Sentenze recenti tamponamento a catena

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/06/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO; udito il Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa PAOLA MASTROBERARDINO, la quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al terzo motivo. Rigetto nel resto del ricorso; udito il difensore avv. (OMISSIS), in qualita' di difensore della parte civile, si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17 giugno 2022 la Corte d'appello di Roma, per quanto ancora rileva, ha confermato la decisione di primo grado, con riguardo all'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) in relazione al delitto di lesioni commesso in danno di (OMISSIS), procedendo a rideterminare l'entita' del risarcimento in 4.000,00 Euro, alla luce del fatto che doveva ritenersi confermata soltanto l'iniziale prognosi di cinque giorni. 2. Nell'interesse del (OMISSIS) e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilita', sorretta da una non argomentata valutazione dell'attendibilita' dei testi e inficiata dalla successione di piu' referti sanitari che la stessa Corte territoriale aveva ritenuto di non considerare attendibili, salvo che per il primo che, tuttavia, era stato redatto a seguito di un accesso al Pronto Soccorso avvenuto il giorno successivo all'episodio del quale si tratta. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, tenuto conto del carattere di ingiustizia obiettiva rinvenibile nel tamponamento dell'autovettura del (OMISSIS) provocato dal (OMISSIS) che guidava in stato di ebbrezza. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali per non avere la Corte territoriale dedicato alcuna considerazione alla richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa Paola Mastroberardino, la quale ha chiesto l'annullamento con rinvio, in relazione al terzo motivo di ricorso, con rigetto nel resto. 4. All'udienza del giorno 11 aprile 2023 si e' proceduto alla trattazione orale del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' fondato, giacche' la sentenza impugnata, oltre a valorizzare, ai fini dell'attendibilita' dei testi, un dato (non l'unico, per vero, ma certo valorizzato nella verifica della credibilita' del narrato testimoniale) - la riferita ubriachezza del (OMISSIS) - che, tuttavia, attesi gli esiti dell'alcoltest, non era seriamente negabile dai testi, ha poi privato di fondamento - con motivazione sulla quale e' inutile soffermarsi attesa l'assenza di impugnazione -, anche le deduzioni del (OMISSIS) sulla durata della malattia, giungendo, senza in nulla peraltro modificare l'imputazione di lesioni gravi e senza porsi il problema della specie della sanzione applicabile, a circoscriverla nei limiti dei cinque giorni: cio' che si desume in termini non equivoci dalla motivazione che sorregge la riduzione dell'entita' del risarcimento del danno. 2. Fondato e' anche il secondo motivo, dal momento che, secondo un condiviso orientamento - risalente, ma non smentito in seguito dalla giurisprudenza di questa Corte -, ai fini della sussistenza della circostanza attenuante della provocazione, il concetto di "fatto ingiusto" comprende qualsiasi comportamento, internazionale o colposo, legittimo o illegittimo, purche' idoneo a scatenare, l'altrui reazione, presuppone pur sempre la volontarieta' dello stesso (Sez. 6, n. 10552 del 03/04/1992, Di Bella, Rv. 192530 - 01). Ne segue l'assorbimento del terzo motivo, che pone una questione - la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche - destinata ad essere rimeditata all'esito del nuovo giudizio in sede di rinvio. 3. Dalle superiori considerazioni discende l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma che, all'esito, provvedera' alla regolamentazione delle spese nel rapporto con la parte civile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Spese di parte civile al definitivo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere Dott. TURTUR M. Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/06/2022 della CORTE di APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ETTORE PEDICINI che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. il difensore della parte civile Avv. (OMISSIS) che concludeva per il rigetto del ricorso e depositava conclusioni e nota spese. I difensori, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), insistevano per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, condizionato all'espletamento di una perizia sullo stato di vulnerabilita' della persona offesa, (OMISSIS), confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di circonvenzione di incapace e per due frodi informatiche. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. vizio di motivazione: la Corte di appello non avrebbe considerato che il ricorrente aveva prodotto - gia' dalla fase delle indagini - le distinte dei pagamenti della quasi totalita' delle spese sostenute per conto di (OMISSIS), che sarebbero state effettuate con addebito sul conto corrente di (OMISSIS). Tali emergenze contradirebbero le valutazioni della Corte di appello in ordine alla conferma della responsabilita' per i reati contestati, dato che dimostrerebbero che il ricorrente si sarebbe limitato ad aiutare la (OMISSIS), nell'espletamento delle ordinarie incombenze di vita, utilizzando il proprio conto e addirittura accedendo, per questo motivo, a dei finanziamenti; 2.2. vizio di motivazione in ordine alla dimostrazione dello stato di circonvenibilita' e della sua riconoscibilita': con due distinti motivi il ricorrente censurava la valutazione in ordine alla sussistenza della valutazione dei presupposti del reato di circonvenzione, rilevando come il disturbo bipolare diagnosticato a (OMISSIS), non sarebbe in grado di incidere sulla capacita'; inoltre non sarebbe stato valutato che, nel periodo in cui si sarebbero verificate le condotte contestate i (OMISSIS) aveva effettuato atti dispositivi ed azioni, come la firma di un verbale di polizia in occasione di un sinistro, che sarebbero incompatibili con la sussistenza dello stato di infermita'; infine, sarebbe carente la prova ed insufficiente la motivazione in ordine alla riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita', tenuto conto del fatto che di tale stato non si sarebbe avveduta neanche la figlia della (OMISSIS). 2.3. Con l'ultimo motivo di ricorso si contestava la legittimita' della procura speciale per la costituzione di parte civile, il cui rilascio non sarebbe compatibile con il ritenuto stato d'incapacita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I primi tre motivi non sono consentiti, in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove in ordine alla conferma della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di circonvenzione di incapace. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). Nel caso in esame la Corte di appello affrontava con motivazione logica e persuasiva tutti i temi devoluti, rilevando conclusivamente come (OMISSIS) avesse approfittato dello stato di vulnerabilita' di (OMISSIS) per ricavarne un profitto personale. 1.1.Nel dettaglio, con specifico riferimento alla tesi alternativa proposta dalla difesa, ovvero la dedizione del (OMISSIS) ad aiutare la (OMISSIS), attraverso l'impiego di somme personali, il collegio rileva che, contrariamente a quanto dedotto, 'Corte di appello aveva valutato la tesi alternativa, compresa la allegazione della circostanza che i prestiti e i pagamenti fatti dal ricorrente nell'interesse dell'offesa fossero stati effettuati anche grazie a finanziamenti ottenuti da (OMISSIS), ritenendola non credibile ed inidonea a incrinare la capacita' dimostrativa delle prove raccolte. Invero tale allegazione difensiva veniva proposta anche con la prima impugnazione e veniva giudicata - con valutazione di merito non revisionabile in quanto coerente con le prove raccolte non illogica - "priva di riscontro", non essendo stato provato che (OMISSIS), che all'epoca dei fatti erano studente poco piu' che ventenne; avesse le disponibilita' finanziarie per eseguire versamenti e pagamenti indicati e essendo stato dimostrato che avesse ottenuto n finanziamenti (pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata). La Corte di appello rilevava di contro che era invece emerso che, proprio su sollecitazione di (OMISSIS), la (OMISSIS), aveva ottenuto dei prestiti per effettuare una ristrutturazione; era emersa, inoltre, con altrettanta chiarezza, la dipendenza di (OMISSIS) dall'imputato per tutto cio' che concerneva l'utilizzo degli strumenti informatici. In sintesi, la Corte di appello riteneva che il mancato riscontro in ordine alla effettiva sussistenza in capo a (OMISSIS) di disponibilita' finanziarie che gli avrebbero consentito di anticipare e prestare il denaro alla (OMISSIS), privava di adeguato supporto probatorio la prospettazione difensiva. Tale tesi veniva proposta nuovamente in cassazione dato che, con il ricorso si denunciava il travisamento per omissione della documentazione contabile che dimostrerebbe la buona fede di (OMISSIS) ed il suo impegno nell'aiutare (OMISSIS), anche con risorse proprie. Il motivo, tuttavia, non risulta supportato dalla allegazione - o indicazione - delle prove non considerate, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. In materia di oneri di allegazione e principio di autosufficienza la giurisprudenza aveva gia' chiarito che allorche' sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) la Corte e' giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, puo' accedere all'esame diretto degli atti processuali (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304). Diversamente, quando viene invocato un atto che contiene un elemento di prova il principio della "autosufficienza del ricorso" costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicche' e' onere del ricorrente suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008, Rv. 240123). Tale interpretazione deve essere aggiornata dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165 bis disp. att. c.p.p., comma 2, che prevede che copia degli atti "specificamente indicati da chi' ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lettera e) del codice" e' inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso e che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione. Sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, alla quale non puo' essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso. Pertanto, anche dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165-bis, disp. att. c.p.p. comma 2. e' necessario il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso che si traduce nell'onere di puntuale indicazione da parte del ricorrente degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione delegata alla Cancelleria (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432). Nel caso in esame, come gia' rilevato, la mancata allegazione delle distinte dei pagamenti in ipotesi travisate non consente alla doglianza di superare la soglia di ammissibilita'. 1.2. Con specifico riguardo alle censure relative allo stato di circonvenibilita' il collegio ribadisce che in tema di circonvenzione di incapaci, costituisce "deficienza psichica" la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, di intensita' tale da agevolare la suggestionabilita' della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, D., Rv. 275781 - 01; Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013, dep. 2014, De Mauro, Rv. 258537). Ma quel che piu' rileva in relazione ai caso in esame e' che l'integrazione della circonvenzione di persone incapaci non richiede che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente che esso sia affetto da infermita' psichica o deficienza psichica, ovvero da un'alterazione dello stato psichico, che sebbene meno grave dell'incapacita', risulti tuttavia idonea a porlo in uno stato di minorata capacita' intellettiva, volitiva od affettiva che ne affievolisca le capacita' critiche (Sez. 2, n. 6971 del 26/01/2011, Knight, Rv. 249662 - 01). Per l'integrazione della circonvenzione non e' dunque necessario che si dimostri lo stato di incapacita' di intendere e di volere della vittima, ma e' sufficiente la prova della sua "vulnerabilita'", in ipotesi correlata al parziale decadimento delle funzioni cognitive e alla perdita di autonomia; la dipendenza e l'affidamento acritico sono infatti segnali inequivoci della perdita di autonomia nella gestione delle ordinarie incombenze vitali e devono essere considerati come possibili indicatori dello stato di vulnerabilita' richiesto per l'integrazione della condotta prevista dall'articolo 643 c.p.. La Corte di appello, sul punto, effettuava una analitica e persuasiva valutazione della della perizia disposta per verificare lo stato di vulnerabilita' di (OMISSIS) e giungeva alla conclusione che la donna era attualmente affetta da un disturbo nEurocognitivo maggiore dovuto a malattia vascolare oltre che da un disturbo bipolare e vari disturbi atipici, mentre, all'epoca dei fatti la stessa presentava gia' il disturbo bipolare mentre il decadimento nEurocognitivo era allo stadio iniziale. Tale quadro clinico costituiva, anche all'epoca dei fatti, un'infermita' rilevante sul piano medico legale, dato che i disturbi nEurocognitivi, seppur in fase iniziale, erano in grado di incidere significativamente sulle facolta' di discernimento e determinazione, nonche' sulla capacita' decisionale e sulla autonomia gestionale. La Corte di appello riteneva, altresi', che tale condizione non potesse essere non notata da chi aveva consuetudine e frequentazione con la stessa (pag. 23 della sentenza impugnata). In sintesi: la Corte d'appello effettuava una valutazione attenta della analisi peritale che sulla base delle acquisizioni scientifiche in ordine alla ordinari ingravescenza dei disturbi nEuro-cognitivi e confermando la decisione del Tribunale riteneva che all'epoca dei fatti fosse conclamata e, dunque, riconoscibile la vulnerabilita' della persona offesa. Le argomentazioni difensive volte a ritenere che la stipula da parte della (OMISSIS) di atti finanziari ed economici fosse, invece, indicativa della sua capacita' di autogestione non venivano considerate idonee ad incidere sulla valutazione di sussistenza dello stato di vulnerabilita': la Corte di merito, con valutazione priva di fratture logiche e coerente con le prove raccolte, riteneva che tali attivita', lungi dall'essere manifestazione di autonoma e libera capacita' di autodeterminazione indicavano piuttosto la dipendenza di (OMISSIS) da (OMISSIS), non solo per l'utilizzo e la gestione degli strumenti informatici, ma anche per il governo delle ordinarie incombenze di vita, tenuto conto delle difficolta' che la stessa aveva a gestire in autonomia qualunque imprevisto, compreso un semplice tamponamento. La Corte riteneva, con motivazione logica e persuasiva, che la ripetuta - e quasi ossessiva - richiesta di assistenza a (OMISSIS) di (OMISSIS), contraddiceva sia la dedotta autonomia gestionale della vittima sia la non riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita' da parte di (OMISSIS) (pag. 27 della sentenza impugnata). La motivazione, anche in questo caso, non si presta ad alcuna censura in questa sede 2. L'ultimo motivo e' inammissibile in quanto dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, con insanabile frattura della catena devolutiva e violazione dell'articolo 606, c.p.p., comma 3. 3.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Condanna inoltre il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che - tenuto conto dei parametri di legge - liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentata e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4000/00, oltre accessori di legge. in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angel - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/11/2021 della CORTE APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato Decreto Legge n. 228 del 2021, ex articolo 16 conv. con modif. dalla L. n. 15 del 2022 e successivamente il Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ex articolo 94, comma 2, come sostituito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, articolo 5-duodecies, di conversione in legge del Decreto Legge n. 162 del 2022), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Lidia Giorgio, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 22/11/2021, pronunciando sull'appello proposto dall'odierno ricorrente (OMISSIS), pur riducendo la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente a mesi tre, ha confermato la sentenza con cui lo stesso era stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di mesi tre di reclusione in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 590-bis c.p., comma 1, "perche' per colpa generica consistita in imprudenza, imperizia e/o negligenza, nonche' per colpa specifica consistita nella violazione di norme sulla disciplina della circolazione stradale (articolo 141, comma 2, del Codice della Strada) cagionava a (OMISSIS) lesioni personali (nella specie: "frattura D8- D9- DIO amletica") giudicate guaribili in giorni 60 s.c. In particolare, postosi alla guida dell'autocarro Peugeot tg. (OMISSIS) percorreva Via (OMISSIS) (localita' Feletto Umberto) diretto verso Pagnacco; giunto all'altezza della progressiva chilometrica 1+200, avendo omesso di tenere una condotta di guida tale da compiere manovre in condizione di sicurezza e di arrestare tempestivamente il veicolo da lui condotto in presenza di ostacoli prevedibili, tamponava l'autovettura Ford Focus tg. (OMISSIS) condotta da (OMISSIS), ferma sulla corsia di percorrenza in coda ad altri veicoli nell'attesa che un mezzo completasse la manovra di svolta a sinistra per immettersi in un'area di rifornimento carburanti; per effetto della collisione, l'autovettura Ford Focus tg. (OMISSIS) veniva sbalzata in avanti e tamponava a sua volta il veicolo Audi A6 tg. (OMISSIS) condotto da (OMISSIS), che a causa dell'urto riportava le sopra menzionate lesioni personali. In (OMISSIS). 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla prova del nesso causale tra la condotta dell'imputato e le lesioni riportate dalla persona offesa con riferimento all'omessa compiuta valutazione delle ricostruzioni alternative proposte dalla difesa. Secondo il ricorrente la motivazione dell'impugnata decisione appare viziata in quanto il giudice di merito avrebbe fondato il proprio convincimento circa la sussistenza del nesso causale fra la condotta dell'imputato e le lesioni cagionate alla persona offesa su massime di esperienza ritenute applicabili al caso di specie secondo un criterio di mera verosimiglianza omettendo un'adeguata disamina delle circostanze di fatto indicate dalla difesa contrastanti con l'ipotesi accusatoria. Si ricorda in ricorso che, in tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se puo' escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile (Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014). Nel caso di specie, all'opposto, la Corte territoriale avrebbe contrastato l'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa con una ricostruzione fondata su dati indiziari o massime d'esperienza idonee a corroborare la tesi che l'urto cagionato dalla vettura dell'imputato avesse cagionato con certezza le lesioni contestate e cio' nonostante che la tesi difensiva fosse supportata dalle anomalie caratterizzanti la collisione in questione tenuto conto altresi' del fatto che la regola di giudizio, che richiede l'accertamento della sussistenza del reato "al la' di ogni ragionevole dubbio", implica che, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa la plausibilita' della tesi difensiva. Nel dettaglio -prosegue il ricorso- la ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nei motivi d'appello si fonda sulle seguenti circostanze di fatto emerse nel corso dell'istruttoria. In primis, la condotta della persona offesa successiva al fatto appariva incompatibile con la natura e la gravita' delle lesioni riportate sia in quanto non venivano palesate conseguenze di sorta ai soccorritori sia in quanto il (OMISSIS) si prodigo' per portare aiuto agli altri soggetti coinvolti. Lo stesso si reco' inoltre solo 5 ore dopo il sinistro presso il Pronto Soccorso di Spilimbergo distante circa 30km da luogo del sinistro giungendovi autonomamente. Si lamenta che il giudice di merito abbia ritenuto tali circostanze affatto anomale sulla base della massima di esperienza secondo cui "a volte...incidenti di non grande violenza causano, magari per aver preso alla sprovvista gli occupanti delle vetture, delle lesioni di una certa entita'" (p. 5) nonche' in base alla considerazione secondo cui "e' altrettanto frequente che a seguito di alcuni incidenti (spesso proprio i tamponamenti), che inizialmente paiono non aver comportato lesioni per i soggetti coinvolti, poi a distanza di ore, a volte anche di giorni, si manifestino lesioni serie in un primo momento nascoste". La Difesa ritiene che la motivazione sul punto sia del tutto carente, in quanto il ricorso alle sopraindicate generiche massime di esperienza non appare sufficiente nel caso di specie a corroborare la tesi accusatorie ed a superare il limite del ragionevole dubbio. Si sostiene che il giudice di merito avrebbe, infatti, dovuto confrontarsi con la circostanza secondo cui una triplice frattura vertebrale comporta, nell'ordinarieta' dei casi, una compromissione immediata dell'efficienza fisica di chi ne e' vittima. Tale massima d'esperienza appare dotata della medesima plausibilita' rispetto a quella preferita dal giudice di merito come criterio di giudizio per corroborare la tesi accusatoria. Per tale ragione, la mancata indicazione delle ragioni per cui la prospettazione difensiva e' stata ritenuta meno plausibile integra il dedotto vizio di motivazione. Inoltre, i danni riportati dal veicolo Audi A6 condotto dal (OMISSIS) sono stati minimi ed il conducente indossava le cinture di sicurezza. Tali circostanze appaiono incompatibili con la gravita' delle lesioni riportate. Sul punto ci si duole che il giudice di merito (pag. 6) argomenti che non corrisponde al vero che si tratto' di un incidente di poco conto in quanto, se da un lato i danni del veicolo condotto dal (OMISSIS) non erano ingenti, il furgoncino condotto dall'imputato nonche' la Ford Focus oggetto di collisione diretta riportarono dei danni definiti dagli operanti "di un certo rilievo". Per il ricorrente la motivazione sul punto appare del tutto incongrua e il ragionamento del giudice di merito appare censurabile sotto 2 profili. In primo luogo, trattandosi di un "tamponamento a catena", e' certo che l'energia cinetica dell'urto cagionato dal (OMISSIS) si sia in gran parte dispersa nella collisione con il veicolo direttamente tamponato - ossia la Ford Focus condotta da (OMISSIS) - e di conseguenza l'urto con l'Audi A6 del (OMISSIS) sia stato molto meno violento. Tale considerazione -prosegue il ricorso- e' avvalorata dall'esiguita' dei danni riportati. Ulteriormente, a riprova della non eccessiva violenza dell'impatto, la conducente del veicolo oggetto di impatto diretto ha riportato lesioni guaribili in sette giorni. Conseguentemente il ragionamento del giudice di merito apparirebbe viziato nella parte in cui ricava elementi a conforto della gravita' della collisione con la vettura A6 da elementi di fatto, ossia dall'entita' del danno subito dalla vettura direttamente tamponata, privi di reale efficacia dimostrativa in relazione all'oggetto della prova. Conclusivamente si ritiene che giudice di merito pur palesando le ricostruzioni alternative prospettate dalla difesa abbia optato per quella confermativa dell'ipotesi accusatoria senza premurarsi di fornire al riguardo una specifica giustificazione. In tale ipotesi sarebbe ravvisabile sia un vizio inerente alla motivazione, riconducibile al paradigma di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che una violazione di legge, riconducibile al paradigma di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto la decisione, che non risolve la pur esplicitata ambivalente lettura del compendio probatorio e lascia aperta l'interpretazione alternativa, si pone direttamente in contrasto con il cogente canone di valutazione, consacrato dalla norma processuale (Sez. 6 n. 10093/2019). Si rileva peraltro come ogni questione circa il nesso di causa fra la condotta del (OMISSIS) e le lesioni patite dal (OMISSIS) avrebbe potuto essere efficacemente risolta con un accertamento peritale sul punto richiesto dalla difesa sin dal giudizio di primo grado ed oggetto di specifica richiesta di ex articolo 603 c.p.p., comma 3, nei motivi d'appello. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. Le parti hanno concluso come riportato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimita'. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze gia' sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio' a superare lo scrutinio di legittimita', avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita', e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in sede di legittimita'. Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. In premessa va rilevato che, in ragione dell'inammissibilita' del ricorso, non assume rilievo l'entrata in vigore, dopo la proroga, del decreto legislativo che ha dato attuazione alla L. 27 settembre 2021, n. 134 (la cosiddetta "riforma Car-tabia") che ha previsto che il reato di cui all'imputazione sia procedibile soltanto a querela di parte. Cio' in quanto le Sezioni Unite di questa Corte di legittimita', alla cui condivisibile motivazione si rimanda, hanno chiarito che, in tema di condizioni di procedibilita', con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela (in quel caso per effetto del Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36, ma il principio ha portata generale) ed ai giudizi pendenti in sede di legittimita', l'inammissibilita' del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'articolo 12, comma 2, del predetto decreto per l'eventuale esercizio del diritto di querela (Sez. Un. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551). 3. Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della torte di appello, che appare logica e congrua, nonche' corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimita'. I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilita' del prevenuto, per cui l'iter logico-giuridico della motivazione, posta a fondamento dell'affermazione della responsabilita', appare non manifestamente illogico e rispondente in particolare alla cornice ermeneutica in tema di ragionamento indiziario. La questione che oggi viene riproposta circa l'implausibilita' della triplice frattura vertebrale lamentata dalla persona offesa rispetto alla tardivita' del suo accesso al pronto soccorso e' del tutto generica e non si confronta criticamente con il concorde rilievo di entrambi i giudici di merito circa l'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa corroborata dalla certificazione medica che attesta lesioni con prognosi di guarigione di 60 giorni. Non va trascurato, peraltro, che l'accesso in ospedale e' avvenuto, in ogni caso, lo stesso giorno dell'incidente. La sentenza impugnata, pertanto, si colloca nel solco del recente dictum di Sez. 1 n. 8863/2021 secondo cui, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non puo' limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, ne' procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguita' di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di la' di ogni ragionevole dubbio e, cioe', con un alto grado di credibilita' razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalita' umana. Invero, la Corte territoriale, confutando analiticamente le deduzioni dell'odierno ricorrente, sembra aver valutato adeguatamente i singoli elementi a carico del (OMISSIS), effettuando una valutazione globale ed unitaria degli stessi e pervenendo all'esclusione di ricostruzione alternativa: non nel senso che queste debba essere impossibile "in rerum natura" ma nel senso che risulti priva del benche' minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalita' umana. E cio', in conformita' anche alla regola del ragionevole dubbio. 4. Appare parimenti generica e comunque manifestamente infondata la questione relativa al diniego della rinnovazione istruttoria mediante accertamento medico-legale. Cio' in quanto questa Corte di legittimita' che ha in piu' occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'articolo 603 c.p.p. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez.2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 25696801; Sez.2, n. 3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 23339101) precisando, altresi', che, considerata tale natura, una motivazione specifica e' richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiche' in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto e' ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilita', con la conseguente mancanza di necessita' di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep.2014, Coppola, Rv. 25989301; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 25774101; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 24787201; Sez. 4, n. 47095 del 2/12/2009, Rv. 245996; Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, Mongiardo, Rv. 256968). Come piu' volte chiarito da questa Corte di legittimita', la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale puo' essere censurata soltanto -il che nel caso che ci occupa non e' avvenuto- qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258236). Nel caso che ci occupa l'esclusione del presupposto dell'impossibilita' di decidere allo stato degli atti -sul tema del nesso di causalita'- sembra oggetto di implicito diniego, non emergendo la decisivita' dell'invocato approfondimento (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 20095/2013). 5. Infine, va ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilita', determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - e' rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita' se sorretti da adeguata motivazione (ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Baldisseri, Rv. 271679; Sez. 4, n. 10335 del 10/2/2009, Pulcini, non mass.; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, Azzarito, Rv. 238321). E in altra condivisibile pronuncia si e' chiarito che sono sottratti al sindacato di legittimita', se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia quali la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, l'accertamento delle relative responsabilita' e la determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente (Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, Tarquini, Rv. 245294). 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RICCI Anna L.A. - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/09/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELA DAWAN; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CASELLA GIUSEPPINA, che ha concluso per il rigetto; E' stata depositata istanza di legittimo impedimento dell'avv. FAIOLA ARNALDO difensore delle PC. La Corte vista la istanza di legittimo impedimento avanzata dall'avv. FAIOLA difensore delle PC rilevato che nella medesima non si fa riferimento alla impossibilita' di provvedere a nomina di sostituto processuale e che peraltro nella medesima istanza, in subordine, il difensore prospetta di riportarsi alle conclusioni e nota spese che sono allegate all'istanza, rigetta la stessa e dispone procedersi oltre. E' presente l'avvocato BIASILLO ENZO del foro di LATINA in difesa di: (OMISSIS); Il difensore presente chiede l'annullamento con rinvio al giudice di merito. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina che ha ritenuto (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2, commesso in (OMISSIS), altresi' condannandolo al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in sede civile, oltre alla refusione delle spese di costituzione e rappresentanza delle stesse. 1.2. All'imputato viene contestato di avere causato, in cooperazione colposa con altro soggetto, alla guida della propria autovettura Fiat Stilo, un incidente stradale con il veicolo Fiat Punto, a bordo del quale viaggiava come passeggera la minorenne (OMISSIS), provocandone la morte. Con colpa generica e colpa specifica, consistita nell'impegnare l'intersezione stradale in orario notturno, con pioggia in atto e senza rispettare i limiti di velocita' (30 km/h). 2. Il fatto: in data (OMISSIS), verso le 18:00, in (OMISSIS), all'intersezione tra numerose vie (meglio indicate nel capo di imputazione), vi era stata una violenta collisione tra l'autovettura condotta dal (OMISSIS) (Fiat Stilo) e quella condotta da (OMISSIS) (Fiat Punto), a bordo della quale si trovava la vittima - seduta sul sedile posteriore e non assicurata da cintura di sicurezza -, che impegnava l'incrocio senza rispettare il segnale di stop. Dopo il forte impatto con il veicolo del (OMISSIS), l'auto del (OMISSIS) urtava una Dahiatsu Feroza in parcheggio, da cui derivava un tamponamento a catena con altre vetture in sosta. 3. Avverso la sentenza di appello ricorre il difensore dell'imputato che solleva quattro motivi: 3.1. Con i primi due motivi, deduce contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, con riguardo al metodo di calcolo della velocita' in relazione al quale, in contrasto con le risultanze istruttorie, ha privilegiato quello adoperato dal consulente del pubblico ministero, che ha utilizzato come parametro di conferma la velocita' indicata dal sistema OCTO collocato sull'autovettura dell'imputato, rispetto a quello della difesa 3.2. Con il terzo motivo, deduce violazione ed erronea applicazione degli articoli 589 e 40 c.p., in riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta del (OMISSIS) e la morte di (OMISSIS). La Corte di merito ha omesso di considerare due circostanze fondamentali dell'incidente stradale per cui e' causa, evidenziate dal consulente della difesa: il fatto che l'uscita dell'autovettura Fiat Punto dalla strada con l'obbligo di dare la precedenza e' avvenuto quanto l'autovettura condotta dal (OMISSIS) era ad una distanza tale che l'urto sarebbe comunque venuto, anche ad una velocita' di 30 km/h, essendo divenuta visibile la Fiat Punto al ricorrente solo nel cosiddetto intervallo psico-tecnico, ovvero nel tempo di reazione necessario per mettere in atto qualsiasi manovra di emergenza; nonche' il fatto che, negli urti ortogonali, come quello in esame nel quale la Fiat Stilo del (OMISSIS) ha impattato sulla fiancata destra della Fiat Punto su cui viaggiava la vittima, l'impatto tra i veicoli non produce variazioni nella velocita' lineare degli stessi, derivandone che l'autovettura del (OMISSIS) non ha impresso alcuna velocita' alla vettura impattata. Lo spostamento delle autovetture in sosta e il loro tamponamento reciproco sono da attribuire esclusivamente alla velocita' della Fiat Punto. 3.3. Con il quarto motivo, lamenta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. in merito al giudizio di comparazione delle circostanze. La Corte territoriale, pur avendo considerato che la condotta di guida dell'imputato ha rappresentato un contributo causale di molto inferiore a quello del coimputato (OMISSIS) (che ha definito la propria posizione con giudizio abbreviato), ha tuttavia negato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo la colpa dell'imputato di grado non certamente lieve, per l'eccessiva velocita' tenuta. Si tratta di motivazione contraddittoria in quanto la velocita' e' elemento di colpa inscindibile del contributo causale esaminato dalla Corte. 4. In data 19/10/22, sono pervenute conclusioni e nota spese del difensore delle parti civili, avv. Arnaldo Faiola. 5. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le doglianze espresse dalla difesa nel ricorso sono infondate, pertanto il ricorso deve essere rigettato. 2. I primi due motivi propongono questioni che riguardano la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale e la interpretazione delle prove assunte, il cui ambito valutativo non puo' essere sottoposto all'attenzione della Corte di legittimita'. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428 - 01). Esula quindi dai poteri della Corte, la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 dei 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944 - 01; cfr. altresi' Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petreila, Rv. 226074 - 01). Per altro verso, l'aspetto riguardante la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale, questione attinente al merito, e' rimessa al prudente apprezzamento del Giudice della cognizione, di tal che e' precluso al sindacato di legittimita' qualunque vaglio attinente alla ricostruzione di un incidente ed alla sua eziologia, ove non si individuino evidenti vizi di carattere logico (si veda in argomento, ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Rv. 271679, cosi' massimata: "La ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia e' rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita' se sorretti da adeguata motivazione"; conformi n. 87 del 1990 Rv. 182960 - 01; n. 13495 del 1990 Rv. 185541 - 01; n. 43403 del 2007 Rv. 238321 - 01; n. 37838 del 2009 Rv. 245294 - 01). 