrale del 2014 è necessariamente esitato negli atti della cui legittimità di discute. Alla luce di questi punti fermi, si possono esaminare le singole censure proposte con l'atto di appello. 9.2 È infondato il profilo con il quale si afferma che non si può prescindere dal mutamento della situazione fattuale. Occorre innanzitutto ricordare che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3559/2016, ha statuito che l'immobile era abusivo non solo perché utilizzato per fini diversi da quelli previsti dalla concessione, ma anche perché era stato realizzato un manufatto integralmente diverso, per caratteristiche tipologiche e planivolumetriche. Quand'anche rilevante ed effettivo, il mero ripristino della destinazione da solo non è in grado di superare la statuizione del Consiglio di Stato. L'ordinanza n. 15817 del 2017 non ha operato (né poteva operare) un riesame della situazione, ma si è limitata ad assegnare un nuovo termine perché si procedesse alla demolizione spontanea. Correttamente l'atto impugnato si propone di attuare l'ordinanza originaria del 2014 e non quella appena citata del 2017. 9.3 È infondato il profilo che mira a rendere non vincolante il giudicato formatosi sull'ordinanza del 2014 a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato n. 3559/2016. L'appellante fa leva sul fatto che era cambiato uno dei presupposti (la destinazione). Ma si è già detto che, quand'anche detta circostanza sia vera e rilevante, il giudicato si è formato sull'indiscusso carattere abusivo dell'immobile per le sue caratteristiche. Il giudicato sul punto non è scalfibile e il Comune non poteva né doveva riesaminare la situazione alla luce della sopravvenienza. 9.4 In base a quanto detto (ovvero: l'insufficienza del mero cambio di destinazione), appare privo di interesse il profilo con il quale si discute della necessità o meno del titolo di imprenditore agricolo. In ogni caso, il giudice di primo grado ha affermato che l'attuale utilizzazione del manufatto per lo stoccaggio delle granaglie non consente il ripristino dell'uso originariamente assentito. Si tratta di un'affermazione corretta proprio perché la stessa parte appellante ha affermato che negli ultimi tempi è stata cessata ogni attività industriale e l'immobile è stato solo utilizzato per lo stoccaggio delle granaglie e non più per lo svolgimento di attività industriali. Ne consegue che attualmente questo tipo di utilizzazione è concesso solo all'imprenditore agricolo a titolo principale. Le contestazioni di parte appellante non incidono sulla correttezza delle affermazioni della sentenza. 9.5 È infondato il profilo che critica l'omessa applicazione dell'art. 38 t.u. 380/2001. La non applicabilità di tale norma al caso di specie è già stata esplicitamente affermata dalla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 3559/2016 (punto 13 che si intende qui riprodotto). 9.6 È infondato il profilo che fa leva sul un diverso quadro normativo per giungere ad affermare che sarebbe da rimuovere solo una parte dell'immobile. L'appellante tenta, attribuendo maggiore o minore rilevanza alle diverse circostanze di fatto, di superare quanto più volte affermato. La situazione di fatto e di diritto della fattispecie è quella che emerge dai punti fermi richiamati dianzi. L'Amministrazione doveva dare attuazione alla ordinanza del 2014 ritenuta legittima dal Consiglio di Stato. 9.7 È infondato il profilo che fa leva sulle richieste di riesame rimaste inevase. Premesso che, alla luce dei punti fermi descritti, non esisteva un obbligo per il Comune di riesaminare la situazione, la difesa del Comune ha dimostrato già in primo grado che l'Amministrazione ha respinto l'istanza presentata dalla parte (provvedimento di rigetto prot. 25953 del 12/12/2017). 10. Per le ragioni esposte l'appello deve essere rigettato. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di (omissis) che sono liquidate come da dispositivo. Non è necessario provvedere sulle spese di lite in relazione ai privati non costituiti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge Nulla spese nei confronti delle parti private non costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe - Presidente Roberto Caponigro - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ci.Do. nato a B il (Omissis) avverso la sentenza del 30/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE; letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LIDIA GIORGIO che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata dall'avvocato Lu.Ie. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Monza, che aveva accertato la responsabilità penale di Ci.Do. per i reati previsti dal codice della strada di fuga ed omissione di assistenza e lo aveva condannato, riconosciuta la continuazione, alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, applicata la sospensione della patente di guida per anni due e mesi sei. All'imputato erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 189, commi 1, 4,6 D.Lgs. n. 285 del 1992, mentre per quello previsto dall'art. 590 cod. pen. si era proceduto separatamente, perché alla guida di un autocarro Renault tg.to (Omissis), dopo aver provocato un sinistro stradale ed aver cagionato per colpa lesioni personali, guaribili rispettivamente in 8 e 7 giorni, sia a Su.Ro. (conducente dell'autovettura coinvolta nel sinistro) che alla figlia minore della stessa trasportata nella vettura, non ottemperava all'obbligo di fermarsi, di fornire le proprie generalità e di prestare l'assistenza occorrente, proseguendo la propria marcia e dandosi alla fuga. In Bernareggio, il l 9 maggio 2016. 2. I Giudici di merito hanno così ricostruito i fatti. In data 19 maggio 2016, Ci.Do., mentre era alla guida dell'autocarro tg.to (Omissis), tamponava da tergo il veicolo condotto da Su.Ro., ove si trovava, quale passeggera anche la figlia minorenne, e che si era regolarmente arrestato all'altezza di un impianto semaforico che proiettava luce arancione. Dopo l'urto, l'imputato non si premurava di prestare soccorso alle vittime, anzi, dopo essere sceso molto alterato, dall'autocarro, strattonava da un braccio Su.Ro., intontita e dolorante, dicendole che non era vero niente e, dopo aver acconsentito a scambiarsi i dati anagrafici presso una vicina piazzola, si allontanava con il proprio mezzo. Dagli accertamenti effettuati dalla Polizia Municipale era emerso che il proprietario del veicolo non era titolare della patente adeguata alla guida del medesimo, da ciò desumendosi che al momento dell'incidente il conducente fosse una diversa persona. Il proprietario del mezzo, escusso in dibattimento, aveva riferito che l'autocarro era stato affidato in uso esclusivo a Ci.Do. Quest'ultimo aveva negato di aver urtato l'autovettura della Su.Ro. e che si era convinto che si intendesse truffarlo, per tale motivo non aveva riferito i propri dati. Solo grazie alla fotografia della targa scattata dalla figlia della Su.Ro., con il proprio telefono cellulare, la Polizia Municipale riuscì ad identificare il Ci.Do. Dalla ricostruzione dei fatti, nel senso indicato dalla Su.Ro., in quanto le sue parole avevano trovato conferma nella testimonianza del perito assicurativo, era emerso anche che l'imputato fosse consapevole, sub specie di dolo eventuale, di aver urtato l'autoveicolo della Su.Ro. e che da tale urto era ragionevolmente ipotizzabile che ne discendessero esiti di danno alle persone. L'imputato non aveva ottemperato all'obbligo di prestare soccorso mediante l'assistenza occorrente alla Su.Ro. ed alla figlia. Durante il pomeriggio, avendo fatto ricorso alle cure ospedaliere in seguito a disturbi sopraggiunti, alla Su.Ro. ed alla figlia venivano rispettivamente diagnosticate "contusione cranica distorsione cervicodorsale lombalgia traumatica" e "cervicalgia post-traumatica". 3. La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità formulato dal Tribunale, considerate tutte le acquisizioni probatorie, secondo le quali doveva ritenersi che l'imputato aveva urtato l'autovettura della Su.Ro. e doveva escludersi che non si fosse reso conto delle conseguenze del tamponamento, il quale non era stato impercettibile come sostenuto dalla difesa. La dinamica delle fasi post urto, come evidenziate dai testimoni escussi, non lasciava dubbi sul fatto che l'imputato si fosse allontanato dal punto del sinistro per fare perdere le proprie tracce, ben consapevole della portata offensiva del proprio operato. La Corte d'appello ha pure confermato la decisione del Tribunale relativa alla mancata applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., non potendosi configurare la particolare tenuità del fatto in ragione delle concrete modalità di condotta tenuta dall'imputato, dell'intensità del dolo e dell'entità del pericolo cagionato. Nessuna ragione militava in ordine al riconoscimento delle attenuanti generiche, posto che l'imputato non aveva manifestato segni di resipiscenza nel corso del processo, continuando a negare il fatto, nonostante le evidenze probatorie. Ancora, non poteva essere riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., che presupponeva l'avvenuto risarcimento del danno in favore della persona offesa, di cui non era stata fornita prova. Infine, la pena era stata adeguatamente determinata, con una pena base prossima al minimo per il reato più grave ed un aumento ex art. 81 cod.pen. congruo rispetto alla condotta. 3. Avverso la suddetta sentenza, mediante il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione Ci.Do., sulla base dei seguenti motivi, esposti in sintesi, ex art. 173 cod. proc. pen. - con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione e di violazione di legge in ordine alla affermazione della responsabilità penale, quanto alle previsioni dell'art.189, commi 6 e 7 C.d.S., con particolare riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico dei reati ed al difetto di motivazione sul punto. Censura in particolare le valutazioni sviluppate nella motivazione della sentenza impugnata in ordine alla riconosciuta intrinseca veridicità delle dichiarazioni della Su.Ro., essendo state ignorate le incongruenze segnalate nei motivi di impugnazione, a fronte delle precisazioni rese dall'imputato. - con una seconda articolazione lamenta totale carenza cli motivazione con riferimento all'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art.131 bis cod. pen., in quanto il giudice di primo grado l'aveva esclusa senza tenere conto dell'effettiva minima offensività della condotta. 4. La Procura generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. 5. Il ricorrente, attraverso il proprio difensore, ha depositato memoria con la quale insiste per l'annullamento della sentenza impugnata. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Le doglianze avanzate dalla difesa del ricorrente, con il primo motivo, sono manifestamente infondate in quanto in fatto sono meramente reiterative di censure già sviluppate nei motivi di appello e disattese dal giudice di appello con argomenti privi di contraddizioni e di evidenti fratture logico-giuridiche. É stato affermato dalla giurisprudenza, anche risalente1di questa Corte che il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione di assistenza configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire la identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è configurabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose (sez.4, n.3783 del 10/010/2014, Balboni, Rv.261945). 2. Inoltre le disposizioni di cui all'art. 189 comma 6 e 7 Cod. della Strada si pongono come reati di pericolo astratto, in quanto richiedono che la condotta dei consociati, in presenza di sinistro stradale da cui derivano lesioni alla persona offesa, si conformino a doveri di solidarietà e di intervento, che hanno come fulcro l'assistenza del consociato in difficoltà; si "tratta in particolare di una condotta al cui rispetto l'ordinamento è interessato a prescindere da quanto verificato in merito al fatto, a fronte della esigenza di tutela anticipata degli interessi ritenuti rilevanti dal legislatore proprio perché esonera di procedere alla valutazione in ordine alla concretezza del pericolo imponendo nell'immediato di conformarsi alla condotta prescritta" (sez.4, 25/11/1999 n.5416, Sitia e altri, Rv.216465). Ne consegue pertanto che i fatti che escludono la responsabilità del conducente devono essere accertati prima che lo stesso si allontani dal luogo del sinistro cosicché il reato è configurabile tutte le volte che questi non si fermi e si dia alla fuga (sez.4, 2/12/1994 n.4380, rv. 201501; 30/01/2014, Rossini, Rv.259216), dovendo l'investitore essersi reso conto del sinistro in base ad una obiettiva constatazione è stato ancora affermato che., nel reato di fuga previsto dall'art. 189, comma sesto, C.d.S., punito solo a titolo di dolo, l'accertamento dell'elemento psicologico va compiuto in relazione al momento in cui l'agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze dal medesimo concretamente rappresentate e percepite in quel momento, le quali devono essere univocamente indicative della sua consapevolezza di aver causato un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone, rilevando solo in un successivo momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro (sez.4, 1/12/2012, Meta, Rv.254667), laddove nel reato di mancata prestazione di assistenza non è sufficiente che dall'incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni della integrità fisica (sez.4, n.23177 del 15/03/2016, Triche, Rv.266969). 3. Peraltro detto reato richiede che il bisogno dell'investito sia effettivo, sicché non e configurabile nel caso di assenza di lesioni o allorché altri abbia già provveduto o non risulti necessario, né utile o efficace l'ulteriore intervento dell'obbligato, ma tali circostanze non possono essere ritenute ex post, dovendo l'investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima del proprio allontanamento (sez.4, n.18748 del 4/05/2022, Manganelli Luigi, Rv.283212) di talché il reato in questione è ravvisabile in caso di sinistro ricollegabile al comportamento dell'imputato che possieda connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, ovvero solo la possibilità che dall'incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso (sez.4, n.33772 del 15/06/2017, Dentice di Accadia Capozzi, Rv.271046) 4. La Corte d'appello ha fatto coerente applicazione di detti principi e sul punto ha evidenziato, con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, che la natura dell'urto (tamponamento) e la reazione della occupante del veicolo tamponato in corrispondenza della sosta ad un semaforo, come accertata a seguito dell'assunzione della sua testimonianza, era tale da palesare la serietà del pericolo cagionato alla sicurezza stradale dell'urto, ma anche le verosimili conseguenze dello stesso. 5. In termini assolutamente corretti il giudice distrettuale ha infatti tratto ulteriori argomenti di prova sull'elemento soggettivo del reato dal comportamento tenuto dall'imputato il quale si era allontanato dal luogo del sinistro, facendo perdere le sue tracce ed addirittura strattonando la persona investita. A fronte di tale argomentata e lineare motivazione, l'imputato, nei motivi di ricorso, ha svolto considerazioni in fatto che non si confrontano affatto con gli argomenti sopra rappresentati ma si limita a reiterare tesi difensive già esaminate e congruamente disattese, con ragionamento logico giuridico privo di lacune evidenti. 6. Inammissibile è il motivo di ricorso concernente il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art 13 bis cod. pen. stante la rilevante portata offensiva della condotta e dell'offesa effettivamente determinata, in ragione della particolare resistenza dimostrata dall'imputato nel riconoscere le proprie responsabilità, unitamente al grado del dolo ed alla entità complessiva della condotta che, già valorizzate dal giudice dli primo grado, ben possono essere considerata per escludere la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. 7. Generica è anche la doglianza con la quale si censura la mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6. cod.pen., dal momento che essa non si confronta con la sentenza che non l'ha riconosciuta per concreto difetto di prova. 8. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Relatore Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ri.Sa. nato a L(ECUADOR) il (Omissis) avverso la sentenza del 09/05/2023 del TRIBUNALE di FROSINONE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, il Tribunale di Frosinone, quale giudice dell'appello, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di Frosinone che ha dichiarato Ri.Sa. colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2, 3, cod. pen., perché, per colpa generica e specifica (violazione dell'art. 149, commi 5 e 6, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285), alla guida del veicolo Fiat Freemont (tg. Omissis), omettendo di tenere rispetto al veicolo che lo precedeva - condotto da Ta.Gi. - la distanza di sicurezza e di adottare tutte le misure tali da garantire l'arresto tempestivo del proprio veicolo ed evitare collisioni con quelli che lo precedevano, adeguatamente regolandone la velocità con riguardo al contesto, per evitare ogni pericolo alla sicurezza delle persone e delle cose, tamponava violentemente l'autovettura Citroen C3 (tg. Omissis) che, a seguito dell'urto, si ribaltava più volte, cagionando agli occupanti della stessa le lesioni personali descritte nel capo di imputazione. 