Sentenze recenti testamento olografo

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 13060/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS); - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di TORINO n. 2190/2016 depositata il 20 dicembre 2016; Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Aldo, il quale ha chiesto di accogliere il quinto e il sesto motivo del ricorso principale di (OMISSIS) e i corrispondenti motivi formulati dal ricorrente incidentale (OMISSIS), e di rigettare ogni altra censura. Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA. FATTI DI CAUSA (OMISSIS), con atto notificato il 18 maggio 2017, ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 20 dicembre 2016. (OMISSIS) ha notificato il 23 giugno 2017 controricorso contenente altresi' ricorso incidentale articolato in otto motivi. (OMISSIS) ha notificato il 27 giugno 2017 controricorso contenente altresi' ricorso incidentale articolato in tre motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno altresi' notificato controricorsi per resistere contro gli avversi ricorsi. Il giudizio ebbe inizio con citazione del 10 maggio 2010 di (OMISSIS), che convenne il fratello (OMISSIS) domandando la reintegrazione nella sua quota di legittima con riguardo alla successione del padre (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS). Il de cuius aveva disposto del suo patrimonio con testamento dell'11 novembre 1983, pubblicato il 9 settembre 2004, istituendo erede universale (OMISSIS). Nella causa e' poi intervenuta (OMISSIS), coniuge del de cuius, per domandare a sua volta la rispettiva quota di legittima. Essendo insorte varie questioni preliminari e contestazioni sugli atti riducibili e sulla consistenza dell'asse ereditario, l'adito Tribunale di Torino pronuncio' sentenza "non definitiva" in data 16 luglio 2013, rigettando le domande proposte da (OMISSIS) contro il fratello (OMISSIS), ritenendo fondata l'eccezione, sollevata da quest'ultimo, di prescrizione decennale ex articolo 480 c.c., del diritto dell'attrice di accettare l'eredita', decorrente comunque dal (OMISSIS) (momento della morte di (OMISSIS)) e non dalla data della pubblicazione del testamento (9 settembre 2004). Disposto il prosieguo per decidere sulle domande di (OMISSIS) nei confronti dei figli, la stessa presentava poi rinuncia agli atti e con riguardo a tali rapporti il giudizio era dichiarato estinto con sentenza del Tribunale del 2 maggio 2014. Proposto appello da (OMISSIS), lo stesso e' stato accolto dalla Corte d'appello di Torino nei termini di seguito riassunti. La Corte di Torino ha dapprima invocato, quanto alla prescrizione del diritto di accettare l'eredita', il principio enunciato dalla sentenza n. 20644 del 2004 (erroneamente indicato col numero 20664, e relativo al termine decennale di prescrizione dell'azione di riduzione), facendo nella specie riferimento quale dies a quo alla data di pubblicazione del testamento, avvenuta nel 2004. I giudici di secondo grado hanno poi comunque considerato che (OMISSIS), in quanto legittimaria integralmente pretermessa, non avrebbe potuto accettare l'eredita'. E' stata quindi richiamata la sentenza inter partes resa del Tribunale di Torino n. 7631/2006, confermata dalla sentenza della Corte d'appello n. 910/2009, che aveva deciso sulla domanda di divisione ereditaria avanzata da (OMISSIS) sul presupposto dell'apertura della successione legittima, domanda ritenuta inammissibile a seguito dell'avvenuta pubblicazione in corso di causa del testamento olografo di (OMISSIS), che escludeva totalmente la stessa (OMISSIS) dalla successione. Ritenuta pertanto ammissibile l'azione di riduzione di (OMISSIS), la Corte di Torino ha proceduto da determinare la porzione disponibile mediante riunione fittizia ex articolo 556 c.c.. A tal fine, la sentenza impugnata ha ricompreso nella massa ereditaria il 50% del compendio immobiliare (costituito da terreni e fabbricati, porzione di un piu' ampio complesso, donato per la restante parte da (OMISSIS) al figlio (OMISSIS)), gia' oggetto di concessione in enfiteusi a (OMISSIS) con atto del 1958 da parte della proprietaria concedente, madre del defunto (OMISSIS), e dalla medesima affrancato con atto del 10 gennaio 1980, e cosi' caduto in comunione legale col coniuge. I giudici di secondo grado hanno poi dichiarato opponibile a (OMISSIS) il diritto di usufrutto sugli immobili siti in (OMISSIS), gia' oggetto di affrancazione, costituito con atto di permuta dell'11 novembre 1998 (che trasferiva la nuda proprieta' al figlio (OMISSIS)), trascritto in data 5 dicembre 1998, e cio' agli effetti dell'articolo 561 c.c., comma 1, e articolo 2652 c.c., n. 8. Ancora, la sentenza impugnata ha ricompreso nell'asse ereditario tutti gli arredi presenti nella casa coniugale di (OMISSIS), superando, in quanto indimostrata, l'eccezione della (OMISSIS) che vantava il 50% della proprieta' degli stessi in quanto ricadenti nella comunione legale, fermo il diritto di uso a favore del coniuge ex articolo 540 c.c., comma 2. Sono state ancora considerate le donazioni effettuate dal de cuius con atti dell'11 novembre 1983 in favore della figlia (OMISSIS) e del 12 dicembre 1983 in favore del figlio (OMISSIS), nonche' in favore di entrambi i figli, con clausola convenzionale di dispensa dalla collazione. Tale dispensa, ai sensi dell'articolo 737 c.c., e' stata reputata irrilevante dalla Corte di Torino, statuendo che, nel calcolare la quota di riserva di (OMISSIS), doveva tenersi conto anche delle rispettive donazioni da lei ricevute. Viceversa, per le donazioni ricevute da (OMISSIS), destinatario dell'azione di riduzione, stante la dispensa da collazione, i giudici di secondo grado hanno invocato il disposto dell'articolo 737 c.c., e dunque il limite della quota disponibile, a salvaguardia della quota di riserva spettante a (OMISSIS). Ogni altra questione e' stata infine rimessa al prosieguo istruttorio e decisorio. I ricorsi sono stati decisi in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14). Hanno presentato memorie (OMISSIS) e (OMISSIS). MOTIVI DELLA DECISIONE 1. In via pregiudiziale, e' da respingere l'istanza di (OMISSIS) volta alla nomina di un curatore speciale ex articolo 78 c.p.c., in favore di (OMISSIS), la quale ha proposto ricorso avvalendosi quale procuratore generale di (OMISSIS), essendo evidente che la rappresentata ed il rappresentante non assumono affatto posizioni processuali contrapposte nel presente giudizio di cassazione. Nella memoria ex articolo 378 c.p.c., e nella memoria di nomina del nuovo difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), si e' peraltro indicata la costituzione, quale rappresentante della stessa, del tutore avvocato (OMISSIS), munito dell'autorizzazione prescritta dall'articolo 374 c.c., n. 5. 1.1. Considerata la particolare ampiezza degli atti di parte, nella redazione della presente sentenza si fara' sintetico rinvio per relazione alle censure ed agli argomenti ivi contenuti. 2. Il primo motivo del ricorso principale di (OMISSIS) ed il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) deducono identicamente la violazione e falsa applicazione dell'articolo 179 c.c., comma 1, lettera a), articoli 971 e 2643 c.c.. Si assume che i beni immobili gia' oggetto di diritto di enfiteusi e poi di affrancazione da parte di (OMISSIS) non fossero caduti in comunione legale col marito (OMISSIS). Il secondo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti o la violazione e falsa applicazione dell'articolo 184 c.c.. La censura fa riferimento ad un atto di vendita dei fondi gia' oggetto di affrancazione, stipulato da (OMISSIS) il 24 luglio 1980, che vedeva quali compratori i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), trascritto il 5 agosto 1980 e non impugnato dal coniuge ai sensi dell'articolo 184 c.c.. Il terzo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 556 c.c., e articolo 115 c.p.c., sostenendo che la prova dell'appartenenza al patrimonio relictum di (OMISSIS) dei beni mobili costituenti gli arredi della casa coniugale di Torino, via Arcivescovado n. 5, di proprieta' esclusiva di (OMISSIS), doveva essere fornita dalla legittimaria che ha agito in riduzione (la quale, invece, li aveva solo genericamente indicati), e non, invece, dall'interveniente (in primo grado) e appellata (in secondo grado) (OMISSIS). Il quarto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la nullita' della sentenza per omessa motivazione o la falsa applicazione degli articoli da 1022 a 1026 c.c., articoli 556 e 2697 c.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe speso neanche una parola relativamente ai beni mobili costituenti gli arredi della residenza di campagna di (OMISSIS), salvo indicarli nel dispositivo, che ne ha accertato l'appartenenza al relictum; altrimenti, ove si volesse ritenere motivata l'appartenenza al patrimonio relitto di tali beni con la titolarita' in capo al de cuius del diritto di abitazione sull'immobile predetto, la Corte avrebbe violato o falsamente applicato le norme in tema di diritto di abitazione e di ripartizione dell'onere della prova. Il quinto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la violazione e falsa applicazione degli articoli 564 e 737 c.c., per avere la Corte d'appello erroneamente attribuito alla dispensa dalla collazione contenuta nella donazione dell'11 novembre 1983, fatta dal de cuius all'attrice in riduzione (OMISSIS), gli effetti di una inesistente dispensa dall'imputazione. Il sesto motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deduce identicamente la nullita' della sentenza per omessa pronuncia o l'omesso esame di un fatto decisivo, ed ancora la violazione e falsa applicazione dell'articolo 561 c.c., e articolo 2652 c.c., n. 8, per avere la Corte d'appello circoscritto la declaratoria di opponibilita' all'attrice in riduzione del diritto di usufrutto costituito con l'atto di permuta dell'11 novembre 1998 stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) solo a parte dei beni immobili (quelli gia' oggetto di affrancazione), sui quali era con esso parimenti costituito l'usufrutto in favore di (OMISSIS) (in particolare, quelli che (OMISSIS) aveva ricevuto dal padre con donazione del 12 dicembre 1983). Il settimo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 480 e 2935 c.c.. La censura osserva che (OMISSIS) non e' un'estranea rispetto alla successione paterna, ma una legittimaria, di tal che l'ignoranza che il defunto avesse disposto delle proprie sostanze per testamento non impediva nei suoi riguardi l'apertura della successione legittima, ne' le precludeva, quale chiamata, l'onere di accettare l'eredita' entro il termine di prescrizione, in maniera da acquisire altresi' la qualita' che potesse abilitarla ad impugnare il testamento successivamente scoperto. L'inerzia ventennale di (OMISSIS), che non ha mai accettato l'eredita', dovrebbe escluderne la legittimazione ad agire in giudizio per sentirsi dichiarare erede e per conseguire la sua quota ereditaria. L'ottavo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 554, 555, 480 c.c. e articolo 483 c.c., comma 2. Si deduce che la Corte d'appello ha considerato non prescritta l'azione di riduzione promossa piu' di vent'anni dopo l'apertura della successione, ritenendo che il relativo dies a quo decorresse dalla "accettazione in base al testamento" (pubblicato nel 2004) da parte dell'istituito, evidenziandosi come la nozione di "accettazione in base al testamento" sia nozione sconosciuta all'ordinamento, che non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell'eredita', derivanti l'uno dalla devoluzione testamentaria e l'altro da quella legittima, unico essendo il termine di prescrizione di dieci anni decorrente dal giorno dell'apertura della successione. Il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza in relazione agli articoli 112 e 342 c.p.c., con riferimento al capo con il quale la Corte di appello ha dichiarato "opponibile a (OMISSIS) l'usufruttuo gravante sui beni immobili e di cui al capo a) delle conclusioni di parte appellante, in favore di (OMISSIS)". In difetto di censure sulla declaratoria di estinzione del giudizio conseguente alla rinuncia agli atti formulata da (OMISSIS), di cui alla sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014, la Corte d'appello avrebbe fatto "rivivere quelle domande sulla cui rinuncia, e sul correlativo effetto estintivo, era ormai sceso il giudicato". Il secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 131 c.p.c., e articolo 111 Cost.. Secondo la ricorrente incidentale, seppur si volesse ritenere non violato il giudicato, la sentenza della Corte d'appello sarebbe priva degli essenziali requisiti di contenuto-forma, avendo essa "modificato" la pronuncia di estinzione resa dal Tribunale, limitando l'effetto della rinuncia alla sola azione di riduzione esperita dalla (OMISSIS), cio' giustificando con la sola apodittica argomentazione "a ben vedere". Il terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la violazione-falsa applicazione dell'articolo 2652 c.c., n. 8 e articolo 2697 c.c.. Si assume che la Corte d'appello avrebbe da un lato dovuto verificare l'onerosita' dell'atto e dall'altro accertare l'avvenuta trascrizione del titolo costitutivo dell'usufrutto a favore di (OMISSIS). 3. Va ora esaminata l'eccezione pregiudiziale di giudicato che la difesa di (OMISSIS) riconduce alla declaratoria di estinzione del giudizio contenuta nella sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014 a seguito della rinuncia agli atti del giudizio operata da (OMISSIS) con riguardo al rapporto processuale instaurato in forza della domanda di reintegrazione nella rispettiva quota di legittima da lei proposta. 3.1. Tale eccezione e' connessa altresi' al primo ed al secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS), che parimenti deducono, come visto, l'esistenza di un "giudicato" preclusivo delle domande di (OMISSIS) in conseguenza della declaratoria di estinzione del giudizio conseguente alla rinuncia agli atti dalla stessa formulata. 4. La declaratoria di estinzione del giudizio contenuta nella sentenza del Tribunale di Torino del 2 maggio 2014 a seguito della rinuncia agli atti del giudizio operata da (OMISSIS) riguardava il rapporto processuale instaurato in forza della domanda di reintegrazione nella rispettiva quota di legittima da lei spiegata. Risulta, invero, che (OMISSIS), all'udienza del 25 novembre 2013, dichiaro' che era sua intenzione "rinunciare agli atti del giudizio" (rinuncia accettata da (OMISSIS)) e all'udienza del 13 dicembre 2013 preciso' le conclusioni chiedendo di dichiarare l'estinzione del giudizio pendente tra lei e (OMISSIS), "attesa la mancanza di interesse" di quest'ultima alla prosecuzione della causa, e in subordine chiedendo di dichiararsi la cessazione della materia del contendere tra le medesime parti. Il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 3190/2014, dichiaro' "l'estinzione del giudizio fra (OMISSIS) e (OMISSIS)" (oltre che tra la (OMISSIS) e (OMISSIS)), evidenziando in motivazione che la terza intervenuta aveva rinunciato agli atti del giudizio nei confronti di entrambi i figli, che (OMISSIS) non aveva accettato la rinuncia e che tuttavia quest'ultima non risultava avere "alcun interesse alla prosecuzione del giudizio". 4.1. Ora, la rinunzia agli atti del giudizio e' la forma che assume la manifestazione di volonta' dell'attore di porre fine al processo senza ottenere la sentenza di merito. Essa non implica alcuna valutazione circa la fondatezza, o meno, della domanda proposta e riguarda il rapporto processuale nel suo complesso. Nella specie, la rinuncia agli atti era stata compiuta da (OMISSIS), terza volontariamente intervenuta per far valere la sua quota individuale di legittima nel giudizio di riduzione intentato da (OMISSIS) nei confronti del fratello (OMISSIS). 4.2. E' consolidata l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui l'azione di riduzione non da' luogo a litisconsorzio necessario, ne' dal lato attivo ne' dal lato passivo, e puo', quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario. Essa ha, infatti, carattere individuale e compete in via autonoma al singolo erede che ritenga lesa la sua quota individuale di legittima, sicche' l'accertamento della lesione e della sua entita' non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i legittimari, ma solo riguardo alla quota di coloro che abbiano proposto la domanda. Nel giudizio conseguente all'esercizio dell'azione di riduzione, legittimato passivo e', pertanto, il solo titolare della posizione giuridica che l'attore contesta al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimario, rimanendo ogni altro soggetto, benche' coerede, estraneo a tale azione. Ove pure l'azione di riduzione si concluda con l'attribuzione di beni determinati al legittimario, essa vede, quindi, quale legittimato passivo soltanto il beneficiario della disposizione lesiva della legittima, e non anche i possessori dei beni con cui questa dev'essere reintegrata, i quali sono, invece, legittimati passivi della diversa azione di restituzione, conseguente al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione (Cass. n. 32197 del 2021; n. 15706 del 2020; n. 27770 del 2011; n. 27414 del 2005; n. 2174 del 1998; n. 2923 del 1900, in tema di scindibilita' delle impugnazioni nella controversia promossa da piu' eredi legittimari per ottenere la riduzione di disposizioni lesive della loro quota di riserva; n. 99 del 1970, in tema di differenze tra azione di divisione e di riduzione ai fini dell'integrita' del contraddittorio). La sentenza n. 13429 del 2006 resa dalle Sezioni Unite chiari', peraltro, che l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari. 4.3. Il giudizio in esame ebbe inizio con citazione del 10 maggio 2010 di (OMISSIS), che convenne il fratello (OMISSIS) domandando la reintegrazione nella sua quota di legittima con riguardo alla successione del padre (OMISSIS), ed aveva ad oggetto la disposizione testamentaria dell'11 novembre 1983, che istituiva erede universale (OMISSIS). Nella causa intervenne con comparsa del 16 settembre 2010 (OMISSIS), coniuge del de cuius, per domandare di formare la massa ereditaria e determinare la sua quota di legittima, riducendo le disposizioni testamentarie lesive e, successivamente, le donazioni poste in essere da (OMISSIS). La rinuncia agli atti del giudizio formulata da (OMISSIS), terza intervenuta ed attrice in riconvenzionale, non coinvolgeva la domanda proposta da (OMISSIS) verso (OMISSIS). In tal senso, alla rinuncia della (OMISSIS) doveva piuttosto riconoscersi l'effetto di aver eliminato dal thema decidendum la domanda di accertamento della lesione alla quota individuale di legittima a lei riservata, quale coniuge del de cuius, rimanendo da decidere soltanto la domanda riguardante l'entita' della lesione subita da (OMISSIS) e che vedeva quale legittimato passivo il solo (OMISSIS), titolare dell'unica posizione giuridica che l'attrice contestava al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimaria, restando (OMISSIS) estranea alla causa. L'appello notificato da (OMISSIS) in data 14 marzo 2014 venne proposto contro la sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino in data 16 luglio 2013 n. 5132/2013 ed era specificamente volto, col secondo motivo, a sentir accolta la domanda di riduzione avanzata dalla stessa (OMISSIS) con la citazione del 10 maggio 2010 rivolta nei confronti di (OMISSIS). Tale appello di (OMISSIS) e' stato definito con la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 20 dicembre 2016. Ne' puo' affermarsi che nel giudizio di appello intentato da (OMISSIS), (OMISSIS) rimanesse quale litisconsorte necessaria in quanto coniuge in comunione legale dei beni sui quali sono sorte contestazioni con riguardo alla loro appartenenza all'asse ereditario. Qualora sia dedotta dal legittimario attore in riduzione, ai fini della riunione fittizia necessaria per ricostruire la consistenza dell'asse ereditario e determinare, cosi', l'entita' della disponibile, la circostanza che abbia formato oggetto della successione mortis causa la quota di un mezzo di spettanza del de cuius di beni caduti in comunione legale agli effetti dell'articolo 177 c.c., comma 1, lettera a), l'inerenza dei beni alla massa forma oggetto di un accertamento incidenter tantum, per cui il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti del coniuge contitolare della comunione. 4.4. Ne consegue che e' inammissibile il ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 2190/2016 della Corte d'appello di Torino, non risultando la stessa parte del giudizio di riduzione azionato da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). 4.5. Il ricorso incidentale tardivo di (OMISSIS) (notificato il 23 giugno 2017, avverso sentenza pubblicata il 20 dicembre 2016, il cui termine semestrale ex articolo 327 c.p.c., scadeva percio' il 20 giugno 2017) ed il ricorso incidentale tardivo di (OMISSIS) (notificato il 27 giugno 2017), ai sensi dell'articolo 334 c.p.c., comma 2, perdono ogni efficacia per la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso principale. 5. Conseguono l'inammissibilita' del ricorso principale di (OMISSIS), nonche' l'inefficacia del ricorso incidentale di (OMISSIS) e del ricorso incidentale di (OMISSIS). Le spese processuali del giudizio di cassazione possono essere compensate, in ragione delle complesse sopravvenienze procedimentali relative al quadro di riferimento della controversia emergenti dalla motivazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater - da parte della ricorrente principale (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale di (OMISSIS); dichiara inefficaci il ricorso incidentale di (OMISSIS) ed il ricorso incidentale di (OMISSIS); compensa per intero fra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. PARDO Ignazio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/02/2022 della CORTE di APPELLO di TRIESTE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ORSI LUIGI, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. L'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) insistevano per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Trieste confermava la condanna di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per diverse condotte di circonvenzione ai danni di (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Segnatamente si contestava: - a (OMISSIS) di avere indotto l'offesa a conferirgli una procura generale, che lo stesso utilizzava sia per chiedere sia la liquidazione di una polizza vita, che per ordinare due bonifici; - a (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS), di avere indotto la vittima (a) a redigere un primo testamento olografo - il 13 gennaio 2015 - che prevedeva il lascito a favore di (OMISSIS) della somma di Euro 350.000 e di una casa di abitazione, ed a favore di (OMISSIS) della somma di 250.000 Euro; (b) successivamente, di avere indotto l'offesa a disporre la variazione dei beneficiari della polizza vita che aveva ereditato dalla sorella (indicati negli eredi "testamentari" e non piu' "legittimi"), nonche' a redigere un secondo testamento il 27 ottobre 2016 - che aumentava le disposizioni a favore di (OMISSIS); - ad (OMISSIS) veniva contestato, inoltre, di avere accompagnato la vittima in banca, inducendola ad effettuare un bonifico di 80.000 Euro a proprio favore con la causale "prestito infruttifero per ampliamento casa"; bonifico che non andava a buon fine in quanto il funzionario di banca, percepite le condizioni dell'anziana, bloccava la procedura, allertando l'autorita' giudiziaria. Infine, la Corte di appello confermava la valutazione circa l'improcedibilita' per difetto di querela del delitto di tentata appropriazione indebita relativo all'ordine di effettuare due bonifici, non eseguito dai funzionari della banca. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. con il primo motivo si deduceva che il momento di consumazione della circonvenzione non avrebbe potuto essere identificato nella "redazione del testamento", dato che l'atto testamentario avrebbe prodotto effetti giuridici solo alla morte del testatore. 2.2. Con il secondo motivo si deduceva (a) che non sarebbe stato provato che i testamenti precedenti a quelli oggetto di presunta circonvenzione contenessero disposizioni di maggior favore per gli enti legatari, ovvero la Scuola elementare dove aveva lavorato la sorella della persona offesa ed Opera Pia (OMISSIS); (b) che la persona offesa avrebbe instaurato con (OMISSIS) un rapporto di consapevole collaborazione per la gestione del suo patrimonio e che non vi sarebbe alcuna prova che lo stesso avesse influito sul quantum da lasciare a ciascun legatario o erede; (c) che la variazione dei beneficiari della polizza vita sarebbe un'operazione "ordinaria", tenuto conto che, se non fosse stata effettuata la variazione, assenti gli eredi legittimi, le somme provento della liquidazione sarebbero andate allo Stato. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo si deduceva che (a) lo smobilizzo della polizza-vita, come si rilevava dalla deposizione del (OMISSIS), sarebbe stato richiesto ad ottobre del 2016, prima dell'apertura del conto corrente cointestato alla (OMISSIS) ed a (OMISSIS), sicche' il provento della liquidazione sarebbe confluito in un conto nella disponibilita' esclusiva della (OMISSIS); (b) che mancherebbe la prova del danno in quanto, tenuto conto dello smobilizzo della polizza, le percentuali dell'asse ereditario riservate agli enti legatari sarebbero aumentate. 2.4. Con il quinto motivo si deduceva l'illegittimita' del rigetto della richiesta di assumere la testimonianza del funzionario (OMISSIS); tale testimonianza sarebbe stata essenziale per accertare quale fosse il conto sul quale sarebbe dovuto confluire il denaro provento dello smobilizzo della polizza-vita. 2.5. Con il sesto motivo si deduceva che il rilascio della procura non sarebbe un atto in se' pregiudizievole, sicche' non sarebbe rinvenibile l'elemento oggettivo della circonvenzione. Inoltre, si contestava la sussistenza dello stato di circonvenibilita' allegando che alla vittima sarebbe stata diagnosticata solo una lieve psicosi compensata dai farmaci e che l'integrita' delle sue capacita' cognitive sarebbe attestata dal fatto che nel 2016 la stessa avrebbe trattato la vendita di un terreno, dal fatto che il medico curante non avrebbe rilevato decadimenti cognitivi ed, infine, dal fatto che, durante un ricovero, il personale sanitario aveva raccolto il consenso informato. 2.6. Con il settimo motivo si deduceva violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione: con riguardo alla circonvenzione funzionale al rilascio della procura mancherebbe la prova sia del dolo, che del pregiudizio, tenuto conto che la procura non sarebbe stata utilizzata per compiere atti dannosi, ma solo per aprire due conti correnti intestati alla presunta vittima e per trasferire il denaro tra conti intestati alla stessa offesa. 2.7. Infine, si deduceva l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione perche' "il fatto non sussiste" proposta con l'appello in ordine alla condotta contestata al capo 3), in relazione alla quale il Tribunale aveva disposto non doversi procedere per difetto di querela. 3. Ricorreva per cassazione anche il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita': (a) non sarebbero state considerate le doglianze proposte con la prima impugnazione in ordine alla attendibilita' intrinseca dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero avuto dei risentimenti nei confronti del ricorrente, ne' sarebbe stato considerato il contrasto tra le loro dichiarazioni e quanto emerso da quelle di altri testimoni privi di interesse (il dottor (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS)); (b) non sarebbe stato considerato che la vittima era anziana, affetta da un lieve disturbo mentale corretto con terapia farmacologica e che il medico curante ed il notaio, avevano confermato la sua capacita' di autodeterminarsi; (c) non sarebbe stato considerato che le disposizioni testamentarie a favore della ricorrente erano rimaste immutate nei due atti testamentari oggetto di ipotetica circonvenzione; 3.2. violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine allo stato di infermita' e deficienza psichica della vittima: la Corte di appello non avrebbe provato il concorso della (OMISSIS) nella redazione dei testamenti, ne' nella modifica dei beneficiari della polizza vita; inoltre non risulterebbe accertata alcuna condotta induttiva a lei specificamente riconducibile. Con riguardo al capo 4) di imputazione si deduceva, invece, che la ricorrente si sarebbe limitata a svolgere la sua funzione di badante, accompagnando la (OMISSIS) in banca per effettuare un atto da lei voluto. 3.3. Violazione di legge (articolo 643 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del concorso di persone nella condotta di circonvenzione diretta alla redazione dei testamenti olografi ed alla modifica dei beneficiari della polizza vita: si deduceva che (OMISSIS) e (OMISSIS) non si sarebbero mai frequentati per ragioni personali o di lavoro. 3.4. Violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione: il trattamento sanzionatorio sarebbe stato quantificato in misura eccessiva, tenuto conto dell'incensuratezza della ricorrente, della sua eta', della relazione di fiducia che aveva instaurato con la (OMISSIS) e del fatto che, comunque, le disposizioni a suo favore riguardavano solo una parte dell'ingente patrimonio dell'anziana donna. 3.Con motivi aggiunti - rinunciati in udienza - il ricorrente, in subordine invocava l'applicazione dell'articolo 545-bis c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 1.1.E' infondato il primo motivo, con il quale si contesta l'identificazione del momento di consumazione del reato di circonvenzione in quello della redazione del testamento, piuttosto che in quello del decesso del testatore (pag. 34 della sentenza impugnata). Il collegio, in via preliminare, ribadisce che il reato di circonvenzione di persone incapaci e' un "reato di pericolo" che sanziona ogni condotta di manipolazione della volonta' di persone che versano in un riconoscibile stato di vulnerabilita', che sia idonea a produrre "qualsiasi effetto giuridico" dannoso. Si ribadisce che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci, sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioe' quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (tra le altre: Sez. 5, n. 29003 del 16/04/2012, Strino, Rv. 253311 - 01). Tale principio, messo in relazione con la condotta di chi induce il vulnerabile a redigere un testamento olografo a suo favore, conduce a ritenere che il reato di circonvenzione si "perfezioni" - e dunque debba ritenersi consumato - sin dal momento della redazione del testamento, dato che tale atto, contrariamente a quanto ritenuto da parte della giurisprudenza (Sez. 2, n. 10165 del 26/01/2021, C. Rv. 280771 - 01; Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M. Rv. 269883 - 01), e' dotato di effetti giuridici immediati, in quanto e' un atto imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria, nulla rilevando, rispetto a tale immediata efficacia, che il percorso testamentario, al momento del decesso del testatore, trovi ulteriore - ed eventuale attuazione con la pubblicazione del testamento e la sua accettazione da parte degli eredi. Si ritiene cioe' che la successione governata da un testamento olografo sia un processo che origina dalla indispensabile redazione dell'atto testamentario, che e' la pre-condizione per avviare la successione, passa attraverso la eventuale pubblicazione delle volonta' del testatore al momento della morte ed infine, si conclude con l'accettazione delle volonta' del de cuius da parte degli eredi. La redazione del testamento olografo e', dunque, una condotta che condiziona la stessa sussistenza della successione su base volontaria, sicche' non si puo' negare che la stessa produca effetti giuridici, il che implica che la condotta di chi manipola la volonta' di un testatore vulnerabile a suo futuro vantaggio e' inquadrabile nella fattispecie prevista dall'articolo 643 c.p.: colui che soggioga un testatore vulnerabile, orientandone la volonta' per ottenerne un futuro vantaggio, compie una circonvenzione che si consuma gia' nel momento della redazione del testamento, il che rende penalmente rilevanti, contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, anche le condotte di manipolazione della volonta' testamentaria di vulnerabili non deceduti. Deve essere tuttavia precisato che la condotta di circonvenzione, nel caso in cui si manifesti nella manipolazione della volonta' testamentaria, pur perfezionandosi gia' con la redazione testamento, puo' trovare ulteriore, eventuale, manifestazione con la pubblicazione dello stesso ed, infine, con la sua accettazione da parte degli eredi. La circonvenzione del testatore vulnerabile si atteggia, infatti, come un reato ad eventuale formazione progressiva ed a consumazione prolungata che, pur consumandosi con la prima condotta, ovvero la redazione del testamento, "puo'" avere una eventuale progressione, attraverso la perpetrazione di ulteriori condotte correlate alla manipolazione e funzionali ad ottenere il vantaggio testamentario, ovvero la pubblicazione e l'accettazione del testamento. Queste condotte non possono essere inquadrate come post-factum, ma si configurano come ulteriori momenti di perpetrazione di una condotta criminosa che, pur perfezionandosi con la redazione del testamento, si presta ad avere ulteriori, ingravescenti sviluppi. Diversamente opinando si eliminerebbe la rilevanza penale della condotta di chi induce persone vulnerabili a sottoscrivere testamenti olografi, azione imprescindibile per l'attivazione della successione su base volontaria. 1.2. I motivi descritti ai punti 2.2. e 2.3 del "ritenuto in fatto" non superano la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare nessuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate, devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965). La responsabilita' di (OMISSIS) per le circonvenzioni contestate emerge, con inequivocabile chiarezza, dal compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito e non risulta inciso dalle doglianze difensive che, invero, si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione. La Corte d'appello, con motivazione persuasiva, osservava che il ricorrente, nonostante l'invito alla prudenza ed a regolare il rapporto con la persona offesa con la nomina e la mediazione di un amministratore di sostegno, non solo non aveva dato seguito all'invito, ma si era adoperato per effettuare due distinti bonifici a favore di se' stesso e di (OMISSIS) che non eseguiti dai funzionari di banca che aveva rilevato l'anomalia. Quanto alla reiterata allegazione che il denaro proveniente dallo smobilizzo della polizza dovesse confluire sul conto intestato solo alla persona offesa, e dunque non fosse in alcun modo pregiudizievole per la stessa, deve essere osservato che la Corte di appello aveva rilevato senza che la affermazione risultasse smentita - che detto conto era stato aperto in epoca successiva alla richiesta di smobilizzo della polizza e che, comunque, pur essendo intestato all'offesa, (OMISSIS) ne aveva la disponibilita' "con firma disgiunta", il che gli consentiva di gestirlo da dominus (pag. 30 della sentenza impugnata). Non e' fondato neanche il motivo che allega che l'operazione compiuta da (OMISSIS) non avrebbe danneggiato gli enti destinatari dei legati riconducibili alla reale volonta' dell'offesa, ovvero quelli disposti a favore della Scuola elementare presso la quale aveva lavorato la sorella della (OMISSIS) e dell'Opera Pia (OMISSIS). Invero il computo effettuato dal difensore si configura suggestivo, ma fallace, in quanto non tiene conto del fatto che la manipolazione della volonta' testamentaria, come rilevato dalla Corte territoriale, si era - tra l'altro - manifestata nella modifica dei legati agli enti, che inizialmente prevedevano il lascito di "quattrocentomila Euro", mentre con il testamento del 2016 erano stati tramutati nel lascito "quote dei titoli rimanenti alla data della morte": tale mutamento unitamente alla richiesta di liquidazione della polizza, nella persuasiva valutazione dei giudici di merito si configurava come diretto a vanificare i legati (pag. 29 della sentenza impugnata). Quanto alla richiesta di liquidazione della polizza-vita posta in essere da (OMISSIS) in qualita' di procuratore speciale (pag. 31 della sentenza impugnata) la stessa, nella ineccepibile valutazione effettuata dalla Corte di appello, si configurava come un'azione diretta non solo a garantire l'attuazione dell'atto testamentario manipolato, ma anche a far confluire sul conto corrente della vittima una liquidita' che avrebbe potuto facilmente essere sottratta, come dimostrano i tentativi di bonifico contestati ai capi 3) e 4) (pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata). 