3. Tutto cio' premesso, non puo' non rilevarsi come il ricorrente solo apparentemente svolga una critica alle argomentazioni logiche fornite dai giudici di merito, offrendo in realta' una propria diversa prospettazione dei fatti, la quale non puo' essere delibata in sede di legittimita' a fronte di una motivazione che possiede una chiara e puntuale trama argomentativa, in fatto ed in diritto. L'esame della motivazione della sentenza impugnata rivela un'attenta analisi della regiudicanda poiche' la Corte territoriale, prendendo in esame tutte le deduzioni difensive, e' pervenuta alle sue conclusioni percorrendo un itinerario logico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita' e sulla base di apprezzamenti in fatto, in alcun modo qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita'. I Giudici di merito si sono ampiamente soffermati sul tema della velocita' tenuta dall'imputato al momento dell'impatto con l'auto del (OMISSIS). La Corte di appello ricorda (p. 3) come il primo Giudice abbia motivato sulla ritenuta affidabilita' del calcolo operato dal consulente del pubblico ministero (OMISSIS), "per l'obiettivita' dei dati emergenti dall'OCTO e per la mancata individuazione dei punti di impatto (che rendeva dubbio il ragionamento del consulente della difesa sulla posizione dei veicoli)" e come al (OMISSIS) venisse ascritto un profilo di colpa elevata, per avere tenuto una velocita' superiore al limite massimo imposto sulla strada percorsa e, soprattutto, non aver considerato le condizioni di tempo e lo stato dei luoghi (orario notturno, pioggia intensa), posto che una condotta di guida prudente e ad essi adeguata avrebbe inciso sui tempi di frenata di fronte all'ostacolo. Investita della specifica questione, la Corte di appello ha fornito un'adeguata, congrua e diffusa motivazione sul calcolo della velocita' (p. 5). Ha, in primo luogo, sostenuto che vi sono dati di certezza offerti dal sistema OCTO, installato sull'auto condotta dal (OMISSIS), comunemente indicato come "scatola nera" perche', al pari di quanto accade per mezzi ben piu' ingombranti e con capacita' e potenza piu' elevate, registra - a fronte di agevolazioni assicurative - dati e manovre della circolazione del veicolo, sicche' facilita la ricostruzione della condotta di guida del mezzo su cui e' applicato. Ha considerato la diversa valutazione effettuata dai consulenti tecnici dell'accusa e della difesa, i quali, nel valutare i dati relativi all'incidente, hanno atteggiato la rispettiva interpretazione in modo assai diverso relativamente al dato offerto dal sistema OCTO: l'ing. (OMISSIS), per la difesa, ha ignorato il dato della velocita' registrato dalla "scatola nera", mai menzionandolo a proposito del calcolo del moto dei veicoli, mentre il consulente (OMISSIS) lo ha ritenuto relativo al momento immediatamente successivo all'urto e ne ha verificato la correttezza, mediante l'adozione di altri due criteri di calcolo della velocita' dei veicoli (principio della conservazione della quantita' di moto, principio del triangolo; il consulente (OMISSIS) ha illustrato in udienza di avere effettuato l'operazione con entrambi i criteri, indipendenti, proprio al fine di avere conferma della correttezza del risultato), che prescindono da quel dato e pervenendo, pertanto, all'indicazione di una velocita' dell'auto condotta dall'imputato, prima dell'urto, che conferma l'esattezza del dato emergente dall'OCTO. Sul punto, la Corte di merito ha osservato che il metodo dell'ing. (OMISSIS) (non verificato con l'uso di altri criteri di calcolo) pone a base del calcolo della velocita' l'individuazione di un punto d'urto che non e' stato accertato nel presente giudizio e sul quale lo stesso consulente della difesa ha espresso una valutazione di mera presumibilita'. La Corte di merito sostiene che la mancanza della necessaria certezza sulla esatta individuazione della posizione di partenza del moto dei corpi fino alla posizione di quiete inficiata la correttezza dei successivi calcoli di determinazione della velocita' in entrata. Diversamente, il calcolo della velocita' dei veicoli effettuato dal consulente (OMISSIS) risulta verificato e coerente all'esito dell'applicazione di ben due criteri di calcolo. Si tratta, come si vede, di motivazione ampia e diffusa, del tutto immune dalle sollevate censure. 4. Quanto al nesso di causalita', oggetto del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata - escluso che, in tema di circolazione stradale, l'altrui violazione dell'obbligo di dare la precedenza ad una intersezione stradale nel centro abitato costituisca evenienza eccezionale o imprevedibile, essendo, al contrario, ipotizzata dalla norma del codice della strada che impone di moderare la velocita' in prossimita' delle intersezioni e, comunque, tenuto conto della concausalita' delle condotte colpose indipendenti dell'imputato e del conducente dell'auto su cui viaggiava la dodicenne (OMISSIS) - ha offerto compiuta motivazione sul comportamento alternativo lecito, osservando essere certo che, "nell'ipotesi in cui il (OMISSIS) avesse condotto l'auto ad una velocita' adeguata alle condizioni di tempo e di luogo e, comunque, almeno rispettosa del limite massimo imposto su quel tratto di strada, l'impatto non si sarebbe verificato con quella stessa violenza che, nel caso di specie, aveva concorso a provocare il moto rotatorio del veicolo colpito e il fortissimo impatto... con un altro mezzo, cosi', nel complesso, provocando il gravissimo traumatismo che aveva portato alla morte la passeggera". All'assunto difensivo, volto a sostenere l'assenza di profili di colpa in capo all'imputato, stante l'elevata velocita' con cui il (OMISSIS) aveva avventatamente impegnato l'intersezione, conseguendone che il (OMISSIS) non sarebbe stato in grado di reagire tempestivamente con un'azione frenante o di evitamento, perche' l'incidente si sarebbe verificato entro il tempo di percezione e reazione - argomento riproposto anche in questa sede - la Corte territoriale ha risposto osservando che l'imputato viaggiava ad una velocita' ben superiore (44 km/h) a quella ipotizzata dal consulente della difesa (34 km/h) e che l'assenza di manovre di frenata va rintracciata proprio nella velocita' eccessiva e inadeguata allo stato dei luoghi, "giacche', nell'ipotesi di una guida cauta e rispettosa delle regole di prudenza, il (OMISSIS) sarebbe stato in grado di avvistare tempestivamente l'ostacolo paratosi davanti e di reagire, ponendo in essere, prima della collisione, azioni di frenata o di sviamento tali da scongiurare l'urto ovvero di ridurne la violenza...". La Corte di appello fa cosi' buon governo della giurisprudenza di legittimita' laddove ricorda che le regole della circolazione stradale sono intese ad imporre una condotta di guida idonea all'adozione tempestiva di misure di emergenza, anche quando queste siano imposte da un'azione incauta altrui, che va pertanto ritenuta, come nel caso di specie, prevedibile ovvero comunque rientrante nel focus della prevedibilita' (cfr. Sez. 4, n. 20823 del 19/02/2019, Farimbella Simone, Rv. 275803 - 01; Sez. 4, n. 12361 del 07/02/2008, Biondo, Rv. 239258 - 01). 5. Va parimenti respinto il quarto motivo di ricorso, relativo al giudizio di bilanciamento delle circostanze, dovendosi ricordare che la Corte territoriale, nel ritenere infondato il motivo che gia' in sede di appello lo riguardava, ha osservato che, gia' in primo grado, il Giudice aveva ricono (OMISSIS) la prevalenza delle attenuanti generiche (come risulta sia dal dispositivo che dalla parte motiva della sentenza). 6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali, Oscuramento dati.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/04/2022 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere VIGNALE LUCIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIGNOLA FERDINANDO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'avvocato (OMISSIS) del foro di TARANTO in difesa di PARTE CIVILE (OMISSIS) che ha insistito per il rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni e nota spese. Udito l'avvocato (OMISSIS) del foro di TARANTO in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) che ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 29 aprile 2022, la Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - ha riformato la sentenza emessa il 29 giugno 2021 dal Tribunale di Taranto limitatamente alla concessione agli imputati del beneficio della non menzione della condanna di cui all'articolo 175 c.p.. La sentenza di primo grado e' stata confermata nel resto e, pertanto, (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'articolo 590 c.p., commi 1 e 3, in danno di (OMISSIS), dipendente della " (OMISSIS) s.r.l." societa' della quale (OMISSIS) era legale rappresentante e nella quale (OMISSIS) rivestiva la qualita' di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. La sentenza di primo grado e' stata confermata anche con riferimento alle statuizioni civili. 2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il (OMISSIS) presso lo stabilimento (OMISSIS). Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, la " (OMISSIS) s.r.l." aveva ricevuto in appalto dall'(OMISSIS) il compito di provvedere alla registrazione e al tamponamento delle porte di chiusura dei forni. Per svolgere questo lavoro (che richiedeva di portarsi fino a sette metri di altezza rispetto alla passerella dell'impianto) la (OMISSIS) si avvaleva di piattaforme di lavoro elevabili "Pid 8.5 cingolate" costruite e commercializzate dalla s.n.c. " (OMISSIS)". Queste piattaforme consentivano la presenza in quota di un solo lavoratore che operava all'interno di un cestello munito di cinture di sicurezza ed era coadiuvato dal basso da un collega. Intorno alle 14:30 del (OMISSIS) (OMISSIS) si trovava sulla piattaforma n. 25, a circa tre metri di altezza, e stava procedendo alla registrazione e al tamponamento della porta di chiusura del forno n. 126. Sulla passerella sottostante si trovava il caposquadra (OMISSIS) che lo coadiuvava. Il turno di lavoro era iniziato alle sette del mattino e, come stabilito, (OMISSIS) aveva eseguito una "cecklist visiva" della piattaforma n. 25 e delle altre piattaforme in uso (n. 22, n. 26 e n. 27) verificando la tensione delle funi, delle catene di stilo, delle carrucole delle catene, del serraggio delle viti; monitorando il livello dell'olio idraulico nel serbatoio e il livello delle batterie; verificando il regolare funzionamento del tasto di emergenza. (OMISSIS) stava applicando del collante con un pennello e non aveva portato sulla piattaforma altra attrezzatura che quella necessaria a tal fine. Improvvisamente, le catene che consentono lo spostamento verticale della piattaforma si spezzarono determinandone il brusco abbassamento. Poiche' faceva uso delle cinture di sicurezza, (OMISSIS) non fu sbalzato fuori, ma, a causa del contraccolpo dovuto alla caduta della piattaforma, riporto' la frattura di entrambe le gambe. La malattia conseguente ebbe una durata complessiva di 202 giorni. Secondo l'ipotesi accusatoria, (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle rispettive qualita' sopra indicate, sarebbero responsabili dell'infortunio per aver omesso di disporre le "visite trimestrali di controllo su funi e catene" e non aver "tenuto conto di tale specifico obbligo di legge, previsto dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 71, comma 3 anche ai fini della predisposizione del piano di lavoro e di sicurezza". La sentenza di appello ha escluso che nel caso di specie potesse trovare applicazione Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 3" con riferimento alla mancata colposa adozione delle cautele imposte dall'allegato VI n. 3.1.2." perche' questa norma ha ad oggetto le attrezzature da lavoro deputate al sollevamento dei carichi. Ha ritenuto tuttavia che il richiamo al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 3, avesse valenza piu' generale e ha sottolineato che, "in ragione di quanto previsto dall'allegato VI punto 1", questa norma impone comunque l'adozione di tutte le cautele necessarie a eliminare o almeno a ridurre i rischi connessi alle attrezzature da lavoro. Ha conseguentemente ritenuto che (OMISSIS) ed (OMISSIS) dovessero essere ritenuti responsabili del reato loro ascritto per "aver consentito l'impiego" della piattaforma ancorche' la stessa non fosse stata "adeguatamente monitorata". 3. entrambi gli imputati hanno proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello. Si tratta di un unico atto di ricorso articolato in tre motivi che non espongono le doglianze in termini lineari e accavallano profili di censura diversi, non sempre in ordine logico. I motivi di ricorso, tuttavia, (come previsto dal Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo 173, comma 1) possono essere sintetizzati nei limiti strettamente necessari alla decisione nei termini che seguono. 3.1 Col primo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di una condotta colposa rilevante ai sensi dell'articolo 590 c.p.. La difesa osserva che la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilita' degli imputati per colpa generica (la sentenza impugnata parla di "imprudenza per aver consentito l'impiego della attrezzatura senza che la stessa fosse stata adeguatamente monitorata") ancorche' fosse emerso nel dibattimento che la piattaforma era oggetto di puntuale monitoraggio e di manutenzione e fosse stata provata solo l'omissione di visite trimestrali di controllo su funi e catene che la Corte di appello ha riconosciuto non essere dovute. La difesa sottolinea che la piattaforma non fu destinata ad usi impropri; potevano utilizzarla solo lavoratori in possesso di specifico attestato di formazione; ne era vietato il sovraccarico; era previsto un check visivo da parte del caposquadra all'inizio di ogni turno di lavoro; era previsto che fossero rispettate le istruzioni di utilizzo previste dal fabbricante. Ricorda che la piattaforma era dotata di attestazione di conformita' alla direttiva Ce di riferimento e che la stessa aveva positivamente superato il collaudo da parte dei tecnici INAIL, sicche' nessun addebito per colpa, neppure per generica negligenza, imprudenza o imperizia potrebbe essere formulato a carico degli imputati. Sostiene che tale addebito comporta comunque una immutazione del fatto, atteso che agli imputati era stata contestata la violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 3, ritenuta non sussistente dalla Corte di appello. Quanto alle cause del sinistro, il difensore dei ricorrenti osserva che, secondo la Corte territoriale, sia per la polverosita' dell'ambiente che per l'uso intensivo, le catene delle piattaforme avrebbero dovuto essere oliate con particolare frequenza, ma il costruttore non aveva previsto alcuna indicazione in tal senso. Rileva che, secondo i tecnici della prevenzione incaricati delle indagini, la piattaforma non era stata sovraccaricata. Sostiene che la Corte di appello ha individuato la causa della rottura delle catene in un difetto di manutenzione senza che tale circostanza sia stata accertata: in primo luogo perche' non e' stata eseguita una perizia sulle cause dell'incidente; in secondo luogo, perche' non si e' tenuto conto delle testimonianze a discarico, dalle quali emerge che il controllo tecnico delle piattaforme avveniva con cadenza almeno mensile e si e' ritenuto che l'esecuzione di tali controlli potesse essere provata solo attraverso produzioni documentali. Con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS), la difesa osserva che egli era responsabile del servizio di prevenzione e protezione, aveva quindi il compito di fornire supporto tecnico al datore di lavoro, ma non aveva compiti gestionali. Sostiene che la sentenza impugnata non ha spiegato se (OMISSIS) sia stato inadempiente ai propri obblighi di consulenza e neppure se tale ipotizzata inadempienza sia stata causa dell'infortunio. 3.2. Col secondo motivo, i ricorrenti lamentano vizi di motivazione e violazione di legge riguardo alla decisione adottata dal giudice di primo grado, e confermata dal giudice di appello, di non disporre una perizia volta a verificare le cause della rottura delle catene e le ragioni per le quali la piattaforma non era dotata di un sistema di sicurezza idoneo ad evitare che, in caso di rottura, la piattaforma potesse precipitare. La difesa osserva che i giudici di merito hanno ritenuto tale attivita' istruttoria non indispensabile alla decisione: da un lato perche', pur in assenza del sistema di blocco, la piattaforma era stata ritenuta conforme alla normativa, munita del marchio "Ce" e collaudata; dall'altro, perche' si e' ritenuto che la mancata esecuzione da circa un anno di interventi di manutenzione documentati avesse impedito di rilevare l'usura delle catene. Il difensore sostiene che tale motivazione e' manifestamente illogica e contraddittoria: perche', se la macchina fosse stata munita di sistemi di blocco, l'evento non si sarebbe verificato; perche' solo una perizia avrebbe potuto individuare nell'usura la causa della rottura delle catene; perche' la circostanza che la manutenzione non fosse regolarmente eseguita e' stata smentita dalle deposizioni testimoniali, secondo le quali le piattaforme erano sottoposte a verifiche periodiche e, in ogni caso, a controllo visivo eseguito dal caposquadra all'inizio di ogni turno di lavoro. Secondo la difesa, in assenza di un accertamento tecnico sulla causa della rottura, sarebbe impossibile affermare che l'infortunio fu determinato da difetto di controlli e di manutenzione. La sentenza impugnata sarebbe quindi viziata da carenza di motivazione quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta asseritamente omessa e l'evento lesivo. 3.3. Col terzo motivo, i ricorrenti si dolgono del trattamento sanzionatorio. Sostengono che la scelta di applicare la pena della reclusione anziche' quella della multa non sarebbe stata adeguatamente motivata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilita'. 2. Per ragioni di logica espositiva, deve essere esaminato per primo il secondo motivo col quale i ricorrenti si dolgono del mancato espletamento di una perizia volta a verificare le cause della rottura delle catene e le ragioni per le quali la piattaforma non era dotata di un sistema di blocco idoneo ad evitare che, in casi simili, la piattaforma potesse precipitare; una doglianza ha carattere preliminare perche' riguarda la ricostruzione dei fatti sui quali e' stata fondata l'affermazione della penale responsabilita'. Sul punto, la motivazione delle sentenze di merito - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtu' dei ripetuti richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, e., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - non appare ne' lacunosa ne', tanto meno, intrinsecamente contraddittoria. La perizia richiesta dalla difesa, infatti, e' stata ritenuta non "assolutamente necessaria" alla luce degli accertamenti compiuti dai tecnici della prevenzione che hanno svolto le indagini, dai quali e' emerso: che la catena si era rotta e che la piattaforma non era dotata di un sistema di blocco idoneo a prevenire danni in questa eventualita' (pur esistente in altri macchinari simili). I giudici di merito hanno preso atto che, pur in assenza di tale sistema di blocco, la piattaforma era stata dotata di marcatura "Ce" e regolarmente collaudata ai fini della messa in opera e hanno ritenuto che l'informazione probatoria fosse completa. Hanno osservato, infatti, che non poteva ipotizzarsi il malfunzionamento di un sistema di blocco inesistente (e non indispensabile), ma era stata accertata la rottura delle catene; e tale rottura, essendo stato escluso un sovraccarico della piattaforma, non poteva che essere dipesa da usura. In altri termini, i giudici di merito hanno individuato la causa della rottura delle catene nell'usura cui le stesse erano sottoposte e hanno ritenuto per questo di dover concentrare la propria attenzione sulla manutenzione del macchinario. Di cio' hanno fornito una motivazione coerente e completa che comporta la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso. Altro e diverso problema e' quello che riguarda l'effettivo svolgimento dell'attivita' di manutenzione, che non era la perizia a dover accertare. Com'e' evidente, questo argomento attiene alla prova del fatto, che i ricorrenti ritengono insussistente ed e' quindi oggetto, insieme ad altri, del primo motivo di ricorso. 3. nell'esaminare il primo motivo si deve premettere che nel ricorso si lamentano vizi di motivazione e violazioni di legge, ma, in concreto, anche le denunciate violazioni di legge si esauriscono in una critica alla motivazione adottata dai giudici di merito per sostenere l'esistenza della colpa e del nesso causale. e' utile percio' ricordare che, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il sindacato del giudice di legittimita' sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioe' realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di cassazione e' preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche' ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa. Un tal modo di procedere, infatti, trasformerebbe la Corte da giudice di legittimita' nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). 3.1. La sentenza impugnata ha escluso che la responsabilita' a titolo di colpa potesse essere fondata sulla violazione dell'Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 3 "con riferimento alla mancata colposa adozione delle cautele imposte dall'allegato VI n. 3.1.2.", contestata nel capo di imputazione e ritenuta sussistente dal Tribunale. Ha ritenuto infatti (accogliendo un motivo di appello) che il punto 3 dell'allegato VI faccia esclusivo riferimento alle "attrezzature di lavoro deputate al sollevamento dei carichi, tra le quali non possono essere ricomprese quelle utilizzate per il sollevamento delle persone". non per questo, pero', ha ritenuto sussistente solo una colpa generica. Ha sottolineato, infatti: in primo luogo, che l'allegato VI (richiamato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 3) impone al punto 1 l'adozione di tutte le cautele necessarie a eliminare o ridurre i rischi connessi all'uso delle attrezzature da lavoro; in secondo luogo, che fu imprudente consentire l'impiego della piattaforma "senza che la stessa fosse stata adeguatamente monitorata" (pag. 9 della motivazione della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha argomentato sull'assenza di controlli e di attivita' manutentive adeguate. Ha rilevato, infatti: - che, come prova la documentazione acquisita nel corso delle indagini, le catene della piattaforma n. 25 furono controllate in officina "un considerevole numero di mesi" prima del fatto; - che il continuativo e stabile impego di quella piattaforma e le condizioni di lavoro connotate dalla abbondante presenza di polvere, esponevano gli ingranaggi "a maggior attrito in mancanza di reiterata oliatura, e quindi a un rischio di rottura superiore"; - che, secondo le indicazioni fornite dai testimoni a discarico, sulle piattaforme utilizzate dai dipendenti della (OMISSIS) veniva compiuta una generalizzata e cadenzata attivita' di manutenzione, ma nessun testimone e' stato in grado di riferire tale attivita' manutentiva in termini specifici e temporalmente dettagliati alla piattaforma in questione (pag. 10 della sentenza impugnata). La difesa obietta che, nel parlare di tale attivita' di manutenzione, i testi l'hanno riferita a tutte le piattaforme e quindi anche alla piattaforma n. 25, ma tale argomentazione non contrasta col dato, valutato decisivo dalla sentenza impugnata, che, come risulta dalla documentazione acquisita, le catene di quella piattaforma erano state sottoposte a controllo meccanico e sostituite per usura molto tempo prima dei fatti (precisamente - come riportato a pag. 9 della sentenza di primo grado - il 6 febbraio 2013 e il 22 febbraio 2013, date in cui nelle schede di manutenzione fu annotato: "controllo catene e pulegge consumate"). Si tratta di motivazioni complete, scevre da profili di contraddittorieta' o manifesta illogicita' e dunque non censurabili in questa sede. Si deve ricordare, in proposito che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 4, lettera b), le attrezzature da lavoro devono essere "oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all'articolo 70" e che, come affermato da questa Corte di legittimita', "l'obbligo di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni sul lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 71) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (...), non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza" (Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011, Lanfredi, Rv. 251620). e' cosi' superato anche l'argomento, solamente enunciato nei motivi di ricorso, secondo il quale la piattaforma era stata verificata dall'Inail. Come risulta dalla sentenza di primo grado, infatti, tale verifica era avvenuta il 5 aprile 2013, quando erano passati meno di due mesi dall'ultimo controllo in officina di catene e pulegge; ma trascorsero piu' di dieci mesi tra questa verifica e l'infortunio. 3.2. L'argomento secondo il quale l'affermazione della penale responsabilita' degli imputati sarebbe avvenuta ritenendo una colpa generica ed escludendo i profili di colpa specifica espressamente contestati e' privo di pregio, non soltanto perche' - come sottolineato dalla sentenza impugnata - la colpa generica era stata contestata; ma soprattutto perche', con la motivazione sopra illustrata, la Corte territoriale ha ritenuto violate le norme di prevenzione contenute nell'articolo 71 e nell'allegato VI del Decreto Legislativo n. 81 del 2008. La Corte territoriale ha ritenuto tali violazioni determinanti sotto il profilo causale osservando che, se la piattaforma fosse stata sottoposta a regolari controlli di manutenzione, l'evento non si sarebbe verificato. Ha ritenuto, inoltre, che, in assenza di regolari controlli, l'evento fosse prevedibile ed evitabile. Ha sottolineato, in proposito che, meno di due anni prima (il 16 aprile 2012), si era verificato un incidente identico, determinato dalla rottura delle catene di una piattaforma, e sulla non contraddittorieta' o illogicita' di tale motivazione non occorre spendere parole. 3.3. Ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 17 e 28, incombe sul datore di lavoro l'obbligo di verificare la conformita' dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneita' originaria o sopravvenuta - siano pericolosi per l'incolumita' del lavoratore che li manovra (Sez. 4, n. 3917 del 17/12/2020, dep. 2021, Dal Maso, Rv. 280382). Quanto ad (OMISSIS), responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno ritenuto che egli non avesse adempiuto puntualmente al proprio ruolo non avendo raccomandato a (OMISSIS) verifiche periodiche sull'integrita' delle catene, non avendo vigilato perche' tali verifiche fossero compiute e non avendo predisposto un piano di lavoro e di sicurezza contenente previsioni in tal senso. Tali conclusioni sono conformi ai principi di diritto che regolano la materia. Si e' ritenuto, infatti che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione possa essere considerato responsabile del verificarsi di un infortunio, anche in concorso col datore di lavoro, "ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del RSPP per non avere segnalato nell'ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, in concorso con quella ascritta al datore di lavoro per non avere sollecitato la societa' proprietaria dell'immobile ad eseguire i necessari lavori di manutenzione, ritenendo irrilevante, ai fini dell'esclusione della responsabilita' del primo, la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro) (Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Solari, Rv. 281433; nello stesso senso Sez. 4, n. 32195 del 15/07/2010, Scagliarini, Rv. 248555; sull'argomento si veda anche: Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, espenhahn Rv. 261107). 4. La sentenza impugnata sostiene che l'evento lesivo fu causato dall'usura (e conseguente rottura) delle catene che sostenevano la piattaforma e che (OMISSIS) e (OMISSIS) lo resero possibile non adempiendo puntualmente ai rispettivi obblighi. La Corte territoriale osserva che (OMISSIS) non svolse i propri compiti consultivi in modo corretto perche' non segnalo' a (OMISSIS) la necessita' di una attenta manutenzione e percio' lo ritiene responsabile dell'evento. Individua, inoltre, la regola di prevenzione violata nella carenza di una adeguata manutenzione periodica. La motivazione non e' carente, contraddittoria o illogica, e certamente non contrasta con i principi di diritto che disciplinano la materia. non e', quindi, censurabile ne' sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, ne' per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. neppure e' censurabile, perche' coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata nell'adempimento dell'obbligo di manutenzione e, per (OMISSIS), nella programmazione del controllo meccanico delle catene e pulegge (pag. 9 della sentenza di primo grado). La prevedibilita' e l'evitabilita' dell'evento dannoso, inoltre, sono congruamente motivate sulla base della costatazione che un infortunio identico si era verificato due anni prima e l'ultimo controllo su catene e pulegge era stato eseguito nel febbraio 2013. 5. Col terzo e ultimo motivo i ricorrenti si dolgono dell'entita' della pena inflitta determinata dal giudice di primo grado, per ciascun imputato, in mesi due di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Il motivo e' inammissibile essendo stato proposto per la prima volta nell'atto di ricorso. nell'impugnare la sentenza di primo grado, infatti, gli appellanti non avevano censurato l'entita' della pena inflitta in primo grado, ma solo la mancata concessione del beneficio della non menzione e tale motivo di appello e' stato accolto in sede di gravame. Si deve ricordare allora che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita' sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura "a priori" un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello" (fra le tante: Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, Rv. 282322). 6. Poiche' i ricorsi sono inammissibili, non deve essere dichiarata la prescrizione del reato che sarebbe maturata dopo la sentenza d'appello. La giurisprudenza di questa Corte di legittimita', infatti, ha piu' volte ribadito che l'inammissibilita' del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita' di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita' a norma dell'articolo 129 c.p.p., (cosi' Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, niccoli, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463). 7. All'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', deve essere disposto a carico di ciascuno di loro, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma cosi' determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilita'. Infine, gli imputati devono essere condannati in solido alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita il cui difensore ha partecipato all'udienza e depositato conclusioni scritte. Si ritiene equo procedere alla liquidazione nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesc - est. Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/10/2020 della Corte di assise di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CENICCOLA Elisabetta, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Napoli confermava la decisione dibattimentale di primo grado, nella parte in cui (OMISSIS) era stato riconosciuto colpevole dell'omicidio volontario di (OMISSIS), gestore di un distributore di carburante sito lungo la strada statale (OMISSIS), ed era stato condannato alla pena principale di ventiquattro anni di reclusione. 2. (OMISSIS) era stato accoltellato all'interno del distributore, la sera del (OMISSIS), all'esito di uno scontro fisico con l'odierno imputato (che al distributore lavorava, episodicamente, come giardiniere). Tre coltellate al tronco avevano raggiunto la vittima, che sarebbe deceduta in ospedale, cinque giorni dopo, per tamponamento cardiaco. Era stato lo stesso (OMISSIS), ancora perfettamente cosciente, che, all'arrivo dei Carabinieri, avvertiti dal testimone sopraggiunto (OMISSIS), aveva fatto il nome del suo aggressore e aveva precisato che questi si era allontanato a bordo di un'automobile Alfa Romeo 156 in direzione di (OMISSIS). Scattavano cosi' le ricerche. L'Alfa Romeo veniva rintracciata, poco distante, incidentata a seguito di urto con altra vettura che la precedeva. Il guidatore si era gia' dato alla fuga. Erano rilevate tracce di sangue sulle maniglie anteriore destra e posteriore sinistra, mentre a bordo erano rinvenuti un coltello a serramanico con lama sporca di sangue, una pistola a salve, documentazione riferibile all'imputato, una piccola cassetta contenente un terminale POS abilitato al pagamento elettronico e alcune monete. Gli esami di genetica forense avrebbero successivamente permesso di riferire alla vittima, almeno in parte, le predette tracce ematiche, e avrebbero stabilito la compatibilita' tra la lama del coltello e le discontinuita' presenti sul giubbotto della vittima medesima. A poca distanza dall'Alfa Romeo giaceva un apparato, componente l'impianto di videosorveglianza del distributore e da esso sottratto. L'Alfa Romeo risultava di proprieta' dell'imputato, che, ferito al volto, era individuato e arrestato presso la sua abitazione il giorno dopo. Otteneva in seguito gli arresti domiciliari ma evadeva da essi, venendo catturato nuovamente, mesi dopo, in (OMISSIS). Esisteva un filmato dell'aggressione, girato dal predetto sistema di videosorveglianza. Nel processo le relative immagini sarebbero state estrapolate, implementate nella loro qualita', mediante apposita perizia. La consulenza autoptica avrebbe successivamente stabilito la compatibilita' delle ferite presenti sul tronco della vittima con l'azione del coltello gia' menzionato; avrebbe rilevato la presenza di ferite ulteriori, al volto e alle mani di lei, iscrivibili alla preliminare colluttazione; avrebbe escluso ritardi o negligenze nelle cure sanitarie ospedaliere. 3. Nel corso dell'esame dibattimentale, l'imputato dichiarava di avere avuto, quel pomeriggio, uno screzio con la vittima, che era quindi entrata nel gabbiotto del distributore a sistemare alcuni prodotti. L'imputato sarebbe entrato a sua volta in esso, avrebbe con forza toccato (OMISSIS) alle spalle e gli avrebbe comunicato l'intenzione di licenziarsi. (OMISSIS) si sarebbe allora girato e avrebbe preso a picchiare il dichiarante con pugni e calci, che questi avrebbe tentato di respingere. Lo scontro sarebbe proseguito in esterno. L'imputato sarebbe caduto in terra e l'antagonista avrebbe continuato a infierire pesantemente su di lui, minacciandolo di morte. Trovandosi nel panico e non riuscendo a respirare, l'imputato avrebbe estratto il coltello dalla tasca destra del pantalone e avrebbe sferrato taluni colpi a scopo difensivo. Si sarebbe quindi offerto di soccorrere il ferito, che sarebbe anche salito sull'Alfa Romeo. All'arrivo del testimone (OMISSIS), l'imputato avrebbe affidato a lui i compiti di soccorso e, sentendosi da (OMISSIS) accusato, sarebbe scappato via portando con se' le telecamere. Tale versione dei fatti era ritenuta tuttavia inattendibile dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, che, anche alla luce del filmato, riteneva pienamente integrato l'omicidio volontario all'imputato ascritto. 4. Decidendo sull'impugnazione da lui proposta, la Corte di assise di secondo grado risolveva anzitutto, in senso alla difesa sfavorevole, la questione di rito concernente la mancata nomina dell'interprete sin dalla fase delle indagini preliminari e la mancata traduzione degli atti del procedimento; confermava le ordinanze istruttorie emesse dal primo giudice, nella parte dall'imputato contestata; negava la rinnovazione dell'istruttoria in appello, nei termini invocati. Quanto al merito, la Corte precisava che dalle immagini era possibile ricavare talune circostanze che essa definiva pacifiche. In primo luogo, il fatto che l'aggressione era partita da (OMISSIS), il quale, all'ingresso di (OMISSIS) nel gabbiotto e mentre questi gli dava le spalle, lo aveva colpito violentemente da dietro con un oggetto contundente. Tale circostanza era stata riferita dalla vittima, ancora perfettamente cosciente, ai familiari ed era riflessa dal fotogramma che inquadrava il corpo rigido nelle mani dell'imputato. Con l'azione di un tale corpo era congruente il trauma riportato dalla vittima stessa in zona fronto-parietale destra. In secondo luogo, il fatto che (OMISSIS) aveva estratto il coltello fuori dal gabbiotto, all'esito della successiva colluttazione, durante la quale (OMISSIS) era caduto in terra ed era riuscito a rialzarsi, e lo aveva estratto allorche' entrambi gli antagonisti erano di nuovo in posizione eretta. Il luccichio dell'arma era infatti ben visibile in uno dei fotogrammi. Infine, il fatto che (OMISSIS), pur balzato all'indietro a braccia alzate, era stato attinto in piu' punti del corpo, riportando le ferite che, come da autopsia, ne avevano causato la morte. Il seguito era incontroverso. Le immagini riprendevano l'imputato mentre faceva salire la vittima sull'Alfa Romeo e vi caricava sopra la cassetta con il POS e i soldi. Sopraggiungeva (OMISSIS), cui (OMISSIS), sceso dalla vettura, chiedeva soccorso. (OMISSIS) si allontanava, dopo aver sottratto parte dell'impianto di videosorveglianza, andando a provocare il riferito incidente automobilistico. 5. La Corte distrettuale, alla stregua del fatto cosi' ricostruito, rilevava il nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento morte, nonche' il dolo omicida, escludendo la legittima difesa, anche nella forma dell'eccesso colposo. Riteneva infine appropriato il diniego delle attenuanti generiche e congrua la dosimetria della pena. 6. Avverso la sentenza da essa pronunciata l'imputato ricorre per cassazione, con il ministero dell'avvocato (OMISSIS). Il ricorso e' strutturato in dieci motivi. 6.1. Primo motivo. Nullita' processuale, da mancata nomina dell'interprete di lingua tedesca, che affiancasse l'imputato lungo l'intero corso del processo, e da mancata traduzione dei relativi atti. Secondo il ricorrente l'affermazione della Corte distrettuale, secondo cui egli conoscesse l'italiano e non avesse bisogno di assistenza linguistica, era illogica. Allorche' la stessa Corte lo aveva fatto interpellare al riguardo, dal carcere, egli aveva risposto per iscritto senza aver capito il senso della domanda. In ogni caso mancava l'espressa dichiarazione di sapere non solo parlare e comprendere la lingua del processo, ma di saperla anche leggere. La lettera, con cui il ricorrente ribadiva, sempre dal carcere, di volere l'interprete, era si' stata scritta in buon italiano, ma grazie all'aiuto di un compagno di detenzione, il quale aveva espressamente dichiarato di averlo fatto usando un vocabolario italiano-tedesco. Nel giudizio di primo grado, del resto, l'ausilio dell'interprete era stato concesso. 6.2. Secondo motivo. Mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dall'esperimento giudiziale, chiesto ex articolo 495 c.p.p., comma 2, e non ammesso ne' in primo ne' in secondo grado. Vizio di motivazione. L'esperimento sarebbe dovuto servire a ripercorrere la dinamica del fatto, nei punti oscuri, incluso lo studio delle traiettorie del coltello attraverso la riproposizione dei movimenti dei contendenti. L'esperimento avrebbe rivelato che non era possibile l'estrazione del coltello mentre gli antagonisti fossero in piedi; che il luccichio osservato poteva appartenere ad altri oggetti; che il coltello non poteva essere sparito nel nulla. L'esperimento serviva non gia' a riscontrare i luoghi, ma a far rivivere le azioni. Esso era necessario e decisivo, per colmare le lacune della perizia video. 