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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO Daniela - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte d'Appello di Firenze in data 25/1/2022; preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito nella L. 18/12/2020 n. 176 (cosi' come modificato per il termine di vigenza dal Decreto Legge n. 30/12/2021, n. 228, articolo 16, convertito nella L. 25/02/2022 n. 15); udita la relazione svolta dal consigliere Lucia Aielli; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale Luigi Cuomo ha chiesto il l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Firenze con sentenza del 25/1/2022 ha confermato la decisione del Tribunale di Firenze del 19/12/2018 con la quale (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di anni tre mesi quattro di reclusione ed Euro 700 di multa per i delitto di estorsione aggravata consistita nel costringere, in concorso con altri imputati (condannati in via definitiva, in esito al rito abbreviato) (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) s.r.l., a firmare quattro quietanze di avvenuto pagamento del TFR, invero mai corrisposto, dietro minaccia di farle perdere definitivamente il posto di lavoro, visto che il rapporto di lavoro cessato con la societa' (OMISSIS), avrebbe dovuto proseguire con la l'(OMISSIS) s.r.l. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) il quale, con il primo motivo, eccepisce: 2.1. illogicita' della motivazione. La Corte d'appello non avrebbe chiarito quale fosse il male ingiusto prospettato alla lavoratrice posto che esso non poteva consistere nel licenziamento dalla (OMISSIS) poiche', come affermato dalla Corte d'appello e riferito dalla stessa (OMISSIS), la (OMISSIS) doveva chiudere; ne' il male ingiusto, ad avviso del ricorrente, poteva essere individuato nella prospettazione della mancata prosecuzione del rapporto di lavoro posto che la (OMISSIS) non aveva alcun diritto ad essere riassunta dalla nuova societa' (OMISSIS) dei fratelli (OMISSIS). In merito a tale rilievo difensivo la Corte d'appello non avrebbe motivato. 2.2. Vizio di motivazione (articolo 606 lettera e) c.p.p.), la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare in merito all'elemento soggettivo del reato: (OMISSIS) non aveva la consapevolezza che i fratelli (OMISSIS) volessero coartare la volonta' della lavoratrice, non potendosi attribuire valenza dimostrativa al fatto che fu il ricorrente a presentare alla (OMISSIS) le quietanze per la firma affermando "e'' inutile questi soldi non li avrai mai". Detta frase proferita dal (OMISSIS) non costituirebbe una forma di pressione ma starebbe solo a rappresentare la situazione di incapienza della societa'. 2.3. Aggiunge, con il terzo motivo, in relazione all'elemento soggettivo del reato, che la predisposizione delle quietanze non dimostrerebbe la condivisione, da parte di (OMISSIS), del proposito criminoso di (OMISSIS), l'imputato, infatti, non ha conseguito alcun vantaggio dall'operazione in esame. 2.4. Con il successivo motivo il ricorrente contesta la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato mancando, da parte sua, un contributo causale alla realizzazione dell'illecito. 2.5. Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza per l'omessa motivazione in relazione alle censure difensive riguardanti la dosimetria della pena ed in particolare la sussistenza della circostanza aggravante delle piu' persone riunite posto che (OMISSIS) non era presente quando (OMISSIS) minaccio' la lavoratrice (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso relativo alla sussistenza della circostanza aggravante delle piu' persone riunite e, conseguentemente, quello sulla dosimetria della pena, sono fondati; i restanti motivi sono inammissibili perche' tendenti ad ottenere una non consentita rivalutazione di aspetti in fatto, oggetto di congrua valutazione nella decisione impugnata. 2. I primi quattro motivi si risolvono, infatti, nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove, senza identificare vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a fondamento dell'accertamento di responsabilita' o decisivi travisamenti delle prove. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione, si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate in ossequio al principio di autosufficienza. (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). Contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, dal compendio motivazionale integrato, composto dalle due sentenze conformi di merito, e' emerso che i giudici di merito hanno affrontato le questioni riproposte con gli indicati motivi. Segnatamente: la Corte territoriale ha ravvisato gli estremi della condotta estorsiva precisando quale fosse stato il contributo materiale consapevolmente realizzato da (OMISSIS) (il commercialista aveva infatti ideato l'operazione in parola e l'aveva sottoposta al datore di lavoro, i fratelli (OMISSIS), incidendo personalmente, direttamente, sulla liberta' di autodeterminazione della vittima al fine costringerla a firmare le quietanze), conformandosi ai principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, 26 gennaio 1999 n. 3298, Savian D., Sez. 6 25 febbraio 1998 n. 5569, Pera), secondo cui ai fini della configurabilita' del reato di estorsione sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purche' comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volonta' del soggetto passivo. Per valutare se una condotta sia minacciosa e idonea ad integrare l'elemento strutturale oggettivo del delitto di estorsione vanno pertanto prese in considerazione le concrete circostanze oggettive che connotano il fatto, quali la personalita' sopraffattrice dell'agente e le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l'ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo. 3. La Corte territoriale dopo un analitico esame e un attento vaglio critico delle fonti di prova (dichiarazioni della p.o. e del coimputato (OMISSIS) la cui posizione e' stata definita con sentenza irrevocabile nel separato procedimento), che avevano bene evidenziato come la pretesa di far firmare le quietanze alla lavoratrice prospettandole la definitiva perdita del lavoro, diretta a ottenere un ingiusto profitto e cioe' il mancato esborso del TFR da parte dei fratelli (OMISSIS), i quali avevano deciso di mettere in liquidazione la (OMISSIS) s.r.l. ed aprire un'altra societa' a costo zero, fosse condivisa da (OMISSIS) il quale non solo aveva compilato le quietanze che la lavoratrice doveva sottoscrivere ma, tenuto conto delle modalita' del fatto, era pienamente consapevole del proposito estorsivo a nulla rilevando che egli non avesse tratto dall'operazione un tornaconto personale (pag. 6 della sentenza). Nella sentenza impugnata, con argomentazione immune da vizi logici e giuridici, si e' pertanto posto in rilievo che la sottoscrizione delle quietanze prospettata come unica alternativa dal (OMISSIS) si sarebbe, in concreto, risolta in un pregiudizio diretto e immediato per la lavoratrice e che, pertanto, tale operazione non era per la dipendente il risultato di una libera scelta ma l'unica possibilita' di sottrarsi ad un male peggiore: la definitiva perdita del posto di lavoro, soggiacendo alla posizione di preminenza del datore di lavoro. Questa impostazione corrisponde alla giurisprudenza in materia di estorsione di questa Corte che ha avuto modo di affermare che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro il quale, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e piu' in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi (Sez. 2, Sentenza n. 656 del 04/11/2009, Rv. 246046; Sez. 2, Sentenza n. 677 del 10/10/2014, Rv. 261553; Sez. 2, n. 3724 del 29/10/2021, Rv. 282521). 4. Il motivo sulla sussistenza della circostanza aggravante delle piu' persone riunite e' fondato. E' pacifico che nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle piu' persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518; Sez. 6, n. 50064 del 16/09/2015, Rv. 265657). Nel caso in esame la Corte d'appello, a fronte di uno specifico motivo di appello, ha omesso di motivare. Nella sentenza impugnata si afferma infatti che il primo giudice ha ritenuto fondata l'ipotesi contestata in epigrafe e cioe' la fattispecie di estorsione aggravata dalle " piu' persone riunite" (pag. 2) ed a pag. 6 si afferma che (OMISSIS) non era presente al momento in cui furono poste in essere le minacce; su tale rilievo difensivo, occorre quindi che la Corte d'appello risponda puntualmente, conformandosi al principio di diritto sopra evidenziato. 6. Deriva da quanto sin qui esposto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'articolo 629, comma 2, c.p., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'articolo 629, comma 2, c.p., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l'affermazione di responsabilita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. VERGA G. - rel. Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. MINUTILLO T. Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/07/2022 del TRIB. LIBERTA' di PALERMO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIOVANNA VERGA; lette le conclusioni del PG Dr. ASSUNTA COCOMELLO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Ricorso trattato con contraddittorio scritto ex Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1. Con provvedimento in data 18/07/2022 il tribunale del riesame di Palermo in parziale accoglimento della richiesta di riesame avanzata da (OMISSIS), indagato del reato di truffa aggravata in erogazioni pubbliche nel procedimento istruttorio curato per la ditta (OMISSIS) (articoli 110, 81 cpv. e 640 bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 7), avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del tribunale di Termini Imerese in data 06/06/2022, fino alla concorrenza dell'importo di Euro 275.181,85 quale profitto del reato e in caso di incapienza (accertata dalla pg in fase di esecuzione) per equivalente, ha revocato il sequestro limitatamente alla somma corrispondente al triplo della pensione sociale, giacente sui conti correnti il cui saldo attivo e' stato sottoposto a vincolo reale. 2. Ricorre per Cassazione (OMISSIS) deducendo: 2.1. mancanza del fumus commissi delicti. Sostiene che l'accusa si fonda solo sull'interpretazione di captazioni telefoniche senza tenere conto di importanti conferme documentali favorevoli alla difesa; 2.2. mancata applicazione dell'articolo 545 c.p.p.. Evidenzia che l'indagato dal 20 dicembre 2020 e' in pensione. Le sue fonti di reddito sono esclusivamente costituite dai ratei del trattamento di pensione e dal trattamento di fine rapporto corrisposto con contratto di anticipazioni bancarie in data 27 gennaio 2022. Le somme raggiunte dal sequestro a carico dell'indagato derivano solo ed esclusivamente dal trattamento di fine rapporto corrisposto allo stesso nel gennaio 2022 nonche' dai ratei mensili della pensione. Sostiene che l'ordinanza e' illegittima stante il principio di impignorabilita' delle somme dovute a titolo di stipendio, salario, pensione e assegno di quiescenza. Richiama le Sezioni unite, sentenza 7 luglio 2022 numero 26.25.2. Lamenta che il tribunale del riesame accogliendo solo parzialmente le ragioni della difesa ha illegittimamente disposto la conferma del sequestro per la restante somma di Euro 111.084, 97. Sostiene che l'ordinanza impugnata, pur riconoscendo e richiamando il principio statuito dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza sopra indicata, ne ha operato un'applicazione parziale e in violazione del dettato normativo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Deve preliminarmente ricordarsi che contro le ordinanze emesse a norma dell'articolo 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo il ricorso e' ammesso solo per "violazione di legge" (articolo 325 c.p.p., comma 1), per censurare, cioe', "errores in iudicando" o "errores in procedendo" (articolo 606 c.p.p., lettera B e C) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata. Va ancora precisato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento (ex plurimis: S.U. 13.2.2004, F.; S.U. 28.5.2003, P.). Ne consegue che che il primo motivo di ricorso e' inammissibile perche' investe la correttezza della motivazione ed e' versato in fatto. 2. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, premesso che non e' posto in dubbio che gli importi da sequestrare, attestata la causale dei versamenti, siano imputabili a trattamenti pensionistici e al TFR precedentemente corrisposti al (OMISSIS), deve rilevarsi che il provvedimento impugnato si e' attenuto all'interpretazione data dalle sezioni Unite di questa Corte all'articolo 545 c.p.p., alla luce della giurisprudenza civile in sede di ilegittimita'. L'articolo 545 c.p.c., comma 2 prevede un regime di assoluta impignorabilita' per i crediti volti a soddisfare esigenze vitali o particolari bisogni dell'esecutato (si tratta dei crediti aventi ad oggetto sussidi di poverta', maternita', malattia o funerali), mentre i restanti commi riguardano, invece, i crediti soggetti ad un regime di pignorabilita' relativa nell'ambito del quale sono contemplati differenti condizioni e limiti in base alla specifica natura del credito o della somma da pignorare. Segnatamente, per quanto qui rileva, il terzo e il comma 4 prevedono un differente limite alla pignorabilita' delle somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a cause di licenziamento, contemplandosi una diversa soglia di pignorabilita' correlata alla natura del credito azionato. Ove si tratti di crediti alimentari, tali somme sono, infatti, pignorabili nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato; ove, invece, il credito azionato riguardi "tributi dovuti allo Stato" o ogni altro credito, tali somme sono pignorabili nei limiti di un quinto. La norma prevede, inoltre, al comma 5, un innalzamento della quota pignorabile fino alla meta' del complessivo ammontare del credito retributivo, in caso di concorso delle cause di credito. Va inoltre aggiunto che la Corte costituzionale, investita piu' volte della questione di legittimita' costituzionale di tale norma, ha chiarito che la ratio sottesa all'articolo 545 c.p.c. e' quella di contemperare la protezione del credito con l'esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un'esistenza libera e dignitosa (tra le tante, Corte Cost., sentenze nn. 20 del 1968 e 248 del 2015). Si e', infatti, affermato che la facolta' di escutere il debitore non puo' essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte del salario e' un sacrificio che puo' essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito. Pertanto, con l'articolo 545 c.p.c., il legislatore si sarebbe dato carico di contemperare i contrapposti interessi, contenendo in limiti angusti la somma pignorabile "e graduando il sacrificio in misura proporzionale all'entita' della retribuzione": chi ha una retribuzione piu' bassa, infatti, sarebbe colpito in misura proporzionalmente minore (Corte Cost., sentenze nn. 20 del 1968; 102 del 1974, 209 del 1975). Anche con riferimento agli emolumenti pensionistici, il settimo cornma dell'articolo 545, introdotto dal Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, persegue un analogo scopo di bilanciamento tra l'interesse del creditore e quello del debitore a preservare dall'azione esecutiva un minimo del trattamento pensionistico necessario alle sue esigenze di vita. La norma prevede, infatti, un regime "misto" per le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza: assoluto fino alla concorrenza della misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della meta'; e relativo, secondo la disciplina prevista dai commi 3, 4 e 5, per la parte eccedente tale ammontare. Con riguardo a tali trattamenti, la giurisprudenza di legittimita' civile ha affermato che la impignorabilita' parziale e' posta a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (articolo 38 Cost.), essendo tale finalita' ancora piu' marcata dopo l'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, efficace dal 10dicembre 2009 (data in cui e' entrato in vigore il Trattato di Lisbona), che, all'articolo 34, comma 3, garantisce il riconoscimento del diritto all'assistenza sociale al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti. Deve inoltre ricordarsi che nel regime precedente la Novella del 2015 si era affermato che le somme accreditate fossero sottoposte all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del contratto di deposito irregolare ex articolo 1782 c.c., in virtu' del quale le somme versate perdono appunto la loro identita' di crediti lavorativi o pensionistici, si' da farne derivare, anche a fronte del principio generale della responsabilita' patrimoniale del debitore di cui all'articolo 2740 c.c., l'inapplicabilita' dei limiti di pignorabilita' dipendenti dal titolo degli accrediti (si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. L., n. 26042 del 17/10/2018, Rv. 651193 - 01). E tale indiscriminata pignorabilita' delle somme accreditate su conto corrente a titolo di emolumenti retributivi o di trattamenti pensionistici era stata successivamente oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2015, fondamentalmente risoltasi, pur a fronte di una formale pronuncia di inammissibilita', in una sollecitazione al legislatore ad intervenire a tutela delle esigenze di vita del debitore esecutato. Da qui la successiva introduzione, nell'articolo 545 cit., del comma 8 che, evidentemente superando, con riferimento a tali specifici crediti qualificati, il principio di "confusione" conseguente all'accredito in conto corrente bancario o postale delle somme corrisposte dal datore di lavoro o dall'istituto previdenziale, ha previsto un regime di parziale impignorabilita', differenziato proprio in base al momento dell'accredito: se anteriore al pignoramento, dette somme possono essere pignorate solo per l'importo eccedente il triplo della pensione sociale; se, invece, l'accredito avvenga alla data del pignoramento o in data successiva, dette somme possono essere pignorate entro i limiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 7, sopra esaminati, nonche' dalle speciali disposizioni di legge. Anche in tal caso, le somme eccedenti detti limiti sono considerate nella piena disponibilita' del debitore e, dunque, pignorabili. Ne consegue, dunque, che e' la stessa regolazione normativa a considerare, dal 2015, non dirimente, ai fini dell'applicabilita' dei limiti di pignorabilita', il momento dell'accredito delle somme, idoneo invece solo a differenziare l'entita' delle gia' menzionate limitazioni. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. LANNA A.Valerio - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato l'(OMISSIS); Avverso la sentenza emessa il 24/02/2022 dalla Corte di appello di Milano; Sentita la relazione del Consigliere Alessandro Centonze; Sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale Valentina Manuali, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; Sentite, nell'interesse degli imputati, le seguenti conclusioni: l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RILEVATO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 4 ottobre 2019 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza deliberata il 10 maggio 2016 dal Tribunale di Milano, che, per quanto di interesse ai presenti fini, aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), alla pena di tre anni di reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, commessi in relazione al fallimento di (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita (OMISSIS), rispettivamente ascritti agli imputati ai capi B (Regio Decreto 16 marzo 1942, articolo 216, comma 1, n. 1, articolo 223, commi 1 e 2, nn. 1 e 2, articolo 219, commi 1 e 2, n. 1, L. Fall., articolo 267.) e C (L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1, articolo 223, commi 1 e 2, nn. 1 e 2, articolo 219, commi 1 e 2, n. 1,). Le statuizioni condannatorie venivano pronunciate nei confronti di (OMISSIS), per i reati di cui ai capi B e C, nella qualita' di liquidatore di (OMISSIS) s.p.a., e nei confronti di (OMISSIS), per il reato di cui al capo C, nella qualita' di amministratore di fatto di (OMISSIS) s.r.l., che era un ente societario controllato da (OMISSIS) s.r.l. Gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), inoltre, venivano condannati alle pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni, oltre che al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita, (OMISSIS) s.p.a., e al risarcimento dei danni in favore della stessa parte, alla quale veniva riconosciuta una provvisionale provvisoriamente esecutiva di 110.000,00 Euro. 2. Con sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, il 14 settembre 2021, a seguito del ricorso proposto dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), veniva annullata la decisione impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti, limitatamente al reato contestato al capo B e alla circostanza attenuante di cui all'articolo 62, comma 1, n. 6, c.p., con rinvio per nuovo giudizio, su tali punti, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. L'annullamento con rinvio della decisione impugnata, relativamente al reato di cui al capo B della rubrica, veniva pronunciato sull'assunto che la corresponsione della somma di 90.000,00 Euro, effettuato il (OMISSIS), da (OMISSIS), in favore di (OMISSIS) s.r.l., che recava quale causale "TFR e ratei retribuzione personale", non era astrattamente sprovvisto di causa giustificativa. Il versamento, infatti, avrebbe potuto trarre origine dalle complesse trattative sviluppatesi nel corso del 2009, finalizzate a consentire l'affitto di un ramo di azienda a (OMISSIS) s.r.l. nel rispetto del contratto stipulato il (OMISSIS), rimasto ineseguito. Sullo svolgimento di queste trattive contrattuali, interrotte dalla dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) s.p.a., pronunciata dal Tribunale di Milano ottobre 2009, nel giudizio di primo grado, erano state acquisite le dichiarazioni di (OMISSIS), che, all'epoca dei fatti, era uno dei liquidatori della societa' fallita -, il quale, come evidenziato a pagina 10 della decisione di legittimita', aveva dato "conto della riconoscibilita', in astratto, all'operazione di cui il trasferimento dei 90 mila Euro rappresentava un tassello di una giustificazione economica e della sua esecuzione - frutto di lunghe trattative - in via progressiva (...)". Tali dichiarazioni, quindi, avrebbero potuto "smentire il nucleo essenziale della tesi accusatoria, ossia la connotazione "senza causa" del versamento dei 90 mila di Euro (...)". Tuttavia, con le dichiarazioni di (OMISSIS), pur a fronte della loro potenziale rilevanza probatoria, la Corte di appello di Milano non si era adeguatamente confrontata, omettendo di considerare che la ricostruzione fornita dal coimputato, quantomeno in astratto, smentiva il nucleo essenziale dell'ipotesi accusatoria, posta a fondamento delle contestazioni di cui ai capi B e C, secondo cui il versamento della somma di 90.000,00 Euro in favore di (OMISSIS) s.r.l. non era supportato da alcuna giustificazione, trovando la sua, sia pure ipotetica, causale nelle trattative contrattuali che si erano svolte, nel corso del 2009, tra (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., che era la societa' controllante la predetta (OMISSIS). La Corte di legittimita', al contempo, evidenziava un'ulteriore omissione valutativa, riscontrabile con riferimento alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni di (OMISSIS), che, all'epoca dei fatti, era l'amministratore delegato di (OMISSIS) s.r.l., l'ente societario che controllava (OMISSIS) s.r.l. -, il quale aveva escluso il coinvolgimento di (OMISSIS), nella gestione delle trattative contrattuali sviluppatesi nel corso del 2009 tra (OMISSIS) s.p.a. e la stessa (OMISSIS), che avrebbero dovuto beneficare (OMISSIS), facendo emergere la possibile estraneita' dell'imputato a tale segmento della vicenda processuale, cosi' come ascrittogli al capo C. La sentenza impugnata, infine, veniva annullata, relativamente al diniego della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, pronunciata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo C. Si evidenziava, in proposito, che la Corte di merito milanese, denegando il riconoscimento circostanziale invocato, ex articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, sul presupposto dell'assenza di spontaneita' del risarcimento del danno, che era stato eseguito in conseguenza delle pressioni esercitate dal curatore fallimentare, l'avvocato (OMISSIS), aveva erroneamente sovrapposto due istituti differenti, rappresentati dalla riparazione totale dei danni causati dall'imputato e dal ravvedimento operoso, che dovevano essere mantenuti distinti. Non si era, in questo modo, tenuto conto del fatto che l'attenuante del risarcimento del danno di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, esige esclusivamente che l'attivita' riparatoria, effettuata mediante la restituzione dei beni o il ristoro economico, sia integrale e avvenga prima del giudizio, ma non richiede che l'attivita' del reo sia spontanea, essendo, a tal proposito, sufficiente che si tratti di un'attivita' volontaria, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' espressamente richiamata (Sez. 5, n. 57573 del 31/10/2017, P., Rv. 271872-01); volontarieta' che, nel caso di specie, non poteva ritenersi esclusa dalle sollecitazioni del curatore fallimentare, che erano state richiamate impropriamente, in sede di conferma del giudizio di colpevolezza, dalla Corte di appello di Milano. Queste considerazioni, secondo la Corte di legittimita', rendevano evidente l'incongruita' del percorso argomentativo attraverso cui si era pervenuti alla conferma del giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), imponendo, sui punti evidenziati, l'annullamento della decisione impugnata, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. 3. Con sentenza emessa il 2 maggio 2019 la Corte di appello di Milano, pronunciandosi a seguito dell'annullamento con rinvio disposto il 14 settembre 2021 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, in parziale riforma della decisione di primo grado, procedeva alla rideterminazione delle pene accessorie irrogate agli imputati, L. Fall., ex articolo 216, u.c., quantificando quella inflitta a (OMISSIS) in sette anni e quella inflitta a (OMISSIS) in sei anni. Venivano, invece, confermate le pene principali irrogate agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) nel giudizio di primo grado, quantificate, per entrambi, in tre anni di reclusione. Nel merito della vicenda criminosa esaminata, non si ritenevano decisive, ai fini della rivisitazione del giudizio di colpevolezza formulato dal Tribunale di Milano, le dichiarazioni rese da (OMISSIS), atteso che la natura dissipativa del versamento della somma di 90.000,00 Euro - effettuato il (OMISSIS), recante quale causale "TFR e ratei retribuzione personale" doveva ritenersi dimostrata dalle emergenze probatorie.4 Secondo quanto riferito dal curatore fallimentare nel giudizio di primo grado, l'avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto(OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto(OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)4Samori' Massimiliano (OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto(OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)3Cazzaniga Maasimiliano (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS), non si concretizzava a causa della dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) s.p.a., che veniva pronunciata dal Tribunale di Milano Il ottobre 2009, in conseguenza della quale l'operazione contrattuale rimaneva ineseguita. Tuttavia, nonostante l'intervenuta declaratoria di fallimento e le richieste di restituzione della somma controversa, avanzate dal curatore fallimentare, l'importo di 90.000,00 Euro, sebbene corrisposto sine causa, non veniva restituito. Non si teneva, in questo modo, conto delle istanze formulate dall'avvocato (OMISSIS), che non sortivano alcun effetto, a causa della ferma opposizione dell'amministratore delegato di (OMISSIS) s.r.l., l'avvocato (OMISSIS). Questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, a ben vedere, traeva conferma dalle dichiarazioni rese all'udienza del 19 marzo 2015 dall'avvocato (OMISSIS), citate a pagina 3 della sentenza impugnata, che confermavano la natura dissipativa del versamento di 90.000,00 Euro, effettuato il (OMISSIS), non essendosi concretizzata l'assunzione dei dipendenti di (OMISSIS) s.p.a. da parte di (OMISSIS) s.r.l. Il curatore fallimentare, infatti, sentito dal Tribunale di Milano, a proposito dell'infondatezza della causale indicata a supporto del versamento controverso, recante la dicitura "TFR e ratei retribuzione personale", osservava che "la ragione dichiarata era quella, ma certo senza causa sono usciti perche' siccome i dipendenti non sono passati dalla parte di la', il ramo d'azienda non me l'hanno acquistato, e' chiaro che e' un'operazione senza causa (...1". Si traeva, del resto, ulteriore conferma della natura dissipativa del versamento contestato dal fatto che la corresponsione aveva luogo il 29 luglio 2009, in epoca successiva alla conclusione del contratto di affitto di ramo di azienda, sottoscritto il (OMISSIS), rimanendo, fino alla data in cui veniva pronunciata la declaratoria di fallimento di (OMISSIS) s.p.a., intervenuta Il (OMISSIS), l'unica attivita' esecutiva, peraltro posta in essere unilateralmente, dell'accordo contrattuale in esame. Ne consegue che e' incontroverso che, fino alla data in cui veniva E emessa la declaratoria di fallimento di (OMISSIS) s.p.a., non veniva eseguita alcuna prestazione relativa al contratto di affitto di ramo di azienda, fatta eccezione per il versamento della somma di 90.000,00 Euro in favore di (OMISSIS) s.r.l. Le emergenze probatorie, dunque, non facevano emergere alcun rapporto di corrispettivita', contrattuale o economica, idoneo a giustificare la corresponsione della somma di 90.000,00 Euro, confermando la natura dissipativa del versamento, che non poteva essere nemmeno giustificata dai danni, asseriti ma non dimostrati, subiti da (OMISSIS) s.r.l. per effetto delle inadempienze contrattuali di (OMISSIS) s.p.a., in realta' inesistenti, essendo il contratto rimasto ineseguito a causa della declaratoria di fallimento dell'(OMISSIS). Ci si trova, pertanto, in presenza di condotte tipicamente dissipative, che, secondo quanto affermato da questa Cortei si caratterizzano "sotto il profilo oggettivo, per l'incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell'impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell'autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima" (Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011, Presutti, Rv. 251218-01). Le considerazioni esposte impongono di ritenere infondato il primo motivo di ricorso. 2.2. Deve, invece, ritenersi fondato il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all' articolo 125, comma 3, e articolo 627 c.p.p., conseguenti al fatto che la somma di 90.000,00 Euro non poteva essere compresa nell'importo che (OMISSIS), avrebbe dovuto risarcire per ottenere il beneficio circostanziale invocato, che, essendo stato richiesto per il reato di cui al capo C, doveva essere sottoposto a una valutazione autonoma rispetto alla fattispecie contestata al capo B, relativamente alla quale si sarebbe perfezionata la condotta dissipativa controversa. Osserva il Collegio che la fondatezza di tale doglianza discende dall'erroneita' dell'assunto ermeneutico dal quale muoveva la Corte di appello di Milano, secondo cui la mancata restituzione della somma di 90.000,00 Euro da parte di (OMISSIS) s.r.l. avrebbe dovuto essere compresa nell'importo che il ricorrente avrebbe dovuto risarcire per ottenere il beneficio circostanziale invocato. Tale soluzione processuale, infatti, trascurava di considerare che l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, essendo stata richiesta per il solo reato di cui al capo C, doveva essere sottoposta a una valutazione dosimetrica autonoma rispetto alla configurazione del reato di cui al capo B, relativamente alla quale si sarebbe perfezionata la condotta dissipativa riguardante l'importo controverso. Non puo', in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte, citata correttamente dalla difesa del ricorrente, secondo cui "nel caso di consumazione di una pluralita' di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento (...), le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, (...1, che (...) detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria prevista dalla disposizione codicistica succitata (...)" (Sez. 5, n. 23275 del 29/04/2014, Gurgone, non mass. sul punto). L'opzione ermeneutica richiamata dalla difesa del ricorrente, del resto, trae origine da un precedente arresto chiarificatore delle Sezioni Unite, tuttora insuperato, secondo cui: "In tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita' di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'articolo 81 c.p. " (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665-01). Ne discende che la Corte di appello di Milano non poteva negare il beneficio circostanziale invocato nell'interesse di (OMISSIS), per il capo C, ex articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, richiamando la condotta dissipativa contestata all'imputato al capo B, atteso che, nell'ipotesi di una pluralita' di condotte tipiche di bancarotta, pur rilevanti nel contesto di uno stesso fallimento, le stesse mantengono la loro autonomia ontologica, dando luogo, come nel caso in esame, a un concorso di reati (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, cit.). Queste ragioni impongono di ribadire la fondatezza del secondo motivo di ricorso, cui consegue l'annullamento della sentenza impugnata, nei termini di cui in dispositivo. 2.3. Resta, infine, assorbito nel secondo motivo il terzo motivo di ricorso, sull'eccessivita' delle pene accessorie irrogate a (OMISSIS) L. Fall., ex articolo 216, u.c., postulando il vaglio di questa doglianza la riformulazione del giudizio dosimetrico nei confronti dell'imputato, che, per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, deve essere sottoposto a una complessiva rivisitazione, che tenga conto dell'astratta concedibilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6. relativamente all'ipotesi di reato di cui al capo C. 2.4. Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), in accoglimento del secondo motivo di ricorso, nel quale resta assorbita la doglianza prospettata con il terzo motivo, cui consegue l'annullamento della sentenza impugnata, nei termini di cui in dispositivo. L'atto di impugnazione in esame, nel resto, deve essere rigettato. 3. Deve ritenersi fondato il ricorso proposto da (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), articolato in tre censure difensive. 3.1. Deve ritenersi fondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla L. Fall., articoli 125, 192 c.p.p. e articolo 627 c.p.p., comma 3, articolo 110 c.p., articoli 216, 223 conseguenti al fatto che la Corte di appello di Milano non si era confrontata con le indicazioni ermeneutiche ricevute in sede di annullamento con rinvio, omettendo di esaminare le dichiarazioni di (OMISSIS) - che, all'epoca dei fatti, era l'amministratore delegato di (OMISSIS) s.r.l., l'ente societario che controllava (OMISSIS) s.r.l. -, che aveva escluso il coinvolgimento di (OMISSIS) nella gestione delle trattative relative al contratto di affitto di ramo di azienda sviluppatesi, nel corso del 2009, tra (OMISSIS) s.p.a. e la stessa (OMISSIS). Secondo la difesa del ricorrente, le dichiarazioni rese da (OMISSIS), che la Corte territoriale milanese aveva omesso di valutare, nonostante le indicazioni ricevute in sede di annullamento con rinvio, escludendo il coinvolgimento del ricorrente nelle attivita' finalizzate alla stipula del contratto di affitto di ramo di azienda, perfezionatosi il (OMISSIS), imponevano di ritenere l'imputato estraneo alle condotte dissipative contestate al capo C, che si concretizzavano nella corresponsione di 90.000,00 Euro effettuata da (OMISSIS) s.p.a. in favore di (OMISSIS) s.r.l. Osserva, in proposito, il Collegio che l'omessa valutazione delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, relative alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), appare incontroversa ed emerge dal testo della sentenza impugnata, da cui si evince l'elusione integrale di tali, pur evidenziati, profili valutativi. La Corte di legittimita', infatti, aveva imposto alla Corte di appello di Milano di verificare se, alla luce delle dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado da (OMISSIS) - che, all'epoca dei fatti, rivestiva una posizione qualificata all'interno di (OMISSIS) s.r.l., che, come detto, era la societa' controllante di (OMISSIS) s.r.l. -, poteva o meno escludersi il coinvolgimento di (OMISSIS) nella gestione delle trattative finalizzate alla stipula del contratto di affitto di ramo di azienda, intercorso tra (OMISSIS) s.p.a. e la stessa (OMISSIS); verifica che poteva assumere un rilievo significativo ai fini della conferma del giudizio di responsabilita' formulato nei confronti del ricorrente. Ne' era possibile eludere tale questione valutativa, affermata in accoglimento del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) nel sottostante giudizio di legittimita', attese le univoche indicazioni ermeneutiche della Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 12 della sentenza del 14 settembre 2021, evidenziava che "l'atto di appello aveva valorizzato la deposizione di (OMISSIS) (indicato dalla sentenza di primo grado come amministratore di (OMISSIS) dal (OMISSIS), quindi prima della stipula del contratto di affitto di azienda), descritto come teste diretto in quanto a conoscenza della vicenda relativa al passaggio dei 90 mila Euro da (OMISSIS) a (OMISSIS), ove si escludeva il coinvolgimento di (OMISSIS), nella vicenda (...)". D'altra parte, le stesse dichiarazioni del curatore fallimentare, l'avvocato (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli (OMISSIS)2Beccafogli (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS)4Samori' Massimiliano (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Beccafogli Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS) (OMISSIS)1Colombo Fausto (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massim - Consigliere Dott. LEOPIZZI A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/10/2021 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO LEOPIZZI; sentite le richieste del PG Dr. BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata; udito l'avv. (OMISSIS), per il ricorrente, che si e' riportato ai motivi, facendo rilevare l'intervenuta prescrizione. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 ottobre 2021, depositata il 24 dicembre 2021, la Corte di appello di Lecce, in accoglimento dell'appello presentato dal Procuratore generale, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Brindisi del 18 dicembre 2017, nei confronti di (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 629 c.p., ha irrogato all'imputato, in aggiunta alla pena detentiva, la pena pecuniaria di Euro 400 e la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, confermando per il resto l'impugnata sentenza di condanna. La vicenda aveva per oggetto, secondo l'ipotesi accusatoria, l'estorsione realizzata da (OMISSIS), legale rappresentante di una societa' commerciale, in danno di (OMISSIS), dipendente della suddetta societa', costretto a sottoscrivere le buste paga relative ai mesi da giugno a settembre 2008, riportanti retribuzioni invece in realta' mai percepite, cosi' procurando alla societa' un ingiusto profitto con pari danno per il lavoratore. 2. (OMISSIS) ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo cinque motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta la mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, laddove si e' ritenuto sussistente un ingiusto profitto (e il conseguente danno per la persona offesa) a seguito della sola sottoscrizione da parte del dipendente delle buste paga "per ricevuta" e non per quietanza degli importi salariali ivi specificati. Nel primo caso, sostiene la difesa, non ci sarebbero effetti pregiudizievoli per la vittima, in quanto atto non equiparabile a una formale rinuncia alla retribuzione, ed errano i giudici di secondo grado nel ritenerla una "dichiarazione di valore probatorio" (ed ancor di piu' quando, in un passaggio - "non aveva ricevuto la quota parte di retribuzione (...), nonostante la sottoscrizione delle buste paga che di tale quota di retribuzione attestavano la consegna" - tale natura comunque le attribuiscono). Al piu', il fatto potrebbe, dunque, essere configurato come violenza privata. 2.2. Con il secondo motivo, sempre dolendosi della mancanza e manifesta illogicita' della motivazione, si contesta la valutazione di sussistenza della minaccia. Da un lato, infatti, la Corte di merito, secondo la difesa, non analizza singolarmente e autonomamente le singole condotte che avrebbero integrato le due distinte minacce di non consegnare l'attestazione di servizio necessaria per ottenere un finanziamento e di procedere al licenziamento. Sul datore di lavoro, invero, non graverebbe alcun obbligo di rilasciare un simile documento e comunque la necessita' dell'attestazione al fine di accedere al prestito non era conosciuta dall'imputato; su questi due punti, pero' i giudici di appello non hanno preso posizione alcuna. D'altronde, le dichiarazioni dibattimentali di (OMISSIS) e del teste (OMISSIS) indicavano chiaramente come, in occasione dell'incontro presso lo studio del commercialista, si fosse parlato solo delle buste paga, senza accenni ad altra tipologia di documentazione. In ogni caso, non e' stata adeguatamente esplorata in punto di diritto la prospettazione difensiva secondo la quale il licenziamento era stato gia' programmato dal datore di lavoro, in conseguenza di attriti pregressi, e pertanto, in assenza di connessione con la vicenda delle buste paga, mancasse ogni connotazione di pretestuosita' della risoluzione del rapporto di lavoro e quindi la minaccia di un "male ingiusto". 