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Tribunale di Messina, Sentenza n. 1089/2024 del 30-04-2024 In nome del Popolo Italiano Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, composto dai (...)ri Magistrati: 1) dott. (...) 2) dott.ssa (...) 3) dott. ssa (...) est., ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2020 R.G., posta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., all'udienza di precisazione delle conclusioni del 22.1.2024, sostituita ex art. 127 ter cpc e promossa da (...) c.fisc. (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende giusta procura in atti (...) C O N T R O (...) c.fisc. (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende giusta procura in atti (...) c.fisc. (...), (...) c.fisc. (...), (...) c.fisc. (...), (...) OGGETTO: Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima. CONCLUSIONI All'udienza di precisazione delle conclusioni, sostituita ex art. 127 ter cpc, i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) citava in giudizio i fratelli (...) e (...) esponendo che in data (...) era deceduto il padre (...) che aveva lasciato un testamento, asseritamente olografo, datato 18.1.2014, pubblicato in (...) in data (...) dal figlio (...) odierno convenuto. Esponeva che, dati i dubbi sulla autenticità di detto testamento, egli aveva conferito mandato ad un consulente di parte che aveva concluso affermando la non riferibilità della scheda testamentaria al de cuius, né in ordine al contenuto che alla sottoscrizione ed alla data. Aggiungeva che il de cuius ea stato ricoverato, in data (...) presso l'(...) e che lo stesso aveva sottoscritto, nella medesima data, un atto di consenso informato ed aveva successivamente sottoscritto, in data (...), la scheda per la richiesta della carta di identità e che il consulente, stante la particolare rilevanza di dette scritture, aveva concluso per la eterografia del testamento. Concludeva, pertanto, chiedendo che fosse dichiarata la nullità dello stesso per difetto di olografia. Con vittoria di spese e compensi. Nonostante la regolarità della notifica non si costituivano (...) e (...) , dei quali veniva dichiarata la contumacia. Con comparsa depositata in data (...) si costituiva (...) contestando il contenuto dell'atto di citazione e chiedendone il rigetto. Rilevava che la scheda testamentaria doveva ritenersi olografa e che, comunque, la stessa non aveva avuto alcun effetto, considerato che egli si era limitato a pubblicare il testamento senza, tuttavia, effettuare alcuna voltura, tanto che fiscalmente il bene non era stato attribuito ad alcuno. Rilevava che egli aveva cercato di raggiungere un accordo con i fratelli, tanto che aveva un nominato un tecnico per stimare il bene costituente l'intero asse ereditario del de cuius. Concessi i termini di rito, veniva disposta ed espletata ctu, che veniva depositata in data (...). Alla udienza del 22.1.2024 le parti precisavano le conclusioni, parte attrice insistendo nelle domande spiegate e parte convenuta "prendendo atto del parere del ctu" e la causa veniva assunta in decisione. Tutto ciò premesso la domanda avanzata da parte attrice è fondata e deve essere accolta. Il testamento è, ai sensi dell'art. 587 c.c., l'atto con il quale taluno provvede alla destinazione dei propri beni per il tempo successivo alla morte. In relazione alla forma di tale negozio giuridico mortis causa l'art. 601 c.c. distingue, poi, il testamento olografo ed il testamento per atto di notaio. (...). 602 c.c. stabilisce, quindi, che il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore. Di conseguenza, affinché il testamento possa qualificarsi come olografo non sono richieste formule sacramentali, ma sono comunque necessari tre requisiti di carattere formale: la sottoscrizione del testatore, l'apposizione della data e l'autografia. Sia il primo sia l'ultimo di tali requisiti assicurano la personalità delle disposizioni del de cuius, che non ha la possibilità di avvalersi né di un rappresentante, né di un nuncius; scopo dell'indicazione della data è, invece, di accertare se l'erede fosse capace di testare nel giorno in cui il testamento venne redatto e, nella fattispecie di due o più testamenti successivi provenienti dalla stessa persona, stabilire quale sia posteriore con l'effetto di revocare le disposizioni incompatibili contenute nei testamenti anteriori. Per giurisprudenza ormai consolidata "la parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa" (Cass. 24835/2022 e CASS SU 12307/2015). (...) attrice, proponendo domanda di nullità del testamento per difetto di olografia, secondo la lettura data dalle (...) della Suprema Corte ribadita dalla recente sentenza appena richiamata, ha adeguatamente assolto il suddetto onere. In base ai risultati della consulenza espletata il testamento pubblicato dal convenuto (...) deve essere dichiarato nullo per mancanza del requisito della olografia. In particolare, il nominato C.T.U., all'esito di un accertamento accurato e convincente, esaminati in originale il testamento olografo oggetto di accertamento e le scritture di comparazione di origine certa, ha concluso affermando che "Gli esiti dell'accertamento esperito consentono di escludere categoricamente che l'olografo oggetto del disposto accertamento possa essere opera del de cuius (...) Pietro". A sostegno di tale conclusione il CTU ha sottolineato che "l'analisi della scrittura dell'olografo ha consentito di prendere atto dell'esistenza di sostanziali irregolarità esecutive e, soprattutto, di contrastanti, inconciliabili livelli di capacità espressiva. Si è accertata, in buona sostanza, una incompatibilità sostanziale tra la scrittura del testo e la sottoscrizione in verifica e firme autografe: non soltanto con quella di data vicina (...) a quella del documento in verifica, ma anche rispetto a quelle di epoca remota ed alle successive, queste ultime progressivamente e vistosamente più alterate non soltanto per il progredire della senilità, ma anche per i riflessi negativi sulla capacità scrittoria del de cuius percepibili fin dal 2007, data nella quale presentò la denuncia di smarrimento ai (...) Merita di essere richiamata e sottolineata l'irregolarità dei tracciati grafici che sono risultati volutamente ritoccati per alterare i tracciati sottostanti, perchè non conciliabili con la modalità scrittoria del de cuius ma anche (forse soprattutto) per mascherare una modalità scrittoria presumibilmente propria della mano del falsario, trattandosi di tracciati realizzati istintivamente, con una immediatezza tipica della spontaneità che si è ritenuto di dovere mascherare. In buona sostanza, il de cuius non aveva le attitudini e capacità grafiche necessarie per redigere la scrittura dell'olografo: non le aveva in epoca remota e anteriormente all'aggravarsi delle patologie che nel 2011 ne hanno determinato il ricovero presso l'ospedale "(...), certamente non le aveva in epoca successiva al ricovero in quanto da quell'epoca la sua firma (e a maggior ragione la grafia in generale), in quando disarticolate nella coordinazione dei movimenti e stentate nei tracciati grafici, risultano inconfutabilmente inadeguate per potere per realizzare la scrittura del testamento in verifica". Il Ctu ha dati atto che nessuna delle parti ha presentato rilievi. Tutto ciò premesso, conformemente a quanto dichiarato dal (...) deve affermarsi la carenza del requisito della olografia della scheda testamentaria apparentemente redatta dal (...) in data (...) e pubblicata il (...), con conseguente nullità del predetto testamento. Quanto alle spese del giudizio, ritiene il Collegio irrilevante la adesione alla domanda dell'attore dichiarata da parte convenuta nella sola comparsa conclusionale, atteso che, come è noto, gli scritti conclusivi possono solo avere ad oggetto esplicazioni delle conclusioni già prese e deve rilevarsi che, nelle note sostitutive della presenza alla udienza in cui la causa è stata assunta in decisione, parte convenuta aveva concluso dichiarando solo di "prendere atto delle conclusioni del consulente". Rileva, ancora, il Collegio che, come affermato dalla Suprema Corte, il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, sì da rendere superfluo il ricorso all'autorità giudiziaria deve essere considerato soccombente. (...) convenuta, invero, nell'insistere in domanda non ha impedito che si svolgesse l'accertamento in sede giudiziaria, limitandosi, come detto, "! prendere atto delle conclusioni della consulenza" in sede di precisazione delle conclusioni e dichiarando in comparsa di aderire alla domanda. Tenuto conto dei principi sopra espressi deve essere dichiarata soccombente apparendo, inoltre, del tutto irrilevante che il testamento dichiarato nullo non avesse determinato alcun effetto ai danni dell'attore. Pertanto, devono essere poste a carico di parte convenuta sia le spese di giudizio, (liquidate nei valori medi dello scaglio delle cause di valore indeterminabile, compreso fra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00) che le spese di ctu come già liquidate. Possono invece, essere compensate le spese di giudizio nei confronti dei convenuti contumaci atteso che la loro chiamata in causa era necessitata stante la loro posizione di litisconsorti necessari. P.Q.M. Il Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) con atto di citazione ritualmente notificato nei confronti di (...) dei contumaci (...) e (...) disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede: 1) Dichiara la nullità del testamento apparentemente redatto dal (...) in data (...) e pubblicato il (...) in (...) 2) condanna (...) alla rifusione delle spese processuali in favore di parte attrice che liquida in Euro 651,12 per spese vive ed Euro 7.616,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa; 3) pone le spese di ctu, come già liquidate, in via definitiva a carico di parte convenuta (...) 4) compensa integralmente le spese processuali fra l'attore ed i convenuti contumaci.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: FELICE MANNAPresidente ALDO CARRATOConsigliere VINCENZO PICAROConsigliere-Rel. GIUSEPPE FORTUNATOConsigliere MAURO CRISCUOLOConsigliere Oggetto: DIVISIONE Ud.21/03/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 16756/2018 R.G. proposto da: SALVINI MAURIZIO, elett.te domiciliato in RIETI, VIALE MATTEUCCI N. 10 c, presso lo studio dell'avvocato GIULIANO VIVIO (VVIGLN53D19D560L), che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso, -ricorrente principale- contro SALVINI CESARINO, SALVINI ETTORE, SALVINI PIERO, SALVINI MILENA, SALVINI ANDELIO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA F. CONFALONIERI, N. 5, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CALDERARA (CLDGLC70H22H501S) che li rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'avvocato PAOLO CARUSO (CRSPLA79R09H501Y) per procura in calce al controricorso, -ricorrenti incidentali autonomi e controricorrenti- nonché contro SALVINI ADA, elett.te domiciliata in ROMA, VIA CASSIA N. 240, PALAZZINA 1, INERNO 27, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BELLONI (BLLFRC72H19H501E), che la rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato ANTONIO BELLONI (BLLNTN34T14H282L), per procura in calce al controricorso, -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di ROMA n.1916/2018 depositata il 26.3.2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere VINCENZO PICARO. FATTI DI CAUSA 1) Con atto di citazione del 9.3.2000 Salvini Ada, sul presupposto che con la sentenza definitiva n. 146/1996 del Tribunale di Rieti era stata dichiarata la nullità per simulazione assoluta dell'atto del notaio Cutillo del 9.8.1971, col quale il padre, Salvini Cesare, aveva apparentemente venduto al figlio Salvini Antonio una serie di beni immobili in territorio del Comune di Pescorocchiano (RI) (il fabbricato rurale in località Prato Saracone a foglio 8, partita 4199, mappale 762, con annessi terreni ai mappali 514 e 763, poi venduto da Salvini Antonio ai signori M.Smuraglia ed A.M. Scaramastra con l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986 trascritto il 30.12.1986, ed alcuni terreni agricoli, poi donati da Salvini Antonio ai figli Cesarino, Piero, Maurizio, Andelio ed Ettore con l'atto del notaio Polidori del 18.10.1983, trascritto il 25.10.1983 - individuati nel NCT del Comune di Pescorocchiano a foglio 8, partita 7532, mappali 394 e 395, a foglio 8, partita 7610, mappale 753, a foglio 8, partita 2752, mappale 119 ed a foglio 9, partita 7532, mappale 612 -), ed era stato accertato che l'attrice, quale erede legittima del padre, era comproprietaria col fratello Antonio di quei beni, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rieti gli eredi di Salvini Antonio, (deceduto il 21.10.1989), ossia la vedova, Castellani Maria (poi a sua volta deceduta con successione dei figli), ed i figli del predetto, Salvini Cesarino, Andelio, Ettore, Piero, Maurizio e Milena, chiedendo di dichiarare aperta la successione legittima di Salvini Cesare, deceduto il 29.5.1987, di dichiarare che i beni dell'asse ereditario erano quelli elencati nell'atto del notaio Cutillo del 9.8.1971, di sciogliere la comunione ereditaria di Salvini Cesare attribuendole metà dei beni, e di ordinare ai convenuti il rendiconto dei beni dei quali avevano avuto il possesso esclusivo dalla data della vendita dichiarata nulla (9.8.1971), con conferimento alla massa delle rendite accertate all'esito del rendiconto. 2) Si costituivano nel giudizio di primo grado gli eredi di Salvini Antonio, che aderivano alla domanda di divisione dei beni di Salvini Cesare, muovendo contestazioni alla decorrenza del rendiconto richiesto, ai criteri di individuazione e valutazione dei beni dell'asse ereditario, delle rendite, delle spese sostenute per i miglioramenti apportati ai beni ereditari, sui quali erano stati realizzati dei fabbricati, ed ai criteri da seguire per la divisione. 3) Non avendo le parti richiesto la concessione dei termini ex artt. 183 e 184 c.p.c. secondo il rito all'epoca vigente, veniva espletata una prima CTU da parte del geometra Grillo, che stimava i terreni agricoli menzionati nell'atto di vendita del 1971 alla data dello stesso, rivalutandoli alla data di apertura della successione con formazione di due quote (rectius porzioni), non essendo stata accolta in un primo momento la richiesta di Salvini Ada di estendere l'accertamento anche al valore dei fabbricati che erano stati realizzati sui terreni dell'asse ereditario. Dopo l'interruzione del giudizio per morte di Castellani Maria, e la riassunzione dello stesso, ordinata la chiamata in causa della Cassa di Risparmio di Rieti, quale titolare di garanzia ipotecaria su beni del compendio ereditario, veniva disposta una nuova CTU da parte del geometra Fabrizio Festuccia per determinare il valore dell'asse ereditario considerando anche i fabbricati edificati sui terreni, dei quali costituivano migliorie, i terreni con sovrastanti fabbricati riportati nel NCT del Comune di Pescorocchiano a foglio 8, particelle 117 e 118, non ricompresi tra i beni ereditari elencati in citazione e nell'atto di vendita del 1971, e tenendone conto nella formazione delle due quote (rectius porzioni), e gli eredi di Salvini Antonio contestavano la mutatio libelli asseritamente compiuta da Salvini Ada per avere chiesto di ricomprendere nella sua quota beni in natura anziché denaro, come inizialmente richiesto, e per l'inclusione nell'asse ereditario anche dei fabbricati realizzati sui terreni dell'asse ereditario e delle particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano, e per l'ipotesi di estensione dell'accertamento, chiedevano di determinare l'ammontare delle spese sostenute per la realizzazione delle migliorie. Essendo stato contestato dalle parti il progetto di divisione predisposto dal CTU, geom. Fabrizio Festuccia, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni, ed il Tribunale di Rieti, con la sentenza n. 526 del 18.8/14.9.2009, dichiarava aperte le successioni ab intestato di Salvini Cesare e Salvini Antonio, disponeva procedersi alla divisione del fabbricato rurale e dei terreni in Comune di Pescorocchiano, assegnava per intero e pro indiviso a Salvini Cesarino, Ettore, Maurizio, Pietro, Andelio e Milena il fabbricato rurale (foglio 8, partita 4199, mappale 762 del NCT del Comune di Pescorocchiano) e gli annessi terreni (foglio 8, partita 4200, mappale 514 e foglio 8, partita 6394, mappale 763) in località Prato Saracone (venduti da Salvini Antonio a terzi il 20.12.1986), dichiarava esecutivo il progetto di divisione predisposto dal CTU geometra Fabrizio Festuccia determinando le quote (rectius porzioni) 1 e 2 (una destinata a Salvini Ada, ed una agli eredi di Salvini Antonio congiuntamente come da loro richiesto) secondo le indicazioni contenute alle pagine 8 e 9 dell'elaborato del tecnico del 31.1.2008 (nella quota 1 venivano però ricompresi per mera svista anche i beni già assegnati ai figli di Salvini Antonio in località Prato Saracone), con sorteggio da effettuarsi dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ed in accoglimento della domanda di rendiconto, condannava gli eredi di Salvini Antonio al pagamento in favore di Salvini Ada della somma di € 65.000,00 (per i frutti civili maturati per i beni ereditari goduti in via esclusiva dalla data della vendita simulata del 9.8.1971), con gli interessi legali dalla domanda giudiziale di rendiconto del 9.3.2000 al saldo, compensava le spese di lite e poneva quelle di CTU già liquidate a carico delle parti al 50% ciascuna. Con successiva ordinanza correttiva dell'8.10.2009 il Tribunale di Rieti individuava come componenti la quota 1 le particelle 117, 118 e 119 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano per un valore di € 513.432,00, e come componenti la quota 2 le particelle 395, 753, 394 e per 1/4 la 612 per un valore di €518.400,00. 4) Avverso la sentenza non definitiva n. 526 del 18.8/14.9.2009 del Tribunale di Rieti come corretta proponevano appello principale il 30.1.2010 Salvini Cesarino, Ettore, Piero, Andelio e Milena, ed appello incidentale Salvini Ada, e dopo che la Corte d'Appello di Roma aveva ordinato l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Salvini Maurizio, quest'ultimo proponeva appello incidentale tardivo, producendo il testamento olografo di Salvini Cesare del 20.1.1967, pubblicato dal notaio Antonio Valentini il 15.2.2011, col quale Salvini Cesare aveva lasciato la disponibile dei suoi beni mobili ed immobili al figlio Salvini Antonio, assumendo che l'aveva incolpevolmente rinvenuto con ritardo rispetto alla morte di Salvini Cesare dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, e chiedendo che la divisione avesse luogo sulla base di detto testamento. Salvini Ada eccepiva la tardività della produzione del testamento e ne disconosceva la valenza, mentre gli appellanti principali aderivano alla richiesta di Salvini Maurizio. 5) La Corte d'Appello di Roma con la sentenza n. 1916/2018 del 26.3.2018 rigettava l'appello principale e gli appelli incidentali e compensava le spese processuali di secondo grado. 6) La Corte d'Appello riteneva che correttamente si fosse tenuto conto nella ricostruzione dell'asse ereditario anche dei fabbricati realizzati sui terreni, in quanto Salvini Ada, pur facendo riferimento in citazione all'elenco dei beni immobili che erano stati venduti dal de cuius al figlio Salvini Antonio il 9.8.1971, aveva manifestato la volontà di ottenere la divisione dell'intero compendio dei beni di Salvini Cesare, ed in esso rientravano per accessione anche quei fabbricati, dei quali non si conoscevano neppure l'esatta data di edificazione e l'autore. Quanto ai terreni agricoli donati dall'erede Salvini Antonio ai figli Salvini Cesarino, Piero, Maurizio, Andelio ed Ettore con l'atto del notaio Polidori del 18.10.1983, riteneva la Corte d'Appello che tale atto non fosse stato tempestivamente depositato nel giudizio di primo grado per dimostrare la fuoriuscita di detti terreni dall'asse ereditario di Salvini Cesare, e che comunque ben aveva fatto il Tribunale di Rieti ad applicare il principio per cui, per l'effetto dichiarativo della divisione ereditaria, le vendite dei beni comuni (la vendita a terzi compiuta da Salvini Antonio nel 1986 del fabbricato rurale e dei terreni in Pescorocchiano, località Prato Saracone) e le donazioni eseguite da un erede prima della divisione , dovevano ritenersi perfezionate nel momento in cui l'erede ne era divenuto assegnatario ed a considerarli quindi oggetto di collazione, anche se solo fittiziamente, per la quantificazione del valore delle due quote. Quanto alla pretesa degli appellanti di essere considerati terzi, rispetto alla coerede Salvini Ada, ai fini dell'applicazione della disciplina dell'art. 936 cod. civ. (relativo alle opere fatte dal terzo con materiali propri), la Corte d'Appello rilevava che per assenza di una tempestiva domanda non erano stati accertati in primo grado l'epoca della realizzazione dei fabbricati, né gli autori della stessa, per cui era irrilevante la pretesa in tal senso degli appellanti, e lo stesso principio doveva valere per la richiesta di rimborso spese dell'appellante incidentale Salvini Maurizio, il cui precedente difensore si era fermamente opposto all'inclusione dei fabbricati nell'asse ereditario, e conseguentemente non aveva a sua volta avanzato alcuna domanda di rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dei fabbricati, comunque non documentate. La Corte, inoltre, riteneva che il singolo condividente, una volta chiesto lo scioglimento della comunione ereditaria, potesse modificare in corso di causa le modalità concrete di attuazione della divisione richieste, senza per questo incorrere nella violazione della mutatio libelli, per cui affermava che il Tribunale di Rieti aveva correttamente determinato il valore della quota del 50% spettante a Salvini Ada comprendendo nell'asse ereditario tutti i beni immobili indicati nell'atto di vendita simulato di Salvini Cesare del 9.8.1971 del notaio Cutillo, comprese le accessioni, e compreso anche il valore di quei beni immobili che poi l'erede Salvini Antonio aveva frattanto venduto a terzi con l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986. La Corte, poi, riteneva nuova ed indimostrata la richiesta degli eredi di Salvini Antonio di essere considerati terzi di buona fede, per essere subentrati nella titolarità dei beni loro donati dal padre Salvini Antonio con atto del notaio Polidori del 18.10.1983, quando già si era verificata l'incorporazione dei fabbricati ai terreni. Relativamente alla domanda di rendiconto, la Corte d'Appello riteneva corretto il computo dei frutti civili dei beni immobili posseduti da Salvini Antonio e dai suoi eredi fin dall'atto di vendita del 9.8.1971 (compresi quindi anche gli immobili in Pescorocchiano, località Prato Saracone e gli immobili donati ai figli da Salvini Antonio), e non dall'apertura della successione di Salvini Cesare del 29.5.1987, in quanto fin dalla data della vendita simulata era iniziato da parte dei predetti il godimento in via esclusiva dei beni immobili oggetto della stessa da parte di Salvini Antonio e poi dei suoi eredi, anziché da parte di Salvini Cesare e dei suoi eredi, ed evidenziava che anche per i terreni edificati occorreva considerare, così come fatto, i frutti civili maturati. Quanto alla pretesa degli appellanti principali di escludere dall'asse ereditario di Salvini Cesare il fabbricato rurale in località Prato Saracone a foglio 8, partita 4199, mappale 762, con annessi terreni, poi venduto da Salvini Antonio ai signori Smuraglia e Scaramastra con l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986 prima dell'apertura della successione di Salvini Cesare, la Corte rilevava che l'eccezione non era stata sollevata nel giudizio di primo grado e che agli atti non si rinveniva l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986, che sembrava non essere stato neppure trascritto. Da ultimo quanto all'appello principale, la Corte d'Appello riteneva apodittiche le censure mosse al costo di costruzione ed ai valori di mercato determinati dal CTU. Quanto all'appello incidentale di Salvini Ada, la Corte d'Appello rilevava che i provvedimenti del Tribunale di Rieti del 12.6.2006 e del 2.7.2007, il primo disponente la rimessione della causa sul ruolo per il completamento dell'istruttoria, ed il secondo il conferimento di un nuovo incarico al CTU con proposizione di nuovi quesiti, non avendo contenuto decisorio, ma istruttorio, andavano qualificati come mere ordinanze e non come sentenze, per cui rispetto ad esse non era ipotizzabile alcuna formazione di giudicato per mancata tempestiva impugnazione. La Corte d'Appello considerava poi come domanda nuova ed inammissibile quella di divisione dell'eredità di Salvini Cesare sulla base del testamento olografo del 20.1.1967, avanzata da Salvini Maurizio con l'adesione degli appellanti principali, in quanto basata su una causa petendi diversa da quella fatta valere in primo grado, escludeva la violazione dell'art. 789 c.p.c. da parte del Tribunale di Rieti, che non aveva dichiarato esecutivo il progetto di divisione con ordinanza per mancata contestazione delle parti, avendo piuttosto fatto proprio il progetto di divisione predisposto dal CTU e già contestato dalle parti, che avevano quindi escluso la possibilità di una divisione bonaria. 7) Avverso tale sentenza, notificata il 26.3.2018, ha notificato ricorso il 25.5.2018 in via principale Salvini Maurizio, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, affidandosi a dieci motivi, ed in pari data, ma con ricorso depositato successivamente, hanno proposto ricorso incidentale autonomo Salvini Cesarino, Ettore, Piero, Milena ed Andelio, affidandosi a nove motivi, e resiste con distinti controricorsi notificati il 3.7.2018 Salvini Ada. 8) La Procura Generale nella requisitoria scritta del 21/22.2.2024 ha chiesto la reiezione delle eccezioni d'improcedibilità e di inammissibilità sollevate da Salvini Ada, e l'accoglimento del 4°, 5°, 8° e 9° motivo del ricorso principale di Salvini Maurizio, nonché del 1°, 2°, 7° ed 8° motivo del ricorso incidentale autonomo, con rigetto degli altri motivi ed assorbimento del 9° motivo del ricorso incidentale autonomo. Hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. i ricorrenti incidentali autonomi e la controricorrente. All'udienza di discussione del 21.3.2024 la Procura Generale si é riportata alle rassegnate conclusioni scritte già presentate, chiedendo però anche l'accoglimento del 4° motivo del ricorso incidentale. RAGIONI DELLA DECISIONE 9) Preliminarmente va respinta l'eccezione d'improcedibilità del ricorso principale e del ricorso incidentale autonomo sollevata ex art. 348 c.p.c. da Salvini Ada per il mancato tempestivo deposito della copia della sentenza impugnata notificata con attestazione di conformità all'originale telematico fatta dai legali incaricati di presentare il ricorso in Cassazione, per avere effettuato i legali officiati da Salvini Maurizio e dai ricorrenti incidentali autonomi in secondo grado l'attestazione di conformità della sentenza notificata all'originale telematico ricevuto, quando già i medesimi clienti avevano conferito procura speciale ad altri legali legittimati a proporre il ricorso in Cassazione. Tale eccezione, sollevata in relazione al principio di diritto enunciato dall'ordinanza della Corte di Cassazione n. 10941 dell'8.5.2018, poi superato dalle contrarie ordinanze della Suprema Corte n. 2445/2021 e n.25969/2022, richiamate nella requisitoria della Procura Generale, e dall'ordinanza della Suprema Corte n. 4401/2021, che hanno ritenuto che il difensore nel giudizio di merito conservi il potere di autenticare la conformità all'originale telematico della copia della sentenza impugnata anche dopo che il cliente abbia incaricato un altro legale per la proposizione dell'impugnazione, é superata nel caso di specie dalla circostanza che sia il ricorso principale, che il ricorso incidentale autonomo siano stati notificati il 25.5.2018, entro il termine breve di sessanta giorni dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata (26.3.2018). La Suprema Corte, infatti, con orientamento consolidato, ha più volte riconosciuto che "In tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell'adempimento del dovere di controllare la tempestività dell'impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine "lungo" di cui all'art. 327 c.p.c., procedendo all'accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l'impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell'ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d'ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all'art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l'onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all'art. 372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall'art. 369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l'improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l'ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d'ufficio" (Cass. ord. 15.2.2024 n.4194; Cass. ord. 7.6.2021 n. 15832). Ciò in quanto il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza e quella di notificazione del ricorso assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell'impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all'art. 325, comma 2, c.p.c. (Cass. ord. 15.2.2024 n. 4194; Cass. ord. n.26107/2022; Cass. ord. 30.4.2019 n. 11386). 10) Sempre in via preliminare va esaminato il primo motivo del ricorso principale di Salvini Maurizio, col quale si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 2) c.p.c. (rectius n. 4 c.p.c.), la nullità dell'impugnata sentenza, per avere omesso la Corte d'Appello di rilevare il giudicato asseritamente formatosi sull'ordinanza del 2.4/4.7.2007 del Tribunale di Rieti, avente contenuto decisorio di sentenza. Tale ordinanza aveva escluso dall'asse ereditario il fabbricato rurale in località Prato Saracone ed i terreni annessi che erano stati rivenduti a terzi da Salvini Antonio nel 1986, e quindi prima dell'apertura della successione di Salvini Cesare, ritenendo che detti beni non potessero costituire oggetto di collazione a seguito della declaratoria di nullità della donazione dissimulata fatta dalla sentenza n. 146/1996 del Tribunale di Rieti, e che a Salvini Ada residuasse solo la possibilità di impugnarne la vendita effettuata a terzi da Salvini Antonio come vendita a non domino, mentre la Corte d'Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, che in contrasto con tale asserito giudicato, aveva invece considerato quei beni immobili come ricompresi nell'asse ereditario di Salvini Cesare, perché rivenduti a terzi dal suo erede, Salvini Antonio, prima di essergli assegnati in sede di divisione. Si duole Salvini Maurizio che la Corte d'Appello, con laconica motivazione, abbia considerato il provvedimento del 2.4/4.7.2007 del Tribunale di Rieti, come di carattere meramente istruttorio, per avere disposto il conferimento di un nuovo incarico al CTU, e quindi come mera ordinanza, ancorché esso avesse anche inteso fissare in modo definitivo, sulla base di un preciso ragionamento logico- giuridico, la composizione dell'asse ereditario di Salvini Cesare, escludendo i beni in Pescorocchiano, località Prato Saracone, acquisendo così il carattere di una vera e propria sentenza, che non era stata tempestivamente impugnata, determinando il giudicato interno. Connesso a tale motivo, e da esaminare congiuntamente ad esso, é il settimo motivo dei ricorrenti incidentali autonomi, col quale, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., si lamenta l'omessa pronuncia, l'ultrapetizione e la violazione del giudicato interno relativamente alla decorrenza del rendiconto dalla data della vendita simulata (1971), anziché dalla domanda di divisione (9.3.2000). Assumono i ricorrenti principali autonomi che la sentenza di primo grado, dopo avere affermato che il diritto ai frutti per i quali i coeredi nel possesso esclusivo dei beni ereditari dovevano rendere conto decorreva dalla domanda di rendiconto, aveva erroneamente fatto riferimento nel conteggio dell'importo dovuto a tale titolo, alla CTU, che lo aveva invece calcolato fin dalla data della vendita simulata del 1971. Deducono i ricorrenti incidentali che la Corte d'Appello aveva omesso di pronunciarsi sul motivo specifico di appello che era stato proposto, circa la contraddittorietà della sentenza di primo grado sul punto, ed era incorsa in ultrapetizione, perché sulla decorrenza dei frutti dalla domanda di rendiconto si era formato il giudicato interno, ed aveva invece riconosciuto tale decorrenza dall'anteriore data della vendita simulata del 1971 perché fin da allora i beni immobili oggetto della stessa sarebbero stati utilizzati da parte degli originari convenuti, senza che fosse stata avanzata domanda in tal senso da Salvini Ada. I motivi in esame sono inammissibili, in quanto non si confrontano con la motivazione addotta dalla sentenza impugnata, peraltro conforme a giurisprudenza consolidata della Suprema Corte in ordine ai criteri di distinzione tra ordinanze e sentenze, e non esprimono ragioni specifiche di critica alla qualificazione del provvedimento del 2.7.2007 del Tribunale di Rieti come mera ordinanza. L'impugnata sentenza, infatti, al penultimo capoverso di pagina 11, relativamente al provvedimento del Tribunale di Rieti del 2.7.2007, ha indicato che con esso é stato conferito un nuovo incarico al CTU e sono stati formulati nuovi quesiti da porre all'ausiliario, allo scopo di acquisire ulteriori elementi istruttori e senza alcun vero e proprio intento decisorio, implicitamente ma inequivocamente ritenendo che si sia trattato di una mera ordinanza inidonea a passare in giudicato, e non di una sentenza, sicché non c'é stata un'omessa pronuncia sullo specifico motivo di appello, né vi é stata un'ultrapetizione, in quanto la questione della decorrenza dei frutti oggetto della domanda di rendiconto, sulla quale si tornerà nel trattare del nono motivo del ricorso principale, era stata comunque devoluta al giudice di secondo grado e sul punto non si era formato alcun giudicato. Orbene, per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, le ordinanze con cui il giudice istruttore o il collegio decidono in ordine alle richieste di ammissione delle prove e dispongono in ordine all'istruzione della causa sono di norma revocabili, anche implicitamente, e non pregiudicano il merito della decisione della controversia, non essendo pertanto idonee ad acquistare efficacia di giudicato, nè per altro verso spiegano alcun effetto preclusivo, qualsiasi questione potendo essere nuovamente trattata in sede di decisione e diversamente delibata (Cass. n. 30161/2018; Cass. 18.4.2006 n. 8932; Cass. 14.5.1992 n. 5738; Cass. 9.10.1985 n.4919). 11) Vanno a questo punto esaminati congiuntamente, per esigenze di organicità della trattazione, i vari motivi proposti col ricorso principale ed incidentale, relativamente alla composizione dell'asse ereditario di Salvini Cesare. 11a) Col quarto motivo Salvini Maurizio ha lamentato, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., che la Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, abbia violato l'art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, avendo incluso nel progetto di divisione, predisposto dal CTU geom. Fabrizio Festuccia, dell'asse ereditario di Salvini Cesare, i terreni con sovrastanti fabbricati riportati nel NCT del Comune di Pescorocchiano a foglio 8, particelle 117 e 118, che però non figuravano tra i beni ereditari elencati nell'atto di citazione di primo grado di Salvini Ada. 11b) Col quinto motivo Salvini Maurizio, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., ha lamentato la contraddittorietà esistente tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza di primo grado, confermata in appello, per avere da un lato elencato a pagina 8 i beni ricompresi nell'asse ereditario di Salvini Cesare, senza includervi i terreni con sovrastanti fabbricati riportati nel NCT del Comune di Pescorocchiano a foglio 8, particelle 117 e 118, e per avere dall'altro dichiarato esecutivo il progetto di divisione predisposto dal CTU, geometra Festuccia, con le quote 1 e 2, da sorteggiare dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la prima delle quali comprendeva anche i terreni con sovrastanti fabbricati sopra indicati. 11c) Col secondo motivo del ricorso principale Salvini Maurizio ha lamentato, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere la Corte d'Appello omesso di pronunciarsi sul suo secondo motivo di appello, col quale si era lamentata l'illegittima inclusione nella massa ereditaria delle particelle in Pescorocchiano, località Prato Saracone, vendute a terzi dai figli di Salvini Cesare con rogito notarile del notaio Floridi del 13.5.1995, rep. 3491. 11d) Col terzo motivo del ricorso principale Salvini Maurizio ha lamentato, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la falsa applicazione delle norme sulla successione e le divisioni ereditarie e la violazione dell'art. 1415 c.p.c. (rectius cod. civ.), in quanto i suddetti immobili in Pescorocchiano, località Prato Saracone (particelle 762, 763 e 514 del foglio 8, partita 4199), una volta dichiarata la nullità per simulazione assoluta della loro vendita da Salvini Cesare al figlio Salvini Antonio del 9.8.1971, dovevano vedere regolata la propria sorte dall'art. 1415 cod. civ., secondo il quale la simulazione non era opponibile ai terzi in buona fede che avevano acquistato dai figli di Salvini Cesare nel 1995. 11e) Col secondo motivo del ricorso incidentale autonomo si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. e l'omessa pronuncia della Corte d'Appello sull'erronea inclusione dedotta in appello nel progetto di divisione approvato e dichiarato esecutivo dal Tribunale di Rieti, dei terreni con sovrastanti fabbricati delle particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano, per i quali non era mai stata avanzata da Salvini Ada alcuna domanda di divisione. 11f) Col terzo motivo del ricorso incidentale autonomo, si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., ed all'art. 111 comma 6° della Costituzione, la motivazione apparente e manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa ed incomprensibile della Corte d'Appello circa l'interpretazione data all'estensione della domanda di divisione proposta da Salvini Ada, erroneamente ritenuta comprensiva anche dei fabbricati edificati sui terreni oggetto di divisione. 11g) Col quinto motivo del ricorso incidentale autonomo, infine, si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l'omesso esame, ai fini della quantificazione del rendiconto, di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dalla pacifica alienazione a terzi di alcuni immobili in data anteriore all'apertura della successione. 11h) Gli elencati motivi, tutti attinenti alla composizione della massa ereditaria di Salvini Cesare, vanno accolti nei termini e limiti che seguono. In merito alla composizione dell'asse ereditario di Salvini Cesare, l'impugnata sentenza, nel disattendere le richieste volte ad escludere da esso sia gli immobili donati ai figli da Salvini Antonio prima della divisione con l'atto del notaio Polidori del 18.10.1983 e poi da essi trasferiti a terzi in corso di successione, sia i fabbricati realizzati su terreni della comunione ereditaria, sia le particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano non menzionate nell'originaria citazione e ricomprese per la prima volta nell'asse ereditario con la CTU del geometra Festuccia, dopo avere sottolineato che l'atto del notaio Polidori non era stato ritualmente depositato, ma era stato comunque considerato nella CTU Festuccia, ha evidenziato che il carattere unitario della comunione ereditaria prescinde dall'analitica indicazione dei beni che la compongono, per cui é risultato sufficiente per Salvini Ada fare riferimento nell'originario atto introduttivo al patrimonio da dividere (quello di Salvini Cesare), senza una specifica indicazione dei beni che lo componevano, non avendo peraltro le parti manifestato espressamente la volontà di addivenire ad una divisione solo parziale dei beni relitti da Salvini Cesare, e non potendosi in tal senso intendere il riferimento, meramente esemplificativo, compiuto da Salvini Ada nella citazione, agli estremi catastali già noti dei beni del compendio che erano stati oggetto dell'atto di vendita del notaio Cutillo del 9.8.1971 del quale era stata accertata la simulazione. La stessa sentenza ha ritenuto, che in virtù del principio di accessione dell'art. 934 cod. civ., dovevano ritenersi ricompresi nell'asse ereditario anche i fabbricati costruiti, in epoca imprecisata, sui terreni del compendio ereditario, e quanto ai beni immobili in Pescorocchiano, località Prato Saracone, trasferiti dall'erede Salvini Antonio a terzi, ha confermato la loro separata assegnazione ai figli ed eredi di Salvini Antonio tenendo però conto dei frutti anche da essi percepiti nell'accogliere la domanda di rendiconto, mentre quanto agli immobili donati con atto del notaio Polidori del 18.10.1983 da Salvini Antonio ai figli prima della divisione dell'asse di Salvini Cesare, ha ritenuto che si sia trattato di una donazione ad effetti meramente obbligatori, che avrebbe prodotto i propri effetti traslativi solo nel momento in cui i figli di Salvini Antonio fossero divenuti assegnatari di quei beni per effetto della divisione, dovendo quindi costituire il valore di essi l'oggetto di collazione per imputazione da parte degli eredi di Salvini Antonio e dovendosene tenere conto anche nel computo dei frutti maturati in relazione alla domanda di rendiconto di Salvi Ada. In realtà nell'asse ereditario di Salvini Cesare non potevano essere ricompresi gli immobili in Pescorocchiano località Prato Saracone (il fabbricato rurale a foglio 8, partita 4199, mappale 762, con annessi terreni ai mappali 514 e 763), che erano stati venduti da Salvini Antonio ai terzi M.Smuraglia ed A.M. Scaramastra con l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986 trascritto il 30.12.1986, la cui esistenza non era stata contestata in primo grado oltre ad emergere dalla CTU Festuccia, senza che fosse stata dimostrata la trascrizione della domanda di accertamento della simulazione dell'atto del notaio Cutillo del 9.8.1971 avanzata da Salvini Ada contro Salvini Antonio e suoi eredi e poi accolta dalla sentenza del Tribunale di Rieti n. 146/1996, confermata dalla Corte d'Appello di Roma l'11.1.1998 e passata in giudicato, in data anteriore alla trascrizione dell'acquisto compiuto da M.Smuraglia ed A.M. Scaramastra, che peraltro non hanno partecipato al giudizio. Per detti beni non era neppure invocabile il principio affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 28.8.2023 n. 23552; Cass. n.9543/2002) dell'efficacia meramente obbligatoria delle vendite a terzi effettuate dal coerede prima di avere ottenuto l'assegnazione del bene in sede di divisione, che presuppone che l'alienazione sia avvenuta comunque quando già il venditore era coerede con altri condividenti, in quanto Salvini Antonio ha proceduto alla vendita a terzi dei beni in questione il 20.12.1986, quale preteso proprietario e non come coerede di Salvini Cesare, quando non solo non era ancora intervenuto il giudicato sulla simulazione assoluta del suo atto di acquisto da Salvini Cesare (l'atto del notaio Cutillo del 9.8.1971), ma egli non era ancora erede di Salvini Cesare, che sarebbe deceduto, con conseguente apertura della sua successione, solo nella successiva data del 29.5.1987. Per detti beni la sentenza di primo grado, confermata in appello, ha provveduto all'assegnazione separata a favore dei figli di Salvini Antonio, correttamente non facendoli entrare tra i beni di Salvini Cesare da assegnare, ma ne ha tenuto conto nel computo dei frutti in sede di accoglimento della domanda di rendiconto, il che può essere confermato, ma tenendo conto che non si tratta di una collazione in senso proprio fatta dal donatario, o dal coerede che abbia disposto dei beni ereditari prima della divisione e dell'assegnazione a sé degli stessi, ma di una quantificazione dei danni che Salvini Antonio ed i figli suoi eredi sono tenuti a risarcire per non avere fatto rientrare i beni alienati a terzi nella massa ereditaria, come loro imposto per la natura simulata dell'atto di vendita del notaio Cutillo del 9.8.1971, col quale i beni erano stati trasferiti da Salvini Cesare a Salvini Antonio. Nell'asse ereditario non potevano essere ricompresi, ai fini dell'assegnazione, neppure gli immobili che erano stati donati da Salvini Antonio ai figli Cesarino, Piero, Maurizio, Andelio ed Ettore con l'atto del notaio Polidori del 18.10.1983, trascritto il 25.10.1983, e quindi in data anteriore all'apertura della successione di Salvini Cesare del 29.5.1987, individuati nel NCT del Comune di Pescorocchiano a foglio 8, partita 7532, mappali 394 e 395, a foglio 8, partita 7610, mappale 753, a foglio 8, partita 2752, mappale 119 ed a foglio 9, partita 7532, mappale 612, dato che anche in questo caso non é stata fornita prova da Salvini Ada dell'anteriorità, rispetto a tale trascrizione, della trascrizione della sua domanda di accertamento della simulazione assoluta dell'atto del notaio Cutillo del 9.8.1971, poi accolta dal Tribunale di Rieti con la sentenza n.146/1996 passata in giudicato. L'imputazione del valore dei beni immobili donati da Salvini Antonio ai figli Cesarino, Piero, Maurizio, Andelio ed Ettore e dei frutti relativi (computati a parte) che é stata fatta, pur non essendo giustificata dall'applicazione delle norme sulla collazione degli eredi donatari, in quanto i figli di Salvini Antonio hanno ottenuto la donazione dei beni in questione da Salvini Antonio, e non dal de cuius Salvini Cesare, né dall'asserita permanenza dei beni donati nell'asse ereditario di Salvini Cesare per l'efficacia meramente obbligatoria attribuita alla donazione compiuta da Salvini Antonio a favore dei figli quando ancora non era erede di Salvini Cesare, é tuttavia giustificata dal fatto che l'erede di Salvini Cesare, Salvini Antonio, e quindi anche i suoi eredi Salvini Cesarino, Piero, Maurizio, Andelio ed Ettore, subentrati nella medesima posizione, erano tenuti a restituire gli immobili in questione alla massa ereditaria di Salvini Cesare, dei quali hanno avuto il godimento esclusivo a partire dall'apertura della successione di Salvini Cesare, ed a risarcire il danno subito dalla coerede Salvini Ada, che ha avanzato contro di loro domanda di rendiconto. Non é ravvisabile la violazione dell'art. 99 e dell'art. 112 c.p.c., in quanto Salvini Ada nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado aveva comunque chiesto lo scioglimento della comunione ereditaria relitta da Salvini Cesare, in tal modo indicando la causa petendi, sicchè l'individuazione dei beni immobili che la componevano costituiva un problema di prova della composizione di tale comunione e non di fissazione del thema decidendum, non potendosi ravvisare una domanda nuova, nelle circostanze emerse in istruttoria, e tramite la CTU del geometra Festuccia del giudizio di primo grado, dell'inclusione nell'asse ereditario anche delle particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano, nonché delle accessioni dei fabbricati costruiti sui beni del compendio, inizialmente abusivi, ma poi condonati, in relazione alle quali sono state avanzate anche richieste di rendiconto dei frutti e di indennizzo per i miglioramenti. Al tempo stesso il principio della c.d. "universalità" della divisione ereditaria, fa sì che la divisione dell'eredità debba comprendere, di norma, tutti i beni facenti parte dell'asse ereditario (vedi in tal senso Cass. sez. un. n. 25021/2019) ed a tale principio si é conformata la motivazione della sentenza impugnata. Quanto al vizio di motivazione dedotto col secondo motivo da Salvini Maurizio, va detto che avendo la sentenza del Tribunale di Rieti, confermata in appello, fatto rientrare nella quota 1, rettificata senza contestazioni delle parti, con ordinanza dell'8.10.2009, le particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano, in luogo delle particelle in Pescorocchiano località Prato Saracone per mera svista indicate nella quota 1 nella sentenza non definitiva di primo grado, che con la medesima erano già state assegnate agli eredi di Salvini Cesare, e che in realtà in quanto vendute da Salvini Antonio a terzi prima della divisione non facevano parte dell'asse ereditario relitto da Salvini Cesare, ed avendo fatto proprio il progetto di divisione predisposto dal CTU geometra Festuccia, si deve ritenere che nell'asse ereditario di Salvini Cesare siano state correttamente ricomprese anche le particelle 117 e 118 del foglio 8 del NCT del Comune di Pescorocchiano, benché non indicate nell'elenco dei beni ereditari riportato alla pagina 8 della sentenza di primo grado. 