6.3. Terzo motivo. Mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dalla perizia balistico-antropometrica, chiesta ex articolo 495 c.p.p., comma 2, e non ammessa ne' in primo ne' in secondo grado. Vizio della motivazione. L'affermazione di penale responsabilita' per omicidio volontario si basava su due capisaldi, l'uso del coltello quando gli antagonisti si fronteggiavano in posizione eretta, e la certezza che il coltello avesse attinto il cuore. Tali capisaldi erano viceversa incerti. Sarebbe stato fondamentale saggiarne la solidita', mediante la verifica delle traiettorie dei fendenti a partire dalla posizione e dalle altezze dei soggetti coinvolti. Il mezzo di prova era necessario e decisivo, per colmare le lacune e le deficienze tecniche della perizia video, di per se' inidonea allo scopo indicato, sulle quali il motivo indugia. In particolare, il luccichio sarebbe potuto risultare da una mera aberrazione cromatica. 6.4. Quarto motivo. Mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dall'acquisizione del referto di angio-TAC toracica, chiesta ex articolo 507 c.p.p., e non disposta ne' in primo ne' in secondo grado. Vizio della motivazione. Il coltello in sequestro non sarebbe stato in grado di attingere il cuore della vittima. All'atto del primo ricovero, presso l'ospedale (OMISSIS), non era stata diagnosticata alcuna lesione cardiaca. Era dunque necessario e decisivo verificarne la presenza allorche' il paziente giunse all'ospedale (OMISSIS), e solo l'angio-TAC d'ingresso avrebbe potuto fornire risposta. Era infatti possibile che la lesione fosse stata indotta, al Cardarelli, dalla manovra di pericardiocentesi li' eseguita, ove l'esecuzione non fosse stata fatta a regola d'arte, come non escluso dai sanitari dell'ultimo nosocomio, il (OMISSIS). Il visus autoptico non poteva sostituire l'indagine radiodiagnostica su corpo vivo. 6.5. Quinto motivo. Errata valutazione della perizia video. Vizio di motivazione e travisamento istruttorio. La copia del file video sarebbe stata eseguita in maniera amatoriale, e non professionale, senza il rispetto dei principi dettati dalla L. 18 marzo 2008, n. 48, come affermato dal consulente della difesa, dalla Corte distrettuale in proposito frainteso. La "catena di custodia" delle immagini sarebbe stata infranta. Non vi sarebbe certezza che le medesime non fossero state alterate. Non vi sarebbe poi certezza che il luccichio, o macchia bianca, fosse riferibile al coltello, in quanto non sarebbero solo le superfici metalliche ad essere dotate di capacita' riflettente. La prova video sarebbe stata dunque interpretata in modo travisato. La motivazione, offerta dalla sentenza impugnata a proposito della corretta analisi dei fotogrammi, in relazione alla presenza del corpo contundente e al momento di estrazione del coltello, sarebbe infine illogica e inadeguata. La precisa determinazione di tale momento sarebbe stata essenziale, d'altra parte, per escludere che l'uso del coltello fosse stato prettamente difensivo, e quindi per accertare le esatte responsabilita'. 6.6. Sesto motivo. Insufficiente, erronea e contraddittoria valutazione dell'autopsia. Vizio di motivazione. I rilievi autoptici, che dimostrerebbero l'avvenuta rottura del cuore ad opera del coltello, sarebbero inadeguati. La lama del coltello, non esaminata dai medici legali, era troppo corta e non poteva conseguire un tale esito lesivo, per quanto il corpo della vittima potesse essere elastico, come sarebbe risultato chiaro ove fosse stato nominato il perito balistico. Non si poteva affatto escludere l'ipotesi della pericardiocentesi male eseguita; le contrarie affermazioni del consulente (OMISSIS), non presente all'autopsia, sarebbero ampiamente censurabili. 6.7. Settimo motivo. Vizio di motivazione in ordine all'esistenza del nesso causale. La causa della morte era stata la ferita cardiaca, che il coltello - ribadisce il ricorrente - non poteva determinare. L'insulto cardiaco era stato ragionevolmente indotto dalla pericardiocentesi mal eseguita all'ospedale (OMISSIS). Il ricorrente si dilunga nella critica delle contrarie affermazioni rese al riguardo dal consulente (OMISSIS), e, riassuntivamente, sugli altri elementi che dimostrerebbero l'assunto, influente almeno sulla quantificazione della pena. 6.8. Ottavo motivo. Vizio di motivazione in ordine al riscontro del dolo omicida, alla negazione dell'omicidio preterintenzionale e all'esclusione dell'eccesso colposo di legittima difesa. La colluttazione intervenuta, quantunque violenta e quand'anche avviata dall'imputato, sarebbe indice di mera volonta' lesiva. La prova video sul momento di impiego del coltello sarebbe stata travisata, come gia' dedotto. I colpi non sarebbero stati comunque diretti a parti vitali del corpo, ne' rivelerebbero di per se' l'intenzione di uccidere. Se fosse stata eseguita la perizia balistica, tale conclusione sarebbe evidente. Anche il comportamento dell'imputato post delictum, per nulla ambiguo, lo dimostrerebbe, essendosi egli inizialmente prodigato per prestare soccorso. La successiva fuga, e la sottrazione di parte dell'apparato digitale di videoripresa, sarebbe invece spiegabile alla luce della paura irrazionale legata alle conseguenze di quanto comunque avvenuto. La prova dell'imputazione soggettiva piu' grave, a scapito di una possibile affermazione di responsabilita' per il mero delitto ex articolo 584 c.p.p., non sarebbe stata raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio. 6.9. Nono motivo. Vizio di motivazione in ordine all'esclusione della legittima difesa e del relativo eccesso colposo. La sentenza impugnata sarebbe pervenuta a tale conclusione, dopo aver immotivatamente respinto la ricostruzione dell'occorso offerta dall'imputato, benche' l'allocazione delle ferite fosse con essa in maggiore accordo. Ne' le scarse conseguenze lesive, dall'imputato riportate, si porrebbero quale fattore di contraddizione. Il pericolo paventato, e a cui (OMISSIS) avrebbe reagito, era costituito dall'apnea respiratoria, che non lascia segni postumi, indotta dalla pressione esercita da (OMISSIS) sul corpo del suo antagonista; pressione che integrava, da quel momento, un'offesa ingiusta. (OMISSIS) aveva una soverchiante prestanza fisica. Le frasi minatorie, profferite da (OMISSIS) nella circostanza, non sarebbero state riportate nei primi interrogatori, ma non per questo esse non sarebbero state pronunciate, mentre la sottrazione parziale dell'apparato di videosorveglianza non avrebbe avuto finalita' di occultamento probatorio. Nessuna plausibile spiegazione, infine, sarebbe stata addotta per escludere l'applicazione dell'istituto dell'eccesso colposo ex articolo 55 c.p.. 6.10. Decimo motivo. Vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al bilanciamento della pena. Sarebbe errato e illogico escludere che l'imputato avesse avuto un atteggiamento processuale positivamente apprezzabile. Sarebbe illegittimo affermare l'esistenza di precedenti penali sulla base di documentazione atipica, fornita dal Ministero dell'Interno tedesco, irritualmente acquisita, anziche' sulle risultanze del casellario giudiziale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' infondato. 1.1. Occorre muovere dal presupposto che, qualora l'imputato straniero mostri di rendersi conto del significato degli atti processuali compiuti con il suo intervento, o a lui indirizzati, al giudice non incombe l'obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete, o di disporne la traduzione, dovute solo sul presupposto indefettibile della non conoscenza o della difficolta' di comprensione della lingua italiana da parte dell'imputato stesso (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239693-01; Sez. 2, n. 30379 del 19/06/2018, Khadraoui, Rv. 273246-01; Sez. 2, n. 8094 del 04/02/2016, T., Rv. 266238-01; Sez. 4, n. 39157 del 18/01/2013, Burkhart, Rv. 256389-01). Tale arresto e' certamente rispettoso dei principi posti in materia dall'articolo 111 Cost., comma 3, nonche' dei corrispondenti obblighi sovranazionali (articolo 6 CEDU sull'equo processo, articolo 3 direttiva Europea 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali), giacche' tali fonti ancorano il diritto dell'imputato di farsi assistere (gratuitamente) da un interprete, e di ottenere la traduzione delle sentenze e degli atti del processo, al fatto che l'imputato stesso non comprenda o non parli la lingua usata in udienza o nel processo stesso. Sicche' il problema e' semmai quello di assicurare che l'accertamento sul punto sia eseguito in modo scrupoloso, e che l'esito sia controllabile in sede d'impugnazione (v., in particolare, articolo 3, comma 5, direttiva Europea 2010/64/UE, citata). 1.2. In proposito, e' insegnamento costante di questa Corte che l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana costituisca una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimita', se motivata in termini corretti ed esaustivi (Sez. 2, n. 11137 del 20/11/2020, dep. 2021, Dong, Rv. 280992-01; Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015, Reznikov, Rv. 265213-01; Sez. F, n. 44016 del 04/09/2014, Vjerdha, Rv. 260997-01; Sez. 5, n. 33775 del 27/02/2014, Ilie, Rv. 261640-01; Sez. 6, n. 28697 del 17/04/2012, Wu, Rv. 253250-01). Nella specie, la Corte distrettuale ha fornito una motivazione di tal genere, evidenziando anzitutto come l'imputato fosse cittadino italo-tedesco, avendo il padre napoletano, e come egli, prima dei fatti, soggiornasse stabilmente in Italia da molto tempo; onde la ragionevole deduzione della conseguita conoscenza del nostro idioma da parte sua. Deduzione, che l'andamento del processo ampiamente riscontra. La sentenza impugnata ricorda infatti che, durante le indagini, e nel corso del dibattimento di primo grado, (OMISSIS) aveva piu' volte dichiarato di comprendere adeguatamente la lingua italiana, scritta e parlata. La circostanza era stata confermata da piu' testimoni; e dallo stesso imputato, dal carcere, durante il giudizio di appello. Se e' vero che l'imputato, dinanzi alla Corte di assise, era stato coadiuvato da un interprete, risultava che egli avesse, in tante occasioni, interloquito direttamente con la Corte stessa, e con chi lo esaminava, rendendo palese la non necessita' di permanente assistenza linguistica, come infine affidabilmente ritenuto nel grado successivo di giudizio. 2. I motivi secondo, terzo e quarto, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili, sono inammissibili nella parte in cui il ricorrente si duole della mancata assunzione di prove in tesi decisive, identificate in un esperimento giudiziale, diretto a riprodurre la dinamica omicida, in una perizia balistico-antropometrica e nell'acquisizione di ulteriore refertazione radiologica. Nello svolgere le corrispondenti censure il ricorrente non considera che, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', rivestono carattere di decisivita', secondo la previsione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), le sole prove, ritualmente richieste a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, che, confrontate con le argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata, sarebbero state tali, se fruttuosamente esperite, da intaccare la struttura portante della sentenza stessa, sovvertendo l'esito del giudizio; con esclusione, dunque, dei casi in cui, a fronte di un quadro istruttorio non lacunoso, il seguito probatorio invocato possedesse un rilievo concorrente, meramente integrativo e, in ogni caso, non determinante (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670-01; Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817-01; Sez. 6, n. 37173 del 11/06/2008, Ianniello, Rv. 241009-01). Ne' l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), puo' essere invocato ove il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'articolo 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 6, n. 28007 del 19/06/2019, R., Rv. 276380-01; Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti, Rv. 269270-01; Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013, Muraca, Rv. 254974-01). Cio' posto - e anche a prescindere da tale ultima notazione, che inficia in radice la proponibilita', in parte qua, del quarto motivo (l'acquisizione del referto di angio-TAC toracica) - appare chiaro che nessuno dei mezzi istruttori, di cui si lamenta l'omesso espletamento, possedeva valenza tale da rovesciare la ricostruzione degli accadimenti, saldamente ancorata alle risultanze filmate e al responso della consulenza autoptica, rispettivamente oggetto, come in appresso si dira', di inappuntabile valutazione e di appropriato recepimento ad opera della Corte distrettuale. 3. Ne' gli stessi motivi superano il vaglio di ammissibilita', li' ove le censure istruttorie sono ricondotte al vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). Le censure stesse, infatti, reiterano argomenti gia' convenientemente confutati nei gradi di merito, risultando manifestamente infondate, inconcludenti e generiche. Basti richiamare i passaggi motivazionali della sentenza impugnata, in cui ci si sofferma approfonditamente nell'analisi delle videoriprese, tali da rivelare la posizione sicuramente eretta che imputato e vittima assumevano allorche' il primo estrasse il coltello e colpi' al torace il suo antagonista, e in cui si richiamano gli esiti autoptici, in grado di ricondurre, senza ombra di dubbio, la lesione al cuore alla coltellata come sopra inferta. La sentenza impugnata giustifica, dunque, in modo perfettamente razionale la superfluita' dell'esperimento giudiziale e della perizia, essendo il momento dell'accoltellamento scolpito da prova documentale, cosi' come la superfluita' della visione di radiogrammi cardiaci supplementari a fronte dell'osservazione diretta del muscolo cardiaco, avutasi in sede necroscopica. Si aggiunga che l'esperimento giudiziale, per come richiesto, non appariva affatto risolutivo, dal momento che esso non poteva colmare le lacune dedotte sulla fase in cui sarebbe avvenuto il ferimento della vittima, ne' dimostrare l'assenza dell'arma letale. Quanto alla perizia balistico-antropometrica, le pretese difformita' rispetto all'originale della videoregistrazione sono genericamente dedotte e non vengono illustrati, in ricorso, i denunciati aspetti di divergenza o le alterazioni dipendenti dall'asserita manipolazione della catena di custodia. 4. Il quinto motivo e' infondato. La L. 18 marzo 2008, n. 48, ha introdotto, in tema di operazioni tecniche da eseguire nel processo, relative a sistemi informatici e telematici, l'obbligo di adottare modalita' acquisitive idonee a garantire la conformita' dei dati riprodotti rispetto a quelli originali, e sul rispetto di un tale obbligo il giudice deve vigilare in sede di valutazione della prova. Il mancato formale rispetto dei protocolli non e' tuttavia, di per se', sanzionato con l'inutilizzabilita' della prova stessa. Quel che conta e' che, all'esito del riscontro giudiziale, non constino alterazioni dei file originali e non si possa dubitare della corrispondenza a questi ultimi delle informazioni estratte (da ultimo, Sez. 1, n. 38909 del 10/06/2021, Marziano, Rv. 282072-01). Il ricorrente non introduce alcun elemento concreto che faccia ritenere l'avvenuta compromissione del filmato e della sua genuinita', o che alimenti il dubbio di mancata corrispondenza all'originale dei dati visionati, sicche' - anche a fronte delle assicurazioni fornite sul punto dal giudice di appello - la censura pecca di astrattezza. Quanto all'interpretazione del filmato, che non risulta dunque manomesso, ne' geneticamente, ne' in sede di ulteriore elaborazione peritale, trattasi di valutazione di merito, cui la sentenza impugnata attende in modo scevro da illogicita' di sorta, sicche' il relativo esito non e' sindacabile in sede di legittimita'. E' fuor di luogo parlare, in proposito, di travisamento della prova, che sussiste solo nel caso in cui la decisione sia basata su prova inesistente o sulla negazione di una prova evidente, ovvero quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di altrettanto evidente incontestabilita' (tra le molte, Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo, Rv. 274478-01). Tali evenienze sono da escludere. La sentenza impugnata richiama l'accertamento peritale, cui aderisce ragionatamente e convintamente, da cui si evince come, all'esito della colluttazione e mentre gli antagonisti si fronteggiavano in piedi l'uno di fronte all'altro, vi fosse, all'altezza della mano destra dell'imputato, un riflesso luminoso, non dipendente dall'amplificazione di segnale tecnicamente indotta, ne' da una perdita di dati, e viceversa correlato all'impatto della luce su una superficie metallica. L'estrazione della lama in questo momento dell'azione appare congruente, del resto, con le sequenze precedenti la comparsa del luccichio, in cui si osserva (OMISSIS) indietreggiare e allargare le braccia, come a difendersi da un pericolo imminente e da schivare; pericolo non producibile che dalla presenza di uno strumento offensivo, e non certo da un anello o dalla fibbia di un giubbotto. Non e' inutile ricordare - a riprova della linearita' della valutazione probatoria e dell'inesistente travisamento - che (OMISSIS) agi' pacificamente armato di coltello, che infatti fu rinvenuto sulla sua automobile, sporco del sangue della vittima, sul cui cadavere vennero parallelamente refertate ferite perfettamente compatibili con la ricostruzione teste' recepita. 5. Il sesto motivo e' propriamente inammissibile, perche' le contestazioni in merito alla dinamica lesiva, corrispondente all'azione di accoltellamento, urtano frontalmente con il merito dell'accertamento probatorio, insindacabile in sede di legittimita' se, come nella specie, convenientemente argomentato. Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso non rientrano infatti, salvo il controllo sulla congruita' e logicita' del ragionamento giudiziale, quelle relative alla valutazione delle prove, tali da implicare, in particolar modo, indagini sulla bonta' delle deposizioni o delle relazioni tecnico-peritali, la soluzione di contrasti in materia ovvero la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01; Sez. 4, n. 8090 del 25/05/1981, Amoruso, Rv. 150282-01), che a questa Corte non competono. Premesso cio', l'autopsia ha accertato, come risulta dalla sentenza impugnata, che la punta dell'arma bianca entro' a contatto del muscolo cardiaco e ha escluso incidenti profili di colpa medica nell'eziologia del decesso. L'autopsia e' stata svolta, come sottolineato dalla Corte distrettuale, da affermati professionisti (un medico legale, un anatomo-patologo e un cardiochirurgo), che, dotati delle necessarie competenze e sulla base di validate procedure, hanno stabilito che la ferita cardiaca sopra descritta cagiono' un emopericardio, all'origine di una prolungata insufficienza circolatoria sistemica e di shock cardiogeno da tamponamento cardiaco; da qui la successiva sindrome ipossico/ischemica cerebrale dall'esito letale. Su quest'ultimo non influirono, dunque, ritardi od omissioni terapeutiche di alcun tipo, e men che meno la morte puo' essere ricondotta agli effetti di una pericardiocentesi mal eseguita; tale ultima circostanza e' stata dal consulente tecnico (OMISSIS) recisamente esclusa. Il giudice territoriale ha ragionatamente aderito a siffatte conclusioni, dopo aver saggiato il rigore scientifico dell'indagine e l'accuratezza dell'operato peritale. L'esito valutativo non si presta ad essere ridiscusso in questa sede, sulla base dei principi di diritto in premessa enunciati. Le obiezioni difensive, che individuano la probabile causa di morte nella mal eseguita pericardiocentesi, oltre a non considerare quanto evidenziato in sentenza sulla scorta delle verifiche condotte dal predetto consulente (OMISSIS), prospettano ipotesi incerte, non riscontrate, congetturali, mentre il richiamo fatto alle dichiarazioni dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS) e' privo di autosufficienza. Ne' giova alla tesi difensiva richiamare il referto della TAC eseguita presso l'ospedale di (OMISSIS) alle ore 20:09 del (OMISSIS), posto che, per deduzione contenuta in ricorso, detto accertamento aveva gia' rivelato un versamento pericardico di 0,8 mm, che solo assertivamente e' considerato ininfluente, mentre esso avvalora la tesi accusatoria di una lesione prodotta dall'azione dell'imputato. 6. Il settimo motivo e' infondato, perche' la contestazione del rapporto di causalita', in esso sviluppata, muove da una premessa in diritto errata. Si e' detto che la sentenza impugnata ha ineccepibilmente escluso la ricorrenza del fattore concorrente, causalmente efficiente, rappresentato da cure sanitarie inappropriate o male eseguite e, quindi, dall'ipotizzata colpa medica. Anche a ragionare diversamente, tuttavia, non puo' ignorarsi che, sulla base di giurisprudenza di legittimita' assolutamente consolidata (Sez. 5, n. 45241 del 19/10/2021, D'Onofrio, Rv. 282285-01; Sez. 5, n. 29075 del 23/05/2012, Barbagallo, Rv. 253316-01; Sez. 4, n. 9967 del 18/01/2010, Otelli, Rv. 24679701), in caso di azione lesiva seguita dal decesso della vittima, l'eventuale negligenza o imperizia dei curanti, ancorche' di elevata gravita', non avrebbe eliso, di per se', il nesso eziologico tra la condotta e l'evento morte, in quanto l'intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell'esclusione del nesso di causalita' occorre una sopravvenienza del tutto eccezionale, abnorme, da sola determinante l'esito infausto. Piu' in generale, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalita' sono solo quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell'agente, ovvero quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalita', collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilita' (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Zantonello, Rv. 27184601), come non avviene allorche' la morte sia accelerata, favorita o anche solo non impedita da inadeguati interventi terapeutici, che rientrano nell'ordine degli accadimenti prevedibili e verificabili. Nessun appunto puo' dunque muoversi ai giudici di merito, che hanno ritenuto l'evento morte causalmente collegato alla condotta dell'imputato e, sulla base di tale piano rilievo, data anche la pregnanza degli elementi disponibili e l'irrilevanza di quelli dedotti dal ricorrente, hanno escluso la necessita' di ulteriori approfondimenti. Ne' il ricorso, in definitiva, contesta, o contrasta, il corretto ragionamento giuridico condotto dai giudici di merito sull'eventuale concorso di fattori causali. 7. L'ottavo motivo e' infondato. Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede, come noto, nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volonta' dell'agente e' diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volonta' dell'agente e' costituita dall'animus necandi, ossia dal dolo nelle sue gradazioni di dolo intenzionale, diretto o eventuale; il suo accertamento e' rimesso alla valutazione di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalita' della condotta (Sez. 5, n. 11946 del 09/01/2020, Caciula, Rv. 278932-01; Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, Cutrufello, Rv. 259014-01; Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011, S., Rv. 250935-01), quali i mezzi usati, la direzione e l'intensita' dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che abbiano favorito l'agire cruento (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, Marin, Rv. 237177-01). L'elemento psicologico del dolo e' stato, nella specie, ricavato esattamente dalle modalita' esecutive dell'azione. (OMISSIS), come sottolineato dalla sentenza impugnata, dopo aver colpito la vittima alle spalle con un corpo contundente (o a mani nude, secondo la versione dell'imputato) e all'esito della conseguente colluttazione, ha estratto il coltello allorche' il suo avversario si era rialzato e ha sferrato ripetuti fendenti all'altezza del torace. Egli ha agito di sorpresa, ha adoperato un'arma altamente offensiva, ha impresso forza ai colpi tale da indurre le penetranti ferite refertate, li ha replicatamente diretti verso zona vitali dell'altrui corpo. Da tali elementi, ragionevolmente valutati, la sentenza impugnata ha logicamente ricavato il convincimento che l'imputato avesse la volonta' di sopraffare la vittima anche a costo di cagionare la morte; evento che lo svolgimento dell'azione rendeva altamente probabile e poteva dirsi dall'agente concretamente previsto e accettato. Ne' l'inquadramento della volonta' colpevole al di fuori della prospettiva dolosa puo' basarsi, in chiave retrospettiva, sul rilievo del comportamento susseguente al fatto, dato che, come esattamente rilevato, (OMISSIS) simulo', piu' che attuo', un'azione effettiva di soccorso, abbandonando subito la vittima nelle mani di persona sconosciuta appena sopraggiunta e piuttosto dedicandosi alla cancellazione delle tracce del reato, per poi darsi a precipitosa fuga. 8. Il nono motivo e' infondato, in stretta correlazione con la ricostruzione degli accadimenti operata dalla Corte territoriale, alla stregua di una selezione e valutazione del compendio probatorio passata indenne al presente vaglio di legittimita' in quanto esauriente e logicamente adeguata. In base a tale ricostruzione, non ulteriormente censurabile, il quadro di legittima difesa non e' configurabile. L'accoltellamento avvenne quando l'imputato e la vittima erano in posizione eretta, e non a terra, senza che, in quel momento, fosse in atto alcuna offesa ingiusta ai suoi danni, che dovesse essere respinta. Inoltre, l'imputato aveva gia' per primo colpito la vittima alla tempia, come riscontrato dal filmato, dimostrando un atteggiamento correttamente apprezzato come aggressivo e non difensivo. La conclusione e' avvalorata tanto dalla mancanza, sul corpo dell'imputato, di alcun segno postumo, tangibile, di patita aggressione, che una pressione, forte al punto da indurre apnea respiratoria, avrebbe ragionevolmente lasciato; quanto dal tentativo, da lui messo in atto, di sottrarre il filmato della videocamera, che in caso di azione realmente difensiva avrebbe rappresentato il mezzo migliore per discolparsi. A tali evidenti rilievi, sviluppati dalla sentenza impugnata, il ricorrente oppone obiezioni dal sapore reiterativo, in nessun modo convincenti. Si tenga comunque presente che, per pacifico indirizzo (Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, Fantini, Rv. 273861-01; Sez. 1, n. 56330 del 13/09/2017, La Gioiosa, Rv. 272036-01; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256016-01), non sarebbe stata invocabile la scriminante della legittima difesa da parte di chi avesse reagito ad una situazione di pericolo da lui volontariamente determinata. La determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilita' della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell'ingiustizia dell'offesa, ma per difetto del requisito della necessita' della difesa, sicche' l'esimente non e' applicabile a chi agisca nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui innescata. Ed e' innegabile che ad innescare l'aggressione, prodromo della colluttazione in seno alla quale l'esigenza di reazione difensiva sarebbe in tesi insorta, non sia stato altri che l'attuale imputato. Quanto all'eccesso colposo, l'assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa - in specie della necessita' di contrastare o rimuovere il pericolo attuale di offesa mediante una reazione proporzionata e adeguata, assenza che e' stata in realta' rilevata in sede di merito - impedisce di ravvisare gli estremi dell'istituto, che si caratterizza per l'erronea valutazione di detto pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati (da ultimo, Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico, Rv. 279344-02). 9. Inammissibile risulta, infine, il decimo motivo. In materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899-01). Al riguardo la sentenza impugnata inappuntabilmente argomenta, mediante puntuale richiamo a specifici indici ostativi, oggettivi e soggettivi, rappresentati dalla gravita' della condotta (proditoria aggressione, a mano armata, ai danni di vittima inerme) e dall'elevato grado di pericolosita' sociale da essa stessa riflesso, anche indipendentemente dall'esistenza del precedente penale specifico (che peraltro il ricorrente, nella sostanza, non disconosce). La sentenza impugnata ragionatamente confuta la deduzione, ripresa dal motivo, di avere l'imputato serbato un comportamento processuale collaborativo, e il profilo, di puro fatto, non puo' essere in questa sede ridiscusso. In ordine al trattamento sanzionatorio, la sentenza stessa si e' attestata al limite superiore della forbice edittale ma ha dato puntuale conto, come in tali casi necessario (tra le molte, Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153-01), dei criteri di commisurazione di cui all'articolo 133 c.p., richiamando i medesimi indici di cui sopra (come ben possibile: Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378-01), nonche' aspetti ulteriori, discrezionalmente (e quindi insindacabilmente) apprezzati, idonei a giustificare la decisione, rappresentati dall'efferatezza e spregiudicatezza dell'agire criminoso e l'assenza di resipiscenza. 10. Il ricorso deve essere integralmente respinto, alla stregua delle considerazioni che precedono. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere Dott. SESSA Gennaro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 19/10/2021 del Tribunale di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale GARGIULO Raffaele, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 19 ottobre 2021, il Tribunale di Bologna, adito ai sensi dell'articolo 310 c.p.p., ha confermato l'ordinanza del Gip del medesimo Tribunale del 30 settembre 2021, che aveva rigettato l'istanza difensiva ai sensi dell'articolo 299 c.p.p., di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, eventualmente corredati dal presidio di controllo elettronico a distanza di cui all'articolo 275-bis c.p.p., in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 e articolo 99 c.p., comma 4. Il Tribunale ha, in particolare, ritenuto che le esigenze cautelari di cui all'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), possano essere contenute solo attraverso la misura della custodia in carcere, tenendo conto dei plurimi precedenti definitivi, per reati contro il patrimonio e in materia di stupefacenti, anche recentissimi e commessi sotto diversi alias, in conseguenza dei quali ha gia' subito misure cautelari e periodi di detenzione, oltre che per l'insofferenza ai controlli delle forze dell'ordine. Inoltre, l'efficacia della misura degli arresti domiciliari viene esclusa in quanto l'imputato ricorre alla commissione di reati anche al fine di procurarsi i mezzi per il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita, non avendo fonti di reddito lecito. 2. Avverso l'ordinanza l'interessato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli articoli 275 e 275-bis c.p.p. e il connesso vizio di motivazione. Si sostiene che nell'ordinanza impugnata si confondono "i tre diversi e successivi piani di apprezzamento" nell'iter applicativo della misura: quello dei gravi indizi, quello della sussistenza delle esigenze cautelari e quello dell'adeguatezza e proporzionalita' nella scelta della misura stessa, mentre nell'istanza di sostituzione era stato contestato esclusivamente quest'ultimo aspetto. Si lamenta che il Tribunale avrebbe richiamato il pericolo di fuga, senza addurre profili di novita' rispetto a quelli valorizzati dal Gip, ma ravvisando specifici elementi a sostegno di una ritenuta probabilita', anche per l'abilita' tecnica dell'indagato, di manomissione del presidio del braccialetto elettronico, tali da determinare l'inidoneita' della misura custodiale domestica. La motivazione circa il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole sarebbe, inoltre, carente o illogica, in quanto solo un ruolo apicale di organizzatore o di venditore/acquirente nella catena di spaccio renderebbe inidonea la misura degli arresti domiciliari, mentre il ricorrente sarebbe un semplice gregario, trasportatore della sostanza stupefacente. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' inammissibile, perche' basato sulla mera reiterazione di doglianze gia' formulate in appello e motivatamente disattese dal Tribunale. Anche a prescindere da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che la censura sull'adeguatezza della misura in concreto applicata e' manifestamente infondata, posto che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimita', la suddetta puo' essere ritenuta quando la gravita' del fatto, le motivazioni di esso e la pericolosita' dell'indagato depongano nel senso della propensione all'inosservanza delle prescrizioni, soprattutto nei casi in cui e' apparso evidente il protrarsi di una condotta svolta con stabilita' e professionalita' (ex plurimis, Sez. 2, n. 27272 del 15/05/2019, Rv. 275786; Sez. 5, n. 45843 del 14/06/2018, Rv. 274133). Infatti, in tema di misure cautelari personali, il giudice, investito della richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva, e' chiamato a valutare l'adeguatezza di quest'ultima rispetto alle esigenze di prevenzione di cui all'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), anche in relazione alla prognosi di spontaneo adempimento degli obblighi e delle prescrizioni eventualmente ad essa collegati, avendo particolare riguardo alla pericolosita' sociale dell'indagato. Questa e' desunta - nel caso di specie - dalle modalita' del fatto e dalla personalita' del ricorrente, che e' connotata dall'assenza di regolare attivita' lavorativa e da plurimi precedenti penali, per reati contro il patrimonio e in materia di stupefacenti anche recentissimi e commessi con l'uso di alias" oltre che per l'insofferenza ai controlli delle forze dell'ordine, come emerge peraltro dal tentativo di fuga, realizzatosi attraverso il tamponamento dell'auto della polizia, in occasione dell'arresto. Alla stregua di tale valutazione, l'ordinanza correttamente evidenzia l'inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, in quanto il contesto nel quale il prevenuto vivrebbe da solo e privo di mezzi di mantenimento non neutralizzerebbe il pericolo reiterativo, anche in presenza di controlli rafforzati ex articolo 275-bis c.p.p., data anche la necessita' di autorizzare contatti con persone deputate all'assistenza, necessariamente estranee, non avendo l'indagato concreti riferimenti familiari. Quanto all'ulteriore pericolo del profilo del pericolo di fuga - correttamente valorizzato dal Tribunale in senso preclusivo - va ribadita l'esegesi dell'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b), compiuta, dopo l'interpolazione operata dalla L. n. 47 del 2015, con l'aggiunta del requisito della "attualita'" accanto a quello della concretezza: il requisito anzidetto non comporta necessariamente l'esistenza di condotte materiali del soggetto agente, che disvelino l'inizio dell'allontanamento dello stesso o siano comunque espressione di fatti prodromici all'allontanamento medesimo, essendo sufficiente accertare, sulla scorta di un giudizio prognostico verificabile - perche' tratto dalla concreta situazione di vita del soggetto, dalle sue frequentazioni, dai precedenti a suo carico ed anche dalle pendenze giudiziarie e, piu' in generale, da elementi in atti, che siano vicini nel tempo - l'esistenza di un effettivo e ragionevolmente prossimo pericolo di fuga, tale da richiedere un tempestivo intervento cautelare (ex plurimis, Sez. 6, n. 48103 del 27/09/2018, Rv. 274220; Sez. 5, n. 7270 del 06/07/2015, dep. 2016, Rv. 267135). Del tutto coerentemente con tali principi, il provvedimento impugnato ha ritenuto che ogni soluzione alternativa alla detenzione carceraria non avrebbe ragionevolmente impedito la reiterazione dell'illecito, alla stregua della condotta fin qui mantenuta dal ricorrente, gravato da plurimi precedenti penali, e datosi alla fuga al momento dell'arresto; cosicche' devono essere ritenuti impraticabili gli arresti domiciliari, anche col braccialetto elettronico, proprio per la possibilita' dell'indagato di disattivare il presidio e far perdere le proprie tracce, come confermato dal frequente utilizzo di alias per eludere i controlli. 4. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FRASCA Raffaele - Presidente Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 37578/2019 R.G. proposto da: (OMISSIS), in proprio e nella qualita' di procuratore speciale di (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avv. (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall'Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS) presso lo studio dell'Avv. (OMISSIS); - controricorrente- nonche' contro U.C.I. Soc. Cons. a r.I., Ufficio Centrale Italiano di Assistenza Assicurativa Automobilisti in Circolazione Internazionale, rappresentate e difesa dall'Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS); - controricorrente- e nei confronti di: (OMISSIS), (OMISSIS); - intimati - avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova n. 629/2019 depositata l'8 maggio 2019; Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 aprile 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello; udito l'Avvocato (OMISSIS); udito l'Avvocato (OMISSIS), per delega; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Vitiello Mauro, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate e chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile. FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS), in proprio e quale procuratore speciale della moglie (OMISSIS), convenne in giudizio, nel 2010, avanti il Tribunale di Imperia, (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.a. (ora (OMISSIS) S.p.a.) nonche' U.C.I. Ufficio Centrale Italiano, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti, da lui e dalla sua rappresentata, a seguito di sinistro occorso il (OMISSIS), nella galleria autostradale (OMISSIS), nel quale (OMISSIS) riporto' gravissime lesioni personali. 