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., il travisamento della prova testimoniale. I giudici di merito avrebbero infatti escluso ogni rilievo alla deposizione dei testimoni (OMISSIS), commercialista del datore di lavoro, e D'Agnano, sua segretaria, che, in maniera precisa e argomentata, hanno contraddetto quanto riferito, al contrario in modo incerto, dalla persona offesa e da sua moglie in merito al colloquio durante il quale sarebbero state proferite le frasi minatorie (mentre invece in motivazione si e' affermato che (OMISSIS) ha riscontrato la versione offerta da (OMISSIS)). Risulterebbe priva di motivazione adeguata anche la valutazione di attendibilita' della persona offesa, da scrutinare con particolare attenzione, dal momento che, nel suo primo esame, non aveva fatto cenno alla minaccia di licenziamento, emersa solo in una deposizione successiva, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p.. 2.4. Con il quarto motivo, si contesta la mancanza e illogicita' della motivazione, in merito alla mancata derubricazione, invocata nel gravame, dell'estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti, si configurerebbe per l'appunto il delitto di ragion fattasi, se l'agente avesse usato minaccia nella convinzione, non meramente astratta ma ragionevole, anche se infondata, di tutelare una propria pretesa riconosciuta dall'ordinamento. 2.5. Il quinto motivo si incentra sulla mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 4. La Corte avrebbe infatti escluso la modestia del danno patrimoniale asseritamente patito dalla persona offesa, individuando erroneamente la cifra complessiva di oltre Euro 11.000 che ricomprendeva voci retributive ulteriori rispetto a quanto qui rileva. 3. All'odierna udienza pubblica, e' stata verificata la regolarita' degli avvisi di rito; all'esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e il Collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non e' fondato, nei termini di seguito specificati. 2. Risulta opportuno, preliminarmente, richiamare in sintesi la ricostruzione in fatto e in diritto della vicenda che qui occupa data dalla Corte di appello di Lecce, cosi' da chiarire, nella loro effettiva consistenza, le risposte offerte dai giudici di appello alle doglianze loro sottoposte con l'atto di gravame che, in questa sede, vengono sottoposte a molteplici censure. La motivazione della sentenza impugnata, in maniera coerente con l'imputazione ascritta formalmente all'imputato, da' conto di un'iniziale richiesta avanzata da (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS) Srl, di vedersi corrispondere le differenze retributive a lui spettanti a carico del datore di lavoro in ragione del 40% della busta paga, in relazione al periodo di assenza dal lavoro in conseguenza di un infortunio. Questi importi non sono mai stati corrisposti. Solo successivamente, avendo bisogno di un'attestazione che comprovasse il rapporto di lavoro in atto al fine di accedere a un finanziamento, lo stesso (OMISSIS), su indicazione dello stesso (OMISSIS), si era recato dal commercialista della societa', il dottor Marraffa, per ottenerne il rilascio. Nello studio del professionista, fu informato dalla segretaria che l'attestazione era stata predisposta, ma che gli sarebbe stata consegnata soltanto previa sua sottoscrizione delle buste paga dei mesi in cui era stato assente. (OMISSIS), contattato telefonicamente, si era presentato sul posto ribadendogli il suddetto aut aut e aggiungendo con freddezza che, in caso di mancata firma, sarebbe stato licenziato. Stretto dalla necessita', (OMISSIS) sottoscrisse le buste paga, ricevendo ugualmente qualche giorno dopo la lettera di licenziamento (che, peraltro, e' poi stato dichiarato illegittimo dal giudice del lavoro, essendone stata riconosciuta la natura ritorsiva). L'oggetto della richiesta della persona offesa, non era stato, quindi, il rilascio delle buste paga, bensi' soltanto della documentazione necessaria per richiedere il prestito. L'imputato, ben consapevole di questa necessita', approfitto' della circostanza per minacciarlo, subordinando il rilascio di quanto necessario al dipendente alla sottoscrizione delle buste paga in cui era riportata la falsa attestazione della totale retribuzione del dipendente nei mesi di assenza dal lavoro per infortunio. A cio', si aggiunse anche l'ulteriore minaccia di licenziamento. Sotto queste pressioni, (OMISSIS) firmo' le buste paga. 3. Il primo motivo non e' fondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', nel delitto di estorsione, l'elemento del profitto ingiusto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire e che non si colleghi ad un diritto ovvero sia perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, Colucci, Rv. 239780; cfr. anche Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209, secondo cui, qualora la minaccia sia diretta a costringere la vittima a rinunciare a una propria legittima aspettativa, il danno patrimoniale va inteso come danno futuro consistente nella perdita della possibilita' di conseguire un vantaggio economico; Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303, ha affermato che, nella nozione di danno, rientra qualsiasi situazione che possa incidere negativamente sull'assetto economico di un soggetto, comprese la delusione di aspettative e chances future di arricchimento o di consolidamento di propri interessi). In maniera coerente con queste premesse esegetiche, la Corte territoriale, nel caso di specie, ha riconosciuto, confermando il percorso logico seguito in primo grado, che la coartazione della volonta' della persona offesa e' stata efficacemente diretta a conseguire un risultato tangibile (e impossibile da ottenere se non con le reiterate minacce): la sottoscrizione da parte del lavoratore delle buste paga che indicavano la corresponsione, in realta' mai avvenuta, delle somme di spettanza del datore di lavoro durante il periodo di assenza per infortunio. I giudici di merito hanno chiaramente esplicitato come la disponibilita' in capo all'imputato, quale legale rappresentante della societa', di un simile documento avrebbe costituito un vantaggio non incolmabile, ma purtuttavia concreto, quale principio di prova a suo favore in un eventuale sede contenziosa o precontenziosa. (Peraltro, i fatti sopravvenuti, con il licenziamento comunicato a stretto giro e la causa civile che ne e' conseguita, pur definita poi con vittoria del dipendente, hanno confermato la concretezza e l'attualita' del profitto - intrinsecamente ingiusto - e del danno al momento della commissione del fatto, con evidenti potenziali utilita' e pregiudizio, rispettivamente, per le due parti contrattuali interessate.) 4. La premessa giuridica posta alla base del quarto motivo di ricorso e' - in astratto - corretta: il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02; Sez. 2, n. 42940 del 25/09/2014, Conte, Rv. 260474). La sentenza di secondo grado, d'altronde, proprio ragionando in termini di dolo, in considerazione della dettagliata ricostruzione della vicenda storica in conformita' agli esiti dibattimentali (che fa chiarezza in ordine al reale svolgimento dei fatti e alle conseguenze che ne derivano in iure), ha individuato il fine avuto di mira da (OMISSIS) nel "perseguimento (...) dell'ingiusto profitto rappresentato dal mancato versamento della quota parte di retribuzione mensile al (OMISSIS) nel periodo di assenza dal lavoro per infortunio". Nessun dubbio che risulti cosi' integrato il delitto di estorsione: la prospettazione di esercitare un preteso diritto assume connotati minatori e dunque penalmente rilevanti quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, l'agente faccia uso del mezzo giuridico legittimo per conseguire uno scopo non consentito, quello di coartare la volonta' del debitore esecutato, per costringerlo a una prestazione non dovuta (Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980, secondo cui integra il reato di estorsione la pretesa contrattuale azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per cui il diritto e' riconosciuto e tutelato, o comunque non dovuti nell'an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius; Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02, ha precisato che, nell'estorsione, "l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facolta' di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perche' privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli"). Il motivo e' dunque infondato. 5. Puo' affermarsi, quanto agli ulteriori motivi di ricorso, come l'apparato argomentativo posto a supporto della decisione di secondo grado sia congruo e aderente alle emergenze istruttorie. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, ripropone sovente le stesse questioni gia' devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non e' stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione, con conseguente aspecificita' dei motivi. 5.1. Al contrario delle doglianze del ricorrente, le condotte con cui (OMISSIS) ha minacciato (OMISSIS), sono state oggetto di un'attenta disamina - gia' parzialmente accennata - da parte della Corte (nonche', in precedenza, del Tribunale). La sentenza impugnata evidenzia, peraltro, come la prospettazione di un eventuale futuro licenziamento costituisca una "ulteriore minaccia", successiva alla prima (relativa invece al mancato rilascio di documentazione utile per la concessione da parte di terzi di un finanziamento) e in grado, sommandosi a questa, di coartare la sino ad allora titubante volonta' della persona offesa. A tal proposito, si puntualizza altresi' l'idoneita' minatoria - correttamente valutata con giudizio ex ante, nella sua obiettiva capacita' di aggredire la liberta' psichica della vittima - di quanto ventilato a (OMISSIS). Resta, quindi, affatto ultronea, oltre che completamente indimostrata, l'allegazione difensiva riferita a una gia' radicata intenzione del datore di porre fine al rapporto di lavoro. Esula da quanto consentito in questa sede di legittimita', a fronte delle lineari esplicazioni offerte dai giudici di merito, una rivalutazione, peraltro su punti tutt'altro che decisivi, di quanto dichiarato in dibattimento dai testimoni e persino dall'imputato. 5.2. Nel caso - come quello di specie - di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, denunciato dal ricorrente nel suo terzo motivo, puo' essere dedotto, in relazione all'utilizzo di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva e solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438). La censura del ricorrente non si focalizza, in primo luogo, su una prova decisiva, dal momento che i giudici di merito hanno fondato le proprie valutazioni soprattutto sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, assoggettate a un controllo penetrante e rigoroso, ma che possono, come noto, ritualmente prescindere dalla necessita' di riscontri esterni. Sul punto, per completezza di esame, si nota come la Corte salentina abbia comunque preso in considerazione i tempi, le forme e il contenuto dei due esami a cui e' stato sottoposto (OMISSIS), rappresentando come costituisca un'evenienza fisiologica del processo la nuova audizione di un teste e dando logica spiegazione di eventuali incertezze, discrasie e cali di memoria, con il lungo lasso temporale intercorso rispetto allo svolgimento dei fatti; si e' aggiunto poi come il racconto di (OMISSIS) sia stato confermato innanzitutto dalla sentenza del Giudice del lavoro di Brindisi, oltre che da non poche fonti orali: non solo dalla coniuge, ma anche, in parte, dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (pp. 7-10). Il giudice di primo grado, in ossequio all'immediatezza dell'oralita', aveva sottolineato altresi' "la serenita' dallo stesso dimostrata nel corso dell'esame testimoniale e del successivo ascolto dopo l'emissione dell'ordinanza ex articolo 507 c.p.p., evidenziat(e) dal contenuto stesso delle sue propalazioni"; la sentenza del Tribunale ha ricordato altresi' "l'evidente e singolare genericita', contraddittorieta' (intrinseca e rispetto alle dichiarazioni rese in fase di indagine) e intermittenza mnemonica dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) (...) le cui dichiarazioni, peraltro, non appaiono del tutto diverse da quelle rese dal (OMISSIS) e possono agevolmente conciliarsi". I rilievi del ricorrente, a fronte di cio', risultano viziati da un approccio esageratamente frazionato delle risultanze dibattimentali, attento a differenze marginali (e comunque giustificabili e giustificate) rispetto alla tranquillizzante visione d'insieme, e, soprattutto, presentano a questa Corte, sotto l'apparenza del vizio di motivazione, censure di mero fatto, non deducibili in questa sede e peraltro non attinenti ad aspetti essenziali idonei ad imporre diversa conclusione del processo. 5.3. Anche la censura relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita', non supera la soglia della ammissibilita', in quanto del tutto generica. Il ricorrente, infatti, prescinde del tutto dalla necessaria valutazione complessiva del danno, che costituisce un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita', se immune da vizi logico-giuridici. In primo luogo, infatti, l'impugnazione non tiene conto del costante orientamento interpretativo per cui, ai fini della configurabilita' dell'attenuante di cui all'articolo 62, n. 4, c.p., in relazione a delitti contro il patrimonio, occorre far riferimento a una valutazione il piu' completa possibile del danno complessivo cagionato alla persona offesa, senza avere riguardo soltanto al valore venale pressoche' irrisorio del corpo del reato, occorrendo far riferimento al danno complessivo (Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Calvio, Rv. 271695; Sez. 2, n. 3576 del 23/10/2013, dep. 2014, Annaro, Rv. 260021). D'altronde, l'alternativa irritualmente suggerita a questa Corte e' che la quantificazione monetaria operata dai giudici di appello (Euro 11.434,00) debba essere diminuita, detraendo "una serie di voci (...) ulteriori rispetto a quelle della contestazione di cui al presente processo e precisamente per "differenze retributive, lavoro straordinario, indennita' di preavviso, ferie non pagate e TFR" (cfr. pag. 1 della sentenza del Tribunale del Lavoro)", non solo postula importi di cui non specifica in alcun modo la consistenza, neppure allegando la pronuncia civile a cui fa cenno, ma non ha comunque riguardo alle specifiche condizioni di illiquidita' finanziaria della persona offesa (che, come aveva evidenziato il Tribunale, argomentando in merita all'efficacia coercitiva delle minacce di (OMISSIS), era pressato da difficolta' economiche e dalla non differibile esigenza di ottenere un prestito di denaro, non avendo percepito nei quattro mesi precedenti la quota di retribuzione che avrebbe dovuto pagargli il datore di lavoro - pp. 9-11). 6. Va, tuttavia, considerato, come sollecitato in udienza dalla difesa, che, anche tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione (112 giorni, dal 27 settembre 2016 al 17 gennaio 2017, per rinvio richiesto dal difensore, piu' ulteriori 188 giorni, dal 13 giugno 2017 al 18 dicembre 2017, per rinvio per astensione dalle udienze), il termine massimo di prescrizione di dodici anni e sei mesi, ai sensi dell'articolo 157 c.p. e articolo 161 c.p., comma 2, e' venuto a maturare, dopo la pronuncia di appello, il 10 febbraio 2022. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818), la non inammissibilita' del ricorso impone al Collegio di rilevare d'ufficio, ai sensi degli articoli 129 c.p.p. e articolo 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione intervenuta in data anteriore alla pronuncia della sentenza di legittimita'. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, perche' il reato contestato e' estinto per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CANANZI F. - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. EPIDENDIO TOMASO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni depositate dall'avvocato (OMISSIS), nell'interesse della parte civile, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o in subordine rigettarsi il ricorso, con condanna al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa; lette le conclusioni dell'avvocato (OMISSIS) nell'interesse del ricorrente, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza emessa il 17 marzo 2021, riformava parzialmente, riconoscendo il beneficio della non menzione, la sentenza del Tribunale palermitano, che aveva ritenuto la responsabilita' penale di (OMISSIS), condannandolo alla pena di quattro mesi di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore di (OMISSIS), per minaccia aggravata dall'uso della arma, assolvendolo invece dal delitto di diffamazione. Va in sintesi evidenziato, ai fini della migliore comprensione del ricorso, quanto emerge dalle sentenze di merito. (OMISSIS) era chiamato a rispondere penalmente, perche' quale guardia giurata in servizio presso l'ospedale "Ingrassia', proferendo nei confronti di (OMISSIS) le espressioni "porco, maiale", e poi portando la mano alla pistola, aggiungendo "la vedi la mia pistola, la prendo e te la infilo in bocca", offendeva l'onore e il decoro del medesimo e lo minacciava di un danno ingiusto. Con le aggravanti di aver recato offesa in presenza di piu' persone e della gravita' della minaccia. In Palermo, il 9 ottobre 2013. La denuncia scaturiva dall'essersi tesi i rapporti fra (OMISSIS), moglie del (OMISSIS), e i datori di lavoro (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari di una casa di riposo presso la quale la donna aveva lavorato. La dipendente, infatti, dopo la gravidanza, non era rientrata in servizio e, risoltosi il rapporto di lavoro, chiedeva il pagamento del trattamento di fine rapporto. D'altro canto (OMISSIS) aveva confidato al marito che la ragione per la quale non rientrava al lavoro erano le avances del (OMISSIS), ricevute prima del periodo di astensione per maternita'. Accadde poi che in modo occasionale (OMISSIS), in servizio presso l'ospedale, incontro' la (OMISSIS), la quale gli chiese quando sarebbe rientrata al lavoro la moglie. L'attuale ricorrente le replico' che la ragione del mancato rientro della moglie era da rinvenirsi nelle avances del (OMISSIS). (OMISSIS), a quel punto, contatto' subito il marito il quale, immediatamente sopraggiunto, fu minacciato da (OMISSIS) nei termini su indicati. Il tutto avvenne alla presenza della (OMISSIS), ma anche di tal (OMISSIS), che si era in precedenza posto quale mediatore fra le parti per risolvere la questione lavoristica, nonche' di (OMISSIS), altra dipendente del (OMISSIS) che stava accompagnando la (OMISSIS) in ospedale per ragioni di lavoro. Da questi eventi scaturi' la denuncia di (OMISSIS) in danno di (OMISSIS), cui segui' pero' quella di (OMISSIS) in danno di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per estorsione, fondata anche sulla registrazione di un colloquio che (OMISSIS) registro' nel mentre dialogava con (OMISSIS): dalla conversazione emergeva come i coniugi (OMISSIS) avrebbero richiesto di simulare solo il pagamento del trattamento di fine rapporto in cambio della remissione della querela per la minaccia e la diffamazione. Ne' consegui' anche una ulteriore denuncia per calunnia nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS). Questi ultimi due procedimenti, annota la Corte di appello nella sentenza qui impugnata, risultavano essersi definiti in primo grado con l'assoluzione dei rispettivi imputati e pendevano in appello. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione da travisamento della prova. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere attendibili le dichiarazioni di (OMISSIS), persona offesa, della moglie (OMISSIS) e del mediatore (OMISSIS), valutando in modo errato significative e non neutre le dichiarazioni della teste (OMISSIS): dalla trascrizione delle conversazioni registrate da (OMISSIS), nel colloquio con (OMISSIS), risultava evidente che i coniugi (OMISSIS) fossero mossi da astio e volessero ottenere che il pagamento del trattamento di fine rapporto fosse solo simulato, minacciando in caso contrario che non avrebbero rimesso la querela contro (OMISSIS). Per quanto la Corte di merito avesse acquisito la perizia trascrittiva di tali conversazioni, non aveva tenuto conto che i fatti e la richiesta del pagamento del TFR erano precedenti rispetto alla querela di (OMISSIS) verso (OMISSIS) per minaccia e diffamazione, utilizzando i due datori di lavoro proprio quella querela, artatamente presentata, per poter estorcere la sostanziale rinuncia al TFR. La Corte di appello avrebbe errato valutando come irrilevanti le discrasie fra le versioni dei testimoni. Il travisamento riguarderebbe proprio il contenuto delle conversazioni intercettate, quanto alla anteriorita' delle vicende lavoristiche rispetto all'episodio contestato ora a (OMISSIS). 4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione quanto all'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione del contesto di astio, del mancato utilizzo della pistola, indicato solo dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e non da altri, della controversia lavorativa, tutti elementi idonei a ritenere integrate le ragioni per le generiche attenuanti. 5. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dall'articolo 5-duodecies Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. 6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 7. Il difensore della parte civile (OMISSIS) depositava conclusioni chiedendo dichiararsi inammissibile, o in subordine rigettarsi il ricorso, con richiesta di condanna del ricorrente al pagamento delle spese di rappresentanza e giudizio, depositando anche nota spese. 8 n difensore del ricorrente depositava conclusioni con le quali illustrava, replicando alla Procura generale, ulteriormente i motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento e allegando la sentenza della Corte di appello di Palermo che confermava la sentenza di assoluzione di (OMISSIS) e (OMISSIS) dal delitto di calunnia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente da rigettare. 2. Va premesso che la minaccia per la quale si procede e' commessa con l'aggravante dell'arma, oltre che per il richiamo all'articolo 612, comma 2, seppur senza rinvio esplicito all'articolo 339 c.p., per il riferimento esplicito nell'imputazione all'utilizzo della pistola, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale per cui in assenza di una puntuale contestazione in diritto con il riferimento alla norma aggravante, e' adeguato a garantire il diritto di difesa la descrizione in fatto nell'imputazione della circostanza aggravante. Pertanto, anche alla luce della riforma operata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2022, il delitto e' procedibile di ufficio e non richiede alcun accertamento sulla sussistenza della querela. 3. Va evidenziato come il secondo motivo di ricorso sia generico, mentre il primo e' solo infondato, per quanto si leggera' a seguire. Pertanto, agli effetti penali va dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, intervenuta il 26 settembre 2021: difatti il reato e' stato consumato il 9 ottobre 2013, il termine a seguito di interruzione andava a scadere il 9 aprile 2021, per le sospensioni per impedimento (dal 13 luglio 2018 al 9 ottobre 2018 e dal 9 ottobre 2018 al 12 febbraio 2019) il termine finale risultava essere quello in precedenza indicato. 4. Va pertanto valutato il primo motivo di ricorso, agli effetti civili e anche per escludere, quanto a quelli penali, la sussistenza dei presupposti di una pronuncia ex articolo 129 c.p.p.. A ben vedere la Corte di appello effettua una adeguata e non manifestamente illogica valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate da (OMISSIS) nel suo dialogo con il mediatore (OMISSIS). In primo luogo, evidenzia la Corte territoriale come (OMISSIS) fosse a conoscenza della registrazione in atto, cosicche' era accorto nel parlare rispetto all'interlocutore che invece era ignaro della registrazione. La Corte esclude che dal contenuto delle trascrizioni emerga che la denuncia per le minacce di (OMISSIS) a (OMISSIS) fosse falsa, evidenziando come invece la strumentalizzazione della stessa sia avvenuta successivamente, e non quindi non con un vizio genetico di strumentalita'. Per altro, secondo i Giudici di appello, la prova che per la minaccia sia stata utilizzata la pistola si trae non solo dalla dichiarazione di (OMISSIS) e della (OMISSIS), portatori di astio nella prospettiva del ricorrete, ma anche da quella di (OMISSIS), che invece il ricorrente giudica prova neutra di fatto "attaccando" solo due delle tre testimonianze a riguardo. In sostanza la censura difetta di forza disarticolante perche', anche a voler ritenere fondate le doglianze del ricorrente rivolte alla motivazione della Corte territoriale, resta il dato oggettivo che l'arma fu indicata e fu utilizzata per minacciare, per quanto riferisce la testimone (OMISSIS), estranea alla contesa e dunque ritenuta particolarmente attendibile, a buona ragione (cosi' al fol. 9 della sentenza impugnata). Ogni altro profilo di censura, afferente all'attendibilita' dei testimoni, risulta per altro inibito, in quanto trattasi di valutazione di merito come tale insindacabile nel giudizio di legittimita', salva l'ipotesi in cui essa risulti manifestamente illogica, il che nel caso in esame non e'. La Corte di appello, infine, affronta il tema della connessione fra l'estorsione contestata a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ma ne esclude la rilevanza per due ordini di ragioni: in primo luogo in quanto si tratta di avvenimenti successivi seppur collegati; per altro verso poiche' la connessione eziologica e l'astio conseguente non incide sul fatto storico della minaccia aggravata dall'uso dell'arma, cosi' come ricostruito. In sostanza la Corte di merito con argomentazioni non manifestamente illogiche evidenzia come seppur (OMISSIS) e (OMISSIS) ebbero a cercare di approfittare della situazione, dopo la minaccia di (OMISSIS), non di meno la minaccia intervenne. Pertanto la censura rivolta al solo primo ordine di ragioni, quand'anche fondata, non intacca il secondo, relativo alla circostanza indiscussa del verificarsi della condotta da parte di (OMISSIS) nelle forme contestate. Il che esclude la decisivita' del dedotto travisamento, quanto al "significante" della conversazione intercettata, che ineriva comunque al solo primo profilo, e non anche al secondo. Ne consegue la infondatezza del primo motivo agli effetti civili e l'esclusione di ragioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p.. 5. Quanto al secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato per consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte di appello ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche l'assenza di segni di resipiscenza, ma anche la gravita' del fatto, le modalita' dello stesso, il luogo del commesso reato, vale a dire un ospedale, l'utilizzo di un'arma da parte di persona abilitata al suo porto per ragioni professionali, durante l'orario di lavoro. Si tratta di una motivazione completa, che la rende insindacabile in questa sede alla luce del consolidato insegnamento di questa Corte per cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilita' di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entita' del reato e della capacita' a delinquere del suo autore. In tal senso la necessita' di tale adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l'obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (ex multis Sez. 3, n. 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716). Ed e' in questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalita' del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249163). Nel caso in esame il giudizio e' coerente e completo, plurimi i fattori ritenuti ostativi, cosicche' la motivazione e' immune da vizi logici. 6. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione, nonche' il rigetto del ricorso agli effetti civili e la condanna l'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, da liquidarsi in Euro 2500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna l'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in Euro 2.500, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - rel. Consigliere Dott. COSCIONE Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/09/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere IMPERIALI LUCIANO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIORGIO LIDIA, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che il 28/9/2021 ha confermato il giudizio di penale responsabilita' espresso dal Tribunale di Cosenza nei suoi confronti in ordine al delitti di cui all'articolo 645 c.p., per essersi appropriato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, della somma di Euro 9.166,00 accreditata per errore dalla costituita parte civile sulla carta Post-Pay intestata all'ordierno ricorrente. A sostegno del ricorso ha articolato due motivi di impugnazione: 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al disposto dell'articolo 124 c.p. per non essersi riconosciuta la tardivita' della querela proposta dalla persona offesa. 1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 646 c.p. ed alla valutazione delle prove di responsabilita' del ricorrente. 2. Con requisitoria scritta in data 21/12/2022 il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lidia Giorgio, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' inammissibile, in quanto si discosta dai parametri dell'impugnazione di legittimita' stabiliti dall'articolo 606 c.p.p.. 3.1. Il primo motivo di ricorso, in particolare, e' inammissibile, oltre che per la sua genericita', perche' manifestamente infondato, in quanto le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016 Genitore e altro, Rv. 266617) hanno dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali e' stata ritenuta tempestiva la proposizione della querela in data 21/6/2016, essendo emerso dalla deposizione della persona offesa che questa soltanto tra l'8 ed il 9 aprile 2016 si rese conto di essere rimasta vittima di un reato, essendo stata accreditata per errore sulla carta Post-Pay del (OMISSIS) la somma spettante, invece, al Messina, e non avendo dato seguito il primo alle assicurazioni date alla persona offesa di stornare dal suo conto la somma eventualmente accreditatagli per errore, per di piu' rendendosi irrintracciabile dal Messina. Il ricorso non si e' in alcun modo confrontato con tale ricostruzione dei fatti, del tutto priva di vizi logici o giuridici, limitandosi a richiamare molteplici precedenti giudiziari ed ad affermare genericamente che il dies a quo per la proposizione della querela avrebbe dovuto essere individuato nel mese di gennaio 2016, senza ulteriori specificazioni ne' argomentazioni. 3.2. Del pari inammissibile e' anche il secondo motivo di impugnazione, in quanto non si confronta in alcun modo con il percorso logico della sentenza impugnata, che ha ricostruito in modo congruo le ragioni della condanna, e si limita a dolersi del preteso ritardo con il quale la persona offesa, caduta in errore a gennaio del 2016 nel fornire l'IBAN al proprio istituto di credito per l'accredito del TFR, avrebbe atteso la fine del mese di marzo prima di contattare il (OMISSIS), con cio' riproponendo le stesse ragioni gia' ritenute infondate dal giudice del gravame, senza confrontasi con le rassicurazioni che la sentenza ha riferito che il Messina avrebbe ricevuto dall'istituto di credito in ordine allo storno dell'importo erroneamente trasmesso a soggetto diverso, e cosi' riproponendo argomenti che debbono considerarsi non specifici. La mancanza di specificita' del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' conducente, a mente dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all'inammissibilita' (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Rv. 237596). 4. Alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/10/2021 della CORTE di APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Teresa BELMONTE; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, VENEGONI Andrea, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Udito l'avv. (OMISSIS) che rileva il difetto di motivazione della sentenza impugnata e insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della decisione del Giudice dell'udienza preliminare di Ferrara - che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole di bancarotta patrimoniale, per avere distratto, nella qualita' di liquidatore, dal patrimonio della societa' (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 7 maggio 2015, la somma di Euro 73.200,84 prelevandola dai conti correnti della societa', a titolo di anticipazione per ristrutturazione aziendale mai eseguita (Euro 60.000) oltre che quali compensi per l'attivita' di liquidatore, condannandolo alla pena di giustizia - ha rideterminato la durata delle sanzioni fallimentari accessorie in anni tre, confermando, nel resto, le statuizioni di primo grado. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia avvocato (OMISSIS), il quale si affida a due motivi. 2.1. Con il primo, denuncia violazione o erronea applicazione dell'articolo 216 L.F. Il ricorrente, infatti, ha percepito il compenso dovuto per l'attivita' di liquidatore della societa', in conformita' all'importo deliberato con due verbali assembleari. Richiamata la giurisprudenza che configura una presunzione di onerosita' e non di gratuita' dell'incarico di liquidatore; rilevato, ai fini della correttezza comportamentale dell'imputato, che non si e' trattato di autoliquidazione ma di pagamento di un credito liquido avvenuto nel rispetto dell'articolo 2389 c.c., la Difesa si concentra sul vizio argomentativo della sentenza impugnata quanto al profilo della proporzione della somma liquidata con l'attivita' svolta. Contesta l'argomento, del tutto congetturale, con il quale la Corte di appello giunge a presumere che l'imputato abbia "influito in modo preponderante sulla determinazione dei compensi", sul rilievo che le delibere di liquidazione del compenso sono intervenute successivamente alla sua nomina quale liquidatore, e sottolinea come la stessa Curatela - che pure si era opposta alla liquidazione della prima tranche di 15.000 Euro, tanto che si era poi giunti a una transazione - non ha sollevato eccezioni in merito al compenso per i due anni di attivita' di liquidazione. D'altro canto, potrebbe, al piu', configurarsi una bancarotta preferenziale, stante l'opinabilita' della interpretazione dei giudici di merito circa la incongruita' del compenso, come detto, esclusa dagli organi fallimentari. 2.2. Con il secondo motivo sono denunciati vizi della motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena. Ci si duole che la Corte di appello abbia omesso di considerare che l'unico precedente preclusivo al beneficio di cui all'articolo 163 c.p. e' riferito a una sentenza di patteggiamento, in cui la pena detentiva e' stata convertita in pena pecuniaria interamente corrisposta, cosicche' la Corte di appello ha negato il beneficio della sospensione condizionale della pena pur sussistendone le condizioni di legge. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.E' fondato in modo assorbente il primo motivo, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito. 2. Come premesso, al ricorrente e' contestato di essersi appropriato di 60.000 Euro a titolo di anticipazione per l'elaborazione di un piano di rilancio aziendale, in realta', mai avviato. Risulta dalla ricostruzione dei giudici di merito, che egli venne nominato quale liquidatore della societa' il 19 gennaio 2015, quando l'attivita' sociale era in liquidazione dal settembre precedente; che tale somma e' stata erogata in seguito a due delibere assembleari del 22/01/2015 (Euro 15.500 a titolo di compenso netto a seguito della nomina a liquidatore) e del 18/02/2015 (Euro 60.000 quale compenso per rilanciare l'azienda trasformandola da azienda di produzione a compagine commerciale), che avevano individuato gli importi per cui e' processo. Le somme di cui (OMISSIS) e' accusato di essersi appropriato, sottraendole alla garanzia dei creditori della societa', erano state, dunque, deliberate in suo favore, quale remunerazione della attivita' di liquidatore della fallita. 3. La Corte di appello ha ravvisato la responsabilita' dell'imputato osservando che "A nulla rileva che i compensi percepiti dall'imputato siano stati deliberati dall'assemblea: considerando che entrambe le delibere intervengono successivamente alla nomina di (OMISSIS) come liquidatore, si presume che l'imputato abbia influito in modo preponderante sulla determinazione del compenso". Neppure la Corte di appello ha ritenuto di qualche rilievo la circostanza che la curatela - pur oppostasi alla liquidazione del primo importo di Euro 15.500, in quanto ritenuto sproporzionato rispetto alla attivita' di liquidatore del (OMISSIS), cosicche' si giungeva a un accordo transattivo - nulla abbia obiettato ne' abbia agito nel giudizio civile. 4. La valutazione della Corte di appello non e' corretta, in quanto mostra vizi logici palesi. 4.1. Invero, puo' affermarsi, in punto di fatto, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, che, oltre al diritto al compenso, in favore del liquidatore odierno ricorrente, l'assemblea dei soci avesse individuato anche il "quantum" spettante, fissato specificamente prima della erogazione, in conformita' alle previsioni di cui all'articolo 2487 c.c., che riserva, appunto, alla assemblea la nomina dei liquidatori e la individuazione dei relativi poteri, nonche' il compenso spettante. Con riguardo al diritto al compenso del liquidatore, si ritiene, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l'incarico di liquidazione sia oneroso per natura e che la determinazione del compenso rientri nei compiti dell'assemblea. Si ritiene, infatti, che la lacuna normativa vada colmata per analogia con quanto disposto per gli amministratori, essendo ambedue gli organi gestori nominati dall'assemblea (articolo 2364 c.c., n. 2, articolo 2479 c.c., comma 2, n. 2 e articolo 2487 c.c., comma 1) e accomunati tanto dalle regole in materia di responsabilita' (articolo 2489 c.c.) quanto dal genere di attivita' professionale svolta. 4.2. Il liquidatore della societa' e', dunque, un creditore della stessa, che ha diritto ad un congruo compenso per l'attivita' svolta. Si afferma, a tal proposito, nella giurisprudenza di legittimita' che l'autoliquidazione di somme a proprio favore, ove deliberate dall'assemblea, altera la par condicio creditorum, ma non depaupera la societa', e integra il reato di bancarotta preferenziale mentre il delitto di bancarotta fraudolenta ricorre nel caso in cui l'amministratore si auto attribuisca un compenso sproporzionato all'attivita' svolta (sez. 5, n. 32378 del 12/4/2018, Rv. 273576; conf. Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015 Rv. 266311; Sez. 5, n. 5186 del 02/10/2013 (dep. 2014) Rv. 260196). 4.3. Venendo al caso di specie, stando a quanto ricostruito dai giudici di merito, sembrerebbe che la nomina quale liquidatore del (OMISSIS) - soggetto del tutto estrano alla compagine societaria - sia intervenuta qualche giorno prima delle due citate delibere assembleari. Ora, al di la' dell'anomalia di una tale circostanza, dal momento che la Delib. di nomina contiene ordinariamente, in coerenza con la previsione legale, anche la individuazione dei poteri e dei compensi, si osserva che, i ogni caso, posto che l'importo incassato dal ricorrente corrisponde al quantum deliberato dall'assemblea, e' evidente che il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, ravvisato dalla Corte di appello, in tanto possa venire in rilievo in quanto emerga la palese sproporzione dell'importo. Su tale aspetto, tuttavia, l'affermazione della sentenza, secondo cui l'imputato avrebbe influito sulla Delib. assembleare quanto alla individuazione dell'importo, risulta del tutto apodittica, in assenza di una, necessaria, piu' congrua, argomentazione che evidenzi gli elementi fattuali sui quali essa si e' fondata. 4.4. Al di la', quindi, dell'astratta correttezza dei principi evocati dalla sentenza impugnata, quanto al discrimen tra bancarotta preferenziale e distrattiva in relazione alla fattispecie del pagamento del compenso dei liquidatori, cio' che manca e' un razionale scrutinio delle circostanze di fatto in presenza delle quali e' maturato il diritto al compenso del liquidatore e che hanno condotto a ritenere che siano stati deliberati in favore del (OMISSIS) importi sproporzionati all'attivita' demandata. E' apodittica, dunque, l'affermata influenza esercitata dal ricorrente sulla compagine societaria per determinare il compenso in suo favore, senza spiegare come il ricorrente abbia potuto essere tanto determinante, mancando indici di un pregresso rapporto di qualsiasi natura con i soci e gli amministratori della fallita, che potesse giustificarla, e essendo intervenute le due delibere a distanza di pochissimi giorni dalla sua nomina. In tale contesto di illogicita', non va neppure trascurato il vuoto argomentativo che sorregge l'affermazione della ritenuta irrilevanza della circostanza che la curatela non abbia obiettato alcunche' a fronte della determinazione e del pagamento di una somma cosi' significativa (Euro 60.000), peraltro, erogata in un momento in cui la societa' si trovava gia' in dissesto, avendo debiti per 300.000 Euro (fondo TFR dipendenti). Tanto piu' che, con riguardo al precedente importo, ben piu' modesto (Euro 15.500), proprio la curatela fallimentare aveva ottenuto la restituzione del 10% di quell'importo con atto di transazione. 5. Dunque, dovra' essere chiarito perche' gli importi deliberati dall'assemblea dei soci - anche alla luce dei parametri legali di liquidazione previsti per gli amministratori - siano da considerarsi sproporzionati, individuando concreti indici fattuali che diano conto dell'accordo fraudolento tra il liquidatore e la societa'. 