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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 5234 del 2022, proposto da Fu. Li. In. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ed. de Ru. e Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 02928/2022, resa tra le parti   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il Cons. Alberto Urso e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO La Fu. Li. In. s.r.l. impugnava in primo grado la delibera del Consiglio comunale di (Omissis) (CE) n. 35/2021 recante il Regolamento comunale sulla Tari, la delibera del Consiglio comunale n. 48/2021 di modifica del suddetto Regolamento e la delibera n. 37/2021 di approvazione della tariffa Tari per l’anno 2021, insieme con le presupposte delibere di Giunta comunale e delle altre delibere consiliari e atti correlati. Si doleva, in sintesi, dell’illegittimità della disciplina sulla Tari introdotta dai suddetti atti, tale da assoggettare a prelievo anche capannoni e magazzini industriali, nonché aree di superfici industriali, tutte produttive di rifiuti speciali e perciò sottratte ex lege al prelievo Tari. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza del Comune di (Omissis), respingeva il ricorso ritenendo, per quanto di rilievo, che il Regolamento impugnato esonerasse dal prelievo Tari, in conformità alle previsioni di legge, le parti dei locali industriali produttive di rifiuti speciali appositamente trattati dal produttore, previa relativa attestazione, e assoggettasse al suddetto prelievo le sole parti delle superfici industriali in cui fossero prodotti rifiuti urbani, non anche speciali. Avverso la sentenza ha proposto appello la Fu. Li. In. deducendo: I) error in iudicando: art. 1 d.lgs. n. 116 del 2020, in relazione agli artt. 183, 184, 195, 198 d.lgs. n. 152 del 2006 e alle circolari del Ministero della Transizione ecologica n. 37529/2021 e 51657/2021; II) error in iudicando: art. 1 d.lgs. n. 116 del 2020, in relazione agli artt. 183, 184, 195, 198 d.lgs. n. 152 del 2006 e alle circolari del Ministero della Transizione ecologica n. 37529/2021 e 51657/2021 sotto altro profilo; III) error in iudicando: art. 1 d.lgs. n. 116 del 2020, in relazione agli artt. 183, 184, 195, 198 d.lgs. n. 152 del 2006 e alle circolari del Ministero della Transizione ecologica n. 37529/2021 e 51657/2021 sotto ulteriore profilo; IV) error in iudicando: art. 1 d.lgs. n. 116 del 2020, in relazione agli artt. 183, 184, 195, 198 d.lgs. n. 152 del 2006 e alle circolari del Ministero della Transizione ecologica n. 37529/2021 e 51657/2021 sotto altro ulteriore profilo. Resiste al gravame il Comune di (Omissis), chiedendone la reiezione. All’udienza pubblica del 15 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Vanno esaminate in limine le eccezioni preliminari sollevate dall’amministrazione. 1.1. Deduce il Comune l’inammissibilità del ricorso di primo grado in considerazione del fatto che l’interesse della ricorrente era collegato nella specie all’emissione dell’avviso di pagamento per l’anno d’imposta 2021 non impugnato davanti al giudice tributario; né varrebbe, in senso contrario, la produzione in giudizio del corrispondente ricorso al giudice tributario, in quanto avvenuta tardivamente oltre i termini di cui all’art. 73 Cod. proc. amm. 1.1.1. L’eccezione non è condivisibile, atteso che lo stesso Comune dà conto che l’atto applicativo adottato in danno della Fu. Line è stato impugnato, e poiché ciò impinge su profili di ammissibilità del ricorso (a seguito di corrispondente eccezione sollevata dal Comune in primo grado) la relativa produzione documentale era ben ammissibile da parte della ricorrente, né il Comune si duole di profili di difetto di contraddittorio o difesa al riguardo, e cioè di possibili repliche o produzioni documentali contrarie che avrebbe potuto effettuare in caso di tempestività del deposito. Quanto invece ai profili di dedotta carenza d’interesse al ricorso per non lesività del Regolamento in ragione dei suoi contenuti (dedotti come) non pregiudizievoli per la posizione dell’appellante, pure eccepita dal Comune, essi, per come correlati appunto ai contenuti del Regolamento, afferiscono più propriamente al merito dell’impugnativa, e possono essere dunque considerati nella corrispondente sede. 1.2. Può prescindersi invece dall’eccezione d’inammissibilità per novità della sentenza della Commissione tributaria provinciale prodotta dall’appellante, stante l’irrilevanza del documento ai fini del decidere, ciò che parimenti vale per i documenti prodotti dalla stessa appellante il 15 maggio 2023, anch’essi non rilevanti per la decisione. Col primo motivo di gravame l’appellante si duole dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel respingere il ricorso omettendo di considerare che il Regolamento impugnato include illegittimamente, tra le superfici soggette a Tari, quelle delle “attività industriali con capannoni di produzione”, in violazione delle previsioni di cui all’art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006 e relativo allegato L-quinquies), che non ricomprendono le attività industriali fra quelle idonee alla generazione di rifiuti urbani, i cui locali, soli, sono soggetti all’applicazione della Tari. Di qui l’illegittimità dell’impugnato Regolamento per difetto del presupposto e violazione di legge nella parte in cui assoggetta a prelievo Tari anche i locali e le aree industriali ove viene svolta l’attività lavorativa in senso stretto. Né rileverebbero, in senso contrario, le previsioni che escludono l’applicazione della Tari subordinatamente alla dimostrazione dell’avvenuto trattamento da parte del contribuente dei rifiuti speciali, atteso che la legge esclude ex se dal prelievo Tari le superfici industriali destinate alla lavorazione, quali capannoni di produzione e magazzini. Il che troverebbe conferma peraltro nella circolare n. 37259 del 12 aprile 2021 del Ministero della Transizione ecologica, che chiarisce fra l’altro l’esclusione dai prelievi sui rifiuti delle superfici dove avviene la lavorazione industriale, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile. In tale contesto l’appellante dà conto anche di aver presentato al Comune adeguata documentazione attestante lo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali, e nondimeno di essere stata indiscriminatamente assoggettata a prelievo Tari, proprio alla luce delle (illegittime) previsioni del Regolamento impugnato. 2.1. Col secondo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui afferma la legittimità del Regolamento a fronte della ritenuta esclusione della tassazione delle aree produttive di rifiuti speciali previa esibizione di idonea documentazione del contribuente volta a dimostrare la produzione e il relativo smaltimento a norma di legge. Così pronunciando, il giudice di primo grado avrebbe trascurato che l’esonero dalla Tari dei locali e superfici destinati a produzione industriale è sancito ex lege, considerato che dette attività generano ope legis solo rifiuti “speciali”, sicché difetta in radice, per esse, uno dei presupposti per la produzione di rifiuti urbani (i.e., derivare gli stessi da attività di cui all’all. L-quinquies al d.lgs. n. 152 del 2006); ciò in un contesto in cui i rifiuti sono classificati ex lege come “urbani” o “speciali” in ragione non già di un criterio merceologico, bensì del luogo di loro produzione (criterio cd. “genetico”). La ricorrente, in tale contesto, avrebbe peraltro ben dimostrato di aver prodotto solo rifiuti speciali in relazione alle aree controverse (coincidenti con capannoni produttivi e magazzini), e il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel non dare rilievo a tale circostanza, affermando che Fu. Line non avrebbe smentito la produzione di rifiuti urbani anziché speciali. 2.2. Col terzo motivo l’appellante si duole dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel trascurare la censure sollevate in ordine all’illegittimità delle previsioni (in specie, art. 9, comma 2, Regolamento) che richiamano le tariffe di cui al d.P.R. n. 158 del 1999 e suo allegato n. 1), in cui è prevista l’applicazione della Tari anche per le superfici industriali; né è legittimo esigere dall’impresa, ai fini dell’esonero, la dimostrazione dell’autonomo smaltimento dei rifiuti speciali, atteso che le aree industriali sono ex lege sottratte a Tari. In tale contesto, anche l’art. 9, comma 6, Regolamento sarebbe da ritenere illegittimo, nella misura in cui richiama l’all. 1) allo stesso Regolamento, la cui categoria n. 20 coincide appunto con le “Attività industriali con capannoni di produzione”, così ampliando la platea delle attività soggette a Tari e ricomprendendovi ancora quelle industriali. 2.3. Col quarto motivo l’appellante reitera l’impugnativa, in via collegata, delle delibere consiliari e giuntali presupposte, che hanno di volta in volta introdotto le previsioni regolamentari contestate. 2.3.1. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per connessione e stretta interdipendenza delle questioni sollevate, sono solo parzialmente fondati, nei termini e per le ragioni che seguono. 2.3.1.1. Occorre premettere che il Regolamento impugnato si riporta espressamente, all’art. 3, alla “definizione di rifiuto” contenuta nel decreto legislativo n. 152 del 2006, e non opera alcuna modifica o revisione al riguardo (“La definizione e la classificazione dei rifiuti urbani e speciali è disciplinata dalle disposizioni del Decreto Legislativo 03/04/2006, n. 152 (Codice Ambientale) come modificato dal D.Lgs 116/2020 e successive modificazioni e integrazioni”). Allo stesso modo, l’art. 2, comma 2, del Regolamento fissa un principio generale nell’applicazione della Tari del tutto coerente con le previsioni di legge, stabilendo che la tassa è destinata alla copertura dei costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, “ad esclusione dei costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono, a proprie spese, i relativi produttori comprovandone l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”. La normativa primaria fissa infatti, quale discrimen ai fini dell’applicazione della tassa, la natura dei rifiuti prodotti: si afferma in specie, in termini generali, che «Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani» (art. 1, comma 641, l. n. 147 del 2013; cfr., in tal senso, anche l’art. 238, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006), con esclusione, dunque, dei locali o aree in cui si producano rifiuti di natura speciale. In tale prospettiva, l’art. 1, comma 649, primo periodo, l. n. 147 del 2013 stabilisce espressamente che «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente» (in tal senso, cfr. già l’art. 14, comma 10, d.l. n. 201 del 2011). Tanto premesso, è da ritenersi corretta (e, invero, in sé pacifica) la deduzione dell’appellante in ordine al fatto che le aree o locali destinate specificamente alla produzione e attività di lavorazione industriale siano generative di rifiuti speciali e, come tali, sottratte al prelievo Tari. L’art. 184, comma 3, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006 considera infatti rifiuti speciali «i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli di cui al comma 2», e cioè se diversi dai rifiuti urbani, come definiti dal precedente art. 183, comma 1, lettera b-ter); quest’ultimo elenca a sua volta varie categorie di rifiuti, cui sono estranei quelli formati nell’ambito delle attività di lavorazione industriale, anche rispetto alla categoria generale di cui al n. 2 (i.e., «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies»), considerato che, in radice, le attività di cui al richiamato allegato L-quinquies) non includono quelle relative alla lavorazione industriale. Può dunque ritenersi pacifico (e, peraltro, incontestato) che le aree e locali destinate ad attività di lavorazione industriale sfuggono ex se al prelievo Tari, in quanto produttive di rifiuti speciali. Il che non toglie, come pure pacifico fra le parti, che le parti di aree o locali, pur riconducibili a sede di un’industria, che siano destinate ad attività diverse dalle «lavorazioni industriali» ex art. 184, comma 3, lett. c), cit. (quali, ad es., mense, uffici, spogliatoi, o locali a questi connessi), in quanto produttive di rifiuti urbani ben soggiacciono al prelievo Tari, integrando il presupposto di cui all’art. 1, comma 641, l. n. 147 del 2013 (e art. 238, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006), e non già quello dell’esclusione di cui al successivo comma n. 649, primo periodo (rileva, a tal fine, l’art. 184, comma 3, lett. c), cit., ove definisce i rifiuti speciali quali rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali «se diversi da quelli di cui al comma 2», e cioè da quelli urbani). Va osservato peraltro, in tale contesto, che, per effetto del decreto legislativo n. 116 del 2020, è stato eliminato il potere di cd. “assimilazione” dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani già riconosciuto ai Comuni, sicché la stessa fattispecie della assimilazione e i profili a questa connessi risultano ormai espunti dal regime dei rifiuti (cfr. l’art. 1, comma 24, lett. b), d.lgs. n. 116 del 2020, che ha soppresso la lett. g) dell’art. 198, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006; è stata peraltro al contempo abrogata la lett. e) del comma 2, art. 195 d.lgs. n. 152 del 2006, che prevedeva la competenza statale, con previsione di apposito decreto ministeriale, per la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani). 2.3.1.2. Dal quadro normativo sin qui tracciato emerge come le doglianze proposte dall’appellante siano per la più gran parte infondate, giacché il Regolamento impugnato, a una corretta lettura, non risulta discostarsi dai principi e regole sopra richiamati. Nella specie, il già citato richiamo alle definizioni di “rifiuto” di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 (art. 3 del Regolamento), e il riferimento, quale presupposto per l’applicazione della Tari, alla produzione di rifiuti urbani (cfr., oltre al suddetto art. 2, comma 2, l’art. 4, comma 1: “Il presupposto della tassa sui rifiuti è il possesso o la detenzione, a qualsiasi titolo, di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, anche se di fatto non utilizzati, suscettibili di produrre rifiuti urbani”; cfr. analogamente l’art. 7, comma 1: “La tassa è dovuta da coloro che possiedono o detengono, a qualsiasi titolo, i locali o le aree scoperte come definiti dal presente regolamento, suscettibili di produrre rifiuti urbani”), con esclusione delle aree e locali produttive di rifiuti speciali (art. 2, comma 2, cit.; analogamente, cfr. l’art. 8, comma 7), valgono a fissare la regola generale - coerente con le previsioni normative primarie - per cui le dette aree e locali generativi di rifiuti speciali (fra i quali rientrano, giusta rimando operato dall’art. 3 alle definizioni di “rifiuto” di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, anche quelli prodotti «nell’ambito delle lavorazioni industriali») vanno esenti dall’applicazione della tassa. La corretta lettura delle altre disposizioni regolamentari, a mente del presupposto impositivo così (chiaramente) stabilito dal Regolamento, conduce a ravvisare la loro coerenza con tale regola generale e col regime normativo primario, e dunque a sfuggire alle critiche dell’appellante. 2.3.1.3. Nella specie, l’art. 8, comma 7, prevede nella prima parte che “Nella determinazione della superficie dei locali e delle aree scoperte assoggettabili alla TARI non si tiene conto di quella parte delle stesse dove si formano, in via continuativa e nettamente prevalente (o esclusiva), rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che gli stessi dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”. La regola così fissata è ben sovrapponibile a quella di cui al citato art. 1, comma 649, primo periodo, l. n. 147 del 2013, in sé non superata («Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente»), inclusa la condizione, prevista dalla stessa legge, che per fruire dell’esenzione i produttori di rifiuti speciali debbano «dimostr[arne] l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente» (art. 1, comma 649, ultima parte del primo periodo, cit.; cfr., similmente, l’art. 238, comma 10, e l’art. 198, comma 2-bis, d.lgs. n. 152 del 2006 in ordine ai rifiuti urbani autonomamente smaltiti nell’ambito delle utenze non domestiche). In tale contesto, i successivi comma 9 e 11 dell’art. 8 del Regolamento (rispettivamente: “Al fine di ottenere la detassazione della superficie in cui si producono in via continuativa e nettamente prevalente (o esclusiva) rifiuti speciali, il contribuente è tenuto a presentare la dichiarazione […] nella quale sono individuate le predette aree. In allegato alla dichiarazione il contribuente deve fornire idonea documentazione atta a comprovare la predetta produzione di rifiuti speciali in via continuativa e nettamente prevalente nonché il relativo smaltimento o recupero a propria cura tramite operatori abilitati”; “Il contribuente è tenuto a presentare, inoltre, la predetta documentazione ogni anno, entro il termine del 31 gennaio […]”) costituiscono nient’altro che il mezzo per l’individuazione delle aree esentate (peraltro attraverso dichiarazione dello stesso interessato, salvi gli eventuali poteri d’accertamento e verifica dell’amministrazione) e “dimostr[azione de] l’avvenuto trattamento [dei rifiuti speciali] in conformità alla normativa vigente” (in tale quadro, il riferimento alla documentazione sulla “produzione” di rifiuti speciali è coerente e va letto in termini funzionalmente collegati alla comprova dell’attività di smaltimento, che deve essere cioè riferibile ai rifiuti speciali prodotti dall’interessato), come espressamente prescritto dall’art. 1, comma 649, primo periodo, cit. (peraltro, per l’affermazione del principio in base a cui spetta al contribuente offrire evidenza delle condizioni che gli consentono di beneficiare di esenzione o riduzione della superficie tassabile, cfr., inter multis, Cass., V, 16 novembre 2021, n. 34635; 14 marzo 2022 n. 8222; 23 gennaio 2017, n. 2711; 31 luglio 2015, n. 16235). Né, ancora, profili d’illegittimità si ravvisano nei censurati art. 4, comma 2, lett. d), del Regolamento (“Si intendono per […] d) utenze non domestiche, le restanti superfici, tra cui le comunità, le attività commerciali, artigianali, industriali, professionali e le attività produttive in genere”), art. 9, comma 2 (“Nelle more della revisione del regolamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158, al fine di semplificare l’individuazione dei coefficienti relativi alla graduazione delle tariffe il Comune può prevedere, fino a diversa regolamentazione disposta dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, l’adozione dei coefficienti di cui all’Allegato 1, tabelle 2, 3a, 3b, 4a e 4b, del citato regolamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, inferiori ai minimi o superiori ai massimi ivi indicati del 50 per cento e può altresì non considerare i coefficienti di cui alle tabelle 1a e 1b del medesimo Allegato 1”), art. 9, comma 6 (“Le tariffe sono articolate per le utenze domestiche e per quelle non domestiche, quest’ultime a loro volta suddivise in categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 158/1999 e riportate nell’allegato 1 al presente regolamento”) e del citato allegato 1), che prevede al n. 20, nella “tabella categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione dei rifiuti”, le “Attività industriali con capannoni di produzione”, analogamente a quanto previsto nelle (richiamate dal Regolamento) tabelle allegate al d.P.R. n. 158 del 1999. Siffatte previsioni vanno infatti interpretate nel senso non già di attrarre a tassazione aree e locali (che ex lege non lo sarebbero) destinate ad attività di “lavorazione industriale”, bensì semplicemente di elencare le varie tipologie di attività, ferma restando l’applicazione della regola generale (che l’art. 9, comma 2, di nuovo enuncia: “Nella determinazione dei costi del servizio non si tiene conto di quelli relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori, comprovandone l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”) per cui solo le porzioni di locali e aree destinate alla produzione di rifiuti urbani sono assoggettate alla Tari. In tale prospettiva, le elencazioni e i richiami alle tipologie d’attività rimangono infatti rette, comunque, dalle regole generali di cui all’art. 4, comma 1, all’art. 7, comma 1, all’art. 2, comma 2 e all’art. 3 del Regolamento per cui, rispettivamente, la tassa è dovuta solo in relazione ad aree e locali produttivi di rifiuti urbani, e tali non si considerano (bensì speciali) quelli generati nell’ambito delle lavorazioni industriali. Se ne ricava un regime positivo che, a una lettura sistematica e teleologicamente orientata, non viola di suo le norme primarie, assoggettando a prelievo - per come il Regolamento va letto - le sole aree e locali che generano rifiuti urbani, con esclusione di quelle produttive di rifiuti speciali (fra cui rientrano quelli «prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali»), salvo l’onere dell’interessato di dare indicazione di queste e dimostrazione dell’attività di smaltimento compiuta sui rifiuti speciali prodotti, in termini non difformi dalle previsioni dell’art. 1, comma 649, primo periodo, l. n. 147 del 2013 e in sé non illegittimi o irragionevoli. Seguendo la (corretta) lettura del Regolamento nei termini suindicati, qualora il contribuente fosse sottoposto a un prelievo diverso o maggiore (ad es., per assoggettamento alla tassa anche di aree o locali produttivi di rifiuti speciali nell’ambito delle “lavorazioni industriali” eseguite) sarebbe eventualmente la concreta applicazione del Regolamento a risultare illegittima - profilo che evidentemente esula dall’oggetto del presente giudizio - ma non le previsioni dello stesso in sé considerate. 2.4. Fermo quanto sin qui osservato sul significato e portato applicativo del Regolamento, esente in parte qua dalle suddette critiche dell’appellante, residua un profilo d’illegittimità dello stesso che invece non supera le censure mosse dalla Fu. Line. Si tratta, in particolare, delle previsioni dell’art. 8, comma 7, ultimo periodo (“L’esclusione si estende alla porzione di superficie dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali; resta fermo l’assoggettamento alla tassa delle restanti porzioni superfici e dei magazzini destinati allo stoccaggio di prodotti finiti e di semilavorati e comunque delle superfici produttive di rifiuti urbani”), e segnatamente alla parte della disposizione che, in relazione ai magazzini, ne consente l’esonero dall’applicazione della Tari solo se la relativa superficie risulta “occupata da materie prime e/o merci merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali”, con espressa esclusione “dei magazzini destinati allo stoccaggio di prodotti finiti e di semilavorati”. Alla luce della nozione di rifiuto speciale ormai accolta dal legislatore (art. 184, comma 3, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006), infatti, anche il magazzinaggio di prodotti finiti e semilavorati nell’ambito di lavorazioni industriali ben può farsi rientrare nel quadro delle attività sottratte al prelievo Tari (cfr., al riguardo, anche la circolare prot. n. 37259 del 12 aprile 2021 del Ministero della Transizione ecologica), di guisa che risulta illegittima la limitazione delle esenzioni in tal senso ai soli magazzini di materie prime o merci, nei termini suindicati, con esclusione sic et simpliciter di quelli relativi a prodotti finiti e semilavorati. In tale contesto, in via strettamente consequenziale, anche il successivo (connesso) comma 10 dell’art. 8 (“Nel caso dei magazzini di cui al comma 7, dovrà essere adeguatamente documentato che gli stessi sono funzionalmente ed esclusivamente collegati al reparto produttivo di rifiuti speciali e che i medesimi accolgono solo materie prime e merci utilizzate nel processo produttivo”) è da ritenere illegittimo in parte qua, dal momento che richiede illegittimamente, ai fini dell’esonero dalla Tari, la documentazione del fatto che i magazzini siano destinati ad accogliere sole materie prime e merci, escludendo così, ipso facto, i magazzini per prodotti finiti e semilavorati pur se rientranti nell’ambito delle lavorazioni industriali. In tale contesto, fermo restando che anche per i locali di magazzino devono trovare applicazione i presupposti dichiarativi e dimostrativi dell’esenzione, ai sensi dell’art. 8, comma 9 nei termini suindicati (i.e., indicazione del locale e dimostrazione del corretto smaltimento del rifiuto speciale prodotto), rimane il fatto che la sottrazione sic et simpliciter al regime d’esonero di quelli destinati a prodotti finiti e semilavorati, pur se rientranti nell’ambito delle lavorazioni industriali (con esenzione, invece, soltanto di quelli destinati alle materie prime e merci) e il consequenziale regime documentale suindicato, risultano illegittimi, finendo con l’attrarre a tassazione attività industriali che per legge vi sono sottratte. In tale prospettiva, il Regolamento e relativi atti approvativi vanno dichiarati illegittimi e annullati in relazione alle specifiche previsioni suindicate. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va accolto solo in parte, nei termini suindicati, e, in parziale riforma della sentenza, va accolto in parte il ricorso di primo grado, e annullato parzialmente il Regolamento impugnato e relativi atti approvativi, nei limiti suesposti. 3.1. La particolarità della fattispecie e la complessità di alcune delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio fra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei termini di cui in motivazione, e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie parzialmente il ricorso di primo grado, annullando in parte i provvedimenti amministrativi gravati, come in motivazione; Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis, Presidente Alberto Urso, Consigliere, Estensore Anna Bottiglieri, Consigliere Giorgio Manca, Consigliere Massimo Santini, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2409 del 2023, proposto dalla società In. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Sc. ed El. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la società Bi. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Va., An. An., Ma. Or. e An. Fa., con domicilio fisico presso lo Studio AOR Avvocati in Roma, Via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti - di C.U.C. - Centrale di Committenza dei Comuni di (omissis) - (omissis) - (omissis) - (omissis) - (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ga. e Ca. Fe. De Ma., con domicilio fisico presso lo studio Ga. in Roma, Via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ga. e Ca. Fe. De Ma., con domicilio fisico presso lo studio Ga. in Roma, Via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -Roma, Sezione II-Bis, 15 febbraio 2023, n. 2660, resa tra le parti, notificata il 23 febbraio 2023 e avente ad oggetto il servizio di mensa scolastica nelle scuole dell'infanzia e primarie; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Bi. It. S.r.l., C.U.C. - Centrale di Committenza dei Comuni di (omissis) - (omissis) - (omissis) - (omissis) - (omissis) e del Comune di (omissis); Visti tutte le memorie e gli atti della causa; relatore, nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023, il consigliere Luca Di Raimondo e viste le conclusioni delle parti come da verbale. Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con Bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 novembre 2021, la Centrale Unica di Committenza - C.U.C. dei Comuni di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) (di seguito anche "CUC") ha indetto una procedura aperta per l'affidamento "del servizio di refezione scolastica delle scuole dell'infanzia e primarie del comune di (omissis)" (CIG 8902360BDD), della durata di 5 anni con eventuale proroga, per un importo complessivo pari a Euro 3.899.375,00, da aggiudicarsi all'offerta economicamente più vantaggiosa, con il limite di max 70 punti attribuibili al profilo tecnico e 30 a quello economico. 2. L'articolo 3 del disciplinare di gara prevede che il suddetto importo totale a base di gara è stato stimato sommando: - n. 850.000 pasti, somministrati in modalità "base", moltiplicati per 4,39 euro (prezzo unitario posto a base di gara); - n. 212.500 prestazionali opzionali inerenti l'emergenza COVID per la somministrazione dei pasti, moltiplicati per 0,79 euro (sovrapprezzo unitario a pasto posto a base di gara, da aggiungersi al prezzo base e da corrispondersi soltanto qualora il Comune di (omissis) ne richiedesse l'esecuzione). La medesima disposizione, stabilisce che "i prezzi indicati sono comprensivi di tutti i servizi, le provviste, le prestazioni, le spese accessorie e quant'altro necessario per la perfetta esecuzione dell'appalto, compresi i servizi migliorativi aggiuntivi offerti in sede di gara dal concorrente aggiudicatario", dovendo ritenersi ricompreso e remunerato anche il costo per la manodopera. Ai sensi dell'articolo 17 del medesimo disciplinare di gara, l'offerta economica deve contenere i seguenti elementi: - il "prezzo unitario per il singolo pasto"; - il "prezzo unitario per le prestazioni opzionali inerenti all'emergenza COVID-19 per la somministrazione dei pasti" (importo erogabile solo a seguito di eventuale ed esplicita richiesta da parte del Comune di (omissis), come previsto dall'articolo 3); - "la stima dei costi aziendali relativi alla salute e alla sicurezza dei luoghi di lavoro di cui all'art. 95, comma 10 del Codice"; - "la stima dei costi della manodopera ai sensi dell'art. 95, comma 10 del Codice" - il "progetto di riassorbimento del personale in applicazione della clausola sociale di cui all'art. 50 del Codice e delle linnee Guida dell'ANAC n. 13". 3. In esito alle operazioni di gara, nella graduatoria finale si è classificata al primo posto In. S.p.A. (di seguito anche "In."), cui sono stati attribuiti complessivamente punti 94,50, di cui 64, 50 per l'offerta tecnica e 30 per l'offerta economica, recante il maggior ribasso, e, al secondo posto, Bi. It. S.r.l. (di seguito, anche "Bi."), cui sono stati attribuiti complessivamente punti 93, 095, di cui 64, 50 per l'offerta tecnica e 24,35 per l'offerta economica. In particolare, In. ha offerto un ribasso totale pari Euro 773.500,00, con un prezzo unitario sul singolo pasto pari a Euro 3,52, a fronte di Euro 4,39 posti a base d'asta. 4. In esito alla verifica dell'anomalia dell'offerta da lui disposta, il Rup ha ritenuto congrue le giustificazioni rese dalla società e la gara è stata, dunque, aggiudicata ad In.. 5. Per l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione e di tutti gli atti prodromici la controinteressata ha proposto ricorso (integrato da successivi motivi aggiunti) dinanzi al Tar Lazio, che, con sentenza 15 febbraio 2023 n. 2660, notificata il 23 febbraio successivo, ha così disposto, accogliendo il primo motivo di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso per motivi aggiunti: "1) accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati secondo quanto specificato in motivazione; 2) dichiara l'inefficacia, con effetto a partire dal giorno successivo al decorso del termine di trenta giorni dalla data di pubblicazione della presente sentenza, del contratto di appalto stipulato tra il Comune di (omissis) e la controinteressata ed avente ad oggetto il servizio oggetto di causa; 3) condanna il Comune di (omissis) ed In. S.p.A. a pagare, in favore della ricorrente, le spese del presente giudizio il cui importo, per ciascuno dei predetti enti, liquida in euro tremila/00, oltre iva, cpa e contributo unificato come per legge.". 6. Con ricorso in appello notificato e depositato il 14 marzo novembre 2023, In. ha impugnato, chiedendone la riforma previa istanza di sospensione e misure cautelari provvisorie, la citata decisione, affidando il proprio gravame a due mezzi di doglianza, con i quali ha lamentato: "1. Sull'erroneità della sentenza nella parte in cui ha accolto il ricorso introduttivo e il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti. Error in iudicando, difetto di motivazione, omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione dell'art. 34 c.p.a. Violazione e falsa applicazione della lex specialis e dei principi generali in materia di gare. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 95 e 97 del d.lgs. 50/2016.": secondo l'appellante, la verifica di anomalia non ha carattere sanzionatorio e il Tar avrebbe erroneamente ed inammissibilmente considerato insufficiente, sostituendosi alla stazione appaltante nella relativa attività di valutazione dell'offerta, il margine di guadagno indicato nell'offerta economica, atteso che, secondo In., l'utile di Euro 2.393,60 sarebbe largamente remunerativo, in disparte i vantaggi, di natura non prettamente economica, derivanti dall'aggiudicazione di una pubblica fornitura; "2. Sull'erroneità della sentenza nella parte in cui ha accolto il ricorso introduttivo e il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti. Error in iudicando, difetto di motivazione, omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione dell'art. 34 c.p.a. Violazione e falsa applicazione della lex specialis e dei principi generali in materia di gare. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 95 e 97 del d.lgs. 50/2016. Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta iniquità .": tale censura si appunta sulla parte della sentenza impugnata che ha dichiarato non congrui i costi dichiarati da In. in relazione alle diverse voci relative alle utenze, ai mezzi di trasporto e alla formazione del personale. 7. Con decreto cautelare 15 marzo 2023, n. 1055, il Presidente della Sezione ha accolto interinalmente la richiesta di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata. 8. Bi. si è costituita in giudizio il 14 marzo 2023 ed ha depositato memoria il 28 marzo 2023 in vista dell'udienza camerale del 30 marzo 2023; il Comune di (omissis) e il CUC si sono costituiti con atti del 15 marzio 2023, depositando successivamente memoria difensiva, il primo, il 27 marzo 2023 e, il secondo, il 29 marzo 2023. 9. Con ordinanza cautelare 31 marzo 2023, n. 1284, la Sezione ha sospeso l'esecutività della sentenza del Tar, considerato che: "- la società appellante è l'attuale gestore del servizio, essendo subentrata, nelle more del giudizio di primo grado, alla società appellata in data 2 novembre 2022; - l'appalto per il servizio di mensa scolastica nelle scuole dell'infanzia e primarie nel Comune di (omissis) ha durata quinquennale; - nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti e fermi restando gli approfondimenti propri della fase di merito, è da considerarsi prevalente l'interesse pubblico a non procedere ad un ulteriore avvicendamento nell'erogazione del servizio, garantendone la continuità nelle more della fissazione dell'udienza di merito, che verrà disposta dal Presidente della Sezione". 10. All'udienza pubblica del 15 giugno 2023 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. In., ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza del Tar Lazio - Lecce n. 2660/2023, di cui ha lamentato l'erroneità da diversi angoli prospettici. L'appello è infondato secondo le considerazioni che seguono e i mezzi di gravame possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di economia processuale. 2. Prima di passare all'esame dei motivi di censura, mette conto individuare il perimetro entro cui è consentito il sindacato di legittimità del giudice amministrativo in relazione al procedimento di verifica di anomalia dell'offerta. 3. L'istituto in esame - com' è noto - è funzionale alla verifica delle condizioni di serietà ed attendibilità dell'offerta e di affidabilità dell'impresa che, in caso di aggiudicazione, deve eseguire l'appalto, considerato l'equilibrio che deve sempre sussistere tra una proposta competitiva e un'adeguata remunerabilità, al fine di scongiurare che l'affidamento di un appalto, che non consenta un ragionevole ritorno economico, esponga la stazione appaltante al rischio di un'irregolare esecuzione delle prestazioni dedotte in contratto a valle della procedura di evidenza pubblica o, peggio, alla sua interruzione a causa dell'impossibilità per l'aggiudicataria di farvi fronte. Le attività di verifica dell'anomalia dell'offerta sono disciplinate dall'articolo 97 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabile ratione temporis e il cui primo comma prevede che "gli operatori economici forniscono, su richiesta della stazione appaltante, spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti nelle offerte se queste appaiono anormalmente basse, sulla base di un giudizio tecnico sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell'offerta." Le operazioni che la stazione appaltante svolge per verificare che l'offerta sia, oltre che congrua e rispettosa della lex specialis, anche adeguata e concretamente eseguibile, sono caratterizzate da ampi margini di discrezionalità tecnica, secondo una valutazione globale e sintetica, sindacabile in sede giurisdizionale solo di fronte a macroscopici profili di illegittimità, restando in ogni caso precluso al giudice di sostituirsi all'Amministrazione nell'esecuzione di tali attività (Consiglio di Stato, Sezione V, 3 maggio 2022, n. 3453; 28 febbraio 2022, n. 1412; 4 agosto 2021, n. 5754; 8 aprile 2021, n. 2843; 8 gennaio 2021, n. 295; 30 novembre 2020, n. 7554; 23 novembre 2020, n. 7255; 2 ottobre 2020, n. 5777; 17 giugno 2019, n. 4050). 4. Con argomentazioni dalle quali il Collegio non vede ragioni di discostarsi, la giurisprudenza ha stabilito che "la valutazione di anomalia dell'offerta costituisce espressione della discrezionalità tecnica, di cui l'amministrazione è titolare per il conseguimento e la cura dell'interesse pubblico ad essa affidato dalla legge, e, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità o travisamento dei fatti; in altri termini, il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni operate dalla stazione appaltante in ordine al giudizio di anomalia dell'offerta non può estendersi oltre l'apprezzamento della loro intrinseca logicità e ragionevolezza, nonché della congruità della relativa istruttoria, essendo preclusa all'organo giurisdizionale la possibilità di svolgere (autonomamente o a mezzo di consulenti tecnici) un'autonoma verifica circa la sussistenza, o meno, dell'anomalia, trattandosi di questione riservata all'esclusiva discrezionalità tecnica dell'amministrazione (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 28 marzo 2022, n. 2269; 17 marzo 2022, n. 1946; 9 febbraio 2022, n. 939; 3 febbraio 2022, n. 764). (Consiglio di Stato, Sezione V, 14 marzo 2023, n. 3811). La valutazione della congruità dell'offerta che la stazione è chiamata a svolgere deve essere eseguita in modo complessivo, sintetico, e non parcellizzato o atomistico (Consiglio di Stato, Sezione V, 28 marzo 2023, n. 3196, Sezione III, 28 ottobre 2022, n. 9312), in maniera da valorizzare nell'insieme le singole voci di cui si compone la proposta contrattuale formulata dall'operatore economico, poiché "questione essenziale del giudizio di verifica della congruità dell'offerta è se quest'ultima, nonostante le imprecisioni o le manchevolezze nella quantificazione di alcune voci di costo, sia comunque complessivamente affidabile (giudizio che, come noto, ha natura necessariamente globale e sintetica, non potendo risolversi in una parcellizzazione delle singole voci di costo e costituisce frutto di apprezzamento tecnico riservato all'amministrazione appaltante, non sindacabile in giustizia se non per illogicità, manifesta irragionevolezza, arbitrarietà : cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2021, n. 2437): risultato che si ottiene, secondo i principi appena richiamati, solo se si accerti che gli eventuali scostamenti o errori di valutazione non trovino compensazione, o copertura sotto il profilo economico-finanziario, in altre voci (quali quelle per spese generali, fondi accantonamenti rischi, utile d'impresa). (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 14 aprile 2023, n. 3857). 5. Proprio perché la verifica dell'anomalia dell'offerta può comportare l'esclusione del concorrente dalla gara, la giurisprudenza ha stabilito che è necessaria, "nel caso di una valutazione sfavorevole all'offerente, una motivazione rigorosa e analitica, a causa dell'immediata lesività del provvedimento che determina l'esclusione dalla procedura (C.d.S. sez. III, 14/10/2020, n. 6209; sez. VI, 20/04/2020, n. 2522)", fermo restando che "l'obbligo di motivazione analitica e puntuale sulle giustificazioni sussiste solo nel caso in cui l'Amministrazione esprima un giudizio negativo, mentre tale onere non sussiste in caso di esito positivo del giudizio di congruità dell'offerta essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente (C.d.S. sez. III, n. 6209/2020 cit.; 24/02/2020, n. 1347) (Consiglio di Stato, Sezione III, 28 dicembre 2020, n. 8442; in terminis, Consiglio di Stato, Sezione III, 14 ottobre 2020, n. 6209). L'onere di motivazione rafforzata rileva, dunque, con riferimento ad offerte particolarmente basse, formulate dall'operatore economico anche al solo fine di poter ottenere la commessa e restare attivo sul mercato. 6. A livero unionale, la Corte di Giustizia ha espresso, persino in relazione alle offerte complessivamente pari a zero, il principio per cui "l'art. 2, par. 1, pt. 5, della direttiva 2014/24/UE, come modificata dal regolamento 2017/2365 della Commissione, deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell'offerta nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che il prezzo proposto nell'offerta è di EUR 0" (Corte di Giustizia, 10 settembre 2020, in causa C-367/19), e ciò perché "dalla logica sottesa all'articolo 69 della direttiva 2014/24 risulta che un'offerta non può automaticamente essere respinta per il solo motivo che il prezzo proposto è di EUR 0", con la conseguenza che l'eventuale anomalia dell'offerta deve essere verificata in concreto e puntualmente motivata, rimanendo fermo che "le amministrazioni aggiudicatrici, in caso di sospetto di offerta anormalmente bassa, sono tenute a verificare l'effettiva sussistenza di tale carattere anormalmente basso prendendo in considerazione tutti gli elementi pertinenti del bando di gara e del capitolato d'oneri" (Corte di Giustizia, 15 settembre 2022, in causa C-669/20). 7. Per stabilire quando un'offerta può essere definita anomala - vale a dire senza un margine minimo e, dunque, in perdita - si deve sempre fare riferimento alla fattispecie concreta. La giurisprudenza in materia ha stabilito il principio secondo cui "salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l'offerta va considerata anomala - potendo anche un utile modesto comportare un vantaggio significativo (Cons. Stato Sez. V, 22/03/2021, n. 2437; Cons. Stato Sez. III, Sent., 13-07-2021, n. 5283)", fermo restando che "legittimamente l'aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361) (tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, 24 marzo 2023, n. 3085; in termini, Sezione V, 29 novembre 2022, n. 10470). 8. I canoni ermeneutici cui si deve ispirare anche la decisione del caso in esame sono stati ben sintetizzati da Consiglio di Stato, Sezione V, 26 ottobre 2022, n. 9139, secondo cui "vanno preliminarmente richiamati i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia di valutazione di congruità dell'offerta anomala, bene riepilogati, da ultimo, da Cons. Stato, III, 14 maggio 2021 n. 3917, e dai quali il Collegio non ritiene di doversi discostare, secondo cui: - la valutazione in parola consiste in un procedimento il cui esito è rimesso alla discrezionalità tecnica della stazione appaltante ed è globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che la compongono (Cons. Stato, Ad plen. n. 36 del 2012; V, 14 giugno 2013, n. 3314; 1° ottobre 2010, n. 7262; 11 marzo 2010, n. 1414; IV, 22 marzo 2013, n. 1633; III, 14 febbraio 2012, n. 710); - ciò che interessa al fine dello svolgimento del giudizio successivo alla valutazione dell'anomalia dell'offerta è rappresentato dall'accertamento della serietà dell'offerta desumibile dalle giustificazioni fornite dalla concorrente; - la valutazione sulla congruità dell'offerta resa dalla stazione appaltante, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o irragionevolezza, erroneità fattuale o difetto di istruttoria, che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta (Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012; V, 17 gennaio 2014, n. 162; 26 settembre 2013, n. 4761; 18 agosto 2010, n. 5848; 23 novembre 2010, n. 8148; 22 febbraio 2011, n. 1090); - il giudice amministrativo non può operare autonomamente una verifica delle singole voci dell'offerta sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio - non erroneo né illogico - formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, invaderebbe una sfera propria della pubblica amministrazione (Cons. Stato, IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631; 17 gennaio 2014, n. 162); - al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l'offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell'attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivante per l'impresa dall'essere aggiudicataria di un appalto pubblico e di averlo portato a termine (Cons. Stato, V, 27 settembre 2017, n. 4527; 29 maggio 2017, n. 2556; 13 febbraio 2017, n. 607; 25 gennaio 2016, n. 242; III, 3 novembre 2016, n. 4671).". 9. Orbene, inquadrate nell'ambito dei canoni ermeneutici che precedono le questioni che concernono il caso di specie, ritiene il Collegio che siano infondate le censure di fondo su cui fa leva l'appello di In., secondo le quali il Tar Lazio, sostituendosi in modo inammissibile all'Amministrazione nell'esercizio di una sua esclusiva discrezionalità tecnica nella valutazione dell'anomalia dell'offerta e delle relative giustificazioni della società prima in graduatoria, ha ritenuto insufficiente l'utile di impresa di Euro 2.393,60 ed ha erroneamente ritenuto in congrui i costi dichiarati da In. in relazione alle diverse voci relative alle utenze, ai mezzi di trasporto e alla formazione del personale. 10. La sentenza impugnata è immune dai vizi denunciati, tenuto conto dei principi suindicati, che individuano il perimetro del sindacato di legittimità del giudice amministrativo, nell'ambito di una valutazione complessiva, non atomistica e parcellizzata dell'offerta economica, in modo da far emergere in rilievo eventuali profili della sua inattendibilità e, dunque, di inaffidabilità dell'impresa per l'esecuzione dell'appalto. 11. Il Tar campano ha enucleato i seguenti elementi che militano nel senso dell'inadeguatezza dell'offerta composta dalle seguenti voci: - costo del lavoro: euro 402.630,91; - costo delle derrate: euro 164.849,89; - costo del materiale monouso: euro 8.976,00; - costo delle spese generali: euro 13.566,40; - costo delle utenze: euro 7.779,20; - costo degli oneri per la sicurezza: euro 5.983,19; - utile: euro 2.393,60. 