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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6488 del 2023, proposto da Agenzia Territoriale dell'Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fa., Ch. Fe., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Fa. in Padova, via (...); nei confronti He. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l''Emilia Romagna Sezione Seconda n. 326/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di He. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. La questione controversa riguarda l'obbligo di Atersir di stabilire meccanismi compensativi per il recupero di 1.458.316,92 Euro a favore del Comune di (omissis) (corrispondente alle sovra-coperture del servizio per le annualità 2013-2016). Parte appellata unitamente al Comune di (omissis) (appellato in altra controversia, RG 202304574) in data 9 agosto 2023 ha proposto istanza per la trattazione congiunta rilevando che i due giudizi di primo grado decisi con le sentenze oggetto dei predetti appelli - benché promossi separatamente dai Comuni di (omissis) e (omissis) - riguardano la medesima vicenda sostanziale, essendo stati proposti nei confronti delle medesime controparti (ATERSIR, He. spa, Comune di Bologna, Comune di (omissis), oltre che notiziando la Regione Emilia-Romagna ed ARERA) e richiedendo l'annullamento dei medesimi provvedimenti di ATERSIR, per ragioni e sotto profili di diritto pressoché identici. Entrambi gli enti hanno fatto presente che le due sentenze del Tar Emilia-Romagna contro le quali ATERSIR ha proposto gli appelli dinanzi indicati (sent. 926/2022 e sent. 326/2023) hanno deciso i ricorsi di primo grado sulla base di motivazioni analoghe e che analoga sovrapponibilità si riscontra anche negli stessi atti di appello da parte della predetta ATERSIR. Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 15 settembre 2023 la controversia è stata assegnata a questa sezione in considerazione dei profili di connessione. In sede cautelare è stata concessa, tenuto conto dei profili di connessione, la misura cautelare per le medesime motivazioni di cui all'altra controversia (ord.3438 del 30 agosto 2023) al fine di mantenere la res adhuc integra in vista della fissazione dell'udienza pubblica per la trattazione del merito evitando cosi il rischio di eventuali riconteggi - che in definitiva avrebbero gravato sugli utenti - e la dispersione delle risorse amministrative necessarie. La controversia riguarda la determinazione del corrispettivo per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo parte appellante che l'equilibrio del sistema va ricercato a livello di bacino. In particolare, in primo grado l'attuale appellato - Comune di (omissis) - ha censurato l'indebita determinazione del corrispettivo a suo carico per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo che il D. Lgs. 152/2006, nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sancisce il principio dell'integrale copertura dei costi (ribadito per la TARI, art. 1, comma 654, della l 147/2013); il gestore dovrebbe elaborare quindi il PEF che contempla il costo per ciascun Comune, da riversare sui cittadini mediante la determinazione della tariffa. Il Comune di (omissis) ha lamentato che, dal confronto fra i costi e i ricavi della gestione del servizio per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 - come rendicontati dal gestore del servizio ad ATERSIR e da questa trasmessi all'amministrazione - risultano costanti "sovra-coperture" del servizio, per importi nell'ordine complessivo di 1.458.316,92; Atersir non si sarebbe adoperata per porvi rimedio, ed anzi avrebbe affermato l'equilibrio del sistema a livello di bacino e la fisiologia degli scostamenti locali. In sede di primo grado il giudice ha accolto il ricorso del Comune di (omissis) qui appellato ritenendo che i disallineamenti tra i costi preventivati e quelli risultati dai rendiconti si sono risolti in un indebito vantaggio per i Comuni dell'ambito a danno del Comune di (omissis); di conseguenza il TAR ha statuito l'obbligo per Atersir di adottare - entro un termine ragionevolmente compatibile con la scansione temporale della programmazione - un piano per il recupero delle somme versate in eccesso dal Comune di (omissis) nelle annualità dal 2013 al 2016. Parte appellata ha anche proposto un giudizio di ottemperanza, notificato in data 27 giugno 2023, innanzi al TAR per l'Emilia-Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, R.G. n. 472/2023, con il quale ha contestato all'Agenzia di non aver dato immediata esecuzione alla sentenza gravata. 1.2 Atersir propone ora appello per i seguenti motivi di ricorso: I Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di attribuzione delle competenze di regolazione tariffaria del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 3 bis comma 1 bis, d.l. n. 138/2011 e dell'art. 4, l.r. Emilia-Romagna n. 23/2011; II Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di TARI. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 1 comma 639 e seg. della l. n. 147 del 2013 Con il primo motivo di ricorso, l'appellante ritiene che la competenza del singolo Comune ad approvare il PEF è stata ritenuta da Atersir implicitamente superata in forza della vis abrogans del nuovo assetto delle competenze determinato dal codice dell'ambiente e dall'art. 3 bis, comma 1 bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla stessa legge regionale che attribuisce espressamente ad un organo dell'Agenzia - al Consiglio Locale - la competenza ad approvare le tariffe all'utenza (art. 8 l.r. 23 dicembre 2011 n. 23). Nel processo di determinazione della tariffa, l'appellante richiama la competenza di ARERA sulla base della l. n. 205/2017, art. 1, comma 527, ad approvare "le tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento"; a tal riguardo, fa presente che l'ARERA ha esercitato la propria funzione di "predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti", in occasione dell'emanazione del primo metodo tariffario (c.d. MTR 1), che ha inizialmente previsto la possibilità per ciascun Ente di governo per gli ambiti territoriali ottimali (EGATO) di presentare un piano tariffario articolato per singolo Comune o per ambito. Successivamente - per il secondo e corrente periodo regolatorio (c.d. MTR2) - il metodo adottato dall'Autorità si è fondato esclusivamente sul PEF d'ambito (o pluricomunale), rimettendo in via del tutto eccezionale la possibilità di operare tramite PEF costruiti su base comunale in fattispecie che non si riscontrerebbero nel caso che ci occupa. Sostiene l'appellante inoltre che la scelta di Atersir di determinare la tariffa con riferimento al bacino di affidamento nel suo complesso e le modalità con cui essa ha inteso distribuire tra i Comuni associati gli oneri in funzione perequativa non solo non sarebbe illegittima perché pienamente aderente sia alla legge regionale sia alla legge nazionale, ma sarebbe anche insindacabile poiché attiene al merito amministrativo circa l'ottimizzazione di quelle "economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio", poste dal legislatore nazionale alla base della creazione stessa degli Enti di governo dell'ambito ottimale. Ritiene quindi censurabile l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui la "stretta interconnessione tra la T.A.R.I. applicata ai cittadini e i costi di investimento e di esercizio dell'attività praticata sul territorio comunale" imporrebbe una rigida correlazione tra quelle porzioni di servizio effettivamente realizzate sul singolo territorio ed i costi di esercizio da parte del gestore unico, poiché non terrebbe conto del fatto che tali costi, inferiori a quelli che sarebbero praticati in un'ottica di gestione in economia, sono possibili proprio perché la gestione del servizio si svolge sull'intero bacino. Con il secondo motivo rileva che la ratio sottesa all'attribuzione della competenza ai singoli Comuni riguardo alla TARI si fonda sull'autonomia tributaria degli enti locali e non delle loro forme associative; si tratta di un meccanismo di articolazione della tariffa per cui gli utenti sono considerati uti universi e la determinazione dell'onere sostenuto dal singolo utente è ancora calcolato su base parametrica (superficie e numero di soggetti collegati ad un singolo immobile). Tale circostanza, ritiene, non deve confondere l'articolazione tariffaria a livello di bacino con lo strumento tributario, ossia la delibera comunale, che ripartisce la quota di tariffa spettante agli utenti; diversamente emergerebbe una contraddizione rispetto alla logica d'ambito o di area vasta. La controinteressata He. sostiene che: - la TARI è uno strumento tributario volto a garantire il recupero del costo del servizio di gestione rifiuti in capo agli utenti finali. Si tratta di un tributo locale volto a finanziare il costo del servizio complessivo di gestione integrata dei rifiuti ma tale costo dovrebbe essere considerato come un costo definito a livello di "ambito territoriale ottimale", non parametrato sulla base del singolo utente finale del servizio e dunque sulla base di un singolo territorio comunale; - il corrispettivo spettante a He., per la gestione del servizio deve essere tale da coprire il costo complessivo del servizio stesso sull'intero ambito di affidamento così come previsto dalla Convenzione sottoscritta tra il gestore del servizio e l'Autorità di Ambito (cfr. art. 13-bis Convenzione Atersir - He.) e dall'art. 3, co. 2 del d.P.R. 158/1999 che dispone "la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani". Il Comune appellato, in sede di costituzione, ripropone le domande e i motivi ex art. 101 c.p.a. che illustrerebbero un quadro di complessivo inadempimento da parte di ATERSIR delle corrette procedure previste per l'approvazione dei Piani economico finanziari (PEF) dei diversi Comuni. In particolare seguendo l'elencazione dell'atto di costituzione: A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 23 ottobre 2018 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3. Ulteriore violazione procedimentale dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, lett. c), l.r. Emilia - Romagna n. 23 del 2011. B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del Comune di (omissis) data 13 maggio 2019) 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 1.948.954 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna. 2. I motivi del ricorso di appello vanno trattati unitariamente per i profili di connessione che presentano e sono fondati. Nel caso in questione occorre premettere che la Regione Emilia-Romagna con la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 ha disciplinato il servizio idrico integrato ed il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in Emilia-Romagna, a seguito dell'abrogazione delle autorità d'ambito disposta dall'articolo 2, comma 186-bis legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010). Detta legge regionale ha individuato un unico ambito territoriale ottimale di dimensione regionale; le funzioni sono svolte dall'Agenzia territoriale dell'Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti (Atersir) cui partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni e le Province della Regione. L'Agenzia esercita le proprie funzioni per l'intero ambito territoriale ottimale mediante due distinti livelli di governo: le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale; quelle del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Al riguardo va inoltre considerato il sistema che emerge dalla disposizione introdotta con l'art. 3 bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011. L'art. 3 bis, comma 1 bis, d.l.138/2011, tra l'altro dispone che "Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56". Si tratta di una disposizione che completa un percorso di passaggio di funzioni all'ente di governo dell'ambito ottimale al quale compete l'organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica compreso quello dei rifiuti. Si definisce così un percorso di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, già iniziato con l'art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che si proiettava verso una gestione unitaria pur con il limite del mantenimento della privativa in capo ai Comuni. Mediante l'ambito territoriale ottimale si è superata una ottica di parcellizzazione della gestione dei servizi pubblici a livello dei singoli enti per realizzare economie di scala realizzando una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche. In tal senso, per la materia di interesse, basti richiamare l'art. 200, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale la gestione dei rifiuti urbani risponde, tra l'altro, al criterio di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, intervenendo nella materia di tutela ambientale. Peraltro, con il d.lgs. 152/2006, l'ambito trova ancora più forza mediante la "gestione integrata" dei rifiuti svolta da un unico soggetto a seguito di gara pubblica; e soprattutto viene costituita l'autorità d'ambito, struttura tecnica dotata di personalità giuridica. Con la soppressione delle autorità d'ambito ex art 2, comma 186-bis, l. 23 dicembre 2009, n. 191, il percorso si è interrotto per riprendere con il richiamato art. 3 bis d.l.138/2011 e la costituzione degli enti di governo degli ambiti; un percorso che ha visto transitare una serie di funzioni (organizzazione, scelta della forma di gestione, determinazione delle tariffe all'utenza, affidamento della gestione e relativo controllo) in un ambito più vasto in cui il dominus diventa l'ente di governo. 2.1 Va però evidenziata anche una differenza tra i soggetti titolati alla gestione, ossia l'autorità d'ambito prima e l'ente di governo dell'ambito dopo. L'autorità d'ambito, in base all'abrogato art. 201 d.lgs. 152/2006, era dotata di una propria soggettività giuridica - mediante il riconoscimento della personalità giuridica - che la distingueva dagli enti locali che ne facevano parte. Con l'ente di governo dell'ambito, di cui all'art. 3 - bis d.l.138/2011, si fa un passo ulteriore - anche in termini di funzioni e soggettività - verso la responsabilizzazione di un nuovo ente che si distingue ancora di più dai Comuni che vi partecipano. Non a caso l'ente di governo, dopo l'abrogazione dell'autorità d'ambito che ha segnato una pausa nel processo degli ambiti, viene previsto in un decreto legge recante misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, nel contesto della situazione economico-finanziaria degli anni 2010-2012. Tra queste misure va anche richiamato l'art. 4 del medesimo decreto legge in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (introdotto dopo il referendum abrogativo dell'art. 23 bis d.l. 112/2008) successivamente dichiarato incostituzionale in quanto riproduttivo della normativa caducata dal referendum medesimo. È un passaggio legislativo di rilievo se si pensa che l'ambito territoriale ottimale (Ato) veniva inteso - lungi dal costituire un nuovo ente locale - quale strumento operativo per la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di efficacia, senza alcun riconoscimento di potere impositivo (cfr. Consiglio di Stato sez. V - 2 dicembre 2012, n. 539). 2.2 In questa ottica ha una sua rilevanza la determinazione del PEF a cura dell'ente di governo il quale è dotato di organi anche essi titolari - almeno in via mediata - di rappresentatività dei singoli enti; l'organo di governo dell'ambito è quindi rappresentativo degli enti che vi partecipano, che rimangono capaci di tradurre il proprio indirizzo politico in una reale azione di influenza sull'esercizio delle funzioni (cfr. in tal senso Corte Cost. 33/2019 relativamente alle forme associative con ragionamento sovrapponibile alla fattispecie in esame). 2.3 Né, in ultimo, può essere trascurato che anche la recente normativa (d.lgs. 201/2022) sembra attribuire agli enti di governo d'ambito la natura di autorità di regolazione locale. Nell'impostazione generale della nuova disciplina che impone una distinzione tra le funzioni di regolazione e di gestione, è previsto che gli enti di governo "non possono direttamente o indirettamente partecipare a soggetti incaricati della gestione del servizio", aggiungendosi che la partecipazione degli locali compresi nell'ambito non è considerata quale partecipazione (anche solo) indiretta (art. 6).. Sempre in questa ottica va richiamato quanto previsto dall'art. 37, comma 2, del citato d.lgs. 201/2022 che, modificando l'art. 3 - bis, comma 1- bis, d.l. 138/2011, dispone che "Le deliberazioni degli enti di governo di cui al comma 1 sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive da parte degli organi degli enti locali"; previsione che si ritrova nella medesima formulazione anche nella richiamata legge regionale Emilia - Romagna 23/2011 (art 4 comma 3) e che sta ad indicare una autonomia dell'organo di governo dell'ambito dall'ente locale che ne fa parte e la necessità di una "consonanza" al fine di evitare che quanto in una sede deliberato (Atersir nello specifico) venga superato da parte del singolo ente locale aderente. 2.4 Quanto poi all'attuazione della disciplina statale a livello regionale occorre considerare che la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 prevede, per la parte di interesse: art 4, comma 4: Al fine di valorizzare le differenziazioni territoriali, l'Agenzia opera su due livelli cui competono funzioni distinte di governo. Le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale. Le funzioni del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Art. 7, commi 1, 3 e 5: 1.Il Consiglio d'ambito svolge le funzioni di primo livello, è nominato dal Consiglio locale ed è costituito da Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati in via permanente. 3.Le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto. 5.Il Consiglio d'ambito provvede sia per il servizio idrico integrato sia per quello di gestione dei rifiuti: b) alla definizione e approvazione dei costi totali del servizio; c) all'approvazione, sentiti i Consigli locali, del piano economico-finanziario; d) all'approvazione del piano d'ambito e dei suoi eventuali piano stralcio; i) al monitoraggio e valutazione, tenendo conto della qualità ed entità del servizio reso in rapporto ai costi, sull'andamento delle tariffe all'utenza deliberate dai Consigli locali ed all'eventuale proposta di modifica e aggiornamento; art. 8 I Consigli locali svolgono le funzioni di secondo livello ai sensi dell'articolo 4, comma 4. Ogni Consiglio locale è costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale, rappresentati dai Sindaci, nonché dalla Provincia, rappresentata dal Presidente, o dagli amministratori locali delegati, in coerenza con quanto previsto per le conferenze di cui all'articolo 11 della legge regionale 24 marzo 2004, n. 6. Dall'articolazione delle funzioni sopra richiamate e dalla natura degli organi e dalla loro composizione emerge come i singoli Comuni aderenti partecipano a pieno titolo, con i loro rappresentanti di vertice - Sindaci o Presidenti di provincia - al processo decisionale a livello di ambito. In particolare, nel Consiglio locale che dà il parere sul PEF è prevista la presenza di tutti i Sindaci ed opera il principio della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione presenti (cfr. art. 8, comma 4, l.r. 23/2011). Le quote di partecipazione dei Comuni sono determinate per un decimo in ragione del loro numero e per nove decimi sulla base della popolazione residente in ciascun Comune, calcolate sui nove decimi dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale; le quote di partecipazione della Provincia è pari ad un decimo dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale. Il Consiglio di ambito poi - che approva il Pef - è costituito da sindaci, presidenti della provincia o amministratori locali delegati in via permanente nel numero di nove secondo la formulazione attualmente vigente, nominati dai Consigli locali; le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto indipendentemente dalla popolazione (cfr. art 7, comma 3, l.r. 23/2011). In sostanza si tratta di un criterio in cui è prevalente la popolazione, più direttamente nel consiglio locale per la presenza diretta del sindaco di tutti i Comuni e in maniera mediata per il Consiglio di ambito i cui componenti sono nominati dal consiglio locale nel cui ambito prevale il criterio numerico della popolazione. Se questo, come si ritiene, è l'impianto degli enti di governo dell'ambito ne consegue che il PEF rappresenta la sintesi più avanzata - sotto il profilo economico e finanziario - delle funzioni di gestione ed esso viene approvato dal consiglio d'ambito previo parere del consiglio locale. 2.5 Se quindi ha un senso il criterio dell'area vasta - per un servizio complessivo secondo quanto rileva l'appellante del valore di 130 milioni di euro annui - occorre prescindere da una logica ancorata al criterio del costo a livello del singolo Comune senza considerare l'area vasta ed i vantaggi della sua gestione; diversamente opinando l'area vasta risulterebbe, da un lato, la somma dei singoli costi maturati a livello comunale e dall'altro una mera ripartizione di costi generali. In definitiva, si tratta di una migliore gestione di risorse, con assegnazione della gestione ad un solo soggetto in luogo dei diversi Comuni appartenenti all'ambito. E' questa una impostazione legislativa che ritroviamo anche in altre disposizioni comprese quelle che incentivano l'associazionismo - a livello statale e regionale - come quella dell'obbligo dell'esercizio associato delle funzioni per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, invero non ancora attuato, di cui all'art. 14 comma 27 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122. Da quanto sin qui premesso il tema della competenza del Comune all'approvazione del PEF va visto in una ottica diversa. Le quantificazioni ivi contenute sono "approvate" da ciascun Comune mediante l'iscrizione a bilancio dei costi risultanti dai PEF approvati dall'Agenzia relativi al proprio territorio (in tal senso si veda nota dell'Atersir dell'11 dicembre 2016) restando al Comune la valutazione su come ripartire tra i propri cittadini la relativa TARI. 2.6 Si può quindi sostenere che, nel caso specifico, vi sia un passaggio pieno all'ente di governo delle funzioni relative alle dinamiche gestionali e finanziarie della gestione del servizio dei rifiuti. Ossia l'ente di governo - inteso come ente che organizza e che affida il servizio - necessariamente deve poter "dominare" l'aspetto dei costi che prelude proprio all'affidamento medesimo; il che non si concilierebbe con un ruolo del Comune come soggetto con il quale l'ente di governo deve necessariamente cercare un accordo sui costi di ciascun Comune attesa l'eventualità che ciò si tramuti in un potere interdittivo non conciliabile con quanto sopra rilevato in ordine ai meccanismi di governo dell'ente, improntati appunto alla maggioranza. Da quanto sopra emerge anche che l'obbligo di copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di cui all'art. 1, comma 654, l. 147/2013 non può essere ipotizzato come la somma dei costi a livello comunale; si deve necessariamente avere riguardo ai costi dell'ambito che però con trasparenza devono essere resi evidenti dall'ente di governo e dimostrare anche quelle economie di scala per le quali l'ambito trova la propria ragion d'essere. Sulla scorta di quanto sin qui esposto appare coerente con il disegno legislativo descritto il ruolo dell'ente di governo - il consiglio d'ambito nello specifico - che approva a maggioranza il PEF senza dovere essere condizionato da un accordo puntuale con ciascun Comune appartenente all'ambito; altro tema è comunque quello del riequilibrio di cui si dirà in appresso. 3.In relazione ai motivi di parte appellata occorre puntualizzare che il comportamento di Atersir sebbene non censurabile in questa sede per le ragioni esposte necessita di una verifica nel merito amministrativo delle scelte operate che hanno visto, come emerge dagli atti di causa, un primo orientamento volto al recupero delle sovra-coperture ed in seguito l'adozione di una serie di atti non rispondenti a detto fine. Si tratta di valutazioni di merito che esulano dalle valutazioni di legittimità da svolgersi in questa sede e che potranno essere approfondite dagli organi competenti, come a quanto consta dagli atti di causa è avvenuto in relazione alla delibera del 13 ottobre 2023 che ha incrementato il costo dei servizi di spazzamento a favore di determinati Comuni, tra cui (omissis), da ripartire sui Comuni di tutto il bacino. E ciò in considerazione di una rimodulazione dei servizi di spazzamento i cui "maggiori oneri che ne derivano siano distribuiti tra gli utenti dell'intero bacino di gara, in linea con il principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente...anche in considerazione del fatto che qualora tali fabbisogni fossero stati correttamente inseriti già nel monte chilometrico descritto dal bando di gara, il relativo costo sarebbe poi stato suddiviso tra tutti i Comuni del bacino, secondo la medesima logica di attribuzione dei costi che viene utilizzata per passare dai costi descritti dal PEF "di bacino" al PEF di ogni singolo comune e che comprende ragioni perequative che vanno oltre la matematica ripartizione dei costi attribuibili ai singoli territori comunali". La citata delibera ha pertanto dato "mandato alla struttura tecnica di elaborare idonee simulazioni di ripartizione del costo sopra riportato e pari a 512.116 euro sull'intero bacino di concessione, in conformità al sopra richiamato principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente e in coerenza con le consuete logiche perequative di area vasta già adottate in precedenti atti di questo Consiglio Locale, affinché siano poi applicate a partire dalla prossima pianificazione economico finanziaria del servizio". In quest'ultima delibera può rilevarsi che l'ente di governo si è posto in una ottica perequativa che appare imprescindibile al fine di consentire che le risorse che ciascun Comune versa - e quindi ciascun cittadino a titolo di Tari - trovino una loro "compensazione". Ne consegue che all'ente di governo ed agli organi di natura politica che lo compongono, che compete, nell'esplicazione di una valutazione di merito, l'individuazione di una soluzione, nella gamma di quelle possibili, che offra maggiori o migliori servizi a favore di quei cittadini che mediante la Tari hanno sopportato i costi dell'ambito anche per i Comuni meno efficienti con il rischio di sovracoperture, auspicabilmente da evitare in generale. 3.1 In relazione alle singole censure riproposte da parte appellata ex art 101 cpa si rileva quanto segue. A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 23 ottobre 2018 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3. Ulteriore violazione procedimentale dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. Le richiamate censure possono essere trattate unitariamente visti i profili di connessione. In particolare, con le richiamate censure (A.1, sub 2 e 3) l'appellato Comune di (omissis) rileva che il Consiglio d'Ambito di ATERSIR con delibera 27 luglio 2017, n. 51, aveva deliberato un cronoprogramma per la stesura dei successivi piani economico-finanziari; cronoprogramma che non è stato rispettato. Evidenzia che il gestore ha effettivamente avuto dei contatti preliminari con il Comune di (omissis), ma non ha fornito il PEF nella sua versione definitiva, che avrebbe poi dovuto consegnare ad ATERSIR entro il termine del 15 novembre, secondo la tempistica della richiamata delibera 51/2017 e soprattutto concordare il suo contenuto anche in ordine alle sovracoperture; l'assenza dell'accordo dovrebbe comportare un onere di motivazione aggravata. Segnala inoltre che sono intervenuti dei contatti del gestore (nota del 22 dicembre 2017) con l'Amministrazione comunale senza esito per cui il confronto sulla programmazione si sarebbe risolto nella mera comunicazione della bozza di PEF, poi unilateralmente approvata. La mancata comunicazione (si veda motivo sub 3) costituirebbe anche una diretta violazione di legge dell'art. 8 d.P.R. n. 158 del 1999, il quale stabilisce infatti, al comma 3, che "il piano finanziario deve essere corredato da una relazione" nella quale deve essere indicato, tra l'altro, "con riferimento al piano dell'anno precedente, l'indicazione degli scostamenti che si siano eventualmente verificati e le relative motivazioni" (lett. d) Ritiene infine che l'affermazione della delibera n. 19 del 2018, di approvazione del PEF 2018, secondo cui la pianificazione "è costruita tenendo conto della procedura individuata dalla deliberazione del Consiglio di ambito n. 51 del 27 luglio 2017 "Procedura per la definizione del percorso approvativo della pianificazione economico finanziaria 2018 e anni seguenti"" appare una mera formula di stile, non corrispondendo ad un reale contenuto. I motivi sono infondati. La mera delibera di adozione di un cronoprogramma (delibera 27 luglio 2017, n. 51) sebbene impegni l'ente di governo non può assumere valore vincolante al fine di determinare un vizio dell'atto successivamente adottato in violazione del richiamato cronoprogramma; nello specifico i due atti - cronoprogramma e PEF 2018 - promanano dal medesimo Consiglio di ambito che con il successivo atto si è determinato - implicitamente revocando il precedente. Inoltre, la previsione di un accordo con il Comune sul PEF, richiamato nella delibera 51/2017 non può essere letta come un vincolo avente maggiore valenza di quelli che la legge regionale dispone e che prevede l'approvazione a maggioranza del PEF in sede di Consiglio d'ambito; peraltro la delibera 51/2017 aveva il prioritario fine di prevedere uno scadenzario alle attività preparatorie del PEF. Quanto poi alla violazione dell'art 8 d.P.R. 158/1999 essa non può assurgere a vizio invalidante sulla base dell'art. 21 - octies della l. 241/1990; ossia si tratta di un vizio formale relativo all'iter procedimentale da seguire la cui ottemperanza non avrebbe reso differente il contenuto degli atti poi legittimamente adottati. Analogamente quanto all'affermazione della delibera 10/2018 di approvazione del Pef che si ritiene mera affermazione di stile nella parte in cui fa riferimento al tenere conto della richiamata delibera 51/2017; anche per detta censura valgono le medesime considerazioni sopra svolte in ordine all'applicabilità dell'art 21 -octies l. 241/1990 atteso che, anche in questo caso, si tratta di un vizio formale che non modifica la legittimità degli atti adottati con le maggioranze e secondo l'iter previsti dalla legge regionale. 3.2 Con la censura rubricata "A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019: 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il Comune interessato. Difetto di motivazione", l'appellato Comune di (omissis) rileva che le modalità di presentazione del PEF 2019 non hanno rispettato quelle originariamente disposte dalla delibera 57/2011, poi modificata nel 2018 con la delibera n. 56 del 25 luglio 2018. Al riguardo rileva che entro il 15 novembre i gestori della raccolta avrebbero dovuto fornire ad ATERSIR i PEF dell'anno concordati con i Comuni con l'elencazione dei costi comunali e la fornitura delle relazioni di accompagnamento; al riguardo il Comune, in data 7 febbraio 2019, ha evidenziato delle censure all'operato dell'Agenzia senza ricevere alcun riscontro. Ritiene inoltre che la controinteressata He. S.p.A. avrebbe dovuto non solo tempestivamente anticipare il PEF in via "notiziale" al Comune, ma avrebbe dovuto previamente concordarlo anche in ordine al rientro delle sovracoperture. In ogni caso avrebbe dovuto, ove per serie ragioni tale accordo non possa essere raggiunto, assolvere ad un onere di motivazione aggravato. Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che esso è in parte riproduttivo di quanto già evidenziato con la precedente censura dalla quale comunque differisce trattandosi del PEF 2019; ne consegue che valgono le medesime motivazioni sopra evidenziate, cui si fa rinvio. Si aggiunge anche che in questo contesto non può perseguirsi una logica di accordo puntuale con ciascun Comune sul PEF neutralizzando quanto disposto dalla legge regionale in materia di funzionamento degli organi dell'ente di governo a maggioranza. 3.3 Con il motivo rubricato: "3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, lett. c) l.r. n. 23 del 2011" l'appellato Comune rileva che il Consiglio locale di cui all'art 8 della l.r. 23/2011 (costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale) in data 8 marzo 2019, ha espresso parere negativo rispetto alla programmazione economico-finanziaria per l'anno 2019; il Consiglio d'ambito (costituito dai Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati) nella deliberazione di approvazione del PEF 2019 qui impugnata, non ha fornito alcuna motivazione per la differente decisione adottata né ha indicato il segno del parere. Rileva inoltre che - al momento dell'adozione della delibera del Consiglio d'Ambito - il prescritto parere non era stato nemmeno formalizzato, esprimendo dubbi circa la conoscenza da parte dei membri del Consiglio d'Ambito del contenuto della richiamata delibera del Consiglio locale n. 3 dell'8 marzo 2019. Il motivo è infondato. In sede di Consiglio locale per l'espressione del parere sul PEF 2019, come evidenzia l'appellante è stato dato parere negativo ma detta modalità del parere non è stata riportata nella delibera di approvazione del PEF 2019; l'assenza del richiamo alla natura del parere non inficia la validità della delibera in quanto la legge regionale 23/2011, all'art 7,comma 5, lett. c) prescrive solo che sia sentito il Consiglio locale non prevedendo espressamente alcuna diversa procedura (ad esempio, maggioranza rafforzata) nell'ipotesi in cui detto parere fosse negativo. Da ciò ne consegue che, sebbene indice di una trascuratezza nella redazione della delibera, detto mancato richiamo non può inficiare la delibera ex art. 21-octies l. 241/1990 trattandosi di un vizio formale che non incide sul contenuto dell'atto; in tal caso infatti si è registrata la maggioranza per cui la delibera risulta formalmente approvata. Quanto poi alla mancata formalizzazione del parere del Consiglio locale, cui parte appellata fa riferimento, occorre precisare che si tratta di atto pubblico che fa prova fino a querela di falso e pertanto non si ritiene questa la sede per evidenziare dette carenze; in disparte il fatto che detta censura non è provata in questa sede. 3.4 Con la censura rubricata "B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del Comune di (omissis) di data 13 maggio 2019): 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 1.948.954 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna", l'appellato Comune rileva di avere sempre cercato una soluzione "amministrata" per tenere conto delle esigenze di Atersir, di He. S.p.A. e degli stessi altri enti locali appartenenti all'ambito. Con tale impostazione, il Comune di (omissis) si sarebbe allineato alle rassicurazioni dell'Ente di governo, sulla base della delibera del 27 febbraio 2017, CAMB/2017/10 con la quale Atersir aveva deliberato "di assumere quale prima linea di indirizzo nella predisposizione della pianificazione economico finanziaria 2017 (...) con particolare riferimento al bacino di affidamento di He." quella del "recupero totale delle sovracoperture determinatesi nell'implementazione del sistema di definizione dei costi del servizio a partire dalle rendicontazioni consuntive prodotte dai gestori ai sensi della D.G.R. 754/2012". Una volta venuto a conoscenza di questo atto (nel giugno 2017), il Comune di (omissis) fa presente che ha sempre cercato di conseguire l'obiettivo di un rientro progressivo, accettando la prospettiva di una compensazione stabilita su base pluriennale, quale voce di sconto nei singoli PEF. In considerazione del fatto che Atersir non ha proceduto in tal senso rileva che le sovracoperture corrispondono pur sempre a somme che il Comune ha versato ad He. S.p.A. in assenza di una controprestazione; ciò in aperta violazione dell'art. 2, comma 2, della "regolamentazione della fatturazione e dei pagamenti" n. 225 del 21 agosto 2013 tra Comune di (omissis) ed He. S.p.A.; detto atto convenzionale dispone che "He. emetterà una fattura di conguaglio del corrispettivo per il servizio, sempre con data fine mese, a dicembre 2013, per il pagamento del maggior / minor corrispettivo eventualmente dovuto sulla base del PEF 2013 del servizio SGRUA e di variazioni degli standard di servizio o di servizi extracontrattuali, convenuti tra He., Comune ed ATERSIR nel corso dell'esercizio 2013". In ogni caso ritiene trattarsi di un dovere restitutorio derivante dal pagamento di un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), o comunque un indebito soggettivo ex art. 2036 c.c. avendo il Comune di (omissis) pagato un debito dei Comuni che sulla base dei predetti rendiconti elaborati da Atersir ai sensi del d.G.R. 754 del 2012 risulterebbero sottocoperti (come i Comuni di Bologna e (omissis), qui non costituiti). In tal senso ritiene si verterebbe in materia di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. c) o p) c.p.a. Il motivo è infondato. Al riguardo occorre premettere che la fattispecie che ci occupa verte in materia di giurisdizione esclusiva ex art 133 lett. p) c.p.a. atteso che si tratta di controversia relativa al ciclo dei rifiuti riconducibile, anche se in via mediata, all'esercizio di un pubblico potere. Va rilevato che detto obbligo restitutorio è privo di fondamento attesa la legittimità della procedura come sopra rilevata. Nello specifico comunque l'appellato fonda la propria censura sulla convenzione del 21 agosto 2013 agli atti di causa che disciplina la fatturazione e i pagamenti del servizio di raccolta rifiuti; si tratta di un atto convenzionale che avrebbe potuto essere modificato ad iniziativa anche del Comune appellato e che comunque non può modificare l'impianto normativo sin qui descritto sui costi e sulla loro legittimità come sopra evidenziato. 