Sentenze recenti titolo esecutivo

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3619 del 2024, proposto dalla Società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda quater, n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 60 c.p.a; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e udito per la parte appellante l'avv. Gi. Ca. Di Gi.; Vista l'istanza di passaggio in decisione senza discussione del Comune di (omissis); Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. -OMISSIS- impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso per l'annullamento dell'ordinanza n. 18 del 24.4.2023 con cui è stata intimata la demolizione di presunte opere abusive realizzate nell'immobile di proprietà della ricorrente sito in località (omissis), -OMISSIS-, ed è stata prevista, in caso di inottemperanza, la demolizione d'ufficio e l'adozione delle sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 15 e 16 della l.r. n. 15/08. 2. L'appellante lamenta l'erroneità della sentenza per le seguenti ragioni: 1) il TAR non si è in alcun modo pronunciato sulla richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, presentata in data 16.2.2023 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia, la quale costituiva un elemento essenziale dell'istruttoria. L'ordine di demolizione, infatti, è logicamente incompatibile con l'art. 131-bis c.p. che esclude la punibilità di un fatto particolarmente lieve; 2) il giudice è incorso in errore nel ritenere inapplicabile l'art. 34-bis d.P.R. 380/2001 poiché il carattere di sanatoria della norma per le difformità di lieve entità la rende applicabile anche in mancanza di misure previste nel titolo abilitativo, purché nel limite massimo del 2%; 3) riguardo alla dedotta violazione dell'art. 15 della l.r. 15/2008, risulta priva di fondamento l'argomentazione della sentenza impugnata secondo cui si tratterebbe di mero avviso di irrogazione della sanzione per il caso in cui l'ordine non sia ottemperato, in quanto "è chiaro che l'irrogazione della sanzione pecuniaria avviene comunque o in via di ottemperanza, ovvero coattivamente in caso di inottemperanza". Del pari non condivisibile è la ritenuta qualificazione dell'intervento come ristrutturazione pesante ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c) del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 16 della l.r. n. 15 del 2008 poiché la particolare esiguità e tenuità del danno è stata rilevata sia in sede penale sia in sede cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3509 del 31 agosto 2023; 4) il TAR ha effettuato una valutazione degli elementi di fatto completamente diversa da quella contenuta nell'ordinanza del Consiglio di Stato n. 3509 del 31.8.2023 che ha accolto l'appello cautelare della ricorrente; 5) quanto alle opere contestate, si osserva che: l'ampliamento della superficie del piano interrato di mq. 3,00 è anteriore al divieto introdotto dall'art. 4-ter delle N.T.A. del Piano Particolareggiato Esecutivo (P.P.E.) del Comprensorio di (omissis), per cui è inconferente il richiamo al suddetto divieto; i locali tombati rientrano nell'edilizia libera ai sensi dell'art. 6, lett. e-ter, del d.P.R. n. 380/2001, sia nel senso della loro creazione, sia nel senso del loro accorpamento; la "installazione di un infisso lungo il perimetro del portico al piano terra, tamponato parte in vetro nella parte inferiore, tipo parapetto, e nella parte superiore con rete zanzariera", è contemplato al n. 10 del Glossario edilizia libera poiché la sostituzione di un vecchio parapetto comporta l'installazione di uno nuovo. 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità dell'appello per genericità dei motivi di ricorso. Nel merito, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con istanza del 24 maggio 2024 il difensore dell'appellante ha chiesto il differimento della trattazione della domanda cautelare in attesa dell'approvazione da parte del governo del c.d. "Piano Salva Casa". 5. All'udienza del 28 maggio 2024, previo avviso alla parte presente ex art. 60 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In via preliminare, deve essere respinta l'istanza di rinvio formulata dall'appellante poiché l'eventuale sanabilità delle opere sulla base della sopravvenienza normativa non rileva né ai fini dell'esame dell'istanza cautelare, né ai fini della decisione di merito sulla natura abusiva dell'intervento e sulla conseguente legittimità dell'ingiunzione a demolire. 7. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere dall'esame della (fondata) eccezione di inammissibilità dello stesso per difetto di specificità formulata dal Comune di (omissis). 7.1. Le censure articolate dall'appellante si risolvono in una mera riproposizione di quelle di primo grado, già disattese dal TAR sulla scorta di motivazioni che il Collegio condivide. 8. A quanto osservato dal giudice di primo grado è sufficiente aggiungere le seguenti considerazioni: a) l'archiviazione, disposta dal G.I.P. su conforme richiesta del P.M., del reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non fa venir meno l'abuso edilizio e non ne accerta la mancata realizzazione sul piano materiale, ma ne esclude la punibilità sulla scorta di valutazioni strettamente inerenti alla fattispecie penale, al suo disvalore e alla personalità dell'autore (pena edittale non superiore nel massimo a cinque anni, incensuratezza dell'indagato, particolare tenuità dell'offesa: cfr. decreto di archiviazione del 19.09.2023); a.1) la non punibilità prevista dall'art 131-bis c.p., infatti, non è causa di estinzione né dell'illecito penale né, a maggior ragione, dell'illecito amministrativo che deve essere obbligatoriamente rimosso mediante demolizione dell'abuso ai sensi dell'art. 31 d.P.R. n. 380/2001. Come di recente rimarcato dall'Adunanza Plenaria "la commissione di un illecito edilizio comporta la sussistenza del reato previsto dall'art. 44, comma 1, lettere a) e b), del d.P.R. n. 380 del 2001 e la lesione dei valori tutelati dagli articoli 9, 41, 42 e 117 della Costituzione. La realizzazione di opere edilizie, in assenza del relativo titolo e in contrasto con le previsioni urbanistiche, incide negativamente sul paesaggio, sull'ambiente, sull'ordinato assetto del territorio e sulla regola per la quale il godimento della proprietà privata deve svolgersi nel rispetto dell'utilità sociale". (sent. 16/2023). La non punibilità dei fatti di reato di minore disvalore risponde a ragioni di politica criminale che sono estranee alla dimensione amministrativa dell'interesse pubblico finalizzato all'ordinato assetto del territorio; b) la tesi dell'appellante per cui il regime delle tolleranze costruttive contemplato dall'art. 34- bis d.P.R. 380/2001 sarebbe applicabile anche in assenza di titolo abilitativo è smentita dal dato letterale della citata disposizione la quale è, invece, chiara nell'escludere che costituiscano violazione edilizia le difformità contenute "entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo". Le tolleranze costruttive, infatti, sono circoscritte alle sole divergenze occorse in fase esecutiva per minime imperfezioni, di regola impercettibili, emergenti dalle lavorazioni di cantiere e non possono estendersi ad intere opere non contemplate dal titolo (Cons. Stato, sez. II 15/03/2024, n. 2510; id. 3/11/2023 n. 9520, sez. VI 8/08/2023, n. 7685) e men che meno ad interventi contrastanti con la disciplina urbanistica, oltre che con quella paesaggistica, come nel caso di specie; c) l'art. 15, comma 3, l.r. 15/2008 dispone che "l'accertamento all'inottemperanza all'ordine di demolizione comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2 mila euro ad un massimo di 20 mila euro, in relazione all'entità delle opere". Poiché l'irrogazione della sanzione consegue solo all'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione -e, quindi, solo ove esso rimanga inadempiuto- correttamente il TAR ha escluso l'attualità della lesione a fronte di un mero avviso di (futura) applicazione della sanzione; d) le opere in questione, complessivamente considerate, hanno determinato un aumento della superficie utile residenziale e un conseguente un incremento della consistenza pregressa, quale risultante dai titoli già rilasciati, circostanza che ne esclude la sussumibilità nell'attività edilizia libera ai sensi dell'art. 6 d.P.R. n. 380/2001 e ne giustifica la qualificazione come ristrutturazione edilizia c.d. "pesante" ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 16 della l.r. n. 15 del 2008 (Cons. Stato, Sez. VI, 22/03/2023, n. 2928). Non vale, in senso contrario, il richiamo all'ordinanza di questa Sezione n. 3509/2023 che, nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, ha rilevato l'esiguità delle opere singolarmente considerate, riservando, tuttavia, alla sede merito il pieno scrutinio delle questioni dedotte. Come osservato dal Comune appellato, la diversa valutazione in sede di merito di un profilo oggetto di apprezzamento cautelare non assurge a vizio di motivazione della sentenza né può costituire motivo di appello; e) l'asserita anteriorità dell'ampliamento del piano seminterrato rispetto al divieto sancito dall'art. 4-ter delle N.T.A. del Piano Particolareggiato Esecutivo (P.P.E.), integra un motivo nuovo e, come tale, inammissibile poiché nel giudizio di primo grado la ricorrente ha ammesso il carattere abusivo dell'intervento, deducendo, tuttavia, che, trattandosi di opera subordinata a SCIA, la sua realizzazione sine titulo non avrebbe potuto legittimare l'applicazione della sanzione ripristinatoria bensì solo della sanzione pecuniaria (capo 1.2 della sentenza). In ogni caso, l'appellante non fornisce alcuna prova dell'anteriorità dell'intervento rispetto al divieto, non assolvendo all'onere su di essa gravante (cfr. ex multis, Cons. Stato sez. VI 8/11/2023 n. 9612) e.1) l'art. 6 lett e) ter d.p.r. 380/2001 include nell'edilizia libera solo la realizzazione di locali tombati e non l'apertura di un locale in precedenza tombato, come avvenuto nel caso di specie; e.2) l'installazione di un parapetto è un'opera distinta dalla sostituzione e non è prevista al n. 10 del glossario dell'edilizia libera che contempla solo interventi su strutture già esistenti (sostituzione, riparazione, rinnovamento e messa a norma); f) in definiva, gli interventi sono stati realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e a rischio idrogeologico in violazione delle NTA del piano particolareggiato esecutivo del Comprensorio di (omissis) che al già citato art. 4-ter vieta la realizzazione di locali di qualsiasi tipo al di sotto del calpestio del piano terra. 9. Per le ragioni sopra indicate l'appello deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 1013 del 2020, proposto da As. S.p.A. in proprio e nella qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese con la Di Vi. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. Ca. e Gr. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fe. Ca. in Roma, via (...); contro Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. St. e Ma. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Sa. De. in Roma, p.zza (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sezione Prima, 24 ottobre 2019, n. 795, n. 795, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cip Sassari Consorzio Industriale Provinciale di Sassari; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, la società As. S.p.a. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per la Sardegna 24 ottobre 2019, n. 795, che ha respinto il suo ricorso per l'accertamento dell'inadempimento, da parte del Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, di un contratto relativo all'esecuzione di lavori, con la conseguente risoluzione dello stesso e la condanna del Consorzio al risarcimento del danno da inadempimento o, in via subordinata, a titolo di responsabilità precontrattuale. 1.1. Come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, il Consorzio (già Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Sassari - Porto Torres - Alghero) aveva indetto un appalto concorso per la progettazione e costruzione delle infrastrutture relative alla zona di (omissis). Nella lettera di invito si prevedeva che l'importo dei lavori a "forfait globale chiuso" non potesse superare £ 150.000.000.000 (IVA esclusa) e si specificava che "Le opere in oggetto sono prive di finanziamento che verrà richiesto con la presentazione del progetto prescelto nel presente appalto concorso", per cui "soltanto dopo la concessione del finanziamento e il rilascio della concessione edilizia il progetto sarà impegnativo per il Consorzio". 1.2. Con delibera n. 3398 del 22 giugno 1989 era stata adottata l'aggiudicazione provvisoria in favore del raggruppamento temporaneo di imprese con mandataria Di. S.p.a. (odierna As. S.p.a.), specificando espressamente che l'aggiudicazione sarebbe diventata definitiva "solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere", le quali sarebbero state divise in stralci da affidare con successivi contratti, in base ai finanziamenti progressivamente ricevuti. Il che si verificò regolarmente almeno fino alla nota del 2 maggio 2006, prot. n. 1550/5/06, con la quale il Consorzio comunicava al raggruppamento As. la propria volontà di ritirarsi dall'appalto concorso "per contrasto con norme imperative inderogabili e, comunque, per non inidoneità a garantire il corretto perseguimento dell'interesse pubblico attuale". 1.3. Avverso la determinazione del Consorzio, il raggruppamento dapprima si rivolse al giudice ordinario e, successivamente (a seguito della sentenza della Corte di Appello di Cagliari, sezione staccata di Sassari, 26 ottobre 2012, n. 319, che - in riforma della sentenza del tribunale ordinario di Sassari - declino la giurisdizione in favore del giudice amministrativo; e a seguito, anche, della pronuncia della Corte di cassazione, SS.UU. civili, 4 luglio 2017, n. 21199, che ha dichiarato inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto da As.) ha radicato il giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, che ha rigettato integralmente le domande risarcitorie proposte dal R.T.I. As.. 1.4. Il primo giudice - trattenuta la giurisdizione in base alla considerazione che l'oggetto del contendere riguardasse il mancato affidamento al RTI As. dei lavori successivi al quarto stralcio, cioè un profilo relativo alla fase prodromica all'instaurazione del relativo rapporto contrattuale - ha ritenuto infondate tutte le domande della ricorrente sull'essenziale assunto che la lettera di invito, così come le corrispondenti clausole dei contratti relativi ai primi quattro stralci di lavori, e prima ancora la deliberazione del 22 giugno 1989, n. 338 (in cui si precisava che l'aggiudicazione definitiva sarebbe intervenuta solo con il perfezionarsi dei singoli finanziamenti), erano chiare nel considerare "non immediatamente impegnativo" per il Consorzio, rispetto ai singoli lavori in progetto, l'originario rapporto di appalto concorso; e pertanto - come già osservato - non si è mai perfezionato un rapporto contrattuale per la generalità dei progetti facenti parte dell'appalto concorso. Anche la domanda avente ad oggetto la responsabilità precontrattuale è stata rigettata, sia per la genericità della sua formulazione, sia perché - in ragione della loro qualificazione professionale - non sussisterebbe un affidamento incolpevole delle imprese ricorrenti. 2. La società As., rimasta soccombente, ha proposto appello sostanzialmente reiterando i motivi del ricorso di primo grado, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 3. Nella resistenza del Consorzio Provinciale di Sassari, all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Con il primo motivo, l'appellante censura la sentenza in quanto il primo giudice avrebbe errato non solo a non rimettere la questione di giurisdizione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sollevando conflitto negativo di giurisdizione ai sensi dell'art. 11 c.p.a., ma anche ad affermare che la controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva amministrativa. Ribadisce che la vicenda non riguarda la fase prodromica all'instaurazione del relativo rapporto contrattuale, come erroneamente asserito nella sentenza, ma attiene alla fase di esecuzione del contratto posto che la procedura di appalto-concorso indetta dal Consorzio si è conclusa con l'aggiudicazione definitiva della intera progettazione ed esecuzione dei lavori, con la sola condizione che l'esecuzione fosse subordinata alla acquisizione dei finanziamenti. 4.1. Il motivo è infondato. 4.. Come meglio emergerà nel corso dell'esame delle domande risarcitorie, l'appalto concorso indetto con bando dell'8 aprile 1989 e contestuale lettera di invito, si è concluso con la sola aggiudicazione provvisoria, sulla scorta di quanto previsto dalla lex specialis la quale espressamente precisava che "Le opere in oggetto sono prive di finanziamento che verrà richiesto con la presentazione del progetto prescelto nel presente appalto concorso"; soltanto "dopo la concessione del finanziamento e il rilascio della concessine edilizia il progetto sarà impegnativo per il Consorzio". La deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio, n. 383 del 22 giugno 1989 (che ha approvato la conclusione dei lavori della commissione esaminatrice nominata per la valutazione delle offerte), ha correttamente dato atto delle conseguenze derivanti dalle predette norme di gara, dichiarando l'associazione temporanea di imprese con mandataria la Di. (divenuta As. S.p.a.) "aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso", che "diventerà definitiva solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto prescelto". 4.3. Pertanto la controversia instaurata dalla As. ha per oggetto la fase dell'affidamento di un contratto di appalto di lavori (parte del più ampio progetto di lavori), che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera e), n. 1, del codice del processo amministrativo. 5. Con il secondo motivo, l'appellante censura la sentenza anche nella parte in cui ha rigettato la domanda di accertamento dell'inadempimento e della conseguente responsabilità contrattuale del Consorzio industriale e risarcimento del danno, sostenendo la inesistenza di un vincolo contrattuale tra le parti. Reitera gli argomenti con i quali ha sostenuto che dall'aggiudicazione dell'appalto concorso discendeva l'affidamento di tutta l'opera oggetto della gara. In particolare, la procedura indetta ed aggiudicata dal Consorzio riguardava la progettazione e la realizzazione dell'intera opera, ferma restando la circostanza che la fase esecutiva sarebbe proseguita per stralci dopo il recepimento dei necessari finanziamenti. La stessa lettera di invito precisava inoltre che l'aggiudicataria "dovrà consentire al Consorzio di utilizzare come cosa propria il progetto per sottoporlo all'Ente finanziatore". Dunque, la lettera di invito non indicava solo che l'opera era priva di finanziamento e che si sarebbe proceduto per stralci, ma anche che oggetto dell'affidamento era costituito dalla progettazione e che il progetto presentato dal vincitore sarebbe stato utilizzato dal CONSORZIO "come cosa propria" per ottenere i finanziamenti necessari all'attività esecutiva. 5.1. In tale prospettiva chiede la corresponsione anche dello specifico compenso per il progetto divenuto di proprietà del Consorzio, che non sarebbe stato interamente pagato (pagamento che era previsto in occasione dell'affidamento dei diversi stralci). 5.2. Sotto altro profilo, l'appellante richiama anche l'art. 33 del Capitolato speciale di appalto (sul deferimento alla competenza arbitrale per le controversie che dovessero sorgere fra la Direzione dei Lavori e l'Appaltatore), osservando come il fatto che il Consorzio si sia sempre difeso, tra l'altro, richiamando la competenza arbitrale prevista dal richiamato art. 33 del capitolato speciale di appalto, presuppone il perfezionamento del vinculum iuris e quindi si controverta in materia di diritti soggettivi (art. 12 del Codice del processo amministrativo), posto che il collegio arbitrale non potrebbe essere chiamato a definire controversie che attengono a interessi legittimi. In tal modo il Consorzio avrebbe mostrato di essere consapevole della definitività dell'intero affidamento e, dunque, del vinculum iuris tra le parti. 5.3. Col terzo motivo, in via subordinata l'appellante impugna la sentenza anche nella parte in cui ha respinto la domanda di condanna del Consorzio alla stipula del contratto, ai sensi dell'art. 2932 del codice civile, che troverebbe la sua base giuridica nella clausola dei contratti stralcio (articolo 5) successivi alla iniziale aggiudicazione dell'appalto concorso, che contempla l'espresso impegno a completare la realizzazione dei restanti lotti, concretizzando l'obbligo a contrarre in capo alla stazione appaltante, condizionato al mero ottenimento dei finanziamenti regionali. Il Consorzio sarebbe venuto meno anche all'obbligo di esecuzione in buona fede (art. 1375 c.c.), omettendo di chiedere i finanziamenti necessari, il che giustifica la domanda di esecuzione in forma specifica, per ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non stipulato. L'appellante, peraltro, precisa che con la sentenza ex art. 2932 il giudice dovrebbe, per un verso, accertare l'esistenza del contratto e, per altro verso, successivamente, dichiararlo risolto per inadempimento imputabile al Consorzio, condannando quest'ultimo al risarcimento dei danni da inadempimento subiti dalla società appellante. In alternativa, il giudice potrebbe limitarsi a disporre direttamente il risarcimento per equivalente, per l'impossibilità della realizzazione dell'opera per fatto e colpa del Consorzio. 5.4. In via ulteriormente subordinata, l'appellante ritiene che il primo giudice abbia errato nel rigettare la domanda per l'accertamento della responsabilità precontrattuale del Consorzio, ai sensi dell'art. 1337 del codice civile, i cui principi di correttezza e di buona fede sarebbero stati palesemente violati dall'amministrazione appaltante. 6. Le diverse questioni sollevate con gli articolati motivi sopra esposti si prestano a una trattazione unitaria, considerato che le conseguenze tratte dall'appellante prendono le mosse dall'unico assunto secondo cui dal bando di gara e dalla lettera di invito, o - anche - dai tre contratti stralcio stipulati, sorgesse il vincolo contrattuale definitivo o quantomeno quel vincolo preliminare idoneo a costituire l'obbligo del Consorzio (coercibile ex art. 2932 c.c.) a concludere il contratto definitivo. 6.1. I motivi sono infondati. 6.2. Quanto alla inesistenza di un rapporto contrattuale discendente direttamente dal bando di gara e dalla lettera di invito all'appalto concorso, è sufficiente richiamare le condivisibili argomentazioni spese dal primo giudice, il quale ha correttamente rilevato come le norme di gara escludevano chiaramente ogni impegno contrattuale dell'amministrazione, se non a seguito della acquisizione dei finanziamenti per l'esecuzione dei lavori dei singoli lotti e della stipula dei relativi contratti di appalto (eventualità che si è puntualmente verificata per i tre stralci affidati al raggruppamento As.). 6.3. Conseguenza che era facilmente evincibile anche dalla piana lettura della deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio, n. 383 del 22 giugno 1989 (che ha approvato la conclusione dei lavori della commissione esaminatrice nominata per la valutazione delle offerte), che ha dichiarato l'associazione temporanea di imprese con mandataria la Di. (divenuta As. S.p.a.) "aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso", precisando che detta aggiudicazione "diventerà definitiva solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto prescelto". 6.4. Oltre alle argomentazioni di cui in sentenza, milita a favore della inesistenza di un vincolo contrattuale anche la previsione contenuta nella lettera di invito (su cui si sofferma insistentemente l'appellante) secondo cui l'impresa risultata aggiudicataria avrebbe dovuto "consentire al Consorzio di utilizzare come cosa propria il progetto per sottoporlo all'Ente finanziatore". Al contrario di quanto sostenuto dall'appellante, appare evidente che una clausola del genere non sarebbe stata necessaria in caso di aggiudicazione definitiva, che implica - nel caso di gara di appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori - l'acquisizione (a titolo di proprietà ) della progettazione, oltre che delle opere realizzate in appalto. Anche nel testo del primo contratto stralcio (testo ripreso anche nei successivi contratti stralcio), stipulato sulla base della delibera del Consorzio n. 4485 del 20 marzo 1992 (ove si precisava che "la realizzazione dei lavori relativi all'intero progetto dovrà essere affidata all'aggiudicataria Associazione Temporanea sopra citata, previa aggiudicazione dei singoli futuri stralci quando verranno ammessi a finanziamento") si ribadisce che l'associazione di imprese è (solo) aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso, essendo l'aggiudicazione definitiva (e quindi il contratto) subordinata "all'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto". 6.5. Si osservi, inoltre, che ogni contratto stralcio stipulato è stato preceduto dalla deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio che, preso atto del finanziamento acquisito, ha disposto l'aggiudicazione definitiva al raggruppamento As.. 6.5. Ne deriva, inoltre, che, per via della suddivisione in stralci successivi, anche gli oneri di progettazione venivano compensati nell'ambito del contratto esecutivo (ciò trova conferma anche nella clausola sopra citata in base alla quale il progetto scaturito dall'appalto concorso non diventa per ciò solo di proprietà del Consorzio ma questo può utilizzarlo - con l'espresso consenso dell'impresa - solo per le domande di finanziamento; pertanto non spetta il compenso per l'attività di progettazione preteso dall'appellante). 6.6. Ne deriva come conseguenza che è infondata la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento imputabile al Consorzio. 7. Anche la domanda di esecuzione in forma specifica è infondata, per le medesime ragioni: ossia per l'assenza di una base giuridica dalla quale desumere un obbligo del Consorzio di addivenire alla stipula del contratto definitivo. Anche il riferimento alla violazione degli obblighi di buona fede nell'esecuzione del contratto appare genericamente dedotto, emergendo dalla documentazione in atti l'attività svolta dal Consorzio per reperire i vari finanziamenti regionali necessari. 8. In tale contesto, va esclusa anche la responsabilità del Consorzio a titolo precontrattuale, non riscontrandosi un affidamento incolpevole tutelabile in capo all'appellante, anche in considerazione della elevata qualificazione professionale delle imprese coinvolte, come già rilevato dal primo giudice. 9. In conclusione, l'appello va integralmente respinto. 10. La disciplina delle spese giudiziali segue la regola della soccombenza, nei termini di cui al dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna l'appellante al pagamento delle spese giudiziali del presente grado in favore del Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo, ha pronunciato, dopo discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile n. 7918/2023 R.G. promossa da F_M. ((...)) ((...)); - ATTORE contro GS (..) (..); - CONVENUTA Oggetto: obbligazioni. CONCLUSIONI Per l'attore opponente: "NEL MERITO: - REVOCARE il decreto opposto perché infondato in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; - DICHIARARE la non esigibilità del credito ex adverso azionato con il monitorio opposto, in quanto, per i motivi esposti in narrativa, inesistente e pertanto non dovuto; - CONDANNARE la convenuta - opposta al risarcimento del danno ex Art. 96 C.P.C. per il tenuto contegno profondamente lesivo dei principi di buona fede contrattuale che devono animare le parti nonché per l'evidente abuso in mala fede e con colpa grave dello strumento processuale; - Con vittoria di spese e compensi di lite dei quali i difensori si dichiarano distrattari. IN VIA ISTRUTTORIA: Previa remissione della causa in istruttoria, chiede ammettersi prova per testi sui capitoli tutti, nessuno escluso, di cui alla narrativa dell'atto di citazione in opposizione da ritenersi qui integralmente riportati in forma positiva - espunti giudizi e valutazioni -preceduti dalla locuzione "vero che". Chiede, inoltre, chiedersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova: 1) "vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"; 2) "vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."; 3) "vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n.5 di parte opponente"; 4) "vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro". Si indicano come testi i signori: - B. F., Bologna; - D. Gherardi, Bologna; - F. M., Bologna" Per la convenuta opposta: "Il patrocinio dell'opposta G., facendo seguito alle deduzioni già all'udienza del l'08.5.24 precisa le conclusioni come in memoria di replica istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. ed in comparsa di costituzione, segnalando che è emersa in sede istruttoria la percezione da parte G. di Euro 3.925,70 - a seguito della vendita forzata dell'abitazione familiare di proprietà di controparte F. nella procedura r.g.e. Trib. Bo. 754/17- che va decurtata dalla sorte indicata nelle conclusioni della comparsa di costituzione di parte G., sorte pretesa che, pertanto, da Euro 40.000 originari è ora pari ad Euro 36.074,30. Peraltro, si segnala che alcuna attività di esecuzione si è compiuta in ragione del decreto ingiuntivo opposto che è immediatamente esecutivo. Inoltre, si evidenzia che proceduralmente ed ai fini dell'accoglimento delle domande di parte opposta Sig.ra G., si ritiene - e si conclude - che il decreto opposto da controparte vada revocato da sentenza che accolga le richieste di parte opposta Sig.ra G. recante solo l'importo di Euro 36.074,30 - invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Si richiamano la conclusioni di cui alla comparsa di risposta: "Per l'ingiungente G. (oggi convenuta) si rassegnano, pertanto, le seguenti conclusioni: - rigettare ogni avversa difesa ed istanza, anche con conferma dell'ingiunzione opposta da controparte, subordinatamente con condanna dell'opponente F. (attore nella presente fase di causa) di corrispondere a parte opposta G. (ingiungente nella monizione per cui è il presente giudizio) Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria); - in ogni caso: con ogni più ampia riserva, vinte le spese di lite e con richiesta di liquidazione dell'attività per gratuito patrocinio nella misura ritenuta di legge dal Giudice in favore dell'Avv. P. M. patrocinatore di parte G., nonché con condanna di controparte per responsabilità aggravata, anche per le affermazioni palesemente contraddittorie e la rilettura degli atti non conforme al contenuto degli stessi con rimessione a giustizia circa la relativa misura". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamati atti e documenti di causa, noti alle parti; rilevato che l'attore non ha fornito prova scritta a sostegno dell'opposizione; esaminate le conclusioni finali in epigrafe trascritte; si osserva quanto segue. 2. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 esecutivo ex art. 642 c.p.c. (emesso, su ricorso depositato il 1 dicembre 2022 che non risulta preceduto la richiesta stragiudiziale, per la somma capitale di euro 40.000,00 oltre accessori) proposta da M. F. con citazione notificata via PEC il 30 maggio 2023 all'ex coniuge S. G. (costituitasi il 27 luglio 2023), va respinta per infondatezza dei motivi dedotti dall'opponente, benché il decreto opposto vada revocato come richiesto, da ultimo, dalla stessa convenuta, avendo essa dato atto, esaurita l'istruttoria, che il debito era inferiore a quello oggetto di ricorso (si richiamano in proposito le conclusioni finali della convenuta). 2.1. La domanda monitoria proposta dall'odierna convenuta si fonda sulla scrittura privata 8 giugno 2020, recante riconoscimento di debito da parte dell'odierno attore e nella quale si legge: "(...) PREMESSO IN FATTO - che nell'ambito della separazione consensuale omologata il 7 luglio 2017 tra i coniugi F. e G. gli stessi pattuivano che: - la figlia della coppia, B., sarebbe stata collocata presso la madre nella casa familiare di X, Via ...4; - il sig. F. avrebbe versato un mantenimento per la figlia di Euro 300 mensili; - Nell'ipotesi di trasferimento a Bologna di moglie e figlia il F., alla data del trasferimento dalla casa coniugale si obbliga a trasferire l'usufrutto a S. G. per una durata non inferiore a 5 anni (clausola 11a verb. Sep), con diritto della Signora G. di locare l'appartamento a terzi (clausola 11c verb. Sep) e, a decorrere dal percepimento dei canoni di locazione il F. avrebbe cessato di corrisponderle l'importo di Euro 300,00 mensili, o a versare la differenza tra il canone percepito e l'importo di Euro 300,00 qualora l'importo del canone percepito fosse stato inferiore (clausola 11c verb. Sep); - in esecuzione dei predetti accordi raggiunti in sede di separazione, F. cedeva gratuitamente e trasferiva a S. G. l'usufrutto vitalizio sulla casa familiare per la durata di anni 8 in data 8 agosto 2017; - successivamente il sig. F. subiva il pignoramento immobiliare n. 754/2017 promosso da Intesa San Paolo Group per mancato pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare. Nell'ambito della procedura l'immobile è stato venduto mediante asta giudiziaria ed attualmente è fissata udienza, al 26.6.20, per la precisazione del credito e distribuzione delle somme; - a partire dal 2018 il sig. F., assieme alla figlia B. , si trasferiva nella casa locata dalla nonna paterna, in Via ... , provvedendo dunque lo stesso al mantenimento diretto della figlia, presso di lui collocata; - la signora G., nel mese di novembre/dicembre 2019 sporgeva denuncia ai danni del sig. F. per mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della figlia B. e notificava al sig. F. atto di precetto per il pagamento, a titolo di mantenimento, della somma di Euro 10.709,38 che non veniva opposto; - successivamente la signora G. interveniva nel pignoramento immobiliare per la predetta somma privilegiata, oltre che alla somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto. Tutto ciò premesso - il signor F. si impegna a non opporsi alla precisazione del credito della moglie; - il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200; - il sig. F. si impegna a versare alla moglie, entro il giorno 5 di ogni mese sul di lei conto corrente, a partire dal corrente mese di giugno - qualora egli non l'abbia già fatto - la somma di Euro 300 mensili a titolo di mantenimento in favore della stessa sino a che la moglie non avrà reperito una attività lavorativa che le consenta l'autosufficienza; - la signora G. si impegna a ritirare immediatamente la querela presentata ai danni del sig. F., rinunciando sin da ora a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale nei confronti del marito per le circostanze denunciate". 