12. Con riferimento all'utile indicato dalla società prima in graduatoria, il Tribunale territoriale ha osservato che, per ogni anno di servizio, In. ha fissato una somma "pari ad euro 2.393,60 ovvero un importo esiguo che non può, se non in minima parte, essere utilizzato per coprire eventuali extracosti a meno di non volere ritenere che l'appalto possa essere eseguito in perdita il che non è ammissibile (Cons. Stato n. 7498/21)." 13. Sul punto, l'appellante, censura la decisione impugnata perché contenente valutazioni che impingono nel merito dell'azione amministrativa. Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale ipotesi non ricorra nella fattispecie, considerato che il Tribunale ha correttamente fatto buon governo dei principi vigenti in materia; basando le proprie considerazioni esclusivamente sulle emergenze documentali e contabili evincibili dagli atti di causa. Osserva, al riguardo la Sezione, che, al fine di giustificare un importo siffatto, è del tutto ipotetico ed aleatorio l'affidamento che ripone l'appellante sulla somma aggiuntiva concernente le prestazioni opzionali inerenti l'emergenza COVID, anche tenuto conto che gli ultimi dati clinici ed epidemiologici rimandano ad una situazione di contenimento, se non di superamento complessivo, della pandemia. 14. In materia, la Sezione si è recentemente espressa in una vicenda analoga con argomenti, mutuabili anche nel presente contenzioso, che il Collegio condivide e da cui non vede motivo di discostarsi, laddove è stato affermato che "occorre fare un preliminare richiamo alle disposizioni della lex specialis di gara, le quali distinguono in modo chiaro, all'interno del più ampio novero delle prestazioni di manutenzione oggetto di appalto, tra quelle di natura ordinaria e conservativa, destinate ad essere obbligatoriamente espletate dall'affidatario del servizio e conseguentemente remunerate con il versamento allo stesso del "canone", ossia della rata mensile del corrispettivo di aggiudicazione; e quelle di carattere straordinario ("extra canone"), la cui esecuzione è solo eventuale, al pari della liquidazione del relativo corrispettivo", precisando "- che non è revocabile in dubbio che le attività extra canone, al di là della natura prevedibile o imprevedibile degli eventi cui si ricollegano, possono svolgersi solo se richieste dalla stazione appaltante (la quale, pertanto, potrebbe anche, sulla base delle proprie non sindacabili esigenze, non richiederle affatto); - che, pertanto, l'indicazione dello stanziamento per le predette attività ha l'unico senso di definire il limite massimo delle risorse spendibili per tali servizi, da considerare in ogni caso eventuali e aggiuntivi rispetto a quelli sul cui valore doveva essere individuato il ribasso da proporre in sede di offerta; " (Consiglio di Stato, Sezione III, 8 maggio 2023, n. 4576). 15. Orbene, al netto del dichiarato errore materiale commesso dall'offerente in sede di gara - per cui la somma di Euro 7.779,20 per le utenze, ritenuta insufficiente dal primo giudice, sarebbe stata conteggiata due volte - osserva in linea generale il Collegio che, per quanto concerne la voce in esame, l'appellante ha ricostruito in maniera poco attendibile le poste di cui si compone la sua offerta, spostandole, sia in sede di giustificazione dell'anomalia, che nel presente giudizio, a seconda della convenienza, con il fine di consentirne una lettura complessivamente credibile. In. contesta recisamente che sia valutabile la documentazione prodotta dalla controinteressata, fornitore uscente, in ordine alle spese sostenute per le utenze (circa undicimila euro solo per l'acqua), essendo interdetto un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, e considerato che "in base a notizie riportate dal personale impegnato nel servizio oggetto di assorbimento da parte di In. in virtù della clausola sociale presente nella disciplina di gara, Bi. nell'anno 2021 e comunque al momento del subentro nel servizio da parte di In. (avvenuto il 2 novembre 2022) produceva nel centro cottura comunale in via (omissis) e veicolava pasti (circa 300 pasti/giorno pari a circa un terzo del numero dei pasti prodotti per il Comune di (omissis)) anche per il Comune di (omissis)." (pagina 11 dell'atto di appello). Anche a voler ammettere (e l'appellata non contro-argomenta precisamente sul punto, quantificando con esattezza i pasti destinati all'altro Comune) che una quota delle spese per l'acqua siano state assorbite per cucinare pasti ulteriori rispetto a quelli oggetto della gara per cui è causa (circa 310, come risulta dal contratto stipulato tra l'ente locale e Bi., come risulta dalla documentazione prodotta dall'appellante), si deve ritenere che la somma indicata, e non contestata dall'appellante se non per il profilo indicato, debba, comunque, essere tenuta a base della valutazione prospettica delle spese che andranno a gravare sul bilancio dell'aggiudicataria. 16. A ciò si aggiunga - e l'aspetto assume una portata decisiva, considerato l'esiguo margine di utile quantificato dall'appellante - che In. non ha contestato in alcun modo la somma, indicata dal fornitore uscente, di Euro 4.313,00 per la TARI per il 2022, che, come è noto, grava sull'aggiudicatario. 17. In questa prospettiva, condivisibile è la statuizione del primo giudice, che ha stabilito che: "a) le spese indicate nelle giustificazioni per le utenze sono sfornite di alcuna specificazione e documentazione al contrario di quelle prospettate dalla ricorrente; b) nessuna considerazione la controinteressata ha esplicitato in ordine alle spese per TARI, luce ed il gas; c) l'imputazione, presente nelle difese in giudizio, dei 7.779,00 euro, concernenti il costo delle utenze, nell'ambito delle "spese generali", in parte alla voce "costi di sede" e in parte alla voce "varie" non è coerente con il contenuto complessivo delle giustificazioni ove la ricorrente aveva computato, per le voci "costi di sede" e "varie" una percentuale complessiva del 29% delle spese generali, per altro non riferibile esclusivamente alle utenze essendo ivi ricomprese altre voci come il "personale di staff"." 18. Aggiunge il Tar che "nelle giustificazioni, In. aveva imputato le "spese generali" in modo diverso da quanto prospettato nel presente giudizio e, precisamente, secondo il seguente schema: - costi generali e amministrativi cancelleria e stampati: 2,00%; - spese amministrative, spese contrattuali, spese di pubblicazione del bando di gara, contributo ANAC, autorizzazioni e licenze, etc.: 10,00%; - eventuali oneri finanziari, imposte e tasse: 10,00%; - garanzie fideiussorie e polizza RCT/RCO: 14,00%; - personale indiretto di staff e costi di sede: 5,00%; - varie 24,00%: - manutenzioni 20,00%; - formazione 15,00%." 19. Quanto ai costi dei mezzi di trasporto, sia in primo che in secondo grado In. si è limitata a dichiarare di poter utilizzare una pompa propria (senza, tuttavia, dimostrare documentalmente di poter spuntare un prezzo migliore da quello di mercato, profilo questo non necessariamente desumibile dalla mera disponibilità esclusiva della pompa) e di fare uso di mezzi che utilizzano i parametri CAM, senza però precisare quale tipo di alimentazione viene preferita per tutti i camion utilizzati, di cui non ha fornito marca, modello e targa. 20. Anche per quanto attiene ai costi della formazione la sentenza appellata merita conferma. Pur volendo considerare, come sostiene l'appellante, che una parte di tale voce rientri nelle spese generali che l'impresa deve comunque sostenere per i dipendenti deputati a formare il personale addetto alla preparazione e consegna dei pasti, e anche a voler prescindere dall'analisi del rischio che una formazione in itinere può determinare sulla corretta erogazione del servizio, condivisibilmente il Tar ha concluso per l'inattendibilità complessiva dell'offerta, statuendo sul punto quanto segue: per la voce formazione "nelle giustificazioni la In. ha proposto il 15% delle spese generali (le quali ultime per i cinque anni ammontano a complessivi euro 67.832) e, quindi, euro 10.174,80 per tutto il quinquennio. Tale ultimo importo risulta non congruo se si considerano i costi per la retribuzione del personale extra-orario di lavoro (se si presume un costo orario di euro 19,16 - importo minimo indicato nelle giustificazioni: ma vi sono figure che percepiscono una retribuzione più elevata quali la dietista, il direttore, il personale addetto al confezionamento pasti, il magazziniere ecc. - abbiamo un totale di euro 25.751,04) oltre alle spese dei locali, docenti, attrezzature ecc.." In altre parole, correttamente il Tar ha stabilito che "la formazione in affiancamento comporta che siano contemporaneamente impiegate più risorse ovvero quella che deve svolgere il servizio e quella che deve effettuare la formazione e, quindi, anche la formazione in affiancamento comporta un costo almeno unitario per dipendente pari alla formazione che si svolge extra orario. A ciò si aggiunga che la percentuale della formazione in affiancamento prospettata dalla controinteressata non trova alcun riferimento nell'offerta tecnica la quale non ne specifica l'entità, addirittura prospettata nella memoria difensiva nella misura del 60%; nell'offerta tecnica, infatti, risultano indicate tre modalità di erogazione della formazione ovvero la "Formazione tecnico/pratica" (lezioni frontali, discussione del materiale illustrativo, esercitazioni di gruppo e simulazioni, illustrazioni di best practices), la "Formazione in affiancamento" (comprensiva di affiancamento, "prove pratiche in riferimento all'utilizzo dei diversi materiali ed attrezzature necessari al corretto svolgimento delle attività " e "Prove pratiche in riferimento alle procedure e metodologie apprese"), e l'"Aggiornamento della formazione" (che prevedono lezioni frontali, simulazioni di gruppo ed affiancamento su aggiornamento delle metodologie delle varie fasi del processo)". 21. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, in conclusione, l'appello va respinto. Va precisato che la presente decisione è stata assunta tenendo altresì conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 5 gennaio 2015, n. 5 nonché Cassazione, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione Civile, Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione Civile, Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209, 13 settembre 2022 n. 7949 e 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 22. Le spese seguono la soccombenza per quanto concerne l'appellata, restando compensate tra l'appellante e le parti pubbliche, consorti in lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. r.g. 2409/2023) come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante a rifondere in favore della parte appellata le spese del grado, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori. Compensa le spese di lite nei confronti delle rimanenti parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 1475 del 2016, proposto da Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Co., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. in Roma, via (...); contro Mi. Sg S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ma. D'A., con domicilio eletto presso lo studio Se. Co. in Roma, via (...); nei confronti Pu. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. Ce. e Fi. Pa., con domicilio eletto presso lo Studio Legale Associato Le. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Prima, 20 novembre 2015, n. 5408, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Mi. Sg Spa e di Pu. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 14 del 26 settembre 2014, il Comune di (omissis) ha determinato le tariffe della tassa sui rifiuti (TARI) per l'anno 2014 prevedendo (per la categoria C3 relativa a collegi e case vacanza) un aumento del 57% rispetto a quella applicabile per il 2013. 2. La Mi. Sg S.p.a., società proprietaria del comprensorio immobiliare denominato U.S. Navy, concesso in locazione al Governo degli Stati Uniti d'America per le esigenze della Marina Militare Americana, sull'assunto per cui, in forza del contratto di locazione, essa sarebbe tenuta ad assolvere al pagamento degli oneri tributari gravanti sull'amministrazione americana per l'espletamento del servizio di raccolta rifiuti, ha impugnato la predetta deliberazione consiliare, nonché la delibera del Consiglio comunale n. 10 del 10 settembre 2014, recante l'approvazione del regolamento sull'imposta unica comunale (IUC), con ricorso innanzi al tribunale amministrativo regionale per la Campania. 3. Con sentenza del 20 novembre 2015, n. 5408, il T.a.r. ha accolto il ricorso e ha disposto l'annullamento, nei limiti precisati in motivazione, della delibera consiliare n. 14 del 26 settembre 2014, unitamente al piano finanziario ad essa allegato, nella parte in cui ha determinato la tariffa della TARI per il 2014 relativa agli immobili di categoria C3 (collegi, case vacanza, convivenze). 4. Il primo giudice, ritenuta la irricevibilità dell'impugnativa proposta avverso la delibera n. 10 del 2014 (concernente l'approvazione del regolamento sull'imposta unica comunale) nella parte in cui ha individuato la categoria C3, respinte le altre eccezioni di rito sollevate dalle resistenti, ha accolto la censura di violazione dell'art. 1, comma 652, della legge n. 147 del 2013, per il mancato rispetto dei criteri fissati dalla legge per la determinazione delle tariffe TARI. 5. Il Comune di (omissis), rimasto soccombente, ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza per non aver rilevato il difetto di legittimazione attiva della ricorrente in primo grado, nonché la carenza di interesse ad agire, e per aver ritenuto illegittima la delibera di determinazione della tariffa TARI per la categoria C3. 6. Resiste in giudizio la società Mi. Sg S.p.a., proponendo anche appello incidentale con il quale impugna il capo di sentenza che ha dichiarato irricevibile, per tardività, la domanda di annullamento della norma del regolamento comunale in materia di TARI che ha individuato la categoria C3. Contesta l'ammissibilità dell'appello incidentale della concessionaria visto che nel ricorso in primo grado non erano contenuti motivi che riguardassero l'attività della concessionaria. 7. Si è costituita in giudizio anche la società Pu. S.r.l. (concessionaria del servizio di riscossione delle entrate comunali), chiedendo l'accoglimento dell'appello del Comune di (omissis) e proponendo appello incidentale con il quale deduce le medesime censure dell'appellante principale. 8. All'udienza del 1 dicembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Con il primo motivo. l'appellante Comune di (omissis) deduce l'erroneità della sentenza per non aver rilevato il difetto di legittimazione ad agire della ricorrente in primo grado, la quale non è soggetto passivo della TARI. Ad avviso dell'appellante, infatti, il soggetto passivo della tassa comunale sui rifiuti va individuato esclusivamente nel conduttore e detentore degli immobili locati (ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. n. 507 del 1993), nella specie l'amministrazione militare americana. Né la ricorrente avrebbe mai provato di essere detentrice di tali immobili, così come non avrebbe provato di aver stipulato con la US Navy un patto di accollo degli oneri tributari (compresa la tassa rifiuti) connessi alla detenzione degli immobili locati, opponibile all'amministrazione comunale (l'eventuale accollo non sarebbe mai stato comunicato al Comune, come previsto dall'art. 8, comma 2, della legge n. 212 del 2000). Se il patto esistesse come accollo interno di diritto privato non potrebbe allora radicare una posizione di interesse legittimo idonea a legittimare la proposizione dell'impugnativa avverso la deliberazione in materia di TARI. 9.1. Difetterebbe anche l'interesse ad agire della ricorrente in primo grado, posto che il contratto di locazione risulta scaduto nel 2012 e la società non ha dimostrato che sia stato rinnovato alla scadenza; pertanto, per l'annualità 2014 non sarebbe dimostrato un suo interesse a contestare la deliberazione sulle tariffe (nemmeno sull'assunto dell'esistenza di un accollo tributario), mentre sarebbe invece dimostrato che la US Navy ha continuato nella occupazione e detenzione dei predetti immobili ed è quindi l'unico soggetto passivo ai fini della tassa sui rifiuti. 10. Il motivo è infondato. 10.1. L'eccezione relativa al difetto di legittimazione ad agire è stata esaminata dal primo giudice che l'ha respinta sull'assunto che "la società ricorrente gode di legittimazione attiva in virtù della clausola di accollo cumulativo contenuta nel contratto di locazione stipulato con l'amministrazione americana (...), che la vincola all'assolvimento in via solidale di qualsiasi obbligazione tributaria connessa al servizio rifiuti, tra cui non può non rientrare anche la TARI oggetto della presente controversia. Tale accollo riveste i caratteri dell'accollo esterno di tipo tributario previsto dall'art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000, giacché è stato sicuramente comunicato ed accettato dall'amministrazione comunale, come è comprovato dal fatto che almeno dal 2007 al 2013 sono stati emessi a carico della società ricorrente atti di imposizione per la tassa sui rifiuti relativi all'intero comprensorio U.S. Navy (...)". 10.2. La soluzione va senz'altro condivisa sulla base della documentazione in atti (il contratto di locazione stipulato tra la società Mi. e l'amministrazione militare statunitense) dalla quale si evince l'esistenza di un patto di accollo per i debiti di imposta o per qualsiasi altra forma di tributo statale o locale collegato alla locazione degli immobili in questione. L'accollo è idoneo, infatti, a fondare l'interesse a ricorrere della società anche se dovesse essere qualificato come mero accollo interno, certamente ammissibile ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (secondo cui "(è ) ammesso l'accollo del debito d'imposta altrui senza liberazione del contribuente originario"). La norma, in realtà, non subordina l'efficacia dell'accollo (anche nei confronti dell'amministrazione finanziaria) ad una espressa adesione di questa né ad una previa comunicazione o notifica del patto, limitandosi a sancire l'impossibilità di liberare il contribuente originario (ragion per cui l'accollo del debito d'imposta è sempre un accollo cumulativo). 10.3. Anche nel caso di specie le parti, con il patto di accollo, non hanno voluto disporre della pretesa tributaria o incidere sulla fattispecie impositiva, ma hanno ripartito la solidarietà interna mediante accollo (da parte della proprietaria che ha dato in locazione l'immobile) del solo onere economico del peso fiscale (si veda anche Cass. SS.UU. civili, 8 marzo 2019, n. 6882, secondo cui la clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso), che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l'art. 53 Cost. - configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e per conto del primo - qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente; in tal senso già id., n. 6445 del 1985). 10.4. L'appellante sostiene, peraltro, che - secondo un indirizzo della Corte di cassazione (si cita Cass. SS.UU. civili n. 28162 del 2008) - dalla natura cumulativa dell'accollo deriverebbe che il debitore originario "conserva la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario con la conseguenza che l'amministrazione tributaria non può esercitare nei confronti dell'accollante i poteri di accertamento ed esazione". Tuttavia le conseguenze descritte (peraltro pacifiche e derivanti dalla previsione della natura non liberatoria dell'accollo ex art. 8 cit.) si collocano sul piano dei rapporti tra fisco e contribuente, ma non si vede come possano far venir meno l'interesse dell'accollante ad agire in giustizia per chiedere l'annullamento degli atti con i quali l'ente titolare del potere impositivo aggravi l'onere economico che l'accollante si è assunto con l'accordo. 10.5. È privo di pregio, inoltre, il prospettato difetto di interesse a ricorrere che deriverebbe dalla intervenuta scadenza del contratto nel corso del 2012. Ed invero, a fronte della emissione della cartella di pagamento per la tassa sui rifiuti relativa all'anno 2014, si possono presentare solo due alternative: o il contratto di locazione è stato rinnovato anche per il 2014, e in questo caso la lesività dell'atto per la società Mi. deriverebbe dal patto di accollo sopra richiamato; oppure il suddetto contratto non è stato rinnovato, con la conseguenza che la lesività della cartella di pagamento discenderebbe dall'essere proprietaria e detentrice dell'immobile. In ogni caso, pertanto, la società Mi. ha interesse a impugnare le deliberazioni comunali presupposte all'atto impositivo della TARI. 11. Con il secondo motivo, l'appellante censura la sentenza per aver ritenuto che la determinazione delle tariffe della TARI per gli immobili ricadenti nella categoria C3 sia stata decisa facendo esclusivo riferimento alla maggiore o minore percentuale di raccolta differenziata in un quartiere o parte del territorio comunale. In senso contrario, l'appellante sostiene che le delibere oggetto di impugnativa hanno provveduto a isolare la categoria C3 per gli immobili destinati a "collegi, case vacanze e convivenze" riunendo in questa le attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti, come previsto dall'art. 1, comma 652, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. Nel caso di specie, il Comune ha ricondotto alla predetta categoria gli immobili occupati dalla US Navy e destinati a ospitare militari e loro familiari, oltre a cittadini italiani che svolgono varie attività all'interno del comparto immobiliare. Il primo giudice non avrebbe considerato che il richiamo ai dati sulla raccolta differenziata, contenuto all'interno del piano finanziario allegato alla deliberazione sulle tariffe, era diretto a evidenziare che il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge determinerebbe un inevitabile aggravamento dei costi di gestione per il Comune, che si rifletterebbero sull'intera cittadinanza. Il motivo è infondato. 11.1 Secondo l'art. 1, comma 652, della legge n. 147 del 2013, il comune "può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti". La deliberazione dà atto che la tariffa è composta anche da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti; peraltro, nella relazione al piano finanziario allegato alla deliberazione consiliare che ha approvato le tariffe TARI per il 2014, si specifica ulteriormente che "esiste una sostanziale differenza tra la corrispondenza dell'intero paese all'attuazione della raccolta differenziata (e) una sostanziale indifferenza degli abitanti della base Nato, come si evince dalla tabella allegata relativa alla percentuale di rifiuti raccolti nella prima parte dell'anno 2014". In altri termini, nella determinazione della tariffa ha influito anche la sostanziale differenza del tasso di adesione alla raccolta differenziata nell'intero Comune rispetto a quello nella zona del complesso Nato. 11.2. Tuttavia, come bene evidenziato anche dal primo giudice, tale motivazione è illegittima. La norma indica essenzialmente due parametri ai quali agganciare la determinazione delle tariffe: la quantità e la qualità dei rifiuti prodotti, in relazione anche alle attività svolte; il costo per lo svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti. Pertanto, non possono essere surrettiziamente utilizzati altri criteri mediante i quali si vogliano perseguire obiettivi (quale quello di accrescere la diffusione della raccolta differenziata in determinate zone o quartieri del territorio comunale) che finiscono per compromettere il rapporto tra la tariffa e la quantità e qualità dei rifiuti prodotti per unità di superficie; e - sul piano dell'azione amministrativa - configurano un vizio di eccesso di potere. 12. In conclusione, l'appello principale va respinto. 13. Stessa sorte va riservata all'appello incidentale di Pu. S.r.l., basato sulle medesime censure. 14. Passando all'esame dell'appello incidentale autonomo della società Mi., con esso è impugnato il capo di sentenza che ha dichiarato irricevibile, per tardività, la domanda di annullamento della norma del regolamento comunale in materia di TARI che ha individuato la categoria C3 (regolamento approvato con la deliberazione consiliare n. 10 del 2014). 15. Con il primo motivo, l'appellante deduce l'erroneità della sentenza per aver affermato che la deliberazione era immediatamente lesiva e doveva essere tempestivamente impugnata entro il termine decadenziale di sessanta giorni dall'ultimo giorno della sua pubblicazione all'albo pretorio comunale. Secondo l'appellante, la deliberazione n. 10/2014 - che non faceva riferimento alle tariffe applicabili né indicava a quali utenti si riferisse la categoria - si sarebbe rivelata lesiva solo quando la deliberazione n. 14/2014 ha riferito la categoria C3 ("collegi di casa vacanza e convivenze") al comprensorio edilizio occupato dalla U.S. Navy. 15.1. Il motivo è fondato, posto che dalla sola istituzione della categoria C3 (genericamente riferita agli immobili destinati a collegi, case vacanza o convivenze) non si poteva risalire alla idoneità lesiva della norma regolamentare; né quindi il potenziale destinatario era tenuto a impugnarla nel termine decadenziale decorrente dal giorno in cui sia scaduto il termine di pubblicazione dell'atto. 15.2. L'art. 41, comma 2, prima parte, del codice del processo amministrativo, stabilisce infatti che "(q)ualora sia proposta azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge (...)". La norma processuale va intesa nel senso che, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, il termine di sessanta giorni per l'impugnazione decorre, per i soggetti non espressamente nominati nel provvedimento, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge, non essendo necessaria la notificazione individuale o la piena conoscenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 febbraio 2022, n. 678). Tuttavia quando si tratti di atti generali o di natura regolamentare i quali non producono immediati effetti lesivi della sfera giuridica dei potenziali destinatari, essendo necessari - perché si produca la lesione - ulteriori atti applicativi o esecutivi dell'atto generale o regolamentare presupposto, non sorge l'onere di impugnazione immediata, dovendosi applicare il consolidato principio per il quale il soggetto leso è tenuto a impugnare cumulativamente l'atto presupposto e l'atto consequenziale, entro il termine decadenziale decorrente dalla comunicazione o dalla piena conoscenza di quest'ultimo. Nel caso di specie, pertanto, l'impugnazione congiunta proposta dalla ricorrente in primo grado è tempestiva e ricevibile. 16. Peraltro, la accertata fondatezza del primo motivo dell'appello incidentale, pur implicando la correzione della motivazione della sentenza, comporta come conseguenza il dovere di esaminare anche il motivo, riproposto con l'appello incidentale, con cui la ricorrente in primo grado ha contestato la deliberazione consiliare n. 14 del 2014 nella parte in cui ha istituito la categoria C3, deducendo la violazione dell'art. 4 del D.P.R. n. 158 del 1999, richiamato dall'art. 1, comma 651, della legge n. 147 del 2013, nonché il difetto di motivazione e la violazione dell'art. 7 della legge n. 212 del 2000. Sostiene che il riferimento ai "collegi vacanze e convivenze" non solo non è motivato, come pure sarebbe doveroso ai sensi dell'art. 7 cit., e comunque equivoco e ambiguo, ma è basato sulla equiparazione tra utenze domestiche e non domestiche che si porrebbe in contrasto con l'art. 4 del D.P.R. n. 158 del 1998 il quale prevede che la tariffa per la tassa sui rifiuti si articoli nelle due categorie di utenze e con riferimento alle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunale; così anche l'art. 1, comma 683, della legge n. 147 del 2013 secondo cui le tariffe TARI possono essere differenziate in ragione del settore di attività nonché della tipologia e della destinazione degli immobili (ma non in relazione all'andamento della raccolta differenziata). Il motivo è infondato. 16.1. L'art 1, commi 652 e 654 della legge n. 147 del 2013 richiama due principi fondamentali per la determinazione delle tariffe: il principio "chi inquina paga", sancito dall'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, che nella fase di commisurazione della tariffa deve tenere conto anche della "quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie"; la necessaria copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio. Il comma 682 stabilisce inoltre che il comune "con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, (...) determina la disciplina per l'applicazione della IUC, concernente tra l'altro: a) per quanto riguarda la TARI: 1) i criteri di determinazione delle tariffe; 2) la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti; 3) la disciplina delle riduzioni tariffarie; 4) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l'applicazione dell'ISEE; 5) l'individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell'obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all'intera superficie su cui l'attività viene svolta". 16.2. La disciplina sinteticamente richiamata, al di là dell'esplicito riferimento a riduzioni ed esenzioni, muove quindi dal riconoscimento in capo all'ente locale del potere di differenziare le tariffe TARI anche in relazione agli usi cui sono destinati gli immobili e alle attività in essi svolte, se ritenute espressive di una diversa capacità di produrre rifiuti. 16.3. La questione si è proposta in specie per la determinazione differenziata delle tariffe TARI per alberghi e altre strutture ricettive (categoria nell'ambito della quale rientra anche il riferimento a "collegi, case vacanze, convivenze" di cui alla categoria C3 introdotta dal Comune di (omissis)). Il Consiglio di Stato ha in diverse occasioni affermato la legittimità della norma regolamentare con la quale un Comune stabilisce la differenziazione del tributo a seconda del tipo di attività svolta dall'utente e segnatamente in tema di tariffa della tassa sui rifiuti per strutture ricettive (cfr. in termini già Cons. Stato, V, 10 febbraio 2009, n. 750, secondo cui "il Comune nell'ambito della propria discrezionalità e sulla scorta di adeguata motivazione procede a differenziazioni nell'ambito di una sottocategoria ed all'adeguamento delle tariffe incidendo sulle categorie avvantaggiate da tariffe precedenti senza incidere su quelle già toccate da un livello alto di imposizione di guisa che provvede e per l'effetto differenzia gli alberghi e campeggi da un lato e i Collegi dall'altro ed avvicina la tassazione dei primi due tipi di utenza a quella delle banche, degli uffici e degli studi professionali e quella dei collegi alla tassazione delle abitazioni private, solidi urbani senza con ciò incorrere in sproporzioni ed irrazionalità suscettibili di sindacato giurisdizionale"). La deliberazione consiliare che differenzia le tariffe degli alberghi rispetto a quella delle famiglie è stata considerata pienamente legittima anche dalla Corte di cassazione, che ha ripetutamente affermato il principio per cui, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, "è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dall'art. 69, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d'altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica" (Cass. civile, sez. trib., 3 agosto 2016, n. 16175; si veda anche Cass., sez. VI-trib., ord. n. 25214 del 7 dicembre 2016). 16.4. Nella giurisprudenza della Cassazione si è inoltre precisato che non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa in materia di tassa sui rifiuti poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (Cass., sez. VI-trib., 19 giugno 2018, n. 16165). 16.5. Alla luce della consolidata giurisprudenza (amministrativa e tributaria, come si è osservato) si giustifica, pertanto, la individuazione di una specifica categoria di strutture ricettive ("collegi, case vacanze, convivenze") e la differenziazione della categoria ai fini della determinazione delle tariffe. 16.6. Va peraltro ulteriormente precisato che rimangono impregiudicate le questioni relative alla riconducibilità degli immobili di proprietà della società Mi., già locati alla U.S. Navy sulla base del contratto sopra richiamato, alla categoria C3; questioni che attengono al diverso piano dell'attività di accertamento e liquidazione del tributo e che eventualmente potranno essere sollevate nel contenzioso avverso gli atti di accertamento e di riscossione, che esula dalla giurisdizione amministrativa. 17. In conclusione, l'appello principale del Comune di (omissis), l'appello incidentale di Pu. e l'appello incidentale di Mi. vanno rigettati, con la conseguente conferma della sentenza impugnata, seppure con diversa motivazione (per l'accoglimento del motivo relativo alla erronea dichiarazione di irricevibilità del ricorso di primo grado avverso la deliberazione consiliare n. 10 del 2014). 18. Le spese giudiziali del doppio grado vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello principale del Comune di (omissis), l'appello incidentale di Pu. e l'appello incidentale di Mi. e, per l'effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza impugnata. Compensa tra le parti le spese giudiziali per il doppio grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3428 del 2021, proposto da Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Comune di Savona, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Cl., Co. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pa. Cl. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 00809/2020, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Savona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Diana Caminiti e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con atto notificato in data 13 aprile 2021 e depositato in pari data il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha interposto appello avverso la sentenza del Tar per la Liguria, Sez. II, 17.11.2020, n. 809, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dal medesimo Ministero per l'annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Savona 31.03.2020, n. 7, di determinazione dell'aliquota IMU per il 2020 nella misura dell'1,14 per cento per i fabbricati non esentati. 2. Segnatamente con il ricorso di prime cure il Ministero insorgeva avverso la deliberazione de qua, avente ad oggetto la determinazione dell'aliquota IMU per l'anno 2020 con la maggiorazione dello 0,8 per mille prevista dall'art. 1, comma 755, della legge n. n. 160/2019 (legge di bilancio 2020), deducendo due motivi di censura. 2.1. Con il primo motivo, il MEF contestava la violazione dell'art. 1, comma 755, della legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020), sostenendo in sintesi che: a) la facoltà degli Enti locali di elevare l'aliquota IMU dall'1,06% all'1,14%, per gli immobili diversi dall'abitazione principale e per gli immobili non esentati dall'imposta, avrebbe presupposto, ai sensi dell'art. 1, comma 28, della legge n. 208/2015, che tale maggiorazione fosse stata applicata dall'Ente locale nel 2015 e che fosse stata confermata, con atti espressi e specifici, nonché pubblicati sul Portale del federalismo fiscale del MEF, per tutti gli anni successivi al 2015, senza alcuna soluzione di continuità temporale; 2 b) il Comune di Savona, invece, avrebbe omesso di confermare con atto espresso e specifico l'applicazione dell'aliquota massima IMU 1,14% per l'anno 2017 e 2018 di pubblicarlo sul Portale ministeriale, così perdendo in assoluto la facoltà di applicare la maggiorazione anche per gli anni successivi, compreso l'anno 2020 oggetto di causa. Con la seconda doglianza il ministero ricorrente lamentava la violazione dell'art. 1 comma 755 della legge 27.12.2019, n. 160, perché il comune non aveva esentato gli immobili ad uso produttivo accatastati sub D) e le aree edificabili dall'aggravio disposto a carico dei contribuenti; la tesi esposta nell'atto di impugnazione era che l'ente locale avrebbe errato, non ricomprendendo le due tipologie di immobili citate tra quelle escluse dall'incremento impositivo contestato. 2.2. Il Comune si costituiva in giudizio, contestando con varie argomentazioni, in fatto e in diritto, tutte le deduzioni contenute in ricorso. 3. Il Tar, condividendo le argomentazioni del Comune resistente, ha rigettato il primo motivo sulla base del rilievo che il Comune aveva deliberato il predissesto finanziario; pertanto doveva trovare applicazione la normativa derogatoria di cui all'art. 243 bis comma 8 del TUEL. In ogni caso ha evidenziato come il Comune avesse approvato la maggiorazione anche per gli anni 2017 e 2018 con la delibera approvativa del bilancio, non essendo necessario un espresso atto separato; pertanto non era ravvisabile la contestata soluzione di continuità ; la mancata pubblicazione delle delibere recanti la citata maggiorazione per gli anni pregressi sul sito del Ministero dell'Economia e della Finanze non sarebbe inoltre ostativa all'applicazione della maggiorazione in quanto in siffatta ipotesi si applicherebbero le tariffe già previste per l'anno precedente, ove operava già tale maggiorazione. Ha inoltre rigettato il secondo motivo di doglianza, rilevando che l'art. 1 comma 755 della legge 27.12.2019, n. 160 era stata formulato con riferimento ad altre disposizioni (l'articolo 1 commi 10-26 della legge 2015/208), risultando con ciò un precetto di più ardua comprensione, ma che la sua lettura, combinata con le leggi citate, imponeva di disattendere la censura, posto che nessuna previsione risalente al 2015 sottraeva tali tipologie di immobili all'imposizione. 4. Ciò posto il Ministero appellante deduce in punto di fatto che per l'anno 2020, oggetto del contenzioso in discussione, il Comune di Savona aveva adottato la d.C.C. 31.03.2020, n. 7, e l'aveva inserita nel Portale del federalismo fiscale il 12.05.2020, determinando l'aliquota IMU con la maggiorazione massima ammessa dello 0,8 per mille (1,14% in luogo dell'1,06%). In precedenza per contro il Comune aveva applicato la maggiorazione in parola, per IMU e TASI, con atti espressi e specifici, pubblicati sul Portale del MEF, per gli anni 2015 e 2016, mentre altrettanto non aveva fatto per l'anno 2017, con la conseguenza che, in tesi attorea, si sarebbe verificata una soluzione di continuità nel regime dei tributi locali in questione, ostativa all'applicazione della maggiorazione anche per l'anno 2020. Ciò in quanto la pretesa soluzione di continuità non comporterebbe nella fattispecie de qua l'applicazione dell'aliquota dell'anno precedente (2016), al contrario di quanto ritenuto dal Tar, bensì l'esclusione di qualsiasi maggiorazione dei tributi locali in discorso e, per il 2020, l'applicazione dell'aliquota normale IMU. 4.1. Ciò posto, il Ministero ha formulato i seguenti tre motivi di appello avverso la sentenza di prime cure: I) Violazione dell'art. 1, comma 28, della legge n. 208/2015. Violazione dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267/2000. Violazione art. 1, comma 755, della legge n. 160/2019. Eccesso di potere. Il Ministero contesta il primo argomento della motivazione della sentenza appellata, che, ha accolto la tesi comunale per la quale lo stato di predissesto, ritualmente deliberato con gli effetti di cui all'art. 243 bis del d.lgs. n. 267/2000, consentiva - e anzi imponeva - l'applicazione delle aliquote massime dei tributi locali senza limitazioni sostanziali, assumendo come il primo giudice avesse errato nell'interpretare l'art. 243 bis, avendo riguardo al disposto dell'art. 1 comma 26 della legge 2015/208. II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 13-bis, del d.l. n. 201/2011 e dell'art. 1, comma 688, della legge n. 147/2013. Violazione dell'art. 1, comma 755, della legge n. 160/2019. Eccesso di potere. Con il secondo motivo d'appello, l'Avvocatura critica il secondo capo della motivazione della sentenza di prime cure, reiterando la tesi per la quale il Comune, non avendo adottato e pubblicato sul Portale ministeriale atti espressi e specifici nonché esclusivi, applicativi della maggiorazione tributaria in discorso per gli anni 2017 e 2018, avrebbe definitivamente perduto tale facoltà per gli esercizi successivi e, quindi, anche per l'anno 2020, ovvero l'anno oggetto della controversia in discussione, e ciò ai sensi del comma 688 dell'art. 1 della legge n. 147/2013 e dell'art. 13, comma 13 bis, del D.L. n. 201/2011. III) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 172 del D. Lgs. n. 267 del 2000. Erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Motivazione erronea ed insufficiente. In tesi di parte appellante il già richiamato assunto dei Giudici di primo grado - secondo cui non si ravviserebbe nel caso del Comune di Savona la discontinuità contestata nel ricorso in quanto l'Ente si "determinò in argomento con le delibere consiliari 13/2007 e 10/2018" - sarebbe erroneo sotto un concorrente e diverso aspetto, vale a dire l'inidoneità di tali ultime deliberazioni a rappresentare la volontà dell'Ente; ciò in quanto i Giudici di prime cure avevano tralasciato di considerare che le aliquote e le tariffe dei tributi di competenza comunale, come previsto dalla specifica normativa in materia, devono essere oggetto di espresse e autonome manifestazioni di volontà, la quale, certamente, può essere resa con la medesima delibera che approva il bilancio ma non può essere considerata implicita nella determinazione di una posta di bilancio. Pertanto, anche laddove le deliberazioni consiliari n. 13 del 2017 e n. 10 del 2018 fossero state trasmesse tramite il Portale del federalismo fiscale, il Ministero non avrebbe, in ogni caso, potuto procedere alla pubblicazione sul sito internet www.finanze.gov.it degli atti medesimi in quanto, oltre a non essere completi nel loro contenuto trattandosi di meri "estratti" delle delibere, gli stessi non erano idonei a manifestare la volontà dell'Ente in ordine alla determinazione delle aliquote e delle tariffe dei tributi di competenza trattandosi di atti recanti la mera approvazione del bilancio di previsione. 5. Si è costituito il Comune di Savona, instando per il rigetto dell'appello. 6. L'istanza cautelare è stata rigettata da questa Sezione con l'ordinanza 2995/2021 alla stregua dei seguenti rilievi: "Ferma la necessità di approfondire in sede di merito tutte le questioni poste con i motivi dell'appello, prevale ora, ai soli fini della pronuncia sull'istanza cautelare, l'esigenza espressa dal Comune appellato di conservazione fino alla decisione di merito gli effetti del provvedimento impugnato, considerato che per l'anno 2020 l'imposta è già stata corrisposta dai contribuenti ed incassata dall'amministrazione e, per l'anno 2021 è attualmente pendente autonomo giudizio dinanzi al giudice di primo grado". 7. In vista dell'udienza di discussione della causa, il Comune appellato ha depositato articolata memoria difensiva instando per il rigetto dell'appello, mentre il Ministero appellante si è limitato a depositare note di udienza in replica a detta memoria. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 9 febbraio 2023. DIRITTO 9. Non avendo il Ministero appellante graduato le censure in senso vincolante per il giudice, non potendo la graduazione identificarsi con la mera enumerazione dei motivi, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 5 del 2015, le stesse verranno esaminate in ordine logico e con accorpamento di quelle connesse. 10. Ciò posto va senza dubbio esaminato in ordine logico il primo motivo, in quanto, ove infondato, in grado ex se di comportare il rigetto dell'appello, fondandosi esso su un capo della sentenza oggetto di gravame sufficiente a giustificare la legittimità della delibera impugnata. 10.1. Il Tar ha infatti ritenuto che la delibera gravata fosse legittima alla stregua della previsione dell'art. 243 bis comma 8 che prevede che "al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del Piano, l'ente: a) può deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente". 10.1.1. Il Tar al riguardo dapprima ha richiamato il proprio pregresso orientamento ("sentenza 2017/544"), con il quale era stata affermato il carattere "eccezionale" della "citata previsione dell'art. 243-bis del d.lvo 2000/267, come tale da applicare in via di stretta interpretazione", ma poi ha ritenuto che "tale tesi sembra debba essere abbandonata", anche valorizzando, in chiave interpretativa generale, la previsione introdotta dall'art. 1 comma 26 della legge 2015/208, nella parte in cui essa sospese l'efficacia delle leggi regionali che avevano ammesso gli aumenti al carico fiscale in materia di tributi e addizionali ai tributi, escludendo tuttavia da questo beneficio i contribuenti TARI di quei comuni che avevano deliberato il pre-dissesto o il dissesto ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico sugli enti locali, ricavando da tale elemento normativo "un riferimento puntuale che induce a ritenere che la deliberazione di pre-dissesto non elide il potere comunale di aumentare le aliquote sui tributi locali. Il T.A.R. ha quindi escluso ogni applicazione restrittiva dell'art. 243 bis comma 8 del TUEL, attribuendo rilievo dirimente al fatto (pacifico) che "l'ente resistente ha effettivamente disposto a proprio carico la situazione di pre-dissesto con la prodotta delibera consiliare 41/2016, sì che tale norma impone di disattendere l'argomento addotto in causa, secondo cui tale stato delle finanze comunali non sarebbe rilevante ai fini della possibilità di applicare l'aliquota più alta". 10.2. L'appellante Ministero al riguardo contesta l'argomento addotto dal Tar al fine di motivare in ordine al carattere non eccezionale dell'art. 243 bis TUEL, secondo cui l'efficacia derogatoria dell'art. 243 bis citato aveva trovato conferma, oltre che nel chiaro tenore letterale della norma, anche nell'art. 1, comma 26, della legge n. 208/2015, evidenziando come il primo giudice avrebbe confuso la TASI con la TARI ed avrebbe addirittura qualificato come "nuovo" tributo per l'esercizio 2020 l'IMU, in quanto incorporante la TASI, laddove per contro la TARI citata nella norma richiamata aveva conservato la sua autonomia. L'ipotesi del ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'art. 243- bis del D. Lgs. n. 267 del 2000 - cosiddetto predissesto - costituisce infatti, secondo la prospettazione del Ministero appellante, una delle eccezioni alla misura di riduzione della pressione fiscale disciplinata dal comma 26 richiamato dal giudice di prime cure, ma la fattispecie che viene in considerazione nella fattispecie de qua è il successivo comma 28, riferito alla maggiorazione della TASI, che, invece, non conterrebbe una simile disposizione derogatoria. Il Tar sarebbe incorso pertanto in errore nell'aderire alla tesi del Comune resistente, invocando il citato comma 26 a supporto della presunta legittimità dell'aumento operato dall'Ente, trascurando di considerare che tale comma si riferisce ad una fattispecie del tutto diversa rispetto alla previgente maggiorazione della TASI, oggetto del comma 28 dell'art. 1 della medesima legge, e dal potere di aumento dell'aliquota dell'IMU oltre l'1,06 per cento introdotto dall'art. 1, comma 755, della legge n. 160 del 2019, in sostituzione della maggiorazione stessa. In particolare, detto comma 26 - del tutto impropriamente richiamato dal Giudice di prime cure al fine di considerare legittima la fissazione, per l'anno 2020, da parte del Comune di Savona, dell'aliquota dell'IMU dell'11,4 per mille - prevedeva una misura straordinaria di sospensione degli aumenti dei tributi locali, per gli anni 2016 e 2017, che nulla ha a che vedere con la maggiorazione di cui si discute, non consentendo di oltrepassare il livello massimo di imposizione stabilito dal legislatore statale. 