4. Attesa la complessità e la novità delle questioni esaminate sussistono idonei motivi per la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e riforma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4574 del 2023, proposto da Agenzia Territoriale dell'Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti - Atersir, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fa., Ch. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Fa. in Padova, via (...); nei confronti He. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia; Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 926/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di He. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.La questione controversa riguarda l'obbligo dell'Agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per i servizi idrici e rifiuti -Atersir- di stabilire meccanismi compensativi per il recupero di 688.031,07 Euro a favore del Comune di (omissis) (corrispondente alle sovra-coperture del servizio per le annualità 2013-2016). In particolare, in primo grado l'attuale appellato - Comune di (omissis) - ha censurato l'indebita determinazione del corrispettivo a suo carico per il servizio di raccolta rifiuti sul proprio territorio, secondo il Piano Finanziario (PEF) annualmente deliberato da Atersir sostenendo che il d.lgs. 152/2006, nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sancisce il principio dell'integrale copertura dei costi (ribadito per la TARI dall'art. 1, comma 654, della l. 147/2013); il gestore dovrebbe elaborare quindi il PEF che contempla il costo per ciascun Comune, senza sovra-coperture, da riversare sui cittadini mediante la determinazione della tariffa. Nello specifico, il Comune di (omissis) ha lamentato che, dal confronto fra i costi e i ricavi della gestione del servizio per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 - come rendicontati dal gestore del servizio ad ATERSIR e da questa trasmessi all'amministrazione - risultano costanti "sovra-coperture" del servizio, per importi nell'ordine complessivo di 688.031,07; Atersir non si sarebbe adoperata per porvi rimedio, ed anzi avrebbe affermato l'equilibrio del sistema a livello di bacino e la fisiologia degli scostamenti locali. In sede di primo grado il giudice ha accolto il ricorso del Comune di (omissis), qui appellato, ritenendo che i disallineamenti tra i costi preventivati e quelli risultati dai rendiconti si sono risolti in un indebito vantaggio per i Comuni dell'ambito a danno del Comune di (omissis). Di conseguenza il Tar - aderendo alla prospettazione del Comune ricorrente - ha statuito l'obbligo per Atersir di adottare - entro un termine ragionevolmente compatibile con la scansione temporale della programmazione - un piano per il recupero delle somme versate in eccesso dal Comune di (omissis) nelle annualità dal 2013 al 2016. Parte appellata ha anche proposto un giudizio di ottemperanza, notificato in data 27 giugno 2023, innanzi al TAR per l'Emilia-Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, R.G. n. 471/2023, con il quale ha contestato all'Agenzia di non aver dato immediata esecuzione alla sentenza gravata. 1.2 Atersir propone ora appello per i seguenti motivi di ricorso. I Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di attribuzione delle competenze di regolazione tariffaria del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 3 bis comma 1 bis, d.l. n. 138/2011 e dell'art. 4, l.r. Emilia-Romagna n. 23/2011. II Error in iudicando per aver travisato la disciplina in materia di TARI. Falsa ed erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 1 comma 639 e seg. della l. n. 147 del 2013 Con il primo motivo di ricorso, l'appellante ritiene che la competenza del singolo Comune ad approvare il PEF è stata ritenuta da Atersir implicitamente superata in forza della vis abrogans del nuovo assetto delle competenze determinato dal codice dell'ambiente e dall'art. 3 bis, comma 1 bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla stessa legge regionale che attribuisce espressamente ad un organo dell'Agenzia - al Consiglio Locale - la competenza ad approvare le tariffe all'utenza (art. 8 l.r. 23 dicembre 2011 n. 23). Nel processo di determinazione della tariffa, l'appellante richiama la competenza di ARERA sulla base della l. n. 205/2017, art. 1, comma 527, ad approvare "le tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento"; a tal riguardo, fa presente che l'ARERA ha esercitato la propria funzione di "predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti", in occasione dell'emanazione del primo metodo tariffario (c.d. MTR 1), che ha inizialmente previsto la possibilità per ciascun Ente di governo per gli ambiti territoriali ottimali (EGATO) di presentare un piano tariffario articolato per singolo Comune o per ambito. Successivamente - per il secondo e corrente periodo regolatorio (c.d. MTR2) - il metodo adottato dall'Autorità si è fondato esclusivamente sul PEF d'ambito (o pluricomunale), rimettendo in via del tutto eccezionale la possibilità di operare tramite PEF costruiti su base comunale in fattispecie che non si riscontrerebbero nel caso che ci occupa. Sostiene l'appellante, inoltre, che la scelta di Atersir di determinare la tariffa con riferimento al bacino di affidamento nel suo complesso e le modalità con cui essa ha inteso distribuire tra i Comuni associati gli oneri in funzione perequativa non solo non sarebbe illegittima perché pienamente aderente sia alla legge regionale sia alla legge nazionale, ma sarebbe anche insindacabile poiché attiene al merito amministrativo circa l'ottimizzazione di quelle "economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio", poste dal legislatore nazionale alla base della creazione stessa degli Enti di governo dell'ambito ottimale. Ritiene quindi censurabile l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui la "stretta interconnessione tra la T.A.R.I. applicata ai cittadini e i costi di investimento e di esercizio dell'attività praticata sul territorio comunale" imporrebbe una rigida correlazione tra quelle porzioni di servizio effettivamente realizzate sul singolo territorio ed i costi di esercizio da parte del gestore unico, poiché non terrebbe conto del fatto che tali costi, inferiori a quelli che sarebbero praticati in un'ottica di gestione in economia, sono possibili proprio perché la gestione del servizio si svolge sull'intero bacino. Con il secondo motivo rileva che la ratio sottesa all'attribuzione della competenza ai singoli Comuni riguardo alla TARI si fonda sull'autonomia tributaria degli enti locali e non delle loro forme associative; si tratta di un meccanismo di articolazione della tariffa per cui gli utenti sono considerati uti universi e la determinazione dell'onere sostenuto dal singolo utente è ancora calcolato su base parametrica (superficie e numero di soggetti collegati ad un singolo immobile). Tale circostanza, ritiene, non deve confondere l'articolazione tariffaria a livello di bacino con lo strumento tributario, ossia la delibera comunale, che ripartisce la quota di tariffa spettante agli utenti; diversamente emergerebbe una contraddizione rispetto alla logica d'ambito o di area vasta. La controinteressata He. sostiene che: -la TARI è uno strumento tributario volto a garantire il recupero del costo del servizio di gestione rifiuti in capo agli utenti finali. Si tratta di un tributo locale volto a finanziare il costo del servizio complessivo di gestione integrata dei rifiuti ma tale costo dovrebbe essere considerato come un costo definito a livello di "ambito territoriale ottimale", non parametrato sulla base del singolo utente finale del servizio e dunque sulla base di un singolo territorio comunale; - il corrispettivo spettante a He. per la gestione del servizio deve essere tale da coprire il costo complessivo del servizio stesso sull'intero ambito di affidamento così come previsto dalla Convenzione sottoscritta tra il gestore del servizio e l'Autorità di Ambito (cfr. art. 13-bis Convenzione Atersir - He.) e dall'art. 3, co. 2 del d.P.R. 158/1999 che dispone "la tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani". 1.4 Il Comune appellato, in sede di costituzione, ripropone le domande e i motivi ex art. 101 c.p.a. che illustrerebbero un quadro di complessivo inadempimento da parte di ATERSIR delle corrette procedure previste per l'approvazione dei Piani economico finanziari (PEF) dei diversi Comuni. In particolare, seguendo l'elencazione dell'atto di costituzione: A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 10 aprile 2018. 2. Violazione di modalità e tempistiche stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del consiglio d'ambito di Atersir. Violazione dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture. A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019. 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il comune interessato. Difetto di motivazione. 3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, l.r. Emilia - Romagna n. 23 del 2011. B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del comune di data 13 maggio 2019). 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 688.029 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna. 2. I motivi del ricorso di appello vanno trattati unitariamente per i profili di connessione che presentano e sono fondati. Nel caso in questione occorre premettere che la Regione Emilia-Romagna, con la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23, ha disciplinato il servizio idrico integrato ed il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in Emilia-Romagna, a seguito dell'abrogazione delle autorità d'ambito disposta dall'articolo 2, comma 186-bis, legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010). Detta legge regionale ha individuato un unico ambito territoriale ottimale di dimensione regionale; le funzioni sono svolte dall'Agenzia territoriale dell'Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti (Atersir) cui partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni e le Province della Regione. L'Agenzia esercita le proprie funzioni per l'intero ambito territoriale ottimale mediante due distinti livelli di governo: le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale; quelle del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Al riguardo va inoltre considerato il sistema che emerge dalla disposizione introdotta con l'art. 3 bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011 come anche dalle disposizioni precedenti, volte alla gestione unitaria dei rifiuti. L'art. 3 - bis, comma 1- bis, d.l.138/2011, tra l'altro, dispone che "Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56". Si tratta di una disposizione che completa un percorso di passaggio di funzioni all'ente di governo dell'ambito ottimale al quale compete l'organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica compreso quello dei rifiuti. Si definisce così un percorso di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, già iniziato con l'art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che invero si proiettava verso una gestione unitaria pur con il limite del mantenimento della privativa in capo ai Comuni. Mediante l'ambito territoriale ottimale si è superata una ottica di parcellizzazione della gestione dei servizi pubblici a livello dei singoli enti per realizzare economie di scala realizzando una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche. In tal senso, per la materia di interesse, basti richiamare l'art. 200, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale la gestione dei rifiuti urbani risponde, tra l'altro, al criterio di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, intervenendo nella materia di tutela ambientale. Con il d.lgs. 152/2006, l'ambito trova ancora più forza mediante la "gestione integrata" dei rifiuti svolta da un unico soggetto a seguito di gara pubblica e soprattutto viene costituita l'autorità d'ambito, struttura tecnica dotata di personalità giuridica. Con la soppressione delle autorità d'ambito, ex art 2, comma 186-bis, l. 23 dicembre 2009, n. 191, il percorso si è interrotto per riprendere con il richiamato art 3 - bis d.l.138/2011 e la costituzione degli enti di governo degli ambiti; un percorso che ha visto transitare una serie di funzioni (organizzazione, scelta della forma di gestione, determinazione delle tariffe all'utenza, affidamento della gestione e relativo controllo) in un ambito più vasto in cui il dominus diventa l'ente di governo. 2.1 Va però evidenziata anche una differenza tra i soggetti titolati alla gestione, ossia l'autorità d'ambito prima e l'ente di governo dell'ambito dopo. L'autorità d'ambito, in base all'abrogato art. 201 d.lgs. 152/2006, era dotata di una propria soggettività giuridica - mediante il riconoscimento della personalità giuridica - che la distingueva dagli enti locali che ne facevano parte. Con l'ente di governo dell'ambito, di cui all'art 3 bis d.l.138/2011, si fa un passo ulteriore - anche in termini di funzioni e soggettività - verso la responsabilizzazione di un nuovo ente che si distingue ancora di più dai Comuni che vi partecipano. Non a caso l'ente di governo, dopo l'abrogazione dell'autorità d'ambito che ha segnato una pausa nel processo degli ambiti, viene previsto con un decreto legge recante misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, nel contesto della situazione economico-finanziaria degli anni 2010-2012. Tra queste misure va anche richiamato l'art. 4 del medesimo decreto legge in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (introdotto dopo il referendum abrogativo dell'art. 23 - bis d.l. 112/2008) successivamente dichiarato incostituzionale in quanto riproduttivo della normativa caducata dal referendum medesimo. È un passaggio legislativo di rilievo se si pensa che l'ambito territoriale ottimale (Ato) veniva inteso - lungi dal costituire un nuovo ente locale - quale uno strumento operativo per la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di efficacia, senza alcun riconoscimento di potere impositivo (cfr. Consiglio di Stato sez. V - 2 dicembre 2012, n. 539). 2.2 In questa ottica ha una sua rilevanza la determinazione del PEF a cura dell'ente di governo il quale è dotato di organi anche essi titolari - almeno in via mediata - di rappresentatività dei singoli enti. L'organo di governo dell'ambito è quindi rappresentativo degli enti che vi partecipano, che rimangono capaci di tradurre il proprio indirizzo politico in una reale azione di influenza sull'esercizio delle funzioni (cfr. in tal senso Corte Cost. 33/2019 relativamente alle forme associative, con ragionamento sovrapponibile alla fattispecie in esame). 2.3 Né, in ultimo, può essere trascurato che anche la recente normativa (d.lgs. 201/2022) sembra attribuire agli enti di governo d'ambito la natura di autorità di regolazione locale. Nell'impostazione generale della nuova disciplina che impone una distinzione tra le funzioni di regolazione e di gestione, è previsto che gli enti di governo "non possono direttamente o indirettamente partecipare a soggetti incaricati della gestione del servizio", aggiungendosi che la partecipazione degli locali compresi nell'ambito non è considerata quale partecipazione (anche solo) indiretta (art. 6). Sempre in questa ottica va richiamato quanto previsto dall'art 37, comma 2, del citato d.lgs. 201/2022 che, modificando l'art. 3 - bis, comma 1 - bis d.l. 138/2011, dispone che "Le deliberazioni degli enti di governo di cui al comma 1 sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive da parte degli organi degli enti locali"; previsione che si ritrova nella medesima formulazione anche nella richiamata legge regionale Emilia - Romagna 23/2011 (art 4 comma 3) e che sta ad indicare una autonomia dell'organo di governo dell'ambito dall'ente locale che ne fa parte e la necessità di una consonanza al fine di evitare che quanto in una sede deliberato (Atersir nello specifico) venga superato da parte del singolo ente locale aderente. 2.4 Quanto poi all'attuazione della disciplina statale a livello regionale occorre considerare che la legge regionale 23 dicembre 2011 n. 23 prevede, per la parte di interesse: art 4, comma 4: Al fine di valorizzare le differenziazioni territoriali, l'Agenzia opera su due livelli cui competono funzioni distinte di governo. Le funzioni del primo livello sono esercitate con riferimento all'intero ambito territoriale ottimale. Le funzioni del secondo livello sono esercitate, in sede di prima applicazione della presente legge, con riferimento al territorio provinciale. Art. 7, commi 1, 3 e 5: 1.Il Consiglio d'ambito svolge le funzioni di primo livello, è nominato dal Consiglio locale ed è costituito da Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati in via permanente. 3.Le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto. 5.Il Consiglio d'ambito provvede sia per il servizio idrico integrato sia per quello di gestione dei rifiuti: b) alla definizione e approvazione dei costi totali del servizio; c) all'approvazione, sentiti i Consigli locali, del piano economico-finanziario; d) all'approvazione del piano d'ambito e dei suoi eventuali piano stralcio; i) al monitoraggio e valutazione, tenendo conto della qualità ed entità del servizio reso in rapporto ai costi, sull'andamento delle tariffe all'utenza deliberate dai Consigli locali ed all'eventuale proposta di modifica e aggiornamento; art. 8 I Consigli locali svolgono le funzioni di secondo livello ai sensi dell'articolo 4, comma 4. Ogni Consiglio locale è costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale, rappresentati dai Sindaci, nonché dalla Provincia, rappresentata dal Presidente, o dagli amministratori locali delegati, in coerenza con quanto previsto per le conferenze di cui all'articolo 11 della legge regionale 24 marzo 2004, n. 6. Dall'articolazione delle funzioni sopra richiamate e dalla natura degli organi e dalla loro composizione emerge come i singoli Comuni aderenti partecipano a pieno titolo, con i loro rappresentanti di vertice - Sindaci o Presidenti di provincia - al processo decisionale a livello di ambito. In particolare, nel Consiglio locale che dà il parere sul PEF è prevista la presenza di tutti i Sindaci ed opera il principio della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione presenti (cfr. art. 8 comma 4 l.r. 23/2011). Le quote di partecipazione dei Comuni sono determinate per un decimo in ragione del loro numero e per nove decimi sulla base della popolazione residente in ciascun Comune, calcolate sui nove decimi dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale; le quote di partecipazione della Provincia è pari ad un decimo dei voti complessivamente a disposizione del Consiglio locale. Il Consiglio di ambito poi - che approva il Pef - è costituito da sindaci, presidenti della provincia o amministratori locali delegati in via permanente nel numero di nove secondo la formulazione attualmente vigente, nominati dai Consigli locali; le deliberazioni del Consiglio d'ambito sono validamente assunte a maggioranza dei votanti e ogni componente ha a disposizione un voto indipendentemente dalla popolazione (cfr. art 7, comma 3, l.r. 23/2011). In sostanza si tratta di un criterio in cui è prevalente la popolazione, più direttamente nel consiglio locale per la presenza diretta del sindaco di tutti i Comuni e in maniera mediata per il Consiglio di ambito i cui componenti sono nominati dal consiglio locale nel cui ambito prevale il criterio numerico della popolazione. Se questo, come si ritiene, è l'impianto degli enti di governo dell'ambito ne consegue che il PEF rappresenta la sintesi più avanzata - sotto il profilo economico e finanziario - delle funzioni di gestione ed esso viene approvato dal consiglio d'ambito previo parere del consiglio locale. 2.5 Se quindi ha un senso il criterio dell'area vasta - per un servizio complessivo secondo quanto rileva l'appellante del valore di 130 milioni di euro annui - occorre prescindere da una logica ancorata al criterio del costo a livello del singolo Comune senza considerare l'area vasta ed i vantaggi della sua gestione. Diversamente opinando l'area vasta risulterebbe, da un lato, la somma dei singoli costi maturati a livello comunale e dall'altro una mera ripartizione di costi generali. In definitiva, si tratta di una migliore gestione di risorse, con assegnazione della gestione ad un solo soggetto in luogo dei diversi Comuni appartenenti all'ambito. E' questa una impostazione legislativa che ritroviamo anche in altre disposizioni comprese quelle che incentivano l'associazionismo - a livello statale e regionale - come quella dell'obbligo dell'esercizio associato delle funzioni per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, invero non ancora attuato, di cui all'art. 14 comma 27 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122. Da quanto sin qui premesso il tema quindi della competenza del Comune all'approvazione del PEF va visto in una ottica diversa. Le quantificazioni ivi contenute sono "approvate" da ciascun Comune mediante l'iscrizione a bilancio dei costi risultanti dai PEF approvati dall'Agenzia relativi al proprio territorio (in tal senso si veda nota dell'Atersir dell'11 dicembre 2016) restando al Comune la valutazione su come ripartire tra i propri cittadini la relativa TARI. 2.6 Si può quindi sostenere che nel caso specifico vi sia un passaggio pieno all'ente di governo delle funzioni relative alle dinamiche gestionali e finanziarie della gestione del servizio dei rifiuti. Ossia l'ente di governo - inteso come ente che organizza e che affida il servizio - necessariamente deve poter "dominare" l'aspetto dei costi che prelude proprio all'affidamento medesimo. Il che non si concilierebbe con un ruolo del Comune come soggetto con il quale l'ente di governo deve necessariamente cercare un accordo sui costi di ciascun Comune attesa l'eventualità che ciò si tramuti in un potere interdittivo non conciliabile con quanto sopra rilevato in ordine ai meccanismi di governo dell'ente, improntati appunto alla maggioranza. Da quanto sopra emerge anche che l'obbligo di copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di cui all'art. 1, comma 654, l 147/2013 non può essere ipotizzato come la somma dei costi a livello comunale; si deve necessariamente avere riguardo ai costi dell'ambito che però con trasparenza devono essere resi evidenti dall'ente di governo e dimostrare anche quelle economie di scala per le quali l'ambito trova la propria ragion d'essere. Sulla scorta di quanto sin qui esposto appare coerente con il disegno legislativo descritto il ruolo dell'ente di governo - il consiglio d'ambito nello specifico - che approva a maggioranza il PEF senza dovere essere condizionato da un accordo puntuale con ciascun Comune appartenente all'ambito; altro tema è comunque quello del riequilibrio di cui si dirà oltre. 3.In relazione ai motivi di parte appellata occorre puntualizzare che il comportamento di Atersir sebbene non censurabile in questa sede per le ragioni esposte necessita di una verifica nel merito amministrativo delle scelte operate che hanno visto, come emerge dagli atti di causa, un primo orientamento volto al recupero delle sovra-coperture ed in seguito l'adozione di una serie di atti non rispondenti a detto fine. Si tratta di valutazioni di merito che esulano dalle valutazioni di legittimità da svolgersi in questa sede e che potranno essere approfondite dagli organi competenti, come a quanto consta dagli atti di causa è avvenuto in relazione alla delibera del 13 ottobre 2023 che ha incrementato il costo dei servizi di spazzamento a favore di determinati Comuni, tra cui (omissis), da ripartire sui Comuni di tutto il bacino. E ciò in considerazione di una rimodulazione dei servizi di spazzamento i cui "maggiori oneri che ne derivano siano distribuiti tra gli utenti dell'intero bacino di gara, in linea con il principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente...anche in considerazione del fatto che qualora tali fabbisogni fossero stati correttamente inseriti già nel monte chilometrico descritto dal bando di gara, il relativo costo sarebbe poi stato suddiviso tra tutti i Comuni del bacino, secondo la medesima logica di attribuzione dei costi che viene utilizzata per passare dai costi descritti dal PEF "di bacino" al PEF di ogni singolo comune e che comprende ragioni perequative che vanno oltre la matematica ripartizione dei costi attribuibili ai singoli territori comunali". La citata delibera ha pertanto dato "mandato alla struttura tecnica di elaborare idonee simulazioni di ripartizione del costo sopra riportato e pari a 512.116 euro sull'intero bacino di concessione, in conformità al sopra richiamato principio di organizzazione del servizio per bacino territoriale ottimale previsto dalla normativa vigente e in coerenza con le consuete logiche perequative di area vasta già adottate in precedenti atti di questo Consiglio Locale, affinché siano poi applicate a partire dalla prossima pianificazione economico finanziaria del servizio". In quest'ultima delibera, può rilevarsi che l'ente di governo si è posto in una ottica perequativa che appare imprescindibile al fine di consentire che le risorse che ciascun Comune versa - e quindi ciascun cittadino a titolo di Tari - trovino una loro "compensazione". Ne consegue che è all'ente di governo ed agli organi di natura politica che lo compongono, che compete, nell'esplicazione di una valutazione di merito, l'individuazione di una soluzione, nella gamma di quelle possibili, che offra maggiori o migliori servizi a favore di quei cittadini che mediante la Tari hanno sopportato i costi dell'ambito anche per i Comuni meno efficienti con il rischio di sovracoperture, auspicabilmente da evitare in generale. 3.1 In relazione alle singole censure riproposte da parte appellata ex art. 101 c.p.a. si rileva quanto segue. Con la censura rubricata "A.1) censura contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di data 10 aprile 2018: 2. Violazione di modalità e tempistiche stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del consiglio d'ambito di Atersir. Violazione dell'art. 8, comma 3, lett. d), d.P.R. 158/1999. Necessaria riapertura del procedimento per introdurre i meccanismi di recupero delle sovracoperture", l'appellato Comune di (omissis) rileva che l'interesse del Comune di (omissis) rispetto alla presente censura, è quello a che la procedura di pianificazione finanziaria per l'anno 2018 venga annullata. Al riguardo, rileva che il Consiglio d'Ambito di Atersir, con delibera 27 luglio 2017, n. 51, aveva deliberato un cronoprogramma per la stesura dei successivi piani economico-finanziari; cronoprogramma che non è stato rispettato. Evidenzia che il gestore ha effettivamente avuto dei contatti preliminari con il Comune di (omissis), ma non ha fornito il PEF nella sua versione definitiva, che avrebbe poi dovuto consegnare ad Atersir entro il termine del 15 novembre, secondo la tempistica della richiamata delibera 51/2017 e ne avrebbe dovuto concordare il contenuto. La mancata comunicazione del PEF al Comune costituirebbe anche una diretta violazione di legge dell'art. 8 d.P.R. n. 158 del 1999 il quale stabilisce, al comma 3, che "il piano finanziario deve essere corredato da una relazione" nella quale deve essere indicato, tra l'altro, "con riferimento al piano dell'anno precedente, l'indicazione degli scostamenti che si siano eventualmente verificati e le relative motivazioni" (lett. d). Ritiene infine che l'affermazione della delibera n. 10 del 2018, di approvazione del PEF 2018, secondo cui la pianificazione "è costruita tenendo conto della procedura individuata dalla deliberazione del Consiglio di ambito n. 51 del 27 luglio 2017 "Procedura per la definizione del percorso approvativo della pianificazione economico finanziaria 2018 e anni seguenti"" appare una mera formula di stile, non corrispondendo a un reale contenuto. Il motivo è infondato. Primariamente va rilevato che la mera delibera di adozione di un cronoprogramma (delibera 27 luglio 2017, n. 51) sebbene esprima il volere dell'amministrazione non può assumere valore vincolante al fine di determinare un vizio dell'atto successivamente adottato in violazione del richiamato cronoprogramma; nello specifico i due atti - cronoprogramma e PEF 2018 - promanano dal medesimo Consiglio di ambito che con il successivo atto si è determinato, implicitamente revocando - di fatto - il precedente orientamento. Inoltre, la previsione di un accordo con il Comune sul PEF, richiamato nella delibera 51/2017, non può essere letto come un vincolo avente maggiore valenza di quelli che la legge regionale dispone e che prevede l'approvazione a maggioranza del PEF in sede di Consiglio d'ambito; peraltro detta delibera 51/2017 ha il prioritario fine di prevedere uno scadenzario alle attività preparatorie del PEF. Quanto poi alla violazione dell'art 8 d.P.R. 158/1999 essa non può assurgere a vizio invalidante sulla base dell'art. 21 - octies della l. 241/1990; ossia si tratta di un vizio formale relativo all'iter procedimentale da seguire la cui ottemperanza non avrebbe reso differente il contenuto degli atti poi legittimamente adottati. Analogamente deve ritenersi circa l'affermazione della delibera 10/2018 di approvazione del Pef, che l'appellante ritiene sia una mera affermazione di stile; anche per detta censura valgono le medesime considerazioni sopra svolte in ordine all'applicabilità nella fattispecie dell'art. 21 -octies l. 241/1990. 3.2 Con la censura rubricata "A.2) Censure contenute nei (primi) motivi aggiunti, di data 13 maggio 2019: 2. Violazione delle modalità procedimentali stabilite nel cronoprogramma previsto dalla delibera 27 luglio 2017, n. 51, del Consiglio d'Ambito di ATERSIR, come sostituita dalla delibera del 25 luglio 2018, n. 56, e del principio dell'accordo con il Comune interessato. Difetto di motivazione", l'appellato Comune di (omissis) rileva che le modalità di presentazione del PEF 2019 non hanno rispettato quelle originariamente disposte dalla delibera 57/2011, poi modificata nel 2018 con delibera n. 56 del 25 luglio 2018. Al riguardo rileva che entro il 15 novembre i gestori della raccolta avrebbero dovuto fornire ad Atersir i PEF dell'anno concordati con i Comuni con l'elencazione dei costi comunali e la fornitura delle relazioni di accompagnamento. Il Comune, in data 18 febbraio 2019, ha chiesto, senza riscontro, che venisse "inserita nel PEF 2019, per intero o pro rata, la restituzione al Comune di (omissis) di quanto esso ha pagato negli anni precedenti in eccesso rispetto ai costi effettivi" e che inoltre venisse "fornito il dettaglio delle voci di costo imputate al Comune, nella relazione prescritta a corredo del PEF o in documento collegato". Ritiene che il gestore - la controinteressata He. S.p.A. - avrebbe dovuto non solo tempestivamente anticipare il PEF in via "notiziale" al Comune, ma avrebbe dovuto previamente concordarlo anche in ordine al rientro delle sovracoperture. In ogni caso avrebbe dovuto, ove tale accordo non potesse essere raggiunto, assolvere ad un onere di motivazione aggravato. Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che esso è in parte riproduttivo di quanto già evidenziato con la precedente censura dalla quale differisce trattandosi del PEF 2019; ne consegue che valgono le medesime motivazioni sopra evidenziate cui si fa rinvio. Si aggiunge anche che in questo contesto non assume rilievo il mancato riscontro alla nota del Comune atteso che, come sopra evidenziato, non può perseguirsi una logica di accordo puntuale con ciascun Comune sul PEF neutralizzando quanto disposto dalla legge regionale in materia di funzionamento degli organi degli organi dell'ente di governo a maggioranza. 3.3 Con il motivo rubricato: "3.Ulteriore difetto di motivazione in relazione al parere negativo espresso dal Consiglio locale dell'8 marzo 2019, n. 3 e contestuale violazione dell'art. 7, comma 5, l.r. n. 23 del 2011", l'appellato Comune rileva che il Consiglio locale di cui all'art. 8 della l.r. 23/2011 (costituito dai Comuni della provincia e da quelli confinanti di altre Regioni che siano stati inclusi nell'ambito territoriale ottimale) in data 8 marzo 2019, ha espresso parere negativo rispetto alla programmazione economico-finanziaria per l'anno 2019; il Consiglio d'ambito (costituito dai Sindaci, Presidenti della Provincia o Amministratori da loro delegati) nella deliberazione di approvazione del PEF 2019 qui impugnata, non ha fornito alcuna motivazione per la differente decisione adottata né ha indicato il segno del parere. Rileva inoltre che - al momento dell'adozione della delibera del Consiglio d'Ambito - il prescritto parere non era stato nemmeno formalizzato, esprimendo dubbi circa la conoscenza da parte dei membri del Consiglio d'Ambito del contenuto della richiamata delibera del Consiglio locale n. 3 dell'8 marzo 2019. Il motivo è infondato. In sede di Consiglio locale per l'espressione del parere sul PEF 2019, come evidenzia l'appellante è stato dato parere negativo ma detta accezione del parere non è stata riportata nella delibera di approvazione del PEF 2019; l'assenza del richiamo alla natura del parere non inficia la validità della delibera in quanto la legge regionale 23/2011, all'art 7,comma 5, lett. c) prescrive solo che sia sentito il Consiglio locale non prevedendo espressamente alcuna diversa procedura (ad esempio, maggioranza rafforzata) nell'ipotesi in cui detto parere fosse negativo. Da ciò ne consegue che, sebbene indice di una trascuratezza nella redazione della delibera, esso non può inficiare la delibera ex art. 21 -octies l. 241/1990 trattandosi di un vizio formale che non indice sul contenuto dell'atto; in tal caso infatti si è registrata la maggioranza per cui la delibera risulta formalmente approvata. Quanto poi alla mancata formalizzazione del parere del Consiglio locale, cui parte appellata fa riferimento, occorre precisare che si tratta di atto pubblico che fa prova fino a querela di falso e pertanto non si ritiene questa la sede per evidenziare dette carenze; in disparte il fatto che detta censura non è provata in questa sede. 3.4 Con la censura rubricata sub "B. Riproposizione della domanda subordinata avanzata in primo grado dal Comune di (omissis) e non esaminata nella sentenza del Tar Emilia-Romagna (versione contenuta nel ricorso per motivi aggiunti del comune di data 13 maggio 2019): 4. In subordine: accertato che He. S.p.A. ha ricevuto negli anni 2013-2016 dal Comune di (omissis) sovracoperture del servizio per un importo di Euro 688.029 (o di quanto comunque risulterà ), sancire il suo conseguente dovere di restituzione, con corrispondente condanna", l'appellato Comune rileva di avere sempre cercato una soluzione "amministrata" per tenere conto delle esigenze di Atersir, di He. S.p.A. e degli stessi altri enti locali appartenenti all'ambito. Con tale impostazione, il Comune di (omissis) si sarebbe posto in linea con le ripetute rassicurazioni dell'Ente di governo, sulla base della delibera del 27 febbraio 2017, CAMB/2017/10 con la quale Atersir aveva deliberato "di assumere quale prima linea di indirizzo nella predisposizione della pianificazione economico finanziaria 2017 (...) con particolare riferimento al bacino di affidamento di He." quella del "recupero totale delle sovracoperture determinatesi nell'implementazione del sistema di definizione dei costi del servizio a partire dalle rendicontazioni consuntive prodotte dai gestori ai sensi della D.G.R. 754/2012". Una volta venuto a conoscenza di questo atto (nel giugno 2017), il Comune di (omissis) fa presente che ha sempre cercato di conseguire l'obiettivo di un rientro progressivo, accettando la prospettiva di una compensazione stabilita su base pluriennale, quale voce di sconto nei singoli PEF. In considerazione del fatto che Atersir non ha proceduto in tal senso rileva che le sovracoperture corrispondono pur sempre a somme che il Comune ha versato ad He. S.p.A. in assenza di una controprestazione; ciò in aperta violazione dell'art. 2, comma 2, della "regolamentazione della fatturazione e dei pagamenti" tra Comune di (omissis) ed He. S.p.A., giusta il quale "He. emetterà una fattura di conguaglio del corrispettivo, con data fine mese, a Dicembre di ogni anno, per la gestione del servizio SGRUA eventualmente dovuto sulla base del PEF approvato da ATERSIR, per quell'anno". In ogni caso ritiene trattarsi di un dovere restitutorio derivante dal pagamento di un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), o comunque un indebito soggettivo ex art. 2036 c.c. avendo il Comune di (omissis) pagato un debito dei Comuni che sulla base dei predetti rendiconti elaborati da Atersir ai sensi del d.G.R. 754 del 2012 risulterebbero sottocoperti (come i Comuni di Bologna e (omissis), qui non costituiti). In tal senso ritiene si verterebbe in materia di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. c) o p) c.p.a. Il motivo è infondato. Occorre premettere che si verte in materia di giurisdizione esclusiva ex art 133 lett. p) c.p.a. atteso che si tratta di controversia relativa al ciclo dei rifiuti riconducibile, anche se in via mediata, ad un pubblico potere. Va rilevato che detto obbligo restitutorio è privo di fondamento attesa la legittimità della procedura come sopra rilevata. Nello specifico comunque l'appellato fonda la propria censura sulla convenzione del 13 dicembre 2014 agli atti di causa che disciplina la fatturazione e i pagamenti del servizio di raccolta rifiuti. Si tratta di un atto convenzionale che avrebbe potuto essere modificato ad iniziativa anche del Comune appellato e che comunque non può modificare l'impianto normativo sin qui descritto sui costi e sulla loro legittimità come sopra evidenziato. 