2. Avverso la sentenza impugnata ricorre il difensore dell'imputato che solleva i seguenti motivi: 2.1. Con i primi due motivi, deduce violazione dell'art. 495 cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla mancata valutazione, da parte dei Giudici di merito, della circostanza della mancanza dei seggiolini dei due minori, obbligatori in ragione dell'età degli stessi (primo motivo): le errate valutazioni al riguardo avrebbero condotto i Giudici di entrambi i gradi di giudizio a respingere la richiesta di una consulenza, volta a verificare se l'entità dei danni riportati dai minori sarebbe stata meno grave nel caso in cui gli stessi fossero stati adeguatamente collocati all'interno dell'autovettura, così incidendo sulla congruità del risarcimento; con il secondo motivo, si lamenta l'errata valutazione e l'omessa motivazione rispetto al concorso di colpa del conducente della vettura tamponata che, si sostiene, avrebbe viaggiato ad una velocità superiore al limite su quel tratto di strada, conseguendone una diversa valutazione sulla congruità del risarcimento dei danni sofferti dalle persone offese e la loro eventuale estromissione del processo; 2.2. Con il terzo motivo, infine, si duole del vizio di motivazione con riguardo alla determinazione della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sostenendosi che la valutazione dei Giudici al riguardo sarebbe stata diversa qualora, attraverso la richiesta consulenza, si fosse accertato il concorso di colpa della conducente dell'autovettura Citroen e la minore gravità dei danni subiti dai minori se collocati sui seggiolini. 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 4. In data 11/01/2024, sono pervenute le conclusioni dell'avv. De.Sa., difensore delle parti civili Ta.Gi. e Gi.Ba. In data 12/01/2024, sono pervenute conclusioni scritte del difensore dell'imputato, avv. Al.Ro. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, non solo perché affette da genericità - intesa questa non solo come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (ex multis, Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849) - ma anche perché investono profili di valutazione della prova e cli ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Con riguardo ai primi due motivi, volti ad accreditare il concorso di colpa della conducente del veicolo tamponato, in ragione di una asserita eccessiva velocità, congruamente la sentenza impugnata, afferma l'irrilevanza della velocità di marcia tenuta dalla Citroen, atteso che si è verificato in tamponamento o urto da tergo, provocato dalla vettura dell'imputato, che non si è avveduto per tempo della vettura della Gi.Ba. posta sulla seconda corsia, la quale, per la violenza dell'urto, si ribaltava ripetutamente. Il Tribunale ha correttamente osservato che "chi segue ha un particolare onere di attenzione proprio per la posizione che assume", dovendo prestare particolare attenzione ai veicoli che si trovano davanti e adeguare, di conseguenza, la propria condotta di guida, mantenendo congrua distanza di sicurezza al fine di adottare le misure di protezione che dovessero ritenersi necessarie in caso di pericolo. Quanto al dedotto mancato uso dei seggiolini, il Tribunale, effettuata una valutazione in fatto, ha esattamente osservato come il sinistro sia stato unicamente provocato dal prevenuto e non già dal mancato o parziale uso dei seggiolini. E sulla base delle anzidette considerazioni, ha ritenuto, con motivazione congrua e pertanto incensurc1bile in questa sede, del tutto superflua l'attività istruttoria richiesta la difesa dell'imputato. Parimenti inammissibile il terzo motivo di ricorso afferente al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche. Giova ricordare che non sono deducibili innanzi al giudice di legittimità censure in ordine al trattamento sanzionatorio, naturalmente rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, la cui quantificazione non sia frutto di arbitrio o sia assistita da motivazione manifestamente illogica, evenienza che non si rinviene nel caso di specie. Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto la pena comminata dal Giudice di pace assolutamente congrua rispetto alla gravità oggettiva del reato anche con riguardo al numero delle vittime colpite dal sinistro. Per le medesime ragioni ed in mancanza di elementi di favore, ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. L'onere motivazionale, pertanto, è stato assolto nel rispetto dei principi informatori indicati dal giudice di legittimità. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Le spese in favore delle parti civili non sono dovute, atteso che, in applicazione del condiviso principio di diritto (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino Ciro; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo), la liquidazione delle spese processuali riferibili alla fase di legittimità in favore delle parti civili non è dovuta, perché esse non hanno fornito alcun contributo essendosi limitate a richiedere la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, ovvero il suo rigetto, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nulla per le spese in favore delle parti civili. Così deciso il 17 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Bo.Ar. nato a P il (Omissis) avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE; letta le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell'avvocata S. Cu. che ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata; RILEVATO IN FATTO l. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia del GUP del Tribunale di Enna del 22 settembre 2022, che, in sede di giudizio abbreviato, aveva ritenuto Bo.Ar. responsabile del reato previsto dall'art. 589 bis cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Al Bo.Ar. era stato contestato di aver cagionato, in data 6 dicembre 2020, dapprima lesioni gravissime e poi, il successivo 14 dicembre, la morte di Ma.Gi., in seguito all'incidente stradale avvenuto in (Omissis) lungo la Strada Statale (Omissis) in direzione di Enna. In particolare, mentre il Bo.Ar. si trovava alla guida dell'autovettura Peugeot 3008 tg.ta (Omissis), giunto all'altezza del Km (Omissis) circa, per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per colpa specifica consistita nella violazione dell'art. 141, commi 1 e 2, D.Lgs. 285/1992, non regolando la velocità in relazione alle condizioni della strada (pioggia battente e vento forte) e non arrestando il veicolo dinanzi ad un ostacolo visibile, in corrispondenza di un lungo rettifilo in salita, tamponava da tergo l'autovettura Fiat Uno tg.ta (Omissis) condotta dal Ma.Gi., mentre quest'ultimo aveva poco prima arrestato la marcia per la presenza di un grande ramo caduto sulla carreggiata. In tal modo, la già menzionata Fiat Uno slittava nella corsia di marcia opposta e subiva il conseguente impatto con altra autovettura, Peugeot 207 tg.ta (Omissis), che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta, così facendo balzare fuori dall'abitacolo Ma.Gi., che riportava lesioni gravissime da cui derivava il decesso, intervenuto a Catania il 14 dicembre 2020. In (Omissis), il 6 dicembre 2020. 2. I giudici di merito hanno così ricostruito i fatti. Il 6 dicembre 2020, alle ore 7,45 circa, nelle circostanze di luogo indicate in imputazione, si verificava un sinistro tra la Peugeot 3008, condotta dall'imputato, e l'autovettura Fiat Uno, condotta da Ma.Gi. Nel sinistro veniva successivamente coinvolta anche la Peugeot 207, condotta da Mu.An., che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta. Il Ma.Gi. era intento a guidare lungo la SS (Omissis), direzione Enna, in tratto rettilineo ed in leggera salita, allorquando le difficili condizioni climatiche (pioggia battente e vento forte) cagionavano la caduta di un grande ramo da un albero che si trovava ai bordi della strada, che andava così a bloccare l'intera carreggiata di pertinenza del Ma.Gi., Quest'ultimo, dopo aver avvistato l'ostacolo, arrestava la propria marcia proprio in corrispondenza del medesimo. A questo punto, tuttavia, sopraggiungeva nella stessa direzione la Peugeot 3008 condotta dall'imputato, il quale tamponava da dietro la citata Fiat Uno, così provocando lo slittamento del già menzionato veicolo nella corsia di marcia opposta ed il conseguente impatto con altra autovettura Peugeot 207, che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta, così proiettando fuori dall' abitacolo il Ma.Gi. Dopo circa dieci minuti, intervenivano operanti della squadra Volanti del Commissariato di P.S. di Piazza Armerina, i quali descrivevano la dinamica dell'incidente nei termini sopra riportati ed effettuavano i rilievi dell'area teatro del sinistro. Da tali rilievi emergeva che il tratto di strada interessato era rettilineo, in leggera salita, a doppio senso di circolazione e con una larghezza totale di metri 9 ,50 circa, divisa in due carreggiate da metri 3,75 ciascuna e da due banchine di metri 1 ciascuna. Inoltre, i poliziotti specificavano che il fondo stn:1dale era bagnato a causa della pioggia battente e del forte vento, ma che la visibilità era comunque buona, l'illuminazione diurna e non vi era traffico veicolare. Inoltre, si dava atto della presenza, cento metri prima del sinistro, di un cartello di pericolo relativo alla strada sdrucciolevole con pioggia e neve. Infine, il reparto specializzato non riscontrava sull'asfalto alcun segno di frenata. Le risultanze dei rilievi venivano confermate dalla consulenza svolta dal Pubblico Ministero, dalla quale era emerso che la collisione era avvenuta tra la parte anteriore sinistra della Peugeot 3008 e la parte posteriore destra della Fiat Uno, all'interno della corsia di marcia per i veicoli diretti a Enna. All'esito dell'impatto, la Peugeot 3008 scartava verso il margine destro della carreggiata e, dopo aver strisciato con lo spigolo anteriore destro contro il guard rai e travolto il robusto ramo che si trovava sulla carreggiata, a seguito del forte tamponamento ricevuto nella parte posteriore destra, trovava la posizione di quiete a circa 27 metri più avanti rispetto al punto d'urto. Quindi, la Fiat Uno condotta dal Ma.Gi. veniva fatta ruotare (di circa 180 gradi), sino a slittare nella corsia di marcia opposta, a circa 15 metri dalla sezione di collisione. Quindi, dopo pochi istanti, la Fiat Uno veniva nuovamente colpita, nella parte posteriore destra, dalla autovettura Peugeot 207, condotta dal Mu.An., che marciava verso Piazza Armerina. A seguito del secondo urto, l'auto del Ma.Gi. veniva sospinta in direzione Piazza Armerina finendo all'interno della corsia di marcia relativa ai veicoli diretti verso Enna. Veniva anche confermata l'assenza di tracce di frenata e le condizioni di visibilità ed illuminazione rilevati dalla polizia stradale. Il consulente specificava che il limite di velocità in quel tratto stradale era di 90 Km/h ed il manto stradale era in buone condizioni. Il consulente aveva anche riscontrato i danni subiti dalla Fiat Uno, consistenti nella traslazione in avanti del sedile di guida sino a contatto con il volante, ciò a causa della spinta esercitata dal divano posteriore a seguito della deformazione subita dalla porta posteriore destra del veicolo in occasione del tamponamento subito dalla Peugeot 3008, dal quale era derivata l'inesistenza dello spazio dell'abitacolo, mentre la ruota posteriore destra era stata rinvenuta a soli 95 cm. di distanza dalla ruota anteriore destra, rispetto al passo originario di cm. 236. La parte offesa non indossava la cintura di sicurezza, essendo il relativo meccanismo bloccato. Le luci erano accese in posizione anabbagliante ed il freno a mano era sollevato. Dal dispositivo satellitare installato sulla Fiat Uno, era emerso che il mezzo al momento della collisione era fermo da almeno cinque secondi e che tra il primo ed il secondo t21mponamento era intercorso un lasso di tempo di circa O,75 secondi. Infine, la velocità della Peugeot 3008 al momento dell'impatto con la Fiat Uno era stata valutata in 80Km/h, mentre la velocità della Peugeot 207 era di circa 60 Km/h. Il teste Mu.An. aveva riferito di aver chiaramente percepito sia l'ostacolo del ramo caduto sulla corsia opposta, che il veicolo fermo dietro al medesimo e che veniva tamponato da altro veicolo che ne causava lo scorrimento nella sua corsia di marcia, andando a collidere nella parte anteriore sinistra del proprio veicolo. 3. Alla luce di tali elementi, la Corte di appello ha ritenuto accertata la responsabilità penale dell'imputato, in quanto l'evento morte doveva considerarsi quale conseguenza diretta della condotta del Bo.Ar., avendo quest'ultimo, con il proprio comportamento, inequivocabilmente innescato la sequenza causale che portava al decesso di Ma.Gi., essendo il primo urto conditio sine qua non di tale evento. Ciò a prescindere dall'assenza della cintura di sicurezza e dalla mancata segnalazione luminosa della sosta da parte del Ma.Gi., nonché del secondo urto subito dalla Peugeot 207, non trattandosi di circostanze sopravvenute da sole sufficienti a determinare l'evento e tali da spezzare il nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento. Quanto poi al profilo della sussistenza di una condotta colposa e della causalità della colpa, la Corte territoriale ha rilevato la sussistenza della colpa specifica contestata, posto che l'imputato avrebbe dovuto moderare la propria velocità, in considerazione delle condizioni in cui si trovava la strada, bagnata a causa della pioggia, nonché per la p1·esenza del forte vento. Pertanto, sebbene il limite di velocità fosse di 90 Km/h in tale tratto di strada, lo stesso si riferiva a condizioni atmosferiche ottimali, insussistenti nella fattispecie, con la conseguenza che la velocità tenuta (pari ad 80 Km/h) era inadeguata, con la conseguente integrazione della condotta colposa specifica prevista dall'art. 141 cod. strada o comunque della generale regola di prudenza, relativa a profilo di colpa generica. In ragione della avvenuta violazione di regole di natura cautelare e del conseguente realizzarsi dell'evento, risultava altresì integrato il requisito della prevedibilità ed evitabilità dell'evento infausto da parte del soggetto agente. Tale prevedibilità ed evitabilità era apprezzabile in concreto, giacché le avverse condizioni atmosferiche e la possibile caduta di rami era percepibile dall'imputato, né risultava confermato il dato dallo stesso imputato riferito dell'improvviso peggioramento dell'intensità della pioggia, tale da impedire la visibilità. 4. Quanto al trattamento sanzionatorio, negate le circostanze attenuanti generiche per la gravità della condotta colposa tenuta, sono state riconosciute le attenuanti del pieno e satisfattivo 1·isarcimento del danno (art. 62 n. 6 cod. pen.) e dell'art. 4:sg, settimo comma, cod. pen., in ragione del fatto che l'evento non era stato esclusiva conseguenza della condotta del colpevole. La Corte di appello ha integralmente confermato la pronuncia di primo grado, richiamandone tutti i contenuti. 5. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Bo.Ar. sulla base di due motivi: Con il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 192 cod.proc.pen. e contraddittorietà ovvero carenza ed illogicità della motivazione, in relazione alla dichiarazione di responsabilità, posto che la stessa avrebbe dovuto essere esclusa, essendo l'evento stato determinato, in maniera autonoma ed indipendente dalla condotta imputata al ricorrente, dall'avere lo stesso Ma.Gi. omesso di segnalare luminosamente la sosta, violando l'art. 153 comma 7 cod. strada, e dal non aver indossato la cintura di sicurezza (art. 172 cod. strada). L'esatta valutazione di tali rilievi avrebbe comportato l'accoglimento della tesi difensiva prospettata dall'imputato. - Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell'art. 62 bis cod.pen. e difetto di motivazione e violazione di legge. Si lamenta, in particolare, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare, oltre alla entità della colpa, l'assenza di precedenti penali dell'imputato ed i parametri dell'art. 133 cod. pen. che avrebbe dovuto comportare la determinazione di una pena inferiore per renderla adeguata alla natura ed entità dei fatti. 6. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile. Il difensore dell'imputato ha depositato nota scritta con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità. 2. Va premesso che, vertendosi, in punto di valutazione di responsabilità dell'imputato, in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale inseç1namento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosina, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617). 2. Ciò posto, in riferimento al primo motivo di impugnazione, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato in punto di effettiva ricostruzione della dinamica dell'evento si palesano infondate, non apprezzandosi nelle motivazioni delle sentenze di merito alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva né alcuna violazione delle regole sostanziali in punto di valutazione del nesso causale. In particolare, le deduzioni contenute nel motivo di ricorso mirano - per la loro gran parte - a sollecitare una rivalutazione nel merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sede legittimità essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, P.v. 234559; sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601). 