11. Il motivo è ammissibile e fondato. 11.1. Ed invero al riguardo va disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata da parte del Comune di Savona, fondata sul rilievo che sarebbe rimasta inoppugnata la specifica motivazione in forza della quale il primo giudice aveva ritenuto la previsione di cui all'art. 243 bis comma 8 del T.U.E.L. certamente applicabile alla fattispecie, sulla scorta della sua (non eccezionale) portata applicativa e del suo preliminare inquadramento sistematico; ciò in quanto il Ministero non solo ha contestato il richiamo operato dalla sentenza appellata al disposto dell'art. 1, comma 26, della legge n. 208/2015, evidenziando come il primo giudice aveva confuso la TASI con la TARI ed aveva addirittura qualificato come "nuovo" tributo per l'esercizio 2020 l'IMU in quanto incorporante la TASI, laddove per contro la TARI citata nella norma richiamata aveva conservato la sua autonomia, ma ha del pari fatto leva sulla circostanza che l'art. 243-bis comma 8 del TUEL prevede che l'ente in predissesto possa aumentare le aliquote e le tariffe dei tributi locali "nella misura massima consentita" e, non di certo, oltre tale misura; ha inoltre affermato, come innanzi precisato che l'ipotesi del ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'art. 243- bis del D. Lgs. n. 267 del 2000 - cosiddetto predissesto - costituisce una delle eccezioni alla misura di riduzione della pressione fiscale disciplinata dal comma 26 in disamina, laddove nell'ipotesi di specie assumerebbe rilievo il successivo comma 28. Il motivo, così come formulato, è pertanto idoneo ex se a contestare in parte qua la sentenza di prime cure. 11.2. Lo stesso è inoltre fondato in quanto come chiarito dal C.G.A.R.S. con la recente sentenza n. 37 del 2022 non può ritenersi prevalente l'art. 243 bis c. 8 lett. a) d.lgs. 267 del 2000, per il quale "Al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, l'ente: a) può deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente; (...)", in quanto tale previsione, nel ricorrere dei relativi presupposti, consente di fissare le aliquote nella misura massima consentita, ma non anche di derogare, come nella specie, ai limiti massimi consentiti", ovvero di consentire la maggiorazione dell'IMU, in continuità con la previgente maggiorazione della TASI. 11.2.1. Né appare conferente, al fine di giustificare l'aumento dell'IMU oltre il limite massimo consentito, il richiamo operato dal giudice di prime cure all'art. 1, comma 26, della legge n. 208/2015, non solo per il rilievo che la TARI, cui fa riferimento tale disposto normativo, ha mantenuto la sua autonomia, per cui appare incongruente il riferimento all'IMU anno 2020 incorporante la TASI, ormai soppressa, ma per il fondamentale rilievo che detto disposto normativo prevedeva una misura straordinaria di sospensione degli aumenti dei tributi locali, per gli anni 2016, 2017 e 2018, laddove nell'ipotesi di specie viene in rilievo una maggiorazione IMU per l'anno 2020. Infatti il comma in esame si limita a prevedere che "Al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, per gli anni 2016, 2017 e 2018 è sospesa l'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015. Per l'anno 2018 la sospensione di cui al primo periodo non si applica ai comuni istituiti a seguito di fusione ai sensi degli articoli 15 e 16 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al fine di consentire, a parità di gettito, l'armonizzazione delle diverse aliquote. Sono fatte salve, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e all'articolo 2, commi 79, 80, 83 e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonché la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell'accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti. La sospensione di cui al primo periodo non si applica alla tassa sui rifiuti (TARI) di cui all'articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e a decorrere dal 2017 al contributo di sbarco di cui all'articolo 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, né per gli enti locali che deliberano il predissesto, ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o il dissesto, ai sensi degli articoli 246 e seguenti del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000". 12. Ciò posto il secondo e terzo motivo di appello, in grado comunque ove infondati, di comportare il rigetto dell'appello, sia pure in parte con diversa motivazione - stante l'accoglimento del primo motivo - possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi. Il Giudice di prime cure ha infatti respinto l'originaria censura ricorsuale, fondata sul presupposto della soluzione di continuità con gli aumenti TASI disposti per gli anni antecedenti, sul rilievo che, in effetti, "l'amministrazione si determinò in argomento con le delibere consiliari 13/2017 e 10/2018, sì che la discontinuità contestata dal ricorso non può essere ravvisata". 12.1. Con il secondo motivo il MEF lamenta che il TAR non avrebbe considerato "il carattere straordinario della norma recata dall'art. 1, comma 28, della legge n. 208 del 2015", la quale, a suo dire, avrebbe imposto, ai fini della "adozione senza soluzione di continuità ", "una espressa deliberazione, valida ed efficace, di conferma della maggiorazione", da pubblicare "entro i termini previsti dalla legge sul sito www.finanze.gov.it ai fini dell'acquisizione di efficacia delle stesse" laddove non essendo state dette delibere trasmesse al MEF la pubblicazione non era avvenuta. Il Tar pertanto avrebbe errato ad interpretare l'art. 1, comma 688, della legge n. 147 del 2013 in combinato disposto con l'art. 1, comma 755, della legge n. 160 del 2019. In tesi di parte appellante infatti, ai fini dell'acquisizione di efficacia della deliberazione di conferma della maggiorazione della TASI, e del conseguente rispetto delle condizioni poste dal citato comma 28 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, sarebbe necessario che tale deliberazione venga pubblicata sul predetto sito internet del Ministero dell'Economia e delle Finanze; detto presupposto non si era verificato per il Comune di Savona, non risultando pubblicate né le suddette deliberazioni n. 13 del 2017 e n. 10 del 2018, né alcun altro atto. Il TAR per la Liguria, nella sua motivazione carente e contraddittoria avrebbe pertanto omesso di considerare il carattere straordinario della norma recata dall'art. 1, comma 28, della legge n. 208 del 2015, che impone l'adozione, senza soluzione di continuità, di una espressa deliberazione, valida ed efficace, di conferma della maggiorazione. 12.2. Con il terzo motivo il Ministero appellante assume l'erroneità della statuizione di prime cure per non avere considerato che, anche laddove le deliberazioni consiliari n. 13 del 2017 e n. 10 del 2018 fossero state trasmesse tramite il Portale del federalismo fiscale, il Ministero non avrebbe, in ogni caso, potuto procedere alla pubblicazione sul sito internet www.finanze.gov.it degli atti medesimi in quanto, oltre a non essere completi nel loro contenuto trattandosi di meri "estratti" delle delibere, gli stessi non erano idonei a manifestare la volontà dell'Ente in ordine alla determinazione delle aliquote e delle tariffe dei tributi di competenza trattandosi, come evincibile dallo stesso oggetto degli stessi, di atti recanti la mera approvazione del bilancio di previsione. 13. Prima di procedere alla disamina di tali censure giova richiamare la normativa in materia. La maggiorazione del tributo per i servizi indivisibili (TASI) dello 0,8 per mille era prevista dall'art. 1, comma 677, terzo periodo, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (prima della sua abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2020, ad opera dell'art. 1, comma 780, della legge n. 160 del 2019), ai sensi del quale "Per gli stessi anni 2014 e 2015, nella determinazione delle aliquote TASI possono essere superati i limiti stabiliti nel primo e nel secondo periodo, per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille (...).". Il primo periodo dello stesso comma 677 stabiliva che "Il comune,..., può determinare l'aliquota (della TASI) rispettando in ogni caso il vincolo in base al quale la somma delle aliquote della TASI e dell'IMU per ciascuna tipologia di immobile non sia superiore all'aliquota massima consentita dalla legge statale per l'IMU al 31 dicembre 2013, fissata al 10,6 per mille e ad altre minori aliquote, in relazione alle diverse tipologie di immobile". Le altre minori aliquote devono essere riferite al 6 per mille stabilito dall'art. 13, comma 7, del D. L. n. 201 del 2011 (anch'esso abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2020, dal citato art. 1, comma 780, della legge n. 160 del 2019), per l'abitazione principale, che è stata esclusa dall'imposta municipale propria (IMU) solo a partire dal 2014, ad eccezione delle abitazioni classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Il secondo periodo di detto comma 677 prevedeva, inoltre, l'ulteriore vincolo secondo cui "Per il 2014 e per il 2015, l'aliquota massima (della TASI) non può eccedere il 2,5 per mille". La maggiorazione della TASI consisteva, pertanto, nella possibilità per il comune di superare, per un ammontare complessivamente non eccedente lo 0,8 per mille, i due limiti innanzi indicati, vale a dire quello relativo alla somma delle aliquote dell'IMU e della TASI - che non poteva superare il 10,6 per mille per gli immobili diversi dall'abitazione principale e il 6 per mille per l'abitazione principale c.d. di lusso - e quello relativo all'aliquota massima della TASI, che, per gli anni 2014 e 2015, non poteva eccedere il 2,5 per mille. La facoltà attribuita ai comuni dal menzionato terzo periodo dell'art. 1, comma 677, della legge n. 147 del 2013, era stata inizialmente prevista per il solo anno 2014 ed era stata riconfermata, ad opera dell'art. 1, comma 679, lett. b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per l'anno 2015. In materia, è in seguito intervenuto l'art. 1, comma 28, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, il quale, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1133, lett. b), della legge 30 dicembre 2018, n. 145, stabilisce che "Per l'anno 2016, limitatamente agli immobili non esentati ai sensi dei commi da 10 a 26 del presente articolo, i comuni possono mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la maggiorazione della TASI di cui al comma 677 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella stessa misura applicata per l'anno 2015. Per l'anno 2017, i comuni che hanno deliberato ai sensi del periodo precedente possono continuare a mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la stessa maggiorazione confermata per l'anno 2016. Per l'anno 2018, i comuni che hanno deliberato ai sensi del periodo precedente possono continuare a mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la stessa maggiorazione confermata per gli anni 2016 e 2017. Per l'anno 2019 i comuni che hanno deliberato ai sensi del periodo precedente possono continuare a mantenere con espressa deliberazione del consiglio comunale la stessa aliquota confermata per gli anni 2016, 2017 e 2018". Pertanto, successivamente all'anno 2015, l'applicazione della maggiorazione in discorso poteva avvenire a condizione che la maggiorazione medesima fosse stata applicata nell'anno 2015 ed espressamente confermata di anno in anno. 13.1. Successivamente all'abolizione, a decorrere dall'anno 2020, del tributo per i servizi indivisibili (TASI) recata dall'art. 1, comma 738, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020) il comma 755 dell'art. 1 della medesima legge ha previsto, in sostituzione della maggiorazione stessa, la possibilità di applicare l'aumento dell'aliquota dell'IMU oltre l'1,06 per cento e fino all'1,14 per cento. Detto comma 755, in particolare, dispone infatti che "A decorrere dall'anno 2020, limitatamente agli immobili non esentati ai sensi dei commi da 10 a 26 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, i comuni, con espressa deliberazione del consiglio comunale, pubblicata nel sito internet del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi del comma 767, possono aumentare ulteriormente l'aliquota massima nella misura aggiuntiva massima dello 0,08 per cento, in sostituzione della maggiorazione del tributo per i servizi indivisibili (TASI) di cui al comma 677 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella stessa misura applicata per l'anno 2015 e confermata fino all'anno 2019 alle condizioni di cui al comma 28 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015". 14. Ciò posto, il Ministero con il secondo e terzo motivo di appello sostanzialmente assume il difetto dei presupposti per l'applicazione del citato disposto dell'art. 1 comma 755 della legge 160 del 2019, non essendo state le deliberazioni consiliari n. 13 del 2017 e n. 10 del 2018 trasmesse al Ministero ai fini della loro pubblicazione e non essendo in grado le stesse di manifestare la volontà dell'Ente, posto che l'aumento dell'aliquota massima della TASI, lungi dall'essere espresso con separate determinazioni, era semplicemente desumibile dall'approvazione del bilancio. 14.1. I motivi, strettamente connessi, devono essere disattesi. 14.1.1.Ed invero come già ritenuto da questa Sezione con la recente sentenza n. 4942 del 16 giugno 2022, in un caso del tutto ana a quello di specie - avente, in particolare, ad oggetto l'impugnativa da parte del Ministero di una deliberazione comunale di conferma della precedente maggiorazione non pubblicata sul sito internet dipartimentale - la pubblicazione sul sito internet dipartimentale, in quanto mera condizione di efficacia per la maggiorazione dell'anno di riferimento, non è necessaria ai fini della continuità nell'applicazione della maggiorazione in discorso. Infatti come ricordato con tale precedente "la ratio della normativa esaminata è, come diffusamente evidenziato in premessa (cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2019, n. 121), quella di autorizzare gli enti locali alla conservazione e al mantenimento della operata maggiorazione di aliquota per le annualità di imposta successive al 2015 (e fino al 2019), se ed in quanto la relativa opzione fosse stata espressamente e tempestivamente formalizzata, senza soluzione di continuità, a mezzo di apposita delibera consiliare (assoggettata, sotto il profilo della efficacia, allo specifico onere di pubblicazione: in difetto del quale, infatti, la delibera - per quanto di per sé non invalida - non avrebbe potuto sortire effetto, trovando in tal caso dichiaratamente applicazione, relativamente agli obblighi fiscali dei contribuenti, un regime di invarianza rispetto alle pregresse annualità : cfr. art. 1, comma 688 l. n. 147/2013 cit.). In altri termini, la sanzione della inefficacia (relativa ed in parte qua) della deliberazione (e dei regolamenti) non pubblicati sul sito del Ministero non incide di per sé sulla (complessiva) legittimità della stessa, relativamente alla mera riconferma dell'aliquota dell'anno precedente. Del resto, se così non fosse, la sanzione scolpita dall'art. 1, comma 688 della l. n. 147 cit. verrebbe implausibilmente estesa e generalizzata a tutte le delibere consiliari (sia a quelle relative alla variazione o all'incremento delle aliquote, sia a quelle intese alla mera conferma in continuità ): il che risulta obiettivamente incoerente con la previsione del mero regime di invarianza rispetto alla precedente annualità (nel senso che tale regime si giustifichi in termini di sterilizzazione degli eventuali incrementi, non avendo per contro pratico senso per l'ipotesi della mera conferma, che lascerebbe come chessia invariato il quadro delle aliquote, in quanto già maggiorate per la pregressa annualità ). Il quadro normativo delineato deve perciò intendersi nel complessivo senso: a) che le delibere consiliari che potevano essere assunte ai sensi dell'art. 1, commi 677, della l. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014, novellata per il 2015), con variazioni o incrementi, erano soggette all'obbligo di pubblicazione sul sito del Ministero ai sensi dell'art. 1, comma 688 della medesima legge, sanzionato con l'inefficacia delle stesse e con l'applicazione degli atti adottati per l'anno precedente; b) le delibere consiliari meramente confermative delle previgenti aliquote che potevano essere assunte ai sensi dell'art. 1, comma 28, della successiva l. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016, novellata per gli anni 2017 e 2018), erano soggette (solo) all'obbligo di pubblicazione ai sensi della norma generale contenuta nell'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997. Nella specie il Comune intimato ha senza soluzione di continuità confermato, fino alla delibera oggetto del presente giudizio, la scelta per l'aliquota maggiorata, ancorché l'omissione pubblicitaria relativa al 2016 abbia reso virtualmente inoperante, limitatamente al relativo anno di imposta, la relativa determinazione (operando, peraltro, il descritto regime di invarianza rispetto al 2015). In ogni caso per l'anno 2017 risulta - senza contestazioni - tempestivamente approvata e ritualmente pubblicata (essendo, per tal via, pienamente efficace) la delibera n. 17 del 31 marzo 2017: la quale - come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata - deve riguardarsi come requisito necessario e sufficiente per il rinnovato esercizio della facoltà di conferma". Analogamente nell'ipotesi di specie è pacifico che la delibera relativa alla maggiorazione IMU per l'anno 2020 sia stata ritualmente pubblicata, per cui deve pervenirsi all'analoga conclusione cui la Sezione è giunta con l'indicato precedente. 14.1.2. In ogni caso, a prescindere da tale assorbente rilievo, l'asserita soluzione di continuità con gli aumenti TASI disposti per gli anni pregressi avrebbe dovuto essere contestata con l'impugnativa della deliberazione riferita all'aumento della TASI per l'anno 2019; in assenza di detta impugnativa pertanto il Ministero non poteva denunciare l'assenza del presupposto legittimante la maggiorazione Imu per l'anno 2020. 15. L'appello va pertanto rigettato, dovendosi confermare la sentenza appellata sia pure con diversa motivazione. 16. Le spese di lite del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta, confermando la sentenza appellata con diversa motivazione. Condanna il Ministero appellante alla refusione delle spese di lite nei confronti del Comune di Savona, liquidate in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre oneri accessori, se dovuti, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4502 del 2020, proposto dalla società Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Co., Gi. Ri. e Al. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Co. in Roma, viale (...); contro la Città metropolitana di Venezia ed il Consiglio di bacino Venezia Ambiente, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. Br., Fa. Fr. e Ka. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. in Roma, piazza (...); per la riforma della sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, 20 settembre 2019 n. 1012, che ha respinto il ricorso n. 1318/2018 R.G. proposto per l'annullamento: a) della determinazione 20 agosto 2018 n. 2621, trasmessa con raccomandata a.r. il giorno 29 agosto 2018, con la quale il Dirigente del Settore ambiente della Città metropolitana di Venezia ha modificato l'autorizzazione ordinaria rilasciata con determinazione 31 gennaio 2018 n. 342 per l'esercizio dell'impianto di recupero rifiuti di proprietà della Co. S.r.l. situato in via (omissis) a (omissis) (VE), reintroducendo la prescrizione di cui al punto 21 e quindi il divieto di ricevere in impianto "rifiuti urbani provenienti da civili abitazioni, nell'ambito della Regione Veneto, se non conferiti da soggetto munito di tutte le abilitazioni previste dalla vigente normativa, ivi incluso l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto, avvio a smaltimento e recupero", ai sensi dell'art. 3, comma 6, della l.r. Veneto 31 dicembre 2012 n. 52; di ogni altro atto connesso per presupposizione e consequenzialità, e in particolare: b) della nota 10 agosto 2018 n. 624 del Consiglio di bacino Venezia Ambiente; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città metropolitana di Venezia e del Consiglio di bacino Venezia Ambiente; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente appellante gestisce a (omissis), in via (omissis), un impianto di recupero rifiuti, autorizzato in origine con la determinazione dell'allora Provincia di Venezia 12 febbraio 2014 n. 4027, che le consentiva, non contenendo sul punto alcun divieto, di ricevere anche rifiuti urbani da avviare a recupero provenienti da abitazioni civili e conferiti da produttori privati (doc. 4 in I grado ricorrente appellante), che per dato di comune esperienza sono normalmente costituiti da rottami metallici. 2. Al momento di rinnovare l'autorizzazione, la Città metropolitana, subentrata alla Provincia, nel relativo provvedimento 31 gennaio 2018 n. 243, ha inserito una prescrizione, contrassegnata dal numero 21, secondo la quale "Non potranno essere ricevuti rifiuti urbani provenienti da civili abitazioni, nell'ambito della Regione Veneto, se non conferiti da soggetto munito di tutte le abilitazioni previste dalla vigente normativa, ivi incluso l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto, avvio a smaltimento e recupero ai sensi dell'art. 3 comma 6 della L.R. 52/2012" (doc. 2 in I grado ricorrente appellante). 3. Tale prescrizione è stata resa nuovamente esplicita nell'ulteriore atto di conferma dell'autorizzazione, il provvedimento 20 agosto 2018 n. 2621 qui impugnato, che la riporta testualmente nel dispositivo (doc. 1 in I grado ricorrente appellante). 4. Il provvedimento 20 agosto 2018 in esame motiva richiamando il parere 10 agosto 2018 del Consiglio di bacino pure indicato in epigrafe, secondo il quale ai sensi dell'art. 3, comma 6, della l.r. Veneto 31 dicembre 2012 n. 52, conforme poi alla normativa nazionale, per il servizio di raccolta, trasporto, avvio a smaltimento e recupero dei rifiuti urbani esisterebbe una privativa complessiva a favore del Comune, estesa perciò anche al recupero, privativa che l'ente esercita in forma associata tramite il Consiglio di bacino (doc. 3 in I grado ricorrente appellante, parere). 5. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il Tar ha respinto il ricorso dell'impresa, ritenendo in sintesi che la privativa effettivamente esista, in base all'art. 25, comma 4, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella l. 24 marzo 2012, n. 27, per cui fra le attività facenti parte della gestione integrata dei rifiuti, che i Comuni esercitano come si è detto in regime di privativa, è ricompresa anche l'avvio a recupero. 6. La società ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene i seguenti tre motivi. 6.1 Con i primi due, si sostiene che la privativa comunale in materia sarebbe invece esclusa dalle norme vigenti e, in particolare, dall'art. 198 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; avrebbe errato il Giudice di I grado nel considerarla una norma ad esaurimento, valida soltanto sino all'assegnazione del servizio agli aggiudicatari. 6.2 Con il terzo motivo di appello, si sostiene la disparità di trattamento rispetto agli operatori la cui autorizzazione è stata mantenuta in vigore alle precedenti condizioni. 6.3 Ha chiesto, infine, la concessione di misure cautelari, in base al drastico calo di fatturato che sarebbe derivato dalla prescrizione impugnata. 7. Hanno resistito la Città metropolitana ed il Consiglio di bacino, con atti 16 giugno e memorie 23 luglio 2020, chiedendo che l'appello sia respinto. 8. Alla camera di consiglio del giorno 30 luglio 2020, il Collegio, su conforme richiesta delle parti, ha disposto il differimento dell'esame dell'incidente cautelare all'udienza pubblica di discussione del merito della causa da fissare in un momento successivo. 9. Di conseguenza, il giorno 24 novembre 2022, la ricorrente appellante ha presentato istanza di prelievo. 10. Con memorie 31 marzo 2023 per tutte le parti e con repliche 11 aprile 2023 per la ricorrente appellante e 13 aprile 2023 per la Città ed il Consorzio, le parti hanno ribadito le rispettive asserite ragioni. 11. Alla pubblica udienza del giorno 4 maggio 2023, fissata all'esito dell'istanza di cui sopra, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione. 12. I primi due motivi di appello, che come si è detto negano in sintesi l'esistenza di una privativa pubblica sull'attività di recupero per cui è causa, sono fondati ed assorbenti, nei termini ora illustrati. 13. È necessario ricostruire la normativa rilevante, a partire da quella che riguarda direttamente la "privativa" di cui si discute. 13.1 Sul punto, per quanto qui interessa, disponeva a suo tempo l'art. 21, comma 1, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, cd decreto Ronchi: "I Comuni effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142 e dell'articolo 23". Si trattava di una gestione all'interno di un ambito territoriale ottimale, sistema peraltro attualmente seguito. Il sistema di "privativa" era, quindi, espressamente previsto da questa norma. 13.2 Alla norma sul regime di privativa faceva poi eccezione il comma 7 dello stesso articolo, che nel testo originale disponeva: "La privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero dei rifiuti che rientrino nell'accordo di programma di cui all'articolo 22, comma 11". Si trattava di una particolare ipotesi, qui non rilevante, di impianti all'interno di insediamenti industriali "ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati". 13.3 Il citato comma 7 è stato poi modificato dall'art. 23 della l. 31 luglio 2002 n. 179, nel senso che: "La privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, a far data dal 1 gennaio 2003". 13.4 Il decreto Ronchi è stato poi abrogato e sostituito dal vigente d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che, nella sua prima formulazione, aveva previsto la gestione integrata dei rifiuti da parte delle Autorità d'ambito le quali, ai sensi dell'art. 201 comma 4, dovevano affidare: "a) la realizzazione, gestione ed erogazione dell'intero servizio, comprensivo delle attività di gestione e realizzazione degli impianti; b) la raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani prodotti all'interno dell'ATO" ovvero ambito territoriale ottimale, individuato secondo lo stesso d.lgs. 152/2006. 13.5 Peraltro, le Autorità di ambito sono state abolite per effetto dell'art. 2, comma 186 bis, della l. 23 dicembre 2009 n. 191, come modificato dall'art. 1 comma 1 quinquies del d.l. 25 gennaio 2010 n. 2 convertito nella l. 26 marzo 2010 n. 42 e l'art. 201 in questione è stato abrogato con effetto dal 31 dicembre 2012 per effetto dell'art. 13 comma 2 del d.l. 29 dicembre 2011 n. 216 convertito nella l. 24 febbraio 2012 n. 14. 13.6 Sempre in base all'art. 2, comma 186 bis, della l. 191/2009, le funzioni già proprie delle soppresse Autorità di ambito sono ora disciplinate con propria legge dalle Regioni. 13.7 Il concetto di gestione integrata del servizio rifiuti è invece ora previsto da una norma a sé stante, esterna al d.lgs. 152/2006, ovvero dall'art. 25 comma 4 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito nella l. 24 marzo 2012 n. 27, per cui: "Per la gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani sono affidate ai sensi dell'articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e nel rispetto della normativa europea e nazionale sull'evidenza pubblica, le seguenti attività : a) la gestione ed erogazione del servizio che può comprendere le attività di gestione e realizzazione degli impianti; b) la raccolta, la raccolta differenziata, la commercializzazione e l'avvio a smaltimento e recupero, nonché, ricorrendo le ipotesi di cui alla lettera a), smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all'interno dell'ATO". 13.8 Sulla base di questa norma, come osserva il Giudice di I grado, il servizio integrato di gestione dei rifiuti comprende ora, a differenza di quanto avveniva sulla base dell'art. 201 del d. lg. 152/2006, anche il "recupero"; peraltro, sempre sulla base delle norme sin qui descritte, che hanno abolito la gestione necessariamente unitaria delle Autorità, esso non è più configurato come un tutto inscindibile; è anzi possibile che nell'ambito di un ATO si affidino tutto il servizio ovvero singoli segmenti di esso separatamente. 14. Nel contesto appena descritto, si innesta la norma dell'art. 198 d.lgs. 152/2006, secondo la quale: "I Comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all'inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall'ente di governo dell'ambito ai sensi dell'articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 26". La norma in questione, come subito si vedrà, è oggetto di interpretazioni contrastanti. 15. Ad avviso del Giudice di I grado, in sintesi, essa prevede una privativa a favore dei Comuni estesa anche alla raccolta per l'avvio a recupero, in quanto avrebbe tre significati. In primo luogo, essa nel momento in cui cita il "regime di privativa" si riferirebbe alla privativa preesistente, quella prevista dal decreto Ronchi, che come si è visto non ha mai ricompreso l'attività di recupero. In secondo luogo, si tratterebbe di una norma ad esaurimento, valida sin quando non si fosse avviata la gestione affidata mediante gara. Infine, per effetto dell'affidamento a gara, alla privativa preesistente, non comprensiva del recupero, si sarebbe sostituita una privativa nuova, che invece il recupero comprenderebbe, sulla base delle norme sulla gestione integrata di cui si è detto. 16. Alla stessa conclusione, se pure sulla base di considerazioni in parte diverse, è arrivata la risposta, resa in sede di cd interpello ambientale ai sensi dell'art. 3 septies del d.lgs. 152/2006, dal Ministero della transizione ecologica con nota 8 marzo 2022 prot. n. 28965. 16.1 La risposta in questione parte anch'essa dalla considerazione per cui ai sensi dell'art. 198 d.lgs. 152/2006 i Comuni concorrono alla gestione dei rifiuti nell'ambito dell'ATO, e aggiunge che essi sono tenuti a disciplinare, sulla base della norma stessa, con propri regolamenti tutte le fasi della gestione e ad affidare il servizio, direttamente o per mezzo degli enti regionali di ambito, ai gestori. 16.2 Ciò premesso, la risposta osserva che "una eventuale raccolta svolta da soggetti terzi, non affidatari del servizio pubblico di gestione e diversi dai soggetti autorizzati dai Consorzi, potrebbe comportare una sottrazione di alcuni flussi di rifiuti per i Comuni sia ai fini delle quantità di rifiuti oggetto dell'affidamento del servizio integrato sia ai fini del raggiungimento degli obblighi di raccolta differenziata, nonché per i consorzi di filiera, i quali potrebbero sia non riuscire ad adempiere agli obblighi ad essi attribuiti sia perderne la tracciabilità, indispensabile per il raggiungimento dei target di recupero. Peraltro, una simile ipotesi potrebbe condurre alla indeterminatezza dei costi delle operazioni di raccolta oltre che per i Comuni anche per l'utenza domestica, che è comunque tenuta alla corresponsione della TARI anche qualora il ritiro venga effettuato da altro soggetto". 16.3 Pertanto, conclude nel senso che: "le attività di raccolta e di trasporto dei rifiuti urbani, indipendentemente che essi siano destinati allo smaltimento (in regime di privativa) o al recupero (libero mercato), rientrino nella competenza dei Comuni ovvero degli EGATO, anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani. Appare evidente come i cittadini siano tenuti a conferire i propri rifiuti nell'ambito del servizio di raccolta pubblico e non possano autonomamente scegliere soggetti diversi dal gestore, individuato dall'amministrazione, per il ritiro degli stessi". 17. La tesi opposta, non condivisa dal Giudice di I grado, per cui non esisterebbe alcuna privativa comunale sull'attività di raccolta rifiuti per l'avvio a recupero, è invece sostenuta dalla ricorrente appellante sulla base di una diversa lettura della norma riportata dell'art. 198 d.lgs. 152/2006, per cui essa, "in continuità con la normativa previgente e, segnatamente, con l'art. 21, comma 7, del D lgs. 22/97" andrebbe a ribadire che "la privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, da intendersi in senso lato fino a comprendere anche le attività di avvio al recupero, che debbono pertanto ritenersi suscettibili di essere svolte anche dai privati muniti delle prescritte autorizzazioni ambientali", tra i quali vi è pacificamente la ricorrente appellante stessa. 18. Il Collegio ritiene corretta quest'ultima tesi, nei termini che seguono, in base ad una lettura complessiva del sistema, sulla base dei condivisibili argomenti contenuti nella sentenza C.G.A. Sicilia 30 marzo 2022 n. 410 18.1 In primo luogo, e già in termini di puro principio, si ritiene che nel nostro ordinamento, in cui ai sensi dell'art. 117 Cost., vige il principio di concorrenza previsto negli artt. 101-109 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Ne consegue che un regime di privativa e dunque di "riserva di attività ", per essere ammesso nel sistema, deve essere sia previsto da una esplicita norma di legge senza che possa essere ricavato o esteso in via interpretativa, sia giustificato alla luce del principio di concorrenza. 18.2 Sotto questo profilo, si osserva allora che dalle norme sulla gestione integrata del servizio citate dal Giudice di I grado, ovvero attualmente dall'art. 2 comma 186 bis l. 191/2009 che prevede la competenza regionale e dall'art. 25 comma 4 del d.l. 1/2012 non si desume in modo espresso l'esistenza di alcuna privativa e tantomeno di una privativa estesa al recupero. Le uniche norme di legge che richiamano espressamente la "privativa" sono allora quelle dell'art. 21 del d.lgs. 22/1997 e quelle dell'art. 198 d.lgs. 152/2006 che nel primo caso ne eccettuano espressamente il recupero e nel secondo non ne parlano affatto. 18.3 Sotto altro profilo, come si è detto, il Collegio condivide poi la ricostruzione del sistema operata dalla citata sentenza C.G.A. 410/2022. 18.4 Occorre partire dalla direttiva europea "Rifiuti" 2008/98/CE, che anzitutto nel considerando 6 indica come obiettivo principale di qualunque politica in materia quello di "ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente" e all'art. 15 prescrive agli Stati membri di adottare "le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un'impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato", prefigurando così, come affermato nella sentenza 410/2022, un "sistema complesso nel quale agiscono vari soggetti, pubblici e privati" 18.5 Queste indicazioni sono recepite dalla normativa nazionale e, in particolare, dall'art. 177 del d.lgs. 152/2006, secondo il quale i soggetti pubblici possono esercitare le loro competenze anche "avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d'intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati". 19. Sotto altro profilo, la direttiva indica, all'art. 23, lo strumento a disposizione degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi indicati, là dove prevede che essi "impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l'autorizzazione dell'autorità competente". Questo regime autorizzatorio non è però universale, dato che ai sensi del successivo art. 24 gli stessi Stati membri possono escludere la necessità dell'autorizzazione in due casi, uno dei quali è proprio l'attività di recupero. 20. Sempre condividendo quanto afferma la sentenza 410/2022, il Collegio osserva allora che la scelta di un regime autorizzatorio, per di più derogabile, è di per sé contraria alla previsione di una privativa in materia, sia di carattere generale, sia nel caso particolare del recupero, che come si è visto potrebbe svolgersi anche senza autorizzazione e ciò, si aggiunge, anche sulla base dei principi europei di proporzionalità e adeguatezza così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, a partire dalla nota sentenza 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite. 21. La logica della disciplina europea, e della conforme disciplina nazionale, è allora quella per cui l'attività in esame può esser svolta da più soggetti, purché nel rispetto degli interessi pubblici coinvolti, mentre non vi è spazio per ricavare l'esistenza di una privativa, là dove non espressamente prevista. Ciò è tanto più vero, si osserva, proprio nel caso dell'attività di recupero, che la direttiva all'art. 10 incentiva in modo particolare. 22. La sentenza 410/2022, pur non citandola direttamente, si fa carico di affrontare anche le criticità considerate dalla risposta a interpello 8 marzo 2022, con soluzioni che pure il Collegio condivide. Alla preoccupazione per cui l'attività di un operatore il quale raccolga e avvii al recupero determinati rifiuti direttamente dai privati potrebbe influire in negativo sul calcolo delle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere, si risponde infatti che la tematica può essere disciplinata dal Comune con apposite convenzioni, sulla base del principio di leale collaborazione fra soggetti pubblici e privati. 23. Sul punto, è il caso di ricordare che il soggetto il quale eserciti un'attività di recupero come quella di cui si tratta è per definizione un gestore ambientale, come tale iscritto al relativo Albo e tenuto a documentare, attraverso il registro di carico e scarico di cui all'art. 190 d.lgs. 152/2006, "per ogni tipologia di rifiuto la quantità prodotta, la natura e l'origine di tali rifiuti e la quantità dei prodotti e materiali ottenuti dalle operazioni di trattamento quali preparazione per riutilizzo, riciclaggio e altre operazioni di recupero". Non vi è quindi nessun ostacolo a che il soggetto in questione possa fornire al Comune interessato tutti i dati necessari a che esso dimostri che nel proprio territorio gli obiettivi di raccolta differenziata si raggiungono anche con l'apporto del privato. 24. La fondatezza dei due primi motivi di appello assorbe il terzo, che presuppone quanto si è appena escluso, ovvero che la privativa esista e che si siano fatte ad essa delle eccezioni a favore di soggetti diversi dalla ricorrente appellante. 25. In conclusione, l'appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di I grado e di conseguenza l'atto impugnato va annullato limitatamente alla prescrizione che proibisce alla ricorrente appellante di ricevere rifiuti da avviare al recupero da soggetti diversi da quelli abilitati al conferimento dalla vigente normativa, il tutto come in dispositivo, solo precisandosi che l'annullamento si riferisce all'unico provvedimento impugnato, e non al parere indicato in epigrafe, che è evidentemente atto endoprocedimentale non lesivo, indicato come impugnato soltanto con clausola di stile. 26. Si precisa che esula dall'oggetto di questo processo e dall'ambito della giurisdizione di questo Giudice amministrativo stabilire se ed entro quali limiti questa sentenza possa avere riflessi sul procedimento penale n. 4293/2014 R.G.N.R. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, che risulta pendente a carico del legale rappresentante della ricorrente appellante, per reati asseritamente (memoria Città metropolitana 13 aprile 2023 p.4) collegati alla indebita ricezione presso il proprio impianto di rifiuti conferiti da soggetti non autorizzati. 27. La particolare complessità della materia, sulla quale, come si è detto, si sono registrati indirizzi contrastanti, provenienti anche dall'Autorità amministrativa preposta, è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di tutto il giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 4502/2020 R.G.), lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di I grado (T.a.r. Veneto n. 1318/2018 R.G.) e annulla la determinazione 20 agosto 2018 n. 2621, del Dirigente del Settore ambiente della Città metropolitana di Venezia, limitatamente alla sola prescrizione per cui "Non potranno essere ricevuti rifiuti urbani provenienti da civili abitazioni, nell'ambito della Regione Veneto, se non conferiti da soggetto munito di tutte le abilitazioni previste dalla vigente normativa, ivi incluso l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto, avvio a smaltimento e recupero ai sensi dell'art. 3 comma 6 della L.R. 52/2012". Compensa per intero fra le parti le spese del processo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Fabrizio Di Rubbo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5709 del 2019, proposto da Co. On. S.r.l.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. At. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Padova, via (...); contro Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Lo., Vi. Mi., Gi. Co. e Pa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); nei confronti Ep. s.r.l., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 5710 del 2019, proposto da Ep. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. At. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. At. De Ma. in Padova, via (...); contro Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Lo., Vi. Mi., Gi. Co. e Pa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); nei confronti Co. On. S.r.l.S, non costituita in giudizio; per la riforma quanto al ricorso n. 5710 del 2019: della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Veneto (sezione Terza) n. 01142/2018, resa tra le parti, per la riforma a) del provvedimento "prot. 2018-0256390/U del 05.07.2018 a firma dell'Arch. Fr. Fa. di rimozione degli effetti della S.C.I.A. della Ep. s.r.l. di trasferimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in via (omissis) - prot. n. 179108 del 24.05.2017", oltre che di ogni altro atto connesso e/o presupposto anche non noto, con espressa riserva di motivi aggiunti. quanto al ricorso n. 5709 del 2019: della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Veneto (sezione Terza) n. 01142/2018, resa tra le parti, per la riforma del provvedimento "nota prot. 2018-0203657/U del 28.05.2018 a firma dell'Arch. Fr. Fa. di rimozione degli effetti della S.C.I.A. di subingresso- prot. n. 124962 del 29.03.2018"; - del provvedimento "prot. 2018-0256390/U del 05.07.2018 a firma arch. Fr. Fa. di rimozione degli effetti della S.C.I.A. di Ep. s.r.l. di trasferimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in via (omissis) - prot. n. 179108 del 24.05.2017"; - per quanto occorra, di ogni altro atto connesso e/o presupposto, anche non noto negli estremi, con espressa riserva di motivi aggiunti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Padova; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. Annamaria Fasano e uditi, per le parti, in collegamento da remoto, gli avvocati De Ma. e Lo., come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. In data 12 luglio 2012 la società Ep. s.r.l., titolare dell'autorizzazione n. 7761 del 21 luglio 2008 di esercizio di attività di somministrazione alimenti e bevande, presentava una SCIA al Comune di Padova di subingresso nei locali siti in via (omissis). (prot. n. 183874). 1.1. Con SCIA del 24 maggio 2017, prot. n. 12918, la Ep. s.r.l. comunicava al Comune di Padova di iniziare l'attività di somministrazione di alimenti e bevande nei locali siti in via (omissis), a seguito del trasferimento dell'azienda da via (omissis). L'attività di somministrazione si dichiarava attiva dal 23 maggio 2017. 1.2. Con SCIA del 23 maggio 2017, prot. n. 178978, la Ep. s.r.l. comunicava al Comune di Padova la sospensione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata in via (omissis), dal 23 maggio 2017 al 30 settembre 2017, per ristrutturazione locali. 1.3. Con SCIA del 29 marzo 2018, la Ep. s.r.l. comunicava una integrazione dei dati della pratica del 23 maggio 2017, dichiarando l'inizio dell'attività in data 29 marzo 2018. Pertanto, la sospensione dell'attività, comunicata in data 23 maggio 2017, terminava in data 28 marzo 2018. 1.4. Nel contempo, avendo Ep. ceduto l'azienda a Co. On. S.r.l.S., con atto del 29 marzo 2018, quest'ultima società segnalava al Comune di Padova l'avvio dell'attività per il subingresso e, con SCIA prot. n. 124962, la contestuale sospensione per riorganizzazione per trasferimento di attività a partire dal 30 marzo 2018 sino al 30 settembre 2018. In particolare, in data 29 marzo 2018, con nota prot. n. 124962, la Co. On. S.r.l.S. segnalava all'Ente municipale di iniziare l'attività di somministrazione di alimenti e bevande nei locali di via (omissis), per apertura in subingresso (nell'autorizzazione n. 7761 del 21 luglio 2008), stante l'intervenuta cessione di ramo di azienda tra la Ep. s.r.l. e la Co. On. S.r.l.S. 2. Il Comune di Padova, in data 3 maggio 2018, notificava l'avvio del procedimento di rimozione degli effetti della SCIA di subingresso dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata nei locali di Via (omissis), prot. n. 124962, del 29 marzo 2018. 2.1. Il Comune, in data 28 maggio 2018, adottava il provvedimento, prot. n. 203657, di rimozione degli effetti della SCIA di subingresso, adducendo che non sussisteva alcun contratto di locazione registrato dalla società Co. On. S.r.l.S. per i locali di Via (omissis) (con violazione dell'art. 64, comma 4, del D.lgs. n. 59/2010 e dell'art. 8, comma 8 della L.R.V. n. 29/2017, i quali richiedevano un effettivo trasferimento dell'attività e, dunque, la reale disponibilità dei locali) e che, nella SCIA di subingresso, era stata allegata una planimetria del locale da cui risultava una superficie di somministrazione di 34,30 mq, inferiore a quella minima di 40 mq prevista dall'art. 9, comma 1, del Regolamento comunale per l'insediamento delle attività di somministrazioni di alimenti e bevande. 