12) Col primo motivo i ricorrenti incidentali autonomi lamentano, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 112, 115 e 345 c.p.c., per avere la Corte d'Appello erroneamente ricondotto alla produzione in appello del testamento olografo del 20.1.1967 di Salvini Cesare la proposizione di un'autonoma domanda nuova di divisione sulla base di tale testamento, che lasciava al figlio Salvini Antonio la disponibile dei beni mobili ed immobili, ritenuta inaccoglibile, e tale motivo va esaminato per identità di doglianza congiuntamente all'ottavo motivo del ricorso principale di Salvini Maurizio, inerente alla falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., per avere la Corte d'Appello qualificato come domanda nuova inammissibile quella proposta dal predetto con l'atto di appello incidentale tardivo di divisione dell'asse ereditario relitto da Salvini Cesare sulla base del summenzionato testamento olografo, anziché secondo legge. I suddetti motivi sono fondati e meritano accoglimento. Salvini Maurizio ha prodotto per la prima volta il testamento olografo di Salvini Cesare del 20.1.1967 nel costituirsi nel giudizio di secondo grado, a seguito dell'integrazione del contraddittorio disposta nei suoi confronti dalla Corte d'Appello di Roma, proponendo appello incidentale tardivo. L'impugnata sentenza, pur non mettendo in discussione l'ammissibilità del suddetto appello incidentale tardivo sotto il profilo temporale, lo ha rigettato (rectius dichiarato inammissibile), in quanto (vedi secondo capoverso di pagina 12) ha qualificato come autonoma domanda nuova (e quindi inammissibile ex art. 345 c.p.c.), quella avanzata da Salvini Maurizio per la prima volta in appello, di divisione dei beni della comunione ereditaria relitta da Salvini Cesare, anziché secondo legge, sulla base del testamento olografo del 20.1.1967 del de cuius, asseritamente pubblicato con ritardo per tardivo rinvenimento, col quale Salvini Cesare aveva lasciato la disponibile di tutti i suoi beni mobili ed immobili “all'amato figlio Antonio”. La sentenza impugnata ha richiamato a supporto della ritenuta inammissibilità della modifica in appello della causa petendi la sentenza della Corte di Cassazione n.6838/1991 (che si riferiva però ad un caso in cui in primo grado era stato posto a base della successione un testamento pubblico ed in secondo grado un testamento olografo), ed implicitamente ha fatto discendere l'inammissibilità della produzione in appello del suddetto testamento, dalla sua non indispensabilità ai fini della decisione secondo il testo dell'art. 345 comma 3° c.p.c. applicabile ratione temporis nel caso di specie. Rileva la Suprema Corte che l'art. 457 c.c. prevede esplicitamente che l'eredità si devolva per legge o per testamento, ma non si faccia luogo alla successione legittima se non quando manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria. Questa Corte ha chiarito che una volta proposta la domanda di divisione dell'eredità basata sulla prospettazione di una successione legittima, non costituisce domanda nuova ed e', pertanto, ammissibile anche in appello, quella diretta ad ottenere la divisione in forza di un testamento olografo successivamente pubblicato, atteso che il titolo regolatore della successione prevale sulla disciplina legale in materia e la sua deduzione non altera gli elementi essenziali del petitum, relativo ai beni ereditari da dividere, e della causa petendi, fondata sull'esistenza della comunione del diritto di proprietà in dipendenza della successione mortis causa, in quanto il diritto di proprietà e' un diritto autodeterminato per cui il suo titolo d'acquisto non incide sulla domanda avanzata in forza del diritto acquistato (Cass. n.25343/2023; Cass. 27.9.2019 n. 24184; Cass. n. 24184/2014). Conseguentemente, è possibile la modifica della domanda di divisione nel corso del giudizio, poiché le diverse modalità di delazione dell'eredità configurano, comunque, un unico istituto, e nel procedimento di scioglimento della comunione ereditaria esse non individuano singole domande, cosicché la parte può sempre adattare la domanda di divisione alle evenienze ed alle sopravvenienze di causa. Ne deriva che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda di divisione formulata in appello da Salvini Maurizio sulla base del testamento olografo di Salvini Cesare del 20.1.1967, facendosi influenzare da tale valutazione nel ritenere non indispensabile ai fini del decidere quel documento, e non provvedendo ad esprimere un autonomo giudizio sulla ritualità della sua acquisizione agli atti del processo sulla base del precetto dell'art. 345 comma 3° c.p.c. vigente ratione temporis, che le imponeva di valutare se il documento fosse o meno indispensabile ai fini della decisione. L'esame e l'interpretazione del testamento, così come la valutazione della sua contestata attribuibilità al testatore, sono però rimesse al giudice di rinvio. Per principio consolidato, infatti, nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell'accoglimento di un'eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l'accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l'esame delle ulteriori questioni oggetto di censura (ove riproposte o comunque rilevabili d'ufficio), in esito alla cassazione della questione assorbente, deve essere rimesso al giudice di rinvio (salva l'eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate) (Cass. n.25343/2023; Cass. 16.6.2022 n. 19442; Cass. 5.11.2014 n. 23558; Cass. 1.3.2007 n.4804). 13) Per effetto dell'accoglimento del motivo che precede, deve ritenersi assorbito il nono motivo del ricorso principale di Salvini Maurizio, col quale lo stesso ha lamentato, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell'art. 723 cod. civ. e la violazione dell'art. 112 c.p.c.. In particolare Salvini Maurizio ha lamentato che la Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, e disattendendo un suo specifico motivo di appello, abbia fatto decorrere l'obbligo di rendiconto dei frutti dei beni immobili alienati a Salvini Antonio da Salvini Cesare con l'atto di compravendita simulato del notaio Cutillo del 9.8.1971 da tale data, anziché dall'apertura della successione di Salvini Cesare, con la motivazione che si sarebbe trattato comunque di beni immobili che a seguito della dichiarata simulazione dell'atto di compravendita del 9.8.1971 sarebbero rientrati da quella data nel patrimonio ereditario di Salvini Cesare, in realtà deceduto nella successiva data del 29.5.1987. La necessità che la Corte d'Appello valuti in sede di rinvio il testamento olografo attribuito a Salvini Cesare prodotto da Salvini Maurizio in secondo grado, contenente l'assegnazione della porzione disponibile dei beni mobili ed immobili al figlio Salvini Antonio, ed influente quindi almeno potenzialmente, al pari delle disposizioni date sulla formazione dell'asse ereditario di Salvini Cesare, sul progetto di divisione, sull'assegnazione dei beni ed anche sulla misura dei frutti spettanti ai coeredi non assegnatari dei beni, fanno ritenere assorbito questo motivo. 14) Ugualmente assorbito per le stesse ragioni é l'ottavo motivo del ricorso incidentale autonomo, col quale, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., si é lamentata la violazione dell'art. 723 cod. civ. e l'erronea affermazione in diritto della decorrenza dell'obbligo di rendiconto per gli immobili oggetto dell'atto di vendita simulata del notaio Cutillo del 9.8.1971 da tale data, anziché dalla domanda di divisione dei beni di Salvini Cesare (9.3.2000), o in subordine dall'apertura della successione di Salvini Antonio (21.10.1989). 15) Col sesto motivo del ricorso principale Salvini Maurizio lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell'art. 132 n. 4) c.p.c. per motivazione inesistente, apparente e/o perplessa ed erronea interpretazione del quinto e sesto motivo di appello, per non essersi la Corte d'Appello pronunciata sulla domanda di riconoscimento del rimborso delle spese sostenute per materiali e manodopera per la realizzazione dei fabbricati sorti sui terreni indicati nell'atto di citazione di Salvini Ada, e per avere implicitamente rigettato la domanda di rimborso basata sulla configurazione di un'utile gestione a favore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria. Col settimo motivo del ricorso principale, connesso al precedente, si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) e 4) c.p.c., la violazione delle norme sull'onere della prova, la violazione dell'art. 132 n. 4) c.p.c. e la motivazione perplessa, per avere la Corte d'Appello ritenuto non prodotti specifici documenti per dimostrare le spese di costruzione, benché la costruzione da parte dei convenuti dei fabbricati fosse un fatto pacifico e la quantificazione del credito per le migliorie dovesse essere effettuata dal CTU incaricato. I due motivi in questione sono infondati, in quanto l'impugnata sentenza dopo avere sostenuto la mancanza di una vera e propria domanda di rimborso delle migliorie, legata al fatto che i figli di Salvini Antonio avevano inizialmente cercato di non far rientrare nella massa da dividere i fabbricati costruiti sui terreni del nonno paterno, a pagina 8, 9 e 10 ha comunque evidenziato, nel merito, che non é stata fornita la prova, che evidentemente incombeva sui coeredi che avevano formulato la richiesta di rimborso delle migliorie, di quando i fabbricati fossero stati realizzati, se prima, o dopo la morte di Salvini Cesare, e di chi ne fosse l'autore, e da questo ha fatto derivare l'inapplicabilità della disciplina dell'art. 936 cod. civ. (opere fatte da un terzo con materiali propri). Questa valutazione, che sul piano giuridico é corretta e sostenuta da motivazione adeguata e conforme all'art. 2697 cod. civ., non é sindacabile dalla Suprema Corte sotto il profilo della conformità al materiale istruttorio fornito, e lo stesso ricorrente neppure in questa sede ha fornito indicazioni precise sull'epoca di costruzione e sugli autori dei singoli fabbricati, per cui neppure é ipotizzabile che sul punto non vi sia stata contestazione specifica di Salvini Ada, che peraltro neppure risulta che fosse a conoscenza di tali fabbricati, originariamente abusivi e poi condonati, e neppure accatastati. 16) Col decimo motivo il ricorrente principale Salvini Maurizio lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 112 c.p.c. e 723 cod. civ.. Si duole Salvini Maurizio che, benché col nono motivo dell'appello incidentale egli avesse lamentato l'incongruità ed illegittimità dei criteri legali applicati dal Tribunale di Rieti nel disporre la divisione, per avere pronunciato separata condanna dei figli di Salvini Cesare in favore di Salvini Ada a titolo di rendiconto dei frutti percepiti dal godimento esclusivo dei beni ereditari, omettendo di far rientrare tale voce nell'attivo della massa prima della formazione delle quote (rectius porzioni) e dei conguagli in denaro, la Corte d'Appello abbia confermato tale errato modo di procedere, in violazione dell'art. 723 cod. civ., addivenendo così a stabilire con un capo autonomo il conguaglio in denaro eccessivo di € 65.000,00 per i frutti, prima ancora che attraverso il sorteggio fosse stabilita l'assegnazione dei beni ereditari, incidente sulla spettanza o meno e comunque sull'entità dell'indennità per i frutti percepiti dal coerede. Il suddetto motivo deve ritenersi assorbito in ragione dell'accoglimento dei motivi relativi alla domanda di successione testamentaria (punto 12) e dell'accoglimento parziale dei motivi relativi alla composizione dell'asse ereditario di Salvini Cesare (punto 11h). 17) Col quarto motivo del ricorso incidentale autonomo si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la nullità ed improcedibilità della divisione dei fabbricati e dell'approvazione del progetto di divisione per violazione dell'art. 17 comma 1° della L.n. 47 del 1985 (poi sostituito dall'art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2011), in quanto per i fabbricati costruiti sui terreni facenti parte della massa ereditaria non risulterebbe rilasciata la concessione in sanatoria presentata ex L. n. 47/1985. La questione non é stata trattata dalla sentenza impugnata, ma poiché le norme volte a contrastare gli abusi edilizi sono poste a tutela di un interesse pubblico ed il difetto di regolarità urbanistico- edilizia é difetto di una condizione dell'azione, si tratta di questione rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio attinente all'oggetto della divisione (vedi in tal senso Cass. sez. un. 7.10.2019 n. 25021; Cass. 11.11.2009 n. 23825), e tuttavia il motivo é infondato. Occorre tener conto della sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 25021 del 7.10.2019, con cui, superandosi il precedente orientamento contrario all'applicazione delle norme sulle nullità testuali degli atti di trasferimento della proprietà di immobili abusivi agli scioglimenti di comunione, non espressamente contemplati dall'art. 40 comma 2° della L. n. 47/1985, al contrario di quanto previsto dall'art. 46 comma 1° del D.P.R. n. 380/2001, che espressamente li contempla, è stato enunciato il principio di diritto (vincolante ai sensi dell'art. 374 comma 3° c.p.c.) alla stregua del quale “Gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione di nullità prevista dall'art. 40, comma 2° della L.n.47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della L. n. 47 citata dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita una copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell'opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”. Nel caso di specie la CTU espletata dal geometra Fabrizio Festuccia, sulla base delle informazioni assunte presso l'Ufficio tecnico del Comune di Pescorocchiano, ha consentito di accertare che le edificazioni sui terreni della massa ereditaria, realizzate nel 1973, nel 1976 e nel 1983, sono state accompagnate dalla presentazione di tempestive domande di condono edilizio ex L. n. 47/1985 con versamento delle relative oblazioni, in totale assenza di motivi che possano legittimare il diniego delle concessioni in sanatoria, trattandosi, peraltro, di costruzioni in zona agricola con urbanizzazione consolidata, e lo stesso CTU ha espressamente riconosciuto l'alienabilità e trasferibilità di tali costruzioni in forza delle sanatorie edilizie in itinere. Dal momento che si tratta di costruzioni realizzate prima dell'entrata in vigore della L. n.47/1985, e quindi non sotto la vigenza dell'art. 46 comma 1° del D.P.R. n.380/2001, si devono ritenere sufficienti per la validità dei trasferimenti le domande di sanatoria corredate dalle prove del versamento delle prime due rate di oblazione anche in assenza del permesso di costruire, o del permesso in sanatoria, richiesti per la validità dei trasferimenti da tale ultima disposizione solo per le costruzioni iniziate dopo il 17.3.1985 (vedi in tal senso Cass. sez. un. 7.10.2019 n. 25021). 18) Col sesto motivo del ricorso incidentale autonomo si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., l'omessa pronuncia sul dedotto motivo di violazione degli articoli 746 e 747 cod. civ.. Ci si duole che la Corte d'Appello, pur essendo stato proposto appello sul fatto che gli immobili in Pescorocchiano località Prato Saracone venduti a terzi da Salvini Antonio con l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986 non fossero stati imputati alla massa ereditaria per il valore che avevano all'apertura della successione di Salvini Cesare (29.5.1987), bensì per il loro valore all'attualità, abbia ritenuto l'eccezione non tempestivamente sollevata e l'atto del notaio de Rienzi del 20.12.1986 non ritualmente prodotto e non trascritto, ancorché acquisito dal CTU nel corso del giudizio di primo grado e riprodotto nel fascicolo degli appellanti principali insieme alla nota di trascrizione, omettendo così di pronunciarsi sull'omessa applicazione degli articoli 746 e 747 cod. civ.. Il motivo, per come formulato, deve ritenersi assorbito per effetto dell'accoglimento parziale dei motivi relativi alla composizione dell'asse ereditario di Salvini Cesare (punto 11h). 19) Col nono motivo del ricorso incidentale autonomo si lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., e l'omessa pronuncia della Corte d'Appello sulla domanda di aggiornamento delle stime degli immobili facenti parte della massa da dividere, nonché la nullità della sentenza impugnata per error in procedendo. Ci si duole che la Corte d'Appello abbia omesso di pronunciarsi sul sesto motivo dell'appello principale, concernente tali aspetti, nonostante la stima dei fabbricati fosse stata fatta dal CTU in primo grado nel 2005, e quindi molti anni prima dell'effettiva divisione dei beni, ancorché per la determinazione del loro prezzo di mercato debba farsi riferimento ai prezzi correnti al tempo della decisione, o almeno all'aggiornamento di quelli già determinati in precedenza (Cass. n.2907/2005). Il suddetto motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell'accoglimento dei motivi di cui a punti 11h) e 12),che dovranno determinare in sede di rinvio una preliminare decisione sulla delazione legittima, o testamentaria, ed una conseguente decisione basata su una valutazione attualizzata del compendio ereditario di Salvini Cesare, del valore dei beni alienati a terzi da imputare alla quota degli eredi di Salvini Antonio e dei frutti percepiti dal godimento in via esclusiva dei beni del compendio ereditario. Quanto alle spese del giudizio di legittimità, per esse provvederà il giudice di rinvio in base all'esito finale della causa. P.Q.M. La Corte di Cassazione accoglie l'8° motivo del ricorso principale ed il 1° e 5° motivo del ricorso incidentale autonomo, accoglie il 2°, 3°, 4° e 5° motivo del ricorso principale ed il 2° e 3° motivo del ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione, assorbiti il 9° e 10° motivo del ricorso principale, il 6°, l'8° ed il 9° motivo del ricorso incidentale autonomo, dichiara inammissibili il 1° motivo del ricorso principale ed il 7° motivo del ricorso incidentale autonomo, ed infondati gli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale autonomo, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso nella camera di consiglio del 21.3.2024 Il Consigliere estensore Il Presidente Vincenzo Picaro Felice Manna
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE di APPELLO di NAPOLI VI sezione civile composta dai magistrati: 1) dr.ssa (...) D'(...) - Presidente 2) dott. (...) - (...) 3) dr.ssa (...) - (...) rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello iscritta al N. (...) R.G.A.C. per l'anno 2016, riservata in decisione all'udienza a trattazione scritta del 23.11.2023 (svolta con le modalità previste dall'art. 127ter cpc), vertente TRA (...) ((...)), rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio in Napoli, viale (...) n. 80, è elettivamente domiciliato; (...)# ((...)), rappresentato e difeso in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. (...) presso il cui studio in Napoli, via (...) n. 394, è elettivamente domiciliato; Oggetto: appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli n. ex/2015, pubblicata in data (...). CONCLUSIONI: come da note scritte autorizzate per l'udienza cartolare del 23.11.2023, da intendersi qui richiamate e trascritte. IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data (...), (...) evocava in giudizio, innanzi al tribunale di Napoli, (...) per sentir accertare l'illegittima realizzazione, da parte del convenuto, di un'opera abusiva, non autorizzata, sul lastrico-terrazzo condominiale, che recava nocumento alla statica del fabbricato e alla sicurezza dei condomini, deturpando altresì il decoro architettonico dell'edificio; per l'effetto, chiedeva di condannare il convenuto alla rimozione dell'opera ed al ripristino dello stato dei luoghi nonché al risarcimento dei danni quantificati in Euro 15.000,00, ovvero, in subordine, al pagamento di identica somma a titolo di indennità ex art. 1127 c.c.. Con vittoria delle spese, da distrarre in favore del difensore antistatario. A sostegno della pretesa, l'attore esponeva di essere proprietario di due immobili siti in Napoli alla via (...) n. 29 (identificati al (...) al foglio 13, part. 127, sub. 11, cat. (...) e al foglio 13, part. 127, sub. 12, cat. (...)), in virtù di testamento olografo pubblicato il (...) per notaio (...) allegato alla dichiarazione di successione n. 1341 volume 4544; che nel novembre del 1990, il convenuto (...) proprietario dell'immobile sito al quarto piano del medesimo edifico (identificato al (...) al foglio 13, part. 127, sub. 24), aveva costruito un manufatto abusivo della metratura di circa 15 mq sul lastrico-terrazzo di copertura del fabbricato, posto a livello del suo appartamento, con conseguente aumento di volumetria dello stesso; che tale manufatto, non costruito a regola d'arte, pregiudicava la sicurezza del fabbricato, deturpando l'aspetto e il decoro architettonico dell'intero edificio; che l'opera abusiva modificava anche l'originario percorso delle acque piovane, costituendo la principale causa delle infiltrazioni verificatesi negli immobili esclusivi e nelle pareti condominiali; che, quanto realizzato concretizzava una costruzione sopra il lastrico - terrazzo a livello solare comune condominiale e tale circostanza autorizzava di per sé ogni singolo condomino ad attivarsi giudizialmente al fine di ottenere la rimozione delle opere abusivamente realizzate e il risarcimento del danno, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102, nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale. Radicata la lite, si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data (...), (...) contestando fermamente l'avversa pretesa, eccependo preliminarmente la maturata prescrizione atteso che, per stessa ammissione attorea, l'opera de qua sarebbe stata realizzata 20 anni addietro, nel lontano mese di novembre 1990. Nel merito, evidenziava come la domanda, oltre ad essere generica, fosse totalmente infondata, perché basata sull'erroneo assunto che la costruzione avrebbe impegnato un'area condominiale, laddove, di contro, si trattava di area di esclusiva proprietà e pertinenza del (...) Concludeva, pertanto, per l'integrale rigetto delle pretese attoree, inammissibili e improcedibili, anche in ragione della maturata prescrizione, ed in ogni caso infondate. Con vittoria delle spese di lite, con attribuzione al difensore antistatario. Esaurita l'attività istruttoria, con la resa dell'interpello deferito al convenuto e l'espletamento di CTU tecnica, la lite veniva definita con sentenza n. ex/2015, pubblicata in data (...), con cui il tribunale di Napoli così statuiva: "a) rigetta la domanda attorea; b) condanna l'attore alla refusione, in favore del convenuto, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA e (...) se dovute, come per legge, con attribuzione in favore dell'avv. (...) dichiaratosene anticipatario; c) pone definitivamente a carico dell'attore le spese di (...) con obbligo di refusione in favore del convenuto di quanto eventualmente da quest'ultimo anticipato a titolo provvisorio". Rilevava, infatti, il primo giudice che: "(...) la condominialità dell'area sulla quale è stato realizzato il manufatto in questione, devono essere rigettati i capi principali della domanda attorea avente ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente subiti nonché quello, articolato in via subordinata, di pagamento di una indennità ex art. 1127 c.c., tutti comunemente fondati sul presupposto assertivo, risultato infondato, di contitolarità dell'area del detto terrazzo. A voler, poi, qualificare quest'ultima richiesta come riferita all'ipotesi alternativa di costruzione del manufatto su area di proprietà esclusiva del convenuto, l'attore, divenuto condomino per effetto di acquisto mortis causa avvenuto nell'anno 2004, allorché il manufatto de quo, asseritamente integrante una sopraelevazione agli effetti in esame, era stato, a suo stesso dire, già realizzato dal convenuto, non è legittimato alla pretesa economica vantata, in applicazione del principio secondo cui avente diritto all'indennità prevista dall'art. 1127 quarto comma c.c. è colui che rivestiva la qualità di condomino al tempo della sopraelevazione od i suoi successori secondo le regole che disciplinano la successione nei diritti di credito, non colui che, come nella specie, sia divenuto successivamente proprietario della singola unità immobiliare (Cass. Civ. 1263/1999)". (...) tale sentenza, non notificata, con atto di citazione notificato in data (...), proponeva appello (...) contestando al tribunale: 1) di aver giudicato la lesione al decoro architettonico e alla statica dell'edificio esclusivamente sulla base di un esame, peraltro carente e parziale, della (...) omettendo di considerare le prove documentali allegate e le risultanze del CTP dell'attore; 2) di aver omesso di valutare fatti decisivi ai fini della decisione, in violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, rendendo una motivazione illogica ed erronea in relazione al rigetto dei capi principali della domanda attorea aventi ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali subiti; 3) di aver reso una motivazione insufficiente in relazione alla lesione del decoro architettonico dell'edificio condominiale; 4) di non essersi pronunciato sulla lesione della statica dell'edificio e sul divieto di sopraelevazione contenuto nell'atto di vendita; 5) di aver reso una pronuncia erronea ed illogica anche in relazione alla presunta illegittimità dell'attore alla pretesa economica vantata. Concludeva, pertanto, chiedendo alla Corte adita, previa sospensione dell'efficacia esecutiva della pronuncia gravata ed in parziale riforma della stessa, di: "1) accertare e dichiarare che il manufatto abusivo non è stato costruito a regola d'arte e crea nocumento alla statica e alle strutture del fabbricato, alla sicurezza dei condomini e di terzi, nonché deturpazione del decoro architettonico e dell'uniformità del fabbricato; 2) per l'effetto condannare il signor (...) alla rimozione delle opere abusive realizzate e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi". Con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. In via istruttoria, e da ultimo con le note scritte autorizzate depositate il (...), chiedeva disporsi la rinnovazione delle indagini peritali al fine di effettuare una valutazione in toto sulla lesione del decoro architettonico; in subordine, rinviarsi la causa per discussione e chiarimenti sulla espletata CTU in giudizio di primo grado. Si costituiva in giudizio, con comparsa depositata in data (...), l'appellato (...) concludendo per l'integrale rigetto dell'avverso gravame, inammissibile in rito per difetto di specificità, in violazione dell'art. 342 cpc, oltre che infondato nel merito, con conseguente conferma della sentenza impugnata e vittoria delle spese del grado, con aggravio ex art. 96 cpc, da distrarre in favore del difensore antistatario. Preso atto della rinuncia all'istanza di sospensiva, la causa, assegnata (in data (...)) all'odierno relatore, dr.ssa (...) per surroga del relatore originario, dr.ssa (...) all'udienza cartolare del 23.11.2023, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive note scritte autorizzate, veniva riservata in decisione, previa concessione dei termini di legge ex art. 190 cpc per il deposito degli scritti difensivi. ******* I. Va preliminarmente osservato, in rito, che, come da annotazione telematica, il fascicolo d'ufficio di primo grado risulta interamente digitalizzato, il che consente l'esame di tutti gli atti e verbali di causa di prime cure. Par.. Sempre in rito, si osserva che l'impugnazione, tempestivamente proposta, soddisfa il requisito formale prescritto dall'art. 342 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, essendo stati individuati i passi della motivazione della sentenza gravata sottoposti a critica ed illustrata la diversa ricostruzione dei fatti prospettata dall'appellante, che, in definitiva, ha rappresentato alla corte un contenuto completo delle proprie censure sì da permettere il raffronto immediato fra le motivazioni della pronuncia impugnata e le motivazioni addotte nell'atto di appello. Invero, per ormai consolidato insegnamento giurisprudenziale, "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata"(Cass., Sez. Unite, 2017/n. 27199; nello stesso senso, da ultimo, Cass., Sez. Unite, 2022/n. (...)). In altri termini, occorre, ed è per altro verso sufficiente, che il giudice del gravame, come verificatosi nella specie, sia posto in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, e che l'appellante dimostri di aver compreso le ragioni del primo giudice e indichi il perché queste siano censurabili, senza che sia preteso il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate. II. Nel merito, l'appello è infondato e va rigettato, senza necessità di procedere ad alcun supplemento istruttorio, all'evidenza superfluo alla luce delle considerazioni che ci si accinge a precisare. Par.. In via preliminare, a mente del disposto dell'art. 329, comma 2, cpc ("(...) parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate"), si osserva che, in assenza di gravame sul punto, vi è acquiescenza sul capo della sentenza impugnata che esclude la natura condominiale della porzione di lastrico su cui fu eseguito il manufatto oggetto di causa, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto. Invero, come affermato dalla Suprema Corte: "La parte rimasta, in tutto o in parte, soccombente, ove non proponga impugnazione della sentenza che la pregiudica, assume un comportamento incompatibile con la volontà di far valere, nel giudizio di impugnazione, la relativa questione - anche se a carattere pregiudiziale (che dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall'art. 279, comma 2, nn. 2 e 4, c.p.c.) - in tal modo prestandovi acquiescenza, con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c." (Cass. n. 4908/2017). Par.. (...) quanto precede, per ragioni di pregiudizialità logicogiuridica, va innanzitutto esaminato il secondo motivo di doglianza, con cui l'appellante lamenta l'errore del tribunale per aver ritenuto che le domande principali (di ripristino dello status quo ante e di risarcimento dei danni patrimoniali subiti) fossero state formulate dal (...) a tutela della qualità di condòmino comproprietario dell'area sulla quale era stato realizzato il contestato manufatto e, conseguentemente, subordinate all'accertamento della natura condominiale di detta area. Assume, in contrario, che il primo giudice non aveva considerato l'ambito oggettivo del giudizio, così come delineato nell'atto di citazione introduttivo, conseguentemente errando nel non esaminare le richieste attoree, che rigettava senza fornire alcuna motivazione, tanto più che il (...) ben poteva richiedere il ripristino dello status quo ante ed il risarcimento dei danni patrimoniali subiti nonostante il manufatto fosse stato costruito su lastrico solare di proprietà esclusiva del (...) (cfr. pagg. 14-17 dell'appello). (...) è infondato. Invero, il tribunale, dopo aver diffusamente motivato sulle ragioni che lo portavano a ritenere che la porzione di terrazzo sulla quale era stato realizzato il contestato manufatto fosse di proprietà esclusiva del (...) (pagg. 2-5), accertamento (come detto) coperto da giudicato, evidenziava che: "Del tutto irrilevante è poi, agli effetti della tutela privatistica invocata dall'attore, che il manufatto de quo sia stato realizzato in assenza delle autorizzazioni amministrative prescritte, atteso che le violazioni urbanistiche ed edilizie nella presente sede non rilevano di per sé, ma solo in quanto da esse siano scaturite violazioni di diritti riconosciuti dalle norme poste a presidio dei rapporti tra privati", statuendo dunque che: "(...) la condominialità dell'area sulla quale è stato realizzato il manufatto in questione, devono essere rigettati i capi principali della domanda attorea avente ad oggetto la richiesta di ripristino dello status quo ante e del risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente subiti nonché quello, articolato in via subordinata, di pagamento di una indennità ex art. 1127 c.c., tutti comunemente fondati sul presupposto assertivo, risultato infondato, di contitolarità dell'area del detto terrazzo". In tal senso depone, infatti, l'atto di citazione introduttivo del giudizio, con cui l'attore fondava le sue pretese sul preliminare accertamento della natura condominiale del terrazzo (accertare e dichiarare che il (...) ha effettuato un'opera abusiva, non autorizzata, sul lastricoterrazzo condominiale), deducendo, in particolare, che: "quanto realizzato concretizza una costruzione sopra il lastrico-terrazzo a livello comune condominiale e tale circostanza autorizza di per se ogni singolo condomino ad attivarsi giudizialmente al fin di ottenere la rimozione delle opera abusivamente realizzate e il risarcimento del danno, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c., nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale" (cfr. pag. 2 della citazione). Il che qualifica indubbiamente l'azione attorea come rivolta all'ottenimento della (...) tutela della qualità di condomino, comproprietario dell'area, asseritamente di natura condominiale, su cui veniva realizzato dal (...) il contestato manufatto. Impostazione mantenuta ferma nel corso di tutto il giudizio di prime cure, nonostante il (...) avesse tempestivamente eccepito la proprietà esclusiva dell'area in contestazione, sempre fermamente contestata dal (...) che incentrava (...) la sua difesa proprio sulla dedotta natura condominiale dell'anzidetta area. Ne costituiscono chiara riprova le richieste istruttorie formulate dall'attore (volte a provare il pregresso utilizzo condominiale del terrazzo occupato dal (...) con la struttura abusiva; cfr. memoria depositata il (...), nel secondo termine ex art. 183, co. 6, cpc), le stesse obiezioni svolte dal suo consulente di parte, arch. A.C. (con cui si cercava, invano, di dimostrare, con documentazione tardivamente prodotta dal tecnico, che non vi era alcuna riserva di proprietà del lastrico in favore dell'originaria proprietaria del fabbricato, (...) invitandosi contestualmente il CTU ad estrarre presso l'archivio notarile tutti gli atti di vendita effettuati da (...) al fine di avere conferma dell'assenza della riserva di proprietà), nonché le deduzioni svolte in udienza (cfr. in particolare, verb. d'udienza dell'8.11.2013) e, per finire, negli scritti difensivi ex art. 190 cpc (con i quali si insisteva nell'accoglimento della domanda attorea, sull'assunto della natura condominiale del terrazzo occupato dal (...) chiedendosi, in subordine, di rimettere la causa sul ruolo ed ammettere la prova testimoniale ... diretta ad accertare l'utilizzo condominiale del lastrico, prima della costruzione su di esso del manufatto abusivo, e in via ancora subordinata, se ritenuto necessario, volere incaricare il CTU di verificare l'assenza negli atti di vendita degli immobili del riferimento alla riserva di proprietà del lastrico ai sensi dell'unanime orientamento della cassazione). Evidente, dunque, che la causa petendi dedotta in prime cure si fondava proprio sulla natura condominiale del lastrico occupato dal convenuto, non avendo il (...) mai precisato (pur potendolo fare) di voler coltivare la domanda principale anche nella diversa ipotesi in cui l'anzidetta porzione di lastrico fosse risultata di proprietà esclusiva del (...) prospettando difatti tale volontà solo in sede di gravame, ove (mutato l'originario difensore) mutava (...) l'impostazione originaria, come eccepito dall'appellato sin dalla sua costituzione (cfr. pagg. 9-10 della comparsa di costituzione). Rilevava, infatti, il (...) che: "la gravata sentenza è diretta conseguenza della netta impostazione della domanda attorea e, per l'effetto, del vincolo che ne è derivato sul (...) Si vuole dire cioè, come peraltro già dedotto in precedenza, che è stato proprio l'attore, odierno appellante, a presupporre (...) la sicura condominialità dell'area del lastrico solare su cui è stato realizzato il manufatto in oggetto. Di modo che è stato proprio l'attore in qualche misura a condizionare l'accoglimento, anzi l'ammissibilità delle pretese avanzate al previo accertamento di tale presupposto. Al punto da condizionare in tal senso anche l'istruttoria del (...) Prova ne è, infatti, la disposta CTU (...) dove il Tribunale ha espressamente subordinato lo sviluppo dei quesiti per così dire tecnici, al previo accertamento da parte dell'ausiliare che l'area di sedime non fosse di esclusiva titolarità del convenuto, ovvero condominiale", ulteriormente evidenziando, nella conclusionale del 22.1.2024 (pag. 3), che: "come indirettamente ammesso anche da controparte che, per un verso non ha impugnato il capo della gravata decisione affermativa della titolarità in capo al (...) della porzione di terrazzo su cui insiste il contestato manufatto, determinandone per questa parte il passaggio in giudicato, dall'altro, pur di superare l'impasse, si è visto costretto ad un altrettanto inammissibile (...) di cui al motivo svolto alle pag. 14 a 17 del gravame, laddove ha malamente tentato di contestare che l'azione intrapresa presupponesse la condominialità dell'area, mentre, invece, come si è visto e dimostrato, è esattamente su tale qualificazione che si è fondata la citazione, al punto, si ripete, da non aver nemmeno contestato l'eccezione in proposito sollevata da parte convenuta e soprattutto dall'aver assolutamente prestato acquiescenza alla decisione del giudice di condizionare l'espletamento della CTU - e, pertanto, l'esito del giudizio - alla verifica di tale profilo". Par.. Ad ogni buon conto, ed in tal senso si integra la motivazione della pronuncia gravata, anche a voler ritenere (e non si può) che il (...) avesse agito "in giudizio al fine di ottenere una pronuncia per accertare e dichiarare che il manufatto abusivo non è stato costruito a regola d'arte e crea nocumento alla statica e alle strutture del fabbricato, alla sicurezza dei condomini e di terzi, nonché deturpazione del decoro architettonico e dell'uniformità estetica del fabbricato", prescindendo dalla natura condominiale o meno del lastrico, chiedendo, per l'effetto, la condanna del "(...) alla rimozione delle opere abusive realizzate e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi", la pretesa attorea non avrebbe potuto in ogni caso trovare accoglimento, non essendovi la benché minima prova, che spettava all'istante fornire, che l'opera realizzata dal (...) sul terrazzo a livello di sua esclusiva proprietà (che, nel regime delle sopraelevazioni ex art. 1127 c.c., è equiparato, in relazione alla sua funzione di copertura dell'edificio, al lastrico solare; Cass. n. 7678/1999), creasse un effettivo pregiudizio all'aspetto architettonico o alla statica del fabbricato, emergendo, piuttosto, il contrario dalla CTU espletata in prime cure. Par.. Invero, contrariamente a quanto dedotto con il primo, il terzo ed il quarto motivo di doglianza, da trattare congiuntamente perché involgenti l'esame della stessa questione relativa alla lesione al decoro architettonico e alla statica del fabbricato, del cui omesso e/o errato esame si lamenta l'appellante, osserva la corte che il CTU nominato in prime cure, ing. M. Be., al fine di rappresentare al giudicante un quadro più completo della situazione, escludeva, con condivise e motivate argomentazioni, che la realizzazione del contestato manufatto - realizzato (lo si ribadisce) circa venti anni prima dell'instaurazione del giudizio (nel novembre 1990, a detta dello stesso attore) - comportasse un pericolo di statica o un pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio. Sotto il primo profilo, infatti, l'ing. Be. evidenziava: "Per quanto concerne la situazione lamentata di fatto dall'attore il sottoscritto C.T.U. rileva che l'incidenza del manufatto sulla statica dell'edificio può essere ritenuta trascurabile in quanto si tratta di un limitato ampliamento di un corpo di fabbrica preesistente, con una copertura in lamiera coibentata (e quindi leggera) ed il lato frontale chiuso con infisso in alluminio. Il sottoscritto non ritiene, inoltre, che le eventuali infiltrazioni di acqua negli immobili e nelle pareti condominiali, lamentate dell'attore, siano da addebitarsi alla modifica del percorso delle acque pluviali poiché il foro di scolo che si trova nel terrazzo prospiciente il manufatto permette che queste confluiscano nelle pluviali di scarico del lastrico di copertura (cfr. all. n. 5 foto nn. 13, 14, 15, 16 e 17) con ragionevole certezza riprendendo il percorso di scolo originario". Del pari, quanto al decoro architettonico dell'edificio, il CTU chiariva che: "(...) l'originaria destinazione ad edilizia popolare degli edifici della zona in cui si trovano i luoghi di causa e che il fabbricato in cui si trova l'appartamento del dott. (...) è di tipo ordinario, privo di particolare pregio artistico e/o architettonico, il manufatto in questione incide, a parere dello scrivente, in modo irrilevante sull'estetica dello stabile; ciò in quanto si tratta di modesto ampliamento di un manufatto esistente, integrato nella costruzione originaria; peraltro va considerato che vi è analogo ampliamento nell'appartamento attiguo (all. n. 5 foto nn. 19 e 20) il che, di fatto, ripristina la simmetria architettonica dell'edificio". Risultanze minimamente scalfite, sotto il profilo tecnico, dalle generiche e indimostrate obiezioni del consulente attoreo, arch. A. Ca. (cfr. pagg. 5-6 della relazione a sua firma), sulle quali il CTU prendeva anche posizione (pag. 9 dell'elaborato), ribadendo le originarie conclusioni ed affermando che: "Il manufatto, realizzato in assenza di titoli autorizzativi, risulta di modesta entità, integrato nella struttura originaria e del tutto simile a quello realizzato nell'appartamento attiguo, a ripristinare una sostanziale simmetria dell'immobile. Non si ritiene, quindi, che esso incida né sulla statica del fabbricato né sul decoro architettonico dello stesso" (cfr. pag. 10 dell'elaborato). Par.. Peraltro, con riguardo al divieto di edificabilità sul terrazzo a livello per cui è causa, risultante dal titolo di proprietà del (...) osserva la corte come la questione è all'evidenza inammissibile, perché introduce un nuovo tema di indagine, mai tempestivamente prospettato dal (...) in prime cure, risultando l'anzidetto divieto esplicitato, per completezza di indagine, solo e per la prima volta dal (...) al precipuo fine di avvalorare la proprietà esclusiva del terrazzo in capo al convenuto (cfr. pag. 8 dell'elaborato, ove si legge: "A chiusura della presente relazione, il sottoscritto CTU ritiene di dover rendere edotto l'ill.mo Giudice di quanto possa essere utile "ai fini di giustizia" così come del resto richiesto in via residuale nel mandato conferitogli. In particolare, lo scrivente CTU ritiene di dover riferire che il manufatto per cui è causa risulta, per quanto accertato, sprovvisto di titolo autorizzativo ed edificato nonostante l'esplicito divieto ("(...) terrazzo non è edificabile (...)") riportato nell'atto di compravendita (all. n. 9). Ciò peraltro conferma che il lastrico fosse non già condominiale ma nella disponibilità della venditrice che, addirittura, alienandola pone un vincolo di inedificabilità"). E che il divieto di edificazione sia stato prospettato solo in appello come motivo di rimozione del contestato manufatto, si evince anche dalle controdeduzioni alla CTU svolte dal tecnico di parte attrice, arch. A. Camerino, che volendo affermare (a sostegno dell'originaria causa petendi del (...) la proprietà condominiale dell'area di lastrico su cui era stato realizzato il manufatto, individuava detta area in una porzione di lastrico diversa da quella acquistata dal (...) in proprietà esclusiva e sulla quale non poteva edificare (cfr. pag. 4 della relazione a firma del ctp, ove si legge: "(...) visione dei detti elementi e dallo stato dei luoghi (v. Planimetria) si evince che: - La porzione di terrazzo acquistata dal convenuto non era edificabile (v. atto notarile). - La porzione di terrazzo acquistata dal convenuto non è quella attualmente occupata dal manufatto di causa (peraltro abusivo), in ampliamento a nord del salotto dell'abitazione, ma è quella parte, di pari quadratura, situata a est del salotto convenuto (v. Planimetria Catastale e (...);", nonché pag. 6, ove si afferma: "Il manufatto realizzato dal convenuto sig. (...) insiste su un'area a nord diversa da quella acquistata con atto notarile"). Restano così superate tutte le obiezioni sollevate dall'appellante ed ogni ulteriore considerazione al riguardo appare davvero superflua. Par.. Con l'ultimo motivo di gravame, l'appellante contesta l'erroneità ed illogicità della pronuncia in relazione alla presunta illegittimità dell'attore alla pretesa economica vantata. Assume, in particolare, che la sentenza è errata nella parte in cui identifica le pretese economiche vantate dall'attore solo con l'indennizzo previsto dall'art. 1127 quarto comma c.c., avendo, di contro, il (...) chiesto in via principale la rimozione del manufatto ed il risarcimento dei danni, e solo in via subordinata l'anzidetto indennizzo, che, peraltro, chiedeva non in qualità di condomino, ma in qualità di erede della defunta madre (...) condomina allorché il manufatto abusivo veniva realizzato dal (...) Deduce, dunque, che, contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice, essendo divenuto condomino per effetto di acquisto mortis causa, era pienamente legittimato a chiedere l'indennizzo ex art. 1127 c.c.. La doglianza va disattesa. Invero, premesso che il tribunale, contrariamente a quanto dedotto con l'atto di gravame, valutava tutte le pretese economiche (principali e subordinate) azionate dal (...) osserva la corte, in tal senso correggendo la motivazione della pronuncia in parte qua gravata, che, benché l'attore/odierno appellante debba ritenersi legittimato all'indennizzo ex art. 1127, comma 4, c.c., avendo fatto valere la sua qualità di erede della defunta madre (...) condomina all'epoca in cui venne realizzato il contestato manufatto, la pretesa economica avanzata in via subordinata andava e va in ogni caso rigettata perché all'evidenza generica e sfornita di supporto probatorio, ove si consideri, da un lato, che non risulta prodotto dall'istante (che ne aveva l'onere) il titolo di proprietà richiamato in citazione, ossia il testamento olografo con cui la defunta (...) gli avrebbe assegnato i due immobili (subalterni 11 e 12) siti in Napoli nell'edificio di via (...) n. 29 (cfr. fascicolo di parte di primo grado, al quale risulta allegata la sola denuncia di successione di (...) ininfluente ai fini in discorso, nonché atto di permuta intercorso tra soggetti estranei alla lite ed avente ad oggetto diverse unità immobiliari); dall'altro, che il (...) si limitava a quantificare l'indennità in misura pari al risarcimento richiesto (Euro 15.000,00), senza neanche precisare (né tanto meno provare) i millesimi a lui spettanti, pur trattandosi di indicazione necessaria per stabilire il quantum dovutogli ex art. 1127, comma 4, c.c. (com'è noto, infatti, l'indennità a carico del sopraelevante, determinata secondo gli specifici criteri stabiliti nell'anzidetta disposizione normativa, va ripartita tra i condomini in ragione della misura del diritto a ciascuno di essi spettante; cfr., in argomento, Cass. n. (...)