3. È stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità cli una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716). Va quindi ricordato, in ordine al primo punto posto a fondamento del motivo di ricorso, che in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Pari si, Rv. 253512; Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015 n. 321, Sartori, Rv. 263435). Nel caso di specie, quindi, la Corte territoriale ha dato congruamente atto - con motivazione non palesemente illogica - della adesione alle conclusioni raggiunte dal consulente del Pubblico ministero in ordine alla specifica tematica della dinamica del complesso incidente al momento dell'urto appare frutto di un ragionamento del tutto congetturale e non fondato su adeguate massime di esperienza, in quanto tale non idoneo a smentire la correttezza della motivazione della Corte territoriale in punto di adesione alle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero. D'altra parte, la Corte ha dato adegué:1tamente conto - smentendo la relativa argomentazione difensiva, riportata nel motivo di ricorso - con argomentazione non palesemente illog1ica, che la tesi sostenuta dall'appellante, relativa ad un improvviso peggioramento delle condizioni metereologiche, era rimasta del tutto priva di prova. Al contrario, l'andatura ad 80 KM/h, in quelle condizioni,, era palesemente non consona rispetto al precetto dell'art. 141 cod. strada, tanto da costituire l'innesco dell'incidente, senza consentire al conducente neanche di frenare, come emerso dai rilievi della Polizia Stradale e dalla testimonianza assunta. 4. In ogni caso, il complesso delle argomentazioni fattuali esposte nell'ambito del motivo di ricorso, non si confronta adeguatamente con il complessivo percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale; in particolare, la condotta colposa della parte offesa, che non aveva azionato i dispositivi lampeggianti al momento in cui si accorse dell'ostacolo e non aveva indossato la cintura di sicurezza, non sarebbe comunque stata idonea ad escludere la rilevanza causale della condotta tenuta dall'imputato, in quanto lo stesso si sarebbe comunque dovuto trovare nelle condizioni per rispettare la regola cautelare prevista dall'art. 141 C.d.S., comma 2, e in base alla quale il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile; ritenendo quindi, di conseguenza, che il comportamento dell'imputato si sarebbe comunque posto in diretto rapporto causale con l'evento in correlazione con i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p. 6. A tale proposito, va ricordato che, secondo costante orientamento giurisprudenziale, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell'agente e quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta (attiva od omissiva), si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole, probabilità (Sez.4, n. 53541 del 26/10/2017, Zantonello, Rv. 271846; Sez. 5, n. 7205 del 09/11/2022, dep.2023, Licciardi, Rv. 28433802). Con argomentazione intrinsecamente coerente, la Corte territoriale ha ritenuto che l'assenza di nebbia e di traffico veicolare aveva reso l'autovettura della parte offesa un ostacolo del tutto visibile e lo stesso doveva dirsi, dato il maltempo, per la caduta di rami, che avrebbe dovuto indurre a tenere una velocità adeguata. In materia di circolazione stradale, l'imprevedibilità di un ostacolo, incontrato da un veicolo sulla sua linea di marcia, può escludere la colpa solo se la percezione dello ostacolo sia tanto improvvisa da porre il conducente nella assoluta ed incolpevole impossibilità di evitare l'investimento (Sez.. 4, n. 20330 ciel 13/01/2017, C., Rv. 270227). 7. Deve quindi ritenersi che la Corte abbia escluso, con motivazione immune dai denunciati vizi di violazione di legge e di illogicità, che l'eventuale posizionamento delle illuminazioni della Fiat Uno possa essersi posto quale fattore causale esclusivo dell'urto e del successivo impatto con la vettura proveniente dall'opposto senso di marcia, riconoscendo al comportamento colposo dell'imputato l'attributo di fattore eziologico necessario del conseguente evento dannoso. 8. Il motivo inerente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. Va difatti ricordato che lo stesso può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis c.p., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinellii, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv..279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretto uso dei criteri indicati, posto che ha condiviso il diniego della concessione delle attenuanti generiche derivante dalla gravità della condotta, espresso dal Tribunale, che ha, allo stesso tempo, affermato che la pena complessivamente determinata, ai sensi dell'art. 133 cod.pen., era adeguata alla concreta fattispecie, essendo state riconosciute le due attenuanti dell'art. 589 bis, comma sette, e dell'art. 62 n. 6 cod. pen. ed avendo ancorato la pena base al minimo edittale. Si tratta quindi di motivazione che appare logica e pienamente coerente con i richiamati principi e, perté:1nto, non sindacabile in sede di legittimità. 9. Il ricorso va, quindi dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7246 del 2021, proposto da: Sa. Fe. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Bi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti per la riforma: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 00106/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 il Consigliere Lorenzo Cordì : Lette le conclusioni rassegnate dalle parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I signori Sa. Fe. ed altri hanno appellato la sentenza n. 106/2021, con la quale il T.A.R. per la Campania - sede di Napoli ha respinto il ricorso da loro proposto avverso il provvedimento n. 29/2015, con cui il Comune di (omissis) ha rigettato l'istanza di condono, relativa ad un manufatto realizzato alla via (...). 2. I signori Sa. Fe. e Fr. Fe. hanno dedotto di essere nudi proprietari di un terreno sito nel territorio del Comune di (omissis) (foglio (omissis), particella n. (omissis)), di cui la sig.ra An. Re. è usufruttaria. Hanno, altresì, dedotto di aver realizzato su tale terreno due manufatti privi di titoli abilitativi, per i quali avevano presentato le istanze di condono: i) prot. n. 4856 dell'1.3.1995, per il primo manufatto destinato ad ospitare l'attività di falegnameria svolta dal sig. Sa. Fe.; ii) prot. n. 4857 dell'1.3.1995, per il secondo manufatto destinato a deposito. In relazione a questo secondo manufatto (oggetto del provvedimento impugnato) gli appellanti hanno, inoltre, dedotto che: i) il manufatto era un "locale deposito, parzialmente interrato, realizzato con pilastri in legno, tamponature in lamiera e pavimentazione in cemento, stabilmente ancorato al suolo, pertinenziale all'attività artigianale di falegnameria svolta nel manufatto attiguo, della consistenza accertata di mt 14,00 x 14,50 con un'altezza di mt 5,50, completo, ultimato e funzionale alla destinazione per il quale era stato costruito": ii) la pratica era stata presentata in modo completo ed erano stati versati l'oblazione e gli oneri concessori; iii) a causa di alcuni avversi fenomeni atmosferici, erano state realizzate alcune opere di adeguamento statico della struttura, autorizzate dall'Ente comunale; iv) successivamente, era stato realizzato un solaio interno all'altezza di mt. 2,80, ed erano state presentate due ulteriori istanze di condono ex L. n. 326/2003 (prot. nn. 31578 e 31579 del 7.12.2004) per quanto medio tempore realizzato, ivi compresi i due appartamenti creati con l'installazione del solaio. L'Amministrazione ha accolto le due istanze di condono ex L. n. 326/2003, e ha respinto l'istanza ex L. n. 724/1994, osservando che: i) l'immobile non era stato ultimato alla data del 31.12.1993; ii) l'immobile era difforme rispetto alla originaria consistenza; iii) l'immobile risultava accatastato come deposito e non come locale artigianale, diversamente da quanto dichiarato nella pratica di condono. 3. Gli odierni appellanti hanno impugnato il diniego di condono dinanzi al T.A.R. per la Campania - sede di Napoli, che ha respinto il ricorso osservando che: i) non poteva ritenersi formato il silenzio-assenso sulla domanda di condono difettando uno dei presupposti per la formazione del titolo, costituito dall'avvenuto completamento dell'opera; ii) nella perizia giurata allegata all'istanza di condono risultava, per espressa ammissione del tecnico di parte, che l'immobile era da completarsi in quanto erano presenti solo strutture portanti, tamponamento e copertura in lamiera; iii) difettava, pertanto, il requisito del completamento funzionale, inteso come idoneità ad un determinato uso; iv) il manufatto aveva destinazione artigianale e non vi era alcun riferimento alla funzione di deposito o magazzino; v) rispetto a tale destinazione il manufatto non poteva ritenersi funzionalmente completato alla data del 31.12.1993; vi) l'adeguamento statico del 1998 confermava che l'immobile non era, in precedenza idoneo; vii) poteva assorbirsi l'esame degli ulteriori motivi trattandosi di atto plurimotivato. 4. Gli appellanti hanno articolato due motivi di censura della sentenza di primo grado e riproposto i due motivi assorbiti dal T.A.R. 5. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo di respingere il ricorso in appello. In vista dell'udienza pubblica del 14.3.2024 l'Amministrazione ha depositato memoria conclusionale. A tale udienza la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Procedendo ad esaminare il merito dell'appello si osserva quanto segue. 6.1. Con il primo motivo le parti appellanti hanno dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso l'intervenuta formazione del silenzio assenso, che, invece, avrebbe dovuto ritenersi integrato in quanto il Comune lo aveva implicitamente ammesso, assentendo i lavori di adeguamento statico del 1998. Inoltre, le parti hanno evidenziato come il T.A.R. avesse ritenuto di trarre da questi lavori del 1998 la conferma della mancata ultimazione del manufatto; circostanza ritenuta errata in quanto l'esecuzione di opere di consolidamento statico non implica l'assenza o l'insufficienza dei requisiti statici della struttura, ma esprime "l'apprezzabile intento di rendere più performante la struttura, a vantaggio di sicurezza". Inoltre, il T.A.R. avrebbe integrato, in tal modo, la motivazione del provvedimento. Secondo gli appellanti il silenzio si sarebbe, quindi, formato con conseguente illegittimità del provvedimento, non conforme al paradigma di cui all'art. 21-nonies della L. n. 241/1990. 6.2. Con il secondo motivo le parti hanno censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto il manufatto non ultimato alla data del 31.12.1993, evidenziando che il manufatto, oltre ad essere definito nella sua struttura portante e nella consistenza volumetrica, era adeguato a svolgere la funzione di deposito di materiale di falegnameria. 6.3. Con il terzo e quarto motivo le parti hanno, invero, riproposto le questioni assorbite dalla sentenza di primo grado. 7. I due motivi di appello possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati per le ragioni che saranno di seguito spiegato. L'infondatezza di tali motivi consente al Collegio di assorbire la disamina dei motivi riproposti (e assorbiti già dal Giudice di primo grado); infatti, trattandosi di provvedimento plurimotivato opera il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo il quale "in caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento, è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento [...] nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato o meglio inammissibile per carenza di interesse alla coltivazione dell'impugnativa avverso l'ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2171). 7.2. In relazione al primo motivo il Collegio rileva come, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, perché possa formarsi il silenzio -assenso su un'istanza di condono edilizio, il termine di ventiquattro mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa risulti completa in ogni sua parte (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2022, n. 1813). Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3661; v., inoltre, Id., 8 agosto 2023, n. 7678). 7.3. Risulta, pertanto, necessario verificare se l'istanza presentata possedesse tutti i requisiti oggettivi e soggettivi per l'accoglimento e, in particolare, se l'opera fosse ultimata alla data del 31.12.2003. Questa verifica impone, quindi, di incentrare l'attenzione sul secondo motivo di ricorso in appello. In relazione alle censure ivi contenute il Collegio osserva come il T.A.R. abbia, correttamente, accertato che l'immobile era stato indicato come avente destinazione industriale e artigianale. Infatti, sia nell'indicazione della superficie che in quella della destinazione d'uso, era stata indicata l'attività industriale/artigianale. Rispetto a tale destinazione (e non a quella di deposito, non indicata nell'istanza) deve verificarsi il completamento del manufatto che, come indicato dallo stesso tecnico di parte, all'epoca di presentazione dell'istanza era, però, "da completarsi in quanto sono presenti strutture portanti, tamponamento e copertura in lamiera". Pertanto, non può ritenersi che vi fosse realizzato un completamento funzionale di una struttura destinata ad attività industriale/artigianale, intendendo per completamento funzionale uno stato di avanzamento nella sua realizzazione, tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finitura, la fruizione (v. Consiglio di Stato, Sez. II, 8 febbraio 2024, n. 1301). Alla luce di quanto esposto deve ritenersi non provato l'elemento del completamento funzionale del manufatto in relazione alla specifica destinazione - indicata nella domanda - per la quale lo stesso era stato edificato; elemento la cui prova grava sulla parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne (Consiglio di Stato, Sez. II, 11 novembre 2019, 7678). 7.4. Dall'infondatezza del secondo motivo discende, altresì, l'infondatezza del primo motivo di ricorso in appello: infatti, come spiegato in precedenza, esclusa la sussistenza del presupposto oggettivo del completamento dell'opera entro il 31.12.1993, ne consegue l'impossibilità di predicare ex se il silenzio-assenso, con conseguente irrilevanza delle ulteriori deduzioni delle appellanti che non sono neppure astrattamente idoneo a superare questo aspetto che ha portata dirimenti. 8. In considerazione di quanto esposto, il ricorso in appello deve essere respinto. 9. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere al Comune di (omissis) le spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere, Estensore Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 734 del 2020, proposto da società agricola Ga. An. di Ga. Ar., Ga. e Pa. s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gu. Ro., in Roma, via (...); contro Presidente della Regione Emilia-Romagna, in qualità di commissario delegato ex art. 1, comma 2, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via (...); Regione Emilia-Romagna, INVITALIA - Agenzia Nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa s.p.a., non costituiti in giudizio; per la riforma per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna - sede di Bologna (sezione prima) n. 786/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del presidente della Regione Emilia-Romagna, in qualità di commissario delegato ex art. 1, comma 2, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74; Viste le memorie e tutti gli atti della causa; Relatore all'udienza straordinaria art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm. del giorno 6 marzo 2024 il consigliere Fabio Franconiero, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti e le conclusioni ivi formulate; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società agricola appellante indicata in epigrafe agisce nel presente giudizio per ottenere il contributo per gli interventi di ricostruzione post-sisma sui propri immobili ad uso agricolo facenti parte della azienda a prevalente carattere zootecnico di sua proprietà, sita nel Comune di (omissis), danneggiati dal sisma che ha colpito l'Emilia-Romagna nei giorni 20 e 29 maggio 2012. 2. A questo scopo, ed in vista di un riassetto complessivo delle due principali unità produttive, ubicate in via (omissis) e via (omissis), rispettivamente impiegate per l'allevamento dei bovini e vitelli da latte la prima e la seconda dei bovini da carne, la società agricola aveva presentato nel 2015 due domande di contributo per un insieme complessivo di tredici interventi al commissario delegato per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, ex art. 1, comma 2, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012; convertito dalla legge; 1 agosto 2012, n. 122), secondo la disciplina emergenziale di cui all'ordinanza commissariale del 12 ottobre 2012, n. 57 (Criteri e modalità per il riconoscimento dei danni e la concessione dei contributi per la riparazione, il ripristino, la ricostruzione di immobili ad uso produttivo, per la riparazione e il riacquisto di beni mobili strumentali all'attività, per la ricostituzione delle scorte e dei prodotti e per la delocalizzazione, in relazione agli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012). 3. Le domande venivano accolte solo in parte, con riferimento ad alcuni degli immobili facenti parte delle due unità produttive dell'azienda agricola (con decreti in data 13 aprile 15 giugno 2017, nn. 1069 e 1708). Per la parte sfavorevole, ai sensi dell'art. 13-bis dell'ordinanza commissariale ora richiamata venivano ripresentate due nuove domande, respinte con i provvedimenti impugnati nel presente giudizio, e cioè i decreti del 2 agosto 2017, n. 2186, e del 5 settembre 2017, n. 2424. 