2.2. Il Comune, previo avvio del procedimento in data 28 maggio 2018, adottava in data 5 luglio 2018 nei confronti della Ep. s.r.l. il provvedimento prot. n. 256390 di rimozione degli effetti della SCIA di trasferimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in via (omissis), prot. n. 179108 del 24 maggio 2017, per mancanza dei requisiti di cui all'art. 9, comma 1 del suddetto Regolamento. Il Comune precisava, inoltre, che l'attivazione per la sola giornata del 29 marzo 2018 dell'esercizio costituiva un inizio di attività meramente fittizio, con la conseguenza che doveva ritenersi decorso il termine annuale di sospensione, non potendo operare l'interruzione prevista dall'art. 64, comma 8 del d.lgs. n. 59/2010. L'Ente municipale, con nota del 30 agosto 2018, a supporto del provvedimento adottato, comunicava che il settore tributi e riscossioni aveva anche accertato la mancata attivazione delle utenze, tanto precisato a conferma della attivazione puramente fittizia dell'attività commerciale e, quindi, dello scadere del termine annuale. 3. Avverso il provvedimento del 28 maggio 2018, n. 203657, la Co. On. S.r.l.S. proponeva ricorso dinnanzi al Tribunale amministrativo Regionale per il Veneto, denunciando: I)'violazione degli articoli 3, 19 e 21-nonies l.n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà manifesta e carenza di presuppostò, per aver erroneamente il Comune di Padova rimosso gli effetti della SCIA di subingresso del marzo 2018 per inidoneità di locali, dovendo previamente rimuovere gli effetti della precedente SCIA presentata dalla Ep. nel maggio 2017 per trasferimento nei nuovi locali, e non avendo motivato in ordine alle ragioni di pubblico interesse necessarie per l'esercizio del potere di autotutela, pregiudicando in tal modo l'affidamento di Co. On.; II) violazione dell'art. 64, comma 4, D.lgs. n. 59/2010, dell'art. 8, comma 8, L.R.V. n. 29/2007, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, per aver erroneamente il Comune di Padova affermato che la Co. On. S.r.l.S. non avesse la disponibilità dei locali, sussistendo invece un accordo intercorso tra la ricorrente ed il proprietario dei locali ed essendo, inoltre, la Co. On. S.r.l.S. era cessionaria di tutta l'attrezzatura necessaria per l'attività di somministrazione di alimenti e bevande; III)'violazione degli articoli 3 e 19 l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, violazione del principio di proporzionalità e di buona amministrazionè, avendo il Comune di Padova, prima dell'adozione dell'atto repressivo, omesso di assegnare alla Co. On. S.r.l.S. un termine per conformare l'attività alla normativa vigente, anche in ragione del fatto che il Regolamento comunale non consentiva nuove aperture nel centro storico, ma solo trasferimenti nella medesima zona; IV) violazione dell'art. 64, comma 8, d.lgs. n. 59/2010, dell'art. 7 l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, per aver il Comune di Padova illegittimamente fatto riferimento al decorso del termine annuale di sospensione dell'attività, non avendo indicato tale profilo nella comunicazione di avvio del procedimento, ed avendo, comunque, la Co. On. S.r.l.S. segnalato con SCIA "la ripresa dell'attività a seguito del subingresso". 4. Avverso il provvedimento del 5 luglio 2018, prot. n. 256390, anche la Ep. s.r.l. proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, denunciando: I) 'vizio di eccesso di potere nella forma del difetto di motivazione, di istruttoria e di contraddittorietà manifesta nell'esercizio del potere di autotutelà, non avendo il Comune motivato in ordine alle ragioni di pubblico interesse, con conseguente lesione dell'affidamento della Società ; II) 'violazione degli artt. 3 e 19 della l. 241 del 1990', non essendo stato attribuito alla società un termine per conformare l'attività alla normativa vigente, anche in ragione del fatto che il Regolamento comunale non consentiva nuove aperture nel centro storico, ma solo trasferimenti nella medesima zona; III) 'violazione dell'art. 64, comma 8 del d.lgs. n. 59 del 2019 e dell'art. 3 della l. 241 del 1990', non avendo il Comune adeguatamente motivato sul decorso del termine annuale di sospensione, essendovi comunque stata una tempestiva riattivazione dell'attività il 29 marzo 2018. Nel giudizio promosso dalla società Ep. s.r.l., la Co. On. S.r.l.S. proponeva ricorso per motivi aggiunti, articolato in tre motivi, con i quali venivano dedotte le medesime censure già contenute nel ricorso principale. 5. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, previa riunione delle cause ex art. 70 cod. proc. amm. per connessione oggettiva, con sentenza n. 1142 del 10 dicembre 2018, respingeva i ricorsi principali e i motivi aggiunti. Il Collegio di prime cure rilevava l'insussistenza di un cortocircuito nell'esercito del potere di autotutela, in quanto il Comune ben avrebbe potuto inibire l'inizio dell'attività della Co. On. S.r.l.S. prima dell'adozione del provvedimento di rimozione deli effetti della SCIA di trasferimento presentata dalla Ep., 'stante la riscontrata carenza della superficie minima richiesta dalla normativa comunale'. In secondo luogo, il T.A.R. riteneva infondata la censura relativa alla violazione del legittimo affidamento atteso che entrambi i provvedimenti gravati risultavano essere stati adottati nel rispetto nel termine di 18 mesi di cui all'art. 21 nonies l. 241/1990, precisando che '(...)entrambe le società avrebbero dovuto essere ben a conoscenza della insufficiente metratura (34 mq) dei locali di via (omissis), avendo entrambe presentato la planimetria dei locali de quibus dalla quale tale dato risultava chiaramente(...)'. Con riguardo, poi, al motivo di ricorso della Co. On. S.r.l.S. relativo alla sussistenza di un titolo idoneo all'utilizzo dei locali, il Collegio lo dichiarava inammissibile, rimanendo ferma l'impossibilità di esercitare l'attività nei locali per insufficiente metratura dei medesimi. Respingeva, altresì, per manifesta infondatezza la censura relativa alla omessa previsione di un termine di adeguamento dell'attività alle prescrizioni normative, considerando l'insufficiente estensione della superficie di somministrazione un limite insuperabile, tale per cui non sarebbe stato comunque possibile adeguare l'esercizio ai parametri legislativi. Infine, stante il mancato rispetto della metratura minima richiesta dal Regolamento comunale, dichiarava la censura relativa alla violazione dell'art. 64, comma 8 del D.lgs. n. 59/2010 inammissibile per difetto di interesse. 6. Con atto di appello iscritto al numero R.G. 5710/2019, la Ep. s.r.l. ha impugnato la suddetta pronuncia, invocandone l'integrale riforma, e denunciando: I) violazione di legge; violazione artt. 3, 19 e 21 nonies L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; contraddittorietà manifesta e carenza di presupposto; II) violazione di legge; violazione artt. 3, 19 L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di proporzionalità e di buona amministrazione (art. 97 Costituzione); III) violazione di legge; violazione art. 64, comma 8 D.Lgs. 59/2010; violazione art. 7 L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria". 7. Con distinto atto di appello iscritto al numero R.G. 5709/2019, la società Co. On. S.r.l.S. ha impugnato la suddetta pronuncia, deducendo: "I) violazione di legge; violazione artt. 3, 19 e 21 nonies L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; contraddittorietà manifesta e carenza di presupposto; II) violazione di legge; violazione art. 64 comma 4 D.lgs. 59/2010; art. 8, comma 8 L.R.V. 29/2007; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; III) violazione di legge; violazione artt. 3, 19 L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di proporzionalità e di buona amministrazione (art. 97 Costituzione); IV) violazione di legge; violazione art. 64, comma 8 D.Lgs. 59/2010; violazione art. 7 L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria". 8. Il Comune di Padova si è costituito in resistenza in entrambi i giudizi, concludendo per il rigetto dell'appello. 9. Le parti, con successive memorie, hanno ribadito le proprie difese. 10. Con riferimento al ricorso n. 5709/2019, questa Sezione con ordinanza n. 4324/2019 ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di reiezione del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla parte appellante, ritenendo che "impregiudicata ogni valutazione di merito, non risultano prima facie erronee le statuizioni della sentenza appellata laddove hanno rilevato che il Comune ben poteva inibire il subingresso nell'attività in quei locali stante la riscontrata carenza della superficie minima di somministrazione richiesta dalla normativa regolamentare, risultante per tabulas dalle plenimetrie allegate alle stessa segnalazione". Con riferimento al ricorso n. 5710/2019, con ordinanza n. 4325/2019, è stata respinta l'efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di reiezione del ricorso di primo grado presentata in via incidentale dalla società Ep. s.r.l. per le stesse motivazioni illustrate nell'ordinanza n. 4324/2019. 11. All'udienza straordinaria del 28 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 12. Il Collegio, preliminarmente, dispone la riunione dei ricorsi, atteso che la società Ep. s.r.l. e la società Co. On. S.r.l.S. hanno proposto appello avverso la medesima sentenza, pertanto, nella specie, ricorre l'ipotesi di riunione obbligatoria delle impugnazioni, ai sensi dell'art. 96 cod. proc. amm. Ciò premesso, alla soluzione della controversia può pervenirsi mediante l'esame contestuale delle censure prospettate negli atti di gravame, considerato che le doglianze e le questioni illustrate nei mezzi hanno sostanzialmente il medesimo contenuto, ciò al fine di garantire il principio dell'unicità del processo (Cass. n. 27680 del 2021) e la univocità della decisione. 13. Passando all'esame del merito dei ricorsi, quanto all'appello R.G.N. 5710/2019, la Ep. s.r.l., con il primo mezzo, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso principale, oltre al primo motivo di ricorso della Co. On. S.r.l.S. e il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti. Riproponendo le censure prospettate nel primo grado di giudizio, la società contesta la legittimità degli atti impugnati per violazione di legge; violazione artt. 3, 19 e 21 nonies l. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria; contraddittorietà manifesta e carenza di presupposto . L'appellante lamenta che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto non sussistere alcun legittimo affidamento in capo alle società, per il fatto che le stesse avrebbero dovuto essere a conoscenza della insufficiente metratura dell'area, avendo presentato le planimetrie dei locali allegate alle SCIA. In particolare, la Ep. s.r.l. denuncia lo scorretto esercizio del potere di autotutela, non avendo l'Amministrazione motivato in ordine alla sussistenza di un sopravvenuto motivo di pubblico interesse, pur essendo in possesso della planimetria dei locali sin dal maggio 2017. Riferisce che la società Co. On. S.r.l.S. si sarebbe limitata nella propria SCIA del 29 marzo 2018 a riprendere il contenuto della SCIA della Ep. s.r.l. del 27 maggio 2017, non contestata dal Comune. Inoltre, l'indicazione dei 42 mq. non sarebbe inveritiera in quanto l'intera area commerciale rispetterebbe questa metratura; il problema che si porrebbe attiene piuttosto alla interpretazione comunale della superficie da computare per rispettare il limite dei mq 40, oltre al fatto che il requisito dei mq 40 non sarebbe sempre cogente per l'Amministrazione. Con il secondo motivo, Ep. s.r.l. lamenta che il giudice di prima istanza avrebbe erroneamente respinto il secondo motivo di ricorso principale oltre il terzo motivo di ricorso di Co. On. S.r.l.S. e il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con cui si era contestata la legittimità degli atti impugnati per 'violazione di legge; violazione degli artt. 3, 19 l. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di proporzionalità e di buona amministrazione (art. 97 Costituzione)', che ripropone in appello. La società deduce che l'art. 19, comma 3, della l. 241 del 1990 prevede che 'qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime'. Nel caso di specie, l'Amministrazione non avrebbe svolto alcuna attività istruttoria diretta a verificare la sussistenza di tali presupposti nonostante vi fosse, per contro, la possibilità di adeguare l'attività intrapresa ai requisiti richiesti (es. con la modifica dei locali, con il ricorso al plateatico sotto il portico). Secondo l'appellante, la regolarizzazione sarebbe stata ipotizzabile, ad esempio, utilizzando il possibile plateatico (presente di fronte al locale), oppure allargando l'unità accorpando altre parti dell'immobile o, comunque, con una diversa disposizione interna. Secondo la Ep. s.r.l., comunque, il limite della superficie di somministrazione non sarebbe ragione sufficiente per l'annullamento delle SCIA. Con il terzo motivo, l'appellante contesta 'la violazione di legge; violazione art. 64, comma 8, D.Lgs. 59/2010; violazione art. 7 L. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttorià . La società lamenta che la rimozione degli effetti della SCIA è stata disposta dal Comune per mancanza dei requisiti previsti per i locali stabiliti dall'art. 9, comma 1, del Regolamento che disciplina l'insediamento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Inoltre, nelle premesse del provvedimento, il Comune rileva altresì la mancata attivazione dell'esercizio nel termine di 12 mesi dalla sua sospensione dell'attività, facendo decorrere la stessa dal 2.4.2017, data in cui la società Ep. s.r.l. ha comunicato la sospensione dell'attività con nota prot. 136840, per riorganizzazione aziendale, dal 2.4.2017 al 30.9.2017. Inoltre, nel provvedimento, viene specificato che l'attivazione di un solo giorno, comunicata da Ep. in data 29.3.2018 non solo non ha consentito all'Ufficio competente di predisporre gli opportuni sopralluoghi per verificare la sussistenza dei requisiti, ma non costituisce una misura temporale seria ma un inizio di attività meramente fittizio . Secondo l'appellante il provvedimento impugnato, qualora lo si dovesse considerare come decadenza ex art. 64, comma 8, del D.Lgs. 59/2010, sarebbe viziato sotto il profilo motivazionale, oltre al fatto che la comunicazione di attivazione dell'attività per un solo giorno sarebbe una circostanza sufficiente per interrompere la decorrenza dell'anno di sospensione, in quanto si tratterebbe di un atto dichiarativo della volontà di mantenere in vita l'autorizzazione stessa. 14. Quanto all'appello R.G.N. 5709/2019, con il primo motivo la società Co. On. S.r.l.S. deduce la medesima censura proposta dalla società Ep. s.r.l. con il primo mezzo, contestando, altresì, che l'Amministrazione avrebbe dovuto, preliminarmente, dichiarare l'inefficacia della prima SCIA presentata dalla Ep. s.r.l. nel 2017, per poter legittimamente inibire il subingresso nell'autorizzazione da parte della Co. On. S.r.l.S.. L'appellante sostiene che sarebbe poco convincente l'affermazione sostenuta dal T.A.R. che, nel respingere il primo motivo di ricorso dedotto dalla Co. On. S.r.l.S. e il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti e il primo motivo del ricorso principale di Ep. s.r.l., afferma: "il Comune di Padova ben poteva comunque inibire il subingresso della cessionaria nell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nei locali di via (omissis), stante la riscontrata carenza della superficie minima richiesta dalla normativa locale". L'argomento non convincerebbe considerato il carattere vincolato dell'atto di autorizzazione al'subingressò nell'autorizzazione amministrativa all'esercizio di un'attività di somministrazione. In tale ipotesi, infatti, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, l'autorizzazione al subingresso non sarebbe un atto discrezionale ma un atto dovuto dall'Amministrazione. I requisiti oggettivi sarebbero costituiti dalla presenza di un atto di trasferimento dell'attività, comprensiva delle relative autorizzazioni, nonché l'effettivo trasferimento dell'attività, mentre quelli soggettivi sono quelli professionali e di buona condotta. Nella specie, il Comune non avrebbe potuto annullare il subingresso, in quanto la società Co. On. S.r.l.S. era in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. I provvedimenti impugnati sarebbero censurabili anche sotto un altro profilo, stante la violazione dell'art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, in quanto l'Amministrazione avrebbe omesso qualsiasi valutazione e motivazione in ordine agli interessi privati coinvolti nell'operazione, senza aver effettuato alcun bilanciamento con gli interessi privati, omettendo di motivare adeguatamente la propria grave determinazione, dando conto delle ragioni che hanno portato a ritenere prevalente l'interesse alla rimozione della SCIA rispetto alla sua conservazione. Nel censurare sotto tale profilo i provvedimenti impugnati, la società appellante ripropone le medesime critiche illustrate dalla Ep. s.r.l. anche con riferimento alla riscontrata insufficiente metratura dei locali, atteso che non sarebbe ragione sufficiente per l'annullamento della SCIA in questione. L'appellante illustra anche in appello le censure del provvedimento prot. 2018-0203657/U del 28.5.2018, per violazione di legge, violazione art. 64 comma 4 D.Lgs. 59/2010, art. 8, comma 8, L.R.V. 29/2007, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, denunciando le medesime doglianze prospettate dalla società Ep. s.r.l. nel proprio atto di appello, a cui, per brevità espositiva, si fa espresso rinvio. Con la terza censura, la società Co. On. S.r.l.S. lamenta l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il terzo motivo di ricorso principale e il secondo motivo di ricorso per motivi aggiunti, oltre al secondo motivo di ricorso di Ep. s.r.l., con cui si è denunciata la violazione dell'art. 19, comma 3, l. 241/1990, avendo ritenuto l'attività di somministrazione non conformabile, stante l'insufficiente metratura dell'area. In particolare, l'appellante ribadisce come il Comune avrebbe dovuto svolgere una preventiva istruttoria, al fine di valutare la possibilità di conformare l'esercizio commerciale, anche nel rispetto dei generali principi di economicità ed efficienza, oltre che di conservazione degli atti. Con la quarta censura, si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il quarto motivo di ricorso principale, il terzo motivo di ricorso per motivi aggiunti (oltre al terzo motivo di ricorso della società Ep. s.r.l.), con cui si era denunciata la violazione dell'art. 64, comma 8, D.Lgs. 59/2010, la violazione dell'art. 7 L. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, che in questa sede si ripropongono. Anche con riferimento ai suddetti mezzi, l'appellante illustra le medesime ragioni recate nell'atto di appello della società Ep. s.r.l., a cui, per brevità espositiva, si fa rinvio. 15. I mezzi, sopra sinteticamente illustrati, come si è detto, vanno trattate congiuntamente, in quanto inerenti a profili connessi. I motivi di appello non sono fondati. 15.1. Va premesso in fatto che la Co. On. S.r.l.S. ha presentato in data 29.3.2018 una SCIA, prot. 124962, relativa al subingresso per acquisto d'azienda dell'attività di somministrazioni di alimenti e bevande nei locali siti in Padova, alla via (omissis). Alla SCIA risulta allegato un contratto di cessione di azienda da parte della ditta Ep. s.r.l. a favore della suddetta società, stipulato in data 28.3.2018, in cui viene espressamente previsto che 'l'attività era esercitata in via (omissis), nell'immobile di proprietà di terzi, essendo stata chiesta la sospensione in Comune dal 2 aprile 2017'. Non è contestato che nella SCIA di subingresso, alla quale risulta allegata la planimetria dei locali, vengono dichiarati 50 mq di superficie complessiva, di cui 42 mq di superficie di somministrazione. In data 29.3.2018, la Co. On. S.r.l.S. comunica la sospensione dell'attività di via (omissis) dal 30.3.2018 al 30.9.2018, per esigenze di 'riorganizzazione per trasferimento attività '. Il Comune di Padova effettua delle verifiche presso l'Agenzia delle Entrate, dalle quali non risulta alcun atto registrato a dimostrazione del titolo di godimento dell'immobile da parte della società Co. On. S.r.l.S. La rimozione degli effetti della SCIA di subingresso viene emessa dal Comune per i seguenti motivi: a) mancanza della disponibilità dei locali in via (omissis), in violazione dell'art. 8, comma 8, della L.R.V. 29/2007; b) mancanza dei requisiti previsti dall'art. 9, comma 1, del Regolamento comunale per l'insediamento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, con riferimento alla superficie minima di somministrazione; c) l'attività collegata al titolo abilitativo in capo alla ditta Ep. risulta sospesa dal 2.4.2017, pertanto tale attività non è stata attivata per oltre 12 mesi, con conseguente effetto di decadenza ex lege del titolo stesso. 15.2. I provvedimenti di rimozione, come precisato nei mezzi di impugnazione, sono stati contestati sotto diversi profili. Analizzando con ordine le critiche, va preliminarmente esaminata la contestazione che riguarda l'esercizio del potere di autotutela dell'Amministrazione. Come noto, con la l. n. 124 del 2015, il legislatore ha novellato il comma 4 dell'art. 19 della l. n. 241 del 1990, prevedendo che, decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori o ripristinatori, l'Amministrazione competente li "adotta comunque", purché "in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21 nonies". Ne deriva che l'applicazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 4, e 21 nonies L. n. 241 del 1990 non muta la natura giuridica del potere inibitorio esercitabile dall'Amministrazione in relazione all'attività segnalata, tendendo soltanto a subordinare l'esercizio di tale potere (che permane di primo grado, non assumendo i caratteri dell'autotutela decisoria in assenza di un titolo provvedimentale previamente emesso) al rispetto di specifiche condizioni, proprie dell'annullamento d'ufficio. Trattasi, in particolare, del rispetto di un termine ragionevole (ridotto, ad opera dell'art. 63 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108, da diciotto a dodici mesi) e della sussistenza di condizioni che, a garanzia delle esigenze di tutela dell'affidamento dei privati in ordine alla stabilità degli effetti prodotti dalla segnalazione, consentano di ricercare un giusto equilibrio tra le esigenze pubblicistiche e quelle di conservazione della situazione di vantaggio per il privato. Nel caso in esame sono state rispettate le condizioni di esercizio di tale potere. Invero, per quanto riguarda la società Ep. s.r.l., l'Amministrazione ha esercitato il potere di controllo nel termine di 18 mesi (applicabile ratione temporis), posto che la segnalazione è stata presentata in data 27 maggio 2017, ed è stato adottato il provvedimento di rimozione degli effetti in data 5 luglio 2018. Lo stesso deve dirsi con riguardo al potere esercitato dal Comune relativamente alla segnalazione di subingresso presentata dalla Co. On. S.r.l.S., in quanto il provvedimento impugnato è stato adottato il 28 maggio 2018, a fronte di una SCIA presentata in data 29 marzo 2018. Va, pertanto, condiviso quanto precisato dal giudice di prima istanza, secondo cui 'entrambi i gravati provvedimenti (datati 28 maggio 2018 e 5 luglio 2018) sono stati adottati tempestivamente entro il termine di 18 mesi di cui all'art. 21- nonies l. n. 241/1990, a fronte di segnalazioni certificate di inizio di attività presentate rispettivamente il 29 marzo 2018 ed il 24 maggio 2017'. 15.3. Nell'esercizio tempestivo di tale potere, l'Amministrazione ha correttamente posto in essere il provvedimento di autotutela, stante la mancanza nell'attività di somministrazione di alimenti e bevande dei requisiti previsti dall'art. 9, comma 1, del Regolamento comunale per l'insediamento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, con riferimento alla superficie minima di somministrazione. Pertanto, non possono essere condivise le denunce in ordine all'asserita lesione del legittimo affidamento, atteso che, secondo l'indirizzo condiviso della giurisprudenza amministrativa, perché possa vantarsi una legittima aspettativa del privato alla stabilità degli effetti alla base degli atti rimossi dell'Amministrazione, occorre che via stata la buona fede del destinatario del provvedimento, la quale, nella specie, non può prescindere dalla diligenza di quest'ultimo circa la valutazione della corrispondenza della SCIA al quadro normativo di riferimento. L'identificazione di una situazione di affidamento richiede la configurabilità di una condizione particolare del cittadino (Cons. Stato, n. 5250 del 2012) e, se è vero che l'affidamento "è un principio generale dell'azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l'aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività ' (Cons. Stato, 13 agosto 2020, n. 5011), nondimeno l'art. 1, comma 2 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispone che "i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede". Ne consegue che concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha una portata bilaterale, poiché sorge nell'ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è partecipata. Un affidamento incolpevole non è sostenibile laddove, come nel caso in esame, sia stato il privato, violando le disposizioni sulla metratura dei locali, ad indurre il Comune ad emanare il provvedimento (nelle rispettive SCIA le ricorrenti avevano indicato una non veritiera superficie di 42 mq), dovendosi rammentare quanto precisato dall'Adunanza Plenaria n. 19 del 2021 che: "la responsabilità dell'amministrazione per lesione dell'affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente". Pertanto, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, '(...)nessun legittimo affidamento può essere ritenuto sussistente in capo alla Ep. ed alla Co. On. in quanto entrambe le società avrebbero dovuto essere ben a conoscenza della insufficiente metratura (34 mq) dei locali di via (omissis), avendo entrambe presentato la planimetria dei locali de quibus dalla quale tale dato risultava chiaramente (planimetria allegata alla s.c.i.a. del 24 maggio 2017 presentata da Ep. e planimetria allegata alla s.c.i.a. del 29 marzo 2018 presentata da Co. On.) (...)'. Tale rilievo assume valore dirimente, tenuto conto che, anche a prescindere dalla circostanza in ordine alla sussistenza o meno di un titolo idoneo alla utilizzazione dei locali in via (omissis), è rimasta ferma l'impossibilità per la Co. On. S.r.l.S. di esercitare l'attività nei locali de quibus, stante la riscontrata carenza della superficie minima richiesta dalla normativa comunale. Ne può predicarsi, diversamente da quanto asserito dalle parti appellanti, che l'Amministrazione non era tenuta a dar conto di sopravvenute ragioni di interesse pubblico, in quanto l'esercizio del potere di controllo, ex art. 19, comma 4, l. 241/1990, è subordinato al rispetto delle condizioni previste per l'annullamento in autotutela che, a differenza della revoca, richiede che sussistano "ragioni di interesse pubblico", ovvero la valutazione se sia da considerarsi prioritaria l'esigenza di ripristinare la legalità violata. 15.4. Va, inoltre, ribadito quanto già evidenziato dal Collegio di primo grado con riferimento al terzo motivo di ricorso della Co. On. S.r.l.S., ed il secondo motivo di ricorso della Ep. s.r.l. ed il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, le cui critiche sono state riproposte nel presente giudizio. Invero "la fissazione di un termine per la conformazione dell'attività alla normativa vigente deve essere adottato dall'Amministrazione, ai sensi dell'art. 19, comma 3, l. n. 241/1990, solo ove tale conformazione 'sia possibilè situazione che non si verifica nel presente caso, stante l'oggettiva ed insuperabile situazione dei locali de quibus, aventi una metratura inferiore al minimo previsto, anche considerato che la Ep. s.r.l., pur qualora fosse stato possibile, avrebbe potuto procedere all'ampliamento dei locali sin dal 23 maggio 2017 (primo giorno di sospensione dell'attività di ristrutturazione)". Con riguardo alla doverosità del potere di conformazione da parte del Comune, occorre rilevare che quest'ultimo è subordinato alla sussistenza dei seguenti presupposti. Il primo presupposto, implicito, è che l'intervento sia astrattamente "coperto" dalla SCIA, e l'Amministrazione rilevi talune difformità che possono essere superate mediante l'esercizio del potere conformativo. Il secondo presupposto, espresso, è che l'Amministrazione ritenga, per la natura delle difformità riscontrate, che si possa procedere alla conformazione. Se, invece, l'Amministrazione rileva che, per la gravità delle difformità, ciò non sia possibile, può inibire "direttamente" gli interventi senza l'intermediazione del potere conformativo. Nel caso in esame, il Comune, esaminata la planimetria allegata alla SCIA ed accertata la sussistenza di una metratura inferiore a quella minima necessaria dell'area di somministrazione, ha adottato un provvedimento di decadenza, non ritenendo sussistenti i presupposti per l'esercizio dei poteri conformativi. Va, infatti, richiamato il contenuto dell'art. 9, comma 1, del Regolamento comunale che disciplina l'insediamento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, secondo cui per gli esercizi siti nella 'Zona 1' (corrispondente al centro storico di Padova), la superficie destinata alla somministrazione deve essere almeno di mq. 40. L'art. 9, comma 3 del medesimo Regolamento, specifica che per superficie di somministrazione deve intendersi "l'area alla quale ha accesso il pubblico destinata alla vendita e al consumo degli alimenti e delle bevande, occupata con attrezzature di somministrazione per il servizio al cliente (compreso il retro bancone). Non sono da considerarsi come area di somministrazione i servizi igienici sia per il pubblico che per il personale e i locali di qualunque natura nei quali non sia consentito l'accesso al pubblico, quali la cucina, i magazzini, i depositi, gli uffici, i guardaroba . Quanto alla possibilità di conformare gli ambienti alle prescrizioni stabilite dal Regolamento, va evidenziato che le società appellanti non hanno dimostrato la concreta fattibilità, limitandosi a pure allegazioni, senza contare che la sospensione relativa alla ristrutturazione locala, dalla quale si sarebbe potuto intendere un intervento diretto a ricavare un'adeguata metratura dei locali per la somministrazione, non ha mai dato, con riferimento a tale necessità, nessun riscontro. Infatti, l'Amministrazione non è tenuta a procedere alla conformazione della struttura ove si svolge l'attività, atteso che il privato è tenuto a verificare la possibilità di conformare i locali, proponendo le varie soluzioni. 15.5. Quanto alla obiezione prospettata dalle società appellanti circa il fatto che l'Amministrazione avrebbe dovuto, preliminarmente, dichiarare l'inefficacia della prima SCIA presentata da Ep. s.r.l. nel 2017 per poter legittimamente inibire il subingresso nell'autorizzazione da parte della società Co. On. S.r.l.S., va rilevato che, come correttamente affermato dal Collegio di prima istanza, non si è verificato alcun cortocircuito nell'esercizio del potere di controllo, in quanto, nel caso in esame, non si è in presenza di un atto che trova il suo antecedente logico giuridico in un provvedimento presupposto affetto da invalidità . Le segnalazioni presentate costituiscono autonomi atti, entrambi affetti da un vizio che li caratterizza di per sé stessi, consistente nella difformità della metratura dell'area di somministrazione rispetto alle prescrizioni regolamentari. Anche la asserita violazione dell'art. 64, comma 8, del D.Lgs. n. 59/2010 va disattesa. La Ep. s.r.l. ha comunicato l'attivazione dell'esercizio per un solo giorno, il 29.3.2018, data coincidente con il contratto di cessione di ramo di azienda alla società Co. On. S.r.l.S.. La società risultava sospesa dal 2.4.2017, sicchè l'attività doveva essere necessariamente ripresa entro il 2.4.2018, pena la decadenza dell'autorizzazione amministrativa, ai sensi dell'art. 64 del D.Lgs. n. 59/2010. Il Collegio ritiene che, per evitare la decadenza ex lege, non è sufficiente una mera dichiarazione di riapertura dell'attività, né l'esercizio della stessa per un solo giorno, essendo evidente che, nella specie, si è trattato di un inizio meramente fittizio, finalizzato ad eludere l'applicazione della norma. Né le società appellanti hanno dimostrato l'infondatezza dell'assunto sostenuto dal Comune di Padova, provando concretamente, con esibizione di documentazione (attivazione utenze, allegazione fatture per acquisto merci ecc.) che l'attività in quell'unico giorno era stata effettivamente avviata. Il Comune di Padova, inoltre, ha contestato in entrambi i gradi di giudizio che non si è mai verificato un effettivo trasferimento con un effettivo inizio dell'attività di somministrazione. In particolare ha rilevato che, a seguito di controlli, è emerso che in via (omissis) non è mai stata attivata alcuna utenza di gas, acqua e TARI, a dimostrazione di come i locali fossero idonei a consentire l'effettiva apertura dell'esercizio di somministrazione; sicchè emerge all'evidenza che non può essere sostenuto dalle appellanti che ci sia stato un'effettivo trasferimento dell'attività ', tenuto conto che, al momento della presentazione della SCIA da parte di Co. On. S.r.l.S., l'attività risultava sospesa da oltre 10 mesi e veniva nuovamente sospesa dopo il subingresso della società Co. On. S.r.l.S. Né può essere predicato un difetto motivazionale dei provvedimenti impugnati anche sotto tale profilo, posto che è specificato che "la sospensione attiene all'attività e il periodo di sospensione include anche subingressi consecutivi". 16. In definitiva gli appelli vanno respinti e la sentenza impugnata va confermata. 17. Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge. Condanna le società appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite del grado di giudizio a favore del Comune di Padova, che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/04/2022 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PAOLA BORRELLI; udite le conclusioni del Procuratore generale Dr. LORI PERLA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), in sostituzione degli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), per le parti civili, che ha depositato conclusioni scritte e nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza impugnata e' stata pronunziata il 6 aprile 2022 dalla Corte di appello di Lecce, che ha riformato parzialmente - circa il quantum della provvisionale e delle spese liquidate dal Giudice di prime cure a favore della parte civile - la decisione del Tribunale di Brindisi che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile, anche a fini civili, di plurimi fatti di truffa -aggravata dal rapporto di prestazione d'opera professionale - e falso materiale in atto pubblico commesso dal privato (capi da a) a www), tranne capo b) dichiarato estinto per remissione di querela). Secondo quanto si ricava dalle sentenze di primo e secondo grado, l'imputato, quale legale rappresentante della " (OMISSIS) s.a.s.", era stato titolare di un contratto per resternalizzazione per attivita' di incasso fondi" con la (OMISSIS) s.p.a., societa' iscritta all'Albo degli istituti di pagamento istituito dalla Banca d'Italia ai sensi del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 114-septies. (OMISSIS) e' stato riconosciuto responsabile di numerosi episodi di truffa perche', nonostante tale contratto fosse stato risolto a decorrere dal 13 dicembre 2013, aveva simulando la persistenza dell'abilitazione ad effettuare prestazioni di servizi postali (lasciando in vetrina il cartello recante l'indicazione "pagamento dei bollettini di conto corrente" e tacendo la revoca dell'affiliazione) ed aveva, cosi', ottenuto che numerosi clienti gli affidassero denaro per l'effettuazione di pagamenti vari (a favore di societa' erogatrici di servizi, di Equitalia, di enti vari etc.), denaro di cui si era appropriato senza procedere ad alcun versamento. Quale prova dei pagamenti, l'imputato aveva fornito ai clienti false ricevute bancoposta, di versamento in conto corrente ovvero falsi modelli F 24 per il pagamento delle imposte, casi, questi ultimi, nei quali e' stato ritenuto, accanto alla truffa, anche il reato di cui agli articoli 476 e 482 c.p.. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato con il ministero del proprio difensore, formulando sette motivi. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della falsificazione dei modelli F24. La decisione avversata si incentra sulla qualifica, erroneamente attribuita al ricorrente, di soggetto preposto alla riscossione dei tributi. Cosi' non era, sicche' i fatti andavano sussunti nella fattispecie di cui all'articolo 485 c.p., oggi depenalizzata, in quanto l'imputato operava quale mero intermediario privato che assumeva il compito di pagare all'ente preposto; donde alla ricevuta di versamento non poteva attribuirsi la natura di atto pubblico. Il rilascio della quietanza di versamento altro non era che la continuazione del comportamento truffaldino e lo strumento per realizzarlo, il che ne avrebbe imposto l'assorbimento nel reato di truffa. Cio' che conta ai fini della qualificazione dell'atto - si legge nel ricorso - e' la qualifica del soggetto-agente che, nel caso di specie, fungeva da intermediario e da agente riscossore delegato all'uopo. Il ricorrente cita, poi, una massima di questa Corte sul falso in fotocopia, tema su cui ritornera' nel secondo motivo di ricorso. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione perche' la Corte di appello non avrebbe spiegato perche' la copia del modello F24 potesse assumere la parvenza di un atto originale, secondo quanto preteso da Sezioni Unite n. 35814 del 2019 per la sussistenza del reato. Sottolinea, a questo proposito, il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe trascurato il motivo di appello in cui si assumeva che le copie rilasciate ai clienti non riportavano il numero di protocollo ed avevano una veste grafica completamente diversa rispetto a quella dei modelli originali. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla conferma della condanna per il reato di truffa. Secondo il ricorrente, i fatti andrebbero sussunti nel delitto di cui all'articolo 646 c.p., dal momento che mancherebbero gli artifizi e raggiri tipici del reato di truffa nella fase precedente alla dazione della somma. Le persone offese - si legge nel ricorso - non elargivano le somme di denaro in virtu' del cartello esposto in vetrina, sicche' la dazione della somma non derivava dalla prospettata permanenza dell'autorizzazione, in capo all'agenzia dell'imputato, a ricevere i pagamenti dei bollettini, ma dalla convinzione che il ricorrente, in virtu' della fiducia riscossa grazie ai servizi precedentemente svolti, avrebbe successivamente effettuato i pagamenti che gli erano stati commissionati e per i quali il denaro gli era stato affidato. Al contrario egli, una volta ricevuto il denaro per pagare i tributi, invece di destinarlo a tale scopo, l'aveva trattenuto per se uti dominus ed aveva prodotto le false ricevute. Collocandosi gli artifici e raggiri nella fase esecutiva, dunque, sussisterebbe il reato di appropriazione indebita e non quello di truffa. 2.4. Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11), la cui giustificazione era affidata ad una mera motivazione di stile. Per ritenere sussistenti i presupposti necessari, deve esistere un rapporto fiduciario tra le parti, non meramente occasionale o estemporaneo. La motivazione sarebbe contraddittoria laddove aveva ritenuto rilevante, a fini decettivi, il cartello apposto alla vetrina dell'esercizio, giacche' delle due l'una, o i clienti avevano fidato su quel cartello o sul rapporto di fiducia che intrattenevano con l'imputato. 2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione degli articoli 476, 482 e 640 c.p. e vizio di motivazione ed e' suddiviso in ragione dei capi a cui si riferisce ciascuna censura. 2.5.1. Capo G). Come rimarcato dalla difesa, la persona offesa aveva denunziato l'imputato per le somme trattenute in relazione al pagamento della Tari, mentre (OMISSIS) era stato condannato quanto al pagamento dell'IMU. A tale scopo sarebbe insufficiente, a livello probatorio, avere accertato che la persona offesa non aveva versato l'IMU, perche' tanto sarebbe potuto derivare anche da una sua scelta. 2.5.2. Capi LL), XX), QQQ). In assenza dei bollettini di pagamento falsi, la condanna fonderebbe solo sulle dichiarazioni delle rispettive persone offese, ma queste ultime non erano mai state valutate attendibili nella sentenza di primo grado. 2.5.3. Capo LL). Il diritto di querela, in questo caso, spettava a (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre era stato esercitato da (OMISSIS), non titolare delle utenze cui si riferiva il pagamento. 2.6. Il sesto motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, che non sarebbe adeguatamente giustificato. 2.7. Il settimo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto agli aumenti di pena determinati per i reati satellite, che non erano ne' individuati, ne' giustificati, sia in primo che in secondo grado. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso - in cui il ricorrente lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della falsificazione dei modelli F24 ai sensi degli articoli 476 e 482 c.p. e predica l'assorbimento dei falsi nelle connesse ipotesi di truffa - e' manifestamente infondato e aspecifico. 1.1. Osserva innanzitutto il Collegio che il ricorso e' aspecifico poiche' il ricorrente non sembra cogliere i passaggi del ragionamento della Corte di appello sulla qualificazione giuridica dei falsi che gli vengono addebitati. In primo luogo - quanto alla natura del modello F 24 quale atto pubblico ancorche' rilasciato da soggetto privato abilitato a ricevere il pagamento - il ricorso elude il confronto con la motivazione della decisione avversata che, richiamando la giurisprudenza penale di questa Corte, quella civile e la normativa che regola i rapporti tra l'amministrazione finanziaria e le banche abilitate alla riscossione, ha delineato un quadro nell'ambito del quale il titolare di un servizio deputato a tale attivita' agisce per conto del destinatario del pagamento (amministrazione finanziaria centrale o ente territoriale), con i medesimi poteri attestativi dell'effettivita' del pagamento. Tale ragionamento puo' essere agevolmente esteso a chiunque, sia pur nell'ambito dei limiti delineati dalla normativa vigente, sia abilitato a ricevere quei pagamenti. E' evidente, dunque, che le ricevute che quest'ultimo rilasci hanno una funzione probatoria circa l'avvenuto pagamento del tributo analoga a quella che avrebbe la ricevuta del pagamento effettuato direttamente presso l'organismo - ente territoriale o amministrazione centrale - cui il pagamento e' diretto, con conseguente classificazione come atto pubblico. In secondo luogo, il ricorrente insiste sulla sua veste di mero intermediario privato, privo della qualifica di soggetto abilitato alla riscossione, come se tale circostanza fosse incompatibile con il riconoscimento della sua responsabilita' quale autore delle reiterate falsita' in atto pubblico che gli sono state ascritte per la contraffazione dei modelli F 24. La parte non si avvede, cosi', che la sua veste di soggetto privato, privo della necessaria abilitazione a ricevere i pagamenti per conto dell'amministrazione, e' proprio il presupposto degli addebiti che gli vengono ascritti, ossia i falsi in atto pubblico del privato e non gia' del soggetto che, per conto degli enti e preposti o dello Stato, e' abilitato a ricevere il denaro a questi ultimi destinato ed a rilasciare la relativa quietanza. In altri termini, il ricorso non coglie il dato che al ricorrente non e' stata attribuita la qualifica di soggetto preposto alla riscossione dei tributi, ma, proprio perche' egli non era titolare di alcuna autorizzazione alla riscossione del tributo ed al rilascio della relativa ricevuta di versamento, gli e' stato addebitato il reato di cui agli articoli 476 in combinato disposto con l'articolo 482 c.p. che punisce, appunto, la falsita' materiale commessa dal privato che simuli, come in questo caso, l'esistenza dell'atto pubblico. D'altra parte la correttezza della qualificazione giuridica del fatto nei termini anzidetti e' confermata dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la contraffazione, effettuata dal quivis de populo, dei modelli F24, rilasciati al privato dagli istituti di credito delegati per la riscossione delle imposte, integra il reato di falsita' materiale in atto pubblico di cui agli articoli 476 e 482 c.p., trattandosi di atti che attestano il pagamento, avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata, ed il conseguente adempimento dell'obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria (Sez. 5, n. 50569 del 10/10/2013, Merola, Rv. 258036; Sez. 6, n. 15571 dell'01/03/2011, Malisan, Rv. 250035; Sez. 5, n. 2569 del 24/11/2003, dep. 2004, Canese, Rv. 227779; Sez. 5, n. 5584 del 10/11/1999, dep. 2000, Cerretti, Rv. 216110). 1.2. Venendo ad un altro aspetto della doglianza, il Collegio ritiene che l'argomento di censura che postula l'assorbimento del falso nel delitto di truffa sia manifestamente infondato. Alla riflessione che segue deve premettersi che la censura e' inedita, in quanto non confluita nei motivi di appello; cio' nonostante, il Collegio deve comunque pronunciarsi sul punto, in quanto la decisione circa l'assorbimento tra i reati addebitati al ricorrente involge il tema della qualificazione giuridica del fatto, su cui la Corte di cassazione e' sempre chiamata ad esprimersi, a prescindere dalla preclusione di cui all'articolo 609 c.p.p., comma 1. Tanto precisato, il Collegio esclude che, tra le condotte di falsificazione dei modelli F 24 consegnati agli ignari clienti dell'esercizio dell'imputato e le truffe ai danni di questi ultimi - benche' le prime siano state strumentali alla commissione delle seconde - si ponga alcun problema di assorbimento. A questa conclusione questa Corte regolatrice e' gia' giunta in varie occasioni, con argomentazioni che il Collegio condivide e ritiene di far proprie. Si e', infatti, sostenuto che e' configurabile il concorso materiale - e non l'assorbimento - tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa, quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa; in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso ex articolo 84 c.p., per la cui configurabilita' non e' sufficiente che le particolari modalita' di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di piu' norme e, quindi, un concorso di reati, ma e' necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro (tra le piu' recenti, Sez. 5, n. 2935 del 05/11/2018, dep. 2019, Manzo, Rv. 274589; Sez. 5, n. 45965 del 10/10/2013, Muratore, Rv. 257946; Sez. 5, n. 21409 del 05/02/2008, Franchi e altro, Rv. 240081). In particolare, secondo la sentenza Franchi, non basta - affinche' sussista un reato complesso - che piu' fatti, i quali isolatamente costituirebbero altrettanti reati, vedano degli occasionali momenti di sovrapposizione nelle loro concrete modalita' attuative, giacche' la figura di cui all'articolo 84 c.p. richiede che vi sia l'unificazione a livello normativo di tutti gli elementi che integrano ipotesi tipiche di reati tra loro differenti. Il principio alla base del ragionamento svolto nei precedenti sopra riportati non e' stato smentito dalla piu' recente Sezioni Unite Magistri (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Rv. 281973), che, nell'occuparsi dei rapporti tra il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'articolo 576, comma 1, n. 5.1 e quello di cui all'articolo 612-bis c.p. e' ritornata sul tema della convergenza di piu' norme punitive sulla medesima condotta. Il massimo Consesso ha precisato che ricorre la figura del reato cd. "eventualmente complesso" quando la condotta oggetto della fattispecie di cui si pretende l'assorbimento sia una componente meramente accidentale del reato che si pretende assorbente, legata cioe', alla conformazione concreta del comportamento; altrimenti detto, si e' nel campo del reato eventualmente complesso quando, per commettere un reato, si adottino modalita' esecutive che integrano una diversa fattispecie di reato, allorche' queste modalita' esecutive siano meramente accidentali, ma non costituiscano delle componenti strutturali del reato assorbente (le Sezioni Unite hanno richiamato, a titolo esemplificativo di tale inquadramento, anche Sez. 5, Manzo, cit.). Tale figura hanno ribadito le Sezioni Unite - e' estranea all'ambito applicativo dell'articolo 84 c.p.. 2. Il secondo motivo di ricorso - che agita il tema del falso in fotocopia - e' manifestamente infondato. 