2.2. Come pacifico in atti e riscontrato dai documenti acquisiti: a) in attuazione dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale (verbale 7 giugno 2017) omologata con decreto 7 luglio 2017, con atto redatto dal notaio P. M. data 3 agosto 2017 denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" l'attore aveva costituito in favore della convenuta "a titolo gratuito" l'usufrutto per la durata di (almeno) otto anni sull'immobile in X già adibito a casa familiare ("(...) F. M., in esecuzione dei predetti accordi in sede di separazione, cede e trasferisce a titolo gratuito a G. S. che accetta ed acquista l'usufrutto per la durata di anni 8 (otto) da oggi o se successivo a detto termine fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della figlia minore F. B., della porzione di villetta trifamiliare (...)"): l'immobile era gravato da ipoteca iscritta il 17 novembre 2003 a garanzia di mutuo concesso all'attore da un istituto bancario di originari euro 120.000 (come si legge nell'atto notarile 3 agosto 2017, "F. M. dichiara che sull'immobile in oggetto grava l'ipoteca (...) che la parte acquirente dichiara di tollerare, ben sapendo che, ai sensi e alle condizioni di cui agli artt. 2858 c.c. e seguenti, in caso di mancato pagamento del debito garantito la Banca può promuovere esecuzione forzata sul bene acquistato col presente atto"); b) nel novembre 2017 su iniziativa del creditore ipotecario l'immobile in X già adibito a casa familiare, e sul quale era stato costituito l'usufrutto in favore di S. G., è stato colpito da pignoramento (doc. 9 di parte convenuta): come riportato anche nella scrittura privata 8 giugno 2020, nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. contro M. F. è intervenuta anche l'odierna convenuta sia quale creditrice di somme a titolo di concorso nel mantenimento della figlia (per tale credito al debitore era stato notificato precetto non opposto) sia quale titolare di diritto di usufrutto sull'immobile pignorato (art. 2812 c.c.; v. anche la proposta di piano di riparto 15 giugno 2020 elaborata dall'esperto contabile ausiliario del giudice dell'esecuzione, doc. 6 di parte attrice); c) la prima udienza per l'autorizzazione alla vendita nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. si è tenuta l'11 marzo 2019; la scrittura privata 8 giugno 2020 è stata sottoscritta dalle parti dopo la vendita forzata dell'immobile pignorato (il decreto di trasferimento era stato il 12 marzo 2020) e prima dell'udienza 26 giugno 2020 fissata per la precisazione dei crediti e la distribuzione del ricavato; con ordinanza 2 luglio 2020 il giudice dell'esecuzione ha dichiarato esaurita l'esecuzione immobiliare e ha ordina il pagamento delle somme come da progetto di distribuzione 15 giugno 2020, progetto che, per quanto qui rileva, prevedeva, una volta soddisfatti i crediti in prededuzione ed il credito assistito da ipoteca, l'attribuzione a S. G. della residua somma di euro 3.925,70 a parziale compensazione della perdita dell'usufrutto il cui valore era stato quantificato nel progetto di distribuzione in euro 72.000,00. Dalla lettura degli atti qui richiamati appare evidente che l'obbligazione assunta dall'attore verso la convenuta con la scrittura privata 8 giugno 2020 era volta a compensare la perdita economica subita da S. F. a seguito dell'estinzione dell'usufrutto costituito in suo favore solo pochi mesi prima del pignoramento (art. 2812, comma 2, c.c.). L'accordo documentato dalla scrittura privata ha natura transattiva in quanto, come si legge nelle premesse del testo, la convenuta era già intervenuta nell'esecuzione immobiliare affermandosi creditrice della "somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto". Più che eloquente il passaggio in cui si afferma che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200", mentre l'inadempimento dell'attore ha determinato la decadenza dal beneficio del termine (in tal senso v. il ricorso per decreto ingiuntivo). 3. A sostegno dell'opposizione l'attore deduce la simulazione assoluta dell'accordo di cui alla scrittura privata 8 giugno 2020 perché "attesta un debito totalmente inesistente"; solleva eccezione di inadempimento adombrando una risoluzione per inadempimento della conventa: deduce la nullità dell'accordo sotto vari profili (illiceità della causa; frode alla legge; illiceità del motivo). 4. Così come proposta dall'attore, la prova per testi non può essere accolta, considerati le questioni controverse ed il fondamento della domanda monitoria: il capitolo 1 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"); il capitolo 2 è generico e inammissibile nella parte in cui contrasta col tenore dell'accordo 8 giugno 2020 ("vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."); il cap. 3 è irrilevante e inammissibile nella parte in cui si pone in collegamento col capitolo precedente ("vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n. 5 di parte opponente"); il cap. 4 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro"). 5. Non vi è alcuna prova (l'attore non l'ha fornita, art. 1417 c.c.) dell'accordo simulatorio sottostante alla scrittura privata 8 giugno 2020 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e che, invero, richiama, ponendosi con essi in relazione, i patti conclusi in sede di separazione consensuale, l'atto attuativo 3 agosto 2017, le vicende relative all'esecuzione forzata sull'immobile già adibito a casa familiare. L'eccezione di simulazione assoluta è infondata. Da un lato, manca la prova dell'accordo simulatorio; dall'altro, sono pacifici i fatti posti a fondamento del credito della convenuta (in sintesi, l'estinzione del diritto di usufrutto per effetto dell'espropriazione immobiliare subita dall'attore, art. 2812 c.c.) il cui ammontare è stato definito dalla parti in via transattiva nella misura di euro 40.000,00. 6. L'opponente non ha provato fatti idonei a giustificare la risoluzione dell'accordo consacrato nella scrittura privata 8 giugno 2020: da un lato, non vi è alcun immediato nesso di corrispettività tra l'obbligazione assunta da M. F., previo riconoscimento del proprio debito nella misura di euro 40.000,00 "a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa (G., n.d.r.) patito", e l'impegno di S. G. a ritirare la querela presentata (pare a fine 2019) nei confronti dell'allora marito, essendo oltretutto pacifico che l'inadempimento di M. F. rispetto alle obbligazioni verso l'istituto bancario e la espropriazione immobiliare n. 754/17 R.G.E. hanno determinato l'estinzione del diritto di usufrutto, inopponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. I, 27 marzo 1993, n. n. 3722), che era stato costituito in favore di S. G. per la durata di otto anni con l'atto pubblico 3 agosto 2017 a ministero notaio P. M. denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" (in altri termini, in sede di separazione consensuale, come da verbale 7 giugno 2017 omologato il 7 luglio 2017, M. F. aveva assunto una obbligazione attuata con l'atto pubblico 3 agosto 2017 ma di fatto il suo inadempimento verso l'istituto di credito, poi pignorante in forza di credito garantito da ipoteca iscritta nel 2003, ha precluso all'avente diritto S. G. la possibilità di godere dell'immobile in X già casa familiare); dall'altro, è pacifico che S. G., in conformità all'impegno assunto con la scrittura 8 giugno 2020, non si è costituita parte civile nel processo penale contro M. F., processo (n. 5530/20 R.G.N.R. - n. 1662/22 R.G. dibattimento) definito con sentenza di assoluzione sul presupposto che l'inadempimento di obbligazioni civili non integra di per sé gli estremi del reato di cui all'art. 570-bis c.p. (già art. 12-sex/'es, l. n. 898/1970) in relazione all'art. 570 c.p. (la sentenza Trib. Bologna, 27 febbraio - 28 marzo 2023 n. 965 è irrilevante in questa sede, tanto più che l'oggetto della presente causa non riguarda l'omesso versamento dell'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il mantenimento della figlia come da accordi di separazione), mentre non vi è ragione di contestare all'odierna convenuta l'omessa rimessione di querela (le premesse della scrittura privata 8 giugno 2020 fanno riferimento ad una denuncia, la sentenza penale n. 965/2023 parla sia di querela presentata l'8 gennaio 2020 che di denuncia querela) perché condotta del tutto ininfluente rispetto all'esercizio dell'azione penale quando, come nel caso di specie, si verta in ipotesi di reato procedibile d'ufficio (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio - 24 febbraio 2020, n. 7277). 7. La questione relativa al contributo al mantenimento della figlia (nata il 7 maggio 2000, dunque ormai maggiorenne al tempo della scrittura 8 giugno 2020) non ha alcuna attinenza con l'obbligazione dedotta in giudizio, sorretta da una causa del tutto autonoma e meritevole di tutela, inerente al mancato godimento da parte della convenuta del diritto che l'attore le aveva riconosciuto in sede di separazione consensuale e volta appunto alla compensazione di quel mancato godimento mediante il pagamento di una somma di denaro (concordato nella misura di euro 40.000,00) di cui M. F. si è dichiarato debitore (v. supra; v. anche il verbale dell'udienza 2 marzo 2023 nel giudizio divorzile 14033/2022 R.G.). 8. Non vi è alcuna nullità dell'accordo sottostante l'impegno assunto da M. F. con la predetta scrittura 8 giugno 2020, accordo che trae origine dall'avventa estinzione del diritto di usufrutto alla costituzione del quale l'attore si era impegnato già in sede di separazione consensuale. 9. In conclusione, l'opposizione, così come proposta dall'attore, è infondata. 10. In comparsa di costituzione la convenuta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o in subordine la condanna dell'attore al pagamento della somma di "Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria)". Nelle conclusioni finali la convenuta ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'attore al pagamento di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione. Nell'esecuzione immobiliare n. 754/17 R.G.E., a seguito della vendita forzata (il decreto di trasferimento è stato emesso il 12 marzo 2020) e dell'approvazione del piano di riparto con ordinanza 7 luglio 2020 del giudice dell'esecuzione, la convenuta aveva ricevuto una somma di denaro (euro 3.925,70) a parziale soddisfacimento del credito da essa vantato in relazione all'estinzione del diritto di usufrutto. Come si legge nelle conclusioni finali, la convenuta chiede la revoca del decreto ingiuntivo con sentenza che condanni l'attore a pagare "solo l'importo di Euro 36.074,30 -invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Ne conseguono, da un lato, la revoca del decreto ingiuntivo limitatamente ai capi relativi all'ingiunzione di pagare "la somma di Euro 40.000,00" (capo 1) e "gli interessi come da domanda" (capo 2) (nel ricorso era chiesto il pagamento della "somma complessiva di Euro 40.000 oltre agli interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione sino al saldo effettivo"), e non anche la condanna alle spese pronunciata in favore dell'erario (la ricorrente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato), capo rispetto al quale l'odierna convenuta non ha potere dispositivo; dall'altro, attese le conclusioni finali (che quanto agli accessori richiamano le conclusioni di cui alla comparsa di risposta), la condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo. 11. Non vi sono i presupposti per la condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c., come invece richiesto dalla convenuta in comparsa di risposta. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell'erario (artt. 133, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115: "Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"), in quanto la convenuta è ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v., fra le altre, Cass., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 777). P.Q.M. Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta: - rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 proposta da F. M. contro G. S.; - revoca il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858; - condanna F. M. a pagare a G. S. la somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo; - rigetta la domanda di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta da G. S. contro F. M.; - liquida le spese processuali a carico di F. M. in euro 3.809,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, oltra CPA e IVA come per legge. Bologna, 15 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1554 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Impresa Individuale "Ma. An.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Br., Al. La Gl., Va. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Bo. in Napoli, via (...); contro Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Be. Dell'I. (avvocatura regionale), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Vi. D'A. ed altri, Azienda Agricola De Ma. S.r.l. - Società Agricola ed altre, non costituiti in giudizio; La Fo. Società Agricola S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ma., Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento A)per quanto riguarda il ricorso introduttivo: a) del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 21 del 27.1.2021, pubblicato sul B.U.R.C. n. 11 dell'1.2.2021, con il quale è stata approvata la Graduatoria Unica Regionale Definitiva del "Programma di Sviluppo Rurale Campania 2014-2020. Misure non connesse alla superficie e/o animali. Misura 5 - Tipologia di intervento 5.1.1. Azione A "Riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata graduata al 14° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili ma non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando", con il punteggio complessivo di 54 punti; b) del verbale dell'U.O.D. Servizio Territoriale Provinciale di Avellino della Giunta Regionale della Campania del 21.11.2019, a firma del Tecnico Istruttore che ha esaminato la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, contenente la "proposta" di attribuzione del punteggio, rilasciato in sede di accesso agli atti, nonché, ove e per quanto occorra, anche della nota di trasmissione dello stesso Ufficio prot. n. 0185673 del 7.4.2020; c) dell'atto dell'Autorità di Gestione - Regione Campania (prot.AGEA.ASR.2019.1760177 del 25.11.2019), contenente la "check list istruttoria della domanda di sostegno" presentata dalla ricorrente, rilasciato in sede di accesso agli atti; d) di ogni altro provvedimento e/o verbale assunto dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali si sarebbe provveduto all'attribuzione del punteggio alla domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, nonché di tutta l'eventuale e ulteriore documentazione che fosse stata posta a fondamento della decisione di non assegnarle l'ulteriore punteggio di 15 punti per il sub-criterio di selezione di cui all'articolo 11 del bando di attuazione (ad oggetto la "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale (la SAU è rilevata dal fascicolo aziendale)", atti non conosciuti, con espressa riserva di motivi aggiunti; e) di ogni altro provvedimento regionale che sia, eventualmente, intervenuto dopo la pubblicazione del bando di attuazione del 2019 e che abbia fissato una nuova, diversa e più stringente modalità di attribuzione del punteggio per il sub-criterio di selezione in oggetto, atto non conosciuto, con espressa riserva di motivi aggiunti; f) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, atto non conosciuto, con espressa riserva di motivi aggiunti; g) ove e per quanto occorra, della nota dell'U.O.D. Servizio Territoriale Provinciale di Avellino della Giunta Regionale della Campania prot. n. 0157567 dell'11.3.2020, di parziale riscontro all'istanza di accesso agli atti presentata dalla ricorrente; h) ove e per quanto occorra, del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 11 del 31.1.2020, con il quale è stata approvata la Graduatoria Provinciale Provvisoria delle domande di sostegno per la Provincia di Avellino; i) ove e per quanto occorra, del bando di attuazione della tipologia di intervento 5.1.1. - Azione A e dei relativi allegati, approvato con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 29 del 4.3.2019, poi rettificato e integrato con successivo decreto dirigenziale n. 35 del 6.3.2019, nella parte in cui, all'articolo 11, dovesse eventualmente essere letto e/o interpretato nel senso che il punteggio di 15 punti, ivi previsto per il sub-criterio di selezione (ad oggetto la "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale (la SAU è rilevata dal fascicolo aziendale)" avrebbe potuto essere attribuito soltanto alle domande di sostegno che avessero proposto opere e/o interventi specificamente finalizzati alla "riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie"; j) di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e conseguenziali; nonché per l'accertamento del diritto della ricorrente a vedere la sua domanda di sostegno classificata al 6° posto complessivo della graduatoria regionale e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e finanziabili", con il punteggio complessivo corretto di 69 punti; B) Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/7/2021: 1) del decreto dirigenziale n. 170 del 17.5.2021, assunto dalla Direzione Generale per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali della Giunta Regionale della Campania - Settore Territoriale Provinciale di Avellino, pubblicato sul B.U.R.C. n. 51 del 24.5.2021, con il quale sono stati rettificati gli elenchi già allegati al precedente D.D. n. 21 del 27.1.2021 e, segnatamente, l'elenco regionale definitivo delle "domande ammissibili e finanziabili" (allegato 1), l'elenco regionale definitivo delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), l'elenco regionale definitivo delle "domande non ammissibili a valutazione" (allegato 3) e l'elenco regionale definitivo delle "domande non ammissibili per mancato raggiungimento punteggio minimo" (allegato 4), nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata, ora, graduata all'11° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), sempre con il punteggio di 54 punti; 2) dell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata classificata al 3° posto con il punteggio complessivo di 74 punti; 3) dei provvedimenti e dei verbali assunti dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali, anche in sede di riesame, la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata valutata ammissibile e finanziabile, invece che essere esclusa ovvero giudicata non ammissibile a valutazione; 4) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dall'azienda "La Ru. - Società agricola semplice"; 5) dell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata classificata al 5° posto con il punteggio complessivo di 68 punti; 6) dei provvedimenti e dei verbali assunti dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali, anche in sede di riesame, la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata valutata ammissibile e finanziabile, invece che essere esclusa ovvero non ammissibile a valutazione; 7) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dall'azienda "Fu. Ma."; 8) ove e per quanto occorra, delle note dirigenziali prot. n. 2021.0157706 del 23.3.2021 e prot. n. 2021.018806 del 2.4.2021, con le quali è stata disposta e comunicata l'attività di verifica della regolarità di attribuzione del punteggio delle domande di sostegno, richiamate nell'anzidetto decreto dirigenziale regionale n. 170/2021; 9) ove e per quanto occorra, della proposta di rettifica della Graduatoria Unica Regionale Definitiva (già approvata con D.D. n. 21 del 27.1.2021) di cui alla nota dirigenziale prot. n. 2021.0256803 del 12.5.2021. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Vista l'ordinanza cautelare n. 830 del 29.4.2021; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e de La Fo. Società Agricola S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con ricorso notificato il 30.3.2021 l'impresa "Ma. An." (in seguito: l'Impresa An.) ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, contestando l'attribuzione di un punteggio errato e non utile per l'ammissione nella graduatoria dei progetti finanziabili in relazione alla tipologia di bando regionale al quale ha partecipato. Espone di aver presentato la domanda di sostegno per la misura/tipologia di intervento 5.1.1. del P.S.R. Campania 2014-2020 (che ha acquisito il numero 94250097212 e il protocollo AGEA.ASR.2019.0395283 del 6.5.2019), con la quale ha chiesto un contributo complessivamente pari ad Euro 214.561,48. Il riferimento è al bando Azione A (e relativi allegati) avente ad oggetto "riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", poi rettificato e integrato con successivo decreto dirigenziale n. 35 del 6.3.2019. L'art. 5 del bando prevede che la tipologia di intervento sostiene la realizzazione di investimenti aziendali destinati alla: - riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie attraverso il finanziamento di interventi aziendali tesi a dotare le aziende di impianti di rete antigrandine; - prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo attraverso il finanziamento di opere di ingegneria naturalistica (quali ad esempio: viminate, fascinate, palizzate, ecc.) e/o canali di scolo, tese alla prevenzione del rischio di erosione e dissesti localizzati, che potrebbero verificarsi a seguito di avversità atmosferiche". La domanda della ricorrente è stata valutata come ammissibile e inserita nella graduatoria provinciale provvisoria per la Provincia di Avellino approvata con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 11 del 31.1.2020, con punteggio di 54 punti e non già dei 69 punti ipotizzati, in quanto non sono stati attribuiti i 15 punti relativo all'obiettivo B "prevenzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie" IC21955, in quanto la regione ha ritenuto che nel progetto di investimento non è previsto nessun intervento che giustifica l'attribuzione di tale punteggio. Pertanto, tale domanda non è rientrata nell'ambito delle domande finanziabili, ma è stata, invece, classificata al 14° posto complessivo della graduatoria regionale definitiva e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili ma non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando"), laddove con il punteggio che ritiene di meritare si sarebbe classificata al sesto posto complessivo della graduatoria regionale definitiva (con 69 punti) e, quindi, la sua domanda sarebbe ampiamente rientrata tra quelle "ammissibili e finanziabili" (che, invero, sono in tutto pari a 10). 2. L'Impresa An. ha quindi impugnato i provvedimenti per i seguenti motivi. Con un primo ordine di censure, ritiene illegittima la mancata attribuzione dei 15 punti previsti per il criterio A2) di cui all'art. 11 del bando, in quanto, nell'ambito del più ampio criterio o principio di selezione del "maggior rischio", dovevano essere assegnati, in misura fissa e automatica, 15 punti per il sub-criterio in oggetto che era riferito al parametro generale della "superficie aziendale a rischio rispetto alla Sau aziendale (la Sau è rilevata dal fascicolo aziendale)" e corrispondeva all'ipotesi specifica della "SAU rischio/SAU aziendale totale > 30%". Il bando prevedeva che "per SAU aziendale a rischio si intende la somma delle SAU a vite, fruttiferi, floricole e ortive in campo pieno presenti in azienda", consentendo, in tal modo, di computare tutte le superfici colturali delle aziende agricole che avrebbero presentato la domanda di sostegno, e la ricorrente, avendo dimostrato che la superficie aziendale soggetta a rischio (e, cioè alle "avversità atmosferiche sulle colture", così come si legge all'art. 2, comma 1, del bando di attuazione) era superiore al 30% della superficie aziendale totale, avrebbe dovuto beneficiare in automatico del punteggio. Nel caso di specie, la superficie in questione era superiore al 65%, ma il punteggio non sarebbe stato attribuito dalla Regione in quanto l'azienda non avrebbe posto in essere alcun intervento per la riduzione dei danni da grandine, e ciò in quanto tale obbligo non era imposto dal bando (non vi era alcun obbligo per la ricorrente di presentare un progetto che, oltre alle opere di ingegneria naturalistica effettivamente proposte per la mitigazione del rischio idrogeologico e dell'erosione del suolo, comprendesse anche reti o impianti antigrandine). La ricorrente prospetta che il criterio del maggior rischio fosse ricollegabile soltanto alle caratteristiche intrinseche dei terreni e delle superfici aziendali dell'impresa agricola proponente a seconda di un minore o maggiore grado di rischio, sia ai fini del dissesto idrogeologico (sub-criterio A1), prendendosi in considerazione il parametro della "ubicazione della maggior parte della superficie aziendale oggetto di intervento" all'interno delle aree a rischio o pericolosità come classificate nei Piani per l'Assetto Idrogeologico (cd. PSAI), sia ai fini della prevenzione dei danni alle produzioni agricole (sub-criterio A2), prendendosi in considerazione, in tal caso, il parametro della "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale", come rilevata dal fascicolo aziendale dell'impresa. 3. Si è costituita la Regione Campania, insistendo per il rigetto del ricorso alla luce della corretta interpretazione da dare al bando. 4. Si è costituita La Fo. Società Agricola srl, in qualità di controinteressata, chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con ordinanza 830 del 2021 (non gravata in appello) questa Sezione ha respinto l'istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati. 6. Con motivi aggiunti notificati il 16.7.2021, Impresa An. ha impugnato il decreto dirigenziale n. 170 del 17.5.2021, con il quale sono stati rettificati in autotutela gli elenchi già allegati al precedente D.D. n. 21 del 27.1.2021 nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata, ora, graduata all'11° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), sempre con il punteggio di 54 punti. Oltre a proporre censure di illegittimità derivata, ha altresì impugnato tale elenco nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata classificata al 3° posto con il punteggio complessivo di 74 punti, invece che essere esclusa ovvero giudicata non ammissibile a valutazione e nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata classificata al 5° posto con il punteggio complessivo di 68 punti, invece che essere esclusa ovvero non ammissibile a valutazione. Infatti, a seguito di una complessiva rivalutazione delle richieste di riesame, la graduatoria è stata riformulata, e sono state ammesse anche aziende in un primo tempo escluse, mentre altre lo sono state definitivamente. Impresa An. ha mantenuto il punteggio di 54 collocandosi all'11 posto della graduatoria, che ha sancito la finanziabilità delle prime otto imprese classificate. Per tale motivo, essa ha chiesto l'annullamento della graduatoria con riguardo a due domande di due imprese che la precedono, per essere prive dei requisiti di partecipazione, e precisamente: a)la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice", per la quale la Regione Campania aveva inizialmente rilevato eccepito la mancanza del parere della competente Autorità di Bacino e, quindi, la non ammissibilità dell'istanza, che sarebbe stata riammessa illegittimamente in quanto il permesso di costruire - rilasciato dal Comune di (omissis) (BN) sul progetto esecutivo oggetto dell'istanza non è stato preceduto dall'acquisizione del preventivo parere dell'Autorità di Bacino dei Fiumi Liri Garigliano e Vo.; b)la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma.", per la quale la Regione Campania aveva eccepito una serie di gravi criticità e anomalie e, quindi, la non ammissibilità dell'istanza, che avrebbe dovuto rimanere esclusa dalla graduatoria e non poteva esservi riammessa, perché mancante del necessario parere dell'Ente Parco Regionale del (omissis), che non risulta acquisito; inoltre il progetto, alla data di presentazione della domanda di sostegno (3.5.2019) non era munito di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e nullaosta previsti dalla normativa vigente, in quanto la C.I.L.A. per gli interventi previsti è stata riconosciuta conforme dal Comune di (omissis) (BN) soltanto in data 7.8.2020 e, in ogni caso, in relazione a tale titolo edilizio, era stato tardivamente acquisito sia il parere della Soprintendenza che risulta, invero, datato 24.9.2019, sia l'autorizzazione paesaggistica comunale n. 01/2019 che risulta datata 3.10.2019 e, cioè, ben oltre la data di presentazione della domanda di sostegno e, quindi, ampiamente fuori termine, Poiché la dotazione finanziaria del bando di attuazione è pari all'importo complessivo di Euro 1.250.492,79 (art. 4 del bando: doc. n. 8 della produzione del 14.4.2021) e poiché, per effetto della esclusione delle due aziende "La Ru. - Società agricola semplice" e "Fu. Ma.", il nuovo importo complessivo ammesso a contributo, sempre per le prime otto domande di sostegno, sarebbe, invece, pari ad Euro 1.080.949,22, vi sarebbe ampiamente la capienza anche per finanziare l'intera domanda di sostegno della ricorrente, in quanto Euro 1.080.949,22 (che è la somma totale delle prime otto domande) + Euro 160.000,00 (che è l'importo della domanda dell'impresa "An. Ma.") arriverebbe a un totale di euro 1.240.949,22. 7. In vista del merito, la Regione, che aveva depositato una memoria in risposta ai motivi aggiunti di parte ricorrente, ha depositato un ulteriore atto difensivo. Anche il ricorrente ha depositato memoria di replica. 8. All'udienza del 7 maggio 2024, la causa è passata in decisione. 9. Il ricorso principale va respinto. Già con ordinanza cautelare n. 830/2021 questa Sezione aveva chiarito che la specifica ragione di non attribuzione del punteggio aggiuntivo richiesto (15 punti), con la conseguente collocazione tra le domande ammissibili ma non finanziabili, fosse la mancata presentazione di misure specifiche per la "riduzione dei danni da grandine". Tale motivazione del provvedimento regionale va considerata legittima, per effetto del raffronto tra Bando relativo alla Misura de quo (doc. 8 prod. ricorrente) e domanda presentata dalla impresa ricorrente (doc. 10 prod. ricorrente), posto che: a)il Bando della Misura 5, Tipologia di Intervento 5.1.1 azione A "Riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale" (approvato con successivo DRD n. 29 del 04/03/2019) espressamente stabilisce (art. 2 - "Obiettivi e finalità ", pag. 3) che "gli investimenti previsti con l'azione A della presente tipologia d'intervento sono tesi alla: a) riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie attraverso il finanziamento di interventi aziendali tesi a dotare le aziende di impianti di reti antigrandine; b) prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo rilevabili in ambito aziendale attraverso l'attivazione, nelle aree a rischio o pericolo idro-geologico elevato/molto elevato (...) di sistemazioni idraulico - agrarie, attuate con tecniche di ingegneria naturalistica (quali ad esempio: viminate, fascinate, palizzate etc.), tese alla prevenzione del rischio di erosione e dissesti localizzati"; b)il suddetto Bando, all'art. 8, stabilisce che le spese ammissibili al sostegno sono esclusivamente: i) reti antigrandine e relativi impianti; ii) opere di ingegneria naturalistica (quali, ad esempio, viminate, fascinate, palizzate) e/o le opere di canali di scolo; iii) spese generali, nei limiti dell'importo della spesa ammessa (es. onorari per tecnici e consulenti); c)in base all'art. 11 la valutazione dei progetti avviene secondo parametri di valutazione esposti in una griglia ancorata a quattro principi tra i quali il primo, quello del maggior rischio (che vale complessivamente 40 punti) è stato a sua volta suddiviso in due parti (A1 e A2) corrispondenti a due obiettivi (A1 -obiettivo a) prevenzione del dissesto idrogeologico; A2 obiettivo b) prevenzione dei danni sulle produzioni agrarie) che non sono in alcun modo alternativi tra loro, sicchè i richiedenti ben potevano presentare progetti di investimento che riguardassero ambedue le tipologie di "prevenzione"; d)nella domanda di partecipazione della impresa ricorrente, il "Quadro E - Piano degli interventi" (pag. 4) prevede una Sezione I dedicata ai " Dati dell'intervento", che corrisponde alla Azione per la quale è stata presentata la domanda ("Azione A: riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", corrispondente a una spesa complessiva con IVA di euro 261.765,00 e a un contributo totale richiesto di euro 171.649,19) e successivamente una Sezione II dedicata ai " Dati del sottointervento" che, per come è stata compilata dall'impresa ricorrente, ne comprende solamente due: un primo (pag. 4), con codice 0002, "prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo", per una spesa con IVA pari a euro 237.968,22, e un contributo pari a 156.044,74; un secondo (pag. 5) con Codice 0003 - "spese generali", per una spesa con IVA pari a euro 23.796,78 e contributo richiesto pari a euro 15.604,45; e) nel Quadro F (Riepi Voci di Spesa Richieste) (pag. 7) il primo Sottointervento viene descritto come " costruzione, acquisizione, incluso il leasing, o miglioramento di beni immobili"; 9.1. Il Collegio ritiene che da quanto sopra illustrato emerga con assoluta chiarezza che gli obiettivi A1) e A2) relativi al primo criterio di selezione, sono stati sviluppati dalla Impresa attraverso misure di investimento relative al solo criterio A1 (prevenzione dissesto) ma non al criterio A2 (prevenzione danni), corrispondenti a loro volta rispettivamente il primo alle misure di tipo b) dell'art. 2 del bando stesso (sistemazioni idraulico - agrarie, attuate con tecniche di ingegneria naturalistica), il secondo alle misure di tipo a) dell'art. 2 (reti antigrandine), anche se, nella redazione della griglia, tali misure-obiettivo risultano invertite, presumibilmente per una svista dei redattori alla quale non può essere attribuita alcuna rilevanza, stante il tenore letterale inequivocabile dell'art. 2 del bando in relazione agli artt. 8 e 11. Pertanto, da un lato appare corretta la mancata attribuzione del punteggio massimo, pari a punti 15, di cui al criterio di selezione "Maggior rischio" A2), art. 11 del bando, rubricato "obiettivo b) prevenzione dei danni sulle produzioni agrarie", mancando la richiesta di un sottointervento avente ad oggetto specificamente le " reti antigrandine"; dall'altro, non è condivisibile la tesi di parte ricorrente, circa l'attribuzione di 15 punti in virtù del solo rapporto percentuale tra SAUrischio/SAU totale (che invece è un mero criterio di calcolo) - svincolando il sub criterio A2 dagli interventi finalizzati al perseguimento dell'obiettivo B) - "prevenzione dei danni sulle colture agrarie presenti in azienda", anche perché si finirebbe per valutare due volte un medesimo elemento (estensione della SAU a rischio) rispetto allo stesso obiettivo A). 9.2. Anche la circostanza, prospettata dalla ditta, di aver conseguito una valutazione positiva per tutti gli elementi riportati nella check list istruttoria del 25.11.2019, non è rilevante. Infatti, si condivide la tesi fatta propria dalla Regione nella memoria difensiva per cui l'"esito positivo" al requisito "l'intervento di realizzazione di impianti di rete antigrandine ricade nel territorio regionale" è frutto di un errore materiale del tecnico istruttore, al quale non è stato, infatti, attribuito punteggio. Tale requisito era indicato con il codice EC 14372 ("L'intervento di realizzazione di impianti di reti antigrandine ricade nel territorio regionale") e avrebbe dovuto essere valutato come " non pertinente" in quanto il progetto di investimento della ricorrente non contempla alcuna opera tesa alla realizzazione di impianti di rete antigrandine, ma solo opere di ingegneria naturalistica. E infatti, il diverso requisito indicato con il codice EC 14376 - "Gli interventi per la realizzazione delle opere di ingegneria naturalistica e/o canali di scolo ricadono nelle aree a rischio o pericolo idrogeologico individuate dai Piani Stralcio di Assetto Idrogeologico" - è stato correttamente valutato "POSITIVO" in quanto le aree oggetto d'intervento ricadono in aree a rischio o pericolosità elevato molto elevato R4/P4. La circostanza, allora, pure dedotta nel ricorso, circa la valutazione positiva che nella check list è stata data al requisito EC 14372 - è ininfluente rispetto ai punteggi attribuiti alla ricorrente in ragione del tipo di investimento proposto, sulla base della griglia valutativa di cui all'art. 11 del bando di misura. Ciò è confermato dai documenti prodotti in giudizio dalla Regione nel 2024: il Dirigente STP di Avellino, con nota n. 222603 del 26/04/2021 (prod. regione del 29.2.2024), disponeva in autotutela la riapertura dell'istruttoria tesa alla verifica e alla correttezza dei punteggi attribuiti in sede di valutazione della domanda di sostegno, bar code n. 94250097212, presentata dalla ricorrente. A seguito della succitata istruttoria, al requisito indicato con il codice EC 14372 il tecnico istruttore ha inserito l'esito "NON PERTINENTE", generando la check list di istruttoria n. AGEA.ASR.2021.0596201 del 04/05/2021 e confermando il punteggio 54 (cfr. deposito del 29.2.2024). 10. Vanno respinti anche i motivi aggiunti. La ricorrente lamenta l'illegittimità dell'ammissione alla procedura selettiva di due domande di sostegno - presentate dalle aziende "La Ru." e "Fu. Ma.. In particolare, quanto alla domanda presentata dalla ditta "La Ru.", si afferma che la stessa non avrebbe dovuto essere ammessa in ragione dell'assenza del parere preventivo dall'Autorità di Bacino dei Fiumi Li. - Ga. e Vo. rispetto al permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) (BN). 