6. Resta riservato all'esito del demandato scrutinio la corretta qualificazione giuridica del fatto, da condurre secondo i principi di diritto richiamati poc'anzi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/07/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SERRAO D'AQUINO PASQUALE; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto come da requisitoria in atti. L'avvocato (OMISSIS), per il ricorrente (OMISSIS), conclude chiedendo l'integrale accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata del 9.07.2021, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronunzia del Tribunale di Latina, deliberata in data 3.07.2020, che aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle rispettive qualita' di legale rappresentante pro-tempore, dal 26.01.2009 al fallimento, e amministratore unico, dal 16.01.2008 al 26.01.2009, della societa' (OMISSIS) S.r.l. - dichiarata fallita il (OMISSIS) - responsabili in concorso del reato di bancarotta fraudolenta documentale per la sottrazione ovvero distruzione dei libri e/o delle scritture contabili in guisa da impedire la ricostruzione dell'attivo societario e con lo scopo di procurare a se' o altri un ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori (capo A); e condannava entrambi alla pena, sospesa, di anni due di reclusione. Il Tribunale dichiarava altresi' nei confronti dei predetti di non doversi procedere per intervenuta prescrizione per il delitto di cui all'articolo 367 c.p. (di cui al capo B) della contestazione) in ordine alla denuncia di furto della documentazione contabile sporta da (OMISSIS) in data 19.02.2010. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello, ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, attraverso i propri difensori di fiducia, con distinti atti di impugnazione. 3. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), a firma dell'Avv. (OMISSIS), articola due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 3.1. Il primo motivo deduce errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 2, lettera b) ed e), in relazione alla ritenuta bancarotta documentale, per sottrazione, nella parte in cui afferisce al libro dei soci, laddove, la Corte di appello, si esprime nei seguenti termini "l'incredibilita' dell'avvenuto furto, denunciato dal ricorrente, delle scritture contabili della societa', ivi compreso il libro dei soci, avvenuto ad opera di terzi sconosciuti mediante il prelievo dei documenti dalla macchina del (OMISSIS) e, per conseguenza, la celata intenzione nella denuncia di sottrarre le scritture all'esame del curatore, rendendo piu' difficoltosa la ricostruzione patrimoniale della societa'. Evidente e' il vizio motivazionale in cui incorre la Corte perche', sebbene gia' il Decreto Legge n. 185 del 2008 ha escluso l'obbligo di tenuta per una societa' a responsabilita' limitata del libro soci, comprende nella bancarotta documentale anche la sottrazione di tale libro. Sul punto si rileva che la lettera dell'articolo 216, comma 1, n. 2) L. Fall., che punisce la condotta di sottrazione, distruzione e falsificazione dei libri e delle scritture contabili che il fallito doveva tenere ai sensi della normativa vigente al momento della gestione dell'impresa a tutela della procedura concorsuale e del soddisfacimento degli interessi dei creditori, tra cui l'ostensibilita' e ricostruibilita' del patrimonio, e' da interpretarsi come un rinvio implicitamente operato dalla norma incriminatrice alle disposizioni del codice civile che individuano gli obblighi contabili dell'imprenditore commerciale e che integrano il precetto. Pertanto, ai sensi degli articoli 2214 e 2478 c.c. la fallita, ad avviso della difesa, era tenuta ad istituire e conservare nel periodo antecedente all'instaurazione della procedura concorsuale solo alcuni libri sociali, ma non il libro dei soci; di qui l'insussistenza del reato in parte qua. 3.2. Il secondo motivo deduce il difetto di motivazione in relazione all'omessa specificazione degli elementi dai quali desumere l'elemento soggettivo del dolo specifico di cui all'articolo 216 L.F. in luogo del dolo richiesto per la fattispecie di bancarotta semplice di cui all'articolo 217, comma 2, L. Fall. Si eccepisce il vizio motivazionale laddove il dolo richiesto dalla fattispecie della bancarotta documentale e' stato ravvisato solamente nella presentazione della denuncia di furto delle scritture contabili, ritenuta dalla Corte territoriale non credibile poiche' inverosimile che ignoti avrebbero asportato dall'auto dell'imputato le scritture contabili. Al contrario, a sostegno della verosimiglianza dell'episodio, la difesa osserva che la denuncia presentata dal ricorrente riporta che ignoti avrebbero asportato una valigetta chiusa che conteneva al suo interno le scritture della societa'. Sul punto si evidenzia altresi' che i dipendenti, in qualita' di testimoni, non hanno fornito dichiarazioni dimostrative del fatto che per l'intera gestione sociale le scritture fossero state redatte. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), a firma dell'Avv. (OMISSIS), articola tre motivi. 4.1. Il primo motivo, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza ai sensi del combinato disposto dagli articoli 521 e 522 c.p.p.. Premesso che il ricorrente era stato tratto in giudizio in qualita' di amministratore unico della fallita senza indicare il periodo temporale (dal 16.01.2008 al 26.01.2009) in cui lo stesso aveva svolto tale ruolo, si eccepisce la genericita' dell'imputazione formulata, gia' rilevata in appello ove la difesa osservava che il Tribunale era pervenuto a declaratoria di responsabilita' nei confronti di (OMISSIS) mediante l'escamotage di indicarlo quale amministratore di fatto. Sul punto si contesta la scarna motivazione resa dalla Corte territoriale a sostegno dell'infondatezza del motivo di appello poiche', essendo la bancarotta documentale, nella sua duplice previsione di generica (prima parte) e specifica (seconda parte), un reato proprio, la qualifica iniziale e' elemento essenziale della contestazione e, pertanto, era doveroso indicarla nel capo di imputazione per permettere al ricorrente di difendersi. Questi di conseguenza si e' limitato a chiedere l'assunzione di testimonianza sull'unico atto gestorio posto in essere da (OMISSIS) e a rivolgere ai testi del PM unicamente aspetti afferenti tale atto, avvenuto in data 26.02.2008 e consistito nella cessione del ramo di azienda dalla (OMISSIS) s.r.l. alla (OMISSIS) S.r.l., operazione che ha interrotto ogni legame di (OMISSIS) con la fallita, essendo concretamente subentrati i Sig.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) titolari della (OMISSIS) unitamente al coimputato (OMISSIS), persona dell'entourage della (OMISSIS), che ha assunto il ruolo di amministratore di diritto. 4.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge nonche' mancanza, contraddittorieta' o illogicita' della motivazione in relazione agli articoli 192 e 533 c.p.p. in riferimento alla, gia' eccepita in appello, mancata assoluzione del ricorrente dal capo A) per non avere commesso il fatto. In particolare, si evidenzia la serie di doglianze a cui la Corte territoriale avrebbe omesso di dare il dovuto riscontro e rilievo, afferenti rispettivamente: - la non emersione nell'istruttoria dibattimentale di alcun elemento atto a poter sostenere che il ricorrente avesse continuato a esercitare un potere gestionale nell'ambito della fallita dopo la dismissione della propria carica di amministratore avvenuta in data 26.01.2009, dal quale desumerne la responsabilita', sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, in ordine al mancato rinvenimento della documentazione societaria; - il dato temporale di cessazione della carica di amministratore del ricorrente, avvenuta in data 26.01.2009 e il fatto che i testi si erano in realta' riferiti al periodo antecedente all'assunzione della carica e non a quello successivo valorizzato quindi erroneamente dalla corte territoriale per affermare la gestione di fatto del ricorrente; - la cessione del ramo di azienda alla (OMISSIS), operazione realmente avvenuta e da ritenere vantaggiosa e positiva per la (OMISSIS) e non negativa come asserito nella sentenza impugnata; - l'emersione, in dibattimento, della regolare istituzione e tenuta della contabilita' nel periodo precedente all'amministrazione della societa' da parte di (OMISSIS); - la sentenza di assoluzione intervenuta per il ricorrente, in altro procedimento presso il Tribunale di Roma, dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 nella quale il gup ha rappresentato come non vi fosse ragione di dubitare della veridicita' della denuncia sulla base degli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza; sentenza dimostrativa altresi' del fatto che sino al gennaio 2009 non sussisteva alcun elemento tale da far ritenere che le scritture contabili non fossero tenute regolarmente. Ed invero tali scritture erano state rinvenute dalla G.d.F. in un controllo effettuato precedentemente alla denuncia di furto; - la conferma da parte dei testi dell'accusa, (OMISSIS) e (OMISSIS), della regolare tenuta della contabilita' anche a fronte di difficolta' nei pagamenti, e dell'assenza di ingerenze da parte del ricorrente nella gestione delle scritture e dei documenti contabili; e che i dati contabili erano inseriti nei PC; - l'interruzione di ogni legame del ricorrente con la fallita due anni prima della dichiarazione di fallimento, non avendo ricoperto in alcun modo, successivamente alla dimissioni, il ruolo di amministratore di fatto ne' essendo mai entrato a far parte della gestione della (OMISSIS). Pertanto, si eccepisce, in definitiva, che la Corte territoriale, in maniera incompleta e illogica, traendo conclusioni prive di giustificazione e incoerenti, del tutto slegate dalle risultanze dibattimentali e in violazione dei principio di legittimita' affermati in materia di esaustivita' della motivazione, si e' limitata a riportare il percorso motivazionale del Giudice di primo grado, omettendo di argomentare sui predetti elementi in concreto portati alla sua attenzione, da cui emergeva l'impossibilita' di qualificare il ricorrente quale amministratore di fatto a seguito della dismissione della carica formale, nonche' un ragionevole dubbio circa la sua responsabilita' in ordine alla commissione del delitto di bancarotta documentale. 4.3. Il terzo motivo deduce violazione di legge nonche' mancanza, contraddittorieta' o illogicita' della motivazione in relazione all'articolo 129 c.p.p., comma 2, quanto alla mancata assoluzione dal reato di cui al capo B) per non avere commesso il fatto. Secondo quanto gia' eccepito in appello, va rilevata l'assenza di elementi probatori idonei a imputare al ricorrente il reato di cui all'articolo 367 c.p.. Si ribadisce che dall'istruttoria e' emerso che il ricorrente non aveva alcun motivo di distruggere la documentazione contabile, in considerazione dei proficui accordi intercorsi con la (OMISSIS) quanto alla cessione del ramo aziendale della fallita, operazione in forza della quale la nuova compagine assumeva i dipendenti e pagava stipendi e TFR garantendo continuita' aziendale e lo svolgimento dell'attivita' produttiva. Si rileva ancora che (OMISSIS) aveva presentato autonomamente la denuncia e che il passaggio di consegna dei libri contabili e dei documenti sociali dal ricorrente a quest'ultimo e' acclarato e desumibile proprio dalla presentazione, il 19.02.2010, della denuncia di furto della documentazione dal bagagliaio della propria autovettura, sporta da (OMISSIS) senza alcun riferimento a (OMISSIS), il quale non rivestiva piu' da un anno e un mese la qualifica di legale rappresentante della fallita. A tal proposito si rileva altresi' che il coimputato (OMISSIS) non si e' sottoposto all'esame e non ha smentito di avere ricevuto la documentazione contabile. Sul punto si contesta la scarna motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale non ha fornito alcun riscontro in merito ai profili di responsabilita' del ricorrente e si e' limitata, sulla base solo della gia' ritenuta qualifica di prestanome del (OMISSIS) e di "descritti legami" (mai provati, se non in relazione alla formale successione nel ruolo di legale rappresentante della fallita), a confermare il provvedimento dichiarativo della prescrizione del reato predetto anziche' pervenire a una pronuncia assolutoria di merito, allorquando dagli atti processuali emergevano prove a sostegno della mancanza di colpevolezza del (OMISSIS) ed erano assenti elementi di riscontro, anche solo in astratto, della consapevolezza (o quantomeno di un contributo agevolatore), in capo al ricorrente, della presentazione di una denuncia per la sottrazione della documentazione societaria. 5. Con atto pervenuto in data 19.01.2023, nell'interesse del ricorrente (OMISSIS), a firma dell'Avv. (OMISSIS), e' stata presentata memoria ex. articolo 611 c.p.p. recante osservazioni aggiuntive ai tre motivi dedotti al fine di definire il perimetro di ammissibilita' delle deduzioni proposte. Quanto al primo motivo, il fatto diverso delineato e' costituito dal riconoscimento di altra condotta esplicatasi con forme e modalita' diverse da quelle contestate, nonche' in un momento temporale diverso rispetto a quello oggetto della contestazione originaria, con la conseguenza della trasformazione di una condotta originariamente contestata per il ruolo di amministratore unico nel periodo della carica, a una condotta ritenuta posta in essere in qualita' di amministratore di fatto anche per il periodo successivo alla carica ricoperta. Ne consegue, ad avviso della difesa, che per il reato di bancarotta documentale impropria, avente natura di reato proprio, il riconoscimento della carica di amministratore di fatto, in epoca successiva alla dimissione, non e' sovrapponibile al riconoscimento della carica di amministratore unico poiche' trattasi di due qualifiche societarie aventi caratteristiche diverse. Quanto al secondo motivo, la difesa ribadisce il rilievo circa la carenza e illogicita' della motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla ricostruzione del ruolo di amministratore di fatto assunto dal ricorrente nella Societa' (OMISSIS) S.r.l., ravvisato, in violazione dei principi di legittimita' che richiedono l'esercizio continuativo dell'attivita' gestoria, non occasionale, di funzioni riservate alla competenza tipica degli amministratori di diritto. In relazione al terzo motivo, si ribadisce il rilievo circa l'eccesso di astrattezza e, pertanto di illogicita', operato dalla Corte territoriale laddove, presuntivamente, senza prove concrete e ipotizzando un legame tra (OMISSIS) e (OMISSIS) per cui le "posizioni fossero "legate profondamente ed inscindibilmente", riconosce al ricorrente il ruolo di "mandante" della denuncia di furto della documentazione contabile posta dal (OMISSIS). Infine si osserva che il suddetto contributo agevolatore ravvisato in capo al ricorrente non puo' cogliersi neanche sulla base della tempestivita' con la quale il nuovo amministratore presentava la denuncia di furto, avvenuta in data 19.02.2010, dopo piu' un anno dall'assunzione della carica e dalle dimissioni del (OMISSIS). 7. Con memoria scritta a cui si e' riportato in udienza, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi. 8. Con memoria di replica, pervenuta in data 26.01.2023, l'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento di tutti i motivi di ricorso prospettati e, pertanto, nell'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi sono entrambi inammissibili, reiterativi di censure gia' poste in appello alle quali la sentenza impugnata aveva dato risposte esaurienti, con le quali, in definitiva, le impugnazioni mostrano di non confrontarsi, finendo, per altro verso, con lo sfociare in valutazioni involgenti il fatto e il merito della regiudicanda. Segnatamente la Corte di Appello - al pari del Tribunale - trae il proprio giudizio di conferma della colpevolezza del ricorrente da una serie di elementi quali: la testimonianza del curatore e la sua relazione (che attestava debiti per importi ingenti verso banche, fornitori e dipendenti precisando che l'amministratore (OMISSIS) non gli aveva consegnato alcun documento contabile ma solo una denuncia di smarrimento - rectius di furto - delle scritture contabili e di non essere riuscito ad ottenere la presenza del precedente amministratore (OMISSIS)), i bilanci depositati (l'ultimo risalente all'anno 2006 dal quale risultavano passivita' per circa un milione e centomila Euro bilanciate da poste attive per importi sostanzialmente equivalenti), la dichiarazione dei redditi 2007 della societa' (che rappresentava immobilizzazioni materiali per Euro 121.620,00 e immobilizzazioni immateriali per Euro 170.578,00 non rinvenute), le convergenti dichiarazioni di alcuni dipendenti (che avevano quasi tutti confermato la presenza di (OMISSIS) presso la sede della societa' come dominus, gia' prima dell'assunzione formale della carica e fino, quanto meno, al momento del fitto di azienda alla (OMISSIS) coincidente col loro trasferimento alla nuova societa', poi fallita anch'essa; uno di essi, (OMISSIS), sempre secondo quanto si riporta in sentenza, e non specificamente contestato, aveva proseguito a gestire la produzione anche dopo il fitto dell'azienda su richiesta di (OMISSIS)), le dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS) (che assumeva di aver consegnato tutti i documenti contabili a (OMISSIS) e di averne dato atto in un verbale che pero' non veniva prodotto alla curatela per essere stato in precedenza consegnato alla G.d.f.), e le caratteristiche della denuncia di furto; e sulla base di essi, attraverso una serie di passaggi argomentativi anche di tipo logico, ricostruisce la complessiva vicenda mediante una lettura unitaria, rispetto alla quale, come si vedra' nell'analizzare i singoli motivi, non vi e' un dialogo effettivo. 2. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 2.1.11 primo motivo e' manifestamente infondato. A differenza di quanto si assume in ricorso, non puo' affermarsi che a (OMISSIS) sia assegnato un ruolo incerto alla stregua dell'imputazione dal momento che da questa risulta che allo stesso il reato di bancarotta documentale e' contestato unitamente a (OMISSIS), che all'atto del fallimento figurava come mero amministratore di diritto, e quello di falsa denuncia di furto e' parimenti a lui contestato in concorso col (OMISSIS). Sebbene difetti l'indicazione della qualita' di amministratore di fatto, che si e' al medesimo inteso attribuire in sentenza, e' nondimeno chiaro che la duplicazione della qualifica di amministratore, riferita a (OMISSIS) in termini di amministratore pro-tempore, legale/formale, e a (OMISSIS) di amministratore unico, senza limitazione temporale, non possa che stare a significare che il reato sia da attribuire al primo come amministratore formale e al secondo come amministratore effettivo. D'altra parte, questa Corte ha avuto modo piu' volte di affermare che, in via generale, il principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata e' violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita' sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto cosi', a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilita' di effettiva difesa, specificando, con riferimento alla bancarotta fraudolenta, che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ad es., qualora il soggetto, cui sia stato contestato, in concorso, il reato nella sua qualita' di addetto alla sede operativa - o di direttore generale della societa' fallita, venga condannato come amministratore di fatto (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 2275 del 25/11/2009 Ud. (dep. 19/01/2010) Rv. 245957 - 01 e Sez. 5, Sentenza n. 1842 del 25/11/1998 Ud. (dep. 12/02/1999) Rv. 212351 01); e, nel caso di specie, dall'imputazione emergono con chiarezza non solo la qualifica di amministratore, contestualmente, riferita ad entrambi ma anche le condotte che si e' ad essi inteso contestare, in concorso tra loro - sottrazione delle scritture contabili e presentazione della falsa denuncia di furto - che sono evidentemente relative al periodo successivo alla cessazione formale della carica da parte di (OMISSIS) e gia' di per se' indicative del ruolo partecipativo e del correlato interesse di ciascuno di essi rispetto alla vicenda. 2.2.11 secondo motivo nel riproporre il tema secondo cui il ricorrente si sarebbe limitato a porre in essere l'affitto di azienda, ovvero un atto vantaggioso per la societa', e che le scritture contabili erano state regolarmente tenute, non opera alcun confronto con la sentenza impugnata. Secondo la ricostruzione accusatoria recepita anche nella pronuncia della Corte di appello, la designazione di (OMISSIS), come amministratore formale - che verosimilmente, come annota il PG. Di questa Corte, svolgeva di professione il ruolo di "testa di legno" risultando amministratore formale in 56 imprese dall'oggetto estremamente eterogeneo tra loro - aveva avuto come unico scopo quello di premunirsi con la proposizione della falsa denuncia di furto delle scritture contabili da parte di un terzo e di traghettare la societa' verso il fallimento, una volta che con il decisivo atto di affitto di azienda alla (OMISSIS) - imputabile anche formalmente a (OMISSIS) - la societa' era rimasta priva dell'asset necessario per proseguire l'attivita' (e cio', peraltro, senza un effettivo corrispettivo del cui versamento, in assenza di qualsivoglia dato contabile - sottolineano i giudici di merito - non e' emersa alcuna prova); d'altronde - si osserva nella sentenza impugnata - alla nuova nomina non aveva fatto seguito la cessione delle quote al nuovo amministratore che erano rimaste in capo a (OMISSIS); sicche', a differenza di quanto si assume in ricorso, in definitiva, non poteva ritenersi il ricorrente affatto indifferente rispetto alla sorte delle scritture contabili, sebbene formalmente non piu' amministratore formale della societa'. La Corte territoriale attribuisce, in buona sostanza, la paternita' della denuncia falsa a (OMISSIS) ritenendo che egli abbia continuato ad interessarsi della societa' anche dopo la cessazione della carica e fosse colui che avesse effettivo interesse alla sua proposizione; a supporto di tale impostazione la sentenza impugnata valorizza anche la circostanza che (OMISSIS) fosse stato riconosciuto come il dominus della societa' ancor prima di assumere la carica di amministratore, cio' a dimostrazione di un suo coinvolgimento nella societa' che va oltre il titolo formale; e quanto al periodo successivo alla cessazione della carica, essendo di fatto la societa' non piu' operativa a causa dell'affitto di azienda, il suo ruolo e' stato correttamente ravvisato soprattutto in virtu' di argomenti logici che fanno leva anche sulle caratteristiche del suo successore solo formale. 2.3.La circostanza del furto della documentazione contabile in auto, oggetto di falsa denuncia, che la sentenza indica come chiaro espediente per sottrarre agli organi fallimentari i documenti contabili, e' stata parimenti oggetto di adeguato vaglio del giudice del gravame, col quale - parimenti - manca di confrontarsi il ricorso; che fa peraltro leva sul fatto che vi sarebbe stato un passaggio di consegna delle scritture contabili da parte di (OMISSIS) al nuovo amministratore senza considerare che l'assunto accusatorio recepito in sentenza prescinde da tale circostanza ascrivendo al ricorrente di avere agito in concorso col nuovo amministratore (per esserne stato in buona sostanza l'istigatore). L'estensione della censura, che nella memoria tende ad intaccare anche tale aspetto evidenziando l'assenza di elementi che depongano per un collegamento tra i due imputati, non considera che la ricostruzione del rapporto concorsuale ravvisato tra essi prescinde da pregresse conoscenze e si fonda su elementi ed argomenti che danno piuttosto conto della necessaria riconducibilita' della falsa denuncia anche al ricorrente (per non avere (OMISSIS) un reale interesse rispetto alla societa' e alle scritture contabili). Spiega, poi, la Corte di appello come risulti del tutto inverosimile la denuncia sporta: il furto, senza effrazione, dei libri contabili, che si trovavano all'interno dell'auto, che non viene rubata, unitamente ai dispositivi elettronici, a tutti gli estratti conto, alle fatture e ai ddt, insomma a ogni documento contabile che avrebbero potuto essere utile ai fini della ricostruzione delle dinamiche della societa', senza alcuna preoccupazione per la ricostituzione della contabilita' essenziale per le attivita' fallimentari. Sicche' il motivo si appalesa anche manifestamente infondata nella parte in cui lamenta la mancata assoluzione ex articolo 129 c.p.p. dal reato di cui al capo b) dichiarato prescritto. 3. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 3.1.11 primo motivo e' manifestamente infondato deducendo un aspetto inconferente ai fini della integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili. Il libro dei soci costituisce solo uno dei libri riguardanti la societa' che risultano essere stati oggetto della falsa denuncia di furto, sicche' il fatto che la Corte di appello abbia fatto riferimento anche ad esso non incide minimamente sulla integrazione del reato. La censura d'altro canto si fonda su considerazioni astratte involgenti l'obbligo di tenuta di tale libro che in alcun modo hanno attinenza col tema in questione. Ed invero, il reato di bancarotta fraudolenta per sottrazione delle scritture contabili e dei libri societari prescinde dall'obbligatorieta', a monte, della tenuta dei medesimi avendo esso ad oggetto la dispersine di tutti quegli elementi documentali contabili e societari che entrando a far parte del sistema assumono rilievo per le dinamiche societarie in un momento cruciale come quello della declaratoria del fallimento. 3.2.11 secondo motivo e' affetto da genericita' intrinseca ed estrinseca. Lamenta, esso, genericamente la mancanza di specificazione degli elementi indicativi dell'elemento soggettivo del dolo di cui all'articolo 216 L.F. piuttosto che di quello di cui all'articolo 217, comma 2, L. f., per essersi desunto il dolo specifico dalla mera circostanza che il ricorrente ebbe a presentare la falsa denuncia di furto delle scritture contabili. Si adduce genericamente che non e' inverosimile che i ladri avrebbero asportato la documentazione contabile perche' essa era contenuta in una valigetta di cui non potevano conoscere il contenuto, laddove la Corte di appello ha dedotto la falsita' della denuncia da una pluralita' di elementi, dei quali si e' gia' sopra dato atto. Ne' potrebbe assumere rilievo disarticolante la circostanza, apoditticamente addotta, secondo cui sarebbe emersa la prova unicamente dell'iniziale istituzione della contabilita' ma non anche del suo mantenimento durante l'intera gestione sociale, e cio' al fine di ritenersi al piu' ravvisabile l'ipotesi di cui all'articolo 217 l.f. laddove cio' che rileva e' che la sottrazione dei documenti contabili, qualunque essi siano, sia avvenuta al fine di recare pregiudizio ai creditori o di avvantaggiare se stessi o altri; e nel caso di specie i giudici di merito, nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, hanno argomentato sul punto evidenziando come la complessiva impostazione della vicenda criminosa deponesse per la sussistenza del dolo specifico. La censura per altro verso si propone come genericamente rivalutativa delle testimonianze assunte in giudizio innescando un indotto valutativo non percorribile in sede di legittimita'. 4. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta del 25.11.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Pedicini Ettore, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio; udito l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 7.10.2018, il Tribunale di Gela aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di estorsione aggravata di cui al capo A) e di danneggiamento, seguito da incendio, di cui al capo B) e, ritenuto il vincolo della continuazione tra le due diverse violazioni di legge e le circostanze attenuanti generiche stimate prevalenti sulle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena finale di anni 4 e mesi 3 di reclusione ed Euro 2.500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; 2. la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma, ha assolto l'imputato dal delitto di cui al capo B), per non aver commesso il fatto, ed ha rideterminato la pena, in relazione al solo capo A), in anni 4 di reclusione ed Euro 2.000 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata; 3. ricorre per cassazione il difensore del (OMISSIS) deducendo: 3.1 mancanza di motivazione, sotto il profilo della apparenza: rileva che la Corte di appello ha introdotto, nella motivazione, un thema decidendum totalmente estrano al processo ed al capo di imputazione che aveva descritto condotte minacciose successive al licenziamento del 23.3.2015 e non gia', come sostenuto nella sentenza impugnata, dirette ad ottenere le dimissioni; rileva che, in tal modo, la Corte territoriale ha reso una motivazione sostanzialmente apparente poiche' la mancata corrispondenza con l'imputazione risulta decisiva non soltanto sulla qualificazione del fatto ma anche sulla configurabilita' del tentativo, gia' invocato dalla difesa che aveva inoltre prospettato la ipotesi della violenza privata, esclusa dai giudici di secondo grado "arretrando" il momento consumativo del reato; aggiunge che la Corte di appello ha ignorato la documentazione prodotta dalla difesa ed acquisita ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., con conseguente contraddittorieta' della motivazione trattandosi di elementi documentali decisivi nell'economia della decisione; 3.2 mancata applicazione dell'articolo 56 c.p. e carenza di motivazione: rileva come la Corte di appello abbia laconicamente replicato al motivo di gravame articolato in ordine all'applicazione della disciplina del tentativo, esplicato al punto III dell'atto di appello, insistendo nell'individuare il danno ingiusto nella sottoscrizione delle dimissioni, ed in tal modo ha omesso di considerare il verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale il 24.3.2015; 3.3 errata applicazione dell'articolo 629 c.p. e dell'articolo 610 c.p.: rileva come la Corte abbia errato nell'attribuire natura patrimoniale alla finalita' delle minacce che sarebbero state poste in essere dall'imputato laddove la sottoscrizione delle dimissioni, secondo i giudici di appello, avrebbe comportato un pregiudizio patrimoniale in re ipsa, mentre la contestazione originaria aveva collegato la minaccia ad impedire la denuncia del Viola, ovvero un fine privo di contenuto patrimoniale, con conseguente qualificazione della condotta in termini di violenza privata; 4. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 concludendo per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta: rileva, infatti, che il capo A) della rubrica contiene una descrizione del fatto ascritto all'imputato totalmente difforme rispetto a quella ritenuta dai giudici di appello laddove, peraltro, le dimissioni erano intervenute in un contesto lecito; osserva che, in tal modo, la Corte ha reso una motivazione priva di quel minimum di completezza e specificita' necessarie, considerando l'incidenza del vizio sulla qualificazione giuridica del fatto oltre che della disciplina del tentativo. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato per le ragioni di cui appresso. (OMISSIS) era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di estorsione perche' "... in qualita' di datore di lavoro di (OMISSIS)... dopo averlo convinto a sottoscrivere la dichiarazione di dimissioni, con la promessa di fatto non mantenuta, di riassumerlo dopo qualche tempo, con minacce... costringeva (OMISSIS) a rinunciare a pretendere, sia in via giudiziale che stragiudiziale, le somme di cui era creditore in ragione dell'attivita' lavorativa prestata, al fine di procurarsi un ingiusto profitto derivante dalla mancata corresponsione delle spettanze dovute alla persona offesa, con pari danno per quest'ultima". 1. Il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilita' dell'imputato facendo leva, nella ricostruzione della vicenda, sulle parole della persona offesa e delle di lui moglie: il (OMISSIS), secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, aveva infatti riferito di aver lavorato tre anni presso il panificio del (OMISSIS), uno dei quali con un contratto part time osservando, tuttavia, l'orario intero e, soprattutto, con continue dimissioni e riassunzioni ed il trattenimento, da parte del datore di lavoro, delle somme erogate dall'INPS per il nucleo familiare. Nel 2015, sempre secondo quanto risulta dalla lettura della sentenza di primo grado, il (OMISSIS) era stato costretto a rassegnare le dimissioni con la promessa di riassunzione, tuttavia non mantenuta; era stato inoltre costretto a rinunciare al credito vantato per retribuzioni e contributi ancora dovuti in ragione della attivita' lavorativa effettivamente prestata; la persona offesa, tuttavia, aveva anche riferito di essersi rivolto ad un Patronato per rivendicare le proprie spettanze. Il Tribunale, dopo aver dato conto delle minacce larvate (cfr., pag. 4 della sentenza) ed altri episodi minatori attribuiti all'imputato (cfr., ivi, pagg. 5-7), aveva concluso nel senso della integrazione degli elementi costitutivi del delitto di estorsione dal momento che "... il (OMISSIS) e la (OMISSIS)... hanno rappresentato di essere stati allontanati dall'attivita' dell'odierno imputato, senza alcuna ragione, dapprima, dietro promessa di riassunzione e, poi, con le minacce consistite e materializzatesi negli episodi sopra meglio precisati, tutte finalizzate a costringere i propri dipendenti a non agire per la tutela delle proprie ragioni..." (cfr., ivi, pag. 9). 2. Con i due atti di appello, la difesa del (OMISSIS) aveva contestato la ricostruzione in fatto e, soprattutto, in diritto, operata dal primo giudice sottolineando, in primo luogo, come il (OMISSIS) non avesse in realta' rinunciato ad alcuna delle sue spettanze tanto da essersi rivolto al sindacato per rivendicare quanto dovutogli ed avendo per questa via ottenuto piena soddisfazione tanto da non essersi costituito parte civile nel procedimento penale. A conforto delle ragioni addotte, la difesa aveva prodotto il verbale di conciliazione in sede sindacale formalizzata in data 24.3.2015 presso la CGIL di (OMISSIS), i due atti di dimissioni ed il licenziamento del 23.3.2015, seguito dalla riassunzione del 25 marzo e dalla definitiva cessazione del 30.4.2015. In definitiva, la difesa aveva evidenziato che, diversamente da quanto risultante dalla contestazione, il (OMISSIS) aveva definito ogni sua pendenza con il datore di lavoro alla data del 23.3.2015; era stato riassunto due giorni dopo e licenziato il 30.4.2015 avendo e che, per questo periodo, era stata prodotta la documentazione relativa al pagamento del TFR e le buste paga quietanziate dalla persona offesa; aveva percio' sottolineato come il (OMISSIS) non vantasse alcuna pretesa patrimoniale alla cui rinuncia la condotta ascritta al (OMISSIS) potesse mirare. 3. La Corte di appello ha dato conto delle doglianze difensive ed ha ammesso la documentazione allegata dalla difesa e di cui era stata chiesta la acquisizione ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. (cfr., pag. 6 della sentenza impugnata). Cio' non di meno, ha spiegato che essa "... non e' in alcun modo dirimente in merito alla responsabilita' dell'odierno imputato, che permane inalterata, a dispetto delle dedotto argomentazioni difensive, anche in considerazione del fatto che le condotte delittuose contestate sono state poste in essere in epoca successiva (maggio 2015) rispetto alla data (25.3.20215) in cui ea stato redatto il verbale di conciliazione in sede sindacale..." (cfr., ivi). Secondo i giudici di appello, inoltre, il delitto di estorsione non poteva essere escluso in quanto "... la deminutio patrimonii e' stata determinata dal fatto che l'odierna persona offesa ha firmato le dimissioni perche' coartata: del resto... il danno e' in re ipsa, in quanto costituito dalla perdita del rapporto di lavoro e della conseguente retribuzione" (cfr., ivi, pag. 8). Se non che', la condotta ritenuta dalla Corte di appello tale da integrare la fattispecie di cui all'articolo 629 c.p. e' in primo luogo diversa da quella oggetto della contestazione che, come si e' visto, aveva riguardato non gia' le dimissioni quanto la rinuncia alle spettanze retributive legate al cessato rapporto di lavoro ma che, alla luce della stessa documentazione acquisita in secondo grado, erano state oggetto non soltanto di una rivendicazione coltivata in sede sindacale, ma, successivamente, di un accordo transattivo. Per altro verso, la sentenza impugnata ha ritenuto la condotta minatoria del (OMISSIS) penalmente rilevante (e riconducibile alla fattispecie di cui all'articolo 629 c.p.) in quanto funzionale ad ottenere le dimissioni del lavoratore che, al contrario, non le aveva affatto rassegnate in quanto il rapporto di lavoro era stato risolto - sia il 23.3.2015 che il successivo 30.4.2015 - ad iniziativa del datore, ovvero per licenziamento. Ne', alla luce della motivazione, e' stato nemmeno ventilato che le minacce del (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) sarebbero state funzionali ad ottenere da costui la rinuncia a pretese retributive legate al periodo di lavoro non "coperto" dalla transazione del 23.3.2015 poiche', come si e' visto, la natura estorsiva della condotta ascritta all'odierno ricorrente e' stata collegata, dai giudici di appello, alla costrizione del (OMISSIS) a rassegnare le dimissioni cui e' stato attribuito un rilievo patrimoniale ex se, indipendente da ulteriori e diverse pretese. La Corte di appello ha quindi giudicato rilevanti le prove documentali che la difesa aveva chiesto di acquisire in secondo grado ma, nel contempo, ne ha di fatto eluso la portata e la valenza dimostrativa sostenendone la non decisivita' in forza di una motivazione del tutto sganciata da quanto in essa documentazione dimostrato e, per cio', sostanzialmente apparente. La sentenza va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Caltanissetta che procedera' ad un nuovo esame della vicenda verificando la sostenibilita' della imputazione alla luce di un effettivo vaglio degli elementi acquisiti al processo nei due gradi di merito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta per nuovo giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 16/03/2022 del MAGISTRATO di SORVEGLIANZA di FOGGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. TERESA LIUNI; letta la requisitoria del Procuratore generale, Dr. CERONI FRANCESCA, con la quale si chiede la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 16/3/2022, il Magistrato di sorveglianza di Foggia ha respinto il reclamo di (OMISSIS) avverso il diniego della remissione del debito per spese processuali derivanti dalla sentenza della Corte di appello di Bari del 12/10/2009, irrevocabile il 27/3/2010, per la somma di Euro 14.729,66 per spese di intercettazioni telefoniche. Si e' rilevato che tale importo grava in solido con altri numerosi condannati, sicche' la somma dovuta e' di molto inferiore a quella totale; inoltre, si e' rimarcata la capienza patrimoniale del condannato, titolare anche di un cespite immobiliare cod. 1 C/6. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, avv. Patrizia Sebastianelli, deducendo violazione di legge e connesso vizio di motivazione con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 6, (Testo Unico disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 106, per erronea valutazione del requisito della capienza patrimoniale del (OMISSIS), che risentirebbe di un serio e considerevole squilibrio economico qualora dovesse pagare la somma richiesta, considerando anche che la solidarieta' con gli altri condannati non esclude che gli si possa richiedere il pagamento per l'intera somma dovuta, potendo soltanto rivalersi pro-quota nei confronti dei coobbligati, con aggravio di spese ed incertezza di esito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. A tenore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 6, il debito per le spese del processo e per quelle di mantenimento in carcere e' rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto in istituto una regolare condotta. 1.1. In ordine al requisito della esigibilita' economica dell'obbligazione di pagamento delle spese processuali, la giurisprudenza di legittimita' ha spiegato che tale profilo attribuisce rilievo non solo allo stato di indigenza stricto sensu, ma anche all'eventualita' che l'adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del bilancio domestico dell'obbligato, tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere il recupero e il reinserimento sociale e, con essi, le finalita' costituzionali della pena (Sez. 1, n. 42026 del 06/07/2018, M., Rv. 273974; Sez. 1, n. 48400 del 23/11/2012, Loreto, Rv. 253979): in tali casi si reputano integrate condizioni ostative all'esigibilita' della prestazione. 