4. I ricorsi nella presente sede giurisdizionale amministrativa, riuniti per connessione, contro gli atti in questione sono stati respinti dall'adito Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna - sede di Bologna con la sentenza indicata in epigrafe. 5. Questa ha statuito, con riguardo ai singoli immobili oggetto delle domande di contributi, che: - per la stalla dei vitelli (immobile facente parte dell'unità produttiva di via (omissis), censito a catasto al foglio (omissis), mappale (omissis), subalterno (omissis)), accertato in sede istruttoria un "danno lieve alle murature di tamponamento perimetrali", non poteva ritenersi integrata la necessaria prova "del superamento di quei livelli di danno necessari per poter accedere al contributo"; - per la stalla/fienile in muratura (relativo alla medesima unità produttiva, censito al foglio (omissis), mappale (omissis) subalterno (omissis)) non era stata dimostrata la sua funzionalità "rispetto all'attività agricola della ricorrente"; non era pertanto configurabile la necessaria coerenza tra la domanda di contributo e la funzione della provvidenza, consistente nel "far ripartire le aziende che hanno subito danni per effetto del sisma" e non già nel "ristorarle di tutti i danni subiti"; - analogamente, per gli altri immobili per cui il contributo era stato negato: basso comodo (anch'esso ubicato in via (omissis), censito al foglio (omissis), mappale (omissis)) e depositi facenti parte dell'unità produttiva di via (omissis), e cioè i depositi "ex abitazione" e "ex basso comodo", rispettivamente censiti al foglio (omissis), mappale (omissis), subalterno (omissis) il primo e subalterno (omissis) il secondo. 6. Per la riforma della pronuncia di primo grado la società agricola ricorrente ha proposto il presente appello, in resistenza del quale si è costituito il commissario delegato, con comparsa di forma. DIRITTO 1. L'esposizione dei motivi d'appello è preceduto da una premessa intesa a criticare l'impostazione a base della decisione di rigetto del ricorso in primo grado, fondata per un verso sulla considerazione che lo scopo del contributo pubblico previsto per l'evento calamitoso che ha colpito l'Emilia-Romagna è di consentire la ripresa dell'attività produttiva e non già di ristoro integrale dei danni subiti dalle imprese ubicate nei territori interessati; e per altro verso che al di là di una verifica di coerenza con la descritta funzione l'operato dell'amministrazione non è sindacabile nella presente sede giurisdizionale di legittimità . Al ragionamento ora riportato, considerato dall'appello condivisibile in astratto, viene nondimeno opposta la specificità del caso controverso, riguardante "una delle più grandi aziende agricole italiane, estesa oltre duecento ettari", contraddistinta dall'"articolazione delle attività svolte che vanno dall'allevamento, alla coltivazione dei foraggi, alla produzione del latte, all'attività di produzione di frutta", e dall'"imprescindibile collegamento funzionale degli immobili con le diverse e articolate attività agricole praticate", che dunque in chiave di buon andamento della pubblica amministrazione sarebbe in tesi meritevole di un sostegno pubblico integrale. 2. Tutto ciò premesso, con un primo ordine di censure si ribadisce che il fabbricato adibito a "stalla vitelli", composto nel suo complesso da un corpo centrale in calcestruzzo e due aggregati in muratura, dovrebbe essere considerato "quale unica unità strutturale" in conformità alla normativa tecnica sulle costruzioni, diversamente da quanto ritenuto dal commissario delegato nel provvedimento impugnato, che ha negato il contributo sulla base dell'assenza di danni alla struttura principale in calcestruzzo. Nella medesima linea viene evidenziato l'errore compiuto dalla sentenza consistito nel non avere considerato l'immobile come bene unitario, per il quale dovrebbero dunque ritenersi integrati i presupposti del contributo, dal momento che a mezzo di perizia tecnica allegata alla domanda sarebbero stati documentati i danni alle due porzioni di fabbricato in muratura portante presenti sul fronte nord e sul tamponamento del corpo principale esposto a sud. In presenza di pregiudizi di carattere strutturale, il contributo svolgerebbe quindi la sua funzione di consentire l'intervento di miglioramento sismico prefigurato in sede di domanda al commissario delegato, che dovrebbe quindi essere almeno in parte accolta, ai sensi della circolare del comitato scientifico dell'Emilia Romagna del 12 gennaio 2012. Per concludere sul punto, si sostiene che i danni provocati dal sisma, ai sensi degli artt. 3, commi 1 e 2, del citato decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, e 2, comma 3, dell'ordinanza commissariale 12 ottobre 2012, n. 57, sarebbero stati documentati. Allo stesso riguardo, in relazione ai profili di carattere tecnico implicati nella questione controversa viene chiesto in via istruttoria che sia disposta una verificazione o una consulenza tecnica d'ufficio. 3. Con il secondo motivo d'appello si censura il mancato riconoscimento del contributo relativo alla stalla/fienile in muratura, motivato dal commissario delegato sulla base del fatto che non era stata dimostrato il suo "razionale utilizzo produttivo", ed in particolare del suo dichiarato utilizzo come "deposito di macchinari agricoli al piano terra e di attrezzatura minuta al piano primo". Ciò a causa della presenza diffusa "di materiale in disuso", evincibile dalla documentazione fotografica prodotta in sede procedimentale. Alla ragione del diniego così espressa si oppone che prima degli eventi sismici il manufatto in questione è stato invece utilizzato a deposito e inoltre a stalla, "soprattutto per fronteggiare le necessità di assistenza e di cura dei capi bovini", come in particolare ricavabile dalla documentazione a firma del veterinario dell'azienda. 4. Con il terzo motivo d'appello sono riproposte le censure nei confronti del diniego di contributo per il fabbricato adibito a "basso comodo", per il quale è stata ritenuta la mancata dimostrazione del razionale utilizzo produttivo, analogamente a quanto ritenuto dal commissario delegato per il precedente fabbricato, ed inoltre la "sovradimensione rispetto alle razionali necessità aziendali" dell'immobile in questione, per via della presenza di "altri fabbricati a destinazione deposito attrezzi e materiali agricoli di dimensioni rilevanti rispetto alle necessità operative e di stoccaggio aziendali". Anche in questo caso si ripropone la tesi dell'impiego del manufatto a deposito per i materiali impiegati nell'attività agricola, riscontrato peraltro anche dai tecnici regionali incaricati dell'istruttoria sulle domande, e precisamente di ricovero "per i materiali necessari allo svolgimento dell'attività produttiva agricola", sgomberato poi in seguito al sisma del 2012. Si sostiene che il diniego di contributo sarebbe stato inficiato da quest'ultima circostanza, di carattere contingente e dunque non valutabile in senso sfavorevole; e che gli altri immobili la cui presenza ha indotto l'amministrazione commissariale a ritenere il ripristino di quello in contestazione eccedente rispetto alle esigenze aziendali hanno impieghi diversi (fienile, sala mungitura, sala vitelli e stalla per bovini). Pertanto - si conclude - il recupero del fabbricato sarebbe necessario per la ripresa della piena funzionalità dell'attività aziendale nelle condizioni pre-sisma. 5. Con il quarto motivo d'appello sono riproposte le censure contro il diniego di contributo opposto nei confronti del fabbricato "deposito (ex abitazione)" compreso nell'unità produttiva di via (omissis), per il quale l'istruttoria svolta in sede procedimentale non ha consentito di accertare l'impiego dell'immobile a "ricovero di attrezzatura idraulica per abbeveraggio, piccoli attrezzi agricoli, sementi e ricambi per impianti elettrici", a causa della riscontrata "presenza diffusa di materiale in disuso, non compatibile con la razionale attività produttiva agricola", ed ancora per la ritenuta non idoneità ai dichiarati usi produttivi "per dimensioni delle aperture e per dislocazione degli spazi". A confutazione dell'assenza di uso produttivo su cui si fonda il medesimo diniego, si sottolinea in contrario l'"importanza strategica fondamentale" per l'intera azienda agricola, posto che dal suo utilizzo dipenderebbe "l'intera attività zootecnica dei nuclei aziendale in quanto vi sono allocati i sistemi di adduzione idrica che asservono i due centri produttivi a carattere zootecnico". Il tutto sarebbe stato dimostrato a mezzo della perizia tecnica giurata allegata alla richiesta di contributo e dalla relativa documentazione fotografica, e di ciò la stessa sentenza di primo grado ha dato atto, salvo contraddittoriamente escludere le esigenze di funzionalità degli impianti e delle attrezzature ivi presenti per il fabbisogno idrico dell'azienda nel suo complesso. 6. Infine, con il quinto motivo d'appello vengono riproposte le censure nei confronti del diniego di contributo per il "deposito (ex basso comodo)", anch'esso facente parte dell'unità produttiva di via (omissis), che si assume invece anch'esso stabilmente utilizzato a ricovero degli attrezzi necessari per le attività agricole e zootecniche svolte nell'azienda, e per il quale si lamenta ancora una volta, come nel caso del "basso comodo", che sarebbe risultato determinante lo sgombero dei locali avvenuto in seguito al sisma. 7. Le censure così sintetizzate sono infondate. 8. Le contestazioni intese a sostenere che la stalla per i vitelli avrebbe ricevuto un danno strutturale riferibile al manufatto nella sua unitarietà ed interezza non superano le univoche risultanze istruttorie del procedimento originato dalla domanda di contributo, adeguatamente valutate dapprima dal commissario delegato e poi dalla sentenza di primo grado nella presente sede giurisdizionale. Come da quest'ultima rilevato, in assenza di danni da sisma accertati "sull'unità strutturale in calcestruzzo" e per contro sulla base del solo riscontro di un "danno lieve alle murature di tamponamento perimetrali", non inficiante "il livello di sicurezza della costruzione", non possono ritenersi integrati i presupposti per il riconoscimento del contributo, che ai sensi dalla disciplina emergenziale di cui all'ordinanza commissariale del 12 ottobre 2012, n. 57, più volte richiamata, ed in particolare dell'art. 9, postula un compiuto accertamento, supportato da elementi di carattere tecnico, del "nesso di causalità diretto tra il danno subito e gli eventi calamitosi". Ciò - come ancora puntualmente statuito dalla pronuncia di primo grado - in coerenza con la funzione del contributo post-sisma di rimuovere i danni inferti dall'evento calamitoso al tessuto produttivo e consentire alle imprese colpite di riprendere l'attività economica. 9. Più nello specifico, nel motivare il diniego di contributo, il provvedimento commissariale dà atto che la perizia tecnica di parte non è stata in grado di descrivere in modo esauriente l'entità del danno di origine sismica subito dall'immobile, e ricorda gli oneri documentali e di prova a questo riguardo posti a carico dell'interessato dalla normativa emergenziale. A questo riguardo, riscontrata l'esistenza di danni "solo nelle parti in muratura in adiacenza al capannone in c.a." e non anche a quest'ultimo, nella diffusa motivazione a fondamento del diniego di contributo, il provvedimento impugnato sottolinea che in base all'allegato 2 all'ordinanza commissariale per l'aiuto pubblico si richiede "la presenza di uno stato deformativo e/o di uno stato fessurativo e/o di spostamenti relativi residui riguardanti gli elementi strutturali principali e secondari e gli elementi non strutturali quali tamponamenti e tramezzature pesanti causati dall'azione sismica, che hanno comportato una riduzione del livello di sicurezza". Il rilievo ora richiamato è risultato insuperato. Ad esso si oppone infondatamente una pretesa unità strutturale dell'immobile che in base alla compiuta istruttoria svolta in sede procedimentale è stata invece esclusa, con motivazione adeguata e fondata su elementi obiettivi di carattere tecnico, idonea a supportare la determinazione conclusiva di rigetto per la sua palese coerenza con la funzione del contributo quale ricavabile dalla disciplina normativa emergenziale. Per tutto quanto finora esposto risulta inoltre superflua l'istruttoria richiesta nel motivo d'appello in esame, e che in ragione delle riscontrate carenze documentali nella domanda, puntualmente rilevata in sede istruttoria, si palesa come tendente a superare queste ultime. 10. Per quanto concerne gli altri immobili facenti parte dell'azienda della società agricola ricorrente per i quali il contributo è stato negato, oggetto delle restanti censure riproposte in appello, queste ultime non formulano critiche puntuali alle ragioni sulla base delle quali la pronuncia di primo grado è pervenuta ad accertare la legittimità sul punto dell'operato del commissario delegato all'emergenza. A questa conclusione la sentenza appellata è giunta tra l'altro sulla base di elementi provenienti dalla stessa società ricorrente, e dunque dotati di rilevante efficacia probatoria, dati dal fatto che in epoca precedente quest'ultima non aveva inserito i manufatti in questione in quelli impiegati nell'attività aziendale nelle comunicazioni inviate all'amministrazione regionale per l'ordinaria contribuzione di esercizio. In senso convergente è stata poi coerentemente valutata la situazione di fatto, adeguatamente descritta nei provvedimenti impugnati in questo giudizio, nei brani motivazionali sopra richiamati, sintomatica del non utilizzo a scopi produttivi degli immobili e la disponibilità da parte della ricorrente di altri immobili per le medesime finalità . 11. Con specifico riguardo al fabbricato adibito a "basso comodo" compreso nell'unità produttiva di via (omissis), con statuizione parimenti non censurata la sentenza ha riscontrato la mancanza di prova in ordine al fatto che "l'edificio avesse l'allacciamento ad acqua e luce con consumi tali da dimostrare l'effettivo utilizzo dei locali, né la sua idoneità ad accogliere gli operai stagionali/fissi con sufficienti servizi igienici e di acqua calda". 12. Nel complesso, i dinieghi di contributo per gli immobili per i quali non è stato accertato un effettivo impiego a finalità produttive, ed inoltre il loro sovradimensionamento rispetto ad esse, si fondano su elementi di carattere obiettivo, acquisiti e valutati sulla base di un'istruttoria approfondita delle strutture amministrative regionali di cui si è avvalso il commissario delegato all'emergenza post-terremoto ed attraverso il confronto dialettico con l'interessata nella sede procedimentale. Le determinazioni conclusive hanno quindi escluso che ricorressero i presupposti del contributo sulla base di una incensurabile applicazione della disciplina emergenziale e dalle finalità della provvidenza con essa istituita. Rispetto al descritto operato dell'amministrazione commissariale, nel presente giudizio sono stati opposte nulla più che dichiarazioni o valutazioni di parte non in grado di fare emergere errori negli accertamenti compiuti dalla prima rilevabili nella presente sede giurisdizionale di legittimità . 13. L'appello deve pertanto essere respinto. Le spese di causa possono nondimeno essere compensate, in ragione del fatto che il commissario delegato si è costituito in resistenza con comparsa di mera forma. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF, Estensore Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6496 del 2021, proposto dalla signora Br. Pe., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pe. e Ma. Sg., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. e Ma. Gr. Pi., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso lo studio del secondo dei suindicati difensori in Roma, via (...); nei confronti - dell'Unione montana (omissis), in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituita nel presente giudizio di appello; - del signor Ro. Ma., rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ol., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, Sez. I, 20 aprile 2021 n. 101, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del signor Ro. Ma. e i documenti prodotti; Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, con i documenti depositati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza dell'8 febbraio 2024 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Ma. Sg., Gi. Ma. e Ro. Ol.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, Sez. I, 20 aprile 2021 n. 101 con la quale il predetto TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 87/2018) proposto, dalla signora Br. Pe., al fine di ottenere l'annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 1/2018 rilasciato dal Comune di (omissis) al signor Ro. Ma. in data 18 gennaio 2018 (e di ogni altro atto implicito, presupposto, conseguente e connesso, ivi inclusa, per quanto occorrer possa, la comunicazione 6 settembre 2017, prot. 4239, dell'Unione montana (omissis)). 