1.3. Nessuna censura puo' essere rilevata, inoltre, nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" e' da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame, con motivazione ineccepibile, la Corte di appello rilevava che la esaustivita' e completezza delle prove raccolte, indicative della responsabilita' del ricorrente "al di la' di ogni ragionevole dubbio", ostavano all'accoglimento della richiesta di rinnovazione attraverso l'audizione del funzionario (OMISSIS). Emergeva infatti che la chiusura del conto cointestato era stata disposta su ordine dell'istituto di credito e che (OMISSIS) non solo non aveva raccolto l'invito alla prudenza dei colleghi, ma aveva aperto un nuovo conto intestato solo alla (OMISSIS), assegnandosi tuttavia il potere di disporne con firma disgiunta (pag. 32 della sentenza impugnata). 1.4. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.5. del "ritenuto in fatto" e' infondato sia nella parte in cui ritiene che l'induzione al rilascio di una procura generale a gestire il patrimonio non sia un atto idoneo ad integrare il reato previsto dall'articolo 643 c.p., sia nella parte in cui contesta la legittimita' della motivazione in ordine allo stato di riconoscibile circonvenibilita' della vittima. 1.4.1. Quanto al primo profilo, il collegio, rileva che sebbene il conferimento di una procura generale non sia - in astratto - un atto univocamente diretto a produrre effetti dannosi nei confronti del delegante; lo stesso debba comunque essere valutato unitamente alle circostanze del caso concreto: sicche' se la procura si inserisce in un contesto di manipolazione e si profila come funzionale a porre in essere atti di disposizione patrimoniale contrari all'interesse del delegante, la stessa e' sicuramente idonea a produrre effetti giuridici dannosi (in tal senso: Sez. 2, n. 10587 del 27/02/2009, Rv. 243866). Si ritiene, cioe', che la procura generale conferita per gestire il patrimonio e' un atto sicuramente produttivo di effetti giuridici, in quanto trasferisce in capo al procuratore il potere di gestire il patrimonio del delegante; e che nonostante la procura generale sia, in se', un atto "neutro", in quanto, in astratto, funzionale anche a produrre effetti positivi nel patrimonio del delegante, puo' configurarsi, in concreto, dannoso - ovvero idoneo ad integrare una condotta di circonvenzione - quando, valutato unitamente agli altri elementi di contesto, emerga che la stessa sia stata ottenuta attraverso la manipolazione della volonta' del vulnerabile al fine di danneggiarlo. 1.4.2. Le contestazioni in ordine alla rilevazione dello stato di riconoscibile circonvenibilita' si profilano come reiterative rispetto a quelle gia' avanzate con la prima impugnazione e, comunque, come dirette ad invocare una nuova e diversa valutazione della capacita' dimostrativa delle prove in ordine ad un elemento essenziale per la sussistenza dei reati contestati. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito ha valorizzato una serie di prove indicative sia della sussistenza della fragilita' cognitiva della persona offesa, che della sua manipolabilita'; sul punto risulta assorbente la valorizzazione di un elemento incontestato, che definisce in modo certo la sussistenza sia della vulnerabilita', che della sua riconoscibilita', ovvero il fatto che i funzionari di banca, che hanno avuto contatto occasionale con la vittima, si sono immediatamente resi conto della sua condizione, non dando seguito agli atti di disposizione patrimoniale indotti dai ricorrenti. 1.5. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.6. del "ritenuto in fatto" non supera la soglia di ammissibilita' in quanto invoca una diversa valutazione delle emergenze processuali, funzionale al riconoscimento della tesi alternativa proposta dalla difesa. Contrariamente a quanto dedotto, il compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito si prospetta esaustivo e persuasivo ed indica con chiarezza che (OMISSIS) ha consapevolmente posto in essere un'azione persistente e reiterata di manipolazione della persona offesa, resistendo anche alle sollecitazioni alla prudenza provenienti dai colleghi. 1.6. Il motivo di ricorso descritto al punto 2.7. del "ritenuto in fatto" e' manifestamente infondato. Il difetto di querela, quando si procede per il reato di appropriazione indebita, osta all'apertura del rapporto processuale, sicche' non si rinviene alcun interesse dell'accusato a dolersi della decisione di improcedibilita'. Peraltro, nel caso in esame, ferma la improcedibilita' della condotte appropriative contestate al capo 3), la Corte di appello, al fine di evidenziare la persistente azione di circonvenzione e la sussistenza dell'elemento soggettivo, rilevava che il ricorrente, nella veste di procuratore della persona offesa, nel 2017 aveva effettuato - a soli nove mesi di distanza dalla richiesta di liquidazione della polizza - due distinti bonifici bancari in favore della (OMISSIS) e di se' stesso, che erano stati bloccati dai funzionari di banca (pag. 21 della sentenza impugnata). 1.7. I motivi aggiunti sono stati rinunciati dall'Avv. (OMISSIS) in udienza, sicche' gli stessi vanno considerati non ammissibili. 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.Il primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilita' in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove poste a sostegno della conferma della responsabilita', senza l'indicazione di travisamenti o fratture logiche capaci di disarticolare il percorso logico-argomentativo posto a sostegno della conferma di responsabilita'. Circa la sussistenza e la riconoscibilita' dello stato di circonvenibilita' si richiama quanto gia' osservato in relazione alla valutazione del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (§ 1.4.2.). Quanto alla partecipazione della (OMISSIS) alle azioni delittuose contestate (ovvero alla induzione alla redazione di due testamenti olografi, oltre che alla modifica dei destinatari della polizza vita ed al fatto di aver accompagnato la vittima presso il suo istituto di credito per indurla ad effettuare un bonifico di 80.000 in suo favore) il collegio rileva che le valutazioni emergenti dalle due sentenze di merito non presentano alcuna illogicita'. Segnatamente: la condotta contestata al capo 4) - ovvero l'accompagnamento della vittima in banca per effettuare il bonifico - risulta provata dalle testimonianze dei dipendenti della banca e dal fatto che, proprio in quell'occasione, ebbero la possibilita' di verificare lo stato di vulnerabilita' dell'anziana persona offesa, al punto che bloccarono la procedura ed avviarono il procedimento penale. 2.2. Le censure dirette e contestare il difetto di motivazione in ordine alla dimostrazione del concorso di (OMISSIS) nelle condotte di circonvenzione contestate (proposte sia con il secondo che con il terzo motivo) sono infondate. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello, confermando analoga valutazione del Tribunale, esplicava, in modo esaustivo e persuasivo, come la ricorrente avesse contribuito in modo consapevole alla consumazione delle condotte contestate. Veniva infatti ribadito che il fatto che le disposizioni testamentarie fossero in favore di entrambi gli imputati fosse una circostanza univocamente indicativa delle cointeressenze della ricorrente; tale dato veniva confortato dalla emersione dell'attivita' delittuosa contestata al capo 4): sul punto la Corte d'appello, confrontandosi con le deduzioni difensive, rilevava come fosse emerso in modo inequivoco che la ricorrente si era recata in banca insieme con la persona offesa e che, una volta giunta presso l'istituto di credito, aveva compilato la richiesta di bonifico, mentre la vittima si era limitata a firmarlo. I giudici di merito rilevavano come le prove raccolte indicassero con chiarezza che il funzionario di banca si fosse reso conto che l'anziana era assente e non consapevole del motivo per cui era nell'istituto di credito: tale rilevante emergenza processuale confermava in modo definitivo il coinvolgimento della (OMISSIS) nella persistente e reiterata manipolazione della persona offesa. Veniva rilevato, tra l'altro, che il funzionario di banca, che aveva visto per la prima volta la vittima, si era subito accorto che la stessa non era in grado di comprendere il significato dell'operazione che era stata sollecitata a compiere, sicche' non era ipotizzabile che (OMISSIS) non fosse consapevole delle condizioni dell'anziana, tenuto conto che la assisteva quotidianamente come badante (pag. 22 della sentenza impugnata). 1.4. Sono infondate anche le censure proposte con l'ultimo motivo di ricorso, che contesta la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 - dep. 26/03/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche' l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Cio' dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'articolo 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello. La Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva ostativi al ridimensionamento del trattamento sanzionatorio il grado e l'intensita' del dolo dimostrata da entrambi gli imputati - e dunque anche dalla (OMISSIS) - come anche il fatto che la condotta manipolatoria fosse stata reiterata e perseverante (pag. 36 della sentenza impugnata). A cio' si aggiungeva il fatto che era emerso con chiarezza che la ricorrente aveva tradito la fiducia dell'ingenua e malata persona offesa. Tali circostanze, nella ineccepibile valutazione della Corte territoriale, rendevano equo e non ridimensionabile il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice: si tratta di una motivazione che non si presta ad alcuna censura, in quanto non presenta alcun vizio logico nel percorso argomentativo, si profila aderente alle emergenze processuali e coerente con i parametri di legge che limitano la discrezionalita' del giudice nella quantificazione della pena. 4.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - est. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25/05/2022 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dr. Giuseppe Sgadari; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tocci Stefano, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio per prescrizione del reato di ricettazione, con adozione dei provvedimenti consequenziali. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Castrovillari emessa il 15 maggio 2019 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione ai reati di ricettazione, falso e truffa per avere ottenuto merce da un commerciante pagandola con un assegno circolare che aveva falsificato e che proveniva dal reato di furto. 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo: 1) vizio della motivazione per non avere la Corte fornito alcuna risposta alla eccezione di prescrizione formulata con le conclusioni scritte nel procedimento di appello e che era maturata dopo il deposito dell'atto di appello; 2) violazione di legge per non aver rilevato, nel rispetto del principio del favor rei, l'intervenuta prescrizione prima della sentenza impugnata, tenuto conto della mancanza di prova della ricezione del bene ricettato rispetto ad un reato presupposto di furto avvenuto nel 2010. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato in considerazione di quanto segue. 1. Il ricorrente, nelle conclusioni scritte del processo di appello, aveva eccepito la prescrizione del reato di ricettazione in data antecedente alla sentenza impugnata, circostanza che avrebbe meritato un accertamento di merito, in relazione alle modalita' dei fatti - ed, in particolare, alla consumazione del reato presupposto nel 2010 - tenuto conto del principio giuridico secondo cui, ai fini del calcolo del termine di prescrizione relativo al reato di ricettazione, nell'ipotesi in cui manchi prova certa della data di acquisizione del bene da parte dell'imputato, il momento consumativo del reato deve essere individuato, in applicazione del principio del "favor rei", in prossimita' della data di commissione del reato presupposto (Sez. 2, n. 44322 del 15/10/2021, Ceglia, Rv. 282307). Ne consegue che la sentenza deve essere annullata con rinvio per la verifica della data di commissione del reato di ricettazione, cui conseguira' il giudizio sulla eventuale prescrizione del reato alla luce del principio richiamato, con le conseguenziali statuizioni in punto di pena, restando fermo, perche' non devoluto in questa sede, l'accertamento, da ritenersi definitivo, della responsabilita' per il reato di truffa di cui al capo B. 2. Quanto al reato di falso in assegno circolare di cui al capo a), deve rilevarsi d'ufficio (cfr., in proposito, Sez. 2, n. 48552 del 10/09/2018, Barsotti, Rv. 274241; Sez. 5, n. 8735 del 05/12/2017, deo. 2018, Belgrado, Rv. 272511) che, in tema di falso in scrittura privata, a seguito dell'abrogazione dell'articolo 485 c.p. e della nuova formulazione dell'articolo 491 c.p. ad opera del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, la condotta di falsificazione di un assegno circolare non rientra piu' tra quelle soggette a sanzione penale, integrando un mero illecito civile, atteso che detto assegno e' per sua natura non trasferibile (Sez. 2, n. 29567 del 27/03/2019, Bevilacqua, Rv. 276113; Sez. 2, n. 24165 del 2019, non massimata; Massime precedenti Vedi Sezioni Unite: N. 40256 del 2018 Rv. 274651). In altre parole, non solo la falsificazione di un assegno circolare (articolo 485 c.p.), ma anche l'uso di un assegno circolare falso da parte di chi non abbia concorso nella falsita' (articolo 489 c.p.), deve ritenersi condotta non piu' prevista dalla legge come reato, in quanto non rientrante nella categoria delle falsita' in scritture private previste dal nuovo articolo 491 c.p., che fa riferimento soltanto al testamento olografo, alla cambiale o ad altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, quali documenti "privati", equiparati agli atti pubblici, la cui falsificazione o il cui uso rimangono penalmente rilevanti. Cio' comporta l'annullamento senza rinvio in ordine a tale reato e l'eliminazione del segmento di pena in continuazione ad esso relativo, nei termini di cui al dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alla imputazione di falso di cui al capo A perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena in continuazione di mesi uno di reclusione ed Euro 700 di multa. Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di ricettazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame e per il trattamento sanzionatorio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27772/2017 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende; - controricorrente e ricorrente incidentale - e contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti - (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., EREDITA' GIACENTI DI (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.A.S., (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L.; - intimati - Avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di ROMA n. 2604/2017 depositata il 20/04/2017; Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Aldo, il quale ha chiesto l'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, il rigetto dei restanti motivi ed il rigetto del ricorso incidentale. Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in cinque motivi e che si sviluppa in 69 pagine avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 2604/2017, pubblicata il 20 aprile 2017. (OMISSIS) ha notificato controricorso contenente altresi' ricorso incidentale articolato in quattro motivi. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso. Tutti gli altri intimati indicati in epigrafe non hanno svolto attivita' difensive nel giudizio di cassazione. Il Tribunale di Roma, con sentenza "non definitiva" del 9 febbraio 2004, pronuncio' su tre giudizi riuniti (RG 21230/1980; R.G. 7662/1985; R.G. 39321/1990), tutti relativi alla successione del notaio (OMISSIS), morto il (OMISSIS), il quale aveva disposto del proprio patrimonio con testamento olografo del (OMISSIS), istituendo eredi per 4/5 i figli (OMISSIS) e (OMISSIS) (quest'ultima nata dal secondo matrimonio con (OMISSIS)) e per il restante quinto i figli (OMISSIS) ed (OMISSIS). Il primo di tali giudizi, promosso da (OMISSIS), e nel quale (OMISSIS) aveva aderito alle domande del fratello (OMISSIS), aveva ad oggetto la ricomprensione nell'asse ereditario delle quote costituenti il capitale delle societa' (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) e (OMISSIS) s.a.s.. Pretese contrapposte avanzo' in questa causa (OMISSIS). Nel secondo giudizio, promosso invece da (OMISSIS), si controverteva della natura simulata dell'atto di cessione del (OMISSIS) (costituente in realta' una donazione) da parte del de cuius della nuda proprieta' delle quote della (OMISSIS) s.r.l. ai figli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con usufrutto alla prima moglie (OMISSIS). Il terzo giudizio, promosso da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), verteva sull'accertamento della consistenza del patrimonio ereditario di (OMISSIS), in esso comprendendo, detratti i debiti, le donazioni ed i beni comunque acquistati (mediante atti asseritamente nulli o simulati, o con denaro di (OMISSIS), o con intestazione a societa' prestanome) da (OMISSIS) e da (OMISSIS), richiedendosi la riunione fittizia, la collazione, l'accertamento delle quote di legittima, la riduzione delle donazioni dirette ed indirette. Con la sentenza "non definitiva" n. 4190/2004, il Tribunale di Roma, fra l'altro: rigetto' le domande di (OMISSIS) e di (OMISSIS) nonche' le domande di (OMISSIS) e di (OMISSIS) relative alle quote di partecipazione al capitale della (OMISSIS) S.r.l. e della (OMISSIS) S.r.l.; dichiaro' inammissibili le domande proposte da (OMISSIS) di simulazione assoluta, anche per interposizione fittizia, degli atti di costituzione delle seguenti societa': (OMISSIS) S.r.l.; (OMISSIS) S.a.s.; (OMISSIS) S.r.l.; (OMISSIS) S.r.l.; (OMISSIS) S.a.s.; (OMISSIS) S.p.A.; (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.p.A.; (OMISSIS) S.r.l.; dichiaro' inammissibile la domanda proposta da (OMISSIS) intesa alla declaratoria di appartenenza al defunto (OMISSIS) di partecipazione al capitale della (OMISSIS) S.p.A., pari al 50% dell'intero; dichiaro' inammissibili le domande proposte da (OMISSIS) di nullita' per simulazione assoluta, anche per carenza dei requisiti di forma e di sostanza, degli atti elencati all'udienza di precisazione delle conclusioni del 9 maggio 2000; dichiaro' inammissibile la domanda di nullita' dell'atto relativo all'appartamento in (OMISSIS); dichiaro' inammissibili le domande proposte da (OMISSIS) di simulazione degli atti di vendita, aventi ad oggetto diciassette appartamenti, stipulati il (OMISSIS), fra la (OMISSIS) a r.l. e la (OMISSIS) S.r.l.; dichiaro' inammissibile la domanda proposta da (OMISSIS) di simulazione degli atti di vendita relativi agli immobili ubicati in (OMISSIS), costruiti dalla (OMISSIS) S.a.s.; dichiaro' inammissibile la domanda proposta da (OMISSIS) di simulazione degli atti di vendita relativi all'immobile di (OMISSIS) costruito dalla (OMISSIS) S.a.s.; rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa agli immobili in (OMISSIS); rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa agli immobili in (OMISSIS); rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa alla proprieta' di meta' dell'immobile sito in (OMISSIS); rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa all'immobile in (OMISSIS); rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa all'immobile in (OMISSIS); rigetto' la domanda proposta da (OMISSIS) relativa agli immobili intestati a (OMISSIS); dichiaro' che a mezzo dei contratti di vendita stipulati da (OMISSIS) rispettivamente con la (OMISSIS) S.p.A. (il (OMISSIS)) e con (OMISSIS) (il (OMISSIS)), la proprieta' degli immobili costituenti l'oggetto di tali contratti, rispettivamente siti in (OMISSIS), (OMISSIS), negli atti di vendita compiutamente descritti, venne indirettamente donata dal notaio (OMISSIS) al figlio (OMISSIS); dichiaro' pertanto che la proprieta' degli immobili di cui al precedente capo dovesse computarsi nell'asse ereditario del notaio (OMISSIS); dichiaro' la simulazione, per interposizione fittizia di persona, dell'atto a rogito Notaio (OMISSIS) del (OMISSIS) con il quale (OMISSIS) apparentemente dono' a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) la nuda proprieta' dell' (OMISSIS), in (OMISSIS), compiutamente descritta nel citato atto, reale ed effettivo donante essendo stato il notaio (OMISSIS); dichiaro' pertanto che la proprieta' dell'immobile di cui al precedente capo dovesse computarsi nell'asse ereditario del notaio (OMISSIS); dichiaro' che l'atto di trasferimento della nuda proprieta' delle quote di partecipazione al capitale della (OMISSIS) S.r.l. intercorso fra il notaio (OMISSIS) da un lato e (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), dall'altro, dissimulava una donazione della nuda proprieta' degli stessi beni mobili non registrati fatta dal primo ai secondi; dichiaro' la nullita' del dissimulato contratto di donazione di cui al precedente capo; accertato che il diritto di usufrutto su tali quote attribuito dal notaio (OMISSIS) a (OMISSIS) si era estinto per morte di quest'ultima, dichiaro' conseguentemente che la proprieta' delle quote medesime costituisce parte dell'asse ereditario relitto dal notaio (OMISSIS); dichiaro' la nullita', per simulazione assoluta, degli atti di trasferimento delle quote (OMISSIS) S.r.l. da (OMISSIS) ed (OMISSIS) a (OMISSIS) e da quest'ultimo alla (OMISSIS) s.r.l.; rigetto' la domanda di risarcimento del danno per inadempimento di (OMISSIS) alle obbligazioni ad essa incombenti quale amministratore unico della (OMISSIS) S.r.l., proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS); dichiaro' che il 50% delle quote di partecipazione alla (OMISSIS) S.a.s. apparteneva al defunto (OMISSIS), mentre il residuo 50% delle quote di partecipazione a tale societa' forma oggetto di legato da parte del notaio (OMISSIS) in favore del figlio (OMISSIS); rigetto' la domanda di risarcimento del danno proposta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), vedova (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), contro (OMISSIS) e (OMISSIS); accertato che (OMISSIS) non aveva provveduto a riassumere la causa relativa alle domande dalla stessa proposte contro (OMISSIS) e (OMISSIS) con citazione ad esse notificata il 13 giugno 1990, rigetto' le domande proposte da (OMISSIS) ed (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) con la stessa citazione notificata il 13 giugno 1990. La sentenza della Corte d'appello di Roma n. 2604/2017, pubblicata il 20 aprile 2017, ha rigettato sia l'appello principale avverso la sentenza del Tribunale di Roma pubblicata il 9 febbraio 2004, proposto con citazione del 16 marzo 2005 da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), esaminato da pagina 3 a pagina 6 della sentenza impugnata, sia l'appello incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), esaminato nelle pagine da 6 a 13 della sentenza impugnata, sia l'appello incidentale della (OMISSIS) S.r.l. (pagina 13-14), sia infine l'appello incidentale di (OMISSIS) (pagine 14-18). I ricorsi sono stati decisi in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14). Hanno presentato memorie (OMISSIS), nonche' (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). MOTIVI DELLA DECISIONE In via pregiudiziale, in sede di notifica dell'avviso di udienza, e' risultata la morte sia dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), sia della stessa (OMISSIS). La cancelleria ha quindi provveduto a tentare la comunicazione dell'avviso d'udienza impersonalmente agli eredi di (OMISSIS) presso il suo domicilio. Non risultano dagli atti propri del giudizio di cassazione indirizzi diversi degli eredi di (OMISSIS) cui inviare la comunicazione, sicche' vengono meno i presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall'articolo 377 c.p.c.. 1. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza per omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c. e/o per omesso esame dei motivi di impugnazione. La censura espone che la Corte d'appello, pur riconoscendo che (OMISSIS) era parte del giudizio e che la stessa aveva proposto appello incidentale (dal momento che nell'epigrafe della sentenza la stessa e' stata qualificata quale appellata ed appellante incidentale), non si e' in alcun modo pronunciata sui motivi di impugnazione dalla stessa proposti. Al riguardo, in sede di esposizione sommaria dei fatti di causa, il ricorso principale riferisce che nel giudizio instaurato con l'appello principale del 16 marzo 2005 da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) si era costituita formulando le seguenti conclusioni: "accogliere l'appello proposto dai signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 4190/04; rigettare l'appello incidentale proposto dalla signora (OMISSIS) ved. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) siccome inammissibile, improponibile e comunque infondato; rigettare l'appello incidentale proposto dalla societa' (OMISSIS) S.r.l. siccome inammissibile, improponibile e comunque infondato; accogliere l'appello incidentale spiegato dalla esponente Dott.ssa (OMISSIS) con la presente comparsa e per gli effetti in parziale riforma della sentenza del tribunale di Roma n. 4190/04 dichiarare: a) l'erroneo rigetto della domanda proposta dall'esponente nel giudizio 21238/1980 RG; l'erroneo accoglimento della domanda riconvenzionale sull'immobile in (OMISSIS) denominato " (OMISSIS)", proposto dalla signora (OMISSIS) e dall'avv. (OMISSIS); l'erroneo rigetto delle domande proposte dall'esponente di cui al giudizio R.G. n. 39321/90; l'erronea dichiarazione che l'atto di trasferimento della nuda proprieta' delle quote di partecipazione al capitale della (OMISSIS) S.r.l. intercorso tra il notaio (OMISSIS) da un lato e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dall'altro dissimuli una donazione della nuda proprieta' degli stessi di cui al capo 21 del dispositivo della sentenza; nonche' dei successivi capi 22-23 e 24 del detto dispositivo (...) (cfr. pag. 16 comparsa di costituzione con appello incidentale, ALL N. 1)". Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce sempre la nullita' della sentenza per omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c., e/o per omesso esame dei motivi di impugnazione, affermando che tale vizio sarebbe rilevabile anche laddove si volesse ritenere che la Corte d'appello, nel pronunciarsi sui motivi di impugnazione proposti dagli appellanti principali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), 15Dinacci Mario), si sia implicitamente pronunciata sui motivi di appello incidentale proposti da (OMISSIS). Qui si richiamano le pagine 2 e seguenti "della comparsa con appello incidentale (ALL. N. 2)", con la quale (OMISSIS) dichiarava di "fare propri i motivi di gravame proposti da (OMISSIS), 4Dinacci Giuseppe e (OMISSIS)" e di riproporli. La censurariguarda il capo della sentenza di primo grado inerente alle quote della (OMISSIS) e della (OMISSIS), intestate fiduciariamente a 10Trincas Dario ed alla (OMISSIS), ed alla relativa domanda restitutoria. Secondo la ricorrente principale (OMISSIS), la Corte d'appello non si e' pronunciata sul motivo di impugnazione da lei proposto con il quale si lamentava l'erroneita' della sentenza di primo grado per non aver tenuto conto della circostanza che le domande restitutorie nei confronti della (OMISSIS) e del 10Trincas (OMISSIS) (OMISSIS)1Dinacci Angela (OMISSIS)4Dinacci Giuseppe (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Anche questa parte della sentenza di primo grado era stata oggetto, secondo la ricorrente, di gravame a "pag. 13 della comparsa con appello incidentale ALL. N. 1". Il quarto motivo del ricorso principale deduce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non avendo la Corte d'appello di Roma considerato che l'atto di donazione della nuda proprieta' delle quote (OMISSIS) del (OMISSIS) era stato redatto da un notaio alla presenza di due testimoni. Si indica che tale fatto era stato oggetto di discussione nella memoria di replica di (OMISSIS) del 22 novembre 1997, nella comparsa conclusionale di (OMISSIS) e (OMISSIS) del 6 dicembre 2016, nella comparsa conclusionale di (OMISSIS) ed (OMISSIS) del 28 ottobre 2000, nella comparsa di risposta di (OMISSIS) e (OMISSIS) dell'8 aprile 2005, nella comparsa conclusionale di (OMISSIS) ed (OMISSIS) del 17 novembre 1197. Il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) allega la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2909 c.c.. La censura attiene alla statuizione del Tribunale che ha dichiarato la simulazione per interposizione fittizia di persone dell'atto di donazione (OMISSIS) della nuda proprieta' di un immobile in (OMISSIS), cosi' ricompreso nell'asse ereditario di (OMISSIS). Anche sul punto la censura richiama la "comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale di (OMISSIS), ALL. N. 1)", pagine 4 e 6, con cui si faceva riferimento ad una sentenza del Pretore di Salerno del 10 dicembre 1951, che aveva accertato l'autenticita' di una scrittura privata con cui (OMISSIS) aveva ceduto la nuda proprieta' dell'immobile a (OMISSIS). 2. Deve superarsi l'eccezione di inammissibilita' per intempestivita' del ricorso principale, formulata nel controricorso di (OMISSIS). Il ricorso di (OMISSIS) e' stato notificato il 17 novembre 2017 avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma pubblicata il 20 aprile 2017, e dunque nel rispetto del termine annuale di cui all'articolo 327 c.p.c., nella formulazione qui operante antecedente a quella introdotta dalla L. n. 69 del 2009, la quale e' applicabile, ai sensi dell'articolo 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009. Il deposito della sentenza effettuato da (OMISSIS) con le note del 13 giugno 2017 a sostegno dell'istanza di sospensione dell'esecutivita' della sentenza n. 8969/2016 del Tribunale di Roma non valeva certamente a far decorrere il termine breve per impugnarla, giacche' di regola, ai sensi dell'articolo 326 c.p.c., comma 1, la notificazione della sentenza non ammette equipollenti quale fonte di conoscenza legale (Cass. Sez. unite 31 maggio 2016, n. 11366). Cio' vale anche in risposta all'eccezione di inammissibilita' per tardivita' del ricorso incidentale sollevata nel controricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. Essendo stati denunciati nel ricorso principale vizi di omessa pronuncia, che comportano la nullita' della sentenza impugnata, ed essendo state le censure proposte dalla ricorrente principale in conformita' alle prescrizioni dettate dall'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve procedersi all'esame diretto dell'atto di appello incidentale di (OMISSIS). Trattandosi, in particolare, di atto rientrante altresi' nel contenuto necessario nel fascicolo d'ufficio, l'onere del ricorrente, di cui all'articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (che il controricorso di (OMISSIS) lamenta essere stato inadempiuto), deve intendersi soddisfatto gia' mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'articolo 369 c.p.c., comma 3 (vigente ratione temporis) (Cass. Sez. unite 3 novembre 2011, n. 22726). 4. Tenuto conto che, in relazione alla disciplina transitoria dettata dalla L. n. 353 del 1990, articolo 90, per giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 devono intendersi quelli iniziati in primo grado prima della suddetta data, trovano in questo giudizio applicazione le norme anteriormente vigenti, anche in relazione alla proposizione dell'appello incidentale. 4.1. Ai sensi dell'articolo 343 c.p.c., comma 1, nel testo anteriore alla modifica di cui alla L. n. 353 del 1990, articolo 51, l'appello incidentale doveva essere proposto a pena di decadenza nella prima comparsa depositata in cancelleria o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza davanti al consigliere istruttore, senza che necessitasse l'uso di formule sacramentali, essendo indispensabile, e a un tempo bastando, che la volonta' di ottenere la riforma della sentenza impugnata si manifestasse con la proposizione di richieste concrete e con l'indicazione di motivi specifici, in modo da consentire di individuare l'oggetto ed i limiti del giudizio di gravame (Cass. Sez. 3, 9 giugno 1975, n. 2299; Cass. Sez. 3, 3 marzo 1994, n. 2120). 4.2. Nella specie, a fronte dell'appello principale del 16 marzo 2005 proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Roma pubblicata il 9 febbraio 2004, n. 4190/04, nonche' degli appelli incidentali proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) nella comparsa di riposta depositata il 6 ottobre 2005 per l'udienza del 31 ottobre 2005, poi rimandata al 3 novembre 2005, aveva domandato di accogliere l'appello proposto dai signori (OMISSIS), (OMISSIS), dichiarando di "far propri" i motivi di quello, e aveva altresi' criticato il rigetto della domanda sulle quote societarie proposta nel giudizio 21238/1980 RG, l'accoglimento della domanda riconvenzionale relativa all'immobile in (OMISSIS), il rigetto delle domande proposte nel giudizio R.G. n. 39321/1990, l'erronea dichiarazione di simulazione dell'atto di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della (OMISSIS) s.r.l.. 4.3. Va considerato che la disposizione dell'articolo 334 c.p.c., secondo la quale la parte contro la quale sia stato proposto gravame e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio ex articolo 331 c.p.c., possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse sia decorso il termine stabilito dall'articolo 327 c.p.c., trova applicazione altresi' nella ipotesi di impugnazione di tipo adesivo (Cass. Sez. unite, 27 novembre 2007, n. 24627; Cass. Sez. 2, 7 maggio 2002, n. 6544). Nessun rilievo ha a tal fine l'ulteriore eccezione sollevata nel controricorso di (OMISSIS), secondo cui (OMISSIS) neppure aveva formulato "riserva d'appello" contro la sentenza "non definitiva" del 9 febbraio 2004, in quanto la riserva, ove pure formulata, sarebbe rimasta priva di effetto a norma dell'articolo 340 c.p.c., comma 3, per essersi le altre parti avvalse della facolta' di impugnazione immediata, mentre la riserva non fatta non priva la parte della possibilita' di proporre il suo gravame come incidentale tardivo ai sensi dell'articolo 334 c.p.c.. 4.4. La Corte d'appello di Roma, pronunciando espressamente sui tre motivi dell'appello principale proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha affermato che: quanto al rigetto delle domande nella causa n. 21238/1980 (nullita' dell'atto di cessione delle quote sociali del 23 settembre 1976), la censura era inammissibile, non essendo attinta la ratio decidendi concorrente adoperata dal Tribunale sulla genericita' della pretesa, ne' superata la ratio decidendi del primo giudice, secondo il quale l'adempimento del negozio fiduciario esulava dal tema di lite, dovendo essere richiesto dal fiduciante; quanto all'atto di donazione della nuda proprieta' dell'autorimessa stipulato il (OMISSIS), con scrittura privata in pari data, denominata "dichiarazione di verita'", i contraenti avevano riconosciuto la natura simulata del negozio, dato che, in realta', il donante era (OMISSIS), non potendosi condividere la ragioni che infirmavano tale controdichiarazione; quanto al rigetto delle domande di cui al giudizio R.G. 39321/1990, il motivo di appello di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato ritenuto inammissibile per genericita', anche quanto alle prove non ammesse. La stessa Corte d'appello, pronunciando poi sull'appello di (OMISSIS), ha ribadito, quanto alla cessione delle quote della (OMISSIS) s.r.l., che la controdichiarazione del (OMISSIS) costituiva prova della natura dissimulata di donazione del negozio, essendo inammissibile la censura avverso la portata di tale scrittura. 5. Non puo' allora sostenersi che la Corte d'appello, pur senza menzionare l'appello incidentale di (OMISSIS), abbia comunque ottemperato all'obbligo di pronuncia su di esso, non risultandone confutate tutte le argomentazioni, le quali attenevano comunque a punti involgenti questioni la cui risoluzione, ove fossero state prese in considerazione, avrebbe potuto determinare una pronuncia differente da quella adottata. Sussiste pertanto il vizio di attivita' per omessa pronuncia denunciato nei cinque motivi del ricorso principale, il quale va accolto. 