10.1. Tale prospettazione non può essere accolta. Va premesso che la Regione ha più volte evidenziato che la causa oggetto del presente giudizio presenta gli stessi motivi della causa che vede come ricorrente l'impresa individuale "Az. di Ce. Ca." (RG 1555/2021) fissata per la trattazione sempre davanti a questa Sezione e che parte dei documenti sono depositati in quel giudizio, che vede evocati in giudizio gli stessi controinteressati. Dai documenti dell'istruttoria congiunta An. / Ce., emerge che dopo una iniziale reiezione della domanda, la Commissione regionale ha svolto istruttoria per appurare se fosse necessario o meno il "Parere dell'Autorità di Bacino", chiedendo chiarimenti allo stesso Comune di (omissis). L'UTC dell'Ente Locale, con nota del 11.01.21, prot. n. 270 (depositata nel fascicolo RG 1555/2021), ha fornito i chiarimenti richiesti spiegando che le opere assentite (previste nel progetto presentato con la domanda di sostegno) rientrassero nella casistica descritta dall'art. 3, comma 2, lettere F) e G) delle Norme di Attuazione del PsAI-Rf (Piano stralcio per l'assetto idrogeologico) approvato dall'Autorità di Bacino competente (Li. - Ga. e Vo.): il permesso di costruire n. 3624 del 02.05.19 rilasciato alla ditta "La Ru. Società Agricola semplice" era stato rilasciato in deroga al parere preventivo dall'Autorità di Bacino (Li. - Ga. e Vo.), così come previsto dalla citata normativa. A mente di quest'ultima, infatti, "Al fine del raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 è vietata qualunque trasformazione dello stato dei luoghi, sotto l'aspetto morfologico, infrastrutturale ed edilizio tranne che si tratti di: (...) F) interventi atti all'allontanamento delle acque di ruscellamento superficiale e che incrementano le condizioni di stabilità dell'area in frana; G) opere di bonifica e sistemazione dei movimenti franosi.." Pertanto, la Commissione ha accolto l'istanza di riesame presentata dalla ditta "La Ru." e ha ritenuto ammissibile la relativa domanda di contributo, posizionandosi al 3° posto della Graduatoria Unica Regionale Rettificata con DRD n. 170 del 17/05/2021, per una spesa ammessa di Euro.189.183,50 con contributo pari a un importo di Euro 149.850,05 e un punteggio totale di 74 (a fronte di un punteggio calcolato dalla ditta in autovalutazione pari a punti 89). 11. Stesso discorso per la posizione della ditta "Fu. Ma.", la cui domanda, a detta della ricorrente, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 12, numero 9, del bando di selezione per: a)mancanza del necessario parere dell'Ente Parco Regionale del (omissis); b)non essere il progetto munito di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e nullaosta previsti dalla normativa vigente, "in quanto la C.I.L.A. è stata riconosciuta conforme dal Comune di (omissis) (BN) soltanto in data 7.8.2020 e, in ogni caso, in relazione a tale titolo edilizio, sono stati tardivamente acquisito sia il parere della Soprintendenza datato 24.9.2019, sia l'autorizzazione paesaggistica comunale n. 01/2019 datata 3.10.2019 e, cioè, ben oltre la data di presentazione della domanda di sostegno e, quindi, ampiamente fuori termine". 11.1. Si condividono le prospettazioni della difesa regionale (sempre con riferimento ai documenti versati nel fascicolo RG 1555/2021), la quale ha prospettato che all'esito dell'istruttoria avviata per effetto delle controdeduzioni della ditta, veniva appurato che la mancanza del Parere del Parco Regionale Del (omissis) non poteva determinare l'esclusone della ditta stessa in quanto, come risultava dal Fascicolo Aziendale SIAN, sezione "Territorio"- "Particelle ricadenti in zone speciali", l'area oggetto di intervento (riportata in catasto terreni: Comune di (omissis) -Foglio n. (omissis) - P.lle n. (omissis)) non ricadeva nell'Area Parco Regionale del (omissis). Tale circostanza è confermata anche dalla nota prot.n. 1698/2021 dell'Ente Parco del Taburno. Quanto alla assunta violazione del paragrafo 12 del bando da parte della ditta Fu. per avere la stessa ottenuto l'Autorizzazione Cila, il parere della Soprintendenza e l'autorizzazione paesaggistica comunale successivamente alla presentazione della domanda di sostegno, anche in tal caso la riapertura dell'istruttoria - con acquisizione di informazioni dall'UTC del Comune di (omissis) in merito alla conformità della C.I.L.A. n. 1525/2019 e alla preventiva acquisizione del parere dell'Autorità di Bacino - consentiva di appurare che il progetto esecutivo della Ditta era corredato della tempestiva richiesta di Cila, depositata al Comune di (omissis) prima della presentazione della domanda di sostegno (C.I.L.A. Prot. n. 1525 del 03/04/2019, per esecuzione lavori di "Riduzione dei danni del rischio di erosione in ambito aziendale in agro del Comune di (omissis) - in catasto Foglio (omissis) mappale n ° (omissis)"). Pertanto, anche in questo caso, la Commissione Provinciale, nella seduta del 19/01/2021, ha accolto l'istanza di riesame della ditta Fu. e la relativa domanda di aiuto è risultata ammissibile al contributo, collocandosi al 5° posto della Graduatoria Unica Regionale Rettificata con DRD n. 170 del 17/05/2021, per una spesa ammessa di Euro 186.898,21 e un contributo di Euro 149.518,57 con un punteggio totale di 68. 12. In conclusione, non essendovi più capienza di fondi, persiste l'impossibilità di assegnare il contributo alla Impresa An.. 13. Il ricorso e i motivi aggiunti sono dunque respinti. Le spese seguono il criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna l'Impresa individuale " Ma. An." al pagamento delle spese processuali in favore delle parti costituite, che liquida in euro 2000,00 in favore della Regione Campania e euro 1000,00 in favore de La Fo. Società Agricola s.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Anna Pappalardo - Presidente Maria Barbara Cavallo - Consigliere, Estensore Rosalba Giansante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere Dott. MELE Maria E. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 07/04/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI; lette/sentite le conclusioni del PG. Il Procuratore generale, Pasquale Serrao D'Aquino, chiede dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre avverso l'ordinanza del 7 aprile 2022 del Tribunale di sorveglianza di Roma, che ha rigettato il reclamo avverso il provvedimento del 18 novembre 2021, con il quale il Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato l'inammissibilita' della richiesta ex articolo 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354, evidenziando che medesima istanza era stata gia' rigettata con provvedimento del 10 ottobre 2019. L'interessato aveva presentato una nuova domanda, evidenziando che la piu' recente giurisprudenza di legittimita' a Sezioni Unite (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Rv. 280433) aveva innovato i criteri di valutazione della domanda risarcitoria. Il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che il mutamento di indirizzo giurisprudenziale non poteva costituire titolo legittimante a superare il giudicato esecutivo sulle deduzioni gia' sottoposte al precedente giudice di merito e decise con provvedimento divenuto definitivo. 2. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 35-bis, 35-ter Ord. pen., 125 e 666, comma 2, c.p.p., e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, perche' il Tribunale di sorveglianza avrebbe omesso di considerare che il mutamento di giurisprudenza poteva costituire un elemento di novita' idoneo a superare il c.d. giudicato esecutivo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. Giova premettere in diritto che, in tema di incidente di esecuzione, l'articolo 666, comma 2, c.p.p., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilita' qualora l'istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengono dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016, dep. 2017, Crescenza, Rv. 269841). Il provvedimento del giudice dell'esecuzione divenuto definitivo, pertanto, preclude una nuova pronuncia sul medesimo petitum non gia' in maniera assoluta e definitiva, ma rebus sic stantibus, ossia finche' non si prospettino nuovi dati di fatto (o nuove questioni giuridiche), per tali intendendosi non solo gli elementi sopravvenuti, ma anche quelli preesistenti dei quali non si sia tenuto conto nella precedente decisione. Come correttamente evidenziato dal ricorrente, il mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, adottata sulla base di un'interpretazione conforme a principi costituzionali o sovranazionali, integra un "nuovo elemento" di diritto idoneo a superare la preclusione del c.d. giudicato esecutivo (Sez. 1, n. 30569 del 07/03/2019, Acquas, Rv. 276604). La soluzione discende dall'obbligo del giudice nazionale di interpretare la normativa interna in senso conforme alle previsioni della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, nel significato ad esse attribuito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo il principio di legalita', sancito, in materia penale, dall'articolo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. 2. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte deve annullare l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma, alla luce dei nuovi criteri di valutazione della domanda risarcitoria fissati dalla suindicata sentenza delle Sezioni Unite, sicche' il giudice di rinvio deve affermare il principio di diritto in base al quale intende decidere e provvedere di conseguenza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/11/2022 del TRIB. RIESAME di REGGIO CALABRIA; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; sentite le conclusioni del PG LUCA TAMPIERI che ha chiesto il rigetta del ricorso udito il difensore avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS) che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 19 novembre 2022, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l'istanza di riesame proposta avverso l'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale (OMISSIS) e' stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 commi 1, 2, 3 e 4 aggravato ai sensi dell'articolo 61 bis c.p. e articolo 416 bis 1 c.p. (capo 1), e ad alcuni reati fine di cui agli Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione alla importazione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capi 2, 3, 8, 9, 10, 11, 14, 15 e 16). Il Tribunale distrettuale ha desunto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dalle risultanze di una complessa attivita' di indagine, che aveva portato alla luce l'esistenza nel territorio interessato di un gruppo criminale articolato su piu' livelli e dotato di elevatissime disponibilita' finanziarie, dedito alla commissione di piu' delitti fra quelli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73: in particolare l'associazione si occupava del reperimento e dell'acquisto all'estero, della importazione e del trasporto in Italia, attraverso container riposti su navi cargo in arrivo al porto di Gioia Tauro con la complicita' di portuali infedeli, nonche' della commercializzazione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina. Il materiale investigativo su cui si e' fondata la misura cautelare e' costituito, oltre che dalle intercettazioni, dai tabulati telefonici e di geolocalizzazione, dalle riprese video e dall'attivita' di riscontro della polizia giudiziaria, per gran parte da comunicazioni intercorse tra gli indagati attraverso il sistema (OMISSIS) acquisite dalla Procura di Reggio Calabria tramite l'emissione di specifici Ordini di Indagine Europei versarti in atti, il primo dei quali datato 13 aprile 2021, con cui e' stata chiesta all'autorita' giudiziaria di Parigi la trasmissione dei messaggi decifrati riferibili alle comunicazioni di interesse gia' avvenute e conservate nel relativo server e ritenute pienamente utilizzabili dal Tribunale del Riesame. (OMISSIS) e' stato ritenuto coinvolto nella associazione sua qualita' di dipendente della " (OMISSIS) srl", facente parte della squadra di portuali al servizio della organizzazione con il compito di esfiltrare la cocaina occultata all'interno dei container e, dunque, assicurare l'uscita della sostanza stupefacente. (OMISSIS) e' stato anche ritenuto coinvolto in nove distinte operazioni di esfiltrazione di sostanza stupefacente del tipo cocaina. 2. Avverso l'indicata ordinanza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore formulando sei motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge ed in specie degli articoli 191 e 729 c.p.p. con riferimento alla mancata declaratoria di inutilizzabilita' dei files integrali relativi alle comunicazioni acquisite. Il Tribunale avrebbe dovuto rilevare che oggetto della rogatoria erano non solo le chat decriptate ma anche "ogni ulteriore informazione in possesso dell'AG straniera relativa alle utenze connesse ai dispositivi" e non avrebbe tenuto conto della assenza di un vaglio sul modus operandi degli inquirenti rispetto agli strumenti, ai metodi ed alle attivita' di identificazione degli indagati associati ai criptofonini. Tale vaglio, secondo il difensore, era doveroso, in quanto oggetto della richiesta avanzata dalla DDA reggina era l'acquisizione di ogni ulteriore informazione in ordine a target preventivamente individuati e erano invece rimaste ignote le procedure di identificazione degli utilizzatori dei criptofonini, con conseguente pregiudizio della catena di genuinita' della prova. Il difensore richiama il consolidato orientamento della Corte di legittimita' secondo cui "in tema di rogatoria internazionale all'estero, la mancata prova dell'adempimento delle modalita' previste dall'ordinamento italiano e indicate dall'autorita' rogante nel formulare la domanda di assistenza giudiziaria a norma dell'articolo 727, comma 5-bis, determina l'inutilizzabilita' degli atti compiuti dall'autorita' straniera, ai sensi dell'articolo 729 c.p.p., comma 1-bis" (sent. n. 25050/2010). 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di norme processuali ed in specie degli articoli 191, 266 bis, 267 e 268 c.p.p.. La difesa rileva la inutilizzabilita' dei dati presenti nelle chat scambiate attraverso la piattaforma (OMISSIS) acquisite tramite Ordini cli Indagine Europei (O.I.E), in violazione della disciplina relativa alle intercettazioni. A tal fine richiama la sentenza della Cassazione francese di annullamento della sentenza della Corte di Appello di Nancy del 14 luglio 2021 nella parte in cui tale pronuncia aveva ritenuto utilizzabili i dati acquisiti in assenza di una certificazione attestante la loro autenticita', in violazione dell'articolo 230.3 del codice di rito francese, e la sentenza del Tribunale di Berlino del 19 ottobre 2022 con cui era stata sollevato il rinvio pregiudiziale alla CGUE in ordine alla interpretazione delle norme della direttiva 2014/41, nella quale, fra l'altro, si era evidenziato che l'obiettivo di combattere gravi reati non puo' giustificare una conservazione generalizzata e indiscriminata di dati. Il difensore osserva che i dati acquisiti con gli O.I.E. erano in realta' intercettazioni e non gia' documenti ai sensi dell'articolo 234 bis c.p.p. e che in ogni caso dovevano essere valutate le modalita' di acquisizione al fine di verificare che non fossero in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali dell'ordinamento interno, anche alla luce del dictum della sentenza sez,.4 del 15 luglio 2022 n. 32915, ric. Lori. In realta' i dati acquisiti dovevano essere considerate intercettazioni, in quanto i messaggi scambiati in chat erano stati captati e memorizzati dall'Autorita' Giudiziaria nell'istante in cui questi, creati nel dispositivo del mittente, venivano inviati al destinatario, sicche' avrebbero dovuto essere acquisiti i provvedimenti captativi delle intercettazioni e comunque avrebbero dovuto essere rese note le modalita' di svolgimento dell'attivita' investigativa, dell'iter di acquisizione della messaggistica al fine di consentire la piena esplicazione del diritto di difesa e di valutare se le modalita' di acquisizione siano in contrasto con le norme inderogabili e i principi fondamentali del nostro ordinamento. 2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilita' delle chat (OMISSIS) anche sotto il profilo della identificazione dell'indagato. Il Tribunale avrebbe affermato in maniera apodittica e non congruamente motivata che l'usuario del Pin "(OMISSIS)", del Pin "(OMISSIS)" e del Pin "(OMISSIS)", talvolta appellato con gli pseudonimi (OMISSIS), fosse (OMISSIS). Il difensore osserva che il nickname "(OMISSIS)" e' molto comune, mentre gli altri due nickname sono totalmente diversi dal primo e uno dei due ((OMISSIS)) veniva addirittura usato in maniera promiscua da due differenti Pin. 2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) alla associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Il difensore osserva che sulla base delle emergenze in atti valutabili non era emersa una forma di partecipazione duratura e consapevole da parte del ricorrente ad un sodalizio volto alla commissione di una pluralita' di delitti inerenti gli stupefacenti. Il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare gli elementi indiziari relativi ai reati scopo e in tal modo avrebbe sovrapposto la valutazione della gravita' indiziaria di tali ultimi reati con quella del reato associativo. 2.5. Con il quinto motivo ha dedotto la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis i c.p. Il tribunale del riesame aveva confermato la configurabilita' di detta aggravante affermando che il sistema associativo era reso nel concreto piu' efficace dai solidi legami con le locali cosche di âEuroËœndrangheta, cointeressate alle narco importazioni e influenti anche nell'ambito dello scalo gioese, ma aveva omesso qualsiasi riferimento alla consapevolezza in capo al ricorrente della finalita' agevolatrice eventualmente ravvisabile in capo ai correi. 2.6. Con il sesto motivo ha dedotto il vizio di motivazione con riferimento alle esigenze cautelari. In ordine al pericolo di inquinamento probatorio, il Tribunale aveva richiamato l'utilizzo dei criptofonini, in aperta contraddizione con il dato per cui il compendio probatorio era gia' cristallizzato e le piattaforme erano divenute ormai inutilizzabili. In ordine al pericolo di recidiva, il Tribunale aveva richiamato la professionalita' dimostrata dal ricorrente nella perpetrazione dei delitti, ma non si era confrontato con le deduzioni difensive in ordine al considerevole lasso di tempo trascorso dai fatti e al periodo di custodia gia' patito. 3. In data 4 maggio 2023, il difensore del ricorrente ha depositato una memoria con cui ha sviluppato il secondo motivo di ricorso nel modo seguente. Il ricorrente osserva che la difesa aveva chiesto di ottenere copia forense del materiale probatorio trasmesso dall'A.G francese al fine di instaurare un legittimo contraddittorio in relazione a ogni profilo di ritualita', rilevanza, conformita', attendibilita' che possa venire in rilievo con riferimento alla contestazione ed in particolare aveva richiesto copia degli atti relativi alla procedura che aveva autorizzato le intercettazioni o captazioni delle chat scambiate attraverso la piattaforma (OMISSIS), in conformita' ai principi affermati dalla sentenza ricorrente Lori. Il materiale richiesto non era stato depositato e non era stata fornita traccia della procedura di intromissione, acquisizione e decrittazione dei dati contenuti nel server di (OMISSIS) in quanto coperti da segreto. Nelle recenti sentenze intervenute, il profilo era stato superato nel nome del principio di reciproca affidabilita' mutuato dalla normativa sugli O.I.E. e dal TFUE, ma non si era tenuto conto che in nome di questo principio non potevano essere compressi i diritti di difesa in ordine alla verifica della legalita' e del contenuto della prova. In particolare l'affermazione contenuta in alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione (Sez. 4 18 aprile 2023, n. 16347, ric. Papalia e sez. 1, 13 ottobre 2022 n. 6363, Minichino, non massimate) secondo cui sarebbe inutile ogni analisi su dati originari e sull'algoritmo di decifratura, in quanto esso costituirebbe una chiave unica di lettura senza il quale i dati non sarebbero intellegibili, contrasta con la considerazione per cui in tal modo veniva preclusa la verifica sulla corretta esecuzione della fase di integrale e esatta riproduzione delle conversazioni criptate, sia per quanto riguarda il loro contenuto, sia per quanto riguarda la loro collocazione temporale. Sposare la tesi della infallibilita' dell'algoritmo significa - osserva il difensore - tornare indietro rispetto alle acquisizioni ormai consolidate in merito all'approccio al sapere scientifico nel processo penale. In ragione, dunque, del contrasto tra l'indirizzo della sentenza Lori e l'indirizzo delle sentenze successive, il ricorrente ha chiesto di valutare di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite. Il ricorrente chiede, infine, di valutare l'attivazione della procedura ex articolo 267 TFUE e di chiedere in via pregiudiziale alla CGUE l'interpretazione delle disposizioni della direttiva 2014/41, richiamando le pronunce delle autorita' giudiziarie tedesche ed olandesi che avevano gia' proceduto in tale senso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso deve essere rigettato. 2. I primi due motivi, attinenti alla utilizzabilita' delle chat acquisite tramite gli Ordine Europei di Indagine, sono infondati. 2.1. Il Tribunale ha chiarito che il sistema (OMISSIS) consente lo scambio di comunicazioni mediante uso di cripto-telefonini o smartphones, modificati in modo da garantirne la inviolabilita' (consentendo, cioe', di disattivarne la geolocalizzazione, i servizi Google, il Bluetooth, la fotocamera e quant'altro possa generare rischi di captazione). La violazione della piattaforma criptata era avvenuta da parte di law enforcement agencies (squadre composte dalle polizie francese, belga e olandese) e il suo utilizzo si era arrestato nel marzo del 2021, allorquando si era diffusa la notizia dell'avvenuta violazione. Gli esiti dell'indagine presupposta (quella cioe' condotta dalle squadre investigative sopra citate sulla piattaforma utilizzata dai dispositivi controllati) avevano consentito di acquisire e analizzare milioni di messaggi scambiati tra membri di organizzazioni criminali operanti in vari Paesi UE ed e' in questo contesto si era inserita l'indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. La polizia giudiziaria, infatti, analizzando il traffico telefonico storico delle celle abitualmente abbinate alle utenze "ufficiali" in uso agli indagati, aveva individuato alcuni PIN collegati alla piattaforma criptata. Conseguentemente il Pubblico Ministero procedente, a partire dal 13 aprile, aveva richiesto, tramite O.E.I. rivolti all'Autorita' Giudiziaria francese, la trasmissione dei messaggi gia' decifrati riferibili alle comunicazioni che avevano riguardato i PIN d'interesse, conservate in un server. Il Tribunale, in replica alla censura relativa alla inutilizzabilita' della messaggistica acquisita tramite O.E.I dedotta in sede di riesame ha rilevato che: - la Procura di Reggio Calabria, attraverso l'emissione di specifici O.E.I., tutti versati in atti, ha richiesto all'autorita' giudiziaria francese la trasmissione dei messaggi decifrati riferibili alle comunicazioni gia' avvenute e conservate nel server ed, a seguito di tale richiesta, l'autorita' francese ha trasmesso su CD i file integrali, estratti dal server e decriptati, delle comunicazioni riferibili allo specifico PIN oggetto di richiesta; - la messaggistica non e' stata acquisita attraverso operazioni di intercettazione di comunicazioni telematiche, ma attraverso la richiesta ad uno Stato estero, la Francia, con O.E.I di trasmettere, previa decriptazione, messaggi di comunicazioni gia' avvenute e conservati presso il server della societa' che gestisce il servizio di messaggistica, acquisiti nell'osservanza dell'ordinamento francese; l'ordine Europeo di indagine ha ad oggetto l'estrazione di dati (foto, chat, audio, video) presenti all'interno del data base (OMISSIS) inerenti i codici imei di dispositivi indicati e non gia' attivita' di captazione del flusso di comunicazioni, tanto che nel modulo prestampato inviato alle autorita' francesi non risulta compilata la sezione "H7" riservata alla intercettazione di telecomunicazione, ne' la sezione "H5" relativa ad atti di indagine che implicano l'acquisizione di prove in tempo reale; nell'ordinamento giuridico francese si distinguono due diversi mezzi di ricerca della prova informatica: a) l'intercettazione della corrispondenza inviata mediante comunicazioni elettroniche prevista dagli articoli 100 e ss. c.p.p. (equivalente della disciplina dettata dall'articolo 266 bis e ss. del nostro codice di rito); b) l'installazione di un dispositivo tecnico per accedere, archiviare e trasmettere dati informatici gia' formati e memorizzati all'interno di un dispositivo elettronico ai sensi degli articoli 706-102-1 e ss. c.p.p. francese: nel nostro caso dal 17 dicembre 2020 (relativamente al server 2) e dal 24 febbraio 2021 (relativamente al server 1) sono stati autorizzati l'accesso, l'archiviazione e la trasmissione all'autorita' giudiziaria dei dati informatici presenti all'interno del sistema (OMISSIS) ai sensi degli articoli 706-1021 e ss. del codice di rito francese, ovvero utilizzando un mezzo di ricerca della prova speciale (dotato di regolamentazione autonoma rispetto all'attivita' di intercettazione in quanto strutturalmente diverso da questa) esclusivamente finalizzato ad acquisire il dato informatico; - il mezzo di prova in argomento deve essere ricondotto nell'ambito di applicazione dell'articolo 234 bis c.p.p., secondo cui e' sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso in tale ultimo caso, del legittimo titolare. Il consenso nel caso di specie sussisteva, dovendosi intendere legittimo titolare chi abbia il possesso del dato tale da garantirgli un livello di autonomia che consenta di accedere in modo autonomo ad esso anche al di fuori della diretta vigilanza della persona che abbia sul dato un potere maggiore ovvero il gestore del server: legittimo titolare e' dunque l'autorita' giudiziaria francese che di quei dati poteva giuridicamente disporre in quanto aveva sottoposto a sequestro il server in cui i dati erano archiviati; - devono trovare applicazione, per il principio locus regit actum e in conformita' dei canoni di diritto internazionale della prevalenza della lex loci sulla lex fori, le norme dello Stato in cui l'atto viene compiuto e non quelle del codice di rito del paese richiedente che disciplinano il processo. - il richiamo alla sentenza Sez. 4, n. 32915/2022, Lori e' inconferente in quanto in quel caso (pur inerente a messaggistica scambiata sulla piattaforma (OMISSIS)) era stato censurato il provvedimento del PM di rigetto dell'ostensione alla difesa della documentazione riferibile alle comunicazioni criptate, consegnate tramite (OMISSIS) e non direttamente dall'autorita' giudiziaria dello Stato estero, come nella specie, in cui il materiale informatico era stato trasmesso dal Tribunale di Parigi. i che consente di rendere criptati i messaggi, intellegibili solo attraverso la decriptazione, non altera in alcun modo il contenuto del dato: in assenza di algoritmo necessario alla decodificazione, e' impossibile ottenere un testo con contenuto in lingua italiana difforme dal reale, potendosi al piu' avere una sequenza alfanumerica o simbolica priva di alcun senso analogamente a quanto avviene in ipotesi di flussi che inviano immagini criptate. 2.3. A fronte di censura con la quale, in ultima analisi, si contesta la legittimita' della prova acquisita, sotto il profilo della sua formazione e sotto il profilo della violazione del diritto di difesa rispetto alla verifica del procedimento con cui la prova e' stata formata, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale, cosi' come supra riportato, appare rispettoso dei principi di diritto che governano la materia della cooperazione internazionale. Si deve, innanzitutto, premettere che il PM ha agito nell'ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III (Procedura attiva) del Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo d'indagine penale. Si tratta di strumento inteso a implementare le gia' esistenti forme di cooperazione penale nell'ambito dell'Unione di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio e' a sua volta fondato sulla fiducia reciproca, nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali (CGUE, 11 novembre 2021, Gavanozov, in C-852/19; CGUE 8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Ordini di bonifico falsificati), C-584/19, punto 40). La previsione di tale strumento si correla all'esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall'undicesimo Considerando della direttiva), a sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell'Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l'articolo 2 della direttiva, secondo cui "Gli Stati membri eseguono un OEI in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva" e l'articolo 9, secondo cui "L'autorita' di esecuzione riconosce un OEI, trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalita' e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalita' con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorita' dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Pertanto, l'ordine Europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformita' di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Borrelli, Rv. 284027, in motivazione). Il pubblico ministero, con gli O.E.I in esame, ha chiesto la trasmissione di documentazione gia' acquisita dall'autorita' estera nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese. L'ordine Europeo di indagine doveva solo dar conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalita' previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova, da trasferire poi allo Stato di emissione: nella specie, come detto, la richiesta ha riguardato le chat del sistema (OMISSIS), gia' acquisite dal Tribunal Judiciaire de Paris autonomamente e non su richiesta della Procura procedente nel nostro Paese. L'Autorita' francese, dunque, si e' resa garante, in assenza di specifiche deduzioni di segno diverso, del rispetto delle procedure dello Stato di esecuzione (la Francia), avendo il Tribunale del riesame dato atto che dalla documentazione trasmessa era dato verificare la modalita' di acquisizione e conservazione dei dati da parte dell'Autorita' giudiziaria francese. La messaggistica esaminata dal Tribunale di Reggio Calabria non costituisce esito di captazione di conversazioni durante il flusso dinamico delle stesse, bensi' acquisizione di dati informatici direttamente utilizzabili a fini di prova. Il precedente sez. 1, n. 34059 del 1/7/2022, Molisso ha ritenuto applicabile l'articolo 234 bis c.p.p. (introdotto dal Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7, articolo 2, comma 1bis, convertito dalla L. 17 aprile 2015, n. 43) che consente "l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". A sostegno di tale interpretazione si e' opportunamente sottolineato che, ai fini dell'applicazione dell'articolo 234 bis c.p.p., e' documento ogni "rappresentazione comunicativa incorporata in una base materiale con un metodo digitale" ed e' "legittimo titolare" la persona giuridica che puo' legittimamente disporre del documento. Ne consegue che, se l'autorita' giudiziaria di uno Stato dell'Unione Europea, in attuazione della Direttiva 2014/41/UE, da' esecuzione a un ordine di indagine Europeo emesso dall'autorita' giudiziaria di altro Stato membro trasmettendo dati che ha ottenuto in conformita' alla propria legislazione interna e ha incorporato in una base comunicativa con metodo digitale, vi e' consenso da parte del "legittimo titolare" - vale a dire di "colui che legittimamente conserva i dati" - all'acquisizione di quei dati da parte dell'autorita' giudiziaria richiedente. Nella specie, i dati non sono stati richiesti a un detentore privato (per esempio, la SKY GLOBAL che gestiva, prima della sua violazione da parte di polizie straniere, la piattaforma della quale si discute), ma ad un'autorita' giudiziaria che, nell'ambito di un diverso e autonomo procedimento, li aveva acquisiti dal server ove i dati stessi erano stati immagazzinati nell'ambito di altra indagine, avente ad oggetto proprio la violazione di quella piattaforma. Il richiamo alla sentenza Sez. 4, n. 32915 del 15/07/2022, Lori (non massimata), invocata a sostegno della eccezione di inutilizzabilita' del materiale acquisito tramite l'autorita' giudiziaria francese, e' inconferente, in quanto il caso ivi trattato e' diverso da quello in esame. In quel caso, il pubblico ministero aveva respinto la richiesta di mettere a disposizione della difesa "la documentazione consegnata da (OMISSIS) a seguito dell'accesso ai server di (OMISSIS) con indicazione delle modalita' di acquisizione da parte della stessa (OMISSIS) dei dati in oggetto dai server, con annessi verbali delle attivita' compiute", sostenendo che si trattava di scambi informativi tra forze di polizia di paesi diversi, non utilizzabili processualmente. Una risposta siffatta e' stata ritenuta lesiva del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa perche' dalla stessa non era dato comprendere quale fosse "il contenuto dei citati scambi informativi tra forze di polizia di paesi diversi" e quali fossero state le "modalita' di acquisizione" del materiale utilizzato a fini cautelari; informazioni "funzionali al controllo della legittimita' del procedimento acquisitivo, anche nell'ottica delineata dall'articolo 191 c.p.p.". Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, come ampiamente illustrato nell'ordinanza impugnata, tutto il materiale ricevuto dall'autorita' francese era stato versato in atti in forza di OIE. La censura deve essere respinta anche nella parte in cui si duole della mancata conoscenza dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita e, in genere, della violazione delle prerogative difensive sul controllo di correttezza delle procedure utilizzate dall'A.G.francese (si tratta di profilo sviluppato piu' specificamente nella memoria integrativa). L'attivita' di acquisizione di dati in giacenza, definiti freddi, (o anche l'intercettazione di dati telematici in transito) permette l'acquisizione, qualora il messaggio telematico sia criptato mediante l'impiego di un algoritmo o di una chiave di cifratura e trasformato in un mero dato informatico, di una stringa informatica composta da un codice binario. L'intelligibilita' del messaggio e' subordinata all'attivita' di decriptazione che presuppone la disponibilita' dell'algoritmo, attraverso cui si trasforma il codice binario in un contenuto dimostrativo: ogni messaggio cifrato e' inscindibilmente accoppiato alla sua chiave di cifratura, sicche' la sola chiave esatta produrra' una decifratura corretta, dovendosi escludere che possa decifrarne una parte corretta e una non corretta; ne' vi sono possibilita' che una chiave errata possa decrittare il contenuto, anche parziale, del codice umano contenuto (sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Calderon, Rv. 283998, in motivazione, ma anche sez. 1, n. 6363, Minichino, n. m., in pari data). L'algoritmo utile alla lettura di messaggi e immagini trasmessi attraverso un "criptotelefono" e' contenuto nell'apparecchio telefonico, tanto e' vero che quei messaggi e quelle immagini sono leggibili "in chiaro" da chi li riceve. Non si tratta, quindi, di individuare un sistema di decriptazione scientificamente valido, ma di individuare il sistema di decriptazione in uso nel caso concreto. L'attivita' con la quale viene individuato l'algoritmo idoneo alla decriptazione, infatti, altro non e' che una attivita' di indagine e se e' consentito avvalersi per svolgerla della collaborazione del privato produttore del sistema operativo (sez.6, n. 18907 del 20/04/2021, Civale, Rv. 281819; Sez. 4, n. 49896 del 15/10/2019, Brandimarte, Rv. 277949; Sez. 3, n. 47557 del 26/09/2019, Scognamiglio, Rv. 277990), non si vede perche' non dovrebbe essere consentito avvalersi, a tal fine, di "risorse dello Stato soggette al segreto di difesa nazionale" come la magistratura d'oltralpe hai attestato di aver fatto. Corretto e' anche il richiamo operato nell'ordinanza impugnata al principio generale di presunzione di legittimita' delle prove acquisite dall'autorita' giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione Europea: l'utilizzazione degli atti trasmessi, infatti, non e' condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarita' delle modalita' di acquisizione esperite dall'autorita' straniera, in quanto vige la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spetta al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari (in tal senso, sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, Torzi, in cui in motivazione si rinvia anche a sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Ruso, Rv. 269015; a sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, Mutari, Rv. 247750; e a sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Pizzata, Rv. 243796; ma anche a sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457). 