2.1. Ancorche' la Corte territoriale abbia risposto al motivo di appello sul tema del falso in fotocopia con un'ampia quanto superflua evocazione di Sezioni Unite Marcis (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Rv. 276285), il Collegio ritiene che il motivo di ricorso sia inammissibile per carenza di interesse a dolersi di vizi che, anche in caso di annullamento, non condurrebbero ai risultati sperati perche' il motivo di appello su cui si innesta la motivazione censurata era manifestamente infondato (sulla mancanza di interesse in caso di omessa motivazione su motivo di appello manifestamente infondato, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e altri, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157). Cio' per due ragioni. La prima e' che oggetto dei reati di falso non e' il modello F24 in se', ma l'attestazione dell'avvenuto versamento della somma in esso portata, che, nel caso di specie, era apposta sull'esemplare consegnato al cliente truffato; e' evidente che, per l'attestazione anzidetta, non si pone alcun problema di distinguo tra originale e copia, in quanto essa e' apposta in originale sull'esemplare del modello che viene conservato dal contribuente proprio per dimostrare l'avvenuta ricezione della somma da parte del delegato a riceverla e l'adempimento dell'obbligo da parte del privato. La seconda e' che, quand'anche il falso dovesse essere riguardato rispetto al modello cartaceo F24 in se' consegnato al cliente, quest'ultimo non puo' ritenersi una copia di un atto originale perche' l'esemplare del modello anzidetto che rimane al contribuente, con l'attestazione dell'avvenuto pagamento, non e' una copia ma e', appunto, l'esemplare ab origine estratto dal sistema e destinato a restare, con l'attestazione di pagamento, nelle mani del soggetto pagatore. Secondo il Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 19, infatti, "1. I versamenti delle imposte, dei contributi, dei premi previdenziali ed assistenziali e delle altre somme, al netto della compensazione, sono eseguiti mediante delega irrevocabile ad una banca convenzionata ai sensi del comma 5. 2. La banca rilascia al contribuente un'attestazione conforme al modello approvato con decreto del Ministro delle finanze, recante l'indicazione dei dati identificativi del soggetto che effettua il versamento, la data, la causale e gli importi dell'ordine di pagamento, nonche' l'impegno ad effettuare il pagamento agli enti destinatari per conto del delegante. L'attestazione deve recare altresi' l'indicazione dei crediti per i quali il contribuente si e' avvalso della facolta' di compensazione". Un utile chiarimento circa l'individuazione dell'oggetto del falso proviene dalle motivazioni della gia' citata Sez. 5, Merola, laddove - di fronte alla pretesa del ricorrente di qualificare il falso nella copia del contribuente del modello F 24 ex articolo 478 e non ex articoli 476 e 482 c.p. - questa Corte ha obiettato che "la copia riservata all'ufficio tributario e quella rilasciata al contribuente costituiscono due parti sostanzialmente identiche del modello, e che il documento destinato al contribuente ha di per se' funzione di quietanza del pagamento con efficacia liberatoria" sicche' "non vi e' alcuna ragione per differenziare la qualificazione giuridica dei due atti, laddove entrambi documentano, con pari efficacia nei confronti dei terzi, il compimento di un'attivita' svolta in presenza del funzionario che vi appone le attestazioni, ossia l'avvenuto pagamento dell'imposta". Sempre allo scopo di sostenere la qualificazione giuridica di falso in atto pubblico del privato, la sentenza Malisan, pure gia' citata, ha altresi' chiarito che "La normativa di settore prevede in particolare che il modello di versamento "F24" e' predisposto in tre esemplari: i primi due sono trattenuti dalla banca concessionaria ed il terzo e' rilasciato al contribuente. La banca delegata, all'atto del versamento, rilascia al contribuente il terzo esemplare del modello riportante "l'attestazione di avvenuto pagamento" o, in caso di saldo finale uguale a zero, l'attestazione di avvenuta presentazione del modello (cfr. Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articoli 2 e 19; Decreto Ministeriale Finanze del 30 marzo 1998)". Quel che e' chiaro, dunque, e' che la copia riservata al contribuente del Modello F 24 non e' una copia fotostatica come sembrerebbe pretendere il ricorrente - ma e' l'esemplare destinato al predetto, che il sistema di pagamento produce automaticamente e su cui c'e' l'attestazione, da parte del soggetto delegato dal contribuente a pagare al Fisco o all'ente beneficiario, dell'avvenuta ricezione delle somme a questi ultimi destinate. 2.2. Un'ulteriore osservazione si impone, per far fronte ad una diversa lettura della censura che potrebbe profilarsi nel ricorso, pur nell'ambiguita' argomentativa che, in parte qua, lo caratterizza. Il Collegio precisa che, se quello che il ricorrente intende con la sua censura non e' contestare, in via generale, l'inquadramento giuridico dei fatti, ma dubitare che, nel concreto, gli F24 rilasciati dall'imputato recassero l'attestazione dell'avvenuta presentazione e del pagamento e che essi, per presunte anomalie che li caratterizzavano, fossero conformi al modello in uso, allora sia il motivo di appello che il motivo di ricorso "sul punto sono generici, in quanto non evidenziano a quale, tra i numerosi falsi addebitati all'imputato, si riferisca la censura e quali fossero, nel dettaglio, le anomalie che lo caratterizzavano. 3. Il terzo motivo di ricorso che pretende la riqualificazione delle truffe in altrettante appropriazioni indebite - e' inammissibile siccome portatore di una diversa lettura dei dati probatori; di contro, la motivazione della sentenza impugnata non e' manifestamente illogica ne' fondata su presupposti teorici fallaci laddove ha attribuito rilevanza decettiva, nella fase preliminare alla dazione, alla mancata rimozione del cartello gia' esposto in precedenza che reclamizzava l'effettuazione di pagamenti di bollettini di conto corrente, in uno al silenzio maliziosamente serbato dal ricorrente circa il venir meno dell'abilitazione a ricevere i pagamenti. Tali condotte sono state ritenute idonee ad incidere sul processo volitivo delle persone offese, che, in ragione anche della apparente continuita' del servizio rispetto a quello legittimamente e precedentemente svolto e dell'ignoranza circa la revoca dell'affiliazione con la (OMISSIS) s.p.a., ebbero ad affidare le somme all'imputato, confidando sul fatto che questi avrebbe effettuato i pagamenti. A completare il piano truffaldino vi era poi la consegna delle false ricevute che attestavano pagamenti mai effettuati. E che il silenzio fosse preordinato a tradire la fiducia riposta dai clienti e ad ottenere la consegna delle somme e' evidente sulla scorta del fatto che tale condotta e' stata seriale e si colloca perfettamente nel piano complessivo, costituendone un ingranaggio essenziale, senza il quale i delitti non sarebbero stati commessi perche' le persone offese non avrebbero affidato al prevenuto le somme. Si tratta, con tutta evidenza, di una condotta decettiva che ha preceduto e ha determinato la scelta degli ignari clienti di affidare il denaro all'imputato, il che sancisce l'estraneita' dello schema comportamentale rispetto al reato di appropriazione indebita, che - come pure riconosce, in linea teorica, il ricorrente - presuppone che l'autore del fatto abbia ottenuto legittimamente il possesso dei beni e, solo in un momento successivo, si sia determinato ad appropriarsene. D'altra parte, che il silenzio tenuto dall'imputato sulla cessazione dell'autorizzazione possa costituire una condotta rilevante ex articolo 640 c.p. lo si desume dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di truffa contrattuale secondo la quale anche il silenzio, maliziosamente serbato, su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volonta' negoziale del soggetto passivo (Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, C., Rv. 275463; Sez. 2, n. 28791 del 18/06/2015, Bidoli, Rv. 264400; Sez. 2, n. 32859 del 19/06/2012, D'Alessandro, Rv. 253660; Sez. 2, n. 28703 del 19/03/2013, Rossi, Rv. 256348). 4. Il quarto motivo di ricorso - che contesta la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11) - e' manifestamente infondato, dal momento che la motivazione della Corte distrettuale non e' manifestamente illogica laddove ha ritenuto che l'imputato avesse tradito la fiducia in lui riposta dai clienti che si affidavano ai suoi servizi. Di contro, il ricorso affida le proprie ragioni ad argomentazioni che non incidono sulla tenuta di questo ragionamento, in una fattispecie, peraltro, in cui l'abuso di un rapporto di prestazione d'opera da parte del prevenuto e' autoevidente rispetto all'erogazione di un servizio a pagamento che implicava necessariamente la regolare effettuazione di esso con l'effettivo versamento ai destinatari finali delle somme che invece l'imputato, dopo aver taciuto di non essere piu' abilitato, aveva trattenuto per se'. Che la sentenza impugnata abbia fondato il proprio ragionamento circa la sussistenza del reato di truffa anche sull'apposizione del cartello alla vetrina dell'esercizio non e' - contrariamente a quanto opina il ricorrente - rilevante ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della aggravante in discorso, giacche' si tratta di un tassello della condotta tesa a accreditarsi come colui che poteva erogare la prestazione nell'ambito delle quale si sarebbe realizzata la condotta truffaldina. Corretta appare, in conclusione, la scelta della Corte territoriale di confermare la sentenza di primo grado anche quanto alla aggravante in parola, tenuto conto del fatto che essa e' pacificamente riconosciuta in ogni ipotesi in cui l'autore del fatto abbia approfittato di un rapporto giuridico comportante un obbligo di facere e che, comunque, instauri tra le parti un rapporto di fiducia che possa agevolare la commissione del fatto (ex multis, Sez. 6, n. 11631 del 27/02/2020, E., Rv. 278720; Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255792; Sez. 2, n. 6947 del 21/01/2010, Donati, Rv. 246484). 5. Anche il quinto motivo di ricorso e' inammissibile. 5.1. Il ricorso e' aspecifico e reiterativo in ordine al reato di cui al capo G) perche' la Corte di appello - con motivazione immune da vizi logici e non specificamente contestata dal ricorrente - ha chiarito che l'indicazione, in querela, della TARI e non dell'IMU, era dovuta ad un mero lapsus del querelante, che non metteva in dubbio che si trattasse dell'IMU, come provato dalla documentazione acquisita e dalle informazioni fornite dal Comune. 5.2. In ordine ai reati di cui ai capi LL), XX), QQQ), la risposta della Corte di appello che ha reputato sufficiente il racconto delle persone offese a prescindere dalla mancata acquisizione dei bollettini - non e' manifestamente illogica e si sottrae alle critiche del ricorrente, dal momento che ha attribuito rilievo - come era consentito, cfr. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 - al dato narrativo senza che, sull'affidabilita' di quest'ultimo, il ricorrente abbia mosso specifiche critiche. Il ricorso puo' dirsi, in parte qua, manifestamente infondato e generico. 5.3. La risposta della Corte di appello circa il reato di cui al capo LL) -laddove ha reputato anche il (OMISSIS) titolare del diritto di querela poiche' era colui che aveva sborsato la somma destinata al pagamento delle utenze intestate alle congiunte - non e' manifestamente illogica, giacche' si tratta del soggetto ingannato e che ha subito la deminutio patrimoniale conseguente al reato. 6. Il sesto motivo di ricorso - che concerne il trattamento sanzionatorio - e' manifestamente infondato giacche' la Corte di appello ha dato conto delle connotazioni fattuali e personali della vicenda che sorreggono la scelta sanzionatoria (l'innegabile pervicacia manifestata dall'imputato, a cui sono addebitate ben settanta condotte, nonche' la mancanza di indici di resipiscenza). D'altronde l'obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorche' la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi e altri, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). 7. Il settimo motivo di ricorso - che e' rivolto a censurare l'assenza di motivazione circa il quantum di aumento per i reati satellite e la determinazione stessa degli incrementi sanzionatori e' inammissibile per le ragioni che seguono. 7.1. Circa l'entita' dell'aumento ex articolo 81 c.p., comma 2, il ricorso e' generico perche' non precisa quale sarebbe stata la quantificazione ideale e quale vizio caratterizza quella effettuata. In ogni caso, il Collegio deve altresi' porre in rilievo che, sull'individuazione della pena per ciascun reato satellite, non vi era motivo di appello. Ne consegue l'inammissibilita' del ricorso perche' non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificita' alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l'articolo 606 c.p.p., comma 3, quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica). 7.2. Avuto riguardo, infine, alla motivazione sulle ragioni della quantificazione degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p., comma 2 l'argomentazione giustificativa del trattamento sanzionatorio complessivo che si legge nella sentenza impugnata si riferisce esplicitamente anche ai reati satellite e, comunque, l'appello si limitava, sull'assenza di motivazione, ad una doglianza generica ed era, quindi, geneticamente inammissibile, sicche' la Corte territoriale poteva non prenderlo in considerazione, trattandosi di un'ipotesi riconducibile ad una causa di inammissibilita' originaria del gravame di merito. I motivi generici, infatti, restano colpiti dalla sanzione di inammissibilita' anche quando la sentenza del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione, donde il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi cosi' viziati in radice non puo' essere oggetto, a pena di inammissibilita', di ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700; Sez. 1, n. 7096 del 20/01/1986, Ferrara, Rv. 173343). 8. Quanto all'istanza del difensore dell'imputato, Avv. Bernardo Brancaccio, che ha chiesto di rinviare l'odierna udienza per l'adesione all'astensione di categoria, il Collegio ha ritenuto non vi fossero gli estremi per il suo accoglimento, considerato il disposto di cui all'articolo 4 del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli Avvocati "(Prestazioni indispensabili in materia penale)". La disposizione suddetta recita: "L'astensione non e' consentita nella materia penale in riferimento (...) ai procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini preliminari, entro 360 giorni, se pendenti in grado di merito, entro 180 giorni, se pendenti nel giudizio di legittimita', entro 90 giorni". Il presente processo, infatti, vedeva ancora sub iudice settantaquattro reati e, alla data odierna - qualora il ricorso non fosse stato inammissibile - sarebbe maturata la prescrizione per tutti quelli commessi in data anteriore al 19 settembre 2014, tenuto conto del termine massimo ex articoli 157 e 161 c.p. di anni sette e mesi sei e delle sospensioni per complessivi giorni 399, legate ai rinvii delle udienze dal 18 luglio 2017 al 16 gennaio 2018 (per astensione), dal 20 novembre 2018 al 21 febbraio 2019 (per astensione), dal 21 febbraio 2019 al 7 maggio 2019 (per legittimo impedimento) e dal 26 marzo 2020 al 29 settembre 2020 (per la disciplina emergenziale da Covid 19). Inoltre - riguardando solo la data finale del commesso reato annotata in calce alle singole imputazioni e in mancanza di una specificazione diversa nella sentenza impugnata - la prescrizione sarebbe maturata nei prossimi novanta giorni per diversi, ulteriori reati. Basti qui richiamare, a titolo esemplificativo, quelli di cui ai capi i), m), q), t), u), w), y), z), ff), in cui sono annotate date comprese nei novanta giorni successivi al 19 settembre 2014, trascurando che ciascuna data e' preceduta dalla locuzione "sino al", dal che consegue che anche altri addebiti, ancorche' riportanti date successive al periodo suddetto, potrebbero riguardare condotte per cui sarebbe maturata la prescrizione nei novanta giorni da oggi. 9. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). L'esito del giudizio odierno impone altresi' di condannare l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dall'avv. (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 6,000,00 oltre accessori di legge; dalle parti civili difese dall'avv. (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 2.800,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dall'avv. (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 6,000,00 oltre accessori di legge; dalle parti civili difese dall'avv. (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 2.800,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 27/06/2022 del TRIBUNALE DEL RIESAME di PALERMO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI; udito il Procuratore Generale, nella persona del Dott. GIOVANNI DI LEO, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 27 giugno 2022, il Tribunale di Palermo -sezione riesame- ha, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, applicato, congiuntamente alla misura interdittiva alla quale si trova gia' sottoposto, la misura cautelare degli arresti domiciliari a (OMISSIS), indagato per i reati di cui agli articoli 615 ter c.p., commi 2, n. 1 e comma 3, e articolo 640 ter c.p., comma 2, perche', in qualita' di dipendente comunale, effettuava operazioni anomale sulle banche dati utilizzate per la gestione dei pagamenti dei tributi locali IMU e TARI. 2. Propone ricorso (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore. Con l'unico articolato motivo il ricorrente denunzia vizi motivazionali in relazione all'esigenze cautelari. In particolare, evidenzia che le condotte ascrittegli sono risalenti, sicche' non vi sarebbe concreto ed attuale pericolo di reiterazione. Peraltro, i fatti contestati non presentano un'oggettiva gravita', giacche' gli storni di somme effettuati sono di piccola entita'. E' carente anche il requisito dell'inquinamento probatorio, perche' v'e' stata completa ammissione dei fatti e sono scaduti i termini di durata delle indagini preliminari. Da ultimo, il ricorrente rappresenta di avere in data 11 luglio 2022 depositato istanza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato, anche alla luce di quanto allegato dalla difesa del ricorrente, relativamente alla sopravvenuta definizione del procedimento con istanza di applicazione della pena, circostanza non considerata dal Tribunale. 2. Nel provvedimento impugnato si da' atto della natura ampiamente confessoria delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS). Al conseguente venir meno delle esigenze cautelari di natura probatoria, il Tribunale connette, con argomentazioni manifestamente illogiche, un rafforzato giudizio sulla sussistenza di esigenze di natura special preventiva, senza, tuttavia, tenere conto, da un lato, dell'esistenza dell'applicata misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio e, dall'altro, dell'intervenuto allontanamento del (OMISSIS) dall'ufficio nel quale sono state commesse (peraltro, in epoca risalente) le condotte penalmente rilevanti. Sono dunque fondati i rilievi difensivi in ordine ai vizi motivazionali del provvedimento sulle esigenze cautelari. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 720 del 2023, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ma., con domicilio eletto come da PEC Registri Giustizia; contro Sa. Ro. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ba., Gu. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima n. 02317/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sa. Ro. Ma.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Ba. su delega di Ma. e Ba.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellato consigliere comunale (omissis), ai sensi dell'art. 42 del TUEL, formulava istanza di accesso al protocollo dell'ente, mediante report settimanali, con decorrenza 1° dicembre 2021 (per gli 11 mesi precedenti del 2021, ossia gennaio - novembre, chiedeva invece "documenti di sintesi"). Dopo due istanze di accesso inizialmente evase, il report settimanale veniva prima avviato ma poi interrotto a febbraio 2022. A questo punto il consigliere comunale presentava una terza istanza di accesso, in data 3 marzo 2022, con cui si chiedeva: da un lato di ripristinare l'invio settimanale dei suddetti report; dall'altro lato il rilascio dell'ordine di servizio del Sindaco che avrebbe imposto il blocco all'invio del report stesso (ordine di servizio la cui esistenza gli veniva comunicata, per le vie brevi, in occasione del blocco stesso). Dinanzi all'inerzia del Comune, l'interessato presentava "sollecito" in data 3 aprile 2022 cui l'amministrazione dava questa volta riscontro mediante notifica, in data 5 maggio 2022, del suddetto ordine di servizio sindacale del 24 febbraio 2022 (ordine contenente inibitoria fondata sul sicuro congestionamento degli uffici nonché sulla probabile violazione della privacy di terze persone contemplate nella richiesta ostensione documentale). 2. Tale ultimo atto veniva impugnato dinanzi al TAR Lombardia che, dopo avere rigettato l'eccezione di tardività del ricorso (su cui più avanti ci si soffermerà ), accoglieva il gravame in quanto la conoscenza di tale documentazione (report settimanale su protocollo documentazione in entrata ed in uscita) risulterebbe essenziale per "agevolare la valutazione dell'efficacia dell'azione amministrativa" nonché per "stimolare la promozione di ulteriori attività in favore della collettività rappresentata". 3. La sentenza formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati: 3.1. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stata rilevata la tardività o meglio l'inammissibilità del gravame (sulla istanza del 3 marzo 2022 si sarebbe infatti formato silenzio rigetto, il 2 aprile 2022, non tempestivamente impugnato entro il 2 maggio 2022, laddove l'impugnazione in primo grado è stata notificata soltanto il successivo 6 giugno 2022); 3.2. Erroneità nella parte in cui il TAR non avrebbe considerato che una simile richiesta ostensiva, dirigendosi oltre quelle che sono le prerogative del consigliere comunale, finirebbe per stravolgere l'assetto organizzativo della PA (data la mole dei dati da gestire e con cadenza settimanale) nonché per compromettere seriamente la sfera di riservatezza di terze persone. Si richiamava al riguardo la sentenza di questa stessa sezione n. 2089 del 2021 (la quale afferma che non possono esistere "diritti tiranni", come quello dei consiglieri comunali circa l'accesso agli atti, rispetto ad altri come per l'appunto la riservatezza di terzi). 4. Si costituiva in giudizio l'intimato consigliere comunale per chiedere il rigetto del gravame. 5. Alla camera di consiglio del 4 aprile 2023 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione. 6. Tutto ciò premesso il primo motivo di appello deve essere rigettato dal momento che: 6.1. È ben vero che il 3 marzo è stata formulata una istanza di accesso sulla quale si è formato silenzio rigetto non tempestivamente e ritualmente impugnato; 6.2. È anche vero che, pur a fronte di una mera reiterazione dell'istanza di accesso in data 3 aprile 2022 (ripristino report nonché ordine di servizio del Sindaco di (omissis)), mentre sulla precedente istanza del 3 marzo 2022 il Comune è rimasto totalmente inerte (dunque si rigettava per silentium l'istanza medesima sia per quanto riguarda l'invio dei report, sia per quanto riguarda l'ordine di servizio), in data 5 maggio 2022 si è assistito ad una parziale rivisitazione di tale posizione nel momento in cui, pur confermando espressamente il blocco dei report, l'ordine di servizio sindacale del 24 febbraio 2022 è stato invece integralmente esteso; 6.3. Dunque non ricorrono quei presupposti indicati dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2022, n. 7999; Cons. Stato, Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7) secondo cui, a fronte di mere reiterazioni dell'istanza di accesso già denegata (espressamente o per silentium), ove la PA si limiti ad adottare atti di segno ulteriormente negativo ed a valenza "meramente confermativa" (lo schema è nella sostanza quello degli atti di autotutela) il ricorso avverso il secondo atto sarebbe inammissibile; 6.4. Nel caso di specie non si è infatti in presenza di un atto "meramente confermativo" della PA, e ciò sia perché con l'atto notificato il 5 maggio 2022 il Comune ha effettuato una rinnovazione delle proprie valutazioni, sia soprattutto perché : mentre sull'istanza del 3 marzo 2022 il diniego era totale (report settimanali + ordine di servizio sindacale), sul sollecito del 3 aprile 2022 è stata consentita l'ostensione almeno parziale agli anelati documenti (ossia l'ordine di servizio del 24 febbraio 2022); 6.5. Di qui la tempestività del ricorso di primo grado dal momento che, a fronte della ostensione avvenuta il 5 maggio 2022, il ricorso è stato poi notificato il 6 giugno 2022 (ossia di lunedì ) ed il conseguente rigetto del primo motivo di appello. 7. Sul secondo motivo di appello occorre distinguere: 7.1. Quanto alla ritenuta violazione della privacy: 7.1.1. Se da un lato si registra un orientamento tradizionale secondo cui la riservatezza non è opponibile ai consiglieri comunali in quanto gli stessi sono comunque tenuti al segreto d'ufficio ai sensi dell'art. 43, comma 2, TUEL (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2022, n. 8667; Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2021, n. 3161); 7.2.2. Si registra dall'altro lato un precedente di questa stessa sezione (11 marzo 2021, n. 2089) secondo cui non possono essere ammessi "diritti tiranni" (nel caso di specie: quello dei consiglieri comunali ad avere accesso agli atti del proprio comune) rispetto ad altre situazioni che godono peraltro di una certa copertura costituzionale (sempre nella specie: riservatezza di terzi). In queste ipotesi occorre operare un "equilibrato bilanciamento" tra le due posizioni (l'una dei consiglieri a poter esercitare pienamente e pressoché incondizionatamente il proprio mandato, l'altra relativa alla riservatezza di terzi i cui nominativi potrebbero formare oggetto di ostensione) attraverso la messa a disposizione di dati ed informazioni in forma tale da non comportare, in ogni caso, la divulgazione altresì dei nominativi dei soggetti interessati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2023, n. 2189); 7.2.3. Nel caso di specie questo secondo indirizzo è stato pertanto correttamente osservato dal giudice di primo grado; 7.3. Sul piano del congestionamento degli uffici, occorre invece rilevare che questa stessa sezione (cfr. sentenza 3 febbraio 2022, n. 769) ha evidenziato come debba essere operata una certa distinzione tra semplice accesso agli atti ed accesso che implica, nella sostanza, una "innovazione organizzativa radicale" ossia "un nuovo atto organizzativo generale". Ciò avviene nella misura in cui si chiede una mole di dati ed informazioni "pari alla latitudine dell'intera amministrazione di riferimento". Circostanza questa che si verifica anche nel caso di specie, allorché si chiede di accedere settimanalmente (e dunque anche sistematicamente) a tutto il protocollo dell'ente. Ebbene in queste ipotesi il diritto del consigliere, che non è illimitato, trova un limite nella sua funzione stessa (che non è quella di affiancarsi alla struttura amministrativa istituendo, in concreto, una nuova figura organizzativa e dunque nuovi assetti funzionali e ulteriori modelli procedimentali) e soprattutto nel principio di proporzionalità dell'azione amministrativa. Dunque il secondo motivo di appello va accolto sotto questo particolare profilo, atteso che l'accesso con cadenza settimanale a tutto il protocollo dell'ente non può rivelarsi strettamente funzionale ai compiti che deve assolvere il consigliere. Più in particolare, una siffatta domanda è diretta non tanto ad esercitare un ben delimitato (per quanto vasto) accesso agli atti ma, piuttosto, ad introdurre e implementare un nuovo modello organizzativo e procedimentale, diretto come tale a consentire in maniera sistematica un determinato modus operandi a carico della PA. In altre parole, il perimetro di azione e di conoscenza rispetto a determinati dati ed informazioni non risulta ampio e allo stesso tempo comunque delimitato come in occasione dei precedenti della sezione stessa [es. gestione tassa rifiuti (sentenza n. 2189 del 1° marzo 2023); concessione dei benefici post COVID (sent. n. 2089 dell'11 marzo 2021); abusi edilizi territorialmente e temporalmente circoscritti (sent. n. 8667 del 10 ottobre 2022); servizio TARI per un biennio (sent. n. 3161 del 19 aprile 2021)] ma si rivela, piuttosto, irragionevolmente e indistintamente esteso a tutta l'attività dell'amministrazione comunale. Tanto che in occasione della odierna discussione la difesa della parte appellata (id est: del consigliere comunale) ha inteso precisare che la richiesta non è in prima battuta al contenuto della documentazione registrata al protocollo ma soltanto ai relativi dati di sintesi (numero protocollo, oggetto e data). Soltanto in seconda battuta si procederà ad una seconda istanza di accesso, questa volta più approfondita, a taluni degli atti di maggiore interesse. Ciò che sta a significare che la prima forma di accesso (report settimanali) si rivela attività soltanto gravosa per il comune e di scarsa utilità, allo stesso tempo, per il consigliere che potrebbe invece direttamente accedere, in modo comunque meno indeterminato, alla sola documentazione di cui effettivamente potrebbe avere necessità ai fini del pieno espletamento del proprio mandato elettorale. Nei termini e nei limiti di cui sopra, ossia con esclusivo riferimento al secondo profilo (congestionamento uffici o meglio rivisitazione del quadro organizzativo e procedimentale), il motivo di appello deve dunque essere accolto. 8. In conclusione il ricorso in appello deve essere accolto, sebbene nei limiti e con le precisazioni di cui sopra, e la sentenza di primo grado riformata con conseguente legittimità - in parte qua (ossia con riguardo al solo profilo sul congestionamento/riorganizzazione degli uffici e non anche sulla riservatezza) - dell'ordine di servizio del Sindaco in data 24 febbraio 2022. Con compensazione in ogni caso delle spese di lite in ragione della peculiarità della esaminata questione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui motivazione e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Angela Rotondano - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2385 del 2021, proposto da Ma. It. e Fi. s.r.l. Un., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Fi., Vi. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (Omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 3664/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il Cons. Gianluca Rovelli e preso atto del deposito, in data 16 gennaio 2023, della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d'intesa del 10 gennaio 2023, da parte degli avvocati Fi. e Tr.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Ma. It. e fi. s.r.l. un. riferisce di aver svolto la propria attività alberghiera nel Comune di (Omissis) quale titolare dell'Ho. El. Pa. sito al (...). Ha depositato, insieme all'atto di appello, dichiarazione nella quale si legge che "la struttura alberghiera sita in (Omissis) al (...), denominata Ho. El. Pa. è chiusa a far data dal novembre 2019". 2. Afferma che, con deliberazione del Consiglio comunale n. 22/2016, il Comune ha determinato le aliquote per il calcolo della TARI, in modo sproporzionato a danno dei titolari di attività commerciali e, in particolare, alberghiere. 3. Il Comune ha stabilito per le utenze non domestiche di cui alla categoria 7, alberghi con ristorante, l'aliquota di € 10,93, superiore a quella imposta per le utenze domestiche per le quali ha previsto un'aliquota che va da un minimo di € 3,78 a un massimo di € 4,00. Nella quantificazione delle aliquote TARI l'amministrazione ha deciso di adottare il metodo del "chi inquina paga" di cui all'art. 1, comma 652, L. 147/2013 che conferisce ai Comuni la facoltà di sancire in autonomia l'ammontare della tariffa TARI, derogando al cd. metodo "normalizzato" disciplinato dall'art. 1, comma 651 della stessa legge, caratterizzato dal mero recepimento dei parametri indicati dal d.P.R. 158/1999. 4. Per gli anni 2017 e 2018 il Comune ha confermato le aliquote TARI di cui alla delibera n. 22/2016. 5. Avverso la deliberazione di conferma delle tariffe per l'anno 2018 (delibera del consiglio comunale n. 10 del 24 aprile 2018) la Ma. It. e Fi. s.r.l. ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 6. Il Comune di (Omissis) ha chiesto la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, pertanto, con atto di costituzione datato 21 dicembre 2018, è stato instaurato il giudizio R.G. 5169/2018 innanzi al TAR Campania - Napoli. 7. In data 23 aprile 2019, con delibera del Consiglio comunale n. 2, il Comune ha stabilito le tariffe TARI per l'anno 2019 mantenendo intatte le aliquote già oggetto della precedente impugnazione. 8. Avverso tale ulteriore conferma delle aliquote TARI, la Ma. It. e Fi. s.r.l. ha proposto ricorso innanzi al TAR Campania Napoli, R.G. 2951/2019. Il Comune di (Omissis) si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso e, in data 8 luglio 2020, le cause sono state trattenute in decisione, all'esito della quale, il TAR ha disposto la riunione dei menzionati ricorsi e si è pronunciato su entrambi rigettandoli con sentenza n. 3664/2020. 9. Della sentenza, asseritamente ingiusta e illegittima, Ma. It. e Fi. s.r.l. Un., ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello alla stregua dei seguenti motivi così rubricati: "I. ERRORES IN IUDICANDO ET IN PROCEDENDO - ILLOGICITA' MANIFESTA - OMESSA PRONUNCIA - CONTRADDITTORIETA' - TRAVISAMENTO DEI FATTI; II. ERRORES IN IUDICANDO - SVIAMENTO - TRAVISAMENTO DEI FATTI - ERRONEITA' DEI PRESUPPOSTI". 10. L'amministrazione intimata non si è costituita in giudizio. 11. Alla udienza pubblica del 19 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 12. Le argomentazioni dell'appellante necessitano di una sintesi al fine di inquadrare le questioni sottoposte al Collegio e le critiche mosse alla sentenza impugnata. 13. Con il primo motivo l'appellante argomenta come segue. 13.1. Il TAR si è soffermato in un'ampia dissertazione volta ad analizzare l'istituto della TARI, affermando che è legittima per le amministrazioni comunali l'attribuzione di una tariffa più elevata in capo alle utenze non domestiche - con particolare riguardo alle strutture alberghiere - rispetto alle aliquote adottate in capo alle utenze domestiche. L'appellante afferma di non avere mai avanzato la pretesa di vedere equiparate le aliquote attribuite alle due diverse categorie. L'elemento principale di contestazione risiederebbe, invece, nel difetto di motivazione delle determinazioni adottate da parte del Comune di (Omissis), il quale aveva sicuramente la facoltà di predisporre aliquote diverse per diverse categorie di utenti, essendo però al contempo chiamato a motivare tali decisioni. 13.2. I provvedimenti di determinazione delle tariffe TARI, pur consistendo in atti di portata generale, richiederebbero, per le loro peculiari caratteristiche e ripercussioni sui cittadini interessati, un onere motivazionale rafforzato. 13.3. Sarebbe quindi erronea la sentenza nella parte in cui afferma che non sussiste obbligo motivazionale per i Comuni nella determinazione delle tariffe TARI. 14. Con il secondo motivo l'appellante argomenta come segue. 14.1. Il Comune di (Omissis) non ha adottato il metodo normalizzato ma ha "precisato che i criteri adottati per il calcolo e la commisurazione della tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie sono quelli desunti dall'art. 1, comma 652, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 e s.m.i., nel rispetto del principio "chi inquina paga", sancito dall'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008" (Cfr. deliberazione del consiglio comunale n. 22/2016). 14.2. Le argomentazioni addotte dal TAR, tese a sostenere la correttezza dell'operato del Comune, prendono le mosse da un presupposto che sarebbe errato, ovvero che l'amministrazione abbia fatto riferimento ai criteri disposti dal cd. metodo normalizzato di cui all'art. 1, comma 651, della legge 27 dicembre 2013 n. 147. Avendo, al contrario, deciso di adottare il principio comunitario del "chi inquina paga" il Comune si è determinato a discostarsi dai criteri di cui al d.P.R. n. 158/1999, dovendo quindi sottostare a un onere di motivazione rafforzata in ordine alle proprie scelte. 15. I due motivi di appello, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati. 15.1. Va preliminarmente precisato che l'appellante cita a sostegno delle proprie ragioni giurisprudenza di questa Sezione. In particolare, viene menzionato il precedente di cui alla sentenza del Consiglio di Stato sez. V, 1 agosto 2015, n. 3781 secondo cui: "è illegittima la delibera con la quale il Comune, in contraddizione con il principio comunitario "chi inquina paga", ha aumentato le tariffe della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani relativamente alle camere di albergo - esercizi comunque già gravati da tariffe di gran lunga maggiori per le parti comuni, con un ulteriore maggiorazione nel caso di presenza di ristorante - con l'imposizione, senza motivazione, di un tributo quasi doppio rispetto alle case di abitazioni private". 15.2. E' bene precisare che la vicenda qui all'esame è del tutto differente rispetto a quella di cui alla sentenza sopra citata. Mentre qui siamo di fronte a una mera conferma delle tariffe degli esercizi precedenti e quindi a una conseguente conferma delle poste di bilancio dell'ente locale in entrata e in spesa, la questione controversa risolta con la citata sentenza del 2015 era un caso di aumento delle tariffe (si legge nella sentenza "tale rilevante aumento lineare appare privo di qualsiasi motivazione"). La questione non è irrilevante. Un conto è la conferma di tariffe già deliberate per gli esercizi finanziari precedenti che non generano alcun aggravamento del carico tributario, un conto è il primo aumento lineare delle tariffe con conseguente aggravamento dell'imposizione fiscale e rimodulazione delle poste di bilancio in entrata e in spesa. 15.3. La mera conferma delle tariffe costituisce, piana attuazione del principio contabile della continuità e della costanza di cui all'Allegato 1 del d.gs. 23 giugno 2011, n. 118 "Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42". 15.4. Il richiamato principio contabile (undicesimo principio) dispone quanto segue: "La valutazione delle poste contabili di bilancio deve essere fatta nella prospettiva della continuazione delle attività istituzionali per le quali l'amministrazione pubblica è costituita. Il principio della continuità si fonda sulla considerazione che ogni sistema aziendale, sia pubblico sia privato, deve rispondere alla preliminare caratteristica di essere atto a perdurare nel tempo. Pertanto le valutazioni contabili finanziarie, economiche e patrimoniali del sistema di bilancio devono rispondere al requisito di essere fondate su criteri tecnici e di stima che abbiano la possibilità di continuare ad essere validi nel tempo, se le condizioni gestionali non saranno tali da evidenziare chiari e significativi cambiamenti. Il principio si applica anche al fine di garantire equilibri economico - finanziari che siano salvaguardati e perdurino nel tempo. Il principio della continuità riguarda anche i dati contabili che nella successione del tempo devono essere rilevati e rappresentati con correttezza nelle situazioni contabili di chiusura e di riapertura dei conti e in tutti i documenti contabili. Inoltre, la costanza di applicazione dei principi contabili generali e di quelli particolari di valutazione è uno dei cardini delle determinazioni finanziarie, economiche e patrimoniali dei bilanci di previsione, della gestione, del rendiconto e bilancio d'esercizio (principio della costanza). Infatti, il principio della continuità e quello della costanza dei criteri applicati introducono le condizioni essenziali per la comparabilità delle valutazioni tra i documenti contabili del bilancio di previsione e della rendicontazione e delle singole e sintetiche valutazioni nel tempo, anche connesse con i processi gestionali. L'eventuale cambiamento dei criteri particolari di valutazione adottati, deve rappresentare un'eccezione nel tempo che risulti opportunamente descritta e documentata in apposite relazioni nel contesto del sistema di bilancio. Il principio della costanza, insieme agli altri postulati, risponde alla logica unitaria di rappresentare nel sistema di bilancio, mediante i diversi valori contabili di tipo finanziario, economico e patrimoniale, la coerenza, la chiarezza e la significatività delle scelte di programmazione, della gestione e delle risultanze finali di esercizio". 15.5. Ciò premesso, va anche detto che la deliberazione consiliare che differenzia le tariffe degli alberghi rispetto a quella delle famiglie è sempre stata considerata pienamente legittima dalla Corte di Cassazione. Fin dall'art. 49 comma 10 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (attuazione delle direttive CEE sui rifiuti) nella modulazione delle tariffe, è fatto obbligo di assicurare agevolazioni per le utenze domestiche. La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che "In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dall'art. 69, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d'altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica" (Cassazione civile, sez. trib., 3 agosto 2016, n. 16175). Stessi principi sono stati affermati nell'ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 25214 del 7 dicembre 2016. Inoltre, nella pronuncia della Cassazione civile sez. VI, 19 giugno 2018, n. 16165 si legge che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all'art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili. 15.6. Va anche detto che la TARI è un tributo sostanzialmente analogo alla TARSU quindi le pronunce che si riferiscono alla TARSU riguardano fattispecie perfettamente sovrapponibili. 15.7. In relazione al principio del "chi inquina paga" è utile ricordare ciò che è stato affermato dalla Corte di Giustizia UE, Sez. III, con sentenza 4 marzo 2015 n. 534: "L'articolo 191, par. 2, TFUE, che contiene il principio «chi inquina paga », è rivolto all'azione dell'Unione e non può essere invocato dai privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in base all'articolo 192 TFUE, che disciplini specificamente l'ipotesi di cui trattasi. Parimenti, l'articolo 191, par. 2, TFUE non può essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale". Proprio in forza di detto principio è stata costantemente riconosciuta legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri veniva distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime (tra le tante, Cass., Sez. trib., 19 giugno 2015 n. 12769, Cass., Sez. trib., 28 febbraio 2014, n. 4797, Cass., Sez. trib., 23 luglio 2012 n. 12859, e anche Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2009 n. 750). 16. Per tutto quanto sopra detto, il Collegio ritiene che l'appello debba essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Nulla per le spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 3664/2020. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 6209 del 2022, proposto da Associazione dei Te. di Ge. di Mo. vi. Os., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Om. Na. e Ma. Ri., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Ca., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma in parte qua della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia Sezione prima n. 602/2022, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Na., Ri. e Cu., in dichiarata delega dell'avvocato Ca.; Rilevato che: - l'Associazione dei Te. di Ge. di Mo. vi. Os. ha proposto appello avverso la sentenza di cui in epigrafe, nella parte in cui, accolto il ricorso proposto dall'Associazione avverso il silenzio tacito serbato dal Comune di (omissis) sulla sua istanza di accesso del 10 novembre 2021 avente a oggetto gli atti sottesi all'avviso di accertamento Tari 2016 notificato all'Associazione in relazione all'immobile detenuto dalla medesima a titolo di comodato e adibito esclusivamente a luogo di culto aperto al pubblico, ha dichiarato invece inammissibile l'impugnativa ove rivolta a ottenere, come pure richiesto nell'istanza, l'ostensione della stessa documentazione relativa alla omologa tassazione operata nei confronti di altre confessioni religiose presenti nel territorio comunale, per mancata notifica ad almeno un contro-interessato; - la descritta ampiezza dell'istanza di accesso presentata dall'Associazione trova origine in contenziosi tributari pendenti che la medesima ha promosso, anche in riferimento a pregresse annualità, per contestare la misura del prelievo fiscale in parola. In particolare, l'Associazione, sul presupposto che le aree destinate al culto sono esenti dal tributo perchè insuscettibili di produrre rifiuti, criterio cui si è a suo tempo attenuta nella relativa denuncia di liquidazione (dichiarando come superfici imponibili le sole aree corrispondenti ai servizi igienici, al ripostiglio e al disimpegno), lamenta in tali contenziosi l'illegittimo accertamento dell'intera superficie del suo immobile, e ipotizza che l'Amministrazione comunale riconosca la predetta esenzione alle altre confessioni religiose, ponendo in essere nei suoi confronti un trattamento discriminatorio; - il gravame è affidato a un unico motivo (Errores in judicando per errata interpretazione e applicazione dell'art. 3 d.P.R. 184/2006; errores in judicando per travisamento del concetto di contro-interessato nonché per travisamento e mancata applicazione dei principi di diritto stabiliti da questo Consiglio di Stato in fattispecie speculari con le sentenze della Sezione nn. 6964/2021 e 7615/2021; errores in judicando e in procedendo per errata interpretazione e mancata applicazione dell'art. 116 Cod. proc. amm. in combinato disposto con l'art. 49 Cod. proc. amm.) e alla riproposizione delle censure avanzate in primo grado (1.Illegittimità del diniego tacito per eccesso di potere, irragionevolezza, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta; sussistenza dell'interesse a ottenere la documentazione indicata nell'accesso; 2.Illegittimità del diniego tacito per violazione degli artt. 3 e 25 l. 241/1990 e dell'art. 7 l. 212/2000; violazione dell'art. 9 d.P.R. 184/2006; eccesso di potere per omessa motivazione; violazione del principio di trasparenza negli atti amministrativi di cui all'art. 1 l. 241/1990; 3.Illegittimità del diniego tacito per violazione dell'art. 22 l. 241/1990; eccesso di potere per violazione degli artt. 24 e 97 Cost.; violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa; 4.Violazione degli artt. 3, 8 e 19 Cost. e degli artt. 9 e 11 CEDU anche in combinato disposto con l'art. 14 CEDU; violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali); - l'appellante conclude, in via principale, per la riforma della sentenza gravata in parte qua e per la declaratoria del suo diritto all'accesso a tutta la documentazione tributaria richiesta, con ordine al Comune di (omissis) di ostendere anche gli atti relativi alle altre confessioni religiose ivi indicate, in subordine, per il rinvio della causa al primo giudice al fine dell'integrazione del contraddittorio nei confronti dei contro-interessati; - il Comune di (omissis), non costituito nel giudizio di primo grado, si è costituito in appello, sostenendo la correttezza della gravata declaratoria di inammissibilità e comunque l'infondatezza del gravame; Rilevato che dalle sentenze della Sezione 18 ottobre 2021, n. 6964 e 16 novembre 2021, n. 7615/2021, invocate dalla parte appellante, aventi a oggetto questioni similari, si traggono i seguenti principi: a) "nessuna apprezzabile lesione o potenziale pregiudizio agli interessi sostanziali" del controinteressato può derivare dall'accesso documentale richiesto da una confessione religiosa per verificare il trattamento tributario applicato agli immobili destinati a luogo di culto da altre confessioni religiose, essendo questo "ininfluente rispetto all'esistenza dell'obbligazione avente a oggetto il pagamento del tributo" in capo a queste ultime e al loro effettivo adempimento (sentenza n. 6964/2021); b) ancora più a monte, in una tale fattispecie non è rinvenibile la figura del controinteressato. Invero "quanto al primo mezzo, con cui l'Amministrazione eccepisce (per la prima volta in sede di appello) l'omessa integrazione del contraddittorio per la mancata notifica del ricorso introduttivo del giudizio ad almeno uno dei controinteressati, esso è infondato. Trascura l'appellante di considerare che, secondo quanto stabilito dall'art. 3 del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (a mente del quale 'Fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'art. 22, comma 1, lettera c) della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano contenuto consentito tale forma di comunicazionè ), non solo essa stessa ha omesso di individuare eventuali soggetti controinteressati (o comunque non è stata fornita alcuna prova in tal senso), per quanto non ha neppure in giudizio prospettato, né dimostrato specifiche, effettive e concrete esigenze connesse alla tutela del diritto alla riservatezza di taluni soggetti (ai quali si doveva perciò notificare il ricorso o estendere il contraddittorio); ciò senza contare che siffatte esigenze di tutela della riservatezza non risultano neppure in concreto predicabili, stante il contenuto e la natura dei documenti oggetto di domanda di ostensione (attinenti a un procedimento tributario in materia di liquidazione e pagamento della TARI e alle modalità di adempimento dell'obbligazione tributaria avente ad oggetto la stessa tassa in relazione a immobili appartenenti ad altre confessioni religiose, presenti sul territorio comunale) e sarebbero in ogni caso recessive rispetto al diritto di difesa ai sensi dell'art. 24 Cost., alla cui tutela, come infra si dirà, risulta nel caso di specie preordinato l'accesso documentale" (sentenza n. 7615/2021, che ha respinto l'appello dell'amministrazione comunale in un caso in cui, come quello che occupa, questa non aveva adempiuto all'art. 3 del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, restando silente sull'istanza di accesso, e il ricorso di primo grado proposto dall'interessato ex art. 116 Cod. proc. amm., non notificato alle altre confessioni religiose cui si riferiva l'istanza, era stato accolto); Considerato che: - il Collegio intende dare continuità, ai sensi dell'art. 88 comma 2 Cod. proc. amm., ai predetti arresti, che condivide e che si attagliano perfettamente, in specie il secondo, al caso di specie; - di contro, non è convincente l'opposta tesi fatta propria dalla sentenza impugnata nella gravata pronunzia in rito, che espone che quanto, come sopra, affermato dalla sentenza della Sezione n. 7615/2021 riguardi il merito del giudizio di accesso e non anche la corretta instaurazione del contraddittorio giudiziale nei confronti dei contro-interessati. Ciò in quanto, in primo luogo, emerge con tutta evidenza che la sentenza della Sezione n. 7615/2021, nella parte sopra riportata, nel pronunziare su una eccezione di inammissibilità per mancata notifica del ricorso introduttivo del giudizio ad almeno un controinteressato, ha risolto una questione di rito e non di merito. Può aggiungersi poi, ma solo per completezza, che quando, come nella specie, vi sia stata assenza della fase procedimentale prevista dall'art. 3 del d.P.R. 184/2006, il Tribunale adito, anche ove ravvisi posizioni di contro-interesse rispetto alla domanda di accesso, non può dichiarare inammissibile il ricorso per mancata notifica ad almeno un controinteressato, bensì deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissando un termine per tale incombente (Cons. Stato, III, 4 ottobre 2019, n. 6719). Inoltre, e in via dirimente, come rilevato dalla appena citata sentenza n. 6719/2019 (che richiama Cons. Stato, III, 17 luglio 2019, n. 5018; 9 gennaio 2019, n. 216; V, 3 maggio 2018, n. 2634; IV, 24 novembre 2017, n. 5483; 26 agosto 2014, n. 4308; C.G.A.R.S., sez. giur., 8 luglio 2014, n. 395; V, 27 maggio 2011, n. 3190) la nozione di controinteressato nel rito speciale sull'accesso ex art. 116 Cod. proc. amm. è data dall'art. 22 comma 1 lett. c) l. 7 agosto 1990, n. 241, per il quale sono "controinteressati tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza". Nel rito in parola, dunque, il contro-interessato è il soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento di cui è chiesta l'ostensione, condizione che non può ravvisarsi in capo alle altre confessioni religiose indicate nell'istanza di accesso per cui è causa, in quanto la richiesta di ostensione è del tutto ininfluente rispetto all'esistenza della loro obbligazione tributaria (Cons. Stato, V, n. 6964/2021), in quanto questa, come riconosce lo stesso Comune eccepente, fonda su dati e criteri oggettivi individuati dalla legge e dai relativi regolamenti comunali che vi danno attuazione; Ritenuto, pertanto, che, in accoglimento della domanda principale dell'appellante, la sentenza impugnata deve essere annullata in parte qua; Ritenuto, quanto alle questioni non delibate in primo grado stante l'arresto della decisione, limitatamente alla parte oggetto di gravame, alla fase di rito, che: - deve riconoscersi, sempre in continuità con le ridette sentenze della Sezione nn. 6964/2021 e 7615/2021, che tutti gli atti per i quali è stato richiesto l'accesso hanno natura di "documento amministrativo" ai sensi dell'art. 22 comma 1 lett. d) l. 241/1990, che l'Associazione ha un interesse, diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, alla loro ostensione, in quanto strumentale alla tutela giudiziale dei suoi diritti nella sede giudiziale propria, come pure esplicitato nella relativa istanza, secondo il paradigma di cui all'art. 24 comma 7 l. 241/1990; - in questo quadro, non può trovare accoglimento la tesi del Comune resistente circa l'insussistenza di elementi attestanti la evocata discriminazione, trattandosi di un aspetto che, una volta acclarata l'attinenza dei documenti oggetto di giudizio di accesso al diritto di difesa, resta estraneo al giudizio stesso, non spettando nè all'Amministrazione né al giudice dell'accesso la valutazione della possibile influenza o decisività degli stessi al predetto fine (giurisprudenza consolidata; per tutte, Cons. Stato, Ad. plen. n. 4/2021); - l'appello va quindi accolto anche nel merito, con comminatoria all'Amministrazione comunale dell'ordine di esibire all'Associazione, entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, ove esistente, la documentazione amministrativa Tari relativa alle altre confessioni religiose, limitatamente alle dichiarazioni Tari, agli avvisi di pagamento, di liquidazione e di accertamento richiesti nell'istanza di accesso, non ravvisandosi invece il predetto nesso di strumentalità rispetto agli altri atti pure oggetto di richiesta (cartelle di pagamento e ricevute di pagamento), che riguardano la procedura di riscossione e non quella di accertamento, essendo quest'ultimo il solo ambito rispetto al quale parametrare l'interesse giuridicamente rilevante fatto valere in questa sede; Ritenuto di compensare le spese del grado in considerazione della peculiarità della vicenda contenziosa; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi e nei termini di cui in motivazione. Compensa tra le parti le spese del grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8051 del 2022, proposto dal Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. De Pa. e Ra. Ma. Pa., con domicilio eletto presso l'Ufficio legale del Comune di Genova, in Genova, Via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, Via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti del Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Roma, Sezione I-ter, 10 marzo 2022, n. 7152, non notificata, che ha rigettato il ricorso proposto per l'annullamento "del Decreto Ministeriale del Ministero dell'Interno, adottato di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, del 14 marzo 2019, della cui adozione è avvenuta pubblicazione con Comunicato del 30 marzo 2019, pubblicato sulla G.U. 30 marzo 2019, n. 76, concernente il riparto a favore dei Comuni del contributo compensativo, previsto dall'art. 1, comma 895-bis della legge di bilancio 145/2018 di 110 milioni di euro, per l'anno 2019, a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile a seguito dell'introduzione della TASI, nonché del Decreto Ministeriale del Ministero dell'Interno, adottato di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, del 14 marzo 2019, della cui adozione è avvenuta pubblicazione con Comunicato del 3 aprile 2019, pubblicato sulla G.U. 3 aprile 2019, n. 79, relativo al riparto del contributo compensativo, previsto dall'art. 1, comma 892 della legge di bilancio 145/2018 pari ad euro 190 milioni per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033 a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile a seguito della introduzione della TASI, da destinare al finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà comunale". visto il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze; visti tutti gli atti di causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa e viste le conclusioni, come da verbale. Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso proposto innanzi al Tar Lazio - Roma, il Comune di Genova ha impugnato, chiedendone l'annullamento, i decreti ministeriali indicati in epigrafe, affidando il proprio gravame a due articolati motivi, con i quali ha lamentato l'illegittimità dei provvedimenti gravati derivata dall'illegittimità costituzionale delle previsioni legislative attuate. 1.1. In particolare, con il primo mezzo, il Comune ricorrente ha chiesto che fosse sollevata la questione di costituzionalità in ordine all'articolo 1, commi 892 e 895-bis, della legge 30 dicembre 2018, n. 45 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021, per violazione dell'articolo 119, commi 1, 2, 3 e 4, della Costituzione, nonché degli articoli 3, 5 e 97 della Costituzione. 1.2. Con il secondo motivo, ha lamentato la violazione del termine previsto dal comma 893 della stessa legge n. 145/2018 e la violazione degli articoli 3, 5, 97 e 119 della Costituzione. 2. Con sentenza 10 marzo 2022, n. 2763, il Tribunale territoriale ha rigettato il ricorso. 3. Con appello notificato il 10 ottobre 2022 e depositato il 24 ottobre successivo, il Comune di Genova ha impugnato, chiedendone la riforma, la citata sentenza del Tar Lazio, lamentandone il vizio di ultrapetizione e riproponendo, anche in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata, i mezzi di gravame già dedotti in prime cure. 3.1. Più nel dettaglio, l'Amministrazione appellante ha lamentato: "1. Violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la sentenza appellata pronunciato ultra petitum - violazione dei principi del contraddittorio - Violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a. - Nullità e /o annullabilità della sen-tenza di primo grado."; "2. Erroneità dell'impugnata Sentenza per travisamento dei fatti e motivazione insufficiente ed incongrua nella parte relativa al preteso ricalco-lo delle effettive perdite subite dal Comune"; "3. Erroneità dell'impugnata Sentenza per travisamento dei fatti e motivazione insufficiente, incongrua ed inconferente sotto ulteriori profili."; "4.1. Illegittimità dei Decreti Ministeriali impugnati derivata dall'illegittimità costituzionale delle previsioni legislative attuate. Questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 892 e 895 bis Legge 145/2018, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, Cost., nonché degli artt. 3, 5 e 97, Cost."; "4.2. Illegittimità del D.M. del 14/03/2019, adottato in attuazione della previsione di cui all'art. 1, comma 892 della L. 145 del 2018 - il cui comunicato di avvenuta pubblicazione è stato inserito nella G.U. del 3/4/2019 - per violazione del termine previsto nel successivo comma 893 del medesimo articolo 1, Legge 145/2018. Violazione artt. 3, 5, 97 e 119 Costituzione." 4. La Presidenza del Consilio dei Ministri, il Ministero dell'interno e il Ministero dell'economia e delle finanze si sono costituiti in giudizio con atto del 26 ottobre 2023 ed hanno depositato memoria ex articolo 73 c.p.a. il 30 gennaio 2023, con cui hanno: - chiesto l'estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri; - riproposto le eccezioni preliminari concernenti l'inammissibilità del gravame perché avente ad oggetto due istinti ed autonomi provvedimenti e perché non notificato a tuti i Comuni controinteressati; - chiesto che venga dichiarata la nullità della sentenza impugnata per violazione del contraddittorio, a causa della irregolarità della modalità scelta per la notifica per pubblici proclami, disposta dal Tar, mediante pubblicazione sul sito del Ministero dell'interno di un estratto del ricorso; - chiesto, in subordine, che sia dichiarato inammissibile e, comunque, infondato l'appello. 5. Il Comune di Genova ha depositato memoria di replica il 6 febbraio 2023 e le Amministrazioni centrali, con istanza depositata il 16 febbraio 2023, hanno chiesto autorizzazione al deposito di pagine aggiuntive, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio di Stato 22 dicembre 2016. 6. Alla pubblica udienza del 2 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Oggetto del presente giudizio è l'impugnativa dei decreti del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze in data 14 marzo 2019, con cui, rispettivamente, è stato disposto, in attuazione delle relative disposizioni recate dalla legge n. 145/2018: - il riparto a favore dei Comuni del fondo compensativo, pari a complessivamente 190 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033, a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile a seguito dell'introduzione della TASI, da destinare al finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà comunale; - il riparto a favore dei Comuni del contributo compensativo, pari a complessivamente 110 milioni di euro, per l'anno 2019, a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile a seguito dell'introduzione della TASI. 2. In via preliminare, in accoglimento dell'istanza formulata dalla difesa erariale in data 16 febbraio 2023, il Collegio autorizza, in relazione alla complessità della controversia, il superamento dei limiti dimensionali previsti per la redazione della memoria ex articolo 73 c.p.a. dall'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato 22 dicembre 2016, ancorché nella parte finale dell'atto siano riportati lunghi passaggi della memoria prodotta in prime cure e siano ripetute argomentazioni già svolte in precedenza. 3. Passando all'esame delle eccezioni in rito sollevate dalle amministrazioni appellate, il Collegio ritiene poi che: i) quella avente ad oggetto la richiesta di estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in disparte la circostanza che non sia stata sollevata con la prima difesa mediante la memoria da depositare entro il termine di costituzione in giudizio, debba essere respinta, atteso che l'esame dell'asserita incostituzionalità delle norme applicabili alla fattispecie comporta la sua presenza in giudizio, anche in considerazione della natura di atti presupposti del d.P.C.M. del 10 marzo 2017 e dell'intesa sancita dalla Conferenza Stato - città e autonomie locali il 14 febbraio 2019, nonché del ruolo di coordinamento complessivo dell'attività di governo attribuito alla P.C.M., alla quale sono imputabili le scelte politiche che ne costituiscono la declinazione concreta; ii) quella concernente l'asserita irregolarità della notifica del ricorso in primo grado per pubblici proclami sia inammissibile per difetto di interesse perché il suo accoglimento comporterebbe, al più, il rinvio al primo giudice ex articolo 105 c.p.a., e perché formulata con memoria ex articolo 73 c.p.a. e non con ricorso incidentale ex articolo 96, comma 2, c.p.a. (l'eccezione è comunque infondata, considerato che la notifica, eseguita con le modalità indicate dal Tar ex articolo 52, comma 2 c.p.a, ha raggiunto concretamente lo scopo ed è effettivamente satisfattiva, tenuto conto del concorrente principio di efficacia ed economicità dei mezzi processuali, dell'interesse dei controinteressati ad essere messi a conoscenza del contenzioso in atto, "mediante pubblicazione sul sito del Ministero dell'Interno, nella sezione concernente il Dipartimento per gli Affari interni e territoriali, di un estratto del ricorso, recante il numero R.G., l'Autorità giudiziaria adita, le parti, l'oggetto con il provvedimento impugnato, un sunto delle censure dedotte ed i controinteressati, mediante rinvio agli allegati al decreto impugnato. tramite pubblicazione sul sito del Ministero dell'interno", come, in concreto, è avvenuto); iii) quella concernente l'impugnazione contestuale di due atti distinti in violazione del divieto di ricorso cumulativo debba essere respinta, data l'oggettiva connessione dei due provvedimenti impugnati vertenti entrambi sul riparto a favore dei Comuni del contributo compensativo disposto dallo Stato sulla base della medesima fonte primaria (legge n. 145/2018); iv) quella relativa alla mancata notifica dell'appello con lo stesso procedimento indicato dal Tar, al di là della sua possibile infondatezza, possa essere dichiarata assorbita dal rigetto del gravame, nei termini che seguono. 4. Con i cinque motivi di appello, il Comune di Genova denuncia, in sostanza: 1) la violazione dell'articolo 112 c.p.c., perché il Tribunale si è pronunciato su profili non dedotti in giudizio ed ha utilizzato impropriamente le risultanze di un altro procedimento, deciso con sentenza 6 ottobre 2021, n. 220, relativo alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Liguria dinanzi alla Corte Costituzionale, nel quale il Comune di Genova non era parte; 2) l'erroneità della sentenza, nella parte in cui viene operato il richiamo alle dichiarazioni rese nel citato giudizio di costituzionalità dal Ragioniere Generale dello Stato, con specifico riferimento alle risorse trasferite ai Comuni in forza della legge di bilancio 2019; 3) l'erroneità della sentenza, nella parte in cui ha escluso che le norme e i provvedimenti attuativi indicati comportassero un taglio lineare illegittimo dei fondi a favore dei Comuni; 4) l'illegittimità dei decreti ministeriali impugnati in primo grado, in quanto, nel ridurre drasticamente e progressivamente l'ammontare dei trasferimenti statali istituiti nel 2014, hanno violato il principio dell'invarianza del gettito delle amministrazioni locali e, conseguentemente, imposto sine die al Comune ricorrente una contrazione della propria spesa necessaria per l'espletamento delle funzioni assegnate per legge, in violazione del principio di autonomia e decentramento di cui all'articolo 5 della Costituzione e dell'autonomia finanziaria, ai sensi dell'articolo 119, in relazione ai quali viene ribadita la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme in esame; 5) l'erroneità della sentenza di prime cure, anche nella parte in cui ha motivato sulla base del parere del Consiglio di Stato, n. 1163/2021, afferente a diversa fattispecie relativa al Fondo di Solidarietà Comunale. 4.1. In concreto dunque le argomentazioni di fondo su cui fa leva l'appello partono dalla richiesta di sollevare la questione di costituzionalità delle disposizioni che avrebbero illegittimamente imposto riduzioni lineari di risorse, al fine di ottenere l'annullamento dei decreti ministeriali impugnati che ne hanno costituito attuazione. 4.2. Deduce parte appellante che tali atti non avrebbero assicurato l'effettivo ristoro del minor gettito conseguito dall'introduzione della TASI nel 2013 ed hanno introdotto un vincolo di destinazione su parte rilevante delle risorse in esame, rideterminando e cristallizzando per il futuro l'ammontare del fondo nella più completa assenza di un fattivo confronto con i Comuni interessati in ordine al livello del fabbisogno da finanziare in rapporto alle conseguenze che sui bilanci locali ha prodotto l'introduzione della TASI e delle connesse agevolazioni. 5. Ciò premesso, la sentenza impugnata è immune dai vizi denunciati e l'appello non può trovare accoglimento. 6. Prima di passare all'esame del merito delle censure dedotte dal Comune di Genova, è opportuno ricostruire in breve il quadro normativo di riferimento da cui originano i decreti ministeriali impugnati e dal quale si ricava nel complesso che le norme via via introdotte non hanno inteso tenere indenni interamente i Comuni dalla riduzione del gettito a loro appannaggio - considerando che la necessità della riduzione della spesa grava sia sullo Stato che sugli enti locali - ma introdotto misure tese ad agevolare il reperimento di risorse tendenzialmente analoghe a quelle derivanti dall'IMU, poi soppressa. 6.1. In attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti, l'articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 ha delegato al Governo l'adozione di uno o più decreti legislativi "al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica." 6.2. Il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 ha dato attuazione alla delega al Governo in materia di federalismo fiscale contenuta nella legge n. 42/2009, prevedendo, all'articolo 2, la devoluzione ai Comuni della fiscalità immobiliare e istituendo un Fondo sperimentale di riequilibrio, alimentato da risorse statali e da compartecipazioni al gettito dei tributi comunali, sostituito dal Fondo di solidarietà dei comuni - FSC, istituito dall'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - legge di stabilità 2013. 6.3. Secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 220/2021, i tagli conseguenti alle misure di finanza pubblica a carico dei Comuni hanno avuto ad oggetto proprio tale fondo, inizialmente connotato da una natura mista verticale e orizzontale e alimentato da risorse in prevalenza di provenienza comunale, tramite una trattenuta di una parte del gettito ordinario derivante dall'IMU, ed in parte da fondi trasferiti dallo Stato. 6.4. L'articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 - legge di stabilità 2014 ha istituito, in luogo della precedente imposta immobiliare, la nuova imposta unica comunale - IUC, composta dall'IMU, di natura patrimoniale, e da una quota concernente i servizi, suddivisa in TASI (tributo per i servizi indivisibili), e dalla tassa sui rifiuti - TARI. 6.5. Al fine di compensare almeno in parte i minori introiti dei Comuni a seguito della soppressione del previgente regime dell'IMU, l'art. 1, comma 1, lettera d) del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, che ha modificato, sostituendolo, il comma 731, articolo 1 della L. 147/2013, aveva originariamente previsto un fondo di 625 milioni di euro costituito tenendo tra l'altro conto, "dei gettiti standard ed effettivi dell'IMU e della TASI". 6.6. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 6 novembre 2014, emanato sentita la Conferenza Stato Città metropolitane e autonomie locali nella seduta del 20 luglio 2014, è stato attribuito un fondo compensativo che ha consentito al Comune di Genova di ottenere la somma di Euro 27.560.641,48. 6.7. Successivamente, a partire dall'anno 2015, la quota compensativa in favore dei Comuni è stata ridotta come segue. L'articolo 8, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha determinato l'ammontare complessivo del contributo compensativo destinato ai Comuni per la perdita di gettito dovuto alla nuova imposta, quantificato in quantificato in 530 milioni di Euro e con decreto 22 ottobre 2015, la quota parte dello stesso spettante al Comune di Genova, per quell'anno, è stata quantificata in Euro 20.835.844,96. Ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 - legge di stabilità 2016, l'ammontare complessivo del predetto contributo è determinato in 390 milioni di euro, per cui la quota di spettanza del Comune di Genova si è ridotto ulteriormente rispetto all'annualità precedente ad Euro 17.197.840,29). L'articolo 1, comma 439, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 - legge di bilancio 2017 ha stabilito che la somma totale da destinare al contributo in questione era quantificata in 300 milioni di Euro, con la conseguenza che, con d.P.C.M. 10 marzo 2017 attuativo del comma citato, il Comune di Genova ha ottenuto Euro 13.229.107,91. 7. Come ricostruito dal Tar, la disciplina a regime del FSC è stata dettata dall'articolo 1, commi da 446 a 452, della legge n. 232/2016, che fissa la dotazione complessiva (comprensiva della quota ristorativa di IMU e TASI e della quota generale) del FSC per il 2020 in 6.213,7 milioni di euro; per il 2021 in 6.616,5 milioni di euro; per il 2022 in 6.855,5 milioni di euro; per il 2023 in 6.980, 5 milioni di euro; per il 2024 in 7.306,5 milioni di euro; per il 2025 in 7.401,5 milioni di euro; per il 2026 in 7.503,5 milioni di euro; per il 2027 in 7.562,5 milioni di euro; per il 2028 in 7.620,5 milioni di euro; per il 2029 in 7.679,5 milioni di euro e a decorrere dal 2030 in 7.711,5 milioni di euro. 7.1. Nel 2018 e nel 2019 l'importo complessivo del contributo compensativo non ha subito variazioni, ai sensi delle rispettive leggi di bilancio, risultando complessivamente ridotto di 40 milioni di euro, secondo quanto è emerso in sede di audizione del Ragioniere Generale dello Stato nel giudizio conclusosi con sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2021, richiamata dalla decisione impugnata. 7.2. Per l'anno 2019, l'articolo 1, comma 892, della legge n. 145/2018 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) ha previsto che ""Per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033, a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile dai comuni a seguito dell'introduzione della TASI di cui al comma 639 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è attribuito ai comuni interessati un contributo complessivo di 190 milioni di euro annui da destinare al finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà comunale". 7.3. A tale importo si sono aggiunti per il 2019 ulteriori 110 milioni di euro, così come previsto dall'articolo 1, comma 895-bis, della legge n. 145 del 2018, introdotto dall'art. 11-bis, comma 8, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, a mente del quale "a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile dai comuni a seguito dell'introduzione della TASI di cui al comma 639 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è attribuito ai comuni interessati un contributo complessivo di 110 milioni di euro per l'anno 2019, da ripartire con decreto del Ministero dell'interno di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile 2019, in proporzione al peso del contributo di ciascun ente di cui alla tabella B allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017". La stessa somma di 110 milioni di euro è stata destinata anche per i successivi esercizi 2020, 2021 e 2022 dall'articolo 1, comma 554, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - legge di bilancio per l'anno 2020, rimanendo così invariato l'importo di 300 milioni di euro, mentre dal 2023 al 2033 risultano stanziati 190 milioni di euro, con il vincolo di destinazione alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà dei Comuni, secondo quanto previsto dalla legge n. 145/2018. 7.4. Osserva il Tribunale che, alla luce delle modifiche normative succedutesi nel tempo, "gli incrementi al FSC dall'anno 2021 al 2024 sono stati abrogati e sostituiti dagli incrementi vincolati di cui all'art. 1, commi 791 e 792, della legge n. 178 del 2020, nei seguenti termini: 215.923.000 euro per l'anno 2021, 254.923.000 euro per l'anno 2022, 299.923.000 euro per l'anno 2023, 345.923.000 euro per l'anno 2024, 390.923.000 euro per l'anno 2025, 442.923.000 euro per l'anno 2026, 501.923.000 euro per l'anno 2027, 559.923.000 euro per l'anno 2028, 618.923.000 euro per l'anno 2029 e 650.923.000 euro annui a decorrere dal 2030, per lo sviluppo e l'ampliamento dei servizi sociali comunali; nonché 100 milioni di euro per l'anno 2022, 150 milioni di euro per l'anno 2023, 200 milioni di euro per l'anno 2024, 250 milioni di euro per l'anno 2025 e 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2026, finalizzati all'aumento del numero di posti disponibili negli asili nido comunali." 8. Con il primo motivo di appello, il Comune di Genova lamenta la violazione dell'articolo 112 c.p.c. e dell'articolo 73, comma 3 del codice di rito, perché il Tar non avrebbe osservato il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato ed il principio del rispetto del contraddittorio. 8.1. La doglianza è infondata. Il Collegio rileva innanzitutto che per due volte il Tar ha rinviato la trattazione del ricorso, accogliendo le relative istanza del ricorrente, che ha chiesto di attendere la decisione del Giudice delle leggi "nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 554 e 849, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), e dell'art. 57, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, promosso dalla Regione Liguria" e deciso con sentenza n. 2020/2021. 8.2. Secondo l'appellante, il primo giudice avrebbe tuttavia fatto indebitamente riferimento alle dichiarazioni rese dal Ragioniere Generale dello Stato nel citato giudizio di legittimità costituzionale, nel quale veniva in rilievo il consolidamento per gli anni dal 2020 al 2022 del contributo riconosciuto ai Comuni per il ristoro del gettito non più acquisibile a seguito dell'introduzione del Tributo per i servizi indivisibili (TASI), di cui all'art. 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella misura complessiva di 300 milioni di euro, anziché nella misura di 625 milioni di euro, ritenuti inizialmente sufficienti a coprire i minori introiti conseguenti all'abolizione dell'Imposta municipale unica (IMU) sulla prima casa e all'introduzione della TASI. 8.3. Osserva invece il Collegio che i due decreti ministeriali impugnati hanno definito le modalità di riparto dei contributi di cui all'art. 1, commi 892 e 895-bis, della legge n. 415/2018 dovuti a titolo di ristoro del gettito non più acquisibile dai Comuni a seguito dell'introduzione della TASI di cui al comma 639 dell'art. 1 della legge n. 147/2013 e che il contributo di cui alla disposizione impugnata dalla Regione Liguria coincide con quello cui si riferiscono le due disposizioni della legge n. 415/2018. 8.4. Nell'un caso come nell'altro, si tratta dell'entità dei trasferimenti statali destinati a confluire sul FSC, in cui, a partire dal 2015, per effetto dell'articolo 1 della legge n. 147/2013, confluisce il contribuito statale garantito ai Comuni per ovviare alla perdita di gettito derivante dall'IMU e dalla TASI a seguito dell'istituzione dell'imposta unica comunale (IUC). 8.5. Lo stretto collegamento fra il giudizio di costituzionalità definito con la sentenza n. 220/2021 e la presente fattispecie è evincibile anche dall'interesse indiretto che ha mosso la Regione ad impugnare le disposizioni nazionali, che rimanda alle dichiarate perdite che i Comuni avrebbero subito, con compromissione dell'autonomia finanziaria, tanto che la stessa ricorrente dinanzi alla Corte Costituzionale ha allegato "un prospetto che proverebbe come tale progressione della perequazione abbia prodotto (e sia destinata a produrre, a pieno regime) una consistente contrazione delle risorse per il Comune di Genova, che di fatto riceve in perequazione la metà di quanto versa, con una perdita costante annua dal 2021 in poi di circa 1,6 milioni di euro. Viene pertanto ribadita la censura di illegittimità costituzionale della norma che - anziché mutare il criterio di calcolo della perequazione - dispone la lenta ma inevitabile progressione di un criterio le cui conseguenze in termini di "shock perequativo" sarebbero già acclarate nonché condivise dallo stesso legislatore statale (ragion per cui la legge impugnata avrebbe disposto un "rallentamento" della progressione rispetto al calendario originariamente fissato)." "Viene, infine, allegato", prosegue la Corte, "il prospetto di sintesi del bilancio di previsione del Comune di Genova, da cui emergerebbe che le risorse assegnate alle varie Direzioni dell'ente dal 2021 al 2023 sono tutte in progressiva diminuzione, a riprova della incidenza dei tagli sull'esercizio delle funzioni assegnate. In proposito, sarebbe emblematica la flessione negli stanziamenti della Direzione politiche sociali, che dal 2021 al 2023 subiscono una contrazione di risorse del 50 per cento." (Corte Costituzionale, sentenza 6 ottobre 2021, n. 220). 8.6. Le motivazioni della sentenza impugnata, in ogni caso, non si fondano sull'audizione svolta nel giudizio di costituzionalità, ma, incidenter tantum, la richiamano, precisando che il Giudice delle leggi ha stabilito di sentire il Ragioniere Generale dello Stato al solo fine di verificare se e in quale misura la quantificazione del ristoro assicurato ai Comuni per la perdita di gettito IMU-TASI a partire dal 2014 fosse ad esso assimilabile nella quantificazione. 8.7. D'altra parte, nella sentenza conclusiva del giudizio, la Corte ha dato conto dei chiarimenti forniti e dai quali è emerso che, fino all'entrata in vigore delle norme impugnate dalla Regione Liguria, per effetto dell'imposta che era andata a sostituire IMU e TASI, si era avuta una perdita di gettito di circa 340 milioni di euro, come da ricalcolo, in misura, cioè, di gran lunga inferiore a quella oggetto del computo, in base al quale ai Comuni era stato inizialmente garantito un ristoro complessivo di 625 milioni, con compensazione mediante un ristoro che ammonta stabilmente a 300 milioni, sebbene il legislatore, mediante le disposizioni successive all'articolo 1, comma 554, della legge n. 160/2020, abbia aumentato tale trasferimento, con la conseguenza che, come stabilito dal Tar, la perdita registrata dai Comuni nel loro complesso era stata di circa 40 milioni annui. 8.8. Il primo motivo di appello è, dunque, infondato. 9. Con il secondo mezzo, il Comune di Genova lamenta l'erroneità della sentenza di primo grado per travisamento dei fatti e insufficiente motivazione con riferimento al preteso ricalcolo delle effettive perdite subite dall'ente locale. 9.1. Anche tale motivo è infondato. La sentenza impugnata appare immune dai vizi denunciati, essendo sul punto adeguatamente e congruamente motivata. Il Tar ha, infatti, dopo aver ricostruito la successione nel tempo delle disposizioni in materia, ha stabilito che il contributo ristorativo IMU e TASI "è stato, in base a quanto si ricava dalla audizione del Ragioniere Generale dello Stato, come riportata nella sentenza della Corte Cost. 220/2021, ricalcolato sulla base delle effettive perdite di gettito subite, rispetto al precedente regime IMU e allo sforzo fiscale esercitabile sulla nuova TASI, e fissato in circa 340 milioni di euro, contro gli originari 625 milioni di euro. Da ciò consegue che la differenza, tra quanto perso dai Comuni e quanto ristorato dallo Stato con il contributo di cui si tratta, ammonterebbe alla differenza tra 340 milioni e 300 milioni ovvero a soli 40 milioni di euro. Una cifra tale da non determinare, verosimilmente, quella compromissione delle finanze locali che si denuncia nel ricorso come addebitabile al contributo compensativo per la perdita del gettito IMU." 9.2. Condivisibile è, pertanto, la sentenza impugnata, atteso che il primo giudice ha correttamente stabilito che "per il 2019 viene ripristinato lo stanziamento di complessivi 300 milioni già previsto per il 2018 e se il 190 milioni originari mantengono il vincolo di destinazione previsto dalla legge di bilancio del 2019, non vi è, in compenso, alcun obbligo di monitoraggio previsto solo per le opere di investimento, mentre la restante quota di 110 milioni è priva anche di vincoli di destinazione", con la conseguenza che gli atti impugnati, ripartendo il contributo in attuazione delle disposizioni recate dalla legge n. 145/2018, hanno confermato lo stesso trasferimento di 300 milioni di euro, dato dalla sommatoria di 110 milioni più i 190, previsti dalla legge di bilancio 2017, e che "semmai, non ci sono stati miglioramenti nell'importo complessivo, ma non certo peggioramenti rispetto ad allocazione di fondi stabilmente fissati in quell'importo dall'anno 2017." 9.3. In altre parole, la prospettata situazione di difficoltà finanziaria dell'ente non è diretta conseguenza delle minori entrate di cui ha potuto disporre nel 2019, atteso che la quota parte di contributo statale diretta a compensare il minor gettito derivante dalla nuova e unica imposta che dal 2014 aveva sostituito IMU e TASI si era sì ridotta rispetto a quella ricevuta nel 2015, ma quale conseguenza del sommarsi delle minori entrate dovute al ridursi di tale quota a partire dal 2016 e fino al 2019. 9.4. Da questo angolo prospettico, deve essere respinta la richiesta di consulenza tecnica o verificazione avanzata dal Comune rispetto alle risultanze contabili emerse nel giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale, anche in considerazione del fatto che si basa sulla inammissibile produzione in appello di documenti formati successivamente al primo grado e che sarebbe stato possibile allegare al ricorso di prime cure. 10. Con il terzo motivo di gravame viene lamentata l'erroneità della sentenza perché il Tar, nell'escludere che si sia registrato un illegittimo taglio lineare, avrebbe fatto inesatto richiamo alla citata sentenza della Corte Costituzionale nella parte in cui, riferendosi al di-verso fondo denominato "Fondo di Solidarietà Comunale", rileva che il "taglio" - la cui esistenza non è stata in alcun modo negata dal Giudice delle Leggi - viene progressivamente restituito (per effetto delle diverse norme esaminate dalla Corte Costituzionale), a partire dal 2019. 10.1. Anche tale profilo di gravame non può essere accolto. In realtà, come già osservato, le norme di cui si è occupato il Giudice delle leggi hanno solo quantificato l'entità del contributo destinato a confluire nel FSC attribuito separatamente dalle altre risorse che lo compongono. 10.2. Né potrebbe ragionevolmente sostenersi che il contributo statale attribuito ai Comuni per il minor gettito derivante dall'imposta unica che, dal 2014, ha sostituito IMU e TASI a partire dal 2015, ha subito tagli lineari sia la causa del peggioramento della situazione finanziaria dell'ente locale, considerato che tale stato di cose è legato alle conseguenze derivanti dalla sommatoria di tali tagli nel corso degli anni, rispetto ai quali il Comune non ha ritenuto di promuovere alcuna azione, mente ciò che assume una portata decisiva è la conseguenza del taglio sulla situazione finanziaria dell'Ente relativa all'anno in cui tale riduzione è stata effettuata ed, eventualmente, nel caso di tagli che aumentassero nel tempo e che non abbiano assunto carattere di definitività e, soprattutto, ridotto le entrate degli enti, fino al punto di compromettere la possibilità di garantire i livelli essenziali dei servizi. 10.3. Ma tale situazione non si è, in concreto, verificata, considerato che, con decorrenza 2020, l'importo del contributo attribuito ai Comuni per il minor gettito derivante dall'imposta unica che dal 2014 ha sostituito IMU e TASI è stato aumentato. 10.4. Correttamente il Tribunale ha stabilito che non si è registrata alcuna progressiva riduzione del contributo in esame a partire dal 2016, che potesse far ipotizzare che si trattava di riduzioni in grado di incidere pesantemente sull'autonomia finanziaria dei Comuni e che gli effetti derivanti dal ridursi della quota di contributo percepita annualmente dal singolo Comune non si sommano, riguardando puramente e semplicemente la capacità di spesa del singolo Comune in ciascun anno in cui tale riduzione si era verificata. 11. Con il quarto mezzo di censura, il Comune appellante ripropone, sostanzialmente, i profili di gravame dedotti in primo grado e concernenti la violazione dell'autonomia finanziaria dei Comuni. 11.1. Il motivo non è fondato. Il Collegio ritiene che il Tar abbia adeguatamente argomentato in ordine al rigetto del profilo di censura proposto in primo grado. Il primo giudice, partendo dalla giurisprudenza costituzionale, dalla quale emerge la necessità di una lettura congiunta delle disposizioni dell'articolo 119 della Costituzione con l'articolo 81, che impone l'obbligo del pareggio di bilancio, ha ricordato che la Corte ha stabilito che "è necessario contemperare le esigenze di autonomia finanziaria e di reperimento delle risorse per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni demandati con quelle connesse alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea ed alla regola, anch'essa di rango costituzionale, dell'obbligo del pareggio di bilancio" chiarendo che i principi in rilievo""sono funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l'unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel quadro delineato dall'art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) che, nel comma premesso all'art. 97 Cost., obbliga il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare "l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico" (sentenze n. 175 e n. 39 del 2014; id.. n. 60 del 2013).". 11.2. Correttamente, dunque, il Tar ha ricordato che le misure introdotte dal legislatore non hanno la funzione di tenere integralmente indenni i Comuni dalle conseguenze legate al nuovo quadro normativo in materia fiscale, dovendo gravare anche sugli enti locali la necessità di "concorrere al perseguimento dei fini indicati, subendo tagli di spese e di risorse, al pari dello Stato centrale, se del caso mediante una politica di rigore." 11.3. D'altra parte, le misure atte ad introdurre una perequazione delle risorse finanziarie rientra senz'altro nella potestà legislativa esclusiva dello Stato che, nel caso in esame, è stata esercitata nei limiti fissati dalla Costituzione, non apparendo né irragionevole né sproporzionata. 11.4. Da questo punto di vista, è condivisibile il richiamo operato dalla sentenza impugnata al parere n. 1163/2021 reso da questo Consiglio di Stato in sede consultiva, che ha stabilito che "la legge n. 42/2009, di delega in materia di federalismo fiscale, ha previsto la revisione dei meccanismi di attribuzione delle risorse agli enti decentrati, nell'ottica di garantire il perseguimento di obiettivi di perequazione territoriale e di assicurare un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche, prevedendo a tal fine il graduale superamento, per i vari livelli di governo diversi da quello centrale, del criterio ancorato alla spesa storica e la sua progressiva sostituzione con quello dei fabbisogni standard per il finanziamento delle funzioni cosiddette fondamentali -parametrati ai livelli essenziali delle prestazioni - e della capacità fiscale per le altre funzioni, di misura minimale in questo caso non definita a priori, con l'ulteriore previsione di spese finanziate con contributi speciali e con i finanziamenti eurounitari e nazionali." 11.5. Correttamente il Tar ha rilevato che il Comune non ha fornito in primo grado prova concreta dello squilibrio che sarebbe derivato dal riparto disposto con i decreti impugnati sulle finanze dell'ente locale ed ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale 13 marzo 2019, n. 46, "con la quale è stato ricordato un principio affermato in relazione ai bilanci regionali, ma senz'altro applicabile alla controversia in esame, secondo cui "a seguito di manovre di finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l'adempimento dei propri compiti (tra le altre, sentenze n. 127 e n. 205 del 2016)" , circostanza, quest'ultima, che deve essere comunque dedotta e provata dalla ricorrente (da ultimo, sentenza n. 29 del 2018), con l'effetto di dichiarare inammissibile la questione così proposta "mancando, per l'appunto, la prova di una apprezzabile lesione". 