2. Il Tribunale di Imperia attribui' la responsabilita' dell'incidente: a) nella misura del 40% a (OMISSIS), conducente dell'auto di proprieta' del (OMISSIS), che aveva urtato contro il margine sinistro della galleria versando e spandendo olio sulla carreggiata ed innescando un tamponamento multiplo a catena delle autovetture che lo seguivano; b) nella misura del 60% a (OMISSIS) che, sopraggiunto per ultimo, aveva investito (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, giunti poco prima sul luogo del tamponamento, erano appena scesi dalla autovettura su cui viaggiavano nel tentativo di mettersi in salvo. Sulla base pertanto della espletata c.t.u., che aveva accertato per la (OMISSIS) una invalidita' permanente nella misura del 90%, il tribunale condanno' il (OMISSIS), in solido con (OMISSIS), ed (OMISSIS), in solido con l'Ufficio Centrale Italiano, nella proporzione delle rispettive responsabilita' al risarcimento: a) del danno subito dalla (OMISSIS), liquidato applicando all'importo risultante dalle tabelle del Tribunale di Milano una percentuale in aumento del 15% a titolo di personalizzazione; b) del danno da lesione del rapporto parentale subito dal (OMISSIS), liquidato in Euro 100.000. 3. In parziale accoglimento del gravame interposto dal (OMISSIS), in proprio e nella predetta qualita', la Corte d'appello di Genova: - ha aumentato il risarcimento spettante alla (OMISSIS), riconoscendo il diritto ad una maggiore personalizzazione del danno nella percentuale del 20% e liquidando, dunque, il complessivo importo spettante in Euro 1.028.600, calcolato sulla base del valore del punto di invalidita' indicato dalle tabelle milanesi del 2018; - ha aumentato altresi' l'importo del risarcimento spettante al (OMISSIS), per il danno da lesione del rapporto parentale, liquidandolo nel complessivo importo di Euro 150.000. 4. Avverso tale sentenza (OMISSIS), in proprio e nella detta qualita', propone ricorso per cassazione con tre mezzi, cui resistono (OMISSIS) S.p.a. e U.C.I., Ufficio Centrale Italiano, depositando controricorsi. Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede. In vista dell'odierna udienza pubblica, il ricorrente ha depositato istanza di discussione orale Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176. La controricorrente (OMISSIS) S.p.a. ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, e con riferimento alla posizione di (OMISSIS), "insufficiente e/o inesatta e/o contraddittoria e/o omessa motivazione su un punto decisivo con riferimento agli articoli 2043 e 2056 c.c. ed articolo 138 cod. ass. per omessa e/o falsa e/o errata valutazione voci di danno biologico e per omessa e/o falsa e/o errata motivazione personalizzazione danno non patrimoniale; violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all'articolo 2059 c.c., per omessa e/o falsa e/o errata valutazione danni morali" (cosi' testualmente nell'intestazione). Lamenta che la corte d'appello, pur riconoscendo i presupposti per una personalizzazione del danno superiore a quella riconosciuta dal tribunale (pari al 15%), ha contenuto tale aumento nella limitata misura del 5%, senza fornire di cio' una adeguata ed approfondita motivazione; in particolare, pur tenendo conto dell'eta' della vittima e della eccezionale gravita' delle lesioni e della immobilizzazione che ne era conseguita, incidente su di una "persona ancora giovane e professionalmente attiva che trovavasi nel pieno della vita e dell'eta' lavorativa", ha pero' omesso "la specifica valutazione del danno morale, del danno psichico e di alcuni specifici danni, subiti dalla donna, e che contribuiscono a "comporre" il danno non patrimoniale, quali, ad esempio, il danno estetico ed il danno alla vita sessuale ed alla fertilita'". Rammentata la gravita' dell'incidente e delle lesioni subite, il lungo percorso ospedaliero, le molteplici conseguenze invalidanti radicalmente compromettenti ogni aspetto della vita quotidiana e relazionale della vittima (v. ricorso pagg. 17 - 18) ed i gravi riflessi sulla salute psichica e sulla sua vita sessuale, lamenta che la Corte d'appello "non ha attribuito a tali circostanze alcun significativo rilievo, ne' dal punto di vista argomentativo ne' sotto l'aspetto della personalizzazione", incorrendo altresi' in "contraddittorieta' e carenza motivazionale" per avere da un lato ritenuto le lesioni di "eccezionale gravita'", dall'altro pero' disposto un aumento della percentuale di personalizzazione del danno, nella misura, solamente, del 5% (passando, quindi dal 15% al 20%). Lamenta inoltre l'omessa considerazione del danno morale, il quale - afferma L- non puo' essere incluso nel calcolo tabellare del danno biologico ma deve essere liquidato a parte, dovendo ritenersi assolutamente errato un processo di "sovrapposizione tra "personalizzazione" della liquidazione del pregiudizio non patrimoniale e danno "morale", cosi' come compiuta dalla Corte genovese". 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto... con riferimento agli articoli 2043, 2056 c.c. ed all'articolo 138 cod. ass.... per mancata ammissione di c.t.u. per accertamento del danno subito e subendo dal sig. (OMISSIS)" (questa la rubrica). Rileva che, nel corso dei processi di primo e secondo grado, in piu' occasioni era stato segnalato come anche il (OMISSIS), a seguito dell'evento occorso alla moglie, avesse accusato patologie e sofferenze che avrebbero necessitato particolare approfondimento; in particolare era stata depositata, nel giudizio di primo grado, una perizia medico legale dalla quale emergeva che, gia' nell'anno 2006, le menomazioni psicofisiche riportate dalla donna avrebbero determinato nel (OMISSIS) "lo sviluppo di sintomi emotivi (di ansia e depressione) e comportamentali che si manifestano soprattutto in un marcato disagio nell'interazione con la moglie malata e compromettono significativamente sia il suo funzionamento sociale che lavorativo". Lamenta quindi che, a fronte di tali allegazioni, entrambi i giudici di merito hanno omesso di disporre la necessaria c.t.u., sebbene reiteratamente richiesta, opponendo al riguardo un rifiuto immotivato, frutto di confusione tra danno biologico e danno parentale. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, "insufficiente e/o inesatta e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto... con riferimento agli articolo 2043, 2056 ed all'articolo 138 cod. ass.... per omessa motivazione personalizzazione danno non patrimoniale". Deduce che il percorso motivazionale seguito dalla corte genovese al fine di giustificare l'entita' della somma liquidata al (OMISSIS) in via equitativa a titolo di danno riflesso/parentale, sulla base delle tabelle milanesi, risulta assolutamente scarno, sterile, inadeguato. Osserva che se e' vero che, secondo le tabelle milanesi, il tetto massimo di risarcimento per la morte di un coniuge e' di circa 330.000 Euro, non si comprendono le misteriose motivazioni in forza delle quali al (OMISSIS) sia stata liquidata una somma inferiore alla meta' (nonostante la moglie abbia subito un'invalidita' pari al 90%). 4. Il primo motivo prospetta due distinte censure: la prima diretta a contestare la misura della personalizzazione del danno subito dalla (OMISSIS), riconosciuta dalla corte territoriale, come detto, bensi' in aumento rispetto a quella gia' operata dal tribunale, ma secondo il ricorrente ancora inadeguata e senza il supporto di idonea motivazione; la seconda diretta invece a lamentare, se ben si comprende, l'omessa liquidazione del danno morale, come conseguenza della sua inclusione nel calcolo tabellare del danno biologico. 4.1. La prima di tali censure - al di la' della indicazione in rubrica di doglianze eterogenee non mirate ad univoco e chiaro obiettivo censorio e peraltro evocate secondo paradigma non piu' previsto, come si dira', tra i vizi cassatori tipizzati - e' inammissibile. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, "in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) puo' essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta' non giustificano alcuna personalizzazione in aumento" (v. ex multis Cass. 07/05/2018, n. 10912; 30/10/2018, n. 27482; 11/11/2019, n. 28988; 10/11/2020, n. 25164; 04/03/2021, n. 5865; 06/05/2021, n. 12046). Sul piano concettuale occorre invero rammentare che il grado di invalidita' permanente indicato da un parere medico legale esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attivita' comuni ad ogni persona; in particolare, le conseguenze possono distinguersi in due gruppi: - quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidita'; - quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime quanto le seconde costituiscono forme di manifestazione del danno non patrimoniale aventi identica natura che vanno tutte considerate in ossequio al principio dell'integralita' del risarcimento, senza, tuttavia, incorrere in duplicazioni computando lo stesso aspetto due o piu' volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno piu' grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta', e' consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (v. Cass. n. 10912 del 2018, cit.). Nel caso di specie la Corte d'appello ha accordato una personalizzazione del danno in aumento, nella misura del 20%, sui valori standard risultanti dall'applicazione delle tabelle, sulla base della seguente testuale motivazione (leggibile a pag. 6 della sentenza): "deve tenersi conto delle particolari sofferenze fisiche e psicologiche patite dal soggetto non liquidando una posta di danno aggiuntiva rispetto al danno biologico, ma personalizzando adeguatamente la liquidazione del danno biologico. La quale - oltre alla sofferenza morale - deve comprendere tutti gli altri effetti pregiudizievoli che derivano dalla compromissione della salute del soggetto, anche quelli relazionali, che si riflettono sulla complessiva qualita' di vita dell'infortunato. Pertanto il motivo e' fondato nella misura in cui puo' riconoscersi alla (OMISSIS) una personalizzazione del danno - superiore a quella riconosciuta dal Tribunale - nella misura percentuale del 20% del valore standard dell'invalidita' permanente, rapportato all'eta' della vittima, in considerazione della eccezionale gravita' delle lesioni riportate dalla (OMISSIS) nell'incidente per cui e' causa e della immobilizzazione che ne e' conseguita, andando ad incidere su di una persona ancora giovane e professionalmente attiva che trovavasi nel pieno della vita e dell'eta' lavorativa, gestendo personalmente e con successo una gelateria tramite una societa' in nome collettivo di cui era socia al 95%". Non puo' non osservarsi che tale motivazione, nel basarsi in ultima analisi sulla considerazione della "eccezionale gravita' delle lesioni", della "immobilizzazione che ne e' conseguita" della loro incidenza "su di una persona ancora giovane e professionalmente attiva che trovavasi nel pieno della vita e dell'eta' lavorativa", oggettivamente non indica circostanze ed elementi diversi da quelli gia' necessariamente valutati nella parametrazione della percentuale invalidante secondo i comuni e piu' accreditati bareme medico-legali e posti a base della liquidazione secondo il sistema tabellare a punto variabile in funzione dell'eta' e del grado di invalidita'; non indica, cioe', conseguenze diverse da quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare (e pur certamente elevatissimo) grado di invalidita'. Posta l'irretrattabilita' in pejus di tale liquidazione, in mancanza di impugnazione incidentale, tale premessa vale pero' a rendere ancor piu' evidente l'inammissibilita' della censura mossa in direzione opposta dal ricorrente, in quanto anch'essa sul punto non supportata dalla indicazione di elementi che, alla luce dei principi sopra richiamati, possano giustificare una ancora maggiore personalizzazione del danno. Al di la' del riferimento al danno morale (sul quale si tornera' appresso nell'esame del secondo sub-motivo) e della rappresentazione del lungo percorso ospedaliero e delle gravissime conseguenze invalidanti, la censura si appunta sulla asserita mancata considerazione dei gravi riflessi sulla salute psichica e sulla sua vita sessuale, i quali in tesi varrebbero a integrare, in considerazione anche della eta' della donna (44 anni), quelle sofferenze peculiari che giustificherebbero un allontanamento in aumento (c.d. personalizzazione) dai valori punto risarcitori standard fissati nelle tabelle in uso. Una tale argomentazione censoria si muove pero' su di un piano diverso da quello che, soltanto, potrebbe condurre a un sindacato sulla personalizzazione del danno. Gli asseriti riflessi sulla vita psichica e sulla attivita' sessuale della vittima non sono infatti conseguenze peculiari e non comuni di una determinata menomazione, ma sono essi stessi menomazioni che devono condurre ad una adeguata ponderazione del danno biologico, gia' nei suoi valori standard secondo la liquidazione tabellare. Pertanto, delle due l'una: o sono stati gia' considerati dal c.t.u. e poi dal tribunale nella determinazione della complessiva percentuale invalidante e poi del danno biologico per cosi' dire base, e in tal caso non si giustifica alcuna personalizzazione, trattandosi di conseguenze comuni e non eccezionali di quella complessiva situazione di invalidita'; o non lo sono stati, ma in tal caso la censura avrebbe dovuto appuntarsi sulla determinazione del grado di invalidita' e, in questa sede, avrebbe ancor prima dovuto allegarsi, nel rispetto degli oneri di specificita', che in tali termini era stata gia' proposta in appello e non esaminata come tale. Per il resto e' appena il caso di rimarcare che il vizio di motivazione e' dedotto, nella intestazione del motivo, secondo il previgente e non piu' ammesso paradigma censorio della "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" e non trova comunque alcun conferente sviluppo nella successiva illustrazione che possa ricondurlo a quello dettato dal vigente testo dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo cui e' censurabile in cassazione solo il vizio di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti". In tale piu' corretta prospettiva non puo' dirsi che vi siano, tra quelli indicati in ricorso, essenzialmente rappresentati, come detto, dalle conseguenze delle gravissime lesioni patite dalla (OMISSIS), fatti che non siano stati in se' presi in esame dai giudici di merito, quel che viene contestata essendo invero solo la loro valutazione (il che pone la censura certamente al di fuori del solo vizio motivazionale sindacabile nel giudizio di legittimita'). 4.2. Il secondo sub-motivo e' infondato, anche se la motivazione addotta dalla Corte di merito deve essere corretta, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 4, nei termini che seguono. 4.2.1. Nel pronunciarsi sul motivo di gravame con il quale l'appellante aveva chiesto, oltre ad una maggiore personalizzazione del danno, anche una separata liquidazione del danno morale, la Corte d'appello ha rilevato, con specifico riferimento a quest'ultimo tema e richiamando i noti arresti di Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975, che l'esistenza di un danno morale era bensi' nella specie certamente ravvisabile, "attesa la gravita' del fatto e delle conseguenze che ne sono derivate", e tuttavia "esso non costituisce un'autonoma categoria di danno, autonomamente risarcibile - come sostiene la difesa dell'appellante - ma una componente del danno biologico", discendendone che "l'attribuzione cumulativa del danno biologico e del danno morale non e' praticabile, determinando una ingiustificata duplicazione del risarcimento". Tale affermazione e' certamente errata e costituisce il portato di una lettura delle menzionate pronunce che deve ritenersi superata dalle chiare e univoche contrarie emergenze del diritto positivo. Come ormai definitivamente chiarito, infatti, dalla piu' recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469; 31/01/2019, n. 2788) in tema di risarcimento del danno alla persona: i) sul piano del diritto positivo, l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.); ii) la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso: a. di unitarieta' rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; b. di onnicomprensivita' intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni; iii) nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sul Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209, articoli 138 e 139 (Codice delle assicurazioni private), modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioe', tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di se', della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto); iv) nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. Sez. U. n. 6572 del 2006; Corte Cost. n. 233 del 2003) - il giudice dovra', pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se' stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realta' esterna, con tutto cio' che, in altri termini, costituisce "altro da se'"); v) nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attivita' dinamico relazionali - e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l'articolo 32 Cost.); vi) non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all'articolo 139 cod. ass. "non e' chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'articolo 138 lettera e) cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla Legge di stabilita' del 2016. 4.2.2. Cio' precisato - e ribadito, dunque, a correzione di quanto sul punto affermato nella sentenza impugnata, il principio della autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma "danno morale": a) non e' suscettibile di accertamento medico-legale; b) si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato - deve nondimeno rilevarsi che l'esito decisorio cui anche sul punto e' pervenuta la sentenza di merito si rivela comunque conforme a diritto. La Corte d'appello, infatti, come espressamente affermato in sentenza, ha liquidato il danno da lesione del diritto alla salute della (OMISSIS) facendo applicazione delle "tabelle milanesi aggiornate al 2018" le quali includevano nel valore del punto di invalidita', rapportato in funzione crescente alla gravita' della menomazione (percentuale di invalidita') ed in funzione decrescente all'eta' della persona lesa, una quota riferibile anche al danno morale. Come chiarito da questa Corte (superando precedente difforme orientamento espresso da Cass. 04/02/2020, n. 2461), ferma detta ontologica autonomia del danno morale dal danno biologico, nulla impedisce di operare in tal modo la liquidazione del danno morale, dal momento che la componente dell'importo risarcitorio cosi' calcolato destinato a compensare la sofferenza morale e' il risultato essa stessa di un implicito ragionamento fondato sull'attendibile criterio logico-presuntivo della "corrispondenza, su di una base di proporzionalita' diretta, della gravita' della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto piu' grave, difatti, sara' la lesione della salute, tanto piu' il ragionamento inferenziale consentira' di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa" (cosi', in motivazione, Cass. 10/11/2020, n. 25164). Mette conto al riguardo rimarcare che: - l'importo di Euro 857.167, su cui poi in sentenza e' applicata in via di personalizzazione la percentuale in aumento del 20% (pag. 6, quartultimo rigo) costituisce, nelle richiamate tabelle, il risultato della seguente operazione aritmetica ("pdnp" x 90 (punti di invalidita' permanente) x 0,785 (demoltiplicatore relativo all'eta' della vittima al momento dell'evento dannoso: 44 anni)) dove il valore "pdnp" e' rappresentato non dal punto del danno biologico ("pdb") riferito ad una invalidita' del 90% (indicato nella tabella in Euro 8.088,39) ma dal punto c.d. danno non patrimoniale, ossia da un valore-punto "appesantito" dalla applicazione sul detto punto base biologico di una percentuale in aumento del 50% diretta per l'appunto a ricomprendere nel complessivo importo risarcitorio anche il danno morale ("pdnp" = "pdb" + "pdb" x 50%); - la differenza tra i due calcoli e' ben evidente: a) calcolo riferibile al solo danno biologico: "pdb" x 90 x 0,785 = Euro 8.088,39 x 90 x 0,785 = Euro 571.444; b) calcolo riferibile al danno non patrimoniale, comprensivo, oltre al danno biologico, anche del danno morale: "pdnp" x 90 x 0,785 = Euro 8.088,39 x1,5 x 90 x 0,785 = Euro 857.167; - la differenza tra il primo e il secondo prodotto (b-a), pari ad Euro (857.167-571.444=) 285.723, deve quindi ritenersi interamente riferibile al danno morale. 5. Va piuttosto sul punto segnalato che, applicando in via di personalizzazione la percentuale di aumento del 20% sull'intero importo di Euro 857.167 la Corte d'appello ha finito con il "personalizzare" non solo il danno biologico (divenuto pari ad Euro (571.444 x 1,2 =) 685.732) ma, con esso, anche il danno morale (divenuto pari ad Euro (285.723 x 1,2 =) 342.868). Cio' rappresenta un errore sul piano concettuale prima che su quello giuridico, come piu' volte questa Corte ha avuto modo di precisare (v. Cass. 11/11/2019, n. 28988; 04/02/2020, n. 2461; 04/11/2020, n. 24473; n. 25164 del 2020). 5.1. Sotto il primo profilo, invero, non puo' non convenirsi che un problema di "personalizzazione" del danno si pone solo ove si muova da un importo standard del danno (quale quello determinato secondo il sistema tabellare per il danno biologico, quale danno dinamico-relazionale). Solo in tal caso, in presenza come detto di situazioni particolari ed eccezionali, che non possano presumersi gia' considerate nell'importo standard, si pone il problema di un aumento personalizzante dell'importo risarcitorio che possa consentire una adeguata compensazione del danno nella sua effettiva consistenza fenomenologica, nel rispetto del principio di integralita' del risarcimento (articolo 1223 c.c.). Non invece quando il danno non sia suscettibile di liquidazione standardizzata, come appunto accade per il danno morale considerata la sua natura eminentemente soggettiva e oggettivamente non misurabile. 5.2. Sul piano prettamente giuridico occorre poi considerare che la personalizzazione del danno e' specificamente disciplinata in via normativa dall'articolo 138, comma 3, nuovo testo, cod. ass. con chiaro ed esclusivo riferimento al danno biologico ("qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale (...), puo' essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%", previsione da correlare a quella di cui al comma 2, lettera a) che definisce il danno biologico come "la lesione temporanea o permanente all'integrita' psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attivita' quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacita' di produrre reddito) e non con riferimento al danno morale (cui e' dedicata una ben distinta sottoarticolazione del precedente comma 2 (lettera e): "al fine di considerare la componente morale da lesione dell'integrita' fisica, la quota corrispondente al danno biologico (...) e' incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione"). Sulla scorta di tali premesse questa Corte ha individuato - e va qui ribadito - come corretto il seguente modus procedendi (v. Cass. n. 25164 del 2020, in motivazione, § 3.1.3): "nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovra': i) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; ii) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando (in attesa della approvazione ed emanazione della tabella unica nazionale, n.d.r.) integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (non correttamente, per quanto si dira' nel successivo punto 3) all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); iii) in caso di accertamento negativo, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso...), considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale; iv) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al gia' ricordato articolo 138, punto 3, del novellato cod. ass.". 5.3. Anche in tal caso il superiore rilievo - posta l'irrettrattabilita' in pejus, anche sul punto, della sentenza di merito in mancanza di ricorso incidentale - vale solo a rimarcare, alla stregua di argomento a fortiori, l'infondatezza della doglianza con cui il ricorrente lamenta l'omessa ponderazione del danno morale. 6. Il secondo motivo e' inammissibile. 6.1. L'esistenza di un danno psichico a carico del (OMISSIS) costituisce questione nuova che non risulta trattata in sentenza. Occorre al riguardo rammentare che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, e' onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilita' per novita' della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificita' del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicita' di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 15430 del 2018; n. 31227 del 2019). Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformita' della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicche' sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimita' (tra le molte, Cass. n. 15196 del 2018). Nella sentenza impugnata non risulta che sia stata dedotta, ne' comunque esaminata, nel giudizio di merito, la questione suddetta. Secondo quanto pacifico in causa, invero, la sentenza di primo grado riconobbe al (OMISSIS) solo il diritto al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, non anche di un danno da lesione del diritto alla salute (danno psichico). Cio' avrebbe richiesto la proposizione di uno specifico motivo d'appello: a) o per omessa pronuncia (sempre che una specifica domanda in tal senso fosse stata tempestivamente proposta in primo grado); b) o per dedurre l'erroneita' della motivazione (esplicitamente o implicitamente) enunciata nella sentenza di primo grado a fondamento del rigetto (esplicito o implicito) della domanda medesima. Nulla di tutto questo risulta dedotto, emergendo piuttosto, dalla sommaria esposizione del fatto contenuta in ricorso, che nelle conclusioni il (OMISSIS) insistette per una maggiore liquidazione del "danno riflesso" e che la richiesta di c.t.u. medico legale in appello fu disattesa, con ordinanza collegiale del 7 maggio 2017, proprio sul rilievo che "il danno cd. riflesso - per il suo contenuto incidente sulla vita del soggetto e sul rapporto coniugale - puo' essere liquidato equitativamente dal giudice non essendo necessario per la sua liquidazione disporre la c.t.u. richiesta dalla difesa dell'appellante". 6.2. Il motivo risulta comunque anche inosservante dell'onere di specifica indicazione del documento che ne e' richiamato a fondamento (perizia medico-legale di parte), in violazione dell'articolo 366 c.p.c., n. 6. Il ricorrente omette invero di riportare il contenuto di detta perizia e di localizzarlo nel fascicolo del presente procedimento, cosi' come omette di precisare dove, come e quando e' stata avanzata la richiesta istruttoria. E' invece, come noto, necessario che si provveda, oltre che alla specifica indicazione del contenuto dell'atto o documento richiamato, anche alla sua precisa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimita' (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. gia', con riferimento al regime processuale anteriore al Decreto Legislativo n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701, in motivazione, e, da ultimo, Cass. Sez. U 23/09/2019, n. 23553). D'altro canto, ferma l'esizialita' della carenza di adempimento dell'onere riproduttivo del contenuto dell'atto richiamato a fondamento della censura, mette conto anche rilevare, quanto all'onere di localizzazione in questo giudizio di legittimita', immanente all'articolo 366 c.p.c., n. 6, che il ricorrente nemmeno ha dichiarato come consente Cass. Sez. U. n. 22726 del 2011 - di voler fare riferimento alla presenza dell'atto siccome fondante il motivo nel fascicolo d'ufficio del giudice della sentenza impugnata. 7. Il terzo motivo - sebbene anch'esso caratterizzato dalla pletorica indicazione, in rubrica, di censure eterogenee non mirate ad univoco e chiaro obiettivo censorio e talune anche non riconducibili ad alcuno dei vizi cassatori tipizzati - muove chiaramente nella sostanza (secondo lettura correttiva della chiaramente erronea qualificazione che ne viene data in ricorso e nell'esercizio del potere-dovere che al riguardo e' consentito a questa Corte giusta il principio affermato da Cass. Sez. U 24/07/2013, n. 17931) una censura di omessa o apparente motivazione, la quale deve ritenersi fondata. La liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale e' infatti motivata in sentenza sulla base del mero richiamo delle tabelle milanesi (che pero' indicano solo una ampia forbice tra un importo minimo e uno massimo) e della valutazione, invero tautologica, secondo cui essa "appare adeguata". Tale motivazione non soddisfa il minimo costituzionale richiesto perche' possa dirsi adempiuto il corrispondente obbligo del decidente. Anzitutto per il richiamo alle tabelle milanesi che questa Corte, con recente ma fermo indirizzo, ha ritenuto inadatte a costituire idoneo supporto argomentativo, sul rilievo che in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformita' di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularita' e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'eta' della vittima, l'eta' del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonche' l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilita' di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarita' della situazione, salvo che l'eccezionalita' del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (v. Cass. 21/04/2021, n. 10579; 29/09/2021, n. 26300; 10/11/2021, n. 33005). Piu' in generale, occorre ribadire che la liquidazione equitativa non esonera il giudice dalla necessita' di rendere trasparente il percorso liquidatorio utilizzato, chiarendo la logica, i presupposti, i parametri della quantificazione del danno. Come e' stato piu' volte chiarito, l'articolo 1226 c.c. prefigura "l'equita' giudiziale c.d. integrativa o correttiva e dunque un giudizio di diritto e non di equita'" (fra le tante, da ultimo, Cass. 30/07/2020, n. 16344; 22/02/2018, n. 4310) che, per una parte, risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l'altra, ha natura di clausola generale, cioe' di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso. La liquidazione equitativa, dunque, non puo' trasformarsi in una valutazione arbitraria, perche' il giudice deve compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che abbiano inciso sull'ammontare del pregiudizio, dando conto del peso di ciascuna di esse in modo da esplicitare il percorso logico seguito nel rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralita' della riparazione (Cass. 02/07/2021, n. 18795; Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. 13/10/2017, n. 24070). In definitiva, nella liquidazione equitativa del danno la motivazione non e' solo forma ma anche sostanza; infatti, "la valutazione equitativa, nella sua componente valutativa, si identifica con gli argomenti che il giudice espone" (Cass. n. 33005 del 2021, cit.). 8. In accoglimento, dunque, del terzo motivo la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo il quale dovra' procedere a nuovo esame della fattispecie alla luce del principio su enunciato. Al giudice di rinvio va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Genova, comunque in diversa composizione, cui demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita'.

  • Osserva la Corte d'Appello di Milano, adita in materia di responsabilità civile da circolazione stradale, come la presunzione di pari responsabilità, sancita dall'articolo 2054, II, c.c., abbia carattere sussidiario operando nelle ipotesi in cui non sia possibile stabilire il grado di colpa dei due conducenti dei mezzi coinvolti nel sinistro, ovvero allorché non siano accertabili le cause e le modalità del sinistro. La prova liberatoria per il superamento di tale presunzione non deve necessariamente essere fornita in modo diretto - e cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell'incidente, ovvero dimostrando la conformità del proprio contegno alle regole della circolazione stradale o di comune prudenza - ma può anche risultare indirettamente tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso con il comportamento dell'altro conducente. In particolare, nel tamponamento a catena di autoveicoli in movimento trova applicazione l'articolo 2054, II, c.c. con conseguente presunzione iuris tantum di colpa in eguale misura in entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull' inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nel caso, invece, di scontri successivi tra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile delle conseguenze delle collisioni è il conducente che le abbia determinate tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna. L'articolo 2054 c.c. esprime, poi, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito; con la conseguenza che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3, per far valere quella solidale del proprietario. Non solo. La circolazione ex articolo 2054 c.c. include (anche) la posizione di arresto del veicolo, in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, nonché rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade. (Gi.Ca.)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta Mar - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/07/2019 della CORTE APPELLO di CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BARBARA CALASELICE; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LOCATELLI GIUSEPPE, ha concluso chiedendo l'inammissibilita'. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catania ha parzialmente riformato la condanna, emessa il 11 dicembre 2019, dal Tribunale in sede, nei confronti di (OMISSIS), riducendo la pena irrogata per i capi A (articolo 612-bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 1) e C (articolo 635 c.p., articolo 61 c.p., n. 2) della rubrica, in quella di mesi dieci di reclusione, nonche' rideterminando l'importo dovuto a titolo di provvisionale (ridotto ad Euro cinquecento), con conferma nel resto dell'impugnato provvedimento. 1.1. Il primo giudice aveva condannato l'imputato per i reati di cui ai capi A e C, ritenuta la continuazione, alla pena di anni due di reclusione, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile e riconoscimento di una provvisionale di Euro duemila. 2. Avverso il provvedimento propone ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, denunciando, quattro vizi. 2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza di norme processuali di cui agli articoli 516 e 522 c.p.p. e correlato vizio di motivazione. Il motivo di appello sul punto aveva rilevato che erano stati valutati episodi estranei alla contestazione o oggetto di altro procedimento (del 20 maggio 2017) o mai contemplati, in querela (fatti del 13 gennaio 2018). Cio', senza la modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero. La Corte territoriale ha deciso su tale motivo indicando che gli episodi richiamati sarebbero stati utilizzati dal primo giudice soltanto per la valutazione di attendibilita' della persona offesa dal reato. Invece si rileva che il primo giudice avrebbe esaminato detti episodi, senza distinguere circa la valutazione di attendibilita' della parte lesa e la responsabilita' dell'imputato. In ogni caso, la motivazione, sul punto, sarebbe carente, posto che la Corte territoriale avrebbe omesso di esprimere, al riguardo, la propria valutazione. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge penale, nonche' vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto contestato al capo A. Si evidenzia che, con l'atto di appello, erano stati sottolineati diversi precedenti anche per fatti analoghi, posti in essere dalla persona offesa nei confronti dell'odierno imputato e della sua famiglia, in epoca prossima a quella dei fatti in contestazione, per i quali aveva riportato condanna. Si era evidenziato anche l'indirizzo giurisprudenziale sul caso di comportamenti molesti reciproci (Sez. 5, n, 17698 del 2010), mentre la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare, sul punto, le considerazioni del Tribunale. Cio', senza esercitare alcun vaglio critico con particolare riferimento ad episodi soltanto narrati dalla vittima e rimasti privi di riscontro, come dimostrerebbe l'assenza di contatti tra marito e moglie e la condotta della persona offesa che usciva normalmente a fare la spesa. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento al reato di cui all'articolo 635 c.p., contestato al capo C e correlato vizio di motivazione. Non vi sono elementi per considerare la contestualita' tra la condotta di danneggiamento e la violenza o la condotta minatoria (sez. 5, n. 5534 del 9/02/009). Inoltre non vi sarebbero riscontri alle doglianze, sollevate con l'atto di appello, circa l'assenza di riscontri al narrato della parte lesa e all'assenza di riscontri sulla vettura che si assume danneggiata. 2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in relazione al trattamento sanzionatorio. Non si giustifica il diniego delle circostanze di cui all'articolo 62-bis c.p., ne' la motivazione sarebbe sufficiente in relazione alla richiesta di esclusione delle aggravanti di cui all'articolo 61 c.p., comma 1, n. 2. 3.Il Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza del Decreto Legge 1 aprile 2021, n. 44, articolo 1 con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1.Il primo motivo e' inammissibile in quanto reiterativo di identico motivo di appello, cui la Corte ha risposto con motivazione immune da censure (Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693), comunque, manifestamente infondato stante il tenore della motivazione del provvedimento di primo grado. Questo, infatti, come rilevato dalla Corte d'appello, ha valutato episodi avvenuti in date diverse da quelli oggetto di denuncia, al solo fine di valutare l'attendibilita' della persona offesa, esaminata ai sensi dell'articolo 210 c.p.p. in quanto, a sua volta, imputata in procedimento a parti invertite. 