2.4. Il ricorrente nel primo motivo di ricorso assume la violazione nel caso di specie della disciplina sulla rogatoria internazionale ed in specie all'articolo 729 c.p.p. Basti osservare al riguardo che nel caso di specie la messaggistica e' stata acquisita, non gia' tramite rogatoria, bensi' tramite Ordine Europei di Indagine, disciplinati dal Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo. L'autorita' giudiziaria italiana si e' limitata a richiedere all'autorita' giudiziaria francese la trasmissione di dati che la stessa aveva autonomamente acquisito e non ha delegato atti di indagine. 2.5. Il ricorrente, a sostegno della ritenuta illegittimita' della prova acquista, ha citato alcune sentenze emesse dalle autorita' giudiziarie straniere. Il riferimento alla sentenza n. 01226 dell'11 ottobre 2022 emessa dalla Corte di Cassazione francese non e' pertinente. Con tale pronuncia la Corte suprema francese, chiamata a valutare la legittimita' dell'acquisizione di dati estrapolati dalla piattaforma " (OMISSIS)", ha annullato una decisione assunta dalla Corte di appello di Nancy, perche' i risultati delle operazioni compiute non erano accompagnati (come richiesto dall'articolo 2303 c.p.p. francese) da un "attestato vidimato dal responsabile dell'organismo tecnico" incaricato della acquisizione dei dati che certificasse "la sincerita' dei risultati trasmessi". Si tratta, pertanto, di sentenza che ha ad oggetto uno specifico provvedimento giurisdizionale, sicche' dalla stessa non puo' desumersi che l'attestazione certificante la sincerita' dei risultati trasmessi - non acquisita agli atti di un determinato procedimento - fosse mancante in tutti i casi in cui l'autorita' francese ha acquisito dati sulle piattaforme " (OMISSIS)" e " (OMISSIS)". La pronuncia richiamata non ha rilievo concreto, dunque, rispetto al principio della presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta dal giudice straniero, in quanto non fornisce argomenti per sostenere che, nel caso oggetto del presente procedimento, la prova non sia stata correttamente conservata e non ne sia stata garantita la genuinita'. Come si e' detto, infatti, il Tribunale di Parigi ha attestato - con apposito processo verbale redatto e sottoscritto dall'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato dell'adempimento - la regolarita' del trasferimento dei dati su supporto informatico non modificabile che ha inviato, in plico sigillato, alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. La sentenza del Tribunale del Land di Berlino del 19 ottobre 2022, dovendo utilizzare elementi di prova acquisiti con O.I.E. eseguiti dalla magistratura francese aventi ad oggetto dati analoghi a quelli di cui qui si discute, ha sollevato questione pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia UE ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Questa decisione, secondo la difesa, dimostra l'esistenza di un dibattito, a livello Europeo, sull'opportunita' di una "conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati", pur finalizzata alla prevenzione e repressione di gravi reati. A questo proposito si deve osservare che la questione pregiudiziale e' stata sollevata alla luce delle norme processuali dell'ordinamento tedesco e che il contenuto dei quesiti sottoposti alla Corte di giustizia paiono fondati su un diverso compendio probatorio, in quanto muovono dall'assunto che le attivita' eseguite dallo Stato di esecuzione (nella specie la Francia) avessero ab origine l'obiettivo di mettere successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione (nella specie la Germania) i dati ottenuti. Nel presente procedimento, come si dira' meglio infra a proposito del rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale, i dati a disposizione consentono di ritenere che cio' non sia avvenuto. 3. Il terzo motivo, con cui si contesta il vizio di motivazione in ordine alla identificazione del ricorrente", e' infondato. Il Tribunale ha dato conto degli elementi da cui era stata tratta l'identificazione di (OMISSIS) quale usuario del Pin "(OMISSIS)", del Pin "(OMISSIS)" e del Pin "(OMISSIS)", compendiati nell'annotazione conclusiva del 17/12/2022 (pagg 16 e ss. dell'ordinanza impugnata). I giudici hanno richiamato: - quanto al Pin "(OMISSIS)", una chat in cui l'utilizzatore aveva affermato di dover chiudere il turno di lavoro alle ore 13.00, cosa che effettivamente (OMISSIS) aveva poi fatto; - quanto al Pin "(OMISSIS)", la lettura dei messaggi e la contemporanea localizzazione di (OMISSIS) tramite sistema Gps; - il fatto che l'usuario di detti due Pin si qualificava con il soprannome di (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' come anche l'usuraio del Pin "(OMISSIS)" A fronte di tale motivazione, coerente con i dati riportati e non illogica nella inferenza tratte da tali dati, anche alla luce della loro lettura complessiva convergente nel senso della identificazione di (OMISSIS) come l'utilizzatore dei Pin, questione, la censura del ricorrente tende a prospettare alla Corte una diversa e inammissibile lettura di elementi di fatto. Si deve, in proposito, ribadire che, nel giudizio di legittimita', non sono consentite censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (quanto al contenuto essenziale dell'atto di impugnazione, pare sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte di legittimita', rinviandosi a sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584, in motivazione; Sezioni Unite n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). 4. Il quarto motivo, con cui si censura il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) alla associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e' infondato. Il Tribunale si e' soffermato (pag. 20 e ss. dell'ordinanza) sul ruolo svolto da (OMISSIS), nella sua qualita' di dipendente di una societa' operante nel porto di Gioia Tauro, all'interno della compagine associativa, con il compito di effettuare la esfiltrazione della cocaina contenuta nei containers giunti a bordo delle navi cargo e in tal modo assicurare l'uscita della sostanza e l'immissione nel mercato. I giudici hanno descritto analiticamente il modus operandi dell'organizzazione criminale e hanno spiegato che la stessa curava la definizione dei dettagli dell'esfiltrazione, assegnando in parallelo il lavoro ad una squadra di operai portuali che doveva effettuare il trasbordo della droga dal container proveniente dal Sud America al container in uscita e incaricando altre compagini di ritirare il container dal mezzo in uscita dal porto attraverso la collaborazione di aziende compiacenti. (OMISSIS), dipendente dell'impresa portuale " (OMISSIS)", si muoveva all'interno della squadra del porto di Gioia Tauro, fungendo da collettore tra i responsabili delle commesse e i colleghi portuali che di volta in volta venivano da lui avvisati dell'imminenza dei "lavori", e curava, altresi', l'organizzazione delle squadre incaricate dell'esfiltrazione stabilendone la composizione e impartendo direttive. I giudici hanno, dunque, sostenuto che la condotta di tutti gli indagati era da ricondurre ad un accordo che travalicava le singole azioni criminose e che era fonte di un vincolo associativo destinato a protrarsi nel tempo, attraverso una vera e propria struttura organizzativa altamente specializzata e operante a piu' livelli, dotata di risorse utili allo scopo e in grado, in un arco temporale di soli 50 giorni, di movimentare ben sedici carichi di cocaina, per un peso complessivo superiore alle cinque tonnellate di sostanza. La difesa del ricorrente si e' limitata a prospettare, essa si apoditticamente, una carenza di motivazione, senza confrontarsi con gli specifici passaggi dell'ordinanza impugnata con cui in maniera esaustiva e non illogica si e' dato atto dei gravi indizi di colpevolezza anche in ordine al reato associativo. 5. Il quinto motivo con cui si censura la configurabilita' nel caso di specie della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis l c.p. e' inammissibile. In proposito si deve ribadire il principio per cui e' inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento de libertate volto a contestare la configurabilita' di determinate circostanze aggravanti, quando dall'esistenza o meno di tali circostanze non dipende, per l'assenza di ripercussioni sull'an o sul quomodo della cautela, la legittimita' della disposta misura (Sez. 3. n. 20891 del 18/06/2020, Piccirillo, Rv. 279508; Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, Inzerra, Rv. 260256). Si tratta di orientamento che discende dal principio generale, dettato dall'articolo 568 c.p.p., comma 4, per cui per proporre impugnazione e' necessario avervi interesse: per evidenti ragioni di economia processuale il legislatore ha subordinato l'attivazione dello strumento di controllo all'esistenza in capo al soggetto legittimato di un concreto ed attuale interesse, inteso, nella elaborazione della giurisprudenza di legittimita', non gia' quale pretesa della esattezza teorica della decisione, bensi' come misura della utilita' pratica derivante dalla impugnazione, sussistente ogni qualvolta dal raffronto fra la decisione oggetto di gravame e quella che potrebbe essere emessa, se il gravame fosse accolto, emerge per l'impugnante una situazione di vantaggio meritevole di tutela giuridica (in tal senso Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv.202269). Nel caso di specie a (OMISSIS) e' contestato il delitto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 rientrante tra quelli previsti nell'articolo 51 c.p.p., comma 3-bis, per i quale vige, a norma dell'articolo 275 c.p.p., comma 3, la presunzione di esistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere e rientrante, altresi', tra quelli di cui all'articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a), per i quali sono previsti i termini piu' elevati in assoluto della durata della custodia cautelare. Pertanto l'eventuale accoglimento del ricorso, con l'eliminazione delle circostanza aggravanti, non produrrebbe alcun concreto effetto sul dispositivo dell'ordinanza impugnata. 6. Il sesto motivo, relativo al vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, e' infondato. In tema di misure coercitive, infatti, allorquando si proceda per un delitto per il quale opera la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi, posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza (Sez. 2 n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, Musurneci, Rv. 273434). Nel caso in esame il Tribunale ha fornito una motivazione rafforzata, ed ha operato, pur in difetto di allegazioni difensive rilevanti, la concreta verifica della pericolosita' dell'indagato. I giudici, infatti, hanno richiamato la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere ai sensi dell'articolo 275 c.p.p., comma 3 e l'assenza di elementi atti a neutralizzare tali presunzioni, ma hanno anche sottolineato lo spessore criminale del ricorrente. Cosi' e' stato ritenuto sussistente il pericolo di inquinamento probatorio, in ragione della necessita' di approfondire le indagini, al fine di identificare altri complici e individuare ulteriori attivita' connesse al narcotraffico, che sarebbe stata frustrata ove l'indagato fosse stato lasciato libero. Sotto tale profilo il riferimento all'uso di criptofonini non e' inconferente, giacche' vale a dimostrare l'habitus dell'indagato, al pari degli altri appartenenti al sodalizio, di utilizzare modalita' di comunicazione tali da sfuggire al controllo della autorita' giudiziaria. E' stato ritenuto sussistente, inoltre, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunto dalle specifiche modalita' esecutive e dalla pericolosita' del soggetto agente: i fatti - hanno osservato i giudici - sono indicativi di spiccata capacita' a delinquere, posto che sono stati realizzati in un contesto associativo dedito al traffico su larga scala. La motivazione adottata, dunque, e' da un lato conforme al diritto e, dall'altro, logica ed esaustiva, sicche' non si presta ad essere censurata in questa sede. 7. Infine, devono essere valutate le richieste formulate con la memoria integrativa. 7.1. Quanto alla richiesta di rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla utilizzabilita' di prove acquisite, senza che sia stata messa a disposizione della difesa tutta la documentazione relativa alle modalita' di acquisizione della prova, in ragione dell'asserito contrasto fra la sentenza Sez. 4, n. 32915 del 15/07/2022, Lori e le sentenze successive richiamate nella memoria, non puo' che rimandarsi alle considerazioni gia' svolte supra. Da un lato, si e' gia' ribadito che il caso preso in considerazione dalla sentenza Lcri era differente da quelli oggetto delle altre sentenze citate, nei quali tutta la documentazione acquisita dall'autorita' francese era stata messa a disposizione dal Pubblico Ministero. Dall'altro si e' gia' richiamato il principio generale di presunzione di legittimita' delle prove acquisite dall'autorita' giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione Europea, spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari. 7.2. Quanto al rinvio pregiudiziale, si deve premettere che, come gia' piu' volte affermato da questa Corte di legittimita', l'interpretazione fornita dalla CGUE dell'articolo 267, comma 3 TFUE, laddove prevede l'obbligo del rinvio per il giudice di ultima istanza, e' nel senso che non v'e' obbligo di rimettere in via pregiudiziale le questioni relative all'interpretazione delle norme comunitarie alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea quando "il giudice nazionale abbia constatato che la questione non sia pertinente ne' rilevante, che la disposizione comunitaria abbia gia' costituito oggetto di interpretazione e che la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi" (tra le altre, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997; Sez. 3, n. 33101 del 07/06/2022, Prandini, Rv. 283519; Sez. 6, Sentenza n. 444:36 del 04/10/2022, Palamara, Rv. 284151). 7.2.2 Alcuni dei quesiti proposti attengono all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva UE 2014/41, che indica quali debbano essere le "condizioni di emissione e trasmissione di un OEI". Si dovrebbe chiedere alla Corte di Giustizia: - se un ordine Europeo di indagine (in prosieguo: l'"OEI") volto all'acquisizione di prove gia' in possesso dello Stato di esecuzione (nel caso di specie: la Francia) debba essere emesso da un giudice, se, in base alla normativa dello Stato di emissione (nel caso di specie: l'Italia), la raccolta delle prove che ne costituisce la base avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice in un caso interno analogo; - in subordine, se cio' trovi applicazione quantomeno nel caso in cui lo Stato di esecuzione abbia eseguito la misura di cui trattasi nel territorio dello Stato di emissione con l'obiettivo di mettere successivamente i dati ottenuti a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione interessate ai dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale; - se un DEI mirante all'acquisizione di prove debba sempre essere emesso da un giudice (o da un organismo indipendente non coinvolto nelle indagini penali), senza tener conto delle norme nazionali in materia di competenza dello Stato di emissione, qualora la misura riguardi gravi ingerenze in diritti fondamentali di rango elevato. Il primo quesito non e' pertinente, ne' rilevante nel caso in esame, atteso che, come gia' chiarito, i dati acquisiti dal pubblico ministero italiano mediante DEI sono qualificabili come "dati freddi" ai sensi dell'articolo 234 bis c.p.p. e l'ordinamento interno non richiede che l'acquisizione di questo tipo di dati debba essere ordinata da un giudice. Il quesito, come d'altronde i successivi, si ispira apertamente a quelli sottoposti alla CGUE dal Tribunale del Land di Berlino che, in data 19 ottobre 2022, dovendo utilizzare elementi di prova acquisiti con DEI emessi dal pubblico ministero tedesco ed eseguiti dalla magistratura francese, aventi ad oggetto dati analoghi a quelli di cui qui si discute, ha investito la Corte di Giustizia ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Come e' ovvio, in tale sede la questione pregiudiziale e' stata sollevata alla luce delle norme processuali dell'ordinamento tedesco e, peraltro, come sembra evincersi dalla lettura del provvedimento versato in atti dal ricorrente, l'A.G. tedesca prospetta che le attivita' eseguite dallo Stato di esecuzione avevano avuto ab origine l'obiettivo di mettere successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione i dati ottenuti. Ben diversamente, nel presente procedimento la magistratura italiana ha chiesto di acquisire i risultati di attivita' di indagine autonomamente svolte dalla magistratura francese e gia' esaurite alla data dell'emissione degli OEI. Il secondo, subordinato, quesito muove proprio dalla premessa che lo Stato di esecuzione abbia acquisito i dati con l'obiettivo di metterli successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione: come gia' evidenziato, nel caso oggetto del presente procedimento, puo' escludersi che cio' sia avvenuto. Quanto al terzo quesito, esso pure non e' pertinente. Nel trasporre la domanda formulata dall'A.G. tedesca, il ricorrente non considera che la direttiva prevede che I'OEI puo' essere emesso tanto da autorita' giudiziarie, ovvero ed in via esclusiva "un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato" (articolo 2, lettera c), punto i)), tutte su un piano di parita'; oppure da autorita' non giudiziarie, ma competenti a svolgere indagini nell'ambito dei procedimenti penali e a disporre l'acquisizione di prove in conformita' del diritto nazionale, e che in tal caso l'OEI deve essere convalidato da un'autorita' giudiziaria. (articolo 2, lettera c), ii)). Sicche' non vi e' alcun dubbio in ordine al fatto che per la Direttiva il pubblico ministero e' fra le autorita' giudiziarie legittimate ad emettere IDEI. A tal riguardo, giova rilevare che il Landesgericht fur Strafsachen Wien ha proposto domanda di pronuncia pregiudiziale chiedendo alla CGUE di chiarire quale siano le nozioni di "autorita' giudiziaria" e di "autorita' di emissione", in particolare alla luce della giurisprudenza unionale formatasi in tema di MAE. Ha cioe' chiesto "Se le nozioni di "autorita' competente", ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo di indagine penale, e di "pubblico ministero", ai sensi dell'articolo 2, lettera c), punto i), della suddetta direttiva, debbano essere interpretate nel senso che esse ricomprendano anche le procure di uno Stato membro che siano esposte al rischio di essere soggette, direttamente o indirettamente, a ordini o a istruzioni individuali da parte del potere esecutivo, quale il Justizsenator di Amburgo, nell'ambito dell'adozione di una decisione relativa all'emissione di un ordine Europeo d'indagine" (Causa C-584/19). In effetti, se la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di MAE fosse applicabile agli OEI, e' ben possibile che la nozione di "pubblico ministero" di cui all'articolo 2, lettera c), punto i), della direttiva 2014/41 dovrebbe essere interpretata nel senso che non vi rientrano i pubblici ministeri esposti al rischio di ricevere istruzioni individuali da parte del potere esecutivo (cfr. CGUE, 27 maggio 2019, OG e PI -Procure di Lubecca e Zwickau, C-508/18 e C-82/19 PPU). E' tuttavia palese che la soluzione del quesito proposto dall'autorita' austriaca non e' rilevante per l'ordinamento italiano, nel quale il pubblico ministero, al pari del giudice, non e' soggetto al potere esecutivo ed e' titolare di quei caratteri di autonomia ed indipendenza la cui mancanza ha condotto la CGUE a ritenere che il pubblico ministero tedesco, in quanto esposto al rischio di essere soggetto, direttamente o indirettamente, a ordini o a istruzioni individuali da parte del potere esecutivo, non puo' essere considerato un'autorita' giudiziaria di emissione di un MAE. Sicche' va nuovamente affermato che il quesito proposto dal ricorrente non e' pertinente. 7.2.3 La difesa chiede che siano formulati alla Corte di Giustizia i seguenti, ulteriori, quesiti: - se l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a un OEI volto al trasferimento di dati gia' disponibili nello Stato di esecuzione (la Francia) derivanti da un'intercettazione di telecomunicazioni - in particolare, dati relativi al traffico e all'ubicazione, nonche' registrazioni dei contenuti delle comunicazioni qualora, in primo luogo, l'intercettazione effettuata dallo Stato di esecuzione riguardi tutti gli utenti di un determinato indirizzo di comunicazione, in secondo luogo, venga richiesto, tramite l'OEI, il trasferimento dei dati relativi a tutti gli indirizzi utilizzati sul territorio dello Stato di emissione e, in terzo luogo, non vi fossero indizi concreti della commissione di gravi reati da parte di detti singoli utenti al momento in cui e' stata disposta ed eseguita la misura di intercettazione ne' al momento dell'emissione dell'OEI; - se l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a tale 0E1 qualora l'integrita' dei dati ottenuti grazie alla misura di intercettazione non possa essere verificata dalle autorita' dello Stato di esecuzione a causa dell'assoluta riservatezza dei dati; - se l'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2014/41 osti a un 0E1 volto al trasferimento di dati di telecomunicazione gia' in possesso dello Stato di esecuzione (la Francia), qualora la misura di intercettazione di detto Stato alla base della raccolta dei dati sarebbe stata illegittima ai sensi del diritto dello Stato di emissione (l'Italia) in un caso interno analogo; - in subordine, se cio' valga almeno allorche' lo Stato di esecuzione abbia effettuato l'intercettazione sul territorio dello Stato di emissione e nell'interesse di quest'ultimo. Il primo quesito si fonda su premesse pedissequamente riprese dalla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Berlino che lo si deve ribadire - non trovano riscontro negli atti del presente procedimento. Come si e' ampiamente illustrato, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria non ha chiesto alla Autorita' giudiziaria francese la trasmissione di dati relativi a tutti gli indirizzi utilizzati sul territorio italiano da una generalita' di utenti non individuata, bensi' la trasmissione di dati transitati su utenze riferibili ad alcuni specifici PIN e cio' ha fatto nell'ambito di un procedimento penale nel quale erano gia' emersi concreti indizi di reato. Quando gli 0E1 furono emessi, infatti, erano gia' in corso per quei reati operazioni di intercettazione regolarmente autorizzate dall'autorita' giudiziaria italiana. Il secondo quesito si riferisce alla integrita' dei dati trasmessi. Come si e' detto, nel caso di specie, tale garanzia e' assicurata: da un lato, dall'articolo 230-3 c.p.p. francese in base al quale "la sincerita' dei risultati" e' certificata da un "attestato vidimato dal responsabile dell'organismo tecnico" incaricato dall'autorita' giudiziaria della materiale acquisizione dei dati; dall'altro, dalla constatazione che il Tribunale di Parigi ha attestato - con apposito processo verbale redatto e sottoscritto dall'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato dell'adempimento - la regolarita' del trasferimento dei dati in suo possesso su supporto informatico non modificabile inviato, in plico sigillata, alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. I restanti due quesiti, relativi entrambi all'interpretazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2014/41 non sono pertinenti e neppure rilevanti atteso che nel presente procedimento non risulta aver l'autorita' francese acquisito i dati con l'obiettivo di metterli successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato italiano; certamente non ha effettuato intercettazioni nell'interesse dello Stato di emissione. 7.2.4 Non sfugge a questa Corte che ai quesiti e' sotteso un tema che trascende la loro specifica formulazione; ed e' il tema delle garanzie della persona sottoposta ad indagini o imputata nel quadro della procedura dell'OEI. Il vizio di fondo della prospettazione del ricorrente e' rappresentato dal mancato confronto con il sistema delineato dalla Direttiva 2014/41. Il legislatore Europeo ha inteso mantenere un alto livello di protezione dei diritti fondamentali e di altri diritti processuali delle persone sottoposte a indagine, perseguendo l'obiettivo di una "neutralita'" dell'OEI rispetto a tali diritti, nel senso che l'acquisizione di prove in un altro Stato membro non dovrebbe incidere sulle garanzie della persona indagata, in particolare per quanto riguarda il diritto a un giusto processo. Di cio' vi e' ampia traccia nel Considerando della Direttiva, laddove si prevede che in sede di emissione dell'OEI, occorre tener conto della necessita' del pieno rispetto dei diritti stabiliti nell'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; che la limitazione dei diritti della difesa nei procedimenti penali mediante un atto di indagine richiesto conformemente alla direttiva deve rispettare i requisiti stabiliti nell'articolo 52 della Carta quanto alla necessita', agli obiettivi di interesse generale da perseguire, nonche' all'esigenza di proteggere i diritti e le liberta' altrui (punto 12); laddove si prescrive che l'attuazione della Direttiva deve tener conto delle direttive 2010/64/UE, 2012/13/UE e 2013/48/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che riguardano i diritti procedurali nei procedimenti penali (punto 15). Esplicitamente si menziona l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali, sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione Europea (TUE) e i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta (punto 18), tanto che pur se la creazione di uno spazio di liberta', di sicurezza e di giustizia nell'Unione si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformita', da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell'Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali, tale presunzione e' relativa e implica che, se sussistono seri motivi per ritenere che l'esecuzione di un atto di indagine richiesto in un OEI comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai i suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l'esecuzione dell'OEI dovrebbe essere rifiutata (punto 19). In concreto, l'autorita' di emissione deve garantire il rispetto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata (articolo 6, par. 1 e 2); essa deve certificare, tra l'altro, che l'OEI e' necessario e proporzionato e che si e' tenuto conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata. Per l'altro versante, l'articolo 11, par. 1, lettera f), costituisce l'autorita' di esecuzione quale garante della compatibilita' dell'OEI con gli obblighi dello Stato di esecuzione ai sensi dell'articolo 6 TUE e della Carta. Viene quindi a delinearsi anche in tale Stato un controllo del rispetto dei diritti fondamentali e degli altri diritti processuali della persona sottoposta a indagini o imputata. Che, peraltro, non e' neppure conclusivo, perche' l'articolo 14 prevede come obbligatoria l'istituzione di alcuni "mezzi d'impugnazione", attivabili sia nello Stato cli emissione che in quello di esecuzione. Ne' va taciuta la previsione, gia' rammentata, dell'articolo 2, lettera d), che prevede l'ipotesi di intervento di un organo giurisdizionale nello Stato di esecuzione, ove previsto dal diritto nazionale di quest'ultimo. E, a tal riguardo, non si puo' non rimarcare che, nel caso di specie, il dato e' stato fornito dal Tribunale di Parigi e, pertanto, nella acquisizione e' intervenuta una autorita' giurisdizionale. Da quanto premesso consegue che la denuncia della violazione delle garanzie fondamentali dell'indagato o dell'imputato da parte delle autorita' dello Stato di esecuzione dinanzi all'autorita' dello Stato di emissione dell'OEI deve avere contenuto puntuale e adeguato corredo dimostrativo. Requisiti che non risultano soddisfatti dal ricorrente nel caso che occupa. 7.2.5 Si devono esaminare a questo punto i restanti quesiti che riguardano l'interpretazione dell'articolo 31 della direttiva UE 2014/41. Si dovrebbe chiedere alla Corte di Giustizia: - se una misura correlata con l'accesso clandestino ad apparecchiature terminali volta ad ottenere dati relativi al traffico, all'ubicazione e alle comunicazioni di un servizio di comunicazione via Internet costituisca un'intercettazione di telecomunicazioni ai sensi dell'articolo 31 della direttiva 2014/41; - se la notifica di cui all'articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 debba essere sempre trasmessa a un giudice o se cio' valga quantomeno quando, in base al diritto dello Stato notificato (l'Italia), la misura prevista dallo Stato di intercettazione (la Francia) potrebbe, in un caso interno analogo, essere ordinata solo da un giudice; - ove l'articolo 31 della direttiva 2014/41 miri anche alla protezione dei diritti dei singoli utenti dei servizi di telecomunicazioni interessati, se detta protezione si estenda anche all'utilizzo dei dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale nello Stato notificato (l'Italia) e se, in caso affermativo, detta finalita' sia equiparata alla finalita' ulteriore di proteggere la sovranita' dello Stato membro notificato. A questo proposito - a prescindere dalla rilevanza della questione (si ribadisce che l'autorita' giudiziaria italiana non ha chiesto l'esecuzione di intercettazioni e neppure ne' e' stata richiesta) - e' sufficiente osservare che nessun dubbio interpretativo deve essere sciolto. E' pacifico, infatti, che l'articolo 31 della direttiva (cui e' stata data attuazione nel nostro ordinamento dal Decreto Legislativo n. 108 del 2017, articolo 44) ha ad oggetto obblighi informativi con riferimento ad attivita' di intercettazione effettuate da uno Stato dell'Unione nel territorio di altro Stato membro ed e' altrettanto pacifico che nel concetto di intercettazione rientrano solo le acquisizioni di flussi di comunicazioni in atto (Sez.5, n. 1822 del 21/11/2017, Parodi Rv. 272319; Sez. 3, n. 29426 del 16/04/2019, Moliterno, Rv. 276358; Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, Sgromo, Rv. 283319). Com'e' evidente, inoltre, questa previsione ha il solo scopo di garantire il rispetto del principio di reciprocita' nella delicata materia delle intercettazioni e non quello di proteggere i diritti dei singoli utenti che sono tutelati, in questa materia, dal necessario intervento giurisdizionale. Non v'e', infine, alcun dubbio da dirimere "sulle conseguenze giuridiche di una disciplina che pare aver legittimato, sulla scorta del principio di affidavit interstatale, l'acquisizione di prove in violazione del diritto dell'Unione". Si deve ribadire, infatti, che la premessa secondo la quale i dati trasmessi dalla Francia siano stati acquisiti in violazione del diritto dell'Unione "in ragione dell'assenza di un sospetto di reato" non ha in atti alcun riscontro. 8. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; udito l'Avvocato generale Pasquale FIMIANI, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI, il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso, chiedendo la rimessione della questione inerente all'articolo 416 bis.1 c.p. alle SS.UU.. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'articolo 309 codice di rito, il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato l'ordinanza con la quale il GIP del Tribunale cittadino aveva applicato a (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati di cui ai capi 1), 2), 4), 5), 6) 7) e 8) della contestazione provvisoria (partecipazione a un'associazione per delinquere di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1, 2 3 e 4, reato aggravato ai sensi degli articoli 61 bis e 416 bis.1 c.p. e piu' reati fine ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, anch'essi aggravati ai sensi degli articoli 61 bis e 416 bis.1 c.p. (concorso in importazioni di ingenti quantitativi di cocaina)). 