1.2. Nel caso in esame, il Magistrato di sorveglianza ha adeguatamente esaminato la complessiva situazione reddituale e patrimoniale del (OMISSIS), titolare di beni immobili e, pro-quota, della somma ricevuta dal padre deceduto a titolo di TFR, complessivamente pari a Euro 47.475,66, da dividere in tre parti in concorso con i familiari in successione necessaria. Alla stregua della documentazione acquisita, e' dunque risultato che il ricorrente ha sufficiente capienza economica per onorare il pagamento dovuto, senza incorrere in quello squilibrio del bilancio domestico, tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere iI recupero e il reinserimento sociale e, con essi, le finalita' costituzionali della pena. 1.3. Quanto alla solidarieta' tra condannati coobbligati, citata nella impugnata ordinanza, giova richiamare la sentenza delle Sezioni Unite n. 491 del 29/9/2011, Pislor, Rv. 251267, in cui si e' ritenuto che l'esclusione del vincolo della solidarieta' tra imputati per l'obbligazione di pagamento delle spese processuali, stabilita dalla L. n. 69 del 2009, puo' avere effetto soltanto per le statuizioni di condanna emesse dopo la sua entrata in vigore e non per quelle oggetto di pronuncia divenuta irrevocabile in precedenza. Nel caso di specie, la condanna di cui trattasi e' divenuta irrevocabile nel marzo 2010, successivamente all'introduzione della citata Legge. Ne consegue che per il ricorrente non e' operativa alcuna solidarieta' per il pagamento delle spese processuali, dovendo le stesse ripartirsi pro-quota tra i condannati, a seguito della modifica dell'articolo 535 c.p.p., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha operato l'eliminazione della previsione di cui al preesistente comma 1, secondo la quale la condanna al pagamento delle spese processuali e' limitata a quelle "relative ai reati cui la condanna si riferisce", e dell'intero comma 2, con la soppressione del regime di solidarieta' passiva fra condannati e la conseguente introduzione del criterio di riparto per quota del relativo debito (Sez. 1, n. 17410 del 28/03/2019, Genna, Rv. 276399). Cio' introduce un ulteriore elemento favorevole al ricorrente, al quale potra' essere addebitata soltanto la sua quota parte di spese processuali, che sembra di capire - sono state indicate per l'intero nella somma di Euro 14.729,66. Sul punto, si segnala che la questione relativa alla persistenza, a seguito dell'abrogazione dell'articolo 535 c.p.p., comma 2, del vincolo di solidarieta' della condanna alle spese del procedimento penale, in tal senso gia' emessa, rientra nelle attribuzioni del giudice della esecuzione penale, in quanto organo competente a conoscere di tutte le questioni che attengono alla esistenza, validita' e sufficienza del titolo per l'esercizio dell'azione di recupero delle spese processuali (Sez. 1, n. 31843 del 15/03/2019, Rv. 276822 - 02). 2. Ne consegue il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giusepp - rel. Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 17/02/2022 della CORTE APPELLO di BARI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA; lette le conclusioni del PG Dott. BIRRITTERI LUIGI, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto reso in data 17 febbraio 2022, la Corte di appello di Bari, Sezione Misure di prevenzione, rigettando l'impugnazione proposta da (OMISSIS) e dai terzi interessati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il decreto emesso dal Tribunale di Bari il 28 aprile 2021, confermava la confisca dei beni, gia' oggetto di sequestro anticipato, ritenuti fittiziamente intestati ai membri del nucleo familiare di (OMISSIS) (proposto). La Corte di merito confutava tutte le doglianze difensive. 1.1. Riteneva, in primo luogo, infondata la tesi secondo cui non si potrebbe disporre la confisca in base ad una legge sopravvenuta, come tale imprevedibile al momento dell'acquisto dei beni, ribadendo l'inapplicabilita' del principio di irretroattivita' alle misure di prevenzione patrimoniali che, lungi dall'essere qualificabili come sanzioni, condividono, piuttosto, la medesima natura delle misure di sicurezza. 1.2. Disattendeva anche la seconda doglianza, relativa all'impossibilita' di prevedere l'inquadramento dei fatti, al momento della loro commissione, nella fattispecie di pericolosita' generica, richiamando la sentenza della Corte Cost., 24 gennaio 2019, n. 24, che aveva ritenuto conforme a Costituzione l'applicabilita' delle misure di prevenzione ai soggetti di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 1, lettera b), stante l'idoneita' della giurisprudenza sviluppatasi dopo la pronuncia della Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia a delineare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi della suddetta fattispecie di pericolosita' generica, cosi' da consentire a chiunque di prevedere in anticipo i casi di applicabilita' della misura di prevenzione. Inoltre, evidenziava che il precedente L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 1, n. 2), dal contenuto analogo a quello della norma attuale, era gia' in vigore al momento della consumazione dei reati e dell'acquisto dei beni attinti da confisca, il che consentiva l'applicazione (anche) di misure di prevenzione originariamente non contemplate dalla legge. 1.3. Non era condivisibile neppure l'assunto difensivo relativo alla ostativita' del precedente giudicato rispetto ad una nuova valutazione delle condizioni soggettive per l'applicazione della confisca. Il precedente provvedimento di rigetto della richiesta di confisca, emesso dal Tribunale di Bari nel 1997, invero, si giustificava per la mancanza del requisito della pericolosita' qualificata in capo al (OMISSIS), in un quadro normativo che ancora non consentiva la confisca nei confronti di soggetti inquadrabili nella categoria della pericolosita' generica; pertanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', essendo nel frattempo intervenuta una modifica normativa, siffatta decisione non risultava ostativa ad una successiva rivalutazione della pericolosita' sociale al fine di applicare una misura in precedenza rigettata. Nel caso di specie, il giudizio di pericolosita' sociale del (OMISSIS) era basato su sentenze di condanna irrevocabili e procedimenti penali pendenti per i reati di associazione per delinquere, furto, rapina, estorsione, ricettazione ed usura, commessi dal (OMISSIS). 1.4. La Corte di merito riteneva infondata l'ulteriore censura secondo cui la modesta consistenza dei delitti non avrebbe potuto giustificare l'acquisto dei beni confiscati; secondo la difesa, tali acquisizioni sarebbero state da ricondurre, piuttosto, a somme legittimamente detenute dal proposto grazie ai doni ricevuti in occasione del matrimonio e alla dote fornita dai genitori degli sposi, cui avrebbe dovuto aggiungersi la somma di Lire 300.000.000. Ad avviso dei giudici d'appello, le considerazioni difensive non erano idonee a superare la rilevanza degli elementi gia' valorizzati dal Tribunale, quali le pendenze e le condanne a carico del proposto, l'evoluzione della sua attivita' criminosa, la natura e il consistente numero dei delitti commessi (tutti con finalita' lucrativa e capaci di generare profitti), nonche' l'assenza di adeguate fonti di reddito lecite; ne' poteva trascurarsi, con riguardo a quest'ultimo profilo, l'inadeguatezza del reddito dichiarato da ciascun componente del nucleo familiare rispetto agli ingenti investimenti sostenuti per l'acquisto di autoveicoli e di vari beni immobili. Inoltre, la difesa non aveva fornito alcun riscontro circa il conseguimento della dote e dei doni ricevuti in occasione del matrimonio, ne' aveva addotto alcuna giustificazione in merito alla somma di Lire 300 milioni, la cui disponibilita' rimaneva, pertanto, incerta e sospetta; tale giustificazione, peraltro, avrebbe potuto essere fornita con ogni modalita', sicche' pareva inconferente l'assunto difensivo secondo cui la prova sarebbe stata impossibile per via del lungo tempo trascorso. 1.5. Andavano disattese anche le doglianze relative alla confisca dei beni acquistati dai figli del (OMISSIS) oltre il dies ad quem della pericolosita' sociale ((OMISSIS)), in quanto il Tribunale aveva compiutamente spiegato che gli investimenti operati nel (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente, di Euro 25.000,00 in una polizza assicurativa e di Euro 15.000 in un buono postale) erano ragionevolmente da ricollegarsi agli introiti illeciti dell'attivita' criminale paterna, non trovando alcun riscontro nelle loro disponibilita' economiche e nei redditi percepiti. 1.6. Infine, era infondato il motivo con cui si chiedeva di escludere la confisca del saldo positivo rilevato sul conto corrente intestato a (OMISSIS), che doveva ritenersi rimpinguato da fonti ingiustificate, stante l'assenza di un reddito adeguato in capo alla moglie del proposto. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei difensori e procuratori speciali, (OMISSIS) e i terzi interessati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), articolando quattro motivi di ricorso. 2.1. Violazione dell'articolo 649 c.p.p., articolo 4, Prot. 7, CEDU e articolo 117 Cost., comma 1; carenza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione. La motivazione del decreto impugnato sarebbe inficiata da alcuni errori interpretativi. In primo luogo, le osservazioni della difesa non avrebbero riguardato la violazione del doppio giudicato in relazione alle condizioni soggettive di applicabilita' della misura di prevenzione, bensi' la sola perimetrazione temporale dei reati. Inoltre, non sarebbe rispondente al vero l'affermazione secondo cui nel (OMISSIS) la normativa prevedeva la confisca solo in caso di pericolosita' qualificata; infatti, la L. 22 maggio 1975, n. 152, articolo 19, stabiliva l'applicabilita' delle disposizioni della L. 31 maggio 1965, n. 575 anche ai soggetti di cui alla L. n. 1423 del 1956, articolo 1, n. 2), - corrispondente all'attuale Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), -, di talche' il (OMISSIS) ben avrebbe potuto essere attinto da confisca di prevenzione anche nel (OMISSIS). Si censura, poi, l'assunto secondo cui il giudicato non impedisce di rivalutare la pericolosita' sociale in caso di modifiche normative: ad avviso della difesa, nel caso di specie, il doppio giudicato prevenzionale sarebbe precluso, non essendo configurabile alcuna novita' legislativa, come dimostrato dal confronto testuale fra le norme e come del resto affermato dalla stessa Corte d'appello, che ha chiaramente evidenziato la corrispondenza tra il contenuto della L. n. 1423 del 1956, articolo 1, n. 2), e dell'attuale Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b). 2.2. Violazione degli articoli 24, 25 e articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 7 CEDU e all'articolo 1 del protocollo addizionale ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296; vizio di motivazione. In ordine al tema della prevedibilita', si evidenzia che, a fronte di un panorama normativo cosi' complesso da richiedere plurimi interventi giurisprudenziali, il proposto non avrebbe potuto in alcun modo prevedere che l'ambito normativo attinente alle misure di prevenzione sarebbe stato modificato piu' volte nel corso del tempo, sino a giungere all'attuale codice antimafia; inoltre, se il (OMISSIS) avesse compreso l'esatto quadro normativo applicabile non avrebbe di certo investito il denaro restituitogli dall'autorita' giudiziaria per acquistare i beni ora intestati ai figli. Benche' nell'atto di appello la difesa avesse censurato l'omessa motivazione del Tribunale in ordine a tale profilo, la Corte territoriale, ignorando tale doglianza, avrebbe a sua volta omesso di rispondere sul punto. 2.3. Violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b); carenza ed illogicita' della motivazione in ordine ai profitti dei reati, nonche' alla perimetrazione temporale degli stessi in relazione agli acquisti dei beni. 2.3.1. Si deduce il vizio di contraddittorieta' della motivazione laddove la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che le asserite attivita' delittuose del (OMISSIS) fossero idonee a produrre reddito, senza considerare che i delitti commessi in epoca anteriore all'acquisto della casa familiare ((OMISSIS)) erano di scarso profitto economico e che, in alcuni casi il guadagno era stato nullo. Nello specifico, quanto alla confisca della suddetta casa familiare, (OMISSIS) avrebbe dovuto ottemperare ad una probatio diabolica, adoperandosi per reperire a distanza di 38 anni i documenti gia' prodotti nel primo procedimento di prevenzione (allorquando, nel (OMISSIS), l'abitazione, dopo essere stata confiscata, era stata restituita). Pur tuttavia, la ricorrente avrebbe adempiuto correttamente al suo onere di fornire la prova della legittimita' dell'acquisto, allegando documentazione idonea a dimostrare che il (OMISSIS) (OMISSIS) (padre del proposto) aveva dichiarato di aver donato al figlio "poco prima delle nozze" la somma di Lire 15 milioni per l'acquisto della casa coniugale (con annessa certificazione del TFR, comprovante la legittimita' delle somme donate dal padre); allo stesso modo, il (OMISSIS) anche (OMISSIS) (padre di (OMISSIS)) aveva dichiarato di aver effettuato una donazione di Lire 15 milioni in favore della figlia, per l'acquisto della suddetta abitazione. 2.3.2. La difesa, inoltre, censura la motivazione nella parte in cui la Corte d'appello ha affermato che la somma di Lire 300.000.000 sarebbe derivata dai delitti commessi dal (OMISSIS). In realta', la suddetta somma non sarebbe stata totalmente di proprieta' al proposto, essendo in parte del fratello (OMISSIS) e in altra parte della madre (OMISSIS), che avevano deciso di trasferire sul certificato di deposito bancario del proposto, rispettivamente, 150 milioni di Lire e 30 milioni di Lire, al fine di avere un capitale unico sul quale far maturare interessi; la somma versata, infatti, aveva poi fatto maturare interessi pari a Lire 41.516,152. 2.3.3. Nel confiscare i beni e le somme di proprieta' del nucleo familiare, la Corte di merito non avrebbe applicato correttamente i criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di perimetrazione della pericolosita' sociale; le medesime censure si estenderebbero anche agli elementi che i giudici d'appello hanno ritenuto "di novita'" (ossia le condanne del (OMISSIS) per usura e per furto aggravato di corrente elettrica). 2.3.4. La documentazione allegata - attestante lo stipendio mensile di Lire 1.180.000,00 comproverebbe l'erroneita' dell'affermazione secondo cui il proposto non avrebbe mai avuto un impiego e dimostrerebbe che il (OMISSIS) dal 17.1.1994 era stato avviato al lavoro in qualita' di operaio presso la ditta " (OMISSIS) SNC". 2.4. Omessa motivazione in ordine alle argomentazioni difensive approfondite con la memoria dell'11 febbraio 2022. Si duole la difesa che la Corte d'appello abbia omesso di pronunciarsi in merito alle argomentazioni esposte nella memoria dell'11 febbraio 2022, in cui era stata evidenziata la contraddittorieta' dei criteri utilizzati al fine di disporre la confisca dei beni di (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente, un buono postale di Euro 15.000,00 acceso il (OMISSIS) e una polizza assicurativa accesa il (OMISSIS)) rispetto a quelli addotti per restituire a (OMISSIS) un immobile e un conto corrente; infatti, mentre il Tribunale aveva disposto la restituzione dei beni di quest'ultima adducendo che l'acquisto si poneva a distanza di quattro anni dal periodo di pericolosita' sociale, contraddittoriamente, aveva poi confiscato i beni di (OMISSIS) e (OMISSIS) asserendo che tali acquisizioni erano state effettuate "in prossimita' del confine temporale della pericolosita' del proposto". Nella suddetta memoria, infine, la difesa aveva censurato la decisione del Tribunale di sottoporre a confisca il conto corrente intestato a (OMISSIS) sul solo presupposto che in esso confluissero canoni di locazione versati dai conduttori di un immobile oggetto di confisca; in realta', l'unico immobile intestato alla ricorrente e concesso in locazione (sito in (OMISSIS)) non sarebbe mai stato sottoposto a sequestro preventivo, sicche' non avrebbe potuto essere confiscato il conto corrente in cui confluivano i canoni relativi a tale immobile. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi. 4. (OMISSIS) e i terzi interessati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite dei difensori e procuratori speciali, hanno in seguito proposto "motivi nuovi di ricorso", con i quali sono state illustrate ulteriormente le doglianze difensive di cui ai motivi n. 3 e n. 4 del ricorso principale. 4.1. Il primo dei motivi aggiunti si riferisce, in particolare, all'ingiustificata confisca dell'abitazione coniugale intestata alla (OMISSIS) e della somma di 300 milioni di Lire, nonche' all'asserita natura lucrativa dei delitti di usura e furto di corrente elettrica commessi dal proposto. In relazione a tale ultimo profilo, la difesa evidenzia la mancata considerazione dell'assoluzione per il reato di usura intervenuta con la sentenza del Tribunale di Trani, n. 88/2013 e precisa che il reale profitto derivante dal reato di furto di corrente elettrica sarebbe il solo risparmio di spesa per l'energia utilizzata in casa. Inoltre, la Corte di merito, lungi dal soffermarsi sul presunto carattere sospetto della disponibilita' della somma di Euro 100.000,00 data in prestito a tale (OMISSIS), avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che il delitto di usura di cui alla sentenza del Tribunale di Trani, n. 170/2011 aveva comportato per il (OMISSIS) la perdita di ben Euro 65.000,00, sicche' il citato episodio non avrebbe dovuto essere considerato foriero di profitti illeciti. Infine, i giudici del gravame non avrebbero dovuto porre alla base del giudizio di pericolosita' sociale il delitto di associazione per delinquere, per il quale il proposto era imputato nel procedimento n. 740/2002 R.G.N. R. Procura di Trani, stante l'intervenuta declaratoria di prescrizione del reato. 4.2. L'ulteriore motivo aggiunto approfondisce le censure difensive relative all'ingiustificata confisca del buono postale di Euro 15.000,00 di (OMISSIS), della polizza assicurativa di circa ventimila Euro di (OMISSIS), nonche' del conto corrente e del fondo rustico intestati a (OMISSIS). La Corte di merito, inoltre, avrebbe omesso di considerare la doglianza con cui era stata evidenziata la perdita di efficacia del sequestro preventivo del conto corrente di (OMISSIS) a causa della mancata emissione del relativo decreto di confisca. Da ultimo, si deduce la nullita' della confisca dell'immobile ubicato in (OMISSIS), identificato catastalmente al foglio (OMISSIS): il Tribunale, dopo aver rigettato in motivazione la proposta del Pubblico Ministero a causa della mancanza dell'atto di provenienza del bene, nel dispositivo ne aveva comunque disposto il sequestro; benche' la difesa avesse presentato una memoria scritta (datata 15 gennaio 2021) al fine di eccepire la nullita' del suddetto provvedimento di sequestro, il Tribunale non si era pronunciato sulla questione e, con decreto, aveva comunque provveduto a confiscare l'immobile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Vanno dichiarati inammissibili tutti i ricorsi. 2. Occorre premettere che, nel procedimento di prevenzione, secondo il disposto della L. n. 1423 del 1956, articolo 4 richiamato dalla L. n. 575 del 1965, articolo 3-ter, comma 2 (disposizioni confermate dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3), il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, prospettato da una parte, che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/6/2020, Mule', Rv. 279284; Sez. 6, n. 33705 del 15/6/2016, Caliendo e altro, Rv. 270080). E', quindi, esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' l'ipotesi dell'illogicita' manifesta di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), (Sez. U, n. 33451 del 29/5/2014, Repaci ed altri, Rv. 260246), cosi' come e' estraneo al procedimento di legittimita' il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'articolo citato, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 6/7/2020, P.G. in proc. Noviello, Rv. 279435). 3. In relazione ai temi d'interesse, va, poi, rammentato che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le "categorie di delitto" legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosita' generica, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (tra le piu' recenti, Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 5/1/2021, Zangrillo, Rv. 280145; v. anche Sez. 1, n. 27366 del 28/1/2021, He Dong, Rv. 281620). 4. E' stato, inoltre, chiarito dal Supremo Consesso di questa Corte che "la pericolosita' sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, e' anche ‘misura temporale' del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla cd. pericolosita' generica (che sola rileva in questa sede, n. d.e.), sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si e' manifestata la pericolosita' sociale" (Sez. U, n. 4880 del 26/6/2014, dep. 2015, Spinelli e altra, Rv. 262605). L'autorevole pronuncia ha precisato che spetta al giudice di merito il compito di dettare, nel caso concreto, le linee della perimetrazione temporale della pericolosita', tenendo conto di tutte le circostanze che caratterizzano la natura e la tipologia delle condotte su cui la stessa si fonda, la natura degli illeciti e le modalita' delle diverse acquisizioni patrimoniali; da tanto discende che la valutazione relativa al dato temporale di manifestazione della pericolosita' sociale di un soggetto e' questione di fatto, insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimita' laddove, come gia' detto, non ci si trovi in presenza di una motivazione assente o meramente apparente e, quindi, di una violazione di legge emendabile (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, in motivazione). E' stato, in argomento, ancora, evidenziato che e' legittimo disporre la misura ablatoria delle utilita' acquisite in un periodo successivo a quello per cui e' stata asseverata la pericolosita' sociale, purche' il giudice dia atto della sussistenza di una pluralita' di indici fattuali dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento della attivita' illecita, e tali indici devono essere tanto piu' rigorosi ed univoci quanto maggiore e' il lasso di tempo decorso dalla cessazione della pericolosita' (Sez.6, n. 36421 del 6/9/2021, Palmeri, Rv. 281990). 5. Va, infine, ricordato che, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi puo' rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarita' e la proprieta' dei beni sottoposti a vincolo, mentre non e' legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprieta' del proposto, essendo del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei confronti di quest'ultimo - quali la condizione di pericolosita', la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonche' la provenienza del bene stesso - e che solo costui puo' avere interesse a far valere (Sez. 2, n. 31549 del 6/6/2019, Simply Soc. Coop., Rv. 277225). 6. Tanto premesso, ritiene il Collegio, anzitutto, manifestamente infondato il primo motivo di ricorso. Giova sottolineare che, in tema di confisca di prevenzione, puo' procedersi all'avvio di un nuovo procedimento, nel caso di sopravvenuta modifica normativa, ove ricorrano le nuove condizioni richieste per l'applicazione della misura, non ostandovi il giudicato formatosi sulla base della pregressa disciplina (Sez. 5, n. 2762 del 23/11/2021, dep. 2022, Sarnataro, Rv. 282738; Sez. 6, n. 53941 del 3/10/2018, Sabatelli, Rv. 274585). Applicando l'enunciato principio, la Corte di appello ha, correttamente, escluso l'ostativita' del precedente giudicato, derivante dal decreto emesso in data 24 marzo 1997 dal Tribunale di Bari nei confronti di (OMISSIS), rispetto ad una rinnovata valutazione delle condizioni soggettive per l'applicazione della misura patrimoniale della confisca. Ed invero, il suddetto Tribunale - come risulta dal provvedimento in atti - rigetto' la richiesta di confisca di prevenzione, in quanto ritenne mancante il presupposto della pericolosita' qualificata e non consentendo, all'epoca, la normativa vigente la confisca nei confronti di soggetti appartenenti alla categoria dei pericolosi "generici". Il difensore dei ricorrenti ha contestato tale affermazione, sostenendo che anche il quadro normativo del tempo avrebbe consentito di applicare la confisca ai pericolosi "generici", sicche' la confisca successiva, avente ad oggetto, per la seconda volta, la casa di abitazione dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), sita in (OMISSIS) (unico immobile oggetto di tale specifica doglianza), doveva considerarsi disposta in violazione del divieto del bis in idem. La deduzione, come detto, e' radicalmente infondata. 6.1. Per chiarire i termini della erroneita' dell'eccezione, e', tuttavia, necessario ripercorrere, in breve e per quanto qui rileva, la stratificazione normativa sviluppatasi fino alla data di emissione del citato decreto del Tribunale di Bari. 6.1.1. Ebbene, il fondamentale referente normativo e' rappresentato dalla L. n. 1423 del 1956, emessa all'indomani della sentenza della Corte Costituzionale n. 2 del 1956, che, al fine primario di ricondurre la delicata materia delle misure di prevenzione in ambito giuridico consono ai parametri costituzionali, enucleo' dal novero delle misure di prevenzione - limitative della liberta' personale - irrogabili dall'autorita' amministrativa quelle per le quali fosse, invece, necessario l'intervento dell'autorita' giudiziaria, oltre ad individuare la platea dei potenziali destinatari delle stesse misure ed a prescrivere il rispetto di determinate garanzie di difesa. 6.1.2. La L. 31 maggio 1965, n. 575 (c.d. legge antimafia), estese il sistema della prevenzione alle "persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose", in un contesto normativo nel quale, non essendo stato ancora introdotto il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., la fenomenologia mafiosa era sussunta nell'ordinario paradigma dell'articolo 416 c.p., ossia nella comune associazione per delinquere. Tra le piu' significative novita' della legge anzidetta vanno annoverate: l'introduzione, per la prima volta, di una misura di carattere patrimoniale, sia pure in funzione ancillare rispetto all'obiettivo primario del controllo della pericolosita' personale: ossia la cauzione a carico degli indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, a garanzia dell'adempimento degli obblighi imposti. 6.1.3. Nell'estendere le norme della legge antimafia a nuove categorie di persone, nell'obiettivo di contrastare i fenomeni sovversivi e terroristici, la L. 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. Legge Reale), introdusse una nuova misura di carattere patrimoniale, consistente nella sospensione dell'amministrazione dei beni. La stessa L. n. 152 del 1975, articolo 19 stabili' che "le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 1, nn. 2), 3) e 4), della " (rispettivamente: "2) coloro che sono abitualmente e notoriamente dediti a traffici illeciti; 3) coloro che, per la condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con il provento di delitti o con il favoreggiamento o che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere; 4) coloro che, per il loro comportamento siano ritenuti dediti a favorire o sfruttare la prostituzione o la tratta delle donne o la corruzione dei minori, ad esercitare il contrabbando, ovvero ad esercitare il traffico illecito di sostanze tossiche o stupefacenti o ad agevolarne dolosamente l'uso"). 6.1.4. La L. 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. Legge Rognoni-La Torre), oltre ad introdurre la nuova fattispecie dell'associazione per delinquere di stampo mafioso di cui all'articolo 416-bis c.p., al fine di adattare il precetto penale alle peculiarita' del fenomeno mafioso, elaboro' due efficaci strumenti di prevenzione destinati ad assumere rilievo primario nella strategia di contrasto alla delinquenza organizzata di stampo mafioso, ossia il sequestro e la confisca di prevenzione allo scopo di sottrarre i beni illecitamente acquisiti dai soggetti destinatari delle misure di prevenzione di cui alla menzionata L. n. 575 del 1965. Si sono, poi, succeduti diversi interventi legislativi, che hanno esteso l'ambito di applicazione delle misure patrimoniali introdotte dalla legge Rognoni-La Torre al settore della "pericolosita' sovversiva" (L. 3 agosto 1988, n. 327) o ad altre fenomenologie delinquenziali, come il traffico di stupefacenti, con riferimento alle persone dedite a siffatte attivita' illecite o che vivevano con il provento di determinati illeciti, specificamente indicati. 6.1.5. In particolare, la L. 19 marzo 1990, n. 55, articolo 14 ha stabilito, al comma 1, che "(le) disposizioni della L. 31 maggio 1965, n. 575, concernenti le indagini e l'applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nonche' quelle contenute negli articoli da 10 a 10-sexies medesima legge, si applicano con riferimento ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell'articolo 1 della predetta legge o a quelle previste dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685, articolo 75 ovvero ai soggetti indicati nei nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 1, comma 1, nn. 1) e 2) quando l'attivita' delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia quella prevista dagli articoli (...) del codice penale ovvero quella di contrabbando". 6.1.6. La ricognizione normativa - che dovrebbe proseguire con le "novelle" del 2008 e del 2009 e terminare con l'entrata in vigore del "Codice antimafia" (Decreto Legislativo n. 159 del 2011) - si arresta qui, perche' e' proprio alla luce della legge citata per ultima, n. 55/1990, che deve verificarsi la possibilita', per il Tribunale di Bari, di disporre la confisca di prevenzione nei confronti del (OMISSIS), ritenuto pericoloso "generico", alla data di emissione del decreto piu' volte menzionato ((OMISSIS)). Orbene, si e' detto che la L. n. 152 del 1975, articolo 19 ha esteso l'area di applicabilita' delle previsioni della L. n. 575 del 1965, anche alle persone indicate nella L. n. 1423 del 1956, articolo 1, nn. 2), 3) e 4) dunque anche ai pericolosi comuni. Nel sottolineare tale dato normativo, il difensore ha omesso, tuttavia, di considerare che, nel 1975, la confisca di prevenzione non era stata ancora introdotta nel corpo della L. n. 575 del 1965 - lo avrebbe fatto la Legge "Rognoni-La Torre" del 1982 che introdusse anche la nuova fattispecie di reato di cui all'articolo 416-bis c.p. - e, pertanto, l'estensione operata dalla L. n. 152 del 1975, articolo 19 non pote' che riguardare esclusivamente le misure patrimoniali all'epoca previste (cauzione e sospensione nell'amministrazione dei beni). La norma anzidetta e' stata, poi, modificata dalla L. n. 327 del 1988, articolo 13 nel senso che il richiamo e' stato ristretto alla L. n. 1423 del 1956, articolo 1, nn. 1 e 2. La L. n. 55 del 1990, articolo 14 muovendosi evidentemente nell'identica direzione, ossia della limitazione della sfera di applicabilita', ha poi sancito che quelle stesse disposizioni avrebbero potuto applicarsi, tra gli altri, ai soli soggetti indicati nella L. n. 1423 del 1956, articolo 1, comma 1, n. 2 (e cioe' a "coloro che sono abitualmente e notoriamente dediti a traffici illeciti"), a condizione che l'attivita' delittuosa, ritenuta fonte dei proventi da confiscare, fosse quella relativa ai reati specificamente indicati e, segnatamente, quelli previsti 600, 601, 602, 629, 630, 648 bis o 648 ter c.p., ovvero quello di contrabbando. Il Tribunale di Bari, all'atto della sua decisione del marzo 1997, con l'articolo 14 si dovette confrontare, e siccome (OMISSIS), in quel momento, aveva subito condanne prevalentemente per furto aggravato, tentato e consumato, e per ricettazione, reati che l'articolo 14 non prevedeva, non pote' disporre la confisca dei suoi beni, ancorche' il proposto fosse riconducibile alla categoria dei pericolosi "generici". Per tali ragioni la prospettazione difensiva, secondo la quale la cornice normativa del 1997 sarebbe stata identica a quella attuale, si rivela manifestamente infondata, dal che discende la non ostativita' del precedente giudicato, formatosi sulla pregressa, diversa, disciplina, rispetto alla decisione oggi impugnata, che si e', viceversa, correttamente fondata su una sopravvenuta modifica normativa (le "novelle" del 2008 e 2009 e, da ultimo, il Decreto Legislativo n. 159 del 2011), giudicata, limitatamente alla categoria di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), che qui rileva, costituzionalmente legittima con la sentenza "interpretativa di rigetto" n. 24 del 2019 pronunciata dalla Corte costituzionale. 7. Manifestamente infondato e' anche il secondo motivo di ricorso. E' sufficiente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che le modifiche introdotte nella L. n. 575 del 1965, articolo 2-bis dalle L. n. 125 del 2008 e L. n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell'ambito del procedimento di prevenzione, sicche' rimane tuttora valida l'assimilazione dell'istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l'applicabilita', in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all'articolo 200 c.p., secondo la quale "Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza e' diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell'esecuzione" (Sez. U, n. 4880 del 26/6/2014, dep. 2/2/2015, Spinelli ed altro, Rv. 262602). La prospettazione difensiva sulla imprevedibilita' dell'inquadramento dei fatti, al momento della loro commissione, nelle categorie di pericolosita' "generica" previste dalla legge tradisce, all'evidenza, una critica, inammissibile, al consolidato orientamento di legittimita', ribadito dal Supremo Consesso. 8. Il terzo motivo di ricorso e il motivo aggiunto contengono censure non deducibili in sede di legittimita', sia perche' investono aspetti della motivazione laddove puo' essere dedotta solo la violazione di legge, sia perche' contrappongono, cosi' sul piano della perimetrazione temporale della pericolosita' del LIVERIERI, come sulla provenienza delle risorse per l'acquisto dei beni confiscati, proprie interpretazioni alternative, nonche' parcellizzate e reiterative di motivi di gravame, delle evidenze processuali, parimenti inammissibili nella presente sede di legittimita'. Di contro, non puo' di certo reputarsi "assente" o "apparente" o totalmente "travisante" una motivazione, come quella spesa dalla Corte di appello che, in sintonia con quella del primo giudice, ha convenientemente valorizzato, quanto al profilo della pericolosita' "generica" del proposto di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), l'impressionante numero di delitti con finalita' di lucro posti in essere dal (OMISSIS) nell'arco temporale di circa un trentennio ((OMISSIS)), e, quanto alla provenienza illecita delle risorse utilizzati per gli acquisti dei beni confiscati e per gli investimenti sostenuti, l'assenza di adeguate lecite fonti di reddito in capo al proposto e ai suoi familiari nel periodo di tempo cui e' stata ancorata la valutazione di pericolosita' sociale (v. pag. 5 con la nota esplicativa 18 sui redditi nel nucleo familiare e pag. 6 con l'elenco dei beni e i relativi prezzi di acquisto). Allo stesso modo non puo' ritenersi "assente" o "apparente" o totalmente "travisante" la motivazione del decreto gravato nella parte dedicata a confutare le giustificazioni addotte dai ricorrenti sulla esistenza di disponibilita' lecite (l'effettivo conseguimento della dote dai genitori e dei doni in occasione del matrimonio (OMISSIS)- (OMISSIS); l'affermata disponibilita' della somma di 300 milioni di Lire) ovvero ad escludere la pretesa di una probatio diabolica in capo al proposto e ai terzi interessati (potendo essi produrre, eventualmente, le dichiarazioni di reddito) ovvero ancora a confutare le eccezioni circa la confiscabilita' di buoni postali e polizze assicurative, in tesi ricadenti al di fuori del perimetro temporale della pericolosita' sociale del (OMISSIS), e del saldo positivo rilevato sul conto corrente della (OMISSIS), intestato a (OMISSIS) (vedi pag. 7 del decreto de quo, laddove i giudici territoriali ribadiscono l'affermazione circa l'inadeguatezza dei rispettivi redditi a giustificare detti investimenti e risparmi). 9. Generico, infine, e' l'ultimo motivo, atteso che non spiegano i ricorrenti, che non la allegano neppure al ricorso, il carattere di novita' e di decisivita' che la memoria cui si riferiscono presenterebbe. 10. In conclusione, tutti i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, dal che consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, in assenza di ipotesi di esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MONTAGNI Andrea - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 03/06/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI; lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con ordinanza in data 3 Giugno 2022 La Corte di Appello di Potenza dichiarava inammissibile il ricorso proposto da (OMISSIS) per la revisione della sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte di Appello di Lecce, confermativa della decisione del Tribunale di Taranto, con cui era stato condannato alla pena di anni sei mesi dieci di reclusione per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articoli 73 e 74. 2. Assume il giudice adito che la richiesta di revisione si risolveva in una mera rivisitazione critica della pronuncia di condanna e che le prove addotte a sostegno della istanza da un lato non potevano ritenersi nuove, in quanto gia' adeguatamente vagliate nel giudizio di merito e disattese con valutazione congrua e non piu' sindacabile e, sotto diverso profilo risultavano ininfluenti e recessive rispetto ad un quadro di gravita' indiziaria cui gli esiti delle indagini difensive sottoposte all'attenzione della corte di appello non erano in grado di determinare alcuna incrinatura laddove, in relazione alle informazioni difensivi del (OMISSIS), se pure fosse stato vero che l'assegno era stato consegnato al (OMISSIS) quale anticipo sul trattamento di fine rapporto, seppure post datato, la successiva consegna dello stesso al (OMISSIS) era funzionale al finanziamento dell'acquisto di nuove partite di stupefacente nell'ambito di consolidate e illecite transazioni che coinvolgevano il (OMISSIS) e il (OMISSIS) attraverso l'intermediazione della sorella del primo e del di lei marito (OMISSIS). Quanto poi alle dichiarazioni del (OMISSIS), dirette ad evidenziare la nascita del rapporto di amicizia con il (OMISSIS) e le ragioni delle loro frequentazioni, il nuovo apporto era ritenuto ininfluente e non decisivo in quanto non in grado di contrastare gli elementi indiziari acquisiti nel corso del giudizio tramite le intercettazioni telefoniche da cui risultavano pienamente dimostrate le condotte di cessioni di stupefacente al (OMISSIS) da parte del (OMISSIS). 3. Avverso la suddetta ordinanza la difesa di (OMISSIS) ha proposto un unico articolato motivo di ricorso con il quale denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 629 e 630 c.p.p. nonche' contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Assume l'assoluto rilievo degli esiti delle indagini difensive atteso che il (OMISSIS) aveva consegnato al (OMISSIS) un assegno post datato e che pertanto il (OMISSIS) era stato costretto a rivolgersi al (OMISSIS) per potere avere la provvista in anticipo di talche' le successive pressioni nei confronti del (OMISSIS) erano poste in essere dal (OMISSIS) al fine di ottenere il corrispettivo di quanto anticipato, conformemente alla prospettazione difensive del (OMISSIS) e quindi non si trattava di debiti maturati dal (OMISSIS) per ragioni di droga. Le dichiarazioni del (OMISSIS) erano volte invece a chiarire l'origine dei rapporti con il (OMISSIS) e le ragioni delle loro frequentazioni e quindi fondamentali per fornire evidenza di una giustificazione alternativa ai contatti telefonici tra gli stessi intervenuti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. 2. Invero ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la nuova prova deve condurre all'accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia piu' in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016, Livadia, Rv. 267067; sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, Fadda, Rv. 281772) laddove l'elemento di dubbio, sottoposto dapprima all'attenzione del giudice di revisione e successivamente riprodotto quale ulteriore tema di valutazione del giudice di legittimita', si risolve in una mera deduzione difensiva non in grado di scalzare la forza persuasiva degli elementi di accusa e assolutamente inidonea a spostare gli equilibri su cui si fonda la decisione assunta. Si tratta invero di dato che non concerne la responsabilita' del conducente ma in relazione alle dichiarazioni del (OMISSIS) alla causale di una transazione economica che, pure riconosciuta come anticipo del TFR, non e' in grado di contrastare la prospettazione accusatoria sulla destinazione di tale importo a finanziare l'acquisto dello stupefacente e alla esigenza per il (OMISSIS), che si era dichiarato disponibile a anticipare la negoziazione, a richiederne in breve tempo la restituzione. 3. Analogamente inammissibile e' il ricorso nella parte in cui lamenta la omessa considerazione da parte del giudice di appello di Potenza delle spiegazioni fornite dal (OMISSIS) ai rapporti intrattenuti con il (OMISSIS), che nessun apporto nuovo forniscono sulla natura dei rapporti da questi intrattenuti con il (OMISSIS) e in particolare sulle cessioni di stupefacente da questi ricevute come adeguatamente ricostruite mediante una non illogica valutazione degli esiti delle intercettazioni telefoniche acquisiti. 3.1 A prescindere dall'effettiva consistenza e rilevanza ontologica degli elementi nuovi apportati, il giudice distrettuale ha rappresentato, con adeguato e logico costrutto motivazionale, il carattere assolutamente recessivo del dato nuovo, atteso che il giudice di appello aveva gia' escluso la rilevanza probatoria costituita dalla testimonianza del (OMISSIS), a fronte degli elementi di accusa risultanti dalle intercettazioni telefoniche tra i due soggetti e tra il (OMISSIS) e la sorella, da cui inequivocabilmente risultavano i rifornimenti di stupefacente da assicurare al (OMISSIS), cosi' da rendere del tutto irrilevante le precisazioni del sommario informatore sull'origine del rapporto con il (OMISSIS) e sulle ragioni delle loro frequentazioni. 