6. Il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 e dell'articolo 134 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la sentenza impugnata omesso di decidere e di motivare sulla "domanda relativa ai 17 appartamenti, trasferiti dalla (OMISSIS) s.r.l. (di cui effettivo dispositore unico e dominus era il de cuius) alla (OMISSIS) S.r.l. (di cui effettivo dispositore unico e dominus era (OMISSIS))", domanda che "ha avuto ad oggetto la sostanziale donazione del 17 appartamenti, trasferiti in nuda proprieta' attraverso l'interposizione delle due societa' suddette". Si fa rinvio all'atto di citazione per integrazione del contraddittorio del 29 ottobre 1980. Poi si aggiunge: "non si trattava di accertare la natura simulata dell'atto di acquisto di quote societarie, bensi', unicamente, di computare il trasferimento sostanziale del 17 appartamenti, quale liberalita' indirettamente effettuata dal de cuius in favore del figlio (OMISSIS), per il tramite delle suddette societa'". Il secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1418 e 1421 c.c., sostenendo: "(l)a sentenza impugnata e' inficiata dalla inosservanza delle disposizioni ora denunziate, per il mancato rilievo d'ufficio della nullita' dell'apparente trasferimento della piena proprieta' dell'immobile sito in (OMISSIS), privo della sottoscrizione di (OMISSIS), asseritamente effettuato nell'apparente data 31.12.1972, ma sconfessato dal trasferimento dell'usufrutto dello stesso bene, con atto regolarmente sottoscritto e trascritto dal de cuius, in favore della madre della sig.ra (OMISSIS), in data del 20.6.1975, e dalla stessa mai sconfessato". Il terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 e dell'articolo 134 c.p.c.,. comma 2, n. 4, e il mancato esame di fatto decisivo: con riferimento al terzo motivo dell'appello incidentale di (OMISSIS), la Corte d'appello, "nel rigettare la domanda di accertamento della titolarita' in capo alla sig.ra (OMISSIS) delle 97 quote della (OMISSIS) S.r.l. e delle 97 quote della (OMISSIS) S.r.l., proprietaria a sua volta del 45% delle quote (OMISSIS) S.a.s., non ha tenuto conto del fatto decisivo, debitamente indicatole, della mancata menzione della (OMISSIS) nel testamento e, dunque, dell'assenza di prove contrarie all'affermato trasferimento delle quote suddette, comprovato dalla ricevuta rilasciata per la cessione alla sig.ra (OMISSIS) delle quote medesime". Ed ancora, "non poteva escludersi il riempimento, per volonta' del preteso fiduciante dell'intestazione alla (OMISSIS) delle quote (OMISSIS) S.r.l. ed (OMISSIS) S.r.l.". Neppure si e' "tenuto conto delle ulteriori deduzioni dell'appello incidentale, relative a tutti gli elementi squalificanti le testimonianze rese sul punto", consistenti in dichiarazioni "da ritenersi inattendibili ovvero inconferenti". Anche il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 e dell'articolo 134 c.p.c., comma 2, n. 4, stavolta "(c)on riferimento alla ritenuta carenza di interesse della sig.ra (OMISSIS) all'impugnazione della pronuncia di primo grado, nella parte in cui accerta l'appartenenza del 50% delle quote (OMISSIS) S.a.s. in capo ad (OMISSIS)". La sentenza violerebbe l'articolo 100 c.p.c., giacche' "l'interesse e' rappresentato dalla rivendicazione della proprieta' del 45% delle quote in capo alla (OMISSIS) S.r.l., attesa la proprieta' i n capo alla sig.ra (OMISSIS) di 97 quote della stessa (OMISSIS) s.r.l.". 6.1. I quattro motivi del ricorso incidentale sono accomunati da identici profili di inammissibilita', agli effetti dell'articolo 366 c.p.c., commi 4 e 6. 6.2. Quanto al primo motivo del ricorso incidentale, la Corte d'appello aveva dichiarato inammissibile il primo motivo dell'appello incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), per non aver criticato specificamente quanto affermato a pagina 38 della sentenza di primo grado, circa la diversita' della domanda di accertamento della natura simulata di un atto di acquisto di quote di partecipazione al capitale di societa' a responsabilita' limitata rispetto alla domanda di accertamento della natura simulata di atti di acquisto di beni da parte della stessa societa' di capitali. E' allora inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che deduca l'omessa pronuncia da parte della sentenza di appello su una "domanda" spiegata in primo grado (nella specie, quella relativa "ai 17 appartamenti", per la quale si fa rinvio all'atto di citazione per integrazione del contraddittorio del 29 ottobre 1980), dovendo censurarsi in sede di legittimita', piuttosto, o l'omessa pronuncia su uno specifico motivo d'appello ritualmente formulato, ovvero su una domanda o eccezione riproposta nei limiti di cui all'articolo 346 c.p.c., o l'error in iudicando, allorche' si censuri che il giudice di appello abbia comunque preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa. Allorche', come nella specie, il giudice d'appello abbia dichiarato inammissibile un motivo di gravame (il primo dell'appello incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS)) per difetto di specificita', la parte rimasta soccombente che ricorra in cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato, ha l'onere di impugnare specificamente la relativa statuizione per violazione dell'articolo 342 c.p.c.. 6.3. E' del pari inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale sul mancato rilievo d'ufficio della nullita' del trasferimento della piena proprieta' dell'immobile sito in (OMISSIS), perche' non viene indicato specificamente, nel rispetto della previsione dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, "come" e "quando" tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti. Il mancato rilievo in appello di una nullita' contrattuale non integra il vizio di omessa pronuncia, ma e' denunciabile in cassazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione delle norme che prevedono la rilevabilita' d'ufficio della questione, restando comunque il ricorrente onerato di indicare con quale atto del giudizio di gravame il giudice fosse stato investito del riconoscimento di una pretesa che supponesse la validita' e l'efficacia del rapporto contrattuale oggetto di apposita allegazione. Non e' altrimenti possibile procedere in sede di legittimita' a nuovi accertamenti in ordine agli elementi di fatto dai quali possa desumersi la nullita' del contratto non rilevata nei pregressi gradi di merito. 6.4. E' inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale (inerente alle quote della (OMISSIS) S.r.l. e della (OMISSIS) S.r.l.) in quanto verte o su fatti presi in considerazione dai giudici di appello (pagine 8 e 9 della sentenza impugnata), auspicandone una piu' favorevole ricostruzione in questa sede, o su fatti dei quali non viene specificato, nel rispetto della previsione dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, "come" e "quando" fossero stati oggetto di discussione processuale tra le parti, o, comunque sull'apprezzamento delle prove, sul controllo di attendibilita' e concludenza delle stesse e sulla scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, attivita' che, a norma dell'articolo 116 c.p.c., spettano al giudice di merito. 6.5. E' infine inammissibile il quarto motivo del ricorso incidentale, perche', a fronte di quanto affermato nelle pagine 12 e 13 della sentenza impugnata (le appellanti incidentali non avevano spiegato quale interesse avessero a non vedere assegnate le quote della (OMISSIS) s.a.s. a (OMISSIS)), la censura, sub specie di omessa pronuncia o di omessa motivazione, si limita a replicare che l'interesse ad agire era "rappresentato dalla rivendicazione della proprieta' del 45% delle quote in capo alla (OMISSIS) S.r.l., attesa la proprieta' in capo alla sig.ra (OMISSIS) di 97 quote della stessa (OMISSIS) s.r.l.", facendo uso di una asserzione priva dei requisiti della specificita', completezza e riferibilita' alla decisione impugnata, che non trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva. 7. Conseguono: l'accoglimento del ricorso principale di (OMISSIS); la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso incidentale di (OMISSIS); la cassazione della sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte, con rinvio dalla causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che pronuncera' sull'appello incidentale di (OMISSIS), provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater - da parte della ricorrente incidentale (OMISSIS), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale di (OMISSIS), dichiara inammissibile il ricorso incidentale di (OMISSIS); cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. GALATI Vincenzo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) avverso la sentenza del 26/04/2022 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO GALATI; sentite le conclusioni del PG Dr. DALL'OLIO MARCO, che conclude chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore avvocato (OMISSIS) che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ricorso presentato il 3 ottobre 2022, (OMISSIS), tramite il proprio difensore e procuratore speciale, avv. (OMISSIS), ha proposto ricorso straordinario per errore di fatto, ai sensi dell'articolo 625-bis c.p.p., chiedendo l'annullamento della sentenza emessa dalla Quinta Sezione di questa Corte n. 1048, del 24/04/2022. Con tale pronuncia e' stato rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza del 19 ottobre 2020 con la quale la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di Como del 22 febbraio 2019 riconoscendo la penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di falso in testamento olografo ex articolo 491 c.p., comma 1, in riferimento alla istituzione di erede, legatario o, comunque, beneficiario di una istitutio ex re certa dello stesso (OMISSIS), al quale era stato attribuito un compendio immobiliare successivamente ceduto, tra gli altri, ad (OMISSIS). 2. Il ricorso si fonda su due motivi con i quali sono stati illustrati due errori di fatto percettivi e determinanti nei quali sarebbe incorsa la Corte di cassazione. 2.1. Il primo sarebbe consistito nella motivazione relativa alla declaratoria di inammissibilita' del primo motivo di ricorso, con il quale era stata eccepita violazione di legge ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) per avere la Corte di appello di Milano rigettato l'escussione ex articolo 507 c.p.p. dei due testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), in ordine alle circostanze, in tesi decisive, relative alla pubblicazione del testamento ed alla consegna delle chiavi dell'immobile al ricorrente. I giudici di legittimita' hanno rilevato come alcun vulnus affliggesse la motivazione della sentenza di merito resa nel pieno rispetto del canone "dell'oltre ogni ragionevole dubbio". La difesa, nel dedurre l'errore di fatto percettivo, ha osservato come, invece, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale fosse necessaria proprio in virtu' di quanto evidenziato in motivazione dai giudici di merito, ritenendo che il notaio (OMISSIS) avrebbe potuto riferire sul perche' della presenza di (OMISSIS) presso lo studio notarile durante la pubblicazione del testamento olografo e sul perche', in quella sede, furono rilasciate le chiavi dell'immobile allo stesso (OMISSIS). Tali considerazioni potrebbero estendersi al teste (OMISSIS). 2.2. Il secondo errore di fatto sarebbe consistito nell'avvenuta declaratoria di inammissibilita' del secondo motivo, con il quale il ricorrente ha denunciato vizio della motivazione in riferimento alla produzione di documenti, di cui la Corte milanese ha ritento la tardivita', trascurandone la decisivita' delle allegazioni, concernenti, inoltre, una consulenza grafologica di parte. La difesa ha ritenuto che, a una consulenza del Pubblico ministero, si sarebbe contrapposta altra consulenza di parte avversa e sarebbero stati acquisiti documenti assolutamente decisivi per dimostrare documentalmente la genuinita' del testamento olografo. Nella prospettiva difensiva, i giudici di legittimita' hanno omesso una verifica critica su quanto dedotto nei motivi. Il ricorrente ha, altresi', rilevato come la Corte di cassazione sia incorsa in un errore di fatto in quanto la stessa, nella sentenza impugnata, non ha compiuto alcun riferimento alla consulenza di parte, limitandosi ad attestare che i documenti non erano tali da giustificare la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante la loro acquisizione. 3. A seguito di istanza del difensore si e' proceduto a trattazione orale del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. In tal senso depongono plurime concorrenti ragioni. In primo luogo si evidenzia come l'atto introduttivo, lungi dal prospettare la configurabilita', in concreto, di un errore percettivo della Corte di cassazione, tenda a illustrare una critica alla decisione impugnata in alcuni degli snodi ritenuti essenziali. Sin dall'esordio, il ricorso, preannuncia la denuncia di errori percettivi "interni al giudizio di legittimita'" derivanti dalla "mancata valutazione della prova decisiva" obliterando la considerazione essenziale per cui a questa Corte non compete alcuna attivita' "valutativa" della prova. L'errore percettivo di cui all'articolo 625-bis c.p.p. non puo' avere riguardo a un'attivita' che e' di esclusiva pertinenza del giudice di merito. In tal senso puo' essere richiamato e ribadito il principio per cui "e' inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando l'errore in cui si assume che la Corte di cassazione sia incorsa abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito" (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, Spadini, Rv. 283667 e altre conformi precedenti). La proposizione del ricorso per errore percettivo tramite l'articolazione di motivi con i quali si evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto nel corso del giudizio concluso con la sentenza definitiva, sarebbe stata necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in quanto la prova non ammessa (nel caso di specie, la deposizione di un notaio e di un altro teste e una consulenza tecnica di parte) avrebbe potuto dimostrare circostanze rilevanti ai fini della decisione, integra una sorta di ulteriore impugnazione ordinaria. Cio' solo integra un motivo di inammissibilita' del ricorso essendo irrilevante l'eventuale proposizione contestuale di motivi astrattamente compatibili con l'impugnazione straordinaria: "e' inammissibile il ricorso straordinario, proposto ai sensi dell'articolo 625-bis c.p.p., che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, non essendo in tal caso la Cassazione tenuta a verificare se siano stati proposti, tra gli altri, anche motivi compatibili con l'impugnazione straordinaria, in quanto l'atto deve ritenersi radicalmente irricevibile" (Sez. 6, n. 36066 del 28/06/2018, Di Giorgio, Rv. 273779). 3. Una ulteriore ragione depone per l'inammissibilita' del ricorso. Nel ricostruire gli errori percettivi nei quali sarebbe incorsa la Corte di cassazione, il ricorrente illustra il primo facendo riferimento a un motivo di ricorso che, in realta', non e' stato proposto nel suo interesse. Nel riportare il primo motivo di ricorso (pag. 2 dell'atto introduttivo) il ricorrente trascrive, nel virgolettato di cui al primo periodo della pagina, il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse del coimputato (OMISSIS) riportato a pag. 3 della sentenza della Quinta Sezione. Nell'illustrare la risposta al predetto motivo, invece, alle pagg. 2 e 3 del ricorso, viene riportata la motivazione resa in risposta al primo motivo proposto da (OMISSIS) (pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata) che, tuttavia, non ha riguardo alla mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ma alla violazione di legge e al vizio di motivazione in ordine ai criteri di valutazione della prova e l'affermazione della responsabilita' "oltre ogni ragionevole dubbio". Analogamente, nell'illustrare il secondo motivo (pagg. 3 e 4 del ricorso) viene trascritto il secondo motivo di ricorso per cassazione proposto nell'interesse del suddetto coimputato (riportato a pag. 3 della sentenza impugnata). In questo caso, e' censurata la parte di motivazione della Corte riferita a (OMISSIS) per come si desume dal confronto tra le pagg. 4 e 5 del ricorso e pag. 6 della sentenza. A fronte di tali eccentricita' avrebbero dovuto essere puntualmente indicate le ragioni dell'interesse di (OMISSIS) alla proposizione del ricorso in tal modo redatto e della decisivita' dei vizi percettivi prospettati in relazione alla specifica posizione del ricorrente. 4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'" al versamento della somma, equitativamente fissata in Euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 27057/2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del Dottor (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso; - ricorrenti incidentali - avverso la sentenza n. 382/2017 della CORTE D'APPELLO di BARI depositata l'11/04/2017; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. CENICCOLA Aldo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso principale, con l'inefficacia di quelli incidentale tardivo, ovvero in subordine rigettarsi entrambi i ricorsi; Lette le memorie delle parti; Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. CENICCOLA Aldo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso principale, con il rigetto del ricorso incidentale; uditi l'avvocato (OMISSIS) per la ricorrenti e l'avvocato (OMISSIS) per le ricorrenti incidentali. RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE (OMISSIS), anche quale esercente la potesta' sui figli minori (OMISSIS) ed (OMISSIS), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani (OMISSIS), (OMISSIS), la (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS). Deduceva che in data (OMISSIS) era deceduto in (OMISSIS) (OMISSIS), al quale erano succeduti la moglie, (OMISSIS), la figlia (OMISSIS) e gli attori, quali eredi del figlio premorto, (OMISSIS). La (OMISSIS), a distanza di qualche giorno dal decesso, aveva fatto pubblicare un testamento olografo del de cuius recante la data del (OMISSIS), con il quale la quota disponibile era lasciata unicamente alla figlia (OMISSIS), testamento che doveva reputarsi apocrifo, di tal che la successione doveva reputarsi regolata da un precedente testamento del (OMISSIS), invece favorevole al figlio premorto. Chiedeva, pertanto, previo disconoscimento dell'autografia della scheda piu' recente di dichiararne l'invalidita' e di accertare altresi' l'indegnita' a succedere dei convenuti. Ancora evidenziava che a seguito di un incidente del (OMISSIS), il de cuius era divenuto incapace di attendere ai propri affari e che ancor prima una cessione di quote della (OMISSIS) S.r.l. effettuata dal figlio (OMISSIS) al padre (OMISSIS) nel (OMISSIS) era da ritenersi affetta da simulazione assoluta, dovendo quindi le quote rientrare nel patrimonio del figlio. Aggiungeva che erano anche simulate le cessioni delle quote della medesima societa' effettuate dal de cuius in favore della (OMISSIS) e della figlia, essendo stato poi deliberato lo scioglimento anticipato dalla societa' con una Delib. alla cui formazione aveva preso parte il de cuius allorche' era affetto da incapacita' di intendere e di volere, essendo la medesima Delib. annullabile. Aggiungeva che le convenute nel corso degli anni avevano disposto delle liquidita' del de cuius, senza che la disponibilita' delle rilevanti somme potesse essere qualificata come una donazione di modico valore. Ancora nel (OMISSIS), il de cuius aveva simulato una vendita di un immobile in (OMISSIS) in favore della figlia (OMISSIS), che nascondeva una donazione la quale doveva essere considerata ai fini della collazione e che lo stesso (OMISSIS), dante causa degli attori, alcuni mesi prima di morire, unitamente alla sorella aveva ricevuto la donazione di due immobili in (OMISSIS), pur essendo quello donato alla figlia di valore notevolmente superiore all'altra donazione. Inoltre, le donazioni prevedevano la riserva di usufrutto anche in favore della moglie, la quale in tal modo aveva beneficiato di una donazione, da prendere in considerazione ai fini successori, come del pari doveva tenersi conto del fatto che tutti i frutti prodotti dalla locazione dei beni donati erano stati percepiti dalla (OMISSIS). Si osservava altresi' che nel (OMISSIS) il de cuius aveva alienato in vita alcuni suoi beni immobili, il cui corrispettivo non era stato poi rinvenuto alla data del decesso, dovendo reputarsi che fosse stato donato alle convenute. Inoltre, nel (OMISSIS) la (OMISSIS) aveva venduto ad un terzo un suolo edificatorio solo simulatamente a lei intestato, dovendo quindi ritenersi che il prezzo fosse di pertinenza del de cuius. Concludeva, quindi, affinche' fosse dichiarata l'invalidita' della scheda testamentaria del (OMISSIS), e, previa dichiarazione di indegnita' a succedere delle convenute, la successione fosse devoluta alle attrici, in ogni caso in base alle previsioni del testamento del (OMISSIS). Chiedeva altresi' di accertare la simulazione delle cessioni delle quote, e che nella formazione dell'asse si tenesse conto di tutti gli atti simulati posti in essere in vita dal de cuius, disponendo la consequenziale divisione. Si costituivano in giudizio i convenuti che eccepivano il difetto di legittimazione attiva della (OMISSIS) in proprio, in quanto non beneficiaria della rappresentazione; nel merito contestavano la fondatezza delle domande attoree, eccependo in via subordinata, ove fosse stata accertata la simulazione degli atti indicati in citazione, l'intervenuta usucapione in loro favore della proprieta' dei beni interessati. Nelle more del giudizio decedeva ab intestato anche (OMISSIS) junior, e si costituivano in giudizio (OMISSIS), quale erede del figlio, e (OMISSIS), in proprio e quale erede del fratello, facendo proprie le domande originariamente avanzate. Al giudizio pendente veniva poi riunito altro procedimento avente ad oggetto l'opposizione proposta dalla (OMISSIS) e da (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Trani, con il quale era stato loro intimato, su richiesta di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il pagamento pro quota delle somme impiegate per far fronte ai debiti ereditari. Quindi, disposto il sequestro giudiziario dei beni caduti in successione, quali risultanti dalla denuncia di successione, all'esito dell'istruttoria, il Tribunale di Trani, con sentenza non definitiva del 29 maggio 2012, dichiarava il difetto di legittimazione ad agire in proprio della (OMISSIS), dichiarava nullo il testamento olografo recante la data del (OMISSIS); rigettava la domanda di indegnita' a succedere e quella volta a far regolare la successione dal testamento olografo del (OMISSIS); rigettava tutte le domande di simulazione e di usucapione come reciprocamente avanzate, dichiarando la cessazione della materia del contendere quanto alla richiesta di annullamento della Delib. della societa' (OMISSIS) con la quale ne era stato deliberato lo scioglimento anticipato. Quindi disponeva la rimessione in istruttoria per la prosecuzione della divisione, secondo le quote ab intestato. Avverso tale sentenza proponevano appello principale (OMISSIS) e (OMISSIS), cui resisteva (OMISSIS), anche quale erede universale della defunta madre (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.r.l., che a loro volta proponevano appello incidentale. La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza n. 382 dell'11 aprile 2017, in parziale riforma della sentenza impugnata, ed in parziale accoglimento dell'appello principale disponeva che la divisione dovesse avvenire in base alle disposizioni del testamento olografo del (OMISSIS), rigettando per il resto tutti gli altri motivo di impugnazione. Nell'esaminare in via prioritaria il motivo di appello incidentale con il quale si contestava l'invalidita' della scheda testamentaria del (OMISSIS), la Corte d'Appello, dopo aver confermato l'interesse delle attrici a farne accertare la nullita', quanto meno per la (OMISSIS), anche quale erede del figlio premorto (non potendo fruire della rappresentazione in relazione alla posizione del marito premorto), riteneva del tutto condivisibile la conclusione cui era pervenuto il CTU, che aveva evidenziato come la scheda fosse frutto di una imitazione della grafia del de cuius, e senza che potesse incidere sul tale esito la prova testimoniale, in quanto l'avv. (OMISSIS), sebbene avesse riferito che il de cuius avesse ricopiato una bozza di testamento di contenuto identico a quella impugnata, non aveva pero' saputo riferire se quella oggetto di causa fosse la medesima ricopiata alla sua presenza. Doveva quindi anche essere disattesa la richiesta di riaudizione del teste. Ritenute quindi condivisibili e corrette le conclusioni del CTU doveva disattendersi la censura mossa dagli appellanti incidentali, essendo prive di fondamento le varie contestazioni mosse all'operato del perito d'ufficio. Una volta ribadita la natura apocrifa del testamento del (OMISSIS), non poteva pero' trovare accoglimento la richiesta di indegnita' a succedere delle convenute, in quanto mancava la prova che la falsita' della scheda fosse materialmente ascrivibile alle stesse e soprattutto che ne avessero fatto uso con la piena consapevolezza della falsita', condizioni queste necessarie per accedere alla pronuncia di indegnita' a succedere. Era poi esaminato il motivo di appello principale con il quale le attrici chiedevano di regolare la successione in base al precedente testamento del (OMISSIS). Il Tribunale aveva disatteso la richiesta ritenendo che, a fronte del disconoscimento della scheda operato dai convenuti, le attrici non ne avessero richiesto la verificazione, ma tale conclusione si poneva in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 12307/2015, dovendo essere gli eredi legittimi a dover fornire la prova dell'invalidita' della scheda, prova che pero' non era stata fornita, e senza che nemmeno le convenute avessero inteso proporre un autonomo giudizio di invalidita' successivamente all'intervento della Suprema Corte. Per l'effetto andava dichiarata l'apertura della successione testamentaria sulla scorta della scheda del (OMISSIS), dovendosi in sede di divisione regolare le quote in conformita' delle volonta' testamentarie ivi contenute. Quanto alle varie domande di simulazione avanzate dalle attrici, la sentenza osservava che le medesime avevano agito nella qualita' di eredi del loro dante causa, ma senza spendere anche la qualita' di legittimarie del medesimo, con la conseguenza che la prova della simulazione non poteva avvenire in deroga alle limitazioni poste dall'articolo 1417 c.c.. In tal senso il contenuto dell'atto di citazione deponeva per la proposizione della sola domanda di divisione e per la pretesa di portare in collazione le donazioni asseritamente poste in essere dal de cuius, il che impediva di poter fruire delle agevolazioni probatorie concesse al legittimario in quanto terzo. Quanto poi all'asserita simulazione dell'atto di acquisto di alcuni immobili effettuato da (OMISSIS) nei confronti del padre (OMISSIS) nel (OMISSIS), la Corte d'Appello oltre a sottolineare la prescrizione della relativa azione, ribadiva come la prova non era stata fornita in maniera adeguata, sempre in ragione della mancata formulazione della domanda di riduzione. Ne' poteva dedursi che la prescrizione non poteva essere opposta a (OMISSIS) junior, per il periodo anteriore al raggiungimento della sua maggiore eta', posto che il medesimo, sebbene ancora minorenne alla data di apertura della successione del nonno, ben avrebbe potuto accettare l'eredita' tramite il rappresentante legale, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di sospensione del termine di prescrizione. Infine, in relazione alla prosecuzione del giudizio di divisione, i giudici di appello rilevavano la necessita' di dover adeguare le relative operazioni a quanto statuito in ordine all'operativita' del testamento del (OMISSIS). Il rigetto dei motivi che investivano le domande di simulazione implicava poi l'assorbimento dei motivi di appello incidentale con i quali, subordinatamente all'accoglimento delle richieste delle atrici, si insisteva per l'accoglimento della domanda di usucapione dei beni asseritamente oggetto di donazioni dissimulate. Infine, in assenza di un integrale rigetto delle domande attoree, doveva essere disatteso il motivo di appello incidentale con il quale si sollecitava la condanna delle attrici ex articolo 96 c.p.c.. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso e propongono a loro volta ricorso incidentale affidato a sette motivi. La ricorrente principale ha resistito con autonomo controricorso al ricorso incidentale. Entrambe la parti hanno depositato memorie in prossimita' dell'udienza. RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di improcedibilita' del ricorso per la mancata notificazione anche agli altri convenuti, (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS), rilevando a tal fine la circostanza che, in relazione al contenuto dei motivi di ricorso, e stante l'esito del giudizio nelle precedenti fasi di merito, i detti convenuti sono ormai estranei alla materia ancora in questa sede dibattuta, e cio' in quanto, sulla domanda volta a far dichiarare l'invalidita' della Delib. societaria di scioglimento della societa', risulta essere intervenuta declaratoria da parte del Tribunale di cessazione della materia del contendere, non piu' posta in discussione, mentre quanto alla domanda di simulazione delle cessioni di quote effettuate dal de cuius in favore dei convenuti, sempre il Tribunale, senza che sul punto sia intervenuta censura in appello, ha dichiarato l'estraneita' alla vicenda del (OMISSIS), in quanto non coinvolto nella detta cessione. 2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia l'omesso esame circa un fatto deciso della controversia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con violazione degli articoli 195 e 217 c.p.c.. Deduce la ricorrente che la Corte d'Appello si sarebbe uniformata alla decisione del Tribunale recependo acriticamente le conclusioni del CTU, senza esaminare gli altri fatti emersi nel corso del giudizio. La motivazione del giudice di appello sarebbe perplessa ed avrebbe omesso di rispondere alle critiche alla consulenza d'ufficio, trascurando altresi' di dare risposta alla richiesta di rinnovazione della CTU. In particolare, nessuna disamina e' avvenuta della consulenza tecnica di parte, in tal modo perpetrandosi una violazione del principio del contraddittorio, con la nullita' della CTU. Inoltre, non si sarebbe tenuto conto della richiesta di espungere la relazione del tecnico di parte avversa in quanto conteneva al suo interno la copia del testamento del (OMISSIS), che era stato disconosciuto dalla ricorrente, e che quindi non poteva esser preso in esame. Il motivo e' manifestamente infondato. In primo luogo, si palesa inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di cui dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la sentenza di appello, in parte qua, ha pienamente confermato quella del Tribunale sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto, con la conseguenza che risulta applicabile il disposto di cui all'articolo 348 ter c.p.c., u.c., oggi articolo 360 c.p.c., comma 4, che preclude la deducibilita' del vizio de quo in caso di cd. doppia conforme. Peraltro, e' stato precisato che l'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv. con mod. dalla L. n. 134 del 2012, consente di censurare l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non e' inquadrabile la consulenza tecnica d'ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica che ad essa nell'esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio (Cass. n. 8584 del 16/03/2022; Cass. n. 12387/2020 del 24/06/2020), dovendosi escludere che la contestazione circa la mancata disamina delle osservazioni del consulente di parte si configuri di per se' come idonea a denunciare l'omesso esame di fatto decisivo, essendo invece necessario che sia sempre specificamente individuato il fatto storico, avente carattere decisivo, che la mancata risposta alle critiche avrebbe impedito di valutare. E' stato anche di recente riaffermato che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perche' incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio gia' valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (cosi' da ultimo Cass. n. 33742 del 16/11/2022). Nella fattispecie, la sentenza gravata, in relazione alle contestazioni mosse nella perizia di parte all'operato del CTU ha ritenuto che in realta' le stesse avessero gia' ricevuto adeguata contestazione nella sentenza di primo grado, che aveva reputato che le stesse si risolvessero in un'apodittica contestazione degli esiti della CTU, ma senza offrire validi argomenti di carattere scientifico per contrastare le puntuali deduzioni dell'ausiliario di ufficio. Anche il motivo di ricorso si presenta come finalizzato a reiterare le critiche alla CTU, ma con osservazioni che denotano con evidenza come le stesse mirino ad una rivalutazione degli apprezzamenti di carattere tecnico scientifico come oggetto di valutazione da parte della Corte d'Appello, che e' pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado con motivazione logica e coerente, e come tale immune alle censure mosse. Nella sostanza la ricorrente aspira ad un esito diverso del giudizio circa la validita' della scheda del (OMISSIS) sul presupposto che le deduzioni del proprio consulente siano maggiormente attendibili rispetto a quelle fornite dall'ausiliario d'ufficio, che avrebbe colpevolmente concluso in conformita' con il perito di controparte, ma si tratta con evidenza di censura che esula dal novero di quelle suscettibili di esser demandate all'esame del giudice di legittimita'. Ancora, del tutto generica appare la denuncia di violazione del principio del contraddittorio, argomentata sul fatto che il CTU non avrebbe anticipato al perito di parte quelle che sarebbero state le proprie conclusioni nel corso delle operazioni peritali, avendo sul punto dato adeguata risposta la sentenza impugnata che ha ricordato che solo con il deposito della relazione, ovvero della sua bozza, il perito d'ufficio e' tenuto ad illustrare quale sia il proprio convincimento, essendo il contraddittorio procedimentale finalizzato ad assicurare una partecipazione delle parti e dei loro consulenti, alle varie operazioni prodromiche alla formulazione delle conclusioni peritali. Del pari priva di fondamento e' la deduzione secondo cui la consulenza sarebbe affetta da nullita' per essersi avvalsa della perizia di parte, contenente la copia del testamento olografo del (OMISSIS), oggetto di disconoscimento da parte della ricorrente. In disparte il rilievo per cui, come si evince dal tenore della sentenza, ai fini di privare di rilevanza tale documento non sarebbe sufficiente il solo disconoscimento, dovendo essere oggetto di un'autonoma azione di invalidita' (questione che e' poi oggetto del terzo motivo del ricorso principale), va pero' evidenziato che la censura non si confronta con la risposta della Corte distrettuale che ha sottolineato come la denuncia di nullita' della CTU fosse del tutto astratta, posto che la conclusione del Tribunale in merito alla nullita' della scheda testamentaria del (OMISSIS), aveva del tutto prescisso dall'utilizzo della precedente scheda testamentaria, essendosi fondata su autonomi elementi di valutazione in ogni caso conducenti alla soluzione della natura apocrifa del testamento, affermazione questa che rende quindi del tutto irrilevante il fatto che nella perizia di parte attorea fosse inserito anche il detto documento. Del pari inammissibile si palesa la denuncia circa la mancata rinnovazione della consulenza d'ufficio, occorrendo a tal fine fare richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, pur essendo ammissibile nel giudizio d'appello la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, tuttavia il giudice, se non ha l'obbligo di motivare il diniego, che puo' essere anche implicito, e' tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall'appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicche' l'omesso espresso rigetto dell'istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass. n. 26709 del 24/11/2020; Cass. n. 2103/2019, circa la natura discrezionale del potere del giudice di merito di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione gia' depositata ovvero di rinnovare, in parte o "in toto", le indagini, sostituendo l'ausiliare del giudice, il cui esercizio o mancato esercizio non e' sindacabile in sede di legittimita', ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; Cass. n. 22799 del 29/09/2017). Il richiamo alla ampiezza e logicita' della motivazione con cui il giudice di appello ha ritenuto di fare proprie le conclusioni del Tribunale, che a sua volta aveva recepito le indicazioni dell'ausiliario d'ufficio, consente quindi di ritenere che sia insindacabile la decisione di non disporre la rinnovazione della CTU. Quanto infine alle contestazioni che investono la generale attendibilita' della perizia grafologica, non ignora la Corte che in alcuni suoi precedenti sia stata evidenziata la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, ma e' stato altresi' precisato che cio' esige che il giudice fornisca un'adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilita' delle conclusioni raggiunte dal consulente, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame (Cass. n. 2579 del 02/02/2009; Cass. n. 8881 del 28/04/2005), giustificazione che la sentenza gravata offre invero in maniera piu' che adeguata. Il motivo deve quindi essere rigettato. 