2. Secondo quanto emerge dall'ordinanza impugnata, il compendio probatorio e' in prevalenza costituito dal contenuto di comunicazioni scambiate giovandosi di un sistema criptato, ma anche da intercettazioni, dagli esiti del controllo dei tabulati telefonici, dalle geolocalizzazioni, da riprese video e da attivita' di riscontro della polizia giudiziaria. In premessa, il Tribunale ha rigettato la doglianza difensiva, riproposta in ricorso, inerente alla utilizzabilita' delle citate comunicazioni (che si sostanziano in una messaggistica scambiata su una piattaforma chiamata (OMISSIS)) trasmesse dall'autorita' giudiziaria francese. Il sistema, com'e' ormai emerso in altri procedimenti, consente lo scambio di comunicazioni mediante uso di cripto-telefonini, modificati in modo da garantirne la inviolabilita' (consentendo, cioe', di disattivarne la geolocalizzazione, i servizi Google, il Bluetooth, la fotocamera e quant'altro possa generare rischi di captazione). Il Tribunale ha descritto il sistema precisando che il materiale probatorio rappresentato da queste chat era stato acquisito in forza di specifici O.E.I. emessi dal pubblico ministero procedente. Ha, poi, richiamato le origini dell'indagine che aveva consentito a law enforcement agencies (squadre composte dalle polizie francese, belga e olandese) di violare la piattaforma criptata, il cui utilizzo si arrestava infatti nel marzo 2021, allorquando si era diffusa la notizia dell'avvenuta violazione. Gli esiti dell'indagine presupposta (quella, cioe', condotta dalle squadre investigative sopra citate sulla piattaforma utilizzata dai dispositivi controllati) avevano poi permesso di acquisire e analizzare milioni di messaggi scambiati ed e' in questo contesto che si inserisce l'indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. La polizia giudiziaria operante, infatti, analizzando il traffico telefonico storico delle celle abitualmente abbinate alle utenze "ufficiali" in uso agli indagati, aveva individuato alcuni PIN collegati alla citata piattaforma criptata (avendo gli inquirenti appurato che, proprio in concomitanza della divulgazione della notizia che quella applicazione non era piu' sicura, l'attivita' dei dispositivi associati a quella piattaforma era stata sospesa). Di qui l'iniziativa investigativa del pubblico ministero procedente di inviare a stretto gin appositi O.E.I. all'AG francese, a partire dal 13 aprile 2021, aventi uno specifico oggetto, ben descritto nell'ordinanza impugnata: la trasmissione dei messaggi gia' decifrati riferibili alle comunicazioni che avevano riguardato i PIN d'interesse, conservate in un server che, a sua volta, la stessa autorita' richiesta (Tribunal judicial de Paris) aveva acquisito ai sensi dell'articolo 706-102-1 del codice di rito penale francese, cioe' a seguito di richiesta di accesso a dati conservati in un sistema informatico (vedi note alle pagg. 7-8 della ordinanza impugnata). Pertanto, secondo il Tribunale, i singoli O.E.I. non avevano avuto ad oggetto l'acquisizione dell'esito di intercettazioni, disposte su ordine di quell'AG francese specificamente richiesta (cioe' il citato Tribunale di Parigi), di un flusso di comunicazioni in atto al momento della acquisizione autorizzata dal Tribunale di Parigi, bensi' l'acquisizione di dati informatici gia' decriptati, conservati in un server e riferibili a scambi di comunicazioni (messaggi, video, foto) gia' avvenute. Il Tribunale del riesame, poi, ha ripercorso le fasi dell'acquisizione del materiale informatico, rinviando al contenuto degli ordini emessi, richiamando, ai fini della utilizzabilita' interna, il protocollo descritto nell'articolo 234 bis c.p.p., e - stante la natura di dati non pubblici - ha ritenuto integrato il necessario consenso del titolare di essi, identificandolo nel soggetto che ne poteva disporre in maniera autonoma, vale a dire l'autorita' giudiziaria francese trasmittente che li deteneva legittimamente. Ribadito, poi, il principio per il quale le regole cli acquisizione probatoria sono quelle del Paese membro dell'Unione Europea richiesto e non quelle del Paese richiedente, ha richiamato la giurisprudenza formatasi sulle attivita' d'indagine intraprese dallo Stato estero, rispetto alle quali ha ritenuto il limite invalicabile della non violazione di norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento, precisando che essi non coincidono, tuttavia, con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando a chi eccepisce una incompatibilita' l'onere di dimostrarla, essendo precluso all'autorita' richiedente un vaglio sulla legittimita' delle modalita' esecutive dell'atto, ove non sia indicata una specifica modalita' nella richiesta, a maggior ragione allorquando l'atto d'indagine sia stato gia' compiuto nel corso di autonome iniziative dell'autorita' straniera. Inoltre, per quel giudice, dalla mancata conoscenza di dati relativi alla decriptazione della messaggistica, non potrebbe ipso facto inferirsi l'alterazione del dato originale, poiche' il relativo algoritmo non muta in alcun modo il contenuto del dato, evenienza che, nella specie, era stata peraltro prospettata in termini astratti e, quindi, ipotetici. Inconferente, poi, e' stato ritenuto il rinvio della difesa a un precedente di questa stessa sezione (sez. 4, n. 32915/2022, Lori): secondo il ragionamento rinvenibile nell'ordinanza impugnata, infatti, in quel diverso caso (pur inerente a messaggistica scambiata sulla piattaforma (OMISSIS)), era stato censurato il provvedimento del PM cli rigetto dell'ostensione alla difesa della documentazione riferibile alle comunicazioni criptate, consegnate tramite Europol e non direttamente dall'autorita' giudiziaria dello Stato estero, come nel caso di specie, nel quale il materiale informatico era stato trasmesso dal Tribunale di Parigi. Il Tribunale ha rilevato che in atti erano versati tutti i documenti inviati dall'autorita' francese in risposta ai singoli O.E.I. e depositati i provvedimenti genetici con i quali l'AG francese aveva disposto l'acquisizione della messaggistica, emergendo da essi il richiamo alle norme procedurali relative alla acquisizione di dati informatici (gia' presenti), riferibili alla piattaforma (OMISSIS), esaminate dal Tribunale di Reggio Calabria e riportate nella nota sopra richiamata. Nella ordinanza si e', infine, ribadito che, nel contesto della cooperazione penale tra Paesi membri UE, vige la presunzione di legittimita' in ordine all'attivita' di acquisizione dei dati trasmessi, precisandosi al contempo che gli stessi sono sempre sottoposti alle regole processuali e sostanziali proprie del Paese richiedente. In merito alla identificazione degli indagati, quali users dei singoli PIN associati ai dispositivi, il Tribunale ha dato atto di quanto esposto nella informativa circa il metodo utilizzato: si era accertato, infatti, che alcuni indagati erano utilizzatori di cripto-telefonini per scambio di messaggistica sulla piattaforma (OMISSIS), ove ogni user e' identificato con un PIN, al quale e' a sua volta associato un nickname coincidente con il nomignolo, con il quale gli indagati venivano chiamati durante le conversazioni intercettate. Cosi', muovendo dall'analisi dei riferimenti operati dagli stessi utilizzatori dei dispositivi (soprannomi/nomignoli, nome e cognome, particolari di vita o accadimenti attribuiti a determinati soggetti), era stato possibile associare PIN e nickname a ciascun indagato, anche grazie ai riscontri di polizia operati sull'oggetto dei riferimenti di volta in volta fatti dai soggetti interessati. Quanto a (OMISSIS), egli e' stato identificato come user dei PIN 7NS74S e PUCNL9, con nickname "Berlino". L'identificazione era avvenuta incrociando plurimi dati: in una intercettazione telematica del 12/11/2020, (OMISSIS) aveva fornito numerose notizie a tal fine utili, dicendo al (OMISSIS) che "Berlino" era un tale " (OMISSIS)" che viveva a Goia Tauro e, in risposta, il (OMISSIS) ne indicava il cognome " (OMISSIS)", facendo riferimento a un episodio - l'incendio di un peschereccio - che era stato riscontrato al pari dei dati anagrafici. L'abbinamento del nickname cosi' attribuito all'indagato al PIN (OMISSIS) era avvenuto grazie al servizio di geolocalizzazione delle utenze certamente riferibili al predetto, avendo tale accertamento consentito di seguire l'utilizzatore in relazione agli appuntamenti e alle distanze percorse, assolutamente compatibili con i dati ricavati dal contenuto delle chat scambiate con quel PIN. Quanto, invece, all'associazione con il PIN (OMISSIS), l'utilizzatore era lo stesso del PIN di cui si e' gia' detto, perche' vi era continuita' nell'uso dello stesso nickname "(OMISSIS)", esclusa ogni possibilita' di omonimia, stanti le stesse affermazioni dell'utilizzatore (Sono (OMISSIS) nuovo contatto), che aveva inviato il nuovo PIN usando il precedente. Gli elementi identificativi raccolti sull'utilizzatore di tale secondo PIN sono peraltro rappresentati da riferimenti di analogo tenore di quelli che avevano consentito di associare all'indagato anche il primo PIN (natante incendiato al quale si era riferito (OMISSIS) per far comprendere in modo criptico all'interlocutore (OMISSIS) il luogo dove il (OMISSIS) effettivamente si trovava). Cio' premesso, il Tribunale ha ritenuto sussistente un grave quadro indiziario della intraneita' del (OMISSIS) al sodalizio di cui al capo 1) della incolpazione provvisoria, ma anche in ordine ai singoli reati-fine, rilevando, quanto alla prima, che gli elementi acquisiti avevano consentito di accertare, anche mediante il monitoraggio delle singole importazioni, il modus operandi del gruppo. Pertanto, muovendo proprio dai reati fine, il Tribunale ha effettuato una ricostruzione di ciascun episodio, sulla scorta degli elementi acquisiti, esposti nell'ordinanza, anche attraverso la trascrizione di alcune comunicazioni, ritenute di pregnante significato. In particolare, ha descritto le singole operazioni di c.d. esfiltrazione dal porto di Gioia Tauro delle partite di cocaina provenienti dal Sudamerica, per le quali si rinvia alle pagg. da 13 a 14 dell'ordinanza impugnata, dando conto di un modus operandi ripetitivo e collaudato, in forza del quale l'organizzazione importatrice si rivolgeva a uno dei gruppi criminali (due dei quali attivi in Gioia Tauro e Palmi) per la esfiltrazione della droga da quel porto; a loro volta, i gruppi criminali incaricati definivano i dettagli delle operazioni, assegnando il "lavoro" a vere e proprie "squadre" di operai portuali infedeli, che provvedevano a interferire sugli ordinari turni lavorativi, onde garantire la loro presenza all'arrivo della droga; a costoro spettava di trasferire la droga dal container arrivato a quello di uscita che veniva, poi, prelevato tramite impiego di altre compagini criminali che avevano lo specifico compito di ritirare il carico mediante mezzi pesanti, sfruttando le attivita' di aziende compiacenti (nell'ordinanza viene efficacemente descritto il movimento dei containers che venivano affiancati e coperti dall'alto per scongiurare la possibilita' di controlli, cosicche' il trasbordo avveniva in modo indisturbato e coperto). Tale complessa organizzazione era semplificata e, in un certo senso, improvvisata, per carichi piccoli, richiedendo invece particolare programmazione per quelli grossi. In tale schema, (OMISSIS), in cooperazione con (OMISSIS) e (OMISSIS), era uno dei soggetti preposti all'uscita della droga dal porto di Gioia Tauro e alla consegna della stessa nei luoghi indicati dai vertici associativi, previa individuazione del container da impiegare per occultare i carichi esfiltrati, oltre a provvedere alla materiale contraffazione del sigillo da apporre al container utilizzato per l'uscita. Quanti agli elementi gravemente indizianti il concorso dell'indagato nei singoli reati scopo, gli stessi sono stati esposti alle pagg. da 15 a 20 dell'ordinanza impugnata e ad esse si rinvia per comodita' espositiva. In quelle pagine, peraltro, sono stati riportati stralci di conversazioni ritenute piu' pregnanti ai fini dimostrativi della condotta di reato di volta in volta considerata, in relazione alle diverse operazioni di esfiltrazione poste in essere e alle cessioni che l'incolpazione riconduce all'indagato (trattasi, specificamente, del recupero di due delle originarie quattro partite di cocaina, di cui al capo 2), il giorno 22/11/2020, in cui il ruolo dell'indagato e' stato quello di curare il trasporto fuori dall'area portuale; della cessione all'indagato di Kg. 20 di cocaina, da parte dei fratelli SCIGLITANO, l'acenti parte dei carichi esfiltrati, capo 4); della cessione di parte di tale quantitativo a (OMISSIS), capo 5), e a due soggetti non identificati in due separate occasioni, capi 6) e 7); nonche' del concorso nell'operazione descritta nel capo 8), unitamente ai co-indagati (OMISSIS) e (OMISSIS)). Il Tribunale, in conclusione, ha ritenuto che gli elementi disponibili consentissero di affermare l'esistenza di una organizzazione dedita al narcotraffico, le condotte superando il mero concorso nel reato, per convergere in un agire finalizzato all'interesse comune del gruppo, in virtu' di un intreccio di rapporti, contatti e incontri tra sodali, incaricati di svolgere ciascuno un proprio ruolo, avendo costoro agito in un arco temporale apprezzabile, in un contesto associativo che disponeva di provviste economiche consistenti e mezzi impiegati per far giungere in Italia ingenti carichi di droga, attraverso un vincolo stabile e duraturo e la programmazione di un numero indeterminato di importazioni. L'accordo iniziale era indicativo di una particolare pervicacia criminale, una capacita' organizzativa supportata da una trama di contatti e cautele denotanti estrema professionalita' e non comune capacita' di movimentare poderosi carichi di cocaina, grazie all'appoggio di "squadre" di portuali infedeli e di soggetti operanti all'interno degli uffici dell'amministrazione doganale o portuale. In tale contesto, e' stato possibile distinguere i singoli livelli dell'organizzazione criminosa: a livello apicale vi erano coloro che coordinavano le operazioni, rapportandosi con i narcotrafficanti esteri e i committenti, individuando i containers e coordinando infine le attivita' di dettaglio; a livello sottostante, un piu' nutrito gruppo di partecipi, ognuno con un proprio ruolo (accertare i tempi degli sbarchi, individuare i containers di uscita, provvedere alla contraffazione dei sigilli e alle esfiltrazioni, fare da tramite tra vertici e operai infedeli). Il gruppo era poi dotato di mezzi (cripto telefonini e radiotrasmittenti, utilizzati dai sodali per comunicare tra di loro). Quanto all'indagato, il Tribunale ha ritenuto che le sue condotte assumessero indubbia valenza indicativa della intraneita' al sodalizio, egli facendo parte della collaudata "squadra", avendo manifestato il suo interesse per la buona riuscita delle importazioni dal Sud America, essendosi prodigato per essa nella piena consapevolezza di interagire con altri associati, nel contesto di una strutturata organizzazione criminale. Ha, poi, ritenuto la gravita' indiziaria anche in ordine alle due aggravanti, quella della transnazionalita' e quella mafiosa, reputando sussistente la prima, alla luce delle modalita' dell'approvvigionamento della droga, cioe' tramite autonomi gruppi attivi nel settore, come ha ritenuto di ricavare dai quantitativi trasportati e dall'organizzazione del trasporto, il carico contenendo anche il sigillo clonato da sostituire una volta scaricata la droga. Quanto all'altra aggravante, ha rilevato il difetto di interesse, posto che la sua contestazione non avrebbe riverberato alcun effetto sul regime cautelare, tenuto conto del titolo dei reati contestati. Infine, quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale le ha ravvisate in quella di cui all'articolo 274 c.p.p., lettera a), avuto riguardo alla necessita' di un approfondimento dei fatti e di altri eventuali episodi e alla necessita' di individuare correi e altri partecipi, esigenze che potrebbero essere frustrate dall'occultamento di tracce dell'attivita' illecita e dalla concertazione di linee difensive, tenuto anche conto della messa in atto di accorgimenti in tal senso anche durante lo svolgimento dell'attivita' criminosa (il rinvio e' all'utilizzo dei cripto-telefonini e delle radiotrasmittenti); ma anche nel pericolo attuale e concreto di reiterazione criminosa, rinviando, da un lato, alla gravita' delle modalita' della condotta, dimostrative del fatto che il (OMISSIS), ove non ristretto, potrebbe porre in essere reati della stessa specie; dall'altro, alla sua personalita', egli essendosi reso disponibile, attraverso un sistema collaudato e non occasionale, ad importare quantitativi non esigui di cocaina avvalendosi di canali illeciti esteri. Ha, inoltre, valorizzato la pervicacia dell'indagato, non arrestatosi neppure a fronte dei controlli delle forze dell'ordine, ritenendo la misura piu' afflittiva l'unica in grado di scongiurare la reiterazione di analoghe condotte, risolutivamente rinviando alla doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura inframuraria, in difetto di elementi di segno contrario. 3. L'indagato ha presentato tre distinti atti di ricorso, due dei quali a firma dell'avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'avv. (OMISSIS). 3.1. I ricorsi a firma dell'avv. (OMISSIS). 3.1.1. Con un primo ricorso, questo difensore ha formulato quattro motivi. Con il primo, ha dedotto violazione di legge penale e processuale penale con riferimento alla condotta di partecipazione alla associazione criminosa di cui al capo 1) dell'incolpazione provvisoria. L'indagato avrebbe avuto rapporti con il solo (OMISSIS) e il Tribunale non avrebbe preso in considerazione le osservazioni difensive formulate con una memoria, attribuendo un ruolo associativo non confermato dagli elementi indiziari raccolti, egli non essendo titolare e neppure dipendente di una ditta di trasporti, ne' avendo mai contraffatto sigilli sui containers. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione, nella specie di manifesta illogicita' per omessa valutazione della memoria difensiva: la difesa aveva evidenziato che, secondo l'ipotesi accusatoria, l'indagato, oltre a svolgere un ruolo associativo nelle operazioni di esfiltrazione, sarebbe stato anche interessato ad approvvigionarsi di droga da cedere ai suoi clienti, ma in tal modo non sarebbe possibile comprendere quale sia l'effettivo contributo del predetto al sodalizio, emergendo una sola occasione (quella di cui al capo 2), durante la quale egli si sarebbe limitato a chiedere informazioni sul carico, interessamento peraltro finalizzato ad accaparrarsene una parte, senza neppure conoscere l'identita' del committente. Egli, peraltro, era comparso solo dopo la conclusione delle operazioni di esfiltrazione, non comprendendosi neppure a quale dei due gruppi, contestati nel medesimo capo d'incolpazione, apparterrebbe. Inoltre, il suo PIN non era inserito nelle chat di gruppo, la sua presenza essendo limitata all'acquisto di parte del carico di droga e neppure consta una spiegazione, sia pur in termini logico-giuridici, della sua consapevolezza di agire in forza di un vincolo associativo, egli dovendo, al contrario, di volta in volta, avviare trattative per acquistare parte della droga, cio' che, secondo la difesa, dimostrerebbe l'assenza di un accordo stabile, la sua condotta non avendo superato il livello del rapporto sinallagmatico-contrattuale. Con un terzo motivo, ha dedotto violazione della legge penale e processuale penale con riferimento alla valutazione della gravita' indiziaria per il capo 2), rilevando che in maniera contraddittoria i giudici territoriali avrebbero ritenuto l'indagato interessato all'affare, ma non utilmente coinvolto in esso, neppure a livello morale potendosi configurare un contributo, atteso che quello attribuito all'indagato non avrebbe alcuna efficacia etiologia rispetto alle operazioni di fuoriuscita del carico, la data di contestazione del 22 novembre 2020 rientrando pienamente nell'arco temporale descritto nel capo 4). Infine, con un quarto motivo, ha dedotto violazione di legge quanto al capo 8), anche per omessa valutazione della memoria difensiva, essendo emerso che l'indagato voleva carpire informazioni per un successivo acquisto. 3.1.2. Con l'altro ricorso, lo stesso difensore ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge penale e processuale penale con riferimento all'aggravante mafiosa, rilevando che la stessa ordinanza genetica non recherebbe una chiara enunciazione del percorso logico, in base al quale l'indagato avrebbe favorito plurime cosche storiche di âEuroËœndrangheta, essendo emerse solo notizie di conoscenze personali e occasionali di singoli soggetti, egli essendo risultato addirittura inviso a COPELLI, referente apicale di una delle cosche, tenuto anche conto della esiguita' dell'arco temporale nel quale i fatti s'inseriscono. 3.2. Ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS). Questo difensore ha formulato tre motivi. Con il primo, ha dedotto inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' con riferimento alle chat acquisite attraverso gli ordini Europei di indagine, rilevando che trattasi, nella specie, di vere e proprie intercettazioni, apprese dall'AG richiesta nel momento in cui le chat venivano create nel cripto-telefonino del mittente e trasmesse a quello del destinatario, momento nel quale il messaggio viene registrato. Richiama le caratteristiche di quella piattaforma, per rilevare che quel sistema non contempla la memorizzazione della messaggistica, unico sistema per captare i messaggi essendo quello di operare nel momento del loro transito. Assume che a seguito dell'OEI, l'Autorita' giudiziaria richiesta avrebbe eseguito la "mission", effettuando ricerche e procedendo alla estrazione delle conversazioni riguardanti gli IMEI oggetto del singolo O.E.I. associati ai due PIN d'interesse con riferimento all'indagato. Ma i dati di conoscenza sarebbero parziali, limitati alla attivita' di estrazione eseguita dalla polizia francese, il che non consentirebbe di conoscere la durata dell'attivita' di captazione, i termini iniziali e finali, le modalita', la polizia delegata, la presenza o meno di un'autorizzazione da parte dell'Autorita' giudiziaria francese, il che renderebbe il dato intercettativo inutilizzabile, il vizio genetico non potendo essere superato dal fatto che la prova proviene da uno Stato estero. Con un secondo motivo, ha dedotto violazione di legge con riferimento al rinvio al protocollo di cui all'articolo 234 bis c.p.p.: il difensore lamenta la condizione di ignoranza sull'attivita' posta in essere dalle autorita' francesi, essendo rimasta sconosciuta quella della polizia francese intesa ad abbinare i numeri IMEI identificativi dei cripto-telefonini ai PIN d'interesse, trattandosi di messaggi criptati, rispetto ai quali nulla e' dato conoscere sull'algoritmo utilizzato per la decrittazione. Il deducente, poi, rinvia a un precedente di questa di legittimita' del 2022 per inferirne la necessita', ai fini del rispetto delle prerogative difensive, della disponibilita' dei dati inerenti alle modalita' di acquisizione dei dati di cui si discute. Con il terzo motivo, infine, la difesa ha dedotto vizio motivazionale quanto alla ritenuta gravita' indiziaria di una partecipazione dell'indagato al sodalizio. Le risultanze, secondo il deducente, non darebbero conto di un ruolo associativo dell'indagato, gli stessi elementi valorizzati dal Tribunale dimostrando il dedotto deficit probatorio, non avendo quei giudici attribuito un ruolo specifico all'indagato, delineato in maniera complessa, facendo riferimento alle operazioni di esfiltrazione, al manifestato interesse a comprare una parte del carico esfiltrato, alla consegna della droga una volta portata fuori dall'area portuale, fatti pero' non sorretti da idonea gravita' indiziaria. 4. L'avv. (OMISSIS) ha depositato motivi aggiunti, con i quali ha sviluppato i motivi 1) e 2) del ricorso, con riferimento alla violazione del principio del contraddittorio, anche alla luce delle decisioni gia' assunte da questa Corte di legittimita' in analoghi procedimenti che si pongono in contrasto con il precedente di cui sopra (sez. 4 Lori del 2022). Osserva, inoltre che, nella specie, il mancato accesso ai dati relativi alla acquisizione delle chat avrebbe ripercussioni sul controllo della linea di custodia dei dati stessi, la tesi recepita dai pronunciamenti che si discostano dal precedente suindicato facendo riferimento a un dato probabile e non certo, rinvenibile in un elaborato depositato in altro procedimento. Sotto altro profilo, si contesta l'assunto della inattaccabilita' dell'algoritmo impiegato, siccome priva di supporto scientifico. Ancora, si rileva l'impossibilita' di una verifica in concreto della genuinita' ed integrita' dei dati e delle modalita' di acquisizione degli stessi - coperte, come consentito dalla disciplina nazionale dello Stato che ha materialmente eseguito l'attivita' di captazione (la Francia), da segreto di Stato. In conclusione, chiede a questa Corte di valutare la rimessione della questione alle Sezioni Unite, stante il rilevato contrasto, osservando che molte Corti Europee hanno gia' sollevato questione pregiudiziale davanti alla Corte del Lussemburgo in relazione alla stessa vicenda e con riferimento agli articoli 6 e 31 della Direttiva UE 2014/41, sollecitando pertanto questa Corte a operare analogamente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il primo tema da esaminare riguarda la questione inerente alla utilizzabilita' delle chat scambiate su piattaforma (OMISSIS), oggetto del primo motivo a firma dell'avv. (OMISSIS), sviluppato anche con i motivi aggiunti. 3. Il motivo e' infondato. La questione e' stata prospettata, non gia' in relazione alla violazione del disposto di cui all'articolo 309 c.p.p., comma 5, ("Il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti presentati a norma dell'articolo 291, comma 1, nonche' tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini"), essendo incontestato che la misura e' stata emessa alla luce del compendio riversato in sede di riesame. Pertanto, non e' in discussione, in questa sede, la sussistenza di una violazione idonea a far scattare la sanzione processuale prevista dal comma 10 della norma richiamata. 3.1. Cio' posto, venendo al punto cruciale della doglianza difensiva" occorre effettuare una premessa di tipo generale e di inquadramento normativo. Intanto, il PM ha agito nell'ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III (Procedura attiva) del Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo d'indagine penale. Il pubblico ministero non ha richiesto all'autorita' giudiziaria dell'altro Stato membro UE di procedere a un atto d'indagine, ma ha agito ai sensi dell'articolo 45 del decreto citato (Richiesta di documentazione inerente alle telecomunicazioni), ai limitati fini di chiedere la trasmissione di documentazione acquisita, non gia' d'iniziativa dell'autorita' richiedente, ma in possesso di quella richiesta con l'O.E.I. che l'aveva ottenuta in forza di una propria autonoma iniziativa, nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese. Occorre, inoltre, chiarire la natura dell'ordine di cui si discute. Si tratta di uno strumento inteso a implementare le esistenti forme di cooperazione penale nell'ambito dell'Unione, in coerenza con le linee poste dalla direttiva recepita: esso rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio, che costituisce la "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria in materia penale, e' a sua volta fondato sulla fiducia reciproca nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali (CGUE, 11 novembre 2021, Gavanozov, in C-852/19, in cui al § 54, la Corte del Lussemburgo ha operato un richiamo alla sentenza 8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Ordini di bonifico falsificati), C-584/19, punto 40). Nell'ambito di un procedimento riguardante un ordine Europeo di indagine, la garanzia di tali diritti spetta cosi' in primo luogo allo Stato membro di emissione, che si deve presumere rispetti il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo (v., per analogia, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, punto 50, richiamata al § 55). La direttiva 2014/41, inoltre, si basa sul principio dell'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine. Il suo articolo 11, paragrafo 1, lettera f), consente alle autorita' di esecuzione di derogare a tale principio, in via eccezionale, a seguito di una valutazione caso per caso, qualora sussistano seri motivi per ritenere che l'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine sarebbe incompatibile con i diritti fondamentali garantiti, in particolare, dalla Carta (CGUE C-852/19 cit. § 59). 3.2. Possiamo affermare, dunque, che la previsione di tale strumento si correla all'esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall'undicesimo Considerando della direttiva), e sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell'Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l'articolo 2 della direttiva, secondo cui "Gli Stati membri eseguono un OEI in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva" e l'articolo 9, secondo cui "L'autorita' di esecuzione riconosce un OEI, trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalita' e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalita' con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorita' dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Pertanto, l'ordine Europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformita' di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Borrelli, Rv. 284027, in motivazione, in fattispecie analoga a quella all'esame). Tale ricostruzione dello strumento di cooperazione penale all'esame e' del tutto coerente, peraltro, con i principi affermati dalla corte del Lussemburgo in ordine alla Direttiva 41/2014/UE: essa, infatti, ha lo scopo, come risulta dai considerando da 5 a 8, di sostituire il quadro frammentario e complesso esistente in materia di acquisizione di prove nelle cause penali aventi dimensione transfrontaliera e tende, mediante l'istituzione di un sistema semplificato e piu' efficace basato su un unico strumento denominato "ordine Europeo di indagine", a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria al fine di contribuire a realizzare l'obiettivo assegnato all'Unione di diventare uno spazio di liberta', sicurezza e giustizia, fondandosi sull'elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri. A tal riguardo, emerge in particolare dai considerando 2, 6 e 19 di detta direttiva che l'ordine Europeo di indagine e' uno strumento che rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, il quale e' fondato sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio, che costituisce la "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria in materia penale, e' esso stesso fondato sulla fiducia reciproca nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali. In tale contesto, l'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 definisce l'ordine Europeo di indagine come una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorita' giudiziaria di uno Stato membro al fine di far eseguire uno o piu' atti di indagine specifici in un altro Stato membro al fine di acquisire prove, conformemente a tale direttiva, comprese quelle gia' in possesso delle autorita' competenti dello Stato membro di cui trattasi ((GC) C-584/19 - Staatsanwaftschaft Wien, §§ 39-41). 3.3. Nel caso all'esame (come, del resto, in quello esaminato dal giudice di legittimita' nel precedente da ultimo richiamato), l'ordine Europeo di indagine deve solo dar conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalita' previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire. E, nella specie, la richiesta ha riguardato la "Acquisizione di informazioni o di prove gia' in possesso dell'autorita' di esecuzione", con riferimento alle chat, ai files, agli audio e ai video inerenti ai PIN degli users del sistema (OMISSIS) d'interesse per la presente indagine. Tali prove e' indiscusso siano state gia' acquisite dal Tribunal judiciaire de Paris autonomamente e non su richiesta dell'ufficio di Procura procedente nel nostro Paese. E' altrettanto certo, poi, per quanto efficacemente evidenziato nel provvedimento impugnato, che l'autorita' richiesta non ha ottenuto quei dati in forza di un'autorizzazione a procedere a intercettazioni di flussi in corso (il punto e' analiticamente e ampiamente spiegato nell'ordinanza censurata, nella quale si e' dato anche atto delle regole processuali interne, attivate dal Tribunale francese, nonche' spiegato il riferimento al periodo di "4 mesi" indicato nei provvedimenti giudiziari francesi, indicativo non gia' di un'acquisizione di dato dinamico, ma della validita' dell'autorizzazione con riferimento ai singoli accessi per l'acquisizione dei dati conservati nel server). Si e' trattato, dunque, di acquisire una prova statica, gia' presente, non soggetta ad una procedura dinamica di acquisizione. L'Autorita' francese, dunque, in questo caso come in quello nella diversa sede esaminato, si e' resa garante del rispetto delle procedure dello Stato di esecuzione (la Francia), avendo il Tribunale del riesame dato atto che dalla documentazione trasmessa era dato verificare la modalita' di acquisizione e conservazione dei dati da parte dell'Autorita' giudiziaria francese. 3.4. A fronte di tale premessa, non puo' non rilevarsi come la censura difensiva si fondi su un errato presupposto. La difesa ritiene esistente un potere di vaglio della legittimita' del procedimento di acquisizione della documentazione di che trattasi in capo all'autorita' decidente italiana, ma l'argomento e' smentito dal contesto normativo di riferimento e dalla natura dello strumento investigativo utilizzato. La critica difensiva sconta l'omesso, effettivo confronto con quanto opportunamente precisato dal Tribunale che, in piu' passaggi della motivazione censurata, ha sottolineato il distinguo rispetto al precedente di questa sezione richiamato dalla difesa (sez. 4, n. 32915/2022, Lori), nel quale era stata scrutinata una questione processuale parzialmente diversa (avente sempre a oggetto la messaggistica acquisita attraverso l'accesso ai servers di (OMISSIS)): in quella sede, infatti, la difesa aveva formulato espressa istanza di accesso al pubblico ministero per avere la disponibilita', tra l'altro, anche della "documentazione" (comprensiva dei tiles) consegnata da un organo di indagine, quale EUROPOL, a seguito dell'accesso ai server di (OMISSIS), con indicazione delle modalita' di acquisizione da parte di quella polizia. Situazione, dunque, non sovrapponibile a quella in esame, nella quale la Procura di Reggio Calabria ha chiesto la trasmissione di documenti che erano gia' stati autonomamente acquisiti dal giudice francese. Pertanto, deve ritenersi corretto l'incedere argomentativo dei giudici del riesame allorquando richiamano il principio generale di presunzione di legittimita' delle prove acquisite dall'autorita' giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione Europea: si e' gia' affermato, infatti, che l'utilizzazione degli atti trasmessi mediante rogatoria attiva, non e' condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarita' delle modalita' di acquisizione esperite dall'autorita' straniera, in quanto vige la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spetta al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari (in tal senso, sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, Torzi, in cui in motivazione si rinvia anche a sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Ruso, Rv. 269015 01; a sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, Mutari, Rv. 247750 - 01; e a sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Pizzata, Rv. 243796 - 01; ma anche a sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457 - 01, in cui si e' ritenuta la utilizzabilita' della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorita' straniere in un diverso procedimento penale all'estero - anche al di fuori dei limiti stabiliti dall'articolo 238 c.p.p. e articolo 78 disp. att. c.p.p., con il solo limite che tale attivita' non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, i quali, pero', non si identificano necessariamente con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando inoltre a chi eccepisca tale incompatibilita' l'onere di dare la prova di essa, proprio in un caso in cui la richiesta aveva riguardato l'acquisizione di documentazione, come nella specie, e non l'esecuzione, da parte dell'autorita' straniera, di un atto di acquisizione probatoria). In conclusione, va ribadito quanto gia' affermato da questa Corte di legittimita' e da questa stessa sezione, piu' in generale: il diritto straniero e' un fatto e spetta a chi eccepisce il difetto di compatibilita' delle norme di quell'ordinamento con quelle interne dimostrarne il contenuto, e cio' tanto piu' laddove si tratti, come nel caso di specie, del diritto di un Paese membro dell'Unione Europea (sez. 4, n. 19216 del 6/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 274296, principio affermato in materia di intercettazioni, ma ancor piu' valido nel caso di acquisizione di documentazione). 3.5. Una volta riaffermato che la messaggistica di che trattasi non costituisce esito di captazione di conversazioni durante il flusso dinamico delle stesse, bensi' acquisizione di dati informatici direttamente utilizzabili a fini di prova (vedi, in motivazione, sez. 1, n. 34059 del 1/7/2022, Mo/isso), corretto e' il riferimento alla norma interna alla stregua della quale il materiale e' stato ritenuto utilizzabile: in altre decisioni, questa Corte ha gia' confermato l'avvenuta individuazione proprio nell'articolo 234 bis c.p.p. (introdotto dal Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7, articolo 2, comma 1 bis, convertito, con modificazione, nella L. 17 aprile 2015, n. 43), a mente del quale "E' sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Il Tribunale, nell'ordinanza impugnata, ha affrontato la questione sotto il profilo della esistenza di un valido consenso all'acquisizione, trattandosi di dati non pubblici, detenuti dal Tribunale di Parigi che ne poteva legittimamente disporre. Orbene, una volta chiarita la natura dei dati acquisiti, e' rispetto ad essa che va verificata, ai fini della successiva utilizzabilita' nel presente procedimento, la legittimita' della loro apprensione con lo strumento azionato (nella specie, l'ordine di indagine emesso dal pubblico ministero). I dati acquisiti sono pienamente utilizzabili anche sotto tale profilo. In plurime decisioni di questa Corte, ormai, si e' riconosciuta l'applicabilita', ai casi come quello all'esame, della disposizione di cui all'articolo 234 bis c.p.p., stante la natura di documento del dato acquisito (come sopra chiarita), ritenuto il consenso all'acquisizione da parte del "legittimo titolare" di quei documenti o dati conservati all'estero, da intendersi come soggetto che di quei documenti o di quei dati poteva disporre: requisito in presenza del quale (in alternativa all'ipotesi di documento di pubblico dominio) e' pienamente legittimo il compimento di un'attivita' di acquisizione diretta di documentazione all'estero e che, invece, se assente, avrebbe reso necessaria l'attivazione di procedure di cooperazione giudiziaria internazionale (sez. 6, n. 18907/21, Civale, cit., in motivazione). Nella specie, i dati non sono stati richiesti a un detentore privato (per esempio, la (OMISSIS) che gestiva, prima della sua violazione da parte di polizie straniere, la piattaforma della quale si discute), ma ad un'autorita' giudiziaria che, nell'ambito di un diverso e autonomo procedimento, li aveva acquisiti dal server ove i dati stessi erano stati immagazzinati nell'ambito di altra indagine avente ad oggetto proprio la violazione di quella piattaforma (resa pubblica nel marzo del 2021). Rispetto a tale ricostruzione, pertanto, pare del tutto improprio parlare di consenso, dovendosi piuttosto verificare se, rispetto alla norma interna, chi ha trasmesso i dati ne potesse legittimamente disporne. E la risposta non puo' che essere positiva, sempre nei limiti del vaglio di coerenza con i principi fondamentali del nostro ordinamento, poiche' l'attivita' di acquisizione si e' addirittura svolta sotto la direzione di un giudice (il Tribunale di Parigi). In ogni caso, l'eventuale difetto del mancato consenso della societa' di gestione del server non configurerebbe la violazione di una norma inderogabile o di un principio fondamentale del nostro ordinamento, trattandosi di norma processuale interna, che non si identifica necessariamente con i principi fondamentali del nostro ordinamento (sul punto sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457, cit.). In realta', non assume rilevanza, in questa sede, la questione se quei dati siano stati acquisiti dalla magistratura francese ex post o in tempo reale (quindi come "dati freddi" o come "flussi di comunicazioni"). Infatti, quando la magistratura italiana chiese di ottenere quei dati e (a maggior ragione) quando quei dati le furono trasmessi, i flussi di comunicazione non erano certamente piu' in corso. La situazione non era dissimile, dunque, da quella che si verifica quando viene acquisito ex post un flusso di comunicazioni, scritte o per immagini, memorizzato sulla memoria di un apparecchio telefonico. In questi casi, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la disciplina degli articoli 266 e ss. c.p.p. non possa trovare applicazione essendo destinata ad operare solo con riferimento a flussi di comunicazioni in atto (sez. 5, n. 1822 del 21/11/2017, Parodi, Rv. 272319; sez. 3, n. 29426 del 16/4/2019, Molitemo, Rv. 276358; sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319). 