4. Invero in tema di revisione la valutazione da parte del giudice delle nuove prove di cui all'articolo 630 c.p.p., lettera c) costituite da una testimonianza non puo' prescindere dal complesso degli elementi processualmente utilizzabili - gia' accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute dopo la condanna (sez.5, 19/02/2016, Dorigo, Rv.267786, sez.2, n. 35399 del del 1/08/2019, Cannata', Rv.277072), e sotto questo profilo la nuova allegazione, non possiede autonoma consistenza per disarticolare il ragionamento seguito dai primi giudici che, al contrario, conserva immutato spessore logico e argomentativo, resistente all'apporto delle nuove allegazioni, in virtu' del complesso degli elementi oggettivi, tecnici e dichiarativi su cui la valutazione del giudice e' stata operata e ha trovato giustificazione. 5. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ragioni di esonero al riguardo per assenza di colpa, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano - Presidente Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria emessa in data 11/11/2020; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena, all'udienza del 18/10/2022; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Lori Perla, che, all'udienza del 18/10/2022, ha concluso per: l'annullamento con rinvio della sentenza, limitatamente al capo R), nei confronti di (OMISSIS), con rigetto del ricorso, nel resto; l'annullamento con rinvio, limitatamente alla sussistenza delle circostanze aggravanti ed al trattamento sanzionatorio, nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), e rigetto dei ricorsi, nel resto; l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); l'annullamento con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena, nei confronti di (OMISSIS) e rigetto del ricorso, nel resto; l'annullamento con rinvio nei confronti di (OMISSIS) e rigetto del ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS); l'annullamento con rinvio, limitatamente ai capi G) e H) e della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 1, nei confronti di (OMISSIS) ed inammissibilita' del ricorso, nel resto; l'annullamento con rinvio, limitatamente ai motivi n. 4 e 5, nei confronti di (OMISSIS) e rigetto del ricorso, nel resto; udito, all'udienza del 18/10/2022, l'avv.to (OMISSIS) che, nell'interesse di (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito, all'udienza del 18/10/2022, l'avv.to (OMISSIS) che, nell'interesse di (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito, all'udienza del 18/10/2022, l'avv.to (OMISSIS) che, nell'interesse di (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito, all'udienza del 18/10/2022, l'avv.to (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'avv.to (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi; udito, all'udienza del 24/10/2022, l'avv.to (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv.to (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi; udito, all'udienza del 24/10/2022, l'avv.to (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv.to (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi; udito, all'udienza del 24/10/2022, l'avv.to (OMISSIS) che, nell'interesse di (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito, all'udienza del 24/10/2022, l'avv.to (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv.to (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi; udito, all'udienza del 24/10/2022, l'avv.to (OMISSIS), in sostituzione dell'avv.to (OMISSIS), che, nell'interesse di (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Reggio Calabria, per quanto di rilevanza nella presente sede processuale, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria in data 16/11/2018 - con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per il reato di cui al capo C), ai sensi degli articoli 99, comma 4, 416-bis c.p., quale capo e promotore della cosca (OMISSIS), in Sinopoli ed altrove, dal 1999 con condotta permanente; (OMISSIS) era stata condannata a pena di giustizia per i reati di cui cigli articoli 110, c.p., L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, L. n. 203 del 1992, articolo 7, di cui ai capi S), in (OMISSIS), e T), in Milano il 29/10/2015; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia in relazione al reato di cui al capo A), di cui all'articolo 416-bis, c.p., esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6, quale partecipe con ruolo apicale alla cosca (OMISSIS), con la recidiva reiterata, in Gioia Tauro ed altrove, dall'agosto 2008 con condotta perdurante; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia in relazione al reato associativo di cui al capo A), di cui all'articolo 416-bis c.p., esclusa l'aggravante di cui al comma 6, in Gioia Tauro ed altrove, (OMISSIS), con condotta perdurante, ed al reato di cui al capo L), esclusa l'aggravante di cui al comma 3, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1 e 2, in (OMISSIS), ritenuta la continuazione; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per i reati di cui ai capi A), di cui all'articolo 416-bis, in (OMISSIS), con condotta perdurante, quale capo della cosca omonima, esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6, nonche' per i reati di cui ai capi N), O), P), Q), R), S), T); (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per il reato ex articolo 416-bis c.p., di cui aicapi A), esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6, nonche' per i reati di cui ai capi Q), R), S), T); (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per il reato di cui al capo A), esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6, quale partecipe dell'associazione ex articolo 416-bis c.p.; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per il reato di cui al capo A), esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6, quale capo e promotore, ex articolo 416-bis c.p.; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per il reato di cui ai capi B), esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6 G), H), M), esclusa la circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 comma 3, ritenuta la continuazione; (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per i reati di cui ai capi A), esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 6 dell'articolo 416-bis c.p., e L), esclusa la circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 comma 3,, ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria irrevocabile in data 07/02/2003 - rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS); confermava la sentenza di primo grado nei confronti di (OMISSIS); rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS); assolveva (OMISSIS) dal reato di cui al capo L), per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena e la durata della liberta' vigilata ad anni due; rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS); confermava la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), riducendo ad anni due il periodo di sottoposizione alla liberta' vigilata per entrambi; escluso il ruolo di capo e promotore, rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS); assolveva (OMISSIS) dal reato sub M), per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena; riconosciuta la circostanza attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8 rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS) e la durata della liberta' vigilata ad anni due. 2. La sentenza impugnata ha analizzato la persistente ed attuale operativita' delle cosche (OMISSIS) (capo A), (OMISSIS) (capo B), (OMISSIS) (capo C) nei rispettivi territori e settori di influenza, nonche' i rapporti tra le stesse; con riferimento ad (OMISSIS), in particolare, e' stata analizzata la strategia - qualificata di "inabissamento" - dallo stesso attuata in riferimento alle attivita' imprenditoriali a cui il predetto si era dedicato dopo la sua scarcerazione ed il rientro in Milano, nonche' la filiera comunicativa funzionale al ruolo apicale ascritto al (OMISSIS) nell'ambito della omonima cosca, ed alla necessita' di tenere i contatti con il territorio calabrese. 3. In data 30/08/2021 ed in data 03/09/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), deducendo tre motivi con il primo ricorse e quattro motivi con il secondo, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 3.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) quanto al ruolo ascritto all' (OMISSIS), non potendo essere ritenuta decisiva la precedente condanna per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., in relazione al medesimo sodalizio, ne' i suoi rapporti con (OMISSIS), non comprendendosi il dato in base al quale si sia ritenuto che i cognati del (OMISSIS) appartenessero alla cosca sinopolese, benche' mai condannati ne' sottoposti ad indagini preliminari; quanto all'episodio relativo alla partecipazione del ricorrente ad una cena in (OMISSIS), per pianificare la strategia a seguito degli attentati subiti dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), incerta appare la riferibilita' all' (OMISSIS) del solo nome di battesimo pronunciato nella telefonata del (OMISSIS), tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), avendo la Corte illogicamente ritenuto di individuare l' (OMISSIS) nel soggetto menzionato in quanto egli aveva partecipato alla cena; quanto all'episodio di cui al punto 5), nessuno dei dialoghi intercettati vede il ricorrente quale interlocutore, non essendovi alcun elemento certo per la sua partecipazione all'incontro con (OMISSIS), quale garante per (OMISSIS), che ben potrebbe aver millantato la circostanza, senza contare che l' (OMISSIS) avrebbe potuto direttamente interloquire con (OMISSIS); quanto alle comunicazioni epistolari tra l' (OMISSIS) ed il (OMISSIS), trattasi di mera congettura, anche alla luce dell'assoluzione di (OMISSIS), che avrebbe avuto un ruolo attivo nello scambio epistolare, neanche essendo chiarito se il destinatario dei "pizzini", il cui contenuto e' ignoto, fosse l' (OMISSIS) o il (OMISSIS), anche considerato che non si capisce per quale ragione l' (OMISSIS) avrebbe restituito i foglietti al (OMISSIS) dopo averli letti; quanto alle risultanze dell'indagine "(OMISSIS)", l' (OMISSIS) e' stato assolto dal Tribunale di Palmi con sentenza del 15/07/2021, ne' la sentenza di primo grado menziona il contenuto dell'esame dei redattori dell'informativa di P.G. in merito all'episodio, basandosi la motivazione sulle sole intercettazioni; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 192 c.p.p., articoli 81, 99 e 133 c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto all'applicazione della recidiva, avendo la Cassazione ribadito la non compatibilita' tra la recidiva e la continuazione (sentenza n. 54182 del 12/09/2018), posto che la recidiva scaturisce, nel caso in esame, proprio dai fatti posti in continuazione; 3.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) in quanto il trattamento sanzionatorio risulta del tutto spropositato, essendo stata applicata una pena prossima al massimo edittale, non mitigata dalla concessione delle circostanze attenuanti generiche, ed essendo elevato l'aumento a titolo di continuazione, pari a quasi la meta' della pena inflitta con la prima sentenza. 3-bis Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 3-bis.1 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5, articolo 99 c.p., inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'articolo 190-bis, articolo 525, comma 2, articolo 179, articolo 441, commi 5 e 6, articolo 179 c.p.p., articolo 111 Cost., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e), in quanto il giudizio abbreviato si era svolto innanzi alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva concesso rinvio per le repliche; alla successiva udienza, essendo impedita la Dott.ssa (OMISSIS), il nuovo giudice aveva rigettato una richiesta di acquisizione di documenti effettuata dal pubblico ministero nel corso della replica e, tuttavia, alla successiva udienza del 22/10/2018, un terzo giudice aveva acquisito il materiale - sebbene in versione piu' sintetica - di cui il pubblico ministero aveva reiterato la richiesta, relativo al processo "(OMISSIS)"; ne consegue che, nel caso di specie, non si possa ricorrere all'applicazione dell'articolo 190-bis c.p.p., che riguarda la sola attivita' istruttoria, ma non anche la discussione delle parti, per cui, nel caso in esame, davanti al giudice sostituto avrebbe dovuto svolgersi tutta la discussione e non solo la fase delle repliche, con conseguente verificarsi di una nullita' assoluta ed insanabile, ai sensi dell'articolo 525 c.p.p., comma 2, anche nell'ambito del rito abbreviato, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 484 del 10/11/1995; peraltro, all'udienza del 26/09/2018, il Giudice proponeva alle parti o la rinnovazione della discussione dei difensori o lo svolgimento delle repliche in modo da ripercorrere sinteticamente la discussione gia' svolta innanzi al Giudice diversa persona fisica, ma il verbale di udienza non da' conto della risposta delle parti, all'esito della sospensione dell'udienza, ed erroneamente cio' e' stato interpretato come un'acquiescenza della difesa alla seconda ipotesi prospettata. Quanto all'integrazione probatoria disposta di ufficio, ex articolo 441 c.p.p., comma 5, la difesa si era doluta che l'integrazione probatoria fosse avvenuta in relazione ad atti non qualificabili come prove in senso tecnico, in quanto non rientranti in verbali di altri procedimenti e non rispondenti alla disciplina di cui all'articolo 238 c.p.p., comma 1; ne' tali prove potevano dirsi assunte in contraddittorio tra le parti o introdotte a seguito di consenso dell'imputato, trattandosi di uno stralcio di intercettazione ambientale non coinvolgente l'imputato e di un estratto di informativa della P.G.; la motivazione della Corte territoriale sul punto e' del tutto apparente, risultando, al contrario, evidente, gia' alla stregua della motivazione della sentenza di primo grado, che proprio per l'assenza di prove circa il ruolo associativo del ricorrente, il Giudice, anziche' addivenire ad un esito assolutorio del processo, aveva disposto un'integrazione probatoria, acquisendo meri atti di indagine del processo "(OMISSIS)", in contrasto con i canoni ermeneutici di legittimita' ed incorrendo in una nullita' ai sensi dell'articolo 179 c.p.p., senza contare che il materiale intercettivo acquisito, una volta sottoposto a perizia trascrittiva nell'ambito del processo "(OMISSIS)", aveva condotto all'assoluzione dell'imputato. Nell'atto di appello, inoltre, erano state analizzate le fonti di accusa, sottoponendole a precisi rilievi, riportati integralmente in ricorso; la sentenza impugnata - secondo le scansioni motivazionali riportate in ricorso - si fonda su argomenti che appaiono inconferenti rispetto alle doglianze difensive, riportando in maniera acritica il costrutto motivazionale del primo giudice, anche tenuto conto dell'esito del processo "(OMISSIS)"; 3-bis.2 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 416-bis c.p., commi 2 e 3, articolo 99 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), del tutto tautologica essendo la motivazione della sentenza impugnata circa il ruolo apicale dell' (OMISSIS), nonostante le censure difensive, con un corposo rinvio alla sentenza di primo grado, senza considerare l'esito della perizia disposta dal Tribunale di Palmi nell'ambito del processo "(OMISSIS)", che ha del tutto travolto la fonte accusatoria, escludendo la stessa presenza, dal compendio intercettivo, del riferimento al soprannome "(OMISSIS)"; parimenti apodittica risulta la motivazione della sentenza impugnata quanto alla natura armata dell'associazione, e del tutto erronea l'applicazione dell'aumento per la recidiva, stante la riconosciuta continuazione; 3-bis.3 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 416-bis c.p., comma 4, articolo 63, comma 3, articoli 99 e 133 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), del tutto omessa essendo, in concreto, la motivazione della sentenza circa la determinazione della pena, peraltro effettuata in contrasto con l'articolo 63 c.p., u.p., laddove risulta effettuato un aumento di pena in riferimento a due circostanze aggravanti ad effetto speciale; 3-bis.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla carente motivazione circa l'individuazione di una pena notevolmente piu' elevata rispetto al minimo edittale. 3-ter. In data 28/09/2020 l'avv.to (OMISSIS), difensore di fiducia, ha trasmesso a mezzo pec motivi nuovi, allegando la motivazione della sentenza emessa dal Tribunale di Palmi in data 14/07/2021, irrevocabile in data 05/04/2022, con cui l' (OMISSIS) e' stato assolto dal reato a lui ascritto, insistendo, in particolare, nell'accoglimento del ricorso. 4. In data 30/08/2021 ed in data 03/09/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi con il primo ricorse e due motivi con il secondo, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 4.1 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto al capo S), avendo la Corte territoriale recepito acriticamente la sentenza di primo grado, senza affatto considerare il dato intercettivo nel suo complesso - con particolare riferimento alle conversazioni del 01/06/2015, n. 438, intervenuta in epoca successiva alla costituzione della Original Trade s.r.l., con esclusione di ogni coinvolgimento del (OMISSIS), cosi' come l'ambientale n. 564 del 10/06/2016, da cui emerge che molti mesi dopo l'avvio delle attivita' commerciali il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) stavano ancora ipotizzando la possibilita' di intraprendere iniziative nel settore dell'abbigliamento - e le argomentazioni devolute con l'appello e ribadite nella memoria ex articolo 121 c.p.p., depositata durante il processo di cognizione; in particolare, nessuna indagine e' stata svolta circa la provenienza illecita delle somme impiegate nell'operazione economica e la finalita' di eludere le misure di prevenzione, soprattutto alla luce della documentazione difensiva riportata per stralcio in ricorso -, avendo la difesa dimostrato la provenienza lecita dei capitali, elementi su cui la sentenza e' rimasta del tutto silente; 4.2 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies ed alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) c.p.p., quanto al capo T), in riferimento al quale si muovono, alla sentenza impugnata, le medesime critiche di cui al precedente motivo di ricorso, riportando per stralcio un passaggio della memoria difensiva; 4.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla totale omissione di motivazione in riferimento alle argomentazioni contenute nella memoria ex articolo 121 c.p.p.; 4.4 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto ai capi S) e T), non essendo stata fornita alcuna motivazione circa l'aggravante, sub specie di favoreggiamento dell'associazione, al di la' della semplice contestualita' ambientale; 4.5 violazione di legge, in riferimento all'articolo 62-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto alla mancata concessione delle invocate attenuanti, alla luce della giurisprudenza di legittimita' sul punto. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 4-bis.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, lettera e), c.p.p., in cui si reiterano le doglianze circa la mancata considerazione della memoria difensiva, il cui contenuto viene illustrato in ricorso, con particolare riferimento al contenuto delle intercettazioni n. 438 e n. 439, al fine di evidenziarne l'irrilevanza in termini accusatori e l'opinabilita' nella individuazione del (OMISSIS) nell'interlocutore di (OMISSIS), e non, piuttosto, in (OMISSIS); nonche' in riferimento all'ambientale n. 564, intervenuta ben otto mesi dopo la costituzione delle societa' di cui ai capi di imputazione; 4-bis.2 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in cui si reiterano le doglianze circa la mancata prova della natura illecita dei capitali utilizzati per la costituzione delle societa', avendo la sentenza, sul punto, erroneamente affermato che il reato sussiste anche in caso di impiego di capitali leciti, in contrasto con la giurisprudenza di legittimita'. 4-ter In data 30/09/2020 sono stati inviati motivi nuovi, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, a firma dell'avv.to (OMISSIS), con cui si deducono: 4-ter.1 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606, lettera b), in riferimento all'articolo 512-bis c.p., quanto ai capi S) e T), mancando la prova della provenienza illecita delle somme e la finalita' di eludere le misure di prevenzione, alla luce della giurisprudenza di legittimita'; inoltre, la previsione incriminatrice si configura quale fattispecie plurisoggettiva impropria, in quanto, pur prefigurando la necessaria presenza di due soggetti, dispone la punibilita' di uno solo di essi, per cui, per la configurabilita' del delitto, e' necessaria la collaborazione di un terzo il quale, per scelta legislativa, non viene punito; ne consegue che la Corte territoriale, allo scopo di supplire alla mancata incriminazione del titolare dei beni, ha ritenuto applicabile il concorso eventuale, ai sensi dell'articolo 110 c.p., riportandosi ad una prassi giurisprudenziale in contrasto con il principio di legalita', in quanto e' ammissibile l'applicabilita' dell'articolo 110 c.p. ai reati plurisoggettivi necessari impropri unicamente con riguardo alla condotta atipica del concorrente non punito, cioe' alla condotta diversa da quella descritta dalla fattispecie incriminatrice e non sanzionata, non per una condotta contemplata e non punita. In ogni caso, come devoluto nel ricorso principale, la Corte territoriale non ha tenuto conto della documentazione versata in atti, dalla quale sarebbe stato possibile ricostruire la scansione temporale della provenienza dei capitali utilizzati nella realizzazione delle due attivita' imprenditoriali, che si assumono essere fittiziamente intestate alla (OMISSIS). Ne' la sentenza ha fornito alcuna risposta alle deduzioni difensive in tema di dolo; 4-ter.2 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606, lettera b), in riferimento all'articolo 416-bis.1 c.p., quanto ai capi S) e T), mancando la prova del dolo specifico di agevolazione della contestata aggravante. 4-quater. In data 10/10/2021 e' stata depositata memoria ex articolo 121 c.p.p. a firma dell'avv.to (OMISSIS), con cui si afferma che, a prescindere dal divieto di motivi nuovi presentati oltre il termine di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 4, con lo strumento di cui all'articolo 121 c.p.p. e' possibile sottoporre alla Corte di cassazione l'elemento sopravvenuto, costituito dal passaggio in giudicato della sentenza oggetto di ricorso, in riferimento all'assoluzione degli originari coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), quanto al capo Q). 5. In data 19/07/2021 ed in data 06/08/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), deducendo rispettivamente sei motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 5.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma secondo, e articolo 192 c.p.p., comma 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto al capo A), in relazione al ruolo direttivo nella cosca (OMISSIS) attribuito al ricorrente, fondato sulle sole dichiarazioni de relato dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) - estremamente generiche e tali da evocare, al piu', un concetto di contiguita' collegato a dinamiche familiari, ma non di appartenenza - e la cui attendibilita' intrinseca non e' stata affatto valutata, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita'; 5.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto al capo A), essendo il ruolo ascritto al ricorrente fondato sull'operazione "(OMISSIS)", vicenda estranea al procedimento, mentre il coinvolgimento del (OMISSIS) nella vicenda inerente il tentato omicidio di (OMISSIS) - in cui il ricorrente era intervenuto come pacificatore tra il (OMISSIS) stesso e (OMISSIS) -, va inquadrata in una dinamica di tipo familiare e, comunque, non appare di alcun rilievo causale rispetto alla fattispecie associativa; il (OMISSIS), inoltre, non risulta aver commesso alcun delitto-fine e non risulta mai condannato per vicende relative al commercio di stupefacenti; esigue - in numero di quattro - sono le intercettazioni a suo carico; 5.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis, comma 2, c.p., ai sensi dell'articolo 606, lettera b) c.p.p., quanto al ruolo apicale ascritto al ricorrente, fondato unicamente sulla vicenda Savarino (OMISSIS), avendo la difesa, con specifico motivo di gravame, ric:ostruito la genesi dell'intervento del (OMISSIS), da cui non emerge alcuna esternazione di un potere mafioso; identiche considerazioni vanno fatte per la vicenda (OMISSIS)- (OMISSIS), alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimita' mn relazione al ruolo direttivo di una consorteria mafiosa; 5.4 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) c.p.p., essendo mancata ogni motivazione circa la consapevolezza, da parte del ricorrente, della disponibilita' di armi da parte dell'associazione; 5.5 violazione di legge, in riferimento all'articolo 99 c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto all'aumento di pena applicato per la recidiva, ancorata ad un precedente risalente al 1988, senza alcuna adeguata motivazione dell'accresciuta pericolosita' dell'imputato; 5.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 62-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza alcuna valutazione dei necessari parametri di riferimento. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 5-bis.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p.,, comma 1 e articolo 192 c.p.p., comma 3, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in cui si analizzano le propalazioni dei collaboratori di giustizia e si formulano le medesime critiche contenute nel primo motivo del ricorso a firma del codifensore; 5-bis.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 1 e articolo 192 c.p.p., comma 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in cui si analizza la vicenda (OMISSIS)- (OMISSIS) al fine di dimostrarne l'irrilevanza in termini accusatori; 5-bis.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 2 e articolo 192 c.p.p., comma 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all'insufficienza degli elementi probatori per poter configurare il ruolo apicale del ricorrente, con particolare riferimento al contenuto delle propalazioni dei collaboratori di giustizia; 5-bis.4 violazione di legge, in riferimento agli all'articolo 416-bis c.p., comma 2 e articolo 192 c.p.p., commi 2 e 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione al ruolo apicale ascritto al (OMISSIS), alla luce della reale portata della vicenda (OMISSIS)- (OMISSIS), come ricostruita in ricorso; 5-bis.5 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5 e articolo 192 c.p.p., comma 3, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione alla insussistenza della contestata aggravante, in assenza di ogni accertamento; 5-bis.6 violazione di legge, in riferimento agli articoli 99 e 62-bis c.p., in relazione alla ritenuta recidiva, reiterandosi le argomentazioni del motivo di ricorso a firma del codifensore. 5-ter. In data 30/09/2022 sono pervenuti motivi nuovi, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, a firma dei difensori di fiducia, con cui si deduce violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., in relazione al capo A), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), alla luce degli elementi posti a fondamento dell'imputazione che - come analizzati dalla difesa - darebbero conto di una mera contiguita' e non sarebbero in grado di delineare alcun contributo apprezzabile alla compagine associativa. 6. In data 31/08/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1; 6.1 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, in riferimento agli articolo 416-bis c.p., e articolo 192, comma ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) non avendo la sentenza impugnata chiarito quale sarebbe stato il contributo del ricorrente all'associazione criminosa, essendosi la Corte di merito limitata a riportare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed il contenuto delle captazioni da cui si evincono solo parole "in liberta'" tra gli interlocutori, mentre l'attivita' di bonifica posta in essere dal (OMISSIS) era stata del tutto irrilevante, non avendo raggiunto lo scopo, ne' essendo stato effettivamente dimostrato che la (OMISSIS) fosse sede di riunioni tra associati; 6.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 62-bis c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla generica motivazione circa il diniego delle indicate attenuanti,. 7. In data 06/09/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) ed avv.to (OMISSIS), deducendo undici motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1; 7.1 violazione di legge, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, in riferimento agli articoli 178, 179, 418 e 127 c.p.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c), e) essendo stata omessa la notifica dell'avviso dell'udienza preliminare all'avv.to (OMISSIS), unico difensore dell'imputato, nominato in data 24/10/2017 con atto ricevuto dall'ufficio matricola del carcere, essendo stato revocato l'avv.to (OMISSIS) a far data dal 13/12/2017, ed essendo, quindi, il difensore di ufficio nominato, avv.to (OMISSIS), del tutto ignaro della nomina dell'avv.to (OMISSIS); tale circostanza era ignota, peraltro, anche al primo giudice, come si evince dalla motivazione della sentenza, mentre l'imputato era rimasto assente, essendo convinto della presenza del suo difensore, avendo egli formulato istanza di rito abbreviato contestualmente alla nomina; ne discende che del tutto erroneamente la Corte di merito ha applicato, al caso di specie, il principio valido per il caso di omessa notifica ad uno dei due difensori, come chiarito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 39060 del 16/07/2009, non applicabile al caso in esame, in cui l'imputato era assistito da un solo difensore, con conseguente verificarsi di una nullita' assoluta, anche in relazione alla disposizione di cui all'articolo 438 c.p.p., comma 6-bis; 7.2 violazione di legge, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, in riferimento agli articoli 178 e 179 c.p.p., articolo 24 Cost., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c), e) non avendo l'imputato potuto visionare gli atti del procedimento, trasferiti su supporto informatico, non potendo ritenersi assorbente l'esercizio della difesa tecnica, che si pone su di un piano del tutto diverso, ne' risolutiva la scelta dell'imputato di accedere al rito abbreviato che, proprio per la mancata conoscenza degli atti processuali, costituiva per lui il male minore; 7.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 512-bis c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento ai capi N), O), S), T). In particolare, quanto al capo N), la motivazione di basa su mere clausole di stile che riproducono la decisione del primo giudice, senza alcuna considerazione delle ragioni difensive. Quanto al capo O), la difesa aveva analizzato le varie conversazioni considerate decisive in termini accusatori come illustrato specificamente anche in ricorso -, mentre la sentenza impugnata ha offerto una motivazione del tutto illogica, pur riconoscendo al (OMISSIS) il ruolo di intermediario nell'affare dell'olio, risultando la societa' " (OMISSIS)" nella piena disponibilita' del (OMISSIS) quale unico proprietario; non si comprende in base a quale regola l'intermediazione avrebbe avuto una breve vita, mentre non si da' rilievo al mancato utilizzo delle carte di credito ricaricabili, viceversa ritenute sintomo di fittizia intestazione; nessuna dimostrazione risulta circa l'assenza di legami tra l'attivita' in esame e l'associazione criminosa, non rientrando il reato tra quelli ai quali era finalizzata la compagine; ne' e' stato dimostrato alcun passaggio di ricchezza tra il ricorrente e altri sodali e, quindi, tra il predetto e la cosca, ne' la partecipazione del (OMISSIS) alla cosca nel periodo di svolgimento dell'attivita' di cui al capo O), ne' l'elemento soggettivo della contestata aggravante; inconferenti sono, inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulla vicenda, irrilevanti i colloqui in Milano tra l'imputato ed altri correi, del tutto non provate le cautele adottate dal (OMISSIS) nell'incontrare pregiudicati, cosi' come la circostanza che lo scambio di doni o effetti personali corrispondesse allo scambio di "pizzini" e, quindi, la prova che l'imputato avesse riciclato somme provento delle attivita' illecite della cosca nel commercio di olio; manca, inoltre, la prova che il (OMISSIS) fosse socio occulto dell'attivita' e la prova dell'elemento soggettivo del reato. Quanto ai capi S) e T), dal compendio intercettivo emerge solo l'interesse del (OMISSIS) all'attivita' commerciale nella titolarita' di (OMISSIS), senza alcun chiaro riferimento al (OMISSIS) come socio, anche occulto; 7.4 violazione di legge, in riferimento al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto al reato di cui al capo P), mancando, nel caso in esame, il requisito dell'abituale frequentazione con pregiudicati; 7.5 violazione di legge, in riferimento all'articolo 640 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto al reato di cui al capo Q), la cui sussistenza si fonda su un compendio intercettivo erroneamente interpretato dalla sentenza impugnata, posto che non vi e' prova dell'invio dei carichi di olio in America, ne' della conoscenza della truffa dell'olio da parte del (OMISSIS), come dimostrato anche dalla mancanza di indagini sul ruolo del predetto, circostanza attestata dal colonnello (OMISSIS); 7.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 648-ter c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto al reato di cui al capo R), mancando la prova della provenienza illecita del denaro ed essendo, comunque, la Corte di merito incorsa nell'errore di ricondurre all'attivita' illecita del sodalizio i proventi impiegati dal ricorrente, ritenendo anche il concorso con il reato associativo presupposto, nonostante l'indirizzo della giurisprudenza di legittimita', che lo esclude recisamente; 7.7 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto ai reati di intestazione fittizia, di cui ai capi N), O), S), T), nonche' quanto ai reati di cui ai capi P), Q), R), mancando del tutto la prova della sussistenza della contestata aggravante; 7.8 violazione di legge, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, in riferimento agli articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articoli 187 e 192 c.p.p., articolo 416-bis c.p., vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c), e) essendo stata omessa la considerazione di scritti e memorie difensive; il motivo evidenzia l'irrilevanza delle propalazioni dei collaboratori di giustizia in relazione al ruolo associativo ascritto al ricorrente, anche in rifermento alla sua parametrazione temprale, individuata dalla Corte di merito a far data da epoca successiva alla scarcerazione del (OMISSIS), quindi dal 21/12/2014, diversamente da quanto indicato nel capo di imputazione, essendo del tutto indimostrata l'immutabilita' degli assetti delle cosche di âEuroËœndrangheta, dato funzionale per ritenere rilevanti le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; il motivo, quindi, prosegue passando in rassegna le dichiarazioni dei singoli collaboratori di giustizia, allo scopo di dimostrare come tutti riferiscano di fatti antecedenti alla scarcerazione del (OMISSIS) e, quindi, non attuali rispetto alla perimetrazione dell'imputazione associativa, oltre che del tutto generiche; si contesta, poi, l'effettiva individuazione di riscontri individualizzanti, con particolare riferimento alla provenienza illecita dei capitali, non solo per avere il (OMISSIS) dato la prova della sua disponibilita', ma anche considerato che l'eventuale utilizzazione di capitali provenienti da attivita' illecite, riferibili ad un contesto associativo, non implica, automaticamente, l'appartenenza del soggetto al medesimo sodalizio; la sentenza impugnata, inoltre, finisce per operare una sorta di indebita ed indimostrata sovrapposizione tra l'attivita' commerciale svolta dal (OMISSIS) e la dimensione illecita dell'associazione; la sentenza, peraltro, opera una inversione logica delle argomentazioni difensive rispetto alla valutazione del compendio probatorio; 7.9 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 2, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) difettando nella sentenza impugnata la dimostrazione dell'esercizio del ruolo direttivo da parte del (OMISSIS), essendo insufficiente la veicolazione di messaggi, in assenza di ogni notizia circa il contenuto degli stessi e, quanto all'investitura ricevuta dal padre, trattasi di vicenda risalente e gia' esaminata in altro processo, in cui, peraltro, essa era stata valutata in funzione della mera partecipazione alla compagine criminosa; 7.10 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 4, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) difettando nella sentenza la dimostrazione della sussistenza della circostanza aggravante, contraddittoriamente fondata sulla vicenda di cui al capo I), per la quale si e' pervenuti ad un esito assolutorio, e su pregresse pronunce di condanna riferite a fatti estremamente risalenti nel tempo. 7-bis. In data 16/09/2022 sono stati depositati motivi aggiunti, a firma dei difensori di fiducia, con cui si deduce: 7-bis.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 546, 187, 192 e 649 c.p.p., articolo 416-bis c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) ed e), c.p.p., quanto alla condotta di direzione del sodalizio di cui al capo A), in particolare per quanto concerne la direzione della cosca operante in Gioia Tauro svolta da Milano, benche' non sia stato decifrato l'incontro tra il (OMISSIS) ed alcuni presunti sodali, avvenuti in Milano e non messi dalla sentenza impugnata in relazione alle attivita' economiche del ricorrente, bensi' a non meglio specificate attivita' della consorteria in Calabria; risultando del tutto illogica la motivazione anche in riferimento ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), oltre che con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), di cui la Corte di merito stessa afferma la irrilevanza a fini dimostrativi dell'associazione âEuroËœndranghetista; affidandosi la motivazione della sentenza ad un generico intuizionismo contrastante con le risultanze processuali prodotte dalla difesa (deposizione del colonnello (OMISSIS), che aveva escluso qualsiasi collegamento tra le attivita' imprenditoriali del (OMISSIS) a Milano e la sfera di operativita' della cosca a Gioia Tauro; mancata conoscenza del contenuto dei "pizzini"), quanto alla espansione della cosca grazie ad ingenti risorse investite in attivita' imprenditoriali, essendo affermata ma non dimostrata la disponibilita', da parte del (OMISSIS), di capitali illeciti derivanti dalla sua precedente condotta associativa, per cui egli aveva riportato condanna nell'ambito del processo "(OMISSIS)", poi reimpiegati in attivita' imprenditoriali a vantaggio dello stesso sodalizio; contraddittoriamente, inoltre, la sentenza impugnata, in relazione al capo R), ha peraltro escluso che le risorse fossero frutto della precedente attivita' associativa del ricorrente, non essendo stato egli condannato nel processo "(OMISSIS)" in relazione ad illecite attivita' imprenditoriali; ne' si comprende da quali fatti specifici sarebbero derivati i proventi illeciti poi utilizzati dal (OMISSIS), oltre che indefiniti nel loro importo, salva la vicenda dei (OMISSIS), in cui il finanziamento da parte del (OMISSIS) appare del tutto congetturale e basato su di una generica conversazione tra il ricorrente e la moglie, senza contare che proprio la Corte di merito, nel rigettare l'appello del pubblico ministero nei confronti dell'assoluzione dei (OMISSIS), mostra di non condividere l'intervento economico in loro favore da parte del (OMISSIS); quanto al sindacato sui collaboratori di giustizia - avendo la Corte territoriale omesso del tutto di considerare la censura difensiva che evidenziava la collocazione delle propalazioni ai di fuori del periodo temporale di riferimento dell'imputazione associativa, riferendosi le stesse ad un periodo gia' coperto dalla precedente condanna irrevocabile, peraltro a fronte di una motivazione del primo giudice del tutto apodittica; 7-bis.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 648-ter.1 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), poiche', in aggiunta a quanto in precedenza dedotto, le operazioni di autoriciclaggio di cui al capo R) non vengono giustificate in base ad alcun accertamento specifico, ne' i presunti introiti risultano tracciati; senza contare come la sentenza non tenga conto del fatto che, ai fini del delitto di autoriciclaggio, elemento costitutivo e' che l'autoriciclatore abbia commesso o abbia concorso nella commissione del delitto a monte, in aperto contrasto con quanto asserito in sentenza; 6-bis.3 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies e L. n. 203 del 1991, articolo 7, e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in quanto, in riferimento ai capi N), O), S), T), la indimostrata attivita' di gestione del ricorrente nelle attivita' imprenditoriali appare insufficiente a configurare le ipotesi di reato, non essendovi alcuna prova del trasferimento di capitali in favore del titolare apparente delle attivita', come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita', risultando del tutto presuntiva anche la motivazione circa la sussistenza della contestata aggravante. 7-ter. In data 28/09/2022 sono stati depositati ulteriori motivi nuovi, a firma dell'avv.to (OMISSIS) e dell'avv.to (OMISSIS), con cui si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), la violazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), articolo 525 c.p.p., comma 2, articolo 533 c.p.p., articolo 6 § 1 CEDU, quanto al gia' descritto mutamento della persona fisica del giudice, intervenuto in primo grado, dopo che quasi tutti i difensori avevano rassegnato le proprie conclusioni; tuttavia l'imputato aveva chiesto di essere sottoposto ad esame, nulla essendo stato disposto all'udienza del 26/09/2018, dopo la sostituzione del giudice, in ordine al recupero dell'esame dell'imputato, avendo il giudice provveduto solo in merito al recupero delle discussioni gia' intervenute, in violazione dei principi affermati, da ultimo, dalla Corte di Strasburgo con la sentenza del 08/07/2021 nel caso Maestri e altri c. Italia, senza che su tali principi possa influire la scelta del rito, trattandosi, anzi, di una violazione di legge concernente il principio di immutabilita' del giudice che puo' essere rilevata di ufficio. 