3. Il secondo motivo del ricorso principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 116 e 257 c.p.c., con omesso esame su un punto controverso del giudizio, con conseguente perplessa motivazione. Si deduce che la Corte d'Appello ha ritenuto che la falsita' del testamento del (OMISSIS) non potesse essere contraddetta dalle risultanze delle prova testimoniale ed in particolare dalla deposizione dell'avv. (OMISSIS). La Corte d'Appello avrebbe assegnato a tale deposizione un significato in contrasto con il suo intrinseco contenuto, ed e' stata del tutto trascurata una successiva dichiarazione scritta del teste che intendeva chiarire il reale senso della sua deposizione. La sentenza si palesa poi erronea nella parte in cui ha negato la possibilita' di disporre la rinnovazione della prova, onde consentire al teste di meglio chiarire il senso della sua prima deposizione. In dettaglio, la sentenza gravata nel valutare la deposizione del teste, resa all'udienza del 1/7/1999, ha evidenziato come questi avesse certamente riferito della predisposizione di una bozza di testamento dal contenuto identico a quello del testamento impugnato, aggiungendo che il de cuius, recatosi nel suo studio, l'aveva ricopiata, datandola e sottoscrivendola alla sua presenza, per poi portarla via con se', ma aveva altresi' precisato che, pur presentando il testamento impugnato il medesimo contenuto, non era in grado di affermare se si trattava del medesimo documento redatto alla sua presenza. Da tale affermazione, il giudice di appello, conformemente a quanto ritenuto dal Tribunale, ha tratto il convincimento che non vi fosse la dimostrazione che il testamento di cui aveva riferito il teste fosse lo stesso oggetto di causa, e che quindi se ne potesse escludere la falsita'. In aggiunta, ha poi confermato il rigetto della richiesta dei convenuti di riascoltare il teste, non potendosi a tal fine dare rilievo al fatto che questi avesse poi inviato una missiva, nella quale avrebbe meglio dettagliato il contenuto della sua deposizione, aggiungendo in motivazione che la rinnovazione dell'escussione non mirava semplicemente a chiarire e precisare punti non chiariti, ma a sollecitare al teste una risposta circa il fatto che sapesse, a distanza di molti anni, cio' che in maniera univoca aveva in sede di escussione escluso di conoscere (e cioe' la corrispondenza tra la scheda formata nel suo studio e quella oggetto di causa). Il motivo e' inammissibile. Costituisce principio radicato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui il giudice d'appello puo' disporre la rinnovazione dell'esame dei testimoni anche senza necessita' d'istanza di parte poiche' il potere di rinnovazione, proprio anche del giudizio di appello per il combinato disposto degli articoli 257 e 359 c.p.c., e' discrezionale ed esercitabile anche d'ufficio dal giudice, cui spetta il completo riesame delle risultanze processuali, compresa l'attivita' necessaria per il chiarimento delle stesse, nei limiti del "devolutum" e dell'"appellatum" (Cass. n. 27286 del 16/09/2022; Cass. n. 18468 del 21/09/2015). Tuttavia, proprio la discrezionalita' che connota tale potere involge un giudizio di mera opportunita' che non puo' formare oggetto di censura in sede di legittimita', neppure sotto il profilo del difetto di motivazione. (Sez. 3, Sentenza n. 9322 del 20/04/2010; Cass. n. 11436 del 01/08/2002). Poste tali premesse, si rileva che e' incensurabile l'apprezzamento del tenore della originaria deposizione testimoniale come compiuto in maniera conforme dai giudici di entrambi i gradi, il che rende immune la sentenza anche dalla denuncia del vizio di cui dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, trattandosi appunto di una doppia conforme. Peraltro, che la deposizione si prestasse alla valutazione sostenuta dal giudice di merito, in maniera non suscettibile di essere reputata del tutto implausibile, trova conferma nella stessa sollecitazione della ricorrente ad ammettere la rinnovazione delle deposizione stessa, onde fornire argomenti per dare una diversa lettura dei fatti di causa, e per poter affermare la perfetta identita' tra i due documenti, che invece lo stesso teste nella sua deposizione non era stato in grado di affermare. L'insindacabilita' del diniego di rinnovazione dell'istruttoria appare poi ampiamente motivato dal giudice di appello, il che conforta l'inammissibilita' del motivo, trovando tale ragionamento anche il conforto del principio secondo cui e' inammissibile in appello (salvo il ricorso al rimedio della rimessione in termini, previsto dall'articolo 184-bis c.p.c., qualora ne sussistano le condizioni), per il principio dell'infrazionabilita' e della contestualita' che la caratterizzano, la prova testimoniale che, anche in modo indiretto, si appalesi preordinata a contrastare, completare o confortare le risultanze di quella gia' dedotta ed assunta in primo grado, e cioe' a determinare, attraverso nuove modalita' e circostanze, ovvero per la connessione delle circostanze gia' provate con quelle da provare, una diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo istruttorio nelle precedenti fasi del processo (Cass. n. 10502 del 07/05/2009; Cass. n. 20327 del 20/09/2006; Cass. n. 17567/2003; Cass. n. 8526/2003), atteso che nella fattispecie al teste sarebbe chiesto non gia' di chiarire il senso della prioria prima deposizione, ma piuttosto di affermare circostanze volte a sovvertire il senso stesso, ed alla luce della valutazione della prova resa in senso sfavorevole dal giudice di prime cure. 4. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con la violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 111 Cost.. Deduce la ricorrente principale che la sentenza gravata, nel risolvere la questione relativa alla utilizzabilita' del testamento del (OMISSIS), ha fatto immediata applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite n. 12307/2005, a mente del quale non e' sufficiente il disconoscimento della scheda olografa da parte dell'erede legittimo per privarla di efficacia, ma si impone che lo stesso erede legittimo ne provi la falsita' ovvero la nullita'. Trattasi pero' di principio di carattere innovativo che le Sezioni Unite hanno affermato innovando rispetto al precedente quadro giurisprudenziale, e che ha determinato un esito del giudizio del tutto inatteso per la ricorrente che invece aveva fatto affidamento sulla preesistente giurisprudenza. Si e' trascurato altresi' che la sentenza delle Sezioni Unite ha implicato un vero e proprio overruling, e che quindi si sarebbe imposta una decisione della controversia che non tenesse conto del mutato orientamento del giudice di legittimita'. Anche tale motivo deve essere disatteso. Questa Corte ha anche di recente affermato che l'intervento regolatore delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimita' in ordine alle norme regolatrici del processo, induce ad escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell'esercizio del diritto alla rimessione in termini, ai sensi dell'articolo 153 c.p.c., o dell'abrogato articolo 184-bis c.p.c., in capo alla parte che abbia confidato sull'orientamento che non sia poi prevalso, atteso che il detto intervento, non essendo preceduto da un orientamento univoco, non da' luogo ad una fattispecie di "overruling", postulando essa un rivolgimento ermeneutico avente carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso. Pertanto, e' stata ritenuta non spettante la rimessione in termini alla parte che, confidando in uno dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di legittimita', in ordine allo strumento processuale utilizzabile per contrastare l'autenticita' di un testamento olografo - poi superato da Cass., S.U., n. 12307 del 2015 -, si era limitata a disconoscere la conformita' della copia prodotta all'originale, anziche' proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura (Cass. n. 32827 del 09/11/2021). In disparte il rilievo per il quale in realta' la ricorrente non sollecita con il motivo nemmeno una rimessione in termini, ma pretenderebbe che la decisione della causa dovrebbe avvenire sulla base dei principi in passato seguito, peraltro solo da parte della giurisprudenza di legittimita', ignorando l'approdo delle Sezioni Unite, occorre ricordare che questa Corte ha gia' avuto modo di affrontare la questione dell'incidenza sui giudizi pendenti degli effetti delle conclusioni espresse dalle Sezioni Unite quanto all'individuazione del corretto regime di impugnativa del testamento olografo, ritenendo che l'affermazione circa la necessita' di un'azione di accertamento negativo si imponga anche laddove le parti avessero nel merito dibattuto circa la necessita' di dover ricorrere alla querela di falso o in alternativa alla verificazione, previo disconoscimento dell'atto mortis causa (cfr. in tal senso Cass. n. 4847/2017; Cass. n. 24336/2017; Cass. n. 2127/2018; Cass. n. 18363/2018). Occorre altresi' considerare che il contrasto giurisprudenziale, cui la stessa ricorrente fa cenno, e' stato risolto appunto da Cass. Sez. U., 15/06/2015, n. 12307, affermandosi che la parte che contesti l'autenticita' di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. Le Sezioni Unite di questa Corte, in particolare, hanno ritenuto inadeguato, al fine di superare l'efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso, prescegliendo, all'uopo, la terza via predicativa della necessita' di proporre, appunto, un'azione di accertamento negativo della falsita' della scheda testamentaria. Come si legge nella motivazione della richiamata sentenza delle Sezioni Unite, la necessita' di una siffatta azione per quaestio nullitatis consente di rispondere: "- da un canto, all'esigenza di mantener il testamento olografo definitiva mente circoscritto nell'orbita delle scritture private; - dall'altro, di evitare la necessita' di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe "di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso", non potendosi esse "relegare nel novero delle prove atipiche" (...), - dall'altro, di non equiparare l'olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa; - dall'altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarita' ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell'attore che si professa erede, riversando su di lui l'intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, e' innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa; - infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all'oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita "risorsa non illimitata"" (conformi, di seguito, Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1995; Cass. Sez. 2, 04/01/2017, n. 109; Cass. Sez. 6-2, 12/07/2018, n. 18363). E' esplicito il richiamo da parte delle Sezioni Unite al remoto precedente di questa Corte costituito da Cass. 15 novembre 1951, n. 1545 che individua una sorta di impugnazione di autenticita' del testamento, legittimato a sperimentare la quale e' l'erede legittimo. Appare pero' evidente come, nell'assetto derivante da Cass. Sez. U., 15/06/2015, n. 12307, "questione" della non provenienza del testamento olografo dal de cuius rimanga affidata all'onere probatorio dell'erede ab intestato, non spettando, viceversa, all'asserito erede testamentario di dar prova dell'esistenza di una valida vocazione testamentaria, e cio' analogamente, quanto meno sul piano del riparto dell'onere probatorio alla soluzione che sarebbe scaturita ove fosse stata reputata preferibile la tesi della necessita' della querela di falso, che del pari faceva ricadere sull'erede legittimo l'onere di proporre detta querela, assoggettandosi al maggior rigore imposto da tale strumento processuale. Tale considerazione appare al Collegio anche utile al fine di evidenziare le ragioni per le quali non possa addivenirsi alla soluzione che ammetta una rimessione in termini in favore della ricorrente. Ad escludere la configurabilita', ai fini dell'invocata rimessione in termini, di un affidamento incolpevole degli originari convenuti stanno, pero', i principi dettati dal precedente costituito da Cass. Sez. U., 11/07/2011, n. 15144. Questa pronuncia ha effettivamente chiarito come debba escludersi l'operativita' della preclusione o della decadenza derivante da un mutamento della propria precedente interpretazione di una norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (cosiddetto overruling), nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioe' non oltre il momento di oggettiva conoscibilita' della decisione che abbia invertito la precedente ricostruzione) in una consolidata precedente interpretazione della regola di rito, di tal che l'overruling si connoti del fisionomico carattere dell'imprevedibilita', per aver agito in modo inopinato e repentino su di un pacifico orientamento pregresso. Di seguito, peraltro, Cass. Sez. U., 12/10/2012, n. 17402, ha ulteriormente spiegato come il mutamento di una precedente interpretazione giurisprudenziale, non preceduto da un orientamento univoco, non da' luogo ad una fattispecie di overruling, postulando essa un rivolgimento ermeneutico avente carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso, o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, quali possono essere quelli di un, sia pur larvato, dibattito dottrinale o di un qualche significativo intervento della giurisprudenza sul tema (si veda ancora Cass. Sez. U., 10/02/2014, n. 2907). Cass. Sez. U., 15/06/2015, n. 12307, e la stessa ordinanza di rimessione n. 28696 del 20 dicembre 2013, davano, invece, espressamente atto di come esistesse un evidente contrasto di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di cassazione sulla questione dello strumento processuale utilizzabile per contestare l'autenticita' di un testamento olografo, e proprio la rilevata difformita' di decisioni aveva giustificato la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, a norma dell'articolo 374 c.p.c., comma 2. Tale contrasto fu poi composto dalle Sezioni Unite adottando la "terza via, gia' indicata dalla giurisprudenza di questa Corte con la risalente sentenza del 1951 (Cass. 15.6.1951 n. 1545, Pres. Mandrioli, est. Torrente), e cioe' quella predicativa della necessita' di proporre un'azione di accertamento negativo della falsita'". Pertanto, a rendere ingiustificata la richiesta formulata in ricorso e' sufficiente qui ribadire l'orientamento di questa Corte, secondo il quale la stessa sussistenza di un intervento regolatore delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimita' in ordine alle norme regolatrici del processo, induce ad escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell'esercizio del diritto alla rimessione in termini, ai sensi dell'articolo 153 c.p.c., o dell'abrogato articolo 184-bis c.p.c., in capo alla parte che abbia confidato sull'orientamento che non sia poi prevalso (Cass. Sez. L, 05/06/2013, n. 14214; Cass. Sez. 1, 15/12/2011, n. 27086). D'altronde, ove anche la Corte avesse optato per la soluzione della querela di falso, che era appunto una delle opzioni maggioritarie che allora si contendevano il campo, la scelta fatta dalla ricorrente di incanalare le contestazioni dell'olografo nel binario del giudizio di verificazione (senza quindi mai intendere avvalersi del diverso istituto della querela di falso), non avrebbe legittimato di certo il ricorso alla rimessione in termini, e cio' proprio alla luce di quanto appena evidenziato in tema di riconoscibilita' del cd. overruling, dovendosi altresi' rilevare che la soluzione delle Sezioni Unite, se da un lato svincola l'impugnativa testamentaria dal rigore della querela di falso, ha pur sempre accollato all'erede legittimo l'onere di provare la falsita' del testamento, analogamente a quanto sarebbe accaduto ove il dilemma fosse stato risolto a favore della soluzione della querela di falso, il che conforta il convincimento che non ricorrono gli estremi per favorire la richiesta rimessione in termini (richiesta peraltro mai rivolta alla Corte d'Appello, sebbene l'arresto delle Sezioni Unite fosse gia' intervenuto in pendenza del giudizio di merito). Va pertanto confermato il principio gia' espresso da questa Corte, secondo cui (Cass. n. 6918/2019) l'intervento regolatore Ric. 2018 n. 10179 sez. M2 - ud. 27-05-2021 -12- delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimita' in ordine alle norme regolatrici del processo, induce a escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell'esercizio del diritto alla rimessione in termini in capo alla parte che abbia confidato sull'orientamento che non e' prevalso (nella specie, in una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, la S.C. ha ritenuto non spettante la rimessione in termini alla parte che, confidando in uno dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di legittimita', in ordine allo strumento processuale utilizzabile per contrastare l'autenticita' di un testamento olografo - poi superato da Cass., S.U., n. 12307 del 2015 -, si era limitata a disconoscere la conformita' della copia prodotta all'originale). Il ricorso principale e' quindi rigettato. 5. Il primo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1417, 2722, 2729 c.c., nonche' degli articoli 115 e 116 c.p.c., in riferimento al mancato accoglimento del motivo di appello relativo al rigetto da parte del Tribunale della domanda indicata al n. 5 delle conclusioni della citazione. Era stato, infatti richiesto di accertare la simulazione assoluta della cessione della quota della (OMISSIS) effettuata da (OMISSIS) in favore del padre (OMISSIS) con atto del (OMISSIS), nonostante la presenza di numerosi elementi indiziari e presuntivi che deponevano per la fondatezza della domanda. La Corte d'Appello ha disatteso pero' la domanda sul presupposto che non fosse stata fornita la prova della simulazione mediante la produzione della controdichiarazione, e cio' sul presupposto che, in assenza della proposizione della domanda di riduzione, fosse preclusa alle attrici la possibilita' di fornire aliunde la prova della natura simulata della vendita. Si e' pero' trascurato che non vi palesava la necessita' di proporre la domanda di riduzione per fruire delle agevolazioni probatorie, anche in ragione della pacifica qualita' di erede legittimario in capo al dante causa delle ricorrenti incidentali. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 782, 1325, 1343, 1344, 1417, 1418, e della L. n. 89 del 1913, articolo 48, e, nonche' degli articoli 115 e 116 c.p.c., quanto al mancato accoglimento del motivo di appello circa il rigetto da parte del Tribunale della domanda di cui al n. 9 delle conclusioni dell'atto di citazione. Si riferisce che la Corte d'appello ha escluso che fosse stata fornita la prova della simulazione della cessione delle quote sociali della (OMISSIS) effettuata dal de cuius in favore di (OMISSIS) e di (OMISSIS) in data (OMISSIS), in quanto dissimulante una donazione. Si deduce che vi erano numerosi elementi presuntivi che deponevano per l'accertamento della reale natura liberale dell'atto, che pero' non sono stati reputati suscettibili di utilizzazione, in ragione dell'operare della limitazione probatoria di cui all'articolo 1417 c.c.. Anche sul punto la sentenza gravata fa leva sulla mancata presentazione dell'azione di riduzione, ma trattasi di affermazione che contrasta con la qualita' di legittimario spettante al figlio del de cuius ed al fatto che non appare necessario per avvalersi delle agevolazioni probatorie che sia contestualmente esperita l'azione di riduzione. Andava poi considerato che la finalita' dell'atto di eludere le norme in tema di forma dell'atto di donazione costituisce una evidente manifestazione dell'intento di eludere norme imperative, con la conseguenza che trattandosi di simulazione di atto illecito ne era consentita la prova anche per le parti a mezzo presunzioni. Il terzo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1417, 2722, 2729 c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c., quanto al mancato accoglimento del motivo di appello in riferimento al rigetto della domanda di cui al punto 9 dell'atto di citazione nella parte in cui, ai fini della prova per presunzioni della donazione dissimulata, e' stata negata alle attrici la qualita' di terze, trascurando che la medesima non richiede necessariamente l'esercizio dell'azione di riduzione. Ne deriva che, avvalendosi degli elementi presuntivi, gravi precisi e concordanti offerti dalle ricorrenti incidentali, la sentenza avrebbe dovuto pervenire ad accertare la simulazione. Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 782, 1417, 1418, 1422 e 2935 c.c., nonche' della L. n. 89 del 1913, articolo 48, quanto al mancato accoglimento del motivo di appello relativo alla domanda di cui al n. 10 dell'atto di citazione volta a far accertare la donazione dissimulata dei pianterreni in (OMISSIS) di cui all'atto apparente di vendita del 26/4/1972, donazione effettuata dal de cuius in favore della figlia (OMISSIS). Si evidenzia che la Corte d'Appello ha fondato la sua decisione sul rilievo della prescrizione dell'azione di simulazione, senza pero' tenere conto che si trattava di una donazione dissimulata, ma avvenuta con atto pubblico di vendita privo dell'assistenza di testimoni. La nullita' dell'atto assicurava quindi il recupero del bene senza necessita' dell'azione di riduzione, il che sconfessa l'assunto, anche in punto di prescrizione, della Corte d'Appello circa la necessita' di dover proporre la domanda di simulazione unitamente a quella di riduzione. Il quinto motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 782, 1343, 1344, 1417 c.c. e della L. n. 89 del 1913, articolo 48, nonche' degli articoli 115 e 116 c.p.c., quanto al mancato accoglimento del motivo di appello circa il rigetto della domanda di simulazione degli atti con i quali (OMISSIS) aveva acquistato un terreno in (OMISSIS), successivamente poi rivenduto (punto n. 18 dell'atto di citazione). Anche in tal caso il rigetto del motivo e' ancorato alla mancata proposizione dell'azione di riduzione, trascurandosi gli argomenti esposti in occasione dei precedenti motivi di ricorso, circa la superfluita' dell'esercizio contestuale dell'azione di riduzione. Il sesto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1417, 1418, 2722, 2729 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c., quanto al mancato accoglimento del motivo di appello volto a contestare il rigetto della domanda di cui al n. 18 dell'atto di citazione, in quanto non si e' tenuto conto della possibilita', per le ragioni gia' esposte, di poter avvalersi anche delle presunzioni ai fini della prova della simulazione. Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 458, 536, 1344, 1417 e 1418 c.c., quanto alla manifesta volonta' di eludere norme imperative mediante un disegno unitario di atti simulati. Si assume che le controparti hanno posto in essere una serie di atti volti ad eludere le disposizioni in tema di patti successori, tramite una serie ripetuta di atti simulati, volti a pregiudicare il diritto alla quota di riserva dei discendenti di (OMISSIS) junior. 6. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono privi di fondamento. La sentenza gravata ha accomunato il rigetto della varie domande di simulazione avanzate dalle attrici facendo leva sul fatto che, essendo le stesse subentrate nella qualita' di eredi del de cuius, erano sottoposte alle medesime limitazioni probatorie prescritte per la prova della simulazione ad opera delle parti contraenti, non potendo invece giovarsi del regime agevolato che la legge assicura la legittimario. Alla pag. 52, e' stato evidenziato che il tenore dell'atto di citazione consentiva di affermare che fosse stata avanzata la sola domanda di divisione, ricomprensiva anche dei beni asseritamente oggetto di simulazione, ma senza che fosse stata anche esercitata l'azione di riduzione, conclusione questa che impediva di poter farsi ricorso alle presunzioni per dimostrare la natura liberale degli atti apparentemente onerosi. Inoltre, quanto alla pretesa simulazione dell'atto del 1972 con il quale il de cuius aveva alienato alla figlia (OMISSIS) degli immobili in (OMISSIS), la Corte d'Appello, oltre a confermare la maturata prescrizione dell'azione di simulazione, essendo decorsi oltre dieci anni alla data di introduzione del giudizio rispetto a quella della vendita, ha altresi' ribadito che il mancato esercizio dell'azione di riduzione non permetteva di provare la natura liberale dell'atto a mezzo di presunzioni. Le censure sopra esposte, come detto, appaiono infondate, sebbene si imponga in parte la necessita' di dover correggere la motivazione del giudice di appello. 6.1 In primo luogo quanto alla simulazione dell'atto di cessione di quote intervenuto nel (OMISSIS) tra il dante causa delle ricorrenti incidentali, (OMISSIS) ed il padre, rileva la circostanza che l'accertamento non e' funzionale alla tutela dei diritti successori vantati sulla successione del secondo, quanto piuttosto a far valere l'esclusione da tale ultima successione delle quote, in quanto solo apparentemente trasferite. Ne consegue che effettivamente non risulta pertinente la motivazione del giudice di appello che ha fatto leva sulla necessita' di dover distinguere tra l'azione di simulazione volta solo a far rientrare determinati cespiti nell'asse relitto da quella invece finalizzata a farne accertare la lesivita' della quota di riserva del legittimario, spettando solo in quest'ultimo caso la possibilita' di darne la prova tramite anche presunzioni, atteso che l'azione di simulazione concernete tale atto di cessione mirava piuttosto a ripristinare la consistenza effettiva del patrimonio del dante causa della attrici. Trattasi pero' evidentemente di azione di simulazione che non risulta anche in astratto in alcun modo suscettibile di avvantaggiare (OMISSIS), e per esso le sue aventi causa, in quanto legittimario rispetto alla successione paterna, ma e' invece un'ordinaria azione di simulazione fatta valere dai uno dei contraenti al fine di far risultare, nella specie, l'assenza di una volonta' di trasferire beni che quindi solo in apparenza sono pervenuti al cessionario. Ne consegue che la disciplina della prova della simulazione ricade appieno nella previsione di cui all'articolo 1417 c.c., che pone specifici limiti alla prova per testimoni a carico delle parti contraenti, e cio' anche per l'ipotesi di simulazione assoluta, la quale, oltre che a mezzo di produzione della controdichiarazione, e quindi tramite atto in forma scritta, al piu' potrebbe essere fornita a mezzo interrogatorio formale (cfr. Cass. n. 8804/2018; Cass. n. 3869/2004), ma non anche con il ricorso a presunzioni. Il primo motivo e' quindi infondato. 6.2 Passando invece alla simulazione degli atti che, nella prospettazione delle attrici, costituivano delle liberalita' effettuate dal de cuius in favore delle convenute risulta invece pertinente il richiamo fatto dalla Corte d'Appello alla necessita' che alle attrici possa essere riconosciuta rispetto alla donazione dissimulata la qualita' di terze, e che a tal fine sia necessaria la spendita della qualita' di legittimari, interessati a far valere la lesione della quota di riserva, asseritamente pregiudicata dall'atto di liberalita' non reso evidente come tale all'esterno. La ratio della sentenza impugnata si palesa in maniera evidente dal percorso argomentativo della Corte distrettuale, occorrendo tuttavia, a parziale correzione della stessa motivazione, ribadire che cio' che rileva ai fini della concessione delle agevolazioni probatorie, non e' necessariamente l'esercizio contestuale dell'azione di riduzione, quanto invece l'allegazione a giustificazione della domanda di simulazione della qualita' di legittimario e della necessita' di addivenire all'accertamento della effettiva natura degli atti simulati, onde garantire il rispetto della quota di legittima, la cui tutela e' scuramente offerta dall'azione di riduzione che pero' non costituisce l'unico strumento che il legislatore accorda al legittimario in vista della tutela delle sue aspettative successorie (si pensi alla rideterminazione delle quote ab intestato ex articolo 553 c.c., ovvero alla nullita' dei pesi e delle condizioni apposte alla legittima ex articolo 549 c.c., ovvero alla nullita' della divisione con pretermissione del legittimario, articolo 735 c.c.). Anche di recente la giurisprudenza della Corte ha ribadito che in tema di simulazione relativa, qualora la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, diretta a dimostrare l'esistenza del negozio dissimulato, e' ammessa soltanto nell'ipotesi di cui dell'articolo 2724 c.c., n. 3, ovvero quando s'intenda far valere l'illiceita' del negozio (Cass. n. 18434/2022), cosi' che l'azione di simulazione fatta valere dall'erede, senza allegare la qualita' di legittimario risulta del pari assoggettata alle limitazioni di prova imposte alle parti dell'atto simulato. Affinche' l'erede che sia pero' anche legittimario possa provare la simulazione per testi o per presunzioni, in deroga al limite dell'articolo 1417 c.c. (e cio' anche quando l'esito dell'accertamento della simulazione sia la verifica della nullita' della donazione dissimulata in quanto l'atto simulato non e' stato predisposto con i requisiti formali prescritti per le donazioni), e' necessario che la relativa domanda sia stata proposta sulla premessa dell'avvenuta lesione della propria quota di legittima. Infatti, in tale situazione la lesione assurge a "causa petendi" accanto al fatto della simulazione ed il legittimario, benche' successore del defunto, non puo', pertanto, essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall'articolo 1417 c.c., non rilevando la circostanza che egli, quale erede legittimo, benefici non solo dell'effetto di reintegrazione della summenzionata quota, ma pure del recupero del bene al patrimonio ereditario per intero, poiche' il regime probatorio non puo' subire differenziazioni a seconda del risultato finale cui conduca l'accoglimento della domanda (cosi' Cass. n. 15510/2018; Cass. n. 8215/2013). Se di norma la tutela della quota del legittimario necessita dell'esercizio dell'azione di riduzione, onde recuperare la quota di riserva pregiudicata sulle disposizioni lesive, come potrebbe accadere nel caso in cui solo una volta disvelata la natura liberale dell'atto apparentemente oneroso, il legittimario possa sullo stesso recuperare in tutto o in parte la riserva lesa, l'accertamento della simulazione, in quanto volto ad incrementare il donatum, e di riflesso l'ammontare della legittima, potrebbe assicurare la tutela di quest'ultima senza la necessita' di esercizio dell'azione di riduzione, in quanto i diritti del riservatario potrebbero essere soddisfatti avvalendosi della previsione di cui all'articolo 553 c.c., e con la rideterminazione piu' favorevole delle quote ab intestato spettanti al legittimario, ovvero permettendo l'aggressione delle disposizioni testamentarie, che solo per effetto dell'incremento del donatum si rivelano come pregiudizievoli per la quota di legittima, ma senza che l'azione di riduzione sia formalmente indirizzata verso le disposizioni oggetto dell'atto simulato. Deve quindi ritenersi oggetto di precisazione l'affermazione in passato ricorrente secondo cui le agevolazioni probatorie spettavano al legittimario solo nel caso in cui (cfr. Cass. n. 24134/2009; Cass. n. 8942/1994) fosse stata proposta in concreto una domanda di riduzione, nullita' o inefficacia della donazione dissimulata, dovendo invece darsi continuita' al piu' recente principio secondo cui il legittimario e' ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal "de cuius" per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli articoli 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un'esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia; egli, pertanto, va considerato terzo anche quando l'accertamento della simulazione sia preordinato solamente all'inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima e, cosi', a determinare l'eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione "ab intestato", in conformita' a quanto dispone l'articolo 553 c.c. (Cass. n. 12317/2019). Da tale puntualizzazione non puo' pero' farsi discendere che ogni qual volta l'azione di simulazione della donazione sia esperita dall'erede, a questi sia sempre possibile provare la stessa anche tramite presunzioni, dovendosi invece confermare il principio secondo cui dall'esercizio dell'azione di tale azione non deriva necessariamente che egli sia terzo, al fine dei limiti alla prova testimoniale stabiliti dall'articolo 1417 c.c., perche', se l'erede agisce per lo scioglimento della comunione, previa collazione delle donazioni - anche dissimulate - per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l'uguaglianza tra coeredi, subentra nella posizione del "de cuius", traendo un vantaggio dalla stessa qualita' di coerede rispetto alla quale non puo' avvantaggiarsi delle condizioni previste dall'articolo 1415 c.c., essendo invece terzo, se agisce in riduzione, per pretesa lesione di legittima, perche' la riserva e' un suo diritto personale, riconosciutogli dalla legge, e percio' puo' provare la simulazione con ogni mezzo (cfr. da ultimo Cass. n. 41132 del 21/12/2021; Cass. n. 536/2018, ed in precedenza Cass. n. 7134/2001; Cass. n. 4024/1998). La deroga alla restrizione alla prova posta dall'articolo 1417 c.c., se quindi non e' piu' necessariamente correlata al fatto che sia stata anche proposta l'azione di riduzione della donazione dissimulata, resta pero' ancorata al fatto che l'azione di simulazione sia strumentale e finalizzata alla tutela della quota di riserva, poiche' solo in questa ipotesi l'erede, che attraverso l'azione ex articolo 1414 c.c., miri a reintegrare la quota spettantegli quale legittimario si pone come "terzo" rispetto all'atto impugnato, e difende un diritto proprio che gli spetta per legge, in una posizione antagonista rispetto al "de cuius" (cfr. Cass. n. 6315/2003). In tale direzione si pone quindi anche il precedente richiamato nel ricorso incidentale (Cass. n. 2836/2017), che lungi dall'affermare la spettanza in ogni caso all'erede delle agevolazioni probatorie ve agisca in simulazione, ribadisce la necessita', pur in assenza della formale proposizione dell'azione di riduzione, che l'azione sia volta alla tutela della quota di riserva (sempre in tale ottica si veda Cass. n. 16535/2020, a mente della quale, quando la successione legittima si apre su un "relictum" insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo il "de cuius" fatto in vita donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario stesso e' gia' investito "ex lege", determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, la circostanza che il legittimario, nel chiedere l'accertamento della simulazione di atti compiuti dal "de cuius", abbia fatto riferimento alla quota di successione "ab intestato" non implica che egli abbia inteso far valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall'esame complessivo della domanda risulti che l'accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa). 