4. In considerazione di quanto sin qui esposto il ricorso è accolto. 5. Attesa la complessità e la novità delle questioni esaminate sussistono idonei motivi per la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e, per l'effetto, riforma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SORRENTINO Federico - Presidente Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere-Rel. Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. BILLI Stefania - Consigliere Dott. LO SARDO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 20377/2019 R.G. proposto da: (...) Spa, elettivamente domiciliata in Roma Foro Traiano (...), presso lo studio dell'avvocato Fi.Sa. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Gi.Al. Roderi (Omissis); - ricorrente - contro Comune di T, elettivamente domiciliato in Roma Via (...), presso lo studio dell'avvocato Co.Ma. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Me.An.; nonché (...) - Società Riscossioni Spa - intimata - avverso SENTENZA di Comm. Trib. Reg. Piemonte n. 498/2019, depositata il 12 aprile 2019. Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Consigliere De Masi Oronzo. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De Matteis Stanislao, che ha concluso per l'estinzione del giudizio. Udito il difensore della società ricorrente. FATTI DI CAUSA La (...) Spa ricorre con dieci motivi, per la cassazione della sentenza n. 498/6/19, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, confermando la decisione di primo grado, ha disatteso la domanda di annullamento degli avvisi di pagamento TARI, annualità 2015, emessi da (...) Spa per il Comune di T, sul rilievo, assorbente, che sia erronea la tesi dell'appellante di considerare rifiuti speciali, esclusi dal tributo, i materiali (imballaggi, cartoni, plastica e simili) "che sono oggetto di raccolta e smaltimento da parte di ditta specializzata terza", in quanto essi "sono certamente qualificabili e compatibili con i rifiuti urbani" e che "l'ente impositore ha dimostrato l'esistenza del presupposto (per altro rafforzato dalla denuncia della stessa contribuente)" del tributo, donde la piena legittimità del recupero fiscale operato applicando "le norme di riferimento (in particolare il Regolamento istituito dal Comune di T)." Il Comune di T resiste con controricorso, mentre (...) - Società Riscossioni Spa è rimasta intimata. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di impugnazione la società contribuente deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n.147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, 23 Cost., giacché la CTR non ha rilevato l'illegittima applicazione della TARI ai rifiuti derivanti da attività commerciali ed da aree produttive di rifiuti speciali non pericolosi, dovendosi ritenere sottratte alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani le relative superfici, anche in ragione dell'accollo all'operatore privato dell'onere del loro autonomo smaltimento, costituendo gli imballaggi (terziari e secondari) rifiuti speciali non pericolosi. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 4, nullità della sentenza per omesso esame di un motivo di censura e violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 221, 226. D.Lgs. n. 152 del 2006, 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, giacché la CTR non ha correttamente qualificato come rifiuti speciali non pericolosi quelli prodotti dalla contribuente nell'area di mq. 12.868 complessivi, per tre esercizi commerciali, vagliando la legittimità dell'assimilazione ai rifiuti urbani illegittimamente operata dal Comune persino con riferimento ai rifiuti terziari. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, nonché della Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e del principio comunitario chi inquina paga e dell'art. 1 Preleggi, giacché la CTR non ha rilevato l'illegittimità dell'art. 7 del Regolamento comunale n. 280/2005, in forza del quale sono stati assimilati, dal punto di vista qualitativo, tutti gli imballaggi (anche quelli terziari e secondari) individuando, dal punto di vista quantitativo, una soglia abnorme, non coerente con la normativa nazionale e comunitaria. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, nonché della Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e del principio comunitario "chi inquina paga" e dell'art. 1 Preleggi, giacché la CTR non ha rilevato che la previsione di una elevatissima soglia quantitativa (150Kg/mq/anno) incide negativamente sul principio di libera concorrenza e sulle scelte dei produttori di rifiuti. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e) D.Lgs. n. 152 del 2006, degli artt. 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, giacché la CTR avrebbe dovuto rilevare la non assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali da imballaggio terziari (esclusi dal normale circuito di raccolta) e secondari (da conferire solo al servizio di raccolta differenziata ove non restituiti all'utilizzatore dal commerciante al dettaglio) prodotti dalla contribuente, per la gran parte aventi proprio la finalità di agevolare il trasporto delle merci e salvaguardarle dalla manipolazione. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), D.Lgs. n. 152 del 2006, 115 cod. proc. civ., giacché la CTR ha omesso l'esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, in essendo non contestato il deposito in giudizio di esaustiva documentazione (planimetrie punti vendita, destinazione d'uso di ogni area, fatture e formulari) comprovante lo svolgimento di attività commerciale da parte della contribuente. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), D.Lgs. n. 152 del 2006, D.Lgs. n. 152 del 2006, giacché la CTR ha omesso di considerare l'irrilevante incidenza della presenza umana e la modesta produzione di rifiuti urbani in senso stretto che non escludono il diritto all'esenzione. Con l'ottavo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), 221, 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, giacché la CTR non ha considerato l'intassabilità di magazzini, aree di stoccaggio e movimentazione delle merci, in quanto superfici funzionalmente collegate all'esercizio dell'attività, dunque, produttive di imballaggi terziari e, in minima parte, secondari, esenti. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), 221, 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, avuto riguardo alla Circolare del Min. Finanze del 22 giugno 1994 n. 95 ed all'art. 13 del Regolamento comunale TARI, giacché la CTR non ha considerato l'intassabilità dei vani tecnici (apparecchiature tecnologiche) per i quali va in radice esclusa la produzione di rifiuti. Con il decimo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, L. n. 147 del 2013, 184, D.Lgs. n. 152 del 2006, 13 e 18 del Regolamento comunale TARI, giacché la CTR non ha considerato che assoggettare le aree produttive di rifiuti speciali anche da imballaggio) a tassazione viola il divieto di doppia imposizione, dovendo il contribuente sostenere anche i costi per lo smaltimento/recupero mediante ditta privata. In considerazione dell'intervenuta rinuncia, deve essere dichiarata la estinzione del processo ex art. 306, 390 e 391 cod. proc. civ., come richiesto dalla parte ricorrente, per aver definito stragiudizialmente la controversia con compensazione delle spese di lite. Non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (v. Cass., Sez. civ. 6-1, 12/11/2015, n. 23175, secondo cui, in tema di impugnazioni, l'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi - tipici - del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica. P.Q.M. La Corte, dichiara estinto il giudizio con compensazione delle spese del giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5451 del 2021, proposto da Azienda Ag. Tr., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 01690/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Campania - sezione staccata di Salerno ha dichiarato inammissibili il ricorso e i motivi aggiunti proposti dall'Azienda Ag. Tr. nei confronti del Comune di (omissis), per l'annullamento della deliberazione della Giunta municipale n. 54 del 2 aprile 2015 avente ad oggetto "conferma tariffe Ta.Ri. 2015", nonché della delibera del Consiglio comunale n. 10 del 5 giugno 2015, nella parte in cui l'una e l'altra non hanno previsto una tariffa apposita da applicare alle aziende agrituristiche per l'anno 2015. 1.1. Il tribunale ha ritenuto trattarsi dell'impugnazione di atti a contenuto generale e programmatico e, quindi, privi di effetti lesivi diretti, autonomi ed immediati, "i quali si verificheranno solo se e allorquando saranno adottati i conseguenti atti applicativi" (secondo quanto precisato in sentenza). Ha aggiunto che la parte ricorrente non aveva dato prova della "concreta lesività " degli atti, ma aveva "ricostruito in via meramente ipotetica le condizioni di maggior vantaggio che sarebbero derivate nei suoi confronti da una diversa determinazione della tariffa, o meglio dalla formulazione di una specifica tariffa da applicare alle aziende agricole". 1.2. Le spese di lite sono state compensate per giusti motivi. 2. L'Azienda Ag. Tr. ha proposto appello con sette motivi. 2.1. Il Comune di (omissis) ha resistito all'appello. 2.2. All'udienza del 21 marzo 2024 la causa è stata assegnata a sentenza, senza discussione, su richiesta delle parti, previo deposito di memorie e repliche di entrambe. 2.2.1. Quanto a queste ultime, va dato atto che la memoria ex art. 73 c.p.a. depositata dall'Azienda appellante, in disparte il contenuto sostanzialmente riproduttivo delle censure dell'atto di appello, risulta tardivamente depositata, per come eccepito dalla difesa comunale. 3. In via preliminare vanno inoltre esaminate le diverse eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado - oltre quella ritenuta dal Ta.r. - o dell'appello, formulate dal Comune di (omissis), come segue. 3.1. Sulla violazione dell'art. 41 c.p.a. Sull'inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai controinteressati. 3.1.1. L'eccezione è infondata poiché non è dato individuare - né la difesa comunale individua - i soggetti che sarebbero portatori di un interesse contrapposto a quello dell'Azienda ricorrente, tanto da assumere la qualifica di controinteressati. Tali non sono i contribuenti appartenenti a categorie diverse da quella delle aziende agrituristiche, poiché l'invocata differenziazione delle tariffe Ta.Ri. relative a queste ultime non comporta, di per sé, alcun deteriore trattamento tariffario nei confronti di altre categorie; gli altri titolari di aziende agrituristiche sono da reputare invece portatori di interessi convergenti con quello dell'azienda ricorrente, perciò privi della qualifica di controinteressati. 3.2. Sulla inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione degli atti presupposti ovvero della delibera di Consiglio Comunale n. 24 dell'1.8.2014 e della delibera del Consiglio Comunale n. 26 dell'1.8.2014 e della Relazione del Responsabile del servizio finanziario e tributi. 3.2.1. L'eccezione è infondata perché le deliberazioni della Giunta comunale e del Consiglio comunale impugnate nel presente giudizio, pur essendo confermative delle tariffe già adottate per gli anni precedenti, sono state autonomamente assunte all'esito di apposito iter amministrativo (nell'ambito del quale la Relazione del Responsabile del servizio finanziario e tributi è atto endo-procedimentale). La determinazione tariffaria trova i suoi fondamenti in una scelta che va operata anno per anno, in riferimento a quanto previsto dall'art. 1, comma 650, della legge n. 147/2013, istitutiva della Tariffa Rifiuti ("La TARI è corrisposta in base a tariffa commisurata ad anno solare coincidente con un'autonoma obbligazione tributaria"), e anche nel caso in cui, come quello in esame, l'amministrazione comunale si limiti a confermare le tariffe dell'anno precedente, l'adeguamento si fonda comunque su di una nuova esplicazione del potere (così, in riferimento all'analoga previsione dell'art. 69 del d.lgs. 507/1993, Cons. Stato, V, 1 agosto 2015, n. 3781, secondo cui tale disposizione "delinea... un procedimento di determinazione delle tariffe, con un atto che costituisce esercizio del potere da parte dell'ente locale per l'anno preso in considerazione"). 3.3. Sulla inammissibilità dell'avverso ricorso in appello stante l'inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio di primo grado - Sulla genericità - Sulla violazione dell'art. 40 c.p.a. 3.3.1. L'eccezione di genericità dei motivi aggiunti, per la mancata deduzione di vizi specifici (eventualmente anche in via derivata) dell'impugnata delibera del Consiglio comunale n. 10 del 5 giugno 2015, è infondata perché il ricorso per motivi aggiunti è, testualmente e logicamente, interpretabile nel senso che detta delibera è stata impugnata perché affetta dai medesimi vizi denunciati col ricorso introduttivo rispetto alla delibera della Giunta comunale n. 54/2015. 3.4. Sulla inammissibilità del ricorso in appello stante il divieto di nova previsto dall'art. 104 c.p.a. 3.4.1. Non è condivisibile l'assunto della difesa comunale secondo cui l'Azienda Ag. Tr. non si sarebbe limitata a riproporre, nel merito, i motivi non esaminati in primo grado (a causa della dichiarazione di inammissibilità del ricorso), ma avrebbe formulato "nuovi quesiti (si vedano in particolare i motivi nn. 3 e ss. del ricorso in appello)" (come denunciato con la memoria di costituzione del Comune). Fermo restando quanto si dirà a proposito dell'assorbimento del quarto e del settimo motivo di appello, i restanti motivi, pur presentando delle rubriche e dei contenuti in parte più dettagliati e argomentati di quelli dei corrispondenti motivi del ricorso e dei motivi aggiunti, si fondano sui due principali assunti del vizio di violazione di legge (per la mancata considerazione della speciale normativa di settore delle aziende agrituristiche) e dell'eccesso di potere (per l'irragionevolezza e la sproporzione della tariffazione Ta.Ri. 2015 equiparata a quella prevista per attività commerciali) che, unitamente al vizio di istruttoria e di motivazione, sono stati posti a fondamento dell'azione della ricorrente in primo grado. 3.5. In conclusione, tutte le eccezioni di inammissibilità formulate dal Comune appellato vanno respinte. 4. Col primo motivo di appello (Violazione di legge - error in iudicando: immediata lesività deliberazione di GC n. 54 del 02/04/2015 e deliberazione del Consiglio n. 10 del 2015 - violazione art. 24 Costituzione - error in iudicando e in procedendo - sussistenza e prova legittimazione ed interesse a ricorrere), l'Azienda appellante censura la dichiarazione di inammissibilità della sentenza gravata, per le seguenti ragioni: - nell'ipotesi in cui un atto deliberativo di carattere generale statuisca diverse misure del tributo in ordine alle varie classi di utenti, questo è da intendersi quale atto immediatamente lesivo nei confronti dei contribuenti individuati ed individuabili ed impugnabile in via diretta in forza dell'appartenenza del soggetto agente alla categoria (direttamente ed immediatamente) lesa; - l'atto regolamentare e/o generale è immediatamente impugnabile se non abbisogna di atti applicativi per esplicitare la sua lesività ovvero nell'ipotesi in cui rechi clausole che non necessitino di una complessa attività attuativa e/o di valutazione; nel caso di specie, gli atti oggetto di gravame hanno un'inequivoca portata precettiva e di dettaglio, tale che gli atti di loro concreta attuazione (cioè gli atti impositivi suscettibili di impugnazione innanzi al giudice tributario) vanno considerati come mera applicazione/trasposizione dell'atto generale, con conseguente interesse alla verifica immediata, in sede giurisdizionale, della legittimità di quest'ultimo; - la sentenza è errata anche nella parte in cui ha statuito in relazione alla necessità della prova della concreta lesività per la ricorrente degli atti generali gravati, in quanto l'interesse all'annullamento delle delibere gravate è in re ipsa, dovuto all'immediata lesività dei provvedimenti impugnati, come direttamente incidenti sugli interessi di categoria e dunque sulla posizione giuridica qualificata (e differenziata) dell'Azienda Tr.; - in ogni caso, quest'ultima ha depositato in primo grado documentazione comprovante la sua qualificazione di azienda agricola svolgente attività agrituristica complementare e non prevalente (peraltro nota al Comune), nonché l'avviso di liquidazione Ta.Ri. 2014, notificato all'azienda dal Comune di (omissis), da cui risulta l'assimilazione (denunziata come illegittima) dell'attività agrituristica all'attività di campeggi, distributori e campi sportivi nell'anno 2014; la deliberazione n. 54/2015, oggetto di impugnazione, ha confermato, come detto, le tariffe del 2014 per l'anno 2015. 4.1. Il motivo è fondato. 4.1.1. Il principio generale, affermato da costante giurisprudenza, da cui prendere le mosse, è quello ricordato dal T.a.r. secondo il quale i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, divengono impugnabili solo quando sorge l'interesse a ricorrere, ovvero assieme all'atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura (in tali termini, Cons. Stato, V, 7 ottobre 2016, n. 4130 e 6 maggio 2015, n. 2260, nonché id., VI, 29 marzo 1996, n. 512, richiamate da Cons. Stato, IV, 13 febbraio 2020, n. 1159). Nel caso specifico di atti generali che, come le delibere impugnate, approvano le tariffe dei canoni o dei tributi da versare per i servizi comunali si ritiene che l'ente locale disponga, appunto, in via generale, per tutti i cittadini, non identificabili al momento della loro adozione, ma tuttavia tenuti, in qualità di utenti, a corrispondere le somme dovute sin dall'entrata in vigore delle nuove tariffe, salva l'impugnazione tempestiva dell'atto generale ove intendano opporsi al pagamento (così, per il caso ana della delibera di giunta comunale che approva il regolamento avente ad oggetto le tariffe per i servizi cimiteriali, Cons. Stato, V, 19 settembre 2019, n. 6238, che richiama, nel senso della necessaria impugnazione dell'atto generale nel termine decadenziale decorrente dalla pubblicazione nei modi di legge secondo l'indicazione dell'art. 41, comma 2, cod. proc. amm. Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6165). In particolare, le delibere che annualmente fissano le tariffe inerenti ai tributi locali vanno ritenute immediatamente lesive dei soggetti contribuenti per la particolare modalità esecutiva della corrispondente imposizione. Questa comporta, infatti, che già con l'adozione delle tariffe nelle diverse misure in relazione alle diverse categorie di utenti se ne possa constatare la lesività per gli appartenenti a tali categorie, senza necessità di attendere alcun atto applicativo, che peraltro presuppone che il pagamento spontaneo non sia avvenuto. A ciò si aggiunga che, per i tributi degli enti locali, la giurisdizione sugli atti applicativi è di spettanza del giudice tributario. Pertanto, a voler dare seguito all'impostazione ritenuta dal T.a.r. della Campania - sez. Salerno, si determinerebbe il necessario sindacato su più atti amministrativi contestualmente affidato a differenti giurisdizioni, con evidenti diseconomie o anomalie ordinamentali complessive. Tra queste ultime va annoverata la potenziale elusione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti tariffari generali, sostituito dalla disapplicazione degli stessi da parte del giudice tributario investito della controversia sugli atti di accertamento (cfr., nel senso dell'obbligo di disapplicazione delle delibere della competente autorità ritenute illegittime da parte del giudice investito della controversia sugli atti applicativi, Cass. III, 13 aprile 2007, n. 8851). 4.1.2. La regola dell'immediata lesività dei regolamenti e degli atti amministrativi generali in materia tariffaria è peraltro da tempo e univocamente affermata in giurisprudenza (così, per l'approvazione del regolamento per l'applicazione della TARSU, già Cons. Stato, V, 27 aprile 1990, n. 379 e id., V, 12 luglio 1996, n. 854, nonché in tempi più recenti, Cons. Stato, V, 17 marzo 2003, n. 1379, basata sull'affermazione che "è immediatamente lesivo e può, quindi, formare oggetto di autonoma impugnazione il regolamento relativo alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, perché gli atti d'accertamento di tale tributo non possono avere contenuti diversi dalla mera e pedissequa applicazione delle disposizioni regolamentari.", come già ritenuto da Consiglio Stato sez. V, 23 novembre 1995, n. 1618; cfr., nello stesso senso, in tema di servizio idrico, Cons. Stato, VI, 6 aprile 2010, n. 1918). 4.1.3. L'immediata lesività delle delibere della Giunta e del Consiglio del Comune di (omissis) è da ritenere, in applicazione di detta giurisprudenza, senza necessità della prova da parte dell'Azienda ricorrente di un pregiudizio economico conseguente agli atti applicativi, in particolare agli avvisi di accertamento relativi all'imposizione per l'anno 2015. Detta lesività è infatti denunciata come conseguente all'equiparazione dell'azienda agrituristica ad altre attività economiche ai fini dell'individuazione delle tariffe Ta.Ri. applicabili, laddove invece avrebbe dovuto essere tenuta distinta ed essere destinataria di un trattamento di maggior favore. Mentre la valutazione della fondatezza della censura attiene al merito, ai fini dell'ammissibilità del ricorso è sufficiente constatare che le delibere in questione vengono contestate in relazione alla mancata previsione di una tariffa rifiuti "agevolata" per la specifica categoria di aziende cui appartiene la ricorrente, con riferimento alla quale esse devono ritenersi in parte qua immediatamente lesive a prescindere dai successivi provvedimenti di accertamento e riscossione dei tributi (cfr. in senso ana, con riferimento all'immediata lesività delle delibere comunali riguardanti tariffe Ta.Ri. nei confronti della categoria dei professionisti ricorrenti, Cons. Stato, I, parere n. 1945/2019, del 2 luglio 2019). 4.2. In conclusione, il motivo va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, vanno dichiarati ammissibili il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dall'odierna appellante. 5. Vanno esaminati congiuntamente perché connessi i motivi secondo, terzo, quinto e sesto di gravame. 5.1. Con questi vengono riproposte sostanzialmente le censure di merito del primo grado, come già anticipato col rigetto dell'eccezione di inammissibilità del Comune, di cui sopra. 5.2. In particolare, col secondo (Violazione di legge: art. 2135 c.c.; L.n. 730/1985 per come sost. e mod. dalla L. 96/2006; L.R. 15/2008 - complementarietà dell'attività agrituristica a quella agricola e prevalenza attività agricola, differenze altre utenze commerciali) si sostiene che il Comune di (omissis) sarebbe incorso in violazione di legge ed eccesso di potere per non avere correttamente valorizzato e valutato la complementarietà dell'attività agrituristica rispetto all'attività agricola nonché il differente regime normativo e fiscale applicabile alle aziende agrituristiche rispetto ad altre utenze ovvero per aver effettuato un'illegittima assimilazione ai fini Ta.Ri. tra aziende agrituristiche o altre aziende. Si individuano le norme di legge in forza delle quali l'attività agrituristica è da considerare una specificazione dell'attività agricola e non un'attività assimilabile a quella alberghiera, diversa per finalità e regime. Oltre che la violazione delle disposizioni ivi citate, si assume che l'assimilazione dell'attività agrituristica ai campeggi, ai distributori di carburante e agli impianti sportivi, prevista dalle delibere comunali impugnate, sarebbe illogica, irragionevole e sproporzionata, pur dovendosi riconoscere che, producendo rifiuti urbani, resta assoggettata alla Ta.Ri. 5.3. Col terzo motivo (Eccesso e sviamento di potere: irragionevolezza e sproporzione imposizione tributaria - erronea ed ingiustificata assimilazione; violazione di legge: L. 147 del 27 dicembre 2013 art. 1 commi 639, 659, 660, 682 - art. 3 Cost.) si assume che la disciplina comunale in materia di Ta.Ri. sarebbe anche in violazione del principio "chi inquina paga", oltre che viziata da eccesso di potere per difetto di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza per profili in parte ulteriori e in parte coincidenti con quelli esposti nel secondo motivo. 5.4. Col quinto motivo (Violazione di legge - Assenza di adeguata istruttoria) si denuncia che le delibere impugnate sarebbero illegittime anche per difetto di istruttoria, cioè per aver omesso ogni valutazione in merito al fatto, noto all'amministrazione, che sul territorio comunale insistono aziende agrituristiche, ed in particolare l'Azienda Ag. Tr., di cui il Comune di (omissis) avrebbe dovuto tenere conto nella stesura ed approvazione del piano tariffario Ta.Ri. 2015. 5.5. Col sesto motivo (Illegittimità delle deliberazioni di GC n. 54/2015 e delibera di Cc n. 10/2015 del Comune di (omissis) per difetto di motivazione) si denuncia il difetto di motivazione, sotto il profilo della mancanza di congruenza esterna, cioè di idoneità della motivazione a rivelare la ragionevolezza del percorso logico seguito dall'amministrazione comunale nel processo di individuazione dei coefficienti per le diverse aree del territorio, richiesta da giurisprudenza interna (tra cui Cons. Stato, V, agosto 2015 n. 3781 e id., V, 10 febbraio 2009, n. 750) e sovranazionale (Corte di Giustizia UE, sentenza 16 luglio 2009, in C 254-08). 6. I motivi sono fondati. La ricorrente contesta, in sintesi, la mancata previsione di tariffe Ta.Ri. per l'anno 2015 riferite specificamente all'attività agrituristica e la conseguente applicazione, di fatto, per le aziende esercenti tale attività (come appunto l'Azienda Ag. Tr.), delle aliquote e tariffe stabilite per utenze commerciali (non domestiche) per attività (camping, distributori di carburanti, impianti sportivi) non aventi nulla in comune con l'attività agrituristica, comunque riconducibile a quella agricola. 6.1. L'attività agrituristica è infatti regolata nel contesto dell'attività agricola dalla legge "quadro" 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell'agriturismo), che ha sostituito l'analoga disciplina della legge 5 dicembre 1985 n. 730, con norme cui va fatto riferimento nel caso di specie. Giova precisare che non costituisce motivo di inammissibilità del ricorso -come eccepito dal Comune di (omissis) - la menzione in primo grado delle norme di legge abrogate, poiché - fermo il principio iura novit curia - ciò che rileva, ai fini della decisione del ricorso, è la specialità dello statuto imprenditoriale delle aziende agrituristiche. Questo si evince in primo luogo dall'art. 2135, comma 3, del codice civile (introdotto dall'art. 1 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228), che annovera le attività di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge tra le attività "connesse" all'attività agricola. L'art. 2 (Definizione di attività agrituristica) della detta legge quadro sull'agriturismo precisa quindi che: "Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali". Anche in giurisprudenza l'attività agrituristica, quando conforme ai tratti caratteristici delineati dal legislatore, viene assimilata all'attività agricola (Cass. III, 13 aprile 2007, n. 8851, secondo cui "L'inquadramento dell'attività agrituristica (già disciplinata con la legge n. 730 del 1985, poi con il d.lgs. n. 228 del 2001 ed interamente regolamentata di nuovo con la più recente legge n. 96 del 2006) in quella agricola è subordinato alla condizione che l'utilizzazione dell'azienda agricola a fine di agriturismo sia caratterizzata da un rapporto di complementarità rispetto all'attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che deve comunque rimanere principale (ovvero - secondo la dizione dell'attuale legge 20 febbraio 2006, n. 96 - "prevalente"). Ne consegue che all'attività di agriturismo, in quanto attività agricola, deve essere applicata la tariffa agricola corrispondente e non già quella per l'utenza alberghiera e, a tal fine, il giudice investito della relativa controversia può disapplicare le delibere della competente autorità che stabiliscano diversamente"), anche a fini tributari (cfr. Cass., V, 14 febbraio 2014, n. 3455, anche per una ricostruzione dell'evoluzione normativa in materia), tenendo la stessa distinta dalle attività alberghiere o equiparabili. Tutto ciò, in linea con le finalità dell'impresa agrituristica, quali delineate dall'art. 1 della legge "quadro", nonché con la disciplina fiscale dell'art. 7, comma 2, che prevede che lo svolgimento dell'attività agrituristica nel rispetto delle disposizioni regionali in materia, autorizzato ai sensi dell'art. 6, comporta l'applicazione di disposizioni fiscali favorevoli (art. 5 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e comunque di ogni normativa settoriale, riconducibile all'attività agrituristica, e, in mancanza, delle norme previste per il settore agricolo. L'evidenziata differenziazione di condizione amministrativa e fiscale trova riscontro nella legislazione turistica, dato che, come sottolineato dall'appellante, il d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo), all'art. 12, colloca "gli alloggi nell'ambito dell'attività agrituristica" tra le "strutture ricettive extralberghiere". 6.1.1. In detto quadro normativo va riconosciuta la qualità di azienda agricola all'esercente attività agrituristica complementare - ai sensi della richiamata disciplina nazionale, nonché dell'art. 10 della legge della Regione Campania n. 15/2008 - e ne va ritenuta perciò la non assimilabilità all'attività alberghiera, nonché a quella di gestione di campeggi, distributori di carburanti e impianti sportivi, anche ai fini dell'applicazione della Ta.Ri., tassa sui rifiuti, introdotta dall'art. 1, comma 639, l. 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità per il 2014) dal 1° gennaio 2014. Presupposto d'imposta è la suscettibilità dei locali a produrre rifiuti urbani, sicché i rifiuti prodotti dall'attività agrituristica vanno comunque tassati e sono da reputarsi "non abitativi" e classificabili come da utenze non domestiche, perché provenienti da attività diversa da quella meramente abitativa. Tuttavia, dovendo l'attività agrituristica ricondursi alla (pur non coincidente) attività agricola ai sensi dell'art. 2135 cod. civ., la totale equiparazione operata dal Comune di (omissis) dell'attività agrituristica alle dette attività commerciali risulta effettivamente viziata. 6.1.2. In un caso ana al presente, la Sezione ha ritenuto che "l'assimilazione praticata (n. d.r. dell'azienda agrituristica ad aziende commerciali a fini Ta.Ri.) implica... una presunzione di equivalenza di condizione soggettiva: quando, all'opposto, l'ordinamento differenzia le due fattispecie, sia dal punto di vista dello statuto imprenditoriale e delle finalità dell'attività, sia dal punto di vista dell'ordinamento del turismo" (così, in motivazione, Cons. Stato, V, 19 febbraio 2019, n. 1162). Condividendosi tali premesse, si condividono le conclusioni raggiunte dal precedente appena citato, utili alla decisione del presente gravame, vale a dire che nella pur necessaria imposizione della tassa, riferita alla produzione di rifiuti urbani, è tuttavia richiesta la differenziazione, tipologica e quantitativa, rispetto alle attività commerciali - che sono di altro ordine e natura, non potendo addivenirsi all'inclusione, cioè alla sostanziale assimilazione, dell'agriturismo, che è un'attività economica a sé . 6.2. Inoltre, la giurisprudenza ha già ritenuto cogenti in questa materia i principi di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza (Cons. Stato, V, 1 agosto 2015, n. 3781). Pertanto, come dedotto dall'appellante, ragioni di proporzionalità ed adeguatezza richiedevano che la discrezionalità amministrativa tariffaria fosse espressa nelle delibere impugnate mediante un'autonoma considerazione delle attività agrituristiche presenti nel territorio comunale, previa adeguata istruttoria e coerente motivazione, in modo da pervenire, anche alla luce dell'art. 3 della Costituzione, ad una tassazione proporzionata alla connotazione specifica dell'attività e all'effettiva capacità di produzione dei rifiuti. 6.3. La difesa comunale - oltre alle eccezioni di inammissibilità, compresa quella di genericità, delle censure, che risultano superate dalle esposte ragioni di accoglimento - nel contrastare il quarto motivo di appello (su cui infra), osserva che il Comune di (omissis), nella commisurazione delle tariffe Ta.Ri., ha applicato l'art. 1, comma 651, della legge n. 147/2013, cioè ha tenuto conto dei criteri determinati con il Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158. A tali criteri l'amministrazione comunale si sarebbe attenuta e comunque le delibere gravate non sono state impugnate nella parte in cui sarebbero in contrasto con il detto regolamento. 6.3.1. Entrambi tali rilievi difensivi prescindono dalle effettive doglianze della ricorrente. L'Azienda Ag. Tr. non ha lamentato la violazione del Regolamento recante "norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani", ma ha censurato la mancata autonoma considerazione dell'attività agrituristica. E' vero che l'impugnata delibera della Giunta, poi confermata dal Consiglio comunale, del Comune di (omissis), di approvazione delle tariffe del 2015 si basa sul regolamento comunale che ripartisce i costi del servizio secondo il "metodo normalizzato", determinando le voci tariffarie da applicare alle utenze, domestiche e non domestiche: le prime costituite dalle sole abitazioni familiari, le seconde dalle restanti utenze (attività commerciali, industriali, professionali e produttive in genere), secondo categorie elencate nell'allegato 1 al Regolamento di cui al d.P.R. n. 158/1999. Tra tali categorie effettivamente non sono comprese le attività agrituristiche (mentre sono comprese in un'unica categoria le attività di "campeggi, distributori di carburanti e impianti sportivi"). Tuttavia il citato precedente di questa Sezione ha ritenuto che le previsioni del Regolamento di cui al d.P.R. n. 158/1999 non siano di ostacolo all'individuazione, da parte dell'ente locale, di "sottocategorie" omogenee quanto alla produzione di rifiuti ovvero alla deliberazione di ulteriori riduzioni od esenzioni rispetto a quelle previste dal comma 659, nel legittimo esercizio della discrezionalità riconosciuta dal legislatore al comma 660 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013. In proposito, si condivide l'interpretazione della disciplina legislativa e regolamentare seguita dalla citata sentenza, secondo la quale "al di là del prescelto criterio di base del metodo normalizzato - dividere le utenze in domestiche e non domestiche e con coefficienti di produttività tra un minimo ed un massimo - già di loro le dette previsioni indicano che il concreto esercizio della discrezionalità va sviluppato nel rispetto di una ragionevole graduazione, mediante riduzioni ed esenzioni, in rapporto all'effettivo e oggettivo carico di rifiuti prodotti" (Cons. Stato, V, n. 1162/2019 cit.). Invero, mentre, da un lato, è da escludere che il "metodo normalizzato" del Regolamento di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 debba essere rigidamente osservato avvalendosi delle sole categorie inserite nell'allegato al Regolamento, dall'altro, l'ente impositore è tenuto a modulare la sua discrezionalità, secondo i detti criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, tenendo conto della tipologia dell'attività regolamentata e della capacità di produzione dei rifiuti, anche in ragione delle modalità di esercizio di tale attività . 6.4. In conclusione, i motivi fin qui esaminati vanno accolti e, per l'effetto, vanno accolti il ricorso e i motivi aggiunti proposti dall'Azienda Ag. Tr. nei confronti del Comune di (omissis) e vanno annullati, nei limiti dell'interesse, gli atti impugnati, nella parte in cui non prevedono tariffe differenziate per la Ta.Ri. 2015 per le attività agrituristiche. 7. Restano assorbiti il quarto e il settimo motivo di appello. 