7-quater. In data 30/09/2022 sono stati depositati ulteriori motivi nuovi, a firma dell'avv.to (OMISSIS) e dell'avv.to (OMISSIS), con cui si deduce: 7.quater.1 violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), con riferimento al contenuto della memoria difensiva depositata il 23/10/2020, con cui si era sottoposto all'esame della Corte territoriale il contenuto della deposizione del teste colonnello (OMISSIS), il cui verbale, reso nel dibattimento ordinario a carico dei coimputati, era stato acquisito ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 2; dal contenuto dello stesso emergeva una totale estraneita' delle attivita' imprenditoriali del (OMISSIS) alla sfera della cosca di presunta appartenenza, l'insussistenza di ogni condotta truffaldina nel commercio di olio con gli USA; inoltre, il teste aveva chiarito come i passaggi in danaro erano solo programmati, e si riferivano ad importi di poche centinaia di Euro, finalizzati alla sottrazione al fisco, quindi senza alcuna finalita' di riciclaggio; ne' risulta alcuna prova della provenienza illecita dei capitali utilizzati nelle attivita' imprenditoriali, quale provento della condotta associativa, essendo emerso che gli accertamenti svolti non avevano consentito di verificare alcunche' in tal senso; il teste, inoltre, aveva ricordato come nessun accertamento era stato effettuato allo scopo di verificare le disponibilita' de (OMISSIS) nel periodo della sua detenzione per far fronte alle esigenze della sua famiglia e, successivamente, per avviare altre attivita', onerando l'imputato di una vera e propria probatio diabolica attraverso, oltretutto, un meccanismo di inversione dell'onere della prova. Del tutto congetturale risulta la ricostruzione delle fattispecie di interposizione fittizia, e nessun accertamento risulta svolto circa il contenuto delle interlocuzioni tra il (OMISSIS) ed altri soggetti. 8. In data 03/09/2021 ed in data 31/08/2022 (OMISSIS) ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) ed avv.to (OMISSIS), con due separati ricorsi, deducendo, rispettivamente, tre motivi e sette motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS): 8.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla partecipazione del ricorrente alla compagine associativa di cui al capo A), essendo stata omessa ogni verifica circa la liceita' delle iniziative imprenditoriali del (OMISSIS), in assenza di accertamenti bancari quanto alla provenienza delle somme impiegate ed alla luce dell'assoluzione degli altri soggetti inizialmente coinvolti nelle medesime vicende ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) da parte del Tribunale di Palmi, con sentenza di cui in ricorso si riproducono alcuni passaggi motivazionali al fine di evidenziare la diversa impostazione delle due pronunce e rilevare l'approccio congetturale della sentenza impugnata; si sottolinea come la cosi' detta "strategia di inabissamento" attuata dal (OMISSIS) contrasti apertamente con il ruolo di amministratore da questi pacificamente e pubblicamente assunto nell'ambito della (OMISSIS) s.r.l.; quanto agli ingenti guadagni che sarebbero scaturiti dalla "truffa dell'olio", e' stata del tutto omessa la valutazione della conversazione ambientale del 10/06/2016 tra il (OMISSIS) e la moglie, in cui si manifesta l'intenzione di estromettere il (OMISSIS) dalla societa' proprio per il mancato apporto in termini economici, evidenziandosi il contesto sicuramente non mafioso della conversazione e l'assenza di ogni riscontro circa l'uso di carte di credito per occultare al fisco le somme provento dell'illecita attivita'; si prosegue evidenziando come il (OMISSIS) avesse spiegato che egli aveva avuto bisogno di accendere un conto corrente postale per un versamento di 2.300,00 Euro. Il ricorso sottolinea, inoltre, come nessuno dei collaboratori di giustizia abbia mai parlato del (OMISSIS), il quale, in ogni caso, aveva avuto rapporti con il solo (OMISSIS) e con il (OMISSIS), quest'ultimo assolto; ne' e' sostenibile che i rapporti tra il ricorrente ed I (OMISSIS) risalissero all'epoca del processo "(OMISSIS)", la cui sentenza non menziona mai il (OMISSIS), non essendo neanche sostenibile - come ritenuto dalla Corte territoriale - che il (OMISSIS) avesse intrapreso l'attivita' commerciale tramite i propri fratelli, attraverso la societa' (OMISSIS) s.n.c. per poi far entrare il (OMISSIS), dopo la sua scarcerazione, attraverso le due societa' intestate fittiziamente alla (OMISSIS), in quanto il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, in data 10/04/2017, aveva disposto il dissequestro della (OMISSIS) s.n.c., in quanto costituita con capitali leciti; le intercettazioni ambientali dal 04 al 10/06/2016 - ripercorse in ricorso - dimostrano l'allontanamento del (OMISSIS) dalle attivita' commerciali, in assoluto conflitto con ogni logica mafiosa, non essendovi piu' alcuna conversazione posteriore che coinvolga il ricorrente. Quanto alla vicenda del recupero del credito da parte di (OMISSIS), proprio l'intervento del (OMISSIS) dimostra l'estraneita' alla compagine del (OMISSIS) che, altrimenti, non avrebbe avuto bisogno dell'intervento del predetto, non risultando, in ogni caso, alcun impiego di modalita' mafiosa da parte del (OMISSIS), come dimostrato anche dalla intercettazione del 30/03/2016 n. 5457; del tutto illogica, inoltre, risulta la motivazione della Corte territoriale per escludere il ricorso al concorso esterno, come richiesto con i motivi di gravame; 8.2 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla fattispecie di cui al capo Q), essendo stata del tutto omessa, da parte della sentenza impugnata, la valutazione del contenuto della deposizione del colonnello (OMISSIS) della Guardia di Finanza, che, escusso innanzi al Tribunale di Palmi, aveva del tutto escluso la sussistenza della fattispecie di truffa, tanto e' vero che in quella sede era stato assolto il coimputato (OMISSIS); 8.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 648-ter c.p., L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) ed e) c.p.p., quanto alle fattispecie di cui ai capi R), S), T), in assenza di prova circa la illecita provenienza dei capitali per costituire la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.n.c.; per tale ragione nei motivi di appello non era stata affrontata la questione circa la sussistenza del delitto di autoriciclaggio; in ogni caso, la motivazione della sentenza impugnata si regge esclusivamente sull'erronea interpretazione di una conversazione ambientale, in cui il (OMISSIS) e lo zio si riferiscono a situazioni relative ai fratelli (OMISSIS); cio' senza contare che - diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di merito nel caso di specie avrebbe dovuto essere provata la provenienza illecita dei capitali, posto che secondo l'impostazione accusatoria le due societa' intestate alla (OMISSIS) sarebbero il provento del delitto di autoriciclaggio; anche l'ambientale del 11/10/2015 tra il ricorrente ed il (OMISSIS) dimostra come il negozio di cui si parlava facesse capo unicamente ai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS). Ricorso a firma degli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS): 8-bis.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto alla partecipazione del (OMISSIS) alla compagine associativa, basata sulla indimostrata pregressa conoscenza con il (OMISSIS) rispetto al momento della sua scarcerazione, nonostante l'assenza di ogni conoscenza del (OMISSIS) da parte dei collaboratori di giustizia, il chiaro ruolo svolto dal (OMISSIS) nella (OMISSIS) s.r.l., l'assenza di linguaggio criptico nelle conversazioni, per cui il solo rapportarsi con il (OMISSIS) non puo' costituire, di per se', prova della partecipazione criminosa; cio' a maggior ragione a fronte della motivazione con cui gia' la sentenza di primo grado ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, oltre che dell'assoluzione degli altri coimputati nella vicenda della "truffa dell'olio"; ne' la Corte di merito ha in alcun modo preso in esame la versione fornita dal ricorrente e contenuta in una memoria difensiva prodotta in grado di appello, in cui il (OMISSIS) aveva fornito la spiegazione delle ragioni del suo incontro con Rosario (OMISSIS), nel contesto di un lecito rapporto di affari relativo alla (OMISSIS) s.r.l., societa' da cui il predetto era poi stato estromesso nel giugno 2016, in contrasto con ogni logica mafiosa; quanto all'uso effettivo delle carte di credito (OMISSIS), nessun accertamento e' stato svolto; nessun elemento, quindi, consente di qualificare la predetta societa' come impresa mafiosa, alla luce dei canoni indicati dalla giurisprudenza di legittimita'; nel resto, il motivo riproduce le medesime argomentazioni gia' poste a fondamento del primo motivo del ricorso a firma del solo avv.to (OMISSIS); 8-bis.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto alla mancata qualificazione della condotta ascritta al ricorrente quale concorso esterno, alla luce della illogica motivazione della sentenza impugnata, che non ha in alcun modo considerato l'estromissione del (OMISSIS) dalla societa', senza considerare l'assoluzione di Francesco (OMISSIS); 8-bis.3 violazione di legge, in riferimento agli articoli 99 e 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 112 e 640 c.p., L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto al capo Q), tenuto conto dell'assoluzione del (OMISSIS) e dei (OMISSIS) da parte del Tribunale di Palmi, anche grazie alla deposizione del colonnello (OMISSIS), il cui verbale e' stato acquisito nel presente procedimento; ne' la sentenza impugnata da' conto di alcun sequestro o di alcuna denuncia, ne' di indagini avviate dalle autorita' statunitensi; la stessa sentenza non ha considerato la memoria difensiva e la documentazione ad essa allegata, benche' sulla scorta della stessa siano stati assolti i coimputati (OMISSIS); 8-bis.4 violazione di legge, in riferimento agli articoli 99 e 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 112 e 640 c.p. L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) quanto ai capi S) e T), tenuto conto della carenza di prova circa le finalita' elusive delle operazioni descritte nei capi di imputazione, posto che unico dominus della (OMISSIS) s.r.l. e' risultato il (OMISSIS), come dimostrato dalla difesa attraverso la memoria con cui sono state ricostruite le fasi di costituzione della societa' - ripercorse in ricorso - e su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione; la sentenza, inoltre, ha confuso, nella valutazione del compendio intercettivo, le attivita' delle societa' oggetto dei capi di imputazione con quella della (OMISSIS) s.n.c., gia' dichiarata del tutto estranea al procedimento; anche per la (OMISSIS) s.n.c. era stata depositata documentazione idonea a dimostrare la riconducibilita' della stessa alla (OMISSIS) ed a soggetti del tutto estranei al (OMISSIS), e, parimenti, la Corte di merito non la ha affatto preso in considerazione; 8-bis.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto del travisamento della prova, in quanto nell'intercettazione tra il (OMISSIS) ed il non meglio identificato zio, n. 439 del 01/06/2015, non si e' considerato che il soggetto indicato con il nome (OMISSIS) non fosse il (OMISSIS), ma il fratello del (OMISSIS), come indicato dalla difesa che ha ripercorso i passaggi della captazione; 8-bis.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., comma 4, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), essendo assente ogni prova della consapevolezza, da parte del ricorrente, della natura armata dell'associazione, in assenza di prove anche circa il possesso di armi da parte dello stesso; 8-bis.7 violazione di legge, in riferimento alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), essendo assente ogni prova della finalita' di agevolare l'associazione mafiosa in riferimento ai reati sub Q), R), S), T). 8-ter. In data 30/09/2022 sono pervenuti motivi nuovi, ai sensi dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, a firma dei difensori di fiducia, con cui si deduce violazione di legge, in riferimento all'articolo 416-bis c.p., in relazione al capo A), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), alla luce degli elementi posti a fondamento dell'imputazione che -come analizzati dalla difesa - darebbero conto di una mera contiguita' e non sarebbero in grado di delineare alcun contributo apprezzabile alla compagine associativa. 8-quater. In data 10/10/2021 e' stata depositata memoria ex articolo 121 c.p.p. a firma dell'avv.to (OMISSIS), con cui si afferma che, a prescindere dal divieto di motivi nuovi presentati oltre il termine di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 4, con lo strumento di cui all'articolo 121 c.p.p. e' possibile sottoporre alla Corte di cassazione l'elemento sopravvenuto, costituito dal passaggio in giudicato della sentenza oggetto di ricorso, in riferimento all'assoluzione degli originari coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), quanto al capo Q). 9. In data 28/07/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 9.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione alla partecipazione del ricorrente alla asserita "strategia di inabissamento" attuata dal (OMISSIS), considerato che questi era stato scarcerato il 21/12/2014 ed il primo contatto con il (OMISSIS) risale al 14/12/2015; tali contatti, inoltre, risultano conclusi il 05/05/2016, si basano su cinque conversazioni, il che rende arduo delineare una partecipazione del ricorrente; 9.2 inosservanza di norme processuali, sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'articolo 192 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), in quanto la Cassazione, nel settembre 2017, aveva annullato il provvedimento del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, valutando i medesimi elementi e - nonostante il successivo giudizio di legittimita' avesse, poi, escluso che il Tribunale del riesame adito in sede di rinvio fosse incorso nel vizio di omessa motivazione - i giudici di merito non hanno considerato tale circostanza, al fine di considerare il ruolo del ricorrente quale, al piu', quello di un soggetto contiguo o compiacente; il presunto ruolo di tutore del (OMISSIS), da parte del ricorrente, si fonda su di un'unica conversazione, in data 05/05/2016, il cui contenuto, gia' in sede cautelare, e' stata valutato come manifestazione di affetto, il che risulta confermato anche dalla conversazione del 12/02/2016, in cui il (OMISSIS) viene esortato a troncare ogni rapporto con il (OMISSIS); quanto al ruolo di autista del (OMISSIS), esso si fonda su di un unico episodio, in data (OMISSIS), in cui non e' stata affatto presa in considerazione che la volonta' di evitare il controllo di polizia potesse derivare da ragioni del tutto estranee alle logiche associative, ne' chiarendo quale tipo di attivita' avrebbe dovuto essere celata; quanto al ruolo di filtro in riferimento alle comunicazioni del (OMISSIS) con soggetti terzi, sono state esaminate solo tre conversazioni, tutte intercorse con il solo (OMISSIS), nipote del (OMISSIS), il che appare del tutto insufficiente in riferimento al ruolo ascritto al ricorrente, anche perche' tali telefonate si collocano in epoca precedente al primo contatto tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS); quanto al ruolo svolto dal ricorrente nell'organizzare incontri riservati tra il (OMISSIS) ed altri associati, con riferimento al (OMISSIS), la Cassazione ne aveva sottolineato la natura occasionale e, come si evince dalla conversazione del 16/04/2016, l'arrivo del (OMISSIS) a casa del (OMISSIS) era dipeso da ragioni del tutto contingenti ed estemporanee, anche considerato il ruolo svolto dal (OMISSIS) in ambito associativo, che non rendeva affatto necessaria l'intermediazione di chicchessia per poter incontrare il (OMISSIS); quanto all'incontro con (OMISSIS), la conversazione del 17/01/2016 appare del tutto insufficiente a dimostrare alcunche', non essendo emersa la circostanza che il (OMISSIS) fosse a conoscenza delle ragioni per cui stava accompagnando il (OMISSIS), ne' risulta che egli fosse stato presente all'incontro; quanto al coinvolgimento del ricorrente nella filiera comunicativa tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), i "pizzini" scambiati non sono mai stati sequestrati e, in ogni caso, il compendio intercettivo e' rappresentato da una sola conversazione, in data 26/09/2015, avente ad oggetto il ritiro di pacchi di libri e di generi alimentari, il che non dimostra affatto che il (OMISSIS) conoscesse che all'interno dei pacchi da lui spediti vi fossero i "pizzini" e nemmeno che tali "pizzini", consegnati all' (OMISSIS) da (OMISSIS), fossero pervenuti tramite i pacchi spediti dal (OMISSIS); peraltro, il ricorrente era gia' stato assolto da analoga imputazione, relativa alla scambio di "pizzini" verificatosi tra il 15 ed il 20/12/2015, benche' la Corte di merito abbia poi, in riferimento a detto episodio, accolto un motivo di appello mai presentato; cio' senza considerare l'assoluzione, da parte del Tribunale di Palmi, dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla scorta di una ben piu' plausibile ricostruzione dei fatti; 9.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, lettera e) c.p.p., avendo la Corte di merito omesso di motivare in ordine al dolo di partecipazione all'associazione mafiosa, avendo, al piu', il (OMISSIS) prestato aiuto al (OMISSIS) non in quanto capo cosca ma in quanto amico di vecchia data; 9.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata che ha fatto ricorso a principi in tema di favoreggiamento personale, pur avendo ritenuto il (OMISSIS) un partecipe della cosca di âEuroËœndrangheta, nonostante la richiesta difensiva di inquadrare la condotta in termini di favoreggiamento personale. 10. In data 01/09/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 10.1 violazione di legge, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento agli articoli 192 e 546 c.p.p., e articolo 416-bis c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c), e) in relazione alla partecipazione del ricorrente alla cosca, fondata su episodi sporadici avulsi dal contesto mafioso e privi di valenza dimostrativa; il compendio si basa sulle propalazioni dei collaboratori di giustizia, specificamente analizzate in ricorso alla luce delle critiche gia' poste a fondamento dei motivi di gravame, del tutto pretermesse dalla Corte territoriale, e volte ad evidenziarne la genericita', l'assenza di riscontri individualizzanti e la sostanziale circolarita' delle notizie e, in ultima analisi, la valutazione, da parte della Corte di merito, in contrasto con i principi ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita', ampiamente citata in ricorso; le captazioni in atti, inoltre, consentono di delineare, al piu', una mera vicinanza del ricorrente al cognato (OMISSIS) ed il loro contenuto risulta, in ogni caso, equivoco, non essendo determinanti le frequentazioni con altri soggetti appartenenti alla cosca, come dimostrato dall'analisi operata dalla difesa delle intercettazioni rilevanti; si rileva, inoltre, il mancato sequestro dei "pizzini", l'assenza di captazioni che ne rivelassero il contenuto e la mancata commissione di reati collegabili a detto contenuto; 10.2 violazione di legge, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'articolo 192 c.p.p., e 416-bis c.p., comma 4, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, lettera b), c), e) c.p.p., in relazione alla omessa dimostrazione di disponibilita' di armi da parte del ricorrente; 10.3 violazione di legge, in riferimento agli articoli 62-bis e 133 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione al vuoto argomentativo circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena. 11. In data 03/09/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 11.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione ai reati di cui ai capi G) e H), avendo la Corte di merito omesso di valutare le prove contrarie in favore dell'imputato, a partire dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che escludono contatti tra i gruppi (OMISSIS) e (OMISSIS); ne' e' stata considerata l'interpretazione che la difesa aveva fornito della conversazione n. 152 RIT 1564/15, cosi' come e' stata del tutto pretermessa la valutazione della conversazione trascritta a pag. 687 dell'ordinanza di custodia cautelare, elementi tutti dai quali si evince una sostanziale incertezza, da parte dei conversanti, sul mandante del danneggiamento; 11.2 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 1, in relazione ai reati di cui ai capi G) e H), posto che se tutti i fatti trovano origine nei contrasti nell'ambito del traffico di stupefacenti, va ricordato come il ricorrente sia stato assolto da tale imputazione, ne' si comprende se la circostanza aggravante sia stata ritenuta nella forma oggettiva o soggettiva o entrambe, mancando ogni adeguata motivazione sul punto; 11.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla partecipazione del ricorrente alla compagine sub B), del tutto identico al ruolo a lui originariamente ascritto al capo M); la difesa, inoltre, aveva, con il gravame, dedotto l'estrema genericita' dei collaboratori di giustizia, le cui rispettive collaborazioni erano iniziate prima della scarcerazione del ricorrente e, come tale, non potevano rivestire alcuna attualita' in riferimento allo (OMISSIS), oltre che non essere pertinenti, come nel caso del (OMISSIS), che ha riferito di fatti dai quali il predetto e' stato poi assolto; il ricorrente, inoltre, non e' mai stato coinvolto nell'indagine (OMISSIS), mentre, quanto all'indagine (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto non attendibile il collaboratore (OMISSIS), alle cui propalazioni aveva fatto riferimento il primo giudice per individuare il soggetto di cui parlava (OMISSIS) nella sua conversazione con la moglie; ne' si comprende su quali elementi si fonderebbe il ruolo direttivo ascritto all'imputato; 11.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla quantificazione della pena ed all'applicazione dell'aumento per la recidiva, non essendo stata adeguatamente motivata la pena base, inflitta in misura corrispondente al massimo edittale. 12. In data 04/08/2021 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 12.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 133 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito indicato la pena base in anni quindici di reclusione, pena massima per la fattispecie associativa, senza alcuna congrua motivazione in merito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato, alla luce delle argomentazioni di seguito illustrate. 1.1 Quanto alla doglianza di cui al primo motivo del ricorso a firma dell'avv.to (OMISSIS), concernente le modalita' di svolgimento del giudizio abbreviato - che logicamente deve precedere l'analisi dei successivi motivi di ricorso -, va osservato che pacificamente la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ritiene applicabile l'articolo 190-bis c.p.p. anche alle ipotesi di rinnovazione del dibattimento per mutamento della persona fisica del giudice (Sez. 1, n. 48710 del 14/06/2016, Bidognetti e altri, Rv. 268455; Sez. 6, n. 20810 del 12/05/2010, Cola e altro, Rv. 247395; Sez. 5, n. 31072 del 04/04/2001, Carta U. ed altri, Rv. 219635). Nel caso in esame la sentenza impugnata (pag. 47) ha ricordato che in primo grado, all'udienza del 26/09/2018, intervenuto il mutamento della persona fisica del giudice, allorquando era gia' in corso la discussione dei difensori, il giudice stesso invitava i difensori ad optare per la rinnovazione della discussione oppure per lo svolgimento delle repliche per ripercorrere succintamente la discussione gia' svolta e - comunque - regolarmente fonoregistrata. Dal verbale della detta udienza, prosegue la sentenza impugnata, non risulta alcun accordo in merito alle alternative indicate dal giudice, benche', alla pag. 13 della trascrizione, risulti l'affermazione dell'avv.to (OMISSIS) che affermava "Avremmo optato per la seconda soluzione"; non a caso, quindi, alla successiva udienza del 05/10/2018 il processo riprendeva con le repliche del pubblico ministero e, quindi, delle difese, proseguite anche nelle ulteriori udienze. La difesa, in realta', opina che dal verbale di udienza del 26/09/2018 non risulti il consenso espresso di ciascun difensore, ma non contesta quanto la sentenza impugnata afferma rilevarsi dal verbale stenotipico - ossia l'affermazione dello stesso avv.to (OMISSIS) di scelta dei difensori per la seconda opzione -, risultando l'opzione manifestata dal predetto difensore coerente con la successiva condotta dei legali che, a partire dall'udienza del 05/10/2018 e nelle udienze susseguenti, avevano assistito alla replica del pubblico ministero ed avevano svolto le proprie repliche, senza eccepire alcunche'. Ne', per la verita', si comprende quale sarebbe la nullita' verificatasi, posto che, sul punto, il motivo di ricorso risulta del tutto generico. Quanto al secondo profilo della doglianza, esso si fonda su un orientamento assolutamente minoritario nella giurisprudenza di questa Corte, cui se ne contrappone un altro, sicuramente piu' coerente con la struttura e la funzione del rito abbreviato, secondo cui l'integrazione probatoria, disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, puo' riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilita' all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui e' soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessita' ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete Tommaso, RV. 280968; Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 254407; Sez. 5, n. 10096 del 09/01/2015, Azzaro e altri, Rv. 263456; Sez. 5, n. 49568 del 18/06/2014, EI Kihal ed altro, Rv. 261338; Sez. 3, n. 20237 del 07/02/2014, Casalati, Rv. 259644; Sez. 3, n. 12842 del 16/01/2013, Gambarini, Rv. 255109; Sez. 5, n. 36335 del 30/04/2012, R., Rv. 254027). Da tale orientamento maggioritario il Collegio non ritiene di discostarsi, soprattutto in considerazione del fatto che gli atti acquisiti ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, - stralcio di conversazione e informativa di P.G. del processo "(OMISSIS)" - rientrano sicuramente nella citata previsione normativa e, in ogni caso, vanno valutati alla stregua delle risultanze processuali cui e' approdato il processo medesimo. 1.2 La sentenza impugnata ha trattato la posizione di (OMISSIS) - gia' condannato in via definitiva per condotte risalenti alla fine degli anni âEuroËœ90 ed imputato, al capo C), quale capo e promotore dell'omonimo clan, con condotta permanente dal 1999 - alle pagg. 279 e segg., delineando il ruolo di (OMISSIS), affiliato al clan (OMISSIS) e trait d'union tra il clan (OMISSIS) ed il clan (OMISSIS) attraverso i fratelli della moglie, evidenziando, inoltre, le modalita' di frequentazione tra l' (OMISSIS) ed il (OMISSIS), connotate da cautele particolari, benche' quest'ultima connotazione non possa essere considerata, di per se', determinante, secondo quanto rilevato in motivazione. Di maggiore spessore, secondo la Corte di merito, appaiono il ruolo dell' (OMISSIS) come mediatore in riferimento a situazioni critiche createsi nell'ambito della cosca, (OMISSIS) (attentati subiti da (OMISSIS) e (OMISSIS) nel gennaio 2016 e lite tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)), rispetto al quale lo (OMISSIS) aveva invitato il (OMISSIS) ad evitare un eccessivo coinvolgimento di soggetti estranei alla cosca, quale, appunto, l' (OMISSIS); in secondo luogo e' stato evidenziato il rapporto tra l' (OMISSIS) e (OMISSIS), vertice dell'omonima cosca, tramite l'inoltro di "pizzini", a conferma del ruolo di assoluto prestigio di (OMISSIS). A tali elementi, poi, si sono aggiunti quelli emersi nell'ambito del procedimento "(OMISSIS)", acquisiti ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, all'udienza del 22/10/2018, su istanza del pubblico ministero. Tuttavia, come dimostrato dalla difesa con i motivi nuovi, la sentenza emessa nell'ambito del processo citato - in cui l' (OMISSIS) era imputato in relazione ad una vicenda estorsiva aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, nella duplice modalita' del metodo mafioso e dell'agevolazione del clan (OMISSIS) - ha mandato assolto il ricorrente da tale imputazione, e risulta irrevocabile in data 05/04/2022. In particolare, la motivazione allegata dalla difesa ha rilevato come, nell'ambito della conversazione acquista, intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS), non vi fosse traccia del brano da cui sarebbe emerso il ruolo di (OMISSIS), individuato con il soprannome "(OMISSIS)", elemento valorizzato dalla motivazione della sentenza impugnata. L'intervenuta assoluzione definitiva dalla citata vicenda estorsiva nell'ambito del processo "(OMISSIS)", impone, dal punto di vista logico, una ulteriore verifica della tenuta probatoria complessiva in riferimento al ruolo dell' (OMISSIS), posto che a questi risulta ascritto un ruolo apicale nell'ambito del clan (OMISSIS) a partire dal 1999, mentre gli elementi descritti focalizzano i suoi rapporti con il (OMISSIS) e la vicenda dei "pizzini" - il cui contenuto non e', in ogni caso, noto - collocati nel 2015 e nel 2016. Inoltre, essenzialmente, la sentenza impugnata evidenzia l'ingerenza dell' (OMISSIS) nell'ambito della cosca (OMISSIS), senza, tuttavia, approfondire in maniera esauriente il ruolo apicale ascritto al ricorrente nell'ambito della cosca omonima, peraltro per un arco di tempo rilevante, posto che il capo C), per l'appunto, non individua, per l' (OMISSIS), alcun ruolo nell'ambito del clan (OMISSIS). Ne discende, quindi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria che, alla luce delle argomentazioni sin qui illustrate, provvedera' a valutare la sussistenza di adeguato compendio probatorio - anche alla luce dell'intervenuta assoluzione - in riferimento al ruolo apicale dell' (OMISSIS), che dia conto della sussistenza di tale ruolo sin dal 1999 e fino all'attualita'. Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso. 2. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato. 2.1 Alla (OMISSIS) sono ascritti i delitti di cui ai capi S) e T), entrambi in concorso con (OMISSIS) e con (OMISSIS), quest'ultimo compagno della (OMISSIS). Si tratta di due interposizioni fittizie, la prima relativa alla quota di 1/3 della (OMISSIS) s.r.l., attribuita alla (OMISSIS) il 15/09/2015, e la seconda relativa alla proprieta' esclusiva della (OMISSIS) s.r.l., attribuita alla (OMISSIS) in data 29/10/2015; in entrambi i casi, invece, le societa' sarebbero state di proprieta', in parti uguali, di (OMISSIS) e (OMISSIS). Secondo quanto riportato dalla sentenza impugnata (pag. 207 e segg.; pag. 339 e segg.) le predette societa' erano state costituite da (OMISSIS) per consentirvi l'ingresso, quale socio occulto, del (OMISSIS), che avrebbe dovuto investire capitali illeciti âEuroËœnel settore dell'abbigliamento. Il compendio probatorio emergerebbe dalla conversazione tra il (OMISSIS) ed un soggetto non identificato, indicato come "zio", nel corso della quale il primo illustrava al secondo il piano dei reinvestimenti di capitali del (OMISSIS) nel settore dell'abbigliamento, mentre il (OMISSIS), a sua volta, aveva illustrato alla moglie, sempre nel corso di una conversazione captata, i possibili scenari successivi allo scioglimento della (OMISSIS) s.r.l., allorquando la sua collaborazione con il (OMISSIS) sarebbe proseguita nel settore dell'abbigliamento. Si illustrano, inoltre, le ragioni per le quali il (OMISSIS) avrebbe potuto ritenere di poter essere raggiunto da misure di prevenzione patrimoniali. La motivazione, inoltre, ripercorre la genesi dei rapporti imprenditoriali tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ricordando che prima della reclusione del (OMISSIS) - quindi circa dieci anni prima dei fatti oggetto della sentenza impugnata - i due predetti soggetti erano stati soci, quindi, a seguito della carcerazione del (OMISSIS), il (OMISSIS) si era messo in proprio nel settore dell'abbigliamento aprendo due negozi in franchising, anche a seguito del fallimento di altra attivita', la (OMISSIS) s.r.l.; al momento della scarcerazione del (OMISSIS), quindi, il (OMISSIS) era impegnato nella gestione di un'azienda di famiglia, la (OMISSIS), intestata ai fratelli (OMISSIS) ed (OMISSIS), che gestiva alcuni punti vendita del marchio "(OMISSIS)". La (OMISSIS) s.r.l. veniva costituita in data 22/05/2015, ed i soci risultavano essere (OMISSIS), poi sostituito da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); successivamente, come detto, veniva costituita la (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS), laddove proprio da una conversazione intercorsa tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) sarebbe risultato il coinvolgimento del (OMISSIS) quale socio; la sentenza prosegue illustrando altre conversazioni tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui emergerebbe l'interessamento del (OMISSIS) nel settore dell'abbigliamento, anche se non considerato come settore di principale investimento. Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 la Corte di merito ha affermato che nelle predette operazioni erano confluiti i capitali di provenienza illecita di cui il (OMISSIS) disponeva, in tal modo infiltrandosi, tramite compiacenti prestanomi, in settori dell'economia legale, cosi' traendo le risorse economiche da destinare alle esigenze degli affiliati alla cosca. Successivamente la Corte territoriale ha ribadito come le intercettazioni avessero consentito di accertare che il (OMISSIS) fosse il reale conduttore delle attivita' commerciali e la (OMISSIS) rivestisse il ruolo di mero intestatario fittizio e che, inoltre, il (OMISSIS) agisse in sinergia con il (OMISSIS), reale finanziatore, entrambi operando per far fruttare il denaro illecitamente accumulato dalla cosca attraverso la produzione di nuove attivita' imprenditoriali; la (OMISSIS), quindi, oltre ad essere consapevole delle precedenti condanne del (OMISSIS), ben potrebbe aver investito nelle predette attivita' commerciali il suo TFR, anticipandolo, il che, tuttavia, non vale ad escludere il reato, non essendo necessario, ai fini della sussistenza del reato, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', il reinvestimento di capitali illeciti nell'attivita' intestata fittiziamente. 2.2 Tanto premesso, in sintesi, quanto alla ricostruzione della vicenda, osserva il Collegio che l'inquadramento delle criticita' motivazionali della sentenza impugnata rende necessario ribadire alcuni principi assolutamente pacifici, nella giurisprudenza di questa Corte, in relazione alla fattispecie di reato in oggetto. Il delitto di trasferimento fraudolento di valori - L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, attualmente articolo 512-bis c.p. - non ha natura di reato plurisoggettivo improprio, ma rappresenta una fattispecie a forma libera che si concretizza nell'attribuzione fittizia della titolarita' o disponibilita' di denaro o altro bene o utilita', sicche' colui che si renda fittiziamente titolare di tali beni con lo scopo di aggirare le norma in materia di prevenzione patrimoniale, risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi ha operato la fittizia attribuzione, in quanto con la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce alla lesione dell'interesse protetto dalla norma; quanto all'elemento soggettivo, altrettanto pacificamente, e' necessario che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non e' sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarita' o disponibilita' di denaro, beni o altre utilita', sicche' e' imprescindibile, ai fini della sua punibilita', che l'intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione con il dolo specifico di aggirarle (da ultimo, Sez. 2, n. 45080 del 14/10/2021, Tarasi Alberto, Rv. 282437; Sez. 2, n. 35826 del 12/07/2019, Como Gaspare, Rv. 277075). Altrettanto pacificamente, quando tale delitto e' riferito ad una attivita' imprenditoriale, esso si puo' configurare sia con riferimento al momento iniziale dell'impresa che in una fase successiva, allorquando in un'impresa o societa' sorta in modo lecito si inserisca un terzo quale socio occulto, che, avvalendosi dell'interposizione fittizia persegua le finalita' illecite previste dalla disposizione incriminatrice; sicche', proprio in quanto reato a forma libera, non e' richiesta, per l'integrazione della tipicita', la formale partecipazione ad un atto negoziale, occorrendo, invece, un trasferimento, di fatto, di beni o di valori al fittizio intestatario (Sez. 5, n. 2640 del 23/09/2021, dep. 24/01/2022, Aquino Domenico, Rv. 282770; Sez. 2, n. 5647 del 15/01/2014, Gobbi e altri, Rv. 258343; Sez. 2, n. 23131 del 08/03/2011 Castaldo e altri, Rv. 250561). Quanto alla provenienza dei beni, non e' affatto necessario che la partecipazione avvenga attraverso beni provento da delitto, essendo sufficiente che le risorse provengano da un soggetto potenzialmente assoggettabile a misure di prevenzione, essendo, quindi, necessario verificare la provenienza delle risorse economiche da parte del socio occulto e la finalita' di eludere l'applicazione di misure di prevenzione (Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, Russo Francesco, Rv. 276216; Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, C., Rv. 274024; Sez. 2, n. 13448 del 16/12/2015, dep. 05/04/2016, Zummo ed altri, Rv. 266438). 2.3 Nel caso in esame, per la verita', non appare affatto chiaro se nelle due societa', operative nel settore dell'abbigliamento, l'apporto del (OMISSIS) fosse intervenuto sin dalla costituzione delle stesse ovvero in una fase successiva, essendo la sentenza impugnata, sul punto, del tutto criptica. In tal senso risulta chiarita solo l'epoca dell'intestazione alla (OMISSIS) delle due societa', senza ricostruire in quale fase o momento, invece, fosse subentrato il (OMISSIS), ovvero se la fittizia intestazione coincidesse con la titolarita' della (OMISSIS). Strettamente collegato a tale aspetto risulta, poi, un altro profilo, relativamente al quale largamente lacunosa, in ogni caso, appare la motivazione della pronuncia, nella misura in cui non si comprende in cosa consisterebbe - in assenza di accertamenti patrimoniali - l'apporto del (OMISSIS), atteso che, da un lato, si afferma che sicuramente esso sarebbe di natura illecita, consistendo in proventi accumulati dalla cosca e, dall'altro, non si specifica neanche la misura e le circostanze di tale apporto, considerato che la sentenza riconosce che la stessa (OMISSIS) avrebbe partecipato alle societa' con somme proprie, di provenienza lecita. Nemmeno si comprende - come detto - quando tale delitto si sarebbe realizzato, attesa la descritta incongruenza, essendo parimenti pacifica la natura di delitto istantaneo della fattispecie, che si realizza nel momento in cui viene realizzata l'intestazione fittizia (Sez. 5, n. 22106 del 10/03/2022, Araniti Antonino, Rv. 283256; Sez. 6, n. 13843 del 27/02/2019, Lo Franco Nicola, Rv. 275372). La sentenza impugnata, quindi, non chiarisce affatto in quale momento si sarebbe consapevolmente realizzata la difformita' tra titolarita' formale e apparente e titolarita' di fatto dei beni, posto che ci si riferisce unicamente all'atto di costituzione o trasformazione delle due societa', il che nulla dice circa il ruolo originario o sopravvenuto - del (OMISSIS) in tali vicende societarie, ne' la misura del suo apporto, a fronte dell'impiego (anche) di fondi di provenienza lecita da parte della (OMISSIS), ammessi dalla Corte territoriale. Cio' senza contare che nella (OMISSIS) s.r.l., costituita in data 22/05/2015, di cui la (OMISSIS) era titolare solo di 1/3 delle quote, la sentenza impugnata non ha chiarito se l'interposizione fosse limitata a tale percentuale oppure involgesse anche gli altri due soci; in ogni caso, risulta inequivocabilmente dalla documentazione allegata alla memoria difensiva indirizzata alla Corte territoriale che il capitale sociale ammontasse ad Euro 10.000,00 e che ogni socio avesse conferito Euro 3.333,00. In tal senso evidente risulta l'errore in cui sono incorsi i giudici di merito, che persistono nell'individuare in 100.000,00 Euro il capitale sociale della predetta impresa. Ancor piu' macroscopica, quindi, sotto l'aspetto della tenuta motivazionale della sentenza, risulta la totale carenza di valutazione delle documentate considerazioni difensive, contenute nella citata memoria indirizzata alla Corte di merito, in cui si evidenziano profili fattuali specifici, relativi alla costituzione della (OMISSIS) s.r.l., alla trasformazione in s.r.l. della (OMISSIS), oltre che nella provenienza dei capitali impiegati nelle dette societa'. In tal senso, quindi, va ribadito come "In tema di giudizio abbreviato, il difensore, a norma degli articoli 233 e 121 c.p.p., puo' depositare memorie ed allegare consulenze tecniche di parte in ogni stato e grado del procedimento, anche se vi e' gia' stata l'ammissione del rito alternativo, ne consegue che l'omessa valutazione di tali atti, pur non essendo causa di nullita' della sentenza, puo' influire sulla congruita' e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive." (Sez. 6, n. 44419 del 22/10/2015, C. Rv. 265040). Anche sotto il profilo soggettivo, che avrebbe dovuto essere accuratamente valutato, sia considerata la natura di dolo specifico del reato in esame - che consiste nella consapevolezza, da parte dell'intestatario fittizio, del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione da parte dell'intestatario dei beni e nella condivisione di tale atteggiamento soggettivo che la struttura di dolo specifico della contestata aggravante - essendo contestata la finalita' di agevolare l'attivita' della cosca di âEuroËœndrangheta facente capo al (OMISSIS) -, la sentenza impugnata appare del tutto carente. Ed infatti, unico snodo motivazionale in tal senso risulta l'illustrazione del contenuto della conversazione tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), da cui emerge - secondo la motivazione della sentenza impugnata - la piena consapevolezza, da parte della ricorrente, della precedente detenzione del (OMISSIS) per gravi reati. Tale circostanza, di per se', evidentemente non puo', da sola, integrare il dolo specifico richiesto dalla struttura normativa della fattispecie e da quella della contestata aggravante, anche alla luce del fatto che, metodologicamente, tale consapevolezza avrebbe dovuto essere valutata congiuntamente alle altre risultanze processuali, ivi incluse quelle documentate dalla difesa. Inoltre, ancor prima, la Corte di merito avrebbe dovuto chiarire, in riferimento alla specifica vicenda, in quali termini esatti si fosse verificata l'intestazione fittizia, non essendo affatto sufficiente limitare la motivazione alla descrizione delle circostanze che fondavano la consapevolezza, da parte del (OMISSIS), di poter essere sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali. Cio' senza contare che nulla viene chiarito sul ruolo del (OMISSIS), che non si comprende a che titolo avesse partecipato all'intestazione fittizia, se come interposto o come interponente. In tal senso, pertanto, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria, che, nella piena discrezionalita' valutativa riservata al giudice di rinvio, procedera' all'analisi del compendio probatorio alla luce dei principi di diritto sin qui illustrati. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato e va, pertanto, rigettato. 3.1 Alla posizione del (OMISSIS) - ritenuto partecipe della cosca (OMISSIS) con ruolo verticistico, relativo al controllo del territorio della zona della marina di Gioia Tauro - la sentenza impugnata dedica le pagg. 248 e segg. In particolare, si e' ricordato come il (OMISSIS) fosse in contatto con (OMISSIS) e con (OMISSIS) nell'ambito dei traffici di cocaina, come emerso dagli atti dell'operazione "(OMISSIS)", confluiti nel presente procedimento; quindi, la sentenza impugnata ha ripercorso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano descritto il (OMISSIS) come soggetto transitato dalla cosca (OMISSIS) alla cosca (OMISSIS) dopo la morte di (OMISSIS), restando fedele al clan in cui era confluito, come dimostrato dall'avere egli riferito al (OMISSIS) i propositi di vendetta di (OMISSIS). Oltre a cio', il (OMISSIS) risultava uno dei soggetti che frequentavano la (OMISSIS) e la masseria di (OMISSIS), ritenuti luoghi operativi del clan (OMISSIS). Il ruolo di (OMISSIS), in particolare, era emerso a seguito del tentato omicidio di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), nel luglio 2016, vicenda a seguito della quale le intercettazioni avevano permesso di verificare come il (OMISSIS) avesse convocato entrambi i predetti soggetti presso la casa del proprio suocero, alla presenza di autorevoli esponenti del sodalizio mafioso che, parimenti, intendevano risolvere la vertenza, ed avesse chiuso la questione prendendo a schiaffi sia il (OMISSIS) che il (OMISSIS). Successivamente, sempre in riferimento a tale tentato omicidio, (OMISSIS) si era trovato in contrasto con (OMISSIS), suocero del (OMISSIS), per avere preso le parti del (OMISSIS), per cui anch'egli era stato convocato dal (OMISSIS); tale convocazione aveva preoccupato il (OMISSIS), che ne aveva parlato sia con (OMISSIS), classe (OMISSIS), che con i propri cognati, (OMISSIS), che, infine, con (OMISSIS), classe (OMISSIS), che si era offerto di accompagnarlo. La sentenza impugnata ha descritto la rilevanza del ruolo del ricorrente, in grado di convocare soggetti di spicco nel contesto di âEuroËœndrangheta, i quali intervenivano con particolari cautele, lasciando i cellulari in auto prima di entrare in una masseria isolata, osservando come il (OMISSIS) avesse svolto non solo un rilevante ruolo di "paciere", ma avesse addirittura preso a schiaffi i due contendenti senza che nessuno tra gli autorevoli esponenti mafiosi reagisse; in seguito, nessuno strascico si era registrato nei contrasti tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), a dimostrazione della piena efficacia dell'agire dell'autorevolezza del (OMISSIS) nel contesto mafioso di riferimento; tale ruolo, peraltro, non era affatto episodico, posto che lo stesso (OMISSIS) aveva invitato i contendenti a rivolgersi a lui per il futuro, in caso di dissidi, a dimostrazione del suo ruolo verticistico indiscusso. Ad ulteriore conferma della collocazione del (OMISSIS), inoltre, la sentenza impugnata ha citato le propalazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), escusso nel corso del giudizio di appello. 3.2 Tanto premesso, la valutazione del ruolo di (OMISSIS) appare fondata su argomenti logici non confutabili in questa sede processuale, posto che la descrizione e la definizione di detto ruolo sono state operate in un contesto sicuramente mafioso, che la difesa non contrasta seriamente, al di la' del tentativo, assolutamente versato in fatto, di ridurre l'intervento del (OMISSIS) ad un dissidio familiare, il che, a tacere d'altro, non renderebbe ragione della presenza alla "riunione di famiglia" di altri, autorevoli esponenti della cosca. Inoltre, emerge dai motivi di gravame come la doglianza principale, relativamente ai collaboratori di giustizia, non verteva sulla mancata valutazione di attendibilita' intrinseca dei collaboratori stessi, ma sul rilievo dell'assenza di riscontri individualizzati alle dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), ragion per cui, sotto tale aspetto, le doglianze difensive appaiono riferite a profili non dedotti in appello. In ogni caso, la sentenza impugnata ha affrontato, a pag. 51, l'aspetto dell'attendibilita' dei collaboratori di giustizia. Inoltre, va rilevato anche come il ricorso prescinda del tutto dal confronto con l'ulteriore elemento posto a base della sentenza di appello, ossia le propalazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). I ricorsi risultano, quindi, incentrati essenzialmente sulla svalutazione del propalato dei collaboratori di giustizia, con argomentazioni fondate, essenzialmente, su citazioni giurisprudenziali, il che connota, inevitabilmente, il ricorso del tratto della genericita', senza contare come la difesa non si confronti con la circostanza che, anche a prescindere dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il ruolo del (OMISSIS) risulta adeguatamente approfondito alla luce delle ulteriori prove, apparendo del tutto marginale l'estraneita' del ricorrente alle vicende dal processo "(OMISSIS)", la cui incidenza sulla tenuta motivazionale del provvedimento impugnato appare del tutto ininfluente dal punto di vista logico, rivestendo un ruolo meramente compilativo, posto che al (OMISSIS) e' stato ascritto un ruolo nella compagine che prescinde del tutto da vicende connesse al commercio di stupefacenti. Parimenti non fondata appare la doglianza relativa alla sussistenza della contestata circostanza aggravante: a prescindere dallo specifico contesto di intervento del (OMISSIS), concernente un tentato omicidio, il che rende veramente difficile ipotizzare l'assenza di consapevolezza, da parte del ricorrente, della disponibilita' di armi da parte dei soggetti operanti nella dimensione in cui tale vicenda si era inserita, occorre ricordare che, secondoea pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice, la detta aggravante e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Caputo Salvatore, Rv. 278010; Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Aiello Francesco, Rv. 276831). Nel caso in esame, quindi, non puo' prescindersi, da un lato, dalla considerazione che il clan (OMISSIS) sia un clan tradizionalmente facente parte della âEuroËœndrangheta storica, la quale risulta organizzazione recante nel proprio patrimonio genetico il ricorso alle armi e, quindi, la relativa disponibilita' e, dall'altro, la natura oggettiva dell'aggravante in esame. Cio', peraltro, risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado, alle pagg. 53 e segg., quanto alla genesi della cosca (OMISSIS) ed alle sue vicende accertate con sentenze irrevocabili, in cui, con argomentazioni che costituiscono anche l'ordito motivazionale della sentenza impugnata, trattandosi di doppia conforme, si e' evidenziato il carattere armato dell'associazione. Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di merito ha riconosciuto al (OMISSIS) la sola recidiva semplice, alla luce della precedente condanna per violazione alla normativa sulle armi, operando, alle pagg. 603 e 604, una motivazione omnicomprensiva sulle ragioni per le quali agli imputati tutti non fossero concedibili le circostanze attenuanti generiche. Le doglianze difensive sul punto appaiono piuttosto aspecifiche, posto che, nel caso del (OMISSIS), e' stata evidenziata la sola risalenza del precedente, senza considerare che la condanna era intervenuta in riferimento alla violazione della normativa sulle armi, il che denota una omogeneita' ed una progressione tra fatti, anche se non contigui, ed una crescente capacita' a delinquere, come evidenziato dalla Corte territoriale a pag. 605 della motivazione. In relazione alle circostanze attenuanti generiche, il ricorso, al di la' di una generica doglianza, non individua alcun elemento circostanziale specifico che la Corte avrebbe omesso di valutare in favore del ricorrente e, anzi, sembra prescindere sia dalla considerazione del ruolo a questi ascritto che dalla contestata recidiva, elementi logicamente poco compatibili con la invocate attenuanti, anche a fronte di una motivazione sulla pena che ha sottolineato la particolare intensita' del dolo del (OMISSIS) (pag. 608). Ne discende, quindi, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. 4. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Il (OMISSIS) e' stato ritenuto partecipe della cosca (OMISSIS), quale soggetto direttamente subordinato a (OMISSIS) e (OMISSIS), e gestore di fatto della (OMISSIS), luogo di incontro degli affiliati, dove sistematicamente si verificavano anche le operazioni di bonifica ambientale in favore degli stessi; il (OMISSIS), inoltre, aveva partecipato all'indagine da parte della cosca per individuare gli autori degli attentati ai danni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) ed aveva preso parte alla fase ideativa ed esecutiva del tentato omicidio in danno di (OMISSIS), ritenuto responsabile del predetto attentato; aveva, altresi', prestato ausilio a (OMISSIS) subito dopo che questi aveva tentato di uccidere (OMISSIS); seguiva i candidati graditi alla cosca nel corso delle competizioni elettorali procacciando loro i voti; curava rapporti tra le cosche, come analiticamente indicato dalla motivazione della sentenza impugnata alle pagg. 342 e 343, nonche' alle pagg. 395 e segg. La sentenza impugnata, quindi, da' compiutamente conto di un complesso di differenziati e variegati ruoli svolti dal ricorrente, scaturente da un altrettanto composito compendio probatorio, fondato su servizi di osservazione ed intercettazioni, oltre che sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il ricorso, a sua volta, ha tentato di ridimensionare il ruolo del ricorrente con valutazione del tutto versate in fatto, oltre che genericamente volte ad interpretare il compendio intercettivo, senza specificamente individuare le conversazioni, allo scopo di descrivere il (OMISSIS) come un soggetto abituato a parlare in liberta', omettendo di confrontarsi compiutamente con l'intero compendio probatorio. La motivazione della Corte territoriale risulta analitica ed accurata, avendo approfondito le molteplici attivita' poste in essere dal ricorrente in favore della cosca, descrivendone i risalenti rapporti con i (OMISSIS), oltre che con altri sodali, i rapporti con il (OMISSIS) ed il contesto inequivocabilmente mafioso dei colloqui e delle condotte poste in essere. Parimenti generiche la deduzione relativa al trattamento sanzionatorio, avendo il ricorso fatto riferimento a non meglio specificate condizioni personali e familiari del (OMISSIS), che avrebbero giustificato il ricorso alle circostanze attenuanti generiche, senza neanche confrontarsi con la contestata recidiva, ancorche' semplice, e con la complessiva valutazione dell'intensita' del dolo, della gravita' della condotta e dei motivi a delinquere, oltre che del carattere del reo, specificamente considerati ai fini della dosimetria della pena. Ne discende, pertanto, l'inammissibilita' del ricorso con condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' parzialmente fondato, per le ragioni di seguito esposte. 5.1 Il primo motivo di ricorso e' infondato, alla luce della motivazione fornita dalla sentenza impugnata. La Corte territoriale ha chiarito che, al momento in cui era stata effettuata la notifica dell'avviso, ai sensi dell'articolo 419 c.p.p., la revoca nei confronti dell'avv.to (OMISSIS) non era ancora intervenuta. In particolare, infatti, il (OMISSIS) aveva nominato, attraverso l'Ufficio matricola della Casa circondariale di (OMISSIS), in data 24/10/2017, l'avv.to (OMISSIS), che, quindi, aveva affiancato l'avv.to (OMISSIS), gia' nominato dal luglio 2017; la notifica dell'avviso, ai sensi dell'articolo 419 c.p.p., risulta effettuata in data 24/11/2017 nei confronti del solo avv.to (OMISSIS), la cui revoca era intervenuta in data 12/12/2017, allorquando l'imputato accedeva al giudizio abbreviato. Pertanto, in data 13/12/2017, veniva nominata di ufficio l'avv.to (OMISSIS), sull'erroneo presupposto che il (OMISSIS) fosse privo di difensori di fiducia. Onere del difensore di fiducia, quindi, sarebbe stato proprio l'accertamento della sussistenza di un secondo difensore di fiducia, l'avv.to (OMISSIS), nel caso in esame, al fine di eccepire l'omessa notifica a quest'ultimo dell'avviso di cui all'articolo 419 c.p.p.. Ne' puo' essere revocato in dubbio il fatto che trattasi di nullita' di ordine generale, a regime intermedio (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244188; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Aruta ed altri, Rv. 271097; Sez. 2, n. 13465 del 22/03/2016, Candita, Rv. 266748). La mancata proposizione della eccezione, da parte del difensore di ufficio, quindi, ha sanato la dedotta nullita', tenuto, altresi', conto che non risulta neanche la comunicazione, da parte del (OMISSIS), al difensore successivamente nominato, della intervenuta revoca di quello nominato in epoca precedente. Tale onere, infatti, per pacifica giurisprudenza di legittimita', incombe sulla parte che ha proceduto alla revoca, la cui negligenza, quindi, non puo' dar luogo ad alcuna nullita' (Sez. 6, n. 1589 del 11/12/2020, dep. 14/01/2021, Pupino Claudio, Rv. 280340; Sez. 6, n. 28788 del 01/10/2020, Catalano Giovanni, Rv. 279628 - in cui, in particolare, e' stato ribadito come la dichiarazione di avvenuta nomina del difensore di fiducia, effettuata dal soggetto in stato detentivo nelle forme previste dall'articolo 123 c.p.p., debba essere comunicata dal direttore dell'istituto penitenziario soltanto all'autorita' giudiziaria, e non anche al professionista designato, incombendo tale onere informativo esclusivamente sull'imputato, con la conseguenza che il mancato intervento del fiduciario, determinato dalla negligenza del nominante, non puo' costituire causa di invalidita' degli atti processuali -; Sez. 1, n. 23611 del 04/04/2014, Perillo, Rv. 259646). 5.2 II secondo motivo di ricorso risulta formulato in maniera generica, non illustrando in maniera compiuta quale sia stata la ragione posta a fondamento della mancata autorizzazione, nei confronti del (OMISSIS), di poter personalmente visionare gli atti del procedimento a suo carico ne' quando era stata formulata la richiesta, ne', infine, quale concreto vulnus per la difesa dell'imputato ne sarebbe derivato, alla luce della motivazione della Corte di merito che ha ricordato come il ricorrente abbia, in ogni caso, optato per la scelta del rito abbreviato, nonostante il mancato accesso dei supporti informatici all'interno della struttura carceraria (pag. 46 della sentenza impugnata). Inoltre, deve ricordarsi che grava sull'imputato, anche se detenuto, l'onere di munirsi della preventiva autorizzazione, quando prescritta, ad ottenere copia degli atti processuali, sicche' egli puo' chiedere ed ottenere copia di tutti gli atti del processo, per poi consultarli nello stato di detenzione (Sez. 5, n. 1940 del 25/05/1993, Anastasio, Rv. 194453), non essendo stato neanche dedotto, nel caso in esame, che il contenuto dei supporti informatici non fosse riproducibile in formato cartaceo. 5.3 Fondate risultano le argomentazioni difensive poste a fondamento dei motivi quarto, quinto, sesto, settimo, in riferimento ai capi di imputazione sub N), O), P), Q), R), S), T). I capi N) ed O) riguardano la fittizia intestazione della totalita' delle quote della Global Freight Services Inc. e della (OMISSIS) Inc., entrambe societa' di diritto statunitense, con sede in New Jersey, riconducibili al (OMISSIS), secondo la prospettazione accusatoria; di tali societa' era presidente (OMISSIS). La sentenza impugnata fonda la propria motivazione sulla vicenda descritta al capo Q), concernente la cosi' detta "truffa dell'olio", che avrebbe coinvolto, oltre al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) - quest'ultimo rappresentante della cosca negli USA -, anche (OMISSIS) e (OMISSIS) - titolari della (OMISSIS) s.r.l., fornitori dell'olio di sansa -, (OMISSIS) - titolare insieme al (OMISSIS), della (OMISSIS) s.r.l., che si era occupata dell'esportazione dell'olio negli USA -, (OMISSIS) - che aveva partecipato alle riunioni tra i fratelli (OMISSIS), venditori dell'olio di sansa, ed i rappresentanti del (OMISSIS), ossia il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). In sostanza, secondo, la prospettazione accusatoria, l'olio acquistato dalla societa' dei (OMISSIS), pacificamente olio di sansa, sarebbe stato sottoposto a trattamenti di brillantazione e filtraggio, funzionali a renderlo simile all'olio di oliva; il prodotto era acquistato dalle imprese statunitensi del (OMISSIS) - ma riconducibili al (OMISSIS) - ed immesso sul mercato statunitense come olio di oliva. Il meccanismo truffaldino sarebbe stato attuato attraverso delle etichette recanti l'indicazione "olio extravergine di origine italiana", ma non recanti ne' il numero di lotto ne' la data di scadenza; tali etichette sarebbero state apposte sui contenitori di olio di sansa, inserendovi, poi, una data di scadenza diversa da quella reale ed un falso numero di lotto e, quindi, il prodotto sarebbe stato immesso nel mercato statunitense. La sentenza impugnata, quanto al compendio probatorio, fa rinvio integrale alla sentenza di primo grado, la quale, a sua volta, alle pagg. 118 e segg., si occupa della vicenda. In estrema sintesi, e' dato comprendere che la (OMISSIS) s.r.l. avrebbe svolto attivita' di intermediazione, percependo una provvigione, per la vendita dell'olio. Il compendio probatorio da' conto dei contatti e degli incontri, in Milano, tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), relativi alla documentazione da approntare per la spedizione dei container negli USA, che aveva luogo nella primavera-estate del 2015, attraverso le societa' di importazione del (OMISSIS). Nel giugno 2015, in particolare, veniva registrata una conversazione da cui emergeva che il (OMISSIS) aveva rappresentato che, dei tre container pervenuti, il contenuto di uno di essi non era commerciabile, mentre il contenuto degli altri due era in migliori condizioni, benche' l'olio presentasse delle impurita'; il (OMISSIS), quindi, si accordava con il (OMISSIS) per rispedire in Italia la merce invenduta, riservandosi l'opportunita' di effettuare nuove spedizioni. Successivamente risultavano conversazioni da cui emergevano accordi in tal senso e che, nell'agosto 2015, il (OMISSIS) avesse riferito della migliore qualita' dell'olio pervenuto; successivamente, la sentenza da' conto degli accordi tra gli imputati per incrementare le esportazioni, oltre che i dettagli circa i prezzi da praticare. La stessa sentenza di primo grado, quindi, a pag. 139, da' atto del fatto che i primi container di olio erano pervenuti negli USA - come dimostrato da una conversazione tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) del 31/10/2015 - e, tuttavia, si erano verificati dei problemi per la vendita del prodotto da parte del (OMISSIS), che ne era l'importatore, a causa di un contenzioso tra questi e l'acquirente, titolare di supermercati negli USA; cio' aveva determinato la partenza del (OMISSIS) per gli USA e, quindi, l'assicurazione, da parte di quest'ultimo, della futura, tempestiva partenza di altri container, benche' la sentenza dia atto dell'insorgenza anche di problematiche economiche relative al pagamento dei (OMISSIS). Quanto al profitto ricavato dall'operazione, la sentenza di prime cure da' atto che il (OMISSIS) aveva rappresentato alla sua compagna, (OMISSIS), che gli introiti sarebbero stati inferiori alle aspettative, aggirandosi intorno ai 2.600,00 Euro per la (OMISSIS)s s.r.l., e che i detti guadagni avrebbero dovuto essere resi non tracciabili. In seguito erano state rilevate attivita' volte a sostituire i (OMISSIS) quali fornitori dell'olio, ed era anche emerso come fossero state concordate le modalita' di pagamento attraverso le carte di credito (OMISSIS). In realta', la sentenza di primo grado da' ampiamente atto, alle pagg. 176 e segg., delle difficolta' incontrate, gia' dal giugno 2015, per la vendita dell'olio, in considerazione della scarsa qualita' della merce venduta dai (OMISSIS), olio di sansa che, si ripete, si tentava di far passare per olio di oliva, come emerso dalle lamentele del (OMISSIS), una volta pervenuto il prodotto negli USA, avendo i (OMISSIS) esplicitamente affermato che con l'olio di sansa "non si potevano fare miracoli", sicche' il (OMISSIS) concludeva che sarebbe stato necessario un prodotto ancora piu' limpido. Seguivano intercettazioni da cui si comprendeva come i (OMISSIS) avessero tentato di migliorare il prodotto, pervenendosi, nell'agosto 2015, alla spedizione di un carico commerciabile, della cui etichettatura si occupava il (OMISSIS), all'esito dello sdoganamento. In questa fase, quindi, la sentenza evidenzia le perplessita' dello stesso (OMISSIS) e la sua fiducia per il futuro, nonostante l'affare, fino all'agosto 2015, non avesse presentato i risultati sperati, dimostrandosi egli, comunque, disponibile ad attendere un anno senza pervenire ad alcun guadagno (pag. 196). La sentenza di primo grado, quindi, riferisce dei controlli effettuati dall'Agenzia delle Dogane, all'esito dei quali era stato accertato che la categoria merceologica indicata nelle bolle di accompagnamento e nelle fatture, relative all'olio esportato negli USA, corrispondeva ad olio di sansa, venduto, peraltro, dai (OMISSIS) alla (OMISSIS) ad un prezzo di 0,35 Euro al chilo superiore alla media nazionale. In particolare, si dava atto della presenza di circa 130.000 etichette presso il porto di (OMISSIS), riferite alle esportazioni dell'olio per un totale di 116.000 chili, etichette che, pur indicando olio extravergine di oliva, si riteneva potessero essere destinate, presumibilmente, alla frode commerciale da realizzare in territorio statunitense. Tali etichette recavano in bianco il lotto di produzione e la data di scadenza del prodotto, il che rafforzava l'ipotesi" dell'uso delle etichette negli USA finalizzata alla commercializzazione fraudolenta del prodotto; infine, presso il porto di Genova, le bollette erano state rinvenute in un container accompagnato da una bolletta doganale indicate "asciugamani di carta" e sottoposte a sequestro in data (OMISSIS). La sentenza di primo grado riporta anche un passaggio dell'informativa della Guardia di Finanza, che evidenziava come i (OMISSIS) avessero esportato verso la (OMISSIS) Inc., tra il maggio ed il luglio 2016, oltre 168.000 chili di olio, per un fatturato di oltre 472.000,00 Euro, da cui doveva essere sottratto il container che il (OMISSIS) non aveva accettato; considerato che il prezzo di acquisto dell'olio di sansa pattuito tra il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed i (OMISSIS) era pari ad Euro 2,63 al litro, con un successivo guadagno pari ad 8,90 Euro al litro per il prodotto "fruttato" e pari ad Euro 11,78 per il prodotto "unfiltred", l'operazione avrebbe portato ad un ricavo compreso tra 1.614.200,00 e 2.017.400,00 Euro, con un guadagno, al netto del costo dell'olio di sansa, compreso tra 1.2460.000,00 e 1.649.000,00 Euro. Nel giugno 2016, tuttavia, era intervenuto lo scioglimento della (OMISSIS) s.r.l., societa' gestita al 50% dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), in quanto il primo si doleva dell'aver dovuto sostenere da solo lo sforzo dell'impresa, sia sotto l'aspetto organizzativo che economico, avendo egli dovuto anticipare personalmente ai (OMISSIS) le somme per incrementare le spedizioni di olio; per tale ragione, il (OMISSIS) - come si evince da alcune intercettazioni ambientali - decideva di porre fine alla societa' con il (OMISSIS), che aveva fruttato un margine di Euro 3.800,00 a container. Secondo l'interpretazione della conversazione operata dai giudici di merito, in ogni caso, la (OMISSIS) s.r.l. percepiva sia un compenso a titolo di mediazione sia un ulteriore compenso da parte del (OMISSIS) all'esito della vendita al dettaglio, il che avrebbe dimostrato il totale controllo della filiera da parte del (OMISSIS), che veniva pagato sia dal fornitore dell'olio che dall'acquirente dello stesso. Proprio la scarsa qualita' dell'olio, tuttavia, aveva creato delle difficolta' al (OMISSIS) nel piazzare il prodotto, mentre i (OMISSIS), da parte loro, ne pretendevano, comunque, il pagamento, per cui il (OMISSIS) aveva dovuto anticipare tali somme personalmente, il che aveva creato malumori tra i soci (OMISSIS) e (OMISSIS), all'esito dei quali il primo aveva deciso di sciogliere la societa' ed estromettere il secondo, sostanzialmente, dai guadagni del commercio dell'olio. 5.3.1 Tanto premesso, quanto alla ricostruzione della vicenda, il Collegio osserva come la motivazione della sentenza impugnata appaia intrinsecamente contraddittoria e, per certi versi, addirittura apparente; essa, inoltre, non risulta aver preso in considerazione le specifiche deduzioni difensive. La stessa necessita', per il Collegio di legittimita', di ripercorrere la ricostruzione della vicenda, emerge dalla totale carenza di vaglio critico da parte del giudici di merito che - come emerge palesemente dalla tecnica redazionale adottata hanno travasato nella motivazione della sentenza di primo grado e, quindi, in quella impugnata, le risultanze delle indagini di Polizia giudiziaria. Nessuna indagine patrimoniale risulta menzionata, da cui possa desumersi come l'intera operazione di esportazione dell'olio di sansa abbia fruttato gli elevati guadagni ipotizzati dalla Guardia di Finanza, ne' risulta accertato il quantitativo di prodotto effettivamente messo in commercio negli USA. Per la verita', non risulta neanche accertata la sussistenza di denunce, nel suddetto paese, da parte di acquirenti o di rivenditori al dettaglio, circa la qualita' del prodotto, inferiore a quello apparentemente rivenduto. Benche', quindi, il meccanismo di frode ideato sia stato chiaramente delineato, a fronte delle risultanze descritte non si comprende in che misura tale frode sia stata effettivamente attuata o se, piuttosto, essa sia rimasta, almeno in parte, allo stadio di tentativo, anche alla luce della circostanza che il (OMISSIS) aveva indicato come almeno una parte del carico a lui pervenuto fosse invendibile. Indicare, infatti, il quantitativo totale di prodotto rivenduto dai (OMISSIS) negli USA, attraverso la (OMISSIS) Inc., non dimostra, infatti, che la totalita' di tale prodotto fosse stata commercializzata con le descritte modalita' fraudolente. Se cio' fosse avvenuto, infatti, non si comprende quali sarebbero state le difficolta' economiche in conseguenza delle quali erano state registrate le doglianze del (OMISSIS) e la sua decisione di sciogliere la societa' con il (OMISSIS), ossia proprio la societa' veicolo della truffa che, secondo la prospettazione accusatoria, garantiva elevati guadagni alla cosca. Se si considera, infatti, la motivazione con la quale la stessa sentenza impugnata ha, poi, confermato l'assoluzione di (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettando l'appello del pubblico ministero, emergono ulteriori, macroscopiche incongruenze motivazionali. Anzitutto, si evidenzia come l'olio di sansa importato negli USA dalla (OMISSIS) Inc. entrasse senza alcuna frode nel territorio estero, in quanto la bolla di accompagnamento della merce corrispondeva effettivamente al prodotto inviato; solo in un secondo momento, quindi, il (OMISSIS), presso il proprio magazzino, provvedeva ad etichettarlo apponendovi etichette con indicazioni false, sia quanto alla scadenza che quanto alla qualita' dell'olio. Come gia' evidenziato in precedenza, in che misura, per quali importi ed in riferimento a che ammontare di profitto tale meccanismo truffaldino sia stato realizzato, non viene chiarito dalle sentenze di merito. Cio' che si comprende e' che i (OMISSIS) inviavano il prodotto in conto vendita, con conseguente esposizione finanziaria, e venivano pagati in riferimento all'olio di sansa venduto, il che - secondo la Corte di merito - costituisce un elemento del tutto inconferente in relazione alla consapevolezza del meccanismo di frode, da parte dei (OMISSIS), unitamente ad altre emergenze, analizzate alla pag. 575 e segg. della sentenza impugnata. Significativo, inoltre, appare il passaggio motivazionale in cui la Corte di merito evidenzia come, benche' fosse evidente che il (OMISSIS) aveva anticipato delle somme ai (OMISSIS) per conto della (OMISSIS) Inc., non era affatto certo che tale somma ammontasse a 200.000,00 Euro; a pag. 580 della motivazione, inoltre, la Corte territoriale afferma che, infine, non era neanche certo che la somma sicuramente incerta nel suo ammontare - fosse stata anticipata personalmente dal (OMISSIS), in quanto dal tenore della conversazione intercettata non e' dato comprendere se il soggetto che aveva garantito il pagamento fosse il (OMISSIS) o, piuttosto, la (OMISSIS) s.r.l.. Evidente, quindi, risulta l'opposta valutazione di un dato - quello concernente il pagamento, da parte del (OMISSIS) ai (OMISSIS), delle somme da loro anticipate - in un caso ritenuto certo e, nell'altro, ritenuto per nulla sicuro, non potendo tale dato non rilevare sulla tenuta motivazionale, posto che, in riferimento al (OMISSIS), esso e' stato ritenuto un tassello dimostrativo del fatto che il ricorrente disponesse di notevoli somme illecite da impiegare nell'esportazione dell'olio. Ma vi e' di piu'. La sentenza impugnata non ha assolutamente fornito alcuna risposta alle doglianze difensive contenute nella memoria depositata in data 23/10/2020 alla Corte di merito, in cui veniva evidenziato il contenuto della deposizione del colonnello della Guardia di Finanza (OMISSIS), rese nel procedimento a carico dei coimputati, celebrato con rito ordinario innanzi al Tribunale di Palmi e gia' acquisite agli atti del procedimento in abbreviato, all'udienza del 06/03/2020. Indipendentemente da ogni rilievo circa la valutazione della deposizione del teste e la concreta rilevanza dei passaggi evidenziati dalla difesa, non c'e' dubbio che la portata della memoria difensiva abbia un contenuto rilevante sulla tenuta della costruzione accusatoria, sotto plurimi profili: la riconducibilita' della (OMISSIS) Inc. al (OMISSIS); la reale dimensione della vicenda inerente l'esportazione dell'olio ed il raggiungimento di un profitto illecito a seguito della distribuzione dell'olio di sansa come olio extravergine di oliva nel mercato americano; la modalita' di percezione del profillo illecito; la qualificazione della (OMISSIS) s.r.l. come impresa mafiosa. L'omessa considerazione del contenuto della citata memoria difensiva, il cui contenuto risulta pertinente e rilevante in riferimento al tema dedotto, costituisce, quindi, un ulteriore, insanabile vulnus nella motivazione della sentenza impugnata, in conformita' con quanto pacificamente asserito da questa Corte (da ultimo: Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, Rinaldi Filippo, Rv. 277667; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto Martina, Rv. 276199), dovendo il giudice di merito, con adeguata motivazione, farsi carico delle deduzioni difensive per confutarne la decisivita'. Ne consegue, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata in relazione al capo Q), con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria che provvedera', nella piena discrezionalita' valutativa, a fornire adeguata motivazione alla luce dei principi di diritto sin qui evidenziati. 5.4 Quanto al capo N), la motivazione della sentenza non consente di comprendere il costrutto accusatorio. Secondo la formulazione del capo di imputazione, la (OMISSIS) Inc., societa' di diritto statunitense, fondata nel 2005, sarebbe riconducibile, almeno in parte, al (OMISSIS), benche' il (OMISSIS) ne risultasse presidente; il reato sarebbe stato consumato in (OMISSIS). Posto che la societa', quindi, risulta preesistente, in quanto fondata nel 2005, la sentenza non chiarisce affatto quale mutamento nella compagine societaria sarebbe intervenuto nell'ottobre 2012, tale da consentire l'individuazione di un'interposizione fittizia, rispetto al precedente assetto societario; ne' pare considerare come non sembri compatibile la consumazione dell'interposizione fittizia in una fase in cui il (OMISSIS) risultava ancora detenuto, essendo il predetto stato scarcerato in data 21/12/2014. Attesa la pacifica natura di reato istantaneo del delitto di trasferimento fraudolento di valori, quindi, la sentenza va annullata sul punto, dovendo la Corte di merito, in sede di rinvio, chiarire esattamente i termini concreti della prospettata interposizione fittizia. Nel caso di specie, infatti, palese risulta il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), che riguarda non solo l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale, ossia la sua inosservanza, ma anche l'erronea applicazione della stessa al caso concreto e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie astratta. 5.5 Stesso discorso va fatto per la (OMISSIS) Inc., societa' di diritto statunitense, di cui il capo di imputazione sub O) si limita ad asserire che la stessa sarebbe riconducibile, al meno in parte al (OMISSIS), essendone il (OMISSIS) il presidente, essendo stato il reato consumato nel 2013, negli Usa, in Gioia Tauro, Milano ed altri luoghi. Prima ancora di ricordare le doglianze difensive scaturenti dalla deposizione del colonnello (OMISSIS), va, infatti, rilevato che, anche in tal caso, la sentenza non chiarisce affatto i termini concreti dell'interposizione, di cui non si comprende neanche la precisa data di verificazione. Come detto, la struttura del reato peraltro richiamando sul punto le considerazioni gia' svolte in riferimento al ricorso di (OMISSIS) - necessita la precisa individuazione della condotta di interposizione, cosa che, nel caso in esame, risulta del tutto carente. Ne discende come, anche in tal caso, palese risulti l'erronea applicazione della fattispecie di interposizione fittizia al caso concreto, non essendo stati neanche individuati i termini dell'interposizione stessa. Anche per tale capo di imputazione, quindi, si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. 5.6 Quanto al capo P) - relativo alla violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, -, va ricordato come il reato richieda un'abitualita' o serialita' di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile soltanto nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati; inoltre, il divieto, imposto al sorvegliato speciale, di associarsi abitualmente con persone che abbiano riportato condanne o che siano sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, implica il necessario accertamento, in concreto, della conoscenza, da parte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione, dei pregiudizi gravanti sulle persone frequentate, desunta da elementi fattuali concludenti, come quelli attinenti al contesto socio-ambientale in cui si collocano i rapporti con il soggetto pregiudicato, o ad altri fattori sintomatici della relativa conoscenza, a prescindere dalla circostanza che le sentenze di condanna a carico del terzo frequentato dal proposto siano o meno riportate nel certificato penale spedito a richiesta di privati, la cui conoscenza e' normativamente preclusa a terzi (Sez. 1, n. 14149 del 20/01/2020, Vurchio Emilio, Rv. 278942; Sez. 1, n. 37163 del 19/07/2019, Giordano Francesco, Rv. 276945; Sez. 1, n. 44586 del 03/05/2018, P., Rv. 273978). La motivazione della sentenza, sul punto, e' assolutamente carente e generica: essa non solo non prende in considerazione la circostanza che il capo di imputazione non indicasse affatto quali fossero i soggetti ai quali il (OMISSIS), sorvegliato speciale, si accompagnava abitualmente, ma individua tali soggetti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) - senza indicare ne' le occasioni degli incontri da cui desumere l'abitualita' ne', tantomeno, gli elementi da cui desumere che il (OMISSIS) fosse a conoscenza dei pregiudizi, gravanti sui predetti, omettendo, infine, anche di indicare i pregiudizi gravanti sulle dette persone, al di la' di un generico ed insufficiente rinvio ai certificati del casellario giudiziale. Per tali ragioni si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per novo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. 5.7 Venendo al capo R), la formulazione del capo di imputazione riguarda la fattispecie di cui all'articolo 648-ter c.p., in particolare l'impiego in attivita' economiche ed imprenditoriali, da parte del (OMISSIS), delle somme provento del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p.; attraverso la (OMISSIS) s.r.l., quindi, tali somme, accumulate negli anni precedenti l'arresto del (OMISSIS), venivano investite nelle societa' statunitensi (OMISSIS) USA Inc., (OMISSIS) Inc., (OMISSIS) Inc., nonche' nella (OMISSIS), nella (OMISSIS) s.r.l., nella (OMISSIS) s.n.c.. La motivazione della sentenza impugnata, al di la' della mera citazione di sentenze di legittimita' circa la fattispecie di reimpiego, omette del tutto di individuare le prove sulla scorta delle quali e' stata accertata la provenienza illecita - quale frutto dell'attivita' criminosa di aderente al clan (OMISSIS), posta in essere dal ricorrente in epoca precedente la sua detenzione - dei capitali impiegati nelle predette attivita' imprenditoriali. Leggendo la sentenza, quindi, appare evidente come si dia per scontato cio' che avrebbe dovuto essere oggetto di dimostrazione e come, peraltro, non si sia neanche tenuto compiutamente conto di alcune circostanze evidenziate dalla difesa ed oggettivamente emergenti dagli atti processuali (ad esempio, la revoca del sequestro avente ad oggetto la (OMISSIS), da parte del Tribunale del riesame, che aveva revocato la misura cautelare reale ritenendo fornita la prova della provenienza lecita dei capitali impiegati nella predetta societa'; nonche', quanto alle societa' della (OMISSIS), le circostanze emerse in riferimento ai capitali ivi utilizzati, come meglio evidenziato nella trattazione dei motivi di ricorso relativi alla predetta coimputata). Ma, il che emerge in maniera ancora piu' stridente in termini di logica, nonostante la Corte di merito abbia espressamente citato l'arresto delle Sezioni Unite, non sembra aver, poi, fatto alcuna applicazione del canone ermeneutico secondo il quale "Non e' configurabile il concorso fra i delitti di cui agli articoli 648-bis o 648-ter c.p. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell'associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilita' provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, operando in tal caso la clausola di riserva contenuta nelle predette disposizioni." (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259587). La sentenza impugnata va, quindi, annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria che, sulla scorta della valutazione delle prove - preventivamente individuate - chiarira' se, nel caso in esame, il (OMISSIS) sia stato ritenuto unicamente autore del delitto presupposto di cui all'articolo 416-bis c.p., ovvero se il delitto di reimpiego abbia ad oggetto, invece, proventi dei soli delitti-fine dell'associazione di cui era stato ritenuto partecipe, posto che puo' configurarsi il concorso tra i reati di cui agli articoli 648-bis e 648-ter c.p. nel caso dell'associato che ricicli o reimpieghi proventi dei soli delitti-scopo, a condizione che egli non abbia fornito alcun contributo causale alla realizzazione di tali delitti-scopo. 5.8 Quanto ai capi S) e T), la lacunosita' delle motivazione - come gia' evidenziato in riferimento alla posizione della coimputata (OMISSIS) - impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, anche in riferimento a tali fattispecie di reato. Dall'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, quanto ai reati-fine, discende l'assorbimento dell'ottavo motivo di ricorso. 