2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue: - la signora Br. Pe. (unitamente ad altri fratelli e parenti residenti, come lei, negli Stati Uniti) e` comproprietaria (fra altri immobili) di un edificio sito nel Comune di (omissis) (in provincia di Piacenza); - riferisce l'odierna appellante che nel 2010, rientrando in Italia per il consueto periodo di vacanza, lei e i suoi parenti constatarono che i proprietari del terreno confinante, signori Ro. Ma. e Gi. Co., avevano realizzato una nuova opera; - dopo avere acquisito presso il comune la necessaria documentazione, si appurò che la nuova opera era stata realizzata in base ad una DIA (n. 3/2009 presentata il 14 gennaio 2009, prot. 207) seguita da una DIA in variante (presentata in data 1 settembre 2010 prot. 5088), conseguentemente venne presentato al Comune di (omissis), in data 30 settembre 2010, un esposto con il quale si denunciava la non corretta individuazione del titolo edilizio, stante la natura e la consistenza delle opere realizzate con DIA (compendiandosi le stesse in una vera e propria nuova costruzione, capace di realizzare un volume urbanisticamente sensibile), oltre alla non conformità di tali opere rispetto alle normative disciplinanti le distanze tra edifici nonché a quelle volte alla tutela dell'igiene pubblica e della cura degli edifici; - i signori Pe. proponevano, quindi, ricorso dinanzi al TAR per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, che veniva accolto con sentenza n. 243/2016 nella quale: a) per un verso si accertava che il locale sottostante la balconata non era stato indicato nella DIA originaria; b) sotto altro profilo, si riteneva fondata la censura con la quale i ricorrenti avevano contestato la mancata effettuazione dei necessari controlli sulla DIA; - riferisce l'appellante che, nonostante la pronuncia favorevole, nulla avvenne perché alla stessa fosse data ottemperanza, mentre il signor Ro. Ma. presentava, in data 1 giugno 2017, una domanda di permesso di costruire in sanatoria; - acquisito il parere favorevole della Commissione comunale per la qualità architettonica e per il paesaggio (in data 21 novembre 2017), in data 18 gennaio 2018 veniva rilasciato il permesso in sanatoria; - detto provvedimento era impugnato dalla signora Pe. dinanzi al TAR per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, perché ritenuto illegittimo. Nel corso del processo è stata disposta verificazione e all'esito dell'istruttoria il ricorso è stato respinto con la sentenza 20 aprile 2021 n. 101. 3. - Propone quindi appello la signora Br. Pe., nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 101/2021, prospettando sei complesse traiettorie contestative, che possono sintetizzarsi come segue: I) Error sul fatto - Error in iudicando - Violazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 25 novembre 2002, n. 31 in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 21 ottobre 2004, n. 23, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 30 luglio 2013, n. 15, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per violazione ed elusione del giudicato - Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e ss. c.p.a. - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . Un primo profilo di erroneità della sentenza qui oggetto di appello concerne la scelta, operata dal primo giudice, di ritenere irritualmente dedotta l'eccezione preliminare sollevata in primo grado di violazione di giudicato (riferita al provvedimento impugnato con riferimento alla precedente sentenza n. 243/2016), per non essere stata proposta con un'azione di ottemperanza. L'appellante ritiene che la proposizione dell'eccezione dovesse, al contrario, essere ritenuta ammissibile e fondata, dal momento che la sentenza del 2016 non poneva un obbligo puntuale all'amministrazione comunale per la sua esecuzione, di talché il comune avrebbe dovuto attivarsi per eseguirla correttamente, come però non è mai avvenuto. Inoltre il giudice di primo grado ha ritenuto il procedimento conclusosi con l'adozione del provvedimento abilitativo in sanatoria "completamente nuovo", non avvedendosi che le fondamenta dell'istanza di rilascio del titolo in sanatoria andavano rinvenute proprio negli interventi edilizi realizzati con DIA e DIA in variante, ritenuti illegittimi dal TAR nella sentenza n. 243/2016; II) Error sul fatto - Error in iudicando - Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 7 agosto 1990, n. 241 e l.r. Emilia Romagna 6 settembre 1993, n. 32. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione - Violazione e falsa applicazione degli artt. 66 e 67 c.p.a. - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . (Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l'illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull'errato presupposto giuridico che l'opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia" e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico- edilizia in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sent. TAR Parma n. n. 243/2016; sull'insufficienza sostanziale e formale della verificazione onde sostenere le conclusioni della sentenza appellata). La sentenza qui oggetto di appello poggia, sotto il profilo tecnico, sugli esiti della verificazione disposta. Tali esiti sono stati puntualmente contestati nel corso del processo di primo grado ma il TAR ha ritenuto di poter superare le contestazioni con argomentazioni che non convincono l'odierna appellante, anche perché (si sostiene) il verificatore ha fondato la propria valutazione tecnica sulla perizia di parte presentata dal tecnico del controinteressato che, peraltro, è addirittura successiva all'epoca di rilascio del provvedimento edilizio in sanatoria oggetto di impugnazione, trascurando di considerare le controdeduzioni tecniche offerte dal perito della parte ricorrente. Va peraltro rimarcato, a confutare la legittimità della verificazione svolta in primo grado, che il verificatore ha illegittimamente compiuto una vera e propria integrazione dell'istruttoria procedimentale (peraltro, non adeguatamente) svolta dall'amministrazione, esperendo complesse attività tecniche evidentemente mancanti in sede di istruttoria comunale. Nello specifico l'appellante lamenta che: "il Verificatore non si è limitato a verificare se - poniamo - le argomentazioni addotte per sostenere che il preteso edificio preesistente avesse dimensioni maggiori di quello realizzato dal controinteressato fossero corrette e conformi ai principi e alle regole tecniche che le governano, ma tali argomentazioni le ha sviluppate direttamente ed ex novo egli stesso (sulla scorta, si direbbe, della perizia "postuma" dell'Arch. Or.), perche´ nell'istruttoria comunale nessuno vi aveva provveduto, nessuno le aveva sviluppate: dunque non ha verificato, ma ha integrato. Tale integrazione - al netto della sua (contestata) utilizzabilità, in quanto postuma, onde legittimare il provvedimento impugnato - e` evidentemente un'attività tipicamente peritale, e, dunque, andava svolta secondo i parametri formali delle CTU. In particolare, la relazione peritale finale avrebbe dovuto essere sottoposta ai CTP, questi avrebbero dovuto formulare eventuali osservazioni/obiezioni, sulle quali il Verificatore-CTU avrebbe dovuto esprimersi specificamente" (così, testualmente, a pag. 21 dell'atto di appello); III) Error sul fatto - Error in iudicando - Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . (Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l'illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull'errato presupposto giuridico che l'opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia" e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico-edilizia "in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sent. TAR Parma n. 243/2016). La signora Pe. contesta, inoltre, l'ulteriore conclusione alla quale è giunto il verificatore, poi confermata dal giudice di primo grado, secondo cui il permesso di costruire per cui è causa sarebbe "legittimo in quanto la ricostruzione di che trattasi non integra la fattispecie della ricostruzione di ruderi (che va considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione) atteso che, sebbene non sia stata determinata con precisione la consistenza della precedente costruzione è stato con sicurezza affermato da parte del Verificatore che la nuova costruzione è di molto inferiore rispetto al volume preesistente" (così, testualmente, a pag. 23 dell'atto di appello). Infatti, nella specie: a) il comune non ha accertato nulla di quanto sarebbe stato necessario per disporre la sanatoria, dal momento che (come si è sopra già sostenuto) l'accertamento dei presupposti per rilasciare il titolo in sanatoria è comunque successivo rispetto all'adozione del provvedimento, poiché detto accertamento è stato effettuato, del tutto impropriamente, dal verificatore; b) ad ogni modo la verificazione ha accertato, quanto al manufatto che si pretende essere preesistente, che "ciò che è di difficile individuazione è la sua esatta consistenza, sia per quanto riguarda le altezze, che la profondità sul lotto, non avendo a disposizioni elaborati grafici, planimetrie ecc.", così dichiarandosi la totale assenza di elaborati grafici e planimetrie, oltre che di qualunque dato concernente la consistenza planivolumetrica del contestato manufatto diruto, nemmeno nella forma minimale; c) nulla è stato detto circa le contestazioni che la odierna appellante ha mosso sia nei confronti del rogito di acquisto Ma., sia alla utilità degli elementi indiziari considerati dal verificatore, tenuto anche conto che l'indicazione circa la presenza "due elementi in pietra sporgenti dalla muratura", non può costituire un decisivo riscontro ai dubbi sulla preesistenza o meno di un manufatto preesistente che è stato recuperato; d) la totale ed assoluta carenza di riferimenti temporali, circa i quali la verificazione confessa senza ambiguità la propria impotenza, e ciò anche dopo il sopralluogo, riferendosi ad una "preesistenza che in data non definita è crollata", costituiscono elementi che contribuiscono a rendere opaca la verificazione effettuata e soprattutto inidonea a dimostrare la sussistenza di un "antico manufatto" e quindi dei presupposti per il rilascio del provvedimento edilizio in sanatoria, non essendo dimostrato il principio di continuità temporale tra i manufatti, preesistente e successivamente realizzato; e) è infine contestabile l'assunto, fatto proprio dall'amministrazione e dal primo giudice secondo il quale, per aversi ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione, sia sufficiente che il manufatto ristrutturato risulti di dimensioni inferiori rispetto a quello originario, crollato o demolito, oggetto di ristrutturazione/ricostruzione; IV) Error sul fatto - Error in iudicando - Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . (Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l'illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull'errato presupposto giuridico che l'opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico-edilizia in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sentenza del TAR Emilia Romagna, sede staccata di Parma n. 243/2016; sulla ritenuta irrilevanza del dedotto difetto di istruttoria per il carattere vincolato del provvedimento impugnato). Ad avviso dell'appellante la considerazione espressa dal giudice di prime cure affermando che "(...) nel presente caso, anche qualora vi fosse stato un difetto di istruttoria perché il Comune odierno resistente avrebbe emesso il permesso di costruire in sanatoria in assenza di un completo esame, tale difetto sarebbe irrilevante atteso che il Verificatore ha dato atto della circostanza che, con riferimento al deposito realizzato dal controinteressato, vi era un immobile preesistente e lo stesso era di volume superiore all'attuale e, dunque, tali circostanze fattuali, per le ragioni sopra esplicate, consentono di ritenere l'intervento svolto nel caso de quo come ristrutturazione edilizia e conseguentemente il provvedimento comunale impugnato risulta legittimo perché lo stesso, vista la situazione fattuale, non avrebbe potuto essere diverso (...)" non è affatto condivisibile, non potendo l'intervento del verificatore sopperire alle carenze manifestatesi nel corso del procedimento che ha condotto all'adozione del provvedimento in sanatoria principalmente impugnato in primo grado né essendo emersi elementi nuovi e ulteriori rispetto alla situazione edilizia del 2009, radicata nella DIA nella DIA in variante, titoli che già il giudice amministrativo aveva ritenuto, con la sentenza del 2016, essere illegittimi; V) Error sul fatto - Error in iudicando - Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . (Sul rigetto del quarto motivo di ricorso, concernente l'eventuale configurazione del provvedimento impugnato quale permesso di costruire per nuova costruzione). Se, poi, il provvedimento impugnato in primo grado volesse qualificarsi quale autonomo e nuovo permesso di costruire per realizzare una nuova costruzione, esso sarebbe comunque illegittimo per le ragioni tutte svolte nel quinto motivo di ricorso dedotto; VI) Error sul fatto - Error in iudicando - Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di (omissis), del PRG del Comune di (omissis) e del POC adottato dal Comune di (omissis). Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione - Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d'istruttoria e illogicità . (Sul rigetto del quinto motivo di ricorso concernente il vincolo idrogeologico). Il giudice di primo grado ha ritenuto di respingere il quinto motivo di ricorso affermando (testualmente) che "il Comune di (omissis) ha rivisto il proprio P.R.G. tramite una variante ordinaria approvata con la deliberazione G.P. n. 677/2008, ossia svariati anni dopo la Legge regionale n. 3/1999 e la Delibera di Giunta Regionale n. 1117/2000". Sostiene l'appellante che, però, non vi sia stata alcuna reale variante predisposta e approvata su iniziativa del Comune di (omissis), essendosi trattato di un mero restyling dei relativi atti collegata ad una operazione di digitalizzazione delle tavole di piano e ad una parziale modifica delle NTA. Dovendosi dunque ritenere che non vi sia stata la richiamata variante generale di piano, va ribadito come non sussistessero nella specie le condizioni previste dalla legge per esonerare la pratica edilizia per cui è causa dalla procedura di autorizzazione in sanatoria quanto al vincolo idrogeologico. 4. - Si è costituito anche nella presente sede di appello il Comune di (omissis) che ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni, confermando la legittimità del provvedimento comunale impugnato e chiedendo la reiezione del ricorso stante la correttezza del percorso logico giuridico sviluppato dal giudice di primo grado per come emerge dalla sentenza qui oggetto di appello. 5. - Si è altresì costituito in grado di appello il controinteressato signor Ro. Ma., proponendo nuovamente le eccezioni già sollevate in primo grado e aventi ad oggetto l'asserita irricevibilità del ricorso, considerato quale strumento di proposizione di una azione di ottemperanza e comunque l'insussistenza dell'interesse a ricorrere in capo alla odierna parte appellante che non avrebbe comprovato il pregiudizio subito dall'atto impugnato, non essendo sufficiente a tal fine il mero elemento della vicinitas. Nel merito anche il signor Ma. ha ribadito la correttezza della sentenza di primo grado qui oggetto di appello e la legittimità della procedura svolta per addivenire all'adozione del titolo edilizio contestato. Nel corso del processo di appello (al quale non ha partecipato l'Unione montana (omissis), sebbene correttamente coinvolta in giudizio) le parti costituite hanno depositato memorie, anche di replica, con documenti, confermando le conclusioni dalle stesse già rassegnate nei precedenti atti processuali. 6. - Il Collegio ritiene che, ai fini della definizione del presente contenzioso in grado di appello, occorra brevemente ripercorrere - in chiave dinamica - la sequenza delle vicende che hanno condotto all'adozione del permesso di costruire in sanatoria impugnato principalmente in primo grado. Nel 2009, dopo avere acquistato nel 1998 l'immobile sul quale sono state poi effettuate le opere qui oggetto di contestazione, il signor Ro. Ma. presentava una DIA (n. 3/2009) al fine di realizzare un terrazzo/balconata in continuità con quanto già esisteva e successivamente, nel corso di detti lavori, presentava una DIA in variante (prot. 5088 del settembre 2010), per realizzare "una scala di collegamento tra il portico oggetto di richiesta ed il vano sottostante nonché il tamponamento di tale locale". I due titoli edilizi venivano dichiarati illegittimi dal TAR per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, con la sentenza n. 243/2016 nella quale, per quanto può essere qui di rilievo, era indicato che: - la DIA originariamente presentata si riferiva alla realizzazione di una balconata mentre la DIA in variante successivamente intervenuta prevede la creazione di una scala di collegamento tra il terrazzo e un "locale sottostante" non precedentemente assentito e ab origine inesistente come fotograficamente documentato; - l'inesistenza del locale sottostante la balconata oggetto della DIA n. 3/2009 emerge dal mero confronto degli elaborati grafici allegati ai due titoli edilizi, poiché nell'elaborato allegato alla DIA in variante si evidenzia l'esistenza di un locale posto in posizione sottostante alla balconata già oggetto della DIA originaria delimitato da opere in muratura nelle quali sono ricavate una porta finestra visibile nel prospetto ovest e due finestre visibili nel prospetto sud; - le suddette aperture (che palesano inequivocabilmente la realizzazione di un locale avente pianta corrispondente alla proiezione al suolo della balconata) non figurano invece negli elaborati grafici allegati alla DIA originaria che sono redatti in modo equivoco senza palesare l'esistenza di alcuna opera di delimitazione (muri) dell'area sottostante alla balconata: ragione per la quale l'esistenza di detto "locale sottostante" non può considerarsi come accertata (nei sensi di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001). 