3.6. In definitiva, deve rilevarsi che la misura e' stata emessa sulla scorta della documentazione posta nella disponibilita' della difesa, con pieno rispetto dunque delle regole del contraddittorio e delle prerogative difensive. Essa e' costituita da atti richiesti all'autorita' giudiziaria francese che li aveva autonomamente acquisiti secondo le regole processuali proprie di quello Stato membro. La verifica del rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento e' stata operata dal Tribunale che, oltre ad avere richiamato in nota (vedi pagg. 7 e 8 della ordinanza impugnata) le norme processuali penali francesi, ha precisato che l'apprensione di quei dati era stata disposta dall'autorita' giudiziaria e non da un organo di polizia, in maniera coerente con il principio fondamentale posto dall'articolo 15 della nostra Costituzione. 3.7. Neppure puo' essere accolta la sollecitazione della difesa, contenuta nei motivi aggiunti, a rimettere la decisione alle Sezioni unite per asserito, esistente contrasto in punto utilizzabilita' dei dati dei quali si discute, essendosi gia' sopra chiarita la diversita' del contesto fattuale nel quale si e' inserito il precedente di questa Sezione (sentenza Lori del 2022) ed evidenziato il consolidarsi dell'orientamento seguito dalle altre sezioni e da questa stessa sezione sui punti al vaglio nel presente procedimento. Allo stesso modo, non puo' esser recepita la sollecitazione a promuovere questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Sul punto, deve intanto premettersi che, nel giudizio di cassazione, non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea ai sensi del citato articolo, ove la parte si limiti a censurare direttamente l'incompatibilita' con il diritto Euro-unitario delle conseguenze di fatto derivanti dall'interpretazione del diritto interno, senza sollecitare un'esegesi generale e astratta della normativa nazionale ritenuta incompatibile con quella Europea (sez. 6, n. 44436 del 4/10/2022, Pa/amara, Rv. 28415101); e va pure ribadito che l'interpretazione fornita dalla CGUE dell'articolo 267, comma 3 TFUE, laddove prevede l'obbligo del rinvio per il giudice di ultima istanza, e' nel senso che non v'e' obbligo di rimettere in via pregiudiziale le questioni relative all'interpretazione delle norme comunitarie alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea quando il giudice nazionale abbia constatato che la questione non sia pertinente ne' rilevante, che la disposizione comunitaria abbia gia' costituito oggetto di interpretazione e che la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sez. 3, n. 33101 del 07/06/2022, Prandini, Rv. 283519-02; sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Casta/do, Rv. 281997). 3.7.1. Cio' posto, questa Corte ha fugato i dubbi interpretativi opposti a difesa e ritiene, pertanto, di non dover sollevare la questione pregiudiziale sollecitata. Nella specie, i quesiti proposti dalla difesa attengono all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva UE 2014/41, che indica quali debbano essere le "condizioni di emissione e trasmissione di un OEI" e, secondo il deducente, dovrebbe chiedersi alla Corte di Giustizia "se un ordine Europeo di indagine (in prosieguo: l'"OEI") volto all'acquisizione di prove gia' in possesso dello Stato di esecuzione (nel caso di specie: la Francia) debba essere emesso da un giudice, se, in base alla normativa dello Stato di emissione (nel caso di specie: l'Italia), la raccolta delle prove che ne costituisce la base avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice in un caso interno analogo". Il quesito non e' pertinente, ne' rilevante nel caso in esame. Come gia' chiarito, i dati acquisiti dal pubblico ministero italiano mediante OEI sono qualificabili come "dati freddi" ai sensi dell'articolo 234 bis c.p.p. e l'ordinamento interno non richiede che l'acquisizione di questo tipo di dati debba essere ordinata da un giudice. Dovrebbe chiedersi, in subordine, "se cio' trovi applicazione quantomeno nel caso in cui lo Stato di esecuzione abbia eseguito la misura di cui trattasi nel territorio dello Stato di emissione con l'obiettivo di mettere successivamente i dati ottenuti a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione interessate ai dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale" e "se un OEI mirante all'acquisizione di prove debba sempre essere emesso da un giudice (o da un organismo indipendente non coinvolto nelle indagini penali), senza tener conto delle norme nazionali in materia di competenza dello Stato di emissione, qualora la misura riguardi gravi ingerenze in diritti fondamentali di rango elevato". I quesiti si ispirano a quelli sottoposti alla CGUE dal Landgericht Berlin il 24 ottobre 2022 (causa C-670/22, come risulta anche dagli allegati alla memoria contenente i motivi aggiunti). Quella autorita', infatti, dovendo utilizzare elementi di prova acquisiti con OEI emessi dal pubblico ministero tedesco ed eseguiti dalla magistratura francese, aventi ad oggetto dati analoghi, ha investito la Corte di Giustizia ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Non e' chi non veda come, in quella diversa sede, la questione pregiudiziale sia stata sollevata alla luce delle norme processuali dell'ordinamento tedesco, avendo l'autorita' tedesca peraltro prospettato che le attivita' eseguite dallo Stato di esecuzione avevano avuto ab origine l'obiettivo di mettere successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione i dati ottenuti. Pertanto, anche tale quesito e' irrilevante nel caso all'esame, nel quale la magistratura italiana ha chiesto di acquisire i risultati di attivita' di indagine autonomamente svolte dalla magistratura francese e gia' esaurite alla data dell'emissione degli OEI. 3.7.2. Ma la questione e' irrilevante anche con riferimento all'autorita' di emissione dell'OEI. La difesa ha omesso di considerare che, in base all'articolo 2 della Direttiva 2014/41/UE, l'OEI puo' essere emesso indifferentemente da "un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato"; oppure da autorita' non giudiziarie, ma competenti a svolgere indagini nell'ambito dei procedimenti penali e a disporre l'acquisizione di prove in conformita' del diritto nazionale, sebbene, in tal caso, l'ordine debba essere convalidato da un'autorita' giudiziaria che sara' considerata autorita' d'emissione ai fini della trasmissione dell'ordine stesso. Nella specie, l'OEI e' stato emesso da un pubblico ministero italiano, quindi da un magistrato indipendente da altri poteri dello Stato, stante lo statuto disegnato dalla nostra Carta fondamentale. Trattasi, dunque, di un magistrato certamente rientrante nell'elenco sopra richiamato, contenuto nella citata Direttiva, non ponendosi, dunque, per il nostro ordinamento, neppure astrattamente, l'esigenza di una verifica di coerenza sotto tale profilo. Sul punto, pare peraltro utile osservare come la Corte del Lussemburgo abbia addirittura statuito che l'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2, lettera c), della direttiva 2014/41 devono essere interpretati nel senso che rientra nelle nozioni di "autorita' giudiziaria" e di "autorita' di emissione", ai sensi delle disposizioni sopra citate, il pubblico ministero di uno Stato membro o, piu' in generale, la procura di uno Stato membro, indipendentemente dal rapporto di subordinazione legale che potrebbe esistere tra tale pubblico ministero o tale procura e il potere esecutivo di tale Stato membro, e dall'esposizione di detto pubblico ministero o di detta procura al rischio di essere soggetti, direttamente o indirettamente, ad ordini o istruzioni individuali da parte del predetto potere (vedi C-584/19, citata). 3.7.3. Quanto, poi, ai residui quesiti, gli stessi ineriscono piu' specificamente alla problematica del c.d. affidavit interstatale, ricavabile dall'articolo 6, § 1, lettera a) della piu' volte menzionata Direttiva, dubitando il ricorrente della compatibilita' della disciplina dello Stato richiesto (la Francia che ha opposto il segreto di stato sulle attivita' di captazione) con il nostro ordinamento, per impossibilita' di verificare quanto trasmesso. In tale prospettiva, il ricorrente ha sollecitato di proporre la questione se: - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a un OEI volto al trasferimento di dati gia' disponibili nello Stato di esecuzione (la Francia) derivanti da un'intercettazione di telecomunicazioni - in particolare, dati relativi al traffico e all'ubicazione, nonche' registrazioni dei contenuti delle comunicazioni - qualora, in primo luogo, l'intercettazione effettuata dallo Stato di esecuzione riguardi tutti gli utenti di un determinato indirizzo di comunicazione, in secondo luogo, venga richiesto, tramite l'OEI, il trasferimento dei dati relativi a tutti gli indirizzi utilizzati sul territorio dello Stato di emissione e, in terzo luogo, non vi fossero indizi concreti della commissione di gravi reati da parte di detti singoli utenti al momento in cui e' stata disposta ed eseguita la misura di intercettazione ne' al momento dell'emissione dell'OEI; - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a tale OEI qualora l'integrita' dei dati ottenuti grazie alla misura di intercettazione non possa essere verificata dalle autorita' dello Stato di esecuzione a causa dell'assoluta riservatezza dei dati; - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2014/41 osti a un OEI volto al trasferimento di dati di telecomunicazione gia' in possesso dello Stato di esecuzione (la Francia), qualora la misura di intercettazione di detto Stato alla base della raccolta dei dati sarebbe stata illegittima ai sensi del diritto dello Stato di emissione (l'Italia) in un caso interno analogo; - in subordine, cio' valga almeno allorche' lo Stato di esecuzione abbia effettuato l'intercettazione sul territorio dello Stato di emissione e nell'interesse di quest'ultimo. Premesso che i due ultimi quesiti sono del tutto de-assiali rispetto al thema decidendum, nella specie non avendo avuto l'OEI ad oggetto la richiesta di acquisizione di una prova da parte dello Stato richiesto, ma solo la trasmissione di una prova gia' acquisita da quel Paese che neppure e' stata acquisita al fine di metterla poi a disposizione dello stato richiedente, anche i primi due sono comunque irrilevanti, introducendo questioni non pertinenti e imponendosi la corretta applicazione del diritto unionale con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. Nella specie, infatti, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria non ha chiesto alla Autorita' giudiziaria francese la trasmissione di dati relativi a tutti citi indirizzi utilizzati sul territorio italiano da una generalita' di utenti non individuata, bensi' la trasmissione di dati transitati su utenze riferibili ad alcuni specifici PIN, nell'ambito di un procedimento penale nel quale erano gia' emersi concreti indizi di reato. Quando gli OEI furono emessi, infatti, erano gia' in corso per quei reati operazioni di intercettazione regolarmente autorizzate dall'autorita' giudiziaria italiana. Il secondo quesito inerisce al controllo della integrita' dei dati trasmessi e, sul punto, pare sufficiente un rinvio a quanto gia' esposto a proposito delle censure, ritenute infondate, al ragionamento dei giudici territoriali, le chat essendo state trasmesse su supporto informatico dal Tribunale di Parigi che ne ha attestato la genuinita' della catena di custodia. 3.7.4. Anche gli ulteriori quesiti mancano l'obiettivo di introdurre dubbi in ordine alla corretta applicazione della Direttiva n. 41/2014, come implementata nel nostro ordinamento. La difesa, invero, continua a reiterare un erroneo approccio metodologico, omettendo di considerare il sistema delineato dalla Direttiva stessa, come sopra gia' ampiamente ricordato, opponendo un ipotetico abbassamento del livello delle garanzie difensive che, tuttavia, il legislatore sovranazionale ha debitamente preso in carico, disegnando uno strumento, come l'OEI, che presuppone l'osservanza delle garanzie dell'indagato e il rispetto del principio del giusto processo, anche mediante un rinvio, nei considerando, agli arti:. 48 e 52 della Carta di Nizza (considerando 12) e alle direttive 2010/64/UE, 2012/13/UE e 2013/48/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che riguardano i diritti procedurali nei procedimenti penali (considerando 15). Il legislatore Europeo, peraltro, ha richiamato l'obbligo del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi giuridici fondamentali, sanciti dall'articolo 6 TUE e dei diritti, delle liberta' e dei principi sanciti nella Carta (considerando 18), ma ha anche precisato che, nonostante la creazione di uno spazio di liberta', di sicurezza e di giustizia nell'Unione si fondi sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformita', da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell'Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali, si tratta di una presunzione solo relativa che implica che, in caso vi siano seri motivi per ritenere che l'esecuzione di un atto di indagine richiesto in un OEI comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l'esecuzione dell'OEI dovrebbe essere rifiutata (considerando 19). In tale prospettiva, l'articolo 11, §1, lettera f), della Direttiva costituisce l'autorita' di esecuzione garante della compatibilita' dell'OEI con gli obblighi dello Stato di esecuzione ai sensi dell'articolo 6 TUE e della Carta, cosicche' deve ritenersi che in tale Stato si impone il controllo del rispetto dei diritti fondamentali e degli altri diritti processuali della persona sottoposta a indagini o imputata, con possibilita' di un controllo sulla decisione (mezzi di impugnazione). Nella specie, i dati sono stati forniti dal Tribunale di Parigi e, pertanto, nella acquisizione degli stessi e' intervenuta una autorita' giurisdizionale. A fronte di cio', la denuncia della violazione delle garanzie fondamentali dell'indagato o dell'imputato da parte delle autorita' dello Stato di esecuzione dinanzi all'autorita' dello Stato di emissione dell'OEI non puo' tradursi nella mera enunciazione dell'ipotesi, ma deve avere contenuto puntuale e adeguato corredo dimostrativo, requisiti non soddisfatti nel caso all'esame. 3.7.5. Infine, la difesa ha formulato dei dubbi anche con riguardo all'articolo 31 alla interpretazione dell'articolo 31, §§ 1 e 3, direttiva UE 2014/41, chiedendo porsi questione se: - una misura correlata con l'accesso clandestino ad apparecchiature terminali volta ad ottenere dati relativi al traffico, all'ubicazione e alle comunicazioni di un servizio di comunicazione via Internet costituisca un'intercettazione di telecomunicazioni ai sensi dell'articolo 31 della direttiva 2014/41; - la notifica di cui all'articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 debba essere sempre trasmessa a un giudice o se cio' valga quantomeno quando, in base al diritto dello Stato notificato (l'Italia), la misura prevista dallo Stato di intercettazione (la Francia) potrebbe, in un caso interno analogo, essere ordinata solo da un giudice; - ove l'articolo 31 della direttiva 2014/41 miri anche alla protezione dei diritti dei singoli utenti dei servizi di telecomunicazioni interessati, detta protezione si estenda anche all'utilizzo dei dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale nello Stato notificato (l'Italia) e, in caso affermativo, detta finalita' sia equiparata alla finalita' ulteriore di proteggere la sovranita' dello Stato membro notificato. La questione e' irrilevante. L'autorita' giudiziaria italiana non ha chiesto l'esecuzione di intercettazioni, ne' e' stata richiesta in tal senso. Pertanto, non sussistono dubbi interpretativi sul punto specifico. Infine, non vi e' alcun dubbio da dirimere "sulle conseguenze giuridiche di una disciplina che pare aver legittimato, sulla scorta del principio di affidavit interstatale, l'acquisizione di prove in violazione del diritto dell'Unione". Si deve ribadire, infatti, che la premessa secondo la quale i dati trasmessi dalla Francia siano stati acquisiti in violazione del diritto dell'Unione non ha ricevuto in atti alcun riscontro. Pertanto, irrilevanti sono i rimanenti quesiti proposti dalla difesa con i motivi aggiunti. 4. Il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' parimenti infondato. La difesa censura l'omessa conoscenza dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita, la doglianza dovendosi correlare al tema, invero prospettabile in termini meramente ipotetici, della corrispondenza del dato originale con quello trasmesso. La censura non coglie nel segno perche' confonde il tema della genuinita' del dato decrittato con quello della garanzia di integrita' della catena di custodia. Sotto il primo profilo, pare opportuno ribadire quanto gia' chiarito in altre decisioni di questa Corte di legittimita': l'attivita' di acquisizione di dati in giacenza (definiti freddi) o l'intercettazione di dati telematici in transito permette l'acquisizione, qualora il messaggio telematico sia criptato mediante un impiego di un algoritmo o di una chiave di cifratura e trasformato in un mero dato informatico, di una stringa informatica composta da un codice binario. In questo caso - come si e' gia' detto - l'intelligibilita' del messaggio e' subordinata all'attivil:a' di decriptazione che presuppone la disponibilita' dell'algoritmo che consente di trasformare il codice binario in un contenuto dimostrativo, ma ogni messaggio cifrato e' inscindibilmente accoppiato alla sua chiave di cifratura, sicche' la sola chiave esatta produrra' una decifratura corretta, dovendosi escludere che possa decifrarne una parte corretta e una non corretta; ne' vi sono possibilita' che una chiave errata possa decrittare il contenuto, anche parziale, del codice umano contenuto (sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, clep. 2023, Calderon, Rv. 283998, in motivazione, ma anche sez. 1, n. 6363, Minichino, n. m., in pari data). Del tutto pertinente, pertanto, e' il rinvio operato dal Tribunale ai principi gia' affermati da questa Corte di legittimita' con riferimento alle intercettazioni di flussi comunicativi, essendo gia' stato chiarito, sia pur con riferimento alla decriptazione della messaggistica con sistema Blackberry (quindi, "pin to pin" e non "end to end", come nella specie) che l'uso dell'algoritmo esclude la possibilita' di alterazioni o manipolazioni dei testi captati, in quanto, secondo la scienza informatica, ne consente la fedele riproduzione, salvo l'allegazione di specifici e concreti elementi di segno contrario (sez. 4, n. 30395 del 21/4/2022, Chianchiano, Rv. 283454; sez. 6, n. 14395 del 27/11/2019, dep. 2020, Testa, Rv. 275534). Trattasi di principi che, senza alcuna contraddittorieta' del ragionamento giustificativo che su di essi si fondi, come denunciato a difesa, possono applicarsi al caso all'esame, restando indifferente la distinzione tra messaggistica gia' acquisita e captazione di flussi di comunicazione. Del resto, proprio in tema di messaggistica scambiata con sistema cifrato " (OMISSIS)" e "ENCROCHAT", si e' pure affermato che la decriptazione delle conversazioni e delle comunicazioni e' attivita' distinta dalla captazione, tali dati costituendo rappresentazioni comunicative incorporate in una base materiale con un metodo digitale, ovvero dati informatici che hanno consentito la intelligibilita' del contenuto di stringhe redatte secondo il sistema binario (sez. 6, n. 18907 del 20/4/2021, Civale, Rv. 281819, in motivazione; sez. 1, nn. 6363 e 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, cit.). 5. Il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e tutti i motivi dei due atti di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) sono manifestamente infondati. Premesso che il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimita', in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai suoi limiti, la sola verifica delle censure inerenti alla adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito (sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Mazzelli, Rv. 276976), va affermata la inammissibilita' del motivo di ricorso che censuri l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, se e' fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (sez. 6, n. 13442 del 8/3/2016, De Angelis, Rv. 266924; sez. 2, n. 38676 del 24/5/2019, Onofri, Rv. 277518; Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, Filardo, Rv. 280027). Nella specie, oltre a rilevarsi l'assenza della denunciata violazione di legge che si risolve sostanzialmente nella censura del percorso motivazionale seguito dai giudici territoriali, va considerata la natura del materiale probatorio esaminato dai giudici del merito, per ribadire il principio consolidato (sia pur in materia di intercettazioni) per il quale la interpretazione e la valutazione del contenuto di conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, Gregoli, Rv. 282337). La ricostruzione della associazione e' avvenuta alla stregua degli elementi riversati nella ordinanza impugnata, dai quali il Tribunale ha tratto l'esistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, tratteggiandone i connotati e la convergenza verso un obiettivo comune del gruppo, dando conto del ruolo del (OMISSIS) all'interno di quest'ultimo, ponendo in risalto elementi fattuali ricavabili anche dalle modalita' di consumazione di alcuni reati fine, ritenuti espressione del modus operandi del gruppo. I deducenti, di contro, si sono limitati a fornire una lettura alternativa delle emergenze fattuali, preclusa in questa sede, deputata unicamente al rilievo di violazioni di legge, tuttavia inesistenti, o di incongruita' motivazionali smentite pero' dalla esaustivita' e logicita' delle argomentazioni spese nell'ordinanza impugnata. In realta' le doglianze difensive (anche quelle veicolate con memoria) sono state esaminate dal Tribunale che, nel darne atto, vi ha replicato, contrariamente a quanto asserito nel secondo motivo di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), ritenendole inidonee a scalfire la gravita' degli elementi indiziari raccolti. Cosicche' deve escludersi l'asserito "silenzio" motivazionale in ordine a quanto dedotto con tale memoria, aggiungendosi peraltro che - in sede di legittimita' - non e' censurabile il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione complessivamente considerata (sez. 1 n. 27825 del 22/5/2013, Caniello, Rv. 256340; sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro', Rv. 275500). Inoltre, va ricordato, quanto al ruolo associativo, che non vi e' alcuna contraddittorieta' nel ragionamento in base al quale si e' ritenuto, sulla scorta delle informazioni ricavate dagli scambi tra gli indagati, che il (OMISSIS), non solo era stato impegnato nella fase della esfiltrazione che, come analiticamente indicato nella ordinanza, avveniva con un articolato modus operandi, applicato a operazioni ripetitive e della stessa specie, avvalendosi di squadre di portuali e di altri operatori infedeli, presupponendo, dunque, una piena consapevolezza dell'asservimento al sodalizio; ma era stato coinvolto anche nella fase del trasporto fuori dall'area portuale, senza che il suo interesse ad accaparrarsi una parte della droga possa esser letto per cio' solo in maniera contraddittoria rispetto alla disponibilita' manifestata con riferimento a fasi precedenti dell'operazione. Cio' che e' necessario, infatti, e' che i rapporti tra i soggetti che interagiscono in tale contesto si traducano in forme di interazione nell'ambito di un gruppo organizzato e non di relazioni di tipo diretto ed immediato, prive di riferimenti al ruolo esponenziale dei predetti per conto della consorteria (sez. 3, n. 9036 del 31/1/2022, Santoro, Rv. 282838). In tal senso, assume rilievo anche il coinvolgimento in un solo reato-fine, allorquando le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne rivelino, secondo massime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (sez. 3, n. 36381 del 9/5/2019, Cruzado, Rv. 276701-06), ruolo che si atteggi specificamente, in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890; n. 50965 del 2/12/2014, D'Aloia, Rv. 261379). 6. Infine, e' infondato il motivo formulato con l'ulteriore ricorso dell'avv. (OMISSIS). Quanto all'aggravante mafiosa, infatti, va premesso che, per la sua configurabilita', non e' richiesta la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento, non solo quando e' contestato l'utilizzo del metodo mafioso, ma anche quando e' addebitata la finalita' agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di contribuire all'attivita' di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalita' di controllo del territorio con le modalita' tipiche previste dall'articolo 416 bis c.p. (sez. 2, n. 27548 del 17/5/2019, Ga//e//i, Rv. 276109-01). Nella specie, il Tribunale ha descritto la fase della "committenza" dei lavori di esfiltrazione da parte dell'organizzazione criminale importatrice che si rivolge a uno dei gruppi criminosi (due dei quali operativi in Gioia Tauro e Palmi), al fine di organizzare le operazioni di esfiltrazione della droga dal porto, sino alla fase della consegna della droga nel luogo indicato dalla committenza. In ogni caso e risolutivamente, ai fini della valutazione dell'interesse all'annullamento, deve rilevarsi che, confermato il grave quadro indiziario nei termini di cui alla incolpazione provvisoria (ivi compresa l'aggravante speciale della transnazionalita' di cui all'articolo 61 bis c.p., non contestata dalla difesa), la legittimita' della misura non puo' ricondursi all'eventuale difetto dei presupposti di detta aggravante, stante l'assenza di ripercussioni sull'an o sul quomodo della cautela (sez. 3, n. 20891 del 18/6/2020, Piccirillo, Rv. 279508) anche quanto alla riduzione dei termini di fase della misura in atto (sez. 3, n. 36731 del 17/4/2014, Inzerra, Rv. 260256). Pertanto, anche sotto tale profilo, la Corte non ritiene esistenti dubbi interpretativi o questioni sulle quali si delinei un contrasto che impongano di accogliere la sollecitazione difensiva. 7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. BIANCHI Michele - rel. Consigliere Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 28/06/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELE BIANCHI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DALL'OLIO Marco, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio relativamente a (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente all'aggravante della premeditazione, quanto a (OMISSIS) relativamente alla responsabilita' per entrambi i capi ad esso ascritti; il rigetto degli ulteriori motivi di ricorso e la declaratoria d'irrevocabilita' della sentenza relativamente ai capi c) e d) ascritti a (OMISSIS); uditi i difensori: E' presente l'avvocato (OMISSIS), del foro di ROMA, quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), del foro di SALERNO in difesa di (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta delega depositata in udienza, che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. E' presente l'avvocato (OMISSIS), del foro di SALERNO in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono ascritti i reati di concorso nel tentato omicidio di (OMISSIS) (capo 1) e di concorso nel porto illegale di pistola calibro 22 (capo 2); fatti commessi in (OMISSIS). Nei confronti di (OMISSIS) sono ascritti il reato di detenzione illegale di munizioni per arma comune da sparo (capo 3) e di una munizione per arma da guerra (capo 4); fatti accertati in (OMISSIS) il (OMISSIS). Con sentenza in data 14 luglio 2021 il Tribunale di Salerno ha dichiarato (OMISSIS) colpevole di tutti i reati ascritti, esclusa l'aggravante della premeditazione ascritta al capo 1, condannandolo alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione; ha assolto (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati ascritti per non aver commesso il fatto. Proposto appello dal pubblico ministero e dalla difesa di (OMISSIS), la Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 28 giugno 2022, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati loro ascritti e, riconosciute, per tutti, l'aggravante della premeditazione e le attenuanti generiche equivalenti, li ha condannati, ciascuno, alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione, con conferma nel resto. La sera del (OMISSIS), attorno alle ore 19.30, auto Fiat punto, condotta da (OMISSIS) e con a bordo (OMISSIS), giungeva presso un bar di (OMISSIS); (OMISSIS), che si trovava fuori dal bar, alla vista dell'auto con i (OMISSIS) - suoi parenti - si allontanava salendo a bordo della sua auto Citroen Cl; effettuata manovra per allontanarsi, l'auto veniva attinta da un colpo di arma da fuoco sparato da (OMISSIS), che era sceso dalla auto; (OMISSIS) riusciva ad allontanarsi. Nell'immediatezza venivano rinvenuti in loco tre bossoli calibro 22, e a casa di (OMISSIS) veniva rinvenuta pistola calibro 22 e le munizioni elencate ai capi 3 e 4. Tramite accertamenti tecnici veniva riscontrata la compatibilita' dei tre bossoli con l'arma sequestrata a (OMISSIS). L'auto Citroen e' stata colpita nella fiancata sinistra, nella parte posteriore, ad una altezza di cm 70 da terra. Quanto a (OMISSIS), la persona offesa ha dichiarato che lo stesso era alla guida dell'auto Fiat punto e che, negli attimi in cui (OMISSIS) era sceso dall'auto ed aveva estratto la pistola, il figlio (OMISSIS) lo aveva incitato dicendo "Vai spara spara". (OMISSIS) ha confermato la prima circostanza, negando pero' di aver saputo che il padre avesse portato con se' la pistola. Quanto a (OMISSIS), la persona offesa ha riferito che egli era a bordo della Fiat punto, seduto nel divano posteriore, da dove non si era mai mosso. L'imputato ha negato la circostanza, affermando che, in quell'orario, si era trovato altrove con amici. Quanto al movente del fatto, si accertava che la sera precedente (OMISSIS) era stato aggredito, riportando lesioni personali, ad opera - secondo quanto dichiarato dall'imputato menzionato - di (OMISSIS), ed aveva riferito l'episodio al padre e al fratello (OMISSIS). (OMISSIS) ha dichiarato di aver avuto intenzione di affrontare (OMISSIS) in ragione di quanto accaduto al figlio (OMISSIS) la sera precedente. Entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto che l'azione compiuta da (OMISSIS) - esplosione di tre colpi di arma da fuoco in direzione dell'auto condotta da (OMISSIS) - integrasse la fattispecie ascritta al capo 1, risultando la volonta' di uccidere dalla direzione degli spari ed anche l'oggettivita' del fatto, trattandosi di condotta idonea a cagionare la morte ed univocamente diretta ad essa. La sentenza di primo grado aveva ritenuto non provato che (OMISSIS) avesse, sin dal momento nel quale era uscito alla ricerca del (OMISSIS), avuto l'intenzione di ucciderlo - il che ha portato ad escludere l'aggravante della premeditazione -, come non vi era prova che i figli (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero consapevoli che il padre (OMISSIS) avesse preso con se' la pistola. Di conseguenza, ha ritenuto che (OMISSIS) - impregiudicato l'accertamento in fatto circa la sua presenza o meno all'interno della fiat Punto non avesse concorso nel fatto. Quanto a (OMISSIS), e' stato ritenuto che l'elemento di accusa costituito dall'affermazione della vittima, esaminata quale indagato di reato connesso per l'aggressione della sera precedente, secondo la quale (OMISSIS) avesse incitato il padre a sparare - non avesse trovato il necessario riscontro. Inoltre, stante l'iniziale volonta' di ritorsione, al piu', lesiva dell'incolumita' del (OMISSIS), e l'ignoranza del fatto che il padre si fosse armato, e' stato ritenuto che l'esplosione dei colpi di pistola fosse evento per i due figli imprevedibile, con conseguente esclusione anche del titolo di responsabilita' ai sensi dell'articolo 116 c.p.. La sentenza di appello - quanto al momento di insorgenza del dolo omicidiario - ha ritenuto che fosse insorto sin dal momento nel quale era stata decisa la cosi' detta spedizione punitiva, circostanza desumibile dalle modalita' di organizzazione dell'agguato, ed ha quindi ritenuto sussistente l'aggravante della premeditazione. Con riguardo a (OMISSIS), si e' ritenuto che quanto dichiarato dalla persona offesa avesse trovato conferma da (OMISSIS) - che aveva riferito di aver appreso dal fratello (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva gridato al padre "vai, vai" -, trattandosi comunque di incitamento a quello che il padre, estratta la pistola, chiaramente voleva fare. Dunque, (OMISSIS) - che non e' rimasto sorpreso a vedere la pistola sapeva che il padre era armato ed aveva agito in perfetta coordinazione, e cio' provava la "previa pianificazione dell'azione criminosa"; infine, con l'incitamento aveva realizzato ulteriore condotta di rafforzamento del proposito omicidiario. Viene accertata la presenza di (OMISSIS) nell'auto, per averlo affermato la vittima e risultando falso l'alibi, secondo quanto prospettato dal pubblico ministero nell'atto di impugnazione. La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto che (OMISSIS) conosceva la volonta' di uccidere dei correi e vi aveva ha dato concorso salendo in auto e cosi' costituendo "costante memento" della vendetta da attuare. 2. I difensori degli imputati hanno presentato, con distinti atti, ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. 2.1. (OMISSIS). Con il primo motivo vengono denunciati violazione di legge e difetto di motivazione del giudizio in ordine al capo 1, sia quanto al dolo che all'elemento oggettivo del reato. L'unico colpo di arma da fuoco che aveva attinto la carrozzeria dell'auto non aveva messo in pericolo la vita della persona offesa. In relazione a tale colpo, non vi era un accertamento sicuro in ordine ad "angolo, direzione e distanza del tiro". Le dichiarazioni di (OMISSIS), sulla finalita' intenzione solo intimidatoria dell'azione, trovano conferma nei dati oggettivi, e non sono smentite dalla vittima. Non vi erano elementi per individuare la traiettoria degli altri colpi, andati tutti a vuoto. L'imputato aveva reso confessione, spiegando, in termini attendibili, di aver voluto solo minacciare la vittima al fine di dare risposta a quanto era accaduto al figlio (OMISSIS) la sera precedente. Con il secondo motivo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio sulla premeditazione, del diniego dell'attenuante della provocazione e del giudizio di comparazione tra circostanze. Non vi era alcuna prova di un accordo sulla detenzione ed utilizzo della pistola. Il fatto era stato determinato dai contrasti tra i rispettivi nuclei familiari, esasperati dalla recente aggressione contro il figlio (OMISSIS). Riconosciute le attenuanti generiche, ne era stata ritenuta l'equivalenza rispetto alla circostanza aggravante, senza alcuna motivazione circa l'esclusione del giudizio di prevalenza, che la difesa aveva chiesto e motivato. 2.2. (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.2.1. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha presentato atto di impugnazione comune ad entrambe le posizioni. Con il primo motivo viene denunciato difetto di motivazione della decisione di condanna che aveva riformato integralmente quella assolutoria pronunciata dal Tribunale. Il giudice di appello, in violazione dell'articolo 603 c.p.p., aveva proceduto ad una rinnovazione dell'istruttoria solo formale, avendo limitato l'esame dei testi alla conferma delle dichiarazioni rese in primo grado, e parziale, perche' non erano stati esaminati ne' il maresciallo (OMISSIS) ne' i consulenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Con il secondo motivo viene denunciata assenza di motivazione in ordine alla valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), che non aveva dato alcuna indicazione precisa circa le modalita' dell'azione di (OMISSIS), ne' circa la direzione degli spari, aveva riferito particolari, relativi alla persona di (OMISSIS), che erano risultati non corrispondenti alla realta', aveva descritto in termini contraddittori quanto accaduto la sera precedente. La difesa, nel giudizio di appello, aveva argomento, con memoria, sulla non attendibilita' della persona offesa, ma il secondo giudice non si e' confrontato con le deduzioni difensive. Con il terzo motivo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio sulla condotta di (OMISSIS) e sull'elemento soggettivo, ricostruiti sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e della teste de relato (OMISSIS), dichiarazioni che non erano state oggetto di adeguata valutazione secondo i canoni previsti dall'articolo 192 c.p.p.. Con il quarto motivo vengono denunciati violazione di legge e difetto di motivazione del giudizio di penale responsabilita' nei confronti di (OMISSIS). In ordine all'accertamento circa la presenza o meno del ricorrente in auto assieme al padre (OMISSIS) e al fratello (OMISSIS), la sentenza di appello ha riformato la sentenza di primo grado, recependo in maniera acritica i rilievi dell'appellante pubblico ministero e senza confrontarsi con quanto dedotto dalla difesa, con memoria, sul punto. Con il quinto motivo vengono denunciati violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del capo 1, da ritenere fattispecie di minaccia aggravata, alla qualificazione del concorso ai sensi dell'articolo 116 c.p., al riconoscimento dell'attenuante della provocazione e al giudizio di comparazione tra circostanze. 