7.1. Il quarto motivo concerne infatti la mancata utilizzazione da parte del Comune di (omissis) dei margini di riduzione delle tariffe Ta.Ri. ammessi dall'art. 1, comma 652, della legge n. 147/2013 (fino al 50% sia per il coefficiente Kc, relativo alla parte fissa della tariffa, sia per il coefficiente Kd, relativo alla parte variabile della tariffa) ovvero di quelli consentiti dall'art. 1, comma 660, della stessa legge. Si tratta di strumenti normativi, la cui adozione è rimessa alla discrezionalità dell'ente impositore. La necessità di rinnovare l'esercizio di quest'ultima, in esecuzione della decisione di annullamento e in conformità a quanto sopra statuito, rende il motivo in esame assorbito dall'accoglimento dei motivi precedenti. L'assorbimento consente di prescindere anche dall'esame dell'eccezione di inammissibilità del motivo per violazione dell'art. 104 c.p.a., quanto al divieto dei nova in appello, formulata dalla difesa civica. 7.2. Il settimo motivo concerne la legittimazione ad agire della ricorrente, in qualità di azienda agricola esercente attività agrituristica complementare, in conformità alla normativa statale e regionale, tuttavia mai contestata dal Comune di (omissis). 8. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese dei due gradi per i profili di novità delle questioni poste dalla proposizione del ricorso in primo grado (giugno 2015), relativo al secondo anno di applicazione della normativa in tema di Ta.Ri. introdotta dalla legge di stabilità per l'anno 2014. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso e i motivi aggiunti proposti dall'Azienda Agricola Tr. contro il Comune di (omissis) e annulla, nei limiti dell'interesse, gli atti impugnati. Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SORRENTINO Federico - Presidente Dott. DE MASI Oronzo - Relatore Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. BILLI Stefania - Consigliere Dott. LO SARDO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 11724/2020 R.G. proposto da: (...) Spa, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (...), presso lo studio dell'avvocato Gi.Co. (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Gi.Ro. (omissis). - ricorrente - contro COMUNE DI TORINO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (...), presso lo studio dell'avvocato Ma.Co. (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato An.Me. - controricorrente - ricorrente incidentale - Nonché (...) SOCIETÀ RISCOSSIONI Spa. - intimata - avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TORINO n. 924/2019 depositata il 04/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere ORONZO DE MASI. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso per l'estinzione del giudizio. Udito il difensore della società ricorrente. FATTI DI CAUSA (...) Spa ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 924/2019, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, riformando la decisione di primo grado, ha accolto parzialmente la domanda di annullamento dell'avviso di pagamento TARI, annualità 2017, emesso da (...) Spa per il Comune di Torino, sul rilievo che le superfici che producono rifiuti speciali costituiti da imballaggi terziari, come da denuncia della contribuente alle voci "area carico/scarico merci", sono escluse dal tributo, ex art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, in quanto si tratta di rifiuti (speciali) non assimilabili ai rifiuti urbani, disapplicando in parte qua il Regolamento comunale per violazione dell'art. 38 del Decreto Ronchi, diversamente, non essendo contestata la circostanza che nel Comune di Torino è attivata la raccolta differenziata, per gli imballaggi secondari prodotti nelle aree di vendita, legittimamente assimilati ai rifiuti urbani dal Regolamento, la contribuente si può giovare dell'agevolazione tariffaria prevista dal Comune. Il Comune di Torino resiste con controricorso e propone un motivo di ricorso incidentale, mentre (...) - SOCIETÁ RISCOSSIONI Spa è rimasta intimata. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di impugnazione la società contribuente deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, l. n.147 del 2013, 184, comma 3, lett. e), 218, 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, 23 Cost., giacché la CTR avrebbe dovuto rilevare l'illegittima applicazione della TARI alle superfici in cui si producono rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalle attività di vendita, in quanto ritenute erroneamente produttive soltanto di imballaggi secondari, non potendosi aprioristicamente escludere per dette superfici, la produzione di imballaggi terziari (confezioni funzionali a garantire il corretto trasporto e manipolazione di un certo numero di unità di vendita, imballaggi multipli), cui consegue l'esclusione dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani, non essendo assimilabili ai RSU ed avendo la contribuente provveduto all'onere del loro autonomo smaltimento. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc civ., comma primo, n. 4, nullità della sentenza per omesso esame di un motivo di censura e violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 221, 226. D.Lgs. n. 152 del 2006, 1, comma 649, l. n. 147 del 2013, giacché la CTR ha omesso il vaglio di legittimità della disciplina concernente l'assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, operata dal Comune persino con riferimento ai rifiuti terziari. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 21, D.Lgs. n. 22 del 1997, 221 e 226, D.Lgs. n. 152 del 2006, 1, comma 649, l. n. 147 del 2013, nonché della Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e del principio comunitario chi inquina paga e dell'art. 1 Preleggi, giacché la CTR non ha rilevato l'illegittimità dell'art. 7 del Regolamento comunale n. 280/2005, in forza del quale sono stati assimilati, dal punto di vista qualitativo, tutti gli imballaggi compresi quelli terziari e secondari, individuando, dal punto di vista quantitativo, una soglia abnorme (150kg/mq/anno), priva di una preventiva valutazione d'impatto ambientale e non coerente, anche sotto il profilo concorrenziale, con la normativa nazionale e comunitaria. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 4, nullità della sentenza per omesso esame di un motivo di censura, violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 642 e 649 l. 147 del 2013, 18, comma 3, lett. e), D.Lgs. n. 152 del 2006, avuto riguardo alla Circolare del Min. Finanze del 22 giugno 1994 n. 95 ed all'art. 13 del Regolamento comunale TARI, giacché la CTR non ha considerato l'intassabilità dei vani tecnici (apparecchiature tecnologiche) per i quali è in radice esclusa la produzione di rifiuti. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, l. n. 147 del 2013, 184, D.Lgs. n. 152 del 2006, 13 e 18 del Regolamento comunale TARI, giacché la CTR non ha considerato che assoggettare a tassazione le aree produttive di rifiuti speciali (da imballaggio) viola il divieto di doppia imposizione, dovendo il contribuente sostenere anche i costi per lo smaltimento/recupero mediante ditta privata. Deduce, quindi, che soltanto il riconoscimento della detassazione totale delle superfici nelle quali si producono rifiuti speciali smaltiti in proprio, non anche l'applicazione di una riduzione percentuale forfettaria del tributo, può evitare la violazione del divieto di doppia tassazione. Con il motivo di ricorso incidentale il Comune deduce, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 226, comma 2, 221, comma 4, D.Lgs. n. 156 del 2006, giacché la CTR ha ritenuto di escludere in via assoluta la possibilità di tassazione delle superfici che producono rifiuti costituiti da imballaggi terziari, atteso che per essi il Codice dell'Ambiente non ne esclude l'assimilazione ai rifiuti urbani ove "rispettino i requisiti di assimilabilità previsti dal Regolamenti Comunali" e, quindi, che "possano essere legittimamente assoggettati a tassazione." Assume, quindi, il ricorrente incidentale che la sentenza della CTR è errata laddove esclude la legittimità del regolamento TARI perché ha assimilato gli imballaggi terziari ai rifiuti urbani. In considerazione dell'intervenuta rinuncia tanto al ricorso principale, ??? quanto al ricorso incidentale, deve essere dichiarata la estinzione del processo ex art. 306, 390 e 391 cod. proc. civ., come richiesto dalle parti, per avere le stesse definito stragiudizialmente la controversia, con compensazione delle spese di lite. Non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (v. Cass., Sez. civ. 6-1, 12/11/2015, n. 23175, secondo cui, in tema di impugnazioni, l'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi -tipici - del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica. P.Q.M. La Corte, dichiara estinto il giudizio con compensazione delle spese del giudizio Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 10007 del 2018, proposto da Sc. Si. di Co. Tr. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo Studio & Associati Al. in Roma, piazza (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Si. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, 17 aprile 2018, n. 349, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2023 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La S.C. Si. Co. Tr. s.r.l., affidataria del servizio dei parcheggi a pagamento del Comune di (omissis) in forza del contratto stipulato il 30 marzo 2011, ha chiesto il risarcimento del danno per l'inadempimento imputabile all'amministrazione comunale consistito nell'avere messo a disposizione della società un numero di parcheggi inferiore a quello contrattualmente previsto. 2. La domanda risarcitoria, proposta innanzi al T.a.r. per la Liguria, è stata respinta dal giudice territoriale sull'assunto che il disciplinare di gara (recepito nel contratto di concessione del servizio) prevedeva la facoltà del Comune di ridurre il numero di stalli fino al 20% di quelli indicati a base di gara (pari a 521 stalli). Il Comune avrebbe usufruito di tale possibilità in occasione dell'affidamento (dal primo giugno 2011) dell'area di Piazza (omissis) ad altro gestore, sottraendo conseguentemente, dal numero degli stalli affidati a S.C., gli stalli relativi a piazza (omissis). 3. La società, rimasta soccombente, ha proposto appello reiterando i motivi di primo grado, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 4. Resiste il Comune di (omissis), il quale ripropone, con memoria, l'eccezione di difetto di giurisdizione, considerato che la controversia avrebbe per oggetto unicamente indennità e canoni e non rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133, comma 1, lettera b), del c.p.a. Eccepisce, altresì, l'intervenuta prescrizione quinquennale dell'azione risarcitoria, ai sensi dell'art. 30. 5. All'udienza del 19 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente, va dichiarata inammissibile, e pertanto non può essere esaminata, l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune appellato nella memoria del 18 settembre 2023. Avendo il primo giudice definito la causa nel merito, con ciò implicitamente ritenendo la sussistenza della propria giurisdizione, per riproporre la questione in grado di appello sarebbe stato necessario impugnare formalmente la sentenza - nella specie, con appello incidentale - ai sensi dell'articolo 9 c.p.a., non potendo la questione di giurisdizione essere introdotta nel presente grado con semplice memoria. 7. L'eccezione di prescrizione è infondata. Posto che la domanda giudiziale dell'appellante ha per oggetto la condanna del Comune per inadempimento contrattuale, alla prescrizione del diritto per il richiesto risarcimento deve applicarsi l'ordinario termine decennale, non ancora decorso all'epoca di proposizione del ricorso (peraltro preceduta dalla messa in mora datata 13 febbraio 2017), considerato che l'inadempimento si sarebbe integrato dal 1° giugno 2011 (data a partire dalla quale l'amministrazione comunale avrebbe ridotto i parcheggi da 521 a 440; in tema di decorrenza della prescrizione in caso di inadempimento contrattuale cfr. Cass., sez. VI civ., ord. 2 novembre 2022, n. 32267). 8. Passando al merito, con il primo motivo, la società appellante censura la sentenza per la violazione dei canoni interpretativi degli atti e dei contratti di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., della lex specialis di gara, del principio di buona fede di cui agli articoli 1175, 1337 e 1375 c.c. 8.1. Secondo l'appellante, né la lex specialis di gara né il contratto prevedevano che, dai 521 stalli oggetto di gara (come indicato nel disciplinare) dovessero decurtarsi gli 81 spazi di sosta di Piazza (omissis). Al contrario, l'articolo 4 del disciplinare stabiliva che "In caso di istituzione di nuove aree pubbliche destinate alla sosta a pagamento dei veicoli, l'Amministrazione Comunale si impegna ad affidarne la gestione alla concessionaria (...) qualora la predetta Amministrazione Comunale sia libera da vincoli precedentemente assunti. In particolare, a decorrere dal 1° giugno 2011, l'area di Piazza (omissis) sarà assegnata ad altra gestione in virtù di atto convenzionale già stipulato dal Comune di (omissis) con altro soggetto privato". Clausola che inequivocabilmente si riferirebbe all'istituzione di "nuove aree pubbliche" (quindi diverse ed ulteriori rispetto a quelle oggetto della gara), che il Comune si impegnava ad assegnare alla concessionaria, salvo il caso di eventuali vincoli pregressi (come nel caso dell'area di Piazza (omissis), espressamente richiamata). Non si faceva riferimento, pertanto, alla riduzione del numero di stalli oggetto della concessione. 8.2. Sul numero previsto di 521 stalli a pagamento sarebbe stata calibrata anche l'offerta presentata da S.C., sia in punto di investimenti che di minimo garantito versato al Comune a titolo di canone annuale. Il numero di stalli per parcheggi, inoltre, non sarebbe stato interessato nemmeno da atti del Comune adottati in base alla norma contrattuale sul quinto d'obbligo. 8.3. Reitera conseguentemente la domanda di risarcimento del danno per alterazione del sinallagma contrattuale, avendo S.C. onorato i propri impegni, versando al Comune il canone annuale minimo garantito (su 521 stalli) e pagando il canone per l'occupazione (COSAP) e la tassa rifiuti (TARI) per 521 stalli. Il Comune, invece, non avrebbe mai messo a disposizione i 521 stalli contrattualmente previsti. 9. Il motivo è infondato. 9.1. La questione sollevata dall'appellante si risolve nell'interpretazione dell'articolo 4 del disciplinare di gara (recepito nel contratto di concessione del servizio stipulato tra S.C. e Comune di (omissis)) rubricato "Variazione degli orari, delle tariffe, delle aree, delle occupazioni e dei corrispettivi". 9.2. In particolare, premesso che l'art. 2 del disciplinare (che indicava le aree e gli stalli di sosta a pagamento oggetto della gara) comprendeva anche gli 81 parcheggi ubicati in Piazza (omissis), il citato art. 4 stabiliva che "a decorrere dal 1° giugno 2011, l'area di Piazza (omissis) sarà assegnata ad altra gestione in virtù di atto convenzionale già stipulato dal Comune di (omissis) con altro soggetto privato". La clausola, pertanto, aveva come effetto la riduzione del numero complessivo di stalli, a partire dal 1° giugno 2011, da 521 a 440. 9.3. Né rileva la circostanza che il Comune di (omissis) si fosse assunto l'obbligo di affidare alla società concessionaria tutte le "nuove aree pubbliche destinate alla sosta a pagamento dei veicoli" (art. 4, primo periodo, del disciplinare), considerato che detta clausola era espressamente subordinata al fatto che l'amministrazione comunale fosse "libera da vincoli precedentemente assunti"; e che, in ogni caso, la previsione contrattuale sulla riduzione del numero di parcheggi a decorrere dal 1° giugno 2011 ha una valenza autonoma, sul piano del regolamento contrattuale tra le parti, non essendo riferibile nè all'obbligo del Comune di affidare alla S.C. i parcheggi a pagamento creati presso "nuove aree pubbliche", dato che gli 81 parcheggi ubicati in Piazza (omissis) erano già inseriti tra gli stalli di sosta a pagamento di cui all'art. 2 del disciplinare, sicché non potevano ritenersi istituiti in una nuova area pubblica; né si ricollega alla norma del disciplinare di recepimento del c.d. quinto d'obbligo (secondo la quale "Gli aumenti o le diminuzioni permanenti del numero di stalli rispetto a quelli indicati nel presente disciplinare (n. 521) non potranno essere superiori al 20%"), trattandosi - come già osservato - di una previsione autonoma e distinta (che, come emerge dal testo del citato art. 4 del disciplinare, trova la sua motivazione nella circostanza che il Comune aveva già stipulato un accordo di gestione con altro soggetto privato; il che esclude che S.C. possa avere maturato un affidamento incolpevole sulla "irrevocabilità " dell'affidamento in gestione degli 81 parcheggi di Piazza (omissis)). 10. L'accertata infondatezza della domanda in punto di responsabilità per inadempimento implica la infondatezza anche del secondo motivo (con il quale l'appellante ripropone la quantificazione del danno da lucro cessante). 11. In conclusione, l'appello va integralmente rigettato. 12. La disciplina delle spese giudiziali del grado di appello segue la regola della soccombenza, nei termini di cui al dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna l'appellante al pagamento delle spese giudiziali in favore del Comune di (omissis), liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MASI Oronzo - Presidente Dott. PAOLITTO Liberato - Consigliere Dott. CANDIA Ugo - Consigliere Dott. BALSAMO Milena - Consigliere Rel. Dott. BILLI Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 3956-2019 proposto da: So. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'Avvocato Lu.Ro. giusta procura speciale estesa a margine del ricorso - ricorrente - contro Pu. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore COMUNE DI CASERTA, in persona del Sindaco pro tempore - intimati - avverso la sentenza n. 5872/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 15/6/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30 APRILE 2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MILENA BALSAMO Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Pr. soc. coop. a r.l. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto l'appello di Pu. Srl avverso la sentenza n. 3098/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, in accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente nei confronti di Pu. Srl, quale concessionaria della riscossione per il Comune di Caserta, avverso avviso di pagamento per TARI e TEFA 2014, in relazione ad una area scoperta adibita a parcheggio scoperto, per la quale il Comune aveva applicato la tariffa relativa ad immobili disomogenei per tipologia e destinazione. la Concessionaria ed il Comune di Caserta sono rimasti intimati. La società ha depositato in prossimità dell'udienza memorie difensive. La Corte con ordinanza del 29902 del 27 ottobre2023 ha rimesso la causa alla pubblica udienza. Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso. MOTIVI DI DIRITTO 1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 legge 27.12.2013 n. 147 e 68 D.Lgs. n. 507/93, nonché eccezione di giudicato esterno"; lamentando che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente equiparato, mediante applicazione della medesima misura tariffaria, utenze del tutto diverse ("aree scoperte adibite a parcheggio pubblico" e "depositi, magazzini, autorimesse, autolavaggi, garages"), senza tener conto che la medesima Commissione tributaria regionale, con sentenza n. 9752/2017, in giudicato, nel decidere identica controversia relativa ad annualità TARSU 2009, aveva affermato che "fino a quando il regolamento tarsu non avrà una tariffa specifica per i pubblici parcheggi scoperti, a tali aree, sebbene produttive di rifiuti, non potrà essere applicata alcuna tariffa derivante da analogie, interpretazioni estensive ed assimilazioni del tutto illogiche, sproporzionate ed ingiuste". 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per "difetto assoluto di motivazione", essendosi limitata a "sostenere una "omogenea potenzialità di rifiuti", omettendo di esplicitare le fonti del proprio convincimento e i necessari sviluppi argomentativi". 3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell'art. 7 D.Lgs. n. 542/1992 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente affermato che la circostanza che "altri Comuni hanno stabilito una categoria specifica per aree scoperte" non poteva far ritenere "erronea la indicazione del Comune di Caserta". 4. Occorre premettere che questa Corte ha già definito con ordinanze camerali identiche controversie tra le medesime parti e per diverse annualità (cfr. Cass. n. 5744 del 24/2/2023, Cass. n. 14385 dell'08/07/2020, Cass. n. 16686 del 21/6/2019). 5. Occorre premettere che questa Corte ha già definito con ordinanze camerali identiche controversie tra le medesime parti e per diverse annualità (cfr. Cass. n. 5744 del 24/2/2023, Cass. n. 14385 dell'08/07/2020, Cass. n. 16686 del 21/6/2019). 6. In via preliminare va disattesa la seconda censura del ricorso. 7. Per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 giugno 2017, n. 15883; Cass. sez. 6-5, ord. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. sez. 5, 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16736), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un'approfondita disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento; nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, come dianzi illustrato, esplicita in maniera sufficiente la ratio decidendi, consentendo il controllo del percorso logico - giuridico che ha portato alla decisione, tant'è che, con i restanti motivi, la contribuente ha potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo la ricorrente, giustificano comunque la richiesta cassazione dell'impugnata sentenza. 8. La prima censura va disattesa. 9. Nella specie, non può ravvisarsi alcun vincolo di giudicato determinato dalla sentenza citata in relazione all'interpretazione giuridica della norma tributaria e del regolamento comunale, ritenuta dalla ricorrente applicabile alla fattispecie in esame. Infatti, l'attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituite limite alla attività esegetica esercitata da altro giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell'attuale ordinamento processuale (Cass., sez. 5, 21/10/2013, n. 23723; Cass., sez. 5, 15/07/2016, n. 14509; n.15215/2021, in motiv.). Ne discende che la interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia - salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno - non limitano il giudice dell'impugnazione o di legittimità nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (Cass., sez. 1, 29/04/1976, n. 1531; Cass., sez. L, 23/12/2003, n. 19679; Cass., sez. 3, 20/10/2010, n. 216561). 10. L'ultima doglianza è parimenti infondata. 10.1. L'art. 68, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 507 del 1993, dispone che "per l'applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere: a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria". A sua volta, il comma 2 dell'articolo citato dispone: "L'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: a) locali ed aree adibiti a musei, archivi, biblioteche, ad attività di istituzioni culturali, politiche e religiose, sale teatrali e cinematografiche, scuole pubbliche e private, palestre, autonomi depositi di stoccaggio e depositi di macchine e materiale militari; b) complessi commerciali all'ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati; c) locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri...". 10. Dunque, la fonte normativa statale demanda al comune l'adozione di un regolamento che, in materia di TARSU, contenga una classificazione degli immobili per gruppi (e, eventualmente, sottogruppi) omogenei, in base alla loro attitudine a produrre rifiuti e, dunque, ad incidere sui costi del servizio. Tale classificazione costituisce la base per differenziare le tariffe tra le varie categorie o sottocategorie di immobili, previste nel regolamento e presenti sul territorio comunale. A sua volta, l'art. 42 del testo unico sugli enti locali, approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000, con riferimento alle attribuzioni del consiglio comunale, prevede, al comma 2, lett. f), che il consiglio ha competenza limitatamente a determinati atti fondamentali, tra cui (lettera f) vi sono l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote. 11. Il legislatore accomuna nella medesima categoria o sottocategoria "gruppi di attività appartenenti alla medesima area di potenzialità di rifiuti" ma le relative previsioni non assumono carattere di tassatività assumendo all'uopo rilievo l'inciso "di massima" (cfr. Cass. n. 1003/2023; Cass. n. 5504/2023). In tal modo viene lasciato ai singoli Comuni il potere di discostarsene, ad esempio, prevedendo ulteriori tipologie di utenze (come caserme, carceri, ospedali, stazioni ferroviarie, distributori di carburante, ecc.); così come può prevedere diverse sottocategorie nell'ambito della medesima tipologia di utenza (ad esempio, per la tipologia degli alberghi possono essere previste le sottocategorie di alberghi con ristorante, alberghi senza ristorante). Infine, è possibile tenere distinti, ai fini della misura delle tariffe, utenze (abitazioni ed alberghi) che l'art. 68, comma 2, cit. ha ricondotto allo stesso "gruppo di attività o di utilizzazione". L'esercizio di tale facoltà è esercizio di una scelta che rientra nell'ambito della discrezionalità tecnica di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria" (così Cass., Sez. T, 4 marzo 2015, n. 4321 e nel medesimo senso, tra le tante, Cass., Sez. T, 6 agosto 2019, nn. 20964, 20965, 20966 e la giurisprudenza ivi richiamata). Si pensi, ad esempio, alla scelta del Comune, nella ripartizione dei costi del servizio, di tenere più basse le tariffe per le abitazioni in virtù del loro essere un "bene primario", da tutelare maggiormente rispetto ad altre categorie di utenza. In sostanza, e per quanto attiene al caso in esame, il testo letterale della norma dato dall'assimilazione dei locali ed aree "ad uso abitativo" con quelli destinati ad "esercizi alberghieri" è previsto solo in via di massima e come indirizzo programmatico, senza escludere, pertanto, una diversità applicativa, cosi come avvenuto, per le due categorie sulla base di specifiche caratteristiche che ne comportino un diverso trattamento ai fini dell'imposizione della tassa in questione. 12. Non ignora questo collegio che in taluni precedenti di legittimità si è esclusa la legittimità del regolamento comunale sul presupposto che la discrezionalità dell'ente territoriale, nello stimare in astratto la capacità media di produzione di rifiuti per tipologie, ha natura eminentemente tecnica e non "politica". Come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione della caratteristiche proprie dell'imposizione; deve insomma concretamente rispettare, nell'esercizio di siffatta discrezionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzionalità, incluse adeguatezza e necessarietà; di talché l'area scoperta adibita a parcheggio, pur potendo essere qualificata come rimessa di autoveicoli, con rapporto di "species" a "genus" e dovendosi escludere l'esimente di cui all'art. 62, comma 2, del d.P.R. 15 novembre 1993, n. 507 per inidoneità dell'area a produrre rifiuti, essendo la stessa luogo frequentato da veicoli e persone, potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti (Cass. 2754/2012), non può essere totalmente equiparata all'area coperta (Cass. n. 25244/20; Cass. n. 14385/2020; Cass. n. 5744/2023). 12.Tuttavia, l'applicazione di una determinata tariffa, da parte degli enti locali, è indipendente dalla destinazione d'uso dell'immobile, ma può essere ancorata all'attività che venga concretamente svolta al suo interno, come consentito dall'art. 62, comma 4, del D.Lgs. n. 507 del 1993. Non è pertanto viziato da illegittimità, né può essere disapplicato, ai sensi dell'art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992, il regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, equipara l'area scoperta adibita a parcheggio all'area coperta adibita garage, poiché si tratta di una scelta discrezionale del Comune, effettuata nei limiti della potestà impositiva ad esso attribuita dall'ordinamento e non vietata da alcuna norma statale (v. Cass. n. 11545/2022, non massimata; Cass. n. 5358/2020; Cass. n. 5355/2020, massimata; Cass. n. 33545 del 2019; Cass. 8308 del 2018; Cass. n. 16175 del 03/08/2016). Tanto più che il regolamento comunale ha utilizzato i criteri stabiliti dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (c.d. "metodo normalizzato"), nel rispetto del principio comunitario "chi inquina paga", commisurando la tariffa alle quantità (e qualità) media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia dell'attività svolte, nonché al costo del servizio del ciclo integrato dei rifiuti; difatti, la tabella 4 del predetto d.P.R. individua una unica categoria per autorimesse e magazzini senza vendita diretta(v. Cass. n. 6924/2024; Cass. 5504/23; Cas. n. 1003/2023). L'applicazione di una determinata tariffa ai fini TARSU, infatti, è indipendente dalla destinazione d'uso dell'immobile, in quanto lo stesso legislatore, con l'art. 62, comma 4, del D.Lgs. n. 507 del 993, ha conferito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all'attività economica concretamente svolta all'interno dell'immobile. Si tratta di un indirizzo interpretativo che ha altresì vagliato la compatibilità sia costituzionale sia unionale della soluzione accolta, ed in ordine al quale si è aggiunto che gli "elementi di riscontro della legittimità della delibera non vanno, d'altronde, riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica" (Cass. ord. 11655/09; così Cass. ord. n. 15861/11). In definitiva, non si tratta qui di porre in discussione il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare incidentalmente un atto amministrativo generale (come la delibera tariffaria) che si ritenga illegittimo quanto, più in radice, di escludere del tutto, sotto il profilo lamentato dalla società contribuente, l'illegittimità medesima. Per cui, senza escludere le differenze incidenti sulla concreta produttività di rifiuti urbani, la riconduzione del parcheggio scoperto nella categoria tariffaria dei magazzini, depositi, garages, autolavaggi è coerente con la classificazione legislativa e regolamentare delle attività professionali e commerciali per genera comprendenti ad una varietà di species eterogenee accomunate da caratteristiche similari sul piano dell'utilizzo degli spazi tassabili (l'uso dell'area con veicoli, dove i garages producono normalmente più o meno la medesima quantità di rifiuti di un parcheggio scoperto). 13. Sicché, la previsione regolamentare in questione trova applicazione per categoria e non per analogia, ben potendo ricomprendere attività non espressamente classificate, ma comunque assimilabili a quelle tipizzate in relazione all'uso o alla destinazione degli spazi tassabili (in termini: Cass., Sez. 6°-5, 23 febbraio 2012, n. 2754; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass. del 23.02.2023, n. 5687). In considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale, sussistono i presupposti per compensare le spese di lite. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, respinto il secondo motivo ed assorbito il terzo; compensa le spese di lite. Si dà atto, ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, in data 30 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2306 del 2021, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, signor Ca. Ca., anche in proprio, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro la Provincia di Benevento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Or. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti della società Sa. Am. e Te. - Sa. s.r.l., della Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 3983 del 23 settembre 2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Benevento; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato, l'appello proposto dal Comune di Benevento avverso la sentenza del T.a.r. per la Campania n. 3983 del 23 settembre 2020. 2. Il giudizio ha ad oggetto la legittimità degli atti con cui la Provincia di Benevento ha fissato il "costo di conferimento provvisorio" al "ciclo rifiuti" nell'ambito del territorio della Provincia di Benevento per l'anno 2019. 3. Si espongono i fatti rilevanti per il giudizio. 3.1. La Provincia di Benevento ha affidato alla Sa. Am. e Te. s.r.l. (d'ora in avanti, Sa.) la realizzazione e la gestione di tutte le attività e di tutti i servizi connessi al ciclo integrato dei rifiuti. 3.2. Con la deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 144 del 27 giugno 2019, la Provincia di Benevento, previa approvazione del piano industriale strategico della Sa., ha stabilito per l'anno 2019, in euro 14,57 per abitante, oltre iva come per legge, il costo del segmento provinciale del ciclo rifiuti attinente a tutte le attività gestionali della Sa. s.r.l.. 3.3. In questo provvedimento, la Provincia ha altresì autorizzato la Sa. a fatturare quota parte del suddetto costo, corrispondente ad Euro 4,57, oltre iva, "a fine esercizio 2019", "al fine di consentire ai Comune di prevederne eventualmente la copertura economica in conto competenza dell'esercizio finanziario 2020" e ha "dato atto" che "i predetti costi sono da considerarsi comunque non definitivi in ragione del sopraggiungere nel corso dell'anno 2019 di eventuali spese di straordinaria amministrazione legittimamente documentate ed allo stato non preventivabili nonché per gli effetti della perequazione prevista dall'art. 41 della L.R. n. 14 del 26-05-2016". 4. Con il ricorso ritualmente incardinato innanzi al T.a.r. per la Campania, il Comune appellante, ente locale ricadente nell'ambito territoriale della Provincia di Benevento, e il Sindaco del Comune, anche in proprio, hanno impugnato la deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 144 del 27 giugno 2019 e gli atti presupposti e connessi, nonché, con la proposizione di motivi aggiunti, la successiva Deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 293 del 31 dicembre 2019 e gli atti presupposti e connessi. 4.1. Si è costituita in giudizio la Provincia di Benevento che ha eccepito, in rito, l'inammissibilità del ricorso e ha resistito nel merito. 5. Con la sentenza n. 3983/2020, il T.a.r. ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere, compensando le spese di lite. 6. Il Comune di (omissis) e il Sindaco dell'ente, anche in proprio, hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, impugnandone la statuizione di inammissibilità con il primo motivo e riproponendo le censure di primo grado non esaminate con i motivi di appello successivi (dal secondo al settimo). 6.1. Si è costituita in giudizio, la Provincia di Benevento resistendo all'appello. 6.2. Il 4 marzo 2024, il Comune ha depositato la memoria difensiva ai sensi dell'art. 73 c.p.a.. 6.3. Ambedue le parti in causa hanno domandato il passaggio in decisione senza discussione della controversia. 7. All'udienza del 4 aprile 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo di appello, il Comune impugna la sentenza di primo grado censurando la declaratoria di inammissibilità per difetto di legittimazione ed interesse ad agire. Il Comune evidenzia, in proposito, che gli atti gravati hanno natura "regolamentare" e sarebbero suscettibili di impugnativa, per quel che qui rileva, da parte dei Comuni che "dovrebbero inserire nei propri ruoli TARI" tale tariffa. Si rafforza la precedente allegazione, evidenziandosi che la tariffa sarebbe stata approvata in ritardo rispetto agli adempimenti di formazione e approvazione del bilancio preventivo da parte dei Comuni, che non potrebbe essere riequilibrato, come sostenuto in primo grado dalla Provincia, adoperando i meccanismi di salvaguardia previsti dal T.u.e.l.. 8.2. Il primo motivo è infondato. 8.3. Correttamente, seguendo l'ordine logico delle questioni (Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015), il T.a.r. ha dichiarato il difetto di legittimazione a ricorrere del Comune e del signor Ca. Ca., Sindaco del Comune, richiamando a sostegno della motivazione, ai sensi degli articoli 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) c.p.a., il precedente di questo Consiglio n. 3217/2017 (Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2017 n. 3217; si cfr., inoltre, Cons. Stato, sez. IV, nn. 3220/2017, 3224/2017, 3225/2017, 3226/2017, 3227/2017, 3229/2017, 3241/2017, 2454/2018, 2455/2018, che hanno riformato le sentenze che il Comune ha indicato come precedenti a sé favorevoli). 8.4. Va infatti riaffermato, relativamente al configurarsi della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che: "La legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4)". La medesima pronuncia ha evidenziato, pertanto, che: "...la posizione di interesse legittimo (alla quale inerisce la legittimazione ad agire in sede processuale) presuppone ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (riferita ad un "bene della vita"), e la pubblica amministrazione nell'esercizio di un potere ad essa attribuito dall'ordinamento giuridico, sia che tale utilità consista nel neutralizzare l'esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe altrimenti compresso; sia se volta ad ottenere l'esercizio del potere amministrativo negato dall'amministrazione, attraverso il quale si intende(va) conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.". Si è ritenuto, quindi, che: "...esiste un rapporto diretto ed immediato tra l'esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l'interessato all'esercizio del potere medesimo. Tale relazione diretta si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo e suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo". Si è infine specificato che "...l'interesse è "personale" in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche "diretto", in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l'esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell'atto e/o per avere nei confronti dell'atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).". (Cons. Stato, Ad. plen., del 28 gennaio 2022 n. 3, § . 