6.3 La sentenza impugnata, con accertamento che si palesa incensurabile, in quanto operato con una lettura logica e coerente degli atti di causa, non adeguatamente contrastato dalle censure delle ricorrenti incidentali, ha riscontrato che in citazione le attrici avevano chiesto disporsi la divisione dei beni caduti in successione, sia pure specificando la necessita' di includere nell'asse anche le somme distratte dal patrimonio del de cuius ovvero oggetto di vendite simulate o di intestazioni a nome altrui, nonche' di tutte le donazioni dirette o indirette, ma sempre ai fini della semplice divisione, secondo le quote legittime o testamentarie, ma senza che a tale richiesta fosse in alcun modo accompagnata la deduzione di una lesione della quota di riserva, il che consente di affermare che l'esercizio delle domande di simulazione sia avvenuto spendendo la qualita' di eredi (potendo l'accertamento della simulazione essere funzionale anche alla sola collazione delle donazioni dissimulate) e non anche quella di aventi causa da un legittimario, in assenza di conclusioni che potessero richiamare l'esigenza di tutela della quota di riserva. Risulta formalmente richiesta la sola divisione dei beni relitti, sicche' appare pertinente il richiamo al principio secondo cui l'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perche' la prima presuppone la qualita' di erede e l'esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere, mentre la seconda implica la qualita' di legittimario leso nella quota di riserva ed e' diretta alla reintegra in essa, indipendentemente dalla divisione, con la conseguenza che la domanda di divisione e collazione non puo' ritenersi implicitamente inclusa in quella di riduzione (Cass. n. 18468/2020; Cass. n. 19284/2019) o che viceversa in quella di divisione sia implicitamente inclusa quella di riduzione (Cass. n. 22885/2010). Ne' su tale esito puo' influire la circostanza che, stante l'operativita' del testamento del (OMISSIS), al figlio (OMISSIS) fosse stata attribuita dal de cuius oltre che la legittima anche la disponibile. Non ignora la Corte che di recente sia stato affermato che la riunione fittizia, prevista dall'articolo 556 c.c., non e' legata solo all'esperimento dell'azione di riduzione, ma e' operazione necessaria, nel concorso di eredi legittimari, ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia il valore della disponibile lasciata genericamente dal testatore ad uno di essi (Cass. n. 14193/2022), ma trattasi di affermazione che non tocca il diverso problema qui in esame della deroga alla limitazione probatoria posta dall'articolo 1417 c.c.. In particolare. ove anche necessaria la riunione fittizia, essendo l'individuazione della quota disponibile e di quella legittima scaturenti da tale operazione contabile, la stessa avverra' sul solo relictum ovvero sul donatum che gia' formalmente appaia tale. ovvero sia costituito da donazioni indirette, nel mentre l'inclusione anche delle donazioni dissimulate, se dal caso avvalendosi della prova per testi o presuntiva, presupporra' l'allegazione da parte dell'interessato che l'accertamento sia funzionale, come detto alla tutela della quota di riserva. Cio' e' scontato, nel caso in esame, per l'ipotesi in cui la simulazione sia dedotta da colui che per testamento sia beneficiario della sola quota di legittima, ma ove invece la simulazione sia richiesta da colui che abbia anche ricevuto la disponibile, come appunto gli eredi di (OMISSIS), la deroga all'articolo 1417 c.c., presuppone che si alleghi che, in assenza dell'inclusione nel donatum anche della donazione dissimulata, la distribuzione dei beni effettuata in base alle previsioni testamentarie risulterebbe lesiva della propria quota di riserva. 6.4 Del pari priva di fondamento e' la pretesa, anche nell'ottica di aggirare il profilo della prescrizione, individuata dalla Corte d'appello come seconda ratio fondante il rigetto della domanda di simulazione dell'atto di vendita del (OMISSIS), di giustificare la deroga all'articolo 1417 c.c., sul presupposto della illiceita' delle donazioni dissimulate, in quanto idonee ad eludere le norme, asseritamente imperative, in materia di forma delle donazioni. Infatti, deve darsi seguito alla pacifica giurisprudenza di questa Corte che ha gia' in passato affermato che la nullita' del contratto dissimulato per difetto di forma (nella specie, atto pubblico di donazione rogato senza l'assistenza dei testimoni) non configura un'ipotesi di illiceita' del contratto, e pertanto non vale a rendere ammissibile senza limiti la prova testimoniale della simulazione tra le parti del contratto, ai sensi dell'articolo 1417 c.c. (Cass. n. 4861/1980; Cass. n. 861/1973; Cass. n. 1361/1969; Cass. n. 276/1964, e piu' di recente Cass. n. 1535/2000). Come del pari non configura l'illiceita' del negozio la pretesa finalita' di eludere i diritti dei legittimari (questione che pone il settimo motivo del ricorso incidentale), essendosi del pari affermato che (Cass. n. 861/1973) l'illiceita' del negozio dissimulato, agli effetti dell'articolo 1417 c.c., e' configurabile solo se il negozio persegua interessi che l'ordinamento reprime, e non anche quando i contraenti si siano limitati a non osservare prescrizioni di legge che condizionino la validita' del negozio, ovvero ove dia stata posta una donazione dissimulata nulla per difetto di forma ancorche' preordinata allo scopo di ledere le future ragioni del legittimario (conf. Cass. n. 8942/1994). Alla luce delle motivazioni che precedono deve quindi affermarsi l'infondatezza dei motivi di ricorso incidentale con i quali si invoca la possibilita' di provare la simulazione delle donazioni asseritamente poste in essere dal de cuius, a mezzo di presunzioni, non senza rilevare che, quanto alla dedotta simulazione dell'atto di vendita del (OMISSIS), che il rigetto del motivo di appello si fonda su di una duplice ratio, ognuna delle quali di per se' sola sufficiente a giustificare la decisione, e cioe' il riscontro della prescrizione della relativa domanda, e l'impossibilita' di avvalersi della prova per presunzioni in assenza della proposizione dell'azione di riduzione (rectius spendita della qualita' di legittimario). 6.5 Quanto, infine al settimo motivo del ricorso incidentale, risulta del tutto inconferente il richiamo alla pretesa violazione dell'articolo 458 c.c., in quanto oggetto delle impugnative da parte della attrici erano pretesi atti di donazione, e cioe' atti destinati a far fuoriuscire immediatamente i beni dal patrimonio del disponente, senza che quindi ricorrano i presupposti oggettivi per la configurazione di ipotetici patti successori istitutivi. In tal caso, ove con gli atti di liberalita' il de cuius intenda spogliarsi in vita del proprio patrimonio, sia pure al fine di pregiudicare le aspettative dei legittimari, la tutela dell'ordinamento e' accodata tramite i rimedi approntati a favore del legittimario (rimedi nella specie, come visto non esperiti), ma senza che sia possibile invocare, ove anche la finalita' sia quella di eludere le aspettative dei riservatari, una pretesa nullita' per illiceita' ex articoli 1343 e 1344 c.c.. Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato. 7. In ragione della soccombenza reciproca, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare le spese del presente giudizio. 8. Poiche' sia il ricorso principale che quello incidentale sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater - della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la rispettive impugnazioni. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimita'; Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/05/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE DE MARZO; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dr. Pasquale Serrao D'Aquino, il quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso, nonche' memoria nell'interesse dell'imputata, con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 maggio 2022 la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia (OMISSIS) in relazione alla formazione di un falso testamento olografo di (OMISSIS). 2. Nell'interesse dell'imputata e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, criticando l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale sarebbe stato irrilevante accertare se la (OMISSIS) fosse stata o non l'autrice materiale della falsificazione del testamento, sottolineando come proprio questa fosse la condotta indicata nel capo di imputazione. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' fondata dalla Corte territoriale sul mero criterio dell'interesse che avrebbe sorretto la falsificazione del testamento, ossia su di un solo indizio, senza alcun approfondimento ulteriore anche alla luce del fatto che il documento era stato consegnato alla (OMISSIS) dalla propria madre, sorella della defunta. 2.3. Con il terzo motivo (anch'esso come il precedente recante il numero romano II) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale, dimostrata la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, resterebbe dimostrato anche l'elemento soggettivo. 2.4. Con il quarto motivo (indicato con il numero romano III) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sottolineando, sempre nella prospettiva dell'elemento soggettivo del reato, il carattere isolato dell'indizio costituito dal vantaggio derivante per l'imputata dalla falsificazione del testamento. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Pasquale Serrao d'Aquino, il quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso, nonche' memoria nell'interesse dell'imputata, con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato, cui sia stato contestato di essere l'autore materiale del fatto, sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, giacche' tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, ne' puo' provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneita' rispetto alla originaria contestazione (Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017 - 01). Ne discende che inutilmente si insiste sulla rilevanza della mancata dimostrazione che sia stata la (OMISSIS) a materialmente falsificare la scheda testamentaria. 2. I restanti motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili per manifesta infondatezza e assenza di specificita', dal momento che l'affermazione di responsabilita' non riposa affatto sull'unico indizio, certo di notevole spessore, dell'interesse, che riconduce inevitabilmente, secondo criteri razionali, alla (OMISSIS), ma anche sul dato del fatto che ella disponeva materialmente del testamento ed era anche la comodataria dell'immobile oggetto del legato. Si tratta di considerazioni che non esibiscono alcuna illogicita'. D'altra parte, quanto ai profili soggettivi, si osserva che la prova dell'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, puo' desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalita' esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, e' possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volonta' e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01, in tema di truffa ma espressiva di principi di carattere generale). 3. Alla pronuncia di inammissibilita' consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/12/2021 della Corte di assise di appello di Catanzaro, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Lidia Giorgio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; sentito il difensore della parte civile, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso, depositando comparsa conclusionale e nota delle spese; sentito il difensore dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di assise di appello di Catanzaro, parzialmente riformando la sentenza della Corte di assise di Catanzaro del 17 dicembre 2020, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dei coniugi odierni ricorrenti in relazione al reato di circonvenzione di incapace loro ascritto in concorso al capo A, confermando le statuizioni civili in favore di (OMISSIS), quale erede della persona offesa (OMISSIS), anziana nubile indotta dai ricorrenti a redigere e sottoscrivere un testamento olografo in loro favore, due preliminari di vendita di immobili e ad attivare una carta di credito prepagata consegnata agli imputati e da loro utilizzata per prelevare denaro. 2. Ricorrono per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), con unico atto, attraverso il quale deducono, ai soli fini inerenti alle statuizioni civili, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita'. La Corte non avrebbe valutato le doglianze difensive contenute nell'atto di appello e relative alla prova dello stato di deficienza psichica della persona offesa al momento della redazione del testamento olografo (gennaio 2013), trascurando la testimonianza del medico che l'aveva avuta in cura, il dottor Scarpino, il quale aveva escluso tale evenienza e quella dei medici dell'Ospedale (OMISSIS) che avevano seguito la paziente fino ad epoca precedente alla sua morte, valorizzando, al contrario, deposizioni testimoniali molto piu' vaghe e generiche, rese da vicini di casa non in rapporti di quotidiana frequentazione con la vittima e che sarebbero stati suggestionati dalla vicenda giudiziaria. La Corte avrebbe, inoltre, travisato la testimonianza della suora (OMISSIS), a proposito della volonta' della persona offesa di destinare i suoi beni alla Chiesa e di vendere gli appartamenti oggetto dei contratti preliminari di cui alla imputazione. I ricorrenti censurano il rilievo della Corte anche in ordine al fatto che la vittima versasse in stato di abbandono. Sarebbe stato travisato, inoltre, il dato probatorio inerente all'abuso dello stato di vulnerabilita' della persona offesa, essendo emersa la sua capacita' di autodeterminazione mantenuta fino alla fine, come emergerebbe dal comportamento tenuto nei confronti del Notaio (OMISSIS) (fgg. 15-14-16 del ricorso). La Corte non avrebbe neanche valutato la documentazione prodotta dai ricorrenti in uno alla memoria difensiva (si cita in ricorso la valutazione OMI sul prezzo di uno degli immobili che la persona offesa voleva vendere, per dimostrarne la congruita' e la cartella clinica inerente al ricovero precedente al decesso). Si da' atto che nell'interesse della parte civile e' stata depositata una memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' manifestamente infondato e generico. 1. I ricorrenti sono stati condannati in entrambi i gradi di merito con conforme decisione. La pacifica giurisprudenza di legittimita', ritiene che, in tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche' le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (Cass. pen., sez. 2, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615). Si osserva, ancora, che la doppia conformita' della decisione di condanna dell'imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilita' in cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dai ricorrenti. E' pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimita', che tale vizio puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine). 1.1. Fatte queste premesse, deve ancora essere sottolineato che, ai fini della configurabilita' del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilita' di manipolare la volonta' della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacita' critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto; d) l'oggettiva riconoscibilita' della minorata capacita', in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (Sez. 2, n. 19834 del 01/03/2019, A., Rv. 276445). La Corte ha fornito, attraverso il richiamo a numerose testimonianze assunte in dibattimento e convergenti nella ricostruzione della vicenda, alcuni decisivi dati, neanche tutti richiamati in ricorso, idonei a mettere in evidenza gli elementi costitutivi del reato. In primo luogo, la sentenza ha sottolineato che vi era stata l'instaurazione di un rapporto tra i ricorrenti e la vittima viziato all'origine dalla perfida condotta degli imputati, che si erano spacciati per soggetti incaricati dalle suore di prendersi cura di lei, circostanza non a caso pretermessa in ricorso e che e' stata intesa dai giudici di merito, con ineccepibile ragionamento logico, come volta a dimostrare la finalita' illecita che aveva animato i ricorrenti fin dall'inizio, in quanto essi, evidentemente, ben sapevano che le intenzioni della vittima erano quelle di destinare i propri beni alla Chiesa (testi Ripamonti e Ceraudo, fgg. 20 e 21 della sentenza impugnata). In secondo luogo, lo stato di abbandono in cui versava la persona offesa e la sua eta' avanzata, unita al decadimento delle sue funzioni cognitive, erano elementi emersi a seguito di numerose deposizioni delle quali la Corte ha dato contezza (ivi compresa quella della Ceraudo in ordine al fatto che la persona offesa avesse visioni immaginarie e quella del notaio (OMISSIS), sul fatto che la vittima le fosse apparsa ritardata nel processo cognitivo, incerta e balbettante, fg. 23 della sentenza impugnata). In terzo luogo, la circostanza che la vittima avesse manifestato la volonta' di attribuire tutti i suoi beni alla Chiesa e che tale volonta' fosse nettamente in contrasto con gli atti pregiudizievoli per il suo patrimonio compiuti a favore degli imputati, e' stata ricostruita nella sentenza impugnata con dovizia di particolari emersi attraverso le testimonianze riportate, che davano ragione della conclusione che i ricorrenti avessero abusato della naturale vulnerabilita' di una persona di ottantacinque anni, sola e trasandata, per ottenere l'ingiusto profitto, consistente anche in una quantita' di prelievi in danaro assolutamente esorbitanti rispetto alle condizioni in cui viveva la vittima e rimasti senza alcuna spiegazione diversa da quella a favore della tesi accusatoria, circostanza anch'essa obliterata in ricorso. Quanto alla riconoscibilita' dello stato di vulnerabilita' della persona offesa da parte dei ricorrenti, essa e' stata tratta dallo stesso rapporto di relazione intercorso con costei e dalla frequentazione della sua abitazione nell'ultimo periodo di vita. Tanto supera ed assorbe ogni diversa argomentazione difensiva, da ritenersi relegata al merito del giudizio. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3800,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. DE MARZO G. - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI GENOVA; dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/11/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE DE MARZO; udita la Sostituta Procuratore generale, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME, la quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata riportandosi alla requisitoria scritta gia' depositata. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso riportandosi alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso; deposita nota spese e conclusioni, per delega dell'avvocato (OMISSIS), alle quali si riporta. L'avvocato (OMISSIS) insiste per la conferma della sentenza impugnata. L'avvocato (OMISSIS) insiste affinche' siano respinte le richieste del PG e delle parti civili. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 18 novembre 2021 la Corte d'appello di Genova, in riforma della decisione di primo grado, ha assolto perche' il fatto non sussiste (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articoli 485 e 491 c.p., per avere, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, formato due testamenti olografi, recanti la data del (OMISSIS), con i quali apparentemente (OMISSIS) lo istituiva unico erede. 2. E' stato proposto ricorso da parte del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Genova e nell'interesse delle costituite parti civili: a) (OMISSIS); b) (OMISSIS) e (OMISSIS); c) (OMISSIS). 3. Ricorso del Procuratore generale 3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, rilevando: a) che esattamente la sentenza impugnata aveva ritenuto prive di rilievo le perizie e le consulenze grafologiche, sia per l'intrinseca incertezza delle valutazioni sia per il contrasto fra le stesse difficilmente risolvibile; b) che, tuttavia, illogicamente la Corte territoriale aveva ritenuto che lo scarno contenuto dei due testamenti olografi non fosse indicativo della loro non genuinita', alla luce del comportamento tenuto dal (OMISSIS) nell'unica circostanza del tutto analoga che si era verificata, ossia la redazione del testamento pubblico presso il notaio Cattanei, che conteneva disposizioni minuziose e dettagliate; c) che l'argomento della sentenza impugnata, secondo la quale il contenuto dei due testamenti olografi, uno precedente e uno successivo al testamento pubblico, della cui autenticita' non si poteva dubitare, non era indicativo di una "certa bizzarria", giacche' l'individuazione del beneficiario nel (OMISSIS) si giustificava con l'amicizia di vecchia data, non considerava il significato del testamento pubblico, nel quale appunto il (OMISSIS) non era menzionato; d) che immotivata era poi la svalutazione, da parte della sentenza impugnata, della deposizione dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano riferito solo del testamento pubblico e del suo contenuto essenziale, ossia quello di attribuire i beni prevalentemente alla (OMISSIS) e di escludere alcuni cugini; e) che la Corte d'appello si era ben resa conto della singolarita' di contenuto dei due testamenti olografi che non contenevano alcuna previsione in favore della (OMISSIS) e aveva affrontato la questione, per un verso, valorizzando un dato smentito dagli atti, ossia che la relazione non fosse mai sfociata in una convivenza e, per altro verso, aveva illogicamente negato il significato dell'attenzione rivolta alla donna, nel momento in cui il (OMISSIS) aveva richiesto di adattare l'orologio che la banca intendeva regalargli affinche' potesse essere destinato ad una signora; f) che non aveva, del pari, alcun senso che il (OMISSIS), rivoltosi al notaio (OMISSIS) per disporre dei propri beni con testamento pubblico, avesse, prima e dopo, fatto consegnare i due testamenti olografi al notaio (OMISSIS) dal (OMISSIS); g) che, in tale contesto, era priva di fondamento l'affermazione della Corte d'appello secondo la quale non era emerso che il (OMISSIS) avesse un notaio di fiducia. 3.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, per erronea valutazione degli indizi e per omissione della motivazione rafforzata, per essersi la Corte territoriale sottratta ad un puntuale e completo confronto con le argomentazioni utilizzate dal primo giudice per giungere alla decisione di condanna. Si aggiunge che la sentenza impugnata: a) aveva disatteso conclusioni accertate sotto il profilo tecnico (ad es., la circostanza che le scritture di comparazione erano redatte a matita, mentre le schede oggetto di valutazione presentavano caratteri scritti con un pennarello; b) aveva attribuito determinati comportamenti a patologie che sono risultate assenti e comunque diverse da quelle la cui natura avrebbe potuto incidere sulle determinazioni del de cuius; c) aveva introdotto la possibilita' di variabili non meglio circostanziate perche' non provate. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, per avere la Corte territoriale, nel riformare la decisione di primo grado, omesso di confutare in modo specifico e le completo le argomentazioni spese a sostegno di quest'ultima, con particolare riguardo, per quanto attiene questa prima censura, al fatto che il Tribunale avesse ritenuto inverosimile che il (OMISSIS), completamente trascurato dal testamento pubblico, fosse stato nominato erede universale in un testamento olografo successivo di un mese e che non conteneva alcuna disposizione testamentaria in favore delle persone nominate nel testamento redatto dal notaio, nonostante l'estrema cura con la quale il (OMISSIS) aveva esposto al notaio (OMISSIS), con la consueta lucidita' e minuziosita', le sue ultime volonta'. Si aggiunge che il notaio aveva chiarito come la formula "revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria" fosse stata inserita di sua iniziativa non perche' avesse appreso dal (OMISSIS) di precedenti testamenti, ma per rappresentare il fatto che il testatore aveva inteso esprimere in termini completi ed esclusivi le proprie volonta'. Prosegue il ricorso rilevando che la Corte d'appello non aveva spiegato come potesse conciliarsi l'autenticita' dei due testamenti olografi con il fatto che il (OMISSIS), ammesso pure che fosse stato dimostrato un forte rapporto di amicizia, non fosse stato menzionato nell'intermedio testamento pubblico. 4.2. Con il secondo motivo, sempre nella prospettiva dell'omissione di una motivazione rafforzata, si denunciano vizi argomentativi con riguardo al profilo dell'assenza di un rapporto di vera e propria amicizia tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), valorizzato, sul piano logico, dal Tribunale per sostenere l'inverosimiglianza della nomina del secondo come erede universale. L'opposta conclusione della Corte territoriale, secondo la quale il (OMISSIS) e il (OMISSIS) erano amici di vecchissima data, al punto che, negli ultimi mesi di vita, il primo era solito trascorrere con il secondo molte delle sue serate, non trova, secondo i(ricorso, alcun fondamento nelle risultanze istruttorie e neanche nella deposizione della (OMISSIS), l'unica, peraltro, richiamata dalla sentenza impugnata. Infatti, la teste, pur affermando che il (OMISSIS), all'inizio del 2013, aveva preso l'abitudine di passare a salutare il (OMISSIS), ha aggiunto che quest'ultimo non apprezzava siffatte manifestazioni di interesse, reagendo anche in modo sgarbato. La medesima (OMISSIS), del resto, aveva riferito che i due mantenevano una frequentazione per il comune interesse della barca e che, tuttavia, il (OMISSIS) nutriva una forte disistima nei confronti del (OMISSIS) per avere coinvolto lui, il figlio della (OMISSIS) e la fidanzata di quest'ultimo in un investimento rivelatosi fallimentare. Quanto poi ai due sms inviati dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e alle telefonate emergenti dai tabulati, osserva il ricorso che di queste ultime resta sconosciuto il contenuto e che i due sms dall'identico contenuto ("ho bisogno di te"), oltre ad avere un significato equivoco non chiarito da altre risultanze processuali, erano dimostrati non dalla foto della schermata di un telefono, ma dalla produzione di una stampa la cui fonte era incerta. Del resto, che l'attendibilita' del contenuto fosse in parte compromessa era confermato dalla circostanza che il messaggio successivo al secondo sms recava la data del "(OMISSIS)". 4.3. Con il terzo motivo si lamentano, sempre nella prospettiva dell'omissione della motivazione rafforzata, vizi argomentativi in relazione alle considerazioni che la Corte territoriale dedica all'incongruenza - invece valorizzata dal Tribunale - dell'esclusione nel secondo olografo delle persone nominate nel testamento pubblico di poco precedente. La tesi della Corte territoriale, secondo la quale non solo la (OMISSIS), ma nessuna delle parti civili aveva prodotto documentazione idonea a riscontrare l'esistenza di relazioni assidue e affettuose, trova, secondo il ricorso, una prima smentita logica proprio nel contenuto del testamento pubblico. Inoltre, il fatto che, a parte la (OMISSIS), nessuno dei beneficiari del testamento pubblico conoscesse il (OMISSIS) confermerebbe solo il fatto che era quest'ultimo a non essere un grande amico del (OMISSIS). Inoltre, l'assenza di relazioni assidue tra il (OMISSIS) e i beneficiari del testamento pubblico emergeva dalle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), figlio della (OMISSIS), e della (OMISSIS). Quanto al rapporto tra il (OMISSIS) e quest'ultima, si rileva: a) che nessuna risultanza istruttoria consentiva di affermare che il (OMISSIS) non avesse fatto alcun dono alla compagna, all'infuori dell'ultimo; b) che la (OMISSIS) aveva illustrato sia le ragioni per le quali, essendo rimasta vedova, aveva scelto di non imporre ai propri figli la convivenza con il (OMISSIS) sia i motivi per i quali, quando erano emersi i primi segnali del carcinoma del quale quest'ultimo aveva scoperto di soffrire, aveva deciso di stargli costantemente al fianco; c) che, del resto, la (OMISSIS) era stata l'unica persona autorizzata a ricevere informazioni dal Dott. Brema, ossia dal medico che curava il (OMISSIS). Quanto, infine, al rapporto con il (OMISSIS), del pari, la Corte territoriale aveva travisato il contenuto delle prove, estrapolando alcuni dati e non considerando le assidue frequentazioni riferite dal medesimo (OMISSIS) e confermate dalla (OMISSIS). 4.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, ancora una volta nella prospettiva del confronto con le argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado (e nelle note di udienza delle parti civili del 10 novembre 2022), con riferimento ai criteri di valutazione delle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente consulente finanziario e commercialista del (OMISSIS), sottolineando come illogica era la considerazione della Corte territoriale che aveva sottolineato la singolarita' delle notizie apprese da loro, quanto alla redazione del testamento, anziche' dai diretti interessati, osservando che era del tutto normale che i professionisti avessero interloquito con l'anziano clienti in relazione alla regolamentazione della successione, che non infrequentemente non coinvolge i futuri eredi. Al contrario, si osserva si trattava di dichiarazioni rese da terzi indifferenti e tra di loro sconosciuti e che del tutto congetturali erano i rilievi utilizzati dalla Corte territoriale per smentirne l'efficacia dimostrativa. 4.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali a proposito delle modalita' di consegna delle due schede olografe al notaio (OMISSIS) - anch'esse valorizzate dal Tribunale per giungere alla conclusione della falsita' di queste ultime -, rilevando: a) che dalle risultanze istruttorie era emerso, per un verso, che il (OMISSIS) si era in passato rivolto al notaio (OMISSIS), con il quale intercorreva un rapporto di reciproca stima e fiducia, mentre mai si era avvalso delle prestazioni del notaio (OMISSIS); b) che il notaio (OMISSIS) aveva appreso dal (OMISSIS) solo il giorno del testamento che sotto il suo studio abitava la cugina del secondo, ossia (OMISSIS); c) che la Corte territoriale, pur riconoscendo che il notaio (OMISSIS) non aveva tenuto una condotta deontologicamente ineccepibile quando aveva omesso di rivolgersi al (OMISSIS) in occasione del deposito delle schede da parte del (OMISSIS), non si era confrontata con i rilievi del Tribunale; d) che la sentenza impugnata non aveva considerato come l'affermazione del notaio secondo il quale, rispetto all'informale consegna della busta contenente il testamento, non esiste un modo diverso di affidare al notaio una scheda olografa, collidesse con il R.Decreto Legge n. 1666 del 1937, articolo 1 del che disciplina il deposito per atto pubblico con verbalizzazione alla presenza di testimoni; e) che del tutto singolare era che il notaio (OMISSIS), senza verificare l'esistenza di una procura del (OMISSIS) in favore del (OMISSIS), avesse accettato da quest'ultimo la consegna di un testamento altrui; f) che smentite erano anche le circostanze riferite dal notaio a riscontro della provenienza dell'atto da parte del (OMISSIS); g) che, infine, la formula adoperata dal notaio (OMISSIS) al momento della pubblicazione del testamento olografo, secondo la quale i testamenti sarebbero stati presentati il giorno stesso del verbale, oltre ad essere non rispondente alla realta', finiva per occultare la realta' del deposito precedente presso di se'. In definitiva, era una mera congettura quella della Corte territoriale, secondo la quale l'imputato non avrebbe potuto prevedere che il notaio non avrebbe contattato il (OMISSIS), alla luce, non solo della risalente conoscenza tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ma soprattutto della condotta successiva del professionista, caratterizzata da anomalie rimaste inspiegate. 4.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali, con riguardo alla valutazione delle perizie grafologiche, rilevando: a) che la perizia disposta dal Tribunale penale, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale e come puntualmente sottolineato dal giudice di primo grado, aveva fornito elementi fortemente indizianti della falsita' delle schede olografe, tenuto conto che, quanto al testamento del 27 marzo 2012, i periti avevano affermato che la locuzione "mio erede universale" non era riconducibile alla mano del (OMISSIS); b) che la Corte d'appello, peraltro, non si era confrontata con i rilievi svolti nell'interesse del (OMISSIS), nella memoria del 25 giugno 2020, laddove si era osservato, sul piano logico, che l'accertata falsita' del primo testamento rende del tutto inverosimile che il (OMISSIS) detenesse e avesse fatto uso anche del successivo, che riprendeva fedelmente il formato e letteralmente il contenuto del primo, sebbene per le particolari circostanze di redazione, in relazione a quest'ultimo, non fossero "elementi dirimenti ad avvalorare l'ipotesi di autografia o meno"; c) che la Corte d'appello, nel superare le conclusioni del Tribunale, quanto all'inattendibilita' della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel giudizio civile, a proposito della spiegazione alternativa, rispetto alla falsificazione, di alcuni dati rilevati dagli stessi c.t.u. ("affioramento di tratti artefatti, rabberciamenti, scrittura ammassata, fangosa e talvolta scarsa chiarezza dei segni"), aveva condiviso l'ipotesi dell'involuzione grafica per l'eta' e dell'accertata sintomatologia neuro-psico-fisica, senza considerare che i consulenti che avevano operato nel giudizio civile - ivi inclusi i professionisti incaricati della consulenza disposta in secondo grado - non avevano verificato le cartelle cliniche, peraltro in difetto di competenze mediche sul punto, ne', sul piano logico, avevano considerato che le coeve scritture di comparazione non presentavano siffatte alterazioni; d) che neppure si era considerato quanto riferito dal prof. (OMISSIS), a proposito del fatto che "il pennarello e' unanimemente riconosciuto come il mezzo scrittorio del falsario" e che il (OMISSIS), quando scriveva in stampatello, non usava il pennarello. 5.7. Con il settimo motivo si lamentano vizi motivazionali, per avere la Corte territoriale ritenuto che la sintesi delle schede olografe - che si limitano a indicare il (OMISSIS) come erede universale - fosse compatibile con la non necessita' di ulteriori chiarimenti, attesa l'assenza di legittimari, senza considerare che il Tribunale, nel cogliere in tale profilo un ulteriore indizio di falsita', non aveva valorizzato la necessita' di ulteriori indicazioni, ma la non compatibilita' del dato con la personalita' meticolosa del (OMISSIS), quale, peraltro, rivelata, dall'estrema puntualita' del testamento pubblico. 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo, articolato in vari sottopunti, lamenta violazioni motivazionali che investono la valutazione della prova tecnica. La prima articolazione, nella sostanza, e' speculare al sesto motivo del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS). La seconda articolazione si concentra sulle argomentazioni dedicate dalla Corte territoriale al tema della autenticita' delle schede olografe, quale ritenuta dai consulenti tecnici d'ufficio che avevano svolto la loro attivita' nel primo e nel secondo grado del giudizio civile. Si osserva che il superamento delle criticita' sottolineate dalla perizia disposta in sede penale era affidato, nella motivazione della Corte d'appello, alla non accertata incidenza della patologia tumorale sulle capacita' grafiche del (OMISSIS). Si aggiunge che non era neanche stato affrontato il tema dell'utilizzazione, nel raffronto, di scritture vergate con matita, laddove il contenuto delle schede olografe era stato redatto con l'uso di un pennarello e presentava, con riguardo alla prima, una lentezza esecutiva limitata alle parole "mio erede universale" rimasta inspiegata. 5.2. Con il secondo motivo, anch'esso variamente articolato, si lamentano vizi motivazionali concernenti la valutazione degli indizi espressivi della falsita' delle schede olografe. Si osserva: a) che le risultanze istruttorie (e, in particolare, l'esame delle scritture di comparazione e le dichiarazioni dei c.t.u. (OMISSIS) e (OMISSIS)) avevano dimostrato che il (OMISSIS) non usava il pennarello per scrivere, ma, al piu', per apporre sottoscrizioni su documenti predisposti da terzi (notai o strutture sanitarie); b) che la sintesi delle due schede olografe e fa mancata giustificazione dell'esclusione di coloro che erano stati istituiti con il testamento pubblico rappresentava un elemento che era stato illogicamente affrontato dalla sentenza impugnata, giunta illogicamente e in contrasto con la deposizione della (OMISSIS), ad escludere che la relazione con quest'ultima fosse sfociata in una convivenza; c) che la spiegazione, da parte della Corte territoriale, della razionalita' dell'istituzione come erede del (OMISSIS), anche in ragione del rapporto affettivo poco profondo con gli istituiti per effetto del testamento pubblico, in contrasto con le opposte conclusioni del Tribunale, era affidata ad un travisamento della prova rappresentata, per un verso, dalle dichiarazioni testimoniali della (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e dalla prova documentale costituita da alcuni presenti sms di dubbia e non verificabile provenienza e, per altro verso, dalle dichiarazioni testimoniali di (OMISSIS), della (OMISSIS) e della medesima (OMISSIS). Con varieta' di accenti, si sviluppano, al riguardo, considerazioni analoghe a quelle di cui al secondo e al terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS). Con distinta articolazione, si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha minimizzato la circostanza, invece valorizzata dal Tribunale, del ritiro, da parte del (OMISSIS), di una copia autentica del testamento pubblico e si osserva che, secondo quanto emerso in sede di controesame del notaio (OMISSIS), il primo aveva richiesto la copia e non si era limitato a riceverne una, in occasione del saldo della parcella. Con ulteriore articolazione si sviluppano, a proposito della valutazione delle dichiarazioni dei teste (OMISSIS) e (OMISSIS), considerazioni analoghe a quelle di cui al quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS). Il ricorso sottolinea poi l'illogicita' delle conclusioni della Corte d'appello, alla luce: a) delle dichiarazioni del notaio (OMISSIS), b) della singolarita' delle modalita' attraverso le quali si sarebbe espresso il ripensamento nel settembre 2012, rispetto alle determinazioni manifestate con il testamento pubblico c) dall'assenza, nella seconda scheda olografa, della volonta' di diseredare alcuni congiunti, necessaria per raggiungere il risultato fortemente voluto dal (OMISSIS), per l'ipotesi di premorienza del (OMISSIS), d) della disponibilita', da parte del (OMISSIS), di modelli di scritture e sottoscrizioni del (OMISSIS). 