1.1. Il secondo motivo e' infondato. Con riferimento alla configurabilita' del delitto di cui al capo A, in presenza di comportamenti molesti reciproci tra le parti, si osserva che questa Corte di legittimita' ha affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuita', secondo il quale la reciprocita' dei comportamenti molesti non esclude la configurabilita' del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un piu' accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumita' propria o di persone ad essa vicine o della necessita' del mutamento delle abitudini di vita (Sez. 3, n. 45648 del 23/05/2013, U., Rv. 257288; Sez. 5, n. 17698 del 05/02/2010, Marchino, Rv. 247226). Sul punto, specifica risulta la motivazione della Corte territoriale che, nel riprendere quella di primo grado, non si e' limitata al richiamo per relationem del contenuto della sentenza appellata, ma ha valorizzato l'esistenza di plurimi elementi di riscontro, rispetto al narrato della persona offesa, anche con specifico riferimento all'evento del reato, rappresentato nella specie, nel mutamento delle proprie abitudini di vita e nel pericolo per la propria incolumita' e quella dei membri della famiglia. Detti elementi di riscontro sono indicati nella prova dichiarativa proveniente dalla moglie della persona offesa, ma anche da pubblici ufficiali, comunque soggetti terzi rispetto alle reciproche accuse tra le parti, nonche' dalla documentazione attraverso videoripresa, ad opera della coniuge della parte lesa, della condotta di danneggiamento commessa dall'odierno imputato, ai danni del cancello condominiale con ripetute azioni di tamponamento con la propria vettura. 1.2. Il terzo motivo e' inammissibile in quanto reiterativo del motivo di gravame e, comunque, manifestamente infondato, tenuto conto del tenore della motivazione che valorizza l'espletata attivita' violenta (ripetuto investimento del cancello con la propria vettura) cui era seguito il danneggiamento. Sussiste pertanto il reato di danneggiamento secondo la nuova formulazione considerato che il "nuovo" articolo 635 c.p., Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, ex articolo 2, lettera l), e' configurabile anche nella parte in cui punisce il danneggiamento commesso "con violenza alla persona o con minaccia". Tale previsione deve essere interpretata in conformita' con la giurisprudenza prevalente formatasi in relazione alla disciplina previgente, che escludeva la necessita' del nesso di strumentalita' tra la condotta violenta o minacciosa e l'azione di danneggiamento (Sez. 6 n. 16563 del 15/03/2016 Rv. 266996; Sez. 2, n. 1377 del 12/12/2014, Rv. 261824; Sez. 2, n. 7980 del 30/11/2010, Rv. 249811, Sez. 2, n. 49382 del 11/11/2003, Rv. 226996; Sez. 6, n. 76 del 11/10/1989 Rv. 182956; Sez. 2, n. 5560 del 24/03/1986 Rv. 173121) evidenziando, a tale fine, che la ragione dell'aggravante risiedeva nella maggiore pericolosita' manifestata dall'agente nell'esecuzione del reato. 1.3. Il quarto motivo di ricorso e' inammissibile. La Corte territoriale ha motivato succintamente sulle ragioni della ritenuta recidiva. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., poi, sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico. Ne' va taciuta l'esistenza del costante orientamento di questa Corte, secondo cui ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell'eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l'obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalita' del giudice e che, come tale, non postula un'analitica esposizione dei criteri di valutazione (Sez. 7, Ord. n. 11571 del 19/02/2016, N., Rv. 266148; Sez. 2, n. 36265 del 08/07/2010, Barbera, Rv. 248535; Sez. 1, n. 2668 del 9/12/2010, dep. 2011, Falaschi, Rv. 249549). Orbene, a motivazione della Corte territoriale si colloca a pieno titolo nel menzionato alveo giurisprudenziale, in quanto il rigetto della concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, si fonda proprio sui parametri di cui all'articolo 133 c.p., considerato il comportamento dell'imputato, non reputato espressione di resipiscenza e considerata la recidiva; sicche' la decisione sul punto non puo' ritenersi ne' arbitraria, ne' illogica. 2.Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali. 2.1.Si dispone l'oscuramento dei dati sensibili, in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, comma 5, considerati i rapporti tra le parti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BRICCHETTI Renato Giusep - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - rel. Consigliere Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/09/2020 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Costanzo; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale Luigi Orsi in cui si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza n. 711 del 2020 la Corte di appello di Lecce ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Brindisi a (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 372 c.p. per avere falsamente testimoniato (in un processo con imputati per tentata truffa ai danni di una societa' assicuratrice) di avere visto gli esiti di un incidente stradale in realta' mai verificatosi. 2. Nel ricorso presentato dal difensore di (OMISSIS) si chiede l'annullamento della sentenza deducendo: a) error in iudicando e erronea applicazione dell'articolo 572 c.p. nel riconoscere la responsabilita' del ricorrente sulla base del fatto che egli ha indicato "circostanze che chiaramente presupponevano che quell'incidente (...) si fosse poco prima verificato", mentre avrebbe dovuto argomentare circa la incompatibilita' fra il mancato verificarsi dell'incidente e le circostanze riferite dal testimone; b) error in iudicando e vizio della motivazione per avere considerato inattendibili le deposizioni dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), assunte nell'istruttoria svolta nel dibattimento di primo grado, su questa base rigettando la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria in appello. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente e risultano manifestamente infondati. Come evidenziato nella requisitoria della Procura generale, le deduzioni del ricorrente non si confrontano con l'essenziale dato su cui la Corte di appello ha incentrato la motivazione di condanna, cioe' l'avere il (OMISSIS) dichiarato di avere osservato gli esiti di un tamponamento a catena, in realta', invece, mai accaduto secondo quanto riconosciuto, nel processo a loro carico, dagli stessi soggetti che ne sarebbero stati protagonisti e che sono stati condannati per il delitto ex articoli 56 e 642 c.p. (p. 6 della sentenza di primo grado confermata dalla sentenza impugnata). Inoltre, ha Corte di appello ha anche rimarcato il contrasto fra quanto affermato da uno degli imputati (dopo l'incidente (OMISSIS) si era avvicinato spontaneamente e aveva lasciato il suo numero di telefono) e quanto sostenuto da (OMISSIS) (che ha negato di avere fornito le sue generalita', assumendo, invece, di essere stato rintracciato perche' il suo nome era scritto sul suo furgone) e ha anche sviluppato (p. 3) non irragionevoli argomentazioni circa la inattendibilita' dei testi sentiti a difesa di (OMISSIS). 2. Dalla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso deriva ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 3000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere Dott. TANGA Antonio Leonard - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/06/2019 della CORTE APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIAROSARIA BRUNO. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con sentenza del 10/6/2019, la Corte d'appello di Trieste ha ridotto la pena inflitta a (OMISSIS), confermando nel resto la pronuncia del locale Tribunale, che aveva ritenuto l'imputato responsabile del reato di cui all'articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera c) e articolo 186 C.d.S., comma 2-bis. 2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore, formulando i motivi di doglianza di seguito indicati. I) Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta non applicabilita' al caso di specie dell'articolo 131-bis c.p.. La difesa ritiene che la Corte di appello non abbia fatto buon governo dei principi affermati in sede di legittimita', ponendo in evidenza che non sarebbero state considerate le produzioni della difesa tese ad avvalorare la ricorrenza dei requisiti della particolare tenuita' del fatto. La Corte di merito non avrebbe considerato che l'incidente non coinvolse persone, ma solo altre vetture parcheggiate lungo la strada. Inoltre, non sarebbe stato esaminato il profilo riguardante il corretto comportamento serbato dall'imputato successivamente al fatto. II) Vizio di motivazione. La Corte di appello sarebbe incorsa in un parziale travisamento delle prove esprimendo una motivazione illogica e contraddittoria. Al fine di ritenere la non tenuita' del fatto, avrebbe ricostruito il sinistro stradale in modo differente da quanto era stato accertato nella sentenza di primo grado. Nei termini di legge hanno rassegnato conclusioni scritte per l'udienza camerate senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8) il P.G. e la difesa dell'imputato. Il P.G. ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. La difesa dell'imputato, con memoria conclusiva e di replica alla richiesta del P.G., ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. 3. I motivi di doglianza proposti dalla difesa sono manifestamente infondati, pertanto il ricorso deve esse dichiarato inammissibile. La Corte di appello ha ampiamente ed adeguatamente motivato - con argomentazioni che si' sottraggono a qualsiasi censura di illogicita' - sulle ragioni per le quali ha ritenuto di negare l'applicazione dell'istituto di cui all'articolo 131-bis c.p.. Occorre in proposito evidenziare come le Sezioni Unite di questa Corte, nella esegesi dell'istituto invocato, abbiano avuto modo di puntualizzare che: "Il legislatore, come si e' accennato, ha esplicato una complessa elaborazione per definire l'ambito dell'istituto. Da un lato ha compiuto una graduazione qualitativa, astratta, basata sull'entita' e sulla natura della pena; e vi ha aggiunto un elemento d'impronta personale, pure esso tipizzato, tassativo, relativo alla abitualita' o meno del comportamento. Dall'altro lato ha demandato al giudice una ponderazione quantitativa rapportata al disvalore di azione, a quello di evento, nonche' al grado della colpevolezza. Ha infine limitato la discrezionalita' del giudizio escludendo alcune contingenze ritenute incompatibili con l'idea di speciale tenuita': motivi abietti o futili, crudelta', minorata difesa della vittima ecc.. Da tale connotazione dell'istituto emerge un dato di cruciale rilievo, che deve essere con forza rimarcato: l'esiguita' del disvalore e' frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza" (Sez. U n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266594). Gli elementi valutativi che compongono la complessa operazione volta ad individuare la speciale tenuita' dei fatto, secondo le indicazioni di questa Corte, risultano chiaramente esplicitati nella sentenza impugnata, in cui si ribadisce, con ragionamento immune da vizi logici, che il fatto non puo' essere considerato di minima offensivita'. I giudici hanno evidenziato che il tasso alcolemico accertato sulla persona del ricorrente - pari a 2,62 g/l e 2,57 g/l nelle due prove consecutive - era di gran lunga superiore al valore soglia previsto dall'articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera c). Ha poi messo in rilievo che l'incidente stradale causato dall'imputato in stato di ebbrezza aveva determinato gravi effetti, essendosi realizzato un tamponamento "a catena" in conseguenza della fuoriuscita del veicolo dalla sede viaria. Quanto al comportamento successivo al reato, secondo condivisibile orientamento di questa Corte, a cui si intende dare seguito in questa sede, ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto di cui all'articolo 131-bis c.p., non rileva la condotta "post delictum" (cfr. Sez. 3, n. 893 del 28/06/2017, dep. 12/01/2018, Rv. 272249 01; Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 10/01/2020, Rv. 278555 - 01). 4. Manifestamente infondato e', del pari, il secondo motivo di ricorso. La censura attinente al travisamento delle prove e' espressa in termini vaghi, tali da non consentire l'apprezzamento delle sue ragioni. Occorre rilevare come, secondo giurisprudenza consolidata, il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), intenda far valere il vizio di "travisamento della prova", deve, a pena di inammissibilita': (a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cosi' Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01). Tali oneri non sono stati adempiuti dalla difesa nel ricorso e la lettura della sentenza impugnata non consente di ritenere che i giudici si siano discostati dalla ricostruzione offerta dal Tribunale: la Corte di appello, come aveva gia' fatto il Tribunale, pone in rilievo che il ricorrente, fuoriuscito dalla sede stradale, ha provocato un incidente "a catena", andando a collidere con un veicolo che, a sua volta, ha urtato un altro veicolo. Non si individua quindi la lamentata discrasia. 5. Consegue alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', a norma dell'articolo 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cast. sent. n. 186 dei 13.6.2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARACENO Rosa Anna - Presidente Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. CAIRO Antonio - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/03/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PIRRELLI FRANCESCA ROMANA, la quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio, limitatamente al capo 3), ed il rigetto, nel resto, del ricorso di (OMISSIS), nonche' dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS); udito l'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale conclude chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso e deposita conclusioni scritte e nota spese; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), la quale conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso con conseguente annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 marzo 2019, la Corte di assise di appello di Firenze ha confermato quella emessa il 22 settembre 2016 dal Giudice dell'udienza preliminare di Prato nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), condannati, all'esito di giudizio svoltosi nelle forme del rito abbreviato: - (OMISSIS), alla pena di due anni ed otto mesi di reclusione e ventiduemila Euro di multa, perche' ritenuto responsabile del reato sanzionato dal Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, articoli 40 e 49; - (OMISSIS), alla pena di anni dieci di reclusione, perche' ritenuto responsabile dei delitti omicidio volontario ed associazione a delinquere pluriaggravata, oltre che del reato sanzionato dal Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, articoli 40 e 49. 2. Il procedimento penale nell'ambito del quale sono state emesse le decisioni citate e' scaturito da un gravissimo sinistro stradale, verificatosi la notte del 22 settembre 2012 all'interno di una galleria sita in localita' (OMISSIS), lungo la carreggiata Sud dell'autostrada A1, nel quale furono coinvolti undici, tra automobili e veicoli pesanti, tra cui anche l'autoarticolato guidato da (OMISSIS), il quale perse la vita. L'incidente, concretatosi in una serie di tamponamenti a catena, fu determinato - secondo quanto univocamente esposto da tutti i testimoni oculari, nonche' dal personale della Polizia stradale, subito recatosi sul posto -dalla bassa visibilita' determinata dalla coltre di fumo nero densissimo presente all'interno della galleria, proveniente dall'incendio di un'autocisterna che era stata abbandonata sulla corsia di marcia, a circa dieci metri di distanza dal proprio trattore, dal quale era stata sganciata. Le ricerche svolte presso la societa' napoletana proprietaria del veicolo consentirono di appurare che esso era stato affidato, nell'occasione, alla guida di (OMISSIS). Dalle investigazioni tempestivamente attivate, anche attraverso acquisizione di tabulati ed esecuzione di intercettazioni telefoniche, risulto' evidente che, quel giorno, sul mezzo si trovava, oltre a (OMISSIS), (OMISSIS) e che la cisterna incendiatasi conteneva gasolio, sostanza che non avrebbe potuto esservi inserita, trattandosi di contenitore destinate al trasporto di differenti materiali, e che era state importate in Italia in violazione della normativa che impone il pagamento delle accise. Ben presto emerse, altresi', che l'episodio non costituiva una tantum, essendo stati effettuati numerosi viaggi in ossequio al medesimo cliche', grazie al contributo di un gran numero di soggetti, appartenenti ad una compagine stabilmente organizzata. 3. In esito al giudizio abbreviato, il Giudice dell'udienza preliminare pervenne all'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) in ordine a tutti i reati ascrittigli, mentre (OMISSIS), assolto dal concorso in omicidio e dall'addebito associativo, fu condannato per il solo reato di contrabbando relativo all'attivita' posta in essere il 21 ed il 22 settembre 2012, cioe' ad immediato ridosso dell'evento letale. Il primo giudice ha valorizzato, in relazione all'omicidio, gli esiti della perizia disposta nel contesto del giudizio abbreviato, affidata all'ing. (OMISSIS), il quale ha accertato che l'autocisterna ha arrestato la propria marcia nel punto in cui il rimorchio e' stato, poi, abbandonato per effetto del blocco dei freni e non gia' per volonta' umana. Il malfunzionamento sarebbe stato determinato dalla fuoriuscita di aria compressa dai tubi dell'aria dell'impianto frenante, a sua volta dovuta al surriscaldamento e, quindi, alla rottura del cuscinetto della ruota posteriore destra. Tale catena di accadimenti - surriscaldamento e rottura del cuscinetto, danneggiamento della tubazione dell'impianto frenante e blocco dei freni - non sarebbe stata, pero', estemporanea, poiche' tra il primo e l'ultimo fenomeno sarebbe intercorso un intervallo di tempo, approssimativamente stimabile in uno o due minuti, durante il quale il conducente dell'autoarticolato avrebbe potuto fermarne la corsa in sicurezza. La supposta dinamica troverebbe, inoltre, conferma nel fatto che, secondo quanto emerso dall'analisi del cronotachigrafo, il mezzo, sino a 1.900 metri prima del punto in cui ha raggiunto la posizione di quiete, stava procedendo ad una velocita' compresa tra 60 e 80 km/h, da quel momento in poi progressivamente ridottasi, fino al blocco totale. Il giudice di primo grado ha affermato, sulla scorta delle menzionate risultanze, che (OMISSIS), perfettamente conscio del problema all'impianto frenante, avrebbe potuto senz'altro arrestare la corsa dell'autocisterna, in tutta sicurezza, ben prima che il mezzo si fermasse all'interno della galleria, all'uopo sfruttando la corsia di emergenza presente lungo tutto quel tratto. Al riguardo, il Giudice dell'udienza preliminare ha ipotizzato che l'imputato, autista di trentennale esperienza, avrebbe, con ogni probabilita', continuato la corsa al fine di raggiungere un'area di sosta per autotreni posta a circa due km di distanza dall'uscita della galleria, dove, nel suo disegno, avrebbe potuto godere di maggiore discrezione e sottrarsi ad eventuali controlli da parte delle forze dell'ordine, che avrebbero inevitabilmente portato alla luce la natura illecita del trasporto. Considerato, sotto altro aspetto, che i successivi tamponamenti sono stati cagionati dalla scarsissima visibilita' e che sono stati esclusi concorrenti profili di colpa in capo ai guidatori dei veicoli convolti e del gestore dell'arteria autostradale, il Giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto la sussistenza del nesso di casualita' tra la condotta di (OMISSIS) ed il decesso di (OMISSIS), conseguenza, oltre delle lesioni patite a seguito dell'urto, dell'inalazione dei fumi di combustione, e qualificato il requisito psicologico che ha animato la condotta dell'imputato in termini di dolo eventuale. 4. La Corte di assise di appello di Firenze, adita da entrambi gli imputati, ha rigettato le impugnazioni. 4.1. A fronte della protesta di innocenza di (OMISSIS), dichiaratosi estraneo al gruppo criminale nel cui interesse sono stati effettuati i vari trasporti di gasolio, ha ricordato che numerose tra le conversazioni intercettate, gia' richiamate nella motivazione della sentenza di primo grado, comprovano la sua piena consapevolezza in ordine tanto all'illiceita' della condotta quanto alla sua riconducibilita' all'indeterminato programma criminoso di una vera e propria associazione a delinquere. Ha, altresi', disatteso le obiezioni difensive vertenti sulla coscienza che il trasporto di gasolio avveniva in spregio alla vigente normativa fiscale, positivamente dimostrata dall'anomala reazione al problema meccanico (qualora fosse stato in buona fede, notano i giudici toscani, egli avrebbe, invero, immediatamente arrestato la marcia ed attivato il soccorso stradale, invece di procedere pericolosamente per quasi due chilometri) e dall'univoco tenore delle conversazioni captate. Ha, ancora, condiviso le valutazioni del primo giudice in punto sia di nesso di causalita' tra la condotta di (OMISSIS) ed il decesso di (OMISSIS) che di positivo riscontro del dolo, compiuto nel rispetto degli indici enucleati dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn. Ha, infine, rigettato i motivi di appello relativi al trattamento sanzionatorio. 4.2. La Corte di assise di appello ha, del pari, respinto l'impugnazione proposta da (OMISSIS), vertente, da un canto, sulla dedotta ignoranza della natura della sostanza contenuta nella cisterna e, dall'altro, sul diniego delle circostanze attenuanti generiche e sull'eccessivita' della pena irrogatagli. 5. (OMISSIS) propone, con l'assistenza dell'avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a sei motivi, con il primo dei quali deduce violazione della legge processuale per avere la Corte di assise di appello proceduto, in sua assenza, a dispetto della nullita' della notifica del decreto di citazione, eseguita presso il difensore anziche' al domicilio dichiarato, tempestivamente eccepita nella fase introduttiva del giudizio di appello e non sanata. Con il secondo motivo, denuncia la nullita' delle sentenze di primo e secondo grado per violazione, in relazione all'addebito di omicidio, del principio di corrispondenza fra accusa e sentenza consacrato all'articolo 521 c.p.p.. Osserva, in proposito, che gli e' stato in origine contestato di aver cagionato la morte di (OMISSIS) per avere, in seguito al principio di incendio, arrestato volontariamente l'autoarticolato all'interno della corsia di marcia, essere sceso dal mezzo, avere sganciato la cisterna dal trattore ed averlo, infine, spostato a circa venti metri di distanza, senza azionare le quattro frecce di emergenza o lasciando le luci di posizione in funzione, accettando in tal modo il rischio di causare sinistri mortali. Rileva che, sebbene dalla perizia disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, sia emerso un fatto nuovo, costituito dall'incidenza del blocco dei freni sull'arresto del veicolo in galleria, il pubblico ministero non ha provveduto a modificare l'imputazione, avvalendosi dei poteri di cui all'articolo 423 c.p.p., sicche' il Giudice dell'udienza preliminare lo ha, di conseguenza, condannato per un fatto diverso da quello contestatogli, ovvero per essere volontariamente entrato in galleria nonostante il problema al rimorchio e non gia' per avere deliberatamente arrestato il mezzo, come formalmente gli era stato contestato. Addebita ai giudici di merito di avere agito dimenticando che, nelle ipotesi di reati dolosi, non e' possibile applicare la regola, pacificamente ammessa dalla giurisprudenza (cfr., ad esempio, Cass., sez. IV, n. 51516 del 21 giugno 2013, Miniscalco, Rv. 257902) per le fattispecie colpose, secondo cui e' consentito al giudice di valorizzare, in chiave di riscontro all'impostazione accusatoria, profili di colpa diversi da quelli espressamente indicati nell'imputazione ma, comunque, evincibili dagli atti processuali, senza con cio' violare il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, sub specie di erronea applicazione dell'articolo 43 c.p., per avere i giudici di merito ritenuto la sussistenza del dolo eventuale al cospetto di un comportamento connotato dall'assenza della rappresentazione del rischio e dell'accettazione del suo concretizzarsi. Con il quarto motivo, deduce vizio di motivazione, stante la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' delle argomentazioni, circoscritte all'uso di vuote formule di stile ed al richiamo di quanto stabilito del giudice di primo grado, utilizzate dalla Corte di assise di appello al fine di dimostrare che egli ha agito con dolo eventuale. Con il quinto ed il sesto motivo, eccepisce l'erronea applicazione dell'articolo 416 c.p., nonche' la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione sottesa al riconoscimento della sussistenza degli elementi costitutivi della supposta societas sceleris ed al rigetto della sollecitazione difensiva volta alla riqualificazione del fatto ai sensi degli articoli 110 e 81 c.p., comma 2. Evidenzia che la prova e', in proposito, rimessa alle conversazioni telefoniche intercettate, inidonee ad attestare, con il prescritto margine di certezza, la stabilita' e la permanenza del vincolo associativo, tanto piu' con riferimento alla posizione di chi, come (OMISSIS), non poteva, in quanto in contatto con i soli (OMISSIS) ed (OMISSIS), rendersi conto che il suo apporto andava ad iscriversi nella cornice dell'attivita' di una piu' ampia ed articolata organizzazione criminale. 6. (OMISSIS) propone a sua volta, con il ministero dell'avv. (OMISSIS), ricorso basato su due motivi, con il primo dei quali lamenta che la Corte di assise di appello abbia omesso di rispondere alla censura, mossa all'atto di impugnare la sentenza di primo grado, riferita alla irrilevanza penale della condotta, conseguente all'entrata in vigore del decreto L. 28 dicembre 2001, n. 452, convertito con la L. 27 febbraio 2002, n. 16, che, nel sopprimere l'imposta di consumo sugli oli lubrificanti e le relative sanzioni penali ed amministrative, ha, di fatto, depenalizzato la condotta di cui al Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, articolo 40, comma 1, lettera b), comma 4. Con il secondo ed ultimo, ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato addebitandogli, in modo non correttamente argomentato, di avere assunto un atteggiamento processuale improntato al mendacio, nonche' conferendo eccessiva rilevanza al suo unico precedente penale, peraltro relativo a reato di non particolare gravita' e, comunque, successivamente estinto. Aggiunge, al riguardo, che palese appare la disparita' di trattamento rispetto al correo (OMISSIS) il quale ha, invece, fruito dell'attenuante. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato e, pertanto, passibile di rigetto. 2. In ordine al primo motivo, concernente la ritualita' della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, la lettura dell'ordinanza adottata dalla corte fiorentina all'udienza del 6 marzo 2019 consente di apprezzare l'inconsistenza delle obiezioni difensive. Il decreto di citazione e' stato, infatti, notificato mediante consegna di copia al difensore, ai sensi dell'articolo 161 c.p.p., comma 4, per non essere andato a buon fine il tentativo eseguito in (OMISSIS), luogo in cui l'imputato aveva dichiarato domicilio ed in cui egli e' risultato "sconosciuto", come da annotazione apposta sulla cartolina. Il ricorrente ha dedotto che, essendogli stata, poco tempo prima, regolarmente notificata, a quell'indirizzo, un'ordinanza emessa fuori udienza, e' ragionevole ipotizzare che l'esito del piu' recente ed infruttuoso tentativo di notifica sia stato conseguenza di un disguido, essendo inverosimile che, nel volgere di poche settimane o, al piu', qualche mese, egli sia risultato sconosciuto in quel sito. La Corte di assise di appello ha correttamente notato, in replica all'obiezione difensiva, che nel caso di specie non si discute di residenza anagrafica - che l'interessato avrebbe potuto far constare, se eventualmente persistente, al fine di sollecitare la rinnovazione dell'adempimento - ma, piuttosto, di un domicilio dichiarato, che l'imputato ben avrebbe potuto, medio tempore, avere abbandonato, restando, ovviamente, a suo carico la comunicazione all'ufficio giudiziario che, in sua assenza, ha fatto ineccepibile e necessitata applicazione del disposto dell'articolo 161 c.p.p., comma 4. 3. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, vertente sulla dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, occorre notare come la nullita', a regime intermedio, sarebbe, ove pure ritenuta sussistente, ormai sanata perche', essendosi verificata nel corso del giudizio di primo grado, essa non e' stata eccepita con l'atto di appello, sul punto del tutto silente, ne' fatta valere nel tempo intercorso sino alla deliberazione della sentenza di secondo grado. L'eccezione, pertanto, non e' proponibile per la prima volta in sede di legittimita', secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Di Stefano, Rv. 253217; Sez. 5, n. 9281 del 08/01/2009, Parente, Rv. 243161). 4. Il terzo ed il quarto motivo, che, per la loro interconnessione, desumibile anche dallo sviluppo argomentativo del ricorso, possono essere esaminati congiuntamente, attengono alla qualificazione del fatto come omicidio doloso anziche' colposo, contestata in chiave sia di violazione di legge - sub specie di erronea applicazione dell'articolo 43 c.p., - che di contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. 4.1. Il ricorrente evidenzia, innanzitutto, che, essendosi il veicolo arrestato per ragioni indipendenti dalla sua volonta', cioe' per il blocco di una delle ruote del rimorchio, la condotta di cui si discute muove dalla sua decisione, appena compreso che l'autoarticolato aveva un problema meccanico, di proseguire la marcia nella speranza, poi rivelatasi vana, di raggiungere la piazzola successiva, posta a circa due chilometri dall'uscita dalla galleria. Un comportamento, opina, fenomenologicamente colposo, in quanto connotato da un errore di previsione che, tuttavia, diviene giuridicamente doloso, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite, solo se tenuto nella consapevolezza che da esso potrebbe derivare un evento lesivo, la prospettiva del cui accadimento viene, nondimeno, accettata. Condizioni che, a suo dire, non e' dato apprezzarsi in un contegno - serbato senza neanche la rappresentazione della possibilita' che il mezzo si fermasse in galleria - la cui prova non puo' essere rimessa a quanto accaduto dopo il blocco (lo sgancio della motrice; la ripartenza, vanificata dalla presenza dei veicoli che, poco piu' avanti, erano stati coinvolti nel tamponamento; la fuga). D'altro canto, aggiunge, la stessa prevedibilita' dell'incendio del rimorchio e del conseguente stop alla marcia dell'autoarticolato e' ritenuta dalla Corte di assise di appello sulla base di un percorso motivazionale apodittico e sganciato dalle emergenze probatorie, tutt'altro che univoche in punto di consapevolezza, in capo all'imputato, della possibilita' che, all'interno della galleria, il guasto al sistema frenante facesse si' che il rimorchio prendesse fuoco. Ne', rileva, il richiamo agli indici elencati dalla sentenza Thyssenkrupp si rivela decisivo, giacche' non supera le censure, gia' articolate con l'atto di appello ed immotivatamente disattese dalla corte toscana, riferite alla corretta interpretazione dei dati probatori ed alla conformita' dell'iter logico seguito dai giudici di merito a canoni di coerenza e razionalita'. 4.2. Le obiezioni difensive non convincono, perche' non idonee a scardinare la tenuta logica del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, le cui decisioni vanno, sul punto, lette sinergicamente, in ordine alla natura dolosa, e non meramente colposa, della condotta illecita di (OMISSIS), che - in ossequio ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' e, da ultimo, scolpiti nella piu' volte evocata sentenza Thyssenkrupp - e' stata accertata sulla base di un quadro indiziario connotato da gravita', precisione e concordanza, tale da convincere che la volonta' dell'agente fu, nell'occasione, connotata dai crismi tipici del dolo eventuale. Il comportamento dell'imputato e' stato, infatti, analizzato a partire dal momento in cui egli, percorrendo l'autostrada, percepi' il malfunzionamento del mezzo di cui era alla guida, reso evidente anche dalla fuoriuscita di fumo, che lo costrinse a ridurre la velocita'. Un imprevisto che avrebbe dovuto consigliargli di arrestare la marcia, posizionando il mezzo sulla corsia, non a caso definita di emergenza, deputata alla gestione di simili accadimenti e che lo vide, invece, optare, a dispetto del corretto suggerimento rivoltogli da (OMISSIS), per la prosecuzione del viaggio, senza neanche fermarsi momentaneamente per un rapido check, al precipuo scopo di raggiungere un'area appartata, infine rinvenuta nella piazzola di sosta collocata un paio di chilometri dopo l'uscita dalla galleria. (OMISSIS), dunque, autista esperto e perfetto conoscitore di quel tratto autostradale, accetto', con atteggiamento non istintivo ma ponderato e costantemente mantenuto nell'arco di oltre due minuti, il rischio che l'autoarticolato, percorrendo una galleria della lunghezza di piu' di ottocento metri e priva di corsia di emergenza, fosse di ostacolo alla ordinaria circolazione degli altri utenti della strada. Tanto, versando in condizione di totale illegalita' (il mezzo era sprovvisto di assicurazione ed era, in quel momento, utilizzato per attivita' di contrabbando, espressione del programma criminoso di una associazione a delinquere, avente ad oggetto gasolio, che quella cisterna non era abilitata a contenere) ed al precipuo fine, deve logicamente inferirsi, di sottrarsi ai controlli delle forze dell'ordine che, con ogni probabilita', sarebbero rapidamente intervenute qualora egli, come prudenza avrebbe imposto, avesse parcheggiato il mezzo al lato della strada e ben prima dell'imbocco della galleria. I giudici di merito offrono, in proposito, specificazioni che vanificano l'assunto difensivo perche' chiariscono, tra l'altro, che il fatto che (OMISSIS) non potesse prevedere che il principio di incendio in itinere avrebbe provocato l'arresto del mezzo in un determinato punto non esclude che egli si sia perfettamente rappresentato la concreta possibilita' che, una volta entrato in galleria, le condizioni del veicolo che egli stava guidando determinassero un sinistro tanto grave da comportare conseguenze letali. Al riguardo, val la pena di ricordare come il Giudice dell'udienza preliminare, alla pag. 146 della sentenza di primo grado, abbia rilevato, in piena coerenza con la logica ed i dati istruttori, che, quantunque non sia "dato sapere se (OMISSIS) sapesse che l'incendio avrebbe comportato l'arresto dei freni della motrice", la condotta "spicca ugualmente per rilevante gravita' atteso che la causa dei sinistri e' stata proprio data dalla necessita' per gli altri utenti di compiere manovre di emergenze (dovute alla presenza di una cisterna in fiamme che, comunque, sarebbe stata presente sulla strada anche se non si fosse arrestata) in condizioni di scarsa visibilita' dovuta al denso fumo nero provocato dall'incendio, in orario notturno e dentro una galleria lunga". Ad onta di quanto sostenuto nel ricorso, dunque, il dolo di (OMISSIS) non e' stato collegato alla rappresentazione della possibilita' che il mezzo si fermasse in galleria ma, piuttosto, a quella dell'enorme rischio per la sicurezza che l'ingresso nel tunnel, nelle condizioni date, avrebbe determinato. I giudici di merito, d'altro canto, hanno convenientemente indicato la messe di elementi indiziari che comprovano, oltre alla rappresentazione, la sicura previsione dell'evento e la piena accettazione del rischio della sua verificazione. In questa direzione milita, infatti, il contegno serbato all'atto del blocco del mezzo - univocamente diretto al repentino allontanamento e ad evitare che l'attivita' di contrabbando venisse scoperta - concretatosi nello staccare la motrice, ripartire, per poi prendere atto del muro formato dai veicoli, che, a distanza di appena centocinquanta metri, erano stati coinvolti nel sinistro provocato dal fumo e dal conseguente impedimento alla visibilita', scendere dal mezzo e fuggire a piedi sino alla agognata piazzola e, da li', chiedere aiuto a (OMISSIS), vertice organizzativo della compagine criminale, al contempo rassicurandolo circa l'adozione di accorgimenti finalizzati ad evitare l'avvio delle temute investigazioni. Il tutto, astenendosi da qualsivoglia intervento soccorritore - che, notano argutamente i giudici di merito, avrebbe, invece, costituito concreto indice di atteggiamento colposo - e, pure, nella piena coscienza del maxi-tamponamento innescato dalla sua scellerata iniziativa. Rilevante e', ancora, reputata, in vista dell'accertamento del dolo del fatto, la compiuta consapevolezza, da parte dell'imputato, che il contesto in cui la sua decisione e' stata presa - in orario notturno, su un'importante arteria autostradale, in quel momento percorsa, perlopiu', da mezzi pesanti, in prossimita' dell'ingresso in una galleria lunga e sprovvista di corsia di emergenza - ha reso molto elevato il pericolo di concretizzazione del rischio che egli ha volontariamente creato. 4.3. I giudici di merito hanno, pertanto, conclusivamente ritenuto che (OMISSIS) si sia, nel momento della determinazione, prefigurato la possibilita' che la prosecuzione della marcia del veicolo determinasse un sinistro di portata letale ed abbia, nondimeno, accettato il rischio del suo verificarsi, anche nella prospettiva di guadagnare, in questo caso, una via di fuga che gli garantisse l'impunita', obiettivo che, notano, sarebbe stato piu' facilmente conseguibile qualora la motrice, staccata dal rimorchio in fiamme, non avesse incontrato l'ostacolo costituito dai mezzi coinvolti nell'incidente. Hanno, per contro, escluso la ricorrenza di elementi sintomatici della riconducibilita' dell'evento ad una condotta colposa, cioe' al mero malgoverno di un rischio: al riguardo, nitide sono le osservazioni del Giudice dell'udienza preliminare circa il fatto che "proprio quando l'evento si andava sempre piu' concretizzando la condotta di (OMISSIS) non e' mai stata diretta ad impedirlo, ma solo a prendere i documenti del mezzo portandoli via dal trattore stradale, e tale condotta non e' oggetto solo di una ricostruzione indiziaria ma e' provata dalle stesse parole di (OMISSIS) che se ne vanta con (OMISSIS) nella conversazione n. 5 "...io fui lesto la prima cosa a togliere i documenti dentro hai capito cosa mi ricordai - Tu manco i cani se... non lasciare la prima cosa prenditi i documenti ed il telefono hai capito - Poi fuggi dove vuoi tu... se vedi per strada una cosa che non ti piace guardie, cose, tu prenditi i documenti e scappa..."". La motivazione che sostiene la pronunzia impugnata in relazione all'elemento soggettivo del delitto di omicidio resiste, alla luce delle superiori considerazioni, alle censure difensive, non emergendo, sotto alcun profilo, la dedotta fallacia nell'applicazione dell'istituto, secondo la condivisa interpretazione del massimo consesso nomofilattico, ne' in alcun modo apprezzandosi i segnalati deficit di coerenza e congruita' logica. 