12.3).". 8.5. Per censurare, in fatto o in diritto, il decisum impugnato, il Comune appellante avrebbe dovuto pertanto criticare la seguente statuizione decisoria che il T.a.r. ha enunciato, citando, quale precedente applicabile al caso sub iudice, la sentenza n. 3217 del 30 giugno 2017 di questo Consiglio: "il rapporto che scaturisce dalla determinazione della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti è un rapporto di natura tributaria, che intercorre tra l'Amministrazione e gli amministrati, che sono i singoli cittadini e questi soltanto subiscono il pregiudizio economico derivante dalla supposta erronea determinazione delle voci di costo dello smaltimento dei rifiuti: soltanto a questi è concessa la facoltà (e l'onere) di contestare la determinazione tariffaria al momento in cui la stessa si attualizza con la richiesta di pagamento", dimostrando che, contrariamente a quanto rilevato in quel principio di diritto, il pregiudizio economico derivante dall'erronea determinazione della voce di costo inciderebbe direttamente e in maniera immediata nella sfera giuridica del Comune, ledendo un suo interesse legittimo. 8.6. Tale dimostrazione non risulta però raggiunta dall'ente appellante, rimanendo appena accennato, con il gravame proposto, il riferimento al ritardo nell'approvazione del bilancio di previsione dell'ente che dovrebbe in tesi consentire di enucleare la situazione giuridica legittimante la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. A questo proposito, si evidenzia che, da parte dell'appellante, non risulta allegato quando il bilancio sia stato approvato, in che modo il ritardo nella determinazione tariffaria ne avrebbe comportato il dedotto "disequilibrio" e, soprattutto, non viene fornita alcuna spiegazione circa l'incidenza del ritardo nella formazione del bilancio comunale sui presupposti di legittimità del provvedimento impugnato. Per contrastare il decisum di primo grado, l'appellante non addiviene neppure ad una dimostrazione dei costi che sarebbero imputati direttamente alle casse comunali e non ai singoli utenti, in quanto, anche con riferimento a questo aspetto, la censura non si sofferma ad evidenziare come e in che misura ciò avvenga, rimanendo generica e apodittica. 8.7. Va evidenziato, inoltre, che non risulta contestato, con specifica censura, neppure il successivo principio di diritto che il T.a.r. ha enunciato per dichiarare il difetto di legittimazione passiva e il difetto di interesse a ricorrere. Il T.a.r., infatti, ha affermato che, in ragione della provvisorietà della determinazione del "costo di conferimento provvisorio", "la lesione della (...) sfera giuridica sarebbe differita al momento della approvazione della tariffa finale". 8.8. Parimenti, quanto alla declaratoria di difetto di legittimazione e interesse a ricorrere del Sindaco in proprio, contenuta nella sentenza di primo grado, l'appellante non articola alcuna specifica deduzione (salvo, un cursorio accenno a pagina 15 dell'appello), sicché il Collegio ritiene che può confermarsi la statuizione di primo grado secondo cui, quanto ai cittadini-destinatari dell'imposizione patrimoniale, "è concessa la facoltà (e l'onere) di contestare la determinazione della tariffa, ma solo al momento in cui la stessa si attualizza con la richiesta di pagamento". 8.9. La conferma della declaratoria di inammissibilità preclude l'esame del merito delle censure formulate e, dunque, l'esame degli ulteriori motivi di appello riproposti nel presente giudizio. 9. In definitiva, dunque, l'appello deve essere respinto. 10. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l'ordinario criterio della soccombenza nei confronti del Comune di (omissis), sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. r.g. 2306/2021, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione, in favore della Provincia di Benevento, delle spese del giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Michele Conforti - Consigliere, Estensore Emanuela Loria - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2307 del 2021, proposto dal Comune di Benevento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro la Provincia di Benevento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Er. Bo., Fr. Bo., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; nei confronti della società Sa. Am. e Te., e della Regione Campania, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Prima n. 3984 del 23 settembre 2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Benevento; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato, l'appello proposto dal Comune di Benevento avverso la sentenza del T.a.r. per la Campania n. 3984 del 23 settembre 2020. 2. Il giudizio ha ad oggetto la legittimità degli atti con cui la Provincia di Benevento ha fissato il "costo di conferimento provvisorio" al "ciclo rifiuti" nell'ambito del territorio della Provincia di Benevento per l'anno 2019. 3. Si espongono i fatti rilevanti per il giudizio. 3.1. La Provincia di Benevento ha affidato alla Sa. Am. e Te. s.r.l. (d'ora in avanti, Sa.) la realizzazione e la gestione di tutte le attività e di tutti i servizi connessi al ciclo integrato dei rifiuti. 3.2. Con la deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 144 del 27 giugno 2019, la Provincia di Benevento, previa approvazione del piano industriale strategico della Sa., ha stabilito per l'anno 2019, in euro 14,57 per abitante, oltre iva come per legge, il costo del segmento provinciale del ciclo rifiuti attinente a tutte le attività gestionali della Sa. s.r.l.. 3.3. In questo provvedimento, la Provincia ha altresì autorizzato la Sa. a fatturare quota parte del suddetto costo, corrispondente ad Euro 4,57, oltre iva, "a fine esercizio 2019", "al fine di consentire ai Comune di prevederne eventualmente la copertura economica in conto competenza dell'esercizio finanziario 2020" e ha "dato atto" che "i predetti costi sono da considerarsi comunque non definitivi in ragione del sopraggiungere nel corso dell'anno 2019 di eventuali spese di straordinaria amministrazione legittimamente documentate ed allo stato non preventivabili nonché per gli effetti della perequazione prevista dall'art. 41 della L.R. n. 14 del 26-05-2016". 4. Con il ricorso ritualmente incardinato innanzi al T.a.r. per la Campania, il Comune appellante, ente locale ricadente nell'ambito territoriale della Provincia di Benevento, e il Sindaco del Comune, anche in proprio, hanno impugnato la deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 144 del 27 giugno 2019 e gli atti presupposti e connessi, nonché, con la proposizione di motivi aggiunti, la successiva Deliberazione del Presidente della Provincia di Benevento n. 293 del 31 dicembre 2019 e gli atti presupposti e connessi. 4.1. Si è costituita in giudizio la Provincia di Benevento che ha eccepito, in rito, l'inammissibilità del ricorso e ha resistito nel merito. 5. Con la sentenza n. 3984/2020, il T.a.r. ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere, compensando le spese di lite. 6. Il Comune di Benevento e il Sindaco dell'ente, anche in proprio, hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, impugnandone la statuizione di inammissibilità con il primo motivo e riproponendo le censure di primo grado non esaminate con i motivi di appello successivi (dal secondo all'ottavo). 6.1. Si è costituita in giudizio, la Provincia di Benevento resistendo all'appello con la memoria di costituzione e depositando un'ulteriore memoria difensiva l'11 maggio 2021. 6.2. Il 21 febbraio 2024, il Comune ha depositato l'atto di transazione stipulato il 12 gennaio 2023 con la società Sa. e con la successiva memoria del 29 febbraio ha domandato che venisse dichiarata la "sopravvenuta carenza di interesse alla decisione disponendo la stessa con rituale sentenza, con compensazione delle spese di lite". 6.3. La Provincia ha depositato una memoria difensiva il 1° marzo 2024 e le repliche alla memoria del Comune il 14 marzo 2024, insistendo sull'insussistenza della carenza d'interesse e domandando il rigetto dell'appello del Comune e la condanna alle spese di lite. 7. All'udienza del 4 aprile 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Preliminarmente, il Collegio evidenzia che la Provincia di Benevento, pur affermando che la suddetta transazione stipulata in data 2 febbraio 2024 non dispieghi alcuna efficacia sull'oggetto del giudizio incardinato innanzi a questo Consiglio, in quanto relativa al rapporto giuridico intercorrente fra il Comune e la Sa., e dunque non determinerebbe la sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della controversia, afferma testualmente, altresì, che: "In terzo luogo, si osserva che il documento depositato da controparte prova, addirittura, la prestata acquiescenza del Comune di Benevento alla legittimità degli atti gravati. Infatti, con l'atto di transazione, il Comune di Benevento si è espressamente impegnato a pagare alla Società partecipata S.A. S.r.l., tra l'altro, anche, l'acconto delle tariffe per l'anno 2019 facendo preciso e puntuale riferimento a p. 3 della transazione depositata alla Deliberazione della Provincia di Benevento n. 144 del 27.06.2019. In tal guisa il Comune di Benevento riconoscendo il debito nei confronti della Sa. S.r.l. ha superato le contestazioni mosse alla Deliberazione n. 144/2019 relativamente alle modalità di determinazione della tariffa sottoposte con l'appello all'Ecc.mo Consiglio di Stato nel presente giudizio. Invero, con la transazione, il Comune di Benevento ha riconosciuto la validità sia della tariffa relativa al ciclo dei rifiuti oggetto del presente giudizio che del criterio di calcolo utilizzato per assicurare la necessaria copertura economica al servizio." (cfr., in particolare, memoria della Provincia di Benevento del 14 marzo 2024). 8.1. In disparte ogni considerazione sull'attitudine della transazione a determinare la sopravvenuta carenza d'interesse in quanto fatto incidente sul "rapporto" direttamente intercorso fra la Provincia di Benevento e sull'oggetto del presente giudizio, il Collegio ritiene che, ai sensi dell'art. 84, comma 4, "...il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa". 8.2. Il Collegio ritiene che la transazione, seguita dall'espressa richiesta di declaratoria di sopravvenuta richiesta d'interessi avanzata dal Comune di Benevento, seguita, altresì, dal mancato deposito di ulteriori scritti difensivi da parte dell'ente, salvo la nota del 3 aprile 2024 con la quale si domanda il passaggio in decisione senza la discussione, manifestino elementi da cui desumere la "sostanziale rinuncia" all'impugnazione proposta innanzi a questo Consiglio di Stato. 8.3. In ragione di quanto dichiarato e documentato dalla ricorrente, il Collegio ritiene di dichiarare l'improcedibilità del ricorso. 9. Tuttavia, considerato il mancato accordo delle parti sulla compensazione delle spese di lite e, anzi, l'opposizione manifesta dalla Provincia anche in sede di udienza di discussione a questo esito processuale, si rende necessario procedere alla valutazione della soccombenza virtuale nell'ambito del giudizio. 9.1. Con il primo motivo di appello, il Comune impugna la sentenza di primo grado censurando la declaratoria di inammissibilità per difetto di legittimazione ed interesse ad agire. Il Comune evidenzia, in proposito, che gli atti gravati hanno natura "regolamentare" e sarebbero suscettibili di impugnativa, per quel che qui rileva, da parte dei Comuni che "dovrebbero inserire nei propri ruoli TARI" tale tariffa. Si rafforza la precedente allegazione, evidenziandosi che la tariffa sarebbe stata approvata in ritardo rispetto agli adempimenti di formazione e approvazione del bilancio preventivo da parte dei Comuni, che non potrebbe essere riequilibrato, come sostenuto in primo grado dalla Provincia, adoperando i meccanismi di salvaguardia previsti dal T.u.e.l.. 9.2. Il primo motivo è infondato. 9.3. La declaratoria di inammissibilità pronunciata dal T.a.r. avrebbe dovuto essere confermata, qualora non si fosse dichiarata l'improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse per le motivazioni evidenziate in precedenza. 9.4. Va infatti riaffermato, relativamente al configurarsi della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che: "La legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4)". La medesima pronuncia ha evidenziato, pertanto, che: "...la posizione di interesse legittimo (alla quale inerisce la legittimazione ad agire in sede processuale) presuppone ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (riferita ad un "bene della vita"), e la pubblica amministrazione nell'esercizio di un potere ad essa attribuito dall'ordinamento giuridico, sia che tale utilità consista nel neutralizzare l'esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe altrimenti compresso; sia se volta ad ottenere l'esercizio del potere amministrativo negato dall'amministrazione, attraverso il quale si intende(va) conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.". Si è ritenuto, quindi, che: "...esiste un rapporto diretto ed immediato tra l'esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l'interessato all'esercizio del potere medesimo. Tale relazione diretta si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo e suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo". Si è infine specificato che "...l'interesse è "personale" in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche "diretto", in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l'esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell'atto e/o per avere nei confronti dell'atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).". (Cons. Stato, Ad. plen., del 28 gennaio 2022 n. 3, § . 12.3).". 9.5. Per censurare, in fatto o in diritto, il decisum impugnato, il Comune appellante avrebbe dovuto pertanto criticare la seguente statuizione decisoria che il T.a.r. ha enunciato, citando, quale precedente applicabile al caso sub iudice, la sentenza n. 3217 del 30 giugno 2017 di questo Consiglio: "il rapporto che scaturisce dalla determinazione della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti è un rapporto di natura tributaria, che intercorre tra l'Amministrazione e gli amministrati, che sono i singoli cittadini e questi soltanto subiscono il pregiudizio economico derivante dalla supposta erronea determinazione delle voci di costo dello smaltimento dei rifiuti: soltanto a questi è concessa la facoltà (e l'onere) di contestare la determinazione tariffaria al momento in cui la stessa si attualizza con la richiesta di pagamento", dimostrando che, contrariamente a quanto rilevato in quel principio di diritto, il pregiudizio economico derivante dall'erronea determinazione della voce di costo inciderebbe direttamente e in maniera immediata nella sfera giuridica del Comune, ledendo un suo interesse legittimo. 9.6. La contestazione non risulta giuridicamente convincente e tale da infirmare la statuizione di primo grado, in quanto rimane appena adombrato il pregiudizio comunale, che viene genericamente allegato in termini di ritardo nell'approvazione del bilancio di previsione dell'ente (ma senza fornire concreti riscontri al riguardo, tant'è che non risulta allegato e provato quando il bilancio è stato approvato e in che modo il ritardo nella determinazione tariffaria ne avrebbe comportato il disequilibrio, e senza fornire alcuna spiegazione circa l'incidenza del ritardo nella formazione del bilancio comunale sulla legittimità del provvedimento impugnato) e in termini di costi imputati direttamente alle casse comunali e non ai singoli utenti (ma anche in questo caso la deduzione non si sofferma ad evidenziare come e in che misura ciò avvenga, rimanendo generica e apodittica allegazione di parte). 9.7. Va evidenziato, inoltre, che non risulta impugnato neppure il successivo principio di diritto che il T.a.r. ha enunciato per dichiarare il difetto di legittimazione passiva e il difetto di interesse a ricorrere. Il T.a.r., infatti, ha affermato che, in ragione della provvisorietà della determinazione del "costo di conferimento provvisorio", "la lesione della (...) sfera giuridica sarebbe differita al momento della approvazione della tariffa finale". 9.8. Nulla viene esposto in ordine alla legittimazione e all'interesse a ricorrere del Sindaco in proprio (salvo un accenno a pagina 15 dell'appello), per il quale rimane pertanto ferma la statuizione della sentenza di primo grado secondo cui "è concessa la facoltà (e l'onere) di contestare la determinazione della tariffa, ma solo al momento in cui la stessa si attualizza con la richiesta di pagamento". 9.9. La conferma della declaratoria di inammissibilità avrebbe poi precluso l'esame del merito delle censure formulate e, dunque, l'esame degli ulteriori motivi di censura riproposti nel presente giudizio. 10. In definitiva, dunque, si osserva, ai fini del giudizio di c.d. "soccombenza virtuale", che l'appello non sarebbe stato accolto e vi sarebbe stata l'integrale conferma della sentenza di primo grado. 11. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della "soccombenza virtuale" nei confronti del Comune di Benevento, sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d'interessi. Condanna l'appellante alla rifusione, in favore della Provincia di Benevento, delle spese del giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%) Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Michele Conforti - Consigliere, Estensore Emanuela Loria - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE riunita in camera di consiglio nella seguente composizione: Dott. SORRENTINO Federico - Presidente Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. BILLI Stefania - Consigliere Dott. LO SARDO Giuseppe - Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 23534/2020 R.G., proposto DA la "(...) Srl", con sede in Caserta, in persona dell'amministratore unico pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Lu.Ro. e dall'Avv. Fr.Da., entrambi con studio in Caserta, ove elettivamente domiciliata, e comunque presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento; RICORRENTE CONTRO il Comune di Marcianise (CE), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Se.Fe., con studio in Trani, elettivamente domiciliato presso l'Avv. Ma.Ve., con studio in Roma, giusta procura in margine al controricorso di costituzione nel presente procedimento; CONTRORICORRENTE avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 22 novembre 2019, n. 9174/21/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo; dato atto che nessuno è comparso per la ricorrente ed il controricorrente; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto. FATTI DI CAUSA 1. La "(...) Srl" ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 22 novembre 2019, n. 9174/21/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l'impugnazione di cartella di pagamento per la TARI relativa all'anno 2017, con riferimento ad uno stabilimento per la produzione di imballaggi flessibili in Marcianise (CE), ha accolto l'appello proposto dal Comune di Marcianise (CE) nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Caserta il 9 ottobre 2018, n. 4220/02/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. 2. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure sul rilievo: a) che la contribuente non aveva mai presentato alcuna denuncia con riguardo all'esistenza ed alla delimitazione delle aree destinate alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, che erano smaltiti a proprie cure e spese con l'ausilio di una ditta specializzata; b) che il regolamento comunale aveva disposto l'assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani in base a criteri sia qualitativi che quantitativi, individuando le categorie di attività produttive di rifiuti speciali assimilati (ivi compresa quella svolta dalla contribuente). 3. Il Comune di Marcianise (CE) ha resistito con controricorso. 4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso. 5. Il controricorrente ha depositato memoria. 6. Con ordinanza interlocutoria, il collegio ha rinviato il procedimento a nuovo ruolo dopo che la ricorrente aveva chiesto la trattazione congiunta con altro procedimento per ragioni di connessione. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è affidato a cinque motivi. 1.1 Con il primo motivo, si denunciano, al contempo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 329 cod. proc. civ., 49 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 2909 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non essere stata rilevata dal giudice di secondo grado la formazione del giudicato interno per mancata impugnazione di autonome rationes decidendi della sentenza impugnata (in special modo, con riguardo: allo smaltimento dei rifiuti speciali mediante l'ausilio di una ditta specializzata; all'inesistenza del servizio di smaltimento dei rifiuti speciali; alla soggezione a TARI dell'intera superficie dello stabilimento industriale e non soltanto della superficie destinata alla produzione di rifiuti speciali); in subordine, nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato accolto l'appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente o apparente ovvero per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi sulle eccezioni proposte dall'appellata (in special modo, con riguardo alla mancata istituzione o alla mancata attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti speciali). 1.2 Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato accolto l'appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente o apparente ovvero per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi sulle eccezioni proposte dall'appellata con riguardo alla totale assenza del servizio di raccolta dei rifiuti speciali ed alla non assimilabilità dei rifiuti speciali. 1.3 Con il terzo motivo, si denunciano, al contempo, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 59 e 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l'onere della prova sulla mancata attivazione del servizio di smaltimento dei rifiuti speciali gravasse a carico della contribuente; in subordine, nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato accolto l'appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente o apparente ovvero per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi sulle eccezioni proposte dall'appellata con riguardo alla totale assenza del servizio di raccolta dei rifiuti speciali ed alla non assimilabilità dei rifiuti speciali. 1.4 Con il quarto motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 cod. proc. civ., 49 e 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato deciso l'appello dal giudice di secondo grado sulla scorta di eccezioni e questioni nuove prospettate per la prima volta dall'ente impositore (in special modo, con riguardo alla carenza di prova della produzione di rifiuti speciali in alcune superfici, all'auto-smaltimento degli imballaggi secondari o terziari, alla omessa dichiarazione in ordine all'individuazione ed alla delimitazione delle aree destinate alla produzione di rifiuti speciali). 1.5 Con il quinto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l'appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente o apparente ovvero per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi in ordine agli effetti di una pronunzia resa tra le parti sulla TARI relativa all'anno 2015, che aveva accertato l'inesistenza del servizio di raccolta dei rifiuti speciali da parte dell'ente impositore. 2. Preliminarmente, si deve escludere l'opportunità della riunione al presente procedimento di quello vertente tra le medesime parti col n. 32148/2020 R.G., tenendo conto della solo parziale comunanza del thema decidendum. 3. Il primo motivo è infondato (in relazione ai distinti profili di doglianza). 3.1 La censura attinge - sotto vari aspetti - la sentenza impugnata per l'omesso rilievo della formazione del giudicato interno sulle rationes decidendi della decisione di prime cure, che non sarebbero state investite dai motivi di appello dell'ente impositore (in special modo, con riguardo: allo smaltimento dei rifiuti speciali mediante l'ausilio di una ditta specializzata; all'inesistenza del servizio di smaltimento dei rifiuti speciali; alla soggezione a TARI dell'intera superficie dello stabilimento industriale e non soltanto della superficie destinata alla produzione di rifiuti speciali). 3.2 Per costante orientamento di questa Corte, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall'altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (tra le tante: Cass., Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11493; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2019, n. 738; Cass., Sez. 5, 2 novembre 2020, n. 24225; Cass., Sez. 5, 19 ottobre 2021, n. 28807; Cass., Sez. 5, 6 luglio 2022, n. 23369; Cass., Sez. 6-5, 25 novembre 2022, n. 34812; Cass., Sez. 5, 13 gennaio 2023, nn. 883 e 942; Cass., Sez. 3, 12 aprile 2024, n. 9960). 3.3 Ad ogni buon conto, la sentenza impugnata evidenzia - nella sintetica elencazione (in premessa) dei motivi di appello - che l'ente impositore aveva proposto le seguenti censure: "a) Il Comune svolge il servizio di raccolta rifiuti come da documentazione allegata; b) I rifiuti speciali prodotti dalla società contribuente sono speciali e non pericolosi e assimilabili a quelli solidi urbani: la società produce imballaggi flessibili; c) Non è stata fornita la prova che il servizio di smaltimento non sia stato garantito dal Comune, mentre la mancata utilizzazione non esonera dalla tassazione (art. 18 del regolamento comunale IUC); d) Dalla documentazione esibita emerge che la società produce una piccola parte di rifiuti pericolosi che deve smaltire in proprio ma la sentenza di primo grado non ha tenuto in conto che spetta alla società contribuente provare la tipologia dei rifiuti prodotti e le relative superfici. Il che non è avvenuto". 3.4 Ora, alla luce di un sommario esame di tali doglianze, si può desumere che l'appello aveva investito ciascuna delle ragioni poste a fondamento della decisione di prime cure, su nessuna delle quali, pertanto, poteva essersi formato il giudicato interno (con la conseguente inammissibilità dell'appello stesso). 3.5 In subordine, la ricorrente censura, in via alternativa la carenza della motivazione ovvero l'omessa pronunzia della sentenza impugnata sulle eccezioni proposte dalla contribuente (in special modo, con riguardo alla mancata istituzione o alla mancata attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti speciali). 3.6 Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell'atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6 - 5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354). Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di "motivazione apparente", allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6 - 5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6 - 5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6 - 5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354). 3.7 Per il resto, ad integrare gli estremi della omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto: il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass., Sez. 5, 18 ottobre 2021, n. 28718). In ogni caso, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (tra le tante: Cass., Sez. 5, 19 luglio 2021, n. 20438; Cass., Sez. 6 - 5, 22 ottobre 2021, n. 29665; Cass., Sez. 5, 18 settembre 2023, n. 26778). 3.8 Nella specie, a ben vedere, la sentenza impugnata ha esaminato - sia pure in concomitanza ad altra doglianza - tale questione con la sintetica motivazione che "(...) il silenzio dell'amministrazione sulle istanze del 2015 in relazione dunque a quella annualità, tese a sollecitare il servizio di prelievo rifiuti, non possono comprovare l'assenza dello stesso servizio anche nel 2017, anno di imposta in esame". Per cui, valutandosi la congruenza e l'adeguatezza di tale argomentazione, pur nella sinteticità della sua enunciazione, il decisum può ritenersi sufficiente a soddisfare il requisito del minimum costituzionale (oltre che, a monte, ad escludere l'omessa pronuncia). 4. Il secondo motivo è infondato. 4.1 Richiamate le considerazioni già espresse al punto 1 in ordine alla sufficienza motivazionale della sentenza impugnata circa la questione dell'assenza del servizio di raccolta dei rifiuti speciali, va esaminato soltanto il profilo attinente alla contestazione dell'assimilabilità dei rifiuti speciali prodotti. 4.2 In proposito, si rileva che il giudice di appello ha scrutinato anche tale questione là dove ha argomentato che: "Ulteriore profilo censurato dall'appellante riguarda la circostanza -affermata dalla Commissione provinciale - che il regolamento comunale sarebbe illegittimo quanto ad assimilazione. A ben vedere l'eccezione - funzionale alla disapplicazione del medesimo - non è fondata in quanto il regolamento comunale di Marcianise quanto alla tassa in questione, all'all. 2 art. 2 è stato modificato con delibera del Commissario Straordinario del Comune, che ha valutato, oltre al profilo qualitativo del rifiuto, anche il parametro quantitativo, ai fini dell'ammissibilità del rifiuto speciale ai rifiuti urbani: è necessario perché sussista la pretesa tributaria che per gli opifici industriali di superficie complessiva produttiva di rifiuti superiore a 2000 mq, il rapporto fra quantità globale in kg dei rifiuti prodotti e l'indicata superficie non superi il valore del corrispondente parametro Kd di cui alla deliberazione di approvazione delle tariffe relative alla Tassa dei rifiuti. La norma individua anche le categorie specifiche produttive oltre alla qualità del rifiuto. Dunque parametri di tipologia del produttore di rifiuti, quantità dei rifiuti e qualità degli stessi perché si possa avere l'assimilazione, in ossequio alla normativa primaria dell'art. 21 c. 2 D.Lgs. 22/97. Dunque il regolamento non va disapplicato, ma applicato perché conforme alla norma primaria e l'appello accolto perché non è stata offerta la prova della non assimilabilità dei rifiuti". Pertanto, rendendo conto dell'iter logico e giuridico seguito e posto a fondamento della decisione, si può dire che la sentenza impugnata contiene un'adeguata esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell'appello (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto). 5. Il terzo motivo è infondato. 5.1 La censura postula che l'onere di provare l'istituzione e l'attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti speciali debba incombere a carico dell'ente impositore, trattandosi del presupposto primario per l'esercizio del potere impositivo. Per cui, essendo mancata tale prova, la contribuente sarebbe esentata dal pagamento della TARI. 5.2 A sostegno del proprio assunto, il ricorrente invoca un precedente di questa Corte (Cass., Sez. 5, 16 febbraio 2010, n. 3550), che, a ben vedere, atteneva ad una diversa fattispecie. Difatti, come si può leggere in motivazione: "La controversia ha ad oggetto l'iscrizione a ruolo della tassa sui rifiuti solidi urbani, relativa al periodo d'imposta 2001, in quanto la società contribuente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 597 del 1993, art. 62, comma 3, sul rilievo che il Comune avrebbe tassato una superficie adibita ad attività industriale, ove di regola si producono rifiuti speciali, per i quali la stessa società provvedeva in proprio allo smaltimento; lamenta, altresì, l'inesistenza del servizio di smaltimento dei propri rifiuti speciali, anche dopo l'assimilazione degli stessi a quelli urbani, sostenendo l'impossibilità di usufruire del servizio". Peraltro, il thema decidendum non involge la ripartizione dell'onere probatorio sull'istituzione e sull'attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali, affermandosi dal giudice di legittimità che: "(...) il dovere del contribuente di corrispondere la tassa anche se non utilizza il servizio, come specificato in tutte le precedenti decisioni sul tema (Cass., S.U., 8 maggio 1967 n. 902; id., 1, 29 marzo 1969 n. 1026; id., 1, 21 gennaio 1970 n. 132; id., 1, 17 maggio 1974 n. 1430; id., 1, 4 febbraio 1987 n. 995), suppone necessariamente che il contribuente "abbia la possibilità" di utilizzare il servizio: ciò significa che per il sorgere dell'obbligo non è sufficiente la mera istituzione e attivazione del servizio medesimo, né la sola ubicazione dell'immobile nel perimetro in cui è stato istituito il servizio ma è altresì indispensabile che il "cittadino residente" abbia la possibilità, cioè sia posto in condizione, di utilizzare il servizio: tanto suppone, come specificato nella richiamata sentenza n. 995 del 1987, che il servizio venga effettivamente espletato (Cass. n. 6312/05; 10608/03). Sussiste, altresì, il lamentato vizio motivazionale, dato che la C.T.R., si è limitata ad affermare l'avvenuta istituzione ed attivazione del servizio ma non ha motivato in ordine al tema controverso e rilevante della obiettiva sussistenza della possibilità di usufruire del servizio istituito ed appaltato dal Comune". 5.3 Anche altro precedente di questa Corte (precisamente: Cass., Sez. 5, 7 dicembre 2018, n. 31746), a cui il P.M. ha fatto riferimento nel suo parere, pur affrontando la questione controversa, non si è propriamente espresso nel senso prospettato dalla contribuente. Nel caso esaminato, il giudice di legittimità aveva cassato con rinvio la sentenza impugnata per l'infrazione alla regola di distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.), essendo stata erroneamente riformata la decisione di prime cure - nel senso dell'accoglimento del ricorso originario del contribuente, dopo aver accertato che il servizio di raccolta dei rifiuti speciali non era stato istituito né attivato nel territorio comunale - sulla esclusiva base di una dichiarazione unilaterale dell'ente impositore, che era stata ritenuta inidonea a sovvertire il contrario accertamento in fatto. Per cui, il thema decidendum era limitato alla corretta osservanza dell'onus probandi da parte del giudice di appello rispetto all'accertamento presupposto dalla decisione di prime cure. 5.4 Altrettanto dicasi - nonostante il difforme tenore di taluni commenti in dottrina - per un arresto successivo (precisamente: Cass., Sez. 6 - 5, 22 ottobre 2021, n. 29565), che aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso per cassazione sul presupposto dell'incoerenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che aveva escluso la tassazione delle aree interessate in carenza di prova circa l'entità e la tipologia dei rifiuti speciali, non essendo stato censurato a monte l'accertamento negativo dell'istituzione e dell'attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti speciali, da cui il giudice di appello aveva dedotto l'illegittimità della pretesa impositiva. Anche in questo caso, infatti, il sindacato di legittimità si era concentrato sull'attinenza del motivo di impugnazione al decisum, prescindendo dalla questione inerente al presupposto del potere impositivo. 5.5 Ciò posto, si rammenta che l'art. 1, commi 656 e 657, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 prevede una diversa percentuale di riduzione della TARI per le ipotesi di mancato svolgimento, illegittima effettuazione o temporanea interruzione, da un lato, e di mancata effettuazione, dall'altro, del servizio di gestione dei rifiuti. In particolare, il comma 656 dispone che: "656. La TARI è dovuta nella misura massima del 20 per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente"; mentre il comma 657 stabilisce che: "Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita". 5.6 Analogamente, l'art. 26, commi 1, 2 e 3, del regolamento comunale disciplina le medesime vicende in senso uniforme al dettato legislativo: "1. Per le utenze ubicate fuori dal perimetro di raccolta, come definito dal vigente regolamento comunale per la gestione del servizio dei rifiuti urbani ed assimilati, la tassa è dovuta, sia per la parte fissa sia per quella variabile, nella misura del 40 (per cento). 2. La tassa è dovuta, sia per la parte fissa sia per quella variabile, nella misura del 20 per cento della tariffa in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o di pericolo di danno alle persone o all'ambiente. 3. La riduzione di cui al comma precedente si applica limitatamente al periodo dell'anno per il quale è stato accertato il verificarsi delle situazioni ivi descritte". 