6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 6.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza dell'articolo 238 c.p.p., comma 2, in relazione all'articolo 191 c.p.p., comma 1, e articolo 526 c.p.p., comma 1, per avere la Corte territoriale utilizzato, ai fini del decidere, le consulenze tecniche d'ufficio disposte nel giudizio civile, sebbene quest'ultimo non sia ancora stato definito con sentenza che abbia acquistato autorita' di cosa giudicata. 6.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza dell'articolo 526 c.p.p., comma 1, e dell'articolo 81 c.p., comma 2, in relazione all'articolo 491 c.p., comma 2, per non avere la Corte territoriale valutato la perizia grafologica disposta in primo grado, confermando la responsabilita' penale dell'imputato, quantomeno per il primo dei reati in contestazione, ossia quello riferito alla scheda olografa del 27 marzo 2012, rispetto alla quale il collegio peritale aveva sottolineato l'assenza di esiti di riferibilita' con riguardo alle parole "mio erede universale". 6.3. Con il terzo motivo si lamentano inosservanza dell'articolo 192 c.p.p., per avere la Corte territoriale disatteso le dichiarazioni testimoniali delle persone offese, ancorche' costituite parti civili, per l'asserita mancanza di riscontri esterni, nonche' vizi motivazionali con riferimento alla pronuncia assolutoria, tenuto conto del fatto: a) che in tutte le scritture di comparazione il de cuius risultava avere utilizzato una matita e non il pennarello; b) che il consolidato rapporto tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) era smentito - e non confermato, secondo quanto ritenuto dalla sentenza impugnata - dalle dichiarazioni della (OMISSIS); c) che le prove raccolte dimostravano che i rapporti tra il de cuius e (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS), dall'altro, non erano limitati a sporadiche visite; d) che il ritiro, da parte del (OMISSIS), di copia del testamento pubblico non era giustificato dalla mera necessita' di pagare l'onorario notarile; e) che la (OMISSIS) era stata, sia pure genericamente, rassicurata dal (OMISSIS), quanto all'esistenza di disposizioni che l'avrebbero protetta da iniziative dei cugini (OMISSIS) e (OMISSIS), chiamati a succedergli nel caso di assenza di volonta' testamentarie; f) che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la (OMISSIS), compagna del (OMISSIS) da lungo tempo, aveva, dall'insorgere della malattia, iniziato a convivere con quest'ultimo proprio per poterlo meglio assistere. 6.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta non attendibilita' delle dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), che -a tacer della non applicabilita' delle previsioni di cui all'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, - non solo non erano isolate, ma erano coerenti con l'intero compendio probatorio. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Sabrina Passafiume, la quale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, nonche' memoria dell'interesse dell'imputato, con la quale si chiede dichiararsi inammissibile il ricorso del Procuratore generale e disporsi l'esclusione delle parti civili. Al riguardo, si rileva: a) che l'atto di costituzione di parte civile per l'udienza del 10 luglio 2014 di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro il (OMISSIS) davo atto che gli stessi erano attori della causa civile n. 12435/13 proposta contro il (OMISSIS) e avente ad oggetto la querela di falso relativa ai due testamenti olografi dei quali si discute nel processo penale; b) che, sebbene in tale atto fosse stato dichiarato che il petitum della costituzione di parte civile "si distingue, e come tale non coincide in quanto non comprende il, ne' e' compreso dal petitum di cui alla causa civile pendente nanti il Tribunale di Genova", tuttavia, nel corso del processo civile (e in epoca successiva alla sentenza penale di primo grado del 19 novembre 2019 che aveva condannato il (OMISSIS), (OMISSIS) aveva, con l'adesione delle altri appellanti in sede civile, chiesto la sospensione della causa civile stante la assoluta identita' del tema (causa petendi e) e la pregiudizialita' del processo penale; c) che la Corte d'appello, con ordinanza datata 8 gennaio 2020 aveva accolto tale richiesta e sospeso il giudizio civile fino alla definizione del processo penale; d) che, pertanto, alla luce di quest'ultima ordinanza, la costituzione di parte civile del 10 luglio 2014 "era manifestamente inammissibile". 4. All'udienza del 21 marzo 2023 si e' svolta la discussione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Occorre esaminare preliminarmente la questione, prospettata dalla difesa dell'imputato nella memoria della quale s'e' detto, dell'inammissibilita' della costituzione di parte civile che discenderebbe dal fatto che, in sede civile, la Corte d'appello, con ordinanza datata 8 gennaio 2020, ha accolto tale richiesta di sospensione del processo fino alla definizione del processo penale. Nella memoria non si indica il fondamento normativo di siffatta conclusione che, infatti, non e' ravvisabile, dal momento che la sospensione del processo civile, nel contesto normativo dell'articolo 75 c.p.p., rappresenta piuttosto una conseguenza della proposizione dell'azione in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza di condanna di primo grado (comma 3), mentre, in caso di previo esercizio dell'azione in sede civile, il trasferimento della pretesa in sede penale comporta la rinuncia agli atti del giudizio. Ne discende che, in disparte altre questioni sulle quali e' superfluo indugiare, non sussiste alcuna causa di inammissibilita' della costituzione di parte civile che privi i ricorrenti della legittimazione a ricorrere per cassazione. 2. Per ragioni di ordine logico, va poi esaminato il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse della (OMISSIS), che investe la legittimita' dell'acquisizione delle consulenze tecniche d'ufficio svolte nel processo civile, non ancora definito con autorita' di cosa giudicata. Si tratta di doglianza manifestamente infondata, poiche' la giurisprudenza di questa Corte si e' ormai saldamente attestata nel ritenere che e' legittima l'acquisizione nel processo penale della consulenza tecnica depositata nel procedimento civile non ancora definito con sentenza passata in giudicato, attesa la sua natura di prova documentale alla luce della nozione generale di documento contenuta nell'articolo 234 c.p.p. (Sez. 3, n. 15431 del 07/11/2017, dep. 2018, P., Rv. 272551 - 01; Sez. 3, n. 5863 del 23/11/2011, dep. 2012, G., Rv. 252127 - 0). 3. Cio' posto e' possibile esaminare le doglianze sviluppate nei ricorsi proposti, con la puntualizzazione il maturare del termine di prescrizione e' superato dalla scelta dell'imputato di rinunciare ad avvalersi della causa di estinzione del reato. Va premesso, per quanto rileva in questa sede, che si e' di fronte ad una sentenza di appello che ha riformato l'originaria condanna giungendo ad una pronuncia di assoluzione. In questo caso, seppure non sussista l'onere di attivare il contraddittorio e procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (necessaria solo nell'ipotesi di ribaltamento in pejus dell'originaria decisione assunta in primo grado), si impongono, comunque, stringenti oneri motivazionali conseguenti, in generale, alla ontologica contraddittorieta' della decisione sulla colpevolezza dell'imputato, derivante da due sentenze dal contenuto antitetico, pur essendo entrambe fondate sulle medesime prove (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise Rv. 272430). Quest'ultima sentenza ha sottolineato come presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongano soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell'epilogo decisorio: la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l'assoluzione. Siffatta distinzione si riflette sulla portata del dovere di motivazione, che, in caso di totale riforma in grado di appello, si atteggia diversamente a seconda che si verta nell'ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria ovvero in quella della totale riforma di una sentenza di condanna: mentre nel primo caso, infatti, al giudice d'appello si impone l'obbligo di argomentare circa la plausibilita' del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di la' di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilita' del primo giudizio, per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d'appello puo' limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilita' di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un'operazione di tipo essenzialmente demolitivo. Deve, peraltro, trattarsi, come chiariscono ancora Sez. U Troise, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilita' nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalita', ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Cio' posto e procedendo, per economia di trattazione, ad un esame congiunto delle censure prospettate nei ricorsi, si rileva che, in effetti, la sentenza della Corte d'appello non affronta in termini razionalmente convalidabili gli snodi problematici evidenziati dalla decisione di primo grado, con riguardo alle a) valutazioni tecniche, b) al logico raccordarsi degli eventi e, infine c) al significato delle prove dichiarative. Sotto il primo profilo, il dato, sottolineato nella consulenza alla quale ha partecipato il Dott. Brondi, che, nei testamenti olografi, erano registrabili caratteri astrattamente suscettibili di rappresentare effetti dell'artificio, ma spiegabili per l'involuzione grafica dovuta all'eta' e alla sintomatologia nEuro-psico-fisica, e' stato criticato dal Tribunale dal momento che queste ultime ipotesi non erano basate su elementi oggettivamente provati, rivelatori della indicata involuzione. La Corte territoriale le reputa invece convincenti, ma non indica da quali elementi acquisiti al processo si desumerebbe che, nel caso concreto, si sia registrata l'involuzione della quale ha parlato il consulente ne' in che termini l'indicata patologia fosse almeno idonea a produrre siffatta involuzione. Il dato non e' reso irrilevante dalla finale considerazione della Corte territoriale, secondo la quale la prova tecnica non avrebbe consentito la formulazione di un giudizio tranquillizzante, dal momento che la svalutazione delle conclusioni delle consulenze civili e, anzi, la presa d'atto dell'assenza di argomenti razionalmente e processualmente verificabili, idonei a superare il dato dell'artificio registrato dal collegio del quale faceva parte il Dott. Brondi (e cio' anche alla luce del singolare mezzo scrittorio adoperato), scardina la ritenuta incertezza del quadro tecnico. E lo stesso e' a dirsi - punto sul quale indugia il ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) - a proposito della mancata verifica, da parte della Dott. (OMISSIS), sia della incidenza della specifica patologia del (OMISSIS), rispetto alle capacita' grafiche di quest'ultimo, sia della verificata compromissione di tali capacita' in scritture coeve. In tale contesto - e si viene al secondo punto - la Corte territoriale omette del tutto di considerare le logiche considerazioni espresse dal Tribunale a proposito della singolare condotta che avrebbe posto in essere il (OMISSIS), il quale avrebbe predisposto due testamenti olografi, istituendo erede universale il (OMISSIS), per poi, in epoca intermedia rispetto alla consegna delle due schede, recarsi da un notaio (diverso da quello al quale il medesimo (OMISSIS) aveva consegnano le schede) per predisporre un articolato testamento pubblico nel quale il (OMISSIS) scompare e vengono designati altri soggetti, con una strutturata regolamentazione successoria. Cosi' come, frazionando illogicamente gli eventi, la sentenza impugnata: a) per un verso, minimizza la portata della condotta del notaio (OMISSIS), qualificandola come deontologicamente non ineccepibile ma non affrontandola nei suoi dettagli, che rivelano una violazione di regole comportamentali tutte destinate a non verificare il contenuto dei documenti consegnati da un terzo non munito di procura e la riconducibilita' degli stessi al (OMISSIS); b) per altro verso, ipotizza un rischio al quale il (OMISSIS) si sarebbe esposto consegnando le schede al (OMISSIS), senza spiegare perche' le inspiegate irregolarita' del notaio non dimostrino piuttosto come il (OMISSIS), in caso di falsita', non avesse nulla da temere. Rispetto a tali profili, le considerazioni della Corte d'appello risultano di assoluta genericita', concentrandosi su dettagli, senza affrontare il cuore delle argomentazioni espresse dal Tribunale (e sulle quali qui ci si sofferma alla luce dei limiti del giudizio di legittimita'). Quanto alla terza prospettiva, che corrobora la prova logica di cui al secondo punto, accanto a considerazioni non insuperabili (il fatto che il de cuius potesse parlare con i professionisti che lo seguivano delle sue volonta' testamentarie, anziche' con i beneficiari, non e' affatto singolare e soprattutto la Corte territoriale non spiega alla stregua di quale massima di esperienza giunge a tale conclusione), la sentenza impugnata si impegna in una assertiva minimizzazione dei legami con i beneficiari del testamento pubblico (e proprio quest'atto di ultima volonta', certamente genuino, corrobora il narrato testimoniale, con il quale la Corte d'appello non si confronta in termini puntuali, sino ad esprimere considerazioni assertive e prive di qualunque rilievo quanto ai doni che sarebbero o non sarebbero stati fatti alla (OMISSIS)) e in una altrettanto generica esaltazione del legame con il (OMISSIS), che, secondo i documentati ricorsi, trova patente smentita nelle deposizioni e nessuna conferma in messaggi dei quali si ignora il contenuto o che sono quantomeno equivoci, oltre che di non verificata provenienza. Ne segue che i ricorsi vanno accolti e la sentenza annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Genova. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25/10/2021 della CORTE di APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi, con le statuizioni consequenziali; udito l'avvocato (OMISSIS), in difesa della parte civile (OMISSIS), che ha concluso associandosi alle conclusioni del Proc. Gen. ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese, chiedendone la liquidazione; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 25/11/2021 la Corte d'appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale della Spezia in data 13/05/2020, confermava la condanna di (OMISSIS) nonche' di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati rispettivamente ascritti, quanto alla prima, di circonvenzione di incapace continuata in danno di (OMISSIS) (capo A) e, quanto gli altri due imputati, di tentata circonvenzione di incapace continuata in danno di (OMISSIS) (capo B), e concedeva, accanto alla gia' disposta sospensione condizionale della pena, il benefico della non menzione a tutti gli imputati. 2. Avverso la sentenza suindicata propongono ricorsi per cassazione tutti e tre gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 2.1. (OMISSIS) formula due motivi. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato ex articoli 56, 643 c.p. Lamenta che la corte di merito, senza esaminare in modo adeguato i motivi di gravame, aveva errato nel confermare l'affermazione di responsabilita' dell'imputato facendo proprie acriticamente proprie le conclusioni del perito nominato Dott. (OMISSIS) sebbene, nella specie, non fosse emersa la prova della circonvenibilita' della vittima come desumibile dalla documentazione in atti (da cui risultava che, all'epoca dei fatti, la (OMISSIS) era vigile ed orientata) nonche' dalle conclusioni, la cui portata era stata sottovalutata, del consulente della difesa Prof. (OMISSIS) ed atteso che il perito Dott. (OMISSIS) - il quale aveva affermato che la predetta era soggetto circonvenibile in ragione di una situazione di deficienza psichica tale da renderla vulnerabile, sentito durante l'incidente probatorio, era incorso in evidenti contraddizioni in ordine alle effettive condizioni della vittima. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli articoli 56, 643 c.p. Rileva che, nel caso in esame, la prova del tentativo di induzione mediante abuso era del tutto assente, difettando la dimostrazione di una pressione operata dal ricorrente sulla vittima la quale, in data 29/12/2017, si era recata presso l'istituto bancario liberamente, manifestando autonomamente la volonta' di cambiare l'intestazione di tre polizze alla presenza della direttrice e della impiegata di banca; trattandosi, quindi, di una libera scelta difettava la prova dell'elemento oggettivo del reato di circonvenzione di incapace. Osserva, altresi', che la Corte di appello non aveva considerato che mancava la dimostrazione dell'elemento soggettivo sotto il profilo della riconoscibilita' delle condizioni della vittima per come emerso dall'elaborato del Prof. (OMISSIS) e dall'esame del Dott. (OMISSIS) all'udienza del 9 aprile 2018. 2.2. (OMISSIS) propone tre motivi. Con i primi due motivi lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 56,643 c.p. formulando delle censure sovrapponibili a quelle avanzate da (OMISSIS) con il proprio ricorso. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 110 c.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che mancava la prova che la ricorrente avesse partecipato alla fase ideativa o commissiva della condotta in questione consistita nell'accompagnare la vittima presso l'istituto bancario per cambiare il beneficiario di alcune polizze. 2.3. (OMISSIS) formula tre motivi. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 643 c.p. quanto alla ritenuta sussistenza di una attivita' di induzione in danno della vittima da parte dell'imputata. Assume la Corte di appello aveva del tutto pretermesso dei dati probatori decisivi, non valutando adeguatamente quelle che erano le effettive condizioni della p.o. la quale non presentava un deficit cognitivo cosi' invalidante come ritenuto dai giudici di merito e sotto altro profilo non aveva chiarito in cosa sarebbe consistita l'attivita' di induzione che i giudici di merito avevano finito per identificare nel mero compimento degli atti dispositivi contestati. Evidenzia che, oltre alla mancata individuazione della condotta principale imputabile alla ricorrente, gravemente carente ed erronea era la motivazione circa le reali condizioni della persona offesa con riferimento ai diversi e specifici atti dispositivi, non avendo i giudici di merito considerato che gli atti in questione posti in essere nell'interesse della (OMISSIS) erano stati compiuti in situazione di pieno recupero da parte della vittima. Lamenta che la Corte di appello aveva finito per confondere e sovrapporre i diversi momenti di deficit cognitivo fra le due imputazioni contestate ai tre imputati. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova quanto ai resoconti investigativi inerenti al principale e decisivo elemento accusatorio riconducibile al rinvenimento/denuncia di smarrimento del testamento olografo in proprio favore. Rileva che la prova della malafede della imputata era stata desunta dalla asserita condotta dissimulatoria della stessa correlata alla denuncia di smarrimento del testamento olografo in suo favore, affermazione questa frutto di un vero e proprio travisamento in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la ricorrente non aveva denunziato il furto del testamento. Lamenta che i giudici di merito aveva compiuto un altro travisamento: infatti avevano affermato che la ricorrente aveva riferito alla teste (OMISSIS), secondo quanto da questa asseritamente dichiarato, di avere subito il furto anche del testamento, mentre detta teste aveva affermato in sede di s.i.t. che l'imputata le aveva riferito che detto testamento non era stato asportato. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova quanto agli accertamenti effettuati dagli operatori bancari con riferimento alla ricorrente. Lamenta che la Corte di appello aveva omesso totalmente di valutare quanto riferito dagli operatori bancari (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla circostanza che tutte le operazioni in questione erano state compiute dalla (OMISSIS) con spontaneita' e piena trasparenza, previa valutazione delle condizioni della persona offesa e verifica della effettiva volonta' della stessa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Prima di procedere all'esame dei singoli motivi dei ricorsi, anche al fine di evitare inutili ripetizioni, appaiono opportune alcune premesse in ordine agli ambiti del sindacato di legittimita' nonche' relativamente ai principi riguardanti la fattispecie di cui all'articolo 643 c.p. 1.1. "I limiti del sindacato di legittimita'". Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimita' e' preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche' ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, e' - e resta - giudice della motivazione. Secondo le Sezioni Unite "l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794). Deve, pure, essere rimarcato che ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595). Nel giudizio di appello e' pertanto consentita la motivazione "per relationem" alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano - come nel caso di specie - elementi di novita' rispetto a quelle gia' condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Cass. Sez. 2, sent. n. 30838 del 19/03/2013, dep. 18/07/2013, Rv. 257056). Va, anche, osservato che l'omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell'articolo 606 c.p.p., ne' determina incompletezza della motivazione della sentenza allorche', pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perche' incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonche' con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Secondo il disposto dell'articolo 597 c.p.p., comma 1, l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). Pertanto il giudice d'appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell'appellante in ordine ai punti (o capi articolo 581, comma 1, lettera e) investiti dal gravame, ma non e' tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiche' in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado. (Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv. 194804). Occorre rilevare, altresi', che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501). Deve, pure, evidenziarsi, in generale, che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita' delle fonti di prova e' devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita' degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita' della Corte Suprema. Si e' in particolare osservato che non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201). Deve, inoltre, ricordarsi che mentre e' consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non e' affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimita' a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', qual e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cosi', tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). E questo e' tanto piu' vero laddove con l'impugnazione venga posto un mero problema di interpretazione di espressioni o frasi, trattandosi di questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se - come nella fattispecie e' accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate. Il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non puo' limitarsi, pena l'inammissibilita', ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisivita', ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6 -, Sentenza n. 10795 del 16/02/2021 Ud. (dep. 19/03/2021) Rv. 281085 - 01. Nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e' inammissibile ex articolo 606, comma 3, c.p.p., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiche' in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del "devolutum" ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimita'. (Sez. 6 -, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021 Ud. (dep. 27/05/2021) Rv. 281665 - 01. 1.2. Il reato di circonvenzione di incapace. In punto di configurabilita' del reato di cui all'articolo 643 c.p. occorre richiamare i seguenti principi che l'odierno collegio condivide integralmente: "Ai fini dell'integrazione dell'elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere: (a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali: (b) l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un'apprezzabile attivita' di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; (c) l'abuso dello stato di vulnerabilita' del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilita' del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a se' o ad altri un profitto (Cass. Sez. 2, sent. n. 39144 del 20/06/2013, dep. 23/09/2013, Rv. 257068). Pacifico e', poi, in punto di diritto che "il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacita' di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione" (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013 - dep. 23/01/2014, P.O. in proc. De Mauro Luigi e altro, Rv. 25853701). Rientra, pertanto, nella nozione di "deficienza psichica" ex articolo 643 c.p. la minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione, perche' e' "deficienza psichica" qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilita' della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2, sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463). La Corte di Cassazione, in passato, ha avuto modo di chiarire quanto al concetto di induzione che indurre vuoi dire convincere, influire sulla volonta' altrui, essendo necessario, ai fini dell'integrazione del reato, uno stimolo, posto in essere dall'agente nei confronti del soggetto passivo, che determini quest'ultimo al compimento dell'atto dannoso, non essendo sufficiente giovarsi semplicemente delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (Sez. 2, sent. n. del 24/06/1985, Rv. 170826). E', poi, altrettanto pacifico che il convincimento circa la prova dell'induzione per la configurabilita' dell'articolo 643 c.p. ben puo' essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioe' risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, Sent. n. 17415 del 23/01/2009, dep. 23/04/2009, Rv. 244343). L'articolo 643 c.p. al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacita' di cui si e' detto) altri due elementi oggettivi: - l'induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un'apprezzabile attivita' di pressione morale e di persuasione Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331 che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto; - L'abuso dello stato di vulnerabilita' che si verifica quando l'agente, conscio della vulnerabilita' del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a se' o ad altri un profitto. 2. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. Il primo comune motivo appare formulato per motivi non consentiti ed e', comunque, da ritenere manifestamente infondato. La corte di appello, nel confermare la ricostruzione operata dal primo giudice e conformandosi alla giurisprudenza richiamata secondo cui ai fini della configurabilita' del delitto di circonvenzione di incapace e' sufficiente anche una minorata capacita' psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione psicologica, con una motivazione che non appare ne' carente ne' gravemente illogica ne' contraddittoria ha ritenuto gli imputati responsabili del reato di tentata circonvenzione di incapace in danno della (OMISSIS), ritenendo comprovato che la quest' ultima, novantenne, fosse persona affetta all'epoca dei fatti da "demenza vascolare moderata" con "disturbo nEurocognitivo che ne alterava il discernimento e l'autodeterminazione", come rilevato dal perito Dott. (OMISSIS). I giudici territoriali hanno, in particolare, chiarito come la stessa era soggetto assai suggestionabile, come percepito anche dagli impiegati di banca i quali, in occasione dell'accesso presso l'istituto di credito del (OMISSIS) finalizzato ad ottenere la nuova intestazione delle polizze assicurative verificatosi in data 15/12/2017, insospettiti anche in ragione dello stato confusionale della vittima, avevano ritenuto di avvertire le forze dell'ordine, precisando che in epoca di poco precedente ai fatti la predetta era stata ricoverata presso l'istituto "(OMISSIS)" perche' affetta "da frequenti perdite di memoria" e che gia' nel luglio 2017 la farmacista di fiducia della (OMISSIS) aveva constato che la predetta, spesso, si trovava in stato confusionale. E non puo' revocarsi in dubbio alla luce della ricostruzione dei fatti, come concordemente operata dai giudici di merito, che i predetti imputati fossero ben consapevoli dello stato in cui versava la (OMISSIS). Del resto per quanto concerne il profilo relativo alla riconoscibilita' dello stato di infermita' o deficienza psichica va ribadito che se e' vero che lo stesso deve essere oggettivo, non e' tuttavia necessario che tutti ne siano consapevoli, essendo richiesta la relativa consapevolezza solo in capo all'autore del reato desumibile anche dalla arrendevolezza del soggetto (v., in proposito, Cass. Sez. 5, sent. n. 6782 del 14.12.1977, rv 139201). A fronte di tali congrue argomentazioni non colgono in alcun modo le censure dei ricorrenti i quali, attraverso un richiamo, assolutamente parziale e frammentario, di talune considerazioni del perito - il quale non si sarebbe espresso, a loro dire, in termini di certezza sulle condizioni di salute della (OMISSIS) al momento dei fatti - o lamentando l'omessa valutazione delle conclusioni del consulente di parte Prof. (OMISSIS) ovvero di documenti in atti mirano, in modo del tutto inammissibile, ad una rilettura del materiale probatorio, senza addurre vizi motivazionali deducibili in questa sede alla luce dei limiti del sindacato di legittimita' come sopra indicati. Trattasi all'evidenza di profili che attengono alla mera valutazione del materiale probatorio di competenza esclusiva dei giudici di merito, non potendosi parlare, certamente, di travisamenti rilevabili nel giudizio di legittimita' sulla scorta dei principi richiamati al §.1.1. 2.2. Anche il secondo comune motivo e' da ritenere manifestamente infondato. Dalla lettura della sentenza impugnata e', invero, emersa la prova univoca in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale del reato ipotizzato. L'attivita' di induzione e di abuso, con riferimento agli episodi contestati, viene logicamente ed inequivocabilmente tratta dai comportamenti tenuti dagli imputati nei confronti della vittima nonche' dall'ampia istruttoria assunta, a comprova di una condotta finalizzata ad indurre la persona offesa ad intestare delle polizze ai ricorrenti, a seguito, evidentemente, di richieste del tutto ingiustificate e contrarie agli interessi della (OMISSIS). Risulta palese, dalla disamina delle complessive argomentazioni della sentenza impugnata, che la prova in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale delle condotte ipotizzate e' emersa dalla valutazione combinata di tutti i numerosi elementi indiziari raccolti e logicamente interpretati, sicche' non puo' in alcun modo parlarsi di una motivazione, carente ovvero illogica in ordine all'accertato abuso per induzione. A fronte di detta ricostruzione la tesi difensiva, finalizzata ad escludere la configurabilita' di una condotta di induzione mediante abuso cosi' come la negazione dell'elemento soggettivo (pure in ragione della condizione di forte disagio mentale della vittima, tale da essere percepita dai dipendenti della banca i quali avevano deciso di allertare le forze dell'ordine) non e' diretta a contestare la logicita' dell'impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimita' dall'articolo 606 c.p.p. e sopra richiamati. 2.3. In ordine al terzo motivo, quanto al dedotto vizio ex articolo 606 comma 1 lett.) b) c.p.p. per inosservanza dell'articolo 110 c.p. formulato dalla sola (OMISSIS) va evidenziato occorre rilevare che trattasi di censura priva di pregio alcuno. La circostanza che la p.o. si fosse determinata ad intestare le polizze alla (OMISSIS), unitamente al (OMISSIS), recandosi in banca con i dati anagrafici dei due soggetti, correttamente e' stata ritenuta sintomatica del pieno coinvolgimento della ricorrente, apparendo illogico ipotizzare che la stessa fosse del tutto inconsapevole di cio' e ben potendosi ritenere, come ricostruito dai giudici di merito, che la stessa ebbe a partecipare, sotto forma di agevolazione, di preparazione ovvero di rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, o autorizzazione a consentire l'intestazione anche a se' delle polizze de quibus. Del resto ai fini dell'accertamento del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non e' tenuto a precisare il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell'ambito dell'impresa criminosa, essendo sufficiente l'indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento dell'esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall'agente alla realizzazione del reato. (Sez. 2, Sentenza n. 48029 del 20/10/2016 Ud. (dep. 14/11/2016) Rv. 268177 - 01). 3. Il ricorso di (OMISSIS). 3.1. Il primo motivo e' aspecifico e, comunque, manifestamente infondato. Occorre qui integralmente richiamare le considerazioni svolte in ordine alle condizioni di deficienza psichica della persona offesa sopra richiamate, evidenziando come, la ricorrente nel rilevare che i giudici non avrebbero considerato che "gli atti dispositivi nell'interesse della (OMISSIS) venivano effettuati nel momento di pieno recupero, dopo una fase acuta di smarrimento" tende palesemente ad una lettura alternativa dei fatti ed ad una rivalutazione del compendio probatorio non confrontandosi adeguatamente con tutte le motivazioni dei giudici di merito i quali, con dovizia di argomentazioni, hanno ricostruito le condizioni patologiche e di disagio psichico della vittima all'epoca dei fatti, sicuramente noto alla imputata in ragione dei fatti per come svoltisi. Orbene, non sfugge che sulla questione sopra indicata la motivazione della sentenza impugnata va esente da censure essendosi nella stessa congruamente evidenziato (con rilievi di fatto fondati su prove documentali e con valutazioni di merito non sindacabili in questa sede ma idonee a confutare le principali tesi difensive che in questa sede sono state sostanzialmente riproposte) come la (OMISSIS), nella chiara consapevolezza delle condizioni in cui versava la p.o. e del condizionamento che subiva ad opera della stessa, aveva indotto la vittima a compiere una serie di atti pregiudizievoli per proprio patrimonio rispetto ai quali non aveva interesse alcuno. Sotto altro profilo va sottolineato che, correttamente, la attivita' di induzione e' stata dedotta dalla effettuazione di una serie di atti implicanti il depauperamento del patrimonio della vittima in favore dell'imputata senza alcun interesse per la persona offesa, sicuramente del tutto condizionata dalla ricorrente. Val del resto rilevato che in tema di circonvenzione di persone incapaci, la prova della condotta induttiva puo' risultare anche da elementi indiziari e prove logiche come la natura dell'atto posto in essere e l'incontestabile pregiudizio da esso derivato, nonche' dagli accadimenti piu' strettamente connessi al suo compimento. (Sez. 2 -, Sentenza n. 51192 del 13/11/2019 Ud. (dep. 19/12/2019), Rv. 278368 - 01). 