5.9 Infondati devono, al contrario, ritenersi il nono, il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso, seppure con le precisazioni di seguito svolte. La sentenza impugnata, dopo aver dato atto della esistenza e dell'operativita' della cosca (OMISSIS), accertate all'esito di sentenze irrevocabili che hanno ripercorso la vita del sodalizio sin dalla meta' degli anni âEuroËœ70, ha analizzato la vicenda personale, in tale contesto, di (OMISSIS), classe (OMISSIS), figlio del capo storico della compagine, (OMISSIS), e ritenuto attuale reggente della cosca. Il ricorrente risulta gia' condannato, come partecipe del clan, all'esito del processo "(OMISSIS)"; nell'ambito del presente procedimento, quindi, il suo ruolo apicale deve essere necessariamente considerato a partire da epoca successiva a quella coperta dalla precedente pronuncia irrevocabile, cioe', come viene indicato nella sentenza impugnata, a partire dal 2013. La Corte di merito ha riportato ampi stralci delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia - (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) - giungendo alla conclusione della convergenza di tali dichiarazioni; alle pagg. 53 e segg. la sentenza impugnata ha specificamente individuato le argomentazioni alla stregua delle quali ciascun collaboratore di giustizia dovesse essere ritenuto credibile, sia intrinsecamente che estrinsecamente. Fermo restando che le argomentazioni inerenti la valutazione di attendibilita' dei collaboratori sembrano del tutto immuni da censure logiche, appare evidente come, tuttavia, tale vaglio positivo non possa far ritenere automaticamente determinanti e decisive le rispettive dichiarazioni che, anzi, devono essere considerate in sinergia con la posizione individuale del ricorrente, rispetto alla quale esse si pongono come fonte di prova. Il che significa contestualizzare le dichiarazioni in riferimento alla specifica perimetrazione della contestazione associativa. Nel caso in esame, quindi, atteso che il ruolo di partecipe al clan di (OMISSIS), classe (OMISSIS), risulta giudizialmente accertato fino ai primi mesi del 2013, l'arco di tempo rispetto al quale la prova dichiarativa deve essere valutata non puo' che essere successivo e deve, altresi', tenere conto del ruolo di capo della cosca attribuito al ricorrente, in precedenza condannato quale partecipe. Tale ruolo apicale, in assenza di indicazioni di segno opposto, deve essere, ragionevolmente, attribuito al (OMISSIS) a partire dall'epoca della sua scarcerazione, verificatasi in data 21 dicembre 2014. Considerati tali ineludibili dati temporali, la sentenza impugnata ha dato atto che il collaboratore di giustizia (OMISSIS), come emerge alle pagg. 71 e segg. della sentenza impugnata, avesse riferito del ruolo del (OMISSIS) in interrogatori a partire dal 12/08/2013; anche (OMISSIS), tratto in arresto in data 24/06/2014, aveva iniziato il percorso di collaborazione a partire dal luglio 2014, mentre (OMISSIS), a sua volta tratto in arresto in data 24/06/2014, aveva iniziato la sua collaborazione agli inizi del gennaio 2015, epoca a cui risaliva l'inizio della collaborazione anche di (OMISSIS), peraltro detenuto dal maggio 2013. In sostanza, la Corte territoriale non si e' affatto posta il problema - come si evince dalla totale carenza della motivazione sul punto - di valutare la convergenza temporale tra i fatti riferiti dai collaboratori di giustizia e la perimetrazione cronologica del ruolo ascritto all'imputato, ovvero, in altri termini, l'attualita' dei fatti oggetto di propalazione rispetto alla scansione temporale specifica dell'imputazione associativa. La Corte territoriale ha riportato pedissequamente il contenuto delle singole propalazioni, senza formulare l'ineludibile passaggio logico teso a verificare quali fossero le fonti attuali a cui attingevano i collaboratori, posto che essi avevano intrapreso un percorso di collaborazione antecedente o coevo alla scarcerazione del (OMISSIS), per cui - anche considerato il venir meno di contatti con la compagine di appartenenza, che costituisce uno dei primo effetti del percorso collaborativo - non si comprende come essi potessero riferire di fatti successivi, ferma restando la loro attendibilita' circa il ruolo svolto dal (OMISSIS) in epoca precedente che, tuttavia, per le indicate ragioni, risulta coperto dal giudicato. Secondo la valutazione operata dal Collegio, quindi, la tenuta motivazionale della sentenza impugnata, in riferimento al ruolo associativo di (OMISSIS), classe (OMISSIS), deve essere considerata tenuto conto del complesso delle fonti di prova, ferma restando la inadeguata e lacunosa motivazione, quanto alla valutazione delle propalazioni dei collaboratori di giustizia; tale snodo motivazionale, infatti, sembra rivelare una non condivisibile impostazione metodologica, consistente nell'attribuire rilevanza determinante alle propalazioni dei collaboratori purche' plurime e convergenti, come se la loro incidenza probatoria dipendesse da un meccanismo di "accumulo", che consentisse di eludere il vaglio critico specifico delle singole propalazioni, in riferimento alla specifica imputazione; il che, al contrario, dovrebbe costituire operazione logicamente preliminare, soprattutto quando, come nel caso in esame, occorra verificare, in riferimento ad un'imputazione associativa temporalmente delimitata, la riferibilita' delle propalazioni al medesimo arco temporale. In assenza di tale valutazione, infatti, il giudice di merito puo' correre il rischio di attribuire valore determinante a dichiarazioni che - pur a fronte di un vaglio generale di attendibilita' del collaborante - finiscono per poter essere del tutto generiche o decontestualizzate. Tanto premesso, va, pero', rilevato, come il percorso dimostrativo della sentenza impugnata non sia messo in crisi, alla luce di ulteriori elementi altamente significativi e concludenti. Proprio la precedente condanna del (OMISSIS) e' stata utilizzata per evidenziare ancorche' implicitamente - che nessun percorso dissociativo il ricorrente avesse intrapreso nel corso della sua detenzione, ne' la difesa ha evidenziato alcun elemento da cui fosse consentito desumere la rescissione del vincolo associativo; ne discende che, in conformita' con i criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, dep. 13/01/2022, Di Matteo Andrea, Rv. 282661; Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notaris, Rv. 269121), anche in pendenza di detenzione, non puo' ritenersi automaticamente impedita, da parte di un associato, la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attivita' e, soprattutto, non puo' ritenersi venuta meno la sua disponibilita' a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento. In tal senso, quindi, deve prendersi atto delle plurime circostanze emergenti dal compendio probatorio che, complessivamente considerate, non trovano una spiegazione logica alternativa - come evidenziato dalla sentenza impugnata - al ruolo ascritto al (OMISSIS). La sentenza ha evidenziato il compendio intercettivo dando conto del contesto inequivocabile delle conversazioni, in cui lo stesso (OMISSIS), parlando con la moglie e le figlie, illustra la logica e le dinamiche connesse al contesto associativo, ovvero viene descritto come assolutamente organico a tale contesto dalla propria sorella, che ne sottolinea il carattere violento ed imprevedibile (pagg. 114 e segg. della sentenza impugnata). La sentenza impugnata, inoltre, si e' lungamente diffusa sulla cosi' detta "strategia di inabissamento", evidenziando come, da un lato, il ricorrente, una volta scarcerato e rientrato a Milano, aveva avviato una serie di attivita' imprenditoriali nel settore ortofrutticolo ma, contemporaneamente, egli aveva seguito una precisa strategia di accorta gestione dei propri comportamenti quotidiani, improntati alla riduzione al minimo delle comunicazioni telefoniche o dirette, spostandosi essenzialmente a piedi e privilegiando luoghi aperti per gli incontri, affidati, peraltro, alla mediazione di una stretta cerchia di soggetti gravitanti in ambito familiare. Tali risultanze appaiono il frutto - per come indicato in sentenza - di migliaia di ore di registrazioni video e di intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato come i soggetti vicini al (OMISSIS) si recassero direttamente presso la sua abitazione, in assenza pressoche' totale di precedenti contatti telefonici, attendendo che egli uscisse da casa, per poi recarsi insieme a fare lunghe passeggiate per sfruttare le zone aperte per comunicare. E che tale scelta fosse attuazione di una precisa strategia adottata nell'ambito di logiche riconducibili alla cosca, risulta confermato anche dal contenuto di conversazioni telefoniche, come, ad esempio, quella intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS), e quella intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS), di cui la Corte territoriale da' conto alle pagg. 133 e segg. Con motivazione immune da censure logiche la Corte di merito ha, pertanto, considerato come una tale strategia non potesse che essere funzionale alla tutela di un personaggio con ruolo verticistico nell'ambito della cosca, mettendolo al riparo dai sospetti che avrebbe potuto destare, anche considerati i controlli cui egli era sottoposto a causa del regime di sorveglianza speciale. Rispetto alla mole probatoria risultante dal compendio intercettivo e dalle risultanze dei servizi di polizia giudiziaria, non puo', quindi, che rilevarsi come le doglianze difensive, gia' in sede di gravame, fossero articolate nell'analisi del contenuto di singole captazioni, allo scopo di fornirne un'interpretazione alternativa e piu' favorevole al (OMISSIS). La Corte di merito, sul punto, ha fornito una precisa risposta, analizzando il contenuto delle singole captazioni telefoniche ed ambientali oggetto dei motivi di gravame, con motivazione che si fonda su argomentazioni non illogiche, quanto al significato delle conversazioni intercettate e, come tale, non sindacabile in sede di legittimita' (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 12/02/2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 17/02/2014, Napoeoni e altri, RV. 259516), salvo il travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile, cosa, peraltro, non verificatasi nel caso in esame. Parimenti incensurabile risulta la motivazione della Corte territoriale in riferimento all'invio del pacco a Milano da Gioia Tauro, contenente, indiscutibilmente, dei messaggi da consegnare al (OMISSIS) che, a sua volta, aveva, poi, inviato una risposta a Gioia Tauro. Tale vicenda e' stata analizzata alle pagg. 180 e segg. della sentenza impugnata, con motivazione che non risulta affetta da alcun vizio rilevabile nella presente sede processuale: seppure, come rilevato dalla difesa, il contenuto dei messaggi non fosse noto, resta indiscutibile la modalita' sicuramente incompatibile, da punto di vista logico, con una comunicazione diversa da quella inscrivibile in un contesto associativo, diversamente non spiegandosi le anomale cautele, come descritto in sentenza. In sostanza, quindi, ed anche a prescindere dall'esito decisorio in relazione ai reati-fine, ritiene il Collegio che il compendio probatorio in relazione al delitto associativo, ivi incluso il ruolo ascritto al ricorrente, risulti descritto in maniera non confutata dalle doglianze difensive, che, peraltro, su tale aspetto risultano essenzialmente parcellizzate e versate in fatto. L'autonomia della fattispecie associativa, quindi, non appare scalfita dalla necessita' di un ulteriore approfondimento circa la sussistenza dei reati-fine, non essendo, peraltro, neanche da escludere che il (OMISSIS) possa aver intrapreso anche attivita' lecite in un'ottica di copertura del suo ruolo. Un conto, infatti, e' discutere della prova relativa alla provenienza delle somme impiegate nelle attivita' riconducibili al (OMISSIS) - come piu' volte sottolineato, fondatamente, dalla difesa -, altro e' individuare il compendio relativo alla fattispecie associativa - del tutto autonoma dai reati-fine -, che non puo' essere valutato in maniera avulsa dalla specificita' del contesto in cui gli elementi di prova si inseriscono, ne' dalla storia personale e giudiziaria del ricorrente, ne' dal significato - valutato sulla base di consolidate massime di esperienza - da attribuire a specifiche condotte, se inserite in un determinato contesto. Il che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, non significa porre in essere un'operazione di sociologia giudiziaria, bensi' di fare applicazione di criteri ermeneutici dell'esistente, declinati alla luce delle risultanze di specifiche vicende giudiziarie, costituenti, a loro volta, un patrimonio comune acquisito, che ha consentito di ricostruire le logiche e le modalita' comportamentali in determinati contesti associativi. Conclusivamente, quindi, proprio la sinergica valutazione delle risultanze sin qui sintetizzate, alla luce di criteri ermeneutici non sindacabili in sede di legittimita', da' ampiamente conto della sussistenza della fattispecie associativa ascritta al (OMISSIS) con ruolo apicale, nonostante il doveroso ridimensionamento delle propalazioni dei collaboratori di giustizia che, tuttavia, si pongono come antefatto storico, alla luce del quale operare la complessiva valutazione dell'ulteriore, corposo materiale probatorio, la cui sintesi ermeneutica non risulta scalfita dalle doglianze difensive. Ne discende, pertanto, quanto al capo A), il rigetto del ricorso di (OMISSIS). 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato e, pertanto, va accolto. 6.1 In riferimento ai capi di imputazione sub S) e T), non possono che richiamarsi le medesime argomentazioni gia' svolte per la coimputata (OMISSIS), valide anche per quanto riguarda il ruolo del (OMISSIS); stesso discorso va fatto in riferimento al capo Q), per il quale appare sufficiente richiamare le valutazioni gia' svolte in riferimento al coimputato (OMISSIS), ed al capo R), in cui la motivazione della sentenza e' del tutto insussistente, limitandosi ad un rinvio al ruolo del (OMISSIS), limitandosi ad attribuire al (OMISSIS) il ruolo di "concorrente extraneus alla consumazione dell'attivita' di auto riciclaggio posta in essere da (OMISSIS) con i capitali della cosca (OMISSIS)", senza alcun ulteriore chiarimento in merito. 6.2 Quanto al ruolo associativo ascritto ad (OMISSIS), occorre osservare come esso si fondi su argomentazioni che, allo stato, risultano oggetto di una petizione di principio non adeguatamente sorretta dal punto di vita logico. La sentenza impugnata non chiarisce affatto come si inserisca il ruolo di un soggetto, quale il (OMISSIS), che non solo non risulta mai condannato per appartenenza alla cosca (OMISSIS), ma risulta del tutto sconosciuto ai collaboratori di giustizia. Tali circostanze risultano ancor piu' incongrue se si considera la totale carenza di riferimenti ad indagini patrimoniali da cui enucleare la eventuale provenienza illecita dei capitali impiegati dal (OMISSIS) nelle attivita' imprenditoriali intraprese con il (OMISSIS); peraltro, sotto tale aspetto, proprio il vizio motivazionale individuato in riferimento al capo Q) non puo' che riverberarsi anche sul ruolo associativo ascritto al (OMISSIS). Ed infatti, appare collocarsi su di un piano del tutto eccentrico, rispetto al ruolo associativo attribuito al ricorrente, il fatto che questi possa aver avviato delle attivita' economiche insieme al (OMISSIS), posto che tali iniziative - a prescindere dalla loro connotazione illecita - ben avrebbero potuto restare confinate ad un rapporto tra i due predetti soggetti, che non involgeva alcun tipo di relazione con la cosca (OMISSIS); cosi' come, sotto altro aspetto, il ruolo del (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato - sussistendone i requisiti - in funzione di un concorso esterno. La sentenza impugnata non ha in alcun modo affrontato tali aspetti essenziali, fondando la motivazione circa il ruolo associativo del (OMISSIS) esclusivamente sulla ritenuta sussistenza dei reati-fine, oltre a sottolineare la presenza del (OMISSIS) in riferimento ad altre iniziative imprenditoriali del (OMISSIS), senza, peraltro, fornire adeguata motivazione circa l'inquadramento di tali vicende in un contesto associativo, ritenendo, in maniera evidentemente inaccettabile, di etichettare dette iniziative in quanto riferibili al (OMISSIS) e, in tal senso, confondendo un mero sospetto che, del tutto legittimamente, avrebbe potuto giustificare l'avvio di un serio percorso di ricerca, delle prove, soprattutto sul versante patrimoniale, con la prova stessa. La sentenza impugnata va, quindi, annullata in riferimento al ricorrente (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. 7. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. Il logico inquadramento in un contesto associativo di condotte altrimenti ritenute non spiegabili, se inserite in un contesto lecito, effettuato da parte della Corte territoriale in relazione ad (OMISSIS), appare operazione ermeneuticamente condivisibile anche in riferimento a (OMISSIS). Il ruolo di quest'ultimo, infatti, e' stato descritto come quello di un soggetto preposto alla tutela del (OMISSIS), filtrandone i contatti con l'esterno e preservandone la sicurezza negli spostamenti, oltre che di vero e proprio consigliere del giovane capo, nel contesto di quella che e' stata descritta come la strategia di "inabissamento", in precedenza descritta (pagg. 552 e segg. della sentenza impugnata). Tale ruolo emerge dal compendio intercettivo, su cui si incentrano anche le doglianze difensive, le quali, tuttavia, appaiono irrimediabilmente versate in fatto e, come tali, radicalmente inammissibili. La difesa, infatti, ha articolato il ricorso attraverso l'analisi di stralci di conversazione captate, fornendone un'interpretazione diversa rispetto a quella attribuita dalla Corte di merito, secondo una logica di alternativa plausibilita' che non puo' trovare alcun ingresso nel giudizio di legittimita'. Quanto alla possibilita' di configurare il ruolo del (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 378 c.p., il motivo appare pedissequamente reiterativo del corrispondente motivo di appello, rispetto al quale la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione, citando pertinente giurisprudenza di legittimita' (Sez. 5, n. 35277 del 16/06/2017, Panebiando, Rv. 270654); ne risulta, quindi, la genericita' di motivo, che finisce per non confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata. Il ruolo del (OMISSIS), quindi, risulta descritto, conformemente ai canoni ermeneutici di questa Corte regolatrice, come quello di soggetto organico, che affiancava con ruolo non episodico, ma stabile e continuativo, il capo cosca recentemente scarcerato, svolgendo un ruolo di filtro e di tutela nei confronti del predetto che non puo' che ridondare a vantaggio dell'intera compagine. Va, infine, ricordato come la Sez. Prima della Cassazione, con sentenza n. 19316 del 12/07/2018, dep. in data 07/05/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Reggio Calabria, all'esito di udienza camerale ex articolo 309 c.p.p., decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto con sentenza del 15/09/2017 della Sezione Quinta della Corte di cassazione, confermava l'ordinanza in data 15/02/2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con la quale era stata applicata al (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso ex articolo 416-bis c.p.. Dalla lettura della motivazione della sentenza emerge come la Cassazione abbia ritenuto del tutto immune da vizi la valutazione del compendio indiziante a carico del ricorrente. Anche sotto tale aspetto, quindi, il ricorso non sembra cogliere appieno la portata della motivazione del citato provvedimento, con conseguente genericita' del ricorso. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. Le doglianze difensive risultano irrimediabilmente connotate da genericita' e versate in fatto, risolvendosi in citazioni della giurisprudenza di legittimita' accompagnate ad una rivisitazione del compendio probatorio. Lo (OMISSIS) e' stato ritenuto partecipe della cosca (OMISSIS), quale referente del cognato (OMISSIS), deputato al mantenimento dei rapporti tra questi ed il territorio calabrese, nonche' con le relative cosche ivi operanti. In particolare, occorre rimarcare come il ricorso eluda del tutto alcuni snodi motivazionali sicuramente significativi, da cui risulta la partecipazione dello (OMISSIS) all'indagine interna, insieme a (OMISSIS), all'esito degli attentati al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), contesto nel quale proprio il ricorrente aveva proposto una linea di reazione piu' dura ed immediata; egli aveva partecipato alla vicenda scaturente dal tentato omicidio di (OMISSIS) ed alla conseguente lite tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS); risultava soggetto consultato tutte le volte in cui occorreva adottare importanti decisioni nell'ambito della cosca; aveva manifestato la sua contrarieta' alla scarsa cautela del (OMISSIS), tenendo presente la possibilita' che questi fosse intercettato; era risultato coinvolto, insieme al (OMISSIS) ed al Dato, nella conversazioni in cui veniva presa in considerazione la possibilita' che (OMISSIS) iniziasse a collaborare con l'Autorita' Giudiziaria. Rispetto a tali elementi, ritenuti dalla Corte di merito estremamente significativi, affiancando le propalazioni dei collaboratori, di cui costituiscono evidenti riscontri, il ricorso omette qualsiasi confronto, il che ne determina la totale genericita'. Parimenti incongrua la doglianza circa le ragioni che avrebbero dovuto indurre la Corte di merito a concedere al ricorrente le circostanze attenuanti generiche, basata sulla scelta processuale del ricorrente, di non frapporre alcun ostacolo allo svolgimento del processo mediante meccanismi dilatori; trattasi di argomentazione del tutto generica ed inconferente, nella misura in cui, se riferita al rito prescelto, appare del tutto priva di rilevanza, non potendo certamente valutarsi, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, una scelta di tipo processuale, mentre, se riferita ad altre dinamiche, si risolve in una argomentazione del tutto criptica e priva di rilevanza. Ne discende, pertanto, l'inammissibilita' del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. 9. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato e va, pertanto, rigettato. (OMISSIS) e' stato ritenuto organico alla cosca (OMISSIS), con il ruolo di capo, dal 2008 con condotta permanente, di mandante del danneggiamento aggravato ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' della detenzione e porto di un fucile mitragliatore, arma da guerra (capi B, G, H). La sentenza impugnata ha ricordato le propalazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rilevando come il ricorrente fosse il nipote prediletto del capo cosca (OMISSIS) e che era gia' stato condannato con due sentenze definitive per il delitto associativo, avendo egli continuato a svolgere il proprio ruolo nell'ambito della cosca (OMISSIS), in seguito alla sua scarcerazione; in particolare, dopo la scissione tra la cosca (OMISSIS) e la cosca (OMISSIS), lo (OMISSIS) aveva accresciuto il proprio ruolo, in seguito alla morte di (OMISSIS) ed alle operazioni di polizia giudiziaria che avevano condotto all'arresto di storici esponenti della predetta compagine. La sentenza ha, poi, valutato il compendio intercettivo nell'ambito dell'operazione "(OMISSIS)", con particolare riferimento alla captazione di (OMISSIS), da cui emergeva il disappunto di quest'ultimo, incontrastato boss della omonima cosca, per le alleanze strette dallo (OMISSIS) con la cosca (OMISSIS), espandendo, in tal modo, l'influenza criminale della cosca (OMISSIS) in un territorio estraneo. Nel corso del giudizio di appello, inoltre, era stato escusso il collaboratore di giustizia (OMISSIS), il quale aveva ricordato come lo (OMISSIS) fosse stato il mandante del danneggiamento ai danni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), specificando che il ricorrente si occupava di traffico di droga prima della morte di (OMISSIS), collaborando proprio con il (OMISSIS), oltre che con (OMISSIS), entrambi portuali che si occupavano dell'introduzione dello stupefacente. Tra le intercettazioni rilevanti, in particolare, la Corte territoriale ha ricordato anche la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui lo (OMISSIS) veniva indicato a capo di un nuovo gruppo criminale, nel settore del commercio di stupefacenti introdotti attraverso il porto di Gioia Tauro; proprio tale conversazione individua lo (OMISSIS) come il mandante dei colpi di arma da fuoco esplosi contro le abitazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), condotta materialmente eseguita da (OMISSIS) e maturata proprio nel contesto del commercio degli stupefacenti. Peraltro, lo stesso collaboratore (OMISSIS) aveva riferito che lo (OMISSIS), in carcere, gli aveva rivelato il suo ruolo apicale, ricordando di essere stato affiliato quando era molto giovane. La Corte territoriale ha ricordato come i collaboratori citati fossero tutti intranei alla cosca (OMISSIS) o (OMISSIS) e, quindi, avessero riferito fatti del comune patrimonio conoscitivo, cosi' come comune patrimonio conoscitivo risultava il ruolo di mandante svolto dal ricorrente in riferimento agli attentati al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), alla luce della conversazione intercettata tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). Il ricorso, allo scopo di contestare la valenza della predetta conversazione, ha ricordato una diversa captazione, indicata alla pag. 687 dell'ordinanza di custodia cautelare, introducendo, quindi, una valutazione di merito in riferimento ad una captazione che la Corte di legittimita' non puo' certamente valutare nel suo significato, e che, tra l'altro, non e' stata neanche specificamente individuata. Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 la Corte territoriale ha ricordato come gli atti del procedimento "(OMISSIS)" avessero dimostrato che lo (OMISSIS), una volta scarcerato, avesse ripreso il comando di un autonomo segmento della cosca (OMISSIS), estendendo il suo controllo nel settore degli stupefacenti in Gioia Tauro, ed estendendo il controllo in aree tradizionalmente estranee all'influenza della cosca (OMISSIS), stringendo rapporti con la cosca (OMISSIS), in tal modo destando la contrarieta' del (OMISSIS). Tale compendio - in maniera del tutto logica - e' stato ritenuto dalla Corte dimostrativo di un'operativita' dello (OMISSIS) che esulava dall'ambito del solo settore degli stupefacenti, essendo stato il ricorrente, coerentemente, assolto dall'imputazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 contestatagli a capo M). Peraltro, la sentenza impugnata ha osservato come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia fossero temporalmente coerenti con l'epoca in cui lo (OMISSIS) era stato scarcerato e, quindi, del tutto attuali; in tale contesto, quindi, si inserisce la vicenda dell'attentato al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), confermata anche dalle dichiarazioni del (OMISSIS). Quanto alla sussistenza della contestata aggravante, risulta chiaramente, dalla formulazione dei capi di imputazione sub G) e H), come sia stata contestata l'aggravante dell'essersi avvalso delle condizioni di cui all'articolo 416-bis c.p., rintegrate, nel caso in esame, nell'uso di un fucile mitragliatore per colpire i portoni di ingresso delle abitazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS); trattasi, evidentemente, di una modalita' difficilmente inquadrabile al di fuori di un contesto di elevata intimidazione, tipicamente ascrivibile alle organizzazioni di tipo mafioso. Le argomentazioni poste a fondamento del ricorso, in realta', si risolvono in una essenziale riproduzione delle medesime doglianze poste a base del gravame e logicamente confutate dalla Corte di merito. Quanto alla determinazione della pena, la sentenza impugnata ha dato atto di aver individuato la pena base, per il piu' grave delitto associativo, nel minimo edittale, pari ad anni quindici di reclusione, trattandosi di associazione armata, per cui la doglianza difensiva, in tema di motivazione della pena allorquando il giudice si discosti dal minimo edittale, risulta del tutto incongrua. Quanto all'aumento per la contestata recidiva, il ricorso non esplicita alcuna autonoma doglianza. Ne discende, quindi, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. 10. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato quanto alla determinazione del trattamento sa nzionatorio. Come noto, l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'articolo 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 36256 del 22/10/2020, Bertoli Nunzio, Rv. 280488; Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre Fabiola, Rv. 276932). Nel caso in esame la pena base e' stata fissata in anni quindici di reclusione per il delitto associativo, senza alcuna specifica individuazione dei criteri di commisurazione di tale pena, al di la' di un generico richiamo alle modalita' dell'azione ed all'intensita' del dolo. Cio' tanto piu' in considerazione del fatto che il primo giudice aveva fissato in anni quindici di reclusione la pena base in relazione, pero', alla diversa fattispecie di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica cit., da cui il (OMISSIS) e' stato assolto dalla Corte di merito. Inoltre, anche in riferimento al delitto associativo, il primo giudice aveva delineato il ruolo del (OMISSIS) come soggetto attivo nel settore degli stupefacenti, ruolo che, come visto, risulta essere stato escluso alla luce dell'intervenuta assoluzione. L'individuazione della pena base, quindi, risulta del tutto avulsa da ogni motivazione chiara in riferimento al mutato quadro probatorio fondante la penale responsabilita' del ricorrente, come individuata dalla Corte di merito. Ne discende, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, relativamente ad (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. Annulla la medesima sentenza, relativamente a (OMISSIS), limitatamente ai capi N), O), P), Q), R), S), T) e, relativamente a (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. Rigetta, nel resto, il ricorso di (OMISSIS). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/07/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere Dr. GABRIELLA CAPPELLO; sentito il Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. CASELLA GIUSEPPINA, la quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio limitatamente alla recidiva; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS) del foro di Napoli, per (OMISSIS), il quale, rinunciando alla trattazione orale e sviluppando le proprie argomentazioni difensive, ha dichiarato di insistere nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale cittadino, appellata dall'imputato (OMISSIS), con la quale il predetto era stato condannato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 95, per avere falsamente attestato, in sede di istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, le proprie condizioni reddituali, omettendo di indicare la titolarita' di 71 beni mobili registrati (autoveicoli), fatto accertato in (OMISSIS), con la recidiva reiterata e infra quinquennale. 2. L'imputato ha proposto ricorso con difensore, formulando tre motivi. Con il primo e il secondo, ha dedotto rispettivamente inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 79 e 95 e vizio della motivazione con riferimento alla valutazione della rilevanza penale della condotta contestata all'imputato. Quanto al primo profilo, la difesa rileva che dal combinato disposto delle norme richiamate non emerge l'obbligo del richiedente di indicare la titolarita' di beni mobili registrati, l'autocertificazione contenuta nell'istanza di ammissione al beneficio avendo a oggetto solo il reddito complessivo e non le singole componenti, i beni mobili registrati potendo rilevare quali elementi per valutare il reddito d'impresa, ma non anche quello delle persone fisiche. Quanto al secondo profilo, invece, il deducente rileva che la Corte territoriale non avrebbe considerato che non e' piu' richiesta dalla legge la dichiarazione di impossidenza di beni immobili o mobili registrati e che, dopo avere affermato la necessita' di non confondere i piani della sussistenza dei presupposti del reato e della revoca dell'ammissione al beneficio, precisando in un passaggio che non vi e' un onere del richiedente di indicare la possidenza di beni mobili registrati o immobili, ha poi richiamato l'articolo 79 del Decreto del Presidente della Repubblica cit., per ricavarne un obbligo di fornire detta indicazione in sede di dichiarazione sostitutiva da allegare all'istanza. Peraltro, l'imputato aveva denunciato di disconoscere la titolarita' di 69 delle 71 vetture al medesimo intestate e, rispetto a tale dato, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la denuncia, non avendo la difesa fornito la prova ritenuta "diabolica", poiche' negativa, di non sapere di tali fittizie intestazioni. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto vizio motivazionale quanto alla contestata recidiva, evidenziando che i giudici del merito si sarebbero limitati al richiamo dei precedenti penali senza nulla argomentare in ordine alla valutazione della pericolosita' sociale dell'imputato, di fatto rendendo una motivazione del tutto apparente. 4. La difesa ha depositato atto di rinuncia alla discussione orale, con conclusioni, chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso e sviluppando le argomentazioni con essi rassegnate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va accolto nei termini che seguono, limitatamente alla ritenuta recidiva e rigettato nel resto. 2. Secondo la Corte territoriale la difesa avrebbe confuso i presupposti, non coincidenti, per la sussistenza del reato di falso del quale si discute e per la revoca del beneficio, precisando essere principio indiscusso che il primo e' integrato da false indicazioni o omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva o in ogni altra prevista per l'ammissione al beneficio. E, pur rilevando l'insussistenza di un onere di indicare nella dichiarazione la possidenza di beni mobili registrati o immobili, ha pero' ritenuto l'obbligo dell'istante di attestare, nella dichiarazione sostitutiva, la sussistenza delle condizioni di reddito. Nel caso in esame, l' (OMISSIS) aveva omesso di indicare la possidenza di ben 71 automezzi, beni che, secondo la Corte territoriale, costituiscono sicuri indicatori di reddito per costante giurisprudenza e che, nella specie, dimostrerebbero fonti illecite di guadagno, avendo la stessa difesa avanzato la spiegazione secondo la quale la criminalita' organizzata e' solita servirsi di "teste di legno", alle quali intestare beni. Quanto, poi, alla ritenuta recidiva, la Corte territoriale ha ritenuto di condividere la valutazione del primo giudice, alla luce della rilevanza e gravita' dei precedenti penali. 3. Il primo e il secondo motivo sono infondati. Ai fini dell'individuazione delle condizioni necessarie per l'ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacita' economica (sez. 4, n. 12410/2019) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (sez. 4, n. 20836/2019). La correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato dal Supremo collegio in una recente decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsita' o incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 79, comma 1, lettera c), in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilita' (in motivazione, Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino). In quella sede, peraltro, le Sezioni unite hanno precisato che la falsita' o incompletezza della dichiarazione sostitutiva di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 79, comma 1, lettera c), non comporta, qualora i redditi effettivi non superino i limiti di legge, la revoca dell'ammissione che puo' esser disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli articoli 95 e 112, Decreto del Presidente della Repubblica cit.. Ed e' su tale piano che va colta la differenza delle due distinte valutazioni, sollecitata proprio dalla difesa. E' certamente vero che il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 95 e' integrato dalle false indicazioni o dalle omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al beneficio, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione stessa (Sez. U. n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, Rv. 242152; sez. 4 n. 40943 del 18/9/2015, Rv. 264711; n. 35969 del 29/5/2019, Arlotta, Rv. 276862). Ed e' vero che e' stato in passato affermato che la falsa attestazione, da parte del richiedente, nella dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 79, lettera c), del medesimo D.P.R., di non essere proprietario di beni mobili registrati non integra il reato di cui all'articolo 95 Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, atteso che detta dichiarazione ha per oggetto soltanto le condizioni di reddito, da determinarsi secondo le modalita' di cui al precedente articolo 76, e non anche la consistenza dei beni facenti parte del patrimonio degli interessati (sez. 4, n. 41306 del 10/10/2007, Scumaci, Rv. 237732). Tale principio, tuttavia, e' stato successivamente calibrato. Si e' cosi' precisato che, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione dei limiti di reddito, rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perche' non rientranti nella base imponibile, vuoi perche' esenti, vuoi perche' di fatto non hanno subito alcuna imposizione: ne consegue che rilevano anche i redditi da attivita' illecite ovvero i redditi per i quali l'imposizione fiscale e' stata esclusa (ex plurimis, sez. 3, n. 25194 del 31.3.2011, Brina, Rv. 250960, in un caso in cui l'imputato aveva falsamente dichiarato i redditi familiari nell'istanza di ammissione al patrocinio, omettendo in particolare di indicare le somme percepite, rispettivamente, dal padre, a titolo di TFR e, dalla sorella, a titolo di indennita' di disoccupazione; conf. sez. 4 n. 36362/2010, in cui si e' precisato che e' a cio' funzionale la disposizione contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 79, lettera c), laddove prevede che l'istante deve attestare la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalita' indicate dall'articolo 76). I principi affermati in tali arresti rinvengono giustificazione in quanto previamente precisato dal giudice delle leggi, avendo la Corte Cost., nella sent. n. 144 del 1992, affermato che rilevano anche redditi che non sono stati assoggettati ad imposta vuoi perche' non rientranti nella base imponibile, vuoi perche' esenti, vuoi perche' di fatto non hanno subito alcuna imposizione, quindi anche redditi da attivita' illecite, ovvero redditi per i quali e' stata elusa l'imposizlone fiscale; tutti tali redditi sono poi accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'articolo 2739 c.c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi). Quindi, nella nozione di reddito, ai fini dell'ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga (vedi, sul punto, sez. 4, n. 418 del 25/11/2021, dep. 2022, Baccini, Rv. 282560 che opera un richiamo ai principi fissati dal giudice delle leggi). E' alla luce di tali principi, dunque, che va esaminata la spiegazione data dai giudici territoriali. La condotta integrativa del reato non e' data dalla omessa denuncia di possidenza dei beni mobili registrati, bensi' dall'attestazione di condizioni reddituali che non tenevano conto del reddito ricavato attraverso la intestazione fittizia di tali beni, secondo una spiegazione presuntiva che la stessa difesa aveva suggerito (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Tale lettura e' conforme a quella rinvenibile nella sentenza appellata, laddove il giudicante aveva precisato che l'omissione era caduta su dati rilevanti per comprendere adeguatamente il tenore di vita dell'imputato, a nulla rilevando in contrario la presentazione di una denuncia-querela, stante la circostanza che la tesi della inconsapevolezza delle intestazioni avrebbe avuto come presupposto la infedelta' dei dati riportati nei relativi atti e la mancanza di notifiche inerenti alla circolazione di un cosi' consistente numero di automezzi. La difesa, di contro, non aveva dimostrato la indisponibilita' dei mezzi e neppure la falsita' della sottoscrizione dei relativi contratti di acquisto. 4. Il terzo motivo e' invece fondato. E' principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita' quello per cui e' richiesta al giudice, sia che egli affermi, sia che escluda la sussistenza della recidiva, una specifica motivazione che dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (sez. 6, n. 56972 del 20/6/2018, Franco, 274782; sez. 3, n. 4135 del 12/12/2017, dep. 2018, Alessio, Rv. 272040). A tal fine, la valutazione deve dar conto della ritenuta concreta significativita' del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, alla stregua altresi' dei parametri di cui all'articolo 133, c.p., sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della pericolosita' del reo (sez. 3, n. 30591 del 8/6/2022, Garzena, Rv. 283414; n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419, in cui si e' precisato, per l'appunto, che la recidiva e' intesa come elemento sintomatico di accentuata pericolosita' sociale e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali, cosicche' la relativa valutazione giudiziale non puo' fondarsi esclusivamente sulla gravita' dei fatti e sull'arco temporale in cui gli stessi risultano consumati, dovendosi invece scrutinare il rapporto tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificandosi se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che ha influito come fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice). Nella specie, tale valutazione e' stata semplicemente omessa dai giudici territoriali. 5. La sentenza deve essere, dunque, annullata limitatamente alla recidiva, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appelo di Napoli per nuovo esame sul punto, con rigetto nel resto del ricorso e dichiarazione di irrevocabilita' della affermazione di penale responsabilita', ai sensi dell'articolo 624, c.p.p.. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta recidiva con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l'articolo 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l'affermazione di penale responsabilita'.

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