2.2.2. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha presentato due distinti atti di impugnazioni. (OMISSIS). Con il primo motivo viene denunciato difetto di motivazione in ordine all'accertamento della condotta dell'imputato. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell'articolo 116 c.p. e vizio della motivazione per l'esclusione, in ogni caso, del concorso anomalo. Il coimputato (OMISSIS) aveva agito con dolo d'impeto, incompatibile con la premeditazione e con l'attribuzione al ricorrente di un titolo di responsabilita' concorsuale ai sensi dell'articolo 110 c.p.. (OMISSIS). Con il primo motivo viene denunciato difetto di motivazione in ordine all'accertamento del comportamento tenuto dall'imputato. Quanto alla presenza del ricorrente sul luogo e al momento del fatto, il secondo giudice aveva aderito ai rilievi del pubblico ministero senza alcuna giustificazione. Quanto all'elemento soggettivo, la sentenza impugnata non aveva giustificato l'accertamento circa la risalente insorgenza, in capo a (OMISSIS), ne' aveva motivato, se non con mere congetture, l'adesione di (OMISSIS) a tale volonta'. Infine, purante congetturale era anche la motivazione circa la valenza concorsuale della condotta del ricorrente. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell'articolo 116 c.p. e vizio della motivazione per l'esclusione, in ogni caso, del concorso anomalo. Il coimputato (OMISSIS) aveva agito con dolo d'impeto, incompatibile con la premeditazione e con l'attribuzione al ricorrente di un titolo di responsabilita' concorsuale ai sensi dell'articolo 110 c.p.. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata limitatamente alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS). Vi e' memoria dell'avvocato (OMISSIS), difensore di tutti i ricorrenti. CONSIDERATO IN DIRITTO La sentenza impugnata va annullata, nei limiti e per le ragioni di seguito esposti. 1. I ricorsi, articolati anche con diversi atti relativi alla medesima posizione processuale, censurano la sentenza impugnata, che a sua volta aveva, in relazione a diversi punti della decisione, riformato la sentenza di primo grado, in relazione a tutti i punti della decisione relativa all'imputazione di tentato omicidio (capo 1), cui e' connessa quella di porto illegale di pistola (capo 2) che e' oggetto di contestazione solo con riguardo alla posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS). L'esame dei motivi di ricorso muovera' dai punti della decisione che, all'esito del giudizio di appello, sono stati decisi con giudizio conforme delle sentenze di merito. 2. Le decisioni di primo e secondo grado hanno ritenuto, con valutazioni conformi, la responsabilita' di (OMISSIS) in relazione alla imputazione di cui ai capi 1 e 2. Incontestata la ricostruzione del fatto - (OMISSIS) e (OMISSIS), in auto, si erano recati nel locale dove sapevano che avrebbero trovato (OMISSIS), e, una volta avvedutisi che il (OMISSIS) si allontanava in auto, avevano cercato di bloccarlo e (OMISSIS) aveva esploso tre colpi di pistola, uno dei quali aveva attinto l'auto del (OMISSIS) le sentenze hanno ritenuto che (OMISSIS) avesse voluto uccidere (OMISSIS) e che la condotta presentasse i requisiti oggettivi integranti la fattispecie di tentato omicidio. Il primo motivo del ricorso del difensore di (OMISSIS) propone censura motivazionale sia con riguardo al giudizio sulla sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie di tentato omicidio sia in relazione all'accertamento dell'elemento soggettivo del reato. 2.1. Incontestato che (OMISSIS) aveva esploso tre colpi di pistola e che solo uno di essi aveva colpito l'auto a bordo della quale (OMISSIS) si stava allontanando, la difesa ha censurato la motivazione che aveva ritenuto integrati, nella descritta condotta, sia l'idoneita' degli atti che la loro direzione univoca a cagionare la morte del conducente dell'auto. Dai dati oggettivi disponibili - costituiti dal punto di impatto del proiettile contro la carrozzeria, ad una altezza dal suolo di centimetri 70 - la difesa desume, come evidenza incontrovertibile, che l'imputato avesse mirato verso il basso e avesse sparato un colpo che non avrebbe potuto porre in pericolo la vita del (OMISSIS), e dal contesto - costituito dalla prossimita' tra sparatore e auto, dal numero di colpi disponibili e dal fatto che solo un colpo aveva attinto l'auto ritiene apprezzabile come l'azione di (OMISSIS) fosse compatibile anche con un intento di bloccare la fuga del (OMISSIS) ovvero di intimidirlo. Il motivo e' infondato. Quanto alla direzione dell'unico colpo che aveva attinto la carrozzeria dell'auto, il secondo giudice ha rilevato che non era stato un colpo di rimbalzo da terra, che era stata colpita la fiancata sinistra (lato conducente) e che l'impatto era avvenuto a cm 70 da terra, altezza compatibile con l'addome del guidatore. Il giudizio in ordine alla idoneita' degli atti e alla direzione degli stessi va compiuto ex ante in relazione ai dati oggettivi del contesto dell'azione. Da questo punto di vista, non v'e' dubbio che le sentenze di merito hanno dato motivazione che risulta incensurabile al sindacato di legittimita'. Lo sparo di un colpo di arma da fuoco che attinge la fiancata sinistra di un'auto in fuga e' condotta idonea a colpire il conducente e a provocarne la morte, ed e', altresi', diretta univocamente a quel fine, essendo le ipotesi alternative dell'atto solo intimidatorio ovvero dell'atto finalizzato a impedire la fuga dell'auto insostenibili, a fronte di un colpo sparato con braccio parallelo alla sede stradale, e non verso l'alto, e diretto verso il posto guida, e non verso i pneumatici. 2.2. Con riguardo all'elemento soggettivo del reato, il motivo articola la censura motivazionale in relazione ai dati rivelati dalla confessione resa dall'imputato (OMISSIS), il quale aveva riferito di essere andato alla ricerca di (OMISSIS) per avere un chiarimento su quanto era successo il giorno precedente con il figlio (OMISSIS) e per dargli una lezione, di essersi fatto accompagnare dal figlio (OMISSIS) perche' non in grado di guidare l'auto, di aver preso con se' per potersi difendere nel caso ce ne fosse stato bisogno, di aver, infine, sparato verso terra, in direzione delle ruote per intimidazione. Il motivo, in parte qua, ha contenuto di merito. La difesa, infatti, sottopone al vaglio del collegio la diversa prospettazione data dal ricorrente stesso e le argomentazioni svolte dalla difesa tecnica con memoria depositata in giudizio, senza pero' confrontarsi con le evidenze oggettive che i giudici del merito hanno valorizzato: la circostanza di essersi messo alla ricerca del (OMISSIS) presso un pubblico esercizio al fine di "dare una lezione" e armato di arma comune da sparo; l'aver, poi, effettivamente sparato, mentre l'avversario fuggiva, non con direzione verso l'alto e attingendo l'auto non ai pneumatici, ma proprio sul lato del conducente. Incontestate circostanze che danno contezza, con motivazione esente da vizi logici o giuridici, della volonta' omicidiaria che ha animato il ricorrente al momento degli spari di arma da fuoco. 3. La sentenza di appello ha riformato la sentenza di primo grado, quanto al capo 1, in relazione a tutti gli imputati, seppur sotto diversi profili. 3.1. Con riguardo alla posizione di (OMISSIS), la sentenza di appello, in riforma di quella del Tribunale, ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante della premeditazione. Va premesso che la giurisprudenza e' consolidata nel senso che "elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunita' del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuita' nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica)" (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, Antonucci, Rv. 241575). Si e' anche precisato che la menzionata circostanza aggravante non puo' essere riscontrata in presenza di una mera preordinazione del fatto: "In tema di omicidio, la mera preordinazione del delitto, intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all'esecuzione, nella fase a quest'ultima immediatamente precedente, non e' sufficiente a integrare l'aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni e dell'opportunita' per l'attuazione, un'adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalita' esecutive" (Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, TISCORNIA, Rv. 283512). La sentenza di primo grado, alla pagina 18, aveva osservato che dell'ipotesi accusatoria recepita dalla imputazione - secondo la quale gli imputati avevano ideato, sin dalla sera precedente, di realizzare un agguato mortale nei confronti del (OMISSIS) per vendicare l'aggressione a (OMISSIS) - "L'unico elemento, certamente significativo ma non univoco in tal senso, e' dato chiaramente dal fatto che (OMISSIS) si mise in macchina alla ricerca del (OMISSIS) portando con se' una pistola carica", ed aveva quindi ritenuto che fosse dubbio, e dunque non provato, che la volonta' omicida fosse sorta assieme alla volonta' di rivalersi contro l'aggressore. Proposto sul punto appello del pubblico ministero, la sentenza impugnata, dopo aver motivato l'accertamento in ordine alla condivisione da parte di (OMISSIS), di un progetto omicidiario gia' pianificato col padre, ha rilevato che "poteva spiegarsi con un dolo d'impeto, sull'onda dell'indignazione per l'aggressione appena subita da (OMISSIS), la spedizione punitiva della sera prima; a distanza di un giorno, pero'... la persistenza dell'intento omicida e I organizzazione dell'agguato rendono manifesta la sussistenza della contestata aggravante della premeditazione". La censura proposta col secondo motivo del difensore di (OMISSIS) e', in parte qua, fondata. Invero, e' privo di motivazione l'accertamento secondo il quale il proposito omicidiario sarebbe sorto gia' la sera precedente e si sarebbe mantenuto per tutta la giornata successiva, sino al momento esecutivo. Se e' incontestato, risultando anche dalle dichiarazioni di (OMISSIS) riportate dalla difesa, che gia' la sera del (OMISSIS), vanamente, (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano messi alla ricerca di (OMISSIS) per rispondere all'aggressione subita da (OMISSIS) e che altrettanto avevano intenzione di fare la sera del (OMISSIS), non viene indicato alcun elemento probatorio significativo del fatto che il proposito omicidiario era insorto sin dalla sera del (OMISSIS). In particolare, quanto al porto di pistola, non viene indicato alcun dato significativo del fatto che anche la sera precedente (OMISSIS) era uscito alla ricerca di (OMISSIS), portando con se' l'arma. La circostanza relativa al coordinamento, in corso di esecuzione, tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' significativo di un cosi' detto previo concerto, ma nulla dice in ordine al momento in cui il proposito omicidiario fosse sorto in capo a (OMISSIS). La sentenza di appello, dunque, finisce per assimilare la decisione di "rispondere" all'aggressione subita da (OMISSIS) alla decisione di uccidere l'aggressore, ma di tale identificazione non prospetta alcun dato significativo. In relazione al punto della decisione concernente la sussistenza in capo all'imputato (OMISSIS) della circostanza aggravante della premeditazione va, dunque, pronunciato annullamento con rinvio per nuovo giudizio. 3.2. Con riguardo alla posizione di (OMISSIS), che il primo giudice aveva assolto per non aver commesso il fatto, il giudice di appello ha affermato la penale responsabilita' in ordine ai capi 1, con l'aggravante della premeditazione, e 2. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che non vi fossero elementi significativi del fatto che (OMISSIS) aveva condiviso col padre il proposito omicidiario ne' nella fase di ricerca del (OMISSIS) ne' nel contesto dell'azione posta in essere da (OMISSIS). Il secondo giudice, alle pagine 9 e 10, ha valorizzato la condotta tenuta da (OMISSIS) nei momenti che hanno segnato l'individuazione del (OMISSIS), evidenziando che l'imputato aveva agito, coordinandosi col padre, per bloccare il fuggitivo, non si era affatto sorpreso nel vedere il padre armato di pistola e quindi l'aveva incitato a sparare contro l'auto in fuga. La difesa del ricorrente, con distinti atti dei difensori, ha censurato il giudizio sia sotto il profilo processuale, per la violazione dell'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria nel caso di riforma della pronuncia assolutoria, che in relazione alla motivazione dell'accertamento compiuto. 3.2.1. In relazione alla prima censura, ne va dichiarata l'infondatezza. La menzionata norma processuale, nel testo vigente all'epoca della decisione di appello, poneva un obbligo di rinnovazione dell'istruttoria nel caso di impugnazione del pubblico ministero, di una sentenza assolutoria, "per motivi attinenti la valutazione della prova dichiarativa". La giurisprudenza ha precisato l'ambito della rinnovazione deve investire tutte le fonti dichiarative coinvolte nel contrasto valutativo e non puo' limitarsi alla selezione di una delle medesime (Sez. 1, n. 41358 del 29/04/2022, CIANCIO, Rv. 283678), ma non vi un obbligo di rinnovazione generale dell'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado. La Corte territoriale ha proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria, ma, secondo la censura della difesa, non aveva assunto il teste maresciallo (OMISSIS) ne' i consulenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Prove che non risultano essere oggetto della valutazione probatoria censurata dall'appellante pubblico ministero e rispetto alle quali, dunque, non vi era alcun obbligo di rinnovazione. Il motivo ha aggiunto che la Corte territoriale si sarebbe limitata a sollecitare ai dichiaranti la conferma di quanto gia' dichiarato, di tal che il compendio dichiarativo disponibile non sarebbe mutato nel giudizio di appello, con conseguente violazione della regola di giudizio dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio. Il motivo, in parte qua, e' manifestamente infondato. La ratio dell'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria in caso di impugnazione della sentenza assolutoria per motivi attinenti alla valutazione di prova dichiarativa non risiede in un divieto di reformatio in pejus nel caso di compendio probatorio immutato, bensi' nella ritenuta necessita' che una diversa valutazione della prova dichiarativa, che porti al cosi' detto ribaltamento in appello della assoluzione pronunciata in primo grado, sia fondata sulla rinnovata assunzione, nel contraddittorio, della prova medesima. Si deve poi aggiungere che la censurata, dalla difesa, modalita' di esame non rende invalido l'atto istruttorio, che e' stato assunto nel contraddittorio delle parti, le quali hanno avuto la facolta' di esaminare il dichiarante. 3.2.2. Nel merito della posizione di (OMISSIS), la sentenza di primo grado (pagina 21) era giunta ad pronuncia assolutoria rispetto all'imputazione di concorso in tentato omicidio e di concorso nel porto illegale di pistola, sul rilievo che, da una parte, non vi era prova che l'imputato fosse consapevole che il padre avesse con se' l'arma da fuoco ne' che il proposito omicidiario fosse insorto, in alcuno, prima del concitato frangente nel quale (OMISSIS) cerca di sfuggire agli avversari e (OMISSIS) estrae l'arma e spara, e, dall'altra, che, applicando la regola probatoria di cui all'articolo 192 c.p.p., comma 3, l'accusa formulata dalla vittima - secondo il quale (OMISSIS) aveva incitato il padre a sparare non era provata, mancando i necessari riscontri esterni. In particolare, la testimonianza di (OMISSIS), che aveva riferito la medesima circostanza, non era prova diretta del fatto, in quanto la teste non era stata presente ed aveva dichiarato solo quanto appreso, ex post, dal fratello (OMISSIS), ne' poteva valere come riscontro a quanto dichiarato dalla persona offesa, che la fonte di quanto riferito dalla teste. Il secondo giudice, riformando integralmente, sul punto, la sentenza di primo grado, ha ritenuto (pagine 9 e 10) che l'imputato avesse aderito al programmato agguato mortale nei confronti del (OMISSIS) e vi avesse contribuito sia conducendo l'auto per raggiungere la vittima designata sia coordinandosi col padre nel momento dell'avvistamento della vittima sia, infine, incitando il padre a sparare ("Vai, spara, spara"). La decisione impugnata risulta viziata sia in relazione alla motivazione degli accertamenti in fatto sia in ordine alla definizione del titolo di partecipazione concorsuale alla cui stregua valutare la posizione dell'imputato (OMISSIS). Quanto allo specifico proposito omicidiario, si e' gia' rilevato, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), che la volonta' di partecipare ad un incontro col (OMISSIS) nella prospettiva di chiarire quanto accaduto la sera precedente e di "pareggiare" il conto - prospettiva pacificamente ammessa sia da (OMISSIS) che dal figlio (OMISSIS) - non e', di per se', comprensiva anche della volonta' di uccidere il (OMISSIS), atteggiamento della volonta' specifico e distinto da quello di "dare una lezione" al (OMISSIS). Dunque, anche con riguardo al ricorrente (OMISSIS), l'accertamento, compiuto dal secondo giudice, di quanto si siano detti ovvero abbiano fatto insieme gli imputati sino alla partenza per la ricerca, la sera del (OMISSIS), del (OMISSIS) risulta privo di una effettiva motivazione sotto il profilo della verifica dell'eventuale insorgenza e condivisione, gia' in quella fase, del proposito omicidiario. Con riguardo alla condotta tenuta da (OMISSIS) nel contesto del fatto, e' pacifico che egli si era messo alla guida dell'auto e che, vista la manovra di fuga messa in atto dal (OMISSIS), si era attivato per impedirla. La sentenza di appello - in cio' compiendo un accertamento in fatto che il primo giudice aveva escluso - ha ritenuto (pagina 9) provato che, in quel frangente, (OMISSIS) aveva notato che il padre, uscito dall'auto, aveva impugnato la pistola e lo aveva incitato ad usarla. L'attribuzione all'imputato (OMISSIS) di una condotta di incitamento allo sparo - indubbiamente, idonea a configurare un contributo morale di rilievo concorsuale - viene fondata, dal secondo giudice, sulle parole di (OMISSIS) e della di lui sorella (OMISSIS): il primo aveva riferito di aver udito (OMISSIS) gridare "Vai, spara, spara", la seconda "che il ragazzo disse nell'occasione o "spara" o "vai", a sostanziale conferma del racconto della persona offesa". Dunque, laddove il primo giudice aveva rilevato che solo la persona offesa era fonte diretta della circostanza, mentre la di lui sorella aveva riferito quanto appreso, successivamente, dal fratello (OMISSIS), non essendo stata ella presente al fatto, il secondo giudice considera (OMISSIS) come teste diretto del fatto, senza peraltro dare contezza dei dati che lo consentirebbero. Tanto piu' che la qualifica di (OMISSIS) come teste de relato dalla persona offesa era stata decisiva nella valutazione della prova del fatto. Infatti, essendo la persona offesa soggetto indagato di reato connesso le sue dichiarazioni sono state valutate secondo la regola probatoria dettata dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, e ritenute non utilizzabili in quanto prive di riscontri esterni. Dunque, anche l'accertamento compiuto dal giudice di appello in ordine alla condotta di (OMISSIS) nel contesto del fatto risulta privo di effettiva motivazione. Si deve, infine, precisare che le rilevate carenze motivazionali rilevano ai fini del giudizio sul titolo della responsabilita', se ai sensi dell'articolo 110 c.p. ovvero ai sensi dell'articolo 116 c.p.. Infatti, e' incontestato che (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero concordato di andare ad incontrare (OMISSIS) per chiarire quanto accaduto la sera precedente e "pareggiare" il conto, con una volonta', dunque, di aggressione nei confronti di colui che la sera precedente aveva aggredito il fratello e figlio (OMISSIS). Inoltre, altro dato fattuale pacifico e' il ruolo di (OMISSIS) come conducente dell'auto e supporto per rallentare la fuga di (OMISSIS), condotte oggettivamente in nesso causale con l'azione omicidiaria messa in atto da (OMISSIS). Ora, questi dati sono significativi di responsabilita' concorsuale di (OMISSIS) in ordine all'imputazione di tentato omicidio ai sensi dell'articolo 116 c.p.. La norma, infatti, definisce una speciale responsabilita' concorsuale per il concorrente che ha previsto e voluto un reato, ma ha oggettivamente concorso in altro reato, la cui azione tipica e' commessa da un concorrente, che costituisca sviluppo prevedibile - ma non previsto - dell'azione criminosa concordata. La norma di cui al capoverso della disposizione citata prevede, poi, una diminuente di pena nel caso in cui il reato non previsto, ma prevedibile sia piu' grave di quello voluto. Si deve precisare che la sentenza di primo grado, sul punto, aveva, alla pagina 21, dato erronea applicazione dei principi in materia di imputazione soggettiva della fattispecie concorsuale, osservando che doveva essere esclusa l'ipotesi del cosi' detto concorso anomalo, ai sensi dell'articolo 116 c.p., mancando "alcuna prova certa che i figli sapessero del porto dell'arma da parte del padre". Infatti, partecipare ad una cosi' detta spedizione punitiva assieme a soggetto armato di pistola significa prevederne l'utilizzo e accettarne le conseguenze, e dunque anche l'omicidio dell'avversario. Condizione soggettiva che giustifica l'imputazione del piu' grave delitto di omicidio o tentato omicidio a titolo di compartecipazione dolosa ai sensi dell'articolo 110 c.p.. L'imputazione soggettiva ai sensi dell'articolo 116 c.p., invece, presuppone che il reato commesso, da una parte, non sia stato voluto da un concorrente, nemmeno a titolo di dolo eventuale, e, dall'altra, che sia in nesso oggettivo con la condotta del concorrente e costituisca sviluppo prevedibile dell'azione criminosa concordata. Dunque, le censurate carenze motivazionali, interessanti la posizione di (OMISSIS), rilevano ai fini della qualificazione dell'imputazione soggettiva se ai sensi dell'articolo 110 ovvero articolo 116 c.p.. 3.3. Anche in relazione alla posizione di (OMISSIS) la sentenza di appello ha riformato integralmente quella di primo grado. Il Tribunale di Salerno aveva ritenuto che, impregiudicato l'accertamento in ordine alla presenza di (OMISSIS) in auto assieme al fratello (OMISSIS) e al padre (OMISSIS), (OMISSIS) non fosse a conoscenza del fatto che il padre aveva con se' una pistola e non avesse dato alcun contributo al fatto, risultando accertata, al piu', la sua mera presenza inerte sul sedile posteriore dell'auto. La sentenza di appello, invece, ha ritenuto, alla pagina 10, provata la presenza di (OMISSIS) a bordo dell'auto al momento del fatto, la sua condivisione soggettiva del proposito omicidiario, il suo contributo concorsuale a livello morale "per il costante memento che costituiva agli occhi del padre della necessita' di ottenere vendetta". I dati fattuali, sul cui accertamento il giudice di appello ha fondato la riforma della pronuncia assolutoria, risultano privi di motivazione. Quanto alla presenza di (OMISSIS) a bordo dell'auto al momento del fatto, il primo giudice si era limitato a dare contezza del contrasto di prove sul punto: la presenza era stata affermata dalla persona offesa, ma negata da (OMISSIS), il quale aveva dato contezza di quanto compiuto nell'orario del fatto (l'alibi), circostanze sulle quali erano stati assunti testimoni. Il secondo giudice, invecet formulato un accertamento positivo, fondato sulle dichiarazioni della persona offesa e sulla, di converso, accertata falsita' dell'alibi fornito dall'imputato. Ora, l'accertata falsita' di un alibi, che e' dato diverso dall'assenza di prova di un alibi, non e' circostanza probatoriamente neutra, in quanto fonda l'argomento logico, valorizzabile a livello indiziario, dell'interesse dell'imputato a rappresentare in termini diversi dalla realta' i suoi movimenti al momento del fatto. In ordine a tale dato probatorio la sentenza di appello non motiva l'accertamento compiuto, in quanto si limita, alla pagina 10, a richiamare integralmente "le ragioni analiticamente esposte nell'atto di impugnazione, che sarebbe superfluo ripercorrere". La motivazione per relationem e' consentita in relazione ad atti del procedimento che abbiano un contenuto essenzialmente descrittivo o ricostruttivo della realta' oggetto di condivisione, ma non anche quando si faccia rinvio a documenti complessi e contenenti aspetti valutativi (Sez. 5, n. 24460 del 08/02/2019, FOFFO, Rv. 276770). Nel caso in esame, la sentenza di appello ha richiamato un atto di parte, che, per sua natura, e' valutativo delle emergenze probatorie e che, nei giudizi di impugnazione, puo' essere anche integralmente condiviso dal giudice, il quale, comunque, e' tenuto a motivare tale giudizio. Quanto alla consapevole adesione di (OMISSIS) al proposito omicidiario, valgono i rilievi gia' compiuti in relazione alle posizioni dei coimputati. Si deve aggiungere che, quanto all'antefatto, le sentenze danno atto che (OMISSIS), la sera precedente, aveva informato i familiari di quanto gli era occorso, ma non viene indicato alcun altro elemento di fatto rilevante, se non la presenza in auto al momento della sparatoria, circostanza di cui si e' gia' detto. Il giudizio formulato dal giudice di appello, a pagina 10, risulta, dunque, privo di motivazione, siccome fondato su una congettura: "e' impossibile che solo lui, che era tra l'atro il soggetto da vendicare, non sapesse delle intenzioni del padre e della concertazione dell'azione criminosa". Le rilevate carenze motivazionali impongono l'annullamento della sentenza impugnata in relazione alla posizione di (OMISSIS). 4. Dunque, va pronunciato annullamento della sentenza impugnata, quanto a (OMISSIS), quanto a (OMISSIS), limitatamente all'applicazione del concorso ai sensi dell'articolo 116 c.p., e quanto a (OMISSIS), limitatamente all'aggravante della premeditazione, con rinvio per nuovo giudizio sui rispettivi capi e punti alla Corte di appello di Napoli. Il giudice del rinvio, senza vincoli nel merito, e' tenuto a compiere nuovo giudizio evitando le rilevate carenze motivazionali. I motivi di ricorso concernenti il diniego dell'attenuante della provocazione e il giudizio di comparazione tra circostanze sono assorbiti in relazione a tutti i ricorrenti; sono assorbiti anche i motivi sull'aggravante della premeditazione proposti dai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS); e', infine, assorbito il motivo, proposto da (OMISSIS), concernente l'applicazione dell'articolo 116 c.p.. Nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infondati e vanno respinti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, quanto a (OMISSIS); annulla la sentenza impugnata, quanto a (OMISSIS)i, limitatamente all'applicazione del concorso ex articolo 116 c.p.; annulla la sentenza impugnata, quanto a (OMISSIS), limitatamente all'aggravante della premeditazione. Rinvia per nuovo giudizio sui rispettivi capi e punti alla Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Visto l'articolo 624 c.p.p. dichiara l'irrevocabilita' della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilita' di (OMISSIS) in riferimento ai reati di cui ai capi 2, 3 e 4.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria T - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/11/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA BELMONTE; lette/sentite le conclusioni del PG, che ha concluso per la inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con l'ordinanza impugnata, la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile, per tardivita', l'istanza di restituzione nel termine formulata nell'interesse di (OMISSIS). 1.1. Con l'istanza, datata 25/03/2022, inviata a mezzo p.e.c. al Tribunale di Firenze, quale Giudice dell'Esecuzione, in data 27/03/2022, il difensore avanzava richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza emessa in contumacia dal Tribunale di Firenze in data 8/5/2009, divenuta irrevocabile il 20/10/2010, assumendo che il condannato sarebbe rimasto ignaro del processo e della sentenza di condanna, avendo avuto conoscenza soltanto dell'iniziale perquisizione svolta a suo carico il 24/6/2004, mentre, avrebbe appreso dell'esistenza della sentenza di condanna solo dal certificato penale e, successivamente, attraverso la consultazione degli atti del giudizio, ricevuti in data 18/3/2022, come da attestazione in atti. 1.2. Con ordinanza del 4/7/2022, depositata il 7/7/2022, il Tribunale di Firenze ha premesso che la sentenza di condanna e' stata pronunciata nella legittima contumacia dell'imputato, a seguito di notifiche effettuate presso il domicilio eletto il 24/6/2004, in sede di verbale di identificazione, e che, allo stesso modo, veniva anche notificato l'e:stratto contumaciale; ha, quindi, declinato la propria competenza funzionale a decidere, in favore della Corte d'Appello di Firenze, rilevando come, con l'istanza, non sia stata sollevata alcuna questione relativa alla validita' o all'efficacia del titolo esecutivo. Con ordinanza del 14/11/2022, depositata il 29/11/2022, la Corte d'Appello di Firenze, sezione II, ha dichiarato l'inammissibilita' dell'istanza di restituzione nel termine, perche' proposta tardivamente al giudice competente. 2.Ricorre per cassazione l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), eccependo la violazione dell'articolo 670 c.p.p.. Rappresenta il ricorrente che l'istanza avanzata il 27/3/2022 era finalizzata alla declaratoria di non esecutivita' della sentenza del Tribunale di Firenze emessa in data 8/5/2009, e, pertanto, essa doveva essere qualificata come incidente di esecuzione, in quanto diretta a conseguire la revoca della statuizione di irrevocabilita' della sentenza di condanna, e non solo come richiesta di restituzione nel termine, trattandosi di una questione relativa alla corretta formazione del titolo esecutivo, come tale, rimessa alla competenza del Giudice dell'Esecuzione. Cita giurisprudenza favorevole. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. L'istanza originariamente formulata conteneva una chiara prospettazione della invalidita' del titolo esecutivo, mediante la corretta attivazione del rimedio di cui all'articolo 670 c.p.p.; essa era stata, cioe', correttamente, indirizzata al Giudice dell'esecuzione, dinanzi al quale gli atti devono essere rimessi. 2. Il ricorso pone un problema di interpretazione dell'istanza di parte, dovendo essere chiarito se essa, nell'invocare la restituzione nel termine, presupponesse, o meno, la verifica della ritualita' del titolo esecutivo, costituito dalla sentenza contumaciale emessa n. 2944/2009 emessa in data 08 maggio 2009 dal Tribunale di Firenze, dichiarata irrevocabile il 30 ottobre 2010, sul rilievo che l'imputato non aveva ricevuto rituale notifica della vocatio in judicium (in tal senso deducendo, anche, la mancata conoscenza del processo) e dell'estratto contumaciale della sentenza, di cui aveva preso conoscenza solo all'esito di ricerche presso la cancelleria del Tribunale di Firenze, il 18 marzo 2022. 2.1. Ritiene il collegio che la questione debba essere risolta favorevolmente al ricorrente. E' vero, infatti, che l'istanza inoltrata alla prima sezione penale del Tribunale di Firenze, quale giudice dell'esecuzione, e' intestata quale "Richiesta per la restituzione nel termine", e che contiene il riferimento all'articolo 175 c.p.p.; nondimeno, a leggerla, emerge come la Difesa ricorrente abbia eccepito (oltre alla mancata conoscenza del processo per essere state effettuate le notifiche della vocatio in judicium presso il difensore di ufficio nominato in sede di identificazione), l'omessa notifica dell'estratto contumaciale, per quanto emergente dalla documentazione versata in atti (all. 5 -7). Il principale rilievo formulato nell'istanza attiene, cioe', al di la' della formale indicazione delle norme di legge che si assumono violate, alla mancata notifica dell'estratto contumaciale, atto dovuto, ratione temporis, ai sensi dell'articolo 548 c.p.p., comma 2 dal momento che la sentenza di primo grado era stata pronunciata anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 67 del 201; la doglianza e' chiaramente concentrata sulla formazione del titolo esecutivo. Il principio al quale occorre fare riferimento e', allora, quello affermato da Sez. 1, n. 25237 del 04/06/2021, Rv. 281547, a tenore del quale, la nullita' o inesistenza della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza di cui all'articolo 548 c.p.p., comma 2, impedendo la regolare formazione del titolo esecutivo, puo' essere fatta valere in sede di incidente di esecuzione, affinche' il giudice, previa sospensione dell'esecuzione ed eventuale scarcerazione del condannato, disponga la rinnovazione della notifica, con conseguente decorrenza dei termini per proporre impugnazione solo da tale rinnovazione. E' jus receptum, invero, nella giurisprudenza di legittimita', che la previsione di cui all'articolo 670 c.p.p. - che disciplina la competenza del giudice dell'esecuzione in ordine all'esistenza ed alla corretta formazione del titolo esecutivo - si distingue dall'istituto della remissione in termini, ex articolo 175 c.p.p., il quale presuppone, invece, la rituale formazione del titolo esecutivo e la sua mancata conoscenza da parte dell'interessato. (Sez. 4, n. 39766 del 26/10/2011 Rv. 251927). E' stato, inoltre, chiarito che, in tema di restituzione in termini ex articolo 175 c.p.p., comma 4, competente a decidere, in via generale, e' il giudice che sarebbe competente a decidere sull'impugnazione; qualora, tuttavia, l'istanza di rimessione in termini sia proposta al giudice dell'esecuzione, quale istanza logicamente subordinata all'accertamento della validita' del titolo esecutivo, la competenza a decidere sulla rimessione, ex articolo 670 c.p.p., comma 3, e' del giudice dell'esecuzione (Sez. 1, n. 14412 del 25/01/2001, Rv. 219099; conf. Sez. 1, n. 7900 del 31/01/2007, Rv. 236245), solo allorquando la richiesta sia logicamente subordinata o alternativa all'accertamento della validita' del titolo esecutivo, diversamente rientrando l'istanza nella competenza del giudice dell'impugnazione (Sez. 2, n. 29114 del 23/05/2019, Rv. 277017). Dunque, il giudice dell'esecuzione dinanzi al quale sia stata eccepita la nullita' del titolo esecutivo e contestualmente avanzata istanza di restituzione nel termine per impugnare in ragione di difetto di effettiva conoscenza dello stesso, deve pregiudizialmente verificare la validita' del suddetto titolo e, accertata l'esecutivita', e' tenuto ad esaminare autonomamente l'istanza presentata ai sensi dell'articolo 175 c.p.p. (Sez. 1, n. 36357 del 20/05/2016 Rv. 268251), perche' la restituzione nel termine presuppone la ritualita' dell'atto a cui e' legato il termine scaduto (Sez. 4 n. 50571 del 14/11/2019, Rv. 278441). Deve affermarsi, pertanto, che, qualora, come nella specie, l'interessato deduca la non corretta formazione del titolo esecutivo per mancata notifica dell'avviso di deposito della sentenza, ex articolo 548 c.p.p., comma 2, non sussistono i presupposti per la restituzione in termini, ma quelli di cui all'articolo 670 c.p.p. - concernenti la formazione del titolo esecutivo - di guisa che il giudice dell'esecuzione, in tal caso, non solo deve dichiarare l'omessa formazione del titolo esecutivo ed assumere i provvedimenti conseguenti ma deve anche disporre contestualmente, ex articolo 670, comma 1, II parte, la esecuzione della notificazione non eseguita, ex articolo 548 c.p.p., per consentire la ricorrenza del termine per l'impugnazione (Rv. 251927 cit.). 