7. - Il signor Ma. non impugnava la surrichiamata sentenza, scegliendo una diversa "via amministrativa" che gli consentisse di sanare l'intervento edilizio realizzato, ormai privo di titolo edilizio che lo supportasse legittimamente. Sicché (come risulta dalla documentazione prodotta nel primo grado di giudizio) il signor Ro. Ma. presentava al Comune di (omissis), in data 1 giugno 2017, prot. 1726, una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 17, comma 1, l.r. Emilia Romagna 23/2004, delle opere realizzate in data 16 gennaio 2009, coincidenti con quelle oggetto della DIA e della DIA in variante non più efficaci dopo la sentenza del TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. 243/2016 e sul presupposto che le opere riguardassero un fabbricato preesistente, crollato da diverso tempo e di cui veniva comprovata esistenza e consistenza con taluni documenti. Il Comune di (omissis), all'esito della relativa istruttoria (nel corso della quale gli uffici richiedevano all'interessato integrazioni documentali e la commissione per la qualità architettonica e il paesaggio esprimeva parere favorevole, in data 21 novembre 2017, circa il "ripristino tipologico per recupero di locale deposito e terrazzo"), rilasciava il permesso di costruire in sanatoria n. 1/2018 del 18 gennaio 2018 "per l'esecuzione dei lavori di ripristino per recupero di locale deposito e terrazzo", nel quale era ricostruita la "storia" dell'immobile oggetto di sanatoria, anche in virtù di dichiarazioni circa la preesistenza e l'epoca di realizzazione del manufatto parzialmente diruto e oggetto di ricostruzione, oltre a darsi atto della doppia conformità . A tal proposito, in particolare e per quanto è qui di stretto interesse, nel rilasciare il provvedimento edilizio adottato in sanatoria (n. 1/2018 del 18 gennaio 2018) "per l'esecuzione dei lavori di ripristino per recupero di locale deposito e terrazzo", il Comune di (omissis) dava espressamente atto che: - dalla visura catastale storica risultava che l'immobile era accatastato, fino all'anno 2010, come fabbricato rurale; - dalla mappa catastale storica fornita dall'Archivio Cartografico di Piacenza, risultava che il fabbricato oggetto di sanatoria era preesistente; - la ricostruzione di fabbricati interamente crollati o ridotti a rudere è equiparata, dalla vigente normativa in materia, alla ristrutturazione edilizia; - con la comunicazione dell'Unione montana (omissis), competente in materia di vincolo idrogeologico, rilasciata in data 6 settembre 2017 al prot. n. 4239, si attestava che, relativamente al medesimo vincolo, i lavori di cui trattasi non abbisognano di alcuna procedura di "Richiesta di autorizzazione in sanatoria"; - era stato espresso il parere favorevole della Commissione per la qualità architettonica e per il paesaggio nella seduta del 21 novembre 2017 (verbale n. 3). 8. - Proposto ricorso avverso tale provvedimento da parte della signora Br. Pe., il giudice di primo grado, nel corso del processo, riteneva indispensabile disporre verificazione con ordinanza 13 febbraio 2020 n. 38. Con detta ordinanza il TAR: - premesso che la ricorrente ha dedotto, "l'illegittimità del permesso di costruire in sanatoria impugnato, rilevando, tra l'altro, che l'intervento realizzato non costituirebbe ristrutturazione edilizia, in quanto gli interessati non avrebbero dimostrato l'esatta consistenza dell'immobile preesistente del quale hanno chiesto la ricostruzione, non risultando sufficiente, secondo la tesi della ricorrente, la sola prova che un immobile in parte poi crollato o demolito fosse stato un tempo genericamente esistente"; - ritenuto che fosse necessario "approfondire l'aspetto tecnico della previa esistenza del manufatto che si assume diruto, nel senso di individuare se sussistano elementi oggettivi che permettano di identificare con la necessaria precisione e intuitività caratteristiche planivolumetriche, dimensioni o sagoma dell'opera"; - disponeva verificazione, affidandola al responsabile del Servizio controllo abusi edilizi del Comune di Parma, al fine di appurare "se gli elementi raccolti nel corso dell'istruttoria procedimentale svolta dal Comune resistente fossero oggettivamente idonei ad accertare la preesistente consistenza dell'edificio crollato/demolito, conformemente a quanto disposto dall'art. 3 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001". Nella relazione di verificazione, depositata nel fascicolo del giudizio di primo grado in data 22 settembre 2020, si legge in particolare che: - viene data "per documentalmente certa l'esistenza di un manufatto, che in data non definita è crollato", specificando inoltre come "ciò che è di difficile individuazione è la sua esatta consistenza, sia per quanto riguarda le altezze, che la profondità sul lotto, non avendo a disposizioni elaborati grafici, planimetrie ecc."; - il quadro di incertezza può essere superato attraverso l'utilizzo "della documentazione fotografica prodotta prima dei lavori", dalla cui analisi "si può supporre effettivamente che il manufatto crollato arrivasse in altezza là dove è presente il dente di pietre che fuoriesce dal muro di confine lato nord, unitamente allo spezzone di muratura lato sud, pertanto quanto realizzato risulta posizionato ad una quota decisamente molto inferiore rispetto alle preesistenze in loco"; - all'esito del sopralluogo, svoltosi alla presenza dei tecnici di parte, tenuto conto delle rappresentazioni fotografiche dello stato dell'immobile, può ritenersi acclarato che quanto realizzato sia una minima parte di quanto precedentemente esistente e sia supportato dagli strumenti urbanistici che ne prevedono il ripristino tipologico. In particolare, la constatazione circa l'esistenza di due elementi, "quello di pietra che fuoriesce dal muro di confine lato nord, unitamente allo spezzone di muratura posto a lato sud, porta a confermare la presenza, nel passato, di un manufatto crollato la cui sommità era superiore rispetto a quella del manufatto oggetto della verificazione"; - l'individuazione nella proprietà Pe., posta in adiacenza alla proprietà Ma., di un'apertura tamponata che verosimilmente consentiva l'accesso alla precedente struttura demolita e di un condotto di scarico in pietra, ha condotto a supporre che "il camino in questione fosse in precedenza una porta che conduceva ad un altro vano. Tale porta è stata successivamente tamponata con materiale non originale (mattoni al posto della pietra, quest'ultima utilizzata per la costruzione dell'intero edificio). Gli stessi mattoni sono stati verosimilmente utilizzati per tamponare la citata condotta di scarico del camino. Queste due preesistenze (i due denti di pietra e la porta tamponata per ricavare un camino), unitamente alle fotografie scattate prima dei lavori da parte del signor Ma. danno la certezza di una preesistenza ad oggi crollata". 9. - Tenuto conto di quanto sopra e ritenendo di poter superare le eccezioni preliminari sollevate anche nella sede di appello dal controinteressato stante la infondatezza dei motivi di appello dedotti, il Collegio ritiene che il mezzo di gravame proposto vada respinto per quanto qui appresso verrà illustrato. In primo luogo non si ravvede alcun contrasto tra il contenuto del provvedimento di accertamento di conformità edilizia n. 1/2018 e il decisum di cui alla sentenza n. 243/2016 pronunciata dal TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma. Come si è già più sopra sottolineato il surrichiamato precedente giudiziale presenta un oggetto non compatibile con quello sottoposto all'esame degli uffici comunali con l'istanza presentata dal signor Ma. al fine di richiedere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria delle opere edilizie. Se è indubitabilmente vero che dette opere coincidono con quelle fatte oggetto di DIA e di DIA in variante, titoli edilizi entrambi annullati con la sentenza n. 243/2016, è altrettanto vero che da detto pronunciamento giudiziale non scaturisce alcun divieto a carico del signor Ma. di utilizzare gli strumenti che l'ordinamento mette a disposizione dei proprietari degli immobili laddove intendano, nella sussistenza dei relativi presupposti, sanare opere edilizie abusivamente realizzate. Ma in disparte quanto sopra va anche rilevato come non emerga, dalla motivazione della richiamata sentenza n. 243/2016, alcun vincolo specifico in capo all'amministrazione comunale soccombente in quel giudizio che indirizzi un futuro esercizio del potere amministrativo in materia edilizia con riferimento alle opere realizzate abusivamente sull'immobile in questione. Ne consegue che il signor Ma., presentando la domanda di permesso di costruire in sanatoria in data 1 giugno 2017 (prot. n. 1726), ha chiesto agli uffici comunali una nuova (e mai fino a quel momento richiesta) determinazione in merito alla sanabilità o meno delle opere edilizie realizzate, di talché agli uffici competenti, come poi hanno effettivamente fatto, è stato chiesto di istruire un nuovo (e autonomo) procedimento di sanatoria delle opere abusivamente realizzate, del tutto scisso e non sovrapponibile con la vicenda edilizia scrutinata dal TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma e definita con la sentenza 243/2016. Deriva da quanto sopra che l'assunto fatto proprio dalla odierna appellante circa il contrasto tra il provvedimento impugnato e le indicazioni sollecitate dal giudice amministrativo con la sentenza n. 243/2016 non può trovare condivisione. 10. - Quanto al secondo ordine di contestazioni espresse nel presente grado di appello preme, in via preliminare, chiarire quale sia la disciplina dello strumento istruttorio della verificazione e quali siano i profili che ne caratterizzano il presupposto per disporla e le regole di esercizio. Come è noto (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. III, 25 luglio 2023 n. 7288), la differenza tra la consulenza tecnica d'ufficio e la verificazione viene solitamente declinata nel senso che la prima (art. 67 c.p.a.) si estrinseca in una valutazione alla stregua della discrezionalità tecnica, in cui il consulente non si limita cioè ad un'attività meramente ricognitiva e circoscritta ad un elemento o fatto specifico ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni tecniche, prende in carico situazioni ed oggetti complessi al fine di elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un "giudizio di valore"; mentre la verificazione (art. 66, cod. proc. amm.) è diretta ad appurare la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare la sussistenza di determinati elementi, ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali, e si estrinseca quindi in un "giudizio di risultato" rispetto al quale il contraddittorio concerne esclusivamente gli sviluppi e le risultanze della verificazione. In buona sostanza, la verificazione comporta l'intervento, in funzione consultiva del giudice, di un organismo qualificato per la risoluzione di controversie che implichino l'apporto di competenze tecniche essenziali ai fini della definizione della questione; ha una finalità di accertamento, ma pur sempre di fatti complessi, e dunque sulla base di competenze che implicano l'espressione di un sapere specifico, "in funzione consultiva del giudice" (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 330/2020). La giurisprudenza, in materia di verificazione, ha poi frequentemente osservato (cfr., ad esempio, Cons. Stato, VI, 9 dicembre 2022 n. 10790) che: - una volta che il Collegio ha ritenuto che le questioni sottese alla controversia hanno un carattere talmente tecnico da esulare dalla propria competenza e da richiedere l'intervento di un soggetto dotato di tali specifiche competenze, le conclusioni alle quali questi è pervenuto potranno dallo stesso Collegio essere superate solo a fronte di una manifesta erroneità, ictu oculi ravvisabile (cfr., nello specifico, Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022 n. 65); - nel processo amministrativo la verificazione, pur dovendo correttamente prendere in esame anche le controdeduzioni dei consulenti delle parti, ben può divergere da esse, trattandosi di un atto istruttorio il cui esito, se condiviso dal giudice nell'esercizio del suo potere di apprezzamento, non può essere posto in discussione dalle consulenze di parte già proposte ed esaminate nel corso del procedimento conclusosi con la relazione del verificatore (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2023 n. 9117). Va poi ulteriormente ricordato che, in sede di verificazione, quanto alle garanzie di difesa delle parti, nel silenzio dell'art. 66 c.p.a., che, a differenza dell'art. 67 relativo alla C.T.U., non prevede espressamente la facoltà di nomina di consulenti di parte, la partecipazione non risulta preclusa a mezzo dell'assistenza da parte di un perito di fiducia, anche ove nulla disponga in merito l'ordinanza istruttoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4 maggio 2016 n. 1757 e Sez. IV, 11 marzo 2013 n. 1464). Inoltre il contraddittorio processuale è assicurato dall'ordinamento dalla possibilità per le parti di prendere posizione sulla relazione di verificazione, mediante il deposito di apposita memoria difensiva, con cui formulare le pertinenti osservazioni (Cons. Stato, Sez. III, 26 gennaio 2021 n. 771). Nel caso di specie l'ordinanza del TAR che ha disposto, nel corso del processo di primo grado, la verificazione, non ha puntualizzato che essa dovesse avvenire nel necessario contraddittorio delle parti e la scelta di un siffatto metodo di svolgimento dello strumento istruttorio spetta all'esercizio della potestà discrezionale del giudice nel giovarsi dell'ausilio di un tecnico verificatore. Nondimeno, nella specie, una parte dell'attività svolta in sede di verificazione, segnatamente il sopralluogo, è avvenuta alla presenza di tecnici di parte che non solo hanno avuto modo di esprimersi, ma le cui indicazioni sono state fatte oggetto di considerazione da parte del verificatore, che le ha anche in parte riportate nella relazione conclusiva. A ciò si aggiunga che le parti hanno avuto modo di prendere posizione, anche sotto il profilo tecnico, in merito alle conclusioni raggiunte dal verificatore ed esplicitate nella relazione conclusiva depositata, attraverso memorie e deposito di relazioni tecniche e che tali strumenti di esercizio del diritto di difesa sono stati ampiamente replicati in sede di appello. 11. - Con il terzo ordine di contestazioni proposte nella sede di appello la signora Pe. manifesta di non condividere affatto, nei contenuti di merito, le conclusioni alle quali è giunto il verificatore e fatte proprie dal giudice di primo grado, con particolare riferimento alla preesistenza di un manufatto andato parzialmente diruto e ricostruito con le opere rispetto alle quali si è ottenuta (illegittimamente sostiene l'appellante) la sanatoria attraverso un (contestato quanto a qualificazione giuridica) intervento di ristrutturazione e non di realizzazione ex novo di dette opere. Sul punto va detto che la contestazione mossa alle conclusioni alle quali è giunto il verificatore si pongono nell'ambito della opinabilità non essendo stata presentata, ad avviso del Collegio, una prova tecnica in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le opere abusive non abbiano preso il posto di un preesistente manufatto (e che quindi siano state realizzate ex novo). Ne deriva che la censura dedotta come terza in sede di appello non può trovare condivisione in quanto l'intervento edilizio oggetto del provvedimento assunto in sanatoria costituisce, per quanto emerge dall'esito della verificazione, un'attività di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2021, n. 380, a mente del quale, come è noto, "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza". Quanto alla consistenza planovolumetrica e alla relazione tra l'edificio preesistente crollato e quello ricostruito si è indubbiamente raggiunta, all'esito della verificazione, la dimostrazione che l'intervento di ricostruzione è caratterizzato per misure e ampiezza e, quindi, per consistenza da un'opera caratterizzata da un impatto inferiore rispetto al manufatto preesistente, situazione che coincide con la previsione normativa appena riprodotta che coincide con la qualificazione della ristrutturazione edilizia. 12. - Neppure il quarto motivo di appello è destinato a poter trovare accoglimento. La contestazione circa l'incompletezza dell'istruttoria svolta dagli uffici per giungere all'adozione del provvedimento di accertamento di conformità principalmente impugnato in primo grado poggia sulla considerazione, espressa dalla odierna appellante, della utilizzazione nel corso di tale ultimo procedimento degli stessi elementi documentali che già avevano fatto oggetto della DIA e della DIA in variante dichiarate illegittime con la sentenza n. 243/2016. Tale ricostruzione della vicenda, però, non tiene conto che il nuovo procedimento, attivato dal signor Ma. con la presentazione della domanda di permesso di costruire in sanatoria effettuata in data 1 giugno 2017, costituisce un fatto (amministrativo) nuovo rispetto alle due procedure di DIA sopra ricordate, nel corso del quale sono stati prodotti documenti nuovi, anche solo perché gli uffici comunali ebbero a chiedere all'interessato e ad ottenere da questi una integrazione documentale nel corso del procedimento che ha, evidentemente, condotto all'acquisizione di elementi mai prima resi disponibili rispetto a quanto era stato prodotto insieme con la DIA e con la DIA in variante, delle quali si è detto. Né la parte appellante (neppure) chiarisce quali siano i documenti che il signor Ma. avrebbe dovuto produrre e che non ha depositato al fine di rappresentare la novità del procedimento che ha condotto al rilascio del procedimento in sanatoria rispetto all'epoca della presentazione della DIA e della DIA in variante, se non facendo riferimento ad una supposizione di indebito intervento istruttorio postumo costituito dalle risultanze della verificazione che non potrebbero tornare utili al signor Ma. per dimostrare la legittimità del provvedimento di sanatoria sotto il profilo della carenza istruttoria. E' evidente che gli esiti della verificazione hanno avuto il pregio di dimostrare "nei fatti" la sussistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di costruire in sanatoria la cui legittimità viene qui contestata dalla signora Pe., di talché in ogni modo, soprattutto sotto il profilo sostanziale, il rilascio di detto provvedimento deve andare esente da censure, se non puramente formali e irrilevanti, finendo con l'impingere sul terreno della mera irregolarità procedurale. L'infondatezza del quarto motivo di appello travolge anche il quinto e successivo motivo essendo quest'ultimo strettamente contiguo (se non addirittura sovrapponibile) con il precedente. 