5. Manifestamente infondati si palesano, infine, il quinto ed il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS), il quale lamenta che la Corte di assise di appello abbia confermato le valutazioni del primo giudice in ordine alla sua responsabilita' per il delitto associativo e disatteso la sollecitazione a riqualificare il fatto in termini di concorso continuato nei singoli reati di contrabbando. Cosi' facendo - e segnalando, in particolare, che le sole conversazioni telefoniche intercettate non comprovano la sua stabile militanza nel gruppo ma, semmai, i rapporti con i soli (OMISSIS) ed (OMISSIS), inidonei anche a provare l'elemento soggettivo del reato associativo - il ricorrente trascura che i giudici di merito hanno compiutamente dimostrato (cfr., in specie, la motivazione della sentenza di primo grado, pagg. 131-135) che (OMISSIS) coordinava una struttura organizzata, anche perche' dotata di supporti logistici e di numerosi mezzi di trasporto, dedita alla commissione di una serie indeterminata di reati di contrabbando, caratterizzata dalla partecipazione di un elevato numero di persone, con puntuale e precisa ripartizione dei ruoli, e che il programma criminoso ha avuto, almeno parziale, attuazione mediante la realizzazione di alcuni reati-fine. Parimenti solida e' la motivazione nella parte dedicata alla militanza associativa di (OMISSIS), attestata non solo dai riscontrati legami con l'organizzatore (OMISSIS), che egli, formalmente assunto dalla (OMISSIS) s.a.s., riconosce quale effettivo datore di lavoro, e con (OMISSIS), ma anche dai comportamenti tenuti all'indomani del sinistro mortale, che ne denotano la persistente disponibilita' a collaborare al fine di sviare le indagini, sintomatica, oltre che di solidarieta' con i correi, di intensa affectio societatis, peraltro non disgiunta dal vivo interesse a trarre profitto economico dalla militanza nella consorteria, quantunque temporaneamente inibito alla guida, stante il ritiro della patente. Anche sotto questo versante traspare, dunque, l'inconsistenza della doglianza difensiva che, nel tendere, in buona sostanza, a stimolare una inammissibile rivalutazione del compendio indiziario, non riesce ad enucleare errori nell'applicazione della norma incriminatrice ne' profili di contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione. La ricorrenza, oltre che dell'aggravante comune del numero, superiore a dieci, degli associati, di quella, ad effetto speciale, della transnazionalita' fa si', ai sensi dell'articolo 157 c.p., commi 2 e 3, che la pena edittale per il reato associativo sia determinata, nel massimo, in sette anni e sei mesi di reclusione (cinque anni, aumentata della meta' L. 16 marzo 2006, n. 146, ex articolo 146, comma 4), sicche', tenuto conto degli atti interruttivi medio tempore intervenuti, deve ritenersi ancora non decorso il termine prescrizionale. 6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo. L'imputato va, altresi', condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili costituite, (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate, in conformita' alle vigenti tariffe (cfR. Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, e Decreto Ministeriale 8 marzo 2018, n. 37) e tenuto conto dell'impegno profuso, nella misura indicata in dispositivo. 7. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. 8. Con il primo motivo, egli introduce il tema della penale rilevanza della condotta, a suo dire avente ad oggetto oli lubrificanti, non piu' soggetti ad imposta di consumo per effetto del Decreto Legge 28 dicembre 2001, n. 452, articolo 6, convertito nella L. 27 febbraio 2002, n. 16, con conseguente inapplicabilita' delle sanzioni penali ed amministrative previste dal Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. La censura e' priva di pregio perche', da un canto, assimila arbitrariamente il gasolio, materiale combustibile per autotrazione o riscaldamento, agli oli lubrificanti e, dall'altro, trascura che la condotta relativa ad oli lubrificanti, gia' depenalizzata dalla norma indicata dal ricorrente, e' stata nuovamente sanzionata penalmente in forza di ulteriore intervento legislativo della L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 116, secondo quanto univocamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 10818 del 29/01/2019, Donadelli, Rv. 275144; Sez. 3, n. 6269 del 14/01/2010, Lisi, Rv. 246194). 9. Il secondo ed ultimo motivo di ricorso verte sulla congruita' della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l'imputato, si sostiene, avrebbe meritato in ragione della modestia del suo curriculum criminale, che si esaurisce in un unico precedente a pena patteggiata e, dunque, a reato successivamente estinto, e dell'esigenza di garantirgli parita' di trattamento rispetto al correo (OMISSIS). Il ricorrente lamenta, inoltre, che la Corte di assise di appello avrebbe giustificato il diniego dell'attenuante ascrivendogli, in contrasto con la realta', di avere assunto un atteggiamento processuale improntato al mendacio. Cosi' facendo, invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu' favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici di merito hanno fornito una lettura aliena dall'ipotizzato travisamento. Premesso che e' pacifico, in giurisprudenza, che "In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di assise di appello ha valorizzato, alle pagg. 15-16 della motivazione della sentenza impugnata, l'assenza di qualsivoglia segno di resipiscenza da parte dell'imputato il quale, nel pur legittimo esercizio del diritto di difesa, ha esposto una versione dei fatti di totale inattendibilita', cio' che, unitamente alla precedente condanna, spia di non occasionalita' della devianza, ed all'assenza di elementi suscettibili di positiva delibazione, la ha indotta ad assumere la decisione impugnata. Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di assise di appello, che si mantiene all'interno della fisiologica discrezionalita' e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente, il quale sollecita un intervento che il giudice di legittimita' non puo' compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali, ed invoca, in modo parimenti inammissibile, parita' di trattamento rispetto a (OMISSIS), portatore di ben altro carico processuale. 10. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso di (OMISSIS) deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da (OMISSIS) e (OMISSIS), costituite parti civili, che liquida in Euro 5200, oltre accessori di legge. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. NARDIN Maura - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - rel. Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/03/2020 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIAROSARIA BRUNO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS), che chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza emessa in data 2/3/2020, ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale di Roma in data 7/12/2018, con cui (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale e della contravvenzione di cui all'articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera b) e 2-sexies. Fatto occorso in (OMISSIS). 2. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito l'imputato cagionava la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS). Nel corso di un tamponamento a catena che coinvolgeva diverse autovettura, sul raccordo anulare di Roma, marciando sulla corsia dli sorpasso e mantenendo una velocita' superiore ai limiti di legge, tale da non consentirgli di arrestare il veicolo in presenza di prevedibili ostacoli sulla corsia, impattava dapprima contro la vettura Renault Scenic, che si era arrestata sulla corsia di sorpasso, cagionando la morte di (OMISSIS), conducente della predetta vettura; successivamente cagionava il decesso di (OMISSIS), suo trasportato, che subiva l'urto violento della vettura Chevrolet Orlando che impattava contro la fiancata del veicolo condotto dal ricorrente. 3. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore, formulando i seguenti motivi di impugnazione, riassumibili come segue giusta il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Primo motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 589 c.p. come contestato; difetto di motivazione in ordine alla valutazione delle condotte di colpa specifica contestate; inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all'obbligo di indicare la ragione della inattendibilita' della consulenza tecnica della difesa e delle altre prove dedotte nell'atto di appello; inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 40 e 41 c.p.. Secondo motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 589 c.p., comma 2 e 4, e difetto di motivazione sul punto; inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 40 c.p. in relazione al decesso del passeggero (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi dedotti risultano infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato. 2. Le censure contenute nel primo motivo di doglianza, propongono questioni che riguardano la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale e la interpretazione delle prove assunte, aspetti la cui valutazione non compete alla Corte di legittimita'. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai Giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428 - 01). Esula quindi dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944 - 01; cfr. altresi' Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 - 01). Per altro verso, in virtu' di consolidato orientamento della Corte di legittimita', gli aspetti riguardanti la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale, che attengono necessariamente al fatto, sono rimessi all'apprezzamento del Giudice della cognizione e risultano insindacabili ove non si individuino evidenti vizi di carattere logico nella motivazione (si veda in argomento, ex multis, Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Rv. 271679, cosi' massimata: "La ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia e' rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita' se sorretti da adeguata motivazione"). Tutto cio' premesso, non puo' non rilevarsi come il ricorrente solo apparentemente svolga una critica alle argomentazioni fornite dai giudici di merito, offrendo in realta' una propria diversa interpretazione della dinamica del sinistro, la quale non puo' essere delibata in sede di legittimita' a fronte di una motivazione che, sebbene sintetica, contiene una puntuale analisi della regiudicanda e perviene a conclusioni logicamente coerenti rispetto alle premesse. Piu' precisamente, la lamentata arbitrarieta' dei risultati a cui e' pervenuto il consulente del P.M., Geom. (OMISSIS), nella determinazione della velocita' a cui viaggiava il ricorrente, stimata intorno ai 149 km/h., e' circostanza che non puo' formare oggetto di doglianza innanzi alla Corte di cassazione, al cospetto di una motivazione che giustifica in modo logico il recepimento di tale dato. Deve in proposito rilevarsi come nella sentenza di primo e secondo grado, i cui contenuti formano un unico complesso motivazionale, trattandosi di cd. "doppia conforme" pronuncia di responsabilita', il profilo dell'eccessiva velocita' serbata dal ricorrente viene desunta in modo coerente da tutto il complesso delle prove acquisite in atti. La ricostruzione offerta dal Geometra (OMISSIS), ritenuta maggiormente attendibile dai giudici di merito, e' avvalorata, si legge nelle due sentenze conformi, anche dalle testimonianze acquisite nel corso del dibattimento. Nella specie i giudici hanno rilevato che, in base alle risultanze della consulenza disposta dal P.M., il (OMISSIS), non solo viaggiava ad una velocita' non consentita, ma avrebbe avuto anche il tempo di fronteggiare efficacemente la situazione di pericolo mediante un'adeguata decelerazione, poiche' intercossero quasi sei secondi tra il primo urto della Renault Scenic con il Fiat Ducato e l'impatto con la vettura condotta dall'imputato. Tali circostanze, si legge in sentenza, trovano conferma nelle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) il quale ha riferito di avere visto innanzi a se' il furgone Fiat Ducato venire tamponato dalla Renault Scenic, in rientro dal sorpasso, e di avere udito, subito dopo l'urto, il forte boato provocato dall'impatto di un'altra vettura (che si accertera' essere quella guidata dal prevenuto) contro la medesima Renault Scenic. Il testimone, evidenziano i giudici, ha precisato di avere udito tale boato dopo avere proseguito la marcia per alcuni metri ed essersi gia' accostato a destra, non prima che il furgone tamponato si accostasse a sua volta sulla corsia di emergenza. Sulla base di tali evidenze, i giudici di merito hanno ritenuto che non potesse essere validamente sostenuta la diversa ricostruzione del consulente di parte secondo cui l'urto tra l'autovettura guidata dal (OMISSIS) e quella guidata dallo (OMISSIS) si sarebbe verificato quando quest'ultima era ancora in fase di sorpasso, avvalorando la tesi, accreditata dalla difesa, della riconducibilita' del primo scontro alla spericolata manovra dello (OMISSIS), che avrebbe interrotto la regolare manovra di sorpasso del ricorrente. Allo stesso modo e' infondato il motivo con cui si lamenta l'omessa valutazione da parte dei giudici d'appello di alcune deduzioni difensive riguardanti le caratteristiche del veicolo condotto dall'imputato e l'utilizzo dei fari di profondita'. Si rileva che in sede di legittimita' non e' censurabile una sentenza per il suo silenzio su talune deduzioni prospettate col gravame quando le stesse risultino disattese dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Infatti, per la validita' della decisione non e' necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione una specifica confutazione di ogni articolazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca, come nel presente caso, alla implicita reiezione delle deduzioni difensive, senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Rv. 229220 - 01; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, Rv. 245238 - 01; Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Rv. 276741 - 01). Deve quindi ritenersi che la sentenza della Corte di appello abbia indicato con adeguatezza e logicita' quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del suo convincimento, si da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, sicche' non vi e' luogo per la prospettabilita' dei denunciati vizi. 3. Infondato e' anche il secondo motivo di ricorso. Alla strega di quanto logicamente rappresentato nelle sentenze di merito il ricorrente, con la sua condotta colposa, ha dato luogo al fattore di rischio che ha generato l'ulteriore evento collisivo che ha condotto al decesso del trasportato (OMISSIS). Le conclusioni a cui pervengono i giudici di merito risultano rispettose dei principi espressi in sede di legittimita' (cfr. Sez. 4, n. 10676 del 11/02/2010, Rv. 246422 - 01: "In materia di omicidio colposo, l'automobilista il quale per colpa - consistita in violazione di regole di prudenza e delle norme sulla circolazione, sbandi ripetutamente e si arresti, alla fine, ponendosi di traverso sulla carreggiata di una strada (tanto piu' se a rapido scorrimento) - pone in essere, con la sua condotta, una condizione necessaria dell'arresto del traffico e delle successive eventuali collisioni sempre che non sia ravvisabile l'intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa si' da relegarlo a mera occasione. In tal caso, il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio (ostruzione della carreggiata) dei successivi eventi collisivi, e l'eventuale condotta colposa (eccessiva velocita' o mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non puo' ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento non essendo qualificabile come atipica ed eccezionale ma potendo, bensi', collocarsi nell'ambito della prevedibilita'"). Non si individua sul punto la lamentata carenza di motivazione dedotta dalla difesa: la Corte di merito ha precisato, offrendo congrua giustificazione, come non possa escludersi l'evidenza del nesso eziologico esistente tra la condotta colposa dell'imputato e l'evento morte che ha colpito (OMISSIS), anche tenuto conto della concorrente condotta serbata da (OMISSIS), conducente della Chevrolet Orlando, giudicato separatamente. Trattasi di motivazione che si pone in sintonia con i principi che regolano la materia del concorso di cause, da applicarsi al caso concreto. Deve invero ribadirsi che la causa sopravvenuta sufficiente da sola alla produzione dell'evento e, quindi, avente efficacia interruttiva del nesso di causalita', e' quella del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall'agente, avulsa totalmente dalla sua condotta ed operante in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilita' dell'agente medesimo. Ne consegue che tale non puo' considerarsi la causa sopravvenuta legata a quella preesistente da un nesso di interdipendenza. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FUMU Giacomo - Presidente Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. PICARDI Francesca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: imputata (OMISSIS), nata a (OMISSIS); parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA (OMISSIS) (responsabile civile); avverso la sentenza del 22/01/2019 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA; lette le conclusioni per l'udienza camerale senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. PEDICINI ETTORE che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; lette la memoria e le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), per le parti civili da lui rappresentate, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso proposto dall'imputata ed accogliersi quello proposto dalle parti civili, con vittoria di spese in danno dell'imputata e del responsabile civile; letta la memoria e le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), per il Responsabile Civile, ASL Roma (OMISSIS), che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti della odierna ricorrente (OMISSIS), con sentenza del 22/1/2019, confermava la sentenza - appellata dall'imputata e dalle parti civili- con cui il Tribunale di Civitavecchia, in composizione monocratica, in data 20/7/2017, l'aveva condannata alla pena di sei mesi di reclusione, concedendole i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale, avendola riconosciuta colpevole del delitto di cui all'articolo 589 c.p., perche', quale medico in servizio presso l'Ospedale (OMISSIS) - turno notturno di guardia (ore 2.00-8.00) - per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, preso in carico il paziente (OMISSIS) - gia' sottoposto dal medico di guardia presente al momento dell'accesso in Pronto Soccorso (alle ore 17,36) ad E.C.G., esame torace ed analisi di laboratorio - lo dimetteva alle ore 21.16 del giorno (OMISSIS) con diagnosi di "addensamento polmonare in sede paracardiaca sinistra", omettendo di valutare l'alterazione del tratto ST - documentata dal tracciato ECG effettuato - sintomo di ischemia subendocardiaca, omettendo altresi' di ripetere il tracciato ECG e le analisi (mediante dosaggio markers enzimatici) e di trattenere in osservazione il paziente. Con detta condotta cagionava il decesso del suddetto per insufficienza cardiocircolatoria acuta secondaria a tamponamento cardiaco in ragione dell'infarto miocardico acuto trasmurale e rotturale della parte postero laterale del ventricolo sinistro. In (OMISSIS). Con la sentenza di primo grado la (OMISSIS) era stata anche condannata, in solido con il Responsabile Civile Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS), in persona del l.r.p.t. al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale immediatamente esecutiva, ed alla rifusione alle stesse delle spese del giudizio. 2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia: . l'imputata (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo lamenta mancanza e/o manifesta illogicita' della motivazione (articoli 192 e 597 c.p.p.) per l'assenza del nesso di causalita', nonche' inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 40 e 41 c.p. e travisamento della prova, e comunque del fatto, con riferimento all'esistenza del rapporto di causalita'. La ricorrente lamenta che vi siano alcune considerazioni e deduzioni congetturali formulate dai consulenti tecnici del Pm (sia il medico legale (OMISSIS) che il cardiologo (OMISSIS)) e della difesa di PC ( (OMISSIS)), erronee ai fini di una corretta formazione del libero convincimento, che sarebbero trasmigrate tali e quali anche nella sentenza impugnata ove i giudici di appello, non fornendo alcuna motivazione, avrebbero escluso esplicitamente la validita' della valutazione tecnica formulate nel giudizio dal consulente tecnico della difesa, Autore. Di contro, la sentenza impugnata avrebbe ripreso pedissequamente le infondate teorie del consulente del PM in ordine alle risultanze dell'ECG ed alla procedura di datazione dell'infarto del miocardio sulla base di una presunta chiarezza espositiva e senza indicare quale sarebbe stata la legge di copertura scientifica sui cui e' stata formulata tale valutazione di preferenza al punto che la motivazione risulta meramente apparente. La sentenza impugnata, per la ricorrente, merita censura proprio per aver ritenuto il nesso di causalita' tra la dimissione del paziente con una diagnosi di polmonite, ritenendo in corso un infarto del miocardio e l'evento morte in ragione del dolore toracico (ritenuto in maniera travisata cosi' come descritto nelle premessa) fisso e quindi della non corretta valutazione dell'alterazione del tratto ST di cui all'ECG, dell'omessa ripetizione dello stesso ECG, della mancata ripetizione le analisi enzimatiche e del mancato trattenimento del paziente in osservazione. Paziente che, secondo la corte di appello, oltre a non manifestare un dolore variabile col respiro ma fisso (in contrasto con quanto dichiarato dal paziente in sede di accettazione in pronto soccorso e come documentalmente risultante dalla cartella clinica) presentava non tanto "un" sintomo del l'infarto del miocardio quanto "il" sintomo per antonomasia ovvero il dolore irradiato anche al braccio "sintomo questo altamente indicativo di infarto al miocardio in corso" (pag. 9 sent. app.). Sintomo che, tuttavia, al di la dell'immaginario collettivo non ha un particolare peso specifico superiore agli altri elementi che devono essere considerati nella valutazione de qua che lo ponga in cima alla scala di valori che la moderna scienza cardiologica prende in considerazione. Sicuramente non deve essere trascurato ma tuttavia deve essere "pesato" insieme agli altri secondo le regola del c.d. "chest pain score", ampiamente trattata in fase di merito e ritenuta valida da tutti i consulenti ma i cui risultati la Corte non mostra di aver considerato non avendolo menzionato in alcun passaggio argomentativo. Ed infatti, il dolore al braccio attribuisce un punteggio "+ 1", la sua variazione con gli atti del respiro "- 1", la localizzazione retrostemale precordiale del dolore un punteggio pari a "+ 3", per cui il risultato complessivo del calcolo era "score"4 dolore atipico bassa probabilita' di angina pectoris" (in tal senso, la Tabella tratta dalle linea guida per il dolore toracico PDT, riportata anche dal Prof. (OMISSIS) (CTPC) a pag. 3 della sua Relazione). Sulla base delle linee guida applicabili il paziente era pertanto dimissibile con invito a visita dal medico curante per controllo dell'evoluzione del quadro clinico. La sentenza impugnata - prosegue il ricorso - si fonda esplicitamente sul contenuto delle affermazioni del consulente tecnico del PM Dott.ssa (OMISSIS) e del suo ausiliario cardiologo Dott. (OMISSIS). Dall'esame delle prove assunte, emergerebbe, tuttavia, che - contrariamente a quanto ritenuto dalla Dott.ssa (OMISSIS) e acriticamente recepito - l'infarto possa essere datato in un arco temporale massimo compreso tra uno e tre giorni prima del decesso, in perfetta coerenza con la migliore letteratura in materia e non gia' tra i tre e i sette giorni. La Corte territoriale, infatti, sulla base di quanto sostenuto dal Consulente del Pm ha ritenuto che la rottura del cuore si sia determinata dai tre ai sette giorni dall'insorgenza dell'IMA fatto "che consente di affermare che detta patologia cardiaca era gia' presente al momento in cui il paziente si reco' presso il Pronto soccorso del nosocomio di (OMISSIS)" (in tal senso pag. 7). La sentenza colloca, quindi, l'infarto del miocardio (c.d. IMA), che ha dato il via alla catena causale che ha determinato la morte per la rottura del cuore, il (OMISSIS), tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), periodo che ricomprende pacificamente al suo interno, domenica (OMISSIS), giorno in cui il (OMISSIS) si recava in Ospedale. La Corte territoriale, tuttavia, tralascerebbe di considerare che qualora l'IMA fosse insorta tre giorni prima del decesso verrebbero comunque confermata la tesi difensiva secondo cui l'infarto sarebbe occorso il lunedi' (OMISSIS), ovvero il giorno dopo la visita della Dott.ssa (OMISSIS) e non il giorno precedente, prima della visita. Si lamenta che i giudici del gravame del merito non abbiano spiegato quale legge di copertura scientifica, nel caso di specie, giustifichi la collocazione dell'IMA oltre i 4 giorni, e quindi domenica 31 agosto, e non entro i tre giorni e quindi il 1 settembre, visto e considerato che il (OMISSIS) secondo quanto riferito dai parenti, avrebbe manifestato altri dolori nei giorni successivi (come attestato anche dalla Corte alle pagg. 3 e 4, di cui non e' stata in realta' richiesta ai testimoni con chiarezza l'intensita' nel corso del dibattimento). La datazione dell'infarto - proprio in ragione del riscontro autoptico (valutazione effettuabile ex post) - non potrebbe, infatti, andare oltre le precedenti 72 ore rispetto al giorno del decesso, avvenuto giovedi' (OMISSIS), con la conseguenza che al momento della visita della Dott.ssa (OMISSIS), avvenuta domenica 31 agosto - ovvero ben oltre le 72 ore precedenti la morte - non era in corso alcun infarto. Nel manuale "Brunwald" (hearticolo disease VI ed., testo base della cardiologia moderna (il cui estratto e' allegato alla consulenza Autore che si riallega per comodita' di lettura all. 3) si legge che la "necrosi coagulativa con perdita dei nuclei e delle strie trasversali in presenza di un abbondante infiltrato di granulociti neutrofili" riscontrata in sede autoptica si forma entro le 24 ore. Ne discende, pertanto, secondo la tesi sostenuta in ricorso, come la condotta della (OMISSIS) sarebbe stata assolutamente neutra ed esterna rispetto alla catena causale che ha poi condotto alla morte del (OMISSIS), avendo costei correttamente formulato la propria diagnosi in ragione dei dati diagnostici, atteso che non c'erano elementi che giustificassero la ripetizione degli esami. In particolare, si evidenzia come l'ECG effettuato presentasse una sola alterazione in V4 (in tal senso, l'ECG allegato alla cartella di pronto soccorso) - e non gia' due, come sostenuto per la prima volta in aula dal (OMISSIS), smentendo il referto da lui stesso stilato in fase di indagini il 15 gennaio 2014 - e in questi casi le linee guida (redatte sulla base dell'esperienza del caso simile e quindi sotto la copertura di una legge scientifica comunemente ritenuta valida, in ossequio ai principi vigenti in materia di responsabilita' medica previsti da questa Corte ai sensi della citata sentenza SSUU Franzese) non danno indicazione di infarto in corso e non prevedano la ripetizione dei markers enzimatici o dell'ECG ne' tantomeno il trattenimento del paziente (valutazione ex ante), espressamente disponendone, al contrario, la dimissibilita'. Le alterazioni istologiche rilevabili ("perdita dei nuclei e delle strie trasversali dei miociti" - in tal senso consulenza (OMISSIS) pag. 10) e constatate dal consulente tecnico del PM in sede di studio istopatologico della breccia miocardica riscontrata sul cuore del (OMISSIS) non consentono, se correttamente intese, arbitrarie estensioni di tale iato temporale oltre le 72 ore dal decesso. Di contro, la ricorrente lamenta che il tribunale abbia, infondatamente ed immotivatamente, espresso un convincimento completamente divergente, e soprattutto incompatibile con tali considerazioni, sulla base dell'espressa volonta' di non tenere conto dell'inoppugnabile dato autoptico e sulla pretesa assenza di ulteriori eventi ischemici nei giorni successivi, nonostante tale ultima circostanza sia stata espressamente smentita anche dal testimoniale della moglie e della figlia del deceduto. Il giudice di primo grado, in tal senso, avrebbe inopinatamente valorizzato la fantasiosa teoria dello slittamento della necrosi dei tessuti sostenuta dalla (OMISSIS) (in sentenza a p. 29) in assenza di letteratura medica sul punto a sostegno. In conclusione, per la ricorrente deve escludersi che l'infarto del miocardio che ha causato la morte del (OMISSIS) fosse in atto da ben quattro giorni proprio in ragione dell'assenza, al riscontro autoptico, di macrofagi deputati alla rimozione dei cardiomiociti, che fanno la loro comparsa entro 72 ore dall'infarto ed in presenza, invece, di un dichiarato ulteriore episodio di "dolore al petto" proprio entro il lasso di 72 ore dal decesso (dichiarato dalla moglie del paziente, (OMISSIS), ai Carabinieri della Stazione di Manziana ed avvenuto il giorno dopo la visita in pronto soccorso). La loro assenza dimostrerebbe inequivocabilmente che la datazione dell'infarto del miocardio non possa essere posposta di oltre 3 giorni rispetto al decesso. Porterebbero a tale conclusione anche le delucidazioni rese dal Dott. (OMISSIS), il quale evidenzia come, secondo quanto previsto dal manuale Brunwald (hearticolo disease VI ed., testo base della cardiologia moderna), la riscontrata "necrosi coagulativa con perdita dei nuclei e delle strie trasversali in presenza di un abbondante infiltrato di granulociti neutrofili" in sede autoptica, su cui tanto si e' speso il consulente del PM, non possa essere rilevante ai fini della datazione di un infarto del miocardio, databile a seconda delle diverse teorie formulate tra i tre e o i quattro giorni anteriori, formandosi essa entro il secondo giorno dell'infarto. Il Tribunale non avrebbe, inoltre, correttamente valutato che i marker di miocardionecrosi fossero negativi e che la tipologia di infarto che ha condotto alla morte avrebbe fatto rilevare all'ECG non gia' un sottoslivellamento bensi' un sopraslivellamento. Ed infatti, l'esame autoptico ha documentato che la causa dell'infarto del miocardio sia da rinvenire in una occlusione trombotica completa del ramo circonflesso della coronaria sinistra. E' noto, nella scienza medica - prosegue la ricorrente - che l'occlusione trombotica completa di una coronaria epicardica si accompagna ad un quadro elettro-cardiografico di prolungato sopraslivellamento del tratto ST, del tutto assente nell'ECG in atti, che presentava, invece, un sottoslivellainento, peraltro non diagnostico, come gia' osservato, in una singola derivazione. Insomma: l'ECG evidenziava un solo sottoslivellamento, del tutto irrilevante ai fini della diagnosi di una patologia in atto e, peraltro, del tutto incompatibile a segnalare la patologia che risulta aver determinato la morte del (OMISSIS) (patologia che si manifesta al tracciato con un sopraslivellamento prolungato). Su tale determinante obiezione la ricorrente lamenta che il giudice d'appello non abbia ritenuto di pronunciarsi in alcun modo, omettendo qualsivoglia motivazione, non assolvendo il proprio obbligo motivazionale allorquando, nell'elencare le risultanze istruttorie, mostra di utilizzare criteri non adeguati ed in contrasto con la legge scientifica da applicare al caso de quo. Il giudice di primo grado avrebbe, infatti, apoditticamente affermato la sussistenza di un preteso nesso eziologico senza il previsto e richiesto "allo grado di credibilita' razionale o probabilita' logica", avendo fondato la propria decisione non gia' su uno specifico enunciato scientifico, la cui validita' nel panorama della letteratura specialistica e' pacifica bensi' sulla preferenza - che appare arbitraria - per l'astratta ricostruzione teorica proposta dal consulente tecnico del PM, riducendo, invece, la versione proposta dal Dott. (OMISSIS) a mera congettura. La Corte territoriale, dal suo canto, non darebbe conto in sentenza dei criteri utilizzati nell'intento di selezionare, tra le diverse prospettazioni, quella su cui la comunita' scientifica registra un piu' largo e condiviso consenso, esponendo, per l'effetto, a censura la formazione del proprio (per cio' illegittimo) convincimento se non in termini di mera preferenza per la menzionata chiarezza espositiva del ct (OMISSIS). Viene ricordato in ricorso che questa Corte di legittimita' ha in piu' occasioni indicato quali siano i criteri di scelta che il giudice deve seguire per determinare l'ipotesi piu' attendibile al fine di selezionare, tra le tante prospettate, quella "sulla quale si registra un preponderante, condiviso consenso", quali, segnatamente: l'esame degli studi che sorreggono ciascuna teoria, la ponderazione circa "l'integrita' delle intenzioni" di ciascun esperto incaricato di veicolare il sapere scientifico nel processo penale; la ricostruzione del dibattito scientifico internazionale (in tal senso, ex multis, viene richiamata Sez. IV n. 43786/2010). Sapere scientifico prevalente - aggiunge il ricorrente - sicuramente veicolato dal Prof. (OMISSIS) che ha tratto le sue considerazioni dalle linee guida maggiormente accreditate quali il Chest Pain Score e, in particolare, dal Brunwald, il testo su cui si poggia la cardiologia moderna e sui cui sicuramente hanno studiato tutti i cardiologi ma non gia' i medici legali come l' (OMISSIS). Di tali elementi, invece, nella motivazione dell'impugnata sentenza, ci si duole non esservi v'e' traccia. Il giudice dell'appello avrebbe omesso di giustificare con il necessario grado di razionalita' la propria valutazione delle prove (travisamento della natura del dolore in base ad elementi oltre che infondati, incoerenti tra di loro) e di rendere trasparenti le linee seguite nel ragionamento probatorio, tanto da sembrare che sia arrivato ad elaborare un proprio originale punto di vista scientifico non sorretto da basi chiare. Cio' troverebbe, in particolare, riscontro nell'esplicitazione in sentenza delle ragioni che, secondo il giudice, giustificherebbero l'anticipazione dell'insorgenza dell'infarto, ovvero il sopra richiamato travisamento del fatto in ordine alla natura fissa e non variabile del dolore, come attestato in cartella e nel testimoniale della (OMISSIS). Il ricorrente ribadisce che, secondo la migliore letteratura medica citata dalla stessa consulente dell'accusa (in tal senso, pag. 11 della tabella riportata nella consulenza della Dott.ssa (OMISSIS)) tra le 24 e le 72 ore successive all'infarto si avvia la c.d. "necrosi coagulativa", con perdita dei nuclei e delle strie trasversali, e solo dopo le 72 ore - e non prima - si avvia la disintegrazione delle miofibre tramite l'azione dei c.d. "macrofagi" dall'infarto. Orbene - atteso che la Dott.ssa (OMISSIS) nel proprio referto autoptico certifica di aver riscontrato nella breccia miocardica del defunto solo la prefata necrosi e non menziona in alcuna maniera l'inizio della disintegrazione delle miofibre e o la presenza dei macrofagi ("D'altra parte, lo studio istopatologico dei prelievi del cuore ha evidenziato nella sede della breccia miocardica la presenza di necrosi coagulata con perdita dei nuclei e delle strie trasversali dei miotici in presenza di un abbandonate infiltrato di granulociti neutrofili" in tal senso, quanto si legge a pagina 10, ultimo capoverso consulenza (OMISSIS)) - deve ritenersi che l'infarto non fosse in essere da piu' di 72 ore al momento della rottura del cuore il (OMISSIS) e che, pertanto, il (OMISSIS), al momento della visita da parte della Dott.ssa (OMISSIS), l'infarto non fosse in atto, con conseguente correttezza dei comportamento assunto dal sanitario. Pertanto, quando parla di infarto del miocardio antecedente la rottura del cuore in un periodo variabile dai tre ai sette giorni, sarebbe evidente che tale momento, per quanto sopra esposto, debba necessariamente essere collocato al momento iniziale di tale iato, ovvero tre giorni e non oltre, e non di certo per un indistinto favor rei, bensi' per il dato oggettivo promanante dall'autopsia. Sarebbe, pertanto, censurabile il contrario ragionamento della Corte territoriale, che ha motivato sulla base di uno iato temporale cosi' ampio ed indistinto. La contestata mancata ripetizione degli esami enzimatici, in assenza dei requisiti richiesti per l'attivazione del protocollo ospedaliero in caso di diagnosi di patologia cardiaca, quindi, non sussisterebbe, proprio in ragione della non prevedibilita' il 31 agosto al momento della dimissione dell'evento. La consulenza tecnica redatta dal Dott. (OMISSIS) ed il relativo esame testimoniale reso in aula dallo stesso spiegano, infatti, come i rilievi autoptici confermino, senza alcun timor di smentita, che al momento della visita in Pronto soccorso non fosse ancora insorto l'infarto (avvenuto solo il successivo 1 settembre, quando, sentendosi ancora male il (OMISSIS), non si recava da un sanitario al quale pure era stato avviato dalla (OMISSIS) in sede di dismissione) e, quindi, la totale assenza di una malpractice medica in capo alla Dott.ssa (OMISSIS). A fronte di quanto chiarito, apparirebbe evidente, per la ricorrente, che la diagnosi polmonare fosse l'unica correttamente formulabile e che, anzi, l'atteggiamento tenuto dalla Dott.ssa (OMISSIS) abbia espresso grande attenzione, correttezza e rispetto' di quanto la letteratura medica al riguardo prescriva in assenza di un versamento pleurico. La mancata documentazione di "versamento pleurico" e', in senso contrario, totalmente irrilevante: il versamento pleurico non