3. Cosi' correttamente inquadrata la questione, risulta superata anche la problematica della tempestivita' dell'istanza, ai fini della restituzione nel termine. Invero, la domanda di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale, secondo la disciplina prevista dal previgente articolo 175 c.p.p., commi 2 e 2-bis come introdotti dal Decreto Legge n. 17 del 2005, convertito con modificazioni dalla L. n. 60 del 2005, deve considerarsi tempestiva se presentata al giudice competente entro trenta giorni dal momento in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento (Sez.3,n. 10409de116/01/2020; Sez. 2, n. 8416 del 14/12/2022). La questione relativa al dies a quo dal quale calcolare il rispetto del termine per proporre la domanda ex articolo 175 c.p.p., e' stato risolto dalla giurisprudenza di legittimita' nel senso che occorre fare riferimento al momento in cui l'atto perviene al giudice compente, ritenendo tale soluzione piu' aderente al dato letterale, che, per un verso, attribuisce rilevanza alla "presentazione" della richiesta, e, per altro verso, individua, quale giudice competente, quello "che sarebbe competente sulla impugnazione" (articolo 175 c.p.p., comma 4, terzo periodo,). (Cass.Sez.2, n. 8416/2023). E' in applicazione di tale principio, che, nel caso di specie, - in cui l'istanza, presentata tempestivamente al giudice incompetente, e da questi trasmessa ex articolo 568 c.p.p., comma 5, e' pervenuta alla Corte d'Appello, quale giudice competente, il 15/7/2022, quando il termine di trenta giorni, decorrente dal 18/3/2022, era ormai decorso, - e' stata ritenuta tardiva la domanda in esame. Tuttavia, la questione diviene irrilevante nel caso in esame, in cui l'istanza, nella sua prospettazione, era logicamente subordinata all'accertamento della validita' del titolo esecutivo, e, quindi, correttamente, quanto tempestivamente, essa anche ai fini della restituzione del termine, era stata prodotta al giudice dell'esecuzione, al quale compete decidere sia sulla validita' del titolo esecutivo che sulla domanda di restituzione nel termine per impugnare. 4. Il provvedimento impugnato, in quanto emesso da giudice funzionalmente incompetente, deve essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Firenze, quale giudice dell'esecuzione, funzionalmente competente" secondo le indicazioni condivise di Sez. 1, n. 17027 del 10/3/2015, Rv. 263378, che ha chiarito come la Corte di cassazione, quando rileva un vizio di competenza funzionale del giudice che ha adottato il provvedimento impugnato, non puo' limitarsi a disporre l'annullamento senza rinvio di quest'ultimo, ma deve anche individuare l'Autorita' giudiziaria competente ed ordinare la trasmissione degli atti alla stessa, coerentemente alla disciplina in tema di competenza nonche' ai principi desumibili dagli articoli 620 e 621 c.p.p. ed a quelli, piu' generali, di economia processuale e di ragionevole durata del processo (cfr. Sez. 5, n. 19537 del 28/02/2022, Rv. 283097). P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Firenze quale giudice dell'esecuzione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. MASI Paolo - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 12/04/2022 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI; lette le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO che ha cheisto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata nel preambolo la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, ha dichiarato de plano inammissibile il ricorso straordinario proposto ex articolo 625-bis c.p.p. da (OMISSIS), avverso il provvedimento, in data 23 settembre 2021, con cui la Corte di Cassazione, sezione prima, aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta dal predetto ricorrente avverso l'ordinanza del Tribunale di Velletri che, in funzione di giudice dell'esecuzione, aveva respinto la richiesta di declaratoria di nullita' del titolo esecutivo e di revoca della condanna inflitta dal Tribunale di Roma per violazione dell'articolo 6 CEDU. 2 Ricorre ai sensi dell'articolo 625-bis, c.p.p. (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), eccependo errore percettivo di fatto. In particolare, evidenzia che la motivazione posta a sostegno della decisione fa esclusivo riferimento al Tribunale di Velletri quale "giudice di sorveglianza" e non quale giudice dell'esecuzione penale, organo cui si era rivolto l'interessato con l'originaria istanza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso straordinario previsto dall'articolo 625-bis c.p.p. puo' essere azionato solo per fare valere errori "materiali" o "di fatto" nei quali possa essere incorsa la Corte di cassazione sull'assunto che siffatti vizi debbano consistere in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco nella lettura degli atti propri del giudizio di legittimita', che si sia risolto nell'inesatta percezione delle risultanze processuali, con determinante influenza nel processo formativo della volonta', tanto da portare a una decisione diversa da quella che, in mancanza, sarebbe stata adottata; sempre secondo la giurisprudenza di legittimita', esso non puo' essere proposto per errore di diritto (cfr. Sez. 5, n. 21939 del 17/04/2018, Rv. 273062 - 01) e neppure per dedurre "vizi di motivazione della decisione della Corte di cassazione, in quanto il rimedio straordinario e' ammesso per la correzione di errori di fatto, che si verificano quando la sentenza impugnata sia viziata per effetto di una falsa rappresentazione della realta' a causa di una inesatta percezione di essa risultante dalla stessa sentenza o dagli atti processuaii riguardanti il giudizio di legittimita', da cui deriva una erronea supposizione che da' luogo alla affermazione dell'esistenza di un fatto sicuramente escluso ovvero dell'inesistenza di un fatto indiscutibilmente accertato" (Sez. 6, n. 18216 del 10/03/2003, Rv. 225258 -01). 2. Cio' posto, in linea di principio, ritiene il Collegio che il ricorso sia manifestamente infondato. 2.1. E' vero che la sentenza di cui e' stata chiesta la correzione ritiene sufficiente ai fini della declaratoria di inammissibilita' la natura del provvedimento impugnato, ritenendolo erroneamente "adottato dai giudici sorveglianza". In realta', come si evince dalla lettura dell'intera motivazione, l'impugnazione aveva ad oggetto un provvedimento del giudice dell'esecuzione sicche' doveva trovare applicazione il consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale il ricorso straordinario di cui all'articolo 625-bis c.p.p. puo' essere proposto dal condannato anche per la correzione dell'errore di fatto contenuto nella decisione della Corte di cassazione emessa su ricorso avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, quando tale decisione, intervenendo a stabilizzare il giudicato, determina l'irrimediabilita' del pregiudizio derivante dall'errore di fatto. (In motivazione, la S.C. ha fatto riferimento, a titolo esemplificativo, alle seguenti ipotesi: a) decisione che abbia ad oggetto le procedure di cui agli articoli 671 e 673 c.p.p.; b) decisione sul ricorso avverso l'ordinanza negativa del giudice dell'esecuzione chiamato a decidere, ex articolo 670 c.p.p., una questione riguardante la validita' della notifica della sentenza di condanna di merito; c) decisione sull'ordinanza che respinga una richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna). Astrattamente il rigetto dell'istanza avanzata dalla difesa di (OMISSIS) con cui veniva chiesta la declaratoria di nullita' del titolo esecutivo e la revoca della condanna inflitta dal G.U.P. del Tribunale di Roma per violazione dell'articolo 6 CEDU era idonea determinare un pregiudizio irreparabile mantenendo fermo il giudicato sicche' sotto questo particolare profilo era ammissibile. 2.2. Il divisato errore in cui e' incappata la sentenza non e' tuttavia decisivo; anzi esso e' del tutto indifferente rispetto all'esito del procedimento rimanendo comunque fermo il dato, ricordato ampiamente nella sentenza attinta dal ricorso in esame, che il ricorrente, con l'istanza originariamente rigettata, aveva attivato dinanzi al giudice dell'esecuzione un rimedio non previsto dall'ordinamento processuale. Aveva, infatti, chiesto la declaratoria di nullita' del titolo esecutivo o comunque A revoca della condanna per violazione dell'articolo 6 CEDU in assenza delle condizioni previste dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011 per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU, ossia la revisione applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti ex articolo 6 della Convenzione EDU, sia in quelle di violazione dell'articolo 7 della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilita'. In ogni caso, aveva promosso l'incidente di esecuzione senza previamente adire la Corte EDU ed aveva sollecitato l'estensione degli effetti favorevoli di una sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, senza specificarne l'obiettiva ed effettiva portata generale ne' allegare l'identita' di posizione dell'istante rispetto a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo. 3. All'inammissibilita' del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualita' dell'impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. MAGI Raffael - rel. Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/04/2022 del GIUDICE DI PACE di ASCOLI PICENO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RAFFAELLO MAGI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con sentenza resa in data 12 aprile 2022 il Giudice di Pace di Ascoli Piceno ha affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS) in riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 14 (fatto accertato il (OMISSIS)). 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - (OMISSIS) deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione. 2.1 Si evidenzia in particolare che la mancanza di un documento valido per l'espatrio rendeva illegittimo l'ordine di allontanamento, dovendosi in simili casi eseguire l'espulsione con accompagnamento alla frontiera. Da qui la impossibilita' di ritenere penalmente rilevante la violazione dell'ordine di allontanamento. 3. Il ricorso e' infondato, per le ragioni che seguono. 3.1 La giurisprudenza di questa Corte si e' espressa sui temi oggetto di ricorso nel modo che segue. Si e' ritenuto che non osti alla emissione dell'ordine di allontanamento la incertezza sulla identita' del soggetto privo di titolo abilitante il soggiorno: il mancato accompagnamento alla frontiera, e quindi, l'emissione dell'ordine di allontanamento (L. 286 del 1998, articolo 14, comma 5) e' legittimo nel caso in cui sia giustificato dalla circostanza, risultante dal provvedimento esecutivo di espulsione, della mancata identificazione dello straniero che determina un'ipotesi di incertezza sull'identita' (Sez. I n. 20368 del 21.2.2006, rv 234277). Si e', pertanto, affermato in un posteriore arresto che: non integra il giustificato motivo, che scrimina l'inosservanza dell'ordine impartito dal questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, la mancanza di un documento valido per l'espatrio, quando lo straniero stesso non riesca a provare di essersi attivato per ottenere un documento sostitutivo. (Sez. I n. 9754 del 18 febbraio 2010). Detti orientamenti interpretativi, condivisi dal Collegio, conducono al rigetto del ricorso, essendo stato emesso un legittimo ordine di allontanamento dal territorio dello Stato e non essendo stata dimostrata in sede di merito l'attivazione dell'imputato al fine di rendere possibile l'attuazione del provvedimento amministrativo. Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesc - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 17/05/2022 della Corte di appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIORDANO Luigi, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza di (OMISSIS), diretto ad ottenere la declaratoria di temporanea inefficacia, ai sensi dell'articolo 656 c.p.p., comma 5, e s.s., dell'ordine di carcerazione, relativo al provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso a suo carico dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte medesima. Secondo il giudice dell'esecuzione, detto provvedimento includeva la sentenza di applicazione di pena ex articolo 444 c.p.p., riferita al reato di cui agli articoli 609-bis e 609-ter c.p., ricompreso - dal 25 febbraio 2009, data di entrata in vigore del Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, articolo 3, comma 1, lettera a), conv. dalla L. 23 aprile 2009, n. 38 - nell'elencazione di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4-bis (Ord. Pen.), e come tale ostativo ai sensi dell'articolo 656 c.p.p., comma 9, lettera a). Poiche' il reato era stato consumato nel periodo intercorrente tra il gennaio e il giugno 2009, e quindi in data in parte successiva all'entrata in vigore della normativa che aveva determinato l'effetto ostativo, la sospensione della carcerazione non era dovuta. 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), assistito dal suo difensore di fiducia. Nei due connessi motivi, illustrati anche da memoria, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. A suo parere, il giudice a quo avrebbe errato nel collocare la data di consumazione del reato in un'epoca successiva all'entrata in vigore della normativa ostativa. Il reato in questione era unico e a condotta istantanea; il tempus commissi delicti andava individuato in un momento imprecisato, compreso tra gli indicati estremi del gennaio e del giugno 2009. In base al principio in dubio pro reo, la consumazione doveva presumersi, dunque, antecedente il 25 febbraio 2009, rimanendo cosi' possibile la sospensione del titolo esecutivo in base ai principi elaborati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2020. 3. Il ricorso, originariamente assegnato alla Settima Sezione penale di questa Corte, e' stato in seguito rimesso al Primo Presidente, ai sensi dell'articolo 610 c.p.p., comma 1, ultimo periodo, ed e' stato trattato nelle forme camerali ordinarie. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato, nella parte in cui denuncia l'errato accertamento della data di consumazione del reato di cui agli articoli 609-bis e 609-ter c.p., che e' stato contestato e ritenuto senza il rilievo della continuazione interna, e quindi, necessariamente, in relazione ad un'unica condotta penalmente rilevante. In mancanza, allora, di prova certa sulla data di sua verificazione, quest'ultima va determinata secondo il maggior vantaggio per l'interessato e il reato va ritenuto consumato alla data piu' risalente (Sez. 6, n. 25927 del 13/05/2021, P., Rv. 281535-01; Sez. 1, n. 11847 del 09/04/2014, dep. 2015, V., Rv. 262866-01; Sez. 2, n. 35662 del 16/05/2014, Torrisi, Rv. 259983-01), ossia al 1 gennaio 2009. Tanto giustifica l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta per rinnovata valutazione. 2. Nel procedervi, il giudice terra' conto, senz'altro, del principio di diritto, secondo cui il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 656 c.p.p., comma 9, lettera a), non si applica nel caso di condanna per fatti di reato commessi prima dell'inserimento del relativo titolo nel catalogo dei c.d. reati ostativi all'articolo 4-bis Ord. Pen., e cio' alla luce della lettura dell'articolo 25 Cost., comma 2, adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2020, in quanto, in difetto di disciplina transitoria, un tale sopravvenuto inserimento determina una trasformazione in peius della pena, concretamente incidente sulla liberta' personale del condannato e da questi non prevedibile al momento del fatto, cosicche' opera il principio di irretroattivita' delle norme penali sancito dalla menzionata norma costituzionale. Nell'applicare il principio al caso di specie, il giudice di rinvio considerera' anche, pero', che il Decreto Legge n. 11 del 2009, articolo 3, comma 1, lettera a), conv. dalla L. n. 38 del 2009, nel ridisegnare l'intera impalcatura dell'articolo 4-bis Ord. Pen., ha istituito al suo interno la c.d. terza fascia (contrassegnata dal condizionamento dei benefici penitenziari all'espletamento di un periodo minimo di osservazione all'interno dell'istituto di pena), inserendovi, tra l'altro, il reato di violenza sessuale di cui agli articoli 609-bis e 609-ter c.p.; reato che, tuttavia, era gia' stato incluso nell'articolo 4-bis, ed esattamente nella c.d. seconda fascia (contrassegnata da innalzamento di taluni limiti di pena per l'accesso ai benefici e da aggravamenti istruttori), gia' per effetto della L. 6 febbraio 2006, n. 38, articolo 15, entrata in vigore in data certamente anteriore alla consumazione del reato di causa. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Caltanissetta. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETUZZELLIS Anna - Presidente Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l.; avverso il decreto emesso dal Tribunale di Napoli il 17/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. SILVESTRI Pietro; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. BIRITTERI Luigi, che ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile, perche' tardivo, l'incidente di esecuzione proposto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, articolo 1, commi 199 - 200, il 5.4.2022 con cui (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. hanno chiesto l'ammissione del credito della societa' indicata per l'importo di 600.000 Euro nei confronti dell'amministrazione giudiziaria relativa al procedimento di prevenzione riguardante (OMISSIS); il credito sarebbe derivante da un contratto preliminare di vendita di un immobile, poi oggetto di confisca definitiva di prevenzione disposta nei riguardi di (OMISSIS) e (OMISSIS), moglie e figlio, entrambi eredi di (OMISSIS), deceduto. Il contratto preliminare sarebbe intercorso tra la societa' promittente venditrice, (OMISSIS) s.r.l., e (OMISSIS) e (OMISSIS), promissari acquirenti, e il prezzo fissato sarebbe stato di 640.000 Euro; in subordine la societa' aveva richiesto di essere ammessa per la somma di 300.000 Euro, quella corrisposta a titolo di caparra confirmatoria. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. articolando quattro motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge, anche processuale. Il Tribunale - individuata la disciplina applicabile in quella prevista dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 - avrebbe erroneamente ritenuto l'istanza, presentata il 5.4.2022, tardiva perche' proposta dopo il termine perentorio di 180 giorni previsto dall'articolo 1, commi 199 e 205 della legge in questione, decorrente: a) quanto alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), dal 5.4.2021, non avendo questi proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello; b) quanto alla quota riferibile a (OMISSIS), dal dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021. Secondo la societa' ricorrente invece, quanto a (OMISSIS), il termine dovrebbe decorrere non gia' dal 5 ottobre 2021, cioe' dalla data della udienza celebrata in Corte di cassazione, ma da quella del deposito della sentenza della Corte, cioe' dal 17.11.2021; si sostiene, citando giurisprudenza, che per le procedure in Camera di consiglio il provvedimento giurisdizionale sarebbe perfezionato solo con il deposito del provvedimento. Ne', si aggiunge, l'immediata conoscenza del dispositivo sarebbe garantita - come ritenuto dal Tribunale - attraverso la possibilita' di accesso al sito della Corte di cassazione, atteso che detto principio potrebbe al piu' valere per le parti del processo definito davanti alla Corte ma non anche, come nel caso di specie, per i terzi. Il dispositivo, si aggiunge, sarebbe solo un atto interno ma non coinciderebbe con la sentenza; diversamente, si dovrebbe ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 e 205, in relazione agli articoli 3, 24, 117 Cost. e articolo 6 Cedu per la parte in cui non collegano la definitivita' della pronuncia al momento del deposito della motivazione della sentenza resa nell'ambito di un procedimento camerale trattato ai sensi dell'articolo 611 c.p.p.. Si chiede anche la rimessione della questione alle Sezioni unite della Corte. Quanto a (OMISSIS), si evidenza che il ricorso per cassazione non fu proposto per la morte dell'interessato, cui era subentrato l'unica erede cioe' (OMISSIS), che invece aveva proposto ricorso per cassazione; quindi, si argomenta, anche per quella quota avrebbe dovuto considerarsi la pendenza del ricorso per cassazione e dunque si sarebbe dovuto fare riferimento alla data del deposito della Corte. Si aggiunge che la societa' (OMISSIS) s.r.l. non aveva chiesto "una domanda di rivendica della proprieta'", ossia un'azione finalizzata alla acquisizione definitiva della cosa, ma un'azione contrattuale volta ad ottenere la restituzione della caparra e il risarcimento del danno ex articolo 1385 c.c.; si tratterebbe di una obbligazione solidale della quale risponderebbe anche solo uno dei contraenti e dunque anche solo (OMISSIS). Anche per questa ragione l'istanza sarebbe stata ammissibile. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riguardo al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 58. L'assunto e' che il Decreto Legislativo in questione ammetterebbe comunque la presentazione di istanze tardive, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutivita' dello stato passivo, previa dimostrazione della ragione dl ritardo e della sua non imputabilita'. Nel caso di specie non sarebbe stata nota nemmeno l'esistenza di un decreto di esecutivita' dello stato passivo e, dunque, non sarebbe possibile individuare il termine per la presentazione della domanda. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 57 ovvero della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206. Ove pure si volesse ritenere, conformemente all'assunto del Tribunale, che la societa', quale terzo creditore, avesse conoscenza della esistenza del procedimento di prevenzione patrimoniale, allora l'ente avrebbe dovuto ricevere avviso di cui all'articolo 57 cit. con la fissazione del termine perentorio non superiore a 60 giorni per la presentazione della istanza di ammissione al passivo. L'avviso sarebbe stato omesso. 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 52 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, e s.s.. Sarebbe errato l'assunto del Tribunale secondo cui nella specie il credito non sarebbe sorto precedentemente al sequestro. Si rappresenta che, se si dovesse ragionare con il Tribunale, si dovrebbe sollevare una ulteriore questione di legittimita' costituzionale in relazione all'articolo 158 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, della per contrasto con l'articolo 3 Cost. nella misura in dette norme riconoscerebbero tutela solo ai crediti sorti prima del sequestro (si cita Cort. Cost. n. 94 del 2015 e Corte Cost. n. 26 del 2019). 3. E' stata presentata una memoria difensiva nell'interesse di ricorrenti con cui sono ripresi e ulteriormente argomentati le questioni poste a fondamento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili 2. Quanto al primo motivo e alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), non e' in contestazione che questi, erede del soggetto proposto, (OMISSIS), non propose ricorso per cassazione avvero il decreto della Corte di appello confermativo della confisca dell'immobile. Dunque, nei riguardi di (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), la confisca della quota del bene divenne definitiva con il decorso del termine per proporre impugnazione avverso il decreto della Corte, cioe' il 5 aprile 2021. Del tutto generica e' peraltro l'affermazione secondo cui a (OMISSIS) sarebbe succeduta come unica erede (OMISSIS), sicche' il ricorso di questa in cassazione avrebbe ad oggetto anche la quota parte del bene riferibile a (OMISSIS). Ne deriva che la domanda di ammissione del credito depositata dalla societa' (OMISSIS) s.r.l. il 5 aprile 2022 e' stata correttamente ritenuta tardiva dal Tribunale, perche' proposta oltre il termine di centottanta giorni previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 - 205, cit.. 3. Quanto alla quota parte del bene riconducibile a (OMISSIS), la Corte di cassazione ha gia' condivisibilmente chiarito che in tema di confisca di prevenzione, il termine di 180 giorni per la proposizione della domanda di ammissione del credito, previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi 199 e 205, decorre, in caso di sentenza della Corte, per effetto della quale sia divenuto definitivo il decreto di confisca, dalla pronunzia del dispositivo all'esito dell'udienza camerale e non dal deposito della motivazione di tale sentenza (Sez. 6, n. 33677 del 16/10/2020, Island Refinancing s.r.l., Rv. 279952). Nell'ambito di una articolata motivazione la Corte ha testualmente spiegato che: - il dies a quo del termine di decorrenza e' fissato dal legislatore - attraverso il combinato disposto di cui alla L. 24 dicembre 2012, n. 228, commi 199 e 205 - nel "momento in cui la confisca diviene definitiva": vi si stabilisce, infatti, che per i beni di cui al comma 194, confiscati in data successiva all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 199 - ossia quello di centottanta giorni entro cui i titolari dei crediti di cui al comma 198 devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ex articolo 58, comma 2, Decreto Legislativo cit. al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca - decorre dal momento in cui la confisca diviene definitiva; - analogo termine di decorrenza viene altresi' ribadito dal legislatore nel successivo comma 206, ove si stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata, entro dieci giorni dall'entrata in vigore della legge, ovvero "dal momento in cui la confisca diviene definitiva", effettua nei confronti dei creditori di cui al comma 198 (a mezzo posta elettronica certificata ove possibile e, in ogni caso, mediante apposito avviso inserito nel proprio sito internet) le diverse comunicazioni ivi espressamente previste (ossia: " a) che possono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ai sensi dei commi 199 e 205; b) la data di scadenza del termine entro cui devono essere presentate le domande di cui alla lettera a); c) ogni utile informazione per agevolare la presentazione della domanda "); - muovendo dalla norma generale dettata in tema di impugnazioni dall'articolo 10, comma 3, Decreto Legislativo cit., occorre considerare che la Corte di cassazione "provvede, in Camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso" e che, in deroga alla regola generale della mancanza di effetto sospensivo delle impugnazioni prevista nel terzo inciso della disposizione or ora richiamata, l'articolo 27, comma 2, Decreto Legislativo cit. stabilisce che "i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitivita' delle relative pronunce"; - per cristallizzare sul piano temporale la definitivita' delle pronunce di merito emesse in tema di confisca il legislatore fa riferimento, dunque, al momento in cui la Corte Suprema "provvede" con una decisione assunta all'esito del rito camerale previsto dall'articolo 611 c.p.p.; - le sentenze della Corte di legittimita', indipendentemente dalla tipologia del modulo procedimentale entro cui si inserisce il correlativo percorso decisorio, sono per legge immediatamente esecutive indipendentemente dalla notifica o dalla comunicazione all'interessato e che l'estratto della decisione costituente titolo esecutivo viene formato e trasmesso all'ufficio di merito in base al dispositivo riportato dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, adempimento normalmente anteriore al deposito del provvedimento in Cancelleria ai sensi dell'articolo 128 c.p.p.; - le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257; Sez. U, n. 11 del 25/03/1998, Manno, Rv. 210607) hanno affermato, con orientamento costante, la scindibilita' del momento deliberativo della decisione rispetto a quello, eventualmente successivo, del deposito del provvedimento camerale completo di motivazione; dette pronunzie hanno, altresi', riconosciuto la piena autonomia del dispositivo, che costituisce una realta' a se' stante, diversa sia dalla decisione che dalla motivazione, potendo dispiegarsi, mediante il suo deposito in Cancelleria e le immediate comunicazioni di rito anche prima che venga redatta la motivazione, il duplice effetto di rendere certo agli interessati che la decisione e' intervenuta e che e' intervenuta con un determinato, irreversibile contenuto e di rendere possibili i provvedimenti occorrenti; - si e' posto altresi' in rilievo che il dispositivo rappresenta un nucleo che costituisce il contenuto e l'oggetto della manifestazione tipizzata del potere autoritativo, tale da richiedere (a completamento) una motivazione che, ancorche' successiva al decisum, non vale a spostare il momento deliberativo dal tempo in cui esso risulta collocato per l'avvenuto esercizio della potestas iudicandi; - come affermato in una successiva decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 14451 del 27/03/2003, Previti, Rv. 223633), tale quadro di principi assume una portata generale, investendo la possibilita' e l'ammissibilita', quanto al provvedimento decisorio adottato in Camera di consiglio, della scissione temporale tra l'autonomo momento deliberativo che si evidenzia nel dispositivo, che puo' essere depositato immediatamente in Cancelleria e comunicato agli interessati, ed il successivo deposito del provvedimento completo di motivazione che conclude il processo formativo della decisione; - a tale quadro di principii si conforma l'attivita' della Corte Suprema di Cassazione, in quanto caratterizzata dall'immediato deposito in Cancelleria del solo dispositivo attestato dal provvedimento sottoscritto dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, sicche', qualora dalla decisione debba conseguire - come nel caso qui in esame l'esecuzione del provvedimento impugnato, possa trasmettersene l'estratto "senza ritardo" (ex articolo 15 reg. esec. c.p.p., comma 2 e articolo 28 reg. esec. c.p.p.) al competente ufficio presso il giudice di merito. In tale quadro di riferimento, il Supremo Consesso di questa Corte (Sez. U, n. 39608 del 22/02/2018, Business Partner Italia s.p.a., Rv. 273660) ha affermato il principio secondo cui i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti per il quali non si applica la disciplina del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 199, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'articolo 1, comma 206, della stessa legge, in quanto il termine di decadenza decorre indipendentemente dalle predette comunicazioni. L'applicazione di detto termine e', comunque, subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca ed e', in ogni caso, fatta salva la possibilita' per il creditore di essere restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile. Sulla base di tale ragionamento giuridico la Corte di cassazione ha altresi' ritenuto manifestamente infondata la prospettata questione di legittimita' costituzionale, avendo questa Corte gia' osservato, al riguardo, che il decorso del termine di 180 giorni per la proposizione dell'istanza di ammissione del credito, nelle forme indicate dal legislatore, e' conforme a principi di ragionevolezza, tutela del diritto di difesa e certezza dei rapporti giuridici, rientrando nell'ambito della sua discrezionale sfera d'intervento (Sez. 6, n. 51060 del 19/07/2017, Unicredit s.p.a., Rv. 271374). Si e' evidenziato che nelle numerose occasioni in cui la Corte costituzionale e' stata chiamata a pronunciarsi sulla conformita' alla Costituzione di norme che hanno fissato termini di decadenza dall'esercizio di diritti o facolta', ha costantemente affermato che la facolta' del legislatore di fissare tali termini di decadenza incontra soltanto due limiti, e cioe' l'insussistenza di un interesse generale e la fissazione di termini cosi' ristretti da rendere impossibile od eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto (sent. n. 297 del 2008; ordinanze n. 197 del 2006, n. 213 del 2005 e n. 185 del 2009). Come detto, si e' aggiunto che, in considerazione delle ragioni per le quali deve ritenersi che il termine di decadenza previsto nei commi 199 e 205 decorra indipendentemente dalle comunicazioni di cui al successivo comma 206, la decorrenza di tale termine deve comunque essere ancorata all'effettiva conoscenza, da parte del terzo, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca. Proprio in forza di tale argomentazione il Supremo Consesso di questa Corte ha affermato che, nel caso in cui il terzo creditore non possa prospettare in sede di domanda di ammissione la mancata conoscenza del procedimento di prevenzione o dell'esistenza di un provvedimento definitivo di confisca, lo stesso potra' comunque accedere alla rimessione in termini, ai sensi dell'articolo 175 c.p.p., comma 1, se prova che, nonostante le informazioni in suo possesso, non ha potuto proporre domanda tempestiva per causa a lui non imputabile (nozione, questa, in cui la Corte non fa rientrare l'omessa o tardiva comunicazione di cui alla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206 - perche' l'adempimento comunicativo che la disciplina transitoria pone in capo all'Agenzia nazionale si qualifica come mera pubblicita' notizia dettata da una disposizione di carattere organizzativo volta ad agevolare l'obbligo del creditore L. n. 228 del 2017, ex articolo 1, comma 199 -, facendovi di contro rientrare, eventualmente, l'ipotesi in cui, nonostante la conoscenza del procedimento, il terzo interessato non sia venuto a conoscenza dell'esito dello stesso e non abbia comunque conosciuto del provvedimento definitivo di confisca per ragione non imputabile a suo difetto di diligenza). Seguendo tale linea ricostruttiva, conclude la Corte, l'assolvimento dell'obbligo informativo in capo alla predetta Agenzia nazionale non diviene affatto una condizione intrinseca di operativita' del termine per la domanda di ammissione del credito, che continua, in linea di principio, a decorrere solo ed esclusivamente dal dies a quo stabilito dalla legge (nel caso in esame, come si e' visto, dalla definitivita' del provvedimento di confisca), salvo che risulti che il creditore non abbia avuto conoscenza del procedimento di prevenzione o del suo provvedimento conclusivo. In definitiva, cosi' ricostruito nelle sue linee portanti, il sistema congegnato dal legislatore consente, secondo la prospettiva ermeneutica delineata dalla Corte, di porre vieppiu' al riparo il quadro normativo dalle su esposte censure di costituzionalita', poiche' esso, per un verso, esclude la possibilita' di ingiustificati pregiudizi per il creditore in buona fede, danneggiato dall'omissione informativa, per altro verso permette "di prevenire altrettanto ingiustificati ed irragionevoli vantaggi che potrebbero scaturire da un automatismo applicativo di segno opposto: quello che vorrebbe il terzo creditore in incolpevole ignoranza per la sola circostanza che l'Agenzia non abbia adempiuto agli obblighi informativi imposti dal richiamato articolo 1, comma 206; automatismo che, sebbene ridondante a favore del creditore, risulterebbe - in forza delle argomentazioni che precedono - a sua volta di discutibile ragionevolezza.". 4. Sula base di tale quadro di riferimento, il Tribunale ha indicato le molteplici ragioni da cui si e' fatta discendere la prova che la societa' ricorrente fosse chiaramente a conoscenza del procedimento di prevenzione patrimoniale (cfr., pag. 12 del provvedimento impugnato). Sul punto il ricorso e' del tutto silente. Ne consegue che anche in relazione alla quota parte del bene di (OMISSIS), il termine per la proposizione della domanda di ammissione del credito decorreva dalla pronunzia del dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021; dunque la domanda, depositata il 5 aprile 2022, fu tardivamente proposta, oltre i cento ottanta giorni previsti dalla legge. 5. Sono inammissibili il secondo e il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente. Si tratta di motivi il cui assunto costitutivo e' dato dalla prospettazione o di facolta' che la societa' ricorrente avrebbe potuto esercitare - istanze tardive - ovvero di vizi del procedimento in tema di ammissione del credito. Si tratta di doglianze che, da una parte, non sono state dedotte davanti al Tribunale, e, dall'altra, che al piu' possono rilevare per una richiesta di remissione in termini. 6. Il quarto motivo e' assorbito da quanto esposto in relazione al primo. 7. Alla dichiarazione d'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila Euro ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

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