13. - Quanto al sesto ed ultimo motivo di appello, ad avviso del Collegio, la parte appellante non produce elementi nuovi e utili per contestare la ricostruzione fatta propria dal giudice di primo grado degli elementi giuridici al cospetto dei quali l'autorizzazione idrogeologica non atteneva al rilascio del provvedimento di costruire in sanatoria per un'opera costituente ristrutturazione edilizia. Infatti, come è ormai noto alle parti, avendo le stesse ampiamente dibattuto sull'argomento nel corso del primo grado di giudizio, è avvenuto che: - in primo luogo il Comune di (omissis) ha approvato una variante ordinaria al proprio Piano regolatore generale (con deliberazione G.P. n. 677/2008) in epoca (dunque) di molto successiva rispetto all'entrata in vigore della l.r. Emilia Romagna n. 3/1999 e anche rispetto alla data di adozione della delibera della Giunta Regionale n. 1117/2000 dell'11 luglio 2000 che costituirebbero le fonti impositive dell'obbligo di acquisire l'autorizzazione in questione anche per interventi edilizi quale è quello qui in esame; - infatti l'art. 2.8.2 della DGR 1117/2000 stabilisce che "Fino alla approvazione dei PSC, dei POC e dei RUE i Comuni danno attuazione ai vigenti PRG e possono approvare varianti degli stessi, nell'ambito di quanto stabilito dall'art. 41 della L.R. n. 20/2000" e che a seguito della modifica del quadro normativo in materia urbanistica introdotto con la l.r. Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 20, in luogo di PRG dovranno intendersi il Piano strutturale comunale (PSC) il Piano operativo comunale (POC) ed il Regolamento urbanistico ed edilizio (RUE); - da ciò discende che il Comune di (omissis), tenuto conto anche di quanto dispone l'art. 150, comma 6, l.r. Emilia Romagna 3/1999 e cioè che "Il Comune può adeguare il PRG vigente alle previsioni di cui al comma 5 attraverso apposita variante, adottata ai sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 15 della L.R. n. 47 del 1978", ha escluso espressamente, per le opere quale è quella di cui qui si discute, la necessità di qualsivoglia preventiva autorizzazione o comunicazione ai fini della tutela idrogeologica. D'altronde la supposizione adombrata dalla parte appellante circa un intervento limitato alla operazione di digitalizzazione delle tavole non si presenta in linea con il contenuto della ridetta variante e non è dunque idoneo ad escludere la portata innovativo-integrativa degli interventi novellatori sopra richiamati. Ne consegue l'infondatezza anche del sesto motivo di appello. 14. - In ragione di quanto si è sopra illustrato il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.a., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., sicché la signora Br. Pe. deve essere condannata a rifondere le spese della presente lite in favore del Comune di (omissis) e del signor Ro. Ma., che possono complessivamente liquidarsi nella misura di Euro 6.000,00 (euro seimila/00), suddivisi in Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle due parti suddette, oltre accessori come per legge. Le spese possono poi essere compensate con riferimento all'Unione montana (omissis). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello (n. R.g. 6496/2021), come indicato in epigrafe, lo respinge. Condanna la signora Br. Pe. a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore e del signor Ro. Ma., liquidandole complessivamente nella misura di Euro 6.000,00 (euro seimila/00), suddivisi in Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle due parti suddette, oltre accessori come per legge. Spese compensate con riferimento alla restante parte evocata in giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente - Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere - Dott. BELLINI Ugo - Consigliere - Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore - Dott. DAWAN Daniela - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto dalle parti civili: Ve.Lo. nata ad A il (omissis) Sc.Ir. nata ad A il (omissis) Sc.Ri. nata ad A il (omissis) Sc.Ta. nata ad A il (omissis) Sc.An. nato ad A il (omissis) Sc.Mi. nata a A il (omissis) nel procedimento a carico di: Ga.Gi. nato a A il (omissis) inoltre: RESPONSABILE CIVILE (...) Spa avverso la sentenza del 23/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA; lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla l. 15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall'art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall'art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla l. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. FRANCESCA CERONI, dell'Avv. Pa. Ca. per il Responsavile Civile (...) Spa e dell'Avv. Gi. An. Te. per l'imputato Ga.Gi., che hanno chiesto tutti dichiararsi inammissibili i ricorsi delle parti civili. RITENUTO IN FATTO 1. Ga.Gi. veniva tratto in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino, in composizione monocratica, per rispondere del reato previsto e punito dall'art. 589, comma 1 e 2, cod. pen. perché "alla guida dell'autoveicolo FIAT Marea s.w. targata (omissis), per colpa consistente in imprudenza, imperizia, negligenza, imperizia ed inosservanza dell'art. 154 cod. strada, non assicurandosi di poter porre in essere la manovra di svolta a sinistra in seguito descritta senza intralcio e pericolo per altri utenti della strada, - ed in particolare per Mo.Gi. che alla guida del ciclomotore Peugeot RCHP seguiva l'autovettura - non tenendo conto della posizione e distanza del predetto ciclomotore e non segnalando con sufficiente anticipo l'intenzione di eseguire la predetta manovra di svolta a sinistra, ma al contrario tenendo la condotta di guida di cui appresso tale da manifestare l'intenzione di accostare sula destra - determinava il tamponamento dell'autovettura da parte del ciclomotore sui quale viaggiava, come trasportato Sc.Mi., cagionandone la morte. In particolare, marciando alla guida dell'autovettura FIAT Marea s. w. targata (omissis) sulla strada provinciale, n. (omissis), località P.P. del Comune di F., con direzione F.-G., nell'intra-prendere una manovra di immissione sulla via (omissis), posta sulla carreggiata opposta a quella di marcia, al fine di agevolare la manovra di svolta, rallentando, dapprima si spostava sulla destra della propria corsia di marcia, in tal modo colposamente celando l'intenzione di svoltare a sinistra e manifestando la contraria intenzione di fermarsi lungo il margine destro della carreggiata, così inducendo Mo.Gi. - che, alla guida del ciclomotore Peugeot RCHP contrassegnato (omissis) con a bordo Sc.Mi., seguiva l'autovettura a distanza non regolamentare - a spostarsi sulla sinistra onde tentare il sorpasso senza invadere l'opposta corsia di marcia; quindi in maniera improvvisa e repentina, e senza avvedersi del ciclomotore, e della manovra da questo intrapresa, procedeva a svoltare a sinistra impedendo il passaggio del ciclomotore che attingeva la fiat Marea sul lato inferiore sinistro del portellone posteriore. A causa dell'urto, cagionato dalle condotte colpose del Ga.Gi. e del Mo.Gi. (per il quale si procede separatamente), il trasportato Sc.Mi. veniva sbalzato di sella e proiettato sulla opposta corsia di marcia sulla quale sopravveniva l'autovettura Peugeot 307 targata (omissis) condotta da Sp.An. impattando con la stessa e con il suolo e riportando lesioni personali consistenti in politrauma da incidente stradale, causa di emorragia cerebrale sub aracnoidea prevalente dell'emisfero sx, in frattura trasversale del corpo dello sfenoide con rima che si estende nella fossa media, a seguito delle quali decedeva". 2. Il giudice di primo grado, concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche, con sentenza del 29 marzo 2017, lo condannava alla pena condizionalmente sospesa di mesi nove di reclusione oltre al risarcimento del danno alle costituite parti civili. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 23 gennaio 2023, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciando sul gravame proposto dall'imputato, ha assolto il Ga.Gi. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili e la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida disposta in primo grado. 3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: Le parti civili Ve.Lo., Sc.Ir.., Sc.Ri., Sc.Ta., Sc.An. e Sc.Mi., eredi di Sc.Mi., a mezzo del comune difensore Avv. Pa. Pa., con un unico atto. Con un primo motivo, ci si duole della mancata applicazione dell'art. 129 co. 2 cod. proc. pen. laddove la Corte territoriale non avrebbe ricostruito i fatti affidandosi alle prove ma ne avrebbe offerto una diversa interpretazione rispetto al primo giudice, evidenziando in numerose parti della sentenza sia la carenza della prova che della responsabilità rimasta in dubbio. Nonostante abbia posto in evidenza la mera contraddittorietà o insufficienza della prova, in presenza di una condizione di improcedibilità, essendo intervenuta la prescrizione del reato, ritiene di adottare la formula di proscioglimento nel merito. Le pp.cc. ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata e la sua motivazione non seguano l'orientamento maggioritario, espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in presenza di un quadro probatorio contraddittorio o insufficiente, la formula di proscioglimento per estinzione del reato prevale su quella di proscioglimento nel merito poiché il dubbio sull'innocenza dell'imputato necessita di un'approfondita verifica degli atti, in contrasto con quell'esigenza di evidenza probatoria richiesta dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Ne deriva il consequenziale interesse ad impugnare della parte civile che vede travolte dalla sentenza le statuizioni civili. Con il secondo motivo, si lamenta violazione dell'art. 546 cod. proc. pen. in punto di mancata motivazione rafforzata. Per le pp.cc. manca una motivazione rafforzata, nella misura in cui la sentenza di appello si è limitata ad offrire una diversa lettura delle risultanze istruttorie. La Corte partenopea conclude per l'inesistenza di una prova di colpevolezza, ritenendo che il compendio istruttorio non consentisse di escludere che l'evento morte si sarebbe comunque verificato anche se il conducente dell'autovettura avesse osservato le regole di prudenza poste a suo carico. In tal senso, si lamenta come la Corte di appello, trascurando le plurime emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice, le disattenderebbe, non aderendo, a parere della difesa, al principio di diritto più volte sollecitato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale il giudice che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, ha l'obbligo di offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, se necessario anche riassumendo la prova dichiarativa decisiva (il richiamo è a Sez. U, n. 14800/2018). Si ricorda in ricorso che è stato precisato che la sentenza che procede a ribaltare la condanna non può limitarsi ad offrire una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio, senza una specifica indicazione delle evidenze ritenute decisive, dovendo anzi confutare le emergenze istruttorie poste dal primo giudice a fondamento. Si censura, pertanto, la motivazione nella parte in cui non indica compiutamente le ragioni per cui la CTP dell'imputato contrapposta a quella del P.M. ricostruttiva della dinamica del sinistro, abbiano una valenza diversa dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado. Manca anche un apparato giustificato che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale. Ciò -si legge in ri-corso- è funzionale a conferire alla decisione una forza persuasiva superiore rispetto a quella riformata (Sez. 6, n. 51898/2019). Le pp.cc. ricorrenti chiedono, pertanto, l'annullamento con o senza rinvio della impugnata sentenza con tutte le conseguenti statuizioni. 4. Sono state depositate le conclusioni scritte indicate in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati, che, in assenza di ricorso della parte pubblica, afferiscono al punto della responsabilità civile dell'imputato, sono tutti manifestamente infondati, e, pertanto, i ricorsi proposti dalle parti civili sul punto vanno dichiarati inammissibili. 2. Ed invero, quanto al primo motivo, il ricorso delle parti civili muove dall'errato presupposto che per il reato di cui all'imputazione, all'atto della pronuncia impugnata, fosse decorso il termine massimo di prescrizione, per cui il giudice di appello avrebbe potuto pronunciare sentenza nel merito solo nei limiti dell'evidenza di cui all'art. 129 co. 2 cod. pen. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Tetta-manti, Rv. 244274 - 01; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013 Rizzo ed altri Rv. 256202 - 01; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013 Giuffrida) Rv. 258441 - 01; Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia Rv. 259445 - 01; Sez. 3, n. 6027 del 18/11/2016, dep.2017, Mazzarol, Rv. 269236 - 01). In realtà, così non è, in quanto per il reato di cui all'imputazione l'art. 157 comma secondo cod. pen. prevede il raddoppio dei termini di prescrizione per cui il reato di cui all'art. 589 co. 1 e 2 cod. pen.,contestato al Ga.Gi., ancorché i fatti risalgano all'8/6/2010, non era prescritto né all'atto della pronuncia della sentenza impugnata e nemmeno oggi. Dunque, il primo motivo, totalmente imperniato sulle condizioni in cui il giudice di merito può pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 co. 2 cod. proc. pen. in luogo di una sentenza di improcedibilità per intervenuta prescrizione, è manifestamente infondato perché afferente ad una problematica che non attiene al caso di specie. 3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso in quanto i giudici di secondo grado sono pervenuti ad una sentenza di assoluzione sul rilievo fondamentale che non risulta raggiunta la prova che l'odierno ricorrente stesse operando una manovra di svolta a sinistra. Va evidenziato che, pur deducendo formalmente il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e travisamento della prova, il ricorso pare diretto ad ottenere una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, qualora, come nel caso in esame, l'articolazione del ragionamento probatorio della Corte distrettuale sorretta da un solido e razionale impianto motivazionale, idoneo ad illustrare l'iter argomentativo seguito dal giudice di merito. A tal proposito occorre osservare che, alla luce della nuova formulazione dell'art 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestatamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia interamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del primo giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta proprio dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi disegno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E' invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e a determinare al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestatamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestatmente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi - anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso - in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Come in precedenza accennato, quindi, al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, riferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dei giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Esaminata in quest'ottica la motivazione della sentenza impugnata, la stessa si sottrae alle censure che le sono state mosse; infatti il provvedimento impugnato, con motivazione esente da errori nell'applicazione della legge penale ed evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha illustrato le ragioni per le quali, in relazione all'oggetto della contestazione, gli elementi acquisiti in dibattimento non consentono di ritenere provata la responsabilità dell'imputato. 