consegue a tutti i tipi di polmonite e un versamento pleurico avrebbe, secondo le linee guida, reso necessario il ricovero per polmonite grave. A cio' si aggiunga come il tipo di dolore (che varia con gli atti del respiro) determini l'esclusione della diagnosi di infarto piu' di quanto il dolore al braccio non la implichi, come desumibile anche dai punteggi assegnati nel Chest Pain Score, dove all'irradiazione al braccio del dolore e' attribuito un valore "+1", al dolore che varia con gli atti del respiro "-1" e al dolore oppressivo un valore "+3". La collocazione temporale dell'infarto al 31 agosto troverebbe, pertanto, evidente contraddizione ed impedimento negli stessi elementi clinico-laboratoristico-strumentali nonche' autoptici. Se questo e' vero, come e' vero, tutta la ricostruzione fattuale basata sul travisamento della natura del dolore toracico operata dalla Corte di appello perderebbe completamente di ogni validita' e con essa la conseguente contestazione mossa alla Dott.ssa (OMISSIS) di aver omesso i trattamenti sanitari in tesi necessari, tesi quest'ultima fallace, non solo nelle conclusioni, ma soprattutto nelle premesse dalle quali la Corte ha preso avvio per formulare il ragionamento logico - giuridico. Ne discenderebbe che appare non sussistere il nesso causale tra l'evento morte e la condotta dell'imputata - in realta' esente da qualsivoglia censura - con conseguente non addebitabilita' alla stessa del medesimo evento. Pertanto, la ricorrente chiede a questa Corte di legittimita' di valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico in materia cardiologica, che avrebbe dovuto riguardare la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilita' delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (peraltro gravemente travisato). Nel caso di specie risulterebbe, invece, pacifico che il giudice del merito abbia sbagliato nella scelta della tesi scientifica propalata dal consulente (OMISSIS), medico legale, preferendola sulla base delle ragioni non congrue di sopra emarginate a quella portata avanti dal Prof. (OMISSIS), noto cardiologo. E non appare aver assolto al proprio obbligo di dare congrua ragione della scelta e dimostrare di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Nella fattispecie de qua costituirebbe un chiaro vizio della motivazione l'avere omesso l'esame critico di passaggi fondamentali della relazione tecnica del Prof. (OMISSIS), ovvero i risultati del Chest Pain score e le conseguenze che si possono trarre dai riscontri autoptici di cui non c'e' traccia in sentenza. Omettendo di considerare almeno i due prefati elementi di analisi fondamentali per valutare ex post la condotta del sanitario il giudice, anche dell'appello, nel valutare discrezionalmente le emergenze processuali, non avrebbe adempiuto compiutamente all'onere motivazionale, esponendo argomenti non adeguati ed illogici determinanti per la formazione del suo convincimento. Ci sarebbe stato "travisamento della prova", inoltre, in quanto i giudici di merito avrebbero fondato le proprie conclusioni su un elemento non sussistente (dolore variabile col respiro e non gia' fisso). Con un secondo motivo nell'interesse della (OMISSIS) si deduce mancanza e o manifesta illogicita' della motivazione (articoli 192 e 597 c.p.p.) per l'assenza dell'elemento soggettivo (colpa grave) ex articolo 590 sexies c.p., comma 2. Rileva la ricorrente come il giudice di primo grado abbia ritenuto "grave" il grado della colpa illustrandone (seppur in maniera infondata, si intende, le ragioni) "poiche' l'imputata non si e' trovata a dover affrontare, sul piano diagnostico, un caso clinico di particolare difficolta' ma un caso fronteggiabile con interventi conformi agli standard, quali delineati nelle citate linee guida" (pag. 31 della Sentenza). La corte di appello, al contrario ed illegittimamente, non avrebbe ritenuto di dover spiegare per quale ragione la pretesa "leggerezza inescusabile" in capo alla prevenuta debba essere considerata "grave" e non rientrare quindi nel genus della colpa lieve con le conseguenze del caso ("e' chiara ed inescusabile la leggerezza con la quale l'imputato ipotizzo' la presenza di una patologia che non aveva alcuna evidenza radiologica ne' era diagnosticabile sulla scorta degli esami ematici, omettendo del tutto di approfondire, come prescritto dalle linee guida in materia, il versante della patologia cardiaca, manifestata attraverso il dolore toracico con irradiamento al braccio sinistro dal paziente, in presenza di tre fattori di rischio, e della quale era anche una spia il risultato non tranquillizzante del tracciato ECG" cosi' a pag. 10) Per la ricorrente nessuno dei due giudici di merito ha spiegato se la natura della colpa riscontrata ricada nelle figure generali dell'imperizia, dell'imprudenza o della negligenza. E ci si duole che tale omesso inquadramento, alla luce della Legge Gelli Bianco, crei dei problemi interpretativi di non poco respiro, in quanto dell'articolo 590-sexies c.p., il comma 2 introdotto dalla L. n. 24 del 2017, e' norma piu' favorevole rispetto al Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, in quanto prevede una causa di non punibilita' dell'esercente la professione sanitaria collocata al di fuori dell'area di operativita' della colpevolezza, operante ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificita' del caso) - nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta (anche gravemente) imperita nell'applicazione delle stesse (si richiama sul punto Sez. 4, n. 50078/2017 in relazione ad una fattispecie di colpa grave per imperizia nell'esecuzione di un intervento di lifting). Ebbene, per la ricorrente, qualora si ritenesse fondata la teoria accusatoria di insorgenza dell'infarto gia' il 31 agosto (che, viene ripetuto, poggerebbe sulla travisata natura del dolore lamentato dal paziente) al momento della dimissione dal PS di (OMISSIS), la colpa mai potrebbe configurarsi come "grave", cosi' come semplicisticamente ritenuto dal giudice di prime cure e, si deve ritenere, anche dal giudice di Appello, quanto - tutt'al piu' - "lieve" in ragione dei tratti specifici della vicenda e della complessita' del quadro patologico, oltre che dalla circostanza per la quale, sulla base dei dati all'epoca disponibili e tutti documentati in atti, la (OMISSIS) si sarebbe scrupolosamente ed adeguatamente attenuta alle linee guida maggiormente affidabili sulla materia. Cio' in quanto - ribadisce la ricorrente - che le linee guida consigliavano di non ripetere gli esami, ritenendo sufficienti le indagini gia' effettuate all'ingresso, nonche' l'esistenza di una diagnosi alternativa, validata da altro medico, con conseguente applicabilita' della L. n. 24 del 2017, articolo 5, c.d. "Legge Gelli", secondo cui "Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalita' preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificita' del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida" (si richiama il precedente di cui a Sez. 4 n. 16237/2013). Ne discenderebbe come, in ragione del concreto e corretto esercizio della ars medica da parte della (OMISSIS), non possa che concludersi come, in assenza di colpa grave - ovvero dell'elemento soggettivo oggi previsto in via esclusiva dalla normativa in tema di responsabilita' medica - la stessa debba essere assolta perche' il fatto non costituisce reato. Con un terzo motivo ci si duole della manifesta illogicita' della motivazione (articoli 199 e 499 c.p.p.) per travisamento della prova e comunque del fatto. Si evidenzia in ricorso che nell'impugnata sentenza si e' ritenuto in diversi punti che non ci siano elementi per asseverare la tipologia di dolore (variabile col respiro) lamentata dal paziente in sede di triage ("rif. dolore toracico irradiato arte sup. sin aumento della sintomatologia con gli atti respiratori" in tal senso cartella clinica di PS) ed in sede di anamnesi alla Dott.ssa (OMISSIS) ("allora inizialmente e' stata fatta dall'infermiere di triage, e' arrivato dicendo che aveva un dolore toracico che aumentava quando respirava" - in tal senso teste (OMISSIS) trascrizioni ud. 4/2/16 p. 26 che si allega all. 2). La pretesa assenza di variazione del dolore indipendentemente dal respiro viene in sentenza direttamente collegata all'insorgenza dell'infarto antecedentemente al momento dell'accesso in ospedale - come sostenuto dal CT del Pm (OMISSIS) e non il giorno successivo dopo la dimissione del paziente - come sostenuto dal CT (OMISSIS) "sulla scorta dell'accertamento autoptico... esordio della patologia in epoca immediatamente precedente rispetto al ricovero, dovendosi escludere l'insorgenza dell'episodio infartuale in epoca successiva" (in tal senso l'impugnata Sentenza p. 10) e pertanto non giustificabile quindi la diagnosi differenziale di patologia polmonare. Diagnosi ammissibile, quindi, soltanto in caso di variazione del dolore con la respirazione con ovvie ricadute sulla valutazione della sussistenza dell'elemento soggettivo e sul relativo grado la cui importanza in caso di presunta mal pratiche, acquisiscono una valenza determinante. Tale assunto (insussistenza della variabilita' del dolore al variare del respiro) costituirebbe, pertanto un vero e proprio travisamento del fatto in quanto e' attestato dalla cartella clinica e dal testimoniale della teste (OMISSIS) che, nonostante quanto ritenuto dalla Corte di appello, non possono essere messi in dubbio da nessuno degli elementi promananti dal fascicolo del dibattimento indicati dalla Corte. Ne discenderebbe che, qualora la Corte territoriale non avesse travisato tale elemento probatorio ed avesse considerato sussistente la variazione del dolore col respiro del (OMISSIS), avrebbe ritenuto corretta la diagnosi polmonare formulata in sede di dimissione dalla ricorrente (OMISSIS), con ovvie ricadute sulla valutazione della sussistenza eventuale dell'elemento soggettivo e del relativo grado, la cui importanza, in caso di presunta malpractice post Legge Gelli-Bianco, acquisisce una valenza determinante (il dolore della sindrome coronarica acuta e' un dolore fisso, oppressivo, che non si modifica con gli atti respiratori in tal senso CT (OMISSIS) ud. 25/10/2016 pag. 62) confermato anche dal consulente (OMISSIS): "nell'infarto acuto vero il dolore e' fisso..." in tal senso CT (OMISSIS) ud. 25/10/2016 pag. 63). Tale assunto (indifferenza del dolore al variare del respiro) ed il suo ritenuto necessario corollario (erronea diagnosi polmonare) costituirebbe, pertanto, per il ricorrente "un vero e proprio travisamento del fatto" (cosi' pag. 13 del ricorso). Di certo - e' la tesi sostenuta in ricorso - non possono mutare la natura del dolore da variabile col respiro a fisso e oppressivo che consegue necessariamente alla sindrome coronarica cosi' come preteso dalla Corte territoriale a pag. 10 i seguenti elementi: a) il dolore al braccio sinistro ritenuto un sintomo altamente indicativo dell'Infarto del miocardio; b) i risultati dell'Rx ritenuti insufficienti per diagnosticare una patologia polmonare; c) i tre fattori rischio cardiaco, fumo, eta' e sesso maschile; d) l'ecg con un'unica alterazione nel tratto ST definito "non tranquillizzante" su basi non scientifiche; e) la mancata reiterazione dei marker enzimatici. A questi elementi, in precedenza, la Corte territoriale aveva aggiunto anche il testimoniale dei parenti del (OMISSIS) (il richiamo e' a pag. 4 della sentenza, ove si legge si legge che "nessuno dei testimoni esaminati in dibattimento ha riferito che il dolore si modificasse di intensita' con gli atti respiratori". Per tutti i punti sopra ricordati suffragherebbero la tesi accusatoria le sole conclusioni del consulente tecnico del Pm, che per il difensore ricorrente non sarebbero collegabili ad una valente e consolidata letteratura medica. In merito al punto a), si sostiene in ricorso che la Corte non spiega ne' indica quale sarebbe la legge di copertura scientifica che consente di affermare che un dolore toracico irradiato anche al braccio comporti necessariamente che il dolore non possa variare in ragione della respirazione (affermazione questa talmente ardita che nemmeno i consulenti del Pm hanno formulato); al contrario, essendo espressamente considerata nel Chest Pain Score (le linee guida internazionali piu' affidabili in materia) la possibilita' che ricorrano entrambe le caratteristiche del dolore al petto: irradiazione al braccio e variazione con gli atti del respiro. In merito al punto b), La Corte territoriale, infatti, non spiega ne' indica quale sarebbe la legge di copertura scientifica che le consentirebbe di affermare per quale motivo l'RX Torace non giustificasse la diagnosi polmonare fronte del fatto che l'RX del torace (validato dalla radiologa Dott.ssa Pianura) documentava "in sede paracardiaca sinistra presenza di accentuazione della trama bronco-vasale che confluisce a formare uno sfumato addensamento parenchimale", ovvero un addensamento dal contorno non netto, tipico delle alveoliti, la cui espressione piu' comune e' proprio la polmonite, anche virale, pertanto idoneo a giustificare il dolore lamentato al petto dal paziente, che si modificava, infatti, con gli atti del respiro. In presenza di un sintomo non tipicamente cardiaco bensi' pleumo-polmonare, di un quadro elettrocardiografico e laboratoristico negativo per infarto del miocardio e di un quadro radiografico indicativo di un processo bronco-pneumonico che giustificava il dolore lamentato dal paziente, per il difensore ricorrente appare, dunque, del tutto corretta la diagnosi eseguita dall'imputata di processo flogistico e di esclusione di ogni cardiopatia in corso. E a nulla varrebbe la considerazione per la quale in sede autoptica non sarebbe stato documentato alcun versamento pleurico, posto che il versamento pleurico non consegue a tutti i tipi di polmonite. In merito al punto c), la Corte capitolina, inoltre, non avrebbe spiegato per quale motivo i fattori di rischio, peraltro annotati dalla (OMISSIS) in cartella, avrebbero dovuto indurre ad una diagnosi cardiaca e non polmonare in assenza di un dolore fisso. E, ad ogni modo, si sottolinea come non acquisiscano una particolare rilevanza per la valutazione della natura del dolore toracico e possibile origine cardiaca mediante il c. d. "chest pain scores" metodo riconosciuto ed applicato a livello internazionale dalle societa' di cardiologia che attribuisce alla variazione del dolore con gli atti del respiro un punteggio "-1", idoneo a rendere irrilevante l'irradiazione del dolore al braccio, al quale lo stesso metodo attribuisce un punteggio pari, infatti, a "+1". L'unico altro sintomo rilevante era, dunque, la localizzazione retrosternale precordiale, al quale l'imputata, sempre in applicazione del citato metodo, assegnava un punteggio pari a 3 punti, per cui il risultato complessivo del calcolo era "score" 4 dolore atipico bassa probabilita' di angina pectoris" (in tal senso, la tabella tratta dalle linea guida per il dolore toracico PDT, riportata anche dal Prof. (OMISSIS) (CTPC) a pag. 3 della sua Relazione). In merito al punto d), si lamenta che la Corte territoriale, infatti, non spieghi ne' indichi quale sarebbe la legge di copertura scientifica che le consentirebbe di affermare che il tracciato ECG (definito non rilevante poche righe prima) fosse non tranquillizzante a fronte del fatto che solo una doppia alterazione contigua attesta una patologia cardiaca (tanto e' vero che, secondo il difensore ricorrente, il (OMISSIS) ha provato nel corso dell'esame, dopo diversi mesi dalla prima lettura del tracciato, ad inventarsene una seconda contraddicendo se stesso rispetto all'iniziale valutazione sancita nella diagnosi trascritta nel certificato del 15 gennaio 2014, ma soprattutto sotto il profilo della valutazione del tracciato dell'ECG e della valutazione del sottoslivellamento). Segnatamente l'elettrocardiogramma, effettuato alle 17:59, documentava un ritmo sinusale normofrequente. Il tracciato era, quindi, da considerare del tutto normale. La presenza del sottoslivellamento ST di circa 1 mm isolato in V4 non rappresentava, infatti, indice di alcun problema cardiologico, posto che secondo le linee guida internazionali la diagnosi elettrocardio-grafica di ischemia del miocardio (e, dunque, il "segno di ischemiasubendocardiaca") necessita della presenza di alterazioni specifiche in almeno 2 derivazioni elettrocardiografiche anatomicamente contigue. Tanto e' vero che la medesima Corte afferma che tale alterazione non fosse particolarmente rilevante (in tal senso pag. 9 della sentenza impugnata). In merito al punto e), la Corte territoriale, ancora, non spiegherebbe ne indicherebbe quale sarebbe la legge di copertura scientifica che le consentirebbe di affermare che sussisteva l'indicazione a ripetere gli esami diagnostici: l'ECG era normale, i marker di diagnosi precoce di cardiopatia ischemica avevano dato esito negativo con percentuali tranquillizzanti: il prelievo ematico, eseguito alle ore 18:29 (circa due ore dopo l'inizio del dolore), documentava infatti normali valori dei marcatori di miocardio necrosi (mioglobina, Troponina I, CK-MB) e, addirittura, un livello della mioglobina - un marcatore sensibile e molto precoce del danno cardiaco (si eleva gia' dopo la prima ora dall'infarto ed e' chiaramente rilevabile gia' a due ore dalla necrosi miocardica, come specificato nelle Linee Guida della American Hearticolo Association) - al limite inferiore della norma. Peraltro, prosegue il ricorso, e' noto e pacifico che la concorde negativita' di tutti i marcatori di miocardionecrosi, rafforza il valore diagnostico del risultato di laboratorio: secondo un noto ed autorevole studio, effettuato su pazienti giunti precocemente in pronto soccorso, un prelievo ematico eseguito solo all'ingresso in ospedale, che documenti valori normali sia di mioglobina che di troponina, e' in grado di escludere la presenza di un infarto del miocardio nel 98% dei casi, mentre la ripetizione dell'esame dopo 90 minuti incrementa la precisione del risultato di solo 1,6%. Il paziente, poi, anche col passare del tempo, continuava a non manifestare alcuno degli stati fisici compatibili con una patologia cardiaca concretamente in atto, atteso che il (OMISSIS) non era affetto da sudorazione e non avvertiva piu' alcun dolore. Di contro risultavano gli elementi per essere certi di una affezione polmonare: il paziente accusava un dolore che si modificava con gli atti del respiro; il radiologo, sulla base della lastra del torace, aveva descritto un addensamento polmonare, ben segnalato e non certo aspecifico. Il ricorrente ricorda che le linee guida cardiologiche, richiamate anche nella C.T. del PM Dott.ssa (OMISSIS), definiscono, infatti, un tale dolore (variabile con gli atti del respiro) "atipico" per le patologie cardiache (l'infarto al miocardio e' caratterizzato da un dolore toracico oppressivo insensibile alle variazioni posturali o del respiro) e piu' tipico, invece, per quelle di natura pleurica. A nulla rileverebbe, invece, l'immaginifico comune, emerso in dibattimento ma suggestivo al punto di condizionare anche la Corte di appello, secondo cui un siffatto dolore sarebbe "altamente sintomatico" di un infarto in atto (in tal senso, la sentenza impugnata a pag. 9) - considerazione forse emotivamente suggestiva ma priva di qualsivoglia fondamento scientifico. Di contro, secondo i metodi di calcolo cardiologici del "Chest pain scores" l'irradiazione al braccio del dolore e' posto come valore sintomatico (uno in negativo l'altro in positivo) sullo stesso piano della variazione del dolore con gli atti del respiro. Quanto al punto f), la Corte territoriale, ancora, non spiegherebbe le ragioni secondo cui il testimoniale della parte civile, signora (OMISSIS), moglie del defunto invalidi la cartella o il testimoniale dalla Dott.ssa (OMISSIS) medesima in ordine al riferito del paziente in sede di triage e riportato in cartella (atto pubblico fidefaciente peraltro fino a querela di falso che non risulta presentata) in sede di anamnesi e mutare la natura del dolore del paziente. Difatti la stessa signora ha affermato in aula che, dopo l'accesso al triage e l'ingresso del marito nell'area di cura propriamente detta, era rimasta fuori nell'area di attesa ad attendere la fine degli accertamenti ("l'ho lasciato li' perche' non ha fatto permesso di rimanere dentro" in tal senso ud. 4/2/16 pag. 5). Poiche' non l'hanno fatta rimanere all'interno del PS e di aver parlato solo con un infermiere uomo (lui dice: "va bene signora, non fa niente rimane qui che pensiamo noi"), e' evidente che la stessa, oltre a non aver parlato con la dottoressa (OMISSIS), non ha potuto assistere all'anamnesi del marito da quest'ultima dottoressa operata ("Allora lui e' rimasto dentro, noi siamo usciti fuori in sala per aspettare,.."- in tal senso Signora (OMISSIS) pag. 5 e ss ud. 4/2/2016). La signora (OMISSIS) ha affermato di avere aspettato fuori per tre ore e solo dopo terminate gli accertamenti un infermiere l'ha chiamata per parlare con una dottoressa che ipotizzando una polmonite aveva dimesso il marito (in tal senso p. 6 udienza 4/2/16) - e quindi non la (OMISSIS) ma l' (OMISSIS). Ne discende, continua il ricorrente, che la natura variabile col respiro risulta essere un fatto certo ed incontrovertibile, e pertanto non travisabile, se non compiendo l'erronea operazione ermeneutica effettuata dal giudice dell'appello. Con un quarto motivo di ricorso si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonche' vizio di motivazione in relazione all'ordinanza di rigetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., comma 3, attesa l'indispensabilita' di una perizia e della riassunzione della prova testimoniale della signora (OMISSIS). La Corte capitolina - ci si duole - ha rigettato la richiesta di rinnovazione dibattimentale volta all'effettuazione di una perizia per l'accertamento dell'esatto momento di insorgenza dell'infarto del miocardio ritenendola a pag. 6 "superflua, non in grado di apportare nuovi e dirimenti elementi conoscitivi" sulla base dell'interpretazione fornita del consulente (OMISSIS) secondo la quale "il versamento intrapericardico... che aveva determinato la rottura del cuore... dai tre ai sette giorni dopo l'insorgenza dell'infarto" (in tal senso pag. 6). Affermazione tuttavia che non tiene conto, secondo il ricorrente, del fatto che, se fosse collocabile e collocata entro i tre giorni ipotizzati anche dal consulente del PM, e quindi il primo settembre 2013, la Dottoressa (OMISSIS) non avrebbe posto in essere alcuna omissione rilevante nella catena causale che ha portato all'exitus del paziente. Viene ricordato in ricorso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita', il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimita', nella sola ipotesi in cui "la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado, si fondi su elementi piu' che sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilita'" (in tal senso viene richiamata Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013). Apparirebbe, di contro, evidente come la Corte territoriale non abbia compreso che l'elemento dirimente per determinare la responsabilita' del sanitario non poggiasse sulle cause della morte - pacifiche e riconosciute da tutti i consulenti bensi' sulla corretta datazione dell'evento ischemico che poi ha portato alla morte. Elemento in assenza del quale, qualora per il favor rei non si voglia collocare il momento dell'IMA al limite inferiore dello iato temporale fissato dal CTPM e riconosciuto valido anche dalla stessa Corte territoriale, ovvero tre giorni e quindi il (OMISSIS), risulterebbe impossibile decidere allo stato degli atti. Ed invero, solo una datazione corretta dell'evento ischemico ovvero la rottura del cuore consente al giudice di valutare se, al momento della visita, la Dott.ssa (OMISSIS) abbia correttamente inquadrato la fattispecie al suo esame ed applicato correttamente le linee guida in merito. Valutazione possibile attraverso l'accertamento peritale richiesto con la rinnovazione dibattimentale. Appare quindi necessario - secondo la tesi proposta in ricorso - in ragione della corretta formulazione del c.d. "giudizio controfattuale", accertare con un ragionevole grado di certezza quando effettivamente sia insorta la patologia, valutazione che, di contro, nel caso di specie appare essere stata il frutto di un mero arbitrio, in quanto non fondata su alcun dato tecnico-scientifico e comunque ricomprendente anche un momento idoneo ad escludere la responsabilita' dell'imputata. Di contro, nel caso di specie, si sarebbe omesso di considerare sia il dato autoptico che il dato storico inoppugnabile consistente nel malore avvertito dal defunto il giorno successivo alla visita in pronto soccorso ed alla dimissione. Relativamente al dato autoptico, l'accertamento, per il ricorrente, non potra' prescindere dal riesame dei prelievi istologici effettuati in seguito all'autopsia (i vetrini tutt'ora in deposito presso l'Istituto di medicina legale). Cio' in quanto per il ricorrente appare necessario che venga effettuata una perizia in merito a tali vetrini al fine di accertare l'esatto momento di insorgenza dell'infarto anche mediante che consentira', senza alcun timor di smentita, di correttamente datare il dato anatomopatologico, fornendo, finalmente un chiaro quadro idoneo a dissipare ogni dubbio e a smentire, quindi, le ricostruzioni dell'accusa, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudicante di prime cure. In ragione dell'evidente travisamento del fatto, qualora residuassero dubbi in seno al Collegio in ordine all'inoppugnabilita' del dato autoptico ai fini della datazione dell'infarto, il ricorrente insiste sulla necessita' di riassumere la testimonianza della signora (OMISSIS) in merito all'episodio di grave dolore al petto del (OMISSIS), giorno successivo all'accesso al pronto soccorso, e del miglioramento delle condizioni da costei riferito in sede di indagini ma non specificatamente riportati in sede dibattimentale, ove la stessa ha, infatti, solo genericamente riferito di dolori al petto nei giorni successivi ("nei giorni successivi ebbe ancora dolori- Si". come si legge a pag. 10 delle trascrizioni relative all'udienza del 4 febbraio 2016). Si sottolinea in ricorso, infatti, come il mancato accertamento di tali fondamentali circostanze renda impossibile decidere allo stato degli atti, avendo il giudicante di prime cure accolto la tesi dello slittamento dell'infarto proposta dalla Dott.ssa (OMISSIS) solo perche' agli atti non ci sarebbero prove di un evento ischemico successivo al 31 agosto, circostanza, come visto, non vera. Senza contare, poi, che - come gia' evidenziato - la Signora (OMISSIS), costituitasi parte civile, sia evidentemente portatrice di un chiaro interesse privatistico che dipende in maniera diretta ed univoca proprio dalla datazione dell'evento ischemico. Ne discenderebbe, pertanto, la grave incompletezza sul punto dell'indagine dibattimentale, al punto da rendere impossibile prendere una decisione allo stato degli atti senza aver prima provveduta ad un'indispensabile rinnovazione dell'istruttoria (vengono sul punto della rinnovazione istruttoria citati i precedenti di Sez. 6 n. 8936/2015 e Sez. 3 n. 21687/2004). Per il ricorrente appare necessario chiarire l'evento del 1 settembre, citato in sede di sommarie informazioni come un evento eccezionale ed unico nello iato temporale intercorso tra l'accesso al pronto soccorso della domenica 31 agosto e la morte avvenuta il giovedi' (OMISSIS). e le effettive condizioni presentate dal (OMISSIS) nei giorni successivi. Le dichiarazioni rese in fase di indagine giustificano, di per se' sole, la richiesta di una rinnovazione dibattimentale a fronte della motivazione sottostante la condanna anche in sede di appello. Con un quinto motivo si deduce mancanza contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione, travisamento del fatto e violazione di legge per la mancata conversione della pena. Si lamenta sul punto da parte della Corte di appello un acritico recepimento delle considerazioni operate dal giudice di prime cure in tema di trattamento sanzionatorio. In particolare, la corte di appello (pag. 10) avrebbe completamente omesso di indicare le ragioni secondo le quali "non si apprezzano quindi i presupposti per effettuarsi la richiesta riconversione della pena" avendo solo affermato nel periodo precedente che la pena fosse equa e proporzionata ed avendo fruito l'imputata dei benefici e delle attenuanti generiche. Ma senza indicare le ragioni per la mancata riconversione della pena che afferiscono ad un diverso piano non assolvendo quindi al proprio obbligo motivazionale (viene ricordato sul punto il dictum di questa Sez. 4 n. 46432/2018 secondo cui incorre nel vizio di motivazione e nella violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, articoli 53 e 58 il giudice di secondo grado che, investito di motivi d'appello con i quali si chiede la conversione della pena detentiva breve in pena pecuniaria ex articolo 53 della stessa legge, non fornisca adeguata motivazione in merito alla mancata conversione. L'attenta lettura dell'incartamento processuale, delle motivazioni della sentenza di primo grado e dell'atto di appello, per la ricorrente avrebbero dovuto indurre la Corte capitolina ad una diversa e maggiormente adeguata dosimetria della pena ed all'applicazione del richiesto istituto della conversione della pena di cui alla L. n. 689 del 1981. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. - ai soli effetti civili ex articoli 573 - 576 c.p.p. le parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS). Le pp.cc. deducono inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 581, 597 e 605 c.p.p., in ordine al mancato esame di motivi di impugnazione dalle stesse presentati, ovvero mancanza della motivazione sui medesimi. Lamentano con un primo motivo che la Corte territoriale, nella stesura della motivazione della Sentenza oggetto del presente ricorso, abbia omesso totalmente di valutare uno dei motivi di appello, il primo, con cui le parti civili avevano lamentato che il giudice di prime cure avesse errato nel riconoscere da parte della vittima un concorso di colpa, omettendo, inoltre, di stabilirne l'eventuale percentuale. Nel corpo dei motivi di gravame nel merito, viene ricordato, oltre ad essere riportato testualmente il passaggio della sentenza di primo grado che si impugnava, si richiamavano le numerose prove emergenti dal compendio probatorio, a dimostrazione della totale infondatezza del riconoscimento di un concorso del (OMISSIS) nella causazione del proprio decesso. Si lamenta che la Corte territoriale non abbia preso in minima considerazione tale censura, ma abbia concentrato la sua motivazione solo ed esclusivamente sul secondo punto di impugnazione delle parti civili, nella parte in cui si criticava la sentenza di primo grado laddove prevedeva una provvisionale di importo estremamente ridotto. Il motivo veniva rigettato sul duplice rilievo che, nella quantificazione provvisoria ad opera del giudice di primo grado: 1. al momento lo stesso era stimabile esclusivamente sotto il profilo della sofferenza e dei conseguenti disagi per la perdita del familiare (rispettivamente coniuge, padre e genero delle costituite parti civili); 2. che non pare aver influito, nella determinazione di siffatto importo, alcuna valutazione negativa circa la condotta concorrente del paziente nella determinazione del suo proprio decesso, avendo il tribunale, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, evidenziato come costui, avendo accusato a piu' riprese, dopo la dimissione, il medesimo dolore toracico, non si fosse rivolto ai presidi sanitari per una rivalutazione del quadro patologico, atteso che la terapia antibiotica prescritta non aveva sortito nei primi quattro giorni alcun effetto benefico; 3. che il tribunale ha preso correttamente in considerazione la natura della parentela esistente con il de cuius, l'eta' della vittima e quella dei superstiti, rinviando alla competente sede civile per la determinazione integrale del danno risarcibile, derivandone un importo che risulta quindi equo e proporzionato, trattandosi di risarcimento disposto in via esclusivamente provvisionale e con riferimento al danno morale. La Corte capitolina, limitandosi a, ha totalmente disatteso e violato il disposto di cui agli articoli 581 e 597 c.p.p. omettendo di decidere su un punto di appello demandato al secondo giudice dalla difesa delle parti civili (si richiama in proposito il dictum di Sez. 2 n. 52617/2018) e si sostiene che, in ogni caso, anche a volere ritenere che la Corte territoriale lo abbia valutato, non puo' che ritenersi la decisione del secondo giudice viziata da una palese carenza della motivazione. La Corte capitolina - si sostiene in ricorso - non si e' espressa neppure sul punto del concorso di colpa, non evincendosi in alcuna parte della sentenza alcuna valutazione in ordine alla correttezza ovvero infondatezza dell'assunto relativo ad una compartecipazione della vittima nella causazione dell'evento. Tale modus operandi non potrebbe che ritenersi un classico caso di "motivazione apparente" e, come tale, del tutto insufficiente a strutturare legittimamente una sentenza di secondo grado, non essendovi traccia alcuna della confutazione della tesi, supportata da svariati elementi di prova, puntualmente elencati nell'atto di appello delle pp.cc., relativa alla esclusiva riconducibilita' dell'evento morte alla condotta dell' (OMISSIS), senza alcun apporto causale rinvenibile nel comportamento del (OMISSIS). Con un secondo motivo si deduce contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione rispetto al verbale di Pronto Soccorso del 31/8/2013, alle testimonianze di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' alle stesse dichiarazioni rese dall'imputata nel corso del suo esame ovvero inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 2043, 1227 e 2056 c.c.. Pur ritenendo assorbente il precedente motivo di ricorso, si evidenzia in ogni caso che la Corte territoriale affermava, nel corpo della propria motivazione, come il concorso di colpa del (OMISSIS) fosse stato riconosciuto fondato dal tribunale in virtu' della circostanza che il predetto non si sarebbe rivolto ai presidi sanitari nei giorni successivi, atteso che la terapia antibiotica non aveva sortito effetti benefici, ma tale assunto sarebbe in aperta contraddizione con le prove richiamate dalla difesa di parte civile nel proprio atto di appello. In primo luogo, la decisione del Corte di Appello risulterebbe contraddittoria con quanto provato dal verbale di pronto soccorso del 31/7/2013, in cui non si faceva minimamente riferimento ad alcun tipo di problema cardiocircolatorio, ovvero in nessun caso veniva prospettato al paziente il rischio di un infarto. A cio' si aggiunga il fatto che al paziente in sede di dimissioni non fu mai detto che l'elettrocardiogramma effettuato presentasse delle criticita' rilevanti del tutto sottovalutate dalla (OMISSIS). Per le parti civili, sostenere, come fatto dal tribunale e semplicemente condiviso dalla Corte di Appello, che il (OMISSIS) avesse un onere di recarsi nuovamente a presidi sanitari nei giorni successivi, risulterebbe del tutto contraddittorio, essendo emerso come lo stesso avesse, eventualmente, l'onere di tornare presso il nosocomio (il (OMISSIS) non aveva un medico curante), soltanto all'esito della cura, la quale, come detto, aveva una durata di sette giorni. L'infarto, invece, interveniva circa tre giorni dopo le dimissioni, senza che fosse emerso alcun peggioramento delle condizioni di salute del deceduto, il quale, quindi, non poteva che confidare nella certezza che la terapia prescrittagli, avesse dato i suoi effetti all'esito del ciclo previsto. La motivazione della Corte territoriale secondo la quale il (OMISSIS) avrebbe contribuito al suo decesso non recandosi presso l'ospedale nei giorni successivi alle sue dimissioni, risulterebbe contraddittoria ed illogica anche rispetto alle dichiarazioni rese dall'imputata (OMISSIS), la quale dichiarava espressamente, come riportato nell'atto di appello agli affetti civili, che il paziente si sarebbe dovuto recare presso l'ospedale soltanto se i sintomi si fossero aggravati. Ebbene, come comprovato dalle testimonianze di (OMISSIS), risulterebbe provato non solo come i sintomi non si fossero giammai aggravati, ma al contrario i dolori risultavano leggermente affievoliti, in considerazione del fatto che il (OMISSIS) era rimasto a riposo in casa per tutto il tempo successivo alle sue dimissioni dall'ospedale, cosi' da lasciare pensare, al deceduto e ai suoi familiari, che la terapia antibiotica stesse chiaramente facendo effetto. Affermava, infatti, la moglie del deceduto, ad apposita domanda della difesa dell'imputata volta a sapere se nel corso dei giorni successivi i sintomi si fossero aggravati ovvero attenuati, come i dolori persistessero nei giorni seguenti, ma con intensita' minore. La stessa figlia del deceduto, (OMISSIS), alla domanda relativa alla circostanza se i dolori fossero diminuiti nei giorni a seguire, rispondeva: "un po' si, non come prima pero', ancora gli faceva male, i dolori andavano e venivano". Infine, (OMISSIS) confermava la circostanza affermando sul punto "ce l'aveva i dolori pero' non cosi' forti come prima". Ebbene, il compendio probatorio richiamato, mostrerebbe la totale contraddittorieta' ed illogicita' della sentenza di secondo grado, la quale risulta avere dato per certo, nella decisione di riconoscere un concorso di colpa del (OMISSIS), un elemento chiaramente smentito da tutte le prove assunte, ossia che i dolori al petto sulla persona del deceduto, si fossero aggravati nel corso dei giorni successivi alle sue dimissioni. Ancora piu' illogica e contraddittoria risulterebbe la sentenza, alla luce delle contrarie circostanze emerse dal compendio richiamato. Il (OMISSIS) risultava totalmente rassicurato dalla diagnosi di polmonite stilata dalla (OMISSIS) e dalle sue indicazioni di assumere una terapia per la durata di sette giorni, cura che sarebbe stata risolutiva per la malattia allo stesso diagnosticata. Inoltre, lo stesso deceduto riscontrava come, a seguito dell'inizio della terapia antibiotica prescrittagli, non avesse avuto piu' dolori cosi' forti come quelli che lo avevano spinto a recarsi al Pronto Soccorso, dato questo confermato da tutti i testi sentiti nel corso di primo grado. Risulterebbe illogico e contraddittorio, alla luce di quanto sopra detto, sostenere che il (OMISSIS) dovesse, solo 72 ore dopo le dimissioni, recarsi nuovamente presso il nosocomio, non avendo riscontrato alcun aggravamento dei sintomi indicatogli dalla (OMISSIS) quale unico fattore che avrebbe dovuto spingere il predetto a tornare presso il Pronto Soccorso. In ogni caso, per il difensore delle parti civili, laddove si dovesse ritenere che la sentenza non sia contraddittoria nell'avere riconosciuto un concorso di colpa in capo al (OMISSIS), il provvedimento in questa sede impugnato risulta viziato dall'inosservanza degli articoli 2043, 1227 e 2056 c.c. norme delle quali si sarebbe dovuto tenere conto in relazione alla domanda risarcitoria spiegata nella sede penale dalle persone danneggiate. Infatti, la Corte territoriale ometteva di indicare la percentuale di concorso di colpa del (OMISSIS), errore nel quale era incorso lo stesso Tribunale, tanto che tale circostanza era oggetto di apposito motivo di appello da parte delle parti civili. Tale mancanza, infatti, risulta avere del tutto disatteso l'ulteriore motivo di appello ai soli effetti civili, pregiudicando inevitabilmente la domanda risarcitoria delle persone danneggiate. Anche le parti civili chiedono, dunque, la cassazione della sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 622 c.p.p.. 3. Il PG presso questa Suprema Corte in data 11/12/2020 ha reso le proprie conclusioni scritte per l'udienza camerale senza discussione orale (Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23 comma 8) chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso dell'imputata, senza alcun riferimento a quello delle parti civili. 