/2022, anche in motivazione). (...) va dunque rigettato, con conseguente conferma della pronuncia impugnata con la suindicata parziale diversa motivazione. III. Le spese del grado seguono la soccombenza dell'appellante e si liquidano, avuto riguardo alla natura dell'affare, alle questioni trattate ed all'attività concretamente espletata, nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e successive modifiche, con distrazione in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario. Non ricorrono i presupposti per la condanna dell'appellante per lite temeraria ex art. 96 cpc (neanche ribadita dal (...) in sede di precisazione delle conclusioni, con le note scritte del 20.11.2023). Sussistono, infine, i presupposti per il versamento, a carico dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, T.U. n. 115/02, come modificato dall'art. 1, comma 17, L. 228/12. P.Q.M. La Corte di appello di Napoli, VI sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con citazione notificata in data (...), da (...) nei confronti di (...) contro la sentenza del Tribunale di Napoli n. ex/2015, pubblicata in data (...), ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata con la su indicata parziale diversa motivazione; 2) condanna (...) al pagamento, in favore di (...) delle spese del grado, che si liquidano in Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15% del compenso, Iva e Cpa come per legge, con distrazione in favore dell'avv. (...) dichiaratosi antistatario; 3) da atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento a carico dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI NAPOLI 7 SEZ CIVILE in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Aurelia D'Ambrosio - Presidente dott. Michele Magliulo - Consigliere dott. Paolo Mariani - Consigliere relatore estensore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 2009/2017 promossa da: Di.Vi. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FI.GI. APPELLANTE contro COMUNE DI VICO EQUENSE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. DU.EM. Sa.Gi. (C.F. (...)) in proprio e nella qualità di erede di Es.Gi., nelle more deceduto, nonché Es.Ug. (C.F. (...)), Es.Fr. (C.F. (...)), Es.Sa. (C.F. (...)), Es.Ma. (C.F. (...)), nella qualità di eredi di Es.Gi., tutti rappresentati e difesi dall'avv. DI.AL. e dall'avv. TR.MA. APPELLATI FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato il 12.06.2014, V.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, Es.Gi. e Sa.Gi. nonché il Comune di Vico Equense, al fine di ottenere, previa disapplicazione del bando d'asta del 04.12.2009 e di tutti gli atti connessi, la declaratoria della nullità dell'atto di trasferimento, in favore dei convenuti, del terreno di cui alle particelle n. (...) e n. (...) riportate nel catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...), avvenuto in forza della sentenza n. 963/2013 del Tribunale di Torre Annunziata (ex sezione di Sorrento); chiedeva, altresì, in via subordinata, asserendo di averlo detenuto in locazione, disporne il trasferimento in suo favore, in virtù di un preteso diritto di prelazione agraria e del conseguente diritto al riscatto. Nella specie, l'attore, a sostegno della propria domanda, esponeva in fatto che: 1)In data 04.12.2009 il Comune di V. Es. bandiva una gara per l'alienazione di alcuni immobili comunali a cui era allegata apposita scheda descrittiva delle unità da trasferirsi e che, per quanto interessa nel presente giudizio, vi erano ricompresi: 1) fabbricato in via N. di circa 120 mq, oltre aree esterne pertinenziali con accesso solo pedonale da via N. - foglio (...) particella (...)- indicato alla lettera c) del bando; 2) terreno in via N., di circa 800 mq, pressoché pianeggiante, con accesso pedonale da via N. - foglio (...) particelle (...) e (...)- indicato alla lettera d) del bando; 2) evidenziava che, in relazione ad essi, lo stato dei luoghi non corrispondeva a quello catastale tanto che, per quello contrassegnato dalla lettera c), le cosiddette aree esterne erano costituite, per una porzione estesa circa 86 mq, da superfici ricomprese nella particella (...), oggetto anche dell'altro lotto (261/B nella planimetria allegata alla perizia di parte), per mq 110 dalla corte - particella (...)- e per mq 106 da altro piccolo spazio catastalmente non identificato; 3) Asseriva ancora che il fabbricato e le citate aree esterne erano da lui condotte in locazione, in virtù di un preteso contratto di locazione agraria in cui era subentrato alla morte del padre, D.G.G., deceduto il 22.2.1991; 4) precisava, altresì, di essere in possesso, oramai da tempo e sempre per successione paterna, di alcuni appezzamenti di terreno, sempre individuati al foglio (...), poco distanti dal fabbricato e tutti da lui coltivati ed utilizzati nella conduzione della sua azienda agricola; 5) deduceva, inoltre, di avere interesse all'acquisto delle unità immobiliari di cui al lotto c), l'attore affermava di avervi inizialmente rinunciato, attesa l'esorbitante richiesta (Euro 500.000,000); successivamente, in seguito alla mancata aggiudicazione all'asta, presentava autonoma e formale domanda di acquisto (protocollo (...) del 04.11.2010), precisando di non avere alcun interesse per il lotto d), composto per la maggior parte dalla particella (...), allocata in una zona lontana dalla sua azienda agricola nonché per l'altra particella (...) che, per una superficie di 86 mq, costituiva parte integrante e materialmente inscindibile dal lotto c), mentre la residua porzione era condotta in locazione da terzi (261/A nella planimetria allegata alla perizia di parte); 6) in particolare, affermava l'attore che, pur palesando il Comune di Vico Equense la discordanza tra la superficie reale delle aree rispetto alla superficie indicata nel bando (800 mq) e pur rappresentando che l'accesso poteva avvenire solo attraverso l'area cortilizia antistante il fabbricato da lui occupato, i sigg.ri E./S. si dichiaravano disposti ad acquistare alle suddette condizioni purché venisse loro garantito l'accesso alla particella (...) da via N.; 7) espletata l'asta pubblica, i predetti immobili erano assegnati ai sigg.ri Es.Gi. e Sa.Gi. i quali, in seguito a problematiche relative alla suddetta discordanza tra stato reale e situazione catastale e dunque alla esatta identificazione dei cespiti aggiudicati, chiedevano ed ottenevano- ex art. 2932 c.c.-, in forza della sentenza n.963/2013 del Tribunale di Torre Annunziata (ex sezione di Sorrento), il trasferimento del "terreno agricolo di circa 800 mq con ingresso pedonale indipendente da via N., riportato al catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...) particelle (...) e (...)"; 8) l'attore adduceva che, di conseguenza, gli veniva intimato dai proprietari il rilascio di detto terreno perché da lui detenuto senza titolo; Pertanto, Di.Vi. adiva in giudizio i convenuti (proprietari) al fine di ottenere la declaratoria della nullità del suddetto atto di trasferimento della proprietà immobiliare, ai sensi dell'art. 1421 c.c., così concludendo: "a) in via principale, previa disapplicazione dell'atto amministrativo ovvero del bando d'asta del 4/12/2009 e di tutti gli atti antecedenti, conseguenti e comunque ad esso riconnessi, dichiarare la nullità dell'atto di trasferimento avvenuto per il tramite della sentenza n. 963/2013 del Tribunale di Torre Annunziata ex sezione di Sorrento, e/o della medesima sentenza, che ha trasferito ai signori Es.Gi. e Sa.Gi. le particelle n.(...) e (...) riportate nel catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...) per tutti i motivi diffusamente esposti; b) per l'effetto ordinare al competente Conservatore dei Registri Immobiliari le relative trascrizioni; c) in via subordinata, in virtù della prelazione agraria e del conseguente diritto al riscatto, disporre il trasferimento in favore di V.G. del fondo agricolo costituito da porzione della particella (...) del foglio (...) e/o da qualsiasi altra porzione di terreno anche catastalmente non individuato che dovesse risultare oggetto del trasferimento e da lui condotto in locazione, previo versamento del prezzo la cui somma andrà giudizialmente determinata a seguito dell'istruttoria; d) per l'effetto ordinare al competente Conservatore dei Registri Immobiliari le relative trascrizioni; e) Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa oltre quelle generali, cassa di previdenza ed iva come per legge". In data 07.11.2014 si costituivano i convenuti Es.Gi. e Sa.Gi., mediante deposito di comparsa di costituzione e risposta, ed eccepivano: 1) l'inammissibilità e l'improponibilità delle domande proposte dall'attore per carenza di legittimazione ed interesse ad agire; 2) l'infondatezza delle stesse e la legittimità dell'atto di trasferimento; 3) l'incompetenza del Giudice adito in relazione alla domanda di riscatto agrario; 4) spiegavano, altresì, domanda riconvenzionale di accertamento dell'occupazione sine titulo da parte dell'attore del fondo di loro proprietà (riportato alla catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...) particelle (...) e (...)) e di condanna dello stesso all'immediato rilascio in loro favore nonché al risarcimento di tutti i danni subiti, anche per il mancato godimento del bene; 5) in subordine, in ipotesi di accoglimento della domanda, anche parziale, chiedevano condannarsi il Comune di Vico Equense alla restituzione del corrispettivo versato per il trasferimento del fondo, oltre interessi legali dalla data del pagamento al soddisfo nonché il risarcimento di tutti i danni subiti. Rassegnavano, pertanto, le seguenti conclusioni "1) in via preliminare, rigettare tutte le domande formulate dal Sig. V.G. nell'atto di citazione, in quanto improponibili ed inammissibili per carenza di legittimazione e di interesse ad agire; 2) sempre in via preliminare, in relazione alla domanda di riscatto agrario formulata in via subordinata dall'attore, dichiarare la propria incompetenza per materia per essere competente la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Torre Annunziata; 3) nel merito, rigettare tutte le domande formulate dal Sig. V.G. nell'atto di citazione, in quanto inammissibili ed infondate in fatto e in diritto e, comunque, non provate; 4) in via riconvenzionale, accertare e dichiarare l'occupazione sine titulo da parte del Sig. V.G. del fondo di proprietà dei convenuti (terreno agricolo di circa 800 mq., con ingresso pedonale indipendente da via N., riportato al Catasto Terreni del Comune di V. Es. al foglio (...), particelle (...) e (...)) e, conseguentemente, condannare l'attore all'immediato rilascio del fondo in questione in favore dei Sigg. Es. e S. nonché al risarcimento di tutti i danni subiti a seguito di tale illegittima occupazione, anche per il mancato godimento del bene, da quantificarsi in corso di causa, se del caso anche a mezzo di C.T.U., ovvero da liquidare in via equitativa; 5) condannare, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c., il Sig. V.G. al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio, oltre rimborso spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge, con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario; 6) in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande formulate dal Sig. V.G. in citazione, condannare il Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., alla restituzione, in tutto o in parte, del corrispettivo versato per il trasferimento del fondo, pari ad Euro 40.000,00, oltre interessi legali dalla data del pagamento fino al soddisfo, nonché al risarcimento di tutti i danni subiti, da quantificarsi in corso di causa, se del caso anche a mezzo di C.T.U., ovvero da liquidare in via equitativa, nonché al pagamento delle spese e competenze di lite". Si costituiva altresì il Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., che impugnava l'avversa domanda el D.G. eccependone: 1) l'inammissibilità e l'improponibilità atteso che nella fattispecie in esame avrebbe dovuto, tutt'al più, proporsi opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. contro la sentenza traslativa della proprietà emessa dal Tribunale di Torre Annunziata ex Sezione di Sorrento; 2) la carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.; 3) l'infondatezza della domanda medesima, in quando il bando e l'aggiudicazione in favore dei convenuti non erano stati oggetto, da parte dell'attore, di impugnativa innanzi al TAR e, dunque, erano pienamente legittimi e inoppugnabili, né, peraltro, avrebbero potuto essere disapplicati dal G.O., non incidendo su una posizione di diritto soggettivo meritevole di tutela; 4) l'inammissibilità e l'infondatezza, altresì, dell'azione di riscatto agrario e del diritto di prelazione, stante la carenza delle necessarie condizioni soggettive (qualità di coltivatore diretto proprietario dei terreni confinanti) ed oggettive (titolarità di un valido contratto agrario), nonché il mancato assolvimento dell'onere probatorio in ordine alla ricorrenza dei presupposti di cui all'art.8 L. n. 590 del 1965. Rassegnava, pertanto, le seguenti conclusioni: "A) in via del tutto preliminare, accertare e dichiarare l'inammissibilità improponibilità dell'azione di nullità ex articolo 1421 c.c.; B) in via gradata, sempre in via preliminare, accertare e dichiarare la carenza di interesse ad agire in capo all'attore; C) in ogni caso, rigettare l'azione di nullità in quanto del tutto infondata e non provata; D) rigettare l'azione di riscatto agrario in quanto inammissibile ed infondata per carenza dei necessari presupposti soggettivi e oggettivi e comunque non provata; E) condannare parte attrice al pagamento delle spese e competenze di giudizio in favore della PA, anche ex art. 96 c.p.c." Così radicatosi il contraddittorio, all'udienza di prima comparizione del 28.01.2015, l'attore spiegava reconventio reconventionis avente ad oggetto domanda di accertamento dell'acquisto per usucapione di un pezzetto di terreno rientrante nelle particelle in oggetto, di forma vagamente rettangolare ed esteso circa 100 mq., totalmente recintato ed avente autonomo accesso dalla via N. (come individuato sub lettera c nella planimetria allegata alla relazione tecnica di parte). Con ordinanza depositata il 05.02.2015 il Giudice, ritenuta la propria competenza e vertendo il giudizio in materia di diritti reali, assegnava alle parti termine per la presentazione della domanda di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010; esperito, con esito negativo, il suddetto procedimento, depositate memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c. nei termini concessi, il Giudice, con ordinanza depositata il 19.11.2015, ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava per la precisazione delle conclusioni. All'esito, la causa veniva introitata in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica e veniva poi decisa con sentenza n. 2951/2016, pubblicata il 23.11.2016, con la quale il Tribunale di Torre Annunziata, così provvedeva: "1. Dichiara inammissibile la domanda spiegata in via principale dall'attore e rigetta quella oggetto di reconventio reconventionis nonché la domanda di riscatto agrario spiegata in via subordinata; 2. in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata da Es.Gi. e Sa.Gi. condanna Di.Vi. al rilascio in loro favore del terreno agricolo di circa 800 metri quadri con ingresso indipendente da via N., riportato nel catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...), p.lle (...) e (...); 3. rigetta la domanda riconvenzionale per il resto; 4. condanna Di.Vi. al pagamento in favore del Comune di Vico Equense, in persona del sindaco p.t., delle spese di lite, che si liquidano in Euro 3.000,00 per competenze oltre accessori come legge; 5. Condanna Di.Vi. al pagamento in favore di Es.Gi. e Sa.Gi. delle spese di lite che si liquidano in Euro 4.500,00 per competenze oltre accessori come legge, con attribuzione al difensore antistatario avv. M.T.". Avverso detta sentenza Di.Vi., con atto di citazione notificato a mezzo PEC in data 03.04.2017, ha interposto appello lamentando l'ingiustizia e la non conformità alle risultanze istruttorie della sentenza chiedendone, pertanto, la riforma per violazione dell'art. 116 c.p.c., per erronea e/o omessa valutazione di prove documentali e delle questioni di fatto e di diritto e per violazione dell'art.118 disp. att. c.p.c. e dell'art. 132 c.p.c. per errata e/o omessa motivazione, nonché per violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su una questione rilevante ai fini della decisione della causa in quanto: 1) il Tribunale, nel dichiarare inammissibile la domanda per carenza di legittimazione, avrebbe omesso di valutare una prova documentale rilevante per la decisione ovvero il verbale di trasferimento (del 20.01.1982) da cui si evincerebbe l'esistenza di un contratto di fitto agrario tra il dante causa del Comune di Vico Equense (Ente morale "Casa di Riposo Cav. L.D.F.) ed il padre dell'attore/appellante (D.G.G.) avente ad oggetto sia il fabbricato rurale che una striscia di terreno adiacente. Da ciò conseguirebbe la propria legittimazione ad agire in quanto conduttore (succeduto al padre) e la nullità del trasferimento; 2) il Tribunale, nel dichiarare inammissibile la domanda di nullità del trasferimento immobiliare per carenza di interesse (ex art.1421 c.c.), sarebbe incorso in errore, non rilevando d'ufficio la nullità del trasferimento ed omettendo, pertanto, di pronunciarsi su una questione rilevante ai fini della decisione, attesa l'assoluta incertezza circa l'effettiva consistenza ed ubicazione dei beni trasferiti (stante il possesso da lui esercitato su una pluralità di appezzamenti di terreno posti in prossimità di quello oggetto di causa) conseguente anche all'errore nell'indicazione, nel bando di gara, della particella posta in vendita ((...) anziché (...)); 3) il Tribunale avrebbe altresì errato nell'accogliere la domanda riconvenzionale di rilascio dell'immobile per occupazione senza titolo spiegata dai convenuti E./S. qualificandola come azione di rivendicazione e ritenendo, dunque, da essi assolto l'onere probatorio sulla scorta dei titoli prodotti; non avrebbe invece ritenuto contestati, in particolare, quelli relativi alla particella (...) del foglio (...) la quale, pertanto, non sarebbe mai stata trasferita dal Comune di Vico Equense in quanto in proprietà di tal C.G. (come si evincerebbe dal certificato di destinazione urbanistica e dalle visure). Pertanto, non sarebbe stata fornita prova rigorosa in ordine al titolo di acquisto originario e/o derivativo della proprietà avente ad oggetto la suddetta particella (...) stante l'irrilevanza dei titoli prodotti (testamento olografo e verbale di trasferimento), 25 aventi un'efficacia meramente dichiarativa e, dunque, senza alcun valore probatorio nei confronti di terzi; 4) il Giudice di prime cure, infine, nell'ordinare l'immediato rilascio del cespite avrebbe errato nella valutazione dei documenti depositati dai convenuti/appellati che, in particolare, non avrebbero fornito alcuna prova in relazione alla circostanza che la particella (...) fosse effettivamente nella disponibilità di Di.Vi.; pertanto, secondo la prospettazione dell'appellante, il Giudice avrebbe dovuto rigettare la domanda riconvenzionale di rilasscio per occupazione senza titolo o, al massimo, accoglierla parzialmente in relazione alla sola striscia di terreno attigua al fabbricato (particella (...)) unicamente per la porzione da lui detenuta pari a circa 87 mq. Rassegnava, pertanto, le seguenti conclusioni: "A) In via preliminare sospendere l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per tutti i motivi diffusamente indicati nell'appell; B) In riforma della sentenza appellata n. 2951/2016 del Tribunale di Torre Annunziata, previa disapplicazione dell'atto amministrativo ovvero del bando d'asta del 4/12/2009 e di tutti gli atti antecedenti, conseguenti e comunque ad esso riconnessi; in accoglimento dei motivi primo e secondo dell'appello, dichiarare la nullità dell'atto di trasferimento avvenuto per il tramite della sentenza n. 963/2013 del Tribunale di Torre Annunziata ex sezione di Sorrento, ovvero dichiararsi la nullità e/o l'inefficacia della medesima sentenza, che ha trasferito ai signori Es.Gi. e Sa.Gi. le particelle n. (...) e (...) riportate nel catasto terreni del Comune di V. Es. al foglio (...), nei confronti di V.G. poiché emessa in suo pregiudizio. C) Per l'effetto ordinare al competente Conservatore dei Registri Immobiliari le relative trascrizioni. D) In via subordinata, in accoglimento del primo motivo di appello, previa ammissione dell'istruttoria richiesta nel corso del giudizio di primo grado, in virtù della prelazione agraria e del conseguente diritto al riscatto, disporre il trasferimento in favore di V.G. del fondo agricolo costituito da porzione della particella (...) del foglio (...) e/o da qualsiasi altra porzione di terreno anche catastalmente non individuato che dovesse risultare oggetto del trasferimento e da lui condotto in locazione, previo versamento del relativo prezzo. E) Per l'effetto ordinare al competente Conservatore dei Registri Immobiliari le relative trascrizioni. F) In accoglimento dei motivi tre e quattro dell'appello, riformare la sentenza di primo grado che ha accolto la domanda riconvenzionale di restituzione promossa dai sig.ri Es. - S. in quanto inammissibile, improcedibile ed infondata poiché non provata ovvero per difetto della prova circa la legittimazione attiva e passiva e, comunque, per tutti i motivi diffusamente esplicitati nel presente appello. G) Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre quelle generali, cassa di previdenza ed iva come per legge del doppio grado di giudizio". Con comparsa depositata il 15.09.2017 si costituivano Es.Gi. e Sa.Gi. i quali, deducendo la corretta valutazione delle prove documentali e delle questioni di diritto da parte del primo giudice, eccepivano l'inammissibilità e l'improponibilità di tutte le domande attoree, la carenza di legittimazione passiva e di interesse ad agire dell'attore, l'infondatezza dei motivi di appello, e concludevano, dunque, per il rigetto dell'appello con la conferma della sentenza impugnata e la condanna, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c., al pagamento delle spese e competenze di giudizio. In via subordinata, in ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande formulate da V.G., chiedevano condannarsi il Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., alla restituzione, in tutto o in parte, del corrispettivo versato per il trasferimento del fondo, pari ad Euro 40.000,00, oltre interessi legali dalla data del pagamento fino al soddisfo, nonché al risarcimento di tutti i danni subiti, da liquidarsi in via equitativa, oltre al pagamento di spese e competenze del doppio grado di giudizio. Si costituiva altresì il Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., il quale eccepiva l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. nonché la sua infondatezza per le ragioni di cui alla comparsa di risposta cui si rinvia in questa sede. Pertanto, concludeva per la declaratoria di inammissibilità dell'appello, ed in via gradata e nel merito, per il rigetto integrale del gravame e la conferma della sentenza impugnata, con la condanna dell'appellante al pagamento delle spese e competenze di giudizio, oltre accessori di legge. Esperito, con esito negativo, procedimento di mediazione, in data 21.01.2022 si costituivano Sa.Gi., Es.Ug., Es.Fr., Es.Sa., Es.Ma., nella qualità di eredi del Sig. Es.Gi., nelle more deceduto, i quali, impugnando le avverse richieste, facevano proprie tutte le deduzioni, eccezioni, richieste e conclusioni già articolate dal loro dante causa nei propri atti e ne chiedevano l'accoglimento. Con vittoria di spese e competenze di lite, oltre accessori come per legge. Depositate note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. in sostituzione della udienza collegiale di precisazione delle conclusioni del 18.01.2024, la causa veniva riservata in decisione con la concessione di termini abbreviati per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c. In via preliminare, con riferimento alla istanza di inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c. si osserva che la Corte, procedendo alla trattazione della causa nel merito, ha superato, sia pure implicitamente, tale questione, ritenendo insussistenti i presupposti per pervenire ad una definizione semplificata del giudizio, nei termini previsti dall'indicata disposizione. In tal senso, la S.C. ha ritenuto che, qualora il giudice d'appello abbia proceduto alla trattazione nel merito dell'impugnazione, ritenendo di non ravvisare un'ipotesi di inammissibilità ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., la decisione sulla ammissibilità non è ulteriormente sindacabile sia davanti allo stesso giudice dell'appello che al giudice di legittimità nel ricorso per cassazione, anche alla luce del più generale principio secondo cui il vizio di omessa pronuncia non è configurabile su questioni processuali (Cass. civ., Sez. 3 - Sentenza n. 10422 del 15/04/2019). L'impugnazione è, dunque, ammissibile ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c. L'appellante, con il primo motivo di appello, si duole dell'erroneità della statuizione di prime cure laddove il Giudice, nel dichiarare inammissibile la domanda di nullità ex art. 1421 c.c. per carenza di legittimazione passiva, avrebbe omesso di valutare un documento rilevante ai fini della decisione ovvero il verbale di trasferimento del 20.01.1982 da cui si evincerebbe l'esistenza di un contratto di fitto agrario tra il dante causa del Comune di Vico Equense (Ente morale "Casa di Riposo "Cav. L.D.F.") ed il padre dell'attore/appellante (D.G.G.) comprovante la propria legittimazione ad agire in quanto conduttore (per successione nella posizione giuridica del padre deceduto) e la nullità del trasferimento. La doglianza è chiaramente infondata. Va al riguardo confermato quanto rilevato dal Giudice di prime cure, secondo orientamento giurisprudenziale prevalente, in ordine ai presupposti di legittimazione attiva richiesti per la proposizione dell'azione di nullità ai sensi dell'art. 1421 c.c. Tale nullità, pur potendo essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime l'attore dal fornire la prova dell'esistenza di una lesione attuale di un proprio diritto con conseguente danno alla propria sfera giuridica. Orbene, dalla documentazione in atti, non si evince alcuna prova in ordine all'esistenza di un tale diritto in capo all'istante. Egli non ha infatti provato la esistenza di un contratto di fitto agrario né tra lui ed il Comune di Vico Equense, né tantomeno tra i rispettivi danti causa ovvero la Casa di Riposo "Cav. L.D.F." e D.G.G. (padre dell'appellante). Anzi, al contrario, dagli atti di causa risulta che, con deliberazione del Consiglio di amministrazione della Casa di Riposo dell'08.09.1976 si dava mandato al Presidente, avv. M., di difendere gli interessi dell'ente contro gli occupanti abusivi, tra cui appunto, il D.G.G. (padre dell'appellante) e che, per effetto della conseguente azione giudiziaria, questi, sin dal 1978, attesa l'occupazione senza titolo dell'area, veniva condannato a rilasciare in favore della proprietà i beni in oggetto (come da sentenza di primo grado n.21/78, e di appello n. 73/78),. Né d'altronde è stata fornita la prova scritta del presunto rinnovo di un asserito contratto di locazione agraria precedente l'acquisto della proprietà dei cespiti immobiliari da parte del Comune di Vico Equense, attesa la necessità anche per tale atto negoziale della forma scritta "ad substantiam" essendo il Comune di Vico Equense un ente pubblico territoriale non economico. Quanto sopra acclarato trova, peraltro, conferma sia nel contenuto della raccomandata a/r del 23.01.2006 (prot. (...)) con la quale l'amministrazione comunale invitava, senza avere riscontro, Di.Vi. ad esibire la documentazione comprovante la sussistenza della locazione dei terreni occupati, sia nel contenuto della successiva raccomandata a/r datata 02.01.2011 con la quale il Comune di Vico Equense lo diffidava a sgomberare i beni di proprietà comunale illegittimamente detenuti ed a risarcire l'amministrazione dei danni subiti per l'illegittima occupazione (cfr. nota prot. Comune di Vico Equense n.21509/2011). Dunque, diversamente da quanto da questi sostenuto, Di.Vi. ha sempre occupato sine titulo la porzione di terreno oggetto del presente giudizio risultante attualmente trasferita ai coniugi E./S. e, per tali motivi, difettando la qualità di conduttore, non può in alcun modo ravvisarsi la sussistenza di un suo diritto leso dal predetto trasferimento immobiliare in favore degli appellati. Pertanto, ai sensi dell'art. 1421 c.c.,, non può ritenersi sussistente la propria legittimazione a far valere in giudizio la nullità del detto trasferimento immobiliare, mancando un suo interesse giuridicamente rilevante. Anche il secondo motivo di impugnazione è destituito di fondamento. Secondo la ricostruzione fornita dall'appellante, infatti, la sentenza gravata sarebbe erronea attesa l'omissione di pronuncia su una questione rilevante ai fini della decisione, in quanto il Giudice di prime cure avrebbe omesso di rilevare d'ufficio la nullità del trasferimento: deduce, al riguardo, l'assoluta incertezza circa l'effettiva consistenza ed ubicazione dei beni trasferiti (stante il possesso da lui esercitato su una pluralità di appezzamenti di terreno posti in prossimità di quello oggetto di causa) nonché l'errore nell'indicazione della particella posta in vendita ((...) anziché (...)). Orbene è evidente che la insussistenza, per i motivi di cui innanzi, di detta legittimazione attiva del D.G. per difetto di interesse giuridicamente rilevante a far valere la nullità, preclude al giudice l'esame di ufficio delle questioni di nullità da questi allegate. Sul punto appare, ancora, opportuno precisare che di certo nessun interesse del D.G., rilevante ai sensi dell'art. 1421 c.c., può essere individuato nel rischio da lui dedotto di poter essere condannato alla restituzione di terreni di cui non era in possesso e/o di cui il Comune di Vico Equense non aveva mai avuto alcuna disponibilità, per l'incertezza della corrispondenza dello stato di fatto con quello catastale. Anche tali deduzioni non trovano conferma nelle risultanze istruttorie. In particolare, risultano depositati in atti documenti che smentiscono chiaramente una tale ricostruzione quali: la scheda descrittiva allegata al bando di gara, il verbale di asta pubblica del 18.01.2010 e relativa determina n.4/2010 di approvazione in cui i beni, oggetto di asta, sono stati analiticamente descritti anche sul piano catastale. Ne consegue che, alla luce di tali risultanze documentali, nessun dubbio o incertezza può ravvisarsi nell'individuazione del bene trasferito. D'altra parte, con la precedente sentenza n. 963/2013, il Giudice del Tribunale di Torre Annunziata ha correttamente individuato e trasferito ex art. 2932 c.c. dal Comune di Vico Equense ai sigg.ri E./S. il fondo in oggetto, così come precisamente identificato negli atti di gara, e l'effetto di tale sentenza è oramai intangibile essendo essa divenuta definitiva e passata in giudicato. In ogni caso, dall'attento esame della visura catastale storica, depositata in atti, emerge documentalmente che la particella (...) traeva origine dal frazionamento, con atto del 22.01.1969, dell'originaria particella (...) ed era intestata prima a S.M. (con usufrutto a favore di F.C.) e poi, successivamente, dal 22.10.1969, alla successiva avente causa Casa di Riposo "Cav. L.D.F.". Pertanto, non corrisponde al vero quanto dedotto dall'appellante circa la proprietà di detta particella in capo a tale C.G. che, invece, risulta essere proprietario delle ulteriori particelle nn.(...) e (...), pure originate del predetto frazionamento della n.88, ma che non costituiscono oggetto del giudizio de quo. Per ciò che concerne, invece, l'errata indicazione nel bando di gara della particella con il n.(...) anziché con il n.(...), vi è da rilevare che detto errore materiale non ha prodotto alcuna influenza pregiudizievole in ordine alla corretta individuazione dell'immobile e dunque al suo trasferimento- così come indicato al lotto d) e puntualmente descritto nella scheda allegata al bando di gara - atteso che, con la determina n.4 del 18.01.2010, l'amministrazione comunale tempestivamente ne prendeva atto e provvedeva all'indicazione corretta ai fini del regolare svolgimento della gara, approvandone il relativo verbale. Con il terzo ed il quarto motivo di gravame - che per motivi di stretta connessione logica e giuridica vengono trattati congiuntamente - l'appellante si duole dell'accoglimento da parte del Giudice di prime cure della domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti: lamenta, sul punto, sia la mancanza di prova rigorosa in ordine al titolo di acquisto originario e/o derivativo della proprietà avente ad oggetto la particella (...), attesa l'irrilevanza dei titoli prodotti (testamento olografo e verbale di trasferimento) in quanto aventi un'efficacia meramente dichiarativa (e, dunque, senza alcun valore probatorio nei confronti di terzi), sia la carenza di prova in relazione alla circostanza che la suddetta particella (...) (attualmente inesistente perché a suo dire confluita nelle particelle nn.(...) e (...) di proprietà di C.G.) fosse nella disponibilità di Di.Vi.. E ciò sulla scorta di una pretesa errata valutazione, da parte del Tribunale, della documentazione depositata dai convenuti/appellati che, secondo l'assunto attoreo, avrebbe dovuto invece portare al rigetto della domanda riconvenzionale o, al massimo, all'accoglimento parziale della stessa relativamente alla sola striscia di terreno attigua al fabbricato (particella (...)), ed unicamente alla porzione da lui detenuta pari a circa 87 mq. Anche dette doglianze sono infondate e vanno rigettate. Alla luce dell'esame documentale, può senz'altro ritenersi raggiunta la prova da parte dei convenuti/appellati, non solo del proprio titolo di acquisto dei beni di cui ha chiesto il rilascio per occupazione abusiva, ma anche in ordine al titolo di acquisto dei precedenti proprietari fino al 1969 e, dunque, ben oltre il ventennio precedente. Risulta, infatti, documentalmente provato che, come già detto, il fondo de quo è stato donato al Comune di V. Es. dalla originaria proprietaria, S.M., alla Casa di Riposo "Cav. L.D.F.", con usufrutto in favore di F.C., in virtù di atto di donazione per notaio C. del (...) rep.(...), racc.(...), registrato a Sorrento il 22.11.1969 al n.1971. In seguito alla soppressione e alla liquidazione dell'Ente Morale Casa di Riposo "Cav. L.D.F." ed il conseguente trasferimento al Comune delle funzioni e dei beni, in virtù di Delib. di Giunta Regionale della Campania n. 4640 del 28 maggio 1981, la proprietà del suddetto fondo perveniva al patrimonio comunale. Dunque, l'occupazione "sine titulo" da parte di Di.Vi. del fondo in oggetto è inconfutabile e risultante dalla predetta inequivoca documentazione, così come è incontestabile che la particella n.(...) di cui al foglio (...), originatasi si ripete dalla n.88 (unitamente alle particelle n.(...) e (...)), non sia mai stata di proprietà di C.G., come invece erroneamente dedotto dall'appellante, ma del Comune di Vico Equense che dunque legittimamente ne ha disposto la vendita con il bando di gara e la successiva aggiudicazione in favore dei coniugi E./S., poi suggellata dalla predetta sentenza del 2013 passata in giudicato. Va infine rilevato che non risultano oggetto di specifici motivi di appello le statuizioni del primo giudice di rigetto della domanda di riscatto agrario e della domanda di usucapione (spiegata quale reconventio reconventionis) proposte da Di.Vi., così come non è stata oggetto di appello incidentale la statuizione del Tribunale di rigetto della domanda riconvenzionale degli appellati di risarcimento del danno da occupazione illegittima. Pertanto, tali capi della sentenza sono divenuti definitivi e su di essi si è formato il giudicato. L'appello, dunque, per i motivi sopra esposti, deve essere rigettato e la sentenza impugnata integralmente confermata. Per l'effetto le spese di giudizio degli appellati seguono la soccombenza dell'appellante e si liquidano come da dispositivo a carico di quest'ultimo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e successive modificazioni, tenuto conto del valore della causa (valore indeterminabile, scaglione da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000), ed applicati gli importi medi previsti in tabella per ciascuna fase di giudizio effettivamente svolta, con esclusione dunque di quella istruttoria non tenutasi in appello. Deve, altresì, ritenersi sussistente una responsabilità processuale aggravata a carico dell'appellante per aver avuto un atteggiamento processuale censurabile proponendo un appello del tutto temerario, infondato e dilatorio, con colpa grave stante l'assoluta ed evidente infondatezza delle domande ed eccezioni proposte, spiegate senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire consapevolezza di ciò. Pertanto, ritiene questa Corte che sussistano i presupposti di cui all'art. 96, 3 comma, c.p.c. per la condanna, di ufficio, dell'appellante al pagamento, in favore degli appellati, di una ulteriore somma equitativamente determinata in misura pari alla metà delle spese processuali così come liquidate in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, ricorrendone i presupposti di legge, stante l'integrale rigetto dell'appello, si dà atto della sussistenza dell'obbligo per l'appellante Di.Vi. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis. P.Q.M. La Corte di Appello di Napoli - Settima sezione civile - definitivamente pronunciando sull'appello in oggetto proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 2951/2016, pubblicata in data 23.11.2016, così provvede: 1) Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma integralmente la sentenza di primo grado impugnata; 2) Condanna l'appellante Di.Vi. al pagamento, in favore di Sa.Gi., in proprio e nella qualità di erede di Es.Gi., nonché in favore di Es.Ug., Es.Fr., Es.Sa. e Es.Ma., quali eredi di Es.Gi., delle spese del presente giudizio di appello che liquida complessivamente in Euro 6.946,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario per spese generali pari al 15% del compenso, oltre Iva e CPA, con attribuzione agli avv.ti dichiaratisi antistatari M.T. ed A.D.C.; 3) Condanna l'appellante Di.Vi. al pagamento, in favore dell'appellato Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., delle spese del presente giudizio di appello che liquida in Euro 6.946,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario per spese generali pari al 15% del compenso, oltre Iva e CPA come per legge; 4) Condanna Di.Vi., ai sensi dell'art. 96, 3 comma, c.p.c., al pagamento in favore di Sa.Gi., in proprio e nella qualità di erede di Es.Gi., nonché in favore di Es.Ug., Es.Fr., Es.Sa. e Es.Ma., quali eredi di Es.Gi., della somma di Euro 3.473,00; 5) Condanna Di.Vi., ai sensi dell'art. 96, 3 comma, c.p.c. al pagamento in favore del Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco p.t., della somma di Euro 3.473,00; 6) Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, ricorrendone i presupposti di legge, si dà atto della sussistenza dell'obbligo per l'appellante Di.Vi. di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis. Così deciso in Napoli il 14 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. CAVALLINO Linalisa - Consigliere Dott. PICARO Vincenzo - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere-Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 31097/2018 R.G. proposto da: CH.LU., elettivamente domiciliato in ROMA (...), presso lo studio dell'avvocato TR.MA. (...) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato TR.ST. (TRLSFN44R02H501V) - ricorrente - contro BA.MA., elettivamente domiciliato in ROMA (...), presso lo studio dell'avvocato MA.MA. (...) rappresentate e difese dall'avvocato FR.ST. (...) - controricorrenti - nonché GA.ST., in qualità di erede di De.Ma. e di Ga.Er., difeso da se medesimo (...) ed elettivamente domiciliati in ROMA (...), - controricorrenti - nonché contro GA.GI., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GA.LU. (...) - controricorrente - nonché contro RI.RO., RI.TE., FU.LI., RI.GA., CO.GE., CO.CE., CO.GI., DA.GI., DA.MI. - intimati - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO NAPOLI n. 3503/2018 depositata il 12/07/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA Il giudizio trae origine dalla domanda che Ch.Lu. ha proposto innanzi al Tribunale di Napoli nei confronti di Ga.Er. e Ga.Gi., con la quale egli chiese il riconoscimento della sua qualità di erede di Ri.Gi., deceduto in data (...), sulla base di un testamento olografo del 6.4.1978, pubblicato il 14.5.1999, che gli attribuiva la nuda proprietà dell'appartamento sito in via (...), piano secondo, interno 12. L'attore dedusse che nella stessa data era stato pubblicato un altro testamento olografo, datato 21.5.1997, di cui chiese dichiararsi la nullità, domandando l'immediata consegna dell'appartamento attribuitogli dal de cuius, detenuto da Ga.Er. e dal figlio Ga.Gi., oltre al risarcimento dei danni per illegittima detenzione e alla dichiarazione di illegittimità della trascrizione di tale testamento olografo. Altro giudizio venne introdotto nei confronti di Ga.Er. e Ga.Gi. da Ri.Ro., nella qualità di usufruttuaria dei beni del defunto fratello, ivi compreso l'appartamento al (...), in forza del testamento olografo del 6.4.1978. L'attrice lamentava che Ga.Gi., dopo aver accettato l'eredità, aveva venduto lo stesso appartamento, con atto trascritto il 10/09/99, a Ba.Ma.; chiese, pertanto, il rilascio dell'immobile ed il risarcimento dei danni. Si costituiva in entrambi i giudizi Ga.Gi., deducendo la sua qualità di erede sulla base di altro testamento redatto in data 26 luglio 1988. Il convenuto espose che, in occasione della sua laurea, il de cuius Ri.Gi. gli aveva consegnato un biglietto chiuso datato e sottoscritto in cui lo nominava erede dell'appartamento in questione. Espose che tale scheda testamentaria, da lui lasciata nello stesso appartamento in cui vivevano i genitori, era stata oggetto di furto (regolarmente denunciato) insieme ad altri oggetti e preziosi, e chiese, quindi, la ricostruzione di tale testamento. Con altro atto di citazione, Ch.Lu. convenne in giudizio Ga.Er., reiterando nei suoi confronti la domanda di riconoscimento della sua qualità di erede e per ottenere il rilascio dell'appartamento sito in Via del (...). Il Tribunale di Napoli riunì i giudizi e, in corso di causa, Ri.Ro., deducendo di aver rinvenuto un'altra scheda testamentaria olografa riportante la data del 12/11/1979, pubblicata con atto per notar Be. in data 21/06/2010, chiese il riconoscimento della sua qualità di erede non più in virtù del testamento del 06/03/1978, ma sulla base dell'ultima scheda testamentaria rinvenuta. Il Tribunale di Napoli dichiarò la nullità del testamento del 27.5.1997 per assenza di olografia e dichiarò: che Ga.Gi. aveva ereditato la piena proprietà dell'appartamento di via del (...), 85, in forza del testamento del 26.7.1988; che Ch.Ma., e per lui le sue eredi Ch.La. e Ch.Fe., in virtù del testamento del 6.3.1978 aveva ereditato la nuda proprietà della casa e delle terre in Padula; che Ri.Ro. era erede universale e che in tale qualità aveva acquistato la proprietà di tutti i beni mobili di Ri.Gi. e l'usufrutto di tutti gli immobili dello stesso, ad eccezione dell'appartamento di via del (...). Avverso tale sentenza Ch.Lu. propose appello, resistito da De.Ma., Ba.Ma., Ga.Gi. ed Ga.Er.. La Corte dichiarò l'appello inammissibile per difetto di specificità; osservò che il gravame non aveva in alcun modo preso in esame le argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, poiché l'appellante aveva riproposto in modo acritico le argomentazioni a sostegno della propria tesi. Avverso la sentenza della Corte d'appello ricorre per cassazione Ch.Lu. sulla base di sette motivi. Resistono con separati controricorsi: Ba.Ma., De.Ma., Ga.Er. e Ga.Gi.. La Sostituta Procuratrice Generale, in persona della dott.ssa Rosa Maria Dell'Erba, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell'udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità della memoria depositata dal difensore del ricorrente perché tardivamente depositata in data 13.2.2024, oltre il termine di dieci giorni prima dell'udienza fissata in data 22.2.2022. Il ricorrente ha giustificato la tardività del deposito a causa di un "inedito problema tecnico", che avrebbe impedito la trasmissione della memoria nel giorno precedente, ed ha allegato uno screenshot da cui emerge l'ultimo tentativo effettuato alle h. 23.08, dal quale risulta un "errore durante la firma di un file". La richiesta di rimessione in termini non può essere accolta. L'art. 153, comma 2, c.p.c., che è di stretta interpretazione, in considerazione delle conseguenze che un uso improprio della rimessione in termini potrebbe determinare sul piano della imperatività e della stessa vigenza della legge, il quale inerisce alle attribuzioni proprie del (e riservate al) legislatore. (così fra le altre Cass. Sez. Unite N. 4135/2019). Il rimedio, dunque, presuppone che l'errore in cui sia incorsa la parte, e che abbia causato la decadenza, non le sia affatto imputabile, perché cagionato da un fatto impeditivo estraneo alla sua volontà, che presenti il carattere dell'assolutezza e non della mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass. n.17729/2018; Cass. 21794/ 2015; Cass. 8216/2013). Alla nozione di causa non imputabile è estraneo, invece, il dedotto malfunzionamento della casella di posta elettrica certificata, rientrante nella sfera di dominio dell'interessato ovvero della sua sfera di organizzazione professionale, sicché l'istante avrebbe potuto evitare di incorrere nella suddetta decadenza usando l'ordinaria diligenza (v. Cass. n. 1393/2018, secondo cui affinché sia possibile concedere la rimessione in termini a causa di problemi informatici relativi alla notificazione della sentenza tramite PEC, non è sufficiente presentare una generica documentazione di un tecnico privato che affermi la mera presenza di problemi di ricezione). Più di recente (Cassazione civile sez. III, 07/07/2023, n.19384 non massimata) questa Corte ha affermato che in caso di tardiva proposizione dell'impugnazione, la parte non può invocare la rimessione in termini allegando il malfunzionamento della rete informatica dello studio professionale, a causa di un virus informatico, che avrebbe criptato tutti i dati ed impedito l'accesso all'account di posta elettronica, non consentendo di visionare la notifica della sentenza impugnata, ben potendo il difensore effettuare le consultazioni tramite l'utilizzo di altro computer, non collegato alla rete informatica dello studio professionale. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'art. 342 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato inammissibile l'appello per difetto di specificità, nonostante l'atto d'appello censurasse dettagliatamente il percorso argomentativo svolto dal primo giudice, indicandone l'erroneità con dovizia di argomenti in fatto e in diritto. Il ricorso è inammissibile. La statuizione della Corte d'appello richiama il principio secondo cui gli artt.342 c.p.c. e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n.83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n.134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. In particolare, la Corte d'appello ha fatto applicazione dei principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 novembre 2017, n. 27199, con la quale è stato affermato che "in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata", si richiede "che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili" (in motivazione, par. 5.1). Affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato è, dunque, necessario che l'atto di gravame esponga compiute argomentazioni che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, mirino ad incrinarne il fondamento logico-giuridico. Ciò posto, il ricorrente censura la decisione in punto di inammissibilità ponendosi su di un piano di totale astrattezza, senza misurarsi affatto con i rilievi svolti dalla Corte di appello per spiegare come ciascuno dei motivi non soddisfacesse quanto richiesto dall'art.342 c.p.c.. Il ricorso per cassazione non si cura di trascrivere le parti della sentenza di primo grado e del proprio atto di appello e di operarne il raffronto, così da fornire a questa Corte utili indicazioni per vagliare la fondatezza della doglianza articolata col primo motivo di ricorso. Deve evidenziarsi che l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d'inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità dello stesso. Pertanto, il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello ha l'onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all'atto di appello (Cass. 6.9.2021, n.24048; Cass. 13.3.2018, n. 6014; Cass. 29.9.2017, n. 22880; Cass. 8.6.2016, n. 11738; Cass. 30.9.2015, n. 19410). Anche secondo il diritto sovranazionale la garanzia dell'accesso all'istanza di giustizia non implica che la Corte di legittimità, ove pure investita dell'esame di un error in precedendo, debba abdicare al proprio ruolo facendosi carico della ricerca dei vizi del provvedimento che la parte ricorrente manchi di individuare. Si è di recente osservato, al riguardo, che il principio di specificità del motivo di ricorso, ai sensi dell'art.366 c.p.c., n. 4 e 6, deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d'interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 4.2.2022, n. 3612). Il primo motivo è dunque inammissibile. I motivi dal secondo al settimo sono parimenti inammissibili. Tali mezzi di censura entrano, infatti, nel merito di questioni di diritto che la Corte di appello non ha affrontato, in quanto assorbite dalla statuizione di inammissibilità dei motivi di gravame. Infatti, nel giudizio di legittimità non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell'accoglimento di un'eccezione pregiudiziale (cfr. Cass. nn. 19442/22 e 23558/14). II ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00 per compensi in favore di ciascun controricorrente, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli nei confronti di Be.An. nata a N il (Omissis) Be.An. nato a N il (Omissis), in qualità di eredi di Pa.Gi.; avverso l'ordinanza del 18/04/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 18 aprile 2023, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione - statuendo in sede di rinvio - ha accolto la richiesta di revoca dell'ordine di demolizione delle opere abusive, disposto con la sentenza n. 998/1996, resa a carico di Pa.Gi., dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, in data 7 novembre 1996 - riformata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 4 febbraio 1998, limitatamente al capo c) dell'imputazione e confermata nel resto - avanzata nell'interesse di Be.An. e Be.An., in qualità di eredi della condannata, deceduta in data(Omissis). Va evidenziato che l'ordinanza è stata emessa all'esito di un doppio annullamento con rinvio. La prima sentenza rescindente (Sez. 3, n. 12915 del 20 febbraio 2019) ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli per omessa pronuncia in ordine alla legittimazione dei ricorrenti a presentare la domanda di condono; mentre, la seconda sentenza rescindente (Sez. 4, n. 10017 del 3 marzo 2021) ha accolto il ricorso del Procuratore generale presso la medesima Corte territoriale, il quale lamentava, nuovamente, il difetto di legittimazione dei germani Be. alla presentazione delle due diverse istanze di condono, relative al medesimo immobile, nonostante gli stessi, a quell'epoca, non rivestissero alcuna funzione qualificata rispetto all'immobile e fossero solo i figli e futuri eredi della proprietaria. 2. Avverso l'ordinanza in epigrafe, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con tre differenti censure: a) l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 666, 623, 627, cod. proc. pen., 39 della legge n. 724 del 1994, 31 e 41 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 32 della legge n. 47 del 1985; b) il travisamento degli atti, risultante dalla motivazione; c) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti della procedura amministrativa relativa alle istanze di concessione in sanatoria, presentate da Be.An. e da Be.An.. A parere della pubblica accusa, la Corte territoriale ha erroneamente dilatato, in maniera manifestamente illogica, il periodo temporale dell'accertamento dei requisiti di legittimazione alla presentazione delle domande di condono da parte dei fratelli Be. - in violazione di quanto disposto dalla seconda sentenza rescindente e di quanto previsto dall'art. 39, sesto comma, della legge n. 724 del 1994 - allorché ha fallacemente esteso detta valutazione per un lasso temporale di 17 anni, anziché verificare se alla data del 6 febbraio 1995 - giorno di presentazione della domanda - Be.An. e Be.An. rientrassero in una delle categorie legittimate. Oltre a ciò, sostiene il ricorrente che il giudice dell'esecuzione ha completamente disatteso quanto statuito dalla Corte di cassazione in sede rescindente, omettendo di individuare i presupposti di fatto e di diritto dell'asserita legittimazione degli eredi Be.. Più precisamente, sostiene la pubblica accusa che il giudice di secondo grado si è astenuto dal verificare se, alla data di presentazione dell'istanza di condono, gli immobili, rappresentati nelle istanze, fossero esistenti nella conformazione piano - volumetrica, documentata in atti, e dotati di autonomia funzionale. Né sarebbero stato adeguatamente valutato il fatto che, alla data della presentazione delle domande, l'edificio, nel suo complesso, era costituito esclusivamente da pilastri, solai e scala di collegamento, privo di tamponature e senza suddivisione di unità immobiliari; ovvero vi erano un primo e un secondo piano, privi di chiusure perimetrali tali da poter determinare una o più unità immobiliari. Inoltre, da un'attenta lettura delle concessioni in sanatoria n. 119 del 23 maggio 1996 e n. 306 del 12 febbraio 1997 del Sindaco di Q e della perizia tecnica descrittiva giurata del geometra Ru., i due relativi immobili venivano identificati entrambi con dati catastali (Foglio (Omissis), particelle (Omissis) privi di subalterno) differenti da quelli risultanti dalla perizia giurata del 2016 (Foglio (Omissis), particella n. (Omissis) sub (Omissis)); omissione che avrebbe determinato il lamentato travisamento della prova, in ordine all'accertamento del presupposto fattuale. Del pari, lamenta il ricorrente che, in ordine ai presupposti di diritto - afferenti all'esistenza di un valido titolo idoneo a costituire il possesso degli immobili, in capo ai Be. - la Corte di appello, in violazione delle statuizioni della sentenza rescindente, ha erroneamente mancato di accertare la validità civilistica del documento, prodotto dalla difesa e definito, ad un tempo, come testamento olografo e atto di divisione, mancando di considerare che detto scritto, pur avendo valenza di atto post mortem, non potrebbe certamente considerarsi produttivo di effetti in quanto atto inter vivos, perché privo dei requisiti formali e sostanziali, previsti per la donazione di un immobile; con la conseguenza che, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto riconoscere il possesso come ancora in capo alla proprietaria, essendo la stessa l'unica legittimata a proporre una unica domanda di condono. Né la Corte territoriale avrebbe tenuto debitamente conto della recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di comproprietà dell'immobile, oggetto di separate domande di condono, risulta esclusa la legittimazione alla presentazione di più domande anche da parte dei comproprietari, prima dell'intervenuta divisione: principio che, a parere del ricorrente, ben si attaglierebbe al caso di specie, giacché l'immobile, alla data della presentazione delle domande di condono, non era stato ancora oggetto di divisione. Lamenta la pubblica accusa che tali gravi travisamenti hanno determinato un errore di diritto, allorché i giudici dell'esecuzione - in violazione dell'art. 676 cod. proc. pen. - hanno revocato l'ordine di demolizione, pur ricorrendo cause di non condonabilità assoluta e l'insussistenza di concessioni in sanatoria legittime. Infine, secondo la prospettazione accusatoria, la decisione gravata risulterebbe altresì viziata da travisamento della prova, con riguardo al concetto di "ultimazione" del bene, ai fini dell'applicazione della legge sul condono edilizio, così come definito dall'art. 39 della legge. 724 del 1994 e interpretato dalla giurisprudenza penale e amministrativa. Si ribadisce che, dalla documentazione versata in atti e dall'istruttoria, espletata in sede di incidente di esecuzione, emerge, con evidenza, che l'immobile oggetto di R.E.S.A., alla data del 31 dicembre 1993, era costituito solo da pilastratura, solai e scala di collegamento ed era privo di tamponature; ciò che, all'opposto, equivale a dire che, non risultando, l'immobile, ultimato alla data predetta, esso non potrebbe considerarsi soggetto alla disciplina normativa dettata dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994. 3. In data 22 dicembre 2023, i difensori di Be.An. e Be.An. hanno depositato una memoria, con la quale, condividendo, e specificando ulteriormente, le argomentazioni sostenute dall'ordinanza impugnata, ne ribadiscono la legittimità e chiedono che il ricorso venga rigettato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Sul punto, occorre, innanzitutto, premettere che la Corte di cassazione -Sez. 4, sentenza n. 10017 del 3 marzo 2021 - ha annullato l'ordinanza di revoca dell'ordine di demolizione delle opere abusive - emessa a seguito di un primo annullamento con rinvio, disposto con sentenza n. 12915 del 20 febbraio 2019 -oggetto del presente procedimento, con ulteriore rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'appello di Napoli, sul rilievo del difetto di legittimazione dei fratelli Be. alla presentazione delle due diverse istanze di condono. Nello specifico, i giudici di legittimità hanno ritenuto la predetta ordinanza lacunosa e apodittica, laddove ometteva di individuare adeguatamente i presupposti di fatto del possesso di distinte porzioni, del medesimo immobile, in capo a Be.An. e Be.An.. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità - espressamente richiamata nella sentenza rescindente - infatti, non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono ad esso funzionali, a da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015, Rv. 263639). Invero, sebbene il legislatore non ponga alcun divieto al frazionamento ovvero all'accorpamento di unità immobiliari, tuttavia, tali operazioni possono configurare ipotesi elusive dei limiti legali di consistenza degli immobili; di talché ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario facente capo ad un unico soggetto legittimato e le relative istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite ad una unica concessione in sanatoria, la quale dovrà riguardare lo stesso nella sua totalità. La regola è, pertanto, rappresentata dalla unicità della concessione edilizia per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, escludendosi la possibilità per lo stesso soggetto legittimato di servirsi di separate domande di sanatoria per aggirare il limite legale volumetrico, con la sola eccezione della consentita presentazione di una serie di istanze da parte di quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, che abbia ad oggetto le sole porzioni di appartenenza, anche se comprese in una unica costruzione unitaria; ipotesi in cui la volumetria dovrà essere calcolata rispetto a ciascuna separata domanda di sanatoria, non potendosi comunque superare il limite complessivo di 3000 metri cubi (Sez. 4, n. 21284 del 5 aprile 2018). Analogamente si esprime la giurisprudenza amministrativa secondo la quale deve ritenersi illegittimo l'inoltro di diverse domande tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse, in quanto tale espediente rappresenta un evidente tentativo di aggirare i limiti consentiti per il condono relativamente al calcolo della volumetria consentita (Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5211; Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4483; Cons. Stato, Sez. VI, 05/09/2012 n. 4711). Dovrà, quindi, farsi riferimento all'unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare, ove sia stato realizzato l'abuso edilizio in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione dell'opera in più unità abitative, fatta salva l'ipotesi in cui porzioni della medesima costruzione costituiscano oggetto di diritto di diversi soggetti, ciascuno dei quali sarà legittimato a presentare istanza di sanatoria perla porzione allo stesso riferibile. Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 302 del 1996, la possibilità (derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione), prevista esclusivamente per le nuove costruzioni, di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, ritenendo legittima ed ammissibile la scissione della domanda di sanatoria riferita ad unico edificio (con la conseguente applicazione, a ciascuna domanda, del limite volumetrico dei 750 me), vale soltanto nei casi in cui vi sono diversi soggetti legittimati per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo; ciò che può avvenire a seguito di alienazione o di singole opere da sanare, ai sensi dell'art. 31, primo comma, della legge n. 47 del 1985, di attribuzione del diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile) o del diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere - come previsto dall'art. 31, terzo comma, in relazione all'art. 4 della legge n. 10 del 1977 - o quando vi sia un soggetto interessato al conseguimento della sanatoria, ex art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, come l'istituto di credito mutuatario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile. Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, pertanto, ogni edificio va inteso quale complesso unitario, qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un'unica concessione in sanatoria, onde evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera; qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (ex multis, Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Rv. 269280; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 17/03/2014, Rv. 259292). 1.2. Ciò premesso, la Corte di cassazione, in sede rescindente, ha richiesto al giudice del rinvio un nuovo esame in ordine alla questione della legittimazione dei Be. alla presentazione di diverse ed autonome istanze di concessione in sanatoria, verificando, dunque, se effettivamente gli stessi avessero il possesso di specifiche porzioni dell'immobile o se, al contrario, ne avessero una mera disponibilità di fatto per tolleranza della madre; ciò che, a ben vedere, equivale ad operare un controllo relativo all'effettiva autonomia funzionale delle porzioni immobiliari, oggetto delle distinte istanze di condono presentate e, conseguentemente, afferente all'avvenuta ultimazione dell'immobile medesimo. Ebbene, dalla lettura dell'ordinanza, emerge che - contrariamente a quanto prescritto dalla seconda sentenza rescindente - la Corte di appello di Napoli non si è confrontata con la questione, invero dirimente perché preliminare, dell'ultimazione dell'immobile oggetto di sequestro, allorché ha omesso qualsivoglia riferimento alla circostanza, pur specificamente documentata in atti -e, in questa sede, confermata anche da quanto dichiarato dalla difesa alle pagg. 7, 11, 14 e 19 della memoria depositata in data 22 dicembre 2023 - che, al momento della presentazione delle domande di concessione in sanatoria, l'immobile fosse sprovvisto delle tamponature; ciò che, conseguentemente, ha determinato un evidente travisamento della prova in ordine alla effettiva condonabilità. In altri termini, si sarebbe dovuto valutare se, alla data della presentazione della domanda di condono, le opere abusive non potessero ritenersi ultimate,' dovendosi richiamare in proposito l'affermazione di questa Corte (ex plurimis, Sez. 3, n. 13641 del 15/11/2019, dep. 06/05/2020, Rv. 278784; Sez. 3, n. 8064 del 02/12/2008, Rv. 242740; Sez. 3, n. 26119 del 13/05/2004, Rv. 228696), secondo cui, in materia edilizia, la esecuzione di un immobile a "rustico" si intende riferita all'avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricomprese le tamponature esterne, visto che queste determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria. Di talché emerge la contraddittorietà del provvedimento impugnato, laddove riconosce la sussistenza del possesso delle porzioni immobiliari - quale presupposto legittimante la presentazione, da parte dei fratelli Be., di autonome domande di condono - in relazione ad un immobile che, ai sensi dell'art. 39, primo comma, della legge n. 724 del 1994, risulta ontologicamente non condonabile perché non ultimato alla data del 31 dicembre 1993. 2. Da quanto precede, consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Napoli, la quale si uniformerà ai principi di diritto sopra affermati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli. Cosi deciso il 11 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2024.
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Bologna, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Carolina Gentili Presidente dott.ssa Cinzia Gamberini Giudice dott.ssa Daniela Nunno Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g.... /2021 promossa da: FILANO (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ...e dell'avv...., presso il cui studio in Bologna, Via ...elegge domicilio ATTORE contro TIZIO (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ...elettivamente domiciliato in Bologna, Via ..., presso il difensore CALPURNIA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv..., elettivamente domiciliato in Bologna Via ...presso il difensore DOMITILLA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in Bologna Via ...presso il difensore CONVENUTI CONCLUSIONI FILANO: Come in atto di citazione, con rinuncia alla domanda possessoria: "Voglia l'ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, accertare e dichiarare la qualità di legatario del Sig. Sempronio (attore) e condannare il convenuto Sig. Tizio alla restituzione del bene indicato nel testamento o al suo controvalore, oltre alla restituzione dei frutti ad oggi percepiti" CORNELIO: "In via preliminare dichiararsi nullo l'atto di citazione per mancanza di procura. Sulla domanda possessoria, prende atto della rinuncia dell'attore. Sulla domanda riconvenzionale, conclude chiedendo annullarsi il testamento olografo di Caia per i motivi indicati in atti". CALPURNIA E DOMITILLA: "Chiedono annullarsi il testamento olografo di Caia per i motivi indicati in atti". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione regolarmente notificato, Filano ha convenuto in giudizio Cornelio chiedendo di accertare la sua qualità di legatario in forza del testamento redatto da Caia, deceduta in data 11.7.2020 e, per l'effetto, di condannare il convenuto alla restituzione in suo favore del 50% del valore del bene immobile indicato in testamento, oltre alla restituzione dei frutti percepiti. L'attore ha inoltre spiegato domanda di reintegra nel pieno ed esclusivo possesso del bene, unitamente ai beni personali presenti nell'immobile e, in via subordinata, per il caso in cui l'immobile fosse occupato da terzi con titolo idoneo, ha preteso la condanna del convenuto al versamento della somma, anche determinata secondo equità, per lo spossessamento e il mancato utilizzo dell'immobile e per il costo subito per l'uso di altro immobile, nonchè per i danni conseguenti e diretti. In via di fatto, l'attore ha premesso quanto di seguito: -la sua compagna, Caia, era deceduta dopo aver redatto testamento olografo, consegnato al fratello Cornelio, nel quale lo aveva nominato legatario del proprio appartamento nella misura del 50% (per la restante metà spettante al fratello), specificando che l'attore avrebbe potuto prelevare dall'appartamento qualsiasi oggetto a lui necessario - durante la malattia, egli aveva accudito la compagna stabilendosi presso il di lei appartamento, dove era rimasto per circa due anni fino alla sua morte; - egli era stato l'unico a prendersi cura della compagna durante la malattia, a causa della quale la coppia non aveva potuto sposarsi; - a decorrere dal 10.8.2020, senza preavviso e in modo del tutto arbitrario, il convenuto cambiava la serratura dell'appartamento, impedendo all'attore di accedervi per prelevare i propri beni personali, nonostante le reiterate richieste; - dal mese di ottobre 2020, il convenuto aveva concesso l'appartamento in locazione, contravvenendo alla volontà della sorella ed escludendo lo stesso attore dalla percezione dei frutti; - in data 3.2.2021, in seguito a pressanti richieste dell'attore, il testamento veniva pubblicato presso il Notaio ... (n. rep. Not. 1.580). L'attore ha chiesto di riconoscere la propria qualità di legatario in relazione all'immobile sito in..., Via..., per la quota del 50%; ha altresì agito per recuperare il possesso dell'immobile, goduto fino a poco tempo dopo il decesso della de cuius e di cui Tizio lo aveva privato in modo violento e clandestino. Nel giudizio così instaurato, si è costituito il convenuto, eccependo preliminarmente la nullità dell'atto di citazione per difetto di procura alle liti. Nel merito, il convenuto ha sollevato eccezione di decadenza dall'azione possessoria per il decorso del termine annuale dall'asserito spoglio (10.8.2020) e comunque contestato la possibilità di invocare la tutela possessoria, essendo venuto meno il titolo da cui originava il possesso, vale a dire la convivenza more uxorio con la de cuius, convivenza che in ogni caso non era stata provata. Quanto alla domanda attorea di accertamento della qualità di legatario, il convenuto ha inteso contrastarla, opponendo una domanda riconvenzionale di annullabilità del testamento per mancanza di data apposta ai sensi dell'art. 602 comma 2 c.c.. Invero, la data del testamento recherebbe solo l'indicazione del mese e dell'anno ("NOVEMBRE 2019"), senza indicazione del giorno di redazione e senza neppure alcuna indicazione nell'atto di circostanze da cui desumerla. In ogni caso, il convenuto ha rilevato che nessun diritto sarebbe riservato all'attore sull'immobile de quo, ma oggetto del legato sarebbe (a voler ritenere valido il testamento) unicamente una somma di denaro pari al 50% del valore residuo della casa, detratte le spese sostenute in seguito al decesso. Quanto alla domanda risarcitoria avanzata parimenti dall'attore, ne ha domandato il rigetto in mancanza di specifiche allegazioni dei fatti fondanti la relativa pretesa. Infine, ha chiesto l'integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre persone nominate nel testamento impugnato quali ulteriori legatarie. Su ordine del Giudice ai sensi dell'art.102 c.p.c., con provvedimento del 2.12.2021 il contraddittorio è stato esteso a Domitilla, Calpurnia ed X. Quest'ultima è rimasta contumace, mentre le altre due chiamate si sono costituite contestando, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva, avendo rinunciato ai legati disposti in loro favore nel testamento; nel merito, aderendo alla domanda di annullamento del testamento spiegata dal convenuto per le ragioni indicate in comparsa di costituzione e risposta. All'udienza del 28.2.2023 l'attore ha rinunciato alla domanda di reintegra del possesso, stante l'avvenuta locazione dell'immobile a terzi; rinuncia che è stata ribadita ed estesa alla correlata domanda risarcitoria, anche all'udienza del 13.4.2023. Il tentativo di componimento bonario della causa intrapreso dalle parti non è sfociato in un accordo, pertanto, ritenute superflue le prove richieste da parte attrice, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e posta in decisione all'udienza del 26.10.2023, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. Eccezione preliminare di nullità dell'atto di citazione per invalidità della procura di parte attrice. Parte convenuta ha eccepito la nullità della citazione per difetto di procura, in quanto quella allegata all'atto di citazione notificato sarebbe limitata alla fase di mediazione, mentre, successivamente all'iscrizione al ruolo della causa, era stata depositata un'altra procura speciale, rilasciata su foglio disgiunto dall'atto di citazione, con la quale l'attore delegava i difensori a rappresentarlo e difenderlo nella fase stragiudiziale e giudiziale con riguardo alla sola questione del testamento olografo della de cuius Caia. Ebbene, in tesi del convenuto, sulla base di tale procura non poteva essere introdotta alcuna azione possessoria. Inoltre, essa sarebbe stata rilasciata in violazione degli artt. 83 e 125 c.p.c., in quanto autenticata dagli stessi difensori fuori dalle ipotesi in cui l'art. 83 c.p.c. consente al difensore di certificare l'autenticità della sottoscrizione della parte. Nel caso di specie, sempre in tesi del convenuto, essendo stata la procura conferita successivamente all'atto cui si riferisce, varrebbe il principio generale per cui l'autenticità della sottoscrizione deve essere attestata dal pubblico ufficiale a ciò autorizzato, cioè da un notaio. L'eccezione è priva di pregio. Vale a tal proposito richiamare l'orientamento espresso dalla Suprema Corte (Cass. 23/11/2023, n. 32574), secondo cui "La "contestualità", spaziale e/o cronologica, del conferimento della procura e dell'autenticazione della relativa sottoscrizione rispetto alla redazione dell'atto cui la prima si riferisce non può ritenersi, infatti, requisito prescritto dalla norma di cui all'art. 83 c.p.c., comma 3". La pronuncia citata prosegue in motivazione affermando che "ai fini del valido conferimento di siffatta procura, non è necessario che esso sia contestuale o successivo alla redazione dell'atto non essendo richiesta a pena di nullità la dimostrazione della volontà di fare proprio il contenuto dell'atto nel momento stesso della sua formulazione o ex post (v. Cass. 26 luglio 2002 n. 11106; Cass. 16 maggio 1997 n. 4389)". Si sancisce pertanto il principio dell'irrilevanza del momento in cui la procura è rilasciata rispetto alla redazione dell'atto cui è riferita. L'applicazione di detti principi al caso di specie consente di escludere qualunque difetto di procura per la parte attrice. Si osserva innanzitutto come la rinuncia alla domanda possessoria renda ormai superata l'eccezione relativamente all'ambito di operatività della procura (limitata alle questioni inerenti al testamento de quo); in secondo luogo, la procura è stata rilasciata su supporto cartaceo, con autenticazione della sottoscrizione ad opera dei difensori e successivo deposito telematico nel fascicolo di causa, al momento dell'iscrizione della causa al ruolo, del documento recante firma digitale del difensore. Ciò è sufficiente a ritenere sanato l'iniziale difetto della procura allegata all'atto di citazione notificato. Passando ad esaminare il merito del giudizio, deve darsi atto della rinuncia, da parte dell'attore, della domanda possessoria, conseguentemente alla quale il perimetro di delibazione è ridotto alla sola domanda di accertamento della qualità di legatario dell'attore e del conseguente diritto dello stesso sulla quota dell'immobile oggetto di legato. Tuttavia, la domanda attorea non può essere decisa prima ed a prescindere dal vaglio della validità del testamento, sollecitato dalla domanda riconvenzionale del convenuto Cornelio. Pertanto, si procede preliminarmente all'esame di tale domanda. 3. Domanda riconvenzionale di annullamento del testamento per carenza di data certa Il convenuto ha chiesto in via riconvenzionale di dichiararsi l'annullamento del testamento, in difetto di data certa di compilazione dell'atto. A tale domanda hanno prestato adesione le chiamate, costituitesi in giudizio a seguito dell'integrazione del contraddittorio. Tale domanda, sebbene spiegata in via riconvenzionale, come anticipato, va trattata in via preliminare rispetto alla domanda avanzata in via principale dall'attore, atteso che il vaglio di quest'ultima necessariamente presuppone la validità del testamento. La questione che viene in rilievo è stata più volte oggetto di pronunce della Suprema Corte, in seno alla quale si è consolidato l'orientamento secondo cui l'omessa o l'incompleta indicazione della data comporta l'annullabilità del testamento olografo. La data certa e completa è un requisito cui la legge ricollega la validità dell'atto, sicchè deve escludersi che essa possa ricavarsi aliunde da elementi estranei all'atto o che l'invalidità del testamento sia subordinata all'incidenza in concreto dell'omissione della data sui rapporti dipendenti dalle disposizioni testamentarie (v. da ultimo Cass. 31322/2023; tra i precedenti, Cass. 6682/1988; Cass. 7783/2001; Cass. 12124/2008; Cass. 23014/20215). L'applicazione di tale principio al caso concreto porta a ritenere l'annullabilità del testamento e, dunque, all'accoglimento della domanda riconvenzionale. La scrittura a cui la de cuius ha affidato le sue ultime volontà reca in alto l'indicazione del mese e dell'anno ("NOVEMBRE 2019"), senza alcuna indicazione del giorno esatto di redazione dello scritto. Nel corpo della scrittura, poi, la de cuius ha sentito la necessità di specificare che la "lettera" (così è stata definita dalla de cuius, ignorando trattarsi di vero e proprio testamento olografo), reca la medesima data (appunto del "NOVEMBRE 2019") di una scritta precedentemente e di cui l'atto de quo riporta il contenuto. Si legge, infatti, nel testo dello scritto: "PS: LA DATA DELLA LETTERA PORTA NOVEMBRE 2019 MA E' LA DATA DELLA I LETTERA CHE HO SCRITTO, SICCONE HO CAMBIATO IDEE - PARERE, HO RISCRITTO LA LETTERA MA HO MANTENUTO LA DATA o COMUNQUE L'HO SEMPRE SCRITTA IO". Nel corpo della "lettera"- testamento si evince, tuttavia, un altro riferimento temporale (GENNAIO 2020) a cui risalirebbe la stesura. Si legge infatti: "CONSIDERA CHE CI SARA' DA SALDARE IL MUTUO - CHE AD OGGI GENNAIO 2020 DOVREBBERO ESSERE CIRCA 44 000,00 Euro ANCORA DA PAGARE". Invero, l'indicazione contraddittoria delle date, peraltro entrambe incomplete, rende impossibile collocare la redazione della scheda in un giorno preciso; né l'indicazione del giorno è ricavabile dal contenuto dell'atto, che al contrario reca un'indicazione contraddittoria ("GENNAIO 2020") con quanto risulta scritto nell'incipit dello stesso ("NOVEMBRE 2019"). Contrariamente a quanto affermato dall'attore solo nella memoria di replica ex art. 190 c.p.c., il riferimento ad una precedente lettera scritta dalla stessa de cuius e di cui il fratello pare fosse a conoscenza (come desumibile dal tenore dello stesso scritto), non è utile all'individuazione di un giorno preciso: non viene specificato, infatti, il giorno in cui sarebbe stata redatta la prima lettera, né di tale lettera parte attrice ha fornito alcuna prova. In ogni caso, come detto, ciò non sarebbe comunque utile a sanare la contraddizione evidenziata in riferimento alla diversa data di gennaio 2020. Da quanto detto, consegue l'annullabilità del testamento ex art. 606 comma 2 c.c. per mancanza di data certa e completa. L'annullamento del testamento rende superfluo l'esame della domanda attorea di accertamento della sua qualità di legatario e di restituzione del valore a lui legato. Da quanto detto consegue l'accoglimento della domanda riconvenzionale, con conseguente rigetto delle domande spiegate dall'attore, ostando proprio l'invalidità del testamento. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra attore e convenuto e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminato - bassa complessità, per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, come indicate nella nota spese del difensore. Va tuttavia specificato che non può essere riconosciuta in favore del convenuto alcuna rifusione delle spese di lite con specifico riferimento alla domanda possessoria oggetto di rinuncia: va a tal proposito rilevato, infatti, che la riduzione della domanda o la rinuncia a capi di domanda, rientrando tra i poteri del difensore di emendare le domande precedentemente svolte, è fattispecie diversa dalla rinuncia ex art. 306 c.p.c. e non comportano l'applicazione del principio secondo cui le spese vanno poste a carico del rinunciante (v. Trib. Frosinone sent. n. 50 del 10/1/2023; Trib. Venezia, Sez. Imprese del 31.07.2018, n. 1549). Come infatti più volte rilevato dalla Suprema Corte (v. ex plurimis Cassazione civile Sez.2, Sentenza n. 28146 del 17/12/2013) " La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore, un mandato "ad hoc", senza che sia a tal fine sufficiente il mandato "ad litem", in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate". Quanto alle spese di giudizio sostenute dalle convenute legatarie costituite, si ritiene sussistano giustificati motivi per la compensazione integrale tra l'attore e le predette. Va considerato, infatti, che l'integrazione del contraddittorio è stata disposta dal giudice su sollecitazione da parte del convenuto (in comparsa di costituzione e nelle note scritte depositate il 29/11/2021); le chiamate si sono poi costituite, nonostante avessero già rinunciato ai legati in data 19.4.2021 (come da dichiarazioni prodotte dal convenuto sub docc. 6-7), peraltro aderendo, in via subordinata nel merito, alla domanda riconvenzionale del convenuto, ma senza aver più alcun interesse al giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Bologna, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta le domande dell'attore; - in accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto Cornelio, annulla il testamento della de cuius Caia, pubblicato il 3.2.2021 a ministero del Notaio Dott.ssa ...; - condanna la parte attrice a rimborsare al convenuto Cornelio le spese di lite, che si liquidano in Euro 825,33 per spese, Euro 5.810 per compensi, oltre I.V.A., C.P.A., se dovuti e nelle aliquote legali; - compensa interamente le spese di giudizio tra l'attore e Calpurnia e Domitilla. Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE composta dai signori: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Est. Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: Yu.Ba., nata in Russia il (Omissis), avverso l'ordinanza del 20/11/2023 del Tribunale di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; lette le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Serrao D'Aquino, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso; RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Bari, in sede cautelare, ha rigettato l'appello proposto dalla ricorrente avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 26 settembre 2023, aveva, a sua volta, respinto l'istanza di revoca del decreto di sequestro preventivo per equivalente fino alla somma di euro 18.654.896,52, finalizzato alla confisca (ex artt. 648-quater cod.pen. e 321, comma 2, cod. proc. pen.), emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari in data 21 gennaio 2022 ed inerente alla quota di un sesto di un immobile sito in Bari e ad un libretto postale ordinario. Tali beni sono stati sottoposti a sequestro perché ritenuti nella disponibilità degli indagati Gi.Ma. e Do.Ma., accusati del reato di riciclaggio. 2. Ricorre per cassazione Yu.Ba., nella qualità di terza estranea al reato che assume di essere proprietaria dei beni in sequestro. Deduce: 1) violazione di legge e vizio della motivazione per non avere il Tribunale tenuto conto di quanto documentato dalla ricorrente (figlia dell'indagato Do.Ma.) con riguardo al fatto di essere comproprietaria (in uno ai suoi due cugini Ma.Ma. e Fr.Ma., figli dell'indagato Gi.Ma.) dei beni in sequestro, per averli ricevuti per successione testamentaria alla di lei nonna paterna Ge.Ma., deceduta il 12 dicembre 2022, giusta testamento olografo del 9 febbraio 2021, pubblicato il 4 aprile 2023. A sua volta, Ge.Ma., già proprietaria del 50% dell'immobile, aveva ricevuto la restante parte in eredità dal coniuge Ma.Ma., deceduto il 5 giugno 2002 e come da testamento del 2.3.2002, pubblicato il 16 marzo 2009. Pertanto, tali beni non sarebbero mai appartenuti agli indagati e non avrebbero potuto essere sequestrati. A tal fine rileva che sebbene il testamento della nonna contenesse un legato di uso in favore degli indagati, tale diritto reale era sorto successivamente all'esecuzione della misura, che non avrebbe potuto avere ad oggetto beni futuri. Inoltre, il Tribunale, avrebbe fatto riferimento ad una denunzia di successione del 2002, il cui valore è meramente fiscale e ad evidenze catastali che non proverebbero la proprietà in capo agli indagati, dovendosi fare esclusivo riferimento ai passaggi di proprietà dei beni risultanti dalle successioni testamentarie di Ma.Ma. e Ge.Ma. Per quanto inerente al libretto di deposito, la ricorrente rileva il difetto assoluto di motivazione. Si dà atto che nell'interesse della ricorrente sono stati depositati motivi nuovi. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure non consentite in questa sede. 1. Non è inutile, in primo luogo, ribadire che il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli ed altro, Rv. 269656 - 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893 - 01; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009r Bosi, Rv. 245093 -01 e, in ogni caso, già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 -01). Con riguardo, poi, alla legittimazione, è prevalente, nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione secondo cui il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata non può contestare l'esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l'inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l'indagato (cfr., Sez. 2 - , n. 53384 del 12/10/2018, Lega Nord, Rv. 274242; Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, Pica, Rv. 276700; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, Tessarolo, Rv. 268070) 2. Il Giudice dell'udienza preliminare aveva respinto l'istanza di revoca sul rilievo secondo cui la documentazione in atti consentiva di riferire la disponibilità dei beni in sequestro in capo agli indagati Gi.Ma. e Do.Ma. 3. Il Tribunale ha respinto l'appello proposto contro il provvedimento del GUP con motivazione che, rileva il collegio, non può ritenersi meramente apparente e, perciò, suscettibile di essere censurata in termini di violazione di legge. I giudici della cautela hanno in realtà riepilogato i vari "passaggi" ereditari di cui, in definitiva, hanno fornito una "lettura" deponente per la sostanziale disponibilità dei beni in capo a Gi.Ma. e Do.Ma. artatamente "schermata" dalla formale loro titolarità in capo ai nipoti. Hanno spiegato, infatti, che, alla morte di Ma.Ma., era stata presentata una denuncia di successione in favore di Ge.Ma., per 4/6 della proprietà dell'immobile di via Ma per 1/6 ciascuno in favore di Do.Ma. e di Gi.Ma. Vero che l'immobile era risultato nella piena titolarità della Ge.Ma. in forza della disposizione testamentaria del marito; il Tribunale, tuttavia, ha evidenziato che il testamento era stata pubblicato soltanto nel marzo del 2009, ovvero a quasi sette anni dal decesso del de cuius; ed è proprio questo dato che ha portato il Tribunale a ritenere la strumentalità della pubblicazione del testamento che, peraltro, non aveva avuto alcun séguito in sede di variazione della denuncia di successione già inoltrata nel novembre del 2002 e, piuttosto, da ritenersi legata alla esecuzione, nel marzo del 2007, di una misura cautelare nei confronti di Gi.Ma. per associazione a delinquere. I giudici baresi hanno fatto presente che, nel gennaio del 2022, entrambi i fratelli Ma. erano stati attinti dalla misura cautelare personale nell'ambito del presente procedimento e che, nel mese di dicembre, era deceduta la loro madre, Ge.Ma., il cui testamento, pubblicato soltanto nel successivo mese di aprile, lasciava eredi i nipoti e, tuttavia, disponendo un legato d'uso ai due figli sull'immobile in questione. La ricostruzione complessiva operata dal Tribunale è stata perciò nel senso di una originaria disponibilità dell'immobile in capo a costoro che sarebbe stata in un primo momento mascherata (con la titolarità esclusiva in capo alla madre, Ge.Ma.) ricorrendo alla pubblicazione (ingiustificatamente postuma) del testamento del padre Ma. e, successivamente, "regolarizzata" all'esito della morte della madre. Si tratta, come accennato, di una "lettura" della vicenda che seppure può prestare il fianco a rilievi in punto di adeguatezza, congruità o linearità della motivazione, non può ritenersi fondata su una motivazione di fatto inesistente. Quanto al conto deposito e risparmio, è sufficiente rilevare che il Tribunale ne ha evidenziato la contitolarità in capo a Do.Ma., significativamente accompagnata dalla delega ad operarvi. Sul punto, invero, il ricorso è silente. 4. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art, 616 cod. proc. pen., della somma - che si stima equa - di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. MASI Paola - Consigliere Dott. FIORDALISI Domenico - Relatore Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Mu.Lo. nato a S il (Omissis) avverso l'ordinanza del 18/10/2022 del TRIBUNALE di ANCONA udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI; lette/sentite le conclusioni del PG Il Procuratore generale, Luigi Giordano, chiede il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Mu.Lo. ricorre avverso l'ordinanza del 18 ottobre 2022 del Tribunale di Ancona che, quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo: 1) al reato di ricettazione, ai sensi dell'art. 648 cod. pen., commesso il 10 gennaio 1992 in C, giudicato dal Tribunale di Monza con sentenza del 2 dicembre 1993, definitiva il 20 luglio 1996; 2) a più reati di ricettazione, di falso in scrittura privata, abbandono di persona minori o incapaci e falsità materiale commessa da privato in certificati o autorizzazioni amministrative, 648, 485, 591, 477 e 482 cod. pen., commessi fino al 13 agosto 1991 e riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 10 novembre 1994, definitiva il 19 giugno 1995; 3) al reato di associazione per delinquere e a più reati di ricettazione e falsità commessa dal privato in atti pubblici e in certificati o autorizzazioni amministrative, ai sensi degli artt. 416, 648, 476, 477 e 482 cod. pen., commessi tra il 1991 e il 1993, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 4 aprile 1995, definitiva il 30 maggio 1996; 4) a due reati di ricettazione e al reato di sostituzione di persona, ai sensi degli artt. 648 e 494 cod. pen., commessi nel mese di luglio 1991 e riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Torino con sentenza del 26 aprile 1995, definitiva il 19 gennaio 1996; 5) al reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, ai sensi dell'art. 2 d.l. 12 settembre 1983, n. 463 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638), commesso da maggio a dicembre 1990 in Cuneo, giudicato dalla Pretura di Cuneo con sentenza del 7 dicembre 1995, definitiva il 7 maggio 1996; 6) ai reati di ricettazione e falsità in scrittura privata, ai sensi degli artt. 648 e 485 cod. pen., commesso il 30 settembre 1991 in B riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Pretura di Firenze, sez. dist. di Borgo San Lorenzo, con sentenza emessa in data 1 marzo 1996, definitiva il 30 marzo 1996; 7) al reato di truffa, ai sensi dell'art. 640 cod. pen., commesso il 9 ottobre 1990 in C, giudicato dalla Corte di appello di Torino con sentenza del 27 marzo 1996, definitiva il 7 giugno 1996; 8) ai reati di ricettazione e falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito, ai sensi degli artt. 648 e 491 cod. pen., commessi il 7 luglio 1992 in Lucca, giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dal G.i.p. del Tribunale di Milano con sentenza del 17 aprile 1996, definitiva il 2 giugno 1996; 9) a due reati di ricettazione, ai sensi dell'art. 648 cod. pen., commessi il 16 maggio 1989 in Imperia, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Genova con sentenza del 18 aprile 1996, definitiva il 22 giugno 1996; 10) ai reati di ricettazione e falso in scrittura privata, ai sensi degli artt. 648 e 485 cod. pen., commessi il 7 luglio 1992, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Firenze con sentenza dell'8 maggio 1996, definitiva il 5 ottobre 1996; 11) ai reati di falsità in scrittura privata e falsità in testamento olografo, cambiali e titoli di credito, ai sensi degli artt. 485 e 491 cod. pen., commessi fino al 27 febbraio 1992 in Cantù, e ai reati di uso di atto falso e sostituzione di persona, ai sensi degli artt. 489 e 494 cod. pen., commessi nel mese di dicembre 1991 in Cantù, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Como, sez. dist. di Cantù, con sentenza del 10 maggio 1996, definitiva il 6 giugno 1996; 12) a due reati di ricettazione e al reato di falsità in testamento olografo, cambiali e titoli di credito, ai sensi degli artt. 648 e 491 cod. pen., commessi il 6 dicembre 1991 e il 29 maggio 1992 in Lecco e Merate, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 10 giugno 1996, definitiva il 31 luglio 1996; 13) al reato di truffa, ai sensi dell'art. 640 cod. pen., commesso nel mese di febbraio 1991 in Girifalco, giudicato dalla Pretura di Catanzaro, sez. dist. di Borgia, con sentenza dell'8 luglio 1996, definitiva il 5 dicembre 1998; 14) ai reati di ricettazione, truffa e ingiuria, ai sensi degli artt. 648, 640 e 595 cod. pen., commessi il 25 maggio 1992 in B, riuniti dal vincolo della continuazione interna e giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Lecco con sentenza divenuta definitiva il 12 novembre 1996; 15) al reato di ricettazione, ai sensi dell'art. 648 cod. pen., commesso l'8 luglio 1992 in Campione d'Italia, giudicato ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Como con sentenza del 4 ottobre 1996, definitiva il 4 aprile 1997; 16) ai reati di ricettazione, falsità in scrittura privata e falsità in testamento olografo, cambiale e titoli di credito, ai sensi degli artt. 648, 485 e 491 cod. pen., commessi il 31 luglio 1992 in Castellarla, riuniti dal vincolo della continuazione e giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Busto Arsizio con sentenza del 24 ottobre 1996, definitiva il 22 settembre 1998; 17) ai reati di ricettazione, falsità in scrittura privata e falsità in testamento olografo, cambiale e titoli di credito, ai sensi degli artt. 648, 485 e 491 cod. pen., commessi il 7 agosto 1991 in A, riuniti dal vincolo della continuazione e giudicati ex art. 444 cod. proc. pen. dalla Pretura di Monza con sentenza del 6 novembre 1996, definitiva il 25 dicembre 1996; 18) reati di cui all'art. 485 e 648 cod. pen. commessi il 7.8.91 e giudicati con sentenza del Pretore di Monza del 6.11.1996; 19) reato di cui all'art. 341 cod. pen. commesso il 20.12.1995 giudicato con sentenza del Pretore di Imperia del 13.3.1997; 20) reati di cui agli artt. 648 477, 482 cod. pen. commessi il 12.10.93 e il 12.10.93 giudicati dalla Corte di assise di Genova il 1.4.95; 21) reato di cui all'art 648 cod. pen. commessi il 4.11.1981 e il 12.8.1992 giudicati dal Pretore di Monza con sentenza del 15.5.197 22) reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 17.6.192 in Gattico, giudicato dal Pretore di Novara il 21.5.1997; 23) reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 10.7.92 e giudicato dal Pretore di Chiavari, sezione distaccata di Rapallo, il 4.10.1997; 24) reato di cui all'art. 485, 648 e 640 cod. pen. commessi il 7.7.92 e giudicati dal Pretore di Firenze il 23.10.97; 25) più reati di cui all'art. 648, 485 e 494 cod. pen. commessi nel 1991 e giudicati dal Pretore di Imperia il 2.2.1998; 26) reato di cui all'art. 455 commesso il 3.3.94 a Como e giudicato dal Tribunale di Como il 4.3.1998; 28) i reati di cui agli artt. 648 e 640 commessi il 21.7.92 e giudicati dal Pretore di Brescia il 4.6.98; 30) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 30.6.1992 e giudicato dalla Corte di appello di Milano il 10.6.96; 31) i reati di cui agli att. 491, 485, 640, 477 cod. pen. commessi il 15.3.91 a San Maro Argentano (Cosenza) giudicati dal Pretore di Cosenza sezione distaccata di San Marco Argentano; 32) il reato dì cui all'art. 385 cod. pen. commesso il 24.6.193 e giudicato dalla Corte di appello di Genova il 3.1.1998; 34) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 11.7.92 a Brescia e giudicato dal Pretore di Brescia in data 8.4.1999. 35) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 30.6.92 e 15.8.92 a Milano e giudicato dal G.i.p. del Tribunale di Milano il 10.5.1999. 36) il reato di cui all'art. 648 commesso il 2.7.92 a Roma e giudicato dal Pretore di Roma il 1.6.1999; 38) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 5.11.1991 fino al 12.11.1991 a Imperia e giudicato dal Tribunale di Imperia il 21.12.2000; 40) il reato di cui all'art. 630 cod. pen. commesso il 21.12.2000 a Imperia e giudicato dal Tribunale di Genova il 25.2.2002. 42) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 2.7.92 a Imperia e giudicato dal Tribunale di Imperia il 24.5.2004; 46) il reato di cui all'art. 648 cod. pen. commesso il 9.7.92 a Ancona e giudicato dal Tribunale di Ancona il 14.2.2001. 2. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, perché il giudice dell'esecuzione avrebbe omesso di rilevare la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali l'omogeneità dei reati, il contenuto arco temporale nel quale erano stati realizzati gli illeciti, le medesime modalità esecutive delle condotte e la medesima esigenza di reperire denaro per soddisfare i propri bisogni. Alcuni reati oggetto dell'istanza, inoltre, erano stati già riuniti tra loro dal vincolo della continuazione. Il ricorrente, poi, contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui il giudice dell'esecuzione ha evidenziato che alcune sentenze di condanna oggetto del titolo esecutivo non erano eseguibili in Italia, per le quali sarebbe stato necessario procedere allo scomputo. Il giudice dell'esecuzione, infine, non avrebbe rideterminato le singole pene irrogate in ordine a reati non più previsti come reato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. 1.1. Il ricorso appare inammissibile nella parte in cui contesta il mancato accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina della continuazione. Il giudice dell'esecuzione, infatti, ha evidenziato che l'istanza difettava della prova circa la sussistenza dell'unicità del disegno criminoso, che ricorre quando i singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall'origine nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, al quale deve aggiungersi, volta per volta, l'elemento volitivo necessario per l'attuazione del programma delinquenziale. Secondo il giudice dell'esecuzione, dalla lettura delle sentenze di merito, si evinceva che i reati, commessi in un arco temporale molto ampio e in contesti territoriali diversi e in più casi molto distanti, per la loro natura, non potevano essere stati pianificati sul piano dell'esecuzione materiale in anticipo dal condannato. Non vi era, pertanto, la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella vicinanza cronologica tra i fatti, nella causale, nelle condizioni di tempo e di luogo, nelle modalità delle condotte, nella tipologia dei reati, nel bene tutelato e nella omogeneità delle violazioni (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, Bonasera, Rv. 246838). Inoltre, come correttamente rilevato nel provvedimento impugnato, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, il mero fine di lucro è relativo al solo movente delle azioni delinquenziali e non può considerarsi elemento sintomatico del medesimo disegno criminoso: in tema di esecuzione, infatti, grava sul condannato che invochi l'applicazione della disciplina del reato continuato l'onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all'identità dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso unitario quanto di un'abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti (Sez. 1, n. 35806 del 20/04/2016, D'Amico, Rv. 267580). 1.2. Generica e come tale inammissibile è, altresì, la censura sulla mancata pronuncia relativa all'applicazione della disciplina del reato continuato con rifermento alle sentenze diverse da quelle n. 6, 7, 12, 1, 10, 14, 17, 19, 22, 21, 5, 2, 4, 3, 8, 11, 42, 34, 46 per le quali il giudice dell'esecuzione ha evidenziato trattarsi di "vicende pregresse o non eseguibili in Italia", stante l'assenza di autosufficienza del ricorso sul punto con indicazione dei motivi specifici di contestazione di quanto scritto dal giudice dell'esecuzione. 1.3. Il ricorso, invece, deve considerarsi fondato nella parte in cui lamenta la mancata pronuncia sulla rideterminazione della pena di tutte quelle condanne oggetto dell'istanza che hanno a oggetto il reato di falsità in scrittura privata ex art. 485 cod. pen., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. 2. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte deve annullare con rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente a tale ultimo profilo. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata limitatamente al punto concernere l'applicazione della legge n. 7 del 2016 con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Ancona. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso il 17 gennaio 2024 Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO La Corte di Appello di Campobasso, collegio civile, riunita in camera di consiglio, composta dai magistrati: dr. Maria Grazia d'Errico - Presidente dr. Gianfranco Placentino - Consigliere relatore dr. Marco Giacomo Ferrucci - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento n. 295/2020 R.G. di appello avverso la sentenza n. 463/2020 pubblicata il 08/10/2020 dal Tribunale di Campobasso nel procedimento n. 260/2014 R.G., notificata in data 16/10/2020 avente ad oggetto: Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima TRA An.Ta. (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv.ti RI.RE. e RI.PA., elettivamente domiciliata in C. (...) 86100 CAMPOBASSO presso i difensori APPELLANTE - APPELLATA INCIDENTALE E Pe.Ma. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RE.GI., elettivamente domiciliato in P.ZZA (...) 86100 CAMPOBASSO presso il difensore APPELLATA - APPELLANTE INCIDENTALE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. An.Ta. ha proposto nei confronti di Pe.Ma. domanda di riduzione di disposizione testamentaria per lesione di legittima e contestuale domanda di divisione, in relazione al testamento olografo del 10/7/2011, effettuato da An.Ta., padre dell'attrice, nato il (...) e deceduto in data 2/10/2012, con il quale veniva nominata erede universale la moglie Pe.Ma., nata il (...). La convenuta, costituendosi e non opponendosi allo scioglimento della comunione ereditaria, chiedeva l'accertamento della donazione indiretta fatta dal padre in favore della figlia in relazione all'atto di compravendita per notar P. del 4.12.1997, relativo all'immobile sito in C. alla Via G. n. 113, bene acquistato con denaro del padre, ed ne ha chiesto la collazione, con dichiarazione dell'obbligo dell'attrice a rendere alla massa i frutti percepiti a far data dalla successione. Venivano assunte prove orali e veniva espletata consulenza tecnica di ufficio, che predisponeva due progetti di divisione, uno comprendente i soli beni relitti indicati in citazione, e l'altro ricomprendente anche l'immobile di via G. 113 C., conteggiato secondo il suo valore al tempo dell'apertura della successione e da includersi nella quota di 1/3 spettante all'attrice. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 463/2020 pubblicata il 08/10/2020, dichiarava inammissibile la domanda di riduzione per lesione di legittima proposta dall'attrice; dichiarava inammissibile la domanda di divisione proposta da parte attrice e da parte convenuta; dichiarava assorbite tutte le altre domande proposte da parte convenuta; compensava integralmente le spese di lite, comprese quelle di CTU. Quanto all'azione di riduzione rilevava che l'attrice, a fondamento dell'azione proposta, si era limitata a fornire un'elencazione dei beni immobili di cui il de cuius era proprietario al momento del decesso, senza allegare i relativi titoli di proprietà, nonché a riferire che lo stesso "aveva titoli e/o depositi a lui intestati e/o cointestati", mentre aveva assolutamente omesso di individuare, in maniera analitica, le porzioni di riserva e di disponibile, nonché di indicare il valore complessivo della massa ereditaria ed il valore della quota di legittima violata dalla disposizione testamentaria del de cuius. Quanto alla domanda di divisione rilevava che nessuna delle due parti aveva offerto la prova circa l'effettiva appartenenza al de cuius dei beni per i quali era stato chiesto lo scioglimento della comunione ereditaria; l'omessa rituale produzione dei titoli di proprietà, dei certificati storici catastali e della documentazione concernente le iscrizioni e trascrizioni nel ventennio, ovvero di relazione notarile sostitutiva, rendevano inammissibile in radice la domanda di dichiarazione dello scioglimento della massa ereditaria. Alcun rilievo avevano sia le denunce di successione - meri atti unilaterali, rilevanti ai soli fini fiscali - sia la documentazione catastale, atteso il fatto che la prova della proprietà di beni immobili non poteva essere fornita con la produzione di certificati catastali. A tale difetto di allegazione e di prova non avrebbe potuto sopperire il giudice, assegnando un termine per il deposito della documentazione, in assenza dei presupposti per la rimessione ex art. 153 c.p.c., né disponendo una consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova. Alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di divisione conseguiva l'assorbimento della connessa domanda formulata dalla convenuta di accertamento della donazione indiretta effettuata da parte del sig. An.Ta. in favore della sig.ra An.Ta., avente ad oggetto la nuda proprietà del bene immobile ubicato in C. alla Via G. n. 113, di cui all'atto notarile per notaio P. del (...), trattandosi di domanda finalizzata alla collazione del predetto immobile alla massa ereditaria da dividere. An.Ta. proponeva appello avverso tale pronuncia con citazione notificata il 02/11/2020 e iscritta a ruolo il 10/11/2020, chiedendo che: -fosse dichiarato che le disposizioni contenute nel testamento olografo in data 10.07.11, con cui An.Ta. aveva istituito la moglie Pe.Ma. unica erede dell'intero suo patrimonio, sono lesive del diritto della figlia An.Ta. alla quota di 1/3 del patrimonio ereditario a lei riservata dall'art. 542, 1 comma, c.c.; -fosse disposta la reintegrazione della quota di legittima di 1/3 del patrimonio spettante alla figlia An.Ta. e lo scioglimento della comunione ereditaria; -fosse ordinata la divisione secondo il progetto di divisione predisposto dalla c.t.u. dott.ssa Te.Ma. dei beni relitti dal defunto An.Ta. (punto 3.2.2, pagina 19, della relazione della c.t.u. datata 2.12.2017) e quindi attribuire a An.Ta. i beni indicati nella "quota A" (punto 3.2.4, pagina 20, della relazione della c.t.u. datata 2.12.2017) per un valore totale di Euro 109.140,50 e conguaglio di Euro 2.812,15 in favore della "quota B" attribuita a Pe.Ma.; -fosse condannata l'appellata al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Si costituiva tempestivamente Pe.Ma., contestando l'inammissibilità e/o improcedibilità dell'appello ai sensi dell'art. 564 cod. civ.; contestava l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c. e dell'art. 348 bis c.p.c.; chiedeva il rigetto dell'appello, in quanto infondato, con conferma della sentenza impugnata; proponeva appello incidentale condizionato, rassegnando le medesime conclusioni come riportate in epigrafe (chiedendo sostanzialmente il riconoscimento della donazione indiretta e lo scioglimento della comunione previa collazione del bene donato). Con nota depositata in data 21/10/22 - fuori udienza - An.Ta. ha dedotto il fatto nuovo della percezione da parte della P. della somma di Euro 254.676,32, per mandati di pagamento del 7/7/2021, effettuati dal Comune di Campobasso in favore della P., a seguito di definizione del procedimento proposto dal de cuius T. nel 2006 contro Comune di Campobasso, avente ad oggetto il risarcimento danni per infortuni sul lavoro e malattie professionali del Tamburri, all'epoca dipendente comunale, come da sentenza del Tribunale di Campobasso del 2012, di accoglimento della domanda, da sentenza della Corte di appello di Campobasso, sull'appello proposto dal Comune , di rigetto dell'appello, e successivamente come da sentenza del 26/6/2020 della Cassazione, di rigetto del ricorso proposto dal Comune; la T. assume che tale somma costituisce parte del relictum ed ha richiesto che sia disposta un'integrazione della CTU a mezzo dello stesso consulente di primo grado per la predisposizione di un progetto di divisione che ricomprenda nel relictum la somma sopra indicata. Rigettata la richiesta di applicazione delle norme sul filtro in appello formulata dalla parte appellata, all'udienza del 23/03/23, tenuta con trattazione scritta, la causa, sulle conclusioni di cui alle note scritte come riportate in epigrafe, veniva riservata per la decisione con l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. In via preliminare, non è ostativa alla disamina del merito l'eccezione di inammissibilità dell'appello per mancata osservanza delle prescrizioni dettate dall'art. 342 c.p.c., sollevata dall'appellata. La norma, come da ultimo modificata dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n.134 del 2012, prevede l'onere per l'appellante di indicare le parti del provvedimento che si intende appellare, le modifiche richieste alla ricostruzione in fatto operata dal primo giudice, l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza appellata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. L'atto introduttivo risulta rispondente a tali requisiti, contenendo: 1) l'indicazione delle parti della sentenza oggetto di censura (pagg.8-9, relative alle dichiarazioni di inammissibilità dell'azione di riduzione, della domanda di divisione e all'assorbimento della domanda relativa alla donazione indiretta; 2) l'esposizione dei motivi di fatto e di diritto per i quali si assume l'erroneità di tali decisioni (da pag. 10 a 19); 3) la specificazione delle modifiche della decisione richieste, indicate nei motivi di appello e sintetizzate nelle conclusioni della citazione introduttiva. 3. Sempre in via preliminare va rigettata la richiesta di parte appellante principale di integrazione della CTU previa ricomprensione nell'asse ereditario della somma di Euro 254.676,32 percepita a seguito di mandati di pagamento del 7/7/2021; ai sensi dell'art. 556 c.c. il relictum va accertato in riferimento al momento della morte; non vi può essere incluso il credito litigioso non ancora esigibile e non ancora entrato nel patrimonio del de cuius, la cui debenza è stata accertata con sentenza passata in giudicato in epoca ampiamente successiva alla morte del de cuius (Cass. n. 35067/2022). Deve inoltre essere evidenziato che la richiesta è pure tardiva, in quanto parte appellata ha depositato copia della missiva in data 21/11/2019, inviata dal procuratore della T. al Comune di Campobasso, con la quale si comunicava che alla figlia spettava la quota di 1/3 della somma da corrispondere, cosicché l'appellante principale, che era a conoscenza del credito sopravvenuto, avrebbe dovuto quantomeno esporre la circostanza con la citazione in appello e non già tardivamente, nel corso del presente procedimento. 4. Quanto all'eccezione di decadenza, formulata dall'appellata P. per la prima volta con la comparsa di costituzione in appello, va rilevato che la mancanza della condizione di cui all'art. 564 c.c. è rilevabile d'ufficio (C. 1701/1968; C. 18068/2012). Ritiene la Corte che l'eccezione sia del tutto priva di fondamento, tenuto conto del fatto che la condizione non è richiesta quando il legittimario agisca in riduzione contro persone chiamate come coeredi (ancorché questi abbiano rinunciato all'eredità), come nel caso in esame; la ratio della norma che impone l'accettazione beneficiata come condizione per l'esercizio dell'azione di riduzione viene individuata nella tutela dei legatari e donatari estranei, per i quali è necessaria la preventiva constatazione ufficiale della consistenza dell'asse ereditario che accerti l'effettiva lesione. Peraltro, l'accettazione beneficiata (sempre in relazione a domande di riduzione nei confronti di estranei) non è necessaria quando il legittimario sia stato totalmente pretermesso dal testatore, non essendo concepibile che intervenga accettazione in mancanza di delazione ereditaria (Cass. 30079/2019; Cass. 20971/2018; Cass. n. 25441 del 26/10/2017; Cass. 13804/2006; Cass. 12632/1995; Cass. 11873/1993; Cass. 3950/1992; Cass. 7899/1990). Anche le ulteriori contestazioni di parte appellata principale, relative al fatto che la T. sarebbe erede per aver accettato quota derivante dalla successione del padre in relazione alla successione della madre, come da sentenza n. 370/2019 del Tribunale di Campobasso, sono prive di fondamento, tenuto conto del fatto che la domanda di riduzione è stata proposta nei confronti della coerede moglie del de cuius come sopra motivato. 5. I motivi di appello principale sono i seguenti: I) erronea dichiarazione di inammissibilità della domanda di riduzione per lesione di legittima; II) erronea dichiarazione di inammissibilità della domanda di divisione. 6. I motivi di appello incidentale condizionato sono i seguenti: I) ECCEZIONE DI DECADENZA AI SENSI DELL'ART. 346 C.P.C ACCERTAMENTO DONAZIONE INDIRETTA E OBBLIGO DI COLLAZIONE III ULTERIORI OSSERVAZIONI SULLA DONAZIONE INDIRETTA E SULLA COLLAZIONE. IV) ULTERIORI OSSERVAZIONI SULLA DONAZIONE INDIRETTA E SULLA COLLAZIONE. V) SULLE RISULTANZE DELLA PROVA TESTIMONIALE SVOLTA NEL CORSO DEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO. VI) CONSULENZA TECNICA D'UFFICIO E COLLAZIONE VII) SULLE CONTESTAZIONI ALLA C.T.U. SULLA RICHIESTA DI RINNOVAZIONE DELLA C.T.U. IN APPELLO. VIII) SUI PROGETTI DI DIVISIONE PREDISPOSTI DAL C.T.U. RELAZIONE PERITALE E RELAZIONE A CHIARIMENTI. IX) SULLE SPESE DI GIUDIZIO E SULLE SPESE DI C.T.U. 7. Con il primo motivo di appello principale si contesta che il principio secondo il quale chi agisce in riduzione deve indicare tutti gli elementi relativi alla lesione della legittima, non trova applicazione quando, come nel caso di specie, viene dedotta la totale pretermissione dell'erede, essendo sufficiente l'indicazione dei beni relitti, essendo il valore della massa pari a quello dei beni assegnati ai destinatari passivi dell'azione di riduzione, e potendosi parametrare la misura della riserva nella medesima percentuale di cui alla previsione normativa da applicare sul relictum. Il motivo è fondato. La Cassazione con pronuncia n. 8554/2023 ha statuito che: "Il principio secondo cui il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, e in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, non può essere applicato qualora il de cuius, come nella specie, senza aver fatto in vita donazioni, abbia disposto con testamento a titolo universale dell'intero asse ereditario ed abbia totalmente pretermesso gli ascendenti dalla quota loro riservata a norma dell'art. 538 c.c., essendo evidente la sussistenza della lesione lamentata sia nell'an che nel quantum. Avendo gli attori indicato gli elementi patrimoniali che contribuivano a determinare la massa ereditaria, nonché, di conseguenza, la quota di legittima integralmente violata, non poteva reputarsi ulteriormente necessaria, come invece ritenuto dai giudici del merito, l'indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente quota di legittima violata. L'omessa allegazione nella citazione introduttiva di beni inclusi nel relictum, o di donazioni o legati disposti dal de cuius, anche in vista dell'imputazione ex se, ove la loro esistenza emerga dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione né ne impone il rigetto, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova (si vedano Cass. Sez. 2, 02/09/2020, n. 18199; Cass. Sez. 2, 31/07/2020, n. 16535; Cass. Sez. 6 - 2, 03/03/2017, n. 5458)". Secondo la prospettazione di parte attrice , che ha contestato la sussistenza della donazione allegata dalla parte convenuta a seguito della sua costituzione, in assenza di preesistenti donazioni poste in essere dal de cuius, ed in presenza di un testamento che aveva del tutto pretermesso l'attrice, l'esistenza della lesione, andava riscontrata esclusivamente sui beni relitti; detta lesione si era manifestata anche per quanto attiene alla sua misura, posto che andava necessariamente determinata in una percentuale corrispondente alla quota riservata per legge al legittimario agente in riduzione. La misura della riserva da tutelare consisteva nella medesima percentuale scaturente dalla previsione normativa da applicare in secondo la prospettazione attorea unicamente sul relictum, avuto riguardo alla contestazione circa la sussistenza di donazioni. 8. Anche il secondo motivo, con il quale l'appellante contesta l'erroneità della sentenza nella parte in cui, in relazione alla domanda di divisione, ha ritenuto che l'attrice non avesse dato prova della proprietà dei beni relitti, è fondato; assume l'appellante che nel giudizio di scioglimento della comunione non doveva essere data prova rigorosa della proprietà. Come correttamente rilevato dall'appellante, nei giudizi di scioglimento della comunione, la prova della comproprietà dei beni dividendi non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall'uno all'altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell'attore, con negazione di quella dei convenuti, sicché, in caso di non contestazione sull'appartenenza dei beni, non può disconoscersi la possibilità di una prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico, siccome ridondanti a vantaggio della collettività dei condividenti (Cass. n. 6228/2023); nella fattispecie la parte convenuta non ha formulato alcuna contestazione circa la ricomprensione dei beni indicati dall'attrice nel relictum e si è associata alla domanda di divisione. Anche il richiamo effettuato dal Tribunale in relazione all'applicabilità dell'art. 567 c.p.c. ai procedimenti di scioglimento della comunione non appare conforme ai principi statuiti dalla Cassazione; nei giudizi di scioglimento della comunione, la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull'immobile da dividere, imposta dall'art. 567 c.p.c. per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l'intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell'opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell'immobile comune, sebbene le informazioni richieste dal predetto articolo si debbano necessariamente acquisire a tutela del terzo acquirente, ma a tale esigenza sovraintende d'ufficio il giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita (Cass. n. 6228 del 02/03/2023; Cass. n. 10067 del 28/05/2020). Ne consegue che in accoglimento dei primi due motivi di appello ed in riforma dell'impugnata sentenza si deve ritenere l'ammissibilità delle domande proposte e si deve procedere all'esame nel merito delle domande e delle eccezioni proposte dalle parti. 9. Parte appellante principale nella citazione in appello dopo aver contestato la dichiarazione di inammissibilità delle domande di riduzione e di scioglimento della comunione, ha insisitito nella richiesta di recepimento del progetto di divisione del CTU alla quota A del punto 3.2.4 della relazione datata 2/12/17 (quota da attribuirsi alla T. per il progetto di divisione che non ricomprende l'immobile di Via Garibaldi di proprietà T.); l'appellante principale in comparsa di costituzione non ha effettuato alcuna specifica deduzione o contestazione in relazione alla domanda di accertamento di donazione indiretta formulata dalla convenuta (salvo poi effettuare controdeduzioni nelle comparse conclusionali); l'appellata P., costituendosi ha riproposto tutte le eccezioni relative all'accertamento della donazione indiretta fatta dal padre in favore della figlia in relazione all'atto di compravendita dell'immobile sito in C. alla Via G. n. 113, in quanto bene acquistato con denaro del padre, e ne ha chiesto la collazione (vedi motivi indicati come di appello incidentale). 10. Deve pertanto essere presa in considerazione in via preliminare la domanda relativa all'accertamento della natura di donazione indiretta del contratto di compravendita in esame. Ritiene il collegio che la domanda proposta dall'appellante incidentale P. sia fondata. Osserva la corte che l'atto riguardante il fabbricato di via G. n. 113 in C. venne stipulato in data 04.12.1997, vale a dire quando la figlia An.Ta., aveva l'età di circa 28 anni, ed era una studentessa, come peraltro testualmente dichiarato a pag. 1 dell'atto notarile; la parte attrice in sede di interrogatorio formale ha confermato la sua qualità (all'epoca) di studentessa; è presumibile che la stessa, in quanto studentessa, non disponesse di fonti di reddito; è altrettanto presumibile che il prezzo dell'acquisto (indicato nel rogito in L. 45.000.000) venne pagato con denaro proveniente interamente dal padre (impiegato - come risulta dallo stesso atto di compravendita); va pure dato rilievo al fatto che la compravendita è stata preceduta da "compromesso di compravendita immobiliare" stipulato in data 27.11.1997 fra il sig. R.V. e il solo An.Ta. (doc. 6), nel quale nessun riferimento vi è in relazione a An.Ta.; le parti si accordavano anche sul pagamento del prezzo prevedendo che , "il prezzo della compravendita di L. 75.000.000 (settantacinque milioni) verrà regolato come segue: - quanto a L. 10.000.000 (dieci milioni) vengono dall'acquirente versate al momento della firma del presente contratto a titolo di caparra confirmatoria e principio di pagamento; - la restante somma di L. 65.000.000 (sessantacinque milioni) a saldo, sarà versata dall'acquirente al venditore al momento della stipula del rogito notarile che si terrà entro e non oltre il 10.12.1997"; nel contratto di compravendita veniva dichiarato che il prezzo era stato già versato prima della stipula del rogito notarile; il teste M.S.M., socia-dipendente dell'epoca dell'agenzia immobiliare "I.C. s.n.c." di Campobasso, ha dichiarato che fu solo An.Ta. a visionare l'immobile; Elena Lafratta, titolare dell'epoca agenzia immobiliare "I.C. s.n.c." ha dichiarato che le trattative per l'acquisto dell'immobile, poi formalizzate con il preliminare, furono tenute esclusivamente da An.Ta.; le circostante allegate dall'attrice in relazione al fatto che all'epoca della compravendita disponeva di denaro personale, in parte donato dai nonni materni ed, in altra parte, ricevuto come eredità dal fratello, è restato del tutto sfornito di prova. Ne consegue che, in assenza di un lavoro o di altra fonte di reddito significativa, e tenuto conto della condizione di studentessa universitaria, deve ritenersi comprovato che il denaro relativo al pagamento del prezzo sia stato fornito unicamente dal padre, all'epoca impiegato. La dazione del denaro quale mezzo per l'unico e specifico fine dell'acquisto dell'immobile, integra un'ipotesi di donazione indiretta del bene, fattispecie la cui configurazione non richiede peraltro la necessaria articolazione in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all'alienante, presenza alla stipulazione, sottoscrizione d'un contratto preliminare in nome proprio- requisiti peraltro presenti nella fattispecie in esame), necessaria e sufficiente al riguardo essendo la prova del collegamento tra elargizione del denaro ed acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all'acquisto Nel fare applicazione dei suindicati principi, la S.C. ha ritenuto che integri una fattispecie di donazione indiretta dell'immobile, e non già di donazione diretta del denaro impiegato per il suo acquisto, l'ipotesi caratterizzata dalla dazione del denaro con il precipuo scopo dell'acquisto immobiliare, in ragione del ravvisato collegamento tra l'elargizione del denaro da parte del disponente e l'acquisto del bene immobile da parte del beneficiario, indifferente al riguardo reputando che la prestazione in favore dell'alienante venga effettuata direttamente dal disponente (presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell'immobile) ovvero dallo stesso beneficiario (dopo aver ricevuto il denaro dal disponente ed in esecuzione del complesso procedimento da quest'ultimo inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità), con o senza stipulazione in nome proprio d'un contratto preliminare con il proprietario dell'immobile (Cass. n. 3642/2004). In tali casi, come confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, non essendo richiesta per la donazione indiretta la forma prevista dalla legge per la donazione, essendo sufficiente l'osservanza della forma prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (cfr. Cass. civ. n. 1955/2007; Cass. civ. n. 5333/2004), il fine di liberalità e la sua realizzazione da parte del donante mediante il pagamento del prezzo dell'acquisto fatto dal donatario ben possono essere provati anche per testimoni oppure mediante presunzioni. Deve conseguentemente essere accolta la domanda della P. di dichiarazione di obbligo di collazione del predetto bene ai sensi dell'art. 737 cod. civ., che dispone che i figli, i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione, direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia a ciò dispensati; nessuna prova è stata offerta dall'attrice circa la dispensa dalla collazione; il "donatum", costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, deve essere stimato, in relazione ai beni immobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (art. 747 cod. civ.). 11. Ciò premesso, deve essere preso in considerazione il secondo progetto divisionale, che ricomprende anche l'immobile di G.G. n. 113 in C., conteggiato secondo il suo valore al tempo dell'apertura della successione. Per An.Ta. è prevista l'assegnazione della "quota A" che ricomprende: - la proprietà del piano terra del fabbricato situato in C. alla c.da. T., riportato al catasto al fg. (...) particella (...), sub (...), - la pertinenza del predetto fabbricato situato in C. alla c.da. T., riportato al catasto al fg. (...) particella (...), sub (...); - la proprietà dell'appartamento situato in C. alla Via G. n. 133, censito al fg. (...), particella n. (...) sub (...); - la proprietà dei terreni di cui alle particelle nn. (...), (...), (...) e (...) del foglio n. (...); - l'assegnazione delle somme di denaro e titoli per il valore di Euro. 11.644,48; il tutto con un valore della quota di Euro 129.390,48, un valore della quota di spettanza di Euro 128.662,00 e un conguaglio in danaro a favore della "quota B" di Euro 728,82. Per la P. è prevista l'assegnazione della "quota B" che ricomprende: -la proprietà del primo piano, secondo, terzo del fabbricato situato in C. alla c.da. T., riportato al catasto al fg. (...) particella (...), sub (...); - la pertinenza del predetto fabbricato situato in C. alla c.da. T., riportato al catasto al fg. (...) particella (...), sub (...); - la proprietà dei terreni di cui alle particelle nn. (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) del foglio n. (...); - l'assegnazione delle somme di denaro e titoli per il valore di Euro. 23.289,00; il tutto con un valore della quota pari ad Euro 256.594,50, con quota di spettanza pari ad Euro 257.323,32 e con un conguaglio a carico della "quota A" in favore della "quota B" pari ad Euro 782,82. Il progetto deve essere approvato per il fatto che il CTU ha affermato di aver evitato di instaurare servitù e situazioni sfavorevoli al pieno godimento dei beni, specificando che la pertinenza relativa al fabbricato situato in C. alla c.da. T., riportato al catasto al fg. (...) particella (...), sub (...), è stata ripartita equamente fra gli eredi; i terreni sono stati assegnati in modo da avere un accesso indipendente; nella formazione delle quote il CTU ha tenuto conto condivisibilmente della situazione possessoria dei condividenti, attribuendo i beni secondo il precedente possesso dei beni stessi. Non può essere accolta la richiesta di parte appellata di accoglimento del progetto di divisione alternativo da lei formulato, che prevede l'assegnazione alla P. anche del piano terra dell'immobile di C.da T., con assegnazione alla T. di tutti i terreni, atteso il fatto che nella divisione deve per quanto possibile essere disposta l'attribuzione dei beni comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, secondo quanto previsto dall'art. 727 c.c.; inoltre detto progetto prevede l'instaurazione di servitù di passaggio, per consentire l'accesso ad altro fabbricato della stessa P.; del resto quest'ultima in via subordinata ha aderito all'ipotesi di divisione che prevede l'assegnazione della "quota B" come individuata dal CTU e come sopra descritta. 12. L'esito complessivo del procedimento, che ha visto l'accoglimento per quanto di ragione della domanda di riduzione, l'accoglimento dell'eccezione relativa alla sussistenza di donazione indiretta e l'accoglimento della domanda di divisione, integra una soccombenza reciproca, tale da indurre il collegio a disporre la compensazione totale delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio tra le parti; va disposto che le parti sostengano le spese relative alla c.t.u. espletata in relazione alle relative quote, e cioè per 1/3 a carico della T. e per 2/3 a carico della P., con vincolo di solidarietà. P.Q.M. La Corte d'Appello di Campobasso, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da An.Ta., nonché sull'appello incidentale proposto da Pe.Ma., avverso la sentenza n. 463/2020 pubblicata il 08/10/2020 dal Tribunale di Campobasso, così provvede: in parziale accoglimento dell'appello principale e in accoglimento per quanto di ragione dell'appello incidentale e in riforma dell'impugnata sentenza: -dichiara l'ammissibilità della domanda di riduzione e di scioglimento della comunione proposta da An.Ta.; -accerta la natura di donazione indiretta del contratto di compravendita per notaio F.P. tipulato in data 04.12.1997 tra V.R., da una parte, e An.Ta. e An.Ta., dall'altra, avente ad oggetto il fabbricato sito in Campobasso distinto al catasto al Fg. fg.(...) part.(...) sub (...), per il prezzo complessivo di L. 45.000.000 e ne dispone la collazione alla massa ereditaria; -dichiara lo scioglimento della comunione tra coeredi e attribuisce le porzioni in natura dei beni indivisi come segue: a An.Ta. (quota A): - piano terra del fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...) Euro 1.100,00 - Pertinenza fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...) Euro 2.222,00 - Appartamento di via G. 113 CB fg.(...) part.(...) sub (...) Euro 67.000,00 Valore Euro 110.322,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 1980 Euro 3.274,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 1080 Euro 1.539,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 940 Euro 1.209,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 1090 Euro 1.402,00 valore Euro 423,00 Sommano Euro 17.746,00 Somme di denaro 1/3 di Euro 34.933,45 Euro 11.644,48; a Pe.Ma.: - primo piano del fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...); Euro 132.000,00 - secondo piano del fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...); Euro 55.236,00 - terzo piano del fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...); Euro 18.600,00 - Pertinenza fabbricato C.da T. fg.(...) part.(...) sub (...); Euro 4.444,00 Valore Euro 210.280,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 150 Euro 248,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 2.580 Euro 3.860,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 6.420 Euro 8.691,00 - Terreno particella (...) fg.(...) bosco mq 4.570 Euro 6.862,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 690 Euro 1.414,12 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 330 Euro 624,00 - Terreno particella (...) fg.(...) incolto mq 680 Euro 1.326,43 valore Euro 3.025,54 Sommano Euro 33.305,54 Somme di denaro 2/3 di Euro 34.933,45 Euro 23.289,00 -pone a carico di An.Ta. l'obbligo di corrispondere a Pe.Ma., a titolo di conguaglio, la somma di Euro 728,82; -rigetta ogni altra domanda; -dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio; -pone le spese relative alle c.t.u. svolte in primo grado definitivamente a carico delle parti nella misura di 1/3 a carico di An.Ta. e 2/3 a carico di Pe.Ma., con vincolo di solidarietà. Così deciso in Campobasso il 21 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA Sezione Ottava Civile (...) composto: dott. (...) dott. (...) dott. (...) relatore riunito in camera di consiglio ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...) del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2019, ritenuta in decisione su conclusioni precisate all'udienza del 21 novembre 2023, vertente T R A (...) elettivamente domiciliat (...), presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende in virtù di procura in calce alla memoria di costituzione, (...) e (...) elettivamente domiciliati in (...) alla piazza dei (...) degli (...) n. 22, presso lo studio dell'avv. (...) che li rappresenta e difende in virtù di procura in calce alla memoria di costituzione e alla comparsa di intervento volontario, (...) elettivamente domiciliat (...)/B, presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore (...) E (...) (...) (...) elettivamente domiciliati in (...) alla piazza della (...) n. 85, presso lo studio degli avv.ti (...) e (...) che li rappresentano e difendono in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta (...) OGGETTO: azione di riduzione per lesione di legittima (...) All'udienza del 12 dicembre 2023 le parti, ad eccezione di (...) di (...) che ha insistito per la riduzione per lesione di legittima del testamento olografo di (...) datato 27.1.2011, hanno congiuntamente chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere (...) E (...) Il giudizio è stato introdotto da (...) nel maggio del 2019 al fine di ottenere la riduzione delle disposizioni contenute nel testamento olografo del 27 gennaio 2011 redatto dal defunto marito (...) A sostegno della propria domanda ha dedotto che il contestato testamento, che le attribuiva soltanto un legato in sostituzione di legittima a cui ella aveva rinunciato ai sensi dell'art. 551 c.c., era lesivo della quota di legittima spettantele quale riservataria. I convenuti indicati in epigrafe, beneficiari delle disposizioni testamentarie oggetto dell'azione di riduzione, si sono costituiti sollevando eccezioni pregiudiziali e comunque contestando nel merito la fondatezza della domanda avversaria. Deceduta in corso di causa (...) si sono costituiti in giudizio, per la relativa prosecuzione, i di lei eredi (...) (...) e, in un secondo tempo, (...) e (...) Si è altresì costituita (...) assumendo di essere erede della defunta. Tanto premesso, deve osservarsi che, come rappresentato e documentato dai procuratori delle parti, tra le stesse è intervenuto, in data 25 gennaio 2023, un accordo transattivo volto alla bonaria definizione della controversia, accordo che tra l'altro prevede il pagamento da parte dei convenuti della somma di Euro 2.162,716,81, oltre al 50% delle somme giacenti sui conti intestati o cointestati al de cuius presso la (...) S.p.A., a tacitazione di ogni pretesa successoria di (...) sull'eredità del di lei marito. Alla luce di quanto sopra e tenuto conto che le posizioni espresse dalle parti dimostrano la completa eliminazione di ogni ragione di contrasto tra le stesse, deve dichiararsi cessata la materia del contendere. Non ostano a tale conclusione i rilievi critici di (...) il quale, con memoria depositata il 20 settembre 2023, ha contestato il predetto atto transattivo limitatamente alla parte concernente la modalità di ripartizione tra gli eredi di (...) della somma dovuta dai convenuti. In particolare, assumendo di avere diritto a 1/3 della somma, e non già ad 1/8 come stabilito nell'accordo, ha sostenuto che esso sarebbe annullabile per vizio del consenso (errore o dolo) ovvero rescindibile per lesione oltre il quarto. Al riguardo è però sufficiente osservare che l'oggetto della presente controversia è costituito esclusivamente dalla reintegrazione della quota di legittima spettante a (...) in relazione alla successione del coniuge e che tale reintegrazione è stata negozialmente disposta attraverso la corresponsione, a parte dei beneficiari del testamento, di una somma di denaro che tutti gli eredi di (...) compreso (...) hanno ritenuto (e ritengono) congrua e idonea allo scopo. La modalità con cui gli eredi di (...) provvederanno poi a distribuire tra di essi la somma corrisposta per reintegrare la legittima spettante alla loro dante causa è questione che si pone al di fuori del thema decidendum che contraddistingue il presente giudizio. Eventuali contrasti sui criteri di ripartizione di quella somma non impediscono, pertanto, di ritenere venuta meno la materia del contendere di questo processo. Ai soli fini di completezza espositiva, si rileva comunque che un eventuale errore di (...) nell'aderire all'accordo divisionale non sarebbe idoneo ad invalidare l'atto, stante il disposto dell'art. 1969 c.c.; che il dolo delle altre parti condividenti è stato dedotto in termini del tutto generici, senza neppure indicare quali sarebbero state le condotte decettive poste in essere dagli altri contraenti; che l'asserita lesione oltre il quarto non potrebbe condurre alla rescissione dell'accordo giacché, essendosi pervenuti alla formazione di quote e all'attribuzione di beni senza ricorso a criteri aritmetici rigorosi ma in maniera bonaria e senza corrispondenza tra entità delle porzioni e misura delle quote, viene qui in rilievo una cd. transazione divisoria, come tale non suscettibile di rescissione giusta il disposto dell'art. 764, comma 2, c.c. (cfr. Cass., 6.9.1997, n. 7219; Cass., 2.2.1994, n. 1029; Cass., 3.8.2012, n. 13942; Trib. Napoli, 18.2.2002, in Giur. napoletana, 2002, 436). Contrariamente a quanto sostenuto da (...) nel corso di causa, neppure potrebbe sostenersi che la transazione sia nulla poiché non è stata sottoscritta da alcuni degli eredi di (...) i sig.ri (...) e (...) ed è invece stata sottoscritta da un soggetto che non è erede della predetta defunta, ovverosia la sig.ra (...) Su questo punto deve sottolinearsi che ciò che rileva ai fini della validità dell'atto è che tutti gli eredi di (...) vi abbiano partecipato esprimendo un'univoca e concorde volontà negoziale. Nella specie tale condizione è stata senz'altro rispettata dal momento che (...) e (...) pur non avendo firmato l'accordo transattivo nel gennaio 2023, hanno successivamente manifestato la volontà di aderirvi, rendendo e sottoscrivendo un'espressa dichiarazione in tal senso anche all'udienza del 12 dicembre 2023. La volontà negoziale da essi espressi si sostituisce, dunque, a quella manifestata da (...) senza che costei ne avesse la legittimazione. Con la propria comparsa conclusionale (...) ha contestato l'efficacia dell'accordo transattivo anche perché i pagamenti rateali ivi previsti non sarebbero stati eseguiti alle scadenze pattuite. Deve però rilevarsi che tale questione è stata tardivamente introdotta soltanto negli scritti difensivi conclusivi e pertanto non può essere più oggetto di esame in questa sede. (...) il (...) l'inadempimento si sarebbe manifestato già da luglio 2023, ragion per cui egli avrebbe potuto far valere tale circostanza o all'atto della sua autonoma costituzione, in data 20 settembre 2023, o in una delle udienze successivamente tenutesi (quella del 21 settembre 2023, quella del 12 ottobre 2023 e quella del 12 dicembre 2023), nella quali egli è invece rimasto del tutto silente su tale aspetto. In linea con le pattuizioni contenute nel più volte menzionato atto transattivo, le spese legali di lite devono essere interamente compensate tra le parti. Le spese della consulenza tecnica, liquidate nel corso del giudizio, possono porsi definitivamente a carico di tutte le parti in misura paritaria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede: 1. dichiara cessata la materia del contendere; 2. dichiara interamente compensate tra le parti le spese legali del giudizio; 3. pone definitivamente a carico delle parti, in misura paritaria, le spese della consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto. Così deciso in Roma il 19 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2024.
CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Prima sezione civile La Corte d'Appello nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Paola Montanari Presidente dott. Antonella Allegra Consigliere dott. Rosario Lionello Rossino Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al numero ...del Ruolo Generale dell'anno 2020, promossa da TIZIA nata a ...il ...domiciliata in Francia con il patrocinio dell'avv. ... -appellante- contro CAIO nato a ... il ...ivi residente con il patrocinio dell'Avv. ... - appellato- IN PUNTO A: appello avverso la sentenza non definitiva n. .../2019 del 5-18 novembre 2019 e la sentenza definitiva n.../2020 del 17 -25 giugno 2020 Tribunale di Bologna. CONCLUSIONI Per TIZIA come da note scritte depositate il 20 marzo 2023. Per CAIO come da note scritte depositate il 20 marzo 2023. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1-Con atto di citazione ritualmente notificato Tizia ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, il fratello Caio, domandando al Giudice adito di accertare e dichiarare valido il testamento olografo redatto da Mevia (madre delle parti) il 15 dicembre 2010, con il quale quest'ultima quale aveva nominato i due figli eredi universali con attribuzione ad essa attrice della quota disponibile; di accertare la natura di donazione diretta delle somme prelevate da Caio dai conti bancari intestati o cointestati alla madre (da quantificarsi in Euro 300.000,00 o nell'importo maggiore o minore che sarebbe stato stabilito) e, per l'effetto, in via principale, di dichiararle nulle per mancanza di forma dell'atto pubblico, con conseguente condanna del convenuto al pagamento dell'equivalente somma in favore di essa attrice, ovvero, in subordine, qualora le si ritenesse valide, di dichiarare Caio tenuto alla collazione del suddetto importo; di dichiarare che il valore dell'asse ereditario -comprensivo del relictum e del donatum- era di Euro 2.439.500,00, salvo diverso accertamento del Giudice adito; di accertare e dichiarare l'inefficacia della dispensa dalla collazione contenuta nell'atto di donazione da parte della de cuius ad Caio del 19 febbraio 2010 per la parte eccedente la quota di disponibile e, per l'effetto, dichiarare il convenuto tenuto alla collazione delle somme corrispondenti al valore degli immobili eccedenti la dispensa medesima o, in subordine, degli immobili eccedenti la dispensa; di accertare e dichiarare la lesione della quota di riserva spettante per legge ad essa attrice nella misura di Euro 390.431,00 o in quella maggiore o minore accertata in corso di causa e disporre la reintegrazione della quota di riserva come sopra determinata ai sensi degli artt. 553 e ss. c.c.; di accertare e dichiarare ,ai sensi degli artt. 553 c.c. e s.s., la riduzione della donazione del 19 febbraio 2010 nei limiti della lesione della quota di riserva per la complessiva somma che sarebbe stata accertata in corso di causa; di dichiarare tenuto e condannare -per effetto della riduzione ex artt. 553 e s.s. c.c. della predetta donazione- Caio a versare ad essa attrice la somma corrispondente all'importo necessario a reintegrare la quota di riserva lesa, oltre a interessi e rivalutazione dalla data dell'apertura della successione al saldo; in subordine, di condannare il convenuto alla restituzione in favore di essa attrice degli immobili donatigli per il valore corrispondente e necessario alla reintegrazione della quota di riserva lesa; di attribuire ad essa attrice ulteriori beni la cui esistenza dovesse emergere in corso di causa e costituenti quota di disponibile; di dichiarare tenuto e condannare Caio alla consegna e/o restituzione ad essa attrice di tutti i beni mobili appartenuti alla de cuius che si trovavano nella disponibilità del medesimo e/o di quelli la cui esistenza dovesse essere accertata in corso di causa; di emettere ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e consequenziale. Si è costituito in giudizio Caio, il quale ha domandato, in via principale, la reiezione di tutte le domande proposte dall'attrice in quanto infondate in fatto e in diritto; in via riconvenzionale, che fosse accertata la nullità e/o dichiarato l'annullamento del testamento olografo redatto dalla signora Mevia il 15 dicembre 2010 per incapacità naturale della testatrice; per l'effetto, che fosse dichiarata aperta la successione della signora Mevia in forza del testamento pubblico del 19 febbraio 2010, con conseguente attribuzione ad Tizia della sola quota di legittima e ad esso convenuto dell'intera porzione disponibile e di quota della legittima; che fosse accertata la natura di donazione diretta della complessiva somma di Euro 150.000,00, o di quella maggiore o minore che sarebbe stata determinata in corso di causa, a Tizia e, per l'effetto, che quest'ultima fosse dichiarata tenuta alla collazione; che l'attrice, nel caso in cui le donazioni fossero ritenute nulle per vizio di forma, fosse condannata a restituirgli l'equivalente, oltre a interessi e rivalutazione dalla data dell'apertura della successione; che fosse pronunciato lo scioglimento della comunione ereditaria tra le parti e si procedesse alla divisione dei beni. La causa è stata istruita con quattro C.T.U., redatte rispettivamente dal prof. X, per accertare la capacità di testare della signora Mevia, al momento della redazione del testamento olografo, dal geom. ...per stimare il valore dei beni immobili appartenuti alla de cuius, dal dott. ...per accertare la massa ereditaria e dall'Arch. ...per valutare i beni mobili relitti dalla defunta. Con sentenza non definitiva n. 2459/2019 del 5-18 novembre 2019, il Tribunale di Bologna ha dichiarato aperta la successione di Mevia, nata a Bologna il 26 settembre 1924 e ivi deceduta il 12 gennaio 2011; ha dichiarato nullo per difetto di capacità naturale di Mevia il testamento olografo datato 15 dicembre 2010, pubblicato il 3 febbraio 2011 a ministero del notaio...; ha dichiarato, per l'effetto, applicabili le disposizioni contenute nel testamento pubblico rogato in data 19 febbraio 2010 dal notaio ...e dal medesimo pubblicato il 26 gennaio 2011; ha dichiarato la nullità per difetto di forma delle donazioni di Euro 37.100,00 a favore di Caio e di Euro 42.700,00 a favore di Tizia da parte della de cuius Mevia; ha dichiarato che l'asse ereditario era pari a Euro 1.741.879,89; ha dichiarato che la quota di legittima spettante all'attrice era pari a Euro 580.626,63; ha rigettato la domanda formulata da Tizia di riduzione per lesione della quota di legittima; ha dichiarato tenuto Caio a rifondere all'attrice l'importo di Euro 23.458,88, pari ai due terzi (2/3) delle tasse di successione relative al bene immobile situato in Spagna. Con separata ordinanza emessa lo stesso 18 novembre 2019, il Tribunale ha disposto un supplemento di C.T.U. per la determinazione del valore attuale dell'immobile sito in ... (E). Nella relazione integrativa depositata il 31 gennaio 2020, il geom. ...ha stimato il valore attuale dell'immobile (composto da due unità abitative e da terreno di pertinenza in comproprietà) in Euro 520.000,00, di cui Euro 250.000,00 per ciascuna delle due porzioni abitative ed Euro 20.000,00 per l'autorimessa. Il Tribunale, infine, con sentenza definitiva n. 944/2020 del 17 -25 giugno 2020, ha, poi, dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria tra Tizia e Caio; ha assegnato a Tizia l'immobile sito in Spagna nel Comune di ... (Girona), urbanizzazione ...n.378, identificato nel catasto del Comune di ...n. proprietà 3.158 abitazione piano terra vol. 2408, libro 56, foglio 121, rif. Catastale..., abitazione piano primo vol. 2408, libro 56, foglio 121, rif. Catastale...; ha assegnato ad Caio tutti i beni mobili appartenuti in vita a Mevia (aventi un valore complessivo stimato in Euro 21.875,00 dall'Arch....) e l'importo di Euro 57.829,85 presente nei conti e titoli, previa detrazione della somma necessaria per il pagamento del debito ereditario che non risultava ancora onorato; ha disposto che Tizia versasse al fratello, a titolo di conguaglio, la somma di Euro 160.685,05; ha compensato integralmente le spese di lite, ivi comprese quelle delle espletate C.T.U. 2- Avverso le predette sentenze ha proposto appello Tizia. Si è costituito in giudizio Caio e ha resistito all'impugnazione. La causa, dopo che era stata trattenuta in decisione, è stata rimessa in istruttoria, per l'acquisizione del fascicolo di ufficio cartaceo del primo grado, contenente la relazione del Prof. X, indispensabile per la decisione, avuto riguardo ai motivi del gravame di Tizia. La causa è stata, infine, trattenuta in decisione all'esito di trattazione cartolare con concessione dei termini di cui all'art. 190 c. p. c. 3-Con il primo motivo di gravame Tizia ha censurato la sentenza non definitiva in precedenza meglio indicata perché basata su una ricostruzione dei fatti non corretta, frutto di una errata interpretazione delle risultanze istruttorie e delle conclusioni alle quali era pervenuto il CTU medico- legale. La tesi della appellante risulta destituita di fondamento. Va, innanzitutto, ricordato che il C.T.U. prof. X, incaricato di stabilire se la signora Mevia avesse capacità di testare ha concluso, come pure rilevato dal Giudice di prime cure, che dall'attenta analisi della documentazione sanitaria relativa alla defunta "non emergono dati certi per potere affermare che ella, in data 15 dicembre 2010, al momento cioè della disposizione per testamento da lei effettuata, fosse totalmente incapace di intendere e di volere"; "qualora si volesse invece effettuare una valutazione utilizzando un criterio di "probabilità"" è "più probabile che non" che la signora Mevia non disponeva, in data 15 dicembre 2010, della capacità di testare". Il giudizio ora riportato, come pure rilevato dal Tribunale, ha alla sua base le risultanze delle cartelle cliniche degli istituti nei quali la de cuius è stata ricoverata. Da tale documentazione si desume: -che il 25 novembre 2010 la signora Mevia ha subito la frattura di un femore ed è stata, per tale ragione, ricoverata all'Ospedale Maggiore, dove i sanitari non hanno ritenuto che la stessa fosse in grado di firmare il consenso al trattamento, tanto è vero che tale consenso è stato sottoscritto dal figlio Caio, il quale aveva accompagnato la madre; -che, nel corso della notte di degenza, sono state redatte due osservazioni cliniche: nella prima, è stato descritto un sufficiente assetto cognitivo-comportamentale ("paziente vigile orientata e parzialmente collaborante"), mentre nella seconda è stato rilevato un disorientamento della donna nello spazio e nel tempo; -che la mattina dopo la Mevia è stata accompagnata all'Istituto Ortopedico Rizzoli, dove è rimasta ricoverata dal 26 novembre fino al 6 dicembre; -che, nella cartella clinica, si rinviene una valutazione di demenza senile acclarata, riportata dai clinici sia in fase pre-operatoria che post-operatoria, accompagnata da note specificanti l'esistenza di un evidente disorientamento spazio -temporale associato a turbe comportamentali; -che "la valutazione geriatrica multidimensionale effettuata il 2 dicembre 2010 è stata redatta da una specialista in geriatria in equipe con una assistente sociale, persone qualificate per effettuare tale tipo di intervento"; -che "la tipologia di indagini scelte è sovrapponibile a quella mediamente impiegata per lo svolgimento di valutazione geriatrica, sulla quale normalmente viene già posta la diagnosi di patologia degenerativa. In specifico, il punteggio 14/30 ottenuto dal Mini Mental State Examination è, secondo la taratura italiana, indubbiamente espressione di un quadro di demenza conclamata, e non di un esordio della patologia, nei punteggi compresi tra = e 1; - che, nel periodo nosocomiale trascorso a "Villa Regina" (protrattosi dal 6 al 28 dicembre 2010), è stata confermata la presenza di un quadro di demenza senile ("involuzione cerebrale senile"); - che, nella diaria della cartella, la paziente è descritta come "confusa e disorientata in modo costante"; -che il 15 dicembre 2010, che è proprio il giorno della redazione del testamento, dalla cartella infermieristica si desume che la Mevia è "confusa e disorientata nel tempo e nello spazio"; - che, nella lettera di dimissione del 28 dicembre, è confermata la diagnosi di involuzione cerebrale senile con la seguente specificazione: "vigile ma poco collaborante, disorientata nel tempo e nello spazio (...). Al momento non si è riusciti a ottenere ulteriore recupero dell'autonomia motoria sia per la mancata concessione del carico sull'arto operato, sia per il quadro cognitivo e la scarsa collaborazione della paziente durante il trattamento riabilitativo"; -che, nel periodo di degenza presso l'"Istituto Sant'Anna", dove la Mevia è stata ricoverata fino al decesso, è stato costantemente segnalato un quadro di disorientamento con disturbi sul versante comportamentale; -che, nella scheda di valutazione del 22 dicembre 2010, è attestato un "disorientamento evidente dal ricovero, Disturbo della memoria da circa tre anni (memoria breve). Stato confusionale sogno-realtà"; -che, ancora, nel certificato medico di domanda di pensione di invalidità INPS, redatto dal dott. ...I il 21 dicembre 2010, è stata ulteriormente attestata la presenza di un "quadro di involuzione cerebrale senile con incapacità del soggetto di compiere gli Ferreira quotidiani della vita senza assistenza continua"; -che, infine, la consulenza psichiatrica eseguita il 4 gennaio ha certificato quanto segue "A tratti poco collaborante. Quadro di deterioramento cognitivo con turbe comportamentali e sintomi psicotici"; - che, in due occasioni, vale a dire il 26 novembre e il 6 dicembre, i medici hanno domandato rispettivamente ad Caio e a Tizia il consenso al trattamento dei dati e all'espletamento delle operazioni medicali necessarie alla paziente, ritenendo che quest'ultima non fosse in grado di autodeterminarsi su tale versante. Sulla scorta delle risultanze predette, il prof. X ha osservato: - che, in termini clinici, secondo la nosografia vigente, "la presenza di un significativo declino cognitivo rispetto ad un precedente livello di prestazione in almeno un'area cognitiva, acclarata da clinici specialisti, e implicante una significativa compromissione della performance cognitiva, preferibilmente documentata da test neuropsicologici standardizzati (nel caso in questione la valutazione psicogeriatrica del Rizzoli), o, in loro assenza, da un'altra valutazione clinica quantificata (vedi cartella Istituto Sant'Anna e consulenza psichiatrica del 4 gennaio 2011), con deficit cognitivi che interferiscono con l'indipendenza nelle attività quotidiane, non esclusivamente presenti all'interno di un delirium e non spiegati da un altro disturbo mentale e che creano completa dipendenza, configurano un "disturbo neurocognitivo maggiore di entità grave""; -che è clinicamente risaputo che "il quadro clinico dementigeno è ad insorgenza lenta, progressivo ed irreversibile, per cui, laddove abbia raggiunto livelli di gravità pacifici, esso si presenta come sottofondo patologico costante nel soggetto e non è possibile clinicamente affermare che abbia andamento fluttuante e ondivago, soprattutto in forme di gravità acclarata"; -che, nella diaria clinica del periodo intercorrente tra il 26 novembre 2010 al 12 gennaio 2011 (giorno della morte), la paziente è stata costantemente valutata come disorientata nello spazio e nel tempo con turbe comportamentali e non collaborante nella cura della persona; -che le certificazioni raccolte all'esito della valutazione di una equipe multidisciplinare geriatrica, da uno psichiatra e da tutti i medici e operatori sanitari che hanno avuta in cura la de cuius durante la degenza, "sono evidenze più che certe che ella presentasse un quadro riconoscibile di disturbo neurocognitivo maggiore grave, inficiante la capacità di agire e che non sia possibile ritenere il quadro, per sua natura costante progressivo e irreversibile, spegnersi e accendersi progressivamente. Nonostante sia nota la giusta cautela nell'operare posizioni su testatori deceduti (....), pare che questo sia il caso di una condizione di certa demenza grave con scollamento dal piano di realtà". Orbene, alla luce del quadro sopra delineato, è irrilevante, a differenza di quanto sostenuto dall'appellante, che il CTU abbia affermato che "1) non emergono dati certi per potere affermare che ella, in data 15 dicembre 2010, al momento cioè della disposizione per testamento da lei effettuata, fosse totalmente incapace di intendere e di volere";"2)qualora si volesse invece effettuare una valutazione utilizzando un criterio di "probabilità"" è "più probabile che non che la signora Mevia non disponeva, in data 15 dicembre 2010, della capacità di testare". Trattasi all'evidenza di un giudizio sicuramente improntato a prudenza, che lo stesso CTU ha spiegato in sede di esame delle osservazioni dei consulenti di parte, sottolineando che la prima affermazione significava esclusivamente che, sulla scorta della attenta analisi della documentazione sanitaria e anche dei contributi offerti dai consulenti di parte, non aveva potuto disporre di dati certi per potere definire quale fosse l'assetto cognitivo della Mevia al momento della sua disposizione per testamento, cioè a dire in data 15 dicembre 2010, non certo che quest'ultima, come avrebbe preteso il CTP prof..., che "la signora Mevia avesse, in quella giornata di dicembre, ampiamente recuperato quella quota minima di capacità richiesta per formulare un atto di volizione testamentario semplice e coerente con quanto più volte esternato nel corso della sua vita". Il Prof. X ha, invero, affermato, sempre in sede di contraddittorio tecnico "...per quel che concerne il dissenso circa la valutazione probabilistica da noi effettuata, l'esame della documentazione sanitaria propone osservazioni e segnalazioni (mediche ed infermieristiche) che seppure non pienamente esaustive ed approfondite indicano inequivocabilmente una condizione di apprezzabile "compromissione", mentre mancano equivalenti segnalazioni relative ad una preservata "capacità". Di conseguenza, in una mera valutazione probabilistica (limitata non tanto all'"altamente probabile", quanto "al più probabile che non") la nostra valutazione ci sembra coerente e documentata". Alla luce di quanto sopra riportato, non pare proprio che la relazione del CTU avvalori le tesi dell'appellante, come pretenderebbe Tizia, e che, dunque, il primo Giudicante abbia frainteso il giudizio espresso dal Prof. X. Il contenuto del testamento del 15 dicembre 2010 "Oggi mercoledì 15 dicembre 2010 a Bologna Io sottoscritta Mevia dichiaro in atto di morte nel pieno possesso delle mie facoltà mentali di annullare le donazioni (illeggibile) dei miei beni a mio figlio Caio in quanto desidero lasciare anche a mia figlia Tizia la totalità dei miei beni lasciando solo la (illeggibile) legittima a mio figlio Caio in quanto sono stata forzata da lui a fargli le donazioni dei miei beni contro la mia volontà. In fede Mevia", come in maniera del tutto condivisibile rilevato dal Giudice di prime cure, si presenta, peraltro, relativamente complesso e, perciò, incompatibile con le condizioni della de cuius, quali emergenti dalla documentazione medica, tanto più che non risulta che, dopo il testamento pubblico del 19 febbraio 2010, risalente, quindi, a pochi mesi prima, siano intervenute circostanze che potessero giustificare un radicale mutamento delle disposizioni contenute nell'atto da ultimo richiamato (con il quale ha nominato universali i figli Caio e Tizia, il primo per la quota di riserva a lui spettante e per l'intera disponibile e la seconda per la sola quota di riserva devolutale ex lege; ha precisato che negli ultimi anni aveva effettuato le seguenti donazioni in denaro: a Tizia 100.000,00 dollari americani e 50.000,00 euro e ad Caio 25.000,00 euro; ha revocato i precedenti testamenti). Giova ricordare che l'annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l'esistenza non già di una semplice anomalia od alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri Ferreira ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere. Viceversa, a fronte di un'infermità tipica, permanente ed abituale, l'incapacità si presume e la prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi afferma la validità del testamento. Qualora, invece, si tratti di un'infermità intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità a periodi di incapacità non sussiste la presunzione di incapacità e la prova dell'incapacità deve essere data da chi impugna il testamento. Ai fini del giudizio sulla capacità naturale del testatore, il giudice di merito non può ignorare il contenuto dell'atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza dalle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate. (vedi Corte appello sez. II - Napoli, 22/01/2021, n. 231; Cass., Sez, II, n. 27352 del 23 dicembre 2014; nello stesso senso vedasi anche Cass., Sez. 6 - 2, ord. 3934 del 19 febbraio 2018; Cass., Sez. II, ord. n. 25053 del 10 ottobre 2018). Orbene, nel caso che ci occupa, posto che, almeno dopo il ricovero del 25 novembre 2010, la Mevia era affetta da infermità permanente e abituale, deve presumersi la sua incapacità al momento della redazione del testamento del 15 dicembre 2010, gravando, di conseguenza, su Tizia l'onere di dimostrare che la madre lo aveva redatto in un momento di lucida volontà. Tale prova non risulta fornita. Il prof. X ha, per contro, evidenziato che la Mevia versava in una "condizione di demenza acclarata con certificato scollamento dal piano di realtà, che costantemente è stata registrata da tre diversi istituti di cura per oltre un mese di ricovero, accompagnata alla totale incapacità del soggetto di provvedere alla propria persona". In questo contesto, risulta certamente attendibile la valutazione del C.T.U. secondo cui "non dovrebbe essere discutibile la presenza di un intervallo di lucidità all'interno di una dimensione costante di confusione, tale per cui il giorno 15.12.10 il soggetto improvvisamente recupera orientamento spazio temporale, memoria (tanto da ricordare esattamente quanto stabilito precedentemente), consapevolezza del grado di gravità del suo stato (rispetto al quale non è stata considerata idonea neppure alla firma del consenso informato alle cure)". Dal diario clinico del 15 dicembre 2010 emerge, peraltro, che, nel pomeriggio, la paziente è stata descritta come "confusa e disorientata nel tempo e nello spazio". 4-Con il secondo motivo di gravame Tizia ha censurato la sentenza non definitiva e quella definitiva, in quanto il Giudice di prime cure aveva omesso di motivare sul diniego di dispensa da imputazione dell'immobile ricevuto in donazione da essa appellante sito in Bologna via.... Il motivo di gravame è inammissibile, posto che Tizia, in primo grado, non ha mai allegato la dispensa da imputazione dedotta in appello né, tantomeno, ne ha fatto oggetto di specifica domanda. 5-Con il terzo motivo di impugnazione Tizia ha contestato la sentenza non definitiva, deducendo che il Giudice di prime cure non aveva ammesso le prove orali e l'ordine di esibizione delle dichiarazioni dei redditi di Caio dal 1980 ad oggi, richiesti da essa appellante. L'appellante ha evidenziato che tali istanze erano finalizzate alla prova di donazione indiretta ricevuta dall'appellato, consistita nell'utilizzazione di immobile di proprietà della madre e nel conseguimento del relativo valore locativo, e alla completa ricostruzione delle somme di denaro che il fratello avrebbe prelevato dai conti correnti cointestati con la madre, che non era stata possibile al CTU a tal fine nominato in primo grado, allo scopo di garantire una completa ricostruzione dell'asse ereditario. Il motivo è inammissibile nella parte relativa alla donazione indiretta, posto che Tizia, nell'atto di appello, ha omesso di censurare la ragione che il Giudice di primo grado ha posto a base della pronuncia di inammissibilità della domanda mirante a far rientrare nell'asse ereditario il valore economico di detta donazione indiretta. Orbene, il Giudice di primo grado ha posto a sostegno della pronuncia di inammissibilità il rilievo che tale domanda fosse stata proposta, per la prima volta, in comparsa conclusionale e tale motivazione, da sola idonea a sorreggere la decisione, non ha formato oggetto di contestazione nell'atto di impugnazione. Irrilevanti sono, perciò, il capitolo 2 della prova testimoniale e i capitoli 13-14-15-16 dell'interrogatorio formale dedotti da Tizia. L'appellante ha contestato, poi, la mancata ammissione dei mezzi istruttori finalizzati alla prova dei prelievi che il fratello avrebbe effettuato dai conti correnti cointestati con la madre, al fine di superare le lacune della CTU contabile, riconducibili all'insufficienza della documentazione in Ferreira. Osserva, però, la Corte che i capitoli di prova testimoniale dedotti sono generici o irrilevanti per la decisione, i capitoli 17,18 e 19 dell'interrogatorio formale non hanno valenza confessoria, come puntualmente evidenziato dal Giudice Istruttore della causa in primo grado nell'ordinanza del 22 dicembre 2016. Generico e irrilevante è, peraltro, il capitolo 20 dell'interrogatorio formale. Palese è, inoltre, il carattere esplorativo dell'ordine di esibizione invocato, avente ad oggetto le dichiarazioni dei redditi di Caio relative agli ultimi 40 anni. 6- L'appello di Tizia deve, in definitiva, essere rigetto. 7-Le spese del grado devono seguire la soccombenza. Il compenso di avvocato, avuto riguardo al valore indeterminabile della controversia (complessità media), può essere liquidato, ex DM. 147/2022, in 8.470,00 Euro (2.518,00 Euro per la fase di studio, 1.665,00 Euro per la fase introduttiva e 4.287,00 Euro per la fase decisionale). All'appellato spetta, inoltre, il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso liquidato. 8- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'atto di appello, a norma dell'art. 13 comma 1 quater del DPR 30 maggio 2002 n. 115. PQM La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione, deduzione disattesa: I-Rigetta l'appello di Tizia; II- Condanna l'appellante a rimborsare a Caio le spese del grado, liquidate in 8.470,00 Euro per compenso di avvocato, oltre spese forfettarie nella misura del 15% del compenso liquidato, iva e cpa come per legge; III- Dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'atto di appello, a norma dell'art. 13 comma 1 quater del DPR 30 maggio 2002 n. 115. Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio della Prima sezione civile il 6 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA SETTIMA SEZIONE CIVILE nella persona del giudice monocratico, dott. Francesco Frettoni, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G.An.Co. 60504/2022, trattenuta in decisione a seguito di precisazione delle conclusioni in forma scritta ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., con la concessione di termine per il deposito delle comparse conclusionali fino al 8/1/2024 e per il deposito delle memorie di replica fino al 29/1/2024, vertente TRA An.Co., Iv.Co., Pi.Co., con il patrocinio dell'Avv. GA.DI., elettivamente domiciliati in ROMA VIA (...) presso il difensore ATTORI E Fr.Ca., con il patrocinio del Prof. Avv. OB.TO., dell'Avv. MA.PA., dell'Avv. AL.MA., nonché degli Avv.ti MA.GA. e CO.MA., elettivamente domiciliata in ROMA VIA (...) presso il difensore Avv. CO.MA. CONVENUTA OGGETTO: occupazione senza titolo di immobile - legato di usufrutto di cosa dell'onerato RAGIONI DELLA DECISIONE IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con atto di citazione notificato alla controparte, i sig.ri An., Iv. e Pi.Co. hanno chiesto di ordinare alla convenuta, ai sensi dell'art. 948 c.c., l'immediato rilascio delle unità immobiliari in questione e di condannare la medesima al pagamento dell'indennità di occupazione in favore di loro attori a decorrere dal giorno 5 settembre 2022 e fino al rilascio, da quantificarsi nel complessivo importo di Euro 2.000,00 mensili, in linea con i valori di mercato per locazioni di immobili della medesima superficie nella stessa zona, ovvero nella maggiore o minore somma che dovesse risultare in corso di causa e comunque equa e di giustizia, deducendo fra l'altro: - di essere proprietari dell'immobile sito in R., Viale An. 36, e delle relative pertinenze costituite da una cantina e da un box, per averne ricevuto in donazione dal sig. Ro.Co. la nuda proprietà successivamente estesasi a proprietà piena dal 5/9/2022 a seguito del decesso del predetto, che si era riservato l'usufrutto; - che dette unità immobiliari sono occupate abusivamente dalla sig.ra Fr.Ca., già coniuge del sig. Ro.Co., la quale non ha dato riscontro al ricevuto invito al rilascio; - che ne deriva l'obbligo per la predetta di corrispondere a loro attori l'indennità di occupazione a decorrere dal giorno 5 settembre 2022 e fino al rilascio dell'immobile. La convenuta, costituita, contestata preliminarmente la competenza tabellare del giudice assegnatario del procedimento, ha concluso per il rigetto delle domande attoree in quanto inammissibili e comunque infondate in fatto e in diritto ed in via riconvenzionale per l'accertamento dell'inadempimento degli attori all'onere testamentario di costituzione del legato di usufrutto in suo favore sulle unità immobiliari in questione e su altre, nonché per l'accertamento della sussistenza dell'usufrutto vitalizio in suo favore sugli immobili medesimi, sui relativi mobili ed arredi, con ordine al competente Conservatore dei RR. II. di provvedere alla relativa trascrizione oppure, in alternativa e in subordine, per la pronuncia di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenga luogo dell'onere non adempiuto e per l'effetto costituisca il suddetto usufrutto vitalizio in suo favore, nonché, ulteriormente, per la dichiarazione di infondatezza della richiesta attorea, di pagamento della indennità di occupazione, comunque compensata con il danno a lei derivante dal mancato adempimento degli attori alle disposizioni testamentarie del padre, ed altresì per la condanna degli attori al risarcimento dei danni a lei cagionati, nella misura che sarà determinata in corso di causa, anche per equità, previa valutazione della condotta tenuta dagli attori in violazione e turbativa della legittima diponibilità dei beni legati e comunque in violazione degli artt. 88 e 96 co. I e III c.p.c., con ogni conseguenziale statuizione in ordine alle spese e all'irrogazione di sanzione ex art. 96 co. III c.p.c.. A supporto delle sue conclusioni la convenuta ha osservato: - di essere beneficiaria di legato di usufrutto avente ad oggetto l'appartamento de quo con le relative pertinenze, disposto in suo favore nel testamento olografo del sig. Ro.Co., padre degli attori, e tale legato rende legittima la prosecuzione della sua dimora nell'immobile; - che gli attori non hanno adempiuto a questo legato e per altro verso l'hanno costretta a richiedere la fissazione di un termine ex art. 481 c.c. per l'accettazione dell'eredità, non risultando ancora alcun atto al riguardo da parte loro; - che il tribunale potrà accertare l'immediata efficacia traslativa del legato oppure, ove ravvisi un'efficacia solo obbligatoria del legato, pronunciare sentenza costituiva ex art. 2932 c.c.; - che è, quindi, infondata anche la domanda attorea accessoria di pagamento dell'indennità di occupazione, comunque compensata dal danno subito da lei convenuta per il mancato adempimento da parte degli attori al legato di usufrutto; - che gli attori hanno distaccato immediatamente le utenze dell'immobile a distanza di pochi giorni dal decesso del loro padre e dunque nel pieno del lutto, hanno promosso la cancellazione di lei convenuta dall'elenco dei residenti, hanno disertato la mediazione da lei promossa e non hanno menzionato nel loro atto di citazione l'esistenza del testamento e del legato; - che tutto ciò le ha arrecato un grave danno, da risarcirle anche ai sensi dell'art. 96 co. I c.p.c., nella misura che si riserva di dimostrare e quantificare in corso di giudizio, e sussiste inoltre responsabilità aggravata degli attori ai sensi dell'art. 96 co. III c.p.c. Dopo l'assegnazione dei termini di cui all'art. 183, co. VI, c.p.c., si è proceduto, in assenza di richieste di attività istruttoria, alla precisazione delle conclusioni mediante note scritte, ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., e la causa, disattesa un'istanza di rinvio della parte convenuta, è stata poi trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2.1 La legittimazione degli attori all'azione rivendicatoria esercitata, peraltro non posta in discussione dalla convenuta, è sufficientemente fondata sulla derivazione della loro proprietà, attraverso la donazione della nuda proprietà in loro favore nel mese di aprile 2014 (v. all. 1 all'atto di citazione) e la successiva estinzione dell'usufrutto che il padre donante aveva riservato per sé, da quella che il loro padre ha acquisito dapprima pro quota mediante atto di compravendita nel novembre 1979 (v. all. 2 all'atto di citazione) e poi per l'intero grazie alla cessione della restante quota ad opera della moglie nel mese di aprile 2014 in adempimento degli accordi di divorzio (v. all. 3 all'atto di citazione), nonché sul possesso ultraventennale che delle unità immobiliari in questione il loro genitore ha avuto, come desumibile dalla destinazione dell'appartamento a domicilio del medesimo, qual è riportata nei sopra menzionati atti di cessione di quota e di donazione e qual è dichiarata nel testamento olografo, in cui il sig. Ro.Co. ha qualificato l'appartamento in parola, sito in Via An. 36, casa coniugale, perciò intendendo legarne l'usufrutto, a carico dei suoi figli, in favore della qui convenuta sig.a Fr.Ca., sua (seconda) moglie. 2.2 La disposizione testamentaria richiamata in proprio favore dalla convenuta costituisce, ai sensi dell'art. 651 c.c., un legato di cosa dell'onerato, valido in quanto il disponente, padre degli attori, era chiaramente consapevole che le unità immobiliari in questione appartenessero ai figli, avendogliele egli stesso donate anni prima. Si tratta, invero, del diritto di usufrutto che andrebbe costituito a beneficio della predetta scorporandolo dal diritto di proprietà sugli immobili a cui si riferisce e la proprietà piena di questi immobili rientra nella sfera giuridica degli attori, ove si è sviluppata, per effetto e al momento del decesso del sig. Ro.Co., come espansione della nuda proprietà che costui aveva donato anni prima agli attori medesimi, suoi figli, riservandosi l'usufrutto sugli immobili in questione. Al contempo, gli attori sono eredi del padre testatore, designati nel testamento, nel quale la costituzione del diritto di usufrutto è posta espressamente a loro carico come legato. Il legato di cosa dell'onerato costituisce non un'obbligazione ma, appunto, un onere correlato all'acquisizione della qualità di erede e quindi all'accettazione dell'eredità. Si tratta di un detrimento per la sfera giuridico patrimoniale di chi lo subisce, imposto unilateralmente dal de cuius, che quindi come tale presuppone necessariamente la successione a titolo universale al de cuius da parte dell'erede e la manifestazione di un consenso, seppur rivolto non specificamente al legato, ma in via più generale e complessiva all'eredità, attraverso l'accettazione della stessa. In realtà, se l'adempimento di un legato è sempre un peso, in senso giuridico, per l'onerato, il legato di cosa dell'onerato ha un effetto limitativo ancor maggiore, perché va a limitare non un bene/diritto che l'erede-onerato acquisisce attraverso la successione ereditaria, ma un bene/diritto che è già dell'onerato prima e a prescindere dall'apertura della successione. Per questo non è possibile ipotizzare nessun effetto (né obbligatorio né tanto meno reale) della disposizione testamentaria che prevede un legato di cosa dell'onerato in difetto di un'intervenuta accettazione dell'eredità e quindi di un'acquisita qualità di erede: non basta la chiamata all'eredità. Se fosse diversamente, l'istituto concretizzerebbe un'inammissibile espropriazione. Nel caso di specie gli attori, chiamati all'eredità, non sono divenuti eredi perché non hanno accettato l'eredità, facendo decorrere senza dichiarazione di accettazione - come appurato in corso di causa - il termine loro assegnato dal giudice a seguito del ricorso appositamente presentato dalla convenuta ex art. 481 c.c.. 2.3 Nelle battute finali del procedimento la convenuta ha fatto riferimento ad un'asserita accettazione tacita dell'eredità da parte degli attori. Si tratta, però, di un tema che non può essere preso in alcuna considerazione, perché non è stato oggetto del contraddittorio di questo giudizio e la convenuta lo ha introdotto per la prima volta negli scritti conclusionali e addirittura non nella comparsa conclusionale, ma nella memoria di replica, quasi a voler impedire qualunque possibilità di risposta processuale degli attori al riguardo. La novità ed inammissibilità di detto tema è resa manifesta dal fatto che la convenuta, nel precedente corso del giudizio, non soltanto non vi ha fatto alcun cenno, ma ha riferito sue iniziative che non avrebbero avuto senso se la difesa fosse stata incentrata su un'eventuale accettazione tacita e che sono logicamente incompatibili con quest'ultima, vale a dire l'interpello giudiziale dapprima degli attori e poi dei loro figli ex art. 481 c.c. ai fini della dichiarazione di accettazione dell'eredità. 2.4 La convenuta, del resto, ha mutato più di una volta l'impostazione giuridica delle proprie difese: nella comparsa di costituzione e nella memoria n. 1 ha parlato di un effetto traslativo immediato del legato di cosa dell'onerato, in contrasto con l'effetto meramente obbligatorio che è comunemente riconosciuto a questo tipo di legato e che trova riscontro nel tessuto del codice civile, oltre che nell'art. 651, anche nell'art. 669, relativo al legato di cosa fruttifera, ove è stabilito che, se la cosa appartiene al testatore al momento della sua morte, i frutti o gli interessi sono dovuti al legatario da questo momento, mentre se la cosa appartiene all'onerato o a un terzo i frutti o gli interessi sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno in cui la prestazione del legato è stata promessa, salvo che il testatore abbia diversamente disposto; nella memoria n. 2 ha dedotto, invece, che gli attori sarebbero onerati all'adempimento del legato non in quanto successori mortis causa ma in quanto donatari, richiamando a supporto talune norme del codice civile (artt. 631 e 664) in realtà non pertinenti e tralasciando la circostanza fondamentale, per cui il legato è stato posto a carico degli attori nel testamento, come disposizione di ultima volontà, e non nella donazione stipulata alcuni anni prima; nelle note autorizzate depositate il 19/10/2023 ha configurato un'attribuzione diretta a sé dell'usufrutto da parte del de cuius, sostenendo - in modo incompatibile con le caratteristiche del legato di cosa dell'onerato conformate dall'art. 651 c.c. e con l'effetto estintivo dell'usufrutto prodotto dalla morte dell'usufruttuario (art. 979 c.c.) - che il testamento del sig. C. sarebbe stato direttamente idoneo a costituire in capo a lei il diritto di usufrutto senza la necessità di intermediazione degli attori, poiché l'effetto di espansione della nuda proprietà in capo a costoro sarebbe stato paralizzato dalla disposizione testamentaria. Il tema dell'accettazione tacita è, pertanto, soltanto l'ultimo di una pluralità di mutamenti delle difese della convenuta, intervenuto fuori tempo ed in contraddizione con assunti precedenti, certamente inammissibile, che resta del tutto estraneo a questo giudizio e alla presente decisione. 2.5 Né poteva essere presa in considerazione la richiesta della convenuta (v. note autorizzate depositate il 19/10/2023 e note di precisazione delle conclusioni del 2/11/2022) di attendere l'interpello sull'accettazione dell'eredità da lei rivolto ex art. 481 c.c. ai figli degli attori, eventuali subentranti in eredità ai genitori rinuncianti, anche perché costoro non sono proprietari del bene di cui si discute - che, si ripete, appartiene agli attori per donazione - e dunque non potrebbero disporne direttamente pur ove accettassero l'eredità in discussione. Per loro il legato assumerebbe i caratteri del legato di cosa di un terzo, che certamente ha effetti soltanto obbligatori e che può essere adempiuto dall'erede onerato mediante il versamento di un importo pari al giusto prezzo della cosa, ex art. 651, co. I secondo periodo, c.c.. Dunque, pur in ipotesi di accettazione dell'eredità ad opera di questi altri chiamati, non ne deriverebbe (direttamente e con certezza) l'usufrutto in capo alla convenuta né insorgerebbe in capo agli accettanti un'obbligazione certa ed univoca surrogabile da un sentenza costitutiva. Per non dire che questi ulteriori chiamati non sono parti di questo giudizio, sicché un'eventuale domanda di adempimento del legato rivolta nei loro confronti sarebbe una domanda inammissibile in quanto del tutto nuova e relativa a contraddittori non convenuti in giudizio. 2.6 Le eccezioni difensive e le domande riconvenzionali della convenuta, nonché la domanda della stessa di condannare gli attori ex art. 96 c.p.c., debbono essere, pertanto, tutte disattese, mentre risulta per converso fondata la domanda di rilascio degli attori, in assenza di titolo che legittimi la detenzione delle unità immobiliari da parte della prima. 2.7 Può essere correlativamente accolta anche la domanda risarcitoria attorea per occupazione senza titolo. Con intervento nomofilattico (Cass. S.U. n. 33645/2022), a fronte di precedenti oscillazioni interpretative, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che nelle fattispecie di occupazione abusiva di immobili chi agisce per il risarcimento (del danno emergente) ha l'onere di allegare e, in caso di contestazione (specifica) ad opera della controparte, di provare (anche mediante nozioni di fatto di comune esperienza o presunzioni semplici) la "concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa". Se invece si agisce per il risarcimento di un mancato guadagno, l'onere di allegazione e di prova ha ad oggetto gli specifici pregiudizi subiti, "fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato". Nel caso di specie gli attori hanno chiesto il risarcimento di un danno parametrato all'ordinario valore delle unità immobiliari nel mercato immobiliare: alla luce del discernimento indicato dalla menzionata pronuncia di legittimità, si tratta, quindi, della deduzione di un semplice danno emergente, giacché non si fa riferimento a valori locativi superiori a quelli di mercato. La sussistenza per gli attori di una concreta possibilità di godimento, anche in forma indiretta, non è stata messa in dubbio dalla convenuta e d'altra parte è ampiamente presumibile dalla vocazione abitativa delle unità immobiliari, dalla loro collocazione in area urbana interessata dal mercato immobiliare (come si evince dalle valutazioni di agenzie immobiliari prodotte dagli attori, v. all. C alla seconda memoria attorea) e dal forte interesse per l'acquisizione della loro piena disponibilità manifestato dagli attori medesimi, che hanno diffidato la convenuta al rilascio con una missiva del loro legale appena pochi giorni dopo l'espansione in proprietà piena della loro anteriore nuda proprietà conseguentemente al decesso del padre (v. all. 4 all'atto di citazione). Sul quantum la deduzione attorea, secondo cui il valore locativo complessivo dell'appartamento e delle sue pertinenze si attesta intorno a 2.000,00 Euro mensili, risulta sostanzialmente supportata dai già menzionati annunci di agenzie immobiliari per immobili di analoghe dimensioni nella stessa zona, come anche dallo sviluppo dei valori a metro quadrato estrapolabili dalla banca dati dell'O.M.I. dell'Agenzia delle entrate (v. all. D alla seconda memoria attorea), moltiplicati per la superficie commerciale dell'appartamento e per quella del box (evincibili dalle relative visure catastali, v. all. B alla seconda memoria attorea), come illustrato dagli attori già nell'atto di citazione. La convenuta, da parte sua, ha opposto in proposito una blanda e generica contestazione (peraltro soltanto nella memoria n. 3), dichiarando di contestare la documentazione prodotta dagli attori (la cui genuinità appare, tuttavia, indubitabile e non è stata, infatti, negata dalla convenuta), osservando che la superficie commerciale dell'appartamento è di mq. 140 (dato, questo, che non esclude il raggiungimento del valore complessivo dedotto dagli attori, ove si applichino i valori medi dell'O.M.I.) ed obiettando che gli attori hanno fornito "una valutazione del tutto generica che non tiene conto della reale offerta del mercato e dello stato dell'immobile" (mentre gli attori hanno allegato, come detto, annunci di agenzie immobiliari e dati dell'O.M.I. e la convenuta non ha specificato sotto quali concreti profili lo stato dell'appartamento inficerebbe il valore locativo di mercato). Comunque, in via prudenziale, trattandosi di determinare in via figurata un danno da mancato godimento e tenendo conto della forbice dei valori riportati dall'O.M.I., può optarsi per un importo risarcitorio mensile di Euro 1.800,00. Il periodo di risarcibilità del danno da occupazione va fatto decorrere dal mese di ottobre 2022, considerato un tempo minimo di rilascio da parte dell'occupante dopo il decesso del marito avvenuto il 5 settembre, per una durata temporale che ad oggi ammonta a diciassette mesi. Deve, pertanto, liquidarsi in favore della parte attrice una somma complessiva di Euro 30.600,00 (Euro 1.800,00 x 17 mesi). Su tale somma spettano gli interessi legali, con decorrenza riferita a ciascuna mensilità (cfr. Cass. n. 11736/2013) a partire dal mese di ottobre 2022. Non è possibile condanna per mensilità future, ammessa in via eccezionale soltanto dall'art. 664 c.p.c. 3. La soccombenza della convenuta comporta l'attribuzione a suo carico delle spese processuali della parte attrice, liquidate nel dispositivo, quanto ai compensi di difesa, sulla base dei parametri regolamentari di riferimento di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della loro modulabilità (art. 4) ed in funzione del valore della domanda accolta e dell'attività processuale svolta. Il reiterato mutamento di linea difensiva, mediante prospettazione di assunti oggettivamente infondati in diritto e per lo più fra di loro contrastanti, sino alla formulazione della questione dell'accettazione tacita dell'eredità per la prima volta nella memoria di replica conclusionale, lasciano intendere (ovviamente sul piano strettamente giuridico) un'iniziativa processuale difensiva imprudente e pretestuosa (cfr. Cass. S.U. n. 22405/2018, Cass. n. 20018/2020), inducendo a ravvisare i presupposti per condannare la convenuta medesima al pagamento, oltre che delle spese processuali, di un'ulteriore somma, ex art. 96, co. III, c.p.c., in misura pari all'ammontare delle stesse. 4. In conformità all'istanza di parte attrice, occorre infine disporre la cancellazione della trascrizione della domanda riconvenzionale fatta eseguire dalla convenuta (come dalla stessa segnalato nella sua seconda memoria). P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede: 1) condanna la convenuta a rilasciare alla parte attrice, libero da persone e da cose non inerenti ad esso, l'appartamento oggetto di causa, sito in R., Viale An. 36, con le relative pertinenze costituite da una cantina e da un box, da lei occupato senza titolo; 2) condanna la convenuta a corrispondere alla parte attrice la somma di Euro 30.600,00 a titolo risarcitorio, oltre ad interessi come in parte motiva; 3) condanna la convenuta al pagamento delle spese processuali della parte attrice, che liquida in Euro 5.000,00, oltre a spese generali, IVA e C.A., per compenso al difensore ed in Euro 545,00 per costi di iscrizione; 4) condanna la convenuta al pagamento altresì in favore della parte attrice di un ulteriore importo di Euro 5.000,00 ai sensi dell'art. 96, co. III, c.p.c.; 5) ordina ai competenti Conservatori dei registri immobiliari, con esonero di responsabilità, di procedere alla cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali della sig.a Fr.Ca. di cui alle note di trascrizione identificabili come segue: a) Nota di trascrizione, Agenzia delle entrate - Ufficio provinciale di Roma Territorio - Servizio di pubblicità immobiliare di Roma 1, Registro generale n. 13060, Registro particolare n. 9131, Presentazione n. 242 del 02/02/2023; b) Nota di trascrizione, Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Avellino - Ufficio provinciale Territorio - Servizio di pubblicità immobiliare, Registro generale n. 2410, Registro particolare n. 1839, Presentazione n. 29 del 03/02/2023. Così deciso in Roma il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di VICENZA SEZIONE SECONDA CIVILE in composizione monocratica in persona del Dott. Ludovico Rossi ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al N. 2845 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, riservata in decisione con provvedimento del 26 ottobre 2023 all'esito di udienza di p.c. sostituita ex art. 127 ter c.p.c., vertente tra: Ma.Ri. (C.F. (...)) e Ti.Ri. (C.F. (...)), anche quali eredi di Fr.Fa. (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'Avv. An.To. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Malo (VI), Via (...), in virtù di procure allegate all'atto di citazione e alle note del 24.10.2023 - attori - contro Vi. S.p.a. (P. I. (...)), in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Fe.Da. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Cadoneghe (PD), Piazzale (...), giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta -convenuta - e El.Sb. (C.F. (...)) e Gi.Se. (C.F. (...)) - convenuti, contumaci - OGGETTO: risarcimento danno da morte/perdita parentale RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, Fr.Fa., Ma. e Ti.Ri. convenivano Vi., El.Sb. e Gi.Se.. Premettendo di essere rispettivamente madre, figlio e sorella di Fa.Ri., deducevano che: - il 18.11.2018 alle 22.40 ca. Fa.Ri., nato a Vi. il (...), dopo aver trascorso la serata a casa della madre in C.V. (V.), via Z., 22, si metteva alla guida della propria Fiat Uno per rientrare a casa sua, sempre in C., via P., 22, dove abitava col figlio; - si immetteva quindi in via Z., giungendo all'intersezione con via B., ove si fermava allo stop per qualche secondo e, dopo aver verificato che non vi fossero altri veicoli, iniziava ad immettersi in via B. con direzione C.V.; quando era ormai immesso in via B., sopraggiungeva da dietro e a notevole velocità El.Sb., alla guida della BMW serie 1, tg. (...) di proprietà di Gi.Se., assicurata con Vi.; - stante la forte velocità (oltre 130 km/h, nonostante il limite fosse di 70 km/h, segnalato con cartello verticale - pure erano presenti altri cartelli per "strada deformata - 700 metri", "curva pericolosa a sinistra", "intersezione a T da sinistra" e "preavviso di semaforo verticale") Sb. non riusciva a fermare la marcia e tamponava la Fiat Uno nello spigolo posteriore destro: l'auto di Ri. veniva sbalzata sulla destra, fuoriuscendo dalla sede stradale e schiantandosi contro il tombinamento del tratto di scolo, all'altezza dei civici 127/a e b; Ri. decedeva, lasciando tra l'altro orfano il figlio Ma., allora ventenne, che aveva già perso la madre il 6.3.2000; il veicolo di Sb. trovava posizione di quiete a ca. 66 metri dal punto d'urto; - intervenivano i carabinieri Fa. e Da. che eseguivano i rilievi, anche fotografici, e automedica; il personale sanitario constatava il decesso del R.; a seguito dei rilievi, gli agenti sanzionavano lo Sb. per la violazione (i) dell'art. 149, co. 1 e 6 C.d.S, perché "non manteneva una distanza di sicurezza tale da evitare la collisione con il veicolo che lo precedeva ... tale da garantire in ogni caso l'arresto tempestivo ed evitare la collisione con altro veicolo" (ii) dell'art. 141, co. 3 e 8 perché "ometteva di regolare adeguatamente la velocità in un tratto di strada a visibilità limitata perché in ore notturne, in un tratto di strada curva ed in prossimità di intersezione semaforica ...", (iii) dell'art. 149, co. 1 e 5 C.d.S. poiché "non manteneva una distanza di sicurezza rispetto al veicolo che lo precedeva ... tale da garantire in ogni caso l'arresto tempestivo e ad evitare la collisione ...", (iv)per la violazione dell'art. 186, co. 2, C.d.S., in quanto "alla guida di veicolo a motore in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), rimaneva coinvolto nell'incidente stradale ..." circostanza questa emersa a seguito di ulteriori controlli sullo Sb., che riportava un tasso di alcolemia di 1,60 g/L e, nelle urine, un tasso di alcolemia di 1,70 g/L; - a carico di Sb. veniva quindi iscritto il procedimento penale n.r.g.n.r. 7599/2018, nel corso del quale la P.G. acquisiva anche le immagini video del sistema di sicurezza del C.Z., con sede in via B., 131/a, nell'arco orario 22.20/22.40, che ritraevano la Fiat di Ri. fermarsi allo STOP per poi ripartire e impegnare l'incrocio, in un momento in cui dal video non si vedeva altro veicolo proveniente da destra o sinistra; dal video poteva vedersi sopraggiungere la BMW, quando la Fiat aveva già impegnato via B., BMW che tentava senza buon esito di frenare; la dinamica del sinistro veniva poi confermata dal CT del PM, Ing. Sartori, che concludeva che il sinistro fosse da attribuire alla negligente condotta del sig. El.Sb. che circolava in uno stato psico-fisico alterato ad una velocità media di 139 km/h rispetto ad un limite imposto di 70 km/h, mentre nessuna colpa poteva essere attribuita al Ri., che a causa sia della conformazione curvilinea della strada, sia dell'ingombro verticale della recinzione di una proprietà privata (civico 134), non poteva avvistare il veicolo condotto da Sb.; - la dinamica veniva confermata anche dal CT attoreo, Ing. Pe., che peraltro precisava che alla data del sinistro era fortemente probabile l'appannamento del vetro parabolico posto all'incrocio, stante le condizioni meteo, e che, come il CT di parte, confermava fosse irrilevante nella causa della morte del Ri. il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza; - a seguito della morte di Fa.Ri. gli attori subivano un notevole turbamento nelle abitudini di vita e sconvolgimento delle esistenze, essendo il defunto una figura di riferimento: in particolare per Ma., che aveva perso la madre a ca. 2 anni, il padre era l'unico genitore con cui svolgeva tutte le attività familiari, ludiche e di svago, coltivando la passione per la motocicletta e svolgendo gite fuori porta, eseguendo lavori boschivi e di campagna; - anche la Fa. e Ti.Ri. rimasero sconvolte dalla morte di Fa. con cui il legame si era intensificato a seguito della morte della moglie, in particolare: (i) la Fa. aveva contribuito al menage familiare di figlio e nipote, costruendo un rapporto caratterizzato dalla condivisione quotidiana di numerosi aspetti, aiutando Fa. nella cura del figlio e nelle faccende domestiche, ancor più intensamente dopo la morte del marito della Fa., nel 2014: alla data del sinistro Fa. faceva visita alla madre con cadenza giornaliera, andandoci a giocare a carte molto spesso la sera e accompagnandola spesso fuori a cena e a pranzo; (ii) la sorella T. aveva un legame molto forte col fratello, con cui si frequentava almeno ogni due settimane e su cui faceva affidamento per piccoli lavori e giardinaggio; il rapporto si era molto intensificato quando T. fu assistita dal fratello, durante la convalescenza di sei mesi a seguito di patologia tumorale; - quanto a Ma., la perdita del padre aveva avuto pure delle conseguenze economiche: all'epoca della morte di Fa., Ma. stava ancora studiando e viveva col padre che si occupava di tutte le esigenze economiche della famiglia, grazie allo stipendio da impiegato percepito da Impresa V.V. S.r.l., per un netto mensile di Euro 1.671,88 per 14 mensilità che nella misura del 60% circa veniva interamente destinato al sostentamento familiare e al mantenimento del figlio; Ri. percepiva inoltre un reddito pensionistico per un totale annuo di ca. Euro 5.646,13 e ulteriore reddito lordo annuo di ca. Euro 9.000,00 derivante dalla locazione di un immobile di proprietà. Col suo stipendio Fa. riusciva a sostenere sé e il figlio, destinando a risparmio o svaghi le somme extra e facendosi interamente carico delle utenze domestiche e di riscaldamento, della spesa alimentare, spese per l'automobile e carburante, vestiario, spese mediche, testi scolastici, manutenzione della casa, tributi etc, provvedendo all'integrale sostentamento del figlio adolescente che era desideroso, dopo la scuola, di intraprendere gli studi universitari. Alla morte del padre Ma. si trovò a perdere la tranquillità economica, abbandonando il proprio stile di vita e l'idea di proseguire gli studi: originariamente, infatti, dopo aver completato l'istituto alberghiero Almerico da Schio, avrebbe voluto iscriversi ad un corso universitario in scienza dell'alimentazione, progetto abortito, posto che Ma. dopo la morte del padre intraprese un corso per giardiniere, per poi avviare ad inizio 2020 un'attività di manutentore del verde che ad ogni modo non lo aveva reso autonomo economicamente, avendo raggiunto un fatturato di soli Euro 5.578,00 per l'anno 2020 (mentre nel 2019 l'unico reddito era quello della locazione, peraltro risolta nel frattempo); - gli attori inviavano quindi una prima richiesta risarcitoria a Vi. con raccomandata del 22.11.2018, cui seguiva l'apertura del sinistro; concluse le indagini preliminari, seguiva il 27.9.2019 altra richiesta: Vi., ravvisando una quota di responsabilità del suo assicurato del 50% ulteriormente ridotta del 20% per il mancato utilizzo delle cinture da parte del Ri., offriva Euro 90.000,00 in favore di Ma., Euro 72.000,00 della Fa. ed Euro 12.000,00 di Ti.Ri., importi trattenuti dagli attori come acconto; seguiva l'invito alla stipula di negoziazione, disattesa dalla Compagnia e cui non rispondevano gli altri convenuti. In punto di diritto gli attori deducevano l'esclusiva responsabilità dello Sb. nella causazione del sinistro. Chiedevano quindi il risarcimento del danno (A) non patrimoniale, per perdita del rapporto parentale, quantificato sulla base delle tabelle milanesi allora vigenti nell'importo di Euro 336.500,00 per Ma., di Euro 336.500,00 per la Fa. e di Euro 146.120,00 per Ti.Ri. (somme lorde, da cui defalcarsi gli acconti); (B) patrimoniale, per il solo Ma.Ri. e in particolare del danno emergente (fino alla liquidazione giudiziale) e del lucro cessante (per il periodo successivo): ciò sull'assunto per cui per la morte del padre (che con il suo stipendio contribuiva a tutte le spese domestiche) l'attore si sarebbe trovato privato dell'utilità economica di cui beneficiava e di cui avrebbe continuato a beneficiare, in assenza del sinistro, per i successivi 10 anni, ipotizzandosi che Ma.Ri. avrebbe potuto raggiungere l'indipendenza economica all'età di 30 anni. Stimato il contributo di Fa.Ri. alle esigenze del figlio nella misura del 60% del proprio reddito da lavoro dipendente (in ragione delle spese documentate), per Euro 14.494,64 annui, l'attore stimava in Euro 35.028,52 il danno patrimoniale emergente al momento dell'introduzione della domanda ed in Euro 144.946,40 il lucro cessante (inteso come danno patrimoniale fino ai 30 anni del M.). Gli attori chiedevano altresì il ristoro delle spese funerarie e delle spese di consulenza, in favore di Ma.Ri.. Concludevano chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento dei predetti importi e alle spese, anche ex art. 96 c.p.c., stante l'ingiustificato diniego a partecipare alla negoziazione. 2. La prima udienza, indicata in citazione per il 29.9.2021, veniva differita ex art. 168 bis, co. 5 c.p.c. al 15.3.2022. Si costituiva Vi., con comparsa depositata il 10.3.2022; pur ammettendo che Sb. viaggiasse, in stato alcolico, a velocità eccedente il limite, deduceva la corresponsabilità di Fa.Ri. nella causazione del sinistro, in particolare (i) per le modalità con cui si sarebbe immesso in via B., nel senso che (a) non avrebbe concesso la precedenza allo Sb., verosimilmente per aver omesso di guardare nello specchio parabolico presente all'incrocio (pur conoscendo lo stato dei luoghi, trattandosi di incrocio posto al termine della strada ove abitava la madre e sapendo dunque che la visibilità dell'incrocio a destra - da dove cioè proveniva Sb. - era limitata da una curva, per cui si rendeva necessario guardare nello specchio); (b) anche a voler prescindere dallo specchio, Ri. avrebbe potuto avvedersi guardando a destra dell'avvicinarsi della BMW dello Sb., dotata di fari allo xeno molto luminosi di notte; (c) al momento dell'impatto Ri. stava ancora completando la svolta; (ii) per l'omesso uso delle cinture da parte di Ri., sbalzato fuori dal finestrino posteriore destro per effetto del sinistro: la Compagnia osservava che la circostanza avrebbe dovuto essere valorizzata ex art. 1227, co. 1 c.c. Sul quantum, in merito al danno non patrimoniale deduceva fosse onere degli attori provare sussistenza ed intensità del legame parentale. Quanto al patrimoniale, premesso che si sarebbe dovuto comunque scomputare quanto percepito dall'attore a titolo di pensione di reversibilità, di eredità paterna e di TFR del padre, osservava doversi tenere conto del reddito netto percepito da Fa.Ri. (scomputando tuttavia la quota che il defunto destinava a sé stesso: l'assicurazione contestava che la quota individuata dall'attore fosse sproporzionata) e che l'attore avrebbe verosimilmente raggiunto l'autosufficienza prima dei 30 anni. Vi. deduceva che nulla spettasse per il canone di locazione (che Ma. avrebbe comunque potuto percepire) e per le spese funerarie, non pagate dall'attore; contestava poi la voce per la spesa della perizia di parte. Osservando che fosse giustificata la scelta di non partecipare alla negoziazione, concludeva come in epigrafe. Pervenuto il giudizio allo scrivente Magistrato, all'udienza del 15.3.2022 veniva dichiarata la contumacia dei convenuti Sb. e S.; la causa veniva istruita con prove orali (estese, nel corso del procedimento, ad alcuni capitoli originariamente non ammessi, in ragione dell'intervenuta pubblicazione delle nuove tabelle del Tribunale di Milano); veniva altresì disposta CTU cinematica, nominandosi a tal fine l'Ing. Di Leva e si ordinava ex art. 213 c.p.c. all'INPS di chiarire a quanto ammontassero le somme erogate ed erogande a Ma.Ri.. L'Istituto depositava nota in data 21.9.2022, chiarendo che l'attore non aveva fatto domanda di pensione di reversibilità a seguito della morte del padre e che non gli erano stati riconosciuti importi a seguito del sinistro. Il 26.10.2022 il CTU prestava giuramento e venivano escussi i testi C. e C.; l'8.2.2023 venivano escussi i testi P. e il 28.3.2023 le signore Ma. e C.; a detta udienza, essendo stata nelle more depositata la relazione di CTU, il difensore di parte convenuta chiedeva chiamarsi a chiarimenti il CTU: per l'adempimento veniva fissata l'udienza del 2.5.2023, anche alla presenza dei CTP di parte. Resi i chiarimenti, a quest'ultima udienza la causa veniva rinviata per p.c. al 25.10.2023, sostituita ex art. 127 ter c.p.c. Nelle proprie note, gli attori davano atto del decesso, avvenuto il 18.9.2023, della Fa., cui erano succeduti, giusto testamento olografo, gli altri due attori, che si costituivano anche per la de cuius. Con Provv. del 26 ottobre 2023 la causa veniva trattenuta in decisione, con termini di legge per conclusionali e repliche. 3. Preliminarmente, è opportuno identificare e qualificare (ex artt. 112 e 113 c.p.c.) le domande. Gli attori hanno agito iure proprio per il ristoro del danno patrimoniale e non derivante dalla morte di Fa.Ri., in ragione dell'incidente stradale che ha visto coinvolto la vettura di questi e quella condotta dallo Sb.. Gli attori hanno quindi esercitato l'azione ex art. 2054 c.c. verso il responsabile civile (S. quale conducente, la Sb. quale proprietaria del mezzo) e l'azione verso l'assicuratore del responsabile civile, ex artt. 144-148 cod. ass. sicché era onere degli attori dimostrare l'esatta dinamica del sinistro, per superare la presunzione ex art. 2054, co. 2 c.c. 4. Per ricostruire la dinamica del sinistro in cui è morto Fa.Ri., gli attori hanno depositato la documentazione (fotografie, planimetrie, relazione di incidente stradale e rilievi) prodotta successivamente all'incidente (cfr. docc. 4-8.1 e 11-13), la perizia del CT del Pm, Ing. Sartori e del consulente di parte, Ing. Pe. (cfr. docc. 14-15). In corso di causa gli attori hanno anche depositato i file video dello stabilimento posto dinnanzi alla strada, acquisiti nel corso del procedimento penale. A fronte dei rilievi del CT di Vi., che ha contestato le conclusioni del CT del PM (che aveva sostanzialmente concluso per l'esclusiva responsabilità dello Sb., salvo la possibilità di ipotizzare una violazione dell'artt. 145, co. 1 e 5 e 154, co. 1 c.d.s. del defunto, cfr. doc. 14 attori, pag. 30), è stata quindi disposta CTU cinematica, volta a ricostruire la dinamica del sinistro, tenendo conto dei possibili profili di concorso del Ri. evidenziati dalla Compagnia (omessa precedenza allo S./mancato utilizzo delle cinture di sicurezza). Quanto a luogo e tempo del sinistro, ci si può riportare alla descrizione svolta dal CTU e alle fotografie riportate nell'elaborato (cfr. pagg. 4-8). L'incidente si è verificato il 18.11.2018 alle ore 22.35 ca., in Camisano Vicentino (Vi) in corrispondenza dell'intersezione tra via B. (strada provinciale con diritto di precedenza) e via Z. (strada laterale nel senso di marcia che si immette in via B.), intersezione a raso di tipo a "t" in corrispondenza della quale via B. presenta una carreggiata a due corsie, una per ogni senso di marcia; vi è segnaletica orizzontale continua di margine e linea di mezzeria che diventa discontinua in corrispondenza degli accessi alle proprietà private presenti lungo la strada e delle varie intersezioni. La BMW guidata da Sb. percorreva via B., con direzione P. Sul B.; il luogo del sinistro è preceduto a ca. 200 metri da una curva sinistrorsa ad ampio raggio. Via Z. (da dove proveniva R.) confluisce obliquamente sul lato sinistro di via B. ed è regolata da segnaletica orizzontale e verticale di stop; quaranta metri prima dell'incrocio, su via B., c'è il passo carraio dell'impresa Z., le cui tre telecamere hanno ripreso il sinistro. Sulla banchina erbosa destra di via B., dinnanzi a via Z., è installato uno specchio parabolico per facilitare e migliorare l'avvistamento dei veicoli sopravvenienti dalla curva sinistrorsa di via B. ai veicoli provenienti da via Z.. All'incrocio è presente un semaforo, spento la sera del sinistro. Seguendo il senso di marcia della BMW, su via Z. sono presenti i seguenti cartelli verticali: "limite di velocità 70 km/h", "strada deformata - 700 metri", "curva pericolosa a sinistra", "intersezione a t da sinistra" e "preavviso di semaforo verticale". In base ai rilievi svolti dagli operanti, la sera del sinistro l'illuminazione era sufficiente, il meteo sereno, l'asfalto asciutto; pacifico che Sb. presentasse un tasso alcolemico pari a 1,60 G/L. Presso i luoghi del sinistro erano presenti le vetture di Ri. e dello Sb., seguita da un'auto guidata da B.D.P., escusso a s.i.t. dagli agenti, il quale ha dichiarato che la vettura del Ri. avrebbe omesso di dare la precedenza alla BMW (cfr. relazione CTU, pag. 9): le dichiarazioni di costui sono tuttavia inattendibili, essendo emerso dall'esame dei video che egli non seguiva immediatamente la BMW (come dichiarato dal teste) ma era distanziato di ca. un minuto e mezzo dal mezzo dello Sb., sicché non poteva avere diretta percezione delle manovre del Ri. (cfr. relazione CTU, pag. 21, e doc. 14 attori, relazione CT Pm, Pag. 21) Il CTU ha poi descritto le condizioni delle vetture all'esito del sinistro e le posizioni di quiete: per la BMW, in corrispondenza della corsia di marcia opposta rispetto a quella percorsa, a 70 metri dal presunto punto d'urto, inclinata di ca. 40 gradi rispetto all'asse stradale a ridosso della parte finale del muro delimitante la proprietà confinante con la strada; per la Fiat, il muro destro della tombinatura di scolo al civico 127 sulla destra di via B. (cfr. pagg. 9-14). Il CTU ha quindi proceduto alla ricostruzione cinematica del sinistro, sulla base dei rilievi eseguiti dalle autorità, di un sopralluogo eseguito il 18.11.2022 nel contraddittorio con i CTP e delle riprese video. Tra i rilievi, oltre ai punti di quiete delle vetture su esposti, il CTU ha considerato la posizione del corpo esamine del Ri. (rinvenuto sul passo carraio di accesso al civico 127/B, con gli arti inferiori in prossimità dello scendente del veicolo) e il presunto punto d'urto, posto all'interno dell'intersezione al centro della corsia di via B. con direzione P. sul B.C.V., e il rilievo T, una traccia gommosa ad avviso del CTU prodotta durante il movimento post-urto della BMW, avente origine in prossimità del margine sinistro di via B., all'altezza del civico 126/128 e sviluppatasi per circa 42 metri fino alla posizione di quiete del veicolo (cfr. relazione, pag. 15). Ricostruito il cono visivo delle telecamere, il CTU ha riportato le sequenze più significative (cfr. pagg. 16 -21), illustrando le tempistiche che era possibile ricavarne e ha osservato che "dalle tempistiche sopra indicate emerge che il sig. Ri. ... si arrestava in corrispondenza della linea di stop presente su via Z. in immissione su via B. e, dopo aver atteso un tempo pari a circa 1.4 secondi senza che transitassero altri veicoli in tale lasso di tempo, iniziava la manovra di svolta a sinistra in direzione Camisano Vicentino." (cfr. pag. 21). Il CTU ha quindi chiarito che "l'impatto si concretizzava alla confluenza delle rispettive traiettorie, tra la parte centro-destra del frontale della bmw e la parte centro-destra del retrotreno della fiat uno. Tale punto di impatto, a parere di questo ctu, in relazione alla sua posizione trasversale rispetto alla carreggiata, è da localizzare all'interno della corsia di via B. avente direzione P. sul B. - C.V., in prossimità del rilievo z correttamente identificato dalle autorità come "presunto punto d'urto". Tuttavia, in relazione invece alla sua posizione longitudinale, a valle della ricostruzione effettuata, come indicato anche dal ct di parte convenuta nel corso delle operazioni peritali, tale punto d'urto va individuato in una posizione che è a monte rispetto a rilievo z di una distanza indicativa di circa 2 metri. Negli istanti immediatamente successivi al primo contatto, la bmw proseguiva la propria marcia in deviazione sinistrorsa, trovando la quiete all'interno della banchina erbosa posta oltre il margine sinistro di via brenta, dopo aver percorso complessivamente circa 70 metri. la fiat uno subiva invece una rototraslazione oraria di circa 270 percorrendo circa 20 metri prima di impattare violentemente contro il muro destro rappresentato dalla tombinatura del canale di scolo presente oltre il margine destro della carreggiata, ove trovava quindi la quiete. ... (cfr. relazione, pagg. 21-22). Il CTU ha quindi rappresentato graficamente l'impatto delle vetture, concludendo che lo scontro è avvenuto tra la parte anteriore destra della BMW e lo spigolo posteriore destro della Fiat, dunque in una fase in cui questa stava completando la manovra di immissione. Individuato più esattamente il punto d'urto e alla luce della posizione di quiete delle vetture e dell'esame dei video, il CTU ha stimato la velocità di arrivo all'urto dei veicoli in 22 km/h per la Fiat dello Sb. e 134 km/h medi per la BMW (con una approssimazione, data dal basso numero di fotogrammi dei video disponibili), accertando che la vettura dello Sb. arrivò all'impatto dopo aver esercitato una frenata della durata di 0,8 secondi (cfr. relazione, pagg. 22-24). Ricostruita dinamica del sinistro e velocità delle vetture, il CTU ha analizzato le condizioni di visibilità reciproca tra i mezzi coinvolti, in ragione egli spazi percorsi negli istanti precedenti l'impatto. Il CTU ha quindi concluso che al momento della ripartenza del Ri. dallo stop la BMW anticipasse di ca. 140 metri la zona d'urto sicché per i due conducenti non vi era possibilità di reciproco avvistamento da momento che non erano in diretta visibilità ottica. Il CTU ha poi dato atto delle prove svolte con i CTP, per verificare la visibilità sia all'intersezione, sia nel punto corrispondente allo stop. Escluso che volgendo lo sguardo a destra si potesse avvistare la BMW, il CTU ha osservato che "utilizzando lo specchio parabolico presente in loco la distanza di avvistamento arrivava a circa 160 metri. Pertanto, stante ciò, dall'intersezione a T sarebbe stato tecnicamente possibile l'avvistamento indiretto della vettura BMW grazie all'uso dello specchio parabolico attraverso il fascio luminoso proveniente dai proiettori del mezzo" (cfr. relazione CTU, pagg. 25-26). Il CTU formula tale conclusione in forma ipotetica, osservando che pur essendo lo specchio risultato appannato la sera delle operazioni peritali (18.11.2022, quindi stesso giorno e orario del sinistro, a distanza di quattro anni; il CTU, ha dato infatti atto che alle 22.30 delle operazioni vi era nebbia, ma che, riprese le operazioni alle 23 vi era piena visibilità e lo specchio risultava appannato, cfr. relazione CTU, pag. 4) non sarebbe possibile ricostruire con certezza le condizioni dello specchio la sera del sinistro (e dunque se lo stesso fosse appannato oppure no, posto che l'appannamento "ne avrebbe certamente compromesso in modo significativo l'utilità, riducendo così la distanza di avvistamento" (cfr. relazione CTU, pag. 26). Sulla base di questo assunto (ossia, che lo specchio non fosse appannato), il CTU ha formulato due ipotesi: a) Ri., giunto all'intersezione in questione provenendo da via Z., controllava visivamente la propria destra, senza fare uso dello specchio parabolico presente in loco e, non avvistando alcun mezzo, iniziava la manovra di immissione con svolta a sinistra; b. Ri. controllava effettivamente lo specchio e, pur vedendo la luce emessa dai proiettori della BMW in lontananza (a circa 140 metri), iniziava comunque la manovra di immissione con svolta a sinistra dal momento che non percepiva che la BMW stesse marciando ad una velocità pressoché doppia rispetto al limite vigente sul tratto di strada in questione. Sulla base di queste ipotesi, il CTU ha quindi ricostruito quando i due conducenti hanno avuto contezza della reciproca condizione di pericolo: per Sb., quando le vetture si vennero trovare a 111 m di distanza, ca. 2,9 secondi prima dell'urto, ma iniziava a frenare a 0,8 secondi prima dello scontro, procedendo passivamente per 2.1 secondi prima di azionare i freni; ciò, ad avviso dell'Ing. Di Leva, in ragione dello stato alcolico del convenuto. Per Ri. il CTU ha osservato che il solo specchio avrebbe potuto fornire informazioni in merito alla visibilità ma non alla velocità di marcia, sicché l'Ing. Di Leva ha osservato che il Ri. avrebbe potuto rendersi conto dell'immediata condizione di pericolo solo nel momento in cui vi fosse stata visibilità diretta tra i due conducenti (cfr. pag. 27). Il CTU ha quindi stimato la velocità prudenziale che avrebbe consentito a Sb. di evitare il sinistro (consentendogli una decelerazione in tempo utile), pari a 107 km/h (quindi superiore di 30 km/h al limite, ma inferiore di ca. 30 alla velocità effettivamente tenuta dal convenuto) (cfr. pag. 28). L'Ing. Di Leva ha poi osservato altresì, sulla base della posizione del corpo del Ri. e della riproduzione della sua fuoriuscita dal finestrino posteriore destra, che Ri. non fosse cinturato al momento della collisione (cfr. relazione CTU, pag. 34). Il CTU ha quindi analizzato la sussistenza o meno delle violazioni ipoteticamente contestabili al Ri. (artt. 145, co. 1 e 5 c.d.s. e 154 co. 1 c.d.s.); ritenuta, a suo avviso, l'insussistenza di violazioni al c.d.s. rilevanti sotto il profilo causale, il CTU ha concluso che "nel momento in cui il sig. Ri. ripartiva dalla segnaletica orizzontale di stop di via Z., la bmw anticipava di circa 140 metri la successiva zona d'urto. In tale circostanza, i due protagonisti non si erano in visibilità ottica diretta e, dunque, non potevano avvistarsi reciprocamente in via diretta. Ciò a causa sia della conformazione curvilinea della strada sia dell'ingombro verticale offerto dai civici presenti lungo la parte sinistra di via B. nel tratto in questione ..." e che "relativamente alla evitabilità del sinistro i calcoli hanno dimostrato che l'impatto non si sarebbe verificato qualora il sig. Sb. avesse tenuto una velocità entro il limite vigente in loco di 70 km/h ed avesse attuato un'azione frenante al termine del proprio intervallo psico-tecnico di reazione" (cfr. relazione di CTU, pagg. 49-50); in merito all'evitabilità del sinistro da parte della vittima e in particolare alla possibilità per Ri. di avvedersi dell'arrivo della vettura (cfr. quesito n. 3), il CTU ha quindi osservato che "riguardo tale aspetto del quesito peritale questo ctu a valle dell'attività svolta ritiene che ipotizzando il fatto di utilizzare lo specchio parabolico, fosse possibile percepire che, a notevole distanza (intendendo con ciò il riferimento ad una distanza certamente superiore ai 111 metri), ci fosse una vettura in avvicinamento dalla propria destra ma certamente non fosse possibile avere contezza della velocità a cui la stessa stava procedendo. stante ciò si ritiene plausibile pensare che sia possibile iniziare la manovra di immissione con svolta a sinistra. Inoltre, in relazione alla possibilità, una volta superato lo stop, di avvistare direttamente la vettura in arrivo e, quindi, di interrompere la manovra; ebbene, tenendo conto delle concrete modalità in cui è avvenuto il sinistro e supponendo di far compiere al sig. Ri. le manovre richieste dal c.d.s. come descritte a pag. 36 e seguenti della presente relazione, a meditato parere di questo ctu si ritiene che lo stesso non potesse essere in grado di interrompere detta manovra in virtù dell'analisi dei tempi a disposizione che vedono tale possibilità concretizzarsi realmente solo dopo un tempo pari a quello trascorso per giungere al punto d'urto e cioé circa 3.7 secondi" (cfr. pagg. 50-51). Tali conclusioni non sono state modificate dal CTU alla luce delle osservazioni delle parti, neppure dopo che l'Ing. Di Leva è stato chiamato a chiarimenti, su richiesta della difesa convenuta. Questo Giudice condivide le conclusioni del CTU, nel senso che non possa essere mosso alcun rimprovero al Ri. e che dunque non possa esserne ipotizzato alcun apporto, sotto il profilo causale, nel sinistro, seppur per ragioni in parte diverse da quelle rappresentate dal CTU. 4.1. Si concorda anzitutto con la ricostruzione del CTU in merito al rispetto da parte del Ri. del segnale di stop, alla velocità delle vetture al momento dell'impatto, alle modalità dell'impatto tra le due vetture. Tali aspetti non hanno formato oggetto di sostanziali rilievi da parte attrice. 4.1.1. Il CTP della convenuta ha invece contestato in parte la ricostruzione delle modalità dell'impatto, rilevando che in base alla posizione della traccia gommosa rilevata sull'asfalto, dal CTP riconducibile non allo pneumatico anteriore sinistro, ma destro della BMW, lo scontro tra le vetture sarebbe avvenuto più esattamente tra parte anteriore centro destra della BMW e posteriore centrale della Fiat, non spigolo destro (cfr. osservazioni CTP, pagg. 4-10; in particolare per la diversa ricostruzione dell'urto rispetto a quella a pag. 22 della CTU, cfr. pag. 7 delle osservazioni). A sostegno di tale ricostruzione il CTP Dinon riporta anche un fotogramma delle telecamere: tutto ciò porterebbe a dire che il punto di impatto (già arretrato dal CTU rispetto a quello stimato dagli operanti) potrebbe risultare ancora più retrostante, con conseguente differente ricostruzione sulla determinazione dei relativi tempi cinematici. Tali rilievi non sono condivisibili. Anzitutto, nelle osservazioni il CTP non ha meglio chiarito quale sarebbe l'effetto pratico di arretrare ulteriormente il punto d'impatto. L'argomento è stato sviluppato all'udienza del 2.5.2023, in cui il CTP ha chiarito che arretrando ulteriormente il punto d'impatto di altri due metri poterebbe dirsi che "R. abbia impiegato un tempo inferiore di 2 decimi di secondo per affrontare la manovra, con la conseguenza" che non avrebbe a maggior ragione tenuto una condotta prudente; in ultima analisi, comportando la ricostruzione del CTP una variazione delle tempistiche di appena due decimi di secondo, le considerazioni dell'Ing. Dinon parrebbero comunque non rilevanti nella valutazione globale del sinistro. I rilievi non sono comunque condivisibili, per le ragioni esposte dal CTU nella risposta alle osservazioni (cfr. pagg. 8-9), allegata alla relazione di CTU e ribadite all'udienza del 2.5.2023, vale a dire (i) il frammento d'immagine evidenziato dal CTP non è concludente per determinare l'esatta posizione delle vetture al momento dell'impatto; (ii) dalle stesse immagini emerge che dopo l'impatto la BMW non tenne un moto rettilineo, cosa che avrebbe dovuto fare dando per valida la diversa ricostruzione del CTP Dinon; (iii) la ricostruzione del CTU, per cui l'impatto è avvenuto con lo spigolo posteriore destro della Fiat, è compatibile con i danni riportati dalla Fiat; (iv) le tracce gommose riscontrate sono maggiormente compatibili con la ricostruzione del CTU, posto che diversamente si sarebbe dovuta riscontrare una sovrapposizione tra tracce gommose. 4.1.2. Il CTP della convenuta formula poi una ipotesi, su cui basa molti dei rilievi in punto visibilità tra vetture, vale a dire che Ri. si sia fermato allo stop al margine della linea orizzontale di stop verso via Z. e non verso via B. (posizione dal CTP indicata come non ottimale, nel senso che Ri. per avere una migliore visuale avrebbe dovuto portarsi 1,2/1,5 metri in avanti - quindi esattamente sulla linea, cfr. osservazioni pag. 12 e figura n. 11). Sulla base di questo assunto (vale a dire che al momento della ripartenza Ri. fosse 1,2/1,5 metri indietro) e considerata la velocità delle vetture (su cui invece il CTP concorda con l'Ing. Di Leva), il CTP in punto avvistabilità tra le vetture osserva che quando il Ri. stava oltrepassando col muso la linea di margine, tra i due veicoli vi era una distanza relativa di ca. 80 metri (cfr. osservazioni, pag. 14), sicché in quel momento Ri. avrebbe potuto (e dovuto) guardare alla propria destra, il che gli avrebbe consentito di vedere la BMW ed anche di fermare la Fiat, evitando l'impatto (cfr. osservazioni, pagg. 15-16). Anche tali osservazioni non sono condivisibili. Come rilevato dal CTU, sono confutate dal video (cfr. doc. 47 attoreo) in cui al fotogramma delle ore 21.53.13 (l'orario risulta anticipato rispetto a quello effettivo del sinistro perché le telecamere dell'impresa Z. non erano sincronizzate) si può vedere l'auto del Ri. fermarsi in posizione avanzata (e dunque quella ritenuta ottimale dal CTP). Peraltro, come correttamente rilevato dal CTU, deve più che ragionevolmente ritenersi che Ri., che ben conosceva la strada (ove viveva la madre), consapevole del ridotto cono visivo in ragione della curva di via B., si sia fermato allo stop nella posizione quanto più avanzata possibile, per avere piena visibilità sulla destra. Dall'erroneità della ricostruzione del CTP sulla posizione di fermata della Fiat deriva, a cascata, l'incongruenza di buona parte della ricostruzione del CTP di Vi. (basata, almeno in parte, sull'assunto che la vettura di Ri. fosse in una posizione meno avanzata rispetto a quanto ricostruito dal CTU: e in tal senso deve ritenersi infondato l'ulteriore assunto della convenuta per cui Ri. potesse avere una visione diretta - e quindi, anche senza avvalersi dello specchio parabolico - dei fari della BMW, nel momento in cui si trovava sullo stop, cfr. osservazioni, pagg. 18-20; considerazioni queste richiamate dalla difesa della convenuta in conclusionale, pagg. 6-7). 4.2. Essendo condivisibile la ricostruzione del CTU sulla posizione e velocità dei veicoli al momento dell'urto e negli istanti che lo hanno preceduto, sulla scorta dell'analisi dell'Ing. Di Leva può dunque darsi per assodato che (i) Ri. si sia fermato allo stop; (ii) Sb. marciasse a ca. 134 km/h, a una velocità pari quindi quasi al doppio del limite sul tratto di strada (70 km/h), peraltro in un tratto che presentava una curva con visuale cieca, non a caso ampiamente segnalata. In questo contesto, la difesa di Vi. afferma che la corresponsabilità del Ri. potrebbe derivare da una sua negligenza, non avendo questi verificato, guardando a destra e nello specchio parabolico, che vi fossero vetture provenienti da via B.. Va sul punto anzitutto osservato che a specifica domanda del difensore della convenuta, il CTU, all'udienza del 2.5.2023, ha chiarito che nell'intervallo di tempo in cui Ri. risulta essere rimasto fermo allo stop (1,4 secondi; dato pacifico, emergente dai video) la vittima aveva tempo sufficiente per guardare alla sua destra e nello specchio. Come già chiarito, tuttavia, in quel momento, stante la velocità dello Sb., dalla visione diretta a destra Ri. non avrebbe comunque potuto accorgersi dell'arrivo della BMW, posto che non avrebbe neanche potuto cogliere la luce dei fari sulla curva. 4.2.1. Ciò chiarito, CTU prima e parti poi (e in particolare convenuta) si sono concentrati sull'asserito rilievo della condotta del Ri., sull'assunto che egli o non abbia guardato nello specchio o che, pur avendo guardato, vi abbia visto riflesse le luci dell'auto dello Sb. e nonostante questo abbia deciso di proseguire la marcia. In merito il CTU ha rilevato (e il punto non ha formato oggetto di osservazioni) che il tempo in cui Ri. era fermo allo stop gli avrebbe consentito - anche - di guardare nello specchio. La difesa attorea ha sin dall'atto introduttivo dedotto che la notte del sinistro lo specchio fosse appannato, il che avrebbe impedito, pur guardando nello specchio parabolico, di intravedere sulla curva le luci della BMW. Vi. ha contestato tale ricostruzione, osservando, da ultimo in conclusionale (cfr. pagg. 3-4) che non vi sarebbe prova che lo specchio fosse appannato e che anche se così fosse stato Ri. avrebbe dovuto immettersi con maggior prudenza; la difesa convenuta osserva peraltro che, anche se appannato, lo specchio consentisse di vedere le luci provenienti dalla destra, come sarebbe emerso nel corso delle operazioni peritali (pag. 4). Va in effetti osservato che CTU e CTP si sono recati sul luogo del sinistro, in data coincidente con quella del sinistro (18 novembre 2022). In tale occasione lo specchio era appannato; il CTU osservando che ciò non implicasse "certamente" che, al momento del sinistro lo specchio fosse effettivamente appannato (cfr. relazione di CTU, pag. 26), ha svolto quindi tutta una serie di considerazioni, sull'assunto ipotetico che Ri. non avesse guardato nello specchio o guardando e vedendovi la luce della BMW abbia deciso comunque di affrontare l'incrocio, non potendosi rappresentare l'esatta velocità dell'auto del convenuto. Non si condivide appieno tale passaggio della CTU. L'Ing. Di Leva parte dall'assunto, come visto, che nel giudizio debbano essere acquisiti dati certi (o prossimi alla certezza). Tali considerazioni, senz'altro valide nel giudizio penale (e ciò, probabilmente, ha indotto il CT del PM a suggerire all'inquirente di vagliare anche il possibile rilievo di condotte imprudenti del R.) non lo sono nel presente giudizio, in cui l'onere probatorio è sottoposto al diverso criterio del "più probabile che non". In questo contesto, va osservato che dalla documentazione fotografica della notte del sinistro non è dato comprendere quali fossero le esatte condizioni dello specchio (l'unica foto che lo ritrae, cfr. doc. 8.1. attoreo, pag. 5 del file, non consente di dirlo esattamente). Tuttavia, alla luce delle verifiche svolte dal CTU (che ha svolto l'accesso sui luoghi di causa in una serata dalle condizioni assolutamente similari a quelle in cui si è svolto il sinistro) e considerato che in quel periodo dell'anno i luoghi di causa sono normalmente soggetti a forte umidità (circostanza questa pure documentata dal CTP di parte attorea, nella relazione ante causam, cfr. doc. 15, pagg. 17 ss. e riportata nelle osservazioni alla CTU, pag. 4, per cui in base ai dati storici l'umidità il giorno del sinistro era pari al 90% con una escursione di 10 gradi tra giorno e notte), può per l'appunto ritenersi più che probabile che lo specchio fosse appannato o comunque non garantisse la piena visibilità. Non vale a smentire tale conclusione l'osservazione svolta in memoria di replica da Vi. (cfr. pag. 3) per cui il fatto che lo specchio fosse appannato dovrebbe essere escluso dalla circostanza che le telecamere hanno ben ripreso il sinistro (non essendo dunque appannate): le lenti delle telecamere hanno infatti una consistenza diversa dal materiale dello specchio, sicché la circostanza che non fossero appannate non esclude che invece lo specchio lo fosse. Ciò chiarito, se le condizioni dello specchio erano quelle esaminate dall'Ing. Di Leva, diversamente da quanto sostenuto da Vi. in conclusionale, si deve escludere che Fa.Ri. potesse avvedersi tramite esso delle luci della BMW: nella fotografia dello specchio, ritratto nella posizione da cui avrebbe potuto guardarlo il Ri. e prima che i tecnici provassero ad eliminare l'appannamento (cfr. relazione CTU, pag. 6, fig. 5) lo specchio non consentiva affatto di ampliare il cono visivo: lo specchio riflette una luce arancione, verosimilmente dei fari di illuminazione pubblica posti lungo la strada (pacificamente di quel colore, cfr. doc. 8.1. ma anche le fotografie allegate alla relazione di CTU), quindi deve più che ragionevolmente escludersi che osservando nello specchio Ri. potesse vedere le luci della BMW sopravveniente, peraltro non direttamente, ma come riflesso sugli edifici e asfalto posti al termine della curva. Né si può affermare che, stante l'appannamento dello specchio, Ri. avrebbe dovuto immettersi con maggior prudenza: prima di guardare nello specchio, la vittima aveva più che verosimilmente già guardato alla sua destra, non vedendo alcunché - ciò per la velocità d'approccio dello Sb.. In ultima analisi, ritiene questo Giudice che Ri. abbia posto in essere tutti gli accorgimenti del caso per immettersi in via B.: si è fermato allo stop, ha guardato sia a sinistra che a destra, dando anche uno sguardo nello specchio - più che probabilmente appannato, il che gli impedì di cogliere i fari della BMW sulla curva - e, avendo riscontrato che la strada era libera, ha iniziato ad immettersi, non potendosi rappresentare l'arrivo del convenuto (che, non a caso, stava marciando ad una velocità quasi pari al doppio del consentito, in un punto peraltro in cui vi era una curva). Unico responsabile del sinistro è dunque lo Sb.. 4.2.2. È quindi per mera ipotesi che si può osservare che le conclusioni non cambiano anche laddove dovesse aderirsi - ma così non è - alla diversa ricostruzione, per cui Ri. guardò nello specchio, vide le luci della BMW ma decise comunque di affrontare l'incrocio. Va osservato che non è anzitutto dato comprendere quando Ri. avrebbe potuto avvedersi delle luci nello specchio: in base alla prospettiva del CTP convenuto ciò sarebbe potuto accadere quando Ri. aveva già iniziato la manovra di immissione e quindi dopo che avrebbe già dovuto guardare nello specchio. La posizione del CTU è invece più sfumata, ritenendo l'Ing. Di Leva che Ri. avrebbe potuto intravedere il fascio di luci nello specchio al momento della ripartenza. Se così fosse e in adesione alla prospettazione del CTU, la condotta di Ri. non potrebbe comunque dirsi in alcun modo imprudente. Va sul punto osservato che la circostanza che il CT del PM abbia ipotizzato la violazione, da parte del Ri., dell'artt. 145, co. 1 e 5 o 154 co. 1 c.d.s. in sé per sé non rileva, posto che "In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, ai fini dell'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti, idonea a determinare il superamento della presunzione ex art. 2054, comma 2, c.c., non è sufficiente la prova relativa all'avvenuta infrazione al codice della strada essendo, altresì, necessaria la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento integrante detta violazione e l'evento dannoso, posto che la presunzione in parola opera sul piano della causalità, sicché la violazione amministrativa deve aver avuto un'incidenza causale per aver rilievo in termini di responsabilità civile." (Cass. Sez. III, ord. n. 8311 del 23/3/2023; cfr. in tal senso, Cass. n. 19115/2020). Le disposizioni di cui il CT del PM ha ipotizzato la violazione introducono delle fattispecie aperte, posto che la "massima prudenza" di cui all'art. 145, co. 1 va chiaramente vagliata caso per caso, a seconda delle condizioni della strada; analogo discorso per la necessità di chi voglia immettersi di "assicurarsi di potere effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada ..." (art. 154, co. 1, lett. a). Ciò chiarito, di per sé sicuramente non è ravvisabile la violazione dell'art. 145, co. 5 c.d.s, posto che Ri. si fermò allo stop. Si deve poi ritenere che, anche laddove Ri. avesse potuto vedere il fascio di luce dell'auto nello specchio, la sua condotta non potrebbe dirsi imprudente. Va considerato, come correttamente evidenziato dal CTU, che l'asserita percezione del fascio di luce non avrebbe comunque consentito al Ri. di ricostruire la velocità della vettura proveniente dalla curva; anzi, in tal caso era più verosimile prospettarsi che l'auto emettente il fascio di luce stesse rispettando il limite di velocità o, che pur violandolo, l'auto in arrivo, stante la distanza tra curva e intersezione fosse comunque in grado di adottare ogni misura di sicurezza (il CTU ha infatti chiarito che a parità di condizioni e dunque con i tempi di frenata riscontrati, Sb. avrebbe potuto evitare il sinistro marciando anche fino a 104 km/h, quindi di oltre 30 km/h sopra al limite, cfr. CTU, pag. 28). In altri termini, anche a voler ipotizzare che Ri. vide il fascio di luce, non poteva ragionevolmente supporre che l'auto che lo emetteva, che peraltro doveva percorrere una curva, stesse marciando ad una velocità superiore di oltre 60 km/h al consentito. La scelta della vittima di affrontare l'incrocio dovrebbe dunque dirsi sufficientemente prudente, ex art. 145, co. 1 c.d.s. e in linea con l'art. 154, co. 1 lett. a) non potendo Ri. prospettare di creare pericolo alla vettura interveniente. In questo contesto, dunque, anche a voler ritenere che Ri. potesse avvedersi del fascio di luce grazie allo specchio parabolico (cosa che, come su chiarito, deve comunque escludersi) non può ravvisarsi una condotta di guida imprudente o pericolosa da parte della vittima ed in ogni caso incidente eziologicamente sul sinistro. 4.3. Per le ragioni su esposte, deve dunque concludersi che il sinistro sia esclusivamente riconducibile alla condotta dello Sb. per (i) aver marciato ad oltre 60 km/h sopra al limite, peraltro in un tratto di strada curvo, con poca visibilità (problematiche segnalate ampiamente dalla cartellonistica veriticale); (ii) sotto l'effetto di sostanze alcoliche, il che ha anche contribuito, per le ragioni meglio chiarite dal CTU, a ritardare la frenata, con un ritardo di 2.1 secondi rispetto all'intervallo psicotecnico di reazione (è appena il caso di evidenziare che laddove Sb. avesse frenato in tempo, l'urto avrebbe o potuto essere evitato o comunque si sarebbe verificato verosimilmente con modalità diverse da quelle che hanno condotto alla morte di R.). 