4. Per quello che rileva in questa sede, occorre prendere le mosse dai fatti, come accertati nel corso del giudizio e desumibili dalle sentenze di merito. In data 8/6/2010, in F, il giovane Sc.Mi. perdeva la vita in un incidente stradale verificatosi tra il ciclomotore condotto da Mo.Gi. (su cui la vittima veniva trasportata in qualità di passeggero) e l'autovettura guidata da Ga.Gi. Incontestato per entrambi i giudici di merito che il decesso dello Sc.Mi. è conseguenza diretta e cronologicamente immediata del sinistro stradale, ad avviso del giudice di primo grado, è risultato provato il colpevole contributo apportato dall'odierno imputato alla morte del giovane, sostanziatosi nella condotta di guida imprudente da questi tenuta. Secondo il primo giudicante, dall'elaborato medico-legale del consulente del pubblico ministero risulterebbe chiara la responsabilità penale del prevenuto nella causazione della morte del giovane. Il giudice irpino individuava la violazione da parte dell'automobilista delle regole di cautela imposte dal codice della strada, specie quella prevista dall'art. 154 (così come descritta nel capo d'imputazione), in riferimento diretto alla manovra di svolta a sinistra intrapresa dal Ga.Gi. senza che prima si fosse assicurato della possibilità di poterla effettuare senza intralcio o pericolo. Ricordava ancora il giudice di primo grado che il consulente tecnico nominato dal rappresentante della pubblica accusa, nel suo elaborato, avrebbe rinvenuto l'angolo esatto d'impatto, pervenendo alla conclusione per cui la collisione si sarebbe verificata quando l'automobile aveva appena intrapreso la ipotizzata manovra di accostamento a destra, prodromica alla successiva svolta a sinistra. Il consulente tecnico della difesa, invece, come si legge nella prima sentenza, afferma nell'elaborato peritale che il Ga.Gi., al momento dell'impatto, doveva essersi già fermato in prossimità della linea di mezzeria, in procinto di intraprendere la svolta senza alcun preliminare allargamento a destra. Nei momenti successivi all'impatto, il Mo.Gi. avrebbe riferito ad alcune persone giunte in soccorso che il Ga.Gi. avrebbe repentinamente arrestato la marcia, tanto da non essere riuscito ad evitare il tamponamento con la vettura. In ogni caso, la sentenza di primo grado dà atto che entrambi i consulenti ascrivono una velocità medio-bassa ai veicoli al momento dello scontro. Difatti, al ciclomotore è stata imputata una velocità massima di 40 kmh, senza che nessuna traccia di frenatura sia stata rilevata sul luogo del sinistro. Pertanto, il giudice avellinese riteneva che l'imputato avesse rallentato, se non addirittura arrestato, la marcia (così come dichiarato dal teste Sp.An. che nel dibattimento ha ricordato che la Fiat Marea, poco prima dell'impatto, era ferma) al fine di svoltare a sinistra. E che, nel compiere la manovra suddetta, sarebbe stato incurante delle ripercussioni che tale condotta potesse avere sul ciclomotore che lo seguiva, il quale era ormai entrato sicuramente nella sua visuale posteriore. Così, il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistente la violazione di norme di prudenza. In particolare, laddove, per giurisprudenza uniforme, il conducente di un veicolo, quando intenda cambiare la propria direzione di marcia, non ha solo l'obbligo di segnalare il cambio, ma anche di accertarsi attraverso lo specchietto retrovisivo, che la manovra non sia idonea a creare pericolo di collisione (Sez. 4 n. 16074/2014). In tal guisa determinandosi, in virtù del comportamento imprudente altrui, la responsabilità del soggetto che ha intrapreso la manovra, nei casi in cui non manchi la possibilità di muovere un addebito di colpa specifica o generica. Invero, sempre in tale ambito, si ravvisa la responsabilità dell'utente della strada in caso di comportamento imprudente altrui (anche illecito), qualora tale comportamento risulti prevedibile (Sez. 4 n. 31242/2015). 5. Orbene, va ricordato che(in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di primo grado la giurisprudenza di legittimità, sebbene non sia giunta a configurare un obbligo di integrazione istruttoria, ha più volte ribadito la necessità che la sentenza di appello si esprima con una motivazione particolarmente penetrante che tenga conto non solo degli argomenti esposti nell'atto di impugnazione, ma anche di quelli contenuti nella prima decisione. Così si è stabilito che nel caso in cui la decisione di riforma si fondi sul diverso apprezzamento di una prova dichiarativa (già acquisita e dunque disponibile nella dimensione cartolare) il giudice di appello, pur non essendo gravato da un obbligo di rinnovazione della prova, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che giustifichi in modo razionale la difforme conclusione adottata (così Sez. U. n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01; conf. Sez. 4 n. 46857 del 26/10/2023, Ado-risio, non mass.). Il giudice d'appello deve comunque giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza, strutturando la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte. In altri termini, è necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Proprio Sez. U. Troise ha ribadito la necessità che la sentenza che riforma la condanna si confronti in modo puntuale con quella che esprime la decisione assunta all'esito della prima fase processuale, confermando la risalente indicazione ermeneutica secondo cui la decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi "in toto" a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. Ne consegue che il giudice di appello, allorché prospetti ipotesi ricostruttive del fatto alternative a quelle ritenute dal giudice di prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera possibilità, come esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma deve riferirsi a concreti elementi processualmente acquisiti, posti a fondamento di un "iter" logico che conduca, senza affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di merito (Sez. 2, n. 15756 del 12/12/2002 - dep. 2003, Contrada, Rv. 225564). In tale ottica ci si è spinti ad affermare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata da parte del giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base di un percorso ricostruttivo alternativo privo di giustificazione e non adeguatamente confutativo delle difformi conclusioni assunte, così travisando dati fattuali, configura un profilo di violazione di legge, deducibile anche nel procedimento per reati di competenza del giudice di pace, per i quali l'art. 39-bis D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, introdotto dall'art. 9 D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, ha limitato i motivi di ricorso per cassazione a quelli di cui all'articolo 606, comma 1, lettere a), b) e c), cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 32736 del 25/05/2021, Marangos, Rv. 281769). 6. Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, ritiene il Collegio che la Corte partenopea ne abbia operato un buon governo. Con motivazione analitica, coerente e logica, conto della dinamica del sinistro; in particolare, ed in sintesi, incentrando il ragionamento decisorio sulla mancata prova della ipotizzata "svolta a sinistra" e sull'ulteriore circostanza, ritenuta decisiva per la sussistenza o meno del nesso causale, dello stato di moto o di quiete della vettura condotta dal Ga.Gi. Per la Corte territoriale, a fondamento del giudizio di assoluzione, occorre partire dalle conclusioni operate dal giudice di prime cure sulla dinamica del sinistro e, dunque, sull'antecedente che ha determinato la morte della giovane vittima. Innanzitutto, i giudici di secondo grado osservano che la manovra di svolta a sinistra (con precedente spostamento verso destra), contestata in imputazione e utilizzata dal giudice di prime cure all'interno dell'iter logico-argomentativo per fondare il giudizio di responsabilità è rimasta in dubbio, non risultando adeguatamente provata. Come si legge in sentenza, la svolta non annunciata, per ammissione dello stesso giudice di primo grado, seppur probabile nei limiti della ricostruzione operata, è rimasta solo ipotizzata. Però, anche a voler riconoscere tale circostanza come pacifica e adeguatamente fondata, rimarrebbe sguarnita di prova una ulteriore circostanza dell'evento, parimenti rilevante e incidente sul nesso causale: quella sullo stato di moto o di quiete della vettura condotta dal Ga.Gi. Basterebbe già questo ad inibire una possibile sentenza di condanna dell'imputato. Ed invero, questa Corte ha chiarito in più occasioni come non possa dubitarsi che, in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale - imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, o, in ipotesi di condotta commissiva, l'assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l'evento (ed. giudizio predittivo) richieda preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto (ed. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta (cfr. ex multis Sez. 4, n. 23339 del 31/1/2013, Giusti, Rv. 256941 che, in applicazione di tale principio, ha censurato la decisione del giudice di appello che aveva affermato la responsabilità di un medico per avere, sulla base di un'errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio cesareo, causandone il decesso, ritenendo non provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale e, quindi, la circostanza che il feto potesse essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all'attenzione del medico, se quest'ultimo fosse tempestivamente intervenuto; conf. Sez. 4 n. 34296 dell'8/5/2015, Dolce, non mass.; 39445/2016). Già in precedenza, peraltro, questa Corte di legittimità aveva affermato che in tema di responsabilità per colpa, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l'analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012 Albiero ed altri Rv. 255008). Dunque, con condivisibile ragionamento logico-giuridico, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità fissa una regola ermeneutica di indubbia esattezza: in materia di reato omissivo improprio, ancor prima di applicare il c.d. giudizio controfattuale, è necessario individuare con precisione quanto effettivamente è naturalisticamente accaduto, al fine di verificare, su siffatta incontrovertibile ricostruzione, se la identificazione di una condotta omessa possa valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione alla evitabilità dell'evento, ovvero alla sua verificazione in epoca significativamente posteriore. Ciò nonostante, all'esito del percorso argomentativo su cui ancora ci si soffermerà, la Corte partenopea opera il giudizio controfattuale. E dà atto che l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato, che l'imputato Ga.Gi. "anche se avesse rispettato tutte le regole cautelari prescritte, non avrebbe potuto evitare l'impatto con il ciclomotore e, dunque, scongiurare l'evento morte verificatosi. Di contro, alcuna condotta alternativa dell'imputato risultava possibile in termini interruttivi della causalità. Nessun comportamento alternativo e diligente avrebbe permesso di evitare l'evento, stando alla ricostruzione dei fatti e al materiale probatorio raccolto" (così a pag. 12 della sentenza impugnata). 7. La sentenza di appello si confronta approfonditamente con le motivazioni che avevano portato il giudice di primo grado alla condanna dell'imputato, evidenziandone, con motivazione priva di aporie logiche, lacune e contraddizioni. Ricorda la sentenza impugnata che diverse sono le ricostruzioni della vicenda e, seppur il primo giudice adotti quella suggerita dal consulente del P.M., non esclude neppure quella avanzata dalla consulenza della difesa. Risulta invece determinante la scelta di uno dei due narrati poiché, in un caso, il Ga.Gi. avrebbe posto in essere la manovra in maniera repentina, prendendosi prima dello spazio sulla destra (così inducendo in errore sullo spostamento il conducente del ciclomotore) per poi svoltare a sinistra. Nell'altro caso, invece, da fermo, l'imputato avrebbe omesso di segnalare (seppur mai tracimando dalla linea di mezzeria) la svolta a sinistra. A fronte di tali apporti tecnici contrastanti, come detto, per la Corte territoriale non vi è prova della svolta così come ricostruita "...o meglio: i fatti risultano sguarniti di adeguato materiale probatorio per ciò che concerne l'esatta ricostruzione dei movimenti della Fiat Marea, in particolare non si comprende (e non si può asseverare) se l'autovettura avesse appena iniziato a sterzare oppure si trovasse solo in un momento prodromico alla svolta, così come risulta insufficientemente provato il presupposto posizionamento a destra per prepararsi alla svolta verso sinistra" (così pag. 8 della sentenza impugnata). Secondo i giudici partenopei la ricostruzione sulla posizione e sulla manovra antecedente all'impatto rimane allora controversa. Ancora, il fatto di cui è causa, all'opposto, pare ascriversi ad una classica dinamica da tamponamento posteriore, più che ad un vero e proprio incidente stradale, posto il punto dell'urto che ha lasciato sulla parte posteriore sx della Fiat una introflessione "a rombo", tipica delle dinamiche in questione. Ulteriore dato da tenere in considerazione, nella logica valutazione della vicenda offerta dal provvedimento impugnato, è il comportamento serbato dal Mo.Gi. e dallo Sc.Mi.. Difatti, i due ragazzi viaggiavano su un ciclomotore in condizioni di non adeguata sicurezza, dacché il Mo.Gi. non avrebbe potuto condurre con lui un passeggero e, per giunta, con loro portavano l'attrezzatura per la pesca e una busta con del pescato, in questo modo consentendo il verificarsi di una situazione di potenziale pericolo, non solo in termini di stabilità del mezzo, ma anche di adeguatezza di libertà nei movimenti e, dunque, di pieno controllo del veicolo. Ed allora coerente con tali premesse appare la conclusione che: "Benché le plurime violazioni di regole prudenziali determinino un concorso nella causazione dell'evento finale, la violazione decisiva è di sicuro da ricercarsi nella omissione, da parte del ciclomotore, di una adeguata distanza di sicurezza dall'autovettura. Distanza sufficiente e necessaria a poter scongiurare l'evento con l'indispensabile anticipo temporale richiesto" (così sempre pag. 8 del provvedimento impugnato). 8. I giudici si secondo grado, alle pagg. 8-9 della sentenza impugnata, riportano le dichiarazioni rese dal Mo.Gi. all'udienza del 5.10.2015, nel corso del dibattimento di primo grado, ed evidenziano che della brusca svolta a destra parla solo il Mo.Gi., mentre invece, dalla valutazione delle perizie in atti, non è sufficientemente comprensibile se tale movimento repentino sia avvenuto o meno. Per contro, ciò che invece risulta pacifico è la violazione di plurime regole di condotta da parte del conducente del ciclomotore che, oltretutto, inizia il sorpasso con una ridottissima distanza di sicurezza e sulla base della mera percezione/deduzione che l'auto stesse accostando a destra; tenta il sorpasso (come ammesso dallo stesso Mo.Gi.) in presenza della linea continua sulla carreggiata, nonostante l'auto del Ga.Gi. fosse già ferma o quasi; non presta adeguata attenzione alla guida, perché si avvede del pericolo quando è ormai troppo tardi; porta sul ciclomotore un passeggero (anche se non potrebbe) e reca sul mezzo, inoltre, del materiale ingombrante, che indubbiamente incide sulla stabilità del veicolo. Da qui la ricordata conclusione che nella fattispecie concreta in esame alcuna condotta alternativa da parte del Ga.Gi. sarebbe stata possibile per scongiurare l'evento. Per i giudici partenopei se è vero che l'impatto (avvenuto a seguito del sorpasso del ciclomotore) non costituisse fatto assolutamente imprevedibile, è anche vero che assurgesse a fatto assolutamente inevitabile: l'urto si sarebbe, in ogni caso, verificato. Il materiale raccolto -si legge in sentenza- induce ad asserire che il conducente del ciclomotore non si avvide della fase di frenata dell'auto per mera distrazione, impattandovi contro. Tanto asserito risultando supportato dalla dichiarazione del teste Sp.An., che in dibattimento affermò: "Sentivo l'altro ragazzo (rivolgendosi a Mo.Gi.) che si lamentava con il proprietario dell'auto.., diceva che si era fermato all'improvviso e che non l'aveva visto". Per i giudici del gravame del merito allora, il ragazzo si avvide che l'auto era ferma (o si stava quasi completamente per arrestare) quando ormai era troppo tardi, non mantenendo una adeguata distanza di sicurezza e viaggiando in situazione di evidente rischio. E l'impatto si è verificato all'interno della corsia in cui marciava il Ga.Gi., il quale non aveva superato la linea di mezzeria e molto probabilmente, prima di svoltare, avrebbe dovuto dare la precedenza alla Peugeot che proveniva dal lato opposto; anche se il Ga.Gi. avesse segnalato l'intenzione di svoltare l'impatto si sarebbe verificato (posto che l'auto stava ancora nella corsia e non aveva superato la linea di separazione); l'evento si sarebbe verificato anche se il Ga.Gi. avesse guardato nello specchietto retrovisore, posto che avrebbe semplicemente appurato (senza poterlo evitare in alcun modo) che il ciclomotore stava impattando contro la sua auto; non risulta che il ciclomotore abbia provato a frenare per evitare l'impatto perché, per stessa ammissione del suo conducente, quando ha avvertito il pericolo era ormai troppo tardi per evitare il tamponamento. Oltretutto, viene evidenziato come le condizioni di visibilità fossero buone e la strada rettilinea, motivo per cui solo una distrazione nell'incidere avrebbe potuto ritardare l'avvistamento dei movimenti dell'autovettura e, magari, una sua riduzione di velocità. I veicoli, nel momento dell'impatto, viaggiavano a velocità basse-moderate (l'auto forse era addirittura ferma) e il ciclomotore a massimo 40 km/h, per tale ragione, aggiuntivamente, per i giudici partenopei è verosimile pensare che, se il ciclomotore avesse mantenuto una adeguata distanza di sicurezza e se, soprattutto, avesse tenuto un'adeguata attenzione alla guida, il tamponamento si sarebbe probabilmente evitato. 9. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

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