3.2. Le censure avanzate con il secondo ed il terzo motivo non colgono in alcun modo nel segno. Va evidenziato, quanto al primo profilo, che la Corte di appello si e' limitata a rilevare nella parte motiva che la malafede era desumibile dalla riluttanza nella consegna dell'atto non facendo cenno significativo questione relativa alla denunzia di smarrimento, sicche' non puo' ritenersi in alcun modo inficiato complessivo ragionamento nella parte in cui e' stata ricostruita la condotta dolosa dell'imputata, basata su molteplici altri dati istruttori. A fronte dell'inequivoco quadro probatorio come ricostruito dalla Corte territoriale, e', poi, del tutto evidente che le censure che la ricorrente ripropone in questa sede relativamente al fatto che l'incapacita' della vittima non fosse percepibile, come sarebbe desumibile da alcuni dati probatori (in particolare dichiarazioni rese dagli operatori bancari (OMISSIS) e (OMISSIS) asseritamente oggetto di travisamento) appaiono di puro merito non solo perche' la Corte di appello ha sostanzialmente confutato la medesima doglianza, con motivazione nella quale non sono ravvisabili manifeste illogicita', ma anche perche' i giudici di merito hanno evidenziato elementi fattuali riferibili all'imputata (cfr. ff. 3-4) che indicano con certezza che, al di la' di quello che terzi totalmente estranei potevano percepire dello stato di deficienza della vittima, la (OMISSIS), proprio per la tipologia di rapporti intercorsi, si era perfettamente resa conto del suddetto stato di deficienza psichica della (OMISSIS) quale non ebbe remora ad approfittarsene inducendola a compiere atti spoliativi del suo patrimonio di sicuro vantaggio economico per l'imputata. Invero la ricorrente, solo formalmente, ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come non plausibilita' delle premesse dell'argomentazione, irrazionalita' delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni ne' e' stata lamentata, fondatamente, una reale incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento. Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilita' dell'imputata in ordine ai reati di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorieta' della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate. 4. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilita' consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche' al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro tremila. 4.1. Gli imputati vanno condannati, inoltre, in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) liquidate in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. 4.2. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n.196/03 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - rel. Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 31/1/2022 della Corte d'appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Pistorelli Luca; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Ceroni Francesca, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di (OMISSIS) per il reato di appropriazione indebita e (OMISSIS) per quello di falso in testamento olografo continuato. 2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati con atto a firma del comune difensore articolando quattro motivi. 2.1 Con il primo vengono dedotti violazione di legge e vizi di motivazione, eccependosi la nullita' del giudizio di primo grado per il mancato accoglimento dell'istanza di rinvio dell'udienza del 30 gennaio 2020 per legittimo impedimento del difensore dovuto a concomitante impegno professionale. Osservano i ricorrenti Che nella suddetta udienza il Tribunale ha rigettato l'istanza, ritenendo erroneamente che la stessa non fosse presente in atti. All'udienza successiva, accortosi dell'errore, ha invece respinto l'istanza di sanare la nullita' consentendo l'audizione del proprio consulente tecnico prevista in quella a cui il difensore non aveva potuto partecipare. Il Tribunale ha respinto anche tale richiesta ribadendo la legittimita' del rigetto dell'istanza di rinvio, ancorche' con diversa motivazione, ossia evidenziando che la stessa avrebbe dovuto essere presentata non appena il difensore aveva avuto notizia dell'impedimento. Motivazione ribadita dalla Corte territoriale dinanzi alla quale l'eccezione e' stata riproposta e che sarebbe illegittima in quanto alcuna disposizione imporrebbe al difensore di avvertire il giudice che dispone un rinvio della concomitanza di altro impegno professionale. 2.2 Analoghi vizi vengono denunziati con il secondo motivo in merito alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita. In proposito lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che, fino al settembre 2012, le due anziane cui la (OMISSIS) faceva da badante godevano di ottima salute e che dunque l'imputata utilizzava con il loro consenso il bancomat delle stesse per effettuare le spese necessarie al loro sostentamento, mentre, successivamente al degenerare delle loro condizioni di salute, la carta di debito era stata bloccata dagli amministratori di sostegno nel frattempo nominati e, dunque, la (OMISSIS) a partire da quel momento non aveva potuto piu' utilizzare la stessa, non essendosi quindi appropriata indebitamente di alcuna somma, come dimostrato dagli estratti del conto sul quale la tessera bancomat operava, con il conseguente difetto dell'ingiusto profitto necessario per la sussistenza del reato. Quanto all'episodio evocato dalla sentenza relativo all'accesso degli amministratori di sostegno all'abitazione delle anziane per ottenere la restituzione del bancomat e delle chiavi, nel corso del quale gli stessi sarebbero stati minacciati dal marito dell'imputata, erroneamente la Corte avrebbe identificato quest'ultimo nel (OMISSIS), quando pacificamente risulterebbe che egli fosse altrove e, soprattutto, non e' sposato con la (OMISSIS). 2.3 Con il terzo motivo si lamenta che, nel valutare la responsabilita' del (OMISSIS), i giudici del merito non avrebbero tenuto conto del fatto che le due anziane lo consideravano alla stregua di un congiunto e che le stesse avevano invece manifestato avversione verso i propri parenti, nonche' della volonta' ripetutamente espressa dalla (OMISSIS) di nominare l'imputato proprio erede. Non di meno le risultanze della perizia grafologica disposta nel giudizio dimostrerebbero che il testamento della stessa (OMISSIS) sarebbe sostanzialmente autentico e che parimenti autentica sarebbe la parte iniziale e la sottoscrizione di quello di (OMISSIS). 2.4 Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti eccepiscono l'intervenuta prescrizione di entrambe i reati gia' prima della pronunzia della sentenza impugnata. 3. Il 3 marzo 2023 il difensore degli imputati ha trasmesso memoria con la quale ha ribadito e ulteriormente argomentato i motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito esposti. 2. Pregiudiziale e' l'esame dell'eccezione processuale proposta con il primo motivo, che e' peraltro manifestamente infondata. Come rilevato dalla sentenza impugnata e come risulta dagli atti, il Tribunale ha legittimamente rigettato l'istanza di rinvio dell'udienza del 30 gennaio 2020, posto che la stessa era stata intempestivamente presentata avendo il difensore avuto contezza del concomitante impegno professionale gia' al momento in cui, all'udienza del 14 novembre 2019, era stato disposto il rinvio del processo alla data succitata. Ne' rileva la motivazione del rigetto inizialmente adottata dal giudice di primo grado, posto che la sua decisione era comunque corretta in diritto alla luce del costante insegnamento di questa Corte, secondo cui, perche' l'impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento che da' luogo ad assoluta impossibilita' a comparire, e' necessario che questi prospetti l'impedimento e chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneita' dei diversi impegni (per tutte Sez. U, Sentenza n. 4708 del 27/03/1992, Fogliani, Rv. 190828). 3. Parimenti inammissibili sono le censure articolate nell'interesse della (OMISSIS), mera riedizione delle doglianze gia' proposte con il gravame di merito e che la Corte territoriale ha esaustivamente confutato con motivazione con la quale il ricorso non si e' compiutamente confrontato ovvero ha contestato in maniera meramente assertiva. In particolare del tutto generiche si rivelano le contestazioni fondate sul contenuto attribuito ai giudici del merito agli estratti conto che certificano i prelievi effettuati dall'imputata con il bancomat delle due anziane che assisteva. Infatti, nella sostanza la difesa eccepisce il travisamento della menzionata prova, che pero' viene soltanto evocata, senza che i documenti che ne costituiscono la fonte siano stati allegati o riportati nel ricorso, impedendo cosi' al giudice di legittimita' di apprezzare l'effettivo fondamento del vizio denunziato. Sempre in relazione alla posizione della (OMISSIS) il ricorso concentra la propria attenzione sulla mancata riconsegna della tessera bancomat agli amministratori di sostegno che l'avevano richiesta, senza considerare che la Corte ha considerato consumato il reato gia' in occasione dell'effettuazione da parte dell'imputata di prelievi di danaro nel proprio esclusivo interesse e profitto anche successivamente alla nomina dei menzionati amministratori, la cui prova ha ritratto dai menzionati estratti conto. Del tutto irrilevante e' dunque l'episodio relativo alle minacce asseritamente proferite dal marito della (OMISSIS), tanto piu' che lo stesso nemmeno e' stato evocato dalla sentenza impugnata, che, dunque, non ha tratto da tale episodio argomenti al fine di affermare la responsabilita' dell'imputata. Conseguentemente l'eventualita' che il giudice di primo grado abbia confuso il (OMISSIS) con il marito della medesima, assai enfatizzato dalla difesa, rimane parimenti irrilevante. Il ricorso della (OMISSIS) deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile e l'imputata condannata al pagamento delle spese processuali e della somma ritenuta equa di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. 4. Venendo alle censure specificamente dedicate all'affermazione della responsabilita' del (OMISSIS) per i reati allo stesso contestati, generiche risultano le obiezioni relative alla mancata considerazione della presunta volonta' manifestata in vita dalle menzionate anziane di nominare l'imputato quale loro erede, posto che ancora una volta il ricorso rinvia in proposito a non meglio specificate risultanze processuali in grado di comprovare la circostanza, ma, soprattutto, non precisa la decisivita' della stessa. Peraltro la sentenza non ha per nulla trascurato l'analogo rilievo svolto con i motivi d'appello, ma l'ha ritenuto infondato nella misura in cui alcuna effettiva prova di tale affezione era stata fornita dalla difesa. Ed a maggior ragione, dunque, il ricorso avrebbe dovuto indicare in maniera specifica le risultanze processuali eventualmente ignorate dalla Corte di merito. Generiche e versate in fatto sono altresi' le doglianze relative alla ritenuta falsita' del testamento di (OMISSIS), in merito alla quale il ricorso non argomenta per quali ragioni l'asserita autografia di una sua limitata parte consentirebbe di attribuire alla stessa l'intero scritto, come invece logicamente motivato dalla sentenza impugnata. Sono invece fondate le ulteriori censure formulate dal ricorrente con riguardo all'altro testamento, quello di (OMISSIS), in merito alla cui falsita' effettivamente la sentenza impugnata risulta sostanzialmente apodittica, nella misura in cui non ha spiegato per quali ragioni abbia ritenuto piu' convincenti le conclusioni raggiunte dal consulente officiato nel giudizio civile ad oggetto l'impugnazione dell'atto piuttosto che quelle del perito nominato nel presente procedimento, posto che le stesse divergono anche sulla effettiva interferenza della patologia da cui era afflitta la donna sull'aspetto della grafia dello scritto, profilo che pure la Corte territoriale ha ritenuto dirimente ai fini della propria decisione. Deve allora rilevarsi che, successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, si e' compiuto il termine di prescrizione del reato ad oggetto il testamento della (OMISSIS), anche tenuto conto dei 487 giorni in cui lo stesso e' rimasto sospeso nel corso dei gradi di merito, posto che la sua data di consumazione non e' quella di accertamento riportata nel capo d'imputazione, bensi' quella anteriore della pubblicazione del testamento. Conseguentemente in relazione a tale reato e nei confronti del (OMISSIS) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per la ragione esposta ed annullata anche gli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Ininfluente e' invece la maturazione della prescrizione in relazione all'altro reato contestato all'imputato, posto che anche in questo caso il termine - calcolato con le stesse modalita' illustrate in precedenza - e' decorso successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata e che con riferimento a tale capo i motivi di ricorso sono stati ritenuti inammissibili. Non di meno, in conseguenza del disposto annullamento senza rinvio del capo relativo al reato in danno della (OMISSIS), la sentenza deve essere anche annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in riferimento al residuo reato ad oggetto il testamento della (OMISSIS). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di falso commesso ai danni di (OMISSIS), perche' estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza agli effetti civili, relativamente al reato di cui sopra, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di falso commesso in danno di (OMISSIS), limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del (OMISSIS). Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI PAOLA Sergio - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - rel. Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. SARACO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 02/11/2022 del TRIBUNALE di CATANZARO; Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO LUIGI; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa GIORGIO LIDIA, che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentiti i difensori, Avv. (OMISSIS) del foro di Roma e Avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro, i quali hanno concluso riportandosi ai motivi dei ricorsi. CONSIDERATO IN FATTO 1. Con ordinanza del 02/11/2022 il Tribunale di Catanzaro, decidendo sull'istanza di riesame presentata nell'interesse di (OMISSIS) avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale di Catanzaro del 04/10/2022, applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui ai capi a) associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti di accesso abusivo a sistema informatico, falso, riciclaggio e autoriciclaggio, corruzione - e d) - truffa aggravata - della provvisoria incolpazione, annullava il provvedimento impugnato limitatamente al capo d), da ritenersi assorbito nella fattispecie contestata al capo e) ai sensi dell'articolo 491 c.p. (falsita' in testamento olografo), e confermava nel resto, anche in ordine alla misura cautelare in essere. In sintesi, al ricorrente, di professione commercialista, viene attribuito il ruolo di partecipe dell'associazione con il compito di riscuotere, in qualita' di procuratore speciale, somme giacenti presso gli uffici postali derivanti da eredita' di soggetti precedentemente individuati, di fornire informazioni sulla situazione familiare di possibili vittime, di emettere fatture false a favore della (OMISSIS) s.r.l. per occultare la provenienza illecita del danaro confluito nelle casse della societa' gestita da (OMISSIS). 2. Avverso il provvedimento di riesame propone un duplice ricorso per cassazione l'indagato, tramite gli stessi difensori di fiducia. 2.1. Con il primo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS) e dell'avv. (OMISSIS), sono articolati tre motivi di gravame, con i quali si eccepisce: - violazione di legge per il difetto di autonoma valutazione, specie con riferimento all'elemento soggettivo del reato associativo ed all'emissione di fatture false per lavori edilizi fittizi, effettuati dalla (OMISSIS) s.r.l. presso le farmacie gestite dall' (OMISSIS); - violazione di legge e vizio di motivazione circa gli elementi costituivi della condotta partecipativa, con travisamento delle prove, in quanto se il piano criminale consisteva nell'utilizzo di atti testamentari falsi, al fine di appropriarsi del patrimonio di soggetti in apparenza privi di eredi, il modus operandi dello (OMISSIS) era quello di avvalersi di professionisti diversi, incaricati al momento, si' che il contributo di costoro - e, fra essi, dell' (OMISSIS) - era limitato al singolo episodio, senza alcuna consapevolezza di far parte di un sodalizio, escludendosi per tali ragioni l'ipotesi associativa; in particolare, i messaggi scambiati con lo (OMISSIS), ai quali i giudici del merito cautelare avevano attribuito valenza indiziaria circa la partecipazione al conseguimento degli scopi dell'associazione, mediante reperimento di nominativi di soggetti deceduti senza eredi, avevano valenza neutra, perche' generici e non riscontrati dagli atti di indagine; - violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alle esigenze cautelari, non sussistendo pericolo di reiterazione ne' rischio di inquinamento delle prove, specie a seguito dell'annullamento disposto per l'unico reato - fine sub d). 2.2. Con il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) e dell'Avv. (OMISSIS) sono stati ugualmente articolati tre motivi di ricorso. Con il primo motivo si censura il giudizio di gravita' indiziaria, effettuato dal tribunale senza approfondimento delle ragioni difensive, tese ad evidenziare la mancanza degli elementi necessari, secondo la giurisprudenza, per ritenere integrata la fattispecie di cui all'articolo 416 c.p.. Se il Gip aveva valorizzato a tal fin l'attribuzione al ricorrente di un solo reato fine, il tribunale, annullando l'ordinanza genetica rispetto alla condotta sub d), aveva ricercato altri momenti funzionali al perseguimento degli obiettivi criminosi della consorteria sulla base di evenienze irrilevanti (lo scambio di alcuni messaggi tra l' (OMISSIS) e lo (OMISSIS), l'interessamento per le posizioni ereditarie di (OMISSIS) e (OMISSIS)), traendone conclusioni illogiche, ben al di la' dell'unica congettura possibile ossia di una intesa delittuosa esclusivamente con lo (OMISSIS), nell'assoluta carenza di indizi circa la consapevolezza di far parte di un sodalizio criminoso; in senso contrario, non poteva essere valutato il trasferimento di 250.000 Euro dalla madre dello (OMISSIS), (OMISSIS), al padre del ricorrente, perche', al di la' della liceita' dell'operazione, documentata dalla difesa e non considerata dal tribunale, si trattava di condotta che si inseriva in una porzione delittuosa senza nulla dimostrare in punto di intraneita' associativa del ricorrente. Altro argomento non affrontato nell'ordinanza impugnata era l'entita' della somma corrisposta al ricorrente quale prodotto delle condotte delittuose, di gran lunga superiore a quella, di appena 3.000,00 Euro, versata a (OMISSIS), con un maggiore coinvolgimento nei fatti, secondo l'impostazione accusatoria. Infine, nulla era stato argomentato sul dato temporale riferito all'associazione e sul tempo piu' ristretto in cui l' (OMISSIS) si sarebbe attivato; sulla conoscenza della falsita' del testamento olografo di cui ai capi d), e), f); sull'attribuzione della falsita' dei dati nello scambio di informazioni con lo (OMISSIS); sull'estraneita' alle condotte di riciclaggio in ragione della specifica competenza professionale, qualifica (di commercialista) che giustificava anche il ruolo svolto nell'interesse della madre dello (OMISSIS); sulla mancanza di cautele nello scambio di messaggi e telefonate con quest'ultimo. Con il secondo motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione sono riferiti alla ritenuta esistenza di un'associazione a delinquere, nonostante il coinvolgimento di soggetti sempre diversi, in fasi temporali tra loro distanti e con compiti estemporanei. Con il terzo motivo, infine, si censura la valutazione delle esigenze cautelari, ritenute tali da non poter essere salvaguardate con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari. 2.3. Con note difensive del 17 febbraio 2023 i difensori del ricorrente hanno comunicato la sopravvenuta sostituzione degli arresti domiciliari con la meno gravosa misura dell'obbligo di presentazione alla P.G., allegando il relativo provvedimento del Gip; hanno rinunciato pertanto al terzo motivo dei rispettivi ricorsi, in tema di esigenze cautelari, insistendo sui primi due, relativi ai gravi indizi di colpevolezza. RITENUTO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso relativi ai gravi indizi di colpevolezza circa la partecipazione del ricorrente all'associazione a delinquere contestata al capo A) sono fondati. 2. L'ordinanza impugnata, infatti, pur richiamando correttamente gli elementi fondamentali che caratterizzano il reato associativo, con particolare riferimento, sul versante psicologico, alla permanente consapevolezza dell'associato di far parte del sodalizio criminoso e di rendersi disponibile a cooperare per l'attuazione del comune programma delinquenziale (pag.9), non ha tuttavia applicato tale criterio valutativo alla fattispecie in esame, nel senso che la gravita' indiziaria prescinde nel ragionamento del tribunale da tale indefettibile requisito. 3. Dal testo del provvedimento si evincono riscontri circa la condotta dell' (OMISSIS) consistita nell'individuazione di soggetti in eta' avanzata, privi di familiari, con consistenze patrimoniali, al fine di consentire al complice (OMISSIS) di entrare in possesso di cospicue somme di danaro, attraverso falsi eredi. In tal senso, l'episodio di (OMISSIS), per il quale l' (OMISSIS) e' indagato per il reato di falsita' in testamento olografo sub e) ex articolo 491 c.p.: le operazioni intercettive ed i riscontri investigativi hanno consentito di delinearne il ruolo nell'affare illecito (nominato procuratore speciale di (OMISSIS), madre dello (OMISSIS) e erede fraudolenta del (OMISSIS), in base ad un testamento con firma non riconducibile al de cuius, ha egli stesso incassato una consistente parte delle somme riconducibili all'eredita', attraverso movimentazioni bancarie tracciate pagine 7 e 8; inoltre, allo (OMISSIS), in piu' occasioni, l'indagato ha indicato nominativi in grado di assicurare cospicue eredita' - significativi i messaggi intercettati, riportati alle pagine 11 e 12). Se, quindi, puo' desumersi che l' (OMISSIS) fosse a conoscenza dello scopo finale cui erano orientate le sue ricerche e che avesse agito al fine precipuo di trarre profitto personale - come nel caso della percezione della somma di 250.000 Euro, transitata dal conto corrente della (OMISSIS) a quello del padre e da costui trasferitagli, con la causale "regalo", per essere poi prelevata ed utilizzata per l'acquisto di una farmacia - l'accertamento in fatto, insindacabile in questa sede perche' entro tali limiti sorretto da congruita' argomentativa, non puo' estendersi all'ulteriore conclusione secondo cui il ricorrente agiva "collaborando alle attivita' del gruppo" (pag.12). 4. In particolare, i giudici del merito cautelare hanno inserito l'indagato in un meccanismo collaudato, scandito da fasi ben precise, caratterizzate da condotte attribuite ai singoli sodali (cfr. modus operandi a pag.11). Il salto logico, rilevante sotto il profilo del vizio motivazionale, consiste nel collegare l'attivita' delittuosa posta all'inizio di tale meccanismo (fase di individuazione degli obiettivi, riferita oltre che all' (OMISSIS) ed allo (OMISSIS), anche al (OMISSIS)) agli altri segmenti dell'azione criminosa ed alle azioni dei relativi protagonisti. I gravi indizi di colpevolezza non superano cioe' l'ambito dell'accordo illecito con lo (OMISSIS) e del concorso con costui nella commissione dei reati ipotizzabili, perdendo consistenza rispetto alla fattispecie associativa, posto che non sono indicati gli elementi dai quali desumere, anche attraverso il metodo logico-induttivo, la partecipazione all'associazione, mancando l'accertamento di un rapporto dell'interessato con altri soggetti, oltre lo (OMISSIS), ritenuti sicuramente partecipi del sodalizio, con l'intesa di realizzare il comune pactum sceleris; e' carente, soprattutto, la gravita' indiziaria circa la consapevolezza dell'associato, ossia l'acquisizione di comportamenti significativi che si concretino in un attivo e stabile contributo all'attivita' associativa, anche se per una fase temporalmente limitata. E se e' vero che anche la partecipazione ad un episodio soltanto della condotta delittuosa programmata puo' costituire elemento indiziante dell'appartenenza all'associazione - nel caso di specie il reato contestato sub e) il valore di tale indizio e' sicuramente ridotto ed e' necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile l'affectio societas dell'agente; completamento probatorio carente negli snodi argomentativi del tribunale. 5. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro perche' adegui la motivazione e le conclusioni ad essa conseguenti ai richiamati principi di diritto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. ALIFFI Frances - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 30/09/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALIFFI FRANCESCO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa DE MASELLIS MARIELLA che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto indicato nel preambolo Corte di appello di Venezia ha parzialmente riformato il provvedimento con cui il Tribunale, in data 6 luglio 2020, aveva sottoposto alla misura di prevenzione della confisca numerosi beni, immobili e non, nella disponibilita' di (OMISSIS) e della figlia (OMISSIS). Piu' in dettaglio, ha revocato la confisca di un immobile ubicato a Milano nonche' di una somma di denaro depositata sul conto corrente cointestato alla (OMISSIS) e a (OMISSIS), disponendone la restituzione agli aventi diritto, ed ha confermato la confisca degli ulteriori beni, ritenuti tutti nella disponibilita', diretta o indiretta, della (OMISSIS), ritenuta persona socialmente pericolosa ai sensi del Decreto Legislativo 6 novembre 2011, n. 159, articolo 1, lettera b), tra cui un appartamento formalmente intestato alla figlia, ubicato in (OMISSIS). 2. Avverso il decreto hanno proposto ricorso (OMISSIS) destinataria della proposta sia la (OMISSIS) quale terza interessata. 3. Nel ricorso redatto nell'interesse della (OMISSIS) dai difensori di fiducia, avv.ti Ghini Roberto e Inserra Gaetano, sono sviluppati una pluralita' di motivi. 2.1. Con il primo e' dedotta l'inosservanza del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b) nonche' motivazione apparente in ordine al giudizio di pericolosita' sociale al momento dell'acquisto dei beni confiscati. Sostiene la ricorrente che tale giudizio sarebbe fondato non su elementi di fatto ma su "generiche prospettazioni di realizzazione di illeciti", mai accertati nella loro componente oggettiva. Lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale, discostandosi dalle argomentazioni del provvedimento appellato, basate sugli elementi investigativi posti a fondamento dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare, abbia continuato ad inquadrare la ricorrente nella categoria di pericolosita' di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), quale persona che vive abitualmente con i proventi di attivita' delittuose, nonostante la sentenza, sopravvenuta nel giudizio di merito di primo grado, abbia pronunciato condanna, sulla scorta delle prove dibattimentali, solo in relazione a tre dei numerosi episodi di usura ascrittile, assolvendola dagli altri. In tal modo, ha disatteso il principio, affermato da numerose pronunce della giurisprudenza di legittimita', analiticamente richiamate, in forza del quale il giudice della prevenzione non puo' ritenere in via autonoma rilevante quale elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosita' il fatto coperto dal giudicato di assoluzione. Per di piu', tutti i fatti di usura per i quali e' intervenuta assoluzione non sono stati accertati, nelle componenti oggettive e soggettive, posto che il giudice della cognizione ha ritenuto sussistenti le condotte di elargizione di prestiti senza la pattuizione di interessi, dalle quali, pertanto, non puo' in alcun modo desumersi la provenienza illecita delle risorse utilizzate per l'acquisto dei beni confiscati. Alla stessa conclusione, favorevole alla prevenuta, deve pervenirsi con riferimento agli ulteriori reati di usura per i quali la sentenza ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione. Anche in questo caso, i fatti ascritti non sono stati delineati con sufficiente chiarezza e sono anch'essi leciti e, comunque, inidonei a generare illecito arricchimento. Aggiunge la ricorrente che la Corte distrettuale ha seguito un percorso motivazionale carente anche in ordine alla perimetrazione del periodo di pericolosita' sociale. A fronte della consumazione delle usure tra il novembre 2007 e l'anno 2007 ha individuato l'epoca di inizio della pericolosita' della (OMISSIS) a partire "dalla fine degli anni 901" attribuendo decisiva rilevanza alle testimonianze rese nel giudizio di cognizione dalle persone offese (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), senza minimamente soffermarsi sui rilevi difensivi che avevano escluso la loro attendibilita' riportandosi alle stesse argomentazioni gia' spese nella sentenza che aveva definito il procedimento in primo grado. La correlazione temporale tra l'acquisto dei beni e la condotta illecita, in stridente contrasto coi principi affermati dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, avrebbe dovuto essere circoscritta all'epoca in cui sono stati commessi i tre episodi accertati in sede penale, adeguatamente valorizzando il dato pacifico che i predetti reati hanno generato un profitto limitato, comunque inidoneo a costituire la provvista utilizzata per le successive acquisizioni patrimoniali. 3.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza di legge e assenza di motivazione in relazione presupposti applicativi della misura di prevenzione della sproporzione dei redditi rispetto agli acquisiti dei beni confiscati e della violazione delle regole sull'onere probatorio. La Corte di appello, senza attivare i poteri di integrazione probatoria di ufficio pur sollecitati dalla difesa con specifiche indicazioni (per esempio con riferimento alla polizza assicurativa (OMISSIS)), ha ritenuto dimostrata l'assenza di redditi leciti in capo alla (OMISSIS) e la sproporzione tra le risorse utilizzate dalla stessa per gli acquisti dei beni confiscati e i capitali leciti, nonostante sia stata dimostrata, nei termini previsti dal procedimento di prevenzione patrimoniale, quindi attraverso l'assolvimento di un onere di allegazione o giustificativo, lo svolgimento da parte della prevenuta di attivita' imprenditoriale, stirerie e lavanderie, e l'acquisizione di cespiti ereditari trasmessi dal padre. In quest'ottica, ha ritenuto non sufficienti le prove testimoniali assunte nel giudizio di merito e nel contraddittorio delle parti (analiticamente richiamate nelle pagine da 41 a 43 del ricorso) volte a ricostruire l'attivita' imprenditoriale, pur contraddittoriamente riconoscendo che non era possibile fornire la prova sul punto attraverso mezzi diversi, attingendo, per esempio, a banche dati informatizzate. Cosi' opinando, ha finito per pretendere prove documentali risalenti a molti decenni addietro e non piu' conservate, come le scritture contabili delle imprese gestite dalla prevenuta ed il testamento olografo redatto dal padre. 3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione ai paragrafi 6.1. e 6.2 della Convenzione EDU. La Corte di appello non ha preso in alcuna considerazione i rilievi sviluppati nell'atto di appello sulla violazione dei principi della presunzione di innocenza e della parita' delle armi tra accusa e difesa, come interpretati dalle Corti sovrannazionali. Eppure e' pacifico che la difesa non ha avuto le stesse facilitazioni dell'accusa nella prova degli elementi a discarico, non ha avuto accesso ai dai bancari piu' risalenti necessari per ricostruire la provvista impiegata nell'acquisto dei beni confiscati ne' ha potuto addurre testimonianze sui medesimi punti e non ha nemmeno avuto assicurato il rispetto della sentenza di assoluzione. 4. (OMISSIS) nel ricorso redatto dall'avv. Scarpellini Andrea articola in un unico motivo piu' censure per violazione di legge, in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 2, e articolo 27, comma 2, nonche' per assenza di motivazione. Lamenta che la Corte di appello, preso atto della sua assoluzione da tutti i reati ascrittile nel giudizio di merito strettamente collegato a quello di prevenzione e dalla conseguente impossibilita' di qualificarla come soggetto pericoloso, abbia, comunque, confermato la confisca dell'immobile di cui la stessa e' formale proprietaria, ubicato in (OMISSIS), ritenendolo nella disponibilita' della madre, rispetto alla quale ha confermato il giudizio di pericolosita', senza una reale motivazione che desse conto, cosi' come fatto in relazione ad immobile di sua proprieta' ubicato a Milano, anche degli elementi rappresentati dalla difesa per dimostrare che il bene immobile era rimasto sempre nella sua esclusiva disponibilita'. Evidenzia la ricorrente che, nonostante i limiti normativamente previsti in materia, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello non puo' resistere al sindacato di legittimita' essendo meramente apparente, privo di coerenza, logicita' ed esame critico degli elementi di fatto e di diritto dedotti dalla difesa, e comunque non in grado di spiegare le ragioni a fondamento della decisione. Il provvedimento impugnato ha considerato decisivi l'inserimento dell'unita' immobiliare nel residence di proprieta' di una delle societa' controllate dalla (OMISSIS), la sua formale cessione da tale societa' alla ricorrente attraverso un'operazione, solo apoditticamente, definita priva di significato sul piano economico, ed il libero accesso della (OMISSIS), anche dopo la dismissione della societa', desunto dalla destinazione a reception dell'intera struttura di una delle stanze che lo compongono. La disponibilita' di fatto in capo alla (OMISSIS) rilevante ai fini della confisca e' stata desunta da elementi, oltre che equivoci, fondati su errori macroscopici, quale l'attribuzione alla societa' della (OMISSIS) di una porzione marginale dell'appartamento resa appositamente autonoma dagli altri locali. D'altra parte, che la ricorrente avesse mantenuto la disponibilita' effettiva dell'appartamento e' ampiamente dimostrato dagli atti allegati all'atto di appello: fotografie, dichiarazioni testimoniali, piante catastali, attestazione di pagamento di rate del mutuo. La Corte non ha nemmeno provveduto sulla richiesta subordinata della difesa di revoca del provvedimento ablativo limitatamente alla parte dell'immobile rimasta nella disponibilita' della (OMISSIS), pur trattandosi di bene suscettibile di utilizzazione separata e giuridicamente divisibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va, in premessa, ricordato che, ai sensi della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, L. n. 575 del 1965, articolo 3-ter, comma 2, il cui testo e' oggi trasfuso rispettivamente nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, e nell'articolo 27, comma 2, avverso il decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali "e' ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato e del suo difensore". Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, questa formula fa escludere che il ricorrente possa dedurre il vizio di motivazione previsto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). In subiecta materia, pertanto, con il ricorso per cassazione e' possibile denunciare, oltre alla "mancanza assoluta" della motivazione, soltanto un difetto di coerenza, di completezza o di logicita' della stessa, tale da farla di fatto ritenere "apparente" e inidonea a rappresentare le ragioni della decisione in violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 2. Non puo' essere, invece, proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365). 2. Cosi' circoscritti i limiti del sindacato esercitabile in questa sede, entrambi i ricorsi non superano il vaglio di ammissibilita'. 