4. In data 29-30/12/2020 sono pervenute memoria conclusiva, conclusioni e nota spese a firma dell'Avv. (OMISSIS), nell'interesse delle ricorrenti parti civili, il quale chiede dichiararsi inammissibile il ricorso proposto dall'imputata ed accogliersi quello delle parti civili, con vittoria di spese in danno dell'imputata e del responsabile civile; 5. In data 7-8/1/2021 e' pervenuta memoria difensiva dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse della ASL ROMA (OMISSIS), con la quale il difensore, lamentando la violazione della legge processuale in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai fini dell'effettuazione di una perizia medico legale e la non corretta individuazione della legge penale applicabile, con conseguente annullamento della sentenza per violazione del Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, comma 1 e l'omessa motivazione sul grado della colpa, chiede annullarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto dall'imputata (OMISSIS) e' fondato, nella parte in cui ne censura la logicita' e la congruita' della motivazione, e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma. E la fondatezza di tali motivi assorbe i profili di doglianza proposti dalle costituite parti civili. 2. Come si dira' di qui a poco, i giudici del gravame di merito non hanno operato un buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte di legittimita' che riguarda i rapporti tra la decisione ed il sapere scientifico introdotto nel processo. In particolare, di fronte ad opzioni contrastanti portate dai consulenti delle parti, non hanno motivato in maniera congrua sulla loro opzione a favore delle une piuttosto che delle altre. Occorre, tuttavia, in primis, evidenziare alcuni aspetti, in fatto, della vicenda sottoposta all'esame del giudice di Civitavecchia prima e della Corte capitolina poi. Pacifiche sono le cause della morte della persona offesa, derivate dai rilievi autoptici, supportati dalle analisi istologiche sui tessuti prelevati di cui da' atto il giudice di primo grado alle pagg. 12 e 13 della propria sentenza e la Corte territoriale alle pagg. 5-6 della sentenza impugnata: il cittadino rumeno 57enne (OMISSIS) che, il (OMISSIS), mentre si trovava in un bosco per un picnic con i familiari, muore per un infarto del miocardio (piu' precisamente la diagnosi e' di sopravvenuta insufficienza cardiocircolatoria acuta secondaria a tamponamento cardiaco in ragione di infarto miocardico acuto trasmurale della parte postero-laterale del ventricolo sinistro). I due quesiti alla cui soluzione sono ancorate le valutazioni in ordine ai possibili profili di responsabilita' dell'odierna imputata ipotizzati nell'editto accusatorio sono, dunque i seguenti: 1. Era gia' in atto l'infarto, o comunque si era appieno nella fase che preludeva allo stesso, il 31 agosto, allorquando (OMISSIS), dopo l'accesso in pronto soccorso e gli esami a cui venne sottoposto, venne dimesso dalla (OMISSIS) con la diagnosi e la prescrizione di cure e controlli per la polmonite- 2. In caso di risposta positiva al primo quesito, sussistono i profili di colpa contestati alla (OMISSIS) in relazione a quella che si paleserebbe essere un'errata diagnosi- Nel tentativo di dare una risposta a tali quesiti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di dare per acclarato un altro elemento, di cui i giudici di merito danno ampiamente conto nelle loro motivazioni, ovvero che, allorquando il cittadino rumeno morto per infarto di li' a qualche giorno si presento' al pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS), non venne affatto trascurata la possibilita' che ci si trovasse di fronte ad un infarto. Depongono, in tal senso, infatti (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado) il dato che al soggetto deceduto qualche giorno piu' tardi furono praticati un elettrocardiogramma e, soprattutto, un prelievo ematico con ricerca dei markers enzimatici di miocardiosi (troponina-I e mioglobina). Gli fu poi praticato anche un esame radiografico del torace che evidenziava: "In sede para-cardiaca sinistra presenza di accentuazione della trama bronco-vasale che confluisce a formare uno sfumato addensamento parenchimale. Seni costo-frenici liberi da versamento Immagine cardiomediastinica nei limiti". Il paziente venne, percio', dimesso alle ore 21.16 di quello stesso giorno con diagnosi di "addensamento polmonare in sede paracardiaca sinistra" con prognosi di giorni 7 e prescrizione di astensione dai fumo, aerosol terapia, terapia antibiotica (levofioxacina e azitromicina) e nuova rx torace entro circa quindici giorni, ed invio al medico curante per il controllo dell'evoluzione del quadro clinico. Orbene, i profili di colpa contestati all'imputata - medico di guardia con turno notturno che inizio' alle ore 20 di quel (OMISSIS) e che ricevette il paziente dalla collega (OMISSIS), che ne aveva curato gli esami dal momento in cui lo stesso era arrivato in pronto soccorso alle ore 17.36 di quel pomeriggio - danno per scontato che quella sera l'infarto fosse gia' in atto e consistono in profili di colpa generica e poi nei seguenti profili di colpa specifica: 1. nell'errata diagnosi di "addensamento polmonare in sede paracardiaca sinistra" derivante dall'omessa valutazione dell'alterazione del tratto ST - documentata dal tracciato ECG effettuato, sintomo di ischemia subendocardiaca; 2. Nell'avere omesso di ripetere il tracciato ecg e le analisi enzimatiche e di trattenere in osservazione il paziente, piuttosto che dimetterlo. Se cio' fosse avvenuto (e' il c.d. giudizio controfattuale che propone il capo d'imputazione) non si sarebbe realizzato, il 4 settembre, l'evento morte di (OMISSIS). Come esplicita la Corte territoriale a pag. 9 della propria motivazione, si contesta all'odierna imputata la "frettolosa dimissione del paziente" 3. Il primo profilo che appare sviluppato in maniera contraddittoria nelle sentenze dei giudici di merito - e, in ultimo, in particolare, in quella impugnata - e' quello che riguarda la prova che, all'atto della propria dimissione dal pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS), ovvero alle 21.16 del (OMISSIS), l'infarto che poi lo ha portato alla morte fosse gia' in atto e che vi fossero i segni, clinici ovvero desumibili dai risultati degli esami cui era stato sottoposto il paziente, per riconoscerlo. La sentenza di secondo grado e' molto sbrigativa e tranciante sul punto, nonostante gli articolati rilievi proposti con l'atto di appello. La sentenza di primo grado, che pure e' piu' articolata, come si dira', nemmeno pare non fare un buon governo del rapporto sapere scientifico - decisum. I richiami alle linee guida sono generici. Ma, soprattutto, a fronte di indicazioni discordanti provenienti dai consulenti delle parti, non appare logico che, ancorche' sollecitata dalla difesa, ne' in primo ne' in secondo grado sia stato deciso di disporre una perizia, eventualmente anche collegiale, che si palesava con tutta evidenza necessaria per approfondire in maniera chiara i tempi di insorgenza dell'infarto. La Corte territoriale, laddove (pag. 6) ha rigettato la richiesta difensiva di perizia medico legale (ritenendo che "...siffatta ricostruzione dell'evoluzione fino all'esito letale della patologia dalla quale era affetto il (OMISSIS), condotta secondo le leges artis, non e' stata contestata dai consulenti tecnici della difesa e delle parti civili. Deve pertanto respingersi, perche' superflua e non in grado di apportare nuovi e dirimenti elementi conoscitivi, la richiesta difensiva, formulata con il terzo motivo di appello, di rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale attraverso una perizia da svolgersi sul materiale istologico prelevato e conservato in apposito vetrino, al fine di pervenire alla certa datazione dell'epoca di insorgenza dell'infarto acuto del miocardio") confonde la non contestazione sulla ricostruzione della morte di (OMISSIS) con un inesistente consenso tra i consulenti sulla datazione dell'insorgenza dell'infarto acuto. Tale secondo aspetto, dirimente ai fini del presente giudizio, non e' affatto incontestato. Inoltre, in questo modo si e' data preferenza alle tesi proprie del consulente del PM, senza considerare le osservazioni avanzate dai consulenti della difesa, i quali hanno diversamente argomentato in ordine alla datazione dell'infarto, sostenendo, in forza dei dati autoptici, che lo stesso si era verificato non piu' di 72 ore prima del decesso. Cosi' facendo la sentenza impugnata non opera un buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimita' che ha chiarito come "occorre osservare come il principio dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio, da considerarsi un pilastro del sistema, non costituisca solo una regola di giudizio ma proietti la propria rilevanza anche sul piano della formazione della prova, imponendo l'acquisizione di materiale probatorio di fonte non unilaterale, in modo che la decisione giudiziale possa fondarsi sull'apporto dialettico di elementi dimostrativi di provenienza contrapposta o, ancor meglio, di provenienza super partes, si' da dar vita a una feconda dialettica conoscitiva e a un quadro probatorio caratterizzato da ricchezza ed affidabilita' di apporti cognitivi, nel contesto del quale il giudice possa orientare in modo adeguato le proprie determinazioni. Il giudice, infatti, puo' fare legittimamente propria l'una piuttosto che l'altra delle tesi scientifiche prospettate dai periti d'ufficio o dai consulenti di parte, nell'ambito della dialettica processuale, purche' dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha disatteso (...) ma deve innanzitutto promuovere questa pluralita' ed eterogeneita' di contributi cognitivi" (cosi' Sez. 4, n. 46392 del 15/5/2018, Beduschi Rv. 274272 che richiama il dictum di Sez. 4, n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti, Rv. 271718, alla cui motivazione si rimanda). Con gli arresti giurisprudenziali sopra ricordati (Sez. 4 nn. 55005/2017 e 46392/2018), anche quelli relativi a casi di diniego di perizia, questa Corte di legittimita' ha condivisibilmente rilevato come, in tema di prova scientifica del nesso causale, mentre ai fini dell'assoluzione dell'imputato e' sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunita' scientifica, sul rapporto di causalita' tra la condotta e l'evento, la condanna deve, invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di la' di ogni ragionevole dubbio". Nel caso che ci occupa, nessuna delle due sentenze confuta con argomentazioni congrue la tesi del consulente della difesa, ricordata anche nell'odierno ricorso, il quale afferma che, secondo la migliore letteratura medica citata dalla stessa consulente dell'accusa (in tal senso, viene richiamata pag. 11 della tabella riportata nella consulenza della Dott.ssa (OMISSIS)) tra le 24 e le 72 ore successive all'infarto si avvia la c.d. "necrosi coagulativa", con perdita dei nuclei e delle strie trasversali, e solo dopo le 72 ore - e non prima - si avvia la disintegrazione delle miofibre tramite l'azione dei c.d. "macrofagi" dall'infarto. Orbene - atteso che la Dott.ssa (OMISSIS) nel proprio referto autoptico certifica di aver riscontrato nella breccia miocardica del defunto solo la necrosi e non menziona in alcuna maniera l'inizio della disintegrazione delle miofibre e o la presenza dei macrofagi ("D'altra parte, lo studio istopatologico dei prelievi del cuore ha evidenziato nella sede della breccia miocardica la presenza di necrosi coagulata con perdita dei nuclei e delle strie trasversali dei miotici in presenza di un abbandonate infiltrato di granulociti neutrofili" in tal senso, quanto si legge a pagina 10, ultimo capoverso consulenza (OMISSIS)) - la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare - ma non lo ha fatto- perche' non ha ritenuto fondata la tesi difensiva che l'infarto non fosse in essere da piu' di 72 ore al momento della rottura del cuore il (OMISSIS) e che, pertanto, il (OMISSIS), al momento della visita da parte della Dott.ssa (OMISSIS), l'infarto non fosse in atto, con conseguente correttezza dei comportamento assunto dal sanitario. In altri termini, la Corte capitolina non si e' adeguatamente confrontata con la tesi che, sebbene in via generale quando parla di infarto del miocardio antecedente la rottura del cuore lo stesso va ad iniziare in un periodo variabile dai tre ai sette giorni dall'attacco acuto, sarebbe evidente che tale momento nel caso che ci occupa debba necessariamente essere collocato al momento iniziale di tale iato, ovvero tre giorni e non oltre, e non di certo per un indistinto favor rei - come aveva sottolineato la difesa - bensi' per il dato oggettivo promanante dall'autopsia. La Corte territoriale, ancora, non spiega adeguatamente ne' confuta argomentatamente il rilievo operato dalla difesa, supportata dal proprio consulente, che chiede venga indicata quale sarebbe la legge di copertura scientifica che le consentirebbe di affermare che sussisteva l'indicazione a ripetere gli esami diagnostici: l'ECG era normale, i marker di diagnosi precoce di cardiopatia ischemica avevano dato esito negativo con percentuali tranquillizzanti: il prelievo ematico, eseguito alle ore 18:29 (circa due ore dopo l'inizio del dolore), documentava infatti normali valori dei marcatori di miocardio necrosi (mioglobina, Troponina I, CK-MB) e un livello della mioglobina - un marcatore sensibile e molto precoce del danno cardiaco (si eleva gia' dopo la prima ora dall'infarto ed e' chiaramente rilevabile gia' a due ore dalla necrosi miocardica, come specificato nelle linee guida della American Heart Association) - al limite inferiore della norma. Ancora, non viene spiegato quale sarebbe la legge di copertura scientifica che consentirebbe di affermare che il tracciato ECG (definito non rilevante poche righe prima) fosse non tranquillizzante a fronte del rilievo difensivo che solo una doppia alterazione contigua attesterebbe una patologia cardiaca (tanto e' vero che, secondo il difensore ricorrente, il (OMISSIS) ha provato nel corso dell'esame, dopo diversi mesi dalla prima lettura del tracciato, ad "inventarsene" una seconda, contraddicendo se stesso rispetto all'iniziale valutazione sancita nella diagnosi trascritta nel certificato del 15 gennaio 2014, ma soprattutto sotto il profilo della valutazione del tracciato dell'ECG e della valutazione del sottoslivellamento). Nessuno dei due giudici di merito, ancora, da' conto del perche' crede ai testi e non a quanto riferito dal primo medico e annotato in sede di triage circa il fatto riferito che il dolore mutasse con il respiro. E nessuno spiega nemmeno come si concilino i miglioramenti dei giorni successivi, che evidentemente c'erano stati se la parte lesa era poi andata a fare un pic nic con i parenti. E, ancora, non si da' alcuna importanza al fatto che il paziente fosse stato dimesso con l'indicazione, disattesa, di essere seguito da un medico. E che emergeva ex actis che il giorno successivo alla sua dimissione dall'ospedale c'era stata un'ulteriore crisi, il che avrebbe dovuto portare a rivalutare la necessita' di risentire uno o piu' familiari dello stesso. Il (OMISSIS), non va trascurato, secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, avrebbe contribuito nella causazione dell'evento "atteso che, nonostante la persistenza del sintomo del dolore toracico nei giorni successivi all'accesso al pronto soccorso e alla dimissione con la prescrizione di una terapia antibiotica per affezione polmonare, egli ometteva di recarsi dal proprio medico curante, ovvero, qualora ne fosse privo, effettuare un nuovo accesso al pronto soccorso per la rivalutazione del sintomo, nonostante tale prescrizione fosse stata impartita dalla stessa imputata in sede di dimissione". 4. Dunque, come si diceva all'inizio, cio' che vulnera il tessuto motivazionale della sentenza impugnata e' la corretta ed adeguata valutazione del sapere scientifico introdotto nel processo. In proposito, va ricordato che la sentenza Sez. 4, n. 43786 del 17/9/2010, Cozzini, Rv. 248944 ha chiarito da tempo un punto fondamentale nei rapporti tra sapere scientifico e sapere giuridico, che va qui ribadito, nel senso che il "sapere scientifico e' indispensabile strumento al servizio del giudice di merito", in special modo per tutte le volte "in cui l'indagine sulla relazione eziologica si colloca su un terreno non proprio nuovo, ma caratterizzato da lati oscuri, da molti studi contraddittori e da vasto dibattito internazionale" (cosi' questa Sez. 4, n. 43786/2010, Cozzini, par. 14). In questi casi, continua la medesima sentenza: "...le indicate modalita' di acquisizione ed elaborazione del sapere scientifico all'interno del processo rendono chiaro che esso e' uno strumento al servizio dell'accertamento del fatto e, in una peculiare guisa, parte dell'indagine che conduce all'enunciato fattuale. Ne consegue con logica evidenza che la Corte di legittimita' non e' per nulla detentrice di proprie certezze in ordine all'affidabilita' della scienza, sicche' non puo' essere chiamata a decidete, neppure a Sezioni Unite, se una legge scientifica di cui si postula l'utilizzabilita' nell'inferenza probatoria sia o meno fondata. Tale valutazione, giova ripeterlo, attiene al fatto (...). Al contrario, il controllo che la Corte Suprema e' chiamata ad esercitare attiene alla razionalita' delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime. Del resto, questa Corte Suprema ha gia' avuto modo di enunciare che il giudice di legittimita' non e' giudice del sapere scientifico, e non detiene proprie conoscenze privilegiate. Esso e' chiamato a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilita' delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (Sez.4, n. 42128/2008)" (ivi, par. 14). La stessa sentenza Cozzini specifica ulteriormente quale sia il compito del giudice di legittimita' rispetto al giudice di merito: "Questa Corte di legittimita', d'altra parte, come pure si e' tentato di chiarire, e' chiamata ad esprimere solo un giudizio di razionalita', di logicita' dell'argomentazione esplicativa. E' dunque errato affermare che essa abbia ritenuto o escluso l'esistenza di tale fenomeno. In realta' la Corte ha solo riconosciuto l'assenza di vizi logici del ragionamento causale articolato sulla base della legge scientifica (ritenuta fondata dai giudici di merito) afferente all'abbreviazione della latenza nel caso di esposizione protratta" (ivi, par. 15). E anche successivamente alla sentenza Cozzini questa Corte di legittimita' ha ribadito (Sez. 4, n. 24573 del 13/5/2011, PC nel proc. a carico di Di Palma ed altri, non mass.; vedasi anche Sez. 4, n. 16237/2013) che essa non e' giudice del sapere scientifico, giacche' non detiene proprie conoscenze privilegiate, ma e' chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilita' delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Questa Corte di Cassazione, rispetto a tale apprezzamento, quindi, non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia stata razionale e logica (cfr. anche la piu' recente Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, T. Rv. 276151). Cio' significa che, in questa sede, non si puo' valutare la maggiore o minore attendibilita' degli apporti scientifici esaminati dal giudice di merito, in quanto quest'ultimo, in virtu' del principio del suo libero convincimento e dell'insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, ha la possibilita' di scegliere, fra le varie tesi prospettategli dai differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purche' dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti. Ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, e' percio' inibito a questo giudice di legittimita' di procedere ad una differente valutazione, poiche' si e' in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile in questa sede se non entro i limiti del vizio motivazionale. In tema di responsabilita' per colpa medica, si e' anche condivisibilmente affermato (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015 dep. 2016, Minichini ed altri, Rv. 267567; conf. Sez. 3, n. 11451 del 6/11/2018 dep.2019, Chianura, Rv. 275174 - 01) che qualora sussistano, in relazione a pluralita' di indagini svolte da periti e consulenti, tesi contrapposte sulla causalita' materiale dell'evento, il giudice, previa valutazione dell'affidabilita' metodologica e dell'integrita' delle intenzioni degli esperti, che dovranno delineare gli scenari degli studi e fornire adeguati elementi di giudizio, deve accertare, all'esito di una esaustiva indagine delle singole ipotesi formulate dagli esperti, la sussistenza di una soluzione sufficientemente affidabile, costituita da una metateoria frutto di una ponderata valutazione delle differenti rappresentazioni scientifiche del problema, in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Altrimenti potendo concludere per l'impossibilita' di addivenire ad una conclusione in termini di certezza processuale. Laddove, pero', il confronto tra i tecnici, come avvenuto nel caso che ci occupa, non consenta di addivenire a conclusioni tecnico-scientifiche tra loro compatibili, ci si trova dinanzi ad uno scenario che e' di tutta evidenza superabile solo attraverso una perizia, eventualmente collegiale, da disporsi in dibattimento. 5. Nel caso che ci occupa, entrambi i giudici di merito paiono propendere in maniera alquanto fideistica per quanto riferiscono i consulenti del PM e della persona offesa, trascurando di confutare argomentatamente e logicamente le considerazioni del consulente della difesa. Cio' perche' non ritengono di dover specificare quali siano le linee guida che imponevano, a fronte di un paziente con markers negativi all'ingresso in pronto soccorso, con un ecg che mostrava solo un elemento di anomalia di ripetere quegli esami e/o di trattenerlo in osservazione, anziche' dimetterlo. Cio', ancor piu', a fronte di un altro esame (l'rx toracico) che evidenziava una possibile causa polmonare nella sua sintomatologia. Che questo fosse il punto nodale del decidere - su cui, in primis, dovra' tornare giudice del rinvio - l'aveva bene evidenziato il giudice di primo grado, allorquando a pag. 13 della motivazione della propria sentenza aveva rilevato che "al fine di verificare la fondatezza o meno dell'assunto accusatorio, si tratta ora di valutare se l'imputata, chiamata - quale medico di guardia del pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS), in turno dalle ore 20:00 del (OMISSIS) alle ore 8:00 del giorno successivo - a valutare clinicamente il caso del paziente - gia' sottoposto dalla collega (OMISSIS) che l'aveva preceduta ad E.C.G., esame del torace ed analisi di laboratorio - sia incorsa in una inosservanza delle linee guida dettate dalla comunita' scientifica per la diagnosi e il trattamento del dolore toracico, ovvero abbia correttamente formulato una diagnosi differenziale di malattia polmonare, dimettendo il paziente con la prescrizione di adeguata terapia antibiotica" in quanto "sebbene nessun richiamo alle linee guida sia esplicitamente contenuto nell'imputazione, la condotta omissiva che la pubblica Accusa addebita all'imputata e' proprio quella prescritta dalle linee guida e dai protocolli per il trattamento di dolore toracico in sede di pronto soccorso e per la diagnosi e il trattamento del paziente con sospetta sindrome coronarica acuta, oggetto di unanime condivisione nella comunita' scientifica e nella pratica medica". Per il giudice di primo grado "tali linee guida e protocolli sono riportati dai consulenti del P. M. e delle PP. c.c. nei loro elaborati ed assunti a parametro per la valutazione della correttezza dell'operato dei sanitari del pronto soccorso (vedi le tabelle riportate nella consulenza delle. PP. CC. a pagg. 40 e nella consulenza del P. M. a pag. 18, non contestate dalla Difesa, che descrivono graficamente le condotte a cui deve attenersi il sanitario per la valutazione diagnostica e la gestione clinica del paziente con sospetta sindrome coronarica acuta; vedi le relazioni per la citazione. della fonte di letteratura internazionale; ancora a pag. 4 dell'elaborato delle PP.CC); essi non sono contestati neanche dall'imputata e dal consulente della Difesa che, come vedremo, non mettono in dubbio la validita' generalizzata di tali linee guida e protocolli, unanimemente accettati nella comunita' scientifica, ma la loro applicabilita' al caso concreto, per la fondata sussistenza di una diagnosi differenziale di malattia polmonare" (cosi' pag. 14 della sentenza di primo grado). In sintesi, secondo le predette linee guida e i menzionati protocolli - che, tuttavia il giudice di primo grado richiama alquanto genericamente- quando un soggetto accede al pronto soccorso accusando un dolore toracico, siccome tale dolore, pur essendo aspecifico, puo' essere sintomatico di diverse patologie, cardiache e non, alcune delle quali potenzialmente letali, fra cui l'infarto miocardico acuto, l'embolia polmonare e la dissecazione aortica, e' previsto che al caso venga assegnato al triage il codice giallo (previsto per un soggetto che versi in condizioni di emergenza, affetto da forma morbosa grave) e che il medico proceda con urgenza a visita clinica ed anamnestica del paziente, nel corso della quale viene valutata la specificita' o l'aspecificita' del sintomo e gli eventuali fattori di rischio cardiaco, fra cui sono annoverati la familiarita' con cardiopatie schermiche, l'ipertensione arteriosa, le dislipiomi, il diabete mellito, il tabagismo, il sesso maschile, l'eta' compresa tra i 50 e i 60 anni. Ancora il giudice di primo grado, aveva evidenziato che dal sapere scientifico introdotto nel processo era emerso che le cause del dolore toracico possono essere molteplici: alcune cardiache (miocardite, pericardite, ecc.), altre non cardiache (reflusso esofageo, ernia iatale, pleurite, pneumotorace, ecc.) e pertanto e' necessario escludere che il dolore toracico accusato dal paziente sia il sintomo di una patologia letale, in primis di un infarto miocardico acuto. Per questi motivi, pur a fronte di un dolore toracico aspecifico, dopo aver sottoposto il paziente a visita clinico-anamnestica e' previsto che il paziente venga sottoposto ad elettrocardiogramma e al prelievo venoso per il dosaggio dei c.d markers di miocardionecrosi. L'elettrocardiogramma, invero, rilevava ancora il tribunale laziale, considerato lo strumento diagnostico piu' semplice ed efficace nella prima fase dell'iter diagnostico in caso di paziente con dolore toracico, sebbene non abbia un valore predittivo assoluto, considerato che la sua sensibilita' nell'identificare l'ischemia non e' superiore al 50% ed un terzo dei pazienti con dolore toracico presentano un E.C.G. normale (il richiamo era alle consulenza del P.M. e delle PP.CC.). Del pari, i cd, rnarkers enzimatici di necrosi miocardica (macromolecole proteiche intracellulari liberate in circolo in caso di danno della membrana cellulare dei miociti per effetto della sindrome infartuale acuta) vengono utilizzati a scopo diagnostico per il loro valore predittivo, in particolare le troponine T e L. la mioglobina e la creatinchinasi (CK)MB. Ancora il giudice di primo grado rilevava (pag. 15 della sentenza del Tribunale di Civitavecchia) che costituisce. tuttavia, un dato condiviso nella comunita' scientifica che il dosaggio dei markers enzimatici puo' essere negativo nelle prime ore dopo l'evento ischemico (sul, punto si richiama la tabella riportata a pag. 5 dell'elaborato del C.T. (OMISSIS) secondo la quale i marcatori sono rilevabili a distanza di alcune ore dall'evento infartuale (la mioglobina dopo un'ora con picco tra le 6 e le 12 ore, mentre la troponina-I solo dopo 3-6 ore con picco tra 15 e 25 ore) e proprio per questa ragione nelle linee guida sono previsti dosaggi seriati nel tempo dei marcatori enzimatici (cfr. consulenza (OMISSIS), pag.17). Del pari, proprio in considerazione della capacita' predittiva limitata dell'E.C.G. e' prevista la ripetizione seriata nel tempo anche di tale strumento diagnostico quando il paziente accusi dei sintomi, quale il dolore toracico, che inducano il sospetto di una sindrome coronarica acuta. 6. Con quella sentenza di primo grado si erano confrontati criticamente i motivi di appello, cui non e' stata fornita adeguata risposta dalla sentenza impugnata, a cominciare, come si e' detto, da elementi concreti, sul piano scientifico, cui ancorare l'essere l'infarto gia' in atto al momento della sua dimissione dal nosocomio. Altro punto nodale rimasto sul tappeto e' che la ripetizione seriata dei dosaggi dei markers enzimatici e dell'elettrocardiogramma e' unanimemente prescritta con modalita' diverse (0-6-12 ore dall'accesso in pronto soccorso) a seconda della tipicita' meno del dolore toracico accusato dal paziente e della sussistenza o meno di fattori di rischio cardiaco, cosi' come, la prolungata osservazione del paziente per un tempo di regola pari a 12 ore quando sia gli enzimi sia l'E.C.G. siano risultati normali alla prima effettuazione. Per i giudici di merito la prima valutazione clinica del paziente, condotta dalla teste (OMISSIS) a seguito dell'accesso in pronto soccorso, e' stata eseguita in osservanza delle linee guida condivise nella comunita' scientifica poiche' dopo aver visitato il paziente (riscontrando buone condizioni generali, assenza di dispnea e di sintomi all'auscultazione del torace, un moderato rialzo pressorio, frequenza cardiaca nella norma e una percentuale del 98% di ossigenazione del sangue) ed avere accertato che lo stesso aveva un dolore toracico (nella cartella clinica nella parte che documenta l'anamnesi del paziente condotta dal medico il sintomo e' descritto soltanto come "dolore toracico" comparso da circa un'ora, senza ulteriore specificazione, mentre nell'accesso al triage si descrive dolore toracico irradiato all'arto superiore, con aumento della sintomatologia con gli atti respiratori): rilevava la presenza di fattori di rischio cardiaco, quali il sesso maschile, l'eta' e il tabagismo, e l'assenza di altri fattori specifici, quali il diabete mellito e la familiarita' con cardiopatie ischemiche, prescriveva l'esecuzione dell'elettrocardiogramma, di una lastra al torace e del prelievo venoso per il dosaggio dei parametri generali e soprattutto degli enzimi di miocardionecrosi, quali la troponina-I e la Mioglobina. Al momento in cui subentrava in turno l'imputata (OMISSIS) e prendeva le consegne dalla collega (OMISSIS), invece, si sarebbero verificate le sopra ricordate omissioni. Tuttavia, come gia' accennato in precedenza, ha ragione la ricorrente nell'evidenziare che i giudici di merito non danno conto del perche' non ritengono credibile quanto annotato in sede di triage e poi riferito in dibattimento, ovvero che il paziente lamentava un "dolore toracico irradiato arto superiore sinistro con aumento della sintomatologia con gli atti respiratori", mentre hanno dato maggior credito a quanto riferito dai familiari del paziente che negano l'aumento della sintomatologia con gli atti respiratori. L'elemento non e' di poco conto, in quanto e' documentato in atti che l'aumento della sintomatologia con gli atti respiratori allontana dalla diagnosi di infarto del miocardio in atti. Nemmeno pare tenersi nel debito conto la circostanza che la teste (OMISSIS) ha riferito che la valutazione dell'ecg era stata fatta da lei atteso che lo specialista cardiologo non era in servizio (trattandosi di giorno festivo), non rilevando alterazioni che consentissero di effettuare una diagnosi di infarto in corso poiche' - il che concorda con la tesi difensiva- sebbene vi fosse un sottoslivellamento del tratto ST, esso interessava una sola derivazione e non due derivazioni consecutive. In altri termini, anche per il primo medico che ebbe a visitare il paziente, vi era un'alterazione del tracciato dell'ECG non significativa. Al momento del passaggio di consegne con la collega (OMISSIS), ella aveva precisato quali accertamenti erano stati fatti (mancava un ultimo risultato delle analisi) e che il paziente si mostrava insofferente e si aggirava per il pronto soccorso mettendo a rischio la privacy degli altri pazienti. Emerge poi documentalmente che, dopo aver preso in carico il (OMISSIS) ed aver ricevuto l'ultimo risultato delle analisi (il D-dimero anch'esso negativo), l'imputata rivalutava il paziente e si determinava per la sua dimissione formulando la diagnosi di "addensamento polmonare in sede paracardiaca sinistra" e dettando le prescrizioni terapeutiche sopra indicate. Il giudice del rinvio dovra' tenere conto che, diversamente da quanto fatto nel provvedimento oggi impugnato, questa Corte di legittimita' ha da tempo chiarito che, per articolare un giudizio sulla colpa ispirato al canone del rimprovero personale, si dovra' porre speciale attenzione alle peculiarita' del caso concreto e ci si dovra' dedicare a considerare i tratti della specifica vicenda, in linea con le istanze che si sono espresse nella recente giurisprudenza di legittimita' e che sono state prima sintetizzate. Allora, non si potra' mancare di valutare la complessita', l'oscurita' del quadro patologico, la difficolta' di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicita' o novita' della situazione data, la concreta situazione nella quale il terapeuta si trovo' ad operare. In altri termini, dovra' essere valutato il profilo oggettivo dello scostamento dalla regola di condotta che si doveva tenere, tenuto conto della complessita' del quadro clinico e l'oscurita' del dato patologico, sia il profilo dell'elemento soggettivo della capacita' dell'agente di adeguarsi alla regola cautelare in ragione delle sue capacita' professionali e delle condizioni nelle quali si trovava ad operare non ricorre (cfr. questa Sez. 4, n. 16237/2013). 7. In particolare, e in ultimo, nel nuovo giudizio si dovra' tenere conto di quanto possa avere inciso sull'intervenuta dimissione del paziente l'evidenza radiografica che mostrava un addensamento in sede polmonare (il tema e' quello della c.d. diagnosi differenziale per il quale si rimanda ai numerosi precedenti di questa Corte di legittimita' e, in particolare, alla recente Sez. 4, n. 26906 del 15/5/2019, Hijazi, Rv. 276341). Sia il tribunale laziale che la Corte capitolina ritengono che la condotta omissiva contestata alla (OMISSIS) sia caratterizzata dalla colpa, dal momento che "e' chiara ed inescusabile la leggerezza con la quale l'imputata ipotizzo' la presenza di una patologia che non aveva alcuna evidenza radiologica e ne' era diagnosticabile sulla scorta degli esami ematici, omettendo del tutto di approfondire, come prescritto dalle linee guida in materia, il versante della patologia cardiaca manifestata attraverso il dolore toracico con irradiamento al braccio riferito dal paziente, in presenza di tre fattori di rischio, e della quale era anche spia il risultato non tranquillizzante del tracciato ECG. Inoltre, l'imputata trascuro' di ripetere la ricerca dei markers enzimatici, affidandosi al risultato del prelievo effettuato dalla collega che l'aveva preceduta, risultato che, per essere confermato, avrebbe necessitato di una ripetizione nelle ore successive" (cosi' pagg. 9 - 10 della sentenza impugnata). La sentenza ritiene errata la diagnosi effettuata dall'imputata individuando tre fattori di rischio che sarebbero stati trascurati, ossia l'eta', il sesso ed il tabagismo, oltre al dolore al braccio sinistro e che avrebbero dovuto indurre la dottoressa a ripetere le analisi del sangue e l'elettrocardiogramma. La sentenza, tuttavia, palesa sul punto un'evidente contraddizione. Da una parte, infatti, individua una responsabilita' colposa dell'imputata per omissione, per non avere trattenuto in ospedale la persona offesa ed avere svolto ulteriori accertamenti, ripetendo anche i controlli gia' effettuati. Dall'altra, pero', afferma che l'imputata "aveva a disposizione i risultati delle analisi di laboratorio, invero non allarmanti, la radiografia, che aveva evidenziato il menzionato addensamento e che faceva propendere per una patologia polmonare e il tracciato ECG che avrebbe necessitato di una piu' approfondita valutazione (...) pur non risultando tale alterazione particolarmente rilevante" (pagg. 7- 8 e 9). La Corte territoriale doveva rispondere - ma non l'ha fatto - al rilievo difensivo che non di diagnosi sbagliata sulla base degli accertamenti svolti si trattasse, ma di non aver ripetuto gli accertamenti diagnostici, e a quello di valutare la sussistenza ed il grado della colpa tenendo conto che non solo la diagnosi della (OMISSIS), ma anche quella della (OMISSIS) che l'aveva preceduta nel turno e che aveva inizialmente preso in carico il paziente, era stata quella di una sindrome polmonare e non quella di un infarto. In ogni caso, dunque, non si sarebbe trattato di un'errata applicazione delle linee guida ma di un'errata diagnosi che ha comportato l'applicazione di un diverso protocollo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

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