5.7 A ben vedere, le fattispecie tipizzate dalle norme primarie e secondarie presuppongono, a monte, che il servizio di gestione dei rifiuti speciali sia stato istituito ed attivato dall'ente locale con la contestuale istituzione e regolamentazione della relativa tassa, trattandosi di eventi caratterizzati da una transitoria disfunzione, anomalia o interruzione ovvero da una limitazione territoriale nell'esercizio del servizio stesso. Là dove le diverse ipotesi della mancata istituzione e della mancata attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali non sono state oggetto di specifica disciplina in sede legislativa o regolamentare. D'altra parte, neppure è ipotizzabile un'interpretazione analogica o estensiva delle succitate norme di fonte legislativa o regolamentare, la cui estraneità alle fattispecie in disamina è confermata da un confronto con il similare art. 59, comma 4, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il quale, disciplinando in modo unitario le vicende ora tipizzate dall'art. 1, commi 656 e 657, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha stabilito che: "Se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non è svolto nella zona di residenza o di dimora nell'immobile a disposizione ovvero di esercizio dell'attività dell'utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al comma 1, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l'utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2" (cioè, "(...) in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita"). Per cui, nonostante l'omessa esplicitazione nel testo normativo, se ne può concludere che anche l'art. 1, commi 656 e 657, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (a cui è ispirato l'art. 26, commi 1, 2 e 3, del regolamento comunale), al pari dell'art. 59, comma 4, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, è inapplicabile nelle ipotesi di mancata istituzione o mancata attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali. 5.8 Ciò detto, si può adattare alla fattispecie il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in materia di TARI, pur operando il principio secondo cui è l'ente impositore a dover fornire la prova della fonte dell'obbligazione tributaria, grava sul contribuente l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l'esenzione, costituendo questa un'eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., Sez. 5, 17 settembre 2010, n. 19720; Cass., Sez. 5, 22 settembre 2017, n. 22130; Cass., Sez. 5, 23 maggio 2019, n. 14040; Cass., Sez. 5, 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., Sez. 6-5, 6 luglio 2022, n. 21335; Cass., Sez. 5, 21 febbraio 2023, n. 5433). Per cui, valendo come fatti costitutivi dell'esenzione dalla TARI (o, al più, come fatti impeditivi della pretesa al pagamento della TARI), la mancata istituzione o mancata attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali devono essere provate dal contribuente che pretende di avvalersene dinanzi al giudice tributario per l'annullamento dell'atto impositivo. Né rileva in senso ostativo che si tratti di "fatti negativi". Difatti, è pacifico che l'onere probatorio gravante, a norma dell'art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione (come anche l'impedimento all'esercizio) del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto "fatti negativi", in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (tra le tante: Cass., Sez. 2, 15 aprile 2002, n. 5427; Cass., Sez. 3, 11 gennaio 2007, n. 384; Cass., Sez. 3, 13 giugno 2013, n. 14854; Cass., Sez. 5, 6 febbraio 2020, nn. 2810 e 2811; Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2021, n. 4743; Cass., Sez. 5, 4 luglio 2023, n. 18765). 5.9 Ne discende che, sotto tale aspetto, la sentenza impugnata si è pienamente uniformata a tale principio, avendo ritenuto che l'onere della prova incombeva sulla contribuente, che, però, non l'aveva assolto con la mera produzione delle istanze presentate nell'anno 2015 (senza alcuna risposta) per sollecitare l'ente impositore al servizio di prelievo dei rifiuti speciali. 6. Il quarto motivo è inammissibile e, comunque, infondato. 6.1 Anzitutto, il mezzo è carente di autosufficienza, non essendo stato trascritto, né riprodotto, né sintetizzato in ricorso il testo dell'atto di costituzione dell'ente impositore nel giudizio di prime cure, al fine di verificare la eccepita novità delle eccezioni e delle questioni dedotte (a dire della ricorrente) per la prima volta nel giudizio di appello. 6.2 Ad ogni modo, la doglianza deve essere disattesa. Difatti, si tratta di allegazioni comunque pertinenti al delineato thema decidendum, che attingono le statuizioni della sentenza gravata in appello nei limiti del devolutum. 7. Da ultimo, anche il quinto motivo è inammissibile e, comunque, infondato. 7.1 La contribuente ha invocato il giudicato formatosi sulla decisione resa dal giudice tributario di secondo grado con riguardo alla TARI relativa all'anno 2015, che avrebbe annullato l'atto impositivo per mancanza di prova dell'esistenza del servizio di gestione dei rifiuti speciali. 7.2 Per costante giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l'onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d'inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest'ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa, né la mera riproduzione di stralci o del solo dispositivo (tra le tante: Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2015, n. 2617; Cass., Sez. 2, 23 giugno 2017, n. 15737; Cass., Sez. 1, 31 maggio 2018, n. 13988; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34590; Cass., Sez. 5, 9 novembre 2021, n. 32810; Cass., Sez. 6-5, 22 dicembre 2021, n. 41178; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2022, n. 8359; Cass., Sez. 5, 13 maggio 2022, n. 15327; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2023,n. 9032; Cass., Sez. 5, 29 gennaio 2024, n. 2717). 7.3 Nella specie, il mezzo è carente di autosufficienza, non essendo stato trascritto né richiamato in modo specifico il contenuto integrale del giudicato esterno, per cui il collegio non è messo in grado di valutare la portata delle doglianze prospettate in sede di legittimità, anche in ragione dell'omessa produzione (in questa sede della sentenza richiamata. 7.4 In ogni caso, la censura deve essere disattesa. La efficacia espansiva del giudicato esterno, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 settembre 2011, n. 20029; Cass., Sez. 5, 29 gennaio 2014, n. 1837; Cass., Sez. 5, 4 ottobre 2018, n. 24293; Cass., Sez. 5, 22 marzo 2019, n. 8138; Cass., Sez. 5, 3 marzo 2021, n. 5766; Cass., Sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36021; Cass., Sez. 6-5, 2 dicembre 2021, n. 37936; Cass., Sez. 5, 2 marzo 2023, n. 6264). Il giudicato in materia tributaria fa stato soltanto in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d'imposta o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass., Sez. 5, 13 dicembre 2018, n. 32254; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2019, n. 7417; Cass., Sez. 5, 18 dicembre 2020, n. 29079; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8407; Cass., Sez. 5, 2 marzo 2023, n. 6264). Dunque, il giudicato esterno incentra la sua potenziale capacità espansiva in funzione regolamentare solo su quegli elementi che abbiano un valore "condizionante" inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata, con la conseguenza che la sentenza che risolva la controversia sotto il profilo formale dell'atto opposto non può precludere l'esame del merito delle controversie che attengono alla medesima questione, riferita ad annualità di imposta diverse. Ciò in quanto solo l'accertamento su questioni di fatto e di diritto definito con sentenza passata in giudicato può precludere il riesame dell'identico punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (da ultime, in materia di ICI: Cass., Sez. 5, 3 marzo 2021, n. 5766; Cass., Sez. 5, 15 novembre 2021, n. 34499; Cass., Sez. 5, 2 marzo 2023, n. 6264). 7.5 Nella specie, la dedotta formazione del giudicato esterno in senso favorevole alla contribuente in relazione ad una precedente annualità di imposta non può sortire efficacia riflessa nel giudizio concernente una successiva annualità, attenendo l'accertamento irrevocabile del giudice di merito ad una circostanza di fatto (in particolare, la carente effettuazione del servizio di smaltimento dei rifiuti speciali da parte dell'ente locale) che non ha carattere permanente nel tempo, ben potendo essere raggiunta la prova che l'ente impositore abbia istituito ed attivato il servizio di gestione dei rifiuti speciali per i periodi posteriori. 8. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, tenendo conto dell'infondatezza e dell'inammissibilità dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato. 9. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo. 10. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 - quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 6.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma il 26 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA riunita in camera di consiglio nella seguente composizione: Oggetto: Dott. Federico Sorrentino Presidente Dott. Oronzo De Masi Consigliere Dott. Fabio Di Pisa Consigliere Ud. 24/4/2024 PU Dott.ssa Stefania Billi Consigliere R.G.N. 24507/2020 Dott. Giuseppe Lo Sardo Consigliere relatore Rep. SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24507/2020 R.G., proposto DA la “RIALTO S.p.A.”, con sede in Bresso (MI), in persona dell’amministratore delegato pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio Roderi, con studio in Milano, e dall’Avv. Giovani Corbyons, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento; RICORRENTE PRINCIPALE CONTRO il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonello Mandarano, Dall’Avv. Ruggero Meroni, dall’Avv. Irma Marinelli, dall’Avv. Donatella Silvia e dall’Avv. Anna Tavano, tutti con studio in Milano (presso gli Uffici dell’Avvocatura Comunale), nonché dall’Avv. Giuseppe Lepore, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento; CONTRORICORRENTE/RICORRENTE INCIDENTALE TARSU TIA TARES ACCERTAMENTO RIFIUTI SPECIALI avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 21 gennaio 2020, n. 107/02/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo; udito per la ricorrente l’Avv. Giorgio Roderi, che ha chiesto di dichiarare l’estinzione del presente procedimento per reciproca rinunzia ai ricorsi; dato atto che nessuno è comparso per il controricorrente; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha chiesto di dichiarare l’estinzione del presente procedimento per reciproca rinunzia ai ricorsi. FATTI DI CAUSA 1. La “RIALTO S.p.A.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 21 gennaio 2020, n. 107/02/2020, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento per l’omesso versamento della TARI relativa all’anno 2015, per l’importo complessivo di € 155.202,00, con riferimento ai locali dell’esercizio sito in Milano alla Via Ornato n. 169, per una superficie tassabile di mq. 29.678, ha parzialmente accolto l’appello proposto in via principale dalla medesima ed ha rigettato l’appello proposto in via incidentale dal Comune di Milano avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano il 23 luglio 2019, n. 3687/05/2018, con compensazione delle spese giudiziali. 2. Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario – nel senso di annullare l’atto impositivo con limitato riguardo alla superficie dei locali adibita a “laboratori”, i cui rifiuti speciali erano smaltiti mediante l’ausilio di impresa specializzata, ed alla superficie dei locali adibiti a “vani tecnici”, che erano insuscettibili di produrre rifiuti per il loro particolare uso (centrali termiche, celle frigorifere, vani scala, cabine elettriche, ecc.). 3. Il Comune di Milano ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale avverso la medesima sentenza. 4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per l’accoglimento del secondo motivo e del terzo motivo del ricorso principale, nonché del primo motivo del ricorso incidentale. 5. In corso di causa, a seguito di conciliazione stragiudiziale della controversia, le parti hanno rinunciato ai rispettivi ricorsi con reciproca accettazione. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso principale è affidato a quattro motivi; 1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’atto impositivo fosse munito di adeguata motivazione, limitandosi ad una mera elencazione di superfici tassabili, senza alcuna indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto a base della maggiore tassazione. 1.2 Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello principale della contribuente con motivazione apparente e contraddittoria in relazione alla detassazione delle superfici destinate a vendita dell’ipermercato. 1.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 221 e 226 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 18 e 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che le superfici delle aree di vendita dell’ipermercato fossero soggette a tassazione, benché esse producano in via prevalente e continuativa rifiuti speciali da imballaggio terziari e secondari, sulla base di un’illegittima disciplina dell’assimilazione per la carente predeterminazione di criteri quantitativi di assimilazione. 1.4 Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falasa applicazione degli artt. 1, commi 641 e 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 184, comma 3, lett. e, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 6, comma 3, lett. b, del regolamento comunale TARI e 817 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che le aree adibite a parcheggi coperti a servizio dell’ipermercato, per una superficie complessiva di mq. 21.348, fossero soggette a tassazione, pur essendo prive di automa destinazione e di funzione operativa. 2. Il ricorso incidentale è affidato a due motivi. 2.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1, commi 641 e 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 2, comma 3, e 4, comma 1, lett. e, della deliberazione adottata dal Comitato Interministeriale dei Rifiuti il 27 ottobre 1984, 195, comma 2, lett. e, 238, commi 6 e 11, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 1, comma 184, lett. b, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, 18, comma 2, lett. d lett. g, e 57, comma 1, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e 3 del regolamento comunale TARI per l’assimilazione rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente impositore in ordine all’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani (seppure con la sola previsione di limiti qualitativi) comportasse l’esenzione della contribuente dalla TARI per le superfici destinate alla produzione di rifiuti speciali, al cui smaltimento essa provvedeva in proprio, anche al fine di evitare una duplicazione di imposta. 2.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1, commi 641 e 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 35, 36, 37, 38 e 43, comma 2, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, 3 e 9 del regolamento comunale TARI, nonché dei principi in tema di esenzione dalla TARI ed irrilevanza dell’auto- smaltimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la contribuente avesse assolto l’onere di provare l’avvio al riciclo dei rifiuti speciali, potendo beneficiare di una riduzione della superficie tassabile, anziché di una riduzione della quota variabile del tributo. 3. le rinunce al ricorso principale ed al ricorso incidentale sono rituali perché sono intervenute prima della pubblica udienza (art. 390, secondo comma, cod. proc. civ.), sono state sottoscritte dal difensore munito di procura speciale, sono state accettate e sottoscritte dal difensore della controparte (art. 390, terzo comma, cod. proc. civ.); pertanto, il procedimento deve essere dichiarato estinto per le reciproche rinunce ai ricorsi. 4. Stante l’accettazione delle reciproche rinunce, in conformità all’accordo raggiunto tra le parti, si deve disporre la compensazione delle spese giudiziali (art. 391, quarto comma, cod. proc. civ.). 5. Infine, il tenore della pronunzia, che è di estinzione e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità, esclude - trattandosi di norma lato sensu sanzionatoria e comunque eccezionale ed in quanto tale di stretta interpretazione - l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, quale inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, circa l'obbligo per il ricorrente non vittorioso di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione; e la stessa estraneità della fattispecie a quella prevista dalla norma ora richiamata consente pure di omettere ogni ulteriore specificazione in dispositivo (tra le tante:Cass., Sez. 6^-3, 30 settembre 2015, n. 19560; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25485; Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2020, n. 10140; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2021, n. 6400; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2022, n. 19599; Cass., Sez. 5^, 9 maggio 2023, n. 12456). P.Q.M. La Corte dichiara l'estinzione del procedimento per rinunce ai ricorsi e compensa le spese giudiziali. Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 aprile 2024. IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott. Giuseppe Lo Sardo Dott. Federico Sorrentino

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA riunita in camera di consiglio nella seguente composizione: Oggetto: Dott. Federico Sorrentino Presidente Dott. Oronzo De Masi Consigliere Dott. Fabio Di Pisa Consigliere Ud. 24/4/2024 PU Dott.ssa Stefania Billi Consigliere R.G.N. 28215/2021 Dott. Giuseppe Lo Sardo Consigliere relatore Rep. SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 28215/2021 R.G., proposto DA la “RIALTO S.p.A.”, con sede in Bresso (MI), in persona dell’amministratore delegato pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio Roderi, con studio in Milano, e dall’Avv. Giovani Corbyons, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento; RICORRENTE CONTRO il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonello Mandarano, dall’Avv. Angela Bartolomeo, dall’Avv. Irma Marinelli e dall’Avv. Mariarosaria Autieri, tutti con studio in Milano (presso gli Uffici dell’Avvocatura Comunale), nonché dall’Avv. Giuseppe Lepore, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento; CONTRORICORRENTE TARSU TIA TARES ACCERTAMENTO RIFIUTI SPECIALI avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 21 luglio 2021, n. 2889/09/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo; udito per la ricorrente l’Avv. Giorgio Roderi, che ha chiesto di dichiarare l’estinzione del presente procedimento per reciproca rinunzia ai ricorsi; dato atto che nessuno è comparso per il controricorrente; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha chiesto di dichiarare l’estinzione del presente procedimento per reciproca rinunzia ai ricorsi. FATTI DI CAUSA 1. La “RIALTO S.p.A.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 21 luglio 2021, n. 2889/09/2021, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento per l’omesso versamento della TARI relativa all’anno 2017, per l’importo complessivo di € 155.003,00, con riferimento ai locali dell’esercizio sito in Milano alla Via Ornato n. 169, per una superficie tassabile di mq. 29.678, ha parzialmente accolto l’appello proposto dal Comune di Milano nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano il 24 settembre 2019, n. 3843/22/2019, con compensazione delle spese giudiziali. 2. Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario – nel senso di confermare l’applicazione del regolamento comunale TARI anche in difetto della previsione di limiti quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali e di ridurre l’entità del tributo in relazione all’avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilati ai rifiuti urbani. 3. Il Comune di Milano ha resistito con controricorso. 4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso, seppur con una correzione della motivazione della sentenza impugnata. 5. In corso di causa, a seguito di conciliazione stragiudiziale della controversia, la ricorrente ha depositato rinuncia al ricorso per cassazione, che è stata accettata dal controricorrente. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è affidato a otto motivi. 1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 195, comma 2, lett. e, e 198, comma 2, lett. g, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 18 e 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nonché violazione dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, e 7, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che non si dovesse disapplicare il regolamento comunale TARI per la mancata previsione di limiti quantitativi di assimilazione. 1.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 195, comma 2, lett. e, e 198, comma 2, lett. g, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 18 e 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nonché violazione degli artt. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, anche con riferimento agli artt. 9 e 22 del regolamento comunale TARI, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che le superfici produttive di rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani dovessero essere soggette a tributo. 1.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 226 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, anche con riferimento all’art. 9 del regolamento comunale TARI, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che le superfici produttive di rifiuti speciali di imballaggi terziari non assimilabili ai rifiuti urbani fossero soggette a tributo. 1.4 Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, commi 641 e 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 221, 226 e 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 9 del regolamento comunale TARI, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’auto- smaltimento dei rifiuti speciali non assimilati fosse irrilevante ai fini della soggezione a tributo. 1.5 Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 1, commi 641 e 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 184, comma 3, lett. e, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 6, comma 3, lett. b, del regolamento comunale TARI e 817 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che le aree adibite a parcheggi coperti a servizio dell’ipermercato, per una superficie complessiva di mq. 21.348, fossero soggette a tributo, pur essendo prive di automa destinazione e di funzione operativa 1.6 Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 184, comma 3, lett. e, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché violazione e falsa applicazione del regolamento CE n. 1069/2009, anche con riferimento al d.lgs. 1 ottobre 2012, n. 186, violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di secondo grado che i locali adibiti a laboratori dell’esercizio erano esenti da tributo. 1.7 Con il settimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’atto impositivo fosse munito di adeguata motivazione, limitandosi ad una mera elencazione di superfici tassabili, senza alcuna indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto a base della maggiore tassazione. 1.8 Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, , comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, 184, comma 3, lett. e, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente escluso dal giudice di secondo grado che la richiesta di riduzione della superficie assoggettabile a tributo da parte della contribuente, con la presentazione della denuncia di occupazione nuovi locali, equivalesse alla proposizione di interpello ed esigesse una risposta scritta e motivata dell’ente impositore, in carenza della quale nel termine di 120 giorni si formerebbe il silenzio – assenso sulla rideterminazione della superficie assoggettabile a tributo. 2. La rinuncia della ricorrente è rituale perché è intervenuta prima dell'adunanza camerale (art. 390, secondo comma, cod. proc. civ.), è stata sottoscritta dal difensore munito di procura speciale, è stata accettata e sottoscritta dal difensore della controricorrente (art. 390, terzo comma, cod. proc. civ.); pertanto, il procedimento deve essere dichiarato estinto per rinuncia al ricorso. 3. Stante l’accettazione della rinuncia, in conformità all’accordo tra le parti, si può disporre la compensazione delle spese giudiziali (art. 391, quarto comma, cod. proc. civ.). 4. Infine, il tenore della pronunzia, che è di estinzione e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità, esclude - trattandosi di norma lato sensu sanzionatoria e comunque eccezionale ed in quanto tale di stretta interpretazione - l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, quale inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, circa l'obbligo per il ricorrente non vittorioso di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione; e la stessa estraneità della fattispecie a quella prevista dalla norma ora richiamata consente pure di omettere ogni ulteriore specificazione in dispositivo (tra le tante:Cass., Sez. 6^-3, 30 settembre 2015, n. 19560; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25485; Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2020, n. 10140; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2021, n. 6400; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2022, n. 19599). P.Q.M. La Corte dichiara l'estinzione del procedimento per rinuncia al ricorso e compensa le spese giudiziali Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 aprile 2024. IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott. Giuseppe Lo Sardo Dott. Federico Sorrentino

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA riunita in camera di consiglio nella seguente composizione: Oggetto Dott. Federico Sorrentino Presidente Dott. Oronzo De Masi Consigliere Dott. Fabio Di Pisa Consigliere Ud. 24/4/2024 PU Dott.ssa Stefania Billi Consigliere R.G.N. 23471/2017 Dott. Giuseppe Lo Sardo Consigliere relatore Rep. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 23471/2017 R.G., proposto DA l’Unione Comuni dell’Alto Cilento, con sede in Torchiara (SA), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Fiorillo, con studio in Salerno, ove elettivamente domiciliata (indirizzo p.e.c. per comunicazioni e notifiche: [email protected]), e comunque presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento; RICORRENTE CONTRO Cortucci Pasquale, rappresentato e difeso dall’Avv. Giulia De Virgilio Vicenzi, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento; CONTRORICORRENTE TARSU TIA TARES ACCERTAMENTO SPECCHI D’ACQUA avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania - sezione staccata di Salerno il 7 marzo 2017, n. 2071/02/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo; dato atto che nessuno è comparso per la ricorrente; udito per il controricorrente l’Avv. Giulia De Virgilio Vicenzi, che ha chiesto il rigetto; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per l’accoglimento. FATTI DI CAUSA 1. L’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania - sezione staccata di Salerno il 7 marzo 2017, n. 2071/02/2017, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento per la TARSU relativa agli anni dal 2007 al 2012, per l’importo complessivo di € 104.617,00, con riferimento alla concessione demaniale di un pontile galleggiante per l’ormeggio e la manovra di imbarcazioni nello specchio d’acqua antistante la banchina del porto turistico di Agropoli (SA), ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di Massimo Cortucci avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno il 5 maggio 2015, n. 2143/12/2015, con compensazione delle spese giudiziali. 2. Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario - sul presupposto: a) che l’ente impositore non poteva vantare pretese per la TARSU relativa ad annate antecedenti l’affidamento del servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti, che risaliva all’anno 2010; b) che il subentro dell’ente impositore non poteva essere giustificato con il richiamo all’art. 2558 cod. civ., non avendo avuto luogo il trasferimento di un complesso aziendale; c) che la pretesa impositiva per le annate successive era infondata per l’omessa previsione della soggezione a TARSU anche degli specchi d’acqua; b) che, in ogni caso, la potestà impositiva per la TARSU dovuta in relazione alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nelle aree portuali non spettava ai Comuni, essendo soggetta ad una disciplina speciale. 3. Massimo Cortucci ha resistito con controricorso, eccependo, tra l’altro, la nullità della procura ad litem in calce al ricorso, sul rilievo che il “legale rappresentante pro tempore” dell’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento aveva omesso l’indicazione dei dati anagrafici ed aveva apposto una sottoscrizione illeggibile. 4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per l’accoglimento del ricorso. 5. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è affidato a sei motivi (nonostante la numerazione di cinque motivi, essendone stati erroneamente rubricati due col n. 2). 1.1 Con il primo motivo (rubricato in ricorso col n. 1), si denuncia violazione dell’art. 32 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU relativa agli anni dal 2006 al 2009 non poteva essere riscossa dall’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento, alla quale il servizio di raccolta, smaltimento e tassazione dei rifiuti urbani era stato trasferito soltanto con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di Agropoli (SA) il 9 giugno 2010, n. 26, là dove tale trasferimento aveva comportato la successione in tutti i rapporti giuridici afferenti il predetto servizio anche per le annate antecedenti l’anno 2010. 1.2 Con il secondo motivo (rubricato in ricorso col n. 2), si denuncia violazione degli artt. 62 e 68 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU sugli specchi d’acqua poteva essere riscossa soltanto dopo la previsione della categoria specifica nel relativo regolamento, in conseguenza della deliberazione adottata dal Consiglio Unionale il 3 marzo 2012, n. 2, senza tener conto che tali spazi erano compresi, dapprima, nella previsione legislativa della categoria generale delle “aree scoperte” (terrestri e acquatiche) di cui all’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e, poi, nella previsione regolamentare della categoria specifica dei “pontili per ormeggio di imbarcazioni in concessione privata” di cui alla deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di Agropoli (SA) il 7 febbraio 2009, n. 6. 1.3 con il terzo motivo (rubricato in ricorso con il n. 2, al pari del secondo motivo), si denuncia violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 2 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la pretesa impositiva per la TARSU relativa allo specchio d’acqua ed al pontile era affetta da «palese iniquità (...) in ordine all’utilizzo del regime tariffario previsto per le aree terrestri». 1.4 con il quarto motivo (rubricato in ricorso con il n. 3), si denuncia violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione degli artt. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 822 cod. civ., 28 cod. nav., 105 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, 42 del d.lgs. 30 marzo 1999, n. 96, 6 della legge reg. Campania 28 marzo 2002, n. 3, e della deliberazione adottata dalla Giunta Regionale della Regione Campania il 19 giugno 2008, n. 1047, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che gli specchi d’acqua – rientranti nelle aree portuali - non erano ricompresi nel territorio comunale, ai sensi dell’art. 3 dello statuto comunale, ai fini della soggezione alla TARSU, là dove tale questione era stata sollevata d’ufficio, non essendo stata eccepita dal contribuente né rilevata dal giudice di prime cure, senza tener conto che i porti sono ricompresi nel demanio marittimo, la cui gestione è stata affidata ai Comuni su delega della Regione Campania (dopo il trasferimento dallo Stato alle Regioni). 1.5 Con il quinto motivo (rubricato in ricorso col n. 4), si denuncia violazione dell’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che gli specchi d’acqua non costituivano aree idonee alla produzione di rifiuti urbani. 1.6 Con il sesto motivo (rubricato in ricorso col n. 5), si denuncia violazione dell’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle imbarcazioni erano regolamentati dal d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182, che costituiva una disciplina speciale alternativa a quella del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, anche al fine di evitare una doppia imposizione. 2. Anzitutto, si rileva che l’eccepita nullità della procura conferita dal ricorrente al difensore di fiducia è stata tempestivamente sanata con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., ove è specificato che «firmatario della procura in calce al ricorso che ha dato avvio al presente giudizio per Cassazione, è l’avv. Francesco Alfieri, all’epoca Presidente della Unione Comuni Alto Cilento». 2.1 Invero, è pacifico che la procura speciale alle liti rilasciata, per conto di un ente esattamente indicato con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, né dall’intestazione dell’atto a margine od in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., onerando, così, l’istante d'integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede (tra le tante: Cass., Sez. Un., 7 novembre 2013, n. 25036; Cass., Sez. 5^, 5 luglio 2017, n. 16634; Cass., Sez. 5^, 19 dicembre 2018, n. 32800; Cass., Sez. 3^, 14 luglio 2023, n. 20323). 2.2 È indubbio, infatti, che la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. costituiva, per la ricorrente, la prima difesa utile dopo il deposito del controricorso, nel quale l’eccezione pregiudiziale era stata sollevata dalla controparte. 3. Ciò posto, il primo motivo è fondato. 3.1 Secondo l’art. 32, commi 1, primo periodo, e 7, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267: «1.L’unione di Comuni è l’ente locale costituito da due o più Comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi»; «7.Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati». 3.2 Alla luce di quest’ultima disposizione, che non pone discriminazioni tra gli introiti già maturati o ancora maturandi, postulando la successione nella totalità dei rapporti (amministrativi e fiscali) inerenti l’ambito dell’affidamento, il collegio ritiene che l’attribuzione del potere di imposizione e di riscossione per i tributi comunali non subisca limitazioni temporali (per il passato), in coerenza con la ratio legis di concentrare in capo all’Unione l’esercizio delle funzioni e dei servizi di cui i singoli Comuni si siano spogliati in modo definitivo ed integrale nella prospettiva di una migliore organizzazione e di una maggiore efficacia della gestione associativa. 3.3 Con particolare riguardo alla disciplina della gestione dei rifiuti urbani, è significativo in tal senso che il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”), nel regolamentare l’organizzazione (art. 200) e l’affidamento (art. 202) del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, prevede che i soggetti che lo esercitano, anche in economia, continuano a gestirlo fino alla istituzione e all’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani (art. 204, comma 1), lasciando implicitamente intendere che, dopo l’affidamento, l’ente concedente si spoglia di ogni potestà anche sulla manutenzione e la gestione dei rapporti pregressi (ivi compresi i rapporti tributari). 3.4 Pertanto, posto che il servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti urbani era stato affidato all’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di Agropoli (SA) il 9 giugno 2010, n. 26, si può ritenere che il trasferimento delle relative competenze riguardasse anche l’accertamento, il controllo e l’esazione della TARSU per le annualità maturate in epoca anteriore. 3.5 Ne discende che la sentenza impugnata si è discostata da tale principio - nonostante il corretto rilievo dell’inappropriato richiamo del giudice di prime cure all’art. 2558 cod. civ., in tema di successione del cessionario al cedente nei contratti inerenti all’azienda ceduta, che mal si attaglia al fenomeno dell’affidamento di funzioni e servizi ad un’aggregazione di enti territoriali - con la conclusione che non vi era stata successione nei rapporti tributari d’epoca anteriore all’anno 2010. 4. Il secondo motivo, il quarto motivo, il quinto motivo ed il sesto motivo – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta – sono fondati (al di là dell’improprio riferimento delle censure all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.). 4.1 Per costante giurisprudenza di questa Corte, in linea di principio, l'attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell'ambito delle aree portuali rientra nelle competenze dell'Autorità portuale. Ne consegue che, in relazione a tale attività, deve escludersi la competenza dei Comuni e, quindi, il potere impositivo degli stessi ai fini della TARSU; né alcun rilievo può attribuirsi, ai fini della sussistenza dell'obbligazione tributaria, alla circostanza che l'ente territoriale abbia svolto di fatto il servizio, giacché il potere impositivo deve trovare la sua fonte necessariamente nella legge e non può pertanto rinvenirsi in ragione dello svolgimento di una mera attività di fatto da parte di soggetto a cui la legge stessa non assegna la relativa competenza funzionale (Cass., Sez. 5^, 25 settembre 2009, n. Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583; Cass., Sez. 6^- 5, 19 giugno 2012, n. 10104; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6^- 5, 15 novembre 2021, n. 34251; Cass., Sez. 6^-5, 26 gennaio 2022, n. 2242). Difatti, nell'ambito dell'area portuale, intesa come spazio territoriale nel quale svolge i suoi compiti l'Autorità portuale, l'attività di gestione dei rifiuti appartiene alla competenza di quest'ultima, che non si limita al servizio di pulizia all'interno del porto, ma è tenuta, ai sensi dell'art. 62, comma 5, del d.lgs.15 novembre 1993, n. 507, dell'art. 21, comma 8, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dell'art. 6, comma 1, lett. c, della legge 28 febbraio 1994, n. 84, ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne consegue che, in relazione a detta attività, deve escludersi la competenza dei Comuni, che sono pertanto privi di ogni potere impositivo ai fini della TARSU, non essendo detto potere configurabile in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583). 4.2Come questa Corte ha già chiarito (in particolare: Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583),l'esame complessivo della disciplina normativa in materia conferma che il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani all'interno dell'area portuale, ove è pacificamente ubicata la superficie oggetto di tassazione, è sottratto alla competenza dei Comuni. In questo senso depongono le seguenti disposizioni: - l’art. 62, comma 5, comma 5, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che dichiara «esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte per i quali non sussiste l'obbligo dell'ordinario conferimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale per effetto di norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati esteri»; - l'art. 21, comma 8, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nel disciplinare le competenze dei Comuni in materia di rifiuti, dichiara che: «Sono fatte salve le disposizioni di cui all’art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e relativi decreti attuativi»; - l'art. 6, comma 1, lett. c, della legge 28 febbraio 1994, n. 84, che istituisce le Autorità portuali nei porti diAncona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia, con il compito, tra l'altro, di «affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'art. 16, individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione (…)»; - l’art. 1 del d.m. 14 novembre 1994, che precisa: «I servizi di interesse generale nei porti, di cui all'art. 6, comma 1, lettera c), della legge 28 gennaio 1994, n. 84, da fornire a titolo oneroso all'utenza portuale sono così identificati: (…) B) Servizi di pulizia e raccolta rifiuti. Pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica relativa agli spazi, ai locali e alle infrastrutture comuni e presso i soggetti terzi (concessionari, utenti, imprese portuali, navi). Derattizzazione, disinfestazione e simili. Gestione della rete fognaria. Pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali». 4.3 Dall'esame di tale quadro normativo emerge in modo univoco che l'attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell'ambito dell'area portuale - da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale - rientra nella competenza esclusiva di quest'ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che, invece, normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583). 4.4Il dato normativo configura la competenza delle Autorità portuali in totale e completa alternativa ai Comuni. In questo senso appaiono particolarmente significative le già richiamate disposizioni di cui all’art. 62, comma 5, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che espressamente esclude dalla tassa le situazioni sottratte al regime di privativa comunale, ed all'art. 21, comma 8, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nell'indicare le competenze dei Comuni in materia, ribadisce che comunque sono mantenute le competenze in materia attribuite alle Autorità portuali. A ciò si aggiunga che le norme precisano che il servizio che i suddetti enti sono chiamati a svolgere consiste, come si esprime il decreto ministeriale di attuazione, nella «pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica» degli stessi, cioè in una vera e propria attività di gestione dei rifiuti, a fronte della quale non si vede quali residui compiti i Comuni potrebbero espletare. 4.5Come si è detto, l’art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, ha istituito le Autorità portuali nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savoia, Taranto, Trieste e Venezia. Successivamente sono state istituite le Autorità portuali di Piombino (d.P.R. 20 marzo 1996), Gioia Tauro (d.P.R. 16 luglio 1998), Salerno (d.P.R. 23 giugno 2000), Olbia e Golfo degli Aranci (d.P.R. 29 dicembre 2000), Augusta (d.P.R. 12 aprile 2001), Trapani (d.P.R. 2 aprile 2003) e Manfredonia (art. 4, comma 65, della Legge 24 dicembre 2003 n. 350). Come è evidente, tale elenco non contempla il porto di Agropoli (SA). Ne consegue che al momento dei fatti per cui si procede non era stata istituita l'Autorità portuale nel porto di Agropoli (SA) e non si era, quindi, verificata la condizione che escluderebbe il potere impositivo del medesimo Comune. 4.6 Sulla base della delega conferita al Governo con la legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), tale organizzazione è stata rivoluzionata dal d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169 (“Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della legge 7 agosto 2015, n. 124”), il quale ha istituito le Autorità di sistema portuale (art. 1 della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 1 del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169). Si tratta di enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, che sono dotati di «autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria» (art. 6, comma 5, primo periodo, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169). Esse sono individuate in numero di quindici e preposte ad uno o più porti collocati all’interno della rispettiva circoscrizione territoriale (art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169). 4.7 La riorganizzazione dell’amministrazione portuale non ha, comunque, inciso sulle competenze spettanti in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, tenendo conto che l’art. 6, comma 4, lett. c, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169, continua ad annoverare, tra i compiti delle Autorità di sistema portuale, «affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'articolo 16, comma 1 (...)». 4.8 In relazione alla disciplina vigente ratione temporis prima del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169, se l'istituzione dell'Autorità portuale si pone, dunque, come causa di esclusione dalla tassa sui rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata dall’art. 62, comma 5, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ne segue, per converso, che nelle zone portuali prive di tale Autorità riemerga la competenza e la privativa comunale in ordine all'istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana; e, correlativamente, trovi spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la tariffa, in base alle disposizioni ordinarie (da ultime: Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9887; Cass., Sez. 5^, 2 agosto 2023, nn. 23555, 23575 e 23584; Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2024, nn. 2055 e 2058). In tal senso, del resto, questa Corte si era già espressa in una serie di arresti, che avevano riconosciuto al Comune la legittimazione a chiedere la riscossione della TARSU, a fronte dell’esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in un’area portuale, in ragione della mancata istituzione dell’Autorità portuale (in termini: Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6^-5, 15 novembre 2021, n. 34251). Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, la TARSU è una tassa, ossia un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad una utilità che egli trae dallo svolgimento di una attività svolta da un ente pubblico. Come tale, il potere di imposizione non può connettersi ad un soggetto diverso da quello che espleta il servizio, in ottemperanza ad un espresso disposto legislativo. Ne consegue che avendo il Comune svolto il servizio di pulizia e raccolta dei rifiuti solidi urbani e assimilati anche nell’ambito portuale, in ragione della mancata istituzione della Autorità portuale, è autorizzato a chiedere il pagamento della TARSU ai contribuenti concessionari di aree demaniali destinate all’ormeggio di imbarcazioni (in termini: Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 1709; Cass., Sez. 6^-5, 15 novembre 2021, n. 34251). 4.9 Diversa è, invece, la competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima in materia di operazioni portuali e servizi portuali ovvero di concessioni di aree demaniali e banchine nell’ambito portuale, trattandosi di attività amministrative relative alla gestione ed all’utilizzo degli spazi portuali che non comportano alcuna attribuzione in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, pertanto, non involgono la conseguenziale spettanza di una potestà impositiva. Sotto il primo aspetto, l’art. 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora, alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite, alle Autorità marittime la disciplina e la vigilanza – attraverso il rilascio di apposite autorizzazioni ad imprese munite di specifici requisiti, iscritte in registri speciali, obbligate al pagamento di un canone annuale ed alla pubblicazione delle tariffe praticate alla clientela) sull'espletamento delle operazioni portuali (carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale)e dei servizi portuali (servizi riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali, individuati dalle autorità portuali, o, laddove non istituite, dalle autorità marittime, attraverso una specifica regolamentazione da emanare in conformità dei criteri vincolanti fissati con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione), nonché sull'applicazione delle tariffe indicate dalle imprese autorizzate per la prestazione alla clientela delle operazioni portuali e dei servizi portuali, riferendo periodicamente al Ministro dei trasporti e della navigazione. Sotto il secondo aspetto, l’art. 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite ovvero non ancora insediate, alle Autorità marittime le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) di aree demaniali e banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese autorizzate all’espletamento delle operazioni portuali (fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali), nonché le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) per la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch'essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Per cui, non si ravvisa alcuna competenza dell’Autorità marittima, in caso di mancata istituzione dell’Autorità portuale, in materia di tassazione dei rifiuti urbani prodotti nell’ambito portuale, che resta riservata in regime di privativa al Comune interessato. 4.10Viceversa, rientra nella competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima il diverso servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali, il quale è estraneo all’ambito del presente giudizio e per il quale, comunque, il Comune non ha alcuna potestà impositiva a norma degli artt. 8 e 10 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (in attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2000 in materia di impianti portuali di raccolta per i rifiuti delle navi e residui del carico) (Cass., Sez. 6^-5, 26 gennaio 2022, n. 2242). Peraltro, secondo l’art. 208, comma 14, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il controllo e l'autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, e di cui al d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182, di attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. 4.11 Anche questa disciplina è stata rivisitata con il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 182 (“Recepimento della direttiva (UE) 2019/883, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE”), che ha espressamente abrogato il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (art. 19, comma 1), stabilendo che: «I costi degli impianti portuali per la raccolta e il trattamento dei rifiuti delle navi, diversi dai residui del carico, sono recuperati mediante la riscossione di tariffe a carico delle navi che approdano nel porto» (art. 8, comma 1). Tali tariffe sono determinate dall’«Autorità competente» (vale a dire, secondo l’art. 2, comma 1, lett. l, «l'Autorità di Sistema Portuale, ove istituita, o l'Autorità marittima di cui all'articolo 2, commi 2 e 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 84») in base a criteri prestabiliti (art. 8, commi 2 – 5). 4.12 Per cui, si può ribadire che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169, nell'ambito delle aree portuali per le quali non sia stata istituita l’Autorità portuale ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 8, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, l'attività di gestione dei rifiuti ivi prodotti rientra nella competenza (secondo l’ordinario regime di privativa) dei Comuni, ai quali, pertanto, è riservato il potere impositivo ai fini del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi di cui all’art. 14, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Pertanto, nessuna competenza al riguardo (neppure in via suppletiva) si può riconoscere all’Autorità marittima, alla quale è riservato soltanto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali a norma degli artt. 8 e 10 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182. 5. Ciò posto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di TARSU, la nozione di «aree scoperte», utilizzata dall'art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l'estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell'estensione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5^, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 5^, 30 giugno 2021, n. 18384; Cass., Sez. 5^, 29 novembre 2023, nn. 33326 e 33329; Cass., Sez. 5^, 5 dicembre 2023, n. 34021). 5.1 Ne discende che è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell’ambito portuale, l’omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei. 5.2 Peraltro, l’equiparazione degli spazi terrestri agli spazi acquei è stata condivisa dalla giurisprudenza euro-unitaria (Corte Giust., 3 marzo 2005, causa n. C-428/02, Fonden Marselisborg Lystbådehavn vs. Skatteministeriet et alii), la quale, sia pure in relazione all’IVA, ha testualmente sancito che: «L'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE, deve essere interpretato nel senso che la nozione di locazione di beni immobili comprende la locazione di posti previsti per l'ormeggio di imbarcazioni, nonché di posti barca a terra per il rimessaggio di tali imbarcazioni nell'area portuale». Tanto sul presupposto che: «La locazione di posti barca non si limita, infatti, al solo diritto di occupare, in via esclusiva, la superficie dell'acqua, ma implica anche la messa a disposizione di varie attrezzature portuali, segnatamente per l'ormeggio dell'imbarcazione, delle strutture per lo sbarco e l'imbarco dell'equipaggio, nonché l'eventuale utilizzo da parte di quest'ultimo di vari servizi igienici o di altri servizi». Inoltre, tale pronuncia è in linea con i criteri impositivi della TARSU, in quanto il presupposto per la sua applicazione è l'occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Aggiungasi che altra decisione – sia pure con riguardo, sempre ai fini dell’IVA, alla riconducibilità della locazione di una casa galleggiante nella nozione generale di “affitto e locazione di immobili” – ha ritenuto che il pontile e l’area per l’ormeggio delle imbarcazioni, attigue alla casa galleggiante, rientrassero nella categoria dei beni immobili ed integrassero una operazione unitaria ai fini dell’esenzione dall’IVA (Corte Giust., 15 novembre 2012, causa n. C-532/11, Susanne Leichenich vs. Ansbert Peffekoven et alii). Né tale indirizzo può dirsi scalfito da una pronuncia più recente, che ha escluso l’applicabilità dell’aliquota ridotta dell’IVA per l’affitto di posti per campeggio e di posti per roulotte alla locazione di spazi per l’ormeggio di imbarcazioni, essendo stata motivata l’eterogeneità delle fattispecie non in relazione alla diversa natura, bensì in relazione alla diversa funzione dei beni interessati, dal momento che «(…)la concessione della facoltà di applicare un’aliquota IVA ridotta alle prestazioni di locazione di spazi di ormeggio per imbarcazioni non sarebbe manifestamente giustificata alla luce di un simile scopo di natura sociale, dal momento che le imbarcazioni a vela o a motore, come quelle di cui trattasi nella causa principale, non svolgono la funzione, o almeno non principalmente, di alloggio» (Corte Giust., 19 dicembre 2019, causa n. C-715/18, Segler-Vereinigung Cuxhaven eV. vs Finanzamt Cuxhaven). 5.3 Nello stesso senso, pronunziandosi in sede di impugnazione di un regolamento comunale in materia di IUC, anche il Consiglio di Stato(Cons. Stato, Sez. 1^, 4 novembre 2019, n. 2754) ha riconosciuto che: «(…) banchine, pontili galleggianti e ormeggi possono essere soggetti alla TARSU-TARI-TARES poiché, (…) secondo l’orientamento dei giudici di legittimità, vanno considerate aree scoperte tutte le estensioni spaziali utilizzate da una comunità umana, a prescindere dal supporto solido o liquido di cui la superficie è composta e del mezzo terrestre o navale di cui ci si avvale per effettuare l'occupazione. E le banchine e i pontili sono aree scoperte operative e non pertinenziali». Ne discende che: «Sono, pertanto, tassabili in linea di principio sia le superfici liquide (i mezzi natanti che sostano su queste aree producono rifiuti che una volta riversati sulla terraferma, al momento della sosta nel porto, devono essere smaltiti dai Comuni) sia le superfici solide (banchine e pontili galleggianti in quanto aree scoperte idonee a produrre rifiuti)». 5.4 Peraltro, a mera conferma della onnicomprensività della nozione di “aree scoperte”, questa Corte si è specificamente soffermata anche sulla questione dell’equiparazione tariffaria delle aree destinate ad ormeggi ai campeggi. Ora, l’art. 68, comma 1, lett. a, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, demanda l’applicazione della TARSU ai regolamenti comunali, i quali devono prevedere, tra l’altro: «a)la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria». Ciò posto, l’art. 68, comma 2, lett. b, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, prevede anche che: «L'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: (…) b) complessi commerciali all'ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati». Premesso che il soggetto che occupa o detiene un'area scoperta, quando produttrice, per presunzione di legge, di rifiuti solidi urbani, è tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente dalla individuazione dell'effettivo produttore del rifiuto, alla luce di tale previsione, questa Corte ha ritenuto – in relazione agli spazi destinati ad ormeggi - che la stipulazione del contratto di ormeggio con il diportista (in ipotesi equiparabile ad un contratto di locazione) non è circostanza idonea a sottrarre al “concedente” la detenzione dell'area concessa in uso alla controparte ed a trasferire, quindi, in capo a quest'ultima, l'obbligo tributario perché quel contratto, per sua natura, si risolve sempre e solo nell'attribuzione al diportista del diritto di utilizzare lo spazio ed i servizi connessi e non sottrae in alcun modo quello stesso spazio alla detenzione del concedente, al pari di quanto avviene nella gestione di campeggi o di attività ricettive (Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 22 giugno 2021, n. 17702). Né rileva che si tratti di aree in proprietà demaniale. Difatti, è pacifico che, in tema di TARSU, nell'ipotesi di concessione di area in proprietà demaniale, si presume che il soggetto tenuto al pagamento del tributo sia il concessionario, in quanto detentore, in virtù del titolo concessorio, di un'area scoperta sulla quale, ai sensi dell'art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, si producono rifiuti solidi urbani, e detto obbligo non si trasferisce su coloro i quali, anche tramite contratti conclusi con il concessionario, abbiano concretamente prodotto detti rifiuti, avendo in tutto o in parte l'effettiva disponibilità dell'area, salvo che il contribuente indichi nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità della stessa, in ragione della detenzione da parte di terzi, ed assolva in giudizio al relativo onere probatorio a proprio carico (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 22 giugno 2021, n. 17702; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8296). Per cui, senza escludere le differenze incidenti sulla concreta produttività di rifiuti urbani, la riconduzione delle aree adibite ad ormeggi nella categoria tariffaria dei campeggi è coerente con la classificazione legislativa e regolamentare delle attività professionali e commerciali per genera comprendenti una varietà di species eterogenee accomunate da caratteristiche similari sul piano dell’utilizzo degli spazi tassabili (come, nel caso di specie, la vocazione turistica, ricettiva o ricreativa o la concessione in godimento temporaneo e/o turnario a terzi di superfici scoperte). Sicché, la previsione regolamentare in questione trova applicazione per categoria e non per analogia, ben potendo ricomprendere attività non espressamente classificate, ma comunque assimilabili a quelle tipizzate in relazione all’uso o alla destinazione degli spazi tassabili (in termini: Cass., Sez. 6^-5, 23 febbraio 2012, n. 2754; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092). Così, ad esempio, è stato osservato che la (eventuale) mancata occupazione (di fatto), anche se temporale, di tutto lo spazio acqueo in concessione da parte di natanti equivale, ai fini della TARSU, in tutto e per tutto, alla situazione data dalla mancata occupazione di stanze di albergo o di posti di campeggio da parte degli utenti delle relative strutture: la concreta utilizzazione, ad opera dei diportisti, solo di parte di tutto lo spazio acqueo in concessione, infatti, analogamente alle struttura alberghiera ed alle aree adibite a campeggio per i loro gestori, non esclude il permanere della detenzione in capo al concessionario comunque dell'intera superficie dell'area concessa (considerato il permanere dello ius escludendi omnes alios del concessionario gestore), con conseguente persistenza del presupposto legale sufficiente per affermare l'integrale debenza della tassa de qua da parte del concessionario stesso. (Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5^, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798). 5.5 In definitiva, si può ribadire che, in tema di TARSU, la nozione di «aree scoperte», utilizzata dall’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l'estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell'estensione; pertanto, è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell’ambito portuale, l’omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei (Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695). 6. Su tali premesse, la sentenza impugnata ha contravvenuto ai principi enunciati, avendo ritenuto, per un verso, che l’ente impositore non avesse alcuna competenza impositiva sulle aree portuali e, per altro verso, che gli specchi d’acqua, oltre a non rientrare nel territorio comunale, fossero compresi nelle aree inidonee per loro natura alla produzione di rifiuti. 7.Da ultimo, il terzo motivo è inammissibile per aver censurato un passaggio motivazionale della sentenza impugnata senza alcun valore di ratio decidendi, trattandosi di una considerazione meramente ultronea ed incidentale (se non anche metagiuridica) sull’«iniquità» dell’utilizzo del regime tariffario previsto per le aree terrestri. Difatti, è pacifico che, in sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione, essendo estranee alla ratio decidendi della medesima (in termini: Cass., Sez. Lav., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., Sez. 1^, 10 aprile 2018, n. 8755; Cass., Sez. 1^, 8 giugno 2022, n. 18429). 8. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del primo motivo, del secondo motivo, del quarto motivo, del quinto motivo e del sesto motivo, nonché l’inammissibilità del terzo motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con il conseguente rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Campania (ora, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a, della legge 31 agosto 2022, n. 130), anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, il secondo motivo, il quarto motivo, il quinto motivo ed il sesto motivo; dichiara l’inammissibilità del terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 aprile 2024. IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott. Giuseppe Lo Sardo Dott. Federico Sorrentino

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE riunita in camera di consiglio nella seguente composizione: Dott. SORRENTINO Federico - Presidente Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott.ssa BILLI Stefania - Consigliere Dott. LO SARDO Giuseppe - Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 33644/2018 R.G., proposto DA la "SI.VI. Srl", con sede in A (S), in persona dell'amministratore unico prò tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. De.Vi., con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento; RICORRENTE CONTRO l'Unione Comuni dell'Alto Cilento, con sede in T (S), in persona del Presidente prò tempore; INTIMATA avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania - sezione staccata di Salerno il 4 maggio 2018, n. 4217/05/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo; udito per la ricorrente l'Avv. De.Vi., che ha chiesto l'accoglimento; udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto. FATTI DI CAUSA 1. La "SI.VI. Srl" ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania - sezione staccata di Salerno il 4 maggio 2018, n. 4217/05/2017, la quale, in controversia avente ad oggetto l'impugnazione di avviso di accertamento per la TARSU relativa agli anni dal 2007 al 2012, per l'importo complessivo di Euro 104.319,00, con riferimento alla concessione demaniale di un pontile galleggiante per l'ormeggio e la manovra di imbarcazioni nello specchio d'acqua antistante la banchina del Porto turistico di A (S), ha accolto l'appello proposto in via principale dall'Unione dei Comuni dell'Alto Cilento ed ha rigettato l'appello proposto in via incidentale dalla medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno il 5 maggio 2015, n. 2146/12/2015, con compensazione delle spese giudiziali. 2. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure - che aveva accolto il ricorso originario - nel senso di confermare la validità dell'atto impositivo sul presupposto: a) che l'ente impositore poteva vantare pretese anche per la TARSU relativa ad annate antecedenti l'affidamento del servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti, che risaliva all'anno 2010; b) che anche gli specchi d'acqua erano soggetti a TARSU sin da epoca antecedente l'espressa previsione di tale categoria nel regolamento unionale, che risaliva all'anno 2012. 3. L'Unione dei Comuni dell'Alto Cilento è rimasta intimata. 4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è affidato a tre motivi. 1.1 Con il primo motivo (rubricato in ricorso con la lettera "A"), si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 68 e 69 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU relativa agli anni dal 2006 al 2009 poteva essere riscossa dall'Unione dei Comuni dell'Alto Cilento, alla quale il servizio di raccolta, smaltimento e tassazione dei rifiuti urbani era stato trasferito soltanto con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 9 giugno 2010, n. 26. 1.2 Con il secondo motivo (rubricato in ricorso con la lettera "B"), si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, 69, comma 1, e 71, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU sugli specchi d'acqua poteva essere riscossa anche in epoca anteriore alla previsione della categoria specifica nel regolamento unionale, in conseguenza della deliberazione adottata dal Consiglio Unionale il 3 marzo 2012, n. 2, dal momento che tali spazi erano compresi, dapprima, nella previsione legislativa della categoria generale delle "aree scoperte" (terrestri e acquatiche) di cui all'art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e, poi, nella previsione regolamentare della categoria specifica dei "pontili per ormeggio di imbarcazioni in concessione privata" di cui alla deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 7 febbraio 2009, n. 6. 1.3 Con il terzo motivo (rubricato in ricorso con la lettera "C"), si denuncia violazione degli artt. 59, comma 4, 60 e 68 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 21, comma 2, lett. g, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente presupposto dal giudice di secondo grado che gli specchi d'acqua - rientranti nelle aree portuali - erano ricompresi nel territorio comunale, ai fini della soggezione alla TARSU, senza tener conto che gli specchi d'acqua non costituivano aree idonee alla produzione di rifiuti urbani, là dove la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle imbarcazioni erano regolamentati dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, che costituiva una disciplina speciale alternativa a quella del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, anche al fine di evitare una doppia imposizione. 2. I suddetti motivi - la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta - sono infondati. 2.1 Secondo l'art. 32, commi 1, primo periodo, e 7, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267: "1. L'unione di Comuni è l'ente locale costituito da due o più Comuni, di norma contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi"; "7. Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati". 2.2 Alla luce di quest'ultima disposizione, che non pone discriminazioni tra gli introiti già maturati o ancora maturandi, postulando la successione nella totalità dei rapporti (amministrativi e fiscali) inerenti l'ambito dell'affidamento, il collegio ritiene che l'attribuzione del potere di imposizione e di riscossione per i tributi comunali non subisca limitazioni temporali (per il passato), in coerenza con la ratio legis di concentrare in capo all'Unione l'esercizio delle funzioni e dei servizi di cui i singoli Comuni si siano spogliati in modo definitivo ed integrale nella prospettiva di una migliore organizzazione e di una maggiore efficacia della gestione associativa. 2.3 Con particolare riguardo alla disciplina della gestione dei rifiuti urbani, è significativo in tal senso che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ("Norme in materia ambientale"), nel regolamentare l'organizzazione (art. 200) e l'affidamento (art. 202) del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, prevede che i soggetti che lo esercitano, anche in economia, continuano a gestirlo fino alla istituzione e all'organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani (art. 204, comma 1), lasciando implicitamente intendere che, dopo l'affidamento, l'ente concedente si spoglia di ogni potestà anche sulla manutenzione e la gestione dei rapporti pregressi (ivi compresi i rapporti tributari). 2.4 Pertanto, posto che il servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti urbani era stato affidato all'Unione dei Comuni dell'Alto Cilento con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 9 giugno 2010, n. 26, si può ritenere che il trasferimento delle relative competenze riguardasse anche l'accertamento, il controllo e l'esazione della TARSU per le annualità maturate in epoca anteriore. 2.5 Ne discende che la sentenza impugnata si è conformata a tale principio con la conclusione che: "Peraltro, la sussistenza, per le pregresse annualità, di tributi non evasi, per i quali il Comune interessato non era decaduto dalla relativa pretesa, non può essere equiparata ad un'automatica perdita, per soluzione di continuità, della relativa potestà impositiva: e ciò, in quanto, per un verso i rapporti tra Comuni ed Unione si strutturano nei termini di una successione a titolo particolare (che, come tale, lascia ferme le poste creditorie maturate, non riscosse e non prescritte) e, per altro verso, il trapasso di competenze non poteva che concernere il mero esercizio dei relativi poteri (nei concreti termini di riscossione dei tributi maturati). Opinare diversamente significherebbe creare un implausibile vuoto di competenze (di per sé contrario al canone di necessità, continuità ed indefettibilità dell'azione amministrativa: art. 97 Cost.), poiché il Comune risulterebbe impossibilitato a riscuotere i tributi già maturati (avendo trasferito le relative competenze) e l'Unione, per parte sua, non legittimata alla relativa attività impositiva (come, in effetti, hanno finito implausibilmente per ritenere i primi giudici)". 2.6 Per costante giurisprudenza di questa Corte, in linea di principio, l'attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell'ambito delle aree portuali rientra nelle competenze dell'Autorità portuale. Ne consegue che, in relazione a tale attività, deve escludersi la competenza dei Comuni e, quindi, il potere impositivo degli stessi ai fini della TARSU; né alcun rilievo può attribuirsi, ai fini della sussistenza dell'obbligazione tributaria, alla circostanza che l'ente territoriale abbia svolto di fatto il servizio, giacché il potere impositivo deve trovare la sua fonte necessariamente nella legge e non può pertanto rinvenirsi in ragione dello svolgimento di una mera attività di fatto da parte di soggetto a cui la legge stessa non assegna la relativa competenza funzionale (Cass., Sez. 5°, 25 settembre 2009, n. Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583; Cass., Sez. 6°-5, 19 giugno 2012, n. 10104; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251; Cass., Sez. 6°-5, 26 gennaio 2022, n. 2242). Difatti, nell'ambito dell'area portuale, intesa come spazio territoriale nel quale svolge i suoi compiti l'Autorità portuale, l'attività di gestione dei rifiuti appartiene alla competenza di quest'ultima, che non si limita al servizio di pulizia all'interno del porto, ma è tenuta, ai sensi dell'art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, dell'art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dell'art. 6, comma 1, lett. c, della legge 28 febbraio 1994, n. 84, ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne consegue che, in relazione a detta attività, deve escludersi la competenza dei Comuni, che sono pertanto privi di ogni potere impositivo ai fini della TARSU, non essendo detto potere configurabile in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583). 2.7 Come questa Corte ha già chiarito (in particolare: Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583), l'esame complessivo della disciplina normativa in materia conferma che il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani all'interno dell'area portuale, ove è pacificamente ubicata la superficie oggetto di tassazione, è sottratto alla competenza dei Comuni. In questo senso depongono le seguenti disposizioni: - l'art. 62, comma 5, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che dichiara "esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte per i quali non sussiste l'obbligo dell'ordinario conferimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale per effetto di norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati esteri"; - l'art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nel disciplinare le competenze dei Comuni in materia di rifiuti, dichiara che: "Sono fatte salve le disposizioni di cui all'art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e relativi decreti attuativi"; - l'art. 6, comma 1, lett. c, della Legge 28 febbraio 1994, n. 84, che istituisce le Autorità portuali nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia, con il compito, tra l'altro, di "affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'art. 16, individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione (...)"; - l'art. 1 del D.M. 14 novembre 1994, che precisa: "I servizi di interesse generale nei porti, di cui all'art. 6, comma 1, lettera c), della legge 28 gennaio 1994, n. 84, da fornire a titolo oneroso all'utenza portuale sono così identificati: (...) B) Servizi di pulizia e raccolta rifiuti. Pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica relativa agli spazi, ai locali e alle infrastrutture comuni e presso i soggetti terzi (concessionari, utenti, imprese portuali, navi). Derattizzazione, disinfestazione e simili. Gestione della rete fognaria. Pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali". 