2.1. I motivi dedotti da (OMISSIS), che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste, sono in larga parte non consentiti - laddove o denunciano vizi logici dell'apparato argomentativo relativo al giudizio di sproporzione e di pericolosita', tutt'altro che inesistente ma ampio ed approfondito, o sollecitano nuovi apprezzamenti sull'attendibilita', soggettiva ed oggettiva, dei testimoni. Quest'ultima, come e' noto, e' attivita' preclusa anche nei giudizi di legittimita' dove puo' farsi valere il vizio di motivazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). Nel resto sono manifestamente infondati perche' deducono violazioni di legge insussistenti in tema di valutazione delle sentenze di assoluzione nel giudizio di prevenzione, di ripartizione dell'onere della prova nel giudizio di prevenzione patrimoniale e dei presupposti della confisca di prevenzione. Sostiene la ricorrente che il decreto impugnato, ai fini del giudizio di pericolosita' sociale e della sua perimetrazione temporale nonche' per accertare la provenienza illecita dei fondi utilizzati per formare la provvista destinata all'acquisto dei beni confiscati, ha attribuito rilievo decisivo alla consumazione di reati per i quali e' intervenuta assoluzione irrevocabile nel parallelo giudizio di cognizione. L'assunto non tiene conto del reale contenuto dell'apparato argomentativo del provvedimento impugnato che ha fatto buon governo dei principi espressi sul tema dalla giurisprudenza di legittimita'. 2.1.1. Con riferimento alla sussunzione del proposto in una delle categorie di pericolosita' di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articoli 1 e 4, e' stato condivisibilmente affermato che il giudice della prevenzione puo' fondare la sua valutazione incidentale su elementi dimostrativi diversi dall'esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, ma non in via decisiva su esiti assolutori di eventuali procedimenti penali. Conseguentemente, in sede di verifica della pericolosita' di soggetto proposto per l'applicazione di misura ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 1, comma 1, lettera b), non possono ritenersi irrilevanti, in base al principio della "valutazione autonoma", fatti illeciti per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione, atteso che la norma sopra richiamata richiede, quale presupposto applicativo della misura preventiva, la constatazione di ricorrenti attivita' delittuose produttive di reddito. L'unica ipotesi di possibile valutazione autonoma dei fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo a condanna e' rappresentata dalla sentenza di proscioglimento per prescrizione in cui il fatto sia delineato con sufficiente chiarezza (Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, Scagliarini Rv. 264319 01; Sez. 5 n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145 - 01; contra, sia pure con riferimento soltanto alle sentenze di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Staniscia, Rv. 282655 - 01; Sez. 2 n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862 - 01).). Il decreto impugnato (soprattutto da pag. da 35 a 45 e 71) non ha travalicato tali limiti in quanto ha desunto la pericolosita' sociale della (OMISSIS) e la sua durata nel tempo o da fatti - reato per i quali e' intervenuta condanna (le usure continuate commesse ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel periodo compreso tra novembre 2006 e luglio 2010) o dalle prove poste a sostegno del giudizio di colpevolezza (le dichiarazioni di (OMISSIS) sull'inizio dell'attivita' illecita mediante la concessione di prestiti a tassi usurari e no) o da fatti - reato per i quali e' intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione (oltre ai tre reati di intestazione fittizia, i reati di abusiva attivita' finanziaria). Con specifico riferimento ai reati interessati all'assoluzione, si e' limitata a costatare che l'accertamento che li riguarda, per quanto favorevole alla prevenuta, non elide ne' mette in crisi il giudizio di pericolosita' sociale, posto che il giudice di cognizione, pur in assenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto cui all'articolo 644 c.p. ed in particolare il tasso usurario, aveva comunque considerato adeguatamente provata la sistematica partecipazione della (OMISSIS) all'attivita' di concessione dei prestiti con pattuizione di interessi, ritenuta comunque illecita perche' eseguita in violazione del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, al punto da disporre, ai sensi dell'articolo 240-bis c.p., la confisca dell'intero compendio patrimoniale nella sua disponibilita' diretta o indiretta, per lo piu' accumulato a partire dall'anno 2002, considerato del tutto sproporzionato ai redditi leciti dell'intero nucleo familiare. Anche la delimitazione temporale della pericolosita' e' stata compiuta in stretta correlazione coi fatti accertati ai fini del giudizio di colpevolezza (pagg. da 42 a 44). La (OMISSIS), infatti, a prescindere dagli episodi per i quali e' stata assolta, e' stata considerata pericolosa per avere partecipato attivamente, a cominciare dalla fine degli 90' secondo le dichiarazioni del testimone (OMISSIS), alle operazioni di abusiva intermediazione finanziaria, attivita' non solo illecita perche' sanzionata da una specifica norma incriminatrice ma idonea a genare profitti se, come nel caso in esame, commessa con la concessione di prestiti di dietro pagamento di interessi a tasso di cui non e' stato possibile verificare il carattere usurario. 2.1.2. Ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, il "tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti e' instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica, nonche' dei beni che risultino essere frutto di attivita' illecite o ne costituiscano il reimpiego". Spetta, quindi, alla parte pubblica che chiede l'applicazione della confisca di prevenzione l'onere di dimostrare, anche in base a presunzioni, la sproporzione tra il valore dei beni di cui il proposto abbia la titolarita' o la disponibilita' e il suo reddito o l'attivita' economica espletata ovvero la sussistenza di indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attivita' illecite; e' riconosciuta al proposto la facolta' di offrire prova contraria e relativa alla legittima provenienza del danaro utilizzato per l'acquisto di tali beni. Ne deriva che, al riguardo, non si verifica alcuna inversione dell'onere della prova, perche' la legge ricollega a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza dei beni e non alla mancata allegazione della loro lecita provenienza, la cui dimostrazione e' idonea a superare quella presunzione (; Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606 01; Sez. 5, n. 228 del 12/12/2007, dep. 2008, Campione, Rv. 238871). In considerazione del principio della cd. "vicinanza della prova", e' onere del proposto giustificare, sulla base di concreti e oggettivi elementi fattuali, la legittima provenienza dei beni, perche' solo lui puo' acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 - 03). La sproporzione tra i beni posseduti e le attivita' economiche non puo' essere giustificata dal proposto adducendo proventi da evasione fiscale, qualunque sia la categoria di pericolosita' sociale cui appartenga (Sez. 6, n. 4908 del 12/01/2016, Hadijovic, Rv. 266312 - 01). La Corte distrettuale, rimanendo nell'alveo dei delineati principi, ha ritenuto provato, condividendo la disamina delle risultanze probatorie del decreto del Tribunale (pagg. da 9 a 25), che la (OMISSIS), titolare di pensione al minimo e priva di redditi diversi da quelli da fabbricati, nel periodo di conclamata pericolosita' non avesse a disposizione risorse economiche diverse da quelle provenienti dal compimento, gia' da qualche anno (9 fine anni âEuroËœ90), di attivita' delittuose capaci di produrre reddito, sufficienti e proporzionate alle acquisizioni patrimoniali compiute, direttamente o indirettamente attraverso gli schemi societari o le intestazioni ai familiari, a cominciare dal 2000 ed ha, per converso, considerato inconsistenti le allegazioni difensive sulla derivazione delle risorse utilizzate per gli acquisti da "floride attivita' di lavanderia" (pagg. 56 e seg.). Al riguardo, ha evidenziato che la tesi difensiva non e' stata suffragata da adeguati riscontri. Dalla documentazione, assai limitata, prodotta dalla difesa cosi' come dalle dichiarazioni rese dalle persone sentite in sede di indagini difensive, risulta, infatti, che la (OMISSIS) ha esercitato, nel periodo di interesse, l'attivita' economica indicata come produttiva di rilevanti risorse finanziarie solo attraverso piccole imprese artigiane, per di piu' utilizzando sistematicamente lavoratori "settimanalmente pagati in nero ed in contanti", di cui buona parte scelti fra i suoi parenti. Ne segue che non tutti i profitti conseguiti, derivati da attivita' non particolarmente redditizia, potevano essere utilizzati per giustificare l'acquisto dei beni confiscati dovendosi decurtare le somme riconducibili all'evasione fiscale e contributiva. Nemmeno poteva essere valorizzata l'eredita' paterna posto che, in disparte dall'assenza di qualunque documentazione successoria in grado di attestarne anche approssimativamente la consistenza, si trattava di somme e cespiti entrati a far parte del patrimonio piu' di venti anni prima all'inizio delle operazioni di acquisto dei beni confiscati. 2.1.3. Alla luce di tali precisazioni, non si rinviene alcuna lesione del diritto della prevenuta di esercitare il diritto alla controprova mediante allegazioni ed eccezioni, anche sollecitando i poteri istruttori di ufficio del decidente. Si consideri che il compendio utilizzato. e' costituto quasi integralmente da prove, dichiarative e documentali, formatesi in dibattimento nel contraddittorio delle parti e poi trasferite nel giudizio di prevenzione e che le difficolta' di reperire la documentazione, amministrativa, fiscale e contabile, relativa alla formazione delle provviste utilizzate pe gli acquisti dei beni confiscati in anni molto risalenti non ha inciso in via decisiva sulla decisione di confisca. Il provvedimento impugnato ha opportunamente evidenziato, con il sostegno di argomenti logici non censurabili, che l'attivita' imprenditoriale asseritamente svolta dalla (OMISSIS) in epoca precedente e coeva al periodo di pericolosita', sulla base caratteristiche indicate nella prospettazione difensiva ed avvalorate dalle prove testimoniali, era inidonea a produrre redditi leciti tali da consentire l'accumulo di capitali compatibili con i successivi esborsi di somme assai ingenti destinate non solo agli incrementi del patrimonio, specie immobiliare, ma anche a finanziare i presiti elargiti con la pattuizione di interessi, usurari e no. 2.2. Le censure dedotte da (OMISSIS), per quanto formalmente denuncino violazione di legge e assenza di motivazione, nella sostanza contestano la logicita' e coerenza dell'impianto motivazionale, nient'affatto apparente. La Corte di appello (pag. da 73 a 78) ha spiegato sia le ragioni per cui ha ritenuto l'immobile di (OMISSIS), pur di proprieta' della (OMISSIS), nella disponibilita' della madre evidenziando che faceva parte di una struttura ricettiva acquistata e ristrutturata con fondi di provenienza illecita dalla (OMISSIS) utilizzando lo schermo della societa' (OMISSIS) s.r.l. e successivamente trasferita alla (OMISSIS), gia' socia ed amminutarci di quest'ultima societa', al solo fine di rendere piu' complessa la ricostruzione dell'origine del denaro utilizzato per l'intero investimento celandolo dietro un trasferimento immobiliare e l'accensione di un mutuo bancario. La (OMISSIS), infatti, era solita rimettere periodicamente in circolazione ingenti somme denaro facendole confluire nella casse della societa' anche grazie all'ausilio della figlia, socia della (OMISSIS) s.r.l.. Che l'intestazione dell'appartamento alla (OMISSIS) fosse soltanto formale e', d'altra parte, confermato, dalla destinazione di una sua parte a reception dell'itera struttura gestita dalla (OMISSIS). In conclusione la (OMISSIS), pur consentendo alla figlia di accedervi periodicamente, si comportava uti dominus rispetto all'intera unita' immobiliare al pari delle altre inserite nella medesima struttura. E' tale circostanza esclude in radice ogni possibilita' di procedere alla revoca parziale della confisca. 6. Alla inammissibilita' del ricorsi segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa correlati alla irritualita' dell'impugnazione, di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare, per ciascuna, in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Lucian - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. CIANFROCCA P - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere Dott. SARACO Antoni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Genova del 12.5.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mastroberardino Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avv. Consiglia Steri, in difesa della costituita parte civile (OMISSIS), che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata e la condanna del ricorrente alle spese; udito l'Avv. Salvatore Bottiglieri, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'11.7.2019 il Tribunale di Genova aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile del delitto di tentata circonvenzione di incapace in relazione ai fatti di cui al capo A) della rubrica e lo aveva condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa oltre al pagamento delle spese processuali oltre che al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile in cui favore aveva liquidato le spese; 2. la Corte di Appello di Genova ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) in ordine al reato ascrittogli perche' estinto per intervenuta prescrizione ed ha tuttavia confermato le statuizioni civili condannando pertanto l'imputato alla rifusione delle spese della parte civile che era stata ammessa al Patrocinio a Spese dello Stato e da liquidarsi, per questa ragione, in favore dell'Erario; 3. ricorre per cassazione il (OMISSIS) a mezzo del proprio difensore lamentando, con un unico articolato motivo, violazione di legge con riferimento agli articoli 56 e 643 c.p. e articolo 129 c.p.p. e contraddittorieta' della motivazione: richiamata in breve la vicenda fattuale rileva: a) che il delitto di circonvenzione di incapace e' reato di pericolo per il quale, tradizionalmente, e' esclusa la configurabilita' del tentativo; richiama, a tal proposito, i delitti di attentato che non si distinguono dai primi sul piano strutturale ma della intensita' della tutela apprestata in via anticipata dall'ordinamento per determinate categorie di beni; per entrambi, sottolinea, si e' ripetutamente esclusa la ipotizzabilita' del tentativo che finirebbe per evocare il pericolo di un pericolo, cui osta il principio di offensivita' che deve fondare una lettura costituzionalmente orientata delle norme penali; b) che il delitto di circonvenzione di incapace e' ritenuto reato di pericolo concreto a dolo specifico in cui occorre verificare quale sia il momento consumativo che la Corte di Appello di Genova ha correttamente individuato in quello in cui l'atto frutto di induzione dispiega la sua pericolosita' che, nella giurisprudenza della S.C., che si e' occupata in particolare del testamento, e' stato individuato nel momento in cui esso viene reso pubblico ovvero in quello della accettazione dell'eredita'; c) che, percio', nel caso di specie la vicenda avrebbe dovuto ritenersi irrilevante dal punto di vista penale dal momento che il testamento in favore dell'imputato era stato revocato dalla persona offesa al termine della relazione sentimentale che aveva legato i due mancando percio' quel "minimum" di concretezza del pericolo evocato dalla norma incriminatrice; 4. la Procura Generale aveva gia' trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 da ritenersi, all'esito della ammessa discussione orale, come memoria ai sensi dell'articolo 121 c.p.p.: richiamata la giurisprudenza di questa S.C. in ordine alla natura di pericolo del delitto di circonvenzione di incapace, il PG ha tuttavia affermato che il reato deve ritenersi consumato al momento della redazione dell'atto non vertendosi percio' in una ipotesi di delitto tentato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. (OMISSIS) era stato chiamato a rispondere del delitto di circonvenzione di incapace in quanto "... per procurare a se' un profitto, abusando dello stato di infermita' psichica di (OMISSIS), la induceva a porre in essere un atto che importava per lei effetti giuridici dannosi: in particolare, abusando dello stato di salute psichica della (OMISSIS), affetta da sindrome depressiva ricorrente con tendenza alla cronicizzazione in disturbo della personalita' di tipo dipendente, la induceva a disporre per testamento il diritto di abitazione vitalizio in suo favore rispetto all'immobile sito in (OMISSIS)... comportando cosi' un effetto giuridico dannoso per la persona offesa". Il Tribunale, nel confermare la ricostruzione operata dalla pubblica accusa, aveva evocato la sentenza n. 20699 del 17.1.2017 della II Sezione Penale di questa Corte, che aveva ritenuto che il delitto di circonvenzione di incapace, nel caso di induzione a redigere un testamento a favore dell'agente, si consuma soltanto con la morte del "deceptus" in quando soltanto in quel momento l'atto "indotto" dal reo e "compromesso" dalla deficienza psichica della vittima, sarebbe stato in grado di spiegare i propri effetti pregiudizievoli. Aveva pertanto ritenuto che, nel caso di specie, poiche' il testamento a favore del (OMISSIS) era stato revocato dalla persona offesa, l'imputato dovesse rispondere non gia' del delitto consumato ma del mero tentativo di circonvenzione di incapace. 2. La Corte di appello, di fronte alla quale la difesa aveva sollevato la questione della configurabilita' del tentativo nel delitto di cui all'articolo 643 c.p., ha tuttavia preso atto della intervenuta prescrizione del reato confermando, nel contempo, le statuizioni civili. 3. Con il ricorso, la difesa del (OMISSIS) argomenta diffusamente sulla qualificazione del delitto di circonvenzione di incapace in termini di reato di pericolo e, di conseguenza, sulla impossibilita' - proprio per questa ragione - di ipotizzarne la fattispecie tentata. E' effettivamente ricorrente, nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione secondo cui il tentativo non e' configurabile nei delitti di pericolo ovvero di attentato che realizzano una tutela "anticipata" dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice indipendentemente dalla sua effettiva e reale lesione (cfr., Sez. 3 -, n. 27989 del 15/04/2021, Delia, Rv. 282327 - 02, che ha escluso la configurabilita' del tentativo in relazione al delitto di associazione per delinquere, trattandosi di reato di pericolo che si perfeziona non appena si e' creato il vincolo associativo e si e' concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti, onde gli atti diretti alla formazione di tale associazione o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale, ovvero hanno il carattere della idoneita' ed inequivocita' e determinano la consumazione del delitto; conf., Sez. 5 -, n. 10380 del 07/02/2019, Koraichi, Rv. 277239 - 03, che ha ritenuto non configurabile il tentativo con riguardo al delitto di associazione con finalita' di terrorismo anche internazionale, poiche' la norma incriminatrice di cui all'articolo 270-bis c.p., costruita come un reato di pericolo presunto, anticipa la soglia di punibilita' sanzionando il proposito di compiere atti di violenza con finalita' di eversione, attraverso la costituzione di una struttura associativa formata proprio per attuare il detto proposito; Sez. 6, n. 4294 del 09/10/2014, Chen, Rv. 262049 - 01, sul delitto di associazione a delinquere; Sez. 1, n. 7203 del 28/06/2017, Stefani, Rv. 272598 - 01, che ha escluso il tentativo nel delitto di attentato alla sicurezza dei trasporti, in quanto reato di pericolo concreto previsto dall'articolo 432 c.p., poiche' la fattispecie incriminatrice si perfeziona con l'insorgenza del pericolo, da individuarsi nel momento in cui sono posti in essere di atti concreti e non equivoci, idonei a cagionare una conseguenza pregiudizievole alla sicurezza dei trasporti, senza l'intervento di una serie causale indipendente dalla volonta' dell'agente; Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267704 - 01, secondo cui il delitto di subornazione previsto dall'articolo 377 c.p. non e' punibile a titolo di tentativo, trattandosi di fattispecie di pericolo che realizza una tutela anticipata del bene giuridico del buon andamento dell'amministrazione della giustizia; Sez. 1, n. 24050 del 29/05/2012, Diliberto, Rv. 253727 - 01, in cui la Corte ha escluso la configurabilita' del tentativo nel reato di istigazione a delinquere). Altrettanto diffusa e', poi, la affermazione secondo cui il delitto di circonvenzione di incapace e' un reato di pericolo (cfr., in tal senso, Sez. 2 -, n. 20677 del 13/05/2022, D., Rv. 283337 01; Sez. 2, n. 8103 del 10/02/2016, Raguso, Rv. 266366 01; Sez. 2, n. 12406 del 10/03/2009, Bergonzi, Rv. 244059 - 01). Sotto questo secondo profilo, si impone, tuttavia, una riflessione alla luce della formulazione della norma incriminatrice secondo cui il delitto in esame si concreta nel fatto di indurre la persona offesa "... a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso...". Il legislatore, quindi, ha ritenuto sufficiente ad integrare la fattispecie di reato l'avere indotto la vittima a porre in essere un atto produttivo di effetti giuridici indipendentemente dall'essersi determinato un reale ed effettivo pregiudizio patrimoniale in capo alla persona offesa. A ben guardare, le decisioni sopra richiamate e che, con riferimento al delitto di circonvenzione di incapace, hanno evocato la categoria del reato di pericolo, hanno avuto riguardo non alla idoneita' dell'atto, gia' perfezionato, a produrre effetti giuridici, ma al "pericolo" (ovvero, per meglio, dire, alla "eventualito'") che, in forza e per effetto di essi, potesse conseguire una effettiva perdita patrimoniale in danno della vittima; si e' tuttavia in tal modo dato rilievo ad una evenienza che e' evidentemente successiva ed eventuale rispetto al perfezionamento del reato che si consuma nel momento in cui l'atto sia produttivo di effetti giuridici. Cosi', ad esempio, era accaduto nella fattispecie esaminata da Sez. 2 -, n. 20677 del 13/05/2022, Dl, Rv. 283337 - 01, in cui si e' correttamente ritenuto integrato il reato nell'avere indotto la persona offesa a conferire le sue risorse patrimoniali in un "trust", senza possibilita' di retrocessione, poiche' proprio il "vincolo" giuridico determinatosi con l'atto "indotto" aveva realizzato pienamente la fattispecie incriminatrice; lo stesso dicasi per il caso esaminato da Sez. 2, n. 8103 del 10/02/2016, Raguso, Rv. 266366 - 01, in cui la Corte ha ritenuto che l'apertura di un conto corrente da parte della persona offesa, con la conseguente insorgenza di obbligazioni tra quest'ultima e l'istituto di credito, costituisse azione pregiudizievole per la vittima, sufficiente ai fini dell'integrazione del reato in questione; e, ancora, nella fattispecie vagliata da Sez. 2, n. 12406 del 10/03/2009, Bergonzi, Rv. 244059 - 01, in cui si era ritenuto integrato il delitto in esame nella induzione all'apertura di un libretto cointestato ad autore e vittima, essendosi in tal modo gia' prodotti effetti giuridici pregiudizievoli indipendentemente dalla effettiva realizzazione di un danno patrimoniale. In tutti questi casi, in definitiva, la fattispecie di reato si era in realta' perfezionata poiche' era stato perfezionato l'atto produttivo di effetti giuridici in capo alla persona offesa; e cio', anche indipendentemente dall'essersi o meno, o non ancora, determinati, in forza di essi, un pregiudizio nella sfera patrimoniale della vittima. Le stesse considerazioni vanno fatte anche con riguardo alle decisioni, taluna pure richiamata nel ricorso, in cui questa Corte ha affermato che il delitto di circonvenzione di incapaci, quando il soggetto passivo sia stato indotto alla redazione di un testamento olografo, si consuma con la pubblicazione dello stesso, concretizzandosi solo in quel momento la situazione di pericolo determinata dall'induzione, restando estranea al perfezionamento dell'illecito il conseguimento del profitto, che si ricollega all'accettazione dell'eredita' ed attiene esclusivamente al piano del dolo specifico (cfr., Sez. 2 -, n. 10165 del 26/01/2021, C., Rv. 280771 - 01); in altra decisione, citata dalla difesa, la Corte ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo, in quanto il momento consumativo non si era realizzato con la condotta di induzione ma con la successiva pubblicazione dell'atto e l'accettazione dell'eredita', fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto (cfr., Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M. Rv. 269883 - 01). Si tratta, tuttavia, in entrambi i casi, di sentenze che hanno vagliato il profilo della decorrenza del termine di prescrizione il cui momento iniziale era stato o con quello dell'accettazione dell'eredita' o con quello della pubblicazione del testamento. Ed e' stato piu' volte ribadito, dalla giurisprudenza, che il momento in cui si realizza la condotta delittuosa non necessariamente coincide con quello di decorrenza del termine di prescrizione che, ad esempio, nella truffa contrattuale, va determinato alla luce delle peculiarita' del singolo accordo, avuto riguardo alle modalita' ed ai tempi delle condotte, onde individuare, in concreto, quando si e' prodotto l'effettivo pregiudizio del raggirato in correlazione al conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente (cfr., Sez. 2, Sentenza n. 11102 del 14/02/2017, Giannelli, Rv. 269688; conf., Sez. F, Sentenza n. 31497 del 26/07/2012, Abatematteo, Rv. 254043 secondo cui il momento di consumazione della truffa "contrattuale" non puo' essere individuato in via preventiva ed astratta essendo indispensabile muovere dalla peculiarita' del singolo accordo, dalla valorizzazione della specifica volonta' contrattuale, dalle peculiari modalita' delle condotte e dei loro tempi, al fine di individuare quale sia stato in concreto l'effettivo pregiudizio correlato al vantaggio e quale il momento del loro prodursi, avendo ribadito tale principio in una fattispecie riguardante la stipula di un contratto con rilascio di due cambiali in garanzia con sottoscrizione falsa, nella quale la suprema Corte ha individuato, quale momento di consumazione del reato di truffa, non la data di stipula del contratto ma quella della scadenza delle cambiali). Si e' affermato, quindi, che nella truffa c.d. "contrattuale", il delitto si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri, assume l'obbligazione della dazione di un bene economico, ma al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell'agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa (cfr., ad esempio, Sez. 2, Sentenza n. 49932 del 11/12/2012, R.C. e Nuzzoli, Rv. 254110, in coerenza con Sez. U, Sentenza n. 18 del 21/06/2000, Franzo ed altri, Rv. 216429, in cui si e' detto che poiche' la truffa e' reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non gia' quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato; ne consegue che, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione e' quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiche' solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa; in tal senso, anche Sez. 2, Sentenza n. 18859 del 24/01/2012, Volpi, Rv. 252821, secondo cui la truffa e' reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo: ne consegue che, nell'ipotesi di c.d. truffa contrattuale, il reato si consuma non gia' quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato; conf., ancora, Sez. 2, Sentenza n. 20025 del 13/04/2011, PG in proc. Monti ed altri, Rv. 250358; Sez. 2, Sentenza n. 31044 del 11/07/2008, Miano, Rv. 240659; Sez. 2, Sentenza n. 7181 del 17/01/2008, Damiani, Rv. 239435). Allo stesso modo, nella circonvenzione di incapace, l'effettivo conseguimento di un profitto da parte dell'autore del reato ben puo' essere "successivo" rispetto al mero perfezionarsi dell'atto idoneo a produrre effetti giuridici e, percio', sufficiente ad integrare la fattispecie incriminatrice delineata dal legislatore. Nel caso in esame, non par dubbio che gli effetti giuridici propri del testamento (nel caso di specie pubblico) si fossero gia' prodotti con il perfezionamento dell'atto; tant'e' che, per porlo nel nulla, la persona offesa ha dovuto procedere alla sua formale revoca in mancanza della quale il testamento sarebbe stato ritualmente pubblicato con la piena realizzazione degli effetti sul piano patrimoniale stabiliti dal testatore. A ben guardare, poi, l'effetto giuridico primario, legato al testamento, e' proprio l'aver vincolato la volonta' dispositiva della vittima viene limitata nella sua liberta' di autodeterminazione per riacquistare la quale, in caso di testamento pubblico, deve necessariamente riprodurre l'iter che aveva portato alla sua redazione ovvero, in caso di revoca di un testamento olografo, correre il rischio che la essa non divenga nota. Il ricorso e' in definitiva infondato non potendosi, tuttavia, in difetto di impugnazione da parte del PM, modificare la soluzione cui erano pervenuti i giudici di merito nel ritenere essersi in presenza, nel caso di specie, di una ipotesi di tentativo di circonvenzione di incapace, questione, peraltro, che non ha alcuna incidenza sugli effetti civili unicamente coinvolti nella impugnazione stante la intervenuta e dichiarata prescrizione del reato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita ed ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Genova con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Presidente Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS), parte civile; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/05/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SESSA RENATA; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata con rinvio al Giudice Civile; il difensore della parte civile ricorrente ha insistito nell'accoglimento del ricorso; Idi difensore dell'impugnante ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. E' proposto ricorso nell'interesse di (OMISSIS), parte civile nel procedimento a carico di (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce del 24.5.2021, con la quale e' stata confermata la sentenza di primo grado, che aveva assolto l'imputata dal reato di falso in testamento (articoli 491, 476, 482 c.p.). 1.1. Con un unico articolato motivo si deduce il vizio di motivazione per non avere la Corte di appello fornito risposte, se non apparenti, alle questioni poste dall'appellante nonche' l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p. per travisamento del risultato probatorio. I giudici di merito sono incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie in punto di: accertamento della vulnerabilita' cognitiva e volitiva della de cuius a fronte dell'irragionevole ed illogica deduzione medica di intervenuta regressione della psicopatologia sofferta dalla de cuius nell'arco temporale coincidente con la redazione della scheda testamentaria; di inattendibilita' manifesta della perizia grafologica presupponente la finestra di lucidita' positiva della de cuius; di manifesta erroneita' della collocazione cronologica di diverse firme di comparazione; di obliterazione di tutte le valutazioni medico psichiatriche acquisite al dibattimento; di manifesta alterazione del risultato probatorio dibattimentale laddove questo univocamente conduce all'attendibilita' delle conclusioni del consulente grafologico della parte civile. Si conclude che dalle emergenze processuali risulta che la de cuius ha sofferto di una vulnerabilita' cognitiva e volitiva senza soluzione di continuita' a partire dal 2003 (22.7), indi si insta per l'annullamento della sentenza impugnata con accoglimento della domanda di risarcimento del danno, in subordine per l'annullamento con rinvio ai giudice civile. 3. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno cosi' concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile; il difensore della parte civile ricorrente ha insistito nell'accoglimento del ricorso; il difensore dell'imputata ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il ricorso attraverso la totale rivisitazione delle argomentate conclusioni delle conformi decisioni di merito, ispirata, da un lato, dalle emergenze delle certificazioni mediche intervenute nel tempo e dalla ricostruzione delle condizioni psicofisiche della de cuius operata nei procedimento che ha condotto alla pronuncia di interdizione del 2010, e, dall'altro, dalle conclusioni del consulente grafologo di parte civile, giunge ad affermare con argomenti in realta' gia' esautorati dai congrui rilievi dei giudici di merito - che (OMISSIS) fu circuita dall'imputata al punto da essere indotta a formare, senza che ne avesse consapevolezza ne' volonta', una scheda testamentaria scritta di suo pugno, ma guidata dalla mano della nipote. Tuttavia tale impostazione trascura il dato fondamentale che caratterizza l'intera vicenda consistente nella mancanza di certezza in ordine alla stessa data del testamento/che lo stesso ricorso non definisce in maniera certa, pur affermando che l'atto fu certamente posto in essere dopo che le condizioni della de cuius si erano rivelate compromesse; e cio' a partire dal 2003, Tale carenza non e' di poco conto se si considera che le condizioni di salute della de cuius sono mutate nel tempo e vi sono stati anche periodi di remissione della malattia, che risulta peraltro essere stata oggetto di trattamento farmacologico a partire dal primo TSO del 2003; sicche', sebbene la paziente, secondo quanto si riporta sulla base degli stralci delle certificazioni mediche indicate in ricorso, non abbia sempre rispettato la terapia, rimane evidente come le troppe variabili che contraddistinguono la vicenda in esame non abbiano, giustamente, consentito al giudice di merito di giungere a conclusioni certe. Sicche', tutto il discorso sviluppato in ricorso circa la incompatibilita' della formazione autonoma del testamento con le condizioni di salute della de cuius - che si assumono esattamente ricostruibili sulla base di stralci di documenti medici - risulta in definitiva minato in partenza dall'impossibilita' di addivenire, alla stregua delle stesse risultanze passate in rassegna, a conclusioni certe sia in ordine al momento preciso di redazione dell'atto sia in relazione alle precise scansioni della patologia e alle compromissioni della medesima derivanti. La stessa collocazione dei testamento al 24.12.2004 - data riportata nel documento - non consente di superare l'impasse) dai momento che al periodo in cui si colloca tale data e' addirittura ascritta una fase di remissione della patologia. Non va infine trascurato che nel ricorso si conclude che si e' convinti che "la fallacia manifesta del ragionamento dei giudici di merito rende assolutamente certo, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che l'imputata, come ampiamente descritto dal consulente grafologo della parte civile, ha guidato la mano della povera (OMISSIS) ormai assolutamente incapace di intendere e di volere nella redazione del testamento olografo del 24/12/2004, cosi' configurando il fatto contestato nei decreto di citazione a giudizio in perfetta coerenza con il contesto descritto dalle risultanze dibattimentali circa il plagio ostinatamente svolto dall'imputata compara nella vita della de cuius solo dopo 2005 a danno della povera (OMISSIS), come inequivocabilmente indicato dai giudici civili che si occuparono della vicenda in questione"; tuttavia, lo stesso assunto secondo cui la mano della de cuius sarebbe stata guidata da quella di un soggetto esterno - ipotesi esclusa in maniera categorica dal consulente dell'accusa con argomenti specifici -, a ben vedere, non consente di concludere per la certa riconducibilita' dell'accompagnamento della mano ad un approfittamento delle condizioni di salute di (OMISSIS), la quale, pur sostenuta nel gesto, potrebbe essere stata pienamente consapevole di quanto stava compiendo. Il ricorso e' in definitiva inammissibile perche', per un verso, attraverso la deduzione del vizio di motivazione mira ad una rivalutazione del compendio probatorio non ammissibile in sede di legittimita' (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez., 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168), contrapponendo peraltro una propria ricostruzione difensiva rispetto alla quale la Corte di Appello, e piu' in generale il giudice di merito - cui competono le valutazioni in fatto -, aveva gia' fornito risposte esaurienti, evidenziando gli aspetti che la rendono contraddetta dalle risultanze processuali e non sostenibile; e, per altro verso, esso finisce con lo svolgere un confronto diretto con il compendio probatorio (presentato come idoneo a fondare il giudizio di responsabilita'), confronto che, all'evidenza, implica apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimita'. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

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