11.6. Nel richiamare il parere del Consiglio di Stato citato, il Tar ha rimandato alla propria giurisprudenza (sentenza 30 ottobre 2017, n. 30580, confermata dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza 15 febbraio 2022, n. 1104), "secondo cui "da un lato non prevede affatto che il fondo perequativo debba essere finanziato in via esclusiva con risorse statali (e dunque con una modalità rigidamente verticale, che è invece prevista dal comma 5 della medesima disposizione, a norma del quale 'Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regionà ), dall'altro richiede espressamente che la funzione di ridistribuzione del fondo consenta l'incremento delle disponibilità finanziare dei territori con minore capacità fiscale per abitante. Il fondo, dunque, non ha né deve avere una finalità premiale nei confronti dei comuni virtuosi, essendo piuttosto istituzionalmente teso ad una attività di redistribuzione in favore dei comuni che, anche per ragioni geografiche, logistiche, infrastrutturali e comunque estranee ad ipotesi di carenza di gestione 'virtuosà, si trovino ad avere una minore capacità fiscale" ". 11.7. Richiamando il precedente n. 220/2021, il primo giudice ha fatto buon governo del principio ivi affermato, stabilendo che la Corte Costituzionale stabilisce "che la normativa di cui alla legge 145/2018 segna una soluzione di continuità rispetto ai tagli lineari ed inaugura il progressivo ripristino dell'ammontare originario del FSC. E dal momento che è pacifico il principio che esclude una valutazione atomistica delle norme che incidono sull'assetto finanziario degli enti locali, quanto rilevato dal giudice delle leggi finisce per riguardare anche le previsioni di cui ai commi dell'art. 1, 895bis e 892, censurati dal Comune ricorrente." 12. Di conseguenza deve ritenersi immune da vizi anche la decisione di prime cure secondo cui "non vi è stato alcun taglio lineare illegittimo, ovvero a tempo indeterminato o da cui possano derivare significative compromissioni della finanza locale. Se poi si assume il 2018 come anno di riferimento, il contributo è rimasto invariato." 13. Per quanto riguarda la censura relativa al contestato vincolo di destinazione che provocherebbe una lesione la sfera di autonomia riservata ai Comuni dalla Costituzione, il Tribunale territoriale, considerato che si tratta di una sola parte dei trasferimenti operati dallo Stato, ha correttamente stabilito che "la previsione dell'art. 119, comma 4, Cost. riguarda fondi perequativi senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante, non riferendosi specificamente ai fondi di carattere prevalentemente compensativo/ristorativo delle minori entrate IMU -TASI di cui alle previsioni della legge di bilancio 2019 di cui si tratta. L'articolato della Carta costituzionale non esclude l'ammissibilità di fondi con vincolo di destinazione, consentendo al legislatore statale di destinare quote del fondo ristorativo "a piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di proprietà comunale", la cui ricomprensione tra le funzioni assegnate agli enti locali non è contestata. In ogni caso, dal combinato disposto dei commi 892 e 895 bis dell'art. 1 della legge di bilancio 2019 si ricava che il legislatore statale ha ripartito in due l'importo imputabile alla medesima causale, apponendo un vincolo di destinazione solo a quota parte del fondo." 14. Del pari infondato è l'ultimo motivo di censura, con il quale il Comune si duole del mancato rispetto del termine di emanazione del decreto ministeriale entro la data del 20 gennaio 2019, così come previsto dall'articolo 1, comma 892, della legge n. 145/2008. 14.1. Richiamando il precedente di questo Consiglio in sede consultiva, il Tar ha affermato che la data di adozione del decreto (14 marzo 2019) non può ragionevolmente aver inciso sull'elaborazione del bilancio, considerato che criteri per la ripartizione erano stati indicati dall'articolo 1, comma 921 della legge n. 145/2008, fonte normativa di rango primario, così che l'ente locale già era in grado di predisporre, almeno in bozza, il documento, per l'approvazione del quale rimanevano, comunque, alcune settimane. 15. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, non sussistendo, con evidenza, i presupposti per la rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni sollevate dal Comune, l'appello va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata. 16. Data la peculiarità della vicenda contenziosa e la natura delle parti in lite, le spese del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello (n. r.g. 8051/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Nicola D'Angelo - Presidente FF Giulia Ferrari - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Fabrizio Di Rubbo - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7141 del 2021, proposto da Da. Go. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 00852/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. Marco Morgantini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza di ingiunzione di sgombero di area demaniale n. 109 dell'8 febbraio 2019, notificata in data 14 ottobre 2019, con la quale il Comune di (omissis) ha ingiunto agli odierni ricorrenti di rilasciare l'appezzamento di terreno sito in località (omissis) del Comune di (omissis), a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, ricadente al foglio (omissis), particella (omissis). La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in punto di fatto. I ricorrenti hanno impugnato, chiedendone la sospensione in via cautelare, l'ordinanza di sgombero n. 109 dell'8 febbraio 2019, adottata dal Comune di (omissis), con la quale - sulla base della nota della Guardia Costiera di Soverato, di accertamento dell'occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo mediante il mantenimento di un manufatto - è loro stato ingiunto "di rilasciare l'appezzamento di terreno sito in località (omissis) del Comune di (omissis), a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, ricadente al foglio di mappa (omissis) p.lla (omissis),...". L'ordinanza precisa altresì che "le opere risultano realizzate in assenza dei necessari titoli autorizzativi su area individuata secondo il P.R.G. vigente come Zona di riqualificazione del litorale; l'area interessata dai lavori risulta sottoposta a vincolo di tutela paesaggistica ai sensi del D. lgs 42/2004... nonché a vincolo idrogeologico ai sensi dell'art. 1... Legge Forestale 30 dicembre 1923 n° 3267". Gli esponenti, agendo altresì per il risarcimento del danno, hanno rilevato che il Comune di (omissis), fin dai primi anni '60, ha adottato una serie di atti, con i quali ha invitato i cittadini ad occupare una porzione di fondo di proprietà comunale posta a valle della ferrovia, compresa tra linea ferrata e la spiaggia, provvedimenti idonei ad ingenerare nei destinatari il ragionevole e legittimo convincimento di poter costruire su tale area, usufruendo altresì di tutti i servizi necessari (fognatura, idrico, raccolta rifiuti), appositamente implementati dal medesimo ente nella descritta zona, dietro regolare pagamento allo stesso dei relativi oneri. Hanno riferito, ancora, che in relazione agli immobili insistenti nella zona di (omissis) si sono svolti molteplici processi penali per il reato di occupazione abusiva di area demaniale marittima ex artt. 54 e 1161 cod. nav., tutti definiti con l'assoluzione degli imputati. Nel tempo, sono anche insorti conflitti tra l'amministrazione statale e l'ente territoriale circa la natura demaniale della predetta area, ciascuno asserendo la titolarità del diritto di proprietà esclusiva sulla stessa e nel 2016 il medesimo Comune di (omissis), invitato dalla Regione Calabria a inviare i dati concernenti la ricognizione della fascia costiera, ha trasmesso la revisione organica delle zone demaniali marittime, nelle quali non risulta inserita l'area oggetto dell'ordinanza di sgombero, con ciò confermando quanto da sempre sostenuto dallo stesso ente, ossia che tale area non fa parte del demanio marittimo. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in punto di diritto. In via pregiudiziale il Tar ha affermato la giurisdizione amministrativa con statuizione non oggetto del giudizio di appello. Il Tar ha quindi respinto nel merito il ricorso, ritenendo infondato il primo motivo di ricorso, incentrato sull'incompetenza dell'ente comunale ad adottare il provvedimento avversato. Infatti, l'ordinanza impugnata, intimando lo sgombero delle opere abusive realizzate su un'area di proprietà pubblica, risulta adottata in esercizio della potestà repressiva riconosciuta ai comuni dall'art. 35 d.p.r. 380/2001, non ostandovi il mancato richiamo espresso della norma, poiché l'atto va interpretato nella sua intrinseca consistenza, a prescindere dalle formule utilizzate nel testo. L'art. 35 d.p.r. 380/2001, sopra richiamato, subordina l'esercizio del potere alla realizzazione, da parte di soggetti privati, di interventi edilizi abusivi "su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici". Presupposto per l'adozione del provvedimento è, dunque, la pubblicità del suolo, in disparte che si tratti di area demaniale o appartenente al patrimonio statale o di enti locali. Il fondamento del potere repressivo, infatti, deriva pur sempre da un illecito edilizio, che - se realizzato su suolo pubblico - risulta ancor più grave che se commesso su suolo privato, e non anche da esigenze di salvaguardare specificamente la proprietà demaniale. Perde pertanto rilevanza qualunque contestazione in ordine alla certezza della natura demaniale della proprietà e alle modalità con cui essa sia stata accertata, mentre assume portata decisiva la circostanza che, nel caso di specie, non vi è alcun dubbio sull'appartenenza pubblicistica dell'area. Il titolo, infatti, è conteso unicamente tra lo Stato e il Comune, mentre i privati non vi hanno mai acquisito diritti reali. Ciò è evincibile anche dalla circostanza che il Comune di (omissis) autorizzò, con bando pubblico risalente agli anni '60, l'occupazione del suolo in attesa di procedere a lottizzazione e a cessione a titolo oneroso ai privati, cessione che però non ha mai avuto luogo a causa delle dispute insorte con l'amministrazione statale. Tale bando non può essere considerato titolo edilizio. Innanzitutto, esso non è stato emesso ad personam, bensì era rivolto genericamente alla collettività e senza alcuna indicazione delle caratteristiche delle eventuali costruzioni. Inoltre, è stato emesso prima ancora che i suoli venissero resi edificabili mediante lottizzazione, cui peraltro non si è mai pervenuti. L'evanescenza dell'invito e la sua anteriorità rispetto alla lottizzazione e alla cessione dei terreni ai privati impediscono di riconoscere al bando natura di titolo edilizio - legittimo o illegittimo che sia - e portano, di conseguenza, a escludere che i privati potessero riporre su di esso alcun legittimo affidamento circa la regolarità delle edificazioni, e ciò a prescindere dell'eventuale ritardo con cui l'amministrazione abbia emanato il provvedimento avversato (Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2019, n. 6720). Circa il prospettato difetto di motivazione, è sufficiente richiamare una recente pronuncia del Consiglio di Stato, secondo cui "i provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente alla sussistenza di opere abusive; per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l'amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. Inoltre, non rileva l'eventuale decorso del termine dalla commissione dell'abuso, in quanto il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso" (Cons. Stato, Sez. II, 5 luglio 2019, n. 4662). Né, ancora, incide sulla legittimità dell'avversata ordinanza la dedotta pendenza di un procedimento in sanatoria, posto che dalla documentazione in atti non risulta la presentazione della domanda né un principio di prova dal quale evincere la stessa. L'ordinanza impugnata dà atto dell'insistenza, sull'area, di vincoli paesaggistici e idrogeologici, rispetto ai quali non risulta esser stata ottenuta né richiesta alcuna sanatoria. V'è infatti da rilevare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, se è vero che il vincolo sopravvenuto non può operare in via retroattiva, lo stesso non può neppure restare senza conseguenze sul piano giuridico, dovendosi ritenere sussistente l'onere di acquisire il parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla assentibilità della sanatoria delle opere abusivamente realizzate in precedenza alla sua apposizione (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2017, n. 3603; Id., 7 maggio 2015, n. 2297). È stata altresì respinta la richiesta di risarcimento del danno, in ragione del mancato accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato, quale elemento necessario per l'integrazione dell'illecito imputabile all'intimata amministrazione ex art. 2043 cod. civ.. 2. Gli appellanti lamentano error in procedendo: mancata pronuncia in merito all'istanza istruttoria e acquisizione di informazioni e documenti ex art. 64 c.p.a. e violazione del principio di non contestazione delle allegazioni e documenti prodotti in giudizio. Ritengono che la sentenza appellata abbia erroneamente ignorato le seguenti circostanze: (i) l'invito e l'autorizzazione a occupare l'area con manufatti rivolto dal Comune di (omissis) nel 1964 (pertanto ante il 1967) ai propri cittadini; (ii) la costruzione delle infrastrutture necessarie (quali strade, parcheggi, fognature) e la predisposizione di servizi pubblici (quali l'erogazione del servizio idrico e del servizio di raccolta di nettezza urbana e il relativo pagamento da parte dei privati) da parte del Comune di (omissis) (almeno a far data dal 2000); (iii) la piena conoscenza da parte del Comune di (omissis) dalla situazione di fatto, voluta dal medesimo Ente circa 60 anni fa, senza che lo stesso abbia mai ritenuto la stessa illegittima ed anzi, prendendo posizione avverso il Ministero, a tutela del proprio operato e delle posizioni dei propri cittadini; (iv) l'assoluta carenza di motivazione dell'ordinanza e l'assoluta carenza di istruttoria da parte del Comune di (omissis) che non ha allegato in giudizio alcuna attestazione, né alcuna documentazione in tal senso, limitandosi ad una mera costituzione formale; (vi) l'inutilizzabilità in sede amministrativa degli accertamenti della Guardia Costiera, come dichiarato nella memoria depositata dallo stesso Ministero e non contestato dal Comune di (omissis) . Gli appellanti lamentano error in judicando: per omessa pronuncia in violazione dell'art. 112 c.p.c.; difetto di motivazione, ovvero motivazione apparente; violazione dell'art. 64 c.p.a. e del principio di non contestazione. Lamentano in particolare che quella adottata dal Comune di (omissis) sarebbe un'ordinanza di sgombero fondata esclusivamente sui rilievi risultanti dalla nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Ufficio Circondariale Marittimo - Giardia Costiera di Soverato, con la quale sarebbe stata accertata l'occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, senza alcuna istruttoria da parte del Comune di (omissis) e, quindi, senza alcuna competenza da parte dello stesso. Lamentano la contraddittorietà del comportamento e degli atti e provvedimento adottati dal Comune di (omissis) che nel dichiararsi da sempre proprietario dell'area in oggetto, all'improvviso, a distanza di oltre 50 anni, ha invece cambiato il proprio convincimento, ritenendo di dover adottare l'ordinanza impugnata basandosi sulla presunta occupazione abusiva di area demaniale marittima da parte degli odierni appellanti, peraltro a seguito di accertamenti compiuti non dallo stesso Comune ma dalla Guardia Costiera di Soverato nell'estate del 2017. Gli appellanti ritengono che l'area indicata nell'ordinanza di sgombero per natura e conformazione non rientra nel concetto di lido o spiaggia. Ribadiscono che lo stesso Comune di (omissis) riceve ogni anno il pagamento del Tributo Comunale sui Rifiuti (TARI) relativo ai predetti immobili e il pagamento della Tariffa dell'Acquedotto per il Servizio di fornitura dell'acqua potabile, fognatura e depurazione (cfr. all. 7 fascicolo di primo grado), con ciò dimostrando senza tema di smentita non soltanto la circostanza che è stato lo stesso Comune di (omissis) ad aver autorizzato il privato, ma la piena conoscenza da parte dello stesso della presenza della costruzione dell'immobile presso l'area di (omissis) almeno dai primi anni 2000 quando è stato imposto l'allaccio delle fognature. Gli appellanti fanno riferimento ai seguenti elementi: (i) la consolidazione nel tempo della posizione del privato e la conoscenza da parte dell'amministrazione di tale posizione; (ii) l'inerzia della p.a. ovvero l'induzione in errore mediante il rilascio di provvedimenti positivi o lo sfruttamento della situazione di fatto; (iii) il legittimo affidamento del privato anche in considerazione della diversità dello stesso dal soggetto che ha posto in essere la fattispecie oggetto del provvedimento adottato a distanza di anni dalla p.a.. Fanno altresì riferimento ai giudizi penali di assoluzione pronunciati a favore di chi ha costruito l'immobile. 3. L'appello è infondato (come analoghi appelli che sono già stati respinti dalla sezione, v. tra le tante Consiglio di Stato VII n° 8987 del 21 ottobre 2022). Come infatti dedotto e documentato in primo grado dal Comune di (omissis), e come ribadito dall'allora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ogni incertezza riguardo la titolarità del bene è venuta meno una volta definito nel senso della sua appartenenza al demanio marittimo il giudizio civile aventi come parti in causa uno dei privati occupanti l'area e le amministrazioni demaniale e comunale (sentenza della Corte di Cassazione 17 giugno 2016, n. 12629, di conferma della sentenza Corte d'appello di Catanzaro del 18 giugno 2010, n. 763). Su questa base e sul successivo accertamento della Guardia costiera di abusiva occupazione da parte del ricorrente è stato dunque legittimamente emesso l'ordine di sgombero impugnato nel presente giudizio che ha natura di atto dovuto e vincolato. Ne consegue altresì che non era necessario un ulteriore accertamento preliminare ai fini dell'individuazione del terreno. Con il provvedimento impugnato in primo grado è stato ordinato di rilasciare l'appezzamento di terreno per tutelare gli interessi demaniali marittimi in relazione all'occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo. Nessun affidamento sulla legittimità dell'edificazione è invocabile a fronte della presentazione di una domanda di sanatoria da parte dell'interessato, e tanto meno in ragione delle vicende che hanno contraddistinto l'occupazione dell'area sin da quando la stessa è stata autorizzata dal Comune di (omissis) nel 1964. A quest'ultimo riguardo è sufficiente rilevare che, come accertato dalla sentenza di primo grado, la delibera consiliare ha autorizzato tale occupazione in vista di una futura lottizzazione che tuttavia non è mai stata realizzata a mezzo dei necessari atti formali, tra cui la cessione dei singoli lotti edificabili ai privati ed il rilascio a ciascuno di essi dei titoli a costruire. Né alcun affidamento può essere determinato dal giudicato penale cui gli appellanti fanno riferimento, attesa la diversità tra l'oggetto del procedimento penale e l'oggetto dei provvedimenti amministrativi e del giudizio amministrativo. L'ordinanza di sgombero, impugnata in primo grado, è dunque correttamente motivata in ordine ai presupposti di fatto ed alla natura di atto dovuto e vincolato. L'appello deve pertanto essere respinto. Per le sopra descritte peculiarità della risalente vicenda controversa le spese di causa possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del giudizio d'appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE SECONDA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Gabriella Anna Maria Schiaffino - Presidente dr. Cesira D'Anella - Consigliere dr. Maria Elena Catalano - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1476/2022 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20052 MONZA presso lo studio dell'avv. ZI.AN., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20135 MILANO presso lo studio dell'avv. CO.LU., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLATO avente ad oggetto: Proprietà SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato la sig.ra (...) conveniva in giudizio, avanti il Tribunale di Monza, la sig.ra (...), chiedendo la condanna di quest'ultima al rilascio dell'immobile sito in M., Via (...) n. 7, oltre alle relative pertinenze. Chiedeva, altresì, il risarcimento del danno, quantificato nella somma pari a 48.332,85 Euro, quale indennità di abusiva occupazione dell'immobile e nella somma pari a 11.538,27 Euro, a titolo oneri e spese condominiali. Allegava in fatto: - di essere proprietaria del predetto immobile, sito in M., Via (...) n. 7, oltre alle relative pertinenze; - che tale immobile veniva occupato dalla convenuta, senza titolo alcuno, a partire dal mese di marzo 2014. Si costituiva in giudizio (...), eccependo - di essere comproprietaria dell'appartamento contiguo a quello oggetto di causa insieme all'ex-marito, fratello dell'odierna attrice, acquistato in convenzione con il Comune di Monza; - che gli allora coniugi, non potendo acquistare un secondo immobile in convenzione con il Comune, decidevano di intestare l'immobile all'odierna attrice, in accordo con quest'ultima, la quale, pertanto, risulta formalmente proprietaria di un immobile acquistato con denaro (anche) della convenuta; - che, in ogni caso, tale appartamento era sempre stato nella disponibilità della famiglia della convenuta, e quindi anche di quest'ultima, tant'è che, nel corso degli anni, avevano apportato modifiche strutturali (inglobando un'intera stanza di esso nella contigua casa coniugale); avevano goduto dei frutti dell'immobile, ponendolo in locazione; avevano contratto un mutuo destinato a sostenere le spese di manutenzione straordinaria dell'immobile oggetto di causa, oltre a quelle relative all'immobile destinato a casa coniugale; - che, avendo l'ex marito interrotto i pagamenti del mutuo richiesto per i due immobili, la sig. (...) aveva smesso, a sua volta, di contribuire per quello da lei abitato, oggetto di causa. Concludeva chiedendo al tribunale il rigetto della domande avversarie, previa declaratoria della legittimità dell'occupazione delle unità immobiliari di cui all'atto di citazione. Il Tribunale - analizzava gli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti in causa: "da un lato spettava alla parte attrice di dimostrare (se contestata) la proprietà dell'immobile per cui è contendere, nonché la sua occupazione da parte della convenuta; dall'altro, per il principio di naturale libertà del diritto reale di proprietà, da pesi e vincoli, spettava poi alla convenuta, dedotta occupante, di eccepire e dimostrare di non avere la detenzione dell'immobile o, in alternativa, di detenere l'immobile in virtù di un titolo che la legittimasse a tanto"; - constatava la mancata contestazione della circostanza per cui la sig.ra (...) fosse proprietaria dell'immobile oggetto del giudizio; - constatava, altresì, come fosse pacifico tra le parti che la sig.ra (...) avesse occupato (e ivi ancora risiedesse) l'immobile, a partire dal marzo 2014. - constatava, ancora, come parte convenuta non avesse dimostrato di essere in possesso di un titolo che la legittimasse a conservare la detenzione dell'immobile. - constatava, infine, la circostanza per cui parte attrice nulla avesse dimostrato e/o allegato con riferimento al pregiudizio patrimoniale (fondante la richiesta di indennità di occupazione) asseritamente subito, né sotto il profilo dell'an, né sotto il profilo del quantum. Similmente accadeva con riferimento alla richiesta di rimborso delle spese condominiali. Il Tribunale, definitivamente pronunciandosi, così decideva: "- accoglie per quanto di ragione la domanda svolta, nella citazione introduttiva della lite, da (...) ai danni di (...) e per l'effetto condanna la convenuta a rilasciare immediatamente, libero da persone e cose, in favore della parte ricorrente l'immobile in M., via (...) n.7, oltre alle relative pertinenze; - rigetta le altre domande proposte da (...) ai danni di (...); - dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite". Appello La sig.ra (...) propone appello avverso la sentenza n. 765/2022 pubblicata in data 24/03/2022, per i seguenti motivi: 1) mancato riconoscimento dell'indennità di occupazione dell'immobile (e relative pertinenze). 2) mancato riconoscimento della domanda di rimborso degli oneri accessori 3) mancato riconoscimento della richiesta di rimborso delle imposte comunali. 4) errata definizione del regime delle spese processuali. L'appellata, (...), eccepisce l'inammissibilità, nonché l'infondatezza dell'appello e ne chiede il rigetto. Precisate le conclusioni, la causa viene trattenuta in decisione con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e repliche. La causa viene decisa nella camera di consiglio del 21.12.2022. MOTIVI DELLA DECISIONE Con riferimento al primo motivo di appello, la Corte è chiamata ad esprimersi sulla seguente questione: mancato riconoscimento dell'indennità di occupazione dell'immobile (e relative pertinenze). L'appellante impugna la sentenza nella parte in cui respingeva la richiesta di condanna all'indennità di occupazione, ritenendo indimostrata la circostanza per cui l'indisponibilità dell'immobile avesse arrecato un nocumento patrimoniale all'attrice. Impugna la sentenza anche nella parte in cui il Tribunale stabiliva che il pregiudizio allegato dall'allora parte attrice sarebbe stato quantificato in assenza di alcun riferimento a circostanze concrete relative alle condizioni dell'immobile, alle sue potenzialità di utilizzo e/o a occasioni di concessione in locazione del bene a terzi. L'appellante, sul punto, contesta la violazione dell'art. 115, comma uno, c.p.c., in quanto controparte mai contestava il quantum dell'indennità di occupazione richiesta, né i criteri posti a suo fondamento. Sottolinea, altresì, come in primo grado avesse presentato numerosi elementi probatori, tra cui la perizia di parte (doc. 11 fascicolo parte attrice), fondante le proprie stime sui valori locatizi in riferimento ai criteri medi per una abitazione di tipo economico, tratti dalla banca dati dell'Agenzia delle Entrate. L'esame di questi elementi avrebbe dovuto portare il Tribunale a riconoscere detta indennità o ad ammettere CTU. L'appellante contesta anche l'asserita mancata prova della volontà di locare il bene, posto che ragionevolmente la proprietaria, una volta privata della disponibilità del bene, non avrebbe in ogni caso potuto proporre la propria abitazione in locazione, né avrebbe potuto, a maggior ragione, sottoscrivere un contratto in tal senso, per un bene già occupato da terzi. In tal caso, infatti la stessa sarebbe diventata a sua volta inadempiente nei confronti di potenziali conduttori. Sul punto, richiama orientamenti atti a ritenere che vi sia un danno "in re ipsa" collegato all'accertata indisponibilità del bene e alla natura fruttifera di quest'ultimo. L'appellante, infine, richiama i parametri e i calcoli svolti in sede di giudizio di primo grado, finalizzati alla quantificazione del danno subito, chiedendone l'attualizzazione. L'appellata contesta quanto affermato da controparte con riferimento alla mancata contestazione delle allegazioni da quest'ultima svolte in primo grado, per due ordini di ragioni. - Il rigetto della domanda attorea dipendeva esclusivamente dalla mancanza di prova del pregiudizio subito dall'allora parte attrice. In questo senso, la mancata contestazione del quantum della pretesa da parte dell'allora convenuta non può, di per sé, (e non poteva) sollevare parte attrice dal preciso onere di provare i fatti posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio. - In ogni caso, la circostanza per cui l'odierna appellata non avrebbe contestato il quantum della pretesa di controparte è inveritiera, tenuto conto che l'allora convenuta contestava in radice la fondatezza della predetta pretesa, ossia - ab origine e in modo assorbente - l'an con riferimento alla sussistenza di un diritto all'indennità di occupazione. L'appellata, in ogni caso, sottolinea come la prova dell'an non possa essere fornita attraverso l'indicazione dei parametri utilizzati per il calcolo della somma richiesta, afferendo tali elementi in via esclusiva al logicamente successivo profilo del quantum debeatur. Né i precedenti giurisprudenziali citati da controparte, volti ad accertare un danno "in re ipsa" scaturente dalla semplice indisponibilità del bene, potrebbero trovare spazio nel caso in esame, posta la sostanziale assenza di interesse della proprietaria - allora attrice - all'occupazione dell'immobile e/o alla sua locazione. Disinteresse che, sottolinea controparte, si sarebbe protratto per anni, di fatto escludendo qualsivoglia presunzione in senso contrario. L'appellata, infine, sottolinea come una eventuale condanna al pagamento dell'indennità di occupazione non potrebbe venir pronunciata fino alla liberazione dell'immobile, costituendo altrimenti una "condanna per il futuro". LA CORTE OSSERVA quanto segue. Il motivo è fondato. Con riferimento al caso che ci occupa assume valore imprescindibile la recentissima pronuncia della Cassazione, Sezioni Unite, n. 33645/2022 che si passerà di seguito, brevemente, ad esaminare. La Suprema Corte, rispondendo all'esigenza di fare chiarezza sul profilo - critico e a lungo controverso - della natura del danno da occupazione abusiva di immobile, arriva con questa pronuncia a stabilire che quest'ultimo non debba ritenersi ancorato alla "cosa" oggetto di indebita occupazione ma, al contrario, si ricolleghi specificamente al diritto di godere in modo pieno ed esclusivo di quest'ultima. In questo senso, quindi, il danno risarcibile sarebbe rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall'occupazione abusiva, del "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" stabilendo, al contrario, la discontinuità fra il fatto costitutivo dell'azione di rivendicazione e quello dell'azione risarcitoria, al fine di preservare la distinzione tra tutela reale (già fornita dalla condanna al rilascio della "cosa" occupata) e tutela risarcitoria. La fattispecie presa in esame dalla Suprema Corte prevede una precisa e consequenziale ripartizione dell'onere probatorio, gravante alternativamente sul proprietario e sull'occupante del bene conteso. In questo senso, ai fini del riconoscimento della domanda di risarcimento del danno da mancato godimento del bene, graverà necessariamente sull'attore l'onere di supportare la propria pretesa con contestuale sufficiente prova della concreta perdita della possibilità di esercizio del corrispondente diritto, non potendo essere considerato, tuttavia, mancato godimento la mera inerzia del proprietario, da valutarsi, al contrario, alla stregua di una manifestazione del contenuto di tale diritto sul piano astratto. Specularmente, in tutti i casi in cui, correttamente, l'attore alleghi in giudizio d'aver subito un danno da mancato godimento per causa diversa dalla sua volontà, unico strumento a disposizione di controparte per superare la presunzione di tale danno sarà quello della contestazione specifica, ossia la dimostrazione della circostanza per cui il proprietario mai avrebbe concretamente esercitato il diritto di godimento sulla cosa occupata. Solo in presenza di contestazione specifica sul punto, quindi, l'attore si vedrà a sua volta e nuovamente onerato della prova dello specifico godimento perso, anche mediante l'allegazione di circostanze che rientrano nella comune esperienza e/o di presunzioni. Definiti i limiti di sussistenza del danno e specificato il regime dell'onere probatorio, la Suprema Corte si occupa, infine, di definire i criteri sulla base dei quali debba essere valutata questa particolare categoria di danno, in tutti i casi in cui esso non sia determinato nel suo preciso ammontare. Più specificamente, si afferma che tale danno possa essere valutato equitativamente, secondo quanto previsto ex art. 1226 c.c., "attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell'ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa". Tutto ciò premesso, passando ora all'esame del caso che ci occupa, pare opportuno preliminarmente valutare la sussistenza e l'entità del danno da mancato godimento del bene, anche alla luce della condotta tenuta dalla proprietaria del medesimo, sig.ra (...). Così come emerso dalle prove documentali allegate in giudizio, l'occupazione abusiva dell'immobile aveva inizio nel marzo 2014. Solo nel 2020, tuttavia, la sig.ra (...) procedeva contro la sig.ra (...), al fine di veder rilasciato l'immobile di sua proprietà. (...), infatti, privi di prova gli asseriti, e generici, anteriori tentativi di sollecito in tal senso. Ciò detto e tenuto conto di quanto precedentemente richiamato con riferimento alla pronuncia della Suprema Corte, deve pertanto ritenersi escluso il danno da mancato godimento del bene dal momento dell'inizio dell'occupazione, sino all'anno 2020, posto che non può essere risarcito il mancato uso dell'immobile da parte del proprietario qualora questo non-uso non dipenda da altra causa se non l'inerzia di quest'ultimo. Tale inerzia del proprietario del bene deve essere, in questo senso, intesa come manifestazione di una libera scelta, del tutto compatibile con il diritto di godere (e, quindi, al contrario, anche di non servirsi) della cosa oggetto di occupazione. Specularmente risulta, invece, sussistente un danno da mancato godimento del bene, riconosciuto "in re ipsa", tenuto conto della concreta impossibilità di utilizzo del bene per causa diversa dalla volontà del proprietario, a partire dal 28.7.2020. Infatti, a partire da quel momento la proprietaria, sig.ra (...), manifestava compiutamente la propria volontà di far valere il proprio "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" e, ciò nonostante, l'occupante, sig.ra (...), non provvedeva a rilasciare l'immobile. Nè, sul punto, (...) provvedeva a fornire contestazione specifica, atta a superare la presunzione del danno lamentato dalla proprietaria. Pertanto, riconosciuta la sussistenza del danno subito dalla sig.ra (...) a partire dall'agosto dell'anno 2020, quest'ultimo dovrà essere calcolato, anche in via equitativa, prendendo come riferimento il parametro del canone locativo medio di mercato per le annualità decorrenti dal 2020 al momento dell'effettivo rilascio dell'immobile per cui è causa. Si evidenzia -come già detto- che solo dal 28.8.2020 risulta che parte attrice in primo grado abbia richiesto (tramite PEC) la liberazione dell'immobile, invitando la controparte alla mediazione. Non risultano provate in atti precedenti richieste di restituzione del bene occupato e il capitolo di prova n. 5, articolato dall'odierna appellante sul punto, risulta assolutamente generico e inammissibile. Il calcolo dell'indennità, tenuto conto dell'ubicazione, delle caratteristiche del bene e delle quotazioni immobiliari dell'Agenzia delle Entrate, prodotte dall'attrice in primo grado e non contestate da (...), viene effettuato moltiplicando i mq catastali dell'appartamento, del box e del posto auto (tutti non contestati), per il valore locatizio mensile al mq., individuato dall'Agenzia delle Entrate. Appartamento mq 97 x 5,05= 489,85 mensile Box mq 14 x 4,35= 60.9 mensile Posto auto interrato mq 11 x 3,5=38,5 mensile Giungendo a determinare una indennità di occupazione mensile di Euro 589,25 Euro al mese. Tale indennità mensile è dovuta dall'agosto 2020 sino al rilascio, oltre interessi. Sull'importo dell'indennità per l'occupazione sine titulo sono dovuti gli interessi di mora al saggio legale dalla scadenza di ogni mensilità al saldo, mentre non è dovuta rivalutazione in quanto non si tratta di debito di valore. Da ciò consegue, in riforma della sentenza di primo grado la condanna dell'appellata al pagamento in favore di parte appellante di un'indennità mensile di Euro 589,25, dall'agosto 2020 sino al rilascio, oltre interessi legali. Con riferimento al secondo motivo di appello, la Corte è chiamata ad esprimersi sulla seguente questione: mancato riconoscimento della domanda di rimborso degli oneri accessori. L'appellante impugna la sentenza nella parte in cui il Tribunale non le riconosceva il rimborso delle somme versate a titolo di spese condominiali a partire dal momento in cui controparte ne aveva abusivamente occupato l'immobile. Ciò, nonostante lo stesso Tribunale avesse affermato che "invero, ... la convenuta non abbia contestato il mancato pagamento degli oneri condominiali, ed anzi abbia espressamente confermato di non avere pagato le somme indicate dall'attrice ...". Data, ancora una volta, la mancata contestazione di controparte sul punto, l'allora attrice doveva considerarsi esonerata dalla dimostrazione del pagamento dei predetti oneri condominiali. In ogni caso, l'allora attrice aveva allegato in giudizio due distinte dichiarazioni dell'Amministratore del condominio, Rag. C.G., costituenti quietanza e riconoscimento sia dell'avvenuto pagamento, sia della circostanza per cui a pagare questi ultimi fosse stata la proprietaria e non l'occupante. Tali circostanze non venivano, ancora una volta, fatte oggetto di contestazione alcuna dall'allora convenuta in primo grado. L'odierna appellante insiste, quindi, nella richiesta di assunzione della testimonianza del Rag. (...) e/o del Rag. (...), suo collaboratore e nel riconoscimento del rimborso per quanto già versato e da versarsi, incluso di interessi di legge da ciascun esborso al saldo. L'appellante, in subordine, chiede la riforma della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto neppure la minor somma di 1.533,03 Euro che, tuttavia, lo stesso Tribunale aveva ritenuto provata. L'appellata contesta l'affermazione di controparte, volta a sostenere che, in assenza di specifica contestazione relativa all'an ed al quantum debeatur, il Tribunale avrebbe dovuto accogliere la domanda formulata dall'allora attrice. Sul punto afferma, al contrario, come la mancata contestazione non sollevi la parte dall'onere di provare i fatti posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio. Con riferimento al caso in esame, infatti, l'allora parte attrice non dava prova né del titolo fondante la propria pretesa, né della quantificazione degli oneri condominiali per cui chiedeva il rimborso. Tale prova si sarebbe potuta raggiungere esclusivamente attraverso prova documentale, allegando in giudizio i bilanci (preventivi e consuntivi) così come approvati in assemblea. Tali i limiti stabiliti per espressa previsione dell'art. 2726 c.c.. Né, in ogni caso, la dichiarazione dell'Amministratore può essere considerata quietanza, posto che tale atto unilaterale, per essere valido, deve necessariamente provenire dal creditore. L'appellata, parimenti, contesta la pretesa svolta in via subordinata da controparte, posto che anche in quel caso il Tribunale, constatata la mancanza di prova con riferimento al titolo fondante la pretesa attorea. LA CORTE OSSERVA quanto segue. Sull'effettivo pagamento delle spese condominiali da parte dell'appellante, nel periodo di occupazione, pare preliminarmente opportuno evidenziare come, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2726 c.c., sia possibile ricorrere a prova testimoniale. solo in caso di assoluta impossibilità di provare diversamente l'avvenuto pagamento del debito, Tuttavia, l'ammissibilità della prova testimoniale è lasciata alla libera e ponderata valutazione del giudice, che dovrà valutare se, in concreto, non vi sia altro - e più efficace - strumento di prova nella disponibilità del debitore. In questo senso, non si ravvede la ragione per cui la sig.ra (...), proprietaria dell'immobile per cui è causa e asseritamente unica adempiente per le obbligazioni pecuniarie sollecitate dall'amministratore di condominio, non potesse allegare in giudizio la prova di un esborso tramite un bonifico e/o un prelievo dal proprio conto corrente e/o altra prova documentale dell'avvenuto pagamento delle spese condominiali di cui chiede il rimborso, posta l'asserita regolarità dei versamenti e la vicinanza con la realtà condominiale cui appartiene. Né può essere considerata alla stregua di quietanza di pagamento la dichiarazione attestante il saldo delle predette spese resa da parte dell'amministratore di condominio, posto che tale atto integra la fattispecie della confessione stragiudiziale di terzo e, pertanto, assume valore di mero elemento indiziario. Parte attrice, pertanto, come statuito dal primo giudice non fornisce piena e compiuta prova del pagamento delle spese condominiali. Con riferimento all'assegno prodotto sub doc.16 dall'attrice in primo grado per l'importo di Euro 1.533,00, intestato al Condominio e sottoscritto da (...), si osserva che verosimilmente il suddetto importo è riferibile alle prime due rate del "2021/22", come indicato nella ricevuta dell'amministratore del condominio. La prima rata di Euro 442,79 e la seconda rata di Euro 1090,24. Peraltro, dalle diciture dei documenti prodotti (doc. 15 e doc. 17) relativi a tali rate si evince che (solo) la prima rata è "in acconto" e che nella seconda è contenuto un conguaglio (non meglio identificato) di Euro 711,72. Risultano, altresì, poco comprensibili e non spiegate anche le indicazioni di cui al doc. 17 denominato "Preventivo Gestione 2021/2022", ove oltre alla prima rata di acconto sono previste altre tre rate nella misura percentuale del 34 % del residuo, del 33% del residuo e del 33 % del residuo (totale delle percentuali pari a 100%). Risultano perciò 4 rate annuali che superano la percentuale dell'intero (100%). In altri termini, il doc. 17 prodotto dalla difesa di parte attrice non chiarisce in alcun modo a cosa sia effettivamente riferibile l'importo di Euro 1.533,00 contenuto nell'assegno prodotto in copia sub doc. 16. Mancano agli atti la produzione dei bilanci preventivi e consuntivi approvati dall'assemblea condominiale, del periodo dal 1.8.2020 in poi, che avrebbero consentito all'appellante di fornire giustificazione del titolo delle sue pretese (tenuto conto altresì che la Corte ha riconosciuto dovuta l'indennità solo a partire dal 1.8.2020 e non prima di tale data). La Corte, definitivamente decidendo, per le ragioni sopra esposte, rigetta il presente motivo di appello. Con riferimento al terzo motivo di appello, la Corte è chiamata ad esprimersi sulla seguente questione: mancato riconoscimento della richiesta di rimborso delle imposte comunali. L'appellante contesta la mancata pronuncia del Tribunale, con riferimento alla propria richiesta di rimborso della TARI per gli anni dal 2014 al 2017 e per le annualità 2020 e 2021, per un importo complessivo pari a 896,00 Euro, come da avvisi e modelli F24 allegati in giudizio. S.E. come, anche in questo caso, controparte non abbia mosso contestazioni sul punto. Evidenzia, altresì, come la natura stessa dell'imposta in esame imponga che essa sia dovuta dal concreto possessore/utilizzatore del bene e non, acriticamente, dal proprietario, richiamando giurisprudenza sul punto. L'appellata eccepisce la tardività della domanda di restituzione dell'imposta TARI, posto che l'allora attrice ne faceva richiesta solo in sede di memorie istruttorie. LA CORTE OSSERVA quanto segue Preliminare ed assorbente, sotto questo profilo, l'eccezione sollevata da (...) di tardività della domanda di restituzione dell'imposta TARI: eccezione riconosciuta da questa Corte fondata. La Corte, definitivamente decidendo, per le ragioni sopra esposte, rigetta il presente motivo di appello. Con riferimento al quarto motivo di appello, la Corte è chiamata ad esprimersi sulla seguente questione: errata definizione del regime delle spese processuali. L'appellante impugna la sentenza nella parte in cui, in nome di una soccombenza reciproca, compensava le spese del giudizio tra le parti. Sul punto, sottolinea come il Tribunale avesse accolto - riconoscendone la fondatezza - la domanda principale svolta dall'allora parte attrice, condannando la convenuta all'immediato rilascio dell'immobile oggetto del giudizio, avendo accertato l'occupazione abusiva dell'immobile da parte della convenuta a partire dal marzo 2014. Di contro venivano rigettate tutte le eccezioni ex adverso svolte in ordine ad una asserita e presunta interposizione fittizia di persona e/o di simulazione. Di conseguenza il Tribunale avrebbe dovuto almeno compensare parzialmente (della metà) le spese e provvedere alla liquidazione della quota restante a carico della sig.ra (...), integralmente soccombente con riferimento al profilo dell'occupazione abusiva. L'appellante richiede, inoltre, il rimborso delle spese di mediazione e quelle sostenute con riferimento alla perizia giurata di parte, ante causam, così come risultanti dai docc. 8, 9, 12 e 22). L'appellata ribadisce la circostanza per cui il Tribunale, accolta la domanda attorea di restituzione dell'immobile, rigettava ogni altra domanda presentata in via principale dalla parte. Da ciò risulterebbe evidente la reciproca soccombenza delle parti e la correttezza della sentenza con riferimento alla integrale compensazione delle spese di lite, non potendo trovare accoglimento il criterio ex adverso sostenuto, con riferimento al presunto "peso" delle singole domande, tenuto anche conto della circostanza per cui l'allora parte attrice le proponeva tutte in via principale. LA CORTE OSSERVA quanto segue. In tema di liquidazione delle spese processuali in caso di riforma totale o parziale della sentenza di primo grado, è costante nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione del principio secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (c.f.r., tra le ultime, Cass. civile, sez. VI, ord. 4 aprile 2018, n. 8400; Cass. civile, sez. III, ord. 22 agosto 2018, n. 20920). Le spese di lite, perciò, seguono la sostanziale soccombenza di (...), occupante abusiva condannata al rilascio dell'immobile oltre al pagamento di un'indennità di occupazione, e sono liquidate nei valori medi come in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminato della controversia e della sua complessità bassa, ex D.M. n. 147 del 2022 (con esclusione della fase istruttoria in appello). P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone: 1. accoglie parzialmente l'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. 765/2022, pubblicata il 24.03.2022, a conclusione del giudizio RG n. 5404/2021, e in parziale riforma, 2. condanna (...) al pagamento in favore di (...) per l'occupazione abusiva di un'indennità pari a Euro 584,94 mensili a decorrere dal 1.8.2020 al rilascio, oltre interessi come in motivazione; 3. condanna (...) al pagamento in favore di (...) delle spese processuali di primo grado liquidate in Euro 793,00 per spese e Euro 7.616,00 per compensi, oltre IVA, CPA e 15% spese generali e per il secondo grado in Euro 1.165,00 per spese e Euro 6946,00 per onorari, oltre IVA, CPA e 15% spese generali. 