2.8 Dall'esame di tale quadro normativo emerge in modo univoco che l'attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell'ambito dell'area portuale - da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale - rientra nella competenza esclusiva di quest'ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che, invece, normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583). 2.9 Il dato normativo configura la competenza delle Autorità portuali in totale e completa alternativa ai Comuni. In questo senso appaiono particolarmente significative le già richiamate disposizioni di cui all'art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che espressamente esclude dalla tassa le situazioni sottratte al regime di privativa comunale, ed all'art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nell'indicare le competenze dei Comuni in materia, ribadisce che comunque sono mantenute le competenze in materia attribuite alle Autorità portuali. A ciò si aggiunga che le norme precisano che il servizio che i suddetti enti sono chiamati a svolgere consiste, come si esprime il decreto ministeriale di attuazione, nella "pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica" degli stessi, cioè in una vera e propria attività di gestione dei rifiuti, a fronte della quale non si vede quali residui compiti i Comuni potrebbero espletare. 2.10 Come si è detto, l'art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, ha istituito le Autorità portuali nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savoia, Taranto, Trieste e Venezia. Successivamente sono state istituite le Autorità portuali di Piombino (d.P.R. 20 marzo 1996), Gioia Tauro (d.P.R. 16 luglio 1998), Salerno (d.P.R. 23 giugno 2000), Olbia e Golfo degli Aranci (d.P.R. 29 dicembre 2000), Augusta (d.P.R. 12 aprile 2001), Trapani (d.P.R. 2 aprile 2003) e Manfredonia (art. 4, comma 65, della Legge 24 dicembre 2003 n. 350). Come è evidente, tale elenco non contempla il porto di A (S). Ne consegue che al momento dei fatti per cui si procede non era stata istituita l'Autorità portuale nel porto di A (S) e non si era, quindi, verificata la condizione che escluderebbe il potere impositivo del medesimo Comune. 2.11 Sulla base della delega conferita al Governo con la Legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"), tale organizzazione è stata rivoluzionata dal D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169 ("Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla Legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della Legge 7 agosto 2015, n. 124"), il quale ha istituito le Autorità di sistema portuale (art. 1 della Legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall'art. 1 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169). Si tratta di enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, che sono dotati di "autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria" (art. 6, comma 5, primo periodo, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall'art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169). Esse sono individuate in numero di quindici e preposte ad uno o più porti collocati all'interno della rispettiva circoscrizione territoriale (art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall'art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169). 2.12 La riorganizzazione dell'amministrazione portuale non ha, comunque, inciso sulle competenze spettanti in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, tenendo conto che l'art. 6, comma 4, lett. c, della Legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall'art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, continua ad annoverare, tra i compiti delle Autorità di sistema portuale, "affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'articolo 16, comma 1 (...)". 2.13 In relazione alla disciplina vigente ratione temporis prima del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, se l'istituzione dell'Autorità portuale si pone, dunque, come causa di esclusione dalla tassa sui rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata dall'art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ne segue, per converso, che nelle zone portuali prive di tale Autorità riemerga la competenza e la privativa comunale in ordine all'istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana; e, correlativamente, trovi spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la tariffa, in base alle disposizioni ordinarie (da ultime: Cass., Sez. 5°, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695; Cass., Sez. 5°, 13 aprile 2023, n. 9887; Cass., Sez. 5°, 2 agosto 2023, nn. 23555, 23575 e 23584; Cass., Sez. 5°, 19 gennaio 2024, nn. 2055 e 2058). In tal senso, del resto, questa Corte si era già espressa in una serie di arresti, che avevano riconosciuto al Comune la legittimazione a chiedere la riscossione della TARSU, a fronte dell'esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in un'area portuale, in ragione della mancata istituzione dell'Autorità portuale (in termini: Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251). Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, la TARSU è una tassa, ossia un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad una utilità che egli trae dallo svolgimento di una attività svolta da un ente pubblico. Come tale, il potere di imposizione non può connettersi ad un soggetto diverso da quello che espleta il servizio, in ottemperanza ad un espresso disposto legislativo. Ne consegue che avendo il Comune svolto il servizio di pulizia e raccolta dei rifiuti solidi urbani e assimilati anche nell'ambito portuale, in ragione della mancata istituzione della Autorità portuale, è autorizzato a chiedere il pagamento della TARSU ai contribuenti concessionari di aree demaniali destinate all'ormeggio di imbarcazioni (in termini: Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251). 2.14 Diversa è, invece, la competenza dell'Autorità portuale (ora, dell'Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell'Autorità marittima in materia di operazioni portuali e servizi portuali ovvero di concessioni di aree demaniali e banchine nell'ambito portuale, trattandosi di attività amministrative relative alla gestione ed all'utilizzo degli spazi portuali che non comportano alcuna attribuzione in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, pertanto, non involgono la conseguenziale spettanza di una potestà impositiva. Sotto il primo aspetto, l'art. 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora, alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite, alle Autorità marittime la disciplina e la vigilanza - attraverso il rilascio di apposite autorizzazioni ad imprese munite di specifici requisiti, iscritte in registri speciali, obbligate al pagamento di un canone annuale ed alla pubblicazione delle tariffe praticate alla clientela) sull'espletamento delle operazioni portuali (carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale) e dei servizi portuali (servizi riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali, individuati dalle autorità portuali, o, laddove non istituite, dalle autorità marittime, attraverso una specifica regolamentazione da emanare in conformità dei criteri vincolanti fissati con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione), nonché sull'applicazione delle tariffe indicate dalle imprese autorizzate per la prestazione alla clientela delle operazioni portuali e dei servizi portuali, riferendo periodicamente al Ministro dei trasporti e della navigazione. Sotto il secondo aspetto, l'art. 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite ovvero non ancora insediate, alle Autorità marittime le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) di aree demaniali e banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese autorizzate all'espletamento delle operazioni portuali (fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali), nonché le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) per la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch'essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Per cui, non si ravvisa alcuna competenza dell'Autorità marittima, in caso di mancata istituzione dell'Autorità portuale (ora, dell'Autorità di sistema portuale), in materia di tassazione dei rifiuti urbani prodotti nell'ambito portuale, che resta riservata in regime di privativa al Comune interessato. 2.15 Viceversa, rientra nella competenza dell'Autorità portuale (ora, dell'Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell'Autorità marittima il diverso servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali, il quale è estraneo all'ambito del presente giudizio e per il quale, comunque, il Comune non ha alcuna potestà impositiva a norma degli artt. 8 e 10 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (in attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea del 27 novembre 2000 in materia di impianti portuali di raccolta per i rifiuti delle navi e residui del carico) (Cass., Sez. 6°-5, 26 gennaio 2022, n. 2242). Peraltro, secondo l'art. 208, comma 14, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il controllo e l'autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla Legge 28 gennaio 1994, n. 84, e di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, di attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. 2.16 Anche questa disciplina è stata rivisitata con il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 182 ("Recepimento della direttiva (UE) 2019/883, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE"), che ha espressamente abrogato il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (art. 19, comma 1), stabilendo che: "I costi degli impianti portuali per la raccolta e il trattamento dei rifiuti delle navi, diversi dai residui del carico, sono recuperati mediante la riscossione di tariffe a carico delle navi che approdano nel porto" (art. 8, comma 1). Tali tariffe sono determinate dall'"Autorità competente" (vale a dire, secondo l'art. 2, comma 1, lett. l, "l'Autorità di Sistema Portuale, ove istituita, o l'Autorità marittima di cui all'articolo 2, commi 2 e 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 84") in base a criteri prestabiliti (art. 8, commi 2 - 5). 2.17 Per cui, si può ribadire che, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, nell'ambito delle aree portuali per le quali non sia stata istituita l'Autorità portuale ai sensi dell'art. 6, commi 1 e 8, della Legge 28 gennaio 1994, n. 84, l'attività di gestione dei rifiuti ivi prodotti rientra nella competenza (secondo l'ordinario regime di privativa) dei Comuni, ai quali, pertanto, è riservato il potere impositivo ai fini del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi di cui all'art. 14, comma 3, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Pertanto, nessuna competenza al riguardo (neppure in via suppletiva) si può riconoscere all'Autorità marittima, alla quale è riservato soltanto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali a norma degli artt. 8 e 10 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182. 2.18 Ciò posto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di TARSU, la nozione di "aree scoperte", utilizzata dall'art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l'estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell'estensione (tra le tante: Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 5°, 30 giugno 2021, n. 18384; Cass., Sez. 5°, 29 novembre 2023, nn. 33326 e 33329; Cass., Sez. 5°, 5 dicembre 2023, n. 34021). 2.19 Ne discende che è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell'ambito portuale, l'omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei. 2.20 Peraltro, l'equiparazione degli spazi terrestri agli spazi acquei è stata condivisa dalla giurisprudenza euro-unitaria (Corte Giust., 3 marzo 2005, causa n. C-428/02, Fonden Marselisborg Lystbàdehavn vs. Skatteministeriet et alii), la quale, sia pure in relazione all'IVA, ha testualmente sancito che: "L'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE, deve essere interpretato nel senso che la nozione di locazione di beni immobili comprende la locazione di posti previsti per l'ormeggio di imbarcazioni, nonché di posti barca a terra per il rimessaggio di tali imbarcazioni nell'area portuale". Tanto sul presupposto che: "La locazione di posti barca non si limita, infatti, al solo diritto di occupare, in via esclusiva, la superficie dell'acqua, ma implica anche la messa a disposizione di varie attrezzature portuali, segnatamente per l'ormeggio dell'imbarcazione, delle strutture per lo sbarco e l'imbarco dell'equipaggio, nonché l'eventuale utilizzo da parte di quest'ultimo di vari servizi igienici o di altri servizi". Inoltre, tale pronuncia è in linea con i criteri impositivi della TARSU, in quanto il presupposto per la sua applicazione è l'occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Aggiungasi che altra decisione - sia pure con riguardo, sempre ai fini dell'IVA, alla riconducibilità della locazione di una casa galleggiante nella nozione generale di "affitto e locazione di immobili" - ha ritenuto che il pontile e l'area per l'ormeggio delle imbarcazioni, attigue alla casa galleggiante, rientrassero nella categoria dei beni immobili ed integrassero una operazione unitaria ai fini dell'esenzione dall'IVA (Corte Giust., 15 novembre 2012, causa n. C-532/11, Susanne Leichenich vs. Ansbert Peffekoven et alii). Né tale indirizzo può dirsi scalfito da una pronuncia più recente, che ha escluso l'applicabilità dell'aliquota ridotta dell'IVA per l'affitto di posti per campeggio e di posti per roulotte alla locazione di spazi per l'ormeggio di imbarcazioni, essendo stata motivata l'eterogeneità delle fattispecie non in relazione alla diversa natura, bensì in relazione alla diversa funzione dei beni interessati, dal momento che "(...) la concessione della facoltà di applicare un'aliquota IVA ridotta alle prestazioni di locazione di spazi di ormeggio per imbarcazioni non sarebbe manifestamente giustificata alla luce di un simile scopo di natura sociale, dal momento che le imbarcazioni a vela o a motore, come quelle di cui trattasi nella causa principale, non svolgono la funzione, o almeno non principalmente, di alloggio" (Corte Giust., 19 dicembre 2019, causa n. C-715/18, Segler-Vereinigung Cuxhaven eV. vs Finanzamt Cuxhaven). 2.21 Nello stesso senso, pronunziandosi in sede di impugnazione di un regolamento comunale in materia di IUC, anche il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. 1°, 4 novembre 2019, n. 2754) ha riconosciuto che: "(...) banchine, pontili galleggianti e ormeggi possono essere soggetti alla TARSU-TARI-TARES poiché, (...) secondo l'orientamento dei giudici di legittimità, vanno considerate aree scoperte tutte le estensioni spaziali utilizzate da una comunità umana, a prescindere dal supporto solido o liquido di cui la superficie è composta e del mezzo terrestre o navale di cui ci si avvale per effettuare l'occupazione. E le banchine e i pontili sono aree scoperte operative e non pertinenziali". Ne discende che: "Sono, pertanto, tassabili in linea di principio sia le superfici liquide (i mezzi natanti che sostano su queste aree producono rifiuti che una volta riversati sulla terraferma, al momento della sosta nel porto, devono essere smaltiti dai Comuni) sia le superfici solide (banchine e pontili galleggianti in quanto aree scoperte idonee a produrre rifiuti)". 2.22 Peraltro, a mera conferma della onnicomprensività della nozione di "aree scoperte", questa Corte si è specificamente soffermata anche sulla questione dell'equiparazione tariffaria delle aree destinate ad ormeggi ai campeggi. Ora, l'art. 68, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, demanda l'applicazione della TARSU ai regolamenti comunali, i quali devono prevedere, tra l'altro: "a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria". Ciò posto, l'art. 68, comma 2, lett. b, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, prevede anche che: "L'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: (...) b) complessi commerciali all'ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati". Premesso che il soggetto che occupa o detiene un'area scoperta, quando produttrice, per presunzione di legge, di rifiuti solidi urbani, è tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente dalla individuazione dell'effettivo produttore del rifiuto, alla luce di tale previsione, questa Corte ha ritenuto - in relazione agli spazi destinati ad ormeggi - che la stipulazione del contratto di ormeggio con il diportista (in ipotesi equiparabile ad un contratto di locazione) non è circostanza idonea a sottrarre al "concedente" la detenzione dell'area concessa in uso alla controparte ed a trasferire, quindi, in capo a quest'ultima, l'obbligo tributario perché quel contratto, per sua natura, si risolve sempre e solo nell'attribuzione al diportista del diritto di utilizzare lo spazio ed i servizi connessi e non sottrae in alcun modo quello stesso spazio alla detenzione del concedente, al pari di quanto avviene nella gestione di campeggi o di attività ricettive (Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 22 giugno 2021, n. 17702). Né rileva che si tratti di aree in proprietà demaniale. Difatti, è pacifico che, in tema di TARSU, nell'ipotesi di concessione di area in proprietà demaniale, si presume che il soggetto tenuto al pagamento del tributo sia il concessionario, in quanto detentore, in virtù del titolo concessorio, di un'area scoperta sulla quale, ai sensi dell'art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, si producono rifiuti solidi urbani, e detto obbligo non si trasferisce su coloro i quali, anche tramite contratti conclusi con il concessionario, abbiano concretamente prodotto detti rifiuti, avendo in tutto o in parte l'effettiva disponibilità dell'area, salvo che il contribuente indichi nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità della stessa, in ragione della detenzione da parte di terzi, ed assolva in giudizio al relativo onere probatorio a proprio carico (tra le tante: Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 22 giugno 2021, n. 17702; Cass., Sez. 5°, 15 marzo 2022, n. 8296). Per cui, senza escludere le differenze incidenti sulla concreta produttività di rifiuti urbani, la riconduzione delle aree adibite ad ormeggi nella categoria tariffaria dei campeggi è coerente con la classificazione legislativa e regolamentare delle attività professionali e commerciali per genera comprendenti una varietà di species eterogenee accomunate da caratteristiche similari sul piano dell'utilizzo degli spazi tassabili (come, nel caso di specie, la vocazione turistica, ricettiva o ricreativa o la concessione in godimento temporaneo e/o turnario a terzi di superfici scoperte). Sicché, la previsione regolamentare in questione trova applicazione per categoria e non per analogia, ben potendo ricomprendere attività non espressamente classificate, ma comunque assimilabili a quelle tipizzate in relazione all'uso o alla destinazione degli spazi tassabili (in termini: Cass., Sez. 6°-5, 23 febbraio 2012, n. 2754; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092). Così, ad esempio, è stato osservato che la (eventuale) mancata occupazione (di fatto), anche se temporale, di tutto lo spazio acqueo in concessione da parte di natanti equivale, ai fini della TARSU, in tutto e per tutto, alla situazione data dalla mancata occupazione di stanze di albergo o di posti di campeggio da parte degli utenti delle relative strutture: la concreta utilizzazione, ad opera dei diportisti, solo di parte di tutto lo spazio acqueo in concessione, infatti, analogamente alle struttura alberghiera ed alle aree adibite a campeggio per i loro gestori, non esclude il permanere della detenzione in capo al concessionario comunque dell'intera superficie dell'area concessa (considerato il permanere dello ius escludendi omnes alios del concessionario gestore), con conseguente persistenza del presupposto legale sufficiente per affermare l'integrale debenza della tassa de qua da parte del concessionario stesso. (Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798). 2.23 In definitiva, si può ribadire che, in tema di TARSU, la nozione di "aree scoperte", utilizzata dall'art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l'estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell'estensione; pertanto, è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell'ambito portuale, l'omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei (Cass., Sez. 5°, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695). 3. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato. 4. Nulla deve essere disposto in ordine alla regolamentazione delle spese giudiziali, giacché la parte vittoriosa è rimasta intimata. 5. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: GIUSEPPE FUOCHI TINARELLIPresidente FILIPPO D'AQUINOConsigliere ROBERTO SUCCIOConsigliere ANDREA ANTONIO SALEMMEConsigliere-Rel. SALVATORE LEUZZIConsigliere Oggetto: *TRIBUTI DOGANALI Ud.19/01/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 32573/2018 R.G. proposto da: SCHENKER ITALIANA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FERDINANDO GALIANI, 68, presso lo studio dell’avvocato INCORONATO MICHELE (NCRMHL78H26E716K) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 1467/2018 depositata il 04/04/2018. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19/01/2024 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME. FATTI DI CAUSA 1. Funzionari dell’Agenzia delle Dogane effettuavano un controllo su base documentale, ai fini del reg. CE n. 91 del 2009, istitutivo di un dazio antidumping per determinati elementi di fissaggio in ferro od acciaio di provenienza cinese, delle importazioni compiute da LD FASTENERS S.R.L., società che svolge attività di commercio all'ingrosso di articoli di ferramenta e di utensileria, nel periodo da novembre 2010 a maggio 2013, con riferimento alla merce dichiarata al capitolo 7318 “viti, bulloni, dadi [ecc.]”. A seguito del confronto tra gli articoli riportati nelle fatture e le dichiarazioni contenute nelle corrispondenti bollette doganali, detti funzionari, con pvc del 10 dicembre 2013, rilevavano come Fasteners non avesse correttamente classificato alcune merci, da ricondursi invece al codice taric 73181551 98, per le quali si rendeva applicabile il dazio antidumping. Seguiva l’emissione di avviso di rettifica dell’accertamento e di contestuale atto di irrogazione delle sanzioni, notificati, il 5 marzo 2014, anche a SCHENKER ITALIANA S.P.A., che aveva agito in dogana quale rappresentante indiretto di Fasteners. 2. Entrambi gli atti venivano impugnati e la CTP di Milano, con sentenza 8382/2015, accoglieva il ricorso. In particolare, la CTP rilevava (cfr. la sentenza in epigrafe) che la “classificazione ‘può essere fatta correttamente solo a seguito di una analisi delle caratteristiche meccaniche e funzionali che non risulta […] che sia stata effettivamente eseguita dall'Ufficio medesimo’. In atti viene depositata da parte ricorrente una circostanziata perizia giurata dalla quale è possibile rilevare che i beni in questione ‘sono formati da parti indivisibili, destinati all'unione di elementi, non più divisibili, in parti disaccoppiate che costituiscono quindi un elemento unico ed indivisibile’. In buona sostanza trattasi di prigionieri, o fasteners, destinati al fissaggio irreversibile di un supporto metallico […]. Tali elementi, quindi, ‘sono sostanzialmente diversi dagli altri elementi di fissaggio che permettono di unire tra loro uno o più pezzi in modo che sia possibile smontarli senza danneggiamento’. Pertanto i beni oggetto di contestazione non rientrano tra i beni indicati nel regolamento CEE n. 91/2009 […]”. 3. L’Ufficio proponeva appello, nel quale (cfr. sentenza in epigrafe) - rappresentava che “la riclassificazione dipende unicamente dal fatto che alcuni articoli, in base alle caratteristiche tecniche descritte in fattura (e riscontrate nel catalogo dei prodotti in possesso della società) [,] risultavano essere stati classificati approssimativamente[, poiché] la società [aveva] fatto confluire prodotti aventi caratteristiche diverse tra di loro in [un’]unica voce doganale avente portata generale o residuale”; - contestava la “perizia di parte secondo la quale per tutte le tipologie importate vi è l'evidente impossibilità di disarticolare i componenti in esame e ciò giustifica da sola l'impossibilità di assimilarli a viti dal punto di vista meccanico”; - eccepiva che “la circostanza che gli articoli importati fossero elementi ‘prigionieri’” “non rileva[va] ai fini dell'esclusione della categoria adottata dall'Ufficio cod. tari[c] 73181551 98 dal momento che la nomenclatura individuata dai verificatori aderiva meglio alle caratteristiche dei pezzi descritti nelle fatture di acquisto”. 3.1. L’appello veniva accolto dalla CTR della Lombardia con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente letterale motivazione: Il riscontro effettuato dai funzionari doganali è tra la documentazione prodotta dall'importatore cinese e la dichiarazione doganale di importazione definitiva. Sicché questo è un punto fermo della classificazione sui beni perché indicato dallo stesso produttore che conosce molto bene ciò che ha prodotto e anche conosce molto bene il mercato in cui opera nonché la nomenclatura adottata in tale ambiente[,] sicché quanto precede non può essere scalfito da una perizia che valuta il bene per l'uso e non per la sua idoneità a soddisfare i bisogni degli articoli di cui al codice tari[c] 73181551 98, né tanto meno la precisazione vale [“recte”, vale la preciazione] che i vari componenti siano “prigionieri” di un altro manufatto che è diverso da quello classificato dalla Dogana. I primi giudici non hanno valutato quanto l'esportatore estero ha indicato in fattura e così quanto risultava dagli altri documenti per andarsi a rifugiar[e] in una perizia di parte che non ha indicato i motivi dell'errore in cui erano incorsi gli operatori. La Corte di giustizia ha ribadito che una ITV (Informazione Tariffaria Vincolante) pur non avendo carattere vincolante per i terzi costituisc[e] nei casi di merci simili/identiche elemento di prova a supporto delle ragioni che hanno condotto ad una determinata classificazione doganale. Ebbene l'Agenzia centrale aveva emesso in riferimento al cod. tari[c] 73181551 98 una ITV che [“recte”, secondo cui] una vite autoagganciante può essere classificata secondo il predetto codice (altre viti e bulloni, ecc.)[;] quindi la classificazione effettuata dalla Dogana è legittima e sono dovute [le pretese]. L'accoglimento dell'appello con l'effetto di confermare l'avviso di accertamento […] comporta anche la conferma dell'atto di constatazione […]. 4. Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi, cui resiste l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso. La contribuente deposita memoria telematica in data 9 gennaio 2024. 4.1. A seguito di ordinanza interlocutoria assunta all’udienza camerale del 25 maggio 2023, volta a consentire la trattazione congiunta con i fascicoli rubricati ai nn. 28054 del 2018 e 28819 del 2018 R.G., la causa è chiamata all’odierna pubblica udienza. 4.2. Il Sost. Proc. Gen. presso questa Suprema Corte, in persona del Dott. Mauro Vitiello, conclude per il rigetto del ricorso. Le parti si riportano ai rispettivi atti, che brevemente illustrano, richiamando le corrispondenti conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo si denuncia: “Illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 c.p.c. [e] degli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.”. 1.1. La sentenza impugnata è affetta da motivazione apparente e perplessa, poiché l'impianto motivazionale è inidoneo a dar conto del percorso logico-giuridico seguito nel decidere e delle ragioni per le quali la CTR ha ritenuto di dover disattendere quanto accertato nell'ambito del giudizio introduttivo. I giudici di seconda cura dapprima sembrano affermare un concetto (inesistente nella legge e nella prassi) secondo il quale il dato letterale-formale della nomenclatura prevale sulle caratteristiche tecniche del bene importato, dappoi, contraddittoriamente, cercano di sindacare l'attendibilità della perizia di parte (valutando così il merito di tali caratteristiche) che, invece, indica dettagliatamente gli errori in cui l'Ufficio è incorso, attribuendo quel determinato codice al bene, in luogo di quello che più correttamente la società importatrice ha indicato. Le affermazioni della CTR sono inoltre apodittiche. 1.2. Il motivo è manifestamente infondato e, pertanto, merita di essere disatteso. La sentenza impugnata esprime una motivazione effettiva, non solo dal punto da vista grafico, ma soprattutto dal punto di vista contenutistico, con conseguente esclusione della ricorrenza di un’ipotesi di motivazione inesistente perché solo apparente. La riprova si ha in ciò che la contribuente, sia con il motivo in disamina che, “funditus”, con il secondo, ha agio nel confrontarsi con i contenuti motivazionali espressi dalla CTR, formulando addirittura rilievi di incoerenza tra una prima parte, asseritamente volta ad indicare la prevalenza del dato letterale-formale sulle caratteristiche tecniche, ed una seconda parte, volta a squalificare gli esiti di un accertamento tecnico di parte. 2. Con il secondo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione del regolamento n. 91/2009 e del regolamento di esecuzione (UE) n. 2/2012, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”. 2.1. Anzitutto, rileva che la Commissione UE, con regolamento del 26 febbraio 2016, n. 278, ha disposto l'abrogazione del regolamento n. 91 del 2009. Fermo quanto precede, la CTR, da un lato, sostiene l'impossibilità di indicare la classificazione doganale in base alla normativa tecnica del bene importato rispetto ad una presunta prevalenza delle caratteristiche letterali e formali della tariffa doganale, dall'altro, tuttavia, subito dopo, in maniera contraddittoria, ritiene la presunta inattendibilità delle risultanze peritali di parte, volte ad evidenziare l'irreversibilità del fissaggio sotto pena del definitivo danneggiamento dei beni, tra l’altro in conformità ad alcune ITV delle autorità doganali francesi ed alla classificazione ritenuta in occasione di altre importazioni. 2.2. Preliminarmente, deve ritenersi che il motivo non sia inammissibile, in quanto, lungi dal risolversi – come invece eccepito in controricorso – nella mera richiesta di una più favorevole – per la contribuente – revisione del giudizio di merito compiuto dalla CTR, denuncia, con essenziali ma puntuali riferimenti agli atti del giudizio, l’errore di diritto in tesi compiuto dalla CTR, “sub specie”, in definitiva, di una mancata effettiva riclassificazione, con conseguente pertinente deduzione della violazione della disciplina unionale, che impone al giudice di merito di assicurare l’osservanza della nomenclatura combinata nell’operazione di sussunzione del singolo prodotto nel codice corrispondente. 2.3. Il motivo è fondato. 2.3.1. In primo luogo, quanto all’abrogazione del regolamento n. 91/2009, giusta quanto rammentato, in motivazione, da Sez. 5, n. 12927 del 20/04/2023, d[eve] richiamar[si] la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «l'abrogazione delle misure "antidumping" sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese ad opera del reg. (UE) n. 278 del 2016, non ha effetto retroattivo prevedendo espressamente l'art. 2 del regolamento citato che detta abrogazione ha effetto a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato regolamento, e non consente il rimborso dei dazi riscossi prima di tale data, con la conseguenza che non può trovare applicazione il principio del "favor rei"» (Cass., 10 novembre 2020, n. 25096); la Corte, peraltro, nell'affermare tale principio, ha anche precisato che la irretroattività dell'abrogazione del dazio antidumping per espressa previsione contenuta nell'art. 2 del regolamento citato era stata già affermato da questa Corte, con la sentenza n. 28668 del 7 novembre 2019, che aveva ripreso le statuizioni della sentenza, resa a Sezioni Unite, n. 1542 del 21 gennaio 2019, cui andava prestata piena adesione (Cass., 10 novembre 2020, n. 25096, in motivazione). 2.3.2. Passando “funditus” alla trattazione del motivo, la CTR muove dal presupposto, enunciato perentoriamente in apertura di motivazione, a termini del quale il “riscontro” dei “funzionari doganali” poggia sull’obiettiva differenza “tra la documentazione prodotta dall'importatore cinese e la dichiarazione doganale di importazione definitiva”. Ed è nel contesto di tale differenza che la medesima – senza mai occuparsi, per l’intero sviluppo della motivazione, delle effettive caratteristiche tecniche dei beni oggetto di importazione, siccome, a suo avviso, semplicemente “molto bene conosciute” dal “produttore”, il quale, conoscendo parimenti “molto bene” anche “il mercato in cui opera”, avrebbe espresso per ciò solo una classificazione degna di particolare considerazione – svaluta “a priori” il giudizio sull’accertamento tecnico di parte: accertamento ritenuto – tuttavia del tutto genericamente – inidoneo ad indicare “i motivi dell'errore in cui erano incorsi gli operatori”, in quanto “valut[erebbe] il bene per l'uso e non per la sua idoneità a soddisfare i bisogni degli articoli di cui al codice tari[c]”. In buona sostanza, la CTR – che ha altresì compiuto un riferimento solo astratto al valore di una ITV dell’“Agenzia centrale”, senza considerarne le successive vicende e senza raffrontarla con ulteriori ITV, di diverso segno, evocate dalla contribuente – ha totalmente pretermesso di svolgere il suo compito di giudice di merito. Più nel dettaglio, limitandosi semplicemente a prendere atto delle indicazioni delle “fatture” dell’“esportatore estero”, assunte di per se stesse come concludente (ancorché solo documentale) base di giudizio, ha mancato di rinnovare, come invece avrebbe dovuto, la procedura in sé di classificazione dei prodotti importati, tenendo all’uopo prioritariamente conto proprio delle concrete, specifiche ed obiettive caratteristiche, segnatamente tecniche, dei medesimi, che li qualificano in quanto tali ed altresì in funzione dell’uso normale cui sono destinati. Invero, come da ultimo chiarito, in motivazione, da Sez. 5, n. 9663 del 12/04/2023, Rv. 667712-01, la Corte di Giustizia ha chiarito che, per garantire la certezza del diritto e per facilitare i controlli, il criterio determinante per la classificazione tariffaria delle merci deve essere ricercato, in generale, nelle caratteristiche e proprietà oggettive delle stesse, quali definite nel testo delle voci della NC e delle note premesse alle sezioni o ai capitoli di quest'ultima (Corte di Giustizia, sentenza del 26 maggio 2016, Invamed Group e a., in causa C-198/15, punto 18 e giurisprudenza ivi citata; Id. in causa C-635/21 Domanda di pronuncia pregiudiziale Finanzgericht Bremen, 18 agosto 2021, LB GmbH Resistente contro Hauptzollamt; Id. sentenza del 7 febbraio 2002, Turbon International, in causa C-276/00, punto 21; Id. sentenza del 4 marzo 2004, Krings, C-130/02, punto 28; id. sentenza del 19 luglio 2012, Rohm & Haas Electronic Materials CMP Europe, in causa C-336/11, punto 31), oltreché nelle note esplicative elaborate dalla Commissione europea, quando conformi alle disposizioni della NC e non modificative della relativa portata, le quali forniscono un rilevante contributo all'interpretazione della portata delle singole voci tariffarie, senza tuttavia essere giuridicamente vincolanti (Corte di Giustizia, sentenza del 26 maggio 2016, Invamed Group e a., in causa C-198/15, punto 19; Id sentenza del 12 luglio 2018, in causa C-397-398/17, Profit Europe contro Belgische Staat, punto 26). Inoltre, se è vero che la classificazione può effettuarsi esclusivamente sulla base delle caratteristiche e delle proprietà oggettive del prodotto di cui trattasi, tuttavia la destinazione di tale prodotto può costituire un criterio oggettivo di classificazione purché essa sia inerente al prodotto stesso, restando inteso che è sufficiente prendere in considerazione la destinazione essenziale del prodotto e che l'inerenza deve potersi valutare in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive di quest'ultimo (CGUE 27/2/2020, in causa C-670/19, Gardinia Home Decor Gmbh contro Hauptzollamt Ulm, punto 37). Alla stregua di tali principi, questa Corte ha dunque chiarito che criterio discretivo ai fini della classificazione doganale delle merci è dato oltreché dalle caratteristiche e proprietà oggettive, anche dalla destinazione del prodotto, valutabile in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive dello stesso (in tal senso, Cass., Sez. 5, 11/2/2020, n. 3242). In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, affinché il giudice di merito proceda a nuovo esame, tenendo conto di tutti gli elementi valutativi offerti dalle parti alla sua cognizione. All’esito, dovrà egli altresì procedere alla regolazione tra le parti delle spese, comprese quelle del presente grado di giudizio. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Per l’effetto, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, per nuovo esame e per le spese. Così deciso a Roma, lì 19 gennaio 2024. Il Cons. Est. Andrea Antonio Salemme Il Presidente Giuseppe Fuochi Tinarelli

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