4.4. Vi. ha eccepito che Ri. non indossasse le cinture di sicurezza, deducendo che la circostanza rileverebbe ex art. 1227, co. 1 c.c. (nel senso che il mancato utilizzo delle cinture potrebbe rilevare ai sensi di tale disposizione e non dell'interruzione del nesso di causa cfr. Cass. Sez. III, ord. n. 11095 del 10/6/2020; Cass. Sez. III, ord. n. 8443 del 27/3/2019). È stato dunque chiesto al CTU di verificare se la vittima indossasse le cinture di sicurezza e se il loro utilizzo avrebbe potuto impedire o meno il decesso. Il CTU, con argomentazione pienamente condivisibile, ha escluso che Ri. indossasse la cintura (sia per la posizione in cui la cintura fu ritrovata, sia per le modalità in cui il corpo della vittima fuoriuscì dalla vettura, cfr. relazione, pagg. 33-34). L'Ing. Di Leva ha però poi concluso che anche ove Ri. fosse stato cinturato, l'elevatissima intensità dell'impatto (data in particolare dalla velocità della vettura dello S.) avrebbe comunque comportato delle fortissime decelerazioni degli organi interni della vittima, ciò perché "... mentre le parti rigide del corpo (le ossa) si fermano improvvisamente, gli altri organi, a causa della loro inerzia, continuano a muoversi ancora per un po' all'interno del corpo nella stessa direzione, venendo schiacciati verso la superficie di impatto. Questi movimenti o compressioni interne sono i fenomeni che, nel caso del cervello, ad esempio, possono portare ad un trauma cranico molto più grave rispetto a eventuali ferite o fratture ..." (cfr. relazione CTU, pag. 45). Il CTU ha quindi osservato che in "considerazione del livello di accelerazioni rilevate come sopra e del relativo tempo di esposizione (nell'ordine di circa 0.05 secondi per picco legati prima all'impatto tra le vetture e poi a quello successivo avvenuto contro la tombinatura del canale di scolo) è possibile stimare che ci si attesta su valori prossimi all'area individuata quale esposizione che può causare lesioni gravi" (cfr. relazione CTU, pag. 46). Il CTU ha poi osservato che "dall'analisi delle immagini raffiguranti lo spazio interno della fiat uno che si è venuto a ridurre in maniera significativa a causa degli urti subiti ed, in particolare, focalizzando l'attenzione sul posto di guida che sarebbe stato quello occupato dal sig. Ri. nell'ipotesi in cui fosse stato cinturato a meditato parere di questo ctu è possibile ritenere con ogni probabilità che l'incolumità del conducente sarebbe stata comunque compromessa dalle medesime lamiere del veicolo ...". Il CTU ha quindi concluso che "sulla scorta di quanto sopra riportato, tenuto conto delle accelerazioni sviluppate nel sinistro e delle condizioni del mezzo a valle dell'impatto occorso a meditato parere di questo ctu si ritiene che, sebbene nel caso in cui il conducente della fiat uno fosse stato cinturato al momento dell'impatto ciò non avrebbe ragionevolmente causato l'espulsione lo stesso all'esterno del veicolo tale condizione tuttavia però non sarebbe stata in grado di garantire la sua incolumità giacché l'impatto avrebbe causato comunque delle gravi lesioni a quest'ultimo, potenzialmente anche mortali" (cfr. relazione CTU, pag. 47). Si condividono pienamente le conclusioni dell'Ing. Di Leva; la difesa di Vi. in merito si è limitata ad osservare, sulla scorta delle osservazioni del CTP, che il mancato utilizzo della cintura di sicurezza è stato certamente propedeutico alle lesioni risultate poi mortali per il Ri., posto che egli colpì violentemente le parti interne dell'abitacolo del veicolo durante la sua rotazione (cfr. conclusionale, pag. 8). Tali rilievi non colgono il punto. È pacifico che Ri. sia deceduto per gli urti subiti durante la rotazione del mezzo, connessi al mancato utilizzo delle cinture (e, purtroppo, le fotografie allegate alla relazione di incidente, cfr. doc. 8.1. attoreo, lo dimostrano). In questa sede va tuttavia osservato che, in base alle conclusioni del CTU, anche se avesse indossato le cinture, Ri. avrebbe subito lesioni gravissime, potenzialmente mortali (questo vuoi per l'accelerazione/decelerazione cui sarebbero comunque stati soggetti gli organi, in particolare il cervello, con conseguente rischio di traumi/lesioni interne; vuoi perché le lamiere e i frammenti del parabrezza avrebbero comunque più che probabilmente impattato in ogni caso sul corpo del conducente - e a dimostrazione di ciò, basti guardare le fotografie a pagg. 47-48 della relazione di CTU). Non si può dire con assoluta certezza o con un margine prossimo alla certezza che Ri. non sarebbe deceduto se non avesse indossato le cinture; può però dirsi che è altamente probabile che sarebbe morto lo stesso e tanto basta in base ai criteri applicabili nel presente giudizio. È appena il caso di evidenziare che il diverso grado di certezza che distingue il giudizio civile da quello penale consente di superare l'ulteriore eccezione della difesa di Vi., secondo cui allo Sb., nel secondo grado del processo penale sarebbe stata applicata la circostanza attenuante di cui all'art. 589, bis co. 7 c.p. (cfr. doc. 4 convenuta). Al di là della circostanza che Vi. ha prodotto il solo dispositivo della sentenza d'appello, sicché non è possibile comprendere quale sia stato il ragionamento per il riconoscimento dell'attenuante, può verosimilmente ritenersi che essa sia stata riconosciuta in ragione del diverso criterio di valutazione delle prove operante in sede penale, per cui l'asserito concorso colposo della vittima nel dubbio, vada valutato pro reo. Peraltro detto precedente non avrebbe alcun rilievo nel valutare il preteso concorso colposo del Ri., posto che "Nei rapporti tra giudizio penale e civile, l'efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651 c.p.p., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l'accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima" (Cass. Sez. III, sent. n. 1665 del 29/1/2016). 4.5. In conclusione, deve ritenersi che il sinistro sia riconducibile esclusivamente alla condotta dello S.; anche la morte di Fa.Ri. è unicamente riconducibile al convenuto, essendo stato dimostrato che anche l'utilizzo delle cinture non avrebbe potuto, con un sufficiente grado di probabilità, evitare il decesso. 5. Tanto premesso in punto an, si possono esaminare le richieste risarcitorie, partendo da quelle concernenti il danno non patrimoniale da perdita del legame parentale. 5.1. Quanto alla quantificazione del danno, gli attori, in citazione, hanno fatto riferimento alle tabelle previste dal Tribunale di Milano, nella versione del 2021. Dette tabelle - integranti in ultima analisi uno strumento d'ausilio nella liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. - non sono state ritenute idonee dalla più recente giurisprudenza di legittimità, non consentendo una sufficiente valutazione delle circostanze del caso concreto: "In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella." (Cass. Sez. III, sent. n. 10579 del 21/4/2021; in senso conforme, cfr. Cass. Sez. III, ord. n. 26300 del 29/9/2021). Nel giugno del 2022 il Tribunale di Milano, per ovviare alle censure della S.C. ha quindi adottato delle nuove tabelle per liquidare tale tipologia di danno, ispirandosi alle tabelle romane. Al momento non constano precedenti di legittimità che si siano pronunciati in casi in cui si è fatta diretta applicazione di dette tabelle. La S.C., nel definire distinti procedimenti, ha tuttavia avuto modo di chiarire che le nuove tabelle, per come strutturate, sono un valido criterio per la liquidazione del tipo di danno: "Le tabelle di Milano pubblicate nel giugno del 2022 costituiscono idoneo criterio per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto fondate su un sistema "a punto variabile" (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione "a forbice") che prevede l'attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti all'età della vittima primaria e secondaria, alla convivenza tra le stesse, alla sopravvivenza di altri congiunti e alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo a una valutazione equitativa "pura", purché sorretta da adeguata motivazione." (Cass. Sez. III, ord. n. 37009 del 16/12/2022). Ciò chiarito, si farà applicazione delle tabelle milanesi del 2022 di cui, coerentemente all'evoluzione giurisprudenziale, gli attori hanno chiesto l'applicazione in conclusionale: esse, in linea con le indicazioni degli ermellini, sono strutturate secondo un sistema a punti, il cui valore base (diverso per il caso di perdita di genitore/figlio/coniuge o assimilati e per quella di fratelli/nipoti) è stato determinato sulla base dei precedenti valori a forbice. Viene prevista la possibilità di attribuire fino a un massimo di 118 (per genitore/figlio/coniuge o assimilati) e 116 punti (per fratelli/nipoti), ciò sulla scorta di cinque parametri (a) età della vittima primaria; (b) età della vittima secondaria; (c) convivenza o meno tra i due; (d) sopravvivenza di altri congiunti (e) qualità/intensità della relazione affettiva perduta, i primi quattro di natura oggettiva (quindi dimostrabili anche tramite presunzioni semplici), il quinto di natura soggettiva (presupponendo dunque una prova più specifica dell'intensità del legame parentale: in particolare, quali elementi da valorizzare le tabelle indicano (i) l'intensità delle frequentazioni o contatti; (ii) la condivisione di festività, ricorrenze; (iii) la condivisione di attività lavorativa, hobby o sport; (iv) l'assistenza sanitaria/domestica; (v) l'agonia, penosità, particolare durata della vittima primaria e il suo impatto sulla vittima secondaria); detti parametri consentono in maniera adeguata di risarcire sia gli aspetti dinamico relazionali, sia la sofferenza interiore, integranti il danno da perdita parentale, purché gli stessi siano congruamente allegati e provati. 5.1.1. Ciò premesso, iniziando l'esame dalla posizione di Ma.Ri. (nato il (...), 20 anni al momento della morte del padre), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte (49 anni, essendo nato il (...), deceduto il 18.11.2018), per il parametro (a) vanno riconosciuti 20 punti, per il parametro (b) 26; i due pacificamente - ma la circostanza è stata dimostrata anche in sede di prove orali - erano conviventi, sicché per il parametro (c) vanno riconosciuti 16 punti; per il parametro (d) poiché Ma. era figlio unico, già orfano della madre e non sussistevano dunque altri congiunti del nucleo primario in vita (non rilevando, in tal senso, la presenza della nonna e della zia), vanno riconosciuti 16 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare i testi Ma., collega, poi compagna e quindi amica di Fa.Ri. e S.C., amica di Ma. già dal 2016, escusse il 28.3.2023) hanno confermato la sussistenza di un intensissimo rapporto tra padre e Figlio, anche legato al fatto che Fa. era l'unico genitore del figlio dopo la morte della madre, mancata nel 2000. La teste Ma. ha ad esempio confermato che Fa. era molto attivo nella vita educativa e scolastica del figlio, andava ai colloqui degli insegnanti ed era un modello per il figlio, che si iscrisse al liceo alberghiero seguendo l'esempio del padre. La teste ha confermato che padre e figlio consumavano insieme i pasti e coltivavano insieme varie passioni, come la motocicletta e le passeggiate in montagna, oltre che alle attività di giardinaggio e boschive (sfalcio e taglio delle piante). La presenza del padre nella vita scolastica di Ma. è stata confermata anche dalla C., che ha altresì confermato che il padre preparava per lo più tutti i pasti del figlio, che i due trascorrevano le vacanze e coltivavano varie passioni insieme (la motocicletta, ma anche il giardinaggio e le attività boschive, intesa come potatura e taglio delle piante). Stante l'intensissimo rapporto tra padre e figlio, devono dunque essere riconosciuti 30 punti, il massimo previsto dalle tabelle meneghine. Moltiplicando i 108 punti riconosciuti (20 + 26 + 16 + 16+ 30) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di genitore, figlio, coniuge e figure assimilate (Euro 3.365,00), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 363.420,00 (sussistono nel caso di specie le circostanze eccezionali per superare il totale monetario di Euro 336.500,00, indicato come limite ordinario dalle tabelle, cfr. pag. 8 delle stesse, in ragione dell'intensissimo rapporto parentale tra padre e figlio e dal fatto che questi era già orfano di madre dall'età di due anni). 5.1.2. Quanto alla posizione della Fa. (nata il 24.9.1946, 72 anni al momento della morte del figlio), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte, per il parametro (a) vanno riconosciuti 20 punti, per il parametro (b) 12. I due pacificamente non erano conviventi, né abitavano nello stesso stabile o in abitazioni confinanti sicché diversamente da quanto sostenuto in conclusionale dagli attori (che hanno chiesto riconoscersi 8 punti, essendo emerso che Fa. frequentava intensamente la casa della madre, cfr. pag. 23) per il parametro c) non si riconosce alcun punto; per il parametro (d) poiché al momento della morte del figlio, nel nucleo familiare primario della Fa. residuava la sola figlia Ti.Ri., vanno riconosciuti 14 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare le testi C. e C., vicine e amica e abituali frequentatrici, specialmente la seconda, dell'abitazione della Fa., sentite il 26.10.2022) hanno confermato la sussistenza di un intenso legame tra madre e figlio, connesso al fatto che la Fa. fu molto presente per aiutare il figlio nella cura del nipote Ma., in particolare dalla morte della madre di quest'ultimo, occorsa nel 2000. Dalle testimonianze è quindi emerso che la Fa. e Fa.Ri. avessero una frequentazione pressoché giornaliera (non a caso, il defunto stava tornando dall'abitazione della madre, la notte dell'incidente), da cui può desumersi anche che festeggiassero sempre le festività insieme. La teste Ma. ha poi confermato che figlio e nipote fossero soliti trascorrere le vacanze estive con la madre, passando due settimane in montagna (B.1.7). Le testi C. e C. hanno poi confermato che, dalla morte del marito, la Fa. veniva assistita dal figlio in molte incombenze quotidiane, accompagnandola alle visite mediche, in banca etc. Anche se le testi (in particolare la C.) hanno osservato che la madre era autosufficiente e non è emersa la condivisione di hobby/passioni condivisi (salvo il gioco delle carte), può dirsi dimostrato che il legame tra la Fa. e il figlio fosse molto intenso. Stante l'intenso rapporto tra madre e figlio, ma considerato che la Fa. poteva comunque contare (anche per le faccende quotidiane) anche sulla figlia devono dunque essere riconosciuti 25 punti, Moltiplicando i 71 punti riconosciuti (20 + 12 + 14+ 25) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di genitore, figlio, coniuge e figure assimilate (Euro 3.365,00), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 238.915,00. 5.1.3. Quanto alla posizione di Ti.Ri. (nata il 5.1.1973, 45 anni al momento della morte del fratello), in ragione dell'età di Fa.Ri. al momento della morte e applicandosi la diversa tabella per la liquidazione del danno da perdita di fratello/nipote, per il parametro (a) vanno riconosciuti 14 punti, per il parametro (b) 14. I due pacificamente non erano conviventi, né abitavano nello stesso stabile o in abitazioni confinanti sicché per il parametro c) non si riconosce alcun punto; per il parametro (d) poiché al momento della morte del figlio, nel nucleo familiare primario della Fa. residuava la sola madre, vanno riconosciuti 14 punti. Quanto al parametro sub. e) le prove orali (in particolare le testi P. e T., vicina - la prima - e amiche dell'attrice e specialmente la seconda anche frequentatrice dell'abitazione della Fa., sentite l'8.2.2023) hanno confermato la sussistenza di un legame stabile tra i fratelli: si vedevano e frequentavano in media una volta ogni quindici giorni, di solito a casa della madre ma talvolta anche di T.; la P., che da vicina aveva un contatto più frequente con la Ri., ha confermato che Ri. ogni tanto, di solito quando la sorella era fuori per vacanze e viaggi, era solito dare una mano alla sorella per lavori di giardinaggio. La sola P. ha confermato che Fa.Ri. fu molto vicino alla sorella, nella convalescenza per una malattia tumorale. In ragione di questo legame stabile e delle frequentazioni costanti e bisettimanali (da cui può desumersi altresì che i fratelli trascorressero, insieme alla madre, le feste insieme), del limitato apporto del fratello alle faccende domestiche della sorella, in assenza di dimostrazione di condivisione di vacanze, hobby etc ma valutata la particolare vicinanza morale del fratello in occasione della malattia, pare congruo riconoscere 15 punti. Moltiplicando i 57 punti riconosciuti (14 + 14 + 14+ 15) per il valore del punto previsto dalla tabella per la perdita di fratello/nipote (Euro 1.461,20), a ristoro del danno non patrimoniale da perdita parentale a Ma.Ri. dovranno essere riconosciuti Euro 83.288,40. 5.2. Sono stati richiesti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data del fatto. Quanto alla domanda diretta all'applicazione della rivalutazione, l'obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisce debito di valore da liquidarsi tenendo conto dell'esigenza di reintegrare il patrimonio del creditore di una somma che equivalga al danno suo tempo subito. In merito alla quantificazione degli interessi, la questione deve essere valutata alla luce dell'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza, a Sezioni Unite, n. 1712 del 17.2.1995. Il reclamato danno da ritardo, va, pertanto, determinato equitativamente ex art. 2056 co. 1 c.c., secondo il richiamato insegnamento della S.C., col metodo seguente: - a base di calcolo va assunta non la somma sopra liquidata (cioè espressa in moneta attuale), ma una somma calcolata sulla sorte capitale svalutata all'epoca in cui è sorto il credito e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat; - su tale importo va applicato, in assenza di elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo della somma, il tasso di interesse pari al rendimento medio degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma; - il periodo di temporanea indisponibilità della somma liquidata a titolo di risarcimento va computato sull'intero capitale, per il periodo che va dalla data dell'illecito fino alla liquidazione definitiva. Nel caso di specie occorre poi tenere conto della circostanza che la Compagnia ha pacificamente corrisposto a Ma.Ri. Euro 90.000,00 il 19.12.2019 (cfr. doc. 35 attori), a Fr.Fa. Euro 72.000,00 il 7.4.2020 (cfr. doc. 36), a Ti.Ri. Euro 12.000,00 il 7.4.2020 (cfr. doc. 37), somme pacificamente trattenute dagli attori quali acconti e che dovranno essere dunque decurtate da quanto dovuto. Gli acconti andranno scomputati considerato il fatto che il creditore: I) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare il denaro dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che gli avrebbe garantito l'investimento dell'intero capitale dovutogli; II) solo dopo il pagamento dell'acconto, e per effetto di quest'ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua. Conseguentemente, come chiarito dalla suprema Corte, "La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva." (Cass. Sez. III, ord. n. 16027 del 18/5/2022; in senso conforme Cass. Sez. III, Sent. n. 9950 del 20/04/2017; Cass. Sez. III, Sent. n. 6347 del 19/03/2014). 5.2.1. Tanto premesso, la somma oggi liquidata a Ma.Ri. a ristoro del danno non patrimoniale, per Euro 363.420,00, devalutata all'epoca del sinistro - 18.11.2018- è pari ad Euro 311.413,88. L'acconto di Euro 90.000,00 (versato il 19.12.2019) devalutato all'epoca del sinistro ammonta ad Euro 89.730,81. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 221.683,07 (Euro 311.413,88-89.730,81). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 311.413,88), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 2.522,41. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 221.683,07), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 19.12.2019, è pari a oggi a complessivi Euro 275.381,90, a cui vanno aggiunti gli Euro 2.552,41 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 277.934,31 (Euro 275.381,90 + 2.552,41). Per quanto attiene, poi, al periodo intercorrente tra la data della presente sentenza e la data dell'effettivo pagamento, su detta somma dovranno essere corrisposti, per effetto della pronuncia di liquidazione che attribuisce al "quantum" dovuto natura di debito di valuta, in applicazione dell'art. 1282 c.c. gli interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c. 5.2.2. La somma oggi liquidata alla Fa., per Euro 238.915,00, devalutata al sinistro è pari ad Euro 204.725,79. L'acconto di Euro 72.000,00 (versato il 7.4.2020) devalutato all'epoca del sinistro è pari a Euro 71.784,65. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 132.941,14 (Euro 204.725,79-71.784,65). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 204.725,79), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 1.739,83. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 132.941,14), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 7.4.2020, è pari a oggi a complessivi Euro 165.099,60, a cui vanno aggiunti gli Euro 1.739,83 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 166.839,43 (Euro 165.099,60 + 1.739,83), oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo. Detto importo, essendo la Fa. deceduta in corso di causa, dovrà essere corrisposto agli altri attori, costituitisi anche come eredi universali della defunta (cfr. testamento allegato a note ex art. 127 ter c.p.c. per l'udienza di p.c.). 5.2.3. La somma oggi liquidata a Ti.Ri., per Euro 83.288,40, devalutata all'epoca del sinistro è pari ad Euro 71.369,67. L'acconto di Euro 12.000,00 (versato il 7.4.2020) devalutato all'epoca del sinistro ammonta ad Euro 11.964,11. L'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 59.405,56 (Euro 71.369,67-11.964,11). Gli interessi maturati sull'intero capitale (Euro 71.369,67), rivalutato fino all'acconto sono pari ad Euro 606,53. Detratto l'acconto e computando la rivalutazione e gli interessi sul capitale al netto della detrazione dell'acconto (Euro 59.405,56), la somma di capitale rivalutato anno per anno e interessi maturati sul capitale via via rivalutato, a far data dal 7.4.2020, è pari a oggi a complessivi Euro 73.775,77, a cui vanno aggiunti gli Euro 606,53 di interessi maturati prima dell'acconto: la somma spettante all'attrice, comprensiva di rivalutazione, interessi e al netto dell'acconto è quindi oggi pari ad Euro 74.382,30 (Euro 73.775,77 + 606,53), oltre interessi legali dalla sentenza sino al soddisfo. 6. Si può quindi procedere all'esame delle richieste di ristoro del danno patrimoniale. 6.1. Ma.Ri. ha richiesto il ristoro della perdita del contributo economico garantito dal padre, pari a 14.494,64, cioè il 60% dello stipendio anno netto (Euro23.406,32) del genitore, sull'assunto che il padre destinasse per l'appunto tale percentuale al mantenimento del figlio (cfr. citazione, pagg. 24-27), somma da riconoscersi quale danno emergente, fino alla data di deposito della presente sentenza e, previa capitalizzazione per le annualità future, fino al 2030 compreso. Ciò sull'assunto che Ma., che verosimilmente avrebbe seguito un percorso universitario, avrebbe raggiunto l'indipendenza economica a tale età, mentre, a seguito della morte del padre, avrebbe invece seguito un corso specializzante da giardiniere nel 2019, per poi avviare la sua attività nel 2020 (cfr. pag. 17), che tuttavia al momento dell'atto introduttivo gli garantiva un fatturato di soli Euro 5.578,00, insufficiente al proprio mantenimento, tanto che aveva dovuto attingere ai canoni di locazione dell'immobile che il padre locava e che il defunto destinava a risparmio (cfr. pag. 25). L'attore chiedeva quindi il riconoscimento di Euro 140.495,64 (14.494,64 x 10), somma che teneva conto sia della sottostima del reddito del defunto (che verosimilmente avrebbe subito degli aumenti), sia del fatto che si sarebbe dovuto tenere conto del graduale aumento di reddito di Ma., pur dovendosi tenere in considerazione anche il fatto per cui Fa.Ri. "avrebbe continuato ad offrire supporto economico all'unico figlio Ma. anche successivamente" al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio (cfr. pag. 26). La richiesta risarcitoria è solo in parte meritevole di accoglimento. In generale, si può osservare che il danno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all'attività lavorativa della vittima è un danno patrimoniale e assume natura di danno emergente con riguardo al periodo intercorrente tra data del decesso e liquidazione giudiziale, mentre si configura come danno futuro e quindi lucro cessante con riguardo al periodo successivo alla sentenza (Cass. Sez. III, sent. n. 10321 del 30/4/2018). Nella liquidazione del danno deve porsi a base il reddito netto della vittima che deve essere da un lato aumentato per gli incrementi reddituali che la vittima avrebbe subito se fosse rimasta in vita e dall'altro, diminuito per tenere conto delle spese per la produzione del reddito prudentemente stimabili, del prelievo fiscale e della percentuale che la vittima avrebbe comunque destinato a sè (Cass. Sez. III, sent. n. 10853 del 28/6/2012; Cass. Sez. VI, ord. n.6619 del 16/3/2018). Trattasi di voce di danno che, sotto taluni profili (il menzionato aumento/diminuzione) deve essere liquidata necessariamente in forma equitativa, posto che si va a stimare un danno indimostrabile nel suo esatto ammontare (dipendendo da fattori impossibili da determinare con certezza: quali scatti avrebbe avuto il defunto; in che esatta misura avrebbe destinato il suo reddito ai familiari superstiti o a spese personali, etc.). Altro tema che rileva nel caso di specie è fino a quando debba essere garantito il ristoro, pro futuro, di tale voce di danno. Certa giurisprudenza ritiene che esso debba essere risarcito fino al momento in cui il parente della vittima acquisisca l'indipendenza economica; altra (richiamata non espressamente da parte attrice nell'atto introduttivo) ha affermato che "Il fatto che i figli di persona deceduta in seguito ad un fatto illecito siano maggiorenni ed economicamente indipendenti non esclude la configurabilità, e la conseguente risarcibilità, del danno patrimoniale da essi subito per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore destinava loro, posto che la sufficienza dei redditi del figlio esclude l'obbligo giuridico del genitore di incrementarli, ma non il beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo, sicché la perdita conseguente si risolve in un danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia stato beneficato" (Cass. Sez. III, sent. n. 24802 del 8/10/2008; cfr. in tal senso Cass. Sez. III, Ord. n. 21402 del 6/7/2022.). Il principio espresso da questi ultimi precedenti va chiarito in questo senso: il raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del parente della vittima, che lo sostentava, non preclude di riconoscimento, anche per le annualità successive al raggiungimento dell'indipendenza economica, del risarcimento di una somma che si può ragionevolmente ipotizzare, sulla base di elementi acquisiti all'istruttoria, che il defunto avrebbe spontaneamente riconosciuto (e. quindi, indipendentemente dagli obblighi di mantenimento che gli avrebbero fatto carico ex art. 147 c.c.). Anche tale somma potrà, se del caso, essere riconosciuta in via equitativa e non potrà coincidere, esattamente, con la quota di reddito che il genitore destinava al figlio, quando questi non era indipendente da un punto di vista economico, a meno che non si dimostri, anche presuntivamente, che il genitore avrebbe riconosciuto esattamente lo stesso importo. 6.1.1. Tanto chiarito, per la quantificazione del danno non assumerà alcun rilievo il reddito che Fa.Ri. percepiva dalla locazione di un immobile di proprietà (come pure eccepito dalla Compagnia), trattandosi di voce di reddito non eziologicamente impattata dalla morte del defunto. Deve invece essere posto alla base il reddito netto della vittima al momento del sinistro (cfr. docc. 17, 18, 19 e 23), pari, nell'anno della morte, per come anche indicato dall'attore, ad Euro 23.406,00 (cfr. pag. 23). L'assunto per cui il 60% di queste somme venisse destinato al figlio non è condivisibile. In via equitativa può anzitutto considerarsi che la somma avrebbe dovuto essere aumentata del 10% (per eventuali scatti che il defunto avrebbe ricevuto), ma anche diminuita della stessa percentuale in ragione del prelievo fiscale (anche per gli immobili di cui il Ri. era titolare) e per ipotetiche spese straordinarie del padre, che nella normalità occorrono. Ciò chiarito, anche alla luce della documentazione prodotta dall'attore, a riprova delle spese ordinariamente sostenute dal padre (cfr. docc. 25-28), che evidenzia che Fa.Ri. sosteneva per lo più spese ripartite a metà col figlio, pare congruo ipotizzare che la percentuale di reddito netto destinata al figlio ammontasse al 50% della somma su indicata, per Euro 11.703,00 annui (somma via via da ricapitalizzarsi, per la parte liquidabile come danno emergente). 6.1.2. Non può essere poi accolta la richiesta dell'attore di riconoscere sic et simpliciter detto importo, fino al 2030, sull'assunto che Ma. avrebbe seguito un percorso universitario e che il padre si sarebbe fatto carico del mantenimento fino alla sua indipendenza (stimabile a tale data, dovendosi tenere conto del periodo necessario a portare a termine il percorso di studio e per iniziare a produrre reddito). Dall'istruttoria orale non può dirsi dimostrato che l'attore si sarebbe iscritto all'università, anzi può ritenersi provato che anche a prescindere dalla morte del padre, egli avrebbe comunque scelto il percorso lavorativo effettivamente seguito (titolare di una impresa di giardinaggio). Ed infatti, la teste C. ha confermato (cap. B..1.2 e C1-9) che al momento della morte del padre Ma., 20 enne, aveva già terminato la scuola (l'incidente risale a novembre 2018; l'attore ha terminato il liceo a giugno 2018). La teste ha confermato che nell'anno 2018 Ma.Ri. non si era iscritto ad alcun corso "perché voleva essere certo della scelta" ... "si era ripromesso di ripensarci per l'anno venturo" e che aveva manifestato un vago interesse ad iscriversi ad un corso universitario in scienza dell'alimentazione "durante la scuola aveva manifestato un interesse per la materia, aveva dei libri a casa quindi diceva "se proprio devo specializzarmi, potrei farlo in questa materia" .... In realtà, per come è dato comprendere dalle dichiarazioni della C. e dell'altra teste, Ma., tale opzione era una remota possibilità, non rispondente ad un effettivo interesse dell'attore (la teste Ma. ha riferito ad es. che Ma. si iscrisse al liceo alberghiero seguendo la passione del padre, ma che dopo l'iscrizione perse l'entusiasmo ed ebbe delle difficoltà, cap. B.1.2.). È impossibile determinare con esattezza cosa il figlio avrebbe effettivamente fatto se non fosse occorsa la morte del padre. Dal complesso delle dichiarazioni raccolte e dal percorso scolastico dell'attore, per come ricostruito, può però ritenersi più che probabile che in ogni caso l'attore non si sarebbe iscritto al corso in scienze dell'alimentazione o non lo avrebbe comunque coltivato (a quanto è dato capire, tale opzione era più che altro indotta dal percorso di studi scolastico-alberghieri dell'attore, che tuttavia non era realmente appassionato alla materia). È quindi verosimile che, anche se il padre non fosse mancato, il figlio si sarebbe dedicato all'attività poi effettivamente svolta (impresa di giardinaggio) attività peraltro che pare comunque ricollegata ad una delle passioni coltivate insieme al padre. 6.1.3. Tanto chiarito, in corso di causa l'attore ha prodotto una serie di fatture emesse nell'anno 2020 (cfr. doc. 30) e 2021 (cfr. doc. 55) per dimostrare che i redditi percepiti non sarebbero comunque risultati sufficienti e che avrebbe dovuto comunque godere del contributo del padre. In conclusionale Vi. ha dedotta che i ricavi per il 2021 (non potendosi detrarre i costi, non provati da parte attrice), sarebbero pari ad Euro 23.406,00 somma superiore a quanto il figlio avrebbe percepito come contributo dal padre e comunque indicativa di un progressivo aumento dei redditi di Ma.Ri. (che nel 2020 dall'attività aveva prodotto ricavi per Euro 5.578,00). I rilievi sono solo in parte condivisibili: il fatto che parte attrice non abbia documentato i costi non consente di ritenere che il reddito netto del Ri. coincida con i menzionati ricavi. In via equitativa, si può ritenere che i redditi netti percepiti da Ma.Ri. corrispondano a ca. il 30% dei ricavi (considerando le imposte e i costi), per Euro 7.021,80, comunque inferiori di ca. 4.700,00 all'importo garantitogli dal padre. 6.1.4. Alla luce di quanto precede, a titolo di danno emergente pare congruo riconoscere a Ma.Ri. per il 2019 Euro 11.703,00, oltre rivalutazione e interessi sulla somma rivalutata dall'1.1.2020 fino all'attualità, per Euro 14.483,25. Per il 2020 ancora Euro 14.483,25 (pari alla quota di reddito netta destinata dal padre al figlio, per Euro 11.703,00 rivalutato e maggiorato di interessi all'1.1.2021, oltre interessi e rivalutazione successiva da riconoscersi per l'intero; ciò poiché anche se il padre fosse stato in vita, poiché comunque il figlio avrebbe avviato l'attività nel 2020 e i ricavi percepii in quell'anno furono estremamente ridotti, il padre avrebbe verosimilmente comunque contribuito per l'intero). Per il 2021 Euro 5.254,65 12.276,45 (Euro 11.703 rivalutato e comprensivo di interessi all'1.1.2022) - 7.021,80, oltre interessi e rivalutazione dall'1.1.2022 all'attualità, per Euro 6.483,64. L'attore non ha prodotto documentazione successiva al 2021, per documentare le sue attuali condizioni reddituali; può tuttavia stimarsi, sulla base della documentazione già acquisita, che per il 2022 il reddito netto di Ma.Ri., per come su ricostruito, sia comunque aumentato del 30%, in ragione dell'aumento di esperienza lavorativa dell'attore e che tale aumento sia occorso anche per l'anno successivo. Per il 2022 vanno riconosciuti Euro 4.353,52 13.481,86 (Euro 11.703 rivalutato all'1.1.2023) - 9.128,34 (Euro 7.021,80 + 30%, cioè 2.106,54), oltre interessi e rivalutazione dall'1.1.2023 all'attualità, per Euro 4.616,49. Per il 2023 vanno riconosciuti Euro 2.364,01 13.598,89 (Euro 11.703 rivalutato all'1.1.2024) - 11.234,88 (Euro 7.021,80 + 30% x 2, cioè 4.213,08), oltre interessi e rivalutazione maturati alla data della presente sentenza, per complessivi Euro 2.364,05. Utilizzando tali proporzioni, per il 2024 e per le annate successive, si può dunque stimare che l'attore avrebbe comunque raggiunto l'indipendenza economica. In ragione dello strettissimo legame tra padre e figlio e del fatto che Ma. era figlio unico, può stimarsi che il padre avrebbe comunque elargito delle ulteriori somme, non strettamente collegate alle esigenze di mantenimento, anche negli anni successivi. Pare quindi congruo stimare in via puramente equitativa tali contributi in Euro 2.800,00 l'anno, per altri 5 anni - dal 2024 al 2028 compreso, fino dunque al trentesimo anno d'età dell'attore - (importo quantificato sulla base della paghetta settimanale di Euro 50,00 che Ma., per come anche confermato dalle testi Ma. e C., percepiva alla morte del padre, già riequilibrato in considerazione del verosimile aumento dell'importo per scatti stipendiali del padre e della percentuale di sconto da applicare, trattandosi di riconoscimento di capitale futuro e della possibilità che il padre avrebbe potuto dover sostenere, con l'avanzare dell'età, delle spese extra per sé stesso, per ragioni voluttuarie e non), per complessivi Euro 14.000,00. A ristoro del danno patrimoniale per perdita delle contribuzioni paterne a Ma.Ri. dovranno quindi essere riconosciuti Euro 56.430,68 (14.483,25 + 14.483,25 + 6.483,64 + 4.616,49 + 2.364,05. + 14.000,00), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. 6.2. Vi. ha eccepito che al risarcimento dovrebbero essere detratti eventuali emolumenti pensionistici riconosciuti all'attore per effetto della morte del padre, il TFR e l'eredità (cfr. pagg. 9-10). Dall'istruttoria svolta non è emerso che l'attore abbia percepito pensioni o indennità di sorta per la morte del padre; è provato che Ma.Ri. abbia percepito Euro39.000,00 per TFR. I rilievi della convenuta sono infondati. La richiesta va vagliata alla luce dei precedenti espressi dalle S.U. in punto compensatio lucri cum damno (in particolare, si vedano Cass. SU, n. 12564, 12565, 12566, 12567 del 22/5/2018). Con dette pronunce le S.U. hanno chiarito (con riferimento a diverse fattispecie di importi percepibili da una vittima di un sinistro) i presupposti per l'operare della compensatio. In questo contesto, la Suprema Corte ha ricordato che la compensatio si fonda sul principio, desumibile dall'art. 1223 c.c., secondo cui il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato: nel valutare gli effetti pregiudizievoli si deve dunque tenere conto, applicando il criterio della causalità giuridica, anche degli eventuali vantaggi collegati all'illecito. Partendo da tale assunto, le S.U. hanno escluso che rilevi ogni vantaggio, indiretto o mediato, percepito dal danneggiato, osservando che le conseguenze vantaggiose, come quelle dannose, possono computarsi solo finché rientrino nella serie causale dell'illecito, da determinarsi secondo un criterio adeguato di causalità, sicché il beneficio non è computabile in detrazione allorché trovi altrove la sua fonte e nell'illecito solo un coefficiente causale, con l'ulteriore considerazione che la "determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito: sicché in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato. La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria." (cfr. S.U. 12565, pag. 23). In questo contesto, le SU hanno escluso che debba essere scomputato dal risarcimento il valore capitale della pensione di reversibilità (Cass. S.U. n. 12564 del 22/5/2018), ma anche di quanto percepito a titolo di eredità (cfr. parte motiva dei precedenti, cfr. punto 3.6. di Cass. SU n. 12564 del 22/5/2018), posto che l'eventuale percezione di denaro o altra utilità quale erede non è causalmente giustificata per la rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito. Pur non avendo le SU affrontato il tema del TFR, i principi espressi consentono di escludere che detti importi debbano essere portati in detrazione, posto che il riconoscimento del TFR è piuttosto riconducibile alla cessazione del rapporto di lavoro, solo occasionalmente ricollegata alla morte del lavoratore in conseguenza dell'illecito (in altri termini, il TFR sarebbe spettato a Ma.Ri. anche laddove il padre fosse deceduto per motivi diversi e non è invece causalmente giustificato per la rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito): tale conclusione è del resto stata espressa da condivisibile precedente di legittimità, ante SU (Cass. Sez. III, sent. n. 4950 del 2/3/2010). 6.3. A titolo di ristoro del danno patrimoniale, Ma.Ri. ha poi richiesto il rimborso delle spese funerarie e di ulteriori esborsi, quantificati in conclusionale in complessivi Euro 9.517,74 per spese vive già anticipate, di cui Euro 3.790,00 (sub all. 32 fascicolo attoreo) servizi funebri, Euro 3.120,00 per spese peritali ( sub all. 46 fascicolo attoreo), Euro 2.030,08 (sub all .2 note scritte del 23/10/2023) per ulteriori spese peritali, ed Euro 327,56 spese diritti di copia ( sub all. 48 fascicolo attoreo), Euro 250,10 spese attività duplicazione ( sub all. 49 fascicolo attoreo)" (cfr. pag. 30-31). Come eccepito da Vi., nulla potrà essere riconosciuto per le spese funebri, posto che per stessa ammissione dell'attore e per come emerge dal documento allegato (cfr. doc. 32) le stesse furono pagate dal datore di lavoro di Fa.Ri.. Deve invece essere riconosciuto il ristoro delle spese peritali ante causam (per Euro 3.120,00, pari ad Euro 3.825,10 con rivalutazione e interessi dal maggio 2021, data di versamento delle somme, all'attualità). Quanto alle ulteriori spese, afferendo ad attività difensiva, le si esamineranno nella liquidazione delle spese di lite. 7. In conclusione, agli attori, a risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte di Fa.Ri., devono essere riconosciuti, a ristoro del danno subito e per le causali su indicate: (i) a Ma.Ri. Euro 338.190,09 (277.934,31 + 56.430,68 + 3.825,10); (ii) a Ti.Ri. 74.382,30; (iii) a Ma. e Ti.Ri., quali eredi di Fr.Fa., della somma di Euro 166.839,43, somme tutte già al netto degli acconti corrisposti, rivalutate e comprensive di interessi già maturati. 8. Le spese seguono la soccombenza e vengono così liquidate sulla base della L. n. 27 del 2012 e articoli 1-11 D.M. n. 55 del 2014 in base ai valori previsti per lo scaglione di riferimento - individuato in considerazione della somma concretamente riconosciuta a tutti gli attori, in quello tra Euro 520.000,00 ed Euro 1.000.000,00, aumentato di un incremento percentuale del 10% ex art. 6, D.M. n. 55 del 2014 (la norma consente l'aumento discrezionale fino al 30% dei compensi previsti - cfr. in tal senso Cass. Sez. III, ord. n. 31347 del 24/10/2022 -; si ritiene di applicare l'aumento nella misura del 10% posto che la somma riconosciuta eccede di soli 50.000,00 Euro il valore dello scaglione inferiore) - applicati ai medi e, precisamente: Euro 3.898,40 per la fase di studio della controversia (Euro 3.544,00 + 10%), Euro 2.571,80 per la fase introduttiva del giudizio (2.338,00 + 10%) Euro 11.452,10 per la fase istruttoria (Euro 10.411,00 + 10%) ed Euro 6.780,40 per la fase decisionale (Euro 6.164,00 + 10%), per complessivi Euro 24.702,70. Come da richiesta in nota spese, detto importo deve essere aumentato del 10% per l'assistenza per più soggetti (stante la sostanziale coincidenza delle posizioni degli attori, divergenti solo in relazione alle tipologie di danno richieste), per Euro 2.470,27. Non sussistono i presupposti per l'applicazione di un ulteriore aumento ex art. 4, co. 1 D.M. n. 55 del 2014 o per l'applicazione dell'ulteriore aumento ex art. 4, co. 8 D.M. n. 55 del 2014 per manifesta fondatezza, pure richiesto, posto che l'esatta liquidazione del danno ha fatto seguito a risoluzioni di questioni assai controverse e dibattibili, sia in punto an, sia in punto quantum. A ristoro dei compensi spetteranno dunque Euro 27.172,97 (24.702,70 + 2.470,27), oltre accessori di legge. Agli attori dovranno essere altresì rimborsati gli esborsi, per Euro 3.390,66: (Euro 1.713,00 per contributo unificato e marca; Euro 327,56 per diritti di copia, doc. 48 attoreo; Euro 250,10 per duplicazione CD in procura. Gli attori hanno richiesto anche Euro 2.030,08, a ristoro delle spese documentate di CTP in corso di causa; si ricorda che "Le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, cod. proc. civ., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue." - Cass. Sez. II, sent. n. 84 del 3/1/2013-. Le spese per il CTP sono eccessive, specie se parametrate ai compensi liquidati al CTU - in complesso, Euro 1.155,00 oltre accessori - e in considerazione del concreto apporto del CTP in sede di operazioni peritali. Per tale voce viene quindi riconosciuto il minor importo di Euro 1.100,00, accessori compresi). Le spese della consulenza tecnica d'ufficio vanno poste definitivamente a carico dei convenuti. 9. Non sussistono i presupposti per disporre la condanna ex art. 96 c.p.c. di Vi. e dei convenuti contumaci, per non aver aderito all'invito alla partecipazione alla negoziazione assistita. Il rifiuto era stato motivato (cfr. doc. 42 attori) in ragione della distanza tra le richieste attoree e quanto era disposta a riconoscere Vi., distanza comprensibile e giustificabile in ragione delle controverse questioni in punto an e quantum affrontate nel presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: (i) in parziale accoglimento delle domande attoree: (a) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ma.Ri. della somma di Euro 338.190,09, per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (b) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ti.Ri. della somma di Euro 74.382,30, per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (c) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al pagamento in favore di Ma.Ri. e Ti.Ri., quali eredi di Fr.Fa., della somma di Euro 166.839,43 per le causali indicate in narrativa, somma già rivalutata e da cui è già stato detratto l'acconto corrisposto, oltre interessi al tasso legale, ex art. 1284, co. 1 c.c., dalla sentenza sino al soddisfo; (ii) rigetta per il resto le domande svolte da parte attrice verso i convenuti; (iii) condanna Vi. s.p.a., El.Sb. e Gi.Se., in solido tra loro, al rimborso delle spese di lite in favore di Ma. e Ti.Ri., liquidate in Euro 27.172,97 per compensi ed Euro 3.390,66 per esborsi, oltre accessori sui compensi; (iv) pone definitivamente a carico dei convenuti le spese della consulenza tecnica d'ufficio. (v) rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., formulata dagli attori Così deciso in Vicenza il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Relatore Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Procuratore Della Repubblica presso il Tribunale di Benevento Nel procedimento a carico di Ch.Ca. nata il (Omissis) a C Sa.Vi. nato il (Omissis) a P Ca.Gi. nato il (Omissis) ad A avverso l'ordinanza in data 23 novembre 2023 del Tribunale di Benevento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Saraco Antonio; sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Serrao D'Aquino Pasquale, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; sentito l'Avvocato Es.Gi. che, nell'interesse di Sa.Vi., anche con memoria difensiva, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento impugna l'ordinanza in data 23 novembre 2023 del Tribunale di Benevento, che ha rigettato l'appello presentato dallo stesso pubblico ministero avverso l'ordinanza in data 25 settembre 2023 del G.i.p. del Tribunale di Benevento, che aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321, comma 2, cod. proc. pen., in relazione al reato di cui all'art. 648-ter cod. pen. contestato a Sa.Vi. e Ca.Gi. Deduce: 1. Violazione di legge. Il ricorrente, dopo avere riassunto la vicenda fattuale e procedurale, sostiene che "la motivazione in ordine alla insussistenza della prova del dolo (...) appare, ad avviso dello scrivente (pubblico ministero n.d.e.), manifestamente illogica o comunque contenente vizi di coerenza e ragionevolezza fino al punto da costituire violazione di legge in relazione agli artt. 648 ter C.p. e 321 c.p.p.". A sostegno dell'assunto rimarca l'attendibilità delle dichiarazioni rese da Sa.Gu. e lamenta che "non si comprende (...) sulla base di quali elementi il tribunale dubiti che l'interlocutore di Sa.Gu., nel colloquio registrato sia proprio l'indagato Ca.Gi., così implicitamente avallando l'ipotesi che il Sa.Gu. abbia persino perpetrato delitti contro l'attività giudiziaria". Richiama i principi di diritto fissati dalla Corte di cassazione in tema di valutazione della prova indiziaria (Rv. 258321, RV. 248384). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile in quanto solleva questioni non consentite. 1.1. Va premesso che il reato di cui all'art. 648-tercod. peno viene contestato a Sa.Vi. e a Ca.Gi. per avere reinvestito delle somme provenienti dall'uso di un testamento olografo che aveva loro consentito l'illegittima apprensione e la liquidazione di alcuni buoni postali fruttiferi. 1.2. Il Tribunale ha ritenuto l'insussistenza del requisito del fumus eommissi de lieti, per la mancanza - in particolare - di elementi rappresentativi della consapevolezza degli imputati circa la provenienza illecita delle somme riversate sui conti correnti delle società, non essendovi un'univoca consequenzialità tra il riscatto dei buoni postali fruttiferi e la conoscenza dell'apocrifìa del testamento. Il Tribunale ha altresì ritenuto inattendibili le dichiarazioni di Sa.Gu. in ragione della grave conflittualità esistente con Sa.Vi., per come risulta dalle sentenze definitive per i reati di lesioni e minacce perpetrate dal primo in danno del secondo. Il tribunale ha altresì dubitato della genuinità della registrazione prodotta dallo stesso Sa.Gu. quale prova in danno di Sa.Vi., non essendo stato verificato il riconoscimento vocale. 2. A fronte di ciò, i motivi esposti con il ricorso impingono la motivazione del provvedimento impugnato, senza che siano esposte censure scrutinabili in sede di legittimità avverso un provvedimento pronunciato in materia di misure reali. Il pubblico ministero, invero, pur avendo formalmente denunciato una violazione di legge in ordine alla valutazione dei presupposti del sequestro impeditivo, ha in realtà censurato la motivazione dell'ordinanza. Motivazione che non è mancante e non è apparente. Va dunque ribadito che "il sindacato della Cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l'art. 325, comma 1, cod. proc. pen.: una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali" (così Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789, non masso sul punto; successivamente, in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 18951 4 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; da ultimo V. Sez. 3, n. 14977 del 25/02/2022, Tilenni, Rv. 283035). 3. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 1 marzo 2024.
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