4. conferma per il resto l'impugnata sentenza. Così deciso in Milano il 21 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • Repubblica italiana In nome del popolo italiano Corte D'Appello Catanzaro Sezione Prima Civile Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Antonella Eugenia Rizzo Presidente dott. Claudia De Martin Giudice dott. Beatrice Magaro' Giudice - relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 730/22 promossa da: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) presso il cui studio, sito in Vibo Valentia, alla via (...) è elettivamente domiciliato; APPELLANTE contro MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, nei cui uffici alla via Gioacchino da Fiore n.34 si domicilia ope legis Con l'intervento del Procuratore Generale che chiede il rigetto del gravame. OGGETTO: incandidabilità ex art. 143, comma 11 Dlgs 267/00 CONCLUSIONI: Per l'appellante: si chiede che l'Ecc.ma Corte d'Appello adita, voglia nel merito, riformare integralmente il decreto impugnato e per l'effetto rigettare l'istanza di dichiarazione di incandidabilità avanzata nei confronti di (...) ai sensi dell'art. 143 c.11 D.Lgs. n.267/2000, con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio. Per il Ministero: confermare il decreto n. 445 emesso dal Tribunale di Vibo Valentia in data 13 giugno 2022, di accoglimento della domanda ex art. 143, comma 11, D.Lgs. 267/2000 e per l'effetto, confermare l'incandidabilità del Sig.(...). Con vittoria di spese e onorari. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Lo svolgimento del processo e le difese svolte dalle parti nel giudizio di prime cure sono adeguatamente compendiati nella sentenza impugnata nei seguenti termini: "Con D.P.R. del 11/5/2018 il Comune di Briatico è stato sciolto ai sensi dell'art. 143 TUEL, su proposta del Ministro dell'Interno. Con nota del 26/5/2018 veniva chiesto all'intestato Tribunale di dichiarare l'incandidabilità dell'ex sindaco (...). Con decreto emesso in data 4.12.2018 il Presidente del Tribunale di Vibo Valentia fissava la data della prima udienza per il 6.2.2019, nominava il relatore e mandava l'incartamento alla cancelleria per provvedere alle comunicazioni di rito. Con memoria depositata in data 5 febbraio 2019 si costituiva nel presente giudizio il dott. (...), contestando ed impugnando gli addebiti. Il Ministero dell'Interno si costituiva a mezzo dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato e insisteva nella declaratoria di incandidabilità del dott. (...). All'udienza del 4 dicembre 2019 il Tribunale, preso atto delle richieste articolate dalle parti, nonché del deposito della documentazione ostesa dal Ministero dell'Interno, concedeva alle parti termine per il deposito di note sul punto e disponeva in merito alle richieste in quella sede avanzate. All'udienza del 7 ottobre 2020, il Tribunale dava atto del trasferimento ad altro ufficio del relatore e mandava gli atti al Presidente per la riassegnazione del fascicolo. Con provvedimento del 20 ottobre 2020 il Presidente del Tribunale di Vibo Valentia provvedeva in merito alla riassegnazione del fascicolo. Successivamente, all'esito di tre rinvii concessi su istanza di parte resistente, in virtù di impegni concomitanti ed impedimenti certificati, all'udienza del 6 aprile 2022 si procedeva all'audizione del dott. (...). Alla medesima udienza, all'esito dell'attività processuale calendarizzata, il Tribunale si riservava. Con ordinanza emessa in data 16.06.22, si statuiva espressamente: Dichiara che (...) non potrà essere candidato alle prossime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali che si svolgeranno nel territorio della Regione. Avverso la predetta decisione proponeva appello (...), deducendo l'erroneità e l'illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui nella parte in cui aveva riconosciuto la sussistenza della causa di incandidabilità con riferimento alla sua posizione, evidenziando la violazione dell'art..143, comma 11 Dlgs.267/00, sull'assunto che dalla documentazione allegata non fosse emerso alcun legame significativo tra lo stesso e le locali cosche criminali, né che il medesimo avesse subito condizionamenti nell'espletamento del suo mandato, tali da compromettere il processo di formazione della volontà dell'Ente, nonché il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, evidenziando, in via preliminare, la sussistenza del giudicato con riferimento a molti dei fatti e rilievi posti a fondamento della decisione impugnata. Deduceva, infatti, che non era stata individuata alcuna specifica condotta riferibile direttamente o indirettamente allo stesso, tale da giustificare l'ordinanza di incandidabilità, precisando che nel periodo di riferimento (2014/2018), l'attività amministrativa dal medesimo posta in essere fosse stata assolutamente legittima e trasparente. Concludeva, pertanto, come in epigrafe. Si costituiva in giudizio il Ministero dell'Interno, il quale contestava le avverse deduzioni, chiedendo il rigetto del reclamo di cui deduceva l'infondatezza. Il reclamo è infondato e non può trovare accoglimento. Va preliminarmente osservato che il thema decidendum del presente giudizio si incentra esclusivamente sulla verifica della sussistenza della causa di incompatibilità di cui all'art.143, comma 11, con riferimento solo alla posizione di (...), all'epoca delle contestazioni, Sindaco del Comune di Briatico. Quanto al merito, si evidenzia che, per costante orientamento giurisprudenziale, il provvedimento di scioglimento non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo, ragion per cui è sufficiente che gli elementi raccolti siano indicativi di un condizionamento dell'attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzati. La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che l'incandidabilità non è automatica, ma richiede una valutazione delle singole posizioni, in nome del diritto all'elettorato passivo, al fine di verificare che collusioni e condizionamenti abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica. Lo scopo del legislatore è, infatti, quello di arginare il pervicace fenomeno dell'infiltrazione della criminalità di stampo mafioso, all'interno dell'apparato burocratico degli enti locali attraverso la predisposizione di un peculiare procedimento di verifica dell'esistenza di possibili collegamenti tra i consigli Comunali ovvero tra i singoli amministratori o dipendenti dell'Amministrazione e le organizzazioni criminali (cfr. Cass.Civ.19020/17; Cass. Civ.9883/16). Invero, l'art. 143 D.Lgs. n. 267/2000 stabilisce, infatti, al comma 1 che "Fuori dai casi previsti all'art. 141 i consigli comunali possono essere sciolti quando anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'art. 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'art. 77 comma 2 ovvero su forme di condizionamento degli stessi tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Il successivo comma 4 prevede che lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere". Il comma 11 dello stesso articolo, stabilisce inoltre che fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilità il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile. Dalla lettura della norma citata, si evince un chiaro collegamento tra la pronuncia di incandidabilità ed il provvedimento di scioglimento per le ragioni di cui al comma 1, atteso che il comma 11 teste citato fa espresso riferimento alle "condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo" per cui, intanto può parlarsi della sussistenza di condotte tali da rivelare un collegamento tra gli amministratori autori delle stesse e la criminalità organizzata, in quanto sussista uno scioglimento disposto per le ragioni di cui al comma 1 dell'art.143, ossia per l'indebita inerenza della criminalità organizzata nell'attività amministrativa. Tanto premesso va osservato che nel caso di specie, dalla documentazione allegata, risulta che il Consiglio comunale di Briatico risulta sciolto per effetto del DPR dell'11.05.18, ai sensi dell'art. 143 D.Lgs. n. 267/2000, Considerato che nel Comune di Briatico (Vibo Valentia) gli organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 24 e 25 maggio 2014; Considerato che all'esito di approfonditi accertamenti sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l'amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l'imparzialità dell'attività comunale; Rilevato, altresì, che la permeabilità dell'ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio per gli interessi della collettività e ha determinato la perdita di credibilità dell'istituzione locale; Ritenuto che, al fine di porre rimedio alla situazione di grave inquinamento e deterioramento dell'amministrazione, si rende necessario far luogo allo scioglimento del Consiglio comunale e disporre il conseguente commissariamento dell'ente locale per rimuovere tempestivamente gli effetti pregiudizievoli per l'interesse pubblico e per assicurare il risanamento dell'ente locale (cfr. in termini DPR dell'11.05.18 in atti). Orbene, nella relazione della Commissione d'indagine prefettizia del 02.02.18, si da' atto, nella parte relativa alla descrizione del territorio che Briatico è un Comune di circa 4.300 abitanti che si estende su una superficie di circa 27,75 Kmq. Il territorio si sviluppa tra la quota del livello del mare della costa tirrenica, fino a circa 200 metri di altitudine delle colline dell'entroterra della provincia vibonese, e comprende le seguenti frazioni: Briatico capoluogo, Sciconi, Conidoni, Paradisoni, San Leo, San Constatino, Potenzoni e Mandaradoni. L'economia del territorio si basa quasi esclusivamente sulle attività turistiche presenti sulla costa e sui fondi agricoli coltivati con prodotti tradizionali. Come viene documentato dalle risultanze della citata Operazione di Polizia denominata "Costa Pulita", nel territorio di Briatico - come nel resto del litorale vibonese - lo sviluppo turistico e di conseguenza economico ha destato gli interessi della criminalità organizzata locale, che si è mossa per acquisire il controllo di numerosi impianti turistici e ricettivi che ospitano i turisti prevalentemente nel periodo estivo. L'attività investigativa sopra richiamata ("Costa Pulita") ha ben delineato, in tal senso, la struttura dell'organizzazione criminale operante sul territorio comunale collocandola in un contesto ben più ampio che si propaga ed interessa tutto il territorio provinciale. In particolare, nel vibonese la 'ndrangheta controlla quasi ogni manifestazione delinquenziale e si articola in numerose cosche capillarmente diffuse su tutto il territorio, tra le quali spicca quella dei (...) (VV). Quest'ultima, oltre a mantenere stretti contatti ed intese operative con le vicine cosche reggine della piana di Gioia Tauro e con quelle di Lamezia Terme (CZ), risulta avere ramificazioni ed interessi economici in altre zone del territorio nazionale ed estero. Grazie al potere economico acquisito con il traffico internazionale di stupefacenti e con le attività di usura ed estorsione, la "famiglia" (...) ha conquistato ormai da diversi anni l'indiscusso ruolo di (...) egemone nella provincia affermandosi, al tempo stesso, come una delle organizzazioni più note e potenti dell'intero scenario della criminalità organizzata calabrese. Nell'area di diretta influenza dei (...) ricade, quindi, anche Briatico: comune situato lungo la costa vibonese, controllato dalla (...) per il tramite di referenti locali. Da oltre dieci anni le risultanze investigative confermano, in tal senso, il ruolo verticistico assunto sul territorio da (...) (detto Nino), nato a Briatico il 15 aprile 1956: soggetto che le varie indagini hanno documentato essere in stretto contatto con gli altri esponenti della criminalità organizzata presenti nei comuni limitrofi. Già la nota "Operazione Odissea" (p.p. 3053/04 e 3857/06 - R.G. notizie di reato/21 DDA), conclusa nell'anno 2006, aveva fatto registrare tra gli arrestati - a fianco di diversi esponenti della (...) (...) - il citato (...) e alcuni suoi sodali operanti a Briatico: (...), nato a Briatico il (...), (...), nato a Briatico il (...), (...), nato a Vibo Valentia il (...) e (...) nato a Briatico il (...) (cfr. pag.16-18 Relazione Commissione d'indagine prefettizia 02.02.18). Tanto premesso, prima di passare nello specifico alla valutazione della posizione di (...), va evidenziato che per consolidata giurisprudenza, la misura della incandidabilità disciplinata dall'art. 143, comma 11 ha "funzione preventiva", atteggiandosi quale "misura interdittiva volta a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell'ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle precedentemente rivestite, e in tal modo perpetuare potenzialmente l'ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali. È stata quindi riconosciuta la funzione sostanzialmente preventiva della misura, qualificata come rimedio di extrema ratio, in quanto volta ad evitare il ricrearsi delle situazioni cui il provvedimento di scioglimento ha inteso ovviare, e quindi a salvaguardare beni primari della collettività nazionale, identificabili nella legalità e imparzialità dell'amministrazione e nella sua credibilità presso il pubblico, e cioè nel rapporto di fiducia dei cittadini verso l'istituzione, incrinato da fenomeni di infiltrazione e condizionamento riconducibili alla condotta degli amministratori" (cfr., ex plurimis Cass. Civ.15038718; Cass. Civ. 2749/21). Orbene, il reclamante osserva preliminarmente che nella Relazione della Commissione di Accesso, su cui si è basata la decisione impugnata, si da atto di accadimenti, atti investigativi e risultanze istruttorie anteriori al periodo in oggetto (2014-2018), già oggetto di disamina in precedenti giudizi, essendo già stato disposto anche in precedenza lo scioglimento del Comune di Briatico con DPR 24.01.12, evidenziando come tali fatti fossero già stati presi in considerazione nel giudizio conclusosi con la sentenza della Corte d'Appello n.1527/18, che aveva rigettato la domanda di incandidabilità nei confronti di (...), confermando quanto disposto sul punto dal Tribunale di Vibo Valentia. Invero, tale preliminare eccezione è stata presa in considerazione del Tribunale che ha evidenziato, da un lato, che il decreto del Tribunale di Vibo Valentia, con cui è stata rigettata la declaratoria di incandidabilità, poi confermato in sede di appello, ha preso in considerazione esclusivamente gli anni 2010-2011, allorquando il reclamante ricopriva la posizione di consigliere di minoranza, nell'ambito dell'amministrazione (...), dall'altro, che gli elementi indicati nella Relazione, attinenti ad accadimenti anteriori al quadriennio in oggetto, assumono rilievo solo al fine di evidenziare i perduranti interessi delle cosche sul controllo del territorio, anche attraverso collegamenti costanti con l'amministrazione comunale, oltre che l'avvicendarsi nel tempo nelle cariche elettive e nell'apparato burocratico dell'ente, dei medesimi soggetti, seppur con diversi ruoli. Più in particolare la commissione d'accesso insediatasi presso Comune di Briatico nell'anno 2011, aveva evidenziato con riguardo all'attività della precedente amministrazione che aveva operato dal 2005 al 2010 e che faceva capo a (...) (sindaco in quella consiliatura e poi consigliere di minoranza in quella successiva): Anche per quanto riguarda l'amministrazione guidata dal Sindaco (...), sono state accertate frequentazioni e, specialmente, significativi vincoli di parentela con esponenti dello stesso ambiente delinquenziale che si ritiene condizioni anche l'amministrazione che guida attualmente l'Ente. Infatti, il Sindaco (...) nel luglio del 2010 si è unito in matrimonio, dopo anni di fidanzamento, con la sig.ra (...), figlia di (...) (già consigliere comunale nell'Amministrazione sciolta nel 2003), nata a Briatico il 18.01.1950, quest'ultima sorella del pluripregiudicato (...), nato a Briatico il 20.12.1946, elemento di spicco della criminalità locale e ritenuto contiguo al pluri-pregiudicato (...), e del pregiudicato (...), anch'esso ritenuto contiguo ad (...). Inoltre il predetto amministratore è stato controllato con alcuni soggetti censiti penalmente tra i quali spicca (...), nato a Briatico il 05.03.1948, già sorvegliato speciale di P.S., sul cui conto figurano vicende di polizia (SDI e atti Arma) per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione e usura (operazione di polizia ODISSEA), minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale, detenzione illegale di munizioni e gioco d'azzardo. Nella relazione della Commissione d'indagine del 02.02.18, sempre al fine di dimostrare una continuità nella gestione della cosa pubblica da parte di soggetti contigui a consorterie criminose si evidenzia che a partire dagli anni 2000 l'amministrazione Comunale di Briatico è stata disciolta per ben due volte ex art. 143 TUEL. Le indagini di cui all'operazione "Costa Pulita" riguardano un periodo in cui si sono tenute le elezioni comunali del 2010. Ciò ha consentito di registrare le complesse dinamiche criminali che hanno caratterizzato anche quelle consultazioni elettorali. In particolare, dalle intercettazioni è emerso un certo attrito tra i due esponenti apicali della struttura della 'ndrangheta operante in Briatico, che ha avuto dei riflessi sulle concomitanti consultazioni elettorali: si è registrato come (...), detto "Nino", sosteneva (...), mentre (...), detto "Pino", sosteneva (...). Altrettanto chiaramente si è registrato come in precedenza i sostenitori di (...) avevano sostenuto (...). Le interazioni documentate nell'anno 2012 evidenziano infatti la commistione tra l'apparato criminale insediato nell'area - esplicitandone l'articolazione ed i referenti sul territorio - ed il contesto politico in divenire, facendo rilevare come l'interesse di (...) abbia prevalso sui singoli e sugli schieramenti politici, affermandosi senza soluzione di continuità al di là ed oltre il nome ed il portato del candidato sindaco (...) (...): "... c'era Andrea ((...)) ed abbiamo spinto per Andrea, c'era questo ed abbiamo spinto per questo, viene quell'altro e spingiamo per quell'altro). La presentazione di un'unica lista capeggiata da (...), per le elezioni del 2014 (periodo di interesse), è un chiaro indice del fatto che il momento di attrito del 2010 è stato superato. L'analisi dei dati elettorali si propone di cristallizzare la sostanziale continuità che dal punto di vista soggettivo si coglie a partire dall'anno 2003, anno del primo scioglimento dell'Ente, fino all'attuale amministrazione. Si osservi che tra i due scioglimenti (del 2003 e del 2012), nonché tra l'ultimo scioglimento (2012) e l'insediamento di questa Commissione, intercorre sempre un'amministrazione capeggiata da (...) (amministrazione (...) del 2005-2010 e amministrazione (...) a partire dal 2014 sino ad oggi). L'Amministrazione comunale di Briatico, in data 24.01.2012, è stata sciolta per la seconda volta con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno, per infiltrazioni mafiose. La Commissione prefettizia insediatasi ha amministrato l'Ente fino alle consultazioni elettorali tenutesi il 25 maggio 2014. Alla citata competizione elettorale si è presentata una sola lista denominata "Il coraggio di ricominciare" rappresentata da (...), candidato a Sindaco, già primo cittadino del citato Comune dal 04.04.2005 al 29.03.2010, nonché già Consigliere comunale di minoranza (capogruppo), eletto nella tornata elettorale del 28 e 29 marzo 2010, a capo della lista denominata "Democratici Briaticesi", con successive dimissioni rassegnate il 18.03.2011. (Cfr. pag. 43 e ss relazione.) Significativa, appare altresì' la nota 1996 del 26.04.14, redatta dagli allora Commissari Straordinari Dott.ssa (...), (...) e (...), con la quale veniva segnalata un'anomalia afferente il ritiro improvviso di una lista elettorale (elezioni amministrative 2014) e un'anomala pressione per l'urgente inoltro in Prefettura dell'unica lista presente riferibile all'attuale Sindaco (...) : ritengo di dover far presente di aver ricevuto sin dalle prime ore della odierna mattinata pressioni per l'urgente inoltro in prefettura dell'unica lista presente, (cfr. pag. 86 e 87 relazione) Si osserva che tali dati, relativi agli avvicendamenti delle compagni amministrativi non risultano contestati. Con riferimento, in particolare all'attuale compagine amministrativa e nello specifico alla figura di (...) è stato rilevato nella relazione del 02.02.18: CASELLARIO GIUDIZIALE Negativo. PENDENZE PROCURA VIBO VALENTIA Negativo. REGISTRO NOTI PROCURA VIBO VALENTIA 11.02.1999 Tribunale di Vibo Valentia, per lesioni personali colpose, archivia atti per mancanza di condizioni; 18.06.2009 Tribunale di Vibo Valentia, per calunnia e diffamazione, archivia atti per mancanza di condizioni; 02.05.2011 Tribunale di Vibo Valentia, per lesioni personali colpose, archivia atti per intervenuta remissione di querela; ATTI ARMA/SDI 23.03.2009 denunciato dalla Stazione Carabinieri di Vibo Valentia e dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Cosenza, alla Procura della Repubblica del Tribunale di Vibo Valentia, per lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, abuso d'ufficio e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazioni amministrative; in data 21.12.2017 il GIP di Vibo Valentia ha disposto l'archiviazione del procedimento; 10.01.2012 denunciato dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Cosenza, alla Procura della Repubblica del Tribunale di Vibo Valentia, per abuso d'ufficio; 28.09.2014 eletto Presidente della Provincia di Vibo Valentia. 19.03.2016 dichiarato "incandidabile" alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, limitatamente al primo turno successivo allo scioglimento del Comune di Briatico, con sentenza n. 25631/2014 della Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, con udienza pubblica del 17.12.2015 e successivo deposito in cancelleria il 07.03.2016. A seguito di rilevazione di "errore materiale", l'Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto alla Suprema Corte la "correzione" della citata sentenza. L'iter processuale, ad oggi, prosegue presso la Corte d'Appello di Catanzaro. 20.04.2016 coinvolto, quale "persona sottoposta ad indagine", nel procedimento penale36 n. 4344/2010 R.G.N.R. - D.D.A. mod. 21 instaurato presso la Procura della Repubblica - D.D.A. di Catanzaro, inizialmente per la violazione degli artt. 110 e 416 bis c.p. (concorso esterno in associazione di tipo mafioso "per avere, nella qualità di Sindaco del Comune di Briatico fino all'anno 2010 nonché quale soggetto di vertice dell'amministrazione comunale di Briatico con la possibilità di orientare le decisioni procedimentali ed amministrative del Comune predetto; attivandosi per favorire la (...) (...) e in particolare concorrendo unitamente a (...), (...) e (...) a porre in essere condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l'attività del villaggio (...) costituente una delle principali fonti di guadagno della (...), - concorso nell'associazione di 'ndrangheta denominata (...), consapevole della sua operatività sul territorio di Briatico e rafforzandone l'operatività. Fatti commessi in Briatico fino all'anno 2010 "); il capo, per cui pende il processo con rito abbreviato, è stato successivamente modificato in "Corruzione Elettorale" art. 81 cp, 86 DPR nr. 570/ 60 e 7 L. 203/ 91 "perché per ottenere proprio vantaggio il voto elettorale, il (...), quale candidato alle elezioni comunali per il Comune di Briatico per l'anno 2010, offriva o prometteva ad (...) - fratello del capo (...) (...) detto Nino - l'assunzione del figlio (...) all'interno della (...) S.p.a., assicurando altresì la nomina alla carica di assessore di soggetti graditi alla (...) (...), quali (...) e (...) (quest'ultimo anche con la carica di vice sindaco), in cambio del sostegno elettorale da parte del sodalizio criminale. Con l'aggravante di cui all'art. 7 L. 2037 91, per aver posto in essere l'attività criminosa con metodo mafioso e al fine di agevolare la (...) (...)". Si elencano poi delle occasioni in cui lo stesso è stato avvistato in compagnia di soggetti coinvolte in procedimenti penali e segue, per quanto di interesse l'indicazione dei suoi rapporti di parentela: Coniugato con (...), nata a Catanzaro il 31.01.1975, la quale è: nipote di (...), nato a Briatico il 22.10.1938, ivi residente in via (...), avvisato orale di P.S.; nipote di (...), nato a Briatico il 20.12.1946, ivi residente in via (...), e di (...), nato a Briatico il 06.01.1949, ivi residente in via (...), avvisato orale di P.S.; (c) cugina 1 del citato (...). Si soggiungere che, il citato (...) è: marito di (...), amministratore unico e legale rappresentante della società in nome collettivo "(...) S.n.c.", nonché proprietaria del complesso turistico "Hotel Residence (...)", con sede a Briatico, località (...). Di questa società risultano essere comproprietari (...) e (...); padre del citato (...) il quale risulta titolare della società "(...) S.r.l.", proprietaria di quote nominali pari al 25% della società "(...)". Il restante 75% delle quote di quest'ultima società, risultano sotto la titolarità (suddivisa in tre pacchetti di uguale percentuale) di (...), che riveste la carica anche di "amministratore unico", di (...) e di (...). Si soggiunge che le società "(...) S.r.l.", "(...)" e "(...) S.n.c." sono state poste sotto sequestro nell'ambito del procedimento penale n. 4344/10 R.G.N.R. mod. 21 instaurato presso la Procura della Repubblica - D.D.A. di Catanzaro. Nella relazione predetta vengono, inoltre, evidenziati (pag. 29 e ss), i rapporti tra il (...) e la massoneria, ponendosi a riscontro di tale assunto alcune conversazioni captate nel corso di intercettazioni telefoniche. Sul punto si riporta la conversazione captata, a tal riguardo, il giorno 24.08.11, alle ore 17.05 circa: Nel colloquiare con (...) all'interno dell'autovettura monitorata (SSANGYONG REXTON tg. (...)), il (...) aveva confidato, infatti, all'interlocutore che "Andrea non è più nella massoneria" (riferendosi a (...)) indicando le ragioni dell'estromissione come diretta conseguenza del fatto che "se l'è guastata con (...)" (riferendosi a (...) appartenente alla massoneria Vibonese) e di altri "gravi motivi" non meglio specificati nel corso dell'interazione ("L'hanno ripudiato! L'hanno tolto per motivi gravi! ".) Successivamente si riporta lo stralcio della trascrizione dell'interrogatorio di (...), nato a Rosarno (RC) il (...) - nel corso dell' interrogatorio reso innanzi all'A.G. in data 25.11.2016, il quale ha fornito importanti elementi di riscontro in ordine all'appartenenza del (...), Sindaco di Briatico, alla massoneria, e con riferimento alla commistione dell'amministratore con una frangia della c.d. massoneria "deviata", e più segnatamente con quella riconducibile ad esponenti della criminalità organizzata: nelle competizioni elettorali i candidati massoni venivano sempre appoggiati dagli appartenenti segreti chiamati (...) ovvero dei criminali che facevano catalizzare su di loro i voti, così è successo con un ragazzo, assistente all'Università di Messina, divenuto Sindaco di Briatico credo che inizi con Ni..ora che mi viene ricordato, credo sia proprio (...). (cfr. pag. 33 Relazione). Orbene tali elementi, complessivamente considerati, confermano il giudizio della Commissione in ordine, da un lato, all'esistenza di una continuità nel tempo della medesima compagine amministrativa, peraltro esposta più volte ad indagini e rilievi, essendo stato decretato per ben due volte lo scioglimento del Comune di Briatico, ai sensi dell'art.143 TUEL, a causa delle ingerenze della criminalità nell'attività amministrativa dell'Ente, dall'altro in ordine alla vicinanza del (...), nel corso degli anni, ad esponenti della massoneria deviata e della criminalità organizzata, grazie alla quale sarebbe stato favorito anche nelle ultime competizioni elettorali. I molteplici rilievi afferenti i diversi settori in cui si è articolata l'attività amministrativa dell'Ente, dal conferimento di incarichi professionali, alla gestione del piano spiagge e degli appalti, nonché alla riscossione dei rifiuti, denotano poi una mala gestio nella conduzione dell'attività amministrativa, tesa a favorire soggetti vicini alle cosche. Significativa, quanto al conferimento di incarichi professionali, è la conversazione captata nell'ambito del Procedimento Penale nr.4344/10 della DDA di Catanzaro data: 14/05/2011 ora: 14:33:14 durata: 0:09:58, nella quale (...) parlando con (...) riferisce di alcuni professionisti nello specifico Architetto (...), ingegnere (...) impiegato presso l'ufficio tecnico - Settore Urbanistica del Comune di Briatico durante l'Amministrazione (...), architetto (...) e avvocato (...), che avrebbero beneficiato dell'interessamento del (...) e fra questi anche il geometra (...) in quel periodo collaboratore di staff del Sindaco (...)(. (...):-Andrea mio, gli ho detto:- "LUIGI mio, tuo cugino Andrea con me, con me è una brava persona, con me si è comportata sempre bene, a me male non me ne ha fatto, ed io tanto meno non gliene ho fatto a lui! Mi poteva fare del bene - gli ho detto -che invece di dargli quattrocentomila euro a (...), me ne dava cento a me e trecento ad (...)! E lo potevo chiamare anche io papà! Perché papà lo deve chiamare (...), (...), (...), (...), l'Avvocato (...), questi lo devono chiamare papà - gli ho detto io - ad Andrea Perché gli ha portato soldi!! Giustamente devi chiamare papà a chi ti da' soldi, a chi ti da' mangiare!" Io gli ho detto: -A me non mi ha fatto ne del male e ne del bene! Quindi io male a lui non gliene voglio e bene non gliene voglio! Non ci rivolgiamo la parola, perché io ho votato ad altri, ma ognuno si deve tirare anche il pari e dispari per vedere dove può prendere un chilo di pane! Ed ancora nella conversazione (Progr.247), (...) accusa (...), affermando che era solito chiedere tangenti sui lavori edili in esecuzione a Briatico. Dice (...): "E Michele è capitato con Andrea, gli ha tenuto il sacco, Michele ogni lavoro che faceva gli doveva dare il 50 per cento ad Andrea, non è che lo faceva gratis, dividevano con Andrea e glieli dava spacciati quando uno andava al Comune e gli diceva devo fare una lottizzazione, gli diceva se non date ....incomprensibile......il geometra non ve l'approva gli diceva Andrea....inc.le.," dove "Michele" è identificabile in (...), collaboratore di staff del sindaco durante la giunta guidata da (...) (cfr. pag.205 e 206 relazione cit.) Detti professionisti e, segnatamente, (...) e Ing. (...) risultano aver beneficiato di incarichi anche durante la consiliatura in oggetto. E' stato, altresì, evidenziato l'affidamento diretto degli incarichi a taluni soggetti sottoscrittori delle lista che ha sostenuto il Sindaco, a riprova di un'azione amministrativa altamente discrezionale e tesa a favorire soggetti comunque vicini agli amministratori in carica. Quanto alle concessioni marittime si evidenzia che tra i beneficiari delle concessioni figurino esclusivamente: a) (...), nata a Briatico il 18.12.1965, presidente del consiglio di amministrazione (nonché proprietaria per una quota del 16,5% di azioni) della (...) Srl (con sede a Briatico, via (...) -fraz S. Costantino-, esercente l'attività di trasporto marittimo e costiero di passeggeri -p. iva (...)-): società risultata soggetta a condizionamento da parte della (...) "(...)". (cfr. pag. 215 e ss della Relazione, in cui si riporta stralcio del provvedimento di fermo emesso a conclusione dell'operazione "COSTA PULITA", Proc. Pen. 4344/10 RGNR DDA CZ, nella parte che più rileva ai fini del coinvolgimento della società (...): Come riferito in premessa tale conversazione presenta un ulteriore motivo di interesse e cioè il fatto che in una parte della conversazione (...) dice di voler portare il (...) "la sotto" e successivamente nel prosieguo della conversazione il "la sotto" viene indicato da "(...)" e facendo riferimento anche a luogo e vale a dire "(...)". Proprio l'aspetto "(...)" risulta essere un ulteriore punto di contatto tra le conversazioni telefoniche intrattenute da (...) con i soggetti napoletani). b) (...) (nato a San Caligero il (...)), titolare di un Chiosco - Bar sito proprio in località Marina di Briatico, giusta licenza concessa dal Comune di Briatico sin dal 21.11.1996. Viene riportato (pa.230 ss relazione) lo stralcio del provvedimento di fermo emesso a conclusione dell'operazione "COSTA PULITA" (Proc. Pen. 4344/10 RGNR DDA CZ) al fine di evidenziare il ruolo di uditore e proselite rivestito dall'interessato nei confronti dell'(...), soggetto al quale evidentemente il (...) riconosceva il potere di insinuarsi nella cosa pubblica. Detta ingerenza, sintomatica di una gestione mafiosa del comune i Briatico, da parte del (...) la si desume dalla conversazione numero 304 del 13.02.2011 (all. n. 142 dell'elenco verb. trascr. Nucleo Inv. CC di cui alla CNR n. 25/1-832/2010 del 30.03.2015), laddove (...) racconta al suo interlocutore (...) che anche lui stesso sta decidendo circa l'aumento degli indici di edificabilità nel deliberando piano spiagge ("Stiamo mettendo un pò di indice di più, affinché si possa costruire di più no?", dove la parola "STIAMO" pone in evidenza come Antonino (...) sia parte attiva nelle decisioni dell'amministrazione comunale e dove lo scopo dell'operazione sia finalizzata non alla tutela dell'ambiente, ma alla speculazione edilizia "affinché si possa costruire di più no?"). A conferma dell'interesse di Antonino (...) per il Piano Comunale di Spiaggia, è citata una conversazione intercettata in ambientale all'interno del Capannone, struttura sottoposta ad intercettazione ambientale nel 2011, nella quale l'(...), colloquiando con lo stesso Rocco (...), gli suggerisce di aspettare che venga approvato il piano ((...): "Allora, dobbiamo aspettare... allora per rendere la cosa molto più facile, molto più facile, è aspettare che si approvi il piano spiagge. Se approvato il piano spiagge... come tu presenti il progetto ai beni ambientali, se lo presenti con il piano spiagge approvato, con le modalità che dice il piano spiagge, loro non ti possono dire di no, hai capito?) c) (...) (nato a Vibo Valentia il 17.06.1976), socio ed amministratore unico de "(...) SRL" (P.IVA (...)), con sede legale a Vibo Valentia Marina, via III traversa Amerigo Vespucci snc. Si evidenzia nella relazione che al di là dei rapporti parentali che pure legano l'interessato ai (...), rileva certamente la condivisione di interessi sul piano economico che sottende la denuncia in stato di libertà patita dal (...) in data 03.11.2009, allorquando - in qualità titolare della concessione nr. 01/2008 rilasciata dal Comune di Briatico - era stato deferito all'AG dalla Capitaneria di Porto di Vibo Valentia unitamente a (...) (cl. 57): referente di spicco del (...), alias "(...)", al quale lo stesso (...) aveva sub-affittato il chiosco bar in gestione. (pag. 232 e ss. relazione). d) (...) (nato a Briatico il 04.06.1938), operatore turistico, citato tra i sostenitori del consigliere (...), allorquando lo stesso era candidato nella lista del sindaco Francesco (...). Viene riportato lo stralcio del provvedimento di fermo emesso a conclusione dell'operazione "COSTA PULITA" (Proc. Pen. 4344/10 RGNR DDA CZ), al fine di documentare la citazione dalla quale emerge il contributo del (...) (sia Salvatore (...) che l'imprenditore edile Giuseppe (...) si sono adoperati a favore della vittoria elettorale di Francesco (...) e dei componenti della sua lista, tra i quali il consigliere di maggioranza (...) e l'assessore (...) Mi servivano i voti! Poi una volta che lo abbiamo votato ho detto io: "Dato che ormai si sa a Briatico lo porto io...non farlo salire, è vergogna no?!" Allora mi sono preoccupato di trovargliene un pò... Glieli ho presi a GENNARO, glieli ho presi... Franco me ne ha dati un pò perché altrimenti non saliva sto scemo! Eh! Sono andato da Ciccio (...)) e) (...) (nato a Reggio in data 01.02.1994), amministratore unico della F 94 srl e della (...) Srl. Si evidenza nella relazione che in qualità di gestore del villaggio turistico "Baia delle sirene", insistente a Briatico in località Sant'Irene, l'interessato sia stato deferito all'AG dai militari dell'Arma in data 24.07.2014 poiché occupava abusivamente suolo demaniale mediante l'apposizione di sedie ed ombrelloni, personale della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia abbia deferito all'AG il (...) per ben due volte in relazione all'occupazione arbitraria di suolo demaniale senza valido titolo (cfr. pag. 237 relazione). Nel 2017 la F94 stata destinataria di un' interdittiva antimafia e solo a seguito di ciò sono state emesse ordinanze di revoca di SCIA per l'esercizio di attività alberghiere, nonostante fossero già emerse contiguità del Trimboli e delle società da lui gestite con le cosche, nell'ambito dell'indagine costa pulita (in cui si evidenziano, gli stretti rapporti tra (...), padre di (...) e dipendente della 24 e la ndrangheta di Briatico nonché famiglia (...), cfr. pag. 239 e 240 relazione). Anche con riferimento al settore degli appalti, sono rilevabili ingerenze delle criminalità organizzata nella gestione di tale delicato settore. Nello specifico è stato rilevato che lo stesso responsabile dell'Ufficio Tecnico - in persona dell'Arch. (...) indicava, a tal proposito, la "(...)" e "(...)" come imprese alle quali il Comune è solito affidarsi per la gestione della prestazione di "auto spurgo", imprese in favore delle quali, per quanto verificato, risultano registrati diversi affidamenti diretti nel corso del periodo in esame. Si rilevano, nello specifico, prestazioni rese dalla società (...) (per l'importo di euro 11.559,00) e ulteriori prestazioni conferite al Comune di Briatico dalla (...) di (...), per l'importo complessivo di euro 5039,00. (cfr. pag. 282 e ss relazione) Il dato si appalesa rilevante, non solo perché dimostra l'intento di favorire solo talune imprese, piuttosto che distribuire gli incarichi fra più aziende operanti nel settore, ma anche perché risultano contiguità di tali imprese con gli ambienti malavitosi. Si evidenzia, infatti, sul punto, la presenza tra i dipendenti dell'impresa (...) - censiti nell'anno 2014/2015 e sino al gennaio 2016 - di tale (...) (nato a Lamezia Terme il (...)): soggetto che in data 18.08.2013 risulta sottoposto a controllo del territorio unitamente a (...) (nato a Lamezia terme il (...)), (...) (nato a Lamezia Terme il (...)) e (...) (nato a Lametia Terme il (...)), quest'ultimo annoverato tra i membri del sodalizio criminale (416 bis) cristallizzato nell'indagine denominata "(...)" (condotta dal N.O.RM. - ALIQUOTA OPERATIVA DELLA COMPAGNIA CC DI LAMEZIA TERME). Si rileva, altresì che la vulnerabilità dell'azienda sotto il profilo della permeabilità criminale è documentata dalle risultanze emerso in seno al Proc. Pern. 2935/07 (operazione "Peter Pan"). Alle pagine 19 e 20 dell'ordinanza applicativa di misure cautelari si evince infatti come la "famiglia" (...) - in persona di (...) Francesco - avesse preso, all'epoca, diretti contatti con le "ditte di Lametia" (tra le quali figurava anche la (...)) onde assicurarsi preventivamente l'aggiudicazione dei lavori (all'epoca banditi dal comune di Tropea) indipendentemente dall'affidamento formale. Con riferimento invece alla (...) SRL, si evidenzia che amministratore unico pro tempore è risultato (...), nato a NICASTRO il (...). La società risulta di proprietà di (50 %) (...) (50 %) (...). Il (...) risulta altresì: proprietario al 95% della (...) Srl, di cui è amministratore unico la (...), nata a Lametia terme il (...). Tale società (la (...) s.r.l.) risulta altresì titolare di affidamenti nel settore rifiuti, in particolare con Determina nr. 62 del 14.04.2016 e della determina nr. 90 del 24 maggio 2016, a seguito della risoluzione del rapporto con la (...) Srl, colpita da un provvedimento interdittivo. Si Sottolinea ancora che nonostante l'apparente sostituzione della (...) con la (...) s.r.l. proprio in data 24 maggio 2016, personale dell'Arma abbia sorpreso tale (...) (nato a Lamezia terme il (...)) mentre in corso R. Margherita di Briatico si adoperava nel servizio di "pulizia strada" sovrintendendo alle prestazioni nel frangente rese materialmente da (...) Giuseppe (nato a Vibo Valentia il (...)) e (...) (nato a Vibo Valentia il (...)). Altra verifica condotta a mezzo sistema INPS ha consentito di accertare, infatti, come i tre risultassero, all'epoca, lavoratori dipendenti della citata (...) Srl, impresa nella quale ha prestato attività - nel mese di aprile e maggio 2016 - anche il (...) (nato a Tropea il (...), coinvolto nell'operazione COSTA PULITA), e - da aprile a luglio 2016 - (...) (nato a Briatico il (...), fratello del più noto Aurelio, anch'egli sottoposto a fermo di indiziato di delitto in "COSTA PULITA"), in qualità di ex dipendenti della (...) Srl al pari del (...) e del (...). Sul punto l'appellante si limita ad evidenziare che all'esito della procedura negoziata per l'individuazione del nuovo operatore cui affidare il Servizio, nonostante l'invito esteso a cinque ditte, solo una partecipava appunto la (...) s.r.l. (circostanza comunque sintomatica di uno scarso avvicendamento e/o rotazione nell' espletamento dei servizi pubblici). Si rileva, inoltre che il citato (...), annoveri in camera di commercio la proprietà del 100% delle quote della (...) Srl (p. Iva (...)): società oggetto dell'operazione di polizia giudiziaria propriamente denominata "DELTA", nel corso della quale si evidenziava l'effettiva riconducibilità dell'impresa alla famiglia di 'ndrangheta (...), in forza di un'intestazione fittizia tesa a dissimulare le proprietà di (...) e che nella (...) Srl figuri parimenti assunto -limitatamente al periodo agosto/novembre 2016 - (...) (nato a Lametia terme il (...)), nipote del più noto Santo (nato a Lamezia Terme (...)) tratto in arresto nell'ambito dell'indagine denominata "ANDROMEDA". Vengono rilevate, altresì, ingerenze anche nel settore della manutenzione strade comunali, atteso che con determinazione nr. 95 Reg. U.T.C. del 09.06.2015 si procedeva ad affidamento diretto della: "Manutenzione delle strade Comunali - Lavori di taglio erba e sterpaglie lungo le sedi stradali maggiormente transitate del territorio comunale" nei confronti della (...): impresa che viene definita nell'atto "ditta di fiducia di questa amministrazione, avendo già lavorato in passato per conto di questo Comune quale incaricata delle rete idrica e fognaria comunale". Con nota recante Prot. 20335 del 12 settembre 2016 la SUA formalizzava, poi, apposito "AVVISO (di) APPALTO AGGIUDICATO" in favore della medesima (...) relativamente ai lavori di "Riqualificazione frazione Mandaradoni". Si osserva, inoltre, che dalla disamina degli atti di cui al Proc. Pen. 4344/10 (Operazione COSTA PULITA, cfr. pag 296 e ss.) si evince l'assoggettamento dei (...) alle dinamiche di criminali in quanto vittima di estorsione da parte di Carmine il grande. Quanto ai lavori di rifacimento di Piazza Marconi, significativa è la circostanza che Il "Professionista Incaricato" era l'Arch. (...), soggetto indicato in atti come "organico alla (...) dei (...)", per come già evidenziato in precedenza. Anche il settore della riscossione di tributi (imposta di soggiorno, IMU Tari) per come dettagliatamente indicato nella relazione pag.396 e ss. rivela criticità. Sul punto, lo stesso appellante, pur evidenziando un aumento delle entrate complessive dell'ente durante la consiliatura in oggetto, da atto della renitenza di alcuni soggetti a pagare i tributi, della necessità di intraprendere azioni esecutive, a conferma dell'esistenza di una subcultura incurante del rispetto delle regole e che ha fatto leva, nel tempo, sulla mancanza di un'azione amministrativa efficace (rilevane e' la circostanza che il (...) fa parte dell'amministrazione già dal 2005). La posizione di vertice dell'Amministrazione imponeva un generale controllo della correttezza e della trasparenza dell'attività amministrativa, che più che concretarsi in azioni o risoluzioni poco incisive, quali la costituzione di parte civile in procedimenti penali di criminalità organizzata, o la confisca di beni ai mafiosi, si manifesta in una presa di distanza da logiche di appartenenza o da persone fisiche o giuridiche, che per la loro contiguità con ambienti malavitosi possono compromettere la fiducia nell'operato dell'Amministrazione, non essendo dirimente la formale incensuratezza dei soggetti coinvolti negli incarichi o la inclusione delle imprese affidatarie di appalti nella white list della prefettura, qualora emergano, aliunde, vicinanze o appartenenze ad ambienti malavitosi, nei termini predetti. La disamina delle conversazioni captate in vista delle tornate elettorali, la presenza tra i soggetti aggiudicatari di appalti, affidamenti o consulenze di soggetti vicini alle consorterie criminose, la tendenza a favorire talune imprese o persone fisiche, piuttosto che improntare il sistema degli affidamenti al principio della rotazione e della distribuzione degli incarichi, è indice della facile permeabilità della compagine amministrativa alle logiche di sfruttamento del territorio delle associazioni criminose e agli interessi della criminalità mafiosa. Invero, ai fini della pronuncia di incandidabilità non si richiede necessariamente la prova di comportamenti idonei a determinare la responsabilità personale, anche penale, degli amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, risultando penale, degli amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, risultando invece sufficiente l'acquisizione di elementi idonei a far presumere l'esistenza di collegamenti con quest'ultimo o di forme di condizionamento tali da alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi del comune o della provincia, da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione il regolare funzionamento dei servizi pubblici, o da arrecare grave pregiudizio alla sicurezza pubblica" (cfr. ex plurimis Cass. Civ. 28259/19), elementi, sussistenti, nei termini poc'anzi esposti, nel caso di specie. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, alla luce dei parametri di cui al DM 55/14, aggiornati al DM n.147/22, considerate, quanto al giudizio di secondo grado, le seguenti fasi studio controversia (Euro 2.058,00); introduttiva (Euro 1.418,00), e decisionale (Euro 3.470,00); per un totale pari ad Euro 6.946,00. Il rigetto integrale dell'impugnazione comporta la declaratoria, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, dell'obbligo dell'appellante di pagare l'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per l'appello, mentre restano demandate in sede amministrativa le verifiche sull'effettiva sussistenza dell'obbligo di pagamento (cfr. Cass. Civ.13055/18) P.Q.M. La Corte d'Appello di Catanzaro - I Sezione Civile- definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, sull'appello proposto avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro in data 13.06.22- così provvede: Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma l'ordinanza impugnata. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato che liquida in Euro 6.946,00, per compenso professionale, oltre accessori di legge. Dichiara che sussistono i presupposti di cui all'art.13 comma 1-quater del DPR 115/02, per porre a carico dell'appellante l'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione. Cosi deciso da remoto, in data, 30 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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